piante officinali

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piante curative

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Coltivazione sperimentale di

PIANTE OFFICINALInel territorio pedemontano maceratese

a cura diAndrea Catorci, Demetrio Pancotto, Angelo Recchi

Progetto: Recupero, sperimentazione e promozione di piante officinali e medicinali.Piano di Sviluppo Locale GAL SIBILLA: Asse 1, Misura 3, Intervento 3.1c

Programma Leader plus 2000~2006

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Coordinamento scientificoAndrea CatorciDipartimento di Scienze Ambientali - Sezione di Botanica ed Ecologia, Università di Camerino

Gruppo di RicercaAndrea Catorci, Sabrina Cesaretti, Renata Gatti, Giada Giorgetti, Demetrio Pancotto, Pierluigi Pieruccini, Alessandra VitanziDipartimento di Scienze Ambientali - Sezione di Botanica ed Ecologia, Università di Camerino

Paola ScoccoDipartimento di Scienze Ambientali - Sezione di Produzioni animali, Università di Camerino

Gabriella Marucci, Fabrizio PapaDipartimento di Scienze Chimiche, Università di Camerino

Marco Menghini, Angelo RecchiAgerstudio, Ancona

Stefano CensaniAbros, Colli del Tronto (AP)

Partners scientificiCERMIS, UrbisagliaElaborazione del disegno sperimentale

Cooperativa Archè, MacerataOrganizzazione delle attività divulgative

Autori dei contributi raccolti nel volume Quadro ambientale ed agronomico del territorio del Gal SibillaSabrina Cesaretti, Angelo Recchi e Alessandra Vitanzi

Il progetto “Recupero Sperimentazione e Promozione di piante officinali e medicinali” del Gal SibillaAndrea Catorci e Paola Scocco

Risultati della sperimentazioneSchede agronomiche Marco Menghini, Demetrio Pancotto e Angelo Recchi

Una proposta innovativa: lo zafferanoRenata Gatti, Demetrio Pancotto e Paola Scocco

Problematiche commerciali e ipotesi di filiera per le officinali Un’ipotesi concreta di filieraAndrea Primavera

Coordinamento amministrativoIvana Pennacchioli, Maria Cristina FavettaDipartimento di Scienze Ambientali, Università di Camerino

Referenze fotograficheDemetrio Pancotto, Maurizio Spalvieri e Alessandra Vitanzi

VideoimpaginazioneMaurizio Spalvieri studiografico editoriale

StampaTipografia S.Giuseppe srl

Gli Autori desiderano ringraziare tutto il personale del GAL Sibilla ed in particolar modo il Presidente Luciano Ramadoried il Dott. Stefano Giustozzi per la fiducia e la collaborazione; i signori Angeli Mirko, Bonfada Stefano, CuccagnaLuigi e Renzo, Di Luca Federica per l’impegno profuso; le associazioni di categoria per la collaborazione alla divul-gazione; Leonardo Virgili e Francesca Fermani per il supporto organizzativo.Un ringraziamento particolare all’Assessore alla Cultura del Comune di Fermo Avv. F. Emiliani e alla Dr. L. Verdonidella Biblioteca C.le di Fermo per la preziosa collaborazione prestata nella ricerca di testi, erbari e manoscritti storici.

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Presentazione

Con la stampa del presente volume giunge a termine un progetto voluto dalGal Sibilla nell’ambito del “Programma Leader plus 2000~2006” (Asse 1,Misura 3, intervento 3.1c) della durata di oltre due anni.Al di là delle conoscenze scientifiche e tecnico-agronomiche che le attività pro-gettuali hanno consentito di acquisire, questo progetto ha avuto il merito diriaccendere il discorso sulla possibilità di inserire le specie officinali nell’ordi-namento colturale delle aziende della fascia collinare e pedemontana del mace-ratese. La contestualizzazione delle attività sperimentali e di quelle divulgative,nonché il rigore scientifico delle attività progettuali, hanno inoltre consentito aiprocessi divulgativi di svolgersi nel solco di una metodologia attenta ad evi-denziare, oltre alle opportunità, anche i rischi e le problematiche che la colti-vazione delle officinali porta con se.Questo nell’auspicio, condiviso con il coordinatore scientifico del progetto, diportare un contributo concreto al comparto agricolo maceratese stando benattenti a non ingenerare false od eccessive aspettative, che inevitabilmenteavrebbero come conseguenza l’accantonamento del settore delle officinali cosìcome già avvenuto in passato.Grazie anche a questa impostazione i risultati ottenuti possono essere conside-rati più che soddisfacenti sia per quanto riguarda l’interesse suscitato dal pro-getto a livello locale e nazionale sia per i risultati ottenuti dalla sperimentazioneagronomica che, esposti nelle pagine di questo volume nella maniera più dida-scalica possibile, offrono agli agricoltori un “manuale” di facile consultazioneche, con il capitolo “Schede agronomiche” diviene una guida tecnica.

Il Presidente del GAL SIBILLALuciano Ramadori

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PREMESSA

Il termine “piante officinali” indica un numero elevato di specie vegetali di largo impiego sia inalcuni settori industriali, (farmacologico, cosmetico, liquoristico, alimentare) che nella preparazionedi prodotti erboristici; settore quest’ultimo in continua crescita tanto da lasciare intravedere possibi-lità di incremento della domanda e conseguente espansione delle superfici coltivate.

Alla base del rinnovato interesse per la coltivazione delle piante officinali ci sono: l’aumento deiconsumi di prodotti erboristici, il tentativo di contrastare la forte importazione dall’estero di materiaprima, la necessità per gli agricoltori di ricercare nuove produzioni ed opportunità commerciali.

L’Italia, che vantava una buona tradizione nella coltivazione delle piante officinali e che fino aiprimi anni ’50 era considerato uno dei più forti produttori europei, ha visto diminuire la sua produ-zione interna, ed oggi tale coltivazione è un’attività marginale rispetto alle attività agricole tradizio-nali. Nelle Marche, in particolar modo nelle zone interne del maceratese e sui Sibillini, l’uso delleerbe officinali da parte della popolazione rurale aveva in passato un significato rituale e gastronomicoimportante, con una raccolta spontanea finalizzata anche al mercato. Ne sono esempi l’uso dellaBardana (Arctium lappa) e della Belladonna (Atropa belladonna) come tonificanti cardiaci, oppure leradici di Genziana (Genziana lutea) o i fiori e le foglie di Genzianella (Genziana verna) essiccate, che ipastori vendevano nei mercati francesi e tedeschi, quando vi si recavano alla ricerca degli arieti piùbelli per migliorare le pecore di razza Vissana.

Negli ultimi anni la superficie agricola coltivata a piante officinali in Italia si è attestata intornoai 1500 ha (escluso il Bergamotto). Questo valore appare tuttavia piuttosto contenuto se si considerache il settore della trasformazione e commercializzazione dei prodotti finiti (erboristeria soprattutto)è notevolmente cresciuto negli ultimi 10 anni.

Tale discrepanza dipende dal fatto che la produzione italiana deve confrontarsi con quella di altriPaesi, specialmente dell’Europa dell’Est e di quelli in via di sviluppo, dai quali proviene circa il 70%del prodotto consumato nel nostro Paese. Tuttavia, il forte fabbisogno nazionale offre nuove ed inte-ressanti opportunità di reddito.

Nelle Marche va rilevato un dato in controtendenza in quanto si registra un significativo ecostante trend di crescita, soprattutto negli ultimi due-tre anni, tanto che la superficie coltivata è pas-sata dai 60-70 ha degli anni novanta a qualche centinaia di ettari.

Certo, i problemi e le incognite per i coltivatori non mancano, in particolare prima di intrapren-dere la coltivazione, nel momento in cui bisogna assumere le prime fondamentali decisioni rispon-dendo ai seguenti quesiti:– Quali piante coltivare, tenendo conto delle condizioni pedoclimatiche dei propri terreni?– Quali investimenti fare, sia in termini di meccanizzazione, sia di strutturazione aziendale?– Quanta manodopera è necessaria?– Quali interlocutori commerciali individuare e come?– Come riuscire a garantire quantità e qualità delle produzioni?– Quali i costi di produzione/trasformazione e quali le rese e i redditi?

Per dare risposta a tali problematiche è dunque necessario, a livello nazionale e territoriale, intra-prendere la coltivazione delle officinali con un approccio di filiera che consideri tutte le fasi della pro-duzione, dalla ricerca di base alla sperimentazione commerciale, dalla coltivazione in pieno campoalle tecniche per la raccolta, dalla certificazione alla trasformazione, dalla divulgazione dei dati allapromozione sul territorio dei prodotti.

Inoltre, per vincere la concorrenza dei mercati esteri, la migliore strategia è quella di puntaresulla qualità, attraverso:– sicurezza sulla provenienza del prodotto finito e garanzia sulla assenza di fattori inquinanti;

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– meccanizzazione delle varie fasi colturali, al fine di ridurre i costi di produzione; – maggiore intesa tra mondo della produzione agricola e settori industriali attraverso accordi inter-

professionali che garantiscano il ritiro del prodotto (contratti di coltivazione).

Da ultimo, non va esclusa la possibilità di trasformare le piante officinali già in azienda, per unavendita diretta di infusi, tisane ed altri prodotti erboristici, pensando a sviluppare un percorso diorganizzazione degli operatori del settore allo scopo di raggiungere una migliore integrazione dell’of-ferta all’interno del territorio di produzione.

Lo sviluppo della filiera delle colture officinali potrebbe così rappresentare, nell’ottica della mul-tifunzionalità aziendale, un solido riferimento per il consolidarsi di una fonte di reddito integrativaed, allo stesso tempo, uno strumento in grado di favorire il recupero e la valorizzazione di aree mar-ginali del territorio.

In questo quadro tecnico e socio-economico il progetto “Recupero, sperimentazione e Promo-zione di piante officinali e medicinali “ ha cercato di approfondire le tematiche relative agli aspettitecnico-economici della coltivazione delle specie officinali, contestualizzandoli alle caratteristicheambientali ed agronomiche del territorio montano ed alto-collinare della Provincia di Macerata.

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Tarassaco(da Matthioli, 1604)

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QUADRO AMBIENTALE ED AGRONOMICODEL TERRITORIO DEL GAL SIBILLA

OROGRAFIA L’orografia del territorio del GAL Sibilla è prevalentemente caratterizzata dalla presenza degli

aspri rilievi dell’Appennino maceratese, i quali, verso oriente, sfumano rapidamente nelle dolciforme delle colline pedemontane, disposte a delimitare le ampie vallate fluviali che, via via piùampie, raggiungono le coste del Mar Adriatico.

Più precisamente, quello che viene definito Appennino maceratese è un importante settoredell’Appennino umbro-marchigiano (Appennino centrale), che in questo tratto è costituito da duedorsali, separate dalla sinclinale di Camerino-Fabriano i cui rilievi superano raramente i 600 m diquota.

Più in particolare, le due dorsali sono denominate: – umbro-marchigiana s.s. (posta al confine tra Marche ed Umbria e con cime comprese tra 1200

e 1700 m s.l.m.), che nel territorio maceratese raggiunge la massima altitudine con i 1571 m delMonte Pennino;

– marchigiana (più orientale e costituita da una catena montuosa con quote massime compresetra 800 e 1200 m circa), che presenta la massima elevazione con il Monte San Vicino (1465 m).

Verso sud, le due dorsali si raccordano con il Massiccio dei Monti Sibillini, dove sono presentile cime più importanti delle Marche, poste generalmente oltre i 2000 metri di quota, con il PizzoBerro (2259 m) che rappresenta la vetta più alta del territorio provinciale.

Tutti questi rilievi presentano la tipica morfologia appenninica, con pendici acclivi solcate dagole o dirupi, mentre le aree sommitali sono perlopiù formate da cupole semipianeggianti, coinci-denti con le antiche sommità (paleosuperfici) del protoappennino.

Fanno eccezione le cime dei Sibillini, che si presentano aspre ed affilate o con versanti d’aspetto“dolomitico”, come le superbe pareti rocciose del Monte Bove o del Pizzo di Meta.

Ad est della dorsale marchigiana si sviluppa il settore collinare pedemontano, caratterizzato darilievi con quote comprese tra 400 e 600 metri, nelle aree più interne, e tra 200 e 400 m, in quellepiù orientali.

Dal punto di vista idrografico, il territorio del GAL Sibilla ricade quasi interamente ad orientedello spartiacque Tirreno/Adriatico e quindi tutti i principali corsi d’acqua sfociano in quest’ultimomare. Fa eccezione la zona posta a sud del Valico di Appennino (Visso) e ad ovest del crinale prin-cipale dei Monti Sibillini, che rientra nel bacino idrografico del Tevere ed è quindi tributaria del MarTirreno.

GEOMORFOLOGIAIl territorio del GAL Sibilla può essere suddiviso nei seguenti complessi geomorfologici, ognuno

contraddistinto da peculiari caratteristiche paesaggistiche e biologiche.Sedimenti alluvionali attuali e recenti. Il substrato geologico è costituito da ghiaie e limi che originano

morfologie pianeggianti incise dal corso di fiumi e torrenti; la falda freatica è superficiale. Substrati pelitico-arenacei. Il substrato geologico è costituito dall’alternanza di strati di arenarie e

banchi pelitici, da medi a spessi, che originano morfologie di media acclività con incisioni vallivemolto profonde; i rilievi oltrepassano raramente i 600 m s.l.m.

Substrati marnoso-calcarei. Il substrato geologico è costituito da marne alternate a calcari, che origi-nano morfologie mediamente ondulate, talvolta con versanti aspri ed acclivi; i rilievi raggiungononormalmente i 500-700 m di altitudine.

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Substrati arenacei. Il substrato geologico è costituito da arenarie in banchi da medi a spessi, cheoriginano morfologie abbastanza aspre ed acclivi (soprattutto nelle zone sommitali delle colline); irilievi raggiungono i 700-800 m di altitudine.

Substrati calcarei. Il substrato geologico è costituito da calcari, spesso intercalati con livelli marnosi osilicei, a cui si devono versanti aspri ed acclivi, che talvolta si placano in ampie sommità semipianeg-gianti o leggermente inclinate (paleosuperfici); i rilievi superano generalmente i 1000 m di altitudine,spingendosi oltre i 2000 m nel Massiccio dei Monti Sibillini.

BIOCLIMAIl territorio del GAL Sibilla ricade nella Regione Macroclimatica Temperata e le sue caratteristi-

che bioclimatiche sono prevalentemente correlate con l’altitudine e le caratteristiche fisiografiche delterritorio, che può essere suddiviso in cinque Piani Bioclimatici.

Basso-Collinare (mesotemperato inferiore). Interessa quote inferiori ai 450-500 m s.l.m. È caratterizzatoda: temperature medie annue di circa 12-14 °C; precipitazioni medie annue comprese tra 700 e 900mm/anno; aridità estiva presente per un mese (luglio) e particolarmente intensa sui versanti meridio-nali; stress da freddo invernale molto modesto, tanto che in nessun mese la media delle temperatureminime è inferiore a 0 °C; l’innevamento al suolo è sporadico e non si protrae per più di 2-3 giorniconsecutivi. La durata del periodo vegetativo è di circa 210-220 giorni. La vegetazione forestale (cer-rete, querceti e ostrieti) è caratterizzata da caducifoglie termofile e semimesofile miste con sclerofillesempreverdi. Sui versanti calcarei soleggiati sono presenti estese leccete. In questo ambito è ancorapossibile la coltivazione dell’olivo (Olea europea).

Alto-Collinare (mesotemperato superiore). Riguarda i rilievi posti a quote comprese tra 450-500 e 900-1000 m. È contraddistinto da: temperature medie annue di circa 10-11 °C; precipitazioni medie gene-ralmente comprese tra 900 e 1100 mm/anno; assenza di un periodo di aridità estiva, che si manife-sta sui versanti meridionali delle quote più basse, generalmente nel mese di luglio; media delle tempe-rature minime invernali dei mesi di gennaio-febbraio prossime o leggermente inferiori a 0 °C, con epi-sodi di gelo che possono verificarsi da novembre a tutto marzo e innevamento del suolo relativamentefrequente (4-5 episodi annuali) ma con durata modesta (4-6 giorni). La durata del periodo vegetativoè di circa 180-190 giorni. La vegetazione forestale è composta da caducifoglie termofile e semimeso-file (querceti, cerrete, ostrieti e castagneti) ed è priva di elementi mediterranei, che si possono rinve-nire solo nelle aree rupestri calcaree più assolate, all’interno di lembi boschivi con leccio. Nella fasciainferiore di questo piano bioclimatico trova il limite ecologico la coltivazione della vite (Vitis vinifera).

Basso-Montano (supratemperato inferiore). Interessa quote comprese tra 900-1000 m e 1350-1400 mcirca. Le sue caratteristiche salienti sono: temperatura media annua di 8-9 °C; precipitazioni compresetra 1200 e 1400 mm/anno; temperatura media delle minime inferiore a 0 °C almeno nei mesi didicembre, gennaio e febbraio. Forti gelate si possono verificare da novembre a marzo e sporadica-mente fino alla metà di aprile. In queste zone la neve può ricoprire il suolo per diversi giorni conse-cutivi (10-15), con fasi ripetute e ravvicinate nel tempo, mentre in estate le precipitazioni diminuiscono,senza tuttavia arrivare ad estremi siccitosi. La durata del periodo vegetativo è di circa 150-160 giorni.La vegetazione forestale è composta da caducifoglie semimesofile e mesofile (cerrete, castagneti e fag-gete), che sovrastano un sottobosco in cui si consociano elementi floristici collinari e specie montane.In questo ambito trovano il limite ecologico la cerealicoltura e la foraggicoltura.

