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18 aprile 2011 anno XI n. 16 Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli www. unisob.na.it/inchiostro Appunti per un Sindaco Paolo Gambescia Il tempo è scaduto. Da molto. Da troppo. Per Napoli e i napoletani. Lo ripe- tiamo a ogni tornata elettorale con forza. Ma sembra non cambiare mai niente. O meglio qualcosa cambia. In peggio. Si vive male. Con fatica. Sopporta- zione e fatalismo finiscono per prevalere. E non va bene. Napoli ha risorse straordinarie e si- tuazioni imprenditoriali, culturali e scienti- fiche di eccellenza. Tutto però finisce sommerso in una immagine di città disgregata e mal gover- nata. E così il pendolo dell’attenzione me- diatica oscilla tra lo scandalo e il folklore. I napoletani hanno bisogno di nor- malità. Nessuno si può chiamare fuori da questo processo. A cominciare dai semplici cittadini troppo spesso passivi se non com- plici di un sistema che sembra ignorare va- lori, meriti e regole. Giudizio troppo drastico? Forse. Ma da innamorato. E Napoli non si salva senza amore. Tutti gli amministratori dovrebbero prima di tutto amare la loro città, la città che devono governare. Per Napoli questo è un imperativo. Proprio perché è più diffici- le che altrove. Gli slogan dei candidati per le am- ministrative sembrano tutti orientati a dimostrare che, di fronte ai problemi, si può fare appello alle qualità dei napoleta- ni. L’esperienza recente e meno recente non spingono all’ottimismo. Troppo spes- so forte è stato lo scollamento tra politica e bisogni dei cittadini. In questo numero del giornale ab- biamo voluto ricordare al futuro sindaco e a tutti gli amministratori, quelli che saran- no nella maggioranza ma anche quelli che saranno all’opposizione, alcuni dei “buchi neri” che rendono questa città così fatico- sa. In questa piccola fotografia non ci sono solo le ombre. Qualcosa continua a muo- versi. Ma la spinta quasi sempre arriva da esperienze e volontà dei singoli. Così non si costruisce un percorso virtuoso, non si crea un sistema. E prima o poi, la volontà individuale non ce la fa più a sopportare il peso delle difficoltà. Ecco il punto. Creare un sistema utilizzando anche le risorse dei singoli. Che devono però essere messi in grado di inglobarsi in un progetto. Non la rappre- sentazione di una ipotesi di città. E soprat- tutto non il palcoscenico di amministratori che pensano soprattutto alle loro carriere. Politiche e non. Due pilastri, che valgono sempre: onestà e competenza. Questo però significa che dove non arrivano le compe- tenze dei singoli amministratori devono supplire professionalità che rispondano non alla logica clientelare ma alla qualità. Dirlo così sembra ovvio. Ma ovvio non è. Per la verità non solo a Napoli. Si può gira- re pagina? Si deve. Si deve, anche distruggendo imma- gini che sono dentro troppi napoletani: Ma- saniello, Pulcinella, Ferdinando, guappo, basta il sole, alla fine c’è la chitarra e il man- dolino. E ora pure il Ciuccio che ci aiuta a sognare. Piedi per terra, caro sindaco futuro. E si innamori, se non lo è già, di questa città. Non la passione, ma un amore tranquillo. Un amore tranquillo La Nato in Libia è made in Naples pag. 2 Municipalità che vai prezzo che trovi pag. 3 Cronache dall’Opg: ritorno alla vita pag. 4 Legalità o illegalità? Pisani risponde pag. 5 Sanità: quando il reparto è fai da te pag. 6 Rifiuti 2012: ecco la differenziata pag. 7 Lavoro e Precariato la creatività è donna pag. 8 Puca: storie di chi “Tiene famiglia” pag. 9 In metropolitana o a piedibus? pag. 10 Cinque disastri in progress pag. 11 Ma il calcio non ci salverà... pag. 12 Quel che ho imparato da questa esperienza Questo numero di Inchiostro chiude la serie di quelli realizzati con gli studenti amici del quarto ciclo della nostra Scuola di Giornalismo avviati or- mai verso la prova nazionale per diventare giorna- listi professionisti. In bocca al lupo e che anche le balene abbiano qualche difficoltà. Dal momento che il Fratello di Caino è anche, in un certo modo, un docente della Scuola e che mol- to si chiacchiera del rapporto interattivo tra docen- ti e studenti con il sostenere che anche i docenti possono parecchio imparare dall’attività didattica, mi chiedo, a mo’ di consuntivo del biennio, ovvero - manzonianamente - di “sugo”, da questa storia che cosa ha imparato nel frattempo il sottoscritto? Parecchie cose, la più importante di tutte è quella che l’impegno nel conseguire i risultati e nel tor- nare a conseguirli, non deve mai allentarsi giacché nessun risultato è definitivamente conseguito. La seconda è che le molte anime e parecchi spi- riti di cui la città dispone non sono sempre simpa- tici “monacielli” benigni. Ho imparato anche che bisogna sempre guardarsi e meritarsi il proprio piccolo posto perché, magari, anche uno spazio modesto come quello del Fratello di Caino ti può essere (per carità senza malizia) improvvisamente conteso o sottratto. Ho imparato, infine, che la via dell’umiltà non è soltanto una via romana abitata da gente tutt’altro che umile, essa è soprattutto una necessaria pratica quotidiana di buona cura di sé e degli interessi al- trui che qualche volta la provvidenza ci confida. Il fratello di Caino

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18 aprile2011

annoXI

n. 16

Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoliwww. unisob.na.it/inchiostro

Appunti per un Sindaco

Paolo Gambescia

Il tempo è scaduto. Da molto. Da troppo. Per Napoli e i napoletani. Lo ripe-tiamo a ogni tornata elettorale con forza. Ma sembra non cambiare mai niente. O meglio qualcosa cambia. In peggio. Si vive male. Con fatica. Sopporta-zione e fatalismo finiscono per prevalere. E non va bene. Napoli ha risorse straordinarie e si-tuazioni imprenditoriali, culturali e scienti-fiche di eccellenza. Tutto però finisce sommerso in una immagine di città disgregata e mal gover-nata. E così il pendolo dell’attenzione me-diatica oscilla tra lo scandalo e il folklore. I napoletani hanno bisogno di nor-malità. Nessuno si può chiamare fuori da questo processo. A cominciare dai semplici cittadini troppo spesso passivi se non com-plici di un sistema che sembra ignorare va-lori, meriti e regole. Giudizio troppo drastico? Forse. Ma da innamorato. E Napoli non si salva senza amore. Tutti gli amministratori dovrebbero prima di tutto amare la loro città, la città che devono governare. Per Napoli questo è un imperativo. Proprio perché è più diffici-le che altrove. Gli slogan dei candidati per le am-ministrative sembrano tutti orientati a dimostrare che, di fronte ai problemi, si può fare appello alle qualità dei napoleta-ni. L’esperienza recente e meno recente non spingono all’ottimismo. Troppo spes-so forte è stato lo scollamento tra politica e bisogni dei cittadini.

In questo numero del giornale ab-biamo voluto ricordare al futuro sindaco e a tutti gli amministratori, quelli che saran-no nella maggioranza ma anche quelli che saranno all’opposizione, alcuni dei “buchi neri” che rendono questa città così fatico-sa. In questa piccola fotografia non ci sono solo le ombre. Qualcosa continua a muo-versi. Ma la spinta quasi sempre arriva da esperienze e volontà dei singoli. Così non si costruisce un percorso virtuoso, non si crea un sistema. E prima o poi, la volontà individuale non ce la fa più a sopportare il peso delle difficoltà. Ecco il punto. Creare un sistema utilizzando anche le risorse dei singoli. Che devono però essere messi in grado di inglobarsi in un progetto. Non la rappre-sentazione di una ipotesi di città. E soprat-tutto non il palcoscenico di amministratori che pensano soprattutto alle loro carriere. Politiche e non. Due pilastri, che valgono sempre: onestà e competenza. Questo però significa che dove non arrivano le compe-tenze dei singoli amministratori devono supplire professionalità che rispondano non alla logica clientelare ma alla qualità. Dirlo così sembra ovvio. Ma ovvio non è. Per la verità non solo a Napoli. Si può gira-re pagina? Si deve. Si deve, anche distruggendo imma-gini che sono dentro troppi napoletani: Ma-saniello, Pulcinella, Ferdinando, guappo, basta il sole, alla fine c’è la chitarra e il man-dolino. E ora pure il Ciuccio che ci aiuta a sognare. Piedi per terra, caro sindaco futuro. E si innamori, se non lo è già, di questa città. Non la passione, ma un amore tranquillo.

Un amore tranquillo

La Nato in Libia è made in Naples

pag. 2

Municipalità che vai prezzo che trovi

pag. 3

Cronache dall’Opg:ritorno alla vita

pag. 4

Legalità o illegalità?Pisani risponde

pag. 5

Sanità: quando il reparto è fai da te

pag. 6

Rifiuti 2012: ecco la differenziata

pag. 7

Lavoro e Precariatola creatività è donna

pag. 8

Puca: storie di chi “Tiene famiglia”

pag. 9

In metropolitana o a piedibus?

pag. 10

Cinque disastriin progress

pag. 11

Ma il calcio non ci salverà...

pag. 12

Quel che ho imparato da questa esperienza

Questo numero di Inchiostro chiude la serie di quelli realizzati con gli studenti amici del quarto ciclo della nostra Scuola di Giornalismo avviati or-mai verso la prova nazionale per diventare giorna-listi professionisti. In bocca al lupo e che anche le balene abbiano qualche difficoltà.

Dal momento che il Fratello di Caino è anche, in un certo modo, un docente della Scuola e che mol-to si chiacchiera del rapporto interattivo tra docen-ti e studenti con il sostenere che anche i docenti possono parecchio imparare dall’attività didattica, mi chiedo, a mo’ di consuntivo del biennio, ovvero

- manzonianamente - di “sugo”, da questa storia che cosa ha imparato nel frattempo il sottoscritto? Parecchie cose, la più importante di tutte è quella che l’impegno nel conseguire i risultati e nel tor-nare a conseguirli, non deve mai allentarsi giacché nessun risultato è definitivamente conseguito.

La seconda è che le molte anime e parecchi spi-riti di cui la città dispone non sono sempre simpa-tici “monacielli” benigni. Ho imparato anche che bisogna sempre guardarsi e meritarsi il proprio piccolo posto perché, magari, anche uno spazio modesto come quello del Fratello di Caino ti può essere (per carità senza malizia) improvvisamente conteso o sottratto.

Ho imparato, infine, che la via dell’umiltà non è soltanto una via romana abitata da gente tutt’altro che umile, essa è soprattutto una necessaria pratica quotidiana di buona cura di sé e degli interessi al-trui che qualche volta la provvidenza ci confida.

Il fratello di Caino

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Anna Lucia Esposito

Rilancio economico, riqualifica-zione del patrimonio esistente, preven-zione del rischio sismico e la semplifica-zione amministrativa: sono i motivi che hanno indotto la Regione Campania a modificare la legge regionale sul Piano casa del 2009. È stata confermata l’ar-chitettura generale del Piano riguardante la possibilità di aumentare i volumi dei fabbricati realizzati con regolare licenza. Snellendo le eccezioni. L’incremento del-le volumetrie sarà con-sentito non solo per la prima ma anche per la seconda casa. Ancora esclusi dai benefici gli edifici ai quali è attribuito va-lore storico, quelli costruiti in difformità rispetto alla concessione edilizia, le strut-ture presenti in zone sottoposte a vincoli o a seri rischi di natura idrogeologica. Gli aumenti consentiti oscillano tra il 20% per le villette mono e bifami-liari e il 36% per gli edifici residenziali da demolire e ricostruire secondo le norme più avanzate di sicurezza abitativa. Ogni aumento delle volumetrie dovrà essere accompagnato da una sorta di documen-to d’identità dell’edificio che ne attesti la sicurezza. È consentito a chi vuole de-molire un immobile costruito in aree a rischio di ottenere una “moneta urbani-stica” con un aumento volumetrico del 50% per la ricostruzione in aree non pe-ricolose. Il nuovo Piano casa contempla anche la riqualificazione delle aree ur-bane degradate attraverso interventi che prevedono la destinazione di una quota non inferiore al 30% per abitazioni di edilizia sociale.Poco soddisfatte le parti sociali che dal Piano casa aspettavano una risposta alla

ricerca di un “tetto”, divenuto utopia a causa dell’aumento dei canoni di affitto. «Non sono le case che mancano nella no-stra regione – afferma il Sunìa – ma le abitazioni destinate a un particolare mer-cato che solo un’edilizia a costi conven-zionati può soddisfare». Anche Gaetano Oliva, responsabile Cgil servizio casa, ha sottolineato la natura “speculativa” della nuova normativa: «Il Piano casa ha approvato pesanti modifiche alle norme urbanistiche con l’unico risultato di uti-lizzare altro suolo e permettere a gruppi

di imprenditori privati di costruire alloggi non ac-cessibili ai cittadini con scarse possibilità econo-miche».Numerose le proteste

contro le poche risorse destinate all’e-dilizia popolare in Campania, senza di-menticare la manifestazione permanente davanti a Montecitorio contro gli abbat-timenti delle costruzioni abusive. «Le nostre proteste – continua Gaetano Oli-va – nascono contro la tendenza attuale a trasformare l’edilizia pubblica in edilizia sociale con il necessario intervento dei privati». La critica è rivolta al Governo re-gionale che avrebbe utilizzato 42 milioni per finanziare la costruzione di alloggi popolari a prezzi di mercato e al Governo nazionale che ha quasi cancellato il fondo di sostegno agli affitti, mettendo a rischio “il tetto” sopra la testa di migliaia di fami-glie campane.

Paola Cacace

Antonella Caruso, segreteria telefonica bilingue con l’italia-no seguito rigorosamente dal francese e fama da arabista per la rivista di geopolitica Limes, diretta da Lucio Caracciolo. È la coordinatrice del periodico per i paesi arabi intercettata al suo arrivo a Parigi e poco prima di prendere l’aereo per Baghdad.