Alto-Montano (supratemperato superiore). Interessa quote comprese tra 1350-1400 e 1800-1850 mcirca. Le sue caratteristiche salienti sono: temperatura media annua generalmente inferiore a 8 °C;precipitazioni comprese tra 1300-1500 mm/anno; temperatura media delle minime inferiore a 0 °Calmeno nei mesi di novembre, dicembre, gennaio e febbraio. Forti gelate si possono verificare daottobre alla metà di maggio. In queste zone la neve può ricoprire il suolo per intere settimane, ancheconsecutive. La durata del periodo vegetativo è di circa 140 giorni. La vegetazione forestale è com-

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posta da caducifoglie mesofile (faggete) in cui sono assenti gli elementi floristici collinari. Le unicheforme di coltivazione possibili sono legate alle coltivazioni di alcune leguminose da granella (lentic-chia) e foraggere (lupinella o crocetta).

Subalpino/alpino (orotemperato e criotemperato). Interessano quote poste oltre i 1800-1850 m. Le carat-teristiche salienti sono: temperatura media annua generalmente inferiore ai 5-6 °C; precipitazionicomprese tra 1400-1600 mm/anno; temperatura media delle minime inferiore a 0 °C per oltre 5 mesi.Forti gelate si possono verificare da settembre alla fine di maggio. In queste zone la neve può rico-prire il suolo da novembre/dicembre ad aprile/maggio. La durata del periodo vegetativo è di circa100-120 giorni. La vegetazione forestale è assente.

UNITÀ DI PAESAGGIOLa sovrapposizione degli aspetti geomorfologici e bioclimatici permette di individuare delle por-

zioni di territorio ecologicamente omogenee, definite “unità di paesaggio”, che sono di seguito bre-vemente descritte.

Unità di paesaggio delle pianure alluvionali. Dal punto di vista orografico si tratta delle pianure allu-vionali con falda freatica superficiale e detrito da fine a grossolano; la vegetazione potenziale preva-lente è costituita da boschi ripariali e planiziali (Salicion albae e Alno-Ulmion).

Unità di paesaggio dei versanti pelitico-arenacei con bioclima basso-collinare. Dal punto di vista orografico sitratta di aree che si estendono in un intervallo altimetrico compreso tra 200 e 500 m s.l.m.; il termotipocorrispondente è quello collinare inferiore, con ombrotipo subumido superiore; la vegetazione poten-ziale predominante è costituita da boschi a prevalenza di cerro e roverella (Lauro-Quercenion pubescentis).

Unità di paesaggio dei versanti pelitico-arenacei con bioclima alto-collinare. Dal punto di vista orografico sitratta di aree che si estendono in un intervallo altimetrico compreso tra 450 e 800 m s.l.m.; il termo-tipo corrispondente è quello collinare superiore, con ombrotipo subumido superiore/inferiore; lavegetazione potenziale predominante è costituita da boschi a prevalenza di cerro, roverella e/o car-pino nero (Laburno-Ostryenion carpinifoliae, Cytiso-Quercenion pubescentis).

Unità di paesaggio dei versanti arenacei con bioclima alto-collinare. Dal punto di vista orografico si trattadi aree che si estendono in un intervallo altimetrico compreso tra 450 e 800 m s.l.m.; il termotipocorrispondente è quello collinare superiore, con ombrotipo subumido superiore/umido inferiore; lavegetazione potenziale predominante è costituita da boschi a prevalenza di cerro e rovere (Laburno-Ostryenion carpinifoliae).

Unità di paesaggio dei versanti marnoso-calcarei con bioclima alto-collinare. Dal punto di vista orograficosi tratta di aree che si estendono in un intervallo altimetrico compreso tra 350 e 800 m s.l.m.; il ter-motipo corrispondente è quello collinare superiore, con ombrotipo subumido superiore/umido infe-riore; la vegetazione potenziale predominante è costituita da boschi a prevalenza di carpino nero e/oroverella (Laburno-Ostryenion carpinifoliae, Cytiso-Quercenion pubescentis).

Unità di paesaggio dei versanti calcarei con bioclima basso-collinare. Dal punto di vista orografico si tratta diaree che si estendono sulla fascia basale dei rilievi appenninici marchigiani, in un intervallo altime-trico compreso tra 300 e 450-500 m s.l.m.; il termotipo corrispondente è quello collinare inferiore,con ombrotipo subumido superiore; la vegetazione potenziale predominante è costituita da boschi aprevalenza di roverella e/o carpino nero (Lauro Quercenion pubescentis-Carpinion orientalis).

Unità di paesaggio dei versanti calcarei con bioclima alto-collinare. Dal punto di vista orografico si trattadi aree che si estendono in un intervallo altimetrico compreso tra 450-500 e 900-1000 m s.l.m.; il ter-motipo corrispondente è quello collinare superiore, con ombrotipo umido inferiore; la vegetazionepotenziale predominante è costituita da boschi a prevalenza di carpino nero, roverella e/o cerro(Laburno-Ostryenion carpinifoliae-Carpinion orientalis).

Unità di paesaggio dei versanti calcarei con bioclima basso-montano. Dal punto di vista orografico si trattadi aree che si estendono in un intervallo altimetrico compreso tra 900-1000 e 1350-1400 m s.l.m.; il

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termotipo corrispondente è quello montano superiore, con ombrotipo umido inferiore; la vegetazionepotenziale predominante è costituita da boschi a prevalenza di cerro e/o faggio (Lathyro veneti-Fagionsylvaticae e Erytronio dentis-canis-Carpinion betuli).

Unità di paesaggio delle conche calcaree carsico-tettoniche con bioclima basso-montano. Dal punto di vistaorografico si tratta di aree che si estendono su altipiani, temporaneamente inondati, a forma di sco-della, in un intervallo altimetrico compreso tra 900 e 1300 m s.l.m.; il termotipo corrispondente èquello montano inferiore, con ombrotipo umido superiore/iperumido inferiore; la vegetazione poten-ziale prevalente è costituita da boschi paludosi a salice cinereo (Salicion cinereae).

Unità di paesaggio dei versanti calcarei con bioclima alto-montano. Dal punto di vista orografico si trattadi aree che si estendono in un intervallo altimetrico compreso tra 1350-1400 e 1750-1850 m s.l.m.;il termotipo corrispondente è quello montano superiore, con ombrotipo umido superiore/iperumidoinferiore; la vegetazione potenziale predominante è costituita da boschi a prevalenza di faggio(Aremonio-Fagion sylvaticae).

Unità di paesaggio dei versanti calcarei con bioclima subalpino/alpino. Dal punto di vista orografico si trattadi aree che si estendono in un intervallo altimetrico compreso tra 1750-1850 e 2259 m s.l.m.; il ter-motipo corrispondente è quello subalpino/alpino, con ombrotipo umido superiore; la vegetazionepotenziale prevalente è costituita da praterie primarie a sesleria dell’Appennino o festuca dimorfa(Seslerion apenninae, Festucion dimorphae, Ranunculo-Nardion).

IL PAESAGGIO AGRARIO

Aspetti demografici e socio-economiciGli aspetti demografici costituiscono un’importante componente nell’analisi del quadro socio-

economico locale (i dati di seguito esposti sono tratti dalle elaborazioni effettuate per la redazionedel Piano di Sviluppo Locale del GAL Sibilla).

La popolazione al censimento 2001 ammontava a 95.861 unità, che rappresentano il 31,82%dell’intera popolazione provinciale. Solo San Severino Marche e Tolentino hanno una popolazioneresidente superiore a 10.000 unità, Treia ha circa 9.500 abitanti, Camerino, Castelraimondo,Pollenza, San Ginesio e Sarnano appartengono alla classe tra 3.000 e 8.000 abitanti, ventinove comunihanno meno di 3.000 abitanti e, tra questi, ben sedici meno di 1.000.

Il trend demografico è in evidente decremento, con andamento anche di rilievo nei comunimontani come Bolognola, Monte Cavallo, Ussita e Visso. La percentuale di popolazione anziana el’indice di dipendenza (rapporto tra popolazione lavorativa e popolazione non lavorativa) sono deci-samente superiori al dato medio provinciale.

A fronte di una dinamica demografica decisamente negativa nei comuni della zona interna, nellazona collinare l’età media della popolazione diminuisce e la dinamica appare pressoché stabile, conuna cospicua parte degli abitanti occupati nel secondario e nel terziario.

Il trend demografico appena descritto ha un immediato riflesso sulla caratterizzazione dell’areada un punto di vista socio-economico. Infatti, in un territorio così strettamente legato all’attività agri-cola, è immediato riscontrare una correlazione tra calo demografico generale e diminuzione degliaddetti del comparto agricolo, in particolare nella aree montane. In realtà, i riflessi sul settore prima-rio sono meno evidenti di quanto i numeri lascerebbero supporre, ciò in conseguenza di un elevatonumero di operatori non censiti, che svolgono l’attività agricola subordinatamente all’occupazioneprincipale.

Gli ordinamenti produttivi sono perlopiù orientati verso le colture a seminativo (cereali e forag-gere) con limitata presenza di colture permanenti e quasi totale assenza del comparto orticolo.

Per quanto riguarda il settore secondario e terziario, escludendo le zone di Tolentino, Pollenza,

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Treia e San Severino Marche, caratterizzate da una decisa crescita anche con realtà di un notevolerilievo, l’area si caratterizza per un’imprenditoria industriale ed artigianale di piccolo-medio calibro,quasi sempre a livello familiare.

Comunque, a parte i Comuni appena citati e quelli collinari della valle del Fiastra (da Urbisagliaa San Ginesio), la quota di occupati in agricoltura costituisce sempre la frazione preponderante.

Il contesto produttivo agro-forestaleCome già detto, l’area del GAL Sibilla si presenta come un territorio decisamente rurale, in cui

la tradizione agricola concorre in maniera fondamentale a determinare gran parte dei fenomenisociali ed economici.

Gli operatori del settore, nel 1991 superavano il 13% della popolazione attiva, con punte localisuperiori al 30%; a tali percentuali, per dimensionare correttamente il fenomeno, vanno aggiunte leunità impegnate principalmente in altre attività professionali, ma ancora attive nell’attività familiaredi conduzione dei fondi agricoli.

Le produzioni agricole sono decisamente orientate verso le colture erbacee, con ordinamentiaziendali basati sulle colture cerealicole in rotazione con le foraggere.

Per quanto riguarda le coltivazioni permanenti, vi è una predominanza della vite sull’olivo, dovele espressioni produttive tipiche si riconducono ai vini “Vernaccia di Serrapetrona”, “Rosso Piceno”e “Verdicchio di Matelica”.

In termini di numero di aziende presenti, i dati provvisori del censimento 2000 evidenziano unadiminuzione di circa il 30% delle aziende totali rispetto a quelle presenti nel 1990, con maggiore fles-sione nei Comuni montani a conferma dell’indebolimento del settore primario nell’area di riferimento.L’abbandono delle zone montane e pedemontane sono legate soprattutto alle caratteristiche morfo-logiche del territorio, che non riesce ad essere sfruttato al meglio, in relazione alle elevate potenzialitàche esso offre. Per contro sono aumentate le aziende che coltivano con metodi di agricoltura biologica.

In sintesi, le principali cause che hanno contribuito alla diminuzione delle aziende agro-zootec-niche e forestali, e di conseguenza incrementato lo spopolamento delle aree più marginali del terri-torio oggetto di analisi, sono:

– invecchiamento della popolazione rurale, con presenza di molti imprenditori agricoli ultra ses-santacinquenni, che spesso abbandonano l’attività a favore di aziende più grandi, con contratti diaffitto a lungo termine o al limite con la vendita dell’azienda.

– limitata dimensione aziendale che non consente, all’imprenditore, di raggiungere profitti talida giustificare la continuità e la sussistenza della famiglia contadina che, quindi, si rivolge ad altricomparti economici per integrare il reddito;

– scarsa presenza nel distretto rurale di filiere produttive e di una solida rete di commercializza-zione dei prodotti naturali, in particolare di quelli tipici, che permetta alle piccole e medie impreseagricole di raggiungere più alti redditi, soprattutto con la vendita diretta in azienda. Da ciò scaturisceche i prodotti sono perlopiù venduti con forme di bassa immagine, cioè in confezioni semplici o dallarifinitura non industriale.

Attraverso un esame dei dati statistici disponibili e gli approfondimenti svolti mediante rilievi nelterritorio di indagine, è stato possibile acquisire gli elementi necessari per delineare una articolazioneterritoriale in ambiti omogenei dal punto di vista del paesaggio agrario e dell’uso agro-forestale dellerisorse.

Questi aspetti d’uso del territorio risentono evidentemente dei principali fattori fisici e geograficiche, strutturando l’area e caratterizzando le fisionomie dei pedo-paesaggi, determinano le capacità ele specificità d’uso del territorio dal punto di vista agricolo.

Se, infatti, il dato medio vede una decisa dominanza dei seminativi con prevalenza della SAUaziendale (superficie agricola utilizzabile) rispetto alla SAT (superficie agricola totale), il dato si inverte

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decisamente in ben otto Comuni, a vantaggio di una superficie aziendale forestale (SAF) ben supe-riore alla superficie agricola utilizzata (SAU) e quasi sempre superiore al 50%.

Appartengono a questa categoria i Comuni della fascia montana interna della dorsale carbona-tica (Fiuminata, Pioraco, Sefro) e quelli della zona calcarea dei Monti Sibillini (Visso, Acquacanina,Bolognola, Castelsantangelo sul Nera, Ussita).

A questi possono essere aggiunti i Comuni in cui, pur rimanendo predominante la superficieagricola, la forte presenza di superficie forestale (superiore al 30% della SAT) consente una chiaraassimilazione dal punto di vista della caratterizzazione agricolo-produttiva e paesaggistica.

Questi sono: Fiastra, Fiordimonte, Monte Cavallo, Pieve Torina, Sarnano, Serravalle del Chienti. Analizzando le diverse utilizzazioni all’interno della SAU, si può individuare una classe di comuni

che si distingue per la netta prevalenza delle superfici a prati permanenti e pascoli, condizione tipicadi zone decisamente montane, caratterizzate da una forte attività agro-silvo-pastorale e zootecnicaestensiva. Tra questi, Acquacanina, Bolognola, Castelsantangelo sul Nera, Monte Cavallo, Ussita eVisso presentano una dominanza quasi assoluta delle foraggere, mentre per i Comuni parzialmenteinteressati da terreni alluvionali dei fondovalle o da terreni collinari a moderata acclività, le superfici aforaggere permanenti, pur rimanendo prevalenti, diminuiscono a favore dei seminativi (Fiastra,Fiordimonte, Fiuminata, Muccia, Pieve Torina, Sefro, Tolentino).

Nei rimanenti 25 comuni, le colture a seminativo impegnano quasi sempre più del 80-90% dellaSAU, tranne Caldarola, Camerino, Esanatoglia, Gagliole, Pioraco e Sarnano, dove la percentuale ètra il 50% e l’80%.

L’analisi condotta per coltura, riferita ai dati 1990, evidenzia una netta prevalenza dei cerealisulle altre colture nei Comuni di Castelraimondo, Esanatoglia, Gagliole, Loro Piceno, Muccia,Pollenza, Ripe San Ginesio, Sant’Angelo in Pontano, Tolentino, Treia ed Urbisaglia. Le foraggereavvicendate investono la gran parte della superficie destinata a seminativo nei comuni diAcquacanina, Belforte del Chienti, Bolognola, Castelsantangelo sul Nera, Cessapalombo,Fiordimonte, Fiuminata, Monte Cavallo, Pievebovigliana, Pieve Torina, Sarnano, Sefro, Serravalledel Chienti, Visso.

Le colture ortive hanno quasi ovunque un’estensione del tutto marginale ed un livello appenaapprezzabile nei comuni di Tolentino, Treia ed Urbisaglia.

Per le colture permanenti, la vite risulta prevalente sull’olivo quasi ovunque, con esclusione deiterritori di Caldarola, Camporotondo del Fiastrone, Cessapalombo, Loro Piceno, San SeverinoMarche, Pollenza, Sant’Angelo in Pontano, Tolentino e Treia dove la coltura dell’olivo presenta unaapprezzabile estensione in termini percentuali ed assoluti.

L’analisi dei dati sinteticamente esposti, valutati anche in relazione ai caratteri pedologici del terri-torio, consente di operare una prima articolazione del territorio in esame sulla base degli usi agricoli.

Le aree dei crinali, degli alti versanti, delle superfici sommitali della dorsale umbro-marchigiana,della dorsale marchigiana e dei Sibillini sono caratterizzate da condizioni fortemente limitanti le attivitàproduttive primarie, con suoli, ove presenti, estremamente sottili e con forte presenza di scheletro, spessoin condizioni proibitive di pendenza, con conseguenti limitazioni di lavorabilità ed accessibilità.

In queste zone l’attività del settore primario è indirizzata verso le produzioni forestali e quellezootecniche, comunque con modeste capacità produttive a causa delle severe limitazioni ambientali.

Nei medi e bassi versanti i suoli non coltivabili diminuiscono a favore di superfici caratterizzatedalla possibilità di fornire discrete produzioni foraggere e buone produzioni forestali, ma comunqueancora con forti limitazioni sul piano della lavorabilità e con limitate possibilità di scelta colturale.

Si tratta delle zone caratterizzate dalla dominanza delle superfici forestali sulla SAU e, nella SAU,da prevalenza delle foraggere permanenti (prati e pascoli) sui seminativi. Le superfici forestali appa-iono decisamente minori nella porzione orientale della dorsale marchigiana. Dove localmente i depo-siti alluvionali degli stretti fondovalle consentono migliori condizioni, si registra un aumento delle

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colture a seminativo, anche se a dominanza di foraggere avvicendate, ed assumono una certa impor-tanza le colture permanenti, in particolare l’olivo.

Nella zona medio-collinare, che si protende dal crinale settentrionale sulla valle del Chienti inComune di Camerino, Castelraimondo e verso nord fino a Matelica, dove il substrato è dapprimamarnoso-calcareo poi pelitico-arenaceo, gli usi agricoli testimoniano una maggiore coltivabilità, concapacità produttive anche buone. Queste prerogative si ritrovano spesso, anche su substrato di diversanatura, in porzioni del territorio dei Comuni di Esanatoglia, Pioraco e Gagliole.

Qui i seminativi vedono la prevalenza dei cereali autunno-vernini e si registra la presenza dibuone superfici occupate da colture legnose permanenti, come la vite nelle aree vocate e l’olivo altrove.L’intensità colturale raggiunge valori anche apprezzabili, sospinta da una meccanizzazione perlopiùagevole.

Va poi distinta la fascia dei rilievi collinari al margine orientale della dorsale marchigiana che,da Gualdo e Sarnano a sud, si estende verso nord-ovest attraverso San Ginesio, Ripe San Ginesio,Cessapalombo, Colmurano, Camporotondo, Belforte del Chienti, Serrapetrona, Tolentino fino aSan Severino Marche, dove i substrati pelitico-arenacei dei rilievi collinari e i cospicui lembi alluvio-nali sui fondovalle, conferiscono ai sistemi colturali la connotazione tipica dell’agricoltura marchi-giana di medio-bassa collina, con estese superfici a seminativo ed assoluta prevalenza dei cereali sullecolture foraggere o sulle legnose permanenti. I suoli si presentano infatti prevalentemente coltivabilicon moderate limitazioni, le scelte colturali e le produttività sono solo parzialmente ridotte, purrichiedendo una certa attenzione sul piano delle tecniche di conservazione e tutela.

In queste aree l’incremento dell’attività colturale intensiva ed un inadeguato modello di conser-vazione del suolo, concorrono a determinare frequenti fenomeni di dissesto gravitativo, mentre nellastrutturazione del paesaggio le formazioni naturali o seminaturali diminuiscono la loro presenza afavore di una decisa antropizzazione di parte delle superfici utilizzabili.

In definitiva, i punti di forza relativi alle risorse del territorio in esame, con specifico riferimentoal comparto agricolo ed ambientale, risiedono principalmente nei seguenti aspetti:– un paesaggio rurale ben conservato ed espressione del “modello marchigiano” di integrazione

tra agricoltura ed altri settori produttivi;– un tessuto infrastrutturale ed insediativo atto a favorire la multifunzionalità del territorio, la plu-

riattività degli operatori agricoli e in particolare forme di integrazione sinergica tra agricoltura eturismo, principalmente del tipo enogastronomico, ambientale, culturale;

– la presenza di vaste aree interessate da pascoli e boschi, in cui riavviare o potenziare attività agro-silvo-pastorali e/o integrative del reddito agricolo;

– una buona porzione di territorio ambientalmente tutelato;– una elevata presenza di aziende medio-piccole suscettibili di sviluppo differenziato del reddito;– la diffusione di allevamenti di bovini, da carne, appartenenti alla razza Marchigiana e di ovini di

razze italiane, oltre alla sopravissana come razza tipica locale;– la promozione di prodotti agroalimentari già tutelati da denominazioni di origine o protette

(DOC, DOP e IGP) e in via di tutela.

Di contro, i più evidenti punti di debolezza sono rappresentati da: – il forte tasso di invecchiamento della popolazione rurale, scarso ricambio generazionale e abban-

dono delle aree montane da parte dei giovani;– le ridotte dimensioni delle imprese agricole e degli allevamenti; – la tendenza alla riduzione della zootecnia estensiva nelle aree interne montane;– l’accentuazione dei fenomeni di destrutturazione e terziarizzazione delle ex-aziende contadine,

con affermazione di modalità gestionali e orientamenti produttivi basati sulla rendita, sul sostegnoPAC e/o su obiettivi economici di breve periodo;

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– la persistenza di fenomeni di erosione su ampie aree, di riduzione della fertilità fisica e biologicadei suoli;

– una sostanziale marginalità o scarsa riconoscibilità e visibilità sui mercati delle produzioni tipi-che tradizionalmente presenti nell’area;

– l’insufficiente diversificazione delle produzioni e scomparsa di ecotipi locali; – il profondo squilibrio economico e territoriale tra aree di fondovalle ed aree collinari e montane;– la carente qualificazione della forza lavoro;– la scarsa efficienza delle aziende agricole, con limitata diffusione di metodi di controllo, di gestione

e informatizzazione.

Le migliori opportunità, intese come elementi indipendenti dalle caratteristiche intrinseche delsettore e del territorio, ma collegati principalmente a fattori esterni (tendenze economiche e/o politi-che regionali, nazionali, internazionali ecc.) possono essere individuate in:– una crescente attenzione da parte dei consumatori e dei mercati verso le produzioni di qualità e

tipiche (legame con il territorio di origine), con conseguente allargamento e miglior accesso,anche per le realtà locali, dei relativi canali di commercializzazione;

– una sempre maggiore interesse per un’offerta ricreativa integrata e sinergica tra agricoltura eturismo, principalmente del tipo enogastronomico, ambientale e culturale;

– la possibilità di uno sviluppo agro-industriale basato su filiere territoriali;– l’attuazione, nel breve-medio periodo, di politiche regionali, nazionali e comunitarie e dei relativi

strumenti di programmazione finanziaria, volti allo sviluppo economico e sociale delle aree internerurali, attraverso strategie di difesa e valorizzazione delle risorse locali e a favore di ordinamentiproduttivi agricoli maggiormente estensivi.

Sicuramente strategiche, dunque, potranno risultare le iniziative tendenti a favorire la identifica-zione delle produzioni con il proprio territorio d’origine e la creazione di filiere produttive riconosci-bili e tracciabili. In questo quadro, quindi, le piante officinali possono rappresentare un elementoinnovativo, di prodotto e di processo, utile a qualificare l’auspicato paniere di prodotti “veramentetipici” dell’alto-maceratese.

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IL PROGETTO“RECUPERO, SPERIMENTAZIONE E PROMOZIONE

DI PIANTE OFFICINALI E MEDICINALI”DEL GAL SIBILLA

MOTIVAZIONI E FINALITÀIl progetto “Recupero, sperimentazione e promozione di piante officinali e medicinali”, nasce nel

2003 nell’ambito delle iniziative attivate dal GAL Sibilla sotto il regime di sostegno finanziario delprogramma Leader Plus 2000-2006.

Il GAL Sibilla, individuando le potenzialità di un intervento strategico nel settore, già dalla reda-zione del Piano di Sviluppo Locale aveva previsto l’attivazione di una misura che individuava comeobiettivo generale quello di offrire agli agricoltori una ricerca finalizzata alla valutazione della possi-bilità di inserire nei propri ordinamenti colturali la produzione delle specie officinali.

Il progetto è stato articolato in più fasi, ognuna delle quali ha previsto il raggiungimento di unoo più obiettivi, necessari per concorrere al conseguimento dell’obiettivo strategico generale.

Questi erano:– individuazione di sei specie officinali che rappresentassero, allo stato attuale delle conoscenze, il

miglior punto di incontro tra compatibilità ecologica con gli ambienti in esame, praticabilità dellatecnica colturale, richiesta di mercato;

– valutazione delle problematiche agronomiche connesse con la coltivazione di queste specie,attraverso l’allestimento di quattro campi sperimentali di durata biennale;

– individuazione delle più opportune forme di commercializzazione e dei canali commerciali, non-ché delle esigenze di filiera (trasformazione, conservazione, etc.), a cui gli agricoltori debbonoporre attenzione per aspirare alla realizzazione di una produzione commerciabile;

– sensibilizzazione del mondo agricolo sulle opportunità e le problematiche connesse con la colti-vazione delle specie officinali.Sulla base di tali obiettivi l’organizzazione esecutiva del progetto, curata dal Dipartimento di

Scienze Ambientali - Sezione di Botanica ed Ecologia (UNICAM), è stata suddivisa nelle seguenticinque fasi, ognuna articolata nello svolgimento di specifiche attività come viene di seguito descritto.

Fase 1 – Studi e ricerche preliminari1) caratterizzazione ecologico-ambientale del territorio del GAL Sibilla;2) individuazione di un pool di specie ecologicamente compatibili e potenzialmente coltivabili in

tale territorio;3) analisi preliminare di mercato tesa all’individuazione dei possibili sbocchi commerciali delle col-

tivazioni ed all’individuazione delle specie di maggior interesse commerciale nei settori erbori-stici, alimentari, ecc.;

4) ricerche etno-botaniche volte alla conoscenza dell’uso tradizionale delle specie officinali sponta-nee nel territorio dell’alto maceratese;

5) individuazione, sulla base di quanto emerso ai punti 1, 2, 3, dei campi sperimentali (in numerodi quattro) e delle specie per le quali effettuare la sperimentazione di campo (in numero di sei);

6) definizione dei protocolli sperimentali di coltivazione.

Fase 2 – Allestimento dei campi sperimentali (I ciclo colturale)1) avvio della sperimentazione mediante semina o trapianto delle specie definite al punto 5 della

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fase 1, secondo le tecniche più accreditate in bibliografia e rispettando il protocollo sperimentale;2) monitoraggio dei cicli colturali e delle pratiche agronomiche attuate e/o consigliate.

Fase 3 – Analisi ed elaborazione dei dati di campo1) analisi quantitativa e qualitativa dei risultati ottenuti nel I ciclo colturale;2) eventuale integrazione e/o modifica delle specie sperimentate e correzione delle ipotesi sperimentali.

Fase 4 – Allestimento dei campi sperimentali (II ciclo colturale)1) avvio della seconda fase della sperimentazione analogamente a quanto realizzato in fase 2, adot-

tando le eventuali modifiche resesi necessarie;2) monitoraggio dei cicli colturali e delle pratiche agronomiche attuate e/o consigliate.

Fase 5 – Analisi ed elaborazione dei dati di campo (II ciclo colturale)1) analisi quantitativa e qualitativa dei risultati ottenuti nel I e nel II ciclo colturale;2) analisi e valutazione dei processi di filiera;3) divulgazione dei risultati del progetto.

Tutte le cinque fasi sono state accompagnate da una serie di attività divulgative e di animazione;di seguito sono elencati gli eventi di maggior rilievo.– Gennaio 2004, sede del GAL Sibilla di Camerino, incontro di presentazione del progetto, pre-

senti i rappresentanti di: Comunità Montane di Camerino, San Severino e San Ginesio, ParcoNazionale dei Monti Sibillini, ASSAM, CERMIS, GAL Sibilla e UNICAM.

– Febbraio 2004, Sala Consiliare della Provincia di Macerata, conferenza stampa di presentazionedel progetto, presenti i rappresentanti di: enti locali, associazioni di categoria, associazioniambientaliste, quotidiani, radio, TV, istituti scolastici.

– Aprile 2004, Dipartimento di Scienze Ambientali - Sezione di Botanica ed Ecologia dell’Uni-versità di Camerino, seminario “Agricoltura e ambiente nelle aree montane”, presenti: docenti estudenti dell’ Istituto Tecnico Agrario di Macerata, studenti del corso di specializzazione “Gestionedelle aree protette” di UNICAM, titolari delle aziende oggetto della sperimentazione, rappresen-tanti delle associazioni di categoria, rappresentanti del Parco Nazionale dei Monti Sibillini.

– Maggio 2004, Abbazia di San Eutizio, Preci (PG), presentazione del progetto nell’ambito dell’in-contro promosso dal Parco Nazionale dei Monti Sibillini sul tema “Le politiche agricole deiParchi”, presenti: rappresentanze di vari parchi nazionali e regionali italiani, Enti, Istituzioni,associazioni agricole e ambientaliste.

– Maggio 2004, Azienda Agricola Torzolini Filippo di Morro d’Oro (Teramo), visita didattica algiardino botanico – officinale, presenti: rappresentanti del gruppo di coordinamento, rappresen-tanti delle associazioni di categoria, proprietari dei campi oggetto della sperimentazione, rappre-sentanti delle Comunità Montane, docenti e studenti dell’Istituto Tecnico Agrario di Macerata.

– Dicembre 2004, ristorante “La Foresteria” di Abbadia di Fiastra, incontro seminariale con degu-stazione di piatti arricchiti con gli aromi delle piante officinali sperimentate, presenti i rappresen-tanti di: giunta regionale e provinciale, Università di Camerino, Parco Nazionale dei Monti Sibil-lini, associazioni di categoria, Comunità Montane, istituti scolastici, quotidiani, radio, TV locali.

– Dicembre 2004, sala Convegni Abbadia di Fiastra, divulgazione del progetto nell’ambito delconvegno organizzato dal CERMIS su “Recupero delle produzioni agro-alimentari nell’area diazione del GAL Sibilla”, presenti: Università, istituti di ricerca, Enti e Istituzioni varie, associa-zioni agricole e ambientaliste, docenti e studenti dell’Istituto Tecnico Agrario di Macerata, agri-coltori.

– Marzo 2005, sala consiliare Comunità Montana dei Monti Azzurri di San Ginesio, seminario

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“Esperienze e nuove proposte nel settore agricolo”, presenti i rappresentanti di: enti locali, asso-ciazioni di categoria, aziende agricole locali.

– Maggio 2005, intervento presso la Scuola Regionale Alberghiera di Tolentino con presentazionedel progetto nell’ambito del convegno “Sinergie per la valorizzazione e la salvaguardia del terri-torio: agricoltura e turismo nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini”, organizzato dal P.N.M.S.-progetto Agricoltura Sostenibile. Presenti: operatori turistici e della ristorazione, ComunitàMontane di Camerino e San Severino, Università di Camerino, associazioni di categoria.

– Maggio 2005, Sala Convegni dell’Abbadia di Fiastra, presentazione del progetto nell’ambito del-l’iniziativa Herbaria con presenza di un folto pubblico eterogeneo.

– Giugno 2005, Giardino Botanico di Oropa, Biella, presentazione del progetto e dei primi risulta-ti sperimentali nell’ambito delle giornate di studio su “Tradizione, scienza, culture della fitoterapia”.

– Settembre 2005, Parco Nazionale dello Stelvio, Rabbi, presentazione del progetto e dei primirisultati sperimentali nell’ambito di un Convegno internazionale sul paesaggio di montagna edi suoi cambiamenti.

– Novembre, 2005, Muccia, allestimento di uno stand informativo e divulgativo sulla sperimenta-zione relativa allo zafferano, nell’ambito dell’evento “Le terre del Tartufo”.

– Dicembre 2005, Norcia, presentazione del progetto e dei risultati sperimentali nell’ambito delconvegno di chiusura del Progetto di Agricoltura Sostenibile del Parco Nazionale dei MontiSibillini.

– Febbraio 2006, Dipartimento di Scienze Ambientali - Sezione di Botanica ed Ecologia dell’Uni-versità di Camerino, incontro con le erboristerie della Provincia di Macerata, presenti: titolaridelle erboristerie, rappresentanti delle associazioni di categoria, proprietari dei campi oggettodella sperimentazione.

IPOTESI SPERIMENTALICome evidenziato nelle premesse, il progetto “Recupero, sperimentazione e promozione di piante

officinali e medicinali” nell’area del GAL Sibilla si inserisce in maniera estremamente coerente nelquadro delle esigenze segnalate dal territorio. Infatti, l’obiettivo principale del progetto era quello diarrivare, dopo il biennio di sperimentazione, alla raccolta di informazioni, esperienze ed idee da met-tere a disposizione delle aziende agricole locali che intendessero valutare la possibilità di introdurrenel proprio ordinamento colturale, anche la coltivazione delle specie officinali.

In relazione a queste premesse, la sperimentazione si è principalmente orientata su due ambitidi indagine: verificare l’effettiva adattabilità delle specie alle condizioni stazionali delle sedi diimpianto scelte; valutare la praticabilità e la resa della coltura, soprattutto in relazione agli aspetti tec-nico operativi della pratica colturale ed agli effetti sull’organizzazione aziendale in relazione alle pecu-liarità e novità di questo tipo di filiera.

In particolare, l’indagine a carattere agronomico ha concentrato l’interesse su due specifici fattori,entrambi fondamentali e concorrenti nel determinare la resa in condizioni di coltivazione: l’impor-tanza della competizione (intraspecifica ed interspecifica) e la disponibilità nutrizionale. Da questascelta sono derivate le due prove agronomiche basate rispettivamente sugli obiettivi di:– verificare l’effetto della densità di impianto sul controllo delle infestanti e sulla resa delle colture;– verificare l’effetto di una concimazione organica sulla risposta produttiva delle piante.

L’obiettivo della prima prova è stato quello di valutare gli effetti di diverse distanze sulla fila etra le file, in relazione alle migliori performances produttive delle specie sia in termini quantitativiche qualitativi, valutandone le conseguenze in relazione alla minore competizione intraspecifica, almiglior contenimento naturale delle specie indesiderate (competizione interspecifica), alla ottimizza-zione delle operazioni meccaniche di controllo delle infestanti.

La seconda prova, che riguardava la concimazione, aveva l’obiettivo di valutare la risposta pro-

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duttiva di parcelle e sub-parcelle trattate con dosi diverse di concime organico, distribuito a secondadelle esigenze nutrizionali delle singole specie riportate in letteratura e sulla base della fertilità poten-ziale dei terreni, valutata sulla base di apposite indagini analitiche.