Com’è percepito l’intervento della Nato sul territorio libico?

«In questo caso bene. Ghed-dafi non ha mai goduto di una particolare simpatia da parte della Lega Araba che quindi ora, come non mai, ha richiesto un intervento esterno».

Intervento esterno gradito quindi?«Gradito, ma solo se la sua perma-

nenza sul territorio non dura molto. La Nato è vista con nonchalance ma il fronte islamista guarda comunque con sospetto l’intervento dell’occidente. Se i ribelli non dovessero riuscirsi a or-ganizzare, una volta caduto Gheddafi, allora dovrebbero essere i Paesi dell’or-ganizzazione a prendere le redini. Cosa temuta anche un po’ da Obama».

Obama? Perché?«Non è proprio a suo agio in Libia.

Non è un Paese superstrategico per gli Usa che non vi hanno particolari inte-

ressi energetici. Per loro è una questio-ne morale più che economica».

Per l’Italia invece è tutt’altra storia.«Per vicinanza geografica, e soprat-

tutto per questioni energetiche, specie con l’Eni, l’Italia è più che mai coinvol-ta. Bisogna capire come si organizzerà l’opposizione dopo l’uscita di Ghedda-fi, ma credo che il nostro Paese conti-nuerà a investire. Forse sarà coinvolto anche nella ricostruzione delle infra-strutture».

E il baciamano di Berlusconi?«Gheddafi è stato accolto e riveri-

to da tutti i Paesi. Anche da Sarkozy, ora portabandiera dei rivoltosi. Dopo la rinuncia del dittatore alle armi di di-struzione di massa e all’ammissione di colpe per il caso Lockerbie, la Libia era

frequentabile. D’altronde tutti i paesi del mondo arabo giac-ciono su un mare magnum di risorse energetiche. È normale che diventino il fulcro di tanti avvenimenti».

Quindi non corre rischi la nostra autorevolezza all’interno della Nato?

«L’Italia è molto ben vista all’interno della Nato e nei Paesi in cui interviene. In particolare i Carabinieri sono apprezzati per il lavoro svolto. È piuttosto la politica tentennante a non con-vincere».

Tentennante? Si riferisce forse al ministro La Russa?

«Certo parlerebbero i fatti. L’Italia ha appoggiato i ribelli. Ma fino a poco tempo fa senza schierarsi. Il ministro La Russa, in particolare, specificando che il compito degli aerei italiani, per lui, è solo di disturbare i radar e non di bombardare».

Non è un po’ come tenere un piede in due staffe?

«Sì, ma nonostante abbiano tenta-to di negoziare finché possibile, ormai si notano le falle nel regime. E la pres-sione di un Paese come l’Italia, che finalmente si è schierato, si fa sentire. Potremmo rappresentare proprio noi il vero giro di boa del Medioriente».

La Nato in Libia pagina 2 inchiostro n. XVI – 2011 Clochard & Piano casa pagina 3

Napoli, un ruolo strategico nella missione in Nord Africa

Questo è il costo medio degli immobili nel perimetro cittadino al metro quadro

Prezzi medi di vendita per metro quadro nelle 10 Municipalità di Napoli.

Municipalità 1:-San Ferdinando: da 11.o0o euro a 1.500 -Chiaia: da 11.o0o euro a 2.400 -Posillipo: da 9.o0o euro a 4.o0o

Municipalità 2:-Porto: da 4.500 euro a 1.500 -Pendino: da 4.700 euro a 1.500 -Mercato: da 2.600 euro a 1.600 -San Giuseppe: da 5.o0o euro a 1.500-Montecalvario: da 5.o0o euro a 1.700-Avvocata: da 4.400 euro a 1.800

Municipalità 3:-Stella: da 4.300 euro a 1.300 -San Carlo Arena: da 4.300 euro a 1.800

Municipalità 4:-San Lorenzo: da 4.200 euro a 2.200-Poggioreale: da 3.500 euro a 1.600-Vicaria: da 2.800 euro a 1.500

Municipalità 5:-Vomero: da 8.300 euro a 2.800-Arenella: da 5.100 euro a 1.900

Municipalità 6:-San Giovanni a Teduccio: da 2.o0o euro a 1.600-Barra: da 1.900 euro a 1.600-Ponticelli: da 2.o0o euro a 1.800

Municipalità 7:-Miano: prezzo medio 1.700 euro-Secondigliano: da 2.800 euro a 1.800-San Pietro a Patierno: da 2.100 euro a 1.600

Municipalità 8:-Piscinola: da 2.700 euro a 1.600-Chiaiano: da 2.800 euro a 1.900-Scampia: prezzo medio 1.600

Municipalità 9:-Soccavo: da 3.500 euro a 2.300-Pianura: da 2.300 euro a 1.800

Municipalità 10:-Fuorigrotta: da 4.300 euro a 2.100-Bagnoli: da 4.o0o euro a 2.200

Cifre e numeri:Alleanza made in Campania

Alessandro Di Liegro

Che Napoli fosse la capitale del Mediterraneo lo avevamo già detto qualche numero di Inchiostro fa. Oltre alle peculiarità culturali e storiche, il capo-luogo campano è anche il centro focale delle forze militari della Nato che l’hanno scelta come sede del loro comando aeronautico e navale. Il Comando del-le Forze Alleate è stato attivato il 15 marzo 2004 e ha sostituito il Comando delle Forze del Sud Europa che per 53 anni ha operato sempre da Napoli.

Il Comando ha il compito di coordinare le operazioni militari della Nato nella propria area di responsabilità e fungere da deterrente per attac-chi contro i territori dell’Alleanza Atlantica. Proprio in questi giorni, Napoli ha in consegna la gestione della crisi libica.

Alcune statistiche inseriscono erronea-mente le basi Nato nel computo delle sedi militari americane presenti in Italia. L’errore si basa sulla considerazione storica secondo la quale l’Alleanza Atlantica sia stata la testa di ponte che l’America ha utilizzato per inserirsi sistematicamente sul territorio europeo ed esercitare la propria influen-za militare.

Se questo poteva essere vero a partire dalla creazione nel 1951 fino ad arrivare al crepuscolo de-gli anni ’90, con il passare del tempo la forza della Comunità Europea è cresciuta esponenzialmen-te fino a diventare determinante nella mission operativa dell’Alleanza – basti pensare al ruolo di Francia e Germania durante l’ultima crisi nordo-rientale, in particolare libica, in contrapposizione con le intenzioni americane.

I militari americani presenti sul suolo italia-no sono circa 15.500 e i civili impiegati nelle basi sono oltre 4.000. Di questi a Napoli lavorano come staff residente più di un centinaio di civili, oltre che un migliaio di militari. I numeri cambiano rapida-mente in occasione di attività militari concentrate nel capoluogo. In questi giorni, a causa della crisi in Libia, c’è il più stretto riserbo sul numero dei mi-litari operativi a Napoli per questioni di segretezza militare. Rendere pubblico il numero di unità si-gnificherebbe regalare all’avversario un’informa-zione vitale per la riuscita delle operazioni militari.

Mille e cento gli edifici affittati dai militari americani e alleati per un totale di oltre un milione e settecentomila metri quadri.

Oltre al comando Nato, situato nell’isoletta di Nisida, a Napoli vi è la base dei sommergibili al-leati. Il porto viene abitualmente impiegato dalle unità civili e militari Usa. Si calcola che dai porti di Napoli e Livorno transitino annualmente circa cinquemila contenitori di materiale militare. Due sono le flotte che fanno capo al comando navale di Napoli, una di queste ha il compito di scandagliare i fondali alla ricerca di mine.

A Ischia vi è un’antenna di telecomunica-zioni di proprietà dell’esercito americano che ha copertura Nato. A Bagnoli vi è il più grande centro di coordinamento navale per le operazioni nel Me-diterraneo. Solitamente in uso alla Us Navy, la Nato ne ha assunto il controllo in occasione della recente crisi libica. A Giugliano, in prossimità del Lago Patria vi è il centro Statcom, mentre Mondragone ospita un centro di comando Usa e Nato sotterraneo, dove verrebbero spostati i comandi in caso di guerra.

Nel 2001 è stato approvato un piano per la delocalizzazione del centro Nato per riunificare tutti i comandi in un unico palazzo nella zona dove attualmente si trovano i ricevitori di Lago Patria, a Giugliano. L’Italia, nella sua veste di Paese ospitan-te ha realizzato il bando del progetto che è stato vinto dalle imprese Condotte e Sirti.

Sempre all’Italia toccherà gestire la fase di costruzione in coordinamento con il comando del-le Forze Alleate. Attualmente i lavori sono bloccati per ridefinire il progetto per la costruzione di una scuola per i figli dei dipendenti.

Per fare il punto sul Medioriente la rivista Italiana di Geopolitica è in edicola con:

“La Guerra in Libia”

Il cuore dell’operazione NatoAmmiraglio Veri: Bagnoli e Nisida necessarie per la Libia

Angelo De Nicola

La guerra in Libia ha fatto scattare l’intervento della Nato che, mediante una portaerei nel Mediterraneo chia-mata Italia, ha dato il via all’operazione Unified Protector.

Fondamentale è il ruolo della Cam-pania, sul cui territorio sorgono tredici basi di appoggio da Capodichino, con la United States Air Force, fino a Bagnoli, diventata sede del più grande centro di coordinamento dell’Us Navy di tutte le attività di telecomunicazioni, comando e controllo del Me-diterraneo.

« N e l l ’ h i n t e r -land napoletano c’è il cuore pulsante della sesta flotta america-na e da Napoli siamo in grado di tenere sotto controllo l’intero Mediterraneo – dice l’ammiraglio di squadra Rinal-do Veri –. Sia le operazioni d’embargo marittimo, volte a contrastare il traffi-co illegale di armi, sia il controllo dello spazio aereo libico, sono monitorate 24 ore su 24 dalle numerose truppe del Al-lied Joint Force Command di Napoli e dalle strutture militari a esso collegato, come il Comando componente maritti-ma ubicato sull’isola di Nisida».

Bagnoli è la sala di comando della lunga portaerei che è ancorata nel Me-diterraneo. «A Bagnoli, nella sede del Comando interforze dell’Alleanza at-lantica, circa 2 mila militari rappresen-tano 22 nazioni, mentre a Capodichino sono dislocati i comandi aeromarittimi

e sottomarini della VI flotta america-na, che hanno competenza sull’area europea e africana e prestano servizio circa 3 mila soldati americani – prose-gue l’ammiraglio –. Senza dubbio il ruolo dell’Allied Joint Force Command Naples di Bagnoli sarà di primo piano, poiché il centro congiunto partenopeo è ritenuto altamente strategico dai ver-tici militari alleati.

Napoli rappresenta attualmente il vertice nella catena gerarchica di nu-merose operazioni. È un centro di co-mando congiunto e ha sotto la propria

responsabilità i rispet-tivi centri operativi e di coordinamento di terra, aria e mare dell’Europa meridio-nale, ovvero quelli che

sono chiamati in causa nel caso in cui si deve garantire la no-fly zone».

Tutte le basi Nato in Italia, dal pun-to di vista dell’Alleanza Atlantica, rien-trano sotto la direzione del Comando componente alleato aereo di Izmir, in Turchia, che a sua volta dipende direttamente dal centro partenopeo. «Napoli, anche per quanto riguarda le operazioni di blocco navale, ha un ruo-lo di primo piano poiché il Comando componente Nato si trova nell’isolotto di Nisida a pochi passi da Bagnoli. Il centro operativo è direttamente a capo di due delle Forze di reazione imme-diata dell’Alleanza e responsabile del-la sorveglianza marittima dell’intero Mediterraneo». Dal comando di Nisida sono partite tutte le operazioni navali,

compreso l’embargo, che riguardano il conflitto in Libia.

«Il controllo è severo nei confronti di tutte le navi che potrebbero portare armi verso la Libia, e l’uso della forza è stato autorizzato nel caso si rendesse necessario per fermare le navi pirata in-tercettate, e l’Italia è in prima linea tra tutte le altre nazioni europee nell’attua-zione dell’embargo».

L’embargo sugli armamenti, l’inter-dizione aerea e la protezione dei civili e delle zone ad alta intensità di popola-zione: questi gli obiettivi della missione Unified Protector. «La Nato è responsa-bile dello spettro completo delle opera-zioni aeree e marittime.

L’obiettivo è proteggere la popo-lazione inerme e far rispettare quan-to previsto dalla risoluzione dell’Onu 1973. Con la missione attualmente in corso, si vuole cercare, infatti, di impe-dire altre violenze sui civili e sulle zone altamente popolate».

Il capoluogo campano, per l’am-miraglio Rinaldo Veri, è il punto di riferimento per la Nato in Europa. «Il comando a Napoli si trova in una posi-zione vitale per il positivo esito dell’o-perazione in Libia e lo testimoniano i buoni risultati ottenuti nel corso delle ultime settimane. Napoli è importan-te per l’alleanza delle 28 nazioni, lo è sempre stata in passato, e lo sarà anche in futuro. L’Italia – conclude l’ammi-raglio – non ha mai fatto mancare il proprio sostegno all’alleanza».

Intervento gradito all’IslamDa Limes, Caruso: l’Italia è il giro di boa del Medioriente

Gheddafi, Berlusconi, Sarkozy e gli altri capi di stato al G20

Il mattone vale fino a 11 mila euro a Chiaia e solo 1600 a Scampia

Municipalità che vai, prezzo che trovi

@ Per scaricare il Piano Casa:http://www.costruttori.sa.it/images/file/legge%20regiona-le%201%202011.pdf

L’edilizia sociale è outLa Cgil: il Piano favorisce gli imprenditori

Vita da senza tettoAndrea: quando perdi la casa non esisti

Ludovica Criscitiello

«Non prendi appunti per l’intervista?» Andrea Spinelli sorride, mentre mangia il kebab che gli offriamo. È una persona come se ne vedono tante nella vita. Cinquantasei anni, quattro trascorsi a vivere in strada, come clochard. «Quando non andavo in dormi-torio, passavo la notte nella stazione dei Campi Flegrei. Alle quattro di notte dovevamo andare via perché veniva la polizia». Le stazioni le ha girate un po’ tutte, «spesso andavo anche in quella di Caserta». È dura la vita «in mezzo a una via» quando fa freddo e non c’è altro che una coperta a ripararti.

Un lavoro dopo l’altro, prima nell’azienda di suo padre, poi in una ditta per la ri-costruzione post-terremoto, poi ancora pony express e lavapiatti. «A un certo punto non ce l’ho fatta a pagare l’affitto e mi sono ritro-vato senza un tetto sulla testa, perché il pro-prietario della casa dove vivevo a Giugliano aveva minacciato di spararmi alle gambe». Nel frattempo ha divorziato e la moglie si è trasferita a Firenze con il figlio che lui non vede da due anni.

Andrea ama definirsi un tipo solita-rio. «Non mi piaceva far amicizia con gli altri che vivevano per la strada come me, sono dei gran pettegoli. Di me dicevano che ero fini-to in carcere per pedofilia». Preferiva, e lo fa ancora oggi, trascorrere le giornate nella Bi-blioteca nazionale di Napoli. A leggere. Sorprende sentirlo parlare della guerra in Libia, della Costituzione, dei gialli di Agatha Christie.

L’11 febbraio 2009 c’è stata la svolta. «Mio cugino ha deciso di occuparsi di me, poi quando è morto mi ha affidato al suo socio che oggi mi aiuta con parte dell’affitto, men-tre pago il resto con qualche lavoretto». L’incontro con la Comunità di Sant’Egidio che offre assistenza a persone senza fissa dimora è avvenuto per caso, durante un pranzo nella loro mensa, una delle tante frequentate da Andrea. «Mi ha chiesto il nome e io non volevo dirglielo, allora mi hanno detto che se non gliel’avessi rivelato non avrei avuto il regalo». Ride. «Alla fine ho ceduto». Basta un semplice «come ti chiami» e s’inizia a ricostruire la propria identità. «Quando una persona perde la casa non esiste più per lo Stato, – spiega Benedetta Ferone, responsabile del servizio Amici per la strada della Comunità di Sant’Egidio – perchè non gode più dei diritti fondamentali collegati a essa». In base all’art. 43 del Codice Civile, “la residenza è nel luogo in cui la persona ha la sua dimora abituale”. L’iscrizione nel registro della residenza di un Comune costituisce il presupposto per beneficiare dei diritti fondamentali della nostra Costituzione. Per i sen-za fissa dimora questo era un problema. Finché nel 2003 il Comune di Napoli ha recepito un’or-dinanza del tribunale di Bologna che ha stabili-to che è possibile ottenere la residenza anagra-fica presso dormitori o centri d’accoglienza.

30 le mense per i senza tetto

19 i dormitori

14 posti dove lavarsi

26 gli ambulatori gratuiti

22 centri di ascolto

La comunità di Sant’Egidio fornisce gratis il vademecum per i senza tetto su letti e mense

Fonte: Il listino ufficiale della Camera di Commercio e della Borsa immobiliare di Napoli.

A cura di Egidio Lofrano

“Da qui siamo in grado di tenere sotto controllo l’intero Mediterraneo”

“Non sono gli edificia mancare in regione ma le case popolari”

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Raffaele de Chiara

Ragazzi poco più che adolescenti che commettono reati, secondo Amato Lamberti, un fenomeno che a Napo-li non desta eccessive preoccupazioni. Il sociologo non usa giri di parole per descrivere

quello che egli stesso conside-ra qualcosa di fisiologicamen-te normale: «La criminalità minorile presente in città non è maggiore di quella che c’è in altre realtà. Se si osservano le ultime statistiche è facile ri-levare come Milano e Torino siano di gran lunga più avanti rispetto a Napoli»Lamberti, classe ’43, originario di un piccolo paese del Pie-monte, vive in Campania dal

1958. Fondatore dell’Osservato-re sulla Camorra è stato asses-

sore alla Normalità del Comune di Napoli dal ’93 al ’95 e presidente della Provincia dal 1995 al 2004. Attualmente insegna Sociologia della devianza e della criminalità all’Università Federico II. Le cause della delinquenza minorile a suo parere sono il degrado e la totale mancanza di prospettive. «Nella mia carriera non mi è mai capitato di imbattermi in adole-scenti che delinquono che hanno alle spalle famiglie facol-tose». Per accorgersene secondo il professore basta anda-

re nel carcere minorile di Nisida: «Chiunque abbia avuto la sensibilità di andarci avrà senz’altro riscontrato come lì siano rinchiusi per lo più rom senza fissa dimora e italiani con alle spalle famiglie disagiate e totalmente assenti». Sono altre però le soluzioni al fenomeno rispetto al tentare di recuperare i piccoli delinquenti soffermandosi solo sui singoli. «Rinchiudere un adolescente in carcere senza capire le cause che lo hanno portato a determinate azioni – dice – senza incidere sui contesti che hanno favo-rito il suo agire, non ha molto senso». L’esperimento di Scampia «un’incubatrice di de-vianza» e di tante altre periferie più o meno note della città sono emblematiche. «A Napoli negli ultimi tempi si è determinato una scissione che giorno dopo giorno sembra accentuarsi sempre di più. In città da sempre sono convissute due tipi di classi sociali, quella degli abbienti e quella dei poveri. La disponibilità della prima a comprendere e capire le esigenze dei secondi ha determinato un sostanziale equi-librio che negli ultimi decenni è venuto meno. La Napoli bene è come se avesse divorato tutte le risorse dell’altra

Napoli. Un ragazzo che nasce in peri-feria non ha alcuna prospettiva di mi-glioramento, semplicemente perché è circondato da case buie ai limiti della vivibilità dove manca qualsiasi luogo di ritrovo».

Facile per il professore individuare anche le re-sponsabilità. «La colpa è principalmente della classe poli-tica da troppo tempo presa da altro e disattenta alle reali esigenze dei suoi cittadini. Napoli – sottolinea – dipende molto dalla politica».

Emanuele De Lucia

A volte si rischia di essere in troppi. Le metropoli sono invase da tanti problemi aggravati dal numero dei residenti e le carceri spesso riflettono la stessa condizione ai limiti della sopportazione. Poggioreale è in uno stato di grande sovraffollamento. Sono 2700 i reclusi in uno spa-zio che dovrebbe contenerne 1400.

I detenuti sono divisi, in base a diversi criteri, in die-ci padiglioni. Chi entra può essere incensurato o recidivo. La destinazione è indicata in relazione al reato commesso. Ci sono reparti di alta sicurezza, dove scontano la pena vio-

lentatori, tossicodipendenti, collabo-ratori di giustizia, pedofili e tanti altri uomini con una storia tutt’altro che ordinaria.Un carcere è innanzitutto un istituto di pena e di rieducazione e le sue disfunzioni possono essere causate dalla sproporzione numerica della popolazione carceraria che ren-de più difficile gestire questi delicati compiti. «È evidente il grande sovraf-follamento dell’istituto che comporta

un enorme aggravio di lavoro in settori nevralgici, come l’ufficio colloqui, la matricola, la segreteria detenuti» spie-ga il direttore del carcere di Poggioreale Cosimo Giordano. Non dovrebbero essere tanti ad affollare un carcere che ha anche un padiglione chiuso per ristrutturazione. Si dovrebbero rispettare alcuni criteri di assegnazione vali-di per i diversi istituti di pena. «L’istituto di Poggioreale – continua il direttore – è una Casa Circondariale e dovrebbe ospitare solo detenuti in attesa di giudizio, ma allo stato attuale vi sono ristretti anche detenuti già giudicati, che invece dovrebbero stare in una Casa di reclusione».

Come una città, un istituto penitenziario necessita di uomini e risorse per vivere e funzionare meglio. «Oc-corre – conclude Giordano – un incremento delle unità di polizia penitenziaria e di maggiori risorse economiche per far fronte alle problematiche strutturali che quotidiana-mente si presentano».

Annalisa Perla

«Io sono normale, credetemi. Avevo anche una fidanzata che faceva l’infermie-ra, sono capitato lì per errore». Paolo, 40 anni, originario del Lazio, è stato rinchiu-so nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa per oltre 20 anni. Oggi è agli arresti domiciliari e sta cercando di riprendersi la vita. «Quello è un posto infernale», conti-nua a ripetere. «Difficilmente riuscirà a dimenticare le sofferenze di tanti anni trascorsi tra quel-le mura», spiega Maria Affinito, una delle psicologhe che gestisce la cooperativa Eos, che insieme ad altre tre associazioni ha dato vita al “gruppo di convivenza” di cui fa parte Paolo. Non si tratta di case-famiglia, né di strutture sani-tarie ma di ordinari condomi-ni, dove gli ex detenuti vivono normalmente con l’unica eccezione di essere monito-rati 24 ore su 24 da operatori psicologi. Persone con disturbi mentali che condividono un appartamento e sono sti-molate a svolgere attività formative che possano reintegrarle anche nel mondo del lavoro. «Il progetto mira alla riabilitazione degli ex detenuti, cercando di riabituarli a

una vita “norma-le”». Maria raccon-ta come spesso le persone che escono dall’Opg siano in condizioni di degra-do mentale, disa-bituati persino alle

normali attività di cura del corpo. «Cerchia-mo di insegnare loro l’abc del vivere comu-ne, partendo dalle piccole cose». Finanziato dalla Asl di Caserta con i comuni di residenza di ciascun detenuto, il progetto è quasi un unicum in Italia. «Di esperienze simili ne esistono poche a livello nazionale – spiega Vincenzo Sanges, tra i coordinatori della struttura –. Noi ci siamo riusciti grazie ai “budget di salute”». Si tratta di Progetti Terapeutico Riabilitativi Individuali (PTRI) sostenuti, appunto, dai budget di salute: una metodologia di integrazione sociosa-nitaria cogestita dal servizio pubblico e dal privato sociale, con fondi messi a disposi-zione delle Asl per progetti di vario genere

che riguardino la salute, e non solo quella mentale. Nel caso dei “gruppi di convivenza”, lo scopo è riabilitare e reinserire socialmente i malati. La dura-ta, per ciascun soggetto, non può superare i 3 anni. Le cooperative Fedro, Eos e Apeiron, che insieme all’as-

sociazione Aurora, gestiscono il gruppo di convivenza di cui fa parte Paolo, partito il primo dicembre 2010, sono intenzionate ad andare avanti. «Ci accorgiamo giorno dopo giorno delle risposte concrete dei nostri assistiti». La dottoressa Affinito valuta positivamente i mesi di sperimentazione che finora hanno dimostrato che i pazienti sono in grado di costruire relazioni affettive, com’è accaduto con gli psicologi che li seguono. «Ma soprat-tutto hanno dimostrato quanto sia forte la loro voglia di riprendersi la vita».

Opg & Carceri pagina 4 inchiostro n. XVI – 2011 Legalità & Illegalità pagina 5

Viaggio nelle strutture di reclusione campane, dai carceri agli Opg

Violetta Luongo

Quindici morti in tre anni. È il tragico bilancio degli ospedali psichiatrici giudiziari della Campania. Gli Opg, a metà anni ’70, hanno sostituito i manicomi crimi-nali. «È una contraddizione che i manicomi civili siano stati chiusi, ma che esistano gli ospedali psichiatrici giu-diziari le cui condizioni sono comunque manicomiali e carcerarie. Strutture vetuste, sovraffollate in cui soggetti che andrebbero curati, vivono in condizioni disumane». Così ne parla Tiziana Celani, direttore del dipartimento di Sa-lute Mentale dell’Asl di Caserta. «La vita lì dentro è un inferno». Un inferno come quello vissu-to da un internato transessuale dell’Opg aversano, di cui avreb-bero abusato, nel 2008, due agenti di polizia penitenziaria, arrestati di recente con l’accusa di violenza sessuale aggravata da abuso di potere. Gli episodi, risa-lenti al 2008, sono emersi dalle confidenze fatte dall’internato durante i colloqui con uno degli psichiatri in servizio nella struttura. È l’ultimo atto di un dramma che riguarda gli istituti e che sembra non finire mai. Come non finiscono mai i suicidi: il secondo, in quattro mesi, risale al 12 aprile, un rumeno di 58 anni si è tolto la vita nel bagno della cella.

In Italia ci sono sei Opg, l’unica regione ad averne due è la Campania: uno nel carcere di Secondigliano con cento internati e uno ad Aversa con trecento. Il 20 percen-to dei pazienti sono rinchiusi da molti anni.

I pazienti rinchiusi negli Opg di Italia sono 1.400, cifra record degli ultimi vent’anni. La Commissione d’in-chiesta sul Servizio Sanitario Nazionale del Senato della Repubblica, presieduta da Ignazio Marino, che monitora ciascuna struttura ha dichiarato che già da mesi o addi-rittura anni su 376 internati dichiarati dimissibili per ora

solo 65 sono stati effettivamente dimessi, mentre per al-tri 115 è stata prevista una proroga della pena. Di questi ultimi, solo 5 sono ancora internati perché ritenuti “so-cialmente pericolosi”, tutti gli altri non hanno varcato i cancelli dell’Opg perché non hanno ricevuto un progetto terapeutico, non hanno una comunità che li accolga o una Asl che li assista. «La vita lì dentro è orrenda – raccon-ta Celani –. Le celle rinchiudono dai tre agli otto pazien-ti, hanno letti a castello e un bagno, indescrivibile. Non possono guardare la televisione e hanno lunghi corridoi

dove si intrattengono insieme. C’è un’area verde con animali, non tutti la utilizzano. Solo poche persone partecipano alle attività di ceramica e quella manifatturie-ra».

I ricoverati, condannati per reati la cui pena è da scontare ne-gli istituti psichiatrici giudiziari, ottengono la libertà quando viene loro riconosciuta la cessazione della pena e della pericolosità. Raramente c’è da parte della fa-

miglia la volontà di accoglierli poiché il numero maggiore di reati è consumato nello stesso nucleo familiare.