LE SPECIE SPERIMENTATELe specie vegetali sottoposte a sperimentazione sono state scelte sulla base di requisiti di compa-

tibilità ecologica con le unità ambientali preventivamente individuate nel territorio di riferimento,facilità di coltivazione, richiesta da parte del mercato, opportunità di valorizzazione del prodotto.Sulla base di tali considerazioni, a partire da una lista preliminare di oltre cinquanta specie si è giuntialla scelta delle sei di seguito descritte.

Anice verde (Pimpinella anisum L.)Caratteristiche botaniche. L’anice verde è una pianta annuale appartenente alla famiglia delle

Apiaceae, che può raggiungere il metro di altezza, ma che in genere non supera i 60 cm. Il fusto, cavo,è rotondeggiante e spesso pubescente; le foglie basali con lunghi piccioli, sono reniformi e dentate,le intermedie sono trifogliate e dentate, mentre le superiori sono bi-tri-pennatosette lineari o intere.I piccoli fiori bianchi-giallognoli sono disposti in ombrelle. La fioritura è estiva; il frutto è formato

da due acheni ovoidali copertidi peli setolosi.

Habitat. È una specie origi-naria dell’Egitto e delle regionidel Mediterraneo orientale.Cresce in terreni asciutti, poverie marginali. In Italia si è larga-mente diffusa e cresce spontanea.

Storia. È una delle più anti-che spezie coltivate, soprattuttoal fine di prevenire e curare indi-gestioni, dagli egizi, dai greci,dagli arabi e dai romani; Vir-gilio ne riporta l’uso per aroma-tizzare liquori e pietanze. I suoipregi erano tali da venir utiliz-zata per pagare le tasse. Nel Me-dioevo trovò impiego come car-minativo e nella composizionedi miscele afrodisiache.

Parti utilizzate. Si utilizzano ifrutti.

Proprietà. I principi attivisono costituiti da resine ed olii

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Anice verde (Pimpinella anisum)

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essenziali rappresentati principalmente dall’anetolo.Ha proprietà carminative, galattogene, digestive edemmenagoghe. Il decotto dei suoi semi è efficace incaso di perdita d’appetito e come calmante neglispasmi delle vie digerenti, specie nelle coliche asso-ciate a flautolenza ed in quelle dei bambini per iquali è consigliato da Chomel contro i lievi disturbinervosi (vertigini, incubi, palpitazioni ecc). L’anicefavorisce la secrezione lattea ed il latte delle nutriciche lo utilizzano ed ha il potere di calmare le coli-che dei lattanti. Le crisi asmatiche, un tempo, veni-vano calmate fumando sigarette di semi di anice;attualmente viene utilizzato come espettorante nellapreparazione di pastiglie della tosse. I semi di anicesono tra gli ingredienti di vari “vini medicinali”come il Vino di anice verde, coriandolo, cannella efinocchio contro meteorismo e flautolenza, ed ilVino con liquerizia, anice ed eucalipto contro latosse. L’olio essenziale viene frequentemente usatoin farmacia per correggere il sapore e/o l’odorepoco gradevole di altri principi. In cosmesi è previ-sto l’utilizzo dell’olio essenziale come aromatizzantedi dentifrici, saponi, creme e lozioni.

In cucina. L’anice entra in un gran numero dipreparazioni culinarie tra le quali la più nota è sicu-

ramente il liquore Anisette, che nel maceratese è sostituito dal famoso Mistrà. Anche la pasticceriafa un largo uso di semi di anice che vengono inseriti nella preparazione di molti dolci e biscotti; trai più noti nella zona, le ciambelline di zucchero ed anice ed i tipicamente autunnali filoni di mosto.Le foglie possono essere utilizzate insieme ad altre erbe spontanee per preparare insalate campagnole.Nella zuppa di pesce francese “Bouillabaisse” i semi di anice sono uno degli ingredienti fondamentali.

In amore. Molto apprezzati nel secolo scorso erano gli “anici”, piccoli confetti costituiti da semi rive-stiti di zucchero, con i quali le brave ragazze dimostravano di saper prendere un uomo per la gola.

Cardo mariano (Sylibum marianum (L.) Gaertn.)Caratteristiche botaniche. È una specie biennale che può superare il metro di altezza, appartenente

alla famiglia delle Asteraceae. Le foglie, lunghe circa 30 cm, sono macchiate di bianco, hanno marginedentato ed i lobi sono provvisti di robuste spine. I capolini, a base concava, possono raggiungere gli8 cm di diametro e sono formati da fiori rossastri caratterizzati da squame con base ovale che si pro-lunga in un’appendice rigida e pungente. La radice è un fittone di colore biancastro. Il frutto è unachenio liscio e provvisto di pappo. Fiorisce all’inizio dell’estate.

Habitat. È una specie a carattere seminfestante, particolarmente diffusa nell’area Mediterraneaed in principal luogo nel Sud e Centro Italia. Si può facilmente osservare nei campi incolti, nei pascoli,lungo i margini dei sentieri.

Storia. Deve il suo nome ad un’antica leggenda secondo cui le macchie bianche delle sue fogliesarebbero il ricordo del latte della Vergine caduto sulla pianta sotto le foglie della quale aveva nascostoGesù, durante la fuga in Egitto. Fin dall’antichità fu utilizzata per regolarizzare la funzionalità epaticae nell’alimentazione del bestiame.

Parti utilizzate. Si utilizzano le foglie, la radice e i semi.

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Anice (da Horthus romanus, 1774)

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Proprietà. Le proprietà sono dovute ai principiattivi silimarina, tiramina, acido linoleico ed oleico.Il Cardo mariano è un ottimo epatoprotettore cheentra nel ripristino funzionale delle membrane cel-lulari degli epatociti; viene utilizzato nelle epatitiacute ed infettive, nella cirrosi epatica, nelle intos-sicazioni epatiche da alcool. È antiastenico, antie-morroidario e vasocostrittore, antipiretico, antios-sidante e antiemorragico.

In cucina. I germogli centrali possono essere con-diti in insalata a primavera, quando sono ancoramolto teneri, mentre i capolini fiorali possonoessere utilizzati alla pari di quelli del carciofo. Lefoglie ed i fusti possono essere usati in cucina, masolo dopo averli trattati con estrema cautela. Lefoglie giovani devono essere private delle spine ebollite, mentre i fusti, una volta decorticati, devonoessere bolliti avendo cura di cambiare più voltel’acqua per eliminare il sapore amaro, e poi cotti al

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in alto - Cardo mariano in fiore (Sylibum marianum)a lato - Cardo mariano (da Matthioli, 1604)

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vapore per renderli teneri. Ridotti in poltiglia sipossono anche impastare a mo’ di gnocchi.

In amore. Per scoprire se un amore segreto siacorrisposto o meno, in occasione della festa di SanGiovanni si deve cogliere un capolino in piena fiori-tura e, dopo averlo bruciacchiato, lo si deve esporretutta la notte della vigilia in un bicchiere d’acqua, sesi ravviva l’amore è corrisposto.

Malva (Malva sylvestris L.)Caratteristiche botaniche. È una pianta erbacea

biennale o perenne della famiglia delle Malvaceae,che può raggiungere anche il metro di altezza. Haradice affusolata e carnosa che mostra diramazionisecondarie. Il fusto è cilindrico, eretto o prostrato,più o meno ramificato e lievemente pubescente.Le foglie picciolate sono tondeggianti e divise in5-7 lobi, presentano sulla pagina superiore pelisemplici o ramificati. I fiori di colore rosa-violaceo

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in alto - Malva in fiore (Malva sylvestris)a lato - Malva (da Matthioli, 1604)

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sono raccolti in fascetti ascellari, hanno la corolla formata da cinque petali, il calice di sei sepali e unpeduncolo lungo alcuni cm. Il frutto è costituito da numerosi acheni a forma di spicchio.

Habitat. Cresce spontaneamente su terreni particolarmente ricchi in nitrati, in zone erbose e benesposte, quali i margini delle strade o i prati annessi alle abitazioni che vengono arricchiti dalla fio-ritura che si protrae da marzo ad ottobre.

Storia. Dioscoride la consigliava sia per i disturbi dell’apparato digerente che per le punture degliinsetti. I Romani sfruttavano le proprietà evacuanti ed antinfiammatorie della malva dopo lauti pranziassociati a generose bevute. Nell’VIII secolo si riteneva che la sua presenza in casa fosse sufficienteper guarire tutti i mali; in realtà il suo nome avrebbe derivazione dal latino malum va cioè il male va via.È una delle quattro specie bechiche delle antiche farmacopee: malva, altea, parietaria e tasso barbasso.

Parti utilizzate. Della malva si utilizzano foglie, fiori e radici. Proprietà. I principi attivi sono rappresentati da mucillagini, tannini, antociani, malvina, vitamine

A, B, C, resine e pectine. Le foglie si raccolgono prima della fioritura, i fiori si raccolgono in boccio,mentre le radici debbono essere estratte in inverno. I principi attivi presenti nelle foglie e nei fioriattribuiscono alla malva proprietà antinfiammatorie, leggermente lassative, emollienti e lenitive.Trova applicazione come infuso nei casi di iperacidità gastrica, nelle coliti, nelle bronchiti e nelle cistiti.L’uso esterno come colluttorio è previsto nei casi di ascessi dentari, stomatiti, nei gargarismi, nelleinfiammazioni agli occhi ed anche come lavanda vaginale, mentre le foglie ed i fiori cotti vengonoutilizzati nei casi di arrossamento e prurito cutaneo e per facilitare la maturazione di foruncoli e di orza-ioli. Aggiungendo all’acqua del bagno il decotto di fiori e foglie si ottiene un effetto emolliente edidratante. La radice, che ha proprietà leggermente analgesiche, viene sfruttata in farmacia, ma strofinatasulle gengive aiuta anche la pulizia dei denti, trova infatti impiego nella preparazione di dentifrici.

In cucina. Si possono utilizzare le foglie più tenere ed i germogli per insalate, cotte con altre erbe,o per preparare delle frittate, ma in quantità moderata visto il potere lassativo. Le foglie, private dellacostolatura e bollite, possono essere impiegate nella preparazione di risotti, minestre e supplì. I boc-cioli vengono marinati in aceto e serviti come condimento.

In amore. Si dice che un mazzetto di malva messo davanti alla casa, faciliti il ritorno di un amoreche ci ha lasciato. Nel De secretis mulierum di Alberto Magno si riporta un singolare utilizzo della malvaper stabilire la verginità di una fanciulla “Fac eam mingere super quandam herbam quae vulgo dicitur malvade mane, si sit sicca, tunc est corrupta”

Citazioni. Nella traduzione delle “Regole salutari Salernitane” di Pietro Magenta si legge:“Malva detta al tempo priscofui, perché ‘l ventre ammollisco.Le mie radiche il potereHan di scior le feci intere,d’eccitar l’utero scussoe di trarne il mensil flusso”

Anche il Matthioli esalta le proprietà della malva scrivendo:“È utile la malva alle interiora, E alla vescica. Le sue foglie crude masticate con un poco di sale, E fattone impia-

stro con mele guariscono le fistole lacrimali: ma nel saldare la cicatrice s’usano poscia senza sale. ... Sedendosi nellasua decottione mollifica le durezze de i luoghi segreti delle donne: E facendone cristeri giova à i rodimenti delle budella,del sedere, E della madrice”

Nel De cultu hortorum di Columella, tradotto da Renzo Gherardini, si legge:“... la Malva che a testa china segue il sole ...” in cui si evidenzia il portamento eliotropico della pianta.

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Melissa (Melissa officinalis L.)Caratteristiche botaniche. È una pianta perenne della famiglia delle Lamiaceae. Ha rizoma lignificato,

lungo 20-30 cm e ramificato, dal quale si sviluppano steli eretti quadrangolari pubescenti alti dai 30agli 80 cm. Le foglie, peduncolate, opposte, ovali e dentate, sono di colore giallo-verdastro ed ema-nano un forte odore di limone che le ha conferito anche il nome di Cedronella. I fiori, raccolti inverticilli ascellari, hanno per lo più colore biancastro, raramente rosa o giallo. Il frutto è compostoda quattro acheni con superficie glabra e lucida, contenenti piccoli semi bruni.

Habitat. È una specie originaria dell’Europa meridionale e centrale e di tutta l’area mediterranea.Cresce su terreni ricchi e con buona esposizione, freschi e lievemente ombrosi.

Storia. Il nome deriva dal termine greco “melissophilon” cioè “amica delle api” dato che tali insettiamano molto i suoi fiori gradevolmente dolci. Nel X secolo, gli arabi la introdussero come piantamedicinale per curare gli stati d’ansia e depressivi.

Parti utilizzate. Si utilizzano le foglie fresche o essiccate, le sommità fiorali e l’olio.Proprietà. I principi attivi sono rappresentati da resine, sostanze amare e dall’olio essenziale con-

tenente geraniale e nerale, cariofillene, geraniolo, citronellolo. La melissa ha azione carminativa, anti-spasmodica, stomachica, emmenagoga, diaforetica ed ansiolitica. Possiede inoltre un lieve effetto anti-virale, antifungino e batteriostatico. Viene utilizzata contro le gastralgie, le coliche intestinali lievi e leinsonnie di origine nervosa. Per uso esterno ha proprietà astringenti e cicatrizzanti, sfruttata controle punture d’insetto. L’essenza è spesso impiegata nella preparazione dei profumi. Un tempo se nesfruttavano le proprietà delsucco per rinforzare i capelli eper tingerli fissando il colore conl’aggiunta di qualche gocciad’ammoniaca. Facendo maceraredei rametti di melissa in vino ograppa si ottengono Vino eGrappa di melissa utili contro idisturbi digestivi.

In cucina. Le foglie crude pos-sono essere inserite nelle insalateo nella preparazione di minestre.Viene utilizzata anche come aro-matizzante nella preparazione diliquori digestivi quali l’Acqua dimelissa delle suore carmelitanee il Liquore di Francia dei mo-naci benedettini. L’estratto dimelissa viene utilizzato anchecome aromatizzante per dolci eprodotti da forno.

In amore. Alcuni rametti dimelissa negli armadi, oltre ascacciare le tignole, profumanola biancheria, particolarmentele lenzuola conferendo così altalamo un soave profumo.

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Melissa (Melissa officinalis)

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Tarassaco (Taraxacum officinale Weber)Caratteristiche botaniche. È una pianta erbacea perenne della famiglia delle Asteraceae con radice a

fittone. Gli steli fiorali, semplici e senza foglie, sono alti fino a 40 cm e portano capolini di fiori gialli; lafioritura si protrae da febbraio a ottobre. Le foglie basali a rosetta possono essere erette o prostratea terra; hanno forma lanceolata ed irregolarmente incisa con apice triangolare.

Habitat. Cresce praticamente ovunque, dalle coste ai 2000 metri di altitudine.Storia. Il tarassaco o dente di leone venne descritto per la prima volta dai medici arabi Rhazes e

Avicenna e fu molto apprezzato anche dai Greci. Nella tradizione popolare le speranze di veder rea-lizzati i propri desideri da bambini restano per molti legati alla capacità di ciascuno di riuscire a farvolare via con un sol soffio l’intero pappo del fiore.

Parti utilizzate. Si utilizza soprattutto la radice, ma anche le foglie allo stato fresco.Proprietà. I principi attivi sono rappresentati da lactucopricrina, flavonoidi, xantofille, inulina, lat-

toni sesquiterpenici, vitamine del gruppo B. Ha azione diuretica e colagoga incrementando la secre-zione biliare. Previene la formazione di calcoli biliari. Ha proprietà digestive ed antiemorroidarieessendo un blando lassativo. Il suo effetto ipocolesterolizzante lo rende efficace contro l’aumento delcolesterolo e dei trigliceridi oltre che nel trattamento della cellulite. Se ne riportano anche effetti incaso di artrosi. La sua azione disintossicante si riflette anche sulla cute rendendo le pelli impure piùfresche e luminose. In cosmesi se ne utilizza l’infuso di fiori per schiarire le efelidi. Si ottengono Vinialle foglie e alle radici di tarassaco, utilizzati rispettivamente contro l’atonia e l’insufficienza epatica.

In cucina. Entra nella preparazione di tipiche insalate miste primaverili, alle quali conferisce unsapore amarognolo, oltre che cotto insieme ad altre erbe selvatiche. I bottoni fiorali, trattati con salee aceto, si usano come i capperi.

In amore. Anche in amore si ritiene che se con un solo soffio tutti gli acheni volano via, il benea-mato si accorgerà del nostro interessamento e cederà al corteggiamento.

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a lato - Melissa (da Hortus romanus, 1774) in basso - Tarassaco (Taraxacum officinale)

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Valeriana (Valeriana officinalis L.)Caratteristiche botaniche. Pianta erbacea peren-

ne della famiglia delle Velerianaceae, con steli lun-ghi e scanalati che vanno da 50 cm fino a 2 m dialtezza. I piccoli fiori rosa sono raggruppati incorimbi terminali. Le foglie pennate e sessilisono disposte su due ranghi, opposte le apicali ea rosetta le basali. È dotata di rizoma sotterraneoovoidale di colore giallo-bruno, da cui partononumerose radici dallo sgradevole odore simile aquello dell’orina di gatto. Il frutto è un achenioovoidale e striato.

Habitat. Predilige terreni abbastanza umidi esoddisfatta questa necessità cresce sia nei boschiche nelle radure o in pianura.

Storia. Più che di storia va qui citata la leg-genda secondo la quale il Pifferaio magicodovesse i suoi poteri oltre che alla musica, ancheai rametti di valeriana che teneva in tasca. Inpassato veniva utilizzata come febbrifugo in sosti-tuzione del chinino.