La soluzione per l’accoglienza è affidata alle strut-ture territoriali. È qui che entrano in gioco i dipartimenti di salute mentale. «La Campania ha finanziato un pro-getto affinché ciascun dipartimento di salute mentale del territorio accolga i propri pazienti in maniera da svuotare gli Opg – spiega –. L’Asl Caserta attua un “progetto tera-peutico individualizzato” che dà ai dimessi una residenza in doppi appartamenti. A Salerno invece vengono accolti in comunità o abitazioni».

Gli Opg campani sono costretti a farsi carico dei pazienti del Lazio, dell’Abruzzo e del Molise con conse-guenti difficoltà di gestione dei dimessi. «La soluzione sarebbe – conclude – che ogni regione avesse la sua co-munità con non più di 40 ricoverati di cui farsi carico».

Romolo Napolitano

Gli arresti eccellenti degli ultimi anni portano la firma dei suoi uomi-ni, è uno dei dirigenti più giovani del-la Polizia di Stato e attualmente guida circa 400 agenti delle forze dell’ordine. Vittorio Pisani, capo della squadra mo-bile di Napoli è stato da poco premiato dall’associazione «Napoli punto e a capo» per «quanto fatto per la città e per l’esempio dato ai cittadini». Con lui par-liamo della criminalità nel capoluogo partenopeo.

Gli ultimi anni, oltre all’arresto di Antonio Iovine, hanno visto decapi-tati i più potenti clan campani, penso ai Lo Russo ai Sarno etc. Cosa è cambiato nella geografia criminale?

«L’arresto dei capi o di esponen-ti di rilievo crea difficoltà all’organiz-zazione criminale, la quale continua a esistere, ma entra in una fase di so-pravvivenza cercando di mantenere il controllo sul territorio ed evitando al tempo stesso di entrare in conflitto con altri clan per allargare la propria zona di influenza».

Cosa cambia in concreto? «La situazione è più tranquilla.

Basta vedere l’indice di mortalità per ag-guati di camorra. Si è passati da più di 100 morti all’anno nel periodo della fai-da di Scampia a meno di venti omicidi negli ultimi dodici mesi. Questo non si-gnifica che abbiamo vinto, ma è un sin-tomo il fatto che, mancando personaggi carismatici, gli affiliati evitino di attirare l’attenzione delle forze dell’ordine con

faide o invasioni di campo nei territori avversi».

È più pericolosa la malavita che spara o quella integrata nel circuito eco-nomico?

«La prima va a colpire la sicurez-za delle persone, con il tragico bilancio di vittime innocenti che a Napoli è tri-stemente noto. Per questo è un pericolo

percepito da tutti. La sicurezza economi-ca è invece sentita solo dagli addetti ai lavori. Penso al com-merciante che vive la

concorrenza sleale di un negozio gestito dalla camorra che applica prezzi strac-ciati. Per l’esercente onesto è un dan-no enorme, ma i clienti, spesso ignari, trovano vantaggioso economicamente il negozio della malavita e non ne perce-piscono il pericolo al sistema della lega-lità».

A Napoli le baby-gang stanno creando un forte allarme sociale, condivide la preoccupazione per il fenomeno?

«Dobbiamo dire che le baby-gang esistono in tutt’Italia e non sono una peculiarità di questa città. Con un indice di criminalità tanto alto, è chiaro che a Napoli il fenomeno è più diffuso che altrove. Il problema è che contrastarlo non è agevole: i minorenni non hanno l’obbli-go di avere la carta d’identità, è quindi più difficile individuare i soggetti che vi prendono parte, anche solo preventivamente».

Per vincere la lotta contro la criminalità, basta la repressio-

ne? «La lotta alla criminalità è una

ricetta complessiva. Oltre alla repressio-ne ci vorrebbe un momento educativo, economico e sociale. Credo che negli ul-timi anni agli ottimi risultati sul piano investigativo-giudiziario non sia stata affiancata un’azione amministrativa e statale energica di altro tipo. Penso per esempio al mancato recupero sociale di alcune zone. Queste carenze rischiano di inficiare in parte il lavoro svolto nel campo della repressione».

Come giudica la reazione della società civile partenopea in questa bat-taglia?

«La società civile percepisce il nostro lavoro e lo apprezza. Alcuni settori hanno risposto al richiamo alla legalità, si sono risvegliati. Purtroppo non tutto il tessuto sociale ha fatto lo stesso».

La rinascita di Napoli parte dal rispetto e dall’educazione civica

Lotta senza repressioneIl capo della Mobile: contro i criminali non basta il codice

Scampia, incubatrice di devianzaUn ragazzo che nasce in periferia non ha alcuna prospettiva

Ritornare alla vita

Foto anonima ispirata al film del ’63 “Il corridoio della paura”Cosimo Giordano

Colori compositi

C M Y CM MY CY CMY K

Il direttore Giordano:a Poggioreale manca l’aria

Il direttore dell’Opg di Aversa Adolfo Ferraro è autore del libro:

“Materiali Dispersi. Storie dal manicomio criminale”

Voci dal Regno dei mortiUn biglietto di sola entrata per gli istituti psichiatrici

Storia di un giorno di normale illegalità

Giulia Savignano

Napoli, emergenza inciviltà. Chi pensava che la ferita più lacerante della città fosse il proble-ma dei rifiuti deve ricredersi. La spazzatura è solo il simbolo di un fallimento, l’ultima eredità pesante della rassegnazione all’inciviltà che da secoli guida ogni gesto della vita quotidiana dei napoletani.

Tribunale di Napoli, c’è un agente della po-lizia municipale a smistare il traffico. Se ti avvicini per chiedere dove parcheggiare il motorino, il vigi-le ti risponde senza indugio: «Guarda, vedi quella discesa? È una strada contromano. Io ovviamente non posso dirti di imboccarla, ma tu vai pure. C’è un parcheggiatore abusivo, tu vai tranquilla e la-scialo pure a lui». Problema parcheggio: risolto.

Una volta entrati in tribunale, ci si imbatte in una nuvola grigia. Nonostante le pareti siano tappezzate da cartelli che proibiscono il fumo, il divieto viene sistematicamente ignorato da tutti. Eppure la trasgressione della legge avviene proprio nei corridoi dell’istituzione che l’osservanza della legge dovrebbero garantirla. Il palazzo di giustizia è solo uno dei tanti edifici in città dove il diritto alla salute e a non respirare il fumo passivo viene cal-pestato.

Recuperato il motorino dalle mani del par-cheggiatore “abusivamente” autorizzato, l’attra-versamento della città diventa impresa ardua. Bene che vada, si può incappare in qualche auto-mobile parcheggiata in seconda o terza fila che blocca la circolazione dei due sensi di marcia, co-stringendo i malcapitati autisti degli autobus a improbabili manovre. «L’ho lasciata per pochi mi-nuti – si giustifica il conducente di ritorno alla sua automobile – . Cosa posso fare se non c’era posto, io avevo una commissione importante». La scelta di viaggiare sulla corsia preferenziale non accelle-ra il percorso, perché quella corsia diventa davvero la preferita di tutti.

Indugiare pochi secondi al semaforo non appena diventa verde potrebbe costare un rumo-roso richiamo da parte dei solerti automobilisti. Il clacson, si sa, fa parte da tempo della colonna so-nora della città. Sarà perché hanno fretta di arriva-re puntuali al posto di lavoro.

Ma se negli uffici pubblici in 7 sportelli su 10 manca l’impiegato, dove sono finiti tutti que-gli automobilisti che avevano fretta? Forse sono fermi a qualche fermata dell’autobus ad aspetta-re invano che sul pannello elettronico degli orari i minuti previsti per l’arrivo diminuiscano invece di aumentare. Meglio fare una passeggiata a piedi e lasciar perdere mezzi di trasporto pubblici e priva-ti. Peccato che cumuli di spazzatura invadano ogni angolo della città, rendendo l’aria irrespirabile e complicando il passaggio. È sera, la dipendente di un negozio nella zona bene del-la città abbassa la saracinesca e abbandona i sac-chetti della spaz-zatura, ammassa-ti senza nessuna distinzione. «Non la faccio a casa la differenziata – si giustifica la ragazza – figuriamoci se la faccio qui. Poi è tutto inutile, se non la fa nessuno il mio con-tributo non servirà a niente». La giornata è finita, ma si torna a casa con una grande amarezza.

E per quanto tutto questo appaia degno di forti critiche, l’aspetto più paradossale è che que-sti piccoli episodi di inciviltà e omertà fanno or-mai parte della quotidianità della collettività. Una comunità alla quale il singolo ha abdicato ogni responsa-bilità.

Per capire le organizzazioni criminali oltre i cliché, il saggio di Francesco Barbagallo

“Storia della camorra”

Amato Lamberti

Il capo della Mobile di Napoli, Vittorio Pisani

“La malavita che sparacolpisce le personel’altra i commercianti”

“La criminalità minorile a Napoli non è maggiore di quella che c’è in altre città”

Page 4: Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da ... · pagina 3 Napoli, un ruolo strategico nella missione in Nord Africa Questo è il costo medio degli immobili nel perimetro

Emanuela Vernetti

Obiettivo 2012: estendere la raccolta differenziata “porta a porta” al 65% dei citta-dini campani. Non si tratta di una promes-sa, ma di un obbligo sancito dalla legge. L’Unione europea chiede agli Stati membri di impegnarsi affinchéi materiali riciclabili non finiscano indistintamente nelle discari-che e il riciclaggio dei rifiuti urbani (tra cui metalli, carta, vetro e plastica) cresca alme-no del 50% entro il 2020.

Obiettivi rispetto ai quali il Paese viaggia a diverse velocità: se al Nord e al Centro la quota di raccolta differenziata di rifiuti urbani è più vicina allo standard con il 42,4% e il 20,8%, il Sud arriva a malape-na all’11,6% su scala nazionale.

Il trend è particolarmente negativo per la Campania che nel 2010 vede la diffe-renziata diminuire del 2,14 rispetto all’anno precedente. Su un milione sono solo 180 mila i napoletani coinvolti nel “porta a por-ta”, pari al 18,25% di differenziata, quota che nel 2011 sarebbe dovuta arrivare al 50%.

E se la Campania si distingue in con-trotendenza per essere al primo posto tra le regioni del Sud Italia per raccolta di RAEE (Apparecchiature Elettriche ed Elettroni-che), continua a far parlare di sé per la spaz-zatura che invade ciclicamente le strade.

Il presidente della Regione Stefano Caldoro assicura che l’emergenza continua ha i giorni contati: trentasei mesi, per la pre-cisione e la costruzione di tre impianti di termovalorizzazione più un gassificatore a Caserta e un incremento della differenziata

al 50% per tutti i cittadini. Un investimento complessivo di 150 milioni di euro per la-sciare alle spalle una crisi ormai ventennale.

È quanto previsto dal piano rifiuti, il documento di circa 70 pagine presentato a marzo da Caldoro e dall’assessore all’Am-biente Giovanni Romano.

Anche l’Asia ha approvato un pia-

no per estendere il porta a porta a tutta la città, un progetto che porterebbe numerosi vantaggi alla città, a partire dal risparmio di mezzo milione di metri cubi da destinare a

discarica. L’investimento però è di 50 milio-ni tra automezzi, attrezzature, isole ecologi-che, formazione del personale e altre 61 per realizzare gli impianti di riciclo. I costi della raccolta ammonterebbero a 148 milioni e in tempi di magra per il Comune di Napoli, il progetto sembra una chimera.

La differenziata sembra essere l’uni-

ca soluzione credibile per Raffaele Del Giu-dice, direttore regionale di Legambiente: «L’investimento iniziale ormai è necessario. Tutte le città della provincia di Napoli devo-

no accelerare i tempi per allargare la raccol-ta differenziata. Non è positivo che a Napoli la raccolta proceda a macchia di leopardo, è giusto suddividere la città in zone ma ognu-na deve essere servita dalla differenziata».

Per Del Giudice si deve e si può fare: «Il problema maggiore è che in Campania non esistono gli impianti di compostag-gio – aggiunge –. Si potrebbe trasformare i sette impianti ex Cdr in impianti di com-postaggio, in più ce ne sono altri cinque che potrebbero essere messi in funzione da su-bito con pochissime spese. Infatti togliere l’umido dalla montagna di rifiuti urbani è importante perché si evita che i Comuni lo portino fuori Regione a 200 euro a tonnel-lata, facendo lievitare i costi della raccolta».

Gli inceneritori risulterebbero così una “follia”. «Va smontata la filosofia che sta a monte di quel Cdr indifferenziato ba-sato sul mito degli inceneritori di tutto che copriva gli affari peggiori».

Ora non è concesso alcun alibi. «Non si tratta più di capire se sia realistico esten-dere la raccolta a tutta la città, è doveroso, non c’è altra soluzione. La differenziata è come un impianto, va progettato e l’obietti-vo va perseguito obbligatoriamente».

Ci credono anche i cittadini campa-ni che il 9 aprile sono scesi in piazza per il “Monnezza day”: dai comitati contro la disca-rica, alle mamme vulcaniche, ai semplici cit-tadini che chiedono un piano alternativo dei rifiuti. “Progetto dei cittadini campani” mette insieme davvero tutti. Protestano per un so-gno ecologico che sembra ormai lontano.

Sanità pagina 6 inchiostro n. XVI – 2011 Ambiente & Rifiuti pagina 7

Niente soldi, arriva lo sponsorPaludetto: fondi privati per la Terapia Intensiva Neonatale

La cattiva gestione del sistema sanitario resta un nodo da sciogliere

Enrico Parolisi

«Noi napoletani siamo un grande popolo che non riesce a scrollarsi di dosso usi e costumi superati, in primis quello della sceneggiata». Così comincia il li-bro “Racconti d’ospedale” di Bruno Maggiulli, medico chirurgo, una vita trascorsa in pronto soccorso. Era il 1985, e le memorie di una vita raccontavano storie di frontiera tipiche degli ambulatori napoletani.

Nel suo volume, Maggiulli racconta episodi di realtà quotidiana: si va dal padre della sposa che si fa tirare il sangue perché soffre di pressione alta e non vuole limitarsi a tavola durante la cerimonia, alla ma-dre che passa dal dramma del figlio morente alla vo-glia di “struppiarlo” con le sue mani per il motorino andato distrutto.

Non siamo così lontani da “Cient’anne”, una sceneggiata con la esse maiuscola. L’atrio dell’ospeda-le Pellegrini di Montesanto fa da cornice al dramma cinematografico degno della miglior tradizione parte-nopea. Le procedure d’emergenza dei medici vengono fermate con la sola imposizione della mano dal mo-rente Mario Merola, che passa musicalmente il testi-mone a Gigi D’Alessio.

Sono trascorsi dodici anni dal film, e ventisei anni dal libro di Maggiulli. Cosa è cambiato da allora nell’atteggiamento dei napoletani in pronto soccorso?

«Niente. Ai giovani colleghi che vengono a la-vorare al pronto soccorso dico sempre di non preoccu-parsi delle malattie che dovranno affrontare – quelle le sapranno curare – ma di preoccuparsi della farsa da teatro scarpettiano a cui vanno incontro ogni giorno. I personaggi sono ’iss, ’ess e ’o malamente. Loro sono ’e malamente».

Pensieri e parole di un medico responsabile di un noto pronto soccorso nel cuore di Napoli. Sfoglian-do il libro di Maggiulli, leggendo di famiglie allargate sfilare in ghingheri nelle sale mediche d’emergenza, si evince che le scene descritte sono di incredibile at-tualità. «Qualche giorno fa arriva un paziente in coma diabetico, con al seguito un piccolo esercito di parenti. Ognuno di questi voleva eseguire la sua personalissi-ma manovra terapeutica. Siamo stati costretti a dover dire “Facciamo noi o voi?” a tutti i presenti». Cose del genere capitano quotidianamente nel ventre di Na-

poli, in quartieri ad alta vocazione “sceneggiatistica”. «Non ha idea di quante donne vengano qui la sera con atroci mal di testa, accompagnate dai mariti che non hanno afferrato la “provenienza” di tali malanni… »

Poi, c’è il mal costume. «Molte volte le persone ricorrono al pronto soccorso solo per i certificati medi-ci. Alcuni invece ne approfittano per un controllo ge-nerale, ci prendono per il medico di base». E allora vai con i controlli.

Lacrime napulitane? «No – conclude il medi-co – sono stato negli ospedali di Milano e New York e, per problematiche affrontate, mi sono sentito a casa. Alcune storie sono identiche, ma vengono affrontate dalla gente con maggior garbo e, soprattutto, con una minore teatralità».

Liposuzione alla SanitàIl Governo taglia i fondi e si scontra con la giunta regionale

Cristiano M. G. Faranna

La sanità campana in preda a sprechi e deficit passa dal chirurgo plastico e si fa il lifting, o sarebbe meglio dire una liposuzione visti i tagli e gli accorpamenti nei vari ospe-dali, soprattutto a Napoli, nell’occhio del ciclone a causa delle perdite dell’Asl Napoli 1, l’ente che raggruppava quasi tutti i centri ospedalieri della città.

La riduzione del gettito fiscale voluto dal Governo ha creato non pochi scontri con la giunta regionale, seb-bene entrambi appartengano allo stesso schieramento po-litico. Il Fondo Sanitario nazionale, alla luce della riforma federale, prevederebbe infatti un ulteriore penalizzazione della nostra regione. Lo scorso 4 aprile a palazzo Santa Lu-cia si è dibattuto sui destini del riassetto, decidendo che ogni accorpamento futuro sarà concertato con le parti sin-dacali a partire da due punti essenziali: priorità ai servizi di assistenza essenziali e al mantenimento degli odierni assetti occupazionali.

Attualmente la mastodontica azienda Napoli 1 è sta-ta scorporata in diverse entità, ciascuna secondo i settori di interesse. Nella Zona Ospedaliera è nato il polo Monaldi-Cotugno-Cto, che riunisce in un’u-nica organizzazione quegli istituti specializzati nelle emergenze cardio-polmonari, infettive e ortopedi-che. Il riassetto ha danneggiato soprattutto il Cen-tro Traumatologico dei Colli Aminei, che ha subito il taglio di circa 150 posti letto con la chiusura del reparto di Oculistica, trasferito all’ospedale San Pa-olo di Fuorigrotta, e soprattutto del pronto soccorso, provocando un’ennesima ondata di pazienti al Car-darelli. Il maggior istituto ospedaliero del Meridione si trova infatti a essere l’unico centro di emergenza a cavallo tra l’area Nord e il centro urbano. Chiuso il reparto di Pediatria e trasferito al Vomero nel San-tobono, che insieme al Pausilipon diventerà l’unico pronto soccorso per i bambini. Non mancano i di-

sagi con gli ammalati costretti a passare la degenza sulle barelle per mancanza di posti.

Non va meglio nel centro storico, dove è stato chiu-so il pronto soccorso medico-chirurgico degli Incurabili, resta invece attivo il presidio ostetrico-ginecologico. Il cen-tro costituisce, insieme all’Ascalesi, il Loreto Mare, e il San Gennaro, la nuova azienda ospedaliera di rilievo nazionale “Ospedale del Mare”, un presidio che sta sorgendo già tra mille polemiche. Previsto per aprile 2008, la nuova struttu-ra sarebbe dovuta costare circa 210 milioni di euro, mentre secondo alcuni consiglieri regionali il budget sfiorerà 400 milioni. Il centro è inoltre situato a Napoli Est, nel quartiere Ponticelli, a solo 100 metri dalla “zona rossa” che sarebbe immediatamente colpita da un’eruzione del Vesuvio.

Riconversione anche per gli altri presidi ospedalieri. Il Don Bosco nella periferia nordest, il Nuovo Pellegrini al centro e il San Paolo nella zona Ovest passeranno al se-condo livello di emergenza, ciascuno con specializzazioni in vari settori. In stand by il futuro dello storico istituto dell’Annunziata di Forcella che dovrebbe essere aggregato

al Santobono-Pausilli-pon.

S i t u a z i o n e stabile per i due policli-nici universitari, sebbe-ne in preda a diversi pro-blemi. A godere di buona salute semba essere solo l’Istituto dei Tumori Pa-scale, fiore all’occhiello della sanità cittadina, e unico nel 2010 ad aver pagato regolarmente il personale.

Francesca Romaldo

Tornei di burraco, feste di primavera, prime in teatro. L’associazione Soccorso Rosa-Azzurro ha sempre tante idee per un grande progetto. Attiva fin dall’estate del 2004, fu fondata dal dottor Roberto Paludetto per sostenere il reparto di Terapia Intensi-va Neonatale del Policlinico Federico II di Napoli.

Il TIN oggi è direttamente legato al reparto di ostetricia. Era nato come costola dell’edificio pe-diatrico nel 1975. Una situazione poco confortevole per i piccoli pazienti nati con problemi, che avevano bisogno di cure immediate e dovevano sopportare un difficile trasporto in ambulanza. «L’azienda sani-taria locale aveva fatto molto per la costruzione del reparto ma non per le attrezzature – racconta Palu-detto, presidente della Onlus e direttore del TIN –. Avevamo bisogno di monitor, incubatrici, strumen-ti tecnici». Così, un anno prima dell’inaugurazione del nuovo centro, nacque quasi per caso un contatto con la Vodafone Italia. «La madre di un mio paziente lavorava per la fondazione che, sorta da poco, cer-cava persone e progetti su cui investire», continua il primario. Il TIN era la struttura adatta su cui far convergere i fondi. La Vodafone offrì un investimen-to di 370mila euro per l’acquisto delle attrezzature necessarie, ma a una condizione. «Non volevano che la donazione fosse fatta a un’istituzione pubblica. Ci chiesero di fondare una Onlus e così, a luglio del 2004, istituimmo Soccorso Rosa-Azzurro». Oggi il

reparto offre 27 posti di de-genza e 2 di day hospital ed è strettamente collegato al Pronto Soccorso Ostetrico dell’azienda ospedaliera Federico II, il più importan-te della Campania.

La fondazione Vodafo-

ne Italia è stata la prima di una serie di aziende e privati che hanno deciso di finanziare il reparto di Terapia Intensiva. Associazione Cannavaro, Calcia-tori Italia, Federazione Autotrasportatori, Carpisa e Fondazione San Carlo sono solo alcuni dei nomi che con il loro aiuto e il loro impegno hanno permesso l’acquisto di ambulanze d’avanguardia (grazie alle quali la TIN del Federico II coordina il servizio di trasporto neonatale di emergenza per le province di Napoli e Salerno), monitor e incubatrici. «Siamo sempre in cerca di nuovi sponsor. La donazione pri-vata è fondamentale per andare avanti».

Il team del dottor Paludetto sarà presente con uno stand alla Fiera del Bambino il 22 e 23 maggio

al Palapartenope di Napoli. Un’occasio-ne perfetta per far conoscere i servizi del reparto di Tera-pia Intensiva Neo-natale e raccogliere fondi. I medici offri-ranno visite gratuite e assistenza ai ne-onati. I neogenitori potranno affidarsi ai consigli di pediatri e psicologi per gestire

nella maniera migliore il primo anno di vita del bam-bino. Sonno, alimentazione e pianto sono solo alcuni dei problemi comportamentali che verranno affron-tati. Anche quest’anno, come due anni fa, i medici del TIN ospiteranno nel loro stand gli attori della soap di Rai Tre “Un posto al sole”, disponibili per autografi e fotografie. «È uno dei tanti modi per promuovere la Onlus – conclude il primario –, stringere contatti con le persone a cui potrebbero servire i nostri servizi e raccogliere fondi per la nostra causa».

Dai rifiuti all’inquinamento: il sogno ecologico è ancora lontano

Jessica Mariana Masucci

Non è paragonabile a un terrorista o a un dittatore, ma anche Napoli prova a dare battaglia al particolato, il mix di so-stanze che inquinano l’aria. Le vedette sono nove centraline, venti se contiamo anche quelle dell’hinterland.

Scende in campo l’associazione Cit-tadinanzattiva Campania: non si vince la guerra così, le centraline dell’Arpac (Agen-zia regionale per la protezione ambientale in Campania) sono fuorilegge. Il presidente Carlo Caramelli ha chiesto alle autorità lo-cali di fare chiarezza: «Vanno rimosse, sono obsolete e non rispettano le norme europee. E non sono nemmeno posizionate a 25 metri dagli incroci stradali». Chi vive sotto la cap-pa ha il 37 percento di probabilità in più di ammalarsi alle vie respiratorie, sottolinea. «Chiediamo di rispettare l’obbligo di traspa-renza nei confronti dei cittadini – continua Caramelli – e comunicare loro i livelli medi giornalieri delle sostanze nocive. Si deve prevenire e rilevare anche le polveri sottilis-sime».

Chiamato in causa, Antonio Episco-pio, direttore generale dell’Arpac, rispon-de: «Le nostre centraline sono adeguate ai tempi. L’azienda che ne ha appaltato la manutenzione provvederà all’adattamento alle norme. Per il posizionamento, invece, l’ultima parola spetta alle amministrazio-ni comunali: sono loro che ci autorizzano a istallarle». E garantisce i rinforzi: «Sono in arrivo altre 40 centraline per tutta la regio-ne e un sistema informativo che permetterà al cittadino di trovare in internet tutti i dati ambientali che gli interessano».

Intanto i napoletani si sono armati di pazienza per seguire le limitazioni al traffi-co decise dal Comune. «Anche se c’è tanta fantasia e propensione a non rispettare le regole, sta funzionando e la gente ha inizia-to a ragionarci sopra», rassicura il coman-dante della polizia municipale Luigi Semen-ta. I suoi agenti si sentono nella trincea della lotta all’aria tossica: «Provate a stare sei ore al giorno fermi a un incrocio, magari vicino al porto. Parecchi vigili si ammalano. Non ci viene ufficialmente riconosciuto, ma noi siamo una categoria a rischio».

Sergio Napolitano

La produzione di rifiuti rappresenta un grande problema per tutto il pianeta. È la spia di procedimenti industriali e commerciali che impiegano una quantità eccessiva di risorse rispetto al prodotto finale. Il Centro di riuso creativo “ReMida” di Napoli, nel quartiere di Ponticelli alla periferia est della città partenopea, pro-muove lo sviluppo sostenibile per la vita e l’ambiente partendo dalle materie di scarto.

“ReMida” nasce a Napoli nel 1999 dal modello del Centro di riciclag-gio creativo di Reggio Emilia ed è tuttora attivo grazie alle motivazioni etico-culturali dei membri fondatori. L’idea essenziale del progetto è organizzare e rendere riutilizzabili gli scarti della commercializzazione e della produzione industriale.

Il Centro invita a indagare e sperimentare la materia di scarto per darle nuova vita, nuovo valore, nuove letture. Propone e promuove spesso l’idea di “world in progress”, un mondo in continua evoluzione centrato sul dialogo tra la cultura della sostenibilità e della creatività.

Le abitudini della popolazione europea, e in più generale della popola-zione appartenente al nord del mondo, ha subìto un grande cambiamento in seguito allo sviluppo industriale. Questo tipo di sviluppo, sotto la spinta della conquista del mercato, ha portato al limite lo sfruttamento delle risorse na-turali, il cui consumo è stato fino a qualche anno fa considerato a costo nullo. Nel corso degli ultimi decenni, sulla base della constatazione delle condizioni di acuto degrado dell’ambiente naturale, sia a livello locale, sia a livello plane-tario, si è manifestata da parte dei cittadini, una forte domanda di protezione e salvaguardia dell’ambiente.