Parti utilizzate. Si utilizza il rizoma di piante dialmeno 2 o 3 anni.

Proprietà. I principi attivi sono rappresentati da olio essenziale contenente acido valerianico, vele-rianato di bornile, pinene, bornile, resine e tannini. Come infuso o tintura viene sfruttata per le sueproprietà antispasmodiche ed anticonvulsivanti, antinevralgiche, sedative, antiepilettiche, vermifu-ghe e carminative. Il decotto delle radici viene utilizzatoper calmare dolori articolari e contusioni, oltre che piaghee foruncoli. L’eccessivo uso può originare dipendenza.

In cucina. Viene utilizzata per la preparazione di bevandealcoliche (liquori, birra) ed analcoliche, dolci, gelatine,caramelle e budini.

In amore. Sembrerebbe che qualche rametto appuntatoal petto di una donna induca gli uomini a seguirla docil-mente. Ma anche gli uomini possono contare sull’aiutodella valeriana per vincere la resistenza di una donna ritrosa,lanciando in direzione dell’abitazione della donna una pol-vere composta di foglie secche di maggiorana, valeriana,salvia e verbena, raccolte prima dell’alba del 24 giugno.

Citazioni. Nella raccolta “I canti di Castelvecchio” diGiovanni Pascoli, si ritrova una poesia intitolata Nebbia incui leggiamo i seguenti versi:

“Nascondi le cose lontane,tu nebbia impalpabile e scialba, .....Ch’io veda soltanto la siepe dell’orto,la mura ch’ha piene le crepedi valeriana”

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Valeriana (Valeriana officinalis)

Valeriana (da Manoscritto 18, sec. XV)

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SPERIMENTAZIONE AGRONOMICA

Individuazione degli appezzamentiL’individuazione degli appezzamenti idonei ad ospitare le parcelle sperimentali, ha richiesto un

sopralluogo preliminare presso le aziende selezionate allo scopo di valutare in loco e in maniera sin-tetica, le caratteristiche pedologiche, topografiche ed agronomiche dei vari siti proposti e disponibili.In quella sede si è tenuto conto, oltre alle evidenti necessità di carattere organizzativo aziendale,anche di aspetti di tipo spaziale, logistico e metodologico, funzionali all’esecuzione delle prove(dimensione dei campi, precessione colturale, prossimità tra le diverse specie in funzione dei ciclivegetativi, prossimità con il centro aziendale e possibilità di vigilanza, ecc.). Dal punto di vista agro-nomico i vari appezzamenti sono stati selezionati, in sede di sopralluogo, valutando principalmentel’aspetto pedologico e scegliendo quelli caratterizzati da suoli aventi le migliori proprietà fisiche, inrelazione alle esigenze delle specie da testare.

Sulla base di tali considerazioni i siti prescelti sono stati i seguenti: Azienda agricola AngeliMirko, località Capriglia, Pievetorina (MC); Azienda agricola Bonfada Stefano, località Podalla,Fiastra (MC); Azienda agricola “Bioagriturismo Rambona”, di Cuccagna Luigi e Renzo s.s., locali-tà Rambona, Pollenza (MC); Azienda agricola Di Luca Federica, località Vallato, San Ginesio (MC).

In generale, i suoli deisiti sperimentali sono con-traddistinti dalle seguenticaratteristiche. Tessitura: fraargillosi e tendenzialmenteargillosi, pur con diversapresenza di scheletro. Ph:leggermente alcalino. Calcareattivo: fra elevato e moltoelevato. Sostanza organica: framedia ed elevata. Fosforo assi-milabile: medio (Capriglia),molto basso (Vallato), basso(Podalla), molto elevato(Rambona).

In pratica, il parame-tro di maggiore variabilitàè quello del fosforo assimi-labile, mentre tutti gli altrisi mantengono in un range

di valori abbastanza ristretto. A tal proposito deve essere ricordato che i terreni argillosi, grazie allaloro elevata capacità di ritenzione idrica, si riscaldano con difficoltà in primavera e di conseguenzarendono più difficile l’assorbimento del fosforo da parte delle piante, anche se in realtà la disponibi-lità di fosforo assimilabile nel terreno, dipende dalla quantità di calcare attivo presente, a causa delben noto fenomeno della insolubilizzazione provocato da questo sale.

Altro carattere con una notevole variabilità è la presenza di scheletro, un aspetto strettamenteassociato alla natura dei processi pedogenetici e tipico di una caratterizzazione del pedopaesaggio lar-gamente rappresentato nella fascia del territorio maceratese dei substrati Marnoso-Calcarei tra i 450e i 900 metri di altitudine. La presenza di scheletro è fortemente collegata al grado di marginalità deiterreni; infatti, all’aumentare dello scheletro diminuisce la terra fine e quindi la capacità produttivadel terreno, mentre possono aumentare le perdite di azoto e potassio, l’insolubilizzazione del fosforo

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Capriglia Podalla

Rambona Vallato

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e l’ossidazione della sostanza organica, per cui il tenore in humus risulta probabilmente inferiore aquello normalmente riscontrabile in suoli aventi analoga composizione granulometrica della terrafine. I terreni ricchi di scheletro sono in genere anche poco profondi e spesso fanno parte di quellarete poderale di media e alta montagna, decisamente extra-marginali per le produzioni ordinarie,attualmente occupati da prati permanenti fuori rotazione e in via di abbandono. La presenza di sche-letro è da considerare “abbondante” nel sito di Vallato, “sensibile” in quello di Podalla, “irrilevante”negli altri casi.

Nella tabella 1 sono riportati sinteticamente gli elementi descrittivi dei siti sperimentali.

Densità di investimentoLa metodologia per l’impianto e la realizzazione della sperimentazione si è basata sul protocollo

sperimentale redatto dal CERMIS (Centro Ricerche e Sperimentazione per il MiglioramentoVegetale “N. Strampelli”). Il documento è stato elaborato sulla base delle due ipotesi di confrontoagronomico individuate: “densità di impianto” e “concimazione”.

Tra il primo ed il secondoanno si è resa necessaria unarevisione del protocollo speri-mentale, sulla base delle espe-rienze maturate nell’anno prece-dente, modificando lo schemaparcellare ed alcuni aspetti relativiai rilievi sui prodotti raccolti.

Per tutte le specie in provalo schema sperimentale è statorealizzato a parcelle suddivise.L’unità parcellare, composta di4 file, aveva una dimensioneall’impianto di 20 metri lineari dilunghezza e con una larghezza dim 2,0 e m 2,8, a seconda che l’in-terfila fosse di 50 cm o di 70 cm.

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Tab. 1 - Elementi descrittivi dei siti sperimentali

Schema di campo delle parcelle e subparcelle sperimentali

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La superficie totale di ogniparcella era quindi di 40m2 per la tesi a maggior fit-tezza e di 56 m2 per la tesia minor fittezza.

Se a questa superficiesi aggiunge il metro didistanza tra un sesto d’im-pianto e l’altro, complessi-vamente ad ogni specie eradestinata un’area di 116 m2.

I sesti d’impianto uti-lizzati e lo schema parcellaresono riportati rispettiva-mente in tabella 2 ed infigura 1.

Prova di concimazioneLa prova di fertilizzazione è stata impostata tenendo conto delle diverse esigenze nutrizionali delle

specie in esame, assunte sulla base delle informazioni reperite nelle varie bibliografie disponibili.Nel calcolo delle unità fertilizzanti da somministrare si è inoltre tenuto conto del livello di ferti-

lità dei terreni ricavato dalle analisi fisico-chimiche. A tal fine, ogni parcella colturale è stata concimataper metà, mentre l’altra metà è stata destinata a testimone, quindi senza alcun apporto nutrizionale.Le unità fertilizzanti sono state distribuite utilizzando un solo tipo di concime organo-minerale auto-rizzato in agricoltura biologica, contenente tutti e tre i macroelementi (N-P-K) come da tabelle suc-cessive, e di cui si allega la scheda tecnica. Le concimazioni sono state effettuate sull’interfila per lespecie già presenti, interrando leggermente il fertilizzante, ma facendo attenzione di evitare il direttocontato con l’apparato radicale. Per le specie di nuovo trapianto o semina, il fertilizzante è stato distri-buito “a pieno campo” sulla parte di parcella interessata alla prova ed interrato leggermente. Il con-cime utilizzato è stato: Progress Micro (ILSA). Titolo N–P–K: 6 – 5 – 13.

Di seguito, nelle tabelle 3a, 3b, 3c, 3d, si riportano gli schemi delle parcelle nei diversi siti diimpianto del 2005 dove si evidenziano le precessioni (in blu), la specie in coltivazione (in verde), laparte di parcella non concimata (testimone) e la porzione di parcella concimata con indicazione delladose di fertilizzante effettivamente distribuita. La porzione di parcella dove è stato distribuito il fer-tilizzante era di 58 m2, nel caso della mezza parcella, 116 m2 con la parcella intera.

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Tab. 2 - Sesti d’impianto utilizzati

Fig. 1 - Schema parcellare dei campi sperimentali

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Tab. 3a

Tab. 3b

Tab. 3c

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Modifiche e adattamenti sperimentaliPer l’anno 2005, sulla base dell’andamento delle prove svolte nell’anno 2004, si è ritenuto oppor-

tuno sostituire una delle aziende originarie, a causa delle incompatibilità di tipo logistico ed operativo. Si è pertanto reso necessario inserire nella sperimentazione una nuova azienda, nella scelta della

quale si è ritenuto interessante valutare le colture officinali all’interno di un ordinamento colturalespecializzato, come le colture orticole, privilegiando aziende con una conduzione a carattere familiare.

Tra le aziende contattate è stata selezionata l’Azienda agricola “Bioagriturismo Rambona” diCuccagna Luigi e Renzo s.s., in località Rambona, nel Comune di Pollenza.

Rispetto al primo anno, inoltre, è stato necessario modificare in parte gli schemi parcellari ini-ziali per esigenze sperimentali conseguenti sia alle regole di successioni per le colture annuali, sia allanecessità di ricostituire alcune parcelle eccessivamente diradate.

Sul piano sperimentale, quindi, va precisato che i dati delle specie officinali da foglia, malva emelissa, e da semi (acheni), cardo mariano e anice verde, sono riferiti a cicli colturali annuali, men-tre nel caso del tarassaco e valeriana la sperimentazione, con le modifiche apportate allo schema col-turale, ha preso in considerazione sia il ciclo biennale che quello annuale. Una tale scelta si motivacon il fatto che un biennio di coltivazione per una coltura agricola erbacea potrebbe risultare pocosostenibile in termini economici per un’azienda coltivatrice, mentre un anticipo della raccolta alprimo anno potrebbe non essere giustificato dal livello di reddito realizzabile.

Tipologia del materiale di propagazione utilizzatoNel primo anno di sperimentazione, il protrarsi della stagione piovosa primaverile ed il ritardo

delle procedure amministrative, rispetto alle esigenze operative della sperimentazione, hanno impe-dito la tempestiva ed ottimale preparazione dei terreni selezionati. Si è pertanto preferito utilizzaremateriale di propagazione costituito da piantine in alveolo provenienti da semenzai seminati a fineinverno, nonostante la ben nota possibilità della semina diretta per alcune delle specie individuate(tarassaco, cardo mariano, anice verde e malva), addirittura preferibile per l’anice.

Le piantine sono state fornite dal vivaio in plateaux alveolari di polistirolo da 160 fori nellaprima decade di maggio e subito destinate alle diverse aziende sedi dei campi sperimentali.

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Tab. 3a, 3b, 3c, 3d - Schema sperimentale delle prove di concimazione

Tab. 3d

Page 34: piante Officinali

Per i siti al secondo anno di sperimentazione, la richiesta di fornitura di nuove piantine ha riguar-dato tutte le specie annuali (malva e cardo mariano), mentre per quelle biennali limitatamente alleesigenze di ricostituzione delle parcelle diradate (tarassaco e valeriana).

Solamente per l’anice verde, visto il comportamento negativo delle piantine in tutti i siti nelcorso dell’annata 2004 (come verrà illustrato in seguito), si è ritenuto di ricorrere, nel 2005, allasemina diretta manuale e meccanica.

Nella nuova sede di impianto, sita in località Rambona, è stato ripreso lo schema parcellare delprimo anno, mettendo a dimora le piantine delle specie annuali e biennali, tranne l’anice verde doveè stato, per l’appunto, effettuata la semina con seminatrice universale.

In questo caso i dati rilevati, pur riferendosi ad un solo anno di coltivazione, sono risultati utiliper mettere a confronto non solo un ambiente pedoclimatico compatibile con un’agricoltura di tipointensivo e un ordinamento colturale orticolo specializzato, ma anche per valutare il comportamentovegetativo e produttivo delle stesse specie annuali e di quelle biennali in coltivazione annuale.

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Plateaux contenenti le piantine delle specie sperimentate nella fase di pre-impianto

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RISULTATI DELLA SPERIMENTAZIONE

Sulla base del protocollo sperimentale redatto dal CERMIS, già utilizzato per i rilievi di campo,il materiale raccolto relativo alle diverse specie di officinali oggetto di sperimentazione è stato trattatoin laboratorio per i rilievi sul prodotto e per le analisi qualitative sul contenuto in principi attivi delleessenze.

Il prelievo dei prodotti in campo è avvenuto tagliando le piante sulle due file centrali lungo trattidi 5 metri sulla fila, intervallati da 1 metro non tagliato. In questo modo, da ogni parcella sono statiraccolti 3 campioni corrispondenti alle sub-parcelle a, b, c.

ELABORAZIONE DEI RISULTATI DI CAMPO: ANALISI QUANTITATIVEPer le specie malva (Malva sylvestris) e melissa (Melissa officinalis), una volta rilevato il peso fresco

del prodotto raccolto di ogni sub-parcella, sono stati prelevati due campioni, di cui uno da 100 gr.essiccato in stufa a 95 °C per 48 ore per il calcolo dell’umidità, l’altro di 200 gr. utilizzato per l’ana-lisi degli olii. La restante frazione è stata essiccata in serra, distesa in strati sottili su appositi fogli dicarta assorbente (carta bibula), a 35-40 °C. Infine, sia la frazione seccata in stufa che quella essiccata inserra sono state ripesate per valutare la perdita di acqua del campione.

Con la malva (Malva sylvestris), visto l’utilizzo principale come infuso da tisana, si è procedutoinizialmente ad una valutazione sulle caratteristiche delle foglie sul fresco, attraverso un indice cro-matico variabile dal verde al giallo e ad una stima percentuale sull’integrità del lembo fogliare, esclu-dendo quelle con evidenti sintomi di attacchi parassitari. Sotto l’aspetto quantitativo, invece, un para-metro utile alla individuazione del periodo migliore per il taglio in campo è sicuramente il rapportofoglie/steli, da cui dipende il maggiore o minore peso delle foglie rispetto alla massa raccolta. Per la

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Malva in fase di fioritura

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malva tale rapporto è statoquantificato sul campionedi prodotto fresco, poichéin serra sono state essiccatesoltanto le foglie di ognisubparcella.

Anche per la melissa(Melissa officinalis) il rapportofoglie/steli è di fondamentaleimportanza nella scelta del-l’epoca di taglio, soprattuttonel caso della estrazionedegli olii essenziali, dove sideve arrivare alla distilla-zione con il minor materialelignificato possibile. In que-sto caso il calcolo è statoeffettuato sul campione es-siccato in serra. Tale rap-porto può dipendere dallostadio di maturazione dellapianta, ma anche dall’altezzaa cui viene effettuato il ta-glio. Per malva e melissa ildato produttivo principale èrappresentato dal peso dellefoglie essiccate. Per quantoriguarda il cardo mariano(Sylibum marianum), in labo-ratorio sono stati pesati icapolini prodotti in ognisubparcella e formati trecampioni da 100 gr., ognuno

con un numero determinato di capolini. Sui semi estratti da questi capolini si è passati alla determina-zione sia del peso totale che del peso fresco medio di un seme. Dopo aver seccato in stufa, a 40 °Cper 24 ore, una quantità pari a 100 gr. di semi (quantità necessaria per effettuare l’analisi chimica) èstato calcolato anche il peso secco medio di un seme buono e di uno cattivo. Il cardo mariano è unaspecie tipicamente propagata per seme e come tale è importante conoscere il peso individuale dellasemente, parametro che è strettamente correlato con la grossezza del seme stesso, ed è comunementeespresso come peso in grammi di 1000 semi. Questo peso, insieme alla purezza ed alla germinabilità,consente di determinare il numero di semi vitali per chilogrammo, necessario per il calcolo della den-sità teorica di semina. Alla grandezza del seme può essere associata la quantità di principi attivi,anche se in bibliografia viene spesso riportata una correlazione inversa tra peso medio dei semi econtenuto in silimarina. Sui semi (acheni) di cardo mariano, inoltre, sono state valutate anche lecaratteristiche in termini di colore (un colore uniforme scuro indica la più idonea epoca di raccolta)e l’integrità, in relazione al contenuto di principi attivi e ad eventuali danni di natura biotica e abiotica.

Per il tarassaco (Taraxacum officinale) e per la valeriana (Valeriana officinalis), infine, il procedimentodi laboratorio è stato il seguente: dopo aver pesato le radici raccolte per ogni subparcella sono state

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Melissa in prossimità della raccolta

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effettuate, su alcuni cam-pioni random, diverse misu-razioni quali lunghezza,calibro sotto colletto e pesodi ogni radice del campioneconsiderato; tali parametrisono indicativi dello stadiodi accrescimento dell’appa-rato radicale. Successiva-mente si è passati alla essic-cazione in stufa a 95 °C, per48 ore, dei relativi campio-ni da 100 gr. di ogni sub-parcella. Per questa opera-zione le radici di tarassacosono state triturate, mentreper quelle di valeriana èstato sufficiente tagliarlecon una pezzatura di 3-10cm; dopo l’essiccazione icampioni sono stati ripesatiper valutare la perdita diacqua. Infine, dal pesomedio di una radice cam-pione si è passati alla deter-minazione della produttivitàdi ogni parcella.

Nel caso della valeria-na è stato necessario tenerconto, nella formulazionedei risultati finali, anchedell’influenza delle fallanzee della perdita di prodottoverificatasi durante le operazioni di pulitura dal pane di terra, a causa del carattere fortemente fasci-colato della radice (in realtà trattasi di un rizoma con radici avventizie). Tali parametri, espressi comevalori percentuali, hanno permesso di determinare la reale produttività delle parcelle.

In particolare, il dato sulle fallanze consente di rapportare la produzione all’effettivo numero dipiante esistenti al momento della raccolta, quello sulla perdita di prodotto è utile per correggere ilrisultato produttivo.

Al termine delle varie operazioni di laboratorio, i dati ottenuti sono stati oggetto di una ulterioreelaborazione, allo scopo di quantificare la produttività sul secco di ogni singola specie.

Come termine di riferimento della produttività si è scelto di utilizzare una SAU minima di 100m2, per cui tutti i valori relativi a questa superficie sono stati calcolati partendo dal risultato parcel-lare ottenuto realmente in campo.

Di seguito sono riportate, a titolo esemplificativo, alcune delle schede utilizzate per costruire labanca dati relativa alla sperimentazione (Tab. 4, 5 e 6), nonché la tabella sintetica dei risultati pro-duttivi riferite ad ognuna delle specie sperimentate (Tab. 7).

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Cardo mariano in fase di fioritura

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in alto - Melissa in fase di pre-fioritura in basso - Valeriana in fase di accrescimento

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Tarassaco in fase di post-fioritura

Tab. 4 - Scheda della banca dati relativa alla melissa (Campo di Capriglia)

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Tab. 6 - Scheda della banca dati relativa al tarassaco (Campo di Rambona)

Tab. 5 - Scheda della banca dati relativa al cardo mariano (Campo di Podalla)

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Tab. 7Schede sintetiche

dei risultatiproduttivi

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ELABORAZIONE DEI RISULTATI DI CAMPO: ANALISI QUALITATIVE

La melissa è stata raccolta nei campi precedentemente individuati, i campioni sono stati suddi-visi in base alla fila di raccolta (70 e 50), per ogni fila in tre blocchi e secondo i diversi periodi pri-mavera ed estate. I campioni sono stati immediatamente congelati. Le foglie di melissa ancora con-gelate sono state sezionate grossolanamente. Ogni campione esattamente pesato (25 g), è stato intro-dotto nell’ apparato di estrazione in corrente di vapore.

L’estrazione in corrente di vapore è stata spinta fino ad ottenere 150 ml di emulsione olio/acqua.Non è stato possibile il recupero diretto dell’olio essenziale, in quanto la quantità ottenuta è risultata dipochi mg. Il recupero quindi, è stato effettuato tramite estrazione con solvente. Il solvente utilizzatoè stato il cicloesano in quanto altri solventi causavano la formazione di emulzioni difficilmente sepa-rabili. L’estrazione con il cicloesano è stata ripetuta per tre volte e le aliquote riunite sono state essic-cate con Na2SO4 anidro filtrate e il solvente è stato allontanato con il rotavapor. Gli oli essenzialiottenuti sono stati esattamente pesati (Tab. 8), sciolti in 2 ml di etere etilico ed iniettati nel gas-cro-matografo e gas-massa per la determinazione quali-quantitativa dei principi attivi contenuti nellamelissa. Sono stati individuati circa 20 principi attivi tra cui citrale α-β, citronellolo e geraniolo carat-terizzanti gli oli essenziali della melissa.

I grammi espressi in percentuale degli oli essenziali presenti nei diversi campioni di Melissa supe-rano lo 0,05% limite minimo riportato dalla Farmacopea Ufficiale Francese X edizione (Tab. 8).

La raccolta delle piante di melissa in primavera non differisce significativamente nella quantità

degli oli essenziali rispetto alla raccolta in estate. L’unica eccezione la possiamo notare per il campodi Rambona (Pollenza) in cui la raccolta primaverile in entrambe le file 50 e 70 è più ricca in oliessenziali di circa il 50% rispetto a quella estiva.

Analizzando la tabella 9 possiamo notare che la percentuale p/p dei diversi principi attivi cam-bia a seconda del periodo di raccolta della melissa. In particolare il citrale α-β, il citronellolo, il gera-niolo e il citronellale aumentano nel secondo periodo di raccolta (estate) principalmente per quantoriguarda il campo di Rambona (Podalla), mentre i principi attivi, in tutte le aree di raccolta, come ilcariofillene, il germacrene e il α-cadinolo sono quantitativamente maggiori nel primo periodo (pri-mavera) rispetto al secondo (estate).

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Tab. 8 - Percentuale peso/peso degli oli essenziali presenti nella melissa proveniente da diverse aree di coltivazione,nei due periodi di raccolta e da diverse file.

Tab. 9 - Percentuale peso/peso dei principi attivi presenti negli oli essenziali nella melissa proveniente da diverse areedi coltivazione, nei due periodi di raccolta.

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RISULTATI OTTENUTI E PROBLEMATICHE INCONTRATEUna valutazione sui risultati ottenuti in questo biennio di sperimentazione non può prescindere

da una serie di considerazioni di carattere agronomico sul materiale di propagazione, sulla tecnicacolturale adottata nella conduzione dei campi e relative problematiche, sulle principali difficoltà ope-rative incontrate nel corso di alcune fasi di sviluppo delle colture, sulle influenze dei diversi tipi pedo-climatici testati.

Effetti dell’ambiente pedoclimaticoSul piano produttivo, le specie officinali prescelte per la sperimentazione hanno risposto nel bien-

nio di coltivazione in modo differenziato, mettendo in evidenza, non solo l’influenza del pedoclimadei singoli siti sperimentali (tabella 10) in termini di fertilità del terreno e capacità di adattamento

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Tab. 10 - Ambienti di coltivazione, aspetti pedoclimatici e sintesi dei risultati ottenuti.

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delle piante, ma anche l’importanza dell’applicazione di una corretta pratica agricola nella coltivazionedi queste particolari essenze, evidenziata, tra l’altro, dalla criticità di alcuni aspetti agronomici riscon-trati nelle diverse fasi di sviluppo delle piante.

In generale si può dire che tutte le specie, tranne l’anice verde, hanno dimostrato una buonacapacità di adattamento alle diverse condizioni pedoclimatiche, ma, nello specifico delle situazionitestate, il comportamento vegetativo e la risposta produttiva, a parità di tecnica colturale adottata, sisono manifestate in modo differenziato, coerentemente con le caratteristiche di marginalità più omeno spinta dei siti sperimentali.

Da questa valutazione va differenziato il dato relativo al campo di Rambona, dove le caratteri-stiche pedogentiche del substrato, le condizioni climatiche e quelle orografiche dell’area, permettonodi confrontare la produttività delle piante officinali in un contesto prossimo ad una agricoltura ditipo intensivo.

Confrontando le esigenze pedoclimatiche delle singole specie (Tab. 10) con le caratteristichepedoclimatiche dei terreni utilizzati nelle prove sperimentali, unitamente ai risultati di campo è pos-sibile effettuare alcune considerazioni generali.

Sulla malva, pur dimostrando una ampia capacità di adattamento ai diversi ambienti e unadiscreta resistenza alle intemperie, è stata osservata una certa sofferenza delle piante in condizioni diforte aridità. Allo stesso modo, l’eccesso periodico di umidità dei terreni argillosi può costituire unproblema importante, a causa dell’instaurarsi di un microclima favorevole allo sviluppo della ruggine(Puccinia malvacaerum) sulle foglie. Tale malattia si manifesta con climi caldo-umidi, soprattutto verso

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Attacco di ruggine su foglia di malva

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la fine della stagione vegetativa. La raccolta anticipata alla comparsa dei primi sintomi (pustole sullalamina inferiore e sui piccioli) è l’intervento più utile.

Anche per la melissa, climi caldo-umidi e umidità eccessiva del terreno possono predisporre lepiante ad attacchi fungini. Nel nostro caso sono stati rilevati danni dovuti a septoriosi (Septoria melis-sae) o “vaiolatura della melissa”, con le tipiche macchie fogliari che in seguito ingialliscono e poi dis-seccano, in particolare nella parte basale delle piante, probabilmente laddove c’è un maggiore rista-gno di umidità. Da notare, comunque, che la melissa è alquanto esigente in fatto di disponibilità idrica,pertanto i terreni argillosi devono essere sufficientemente drenanti e per la sua coltivazione è neces-sario poter intervenire almeno con irrigazioni di soccorso nella fase di post-trapianto o semina edopo ogni sfalcio per favorire il ricaccio. La sua sensibilità a freddi intensi si è riscontrata con dannisulle foglie all’uscita dell’inverno, ma questo fatto non ha impedito alle piante di svolgere un regolareciclo vegetativo nel corso della stagione successiva, neanche in corrispondenza dei 900 m s.l.m. circadel campo sperimentale più elevato (Podalla di Fiastra).

Sul cardo mariano non sono stati osservati particolari fenomeni di stress vegetativo che si pos-sano far risalire all’ambiente di coltivazione, tranne qualche caso di marciume da mettere sempre inrelazione con la natura argillosa dei terreni.

Al pari del cardo mariano, anche il tarassaco ha dimostrato una buona capacità di adattamento aidiversi ambienti di coltivazione. Anche su questa pianta sono stati rilevati sporadici fenomeni di mar-ciume radicale, probabilmente a causa dei terreni argillosi. Molto diffuso, invece, su quasi tutti icampi, l’attacco di oidio sulle foglie, favorito da primavere fredde e piovose. Come specie da radice,la tessitura del terreno diventa particolarmente importante nella fase di raccolta, per i motivi prece-

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Foglie di melissa danneggiate da septoriosi

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dentemente descritti. I terreni argillosi, comunque, aumentano la concentrazione di mucillaggininella radice.

La valeriana, invece, ha dimostrato di tollerare male periodi prolungati di siccità, soprattuttonel primo anno dopo il trapianto.

Molto buona è stata la sua resistenza al freddo in tutti gli ambienti testati. Per quanto concerne lafertilizzazione, la valeriana è soprattutto esigente in potassio e in questo senso i terreni argillosi pos-sono dare un notevole contributo, pur restando problematiche le fasi di escavazione delle radici(come descritto più avanti).

In definitiva, le condizioni pedoclimatiche e ambientali sono risultate piuttosto importanti (comeprevedibile) nel determinare il risultato colturale.

Aspetti agronomiciLe criticità emerse sono legate essenzialmente a cinque aspetti:

– il reperimento sul mercato vivaistico del materiale di propagazione con le caratteristiche geneti-che richieste;

– la scarsa meccanizzazione e quindi il notevole impiego di manodopera nell’espletamento dellevarie operazioni colturali;

– i limiti operativi conseguenti all’adozione del metodo di coltivazione dell’agricoltura biologica,soprattutto per quanto riguarda la concimazione, il controllo delle infestanti e la difesa dagliattacchi parassitari;

– le difficoltà operative incontrate in relazione alle caratteristiche pedoclimatiche dei siti sperimentati;

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Attacco di oidio su foglie di tarassaco

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– la mancanza di un know-how diffuso e condiviso tra i diversi operatori del settore sulla miglioretecnica colturale da utilizzare nella coltivazione delle piante officinali.

A proposito del materiale di propagazione, per le piante officinali è notoria la scarsa disponibi-lità sul mercato di varietà selezionate e certificate. Nel nostro caso il problema si è evidenziato, inparticolare, sulla malva, in quanto a fronte di una esplicita richiesta di Malva sylvestris, in pratica neidue anni di sperimentazione si è dovuto lavorare quasi esclusivamente con Malva verticillata, il cuicomportamento vegetativo e produttivo è molto diverso dalla prima. Infatti, mentre la M. sylvestris èdiffusamente presente nei nostri ambienti anche allo stato spontaneo, la verticillata è una specie eso-tica introdotta nel Vallese (Svizzera) per la coltivazione. Molto diffusa al nord, è una specie spiccata-mente biennale che va a fiore e muore rapidamente se sottoposta a basse temperature nella primafase di crescita.

Il secondo aspetto si riferisce, soprattutto, alle fasi di trapianto delle piantine e raccolta dei variprodotti (fiori, foglie, capolini e radici). Queste operazioni nel corso del biennio di sperimentazionesono state effettuate a mano a causa della mancanza di attrezzatura e mezzi specifici, sia per l’indi-sponibilità da parte delle aziende, sia per le difficoltà di adattare quelli esistenti ed utilizzati per altrecolture da reddito, anche in ragione dell’esiguità delle superfici coltivate.

Anche per quanto riguarda il controllo delle malerbe, solo raramente le aziende hanno fattoricorso all’ausilio di un mezzo meccanico lungo l’interfila per agevolare il lavoro manuale sulla fila.In questo modo, l’attività competitiva delle infestanti nei confronti delle specie officinali si è dimo-strata in alcune situazioni molto forte, in particolare per le specie da foglia, non solo ostacolando

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Fase di ripulitura dalle infestanti

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l’operazione di taglio della coltura e la pulizia del prodotto raccolto, ma anche interferendo compe-titivamente sulla crescita e conseguentemente sulla qualità dell’essenza.

Allo stesso modo, la difesa dagli attacchi parassitari nel campo delle officinali è abbastanza dif-ficoltosa, non solo per la quasi totale assenza di prodotti specifici, ma anche per la carenza di infor-mazioni e sperimentazione nel settore. A questa situazione si fa fronte ricorrendo ai prodotti classiciammessi dall’allegato II del Reg. 2092/91 e s.m., in particolare rame e zolfo, ma soprattutto confi-dando sulla notoria rusticità delle piante officinali e sulla capacità di resistenza agli agenti biotici eabiotici. Nel nostro caso, attacchi di oidio su tarassaco, afidi su cardo mariano, ruggine su malva eseptoria su melissa, sono stati contrastati solo parzialmente, con conseguente perdita di prodotto. Inconcomitanza con le forti e persistenti nevicate del 2005, inoltre, sul tarassaco si sono dovuti regi-strare anche i danni di piccoli animali terricoli, in particolare di microti (arvicole), evidenziati dai forisul terreno e dalle tipiche gallerie, notoriamente pericolosi per le radici delle piante di questa specie.Come intervento immediato e diretto si è provveduto ad interrompere le gallerie create dai roditoriutilizzando un motocoltivatore o zappando manualmente.

Dal punto di vista agronomico è emersa tutta l’importanza della scelta del sito in relazione allepossibili difficoltà operative legate non solo alle caratteristiche pedologiche, ma anche al verificarsidi eventi meteorologici spesso imprevisti o imprevedibili. Il problema è particolarmente cogentenegli ambienti pedemontani e montani, a causa di pedoclimi spesso poco compatibili con alcunedelle più importanti fasi del ciclo colturale delle piante. Così, ad esempio, la preparazione del terrenoper la semina o trapianto delle piantine in primavera può risultare difficoltoso in concomitanza diinverni prolungati o stagioni molto piovose. In questi casi può essere utile prevedere una aratura estivadei terreni, con eventuale letamazione, o una semplice rippatura, in modo che nella primavera suc-cessiva risulti sufficiente una lavorazione superficiale del terreno, anche in prossimità della semina otrapianto.

Altro momento cruciale è risultato quello della raccolta delle specie da radice, tarassaco e vale-riana. Infatti, a causa dei ripetuti eventi meteorologici verificatisi per tutto il periodo autunnale, itempi, sia per quelle a ciclo annuale che per le biennali, si sono protratti ben oltre il periodo ottimaleindicato per queste piante. Come tutte le specie da radice, infatti, queste andrebbero estratte dal ter-reno al termine del loro ciclo colturale, nella fase di pieno riposo vegetativo, indicativamente tra otto-bre e primi di novembre, corrispondente al periodo di massimo accumulo dei principi attivi utilizza-bili in erboristeria e farmaceutica. Nel nostro caso, un certo anticipo delle precipitazioni nevoseautunnali, associate spesso a quelle piovose nei mesi di ottobre/novembre 2005, hanno reso impra-ticabili i terreni, obbligando la raccolta delle radici nei brevi periodi di “tregua” meteorologica e pro-lungando le operazioni fino a gennaio 2006. La raccolta normalmente viene coadiuvata da un mezzomeccanico, tipo un piccolo assolcatore, il cui utilizzo, però, richiede terreni asciutti, per evitare dan-nosi compattamenti e ulteriori difficoltà di pulitura delle radici. Nelle nostre condizioni operative,per i motivi sopra descritti, si è dovuti intervenire in tutti i campi esclusivamente a mano, utilizzandouna vanga e potendo liberare sul posto solo parzialmente le radici dal pane di terra. Di fronte a que-sta situazione va presa in considerazione la possibilità di anticipare la raccolta in periodi meteorolo-gici più favorevoli, cercando il giusto compromesso tra la perdita di prodotto in termini di contenutoin principi attivi e la facilitazione nelle operazioni di escavazione e pulitura delle radici, con evidenterisparmio sui costi di produzione della coltura.

Sulla base dell’esperienza acquisita nel corso del biennio di sperimentazione, possiamo dire chei principali aspetti agronomici che andrebbero affrontati da chi si accinge ad iniziare la coltivazionedi piante officinali sono quelli brevemente riassunti nella tabella 11.