In un sentimento di protezionismo dell’ambiente che ci circonda, l’A-telier “ReMida” offre alle scuole di Napoli e provincia i propri laboratori: de-coupage, cartonage, carta riciclata, carta marmorizzata, cartapesta, pittura, assemblaggi matrici, mosaico, intrecci e tessiture, elaborazioni fotografiche, installazioni tridimensionali.

Per il presidente dell’associazione Paola Manfredi, «il senso del centro è il riuso dei ma-teriali di scarto. Questi possono apportare alla società grandi potenzialità didattiche toccando numerosi ambiti e tematiche».

Monnezza, la ricetta del porta a portaA partire dal 2012 la differenziata dovrebbe coinvolgere il 65 % dei napoletani

Sotto la cappa si muore

1. Direttiva europea 2008/50/CE del 21 maggio 2008: stabilisce gli obiettivi di qualità dell’aria per la tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini; definisce metodi e criteri comuni di valutazione; garantisce la pubblicità delle informazioni in merito; promuove la cooperazione tra Stati membri nella lotta contro l’inquina-mento atmosferico.

2. La direttiva è attuata in Italia grazie al decreto legislativo n°155 del 2010.

3. A livello locale, la lotta contro il particolato passa per le limitazioni al traffi-co stabilite dal Comune di Napoli con la delibera n°2285 del 30 dicembre 2010.

Roberto Paludetto

La locandina del film “Cient’anne”

Tra sceneggiata e sit-comBenvenuti al ‘Pronto Soccorso’

Vecchio ma divertente il libro del dottore di Pronto Soccorso Bruno Maggiulli:

“Racconti d’Ospedale”edizioni Vocazioniste

Di Peter Singer,filosofo ecologista, edito dal Saggiatore:

“Liberazione animale”

Laboratorio Re Midae lo scarto diventa arte

Le leggi sulla qualità dell’aria

Page 5: Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da ... · pagina 3 Napoli, un ruolo strategico nella missione in Nord Africa Questo è il costo medio degli immobili nel perimetro

Lavoro & Precariato pagina 8 inchiostro n.XVI – 2011 Corruzione & Nepotismo pagina 9

Lavoro: i giovani e le donne sono i più svantaggiati in Campania Clientelismo e nepotismo regnano in città ma la capitale dei reati è al Nord

Livio Pane

Che i diamanti siano i migliori amici delle donne è noto. Lo sa bene Carla della Cor-te, gioielliera napoletana, che grazie alla sua inventiva è riuscita a trasformare un’azienda di famiglia in un brand. «Inseguire un sogno e promuoverlo con ambizione e testardaggine è l’unica formula possibile per poter emergere a

Napoli. Analisi di mercato, studi fatti sulla clientela e marketing sono oggi alla base di questo mestiere, ma se non hai carattere, aspirazione e costanza non riesci a farcela». È il 1947 quando Antonio del-la Corte decide di rilevare un’antica bottega orafa a Santa Lucia, nel cuore

antico di Napoli. In poco tempo conquista i consensi e l’appoggio dell’a-ristocrazia e dell’imprenditoria napoletana, da cui trae ispirazione, diventando in poco tempo una della “griffe” più famose in città. Nel 1974 Ileana, moglie di Antonio, entra come collabo-ratrice nell’azienda di famiglia e dà subito una nuova spinta al marchio, esibendo le proprie creazioni nelle vetrine dei lussuosi alberghi del lungomare. L’idea si rivela subito un successo. In poco tempo vip e celebrità diventano clienti affezionati e questo fornisce visibilità al mar-chio. Nel 1980 anche la figlia Carla inizia a lavo-rare con i genitori.

L’apertura nel 1995 del negozio a Via Calabritto è il punto di svolta. Le creazioni di quegli anni diventano il prezioso omaggio che la città dona alle personalità ospiti nelle mani-festazioni ufficiali.

L’arrivo della crisi nel 2000 genera una frenata all’economia regionale e nazionale, travolgendo anche il mercato dell’oreficeria. «È un periodo difficile per tutti, lo sappiamo, ma in Campania è peggio che altrove. L’immobili-smo della politica napoletana ha fatto crollare l’economia di questa città. Gli amministratori che hanno governato a Napoli negli ultimi anni hanno pensato solo ai propri interessi, dimen-ticandosi dei cittadini e delle loro necessità». Nonostante il momento non sia dei più favo-revoli, Carla della Corte non perde la grinta: «Speriamo che presto cambino le cose. Ce la stiamo mettendo tutta per andare avanti. Ab-biamo aperto tre nuovi punti vendita, in loca-tion esclusive, come Sorrento, Roma e Capri e stiamo valutando l’idea di aprirne un altro ne-gozio a Milano».

Egidio Lofrano

Parlare di disoccu-pazione in Italia vuol dire toccare uno dei principali problemi che affliggono il Belpaese. Da un lato il tasso complessivo è già da qualche anno inferiore alla media dell’UE; secondo gli ultimi dati Istat nel 2010 il dato medio italiano è dell’8,4%, con una crescita dello 0,6 rispetto all’anno precedente. Dall’altro permangono forti squilibri tra il Nord indu-strializzato e il Sud in peren-ne ritardo nella crescita.

In alcune regioni del Mezzogiorno la disoccupazione è qua-si doppia rispetto alla media nazionale. Dai dati provinciali dell’Istat emerge che in Campania i cittadini senza un lavoro sono il 14% della popolazione. Un’in-dicazione pesante se confrontata con il 9,3% del Lazio e il 5,6% della Lombardia. E si posizionano agli ultimi posti la Sar-degna e la Sicilia, quest’ultima al 14,7%, che vale il peggior risultato in Italia. I disoccupati crescono in misura diffe-rente. A fare le spese di situazioni par-ticolarmente difficili, come quella della provincia partenopea, sono le fasce più deboli, ovvero le donne e i giovani. Per

quanto riguarda le lavoratrici dall’inizio dell’anno un dato positivo c’è stato: le im-prenditrici nel Meridione sono oltre 500 mila e superano in numero le colleghe del Centro e del Nord. Il rapporto curato dal Censis e da Confcommercio sull’im-prenditoria rosa indica che il tasso più alto di femminilizzazione nelle imprese si riscontra proprio nel Sud del Paese, con la Campania che riceve un doppio riconoscimento: da un lato il 26% delle aziende di Napoli sono guidate da don-ne, primato se confrontato con le altre

10 città metropolitane italiane; dall’altro le prime due province con tasso di im-prenditoria femminile sono entrambe campane, rispettivamente Avellino, con il 33,3%, e Benevento, 32,5%.

L’indicazione deve essere valutata nell’ottica della disoccupazione femmini-le complessiva, visto che proprio in Cam-pania si registra il tasso più alto di donne senza lavoro, 17,3% a fronte di una media nazionale del 9,7%. Proprio Napoli regi-stra una delle medie più alte: 1 donna su 5 non ha un impiego, rispetto al 10,2% della Capitale e al 6,4% di Milano. Anche per i giovani non è facile vivere in Cam-pania. Dal rapporto sulla disoccupazione giovanile diffuso da Datagiovani emerge che il tasso di disoccupazione è cresciuto nel primo semestre del 2010 del 6,2%, penultimo posto davanti alla Basilicata. Inoltre calano dell’1,7% le retribuzioni medie e aumentano del 2,2% gli occupati precari sul totale dei lavoratori. Se poi si parla di giovani donne i dati sono ancora peggiori. Più di una ragazza su due, tra i 18 e i 19 anni, non ha un lavoro mentre 1 su 3, nella fascia d’età 18-29, è al momen-to inattiva, ovvero non è neanche alla ri-cerca di un posto.

Francesca Saccenti

Napoli non è la città dove si commetto-no più reati, almeno non la prima. La meda-glia d’oro va a Milano, che secondo i dati sul quadro territoriale che emerge da una ricerca del “Sole24ore”, su rilevazione dell’Anfp (l’as-sociazione nazionale funzionari di polizia, su dati del ministero dell’Interno), ha trentacin-que delitti denunciati ogni mille abitanti. Ma niente paura, il capoluogo partenopeo non riesce a resistere alla tentazione e la supera sul piano dei delitti che incidono sull’econo-mia, insieme a Bologna, Trieste, La Spezia e Genova. Durante i primi sei mesi del 2010, sono stati registrati in tutta Italia 1.292 mila reati. Dalle truffe alle frodi informatiche, che secondo i dati dell’Istat del 2009 su Napoli, raggiungono la quota 15.210, passando per la ricettazione 3.887 e l’estorsione 1.098.

Le cause della concentrazione di que-sti reati sul territorio partenopeo e non solo, sono legate anche al raggio d’azione della criminalità organizzata, che colpisce le re-altà dove c’è una maggiore concentrazione di popolazione, infrastrutture e attività. Le province peggiori per il reato di estorsione ci riguardano in prima persona. Il capoluo-go partenopeo si trova sullo stesso piano di Biella, secondo l’Anfp. Le due città si trovano, infatti, entrambe a 1.1, seguite da Foggia 1.10, Enna 1,06 e Caserta 1,01. Stesso discorso sui

dati della ricettazione che consegnano, anco-ra una volta la medaglia a Napoli, che si tro-va al 5.46 seguita da La Spezia al 4.91. Mentre Caserta si classifica al terzo posto con il 4.08, acquistando questa volta un punto, rispetto alla precedente posizione riguardo ai reati di estorsione che la vedeva quarta.

Dai dati emerge infatti, che le impre-se napoletane sono le più colpite (36.28 reati ogni mille imprese), mentre sui furti in eserci-zi commerciali il capoluogo p a r t e n o p e o cede il posto alla città di Bo-logna 15.63, se-guita da Trie-ste 14.09 e Lodi 13.01. Per quan-to riguarda i dati Istat del 2009, sull’u-sura Napoli è molto vicina alla Puglia in totale 52, mentre in Piemonte si dimezzano i reati di questo genere, raggiun-gendo la quota ventidue. Sui dati relativi al danneggiamento seguito da incendi dominano le imprese di Caltanis-setta e Vibo Valentia, che si trovano al 6.38 e al 5.28.

Gennaro Di Biase

Precariato unica certezza. Una regola che vale specialmente per i giovani: dagli impiegati dei call center ai neo laureati, dai ricercatori universitari ai dipendenti statali di scuola e Inps: il domani in Cam-pania è un punto interrogativo per un’intera gene-razione. Non si trova lavoro, e se si trova, è al nero, o sottopagato, al massimo a progetto.

Ciò che la legge Biagi chiamava flessibilità, a contatto con la realtà, si è tradotto in impossibilità di organizzare il futuro. “Giovane” e “precario” tendono a diventare oggi sinonimi. Le adesioni alla manifesta-

zione dei giovani campani il 9 aprile sono state 10mila, e al corteo che ha sfilato da piaz-za Mancini a piazza del Gesù erano in 4.000 a protestare. «Si lavora di 24 in 24 ore – af-ferma Rosalba Cenerelli, se-

gretaria della Camera del lavoro –. Chi per 5 ore al gior-no, chi per 10 ore guadagnando 300 euro al mese. La speranza di seguire il modello del Nord Europa, dove i giovani cambiano lavoro ogni tre mesi, da noi è fallita. Il motivo? Forse perché i datori di lavoro spremono i dipendenti per i loro interessi. Così la loro indifferenza riguardo al precariato giovanile taglia in anticipo l’esistenza delle famiglie future. Ecco perché oggi, contrariamente a dieci anni fa, si è etichettati come giovani anche fino a 35 anni».

A causa dei tagli tremon-tiani, sono 200 i congelamenti dei somministrati Inps campani (oggi 1240 in tutto il Paese, 550 erano stati licenziati a dicembre 2010), nel cuore della burocrazia statale. Di conseguenza subiranno (ulteriori) rallen-tamenti le pratiche di pensionamento, di invalidità e cassa integrazione seguite dal personale tornato a casa. La proroga del contratto è scaduta il 15 aprile, e

sono già pronte raccolte firme e proteste, così da evi-tare il «tilt per mancanza di personale nella sede pro-vinciale di via Galileo Ferraris», come annuncia Angelo Savio della Cgil. Sopprimere per intero questa catego-ria degli impiegati Inps costerebbe allo stato 7,5 milio-ni di euro in sussidi di disoccupazione.

Nella galassia dei trasporti mancano le enormi sacche di precaria-to aperte negli altri settori. I maggiori disagi, a cui seguono i continui scio-peri, sono dovuti al taglio del 30% dei fondi (89 milioni in meno) da destinare ai trasporti. Dichiarati 2500 esuberi di

personale solo in Campania. Precari classici restano invece lavoratori aeroportuali, autostradali e maritti-mi, i cui contratti sono prevalentemente stagionali (il 10% di loro non ha contratti stabili).

Essere precari è l’unica base sui cui costruire il futuro. Ma essere indifferenti riguardo al precariato ostacola ogni futuro possibile.

Sud, lavorare è un lussoAlla provincia di Napoli va la maglia nera dei disoccupati

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Campania

Mezzogiorno

Nord

Centro

Italia

Se la flessibilità si scontra con la realtàGiovani precari: giorno dopo giorno, nell’incertezza, aspettando un contratto vero

Francesca Marra

Dal ‘familismo amorale’ alla ‘parentopoli’, passando per la segnalazio-ne e la ‘spintarella’, tutti nomi per definire il sistema della ‘raccomandazione all’italiana’. «La nostra classe dirigente ripete continuamente che per lavorare ci vuole il merito, è necessario che ci sia un sistema concorrenziale dove far emergere le proprie capacità, ma alla fine i rappresentanti della politica, della cultura, dello spettacolo, sono i primi a sistemare figli, mogli e anche amanti al grido di Tengo Famiglia». Le parole sono quelle di Carlo Puca, giornalista napoletano, di Sant’Antimo, classe 1970, oggi è una delle firme più prestigio-se di ‘Panorama’. «Negli ultimi 5 anni l’Italia ha perso un milione di ragazzi. Siamo un Paese che non riconoscere il merito, per questo i ‘figli di nessuno’ decidono di espatriare. Tutto ciò che è Pubblico non lascia spazio per quelli che non hanno né padrini né padroni».