Nel corso dei due anni di coltivazione sono state effettuate altre osservazioni di tipo agronomicosulle singole colture, che possono essere così sinteticamente riassunte:

La melissa e la malva hanno confermato, in generale, la buona compatibilità ecologica ed agro-

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nomica con le condizioni testate. Entrambe le colture hanno dimostrato un buon sviluppo vegetativo,sia post-trapianto che dopo i diversi tagli, ma la risposta produttiva nel corso della stagione è variataper motivi che possono essere ascrivibili non solo all’ambiente di coltivazione, ma anche all’appli-cazione di una corretta tecnica colturale da parte delle singole aziende.

In particolare, va ribadita la necessità di tenere sotto controllo le erbe infestanti e va sottolineatal’importanza di uno o più apporti irrigui, naturali o artificiali, subito dopo ogni raccolto, particolar-mente utile per tutte le colture da sfalcio, allo scopo di favorirne il ricaccio.

Anche il taglio molto basso, sotto i dieci centimetri, può andar bene su queste specie, in quanto inquesto modo il ricaccio viene favorito, ma nello stesso tempo aumenta la parte lignificata del raccolto.

Sulla melissa, allo scopo di escludere il più possibile le foglie malate della parte basale delle piante,il taglio potrebbe essere fatto più in alto, intervenendo successivamente con un secondo sfalcio perriportare gli steli ad una altezza adeguata dal terreno.

Per i tagli da tisana, inoltre, il secondo taglio, potrebbe essere leggermente anticipato rispetto altempo balsamico, in modo da evitare l’attacco sia di Puccinia malvacerum (ruggine) sulla malva, favo-rito dal clima caldo-umido di fine stagione, sia di Septoria melissae (septoriosi) sulla melissa.

In ultima analisi, volendo rispettare il tempo balsamico, sono inevitabili trattamenti chimici conprodotti rameici, scegliendo tra i p.a. autorizzati nel metodo di coltivazione biologico.

Qualora si volesse effettuare l’estrazione dell’olio essenziale di melissa, comunque da effettuarecon il secondo o terzo raccolto per dar modo alle piante di ricevere tutto il sole estivo, la septoriosi,come altre malattie, va tenuta in debita considerazione dovendo aspettare la piena fioritura.

I sintomi di virosi riscontrati su alcune piante di melissa a fine stagione potrebbero rappresentareun campanello d’allarme per gli anni successivi.

Il cardo mariano, anche nel secondo anno di prove, ha confermato la propria compatibilità eco-logica ed agronomica con le condizioni sperimentali, così come peraltro rilevabile dalle fonti biblio-grafiche. Nel 2005, rispetto all’anno precedente, non sono insorti particolari problemi fitosanitari, sesi escludono brevi e sporadici attacchi di afidi. Migliorando la tecnica colturale, inoltre, sia nella pre-parazione del terreno che nella tempestività in fase di trapianto, non è stato necessario intervenirecon la rincalzatura delle piantine. Alcuni problemi, invece, sono stati creati dalla forte scalarità di matu-

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Tab. 11 - Aspetti agronomici da considerare ai fini dell’avvio della coltivazione di specie officinali.

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razione dei semi, con ripercussioni sulle quantità raccolte. Con questa coltura, nell’ottica di una pro-duzione di pieno campo con l’ausilio di idonei mezzi di raccolta, diventa indispensabile scegliere unperiodo di maturazione intermedio per effettuare la mietitrebbiatura ed, eventualmente, completarel’essiccazione del prodotto in un secondo momento.

Da notare la facilità di ricrescita dei semi di cardo della stagione precedente. Fuori coltivazione,in effetti, la specie viene considerata una infestante, con notevoli capacità di sviluppo vegetativo e dicolonizzazione dei terreni, oltre a manifestare una minore suscettibilità ad attacchi parassitari rispettoalle parcelle coltivate.

L’anice verde, ritenuto di facile coltivazione se impiantato da seme ed inserito all’interno deinormali avvicendamenti con tecniche ordinarie, nel corso del primo anno di sperimentazione hadato luogo ad un pessimo risultato con estese morie delle piantine poco tempo dopo il trapianto,probabilmente dovuto al trasporto dal vivaio alle aziende e al successivo stress da trapianto subitonella messa a dimora. Le piantine, inoltre, si sono dimostrate particolarmente suscettibili ai ritornidi freddo.

Per ovviare alle problematiche del trapianto, nel 2005 si è ricorsi alla semina diretta delle par-celle. Data la bassa germinabilità del seme, Il periodo migliore indicato in letteratura è tra febbraio-marzo, per evitare il più possibile rischi di competizione con le specie infestanti e di stress idricidurante i mesi più caldi del ciclo colturale.

Nel nostro caso, a causa delle forti nevicate di fine inverno, i terreni sono rimasti impraticabilifino a primavera avanzata, cosicché le semine si sono protratte fino alla seconda decade di maggio,compromettendo fin da subito la buona riuscita della coltura. Gli effetti della maggiore velocità diaccrescimento delle erbe infestanti, rispetto alle plantule di anice verde, infatti, si sono accentuate conle semine tardive, in quanto è aumentata la competizione interspecifica, non solo per l’acqua e inutrienti, ma anche per gli spazi e la luce, rendendo difficile e inadeguato qualsiasi intervento di con-trollo delle infestanti. Questo problema, tra l’altro, è particolarmente evidente nei terreni condotti inregime di agricoltura biologica, rispetto ai convenzionali, non potendo intervenire con diserbi chimici.

Dalla prova di coltivazione dell’Anice verde, pertanto, non si sono ottenuti dati sufficienti e utiliper una valutazione della sua capacità di adattamento e produttiva nei vari siti sperimentali. Quelloche si può dire è che il trapianto dell’anice verde va consigliato ed eseguito solo se i terreni si trovanoin ottime condizioni agronomiche sia dal punto di vista della fertilità che delle condizioni fisiche edidrologiche al momento del trapianto. Se si opta per la semina diretta (tecnica normalmente seguita) èbene non tardare l’operazione, che va invece effettuata improrogabilmente, anche per i territori con-siderati, tra febbraio e marzo; in caso contrario è preferibile ripiegare su altra coltura primaverile-estiva. Il controllo delle infestanti per questa coltura deve essere particolarmente curato: in pre-impianto, con apposite precessioni colturali e interventi meccanici sul terreno; durante la coltivazione,con sarchiature interfila e, possibilmente, zappettature sulla fila, nel caso di superfici ridotte.

Anche il tarassaco ha confermato la propria compatibilità ecologica ed agronomica con le con-dizioni sperimentali ma, sia nel 2004 che nel 2005, si è dimostrato particolarmente suscettibile all’at-tacco di oidio. In tutti i siti sperimentali, tranne che nel campo di Rambona, dove i danni sono statipiù contenuti e l’apparato fogliare è rimasto rigoglioso fino al momento dell’espianto delle radici,l’apparato vegetativo, a causa di questa malattia, ha subito nel corso della stagione prima una essic-cazione e, successivamente, ha emesso una nuova rosetta fogliare con l’arrivo delle prime pioggetardo-estive. Tutto ciò, chiaramente, a svantaggio dell’apparato radicale.

Cosa fondamentale per questa come per tutte le specie da radice, è la tessitura del terreno di col-tivazione e il periodo di espianto delle radici. I terreni argillosi, pur favorendo l’accumulo di mucillag-gini, diventano particolarmente insidiosi nella fase di raccolta, soprattutto se in concomitanza coneventi meteorologiche persistenti. I terreni bagnati, infatti, non solo sono difficili da praticare con i mezzimeccanici, ma moltiplicano anche il tempo e la manodopera necessaria per la pulitura delle radici.

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Sul piano della produttività, lacoltivazione annuale diventa com-petitiva con quella biennale solo nelcaso di terreni particolarmente fer-tili, per cui, come soluzione inter-media si potrebbe proporre un ciclocolturale allungato, che va dallasemina della coltura in autunno e laraccolta delle radici in autunno-inverno dell’anno successivo.

Sulla valeriana valgono le stesseconsiderazioni fatte per il tarassacoa proposito delle problematicheinsorte in relazione alla tessitura delterreno ed al periodo di raccoltadelle radici.

Sul piano fitosanitario non sisono evidenziati particolari proble-mi, tranne uno sporadico attacco diafidi nel campo di Podalla. Qualche sintomo da carenza nutrizionale, invece, si è manifestata un po’in tutti i campi, in particolare quello di Capriglia.

Da sottolineare, la necessità dell’intervento di cimatura primaverile delle infiorescenze che, datala scalarità, richiede un certo impiego di manodopera.

Come per il tarassaco, sulla base dei risultati produttivi ottenuti, è proponibile per la valerianaun ciclo colturale allungato.

La coltura, in definitiva, ha evidenziato, nel biennio di sperimentazione, una certa variabilità diaccrescimento e sviluppo tra i vari campi, per cui sembra proporsi come una coltura piuttosto esi-gente dal punto di vista dei fattori limitanti, non solo di natura pedo-climatica, ma anche di tecnicacolturale applicata.

In definitiva si può affermare che, per tutte le specie testate, la sperimentazione ha dimostratocome una buona tecnica colturale, applicata in condizioni di fertilità dei terreni non ideali, può por-tare a risultati produttivi soddisfacenti, mentre sembra difficilmente proponibile una tecnica colturaledi tipo estensivo.

A questo proposito, sulla base delle difficoltà tecnico-operative riscontrate nel corso della speri-mentazione e più in generale a seguito delle osservazioni di campo effettuate, due aspetti dell’orga-nizzazione aziendale nella coltivazione delle piante officinali meritano di essere sottolineati. Essi sonorelativi alla:– disponibilità di manodopera;– dotazione in attrezzature e macchinari.

Si è dimostrato evidente, infatti, che uno dei principali fattori per il contenimento dei costi diproduzione è la disponibilità di manodopera aziendale a basso costo come è tipico delle famiglie col-tivatrici. In caso contrario, l’impiego di salariati renderebbe quasi improponibile ogni tipo di coltiva-zione, a meno che questa non sia limitata al massimo, grazie ad un’elevata tecnologia ed alla realizza-zione di adeguate economie di scala, il che tuttavia comporta investimenti in macchinari molto elevati.

Inoltre, se la manodopera impiegata fa parte dell’impresa coltivatrice (è il caso delle piccoleaziende famigliari) essa creerà un reddito da lavoro interno all’azienda, ma se si deve ricorrere amanodopera esterna, essa contribuirà ad elevare i costi di produzione.

Per quanto riguarda le attrezzature, l’esperienza ha evidenziato la necessità di una dotazione rife-

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Radici di tarassaco

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ribile a quella delle comuni aziende orticole e, in particolare, quelle che servono alla preparazione delterreno (trattrice, aratro, erpice), all’esecuzione delle operazioni colturali (seminatrici, trapiantatrici),al controllo delle infestanti (zappatrici, sarchiatrici multiple, motocoltivatori per la lavorazione inter-fila), il cui numero e la cui potenza dipenderà dall’indirizzo produttivo e dalla dimensione aziendale.

I macchinari, invece, per la raccolta e/o trasformazione delle piante officinali (separatricifoglie/fusti, trance per taglio tisana ecc.) sono nella maggioranza dei casi di produzione straniera equindi molto costosi e non sempre facili da procurare. Una soluzione per ovviare agli alti costi è quelladi modificare o da soli o con l’aiuto di meccanici specializzati, macchine agricole destinate ad altrepiante o alla lavorazione di altri prodotti. Come si può notare da quanto detto finora, la coltivazionedelle piante officinali richiede un investimento in macchinari più elevato rispetto alle colture tradi-zionali perché rispetto a queste ultime è necessario un grado di trasformazione più o meno spinto.Ancora una volta risulta dunque fondamentale, per la coltivazione delle specie officinali, un’attentapianificazione aziendale e tecnico-agronomica senza la quale il rischio di perdite economiche è estre-mamente elevato.

Nella tabella 12 si riportano, in breve, i principali aspetti colturali che richiedono una particolareattenzione da parte dei coltivatori, unitamente ad una valutazione sintetica delle necessità in terminidi manodopera ed attrezzature aziendali.

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Tab. 12 - Schema sintetico dei principali interventi colturali e dell’organizzazione aziendale

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VALUTAZIONE DEI RISULTATIIN RELAZIONE ALLE IPOTESI SPERIMENTALI

Dopo aver messo in evidenza le problematiche colturali, le difficoltà operative e le esigenze pedo-climatiche delle singole specie, è possibile analizzare i risultati ottenuti rispetto alla formulazione delledue ipotesi sperimentali.

Di seguito si procederà ad una valutazione sui risultati produttivi, avendo come riferimento ivalori standard mediamente riportati in bibliografia per la specie considerate (Tab. 13) e l’ambientedi coltivazione in cui sono state effettuate la varie prove.

DENSITÀ DI IMPIANTO E RAFFRONTO DELLE PRODUTTIVITÀDalle prove effettuate si deduce che un’interfila di 70 cm è sicuramente la distanza migliore per

agevolare l’utilizzo di un mezzo meccanico (zappatrice rotativa, sarchiatrice), soprattutto nelle situa-zioni di terreni grossolani e ricchi di scheletro, e in presenza di colture con sviluppo cespitoso o chetendono ad occupare parte dell’interfila con il proprio apparato vegetativo.

Queste facilitazioni divengono di fondamentale importanza in regime colturale biologico, doveil divieto all’impiego di prodotti chimici di sintesi obbliga l’agricoltore ad utilizzare mezzi e strumentia basso impatto ambientale, con un notevole impiego di manodopera. Tuttavia in quasi tutte le par-celle sperimentali la produttività maggiore si è registrata con l’interfila di 50 cm.

Nell’ottica di un conto colturale è dunque di fondamentale importanza la determinazione dellapiù appropriata distanza tra le file valutando sia la necessità di meccanizzare il più possibile le ope-razioni colturali di diserbo sia quella di massimizzare le produzioni.

In effetti, nel corso del biennio di sperimentazione, quello delle infestanti è risultato il principa-le costo colturale, oltre ad essere il lavoro più impegnativo, anche per la mancanza di una adeguataattrezzatura da parte delle aziende.

Con riferimento agli esiti colturali (Tab. 7), per quanto riguarda la melissa, le produzioni regi-strate nel corso della sperimentazione, espresse come chilogrammi di prodotto essiccato su 100 metriquadri di superficie, variano dal minimo di 2,31 kg di Podalla al massimo di 14,75 kg di Capriglianel 2004. Le produttività riferite al secondo anno, considerate in termini di prodotto utile raccolto edessiccato, vanno dai 20,4 kg/100 m2 di Podalla sulla parcella 70x20 ai 41,6 kg/100 m2 di Rambona, con

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Tab. 13 - Valori medi di produttività riportati in letteratura: * Schede colturali redatte dall’ISAFA (IstitutoSperimentale per l’Assestamento Forestale e per l’Alpicoltura) di Villazzano -Trento; ** Coltivazione delle piante medi-cinali e aromatiche – Patron editore (1986); *** Dati medi forniti da tecnici del settore e produttori di piante officinali.

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quantitativi maggiori nelle parcelle a maggior fittezza in tre campi su quattro. I risultati ottenuti appa-iono leggermente superiori alla media dei dati di riferimento pari a 20-25 kg/100 m2 e per quantoriguarda Rambona (al primo anno di esercizio) dimostrano come una tecnica specializzata e buonecondizioni pedo-climatiche possono dare risultati eccellenti sin dal primo anno.

Per la malva, la valutazione dei risultati deve tener conto del notevole effetto depressivo conse-guente alla presenza di una varietà non desiderata, sia nel primo che nel secondo anno di coltivazione.Le produzioni, sempre espresse in kg di foglie essiccate, vanno dal minimo di 1,15 kg/100 m2 otte-nuti a Vallato nel 2005 (parcella 70x20) al massimo di 18,75 kg/100 m2 di Rambona al primo taglio2005 (parcella 50x20). Le produttività nel secondo anno sono oscillate tra 9,1 kg/100 m2 di Podalla(un solo taglio) e 40,8 kg/100 m2 di Rambona (parcella 50x20), dove peraltro sono stati effettuati tretagli nel corso della stagione. Al confronto con la media dei dati di riferimento (28-38 Kg/100 m2),nel sito di Rambona si sono registrati risultati in linea con le migliori performance bibliografiche;accettabile la produzione ottenuta a Capriglia con due tagli, benché inferiore alle medie bibliografiche,mentre decisamente bassa quella registrata a Podalla e Vallato, dove si è potuto realizzare un solotaglio. Anche per la malva, i quantitativi maggiori si sono avuti nelle parcelle a maggior fittezza.

Con il cardo, la maggiore produzione è stata ottenuta a Capriglia nel 2004 sulla parcella 50x20con un valore di 9,57 kg/100 m2 di seme essiccato, contro i 6,68 kg/100 m2 ottenuti a Podalla, men-tre nel secondo anno si sono registrati circa 4,5 kg/100 m2 in entrambi i siti; decisamente inferiori leproduzioni negli altri campi. Evidente la prevalenza dei siti localizzati nei pedoclimi del piano colli-nare ed alto collinare con buona esposizione, dove le produzioni si sono collocate in prossimità deidati di confronto. Bisogna peraltro considerare le perdite di prodotto per disseminazione spontanea,conseguenti all’estrema scalarità di maturazione, fattore critico per questa coltura. Comunque, quandola raccolta è stata eseguita correttamente (Capriglia e Podalla 2004) le produzioni risultano ricaderenella media bibliografica (8-12 kg/100 m2).