Il suo libro ‘Tengo Famiglia’ è stato un successo. Già alla sua seconda ristampa, dopo poco più di un mese dall’uscita, il testo non vuole essere un trattato di sociologia: «Io sono un giornalista, racconto i fatti, faccio nomi e co-gnomi. A oggi ancora nessuno mi ha sporto querela perché parlo di cose vere, ma che molto spesso superano la fantasia» precisa l’autore.

Di nomi ma soprattutto di cognomi Puca ne fa tanti: da Bossi a Di Pie-tro, che hanno ‘sistemato’ i figli in consigli Regionali, a Simona Ventura e An-tonella Clerici che invece hanno inserito mariti ed ex mariti nel proprio entou-rage. Fino ad arrivare alle dinastie per discendenza in casa Rai: «il mondo del giornalismo è uno di quelli più contaminati dal germe della raccomandazione facile».

Dal ‘familismo amorale’ fino allo spoil sistem. Cosa è cambiato? «È cambiata l’interpretazione culturale del fenomeno. Nella Prima Re-

pubblica c’era la cooptazione. C’era da assegnare un posto di lavoro di livello medio-alto? La classe dirigente, attraverso il suo leader, sceglieva tra i propri contatti. Ma il raccomandato doveva essere il migliore, per non rischiare di fare brutta figura. Da qualche anno a questa parte si è arrivati al sistema ‘ando cojo cojo’».

Da Milano a Roma è esplosa Parentopoli. A Napoli cosa dobbiamo aspettarci?

«A Napoli è il mondo universitario a essere quello più ‘familista’. Anche se la classe politica sta facendo di tutto per acquisire il primato. È cronaca di questi giorni che Mara Carfagna abbia proposto di allargare la modalità eletto-rale regionale detta di ‘genere’, ma che io definisco ‘degenere’, a tutti i consigli comunali campani. Alle regionali del 2010 in Campania è il 42% dei consiglieri è donna, ma andiamo a spulciare i nomi delle elette: sono tutte figlie, mogli, nipoti di politici importanti, locali e nazionali. Così non funziona».

Non è detto che però il figlio di un genio non possa essere un genio? «È possibile. Una volta incontrai Luca De Filippo, figlio di Eduardo, che

mi disse: ‘sono gli altri che mi devono dire perché fanno gli attori. Io lo faccio perché sono cresciuto in una famiglia di teatranti’. Io gradirei la stessa onestà intellettuale anche dai politici, dagli intellettuali, dai giornalisti e da tutti coloro che ne approfittano della situazione: smettete di prenderci in giro, che tanto prima o poi vi becchiamo».

Figli di qualcuno ... E quelli di nessuno

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Campania

Salerno

Napoli

Caserta

Benevento

Avellino

Donne

Uomini

Totale

Tasso di disoccupazione medio nel 2010 in Campania(Fonte Istat)

Andamento del tasso di disoccupazione dal 2004 al 2010(Fonte Istat)

Carla della Corte

La ruota dell’Annunziata che accoglieva i neonati abbandonati dando il via alla “dinastia degli Espo-sito”. Nel 1322 ai piedi del convento viene trovata una bambina, addosso solo un pezzo di stoffa con su scritto: “buttata per povertà”. Da quel momen-to l’Annunziata diviene il centro di tutti coloro che, per miseria o scandalo, sono costretti a lasciare i propri bambini alle cure delle religiose. Centinaia di migliaia di pronipoti sparsi in tutto il mondo.

C.F

Milano prima per reati

Di Michela Murgia“Il mondo deve sapere. Romanzo tragicomico di una telefonista pre-caria” da cui è tratto

“Tutta la vita davanti”

Quando l’eccezionediventa eccellenza

Già alla seconda ristampa il libro del giornalistanapoletano Carlo Puca:

Tengo Famiglia, l’Italia dei Parenti

pubblicato da Aliberti Edizioni

Addio alla speranzadi seguire un modello in cui i giovani cambiano lavoro ogni 3 mesi

Page 6: Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da ... · pagina 3 Napoli, un ruolo strategico nella missione in Nord Africa Questo è il costo medio degli immobili nel perimetro

Mobilità pagina 10 inchiostro n. XVI – 2011 Beni culturali pagina 11

Inchiostroanno XI numero 16aprile 2011chiuso in redazione mercoledì 13 aprile 2011

www.unisob.na.it/inchiostro

Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa

Direttore editorialeFrancesco M. De Sanctis

CondirettoreLucio d’Alessandro

Direttore responsabilePierluigi Camilli

Coordinamento scientifico-didatticoArturo Lando

Coordinamento redazionaleAlfredo d’AgneseCarla MannelliAlessandra OrigoGuido Pocobelli Ragosta

CaporedattorePaola Cacace

Capi servizioLorenzo Marinelli, Ernesto Mugione, Romolo Napolitano, Annalisa Perla

In redazioneMarco Borrillo, Alberto Canonico, Anna Elena Caputano, Marco Cavero, Ludovica Criscitiello, Raffaele de Chiara, Emanuele De Lucia, Angelo De Nicola, Gennario Di

Biase, Alessandro Di Liegro, Anna Lucia Esposito, Cristiano Marco Giulio Faran-na, Antonio Frascadore, Egidio Lofrano, Violetta Luongo, Francesca Marra, Jessica Mariana Masucci, Pasquale Napolitano, Sergio Napolitano, Francesca Romaldo, Francesca Saccenti, Giulia Savignano, Emanuela Vernetti

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In copertina: Schizzo d’inchiostro

di Anna Lucia Esposito

Muoversi in città senza auto tra risparmio e ironia: se non ora quando Un patrimonio che cade a pezzi mentre l’istituzione sta a guardare

Così perdiamo altri cinque capolavori Marco Borrillo

Camminano per strada rigorosa-mente in fila indiana. Li noti da lontano con la loro pettorina gialla e un cappellino rosso. Attraversano agli incroci quasi mar-ciando, accompagnati da autisti a piedi con la pettorina arancione, una paletta per la viabilità pedonale e un fischietto.

Non è un sogno, è un miraggio: stia-mo parlando del Piedibus, la strana caro-vana che cammina in strada, interamente composta da bambini.

Si tratta di un servizio nazionale dedicato ai giovani studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado. L’o-biettivo è avvicinare il mondo dei piccoli alle vecchie abitudini. Quale miglior modo per farlo se non accompagnandoli a scuola a piedi? Una prima fase pilota del progetto aveva già coinvolto i bambini di Napoli tra l’ottobre e il dicembre del 2010.

Come funziona il Piedibus? Si trat-ta di un autobus che va a piedi. È formato da una carovana di bambini che si recano a scuola in gruppo, accompagnati da due adulti: uno fa da autista e un altro da con-trollore e chiude le fila. Come ogni autobus che si rispetti parte da un capolinea e, se-guendo un percorso prestabilito, raccoglie passeggeri alle fermate disposte lungo la strada. Durante il cammino i bambini si divertono e chiacchierano tra loro, impa-rando al tempo stesso nozioni utili alla si-curezza stradale. Ogni Piedibus è diverso da un altro e poco contano le condizioni cli-matiche: in caso di pioggia ci si può sempre riparare con l’ombrello, ovviamente firma-to “piedibus”.

Ogni scuola può scegliere di adotta-re questo servizio, naturalmente chiedendo

prima il consenso ai genitori dei bimbi per selezionare i passeggeri del Piedibus.

A Napoli il servizio è in piena atti-vità e coinvolge già molti istituti. Tra poco tempo verrà sospeso e riavviato a settem-bre, in coincidenza con la riapertura delle scuole. Il successo dell’iniziativa è tale che altre 15 scuole partenopee stanno già pen-sando di partecipare, dal centro della cit-tà alla provincia. Il progetto Piedibus a Napoli è vivo e forte anche grazie al so-stegno di Anea, l’A-genzia Napoletana Energia e Ambiente, in collaborazione con gli assessorati all’Ambiente, alla Pubblica Istruzione e alla Mobilità Ur-bana del Comune di Napoli.

Da circa un mese è partito an-che il corso di formazione per gli aspiranti accompagnatori del Piedibus, con un albo ufficiale interamente dedicato a loro.

«Gestire il Piedibus è molto sempli-ce – spiega Michele Macaluso, direttore di Anea – bastano un autista che accompagna i bambini lungo il percorso e un controllo-re che chiude le fila e compila un giornale di bordo, con le presenze quotidiane dei giovani studenti. Grazie a esso i bambini potranno incrementare l’attività motoria e la socializzazione, riducendo il traffico del-le macchine e inquinando meno la nostra città».

L’ultimo allarme è lanciato dal comitato civico Santa Maria di Portosalvo: costruito nel 1406 in prossimità del piccolo largo che rappresentava il primo ingresso alla città, Palazzo Penne «rischia di crollare, come Palazzo Fuga e la chiesa di S. Maria a Piazza». La costruzione storica voluta da Antonio Penne, gran siniscalco del re Ladislao d’Angiò-Durazzo, si trova in cima alle scale di Santa Barbara, a pochi passi dal porto. Nel corso dei secoli è passata di mano in mano a diverse famiglie nobili: prima quella dei Rocco, quindi quella dei Capano. Nel 2002, la Regione Campania ha acquistato l’edificio per cederlo, nel 2004, all’O-rientale e inserirlo in un progetto che prevedeva la realizzazione di un polo universitario d’eccellenza, ma i lavori non furono mai avviati. Il 25 novembre 2008 sono stati avviati i lavori di messa in sicurezza dell’edificio. Il palazzo è attualmente sotto la supervisione della Regione e dell’Orientale, che dovranno accordarsi per l’intervento di restaurazione e la destinazione d’uso. È in stato di abbandono: il piazzale dinanzi il portone d’ingresso funge da parcheggio per automobili e motorini. Sulla facciata principale, nell’attuale piaz-zetta Monticelli tra le crepe, è affissa la targa dell’Unesco.

Dura da 30 anni il restauro della chiesa di Sant’Agostino alla Zecca, nel cuore di Forcella. Chiuso a causa dei danni subìti durante il terremoto del 1980, «l’edificio rischia di essere senza futuro come tante altre chiese della città», dice il presidente del comitato Portosalvo Antonio Pariante. La mancanza di fondi e risorse è la principale causa della fine dei lavori. «Il pro-cesso di recupero è stato lungo, caratterizzato da impalcature che non sono mai state smontate e non se ne intravede la conclusione – continua –. Difficile intravedere un po’ di speranza se il Cardinale Sepe è costretto a offrire in comodato d’uso cento chiese cittadine per salvarle». Di proprietà del Fondo degli Edifici di culto, la chiesa è tra le più grandi di Napoli. La struttura, la cui costruzione fu avviata durante il regno di Carlo I d’Angiò, fu comple-tata grazie a Roberto d’Angiò nel 1287. Recentemente, un blocco di piperno si è staccato dal cornicione del terzo ordine superiore della facciata ed è caduto in strada. Sontuosa e imponente, è in un vicolo stretto, attualmente circondata da cartoni, sacchetti di plastica e siringhe.

Anna Elena Caputano e Lorenzo Marinelli

In Piazza Portanova, in una traversa di Corso Umberto I, c’è una delle chiese più antiche della città per fondazione (si hanno notizie sicure sulla sua presenza nel IX secolo). Solo che nessuno conosce il suo nome e non c’è un cartello che dia qualche indicazione. Si tratta della chiesa di Santa Maria in Cosmedin (o Santa Maria di Portanova), una delle sette diaconie cittadine (ossia istituzioni assistenziali in cui si celebrava l’antico rito greco), che oggi si trova in grave stato di degrado. La chiesa, il cui nome deriva dal greco kosmidion (ornamento), ha subito vari restauri e modifiche architettoniche. Non esiste più niente del primo impianto del tempio e sono state rimosse quasi tutte le decorazioni barocche. «La chiesa è chiusa da trent’anni, dopo il terremoto del 1980, ed è sconsacrata – dice l’unica persona in quella zona in grado di dare qualche informazione in più –. Oggi dentro non c’è più niente, solo il pavimento e l’intonaco. E sono anche avvenuti una serie di furti: hanno portato via le statue, il tabernacolo, i calici d’oro. E dire che questa chiesa doveva diventare un museo degli orefici».

Per entrare in Palazzo Melofioccolo si attraversa un antico arco. Sul muro, in alto a destra, si nota una scritta in latino, che riporta il nome dell’antico signore che abitava nel vicolo. Uno dei palazzi storici della città in una delle zone più antiche di Napoli (quartiere Porto), datato 1300, conosciuto anche per i film che vi sono stati girati lì dai maestri del cinema italiano, come “Il giudizio universale” di Vittorio De Sica e il “Decameron” di Pier Paolo Pasolini. Ma oggi appare fortemente degradato e in uno stato di totale abbandono. Prima i bombardamenti della seconda guerra mondiale, poi il sisma del 1980, infine i vari crolli di calcinacci che sono avvenuti col passare del tempo ne hanno minato le fondamen-ta. I portoni antichi sono stati cambiati e le facciate sono rovinate. Al centro del cortile c’è una fontana molto antica (che non è stata mai restaurata nonostante l’intervento di un esperto di belle arti, che ha fatto uno schizzo su come doveva essere anticamente), che ritrae una testa di leone che non esiste più. Lasciate attaccate a un muro da oltre un anno ci sono vecchie impalcature arrugginite, che dovevano servire per i lavori di restauro. E anche se gli abitanti del posto si sono attivati con varie sollecitazioni ai Beni Culturali, è evidente che nessuno è ancora intervenuto.

Abbandonato, dimenticato e lasciato tra i rifiuti. Così si presenta il complesso terma-le romano del Carminiello ai Mannesi, situato nei pressi del Duomo di Napoli. In questo sito archeologico, risalente al I secolo d. C., nel XVII secolo fu edificata la chiesa omonima, distrutta da una bomba nel 1943. Attualmente è chiuso al pubblico ed è in pessime condi-zioni. Appena arrivati si notano i cumuli di rifiuti davanti al cancello chiuso e le mura rovi-nate dalle scritte e dai murales. Ci sono anche scritte sul cartello che spiega brevemente la storia degli scavi. L’ente competente è la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Napoli. «Il complesso è tenuto malissimo e spesso i ragazzi riescono a entrare e giocare a calcio tra le rovine – dicono gli abitanti della zona che passano per la strada –. Da qualche tempo si ri-pete lo stesso copione: l’impresa di pulizia viene, pulisce la strada dai rifiuti ma questi dopo un po’ ritornano di nuovo». Ogni tanto il cancello è aperto per far visitare gli scavi vengono dagli stranieri. «Solo che adesso non viene aperto da mesi per colpa dell’immondizia. Noi residenti della zona ci siamo lamentati spesso per questa situazione».

(Foto di Livio Pane)

Vado a Piedibus Pasquale Napolitano

Dicembre 1976. In piazza Medaglie d’Oro al Vomero si apre il primo varco di ingresso al sottosuolo: iniziano i lavori del-la metropolitana collinare. Dopo 34 anni e 4 mesi oggi sono utilizzabili 13,5 chilo-metri di percorso. Un record, di lentezza.

Napoli e la mobilità: un rapporto lungo e complesso. I cit-tadini aspettano da anni le nuove fer-mate della metro, mentre i biglietti aumentano e i treni spesso si fermano. Abitare in una città europea che spesso fa sbuffare i propri viaggiatori può es-sere scoraggiante. Ma non tutto è da buttare. Una nuova fermata è stata già inaugurata lo scor-

so 26 marzo: si chiama Università, la più bella fermata d’Europa. L’architetto Karim Rashid che l’ha pensata voleva dare un po’ di poesia e d’ispirazione a chi tutte le mat-tine assonnato va al lavoro. I soffitti hanno led luminosi e specchi ondulati, ci sono colori verde e rosa accesi. Oltre mille pa-role create negli ultimi 50 anni sono state impresse sulle piastrelle che costeggiano la scalinata d’accesso alla stazione, un tunnel del linguaggio. E le banchine rappresenta-no i due emisferi cerebrali. Molti passeg-geri, però, preferirebbero che quel viaggio appagasse non solo i sensi ma anche le ne-cessità dei tempi stretti di una città caotica. Nella stazione più bella d’Europa si aspetta

in media 15 minuti un treno. Una caratteri-stica del metro collinare napoletano. Anche il resto della tratta, sin dall’inaugurazione nel 1994 ha fatto registrare molti record: la scala mobile più lunga, la pendenza mag-giore, lo stile delle banchine. Ma da allora è l’unica che ancora non può dare ai passeg-geri la certezza che l’attesa non superi i 5 minuti.

Tra acqua trovata nel sottosuolo e reperti archeologici emersi durante gli sca-vi, i lavori si sono protratti oltre il dovuto e anche i soldi necessari per arrivare alla fine del percorso.

Secondo le previsioni, le prossime fermate “Toledo” e “Garibaldi” saranno completate entro il 2012; nei successivi due anni dovrebbe toccare alle stazioni di piaz-za Municipio e del Duomo. Questo il qua-dro, provvisorio, che grava sul futuro ope-rato di Metropolitana Napoli, società che ha il ruolo di costruttore. Qualche distinzione può essere utile, per meglio comprendere a chi addossare colpe o meriti. La già cita-ta Metropolitana Napoli dovrebbe ultima-re i lavori di costruzioni, quindi i cantieri all’ombra del Maschio Angioino o all’uscita della stazione Fs sono affare suo. Diverso il compito di Metronapoli: gestire il servizio di trasporto, dai treni alle funicolari.

Per quanto riguarda la linea 2, che ogni giorno fa sudare e disperare centinaia di viaggiatori, bisogna rimandare tutto al volere di Trenitalia, che si occupa di quella tratta. Un tragitto lungo e faticoso che, alla vigilia degli aumenti sul costo dei biglietti, ha pensato bene di lasciare bloccati a lun-go un intero treno sotto una galleria, sulla tratta che va dalla Mostra d’Oltremare alla fermata Museo. Le carrozze, affollatissime sono diventate un concentrato di caldo e stress.

Una Metro di ritardo

Il tabellone della Stazione di Napoli lascia nel dubbio i passeggeri con la dicitura “Ritardo Indefinito” nell’ora di ritorno dall’ufficio

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Sport pagina 12 inchiostro n. XVI – 2011

Neanche il Ciuccio riesce a trainare Napoli

Ernesto Mugione

Si dice che il calcio sia una metafora della vita e che una squadra diventi l’espressione della città che rappresenta. Questo discorso sembra non valere per Napoli. Nonostante l’escalation dell’era De Laurentiis che riporta alla mente gli anni d’oro, la città sembra essere rimasta ai tempi di Maradona.

Come negli anni ’80 non saranno i successi sportivi a rendere migliore il capoluogo partenopeo. «Uno scudetto a Napoli sarebbe festeggiato per mesi, ma non è questa la medicina per la città», avverte Massimo Corcione, direttore di Sky Sport 24.

Il modello De Laurentiis dovrebbe essere pre-so ad esempio dal nuovo sindaco?

«Gestire una società di calcio è diverso dall’am-ministrare un Comune. Il valore di De Laurentiis sta nella sua tenacia. Ha preso la squadra dal tribunale e, passando per l’inferno della C e della B, l’ha riportata ai vertici del calcio italiano. Difficilmente si vede una tale voglia in politica».

Un Napoli vincente può aiutare la nuova am-ministrazione?

«Le vittorie possono dare un’immagine positi-va della città ma non risolvono i problemi. Disoccupa-zione, rifiuti e camorra resteranno problemi al di là di quanti gol possa fare Cavani».

Da napoletano cosa significherebbe, per la cit-tà, vincere lo scudetto?

«A Napoli c’è sempre un clima di rassegnazio-ne. C’è la cultura che le inefficienze sono destinate a restare tali. La città dovrebbe prendere esempio dalla mentalità della squadra. Gli azzurri non mollano mai, in campo danno il meglio di loro stessi. E i tifosi, che quando escono dal San Paolo sono cittadini, credono in questa concezione. Solo che dovrebbero applicarla anche nella vita di tutti i giorni. Se lo scudetto riu-scisse a portare a una tale presa di coscienza allora servirebbe davvero a qualcosa».

Che ruolo può giocare il Napoli nella rinascita di Napoli?

«È sbagliato pensare che una squadra possa salva-re una città. Sono cose completamente differenti. Gli anni vincenti di Maradona non sono serviti a miglio-rare Napoli. Così come non lo farà questa squadra per quanti scudetti o coppe possa vincere. Lo sport può

essere un esempio ma la politica è tutt’altra cosa. È l’amministrazione comu-nale a dover farsi carico dei problemi di una città, non la sua squadra di cal-cio».

Antonio Frascadore

Un anno fa durante un consiglio comunale, l’assessore allo Sport di Palazzo San Giacomo, Alfredo Ponticelli, confermò lo stan-ziamento da parte del Comune di 5 milioni di euro per le strutture sportive a Napoli. Soldi per il rifacimento, la ristrutturazione e la co-struzione di impianti in città.

Ponticelli sottolineò l’importanza dello sport in una città come Napoli. «Lo sport è un innegabile punto di riferimento per i giovani».

Lo sport salva Napoli? A quanto pare, nemmeno per sogno. Semplicemente perchè le istituzioni non hanno salvato lo sport.

Proclami, avvisi e dichiarazioni in pompa magna, a distanza di un anno, le cose sembrano essere del tutto cambiate: in peggio. Dei soldi stanziati non vi sono particolari tracce di lavori in corso. Nè conclusi nè avviati.

Le principali protagoniste di quella improvvisa pioggia di denaro dovevano essere le strutture più piccole di ogni municipali-tà. Ma non ci sono state modifiche ai grandi mostri tanto meno ai piccoli impianti. Basta prendere in considerazione due grandi rio-ni napoletani, Bagnoli e Fuorigrotta, simboli attualmente indiscussi nel panorama delle carenze strutturali degli impianti sportivi. I nomi sono conosciuti ai più: Palargento e Parco dello Sport. La prima, sto-rica casa del basket napoletano, è ferma da ben tredici anni. I lavori di riqualificazione erano iniziati nel 2005 ma poi si sono fermati. Nessuna possibilità di ristrutturazione, oggi l’impianto è chiuso al pubblico, agli sportivi ma non ai tossici. In piedi solo le gradinate. «Non ci sono i soldi per la sanità, per l’istruzione, non possiamo certo pensare a riaprire il Palargento» ha detto Ponticelli.

Un commento chiaro, diretto e una soluzione che non lascia spazio a dubbi. «Per rimettere in piedi questa struttura ci vogliono investimenti dei privati, il Comune non ha i fondi a sufficienza per intervenire. Ci vorrebbero 25 milioni di euro». Stessa sorte ma diver-sa analisi per il Parco dello Sport di Bagnoli. Trentacinque ettari di terreno per praticare calcio, calciotto, basket, atletica, scherma e chi più ne ha più ne metta. Ma chiuso da più di un anno per la mancanza di quei fondi che in questo caso la Regione Campania dovrebbe stan-ziare per il completamento di una struttura costata 20 milioni di euro e bisognosa di appena altri 4 milioni per completare il tutto.

Lo sforamento del Patto di stabilità del 2010 ha con-gelato i fondi destinati al Parco dello Sport, soldi bloccati lo scorso anno ma che ad oggi potrebbero essere utilizzati. Ma al momento tutto è ancora fermo. “Non è cosi – dice però l’assessore all’Urbanistica della Regione, Marcello Ta-glialatela – l’Unione Europea ha accolto la nostra richiesta e ci sono stati erogati svariati milioni che verranno utilizzati anche per il Parco dello Sport». Da Bagnoli Futura, l’azien-da che gestisce i lavori e l’affidamento dell’opera, Emanuele Imperiali, l’ingegnere responsabile dell’impianto fa sapere che «questi fondi sono si stati sbloccati ma non saranno destinati a Bagnoli. Per questo credo che bisognerà aspet-tare almeno un altro anno e nel frattempo tutte le cose già realizzate all’interno di questa opera subiranno inevitabili deterioramenti».

TRA LE RIGHERecensite i libri citati in questo numero su:

http://www.anobii.com/inchiostronline/books

Quando le istituzioni non finanziano lo sport

Il San Paolo insegna non bisogna mollare

Sindaco Football Club Marco Cavero

Il Napoli non può salvare Napoli. Una squadra di calcio non è in grado di risolvere i tanti proble-mi di una città, anche se in campionato è andata oltre le aspettative e, ogni domenica per un paio d’ore, si dimenticano tutte le vertenze, i cantieri aperti, l’emergenza rifiuti, il bilancio del Comune e la riqualificazione di Bagnoli. I tifosi questo lo hanno capito, ma i politici?

A dare un occhio alla campagna elettorale dei vari candidati a sindaco non si direbbe. I riferi-menti alle imprese calcistiche della squadra citta-dina, o a protagonisti dello sport, è una costante nelle dichiarazioni e finanche nei programmi. Il candidato sindaco per il centrodestra, Gianni Lettieri, ha comunicato già da un po’ di tempo il nome del primo assessore sul quale vorrà fare affi-damento in caso di vittoria elettorale: è Fabio Can-navaro, campione del mondo con l’Italia nel 2006 e, per qualche anno a inizio carriera, bandiera del Napoli per poi lasciare la città restando comunque nel cuore degli appassionati. Cannavaro ha anco-ra un anno di contratto con l’Al-Ahli, il club degli Emirati Arabi Uniti nel quale milita, ma Lettieri ha già un accordo di massima per la stagione se-guente: proprio come al calciomercato.

Il candidato di Idv e Federazione della sinistra, l’ex pm Luigi De Magistris, va anche oltre: crea un parallelo tra la sfida per le amministrative e il testa a testa scudetto, dove la sfida più che tra candidati o club sembra tra buoni e cattivi. “La lotta per lo scudetto è tra Napoli e Milan, Lettieri e’ persona di Berlusconi che fara’ di tutto per far vincere il Mi-lan. Forza Napoli!”, e “Berlusconi ruba il derby,chi vota Lettieri consegna Napoli a Berlusconi il quale trucca e compra e fara’ di tutto per far vincere il Milan!”, sono due tweet che De Magistris ha dif-fuso sul suo Twitter il 3 aprile scorso, cavalcando l’emozione di Napoli-Lazio 4-3.

Degno di nota anche un episodio di vera e pro-pria fusione di calcio e politica in città: il presiden-te della Società Sportiva Calcio Napoli, Aurelio De Laurentiis, il 4 aprile lancia un appello a tutti i can-didati a sindaco, affinché risparmino i soldi spesi in campagna elettorale per risolvere la crisi rifiuti in 72 ore con l’aiuto attivo della cittadinanza. Dif-ficile trovare, da parte dei competitor nella corsa a Palazzo San Giacomo, un commento negativo alla proposta visionaria del presidente: “Sono d’ac-cordo con De Laurentiis, porterò la differenziata al 50% in 3 mesi”, ha commentato il candidato di Pd e Sel Mario Morcone, che sul suo profilo Facebook non manca di celebrare le vittorie degli azzurri po-stando foto di Cavani, Hamsik e Lavezzi in festa. Non ci sono solo i candidati a sindaco, però. Mariano Anniciello, candidato al Consiglio comu-nale per il Pd, ha scelto un’immagine del San Pao-lo per rappresentare “l’Essere napoletani, sempre” che è il suo slogan elettorale: in un suo manifesto rinuncia alla sua foto per usare l’ormai iconica im-magine della Curva B in un Napoli-Lecce del cam-pionato di serie B 2006-2007 nella quale campeg-gia l’enorme scritta “Ti Amo”. A commento della foto: “La nostra città è una squadra, che vince solo quando è unita con il sostegno di tutti”. La simbio-si è completa.

Il manifesto di uno dei candidati per le elezioni comunali a Napoli