Per il tarassaco va rilevato che i dati di confronto fanno riferimento al ciclo con semina primave-rile e raccolta della radice autunnale, e comunque presentano valori decisamente diversi a secondadella fonte, per cui risulta difficile esprimere una valutazione. La coltura in ciclo annuale è stata effet-tuata a Capriglia e Rambona, registrando livelli di produzione tra loro neanche paragonabili, infatti nelprimo caso si sono ottenuti circa 12 kg/100 m2 di radici, mentre nel secondo più di 39 kg/100 m2,testimoniando l’evidente predilezione del suolo alluvionale, profondo e soffice nel caso di una colturaa sviluppo ipogeo. In effetti, il dato peggiore si è registrato a Vallato (8,7 e 4,2 kg/100 m2) ovveronel terreno con maggior scheletro. La differenza tra la quantità di prodotto in ciclo biennale e quella inciclo annuale, registrata nel campo di Capriglia, non sembra giustificare economicamente la piùlunga occupazione di suolo.

La valeriana in ciclo annuale è stata testata a Rambona, Vallato e Capriglia. Escludendo que-st’ultimo dalla valutazione, in considerazione dei forti danni da eventi meteorici in fase di post tra-pianto, essa ha dato un risultato in linea con i valori di confronto a Rambona (21,25 kg/100 m2 diradici essiccate); decisamente più bassa la produzione a Vallato (12,5 e 11,7 kg/100 m2), dove la fortepresenza di scheletro e le condizioni fisiche del terreno non hanno favorito l’accrescimento dell’ap-parato radicale ed hanno determinato cospicue perdite di prodotto in corso di raccolta. In ciclo bien-nale, il valore della produzione ottenuta a Vallato è risultato pari a circa la metà del valore minimonel range di confronto (12,6 kg/100 m2 contro 25-35 kg/100 m2), registrando una performance deci-samente modesta, perfettamente giustificata dalla forte quota di fallanze. A Podalla si è ottenuta,invece, una produzione assolutamente straordinaria e superiore al doppio di quella ipotizzabile sullabase dei dati di confronto (81,6 kg/100 m2 contro 25/35 kg/100 m2) a testimonianza del pieno inve-stimento della coltura e comunque di una chiara predilezione per il locale pedoclima, caratterizzatodall’assenza di aridità estiva e da suoli ben drenati.

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RISULTATI DELLA PROVA DI CONCIMAZIONELa prova di concimazione è stata realizzata per valutare un’eventuale risposta produttiva, soprat-

tutto in termini quantitativi, delle varie specie a confronto.Nello specifico si è utilizzato un concime organo-minerale autorizzato in agricoltura biologica,

del quale sono già state descritte le caratteristiche tecniche.Dall’analisi dei dati delle produttività reali delle sub-parcelle di coltivazione (vedi tabella 7), si

può subito osservare che essi non hanno una correlazione tendenzialmente positiva con la distribu-zione di dosi mirate di fertilizzante, ma le quantità raccolte di materiale utile sono nella maggiorparte dei casi simili, ovvero in altri casi le produttività sono minori nelle sub-parcellle concimaterispetto al testimone. Analizzando le possibili ragioni di tali risultati è bene ricordare, e tener conto,che la prontezza di un fertilizzante organo-minerale non è uguale e ne può essere paragonata ad unconcime chimico cosiddetto a “pronto effetto”; pertanto, i risultati conseguenti al test di concimazionedebbono necessariamente ricondursi in primis al meccanismo d’azione del fertilizzante, che sicura-mente non è riuscito a soddisfare nel breve periodo (corrispondente anche al ciclo colturale) allepiene esigenze nutrizionali delle colture. Un concime di tipo organo-minerale od organico inizia afar sentire il suo effetto dopo un periodo di diverse settimane e l’assorbimento degli elementi nutri-tivi da parte delle piante è anche strettamente legato alle caratteristiche fisico-chimiche e microbiolo-giche del substrato.

Infatti, le caratteristiche dei terreni possono influenzare notevolmente la capacità e modalità diassorbimento degli elementi nutritivi. Pertanto è possibile che passino alcuni mesi prima che i suoliraggiungano una funzionalità dinamica di scambio e rilascio costante degli elementi.

L’anomalia dei dati delle produttività può essere pertanto riassunta e ricondotta alle seguentivariabili:– meccanismo d’azione del fertilizzante organo-minerale (tempo di rilascio) in relazione al ciclo

colturale di un anno;– presenza nelle sub-parcelle di fallanze;– influenza delle caratteristiche fisico-chimiche dei terreni.

In conclusione, se sulla prova di concimazione i risultati non ci consentono ulteriori precisazioni,per quanto riguarda il sesto d’impianto possiamo dire che esso rappresenta uno dei principali aspettida considerare per chi si accinge ad iniziare la coltivazione di piante officinali. Il numero di piante ametro quadrato, infatti, se da un lato influisce direttamente sulla produttività, dall’altro risulta deter-minante nell’organizzazione di un efficace sistema di controllo delle erbe infestanti. Potere intervenireagevolmente lungo l’interfila con un mezzo meccanico, significa ridurre in modo significativo laquantità di manodopera impiegata e, di conseguenza, i costi di produzione. Da non sottovalutare,inoltre, sempre a proposito della densità d’impianto, la possibilità che nella parte basale delle specieda foglia con interfila più stretta, soprattutto nei terreni argillosi, si verifichi un ristagno di umiditàcon conseguente sviluppo di malattie fungine e perdita di prodotto.

Da ultimo, un aspetto da ribadire è quello relativo ai dati produttivi del campo di Rambona. Inquesto caso, pur trattandosi di piante, sia a ciclo annuale che biennale, al primo anno di coltivazione,la produttività è risultata confrontabile, in alcune specie addirittura superiore, con quella degli altricampi al secondo anno d’impianto. Questi risultati dimostrano che anche le piante officinali, puressendo considerate generalmente rustiche e frugali da un punto di vista nutrizionale, in realtà, secoltivate su terreni fertili, con buona disponibilità idrica e con l’applicazione di una corretta pratica col-turale, possono manifestare al meglio tutto il loro potenziale produttivo, adattandosi, di fatto, anchead ordinamenti colturali di tipo intensivo e ad un’agricoltura specializzata, meglio se orticola.

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SCHEDE AGRONOMICHE

Quanto fin qui riportato sugli elementi di criticità riscontrati e sui possibili fattori correttivi vienesintetizzato, per motivi di maggior chiarezza, nella tabella 14 mentre di seguito viene proposta, perogni specie trattata, una scheda agronomica frutto sia delle esperienze maturate nel biennio di spe-rimentazione che del loro confronto con i dati disponibili in letteratura.

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Tab. 14 - Quadro riassuntivo degli elementi di criticità e dei fattori correttivi

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ANICE VERDE(Pimpinella anisum L.)

Terreno e ambiente Può essere coltivato in zone col-

linari/pedemontane (fino a 500/600metri), con clima fresco, ma conassenza di gelate tardive; preferisceterreni profondi, freschi, sciolti e per-meabili, ben esposti e ricchi di s.o. ecalcare. Tollera male i terreni argil-losi e l’ombreggiamento.

Operazioni colturali all’impiantoIl terreno deve essere ben lavo-

rato nell’estate precedente, incorporando abbondante stallatico, in modo che durante l’inverno subi-sca l’azione disgregante dei geli; in primavera vanno eseguite accuratamente lavorazioni secondariedi affinamento per la semina diretta.

Tecniche di moltiplicazioneL’impianto viene eseguito per semina diretta senza particolari problemi nel mese di febbraio-

marzo. L’emergenza avviene dopo circa 30 gg, ma lo sviluppo vegetativo prosegue molto rapidamentedopo l’emissione delle prime foglie. Se possibile utilizzare i semi più grossi, in quanto dotati di mag-giore energia germinativa.

Sesti d’impiantoLe distanze tra le file variano, secondo i diversi autori, da 50-70 cm e circa 10 cm sulla fila, con

un obiettivo di 14-20 piante/m2. Per la semina può essere utilizzata una seminatrice da frumento euna quantità di seme da 15 a 25 kg/ha. È possibile anche una semina più fitta, con circa 40 kg/ha diseme e successivo diradamento, in quanto il contenuto in olio decresce con la fittezza, senza aumentoponderale del prodotto raccolto.

ConcimazionePrima di definire il piano di concimazione, sarebbe utile conoscere il grado di fertilità del terreno.

Indicativamente, sulla base di esperienze di coltivazione, la pianta necessità di 50 Kg/ha di N; 40Kg/ha di P e 70 Kg/ha di K. Concimazioni azotate eccessive provocano allettamento della coltura.L’anice si avvantaggia della ricchezza di calcio nel terreno.

Cure colturaliPer la scarsa capacità competitiva dell’anice, vanno evitati come precessione colturale terreni ric-

chi di infestanti. Il controllo delle infestanti è indispensabile almeno fino alla chiusura dell’interfila.Le irrigazione non danneggiano la resa in olio essenziale, esse sono utili, soprattutto nei periodi dipre e post-fioritura.

Epoca e modalità di raccoltaLa raccolta si effettua in agosto, quando le ombrelle non sono del tutto secche ed iniziano a avere

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una colorazione scura. La raccolta manuale garantisce un prodotto di qualità superiore, ma con costidecisamente superiori ed è comunque praticabile su piccole superfici. Oggi si ricorre alle comuni sgu-sciatrici per semi minuti opportunamente regolate, mentre su ampie superfici si utilizzano mietitreb-bie appositamente adattate, in quanto il frutto dell’anice verde ha un tegumento che si deteriora assaifacilmente; l’anice verde decorticato perde molto del suo valore.

AvversitàLe principali malattie sono la septoriosi delle foglie e phoma del fiore.

ResaLa produzione (frutto), riferita a 100 m2, è variabile dai 6 ai 12 kg di prodotto lavorato. Il para-

metro qualitativo è l’olio essenziale che deve essere presente in misura non inferiore al 2%, con com-ponente ottimale di anetolo dell’80%.

In tabella 15 sono sintetizzate le peculiarità pedoclimatiche e l’epoca di semina, trapianto e raccolta.

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Tab. 15 - Sintesi delle esigenze agronomiche e pedoclimatiche dell’anice verde

NOTIZIE UTILI E ACCORGIMENTI COLTURALIÈ una delle specie che era più diffusamente coltivata nelle Marche, soprattutto nell’ascolano. Assai richie-sto e ben quotato è il prodotto biologico. L’anice verde è una pianta di facile coltivazione se viene rispettatarigorosamente la tecnica colturale, a partire da una buona preparazione del letto di semina, abbondante-mente letamato se possibile, e rispettando il periodo migliore per la semina, che non può andare oltre i mesidi febbraio-marzo. Nei climi freddi è consigliabile non anticipare troppo la semina, poiché l’anice teme legelate tardive, per cui il periodo migliore potrebbe essere tra marzo e aprile. Ritardare troppo la semina,comunque, comporta grossi problemi di infestanti, vista la scarsa competitività dell’anice verde, oltre astress idrici per le piante se la fioritura avviene in estate avanzata. In rotazione sono da evitare i terreni inprecedenza infestati da erbacce, mentre buone precessioni sono il grano, il favino e l’erba medica, quest’ul-tima, però, solo se priva di “ferretti”, i quali si sviluppano in presenza di residui organici della coltura. Datala dimensione del “seme” è buona norma mescolarlo con materiale inerte nella tramoggia di carico, tipoperlite, vermiculite, mais per galline spezzato e trattato con solfato di rame per evitare che marcisca nel ter-reno (30 % di anice, 70 % di inerte). Da tenere presente che una certa quantità di seme si perde per difettodi preparazione del letto di semina.

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CARDO MARIANO(Silybum marianum (L.) Gaertn.)

Terreno e ambiente Originario dell’area mediterra-

nea, lo si trova allo stato spontaneonell’Italia centrale e meridionale. Siadatta un po’ a tutte le condizionianche se preferisce ambienti secchie caldi, con terreni asciutti e benesposti al sole pieno; cresce bene interreni vulcanici o con limo e sabbia.

Operazioni colturali all’impiantoIl terreno va preparato in

autunno arando ad una profondità di 40-45 cm; in primavera vanno eseguite accuratamente lavora-zioni secondarie di affinamento per la semina diretta.

Tecniche di moltiplicazioneL’impianto viene eseguito per semina diretta senza particolari problemi nel mese di aprile. Data

la notevole scalarità di maturazione dei frutti, però, sembra che, allo scopo di contenerla, sia prefe-ribile una semina autunnale.

Sesti d’impiantoDiverse fonti bibliografiche indicano distanze tra le file di 70-80 cm con un obiettivo di 5-7 piante /m2.

Anche sulla base della nostra esperienza possiamo confermare che il sesto d’impianto consigliabile èil 70 x 20, che corrisponde a una densità d’impianto di 7 piante/m2. La quantità di seme è di 10-18Kg/ha, da mescolare con materiale inerte, utilizzando una seminatrice da frumento.

ConcimazionePianta che non richiede particolari interventi, ma su cui non esistono neanche prove sperimen-

tali accurate sull’argomento. Resta sempre una buona norma quella di conoscere il grado di fertilitàdel terreno prima di definire il piano di concimazione. Indicativamente, sulla base di esperienze dicoltivazione, la pianta necessità di 120 Kg/ha di N; 100 Kg/ha di P e 75 Kg/ha di K.

Cure colturaliSolitamente il cardo non teme la competizione con altre piante, ma, almeno fino alla chiusura

dell’interfila, è bene effettuare alcune sarchiature di contenimento delle possibili infestanti. Anchel’irrigazione non è necessaria di norma, a meno che l’impianto non derivi da piantine trapiantate, inquesto caso uno o due interventi irrigui a seconda del decorso stagionale è indispensabile fino alpieno affrancamento delle piante.

Epoca e modalità di raccoltaLa raccolta si effettua tra luglio e agosto, quando i capolini cominciano ad aprirsi e i frutti assu-

mono un colore nero uniforme. La raccolta può essere eseguita a mano in modo scalare, oppure con

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una mietitrebbiatrice o aspiratore quando le piante sono sufficientemente disidratate affinché le mac-chine possano lavorare correttamente.

AvversitàLe principali malattie sono l’oidio sulle foglie e la muffa grigia sui capolini. Il cardo mariano,

come tutte le specie della stessa famiglia, è abbastanza suscettibile all’attacco di afidi. Per evitaremuffe e afidi le concimazioni azotate vanno limitate. All’apertura dei capolini possono essere dannosigli uccelli.

ResaUna buona coltura di cardo mariano può fornire mediamente dagli 8 ai 12 kg di semi essiccati.

Le produzioni sono riferite a 100 m2. Il principio attivo più importante è la silimarina, il cui conte-nuto può oscillare tra 1-1,5%.

In tabella 16 sono sintetizzate le peculiarità pedoclimatiche e l’epoca di semina, trapianto e raccolta.

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Tab. 16 - Sintesi delle esigenze agronomiche e pedoclimatiche del cardo mariano

NOTIZIE UTILI E ACCORGIMENTI COLTURALITipica coltura dei sistemi estensivi, di facile realizzazione e gestione, con basso impiego di fattori produttivie basso impatto ambientale, ma è indispensabile valutare preventivamente i prezzi e le richieste del mer-cato prima di una eventuale coltivazione. Se l’impianto viene realizzato con piantine trapiantate può esserenecessaria una rincalzatura nelle prime fasi di sviluppo. Gli attacchi di afidi sono abbastanza frequenti (allapari del carciofo) ma in genere non sono necessari trattamenti specifici, al limite si potrebbe intervenire conpiretro. Un’attenzione particolare deve essere posta alla scalarità di maturazione dei capolini e alla precisaepoca di raccolta che, se effettuata a mano, potrebbe richiedere due o tre interventi. Con la raccolta manualesarà utile procurarsi guanti pesanti e coprirsi bene braccia e gambe, anche se siamo in piena estate, l’in-volucro bratteale esterno dei fiori, infatti, è molto spinoso e pungente. Il cardo in natura si comporta da temi-bile infestate, per cui in una rotazione sarebbe opportuno farlo seguire da colture come il frumento, su cuisi può intervenire, in biologico, quanto meno con un erpice strigliatore. I capolini una volta raccolti si met-tono in un luogo aerato, dopodiché si battono e si setacciano per ottenere i semi. Per la conservazione deisemi asciutti sono indicati sacchetti di tela.

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MALVA(Malva sylvestris L.)

Terreno e ambiente Può essere coltivata in zone col-

linari/montane fino a 1000 metri; siadatta a quasi tutti i terreni; specierelativamente ubiquitaria. Essendodotata di un apparato radicale pro-fondo, preferisce quelli leggeri, fre-schi, profondi e ricchi in sostanzaorganica; teme i terreni eccessiva-mente compatti, anche se una buonapresenza di argilla influisce sul conte-nuto di mucillagini. Cresce bene nelleesposizioni calde, riparate ed areate.

Operazioni colturali all’impiantoIl terreno va preparato in autunno arando ad una profondità di 40-45 cm; è auspicabile, laddove

sia possibile, una concimazione di fondo con circa 500 ql/ha di letame; in primavera vanno eseguitelavorazioni secondarie di affinamento, in modo accurato se l’impianto avviene con semina diretta.

Tecniche di moltiplicazioneL’impianto può essere eseguito sia per trapianto di giovani piantine, provenienti da un semenzaio

riscaldato seminato alla fine dell’inverno, sia per semina diretta (10-15 kg/ha di seme con seminatricedi precisione) nei climi più caldi. Il trapianto si esegue a maggio, la semina diretta in primavera.

Sesti d’impiantoDiverse fonti bibliografiche indicano distanze tra le file di 50-60 cm e 30-35 cm sulla fila. Dai

risultati della nostra esperienza il sesto d’impianto consigliabile è il 70 x 20, con l’obiettivo di 7 piante/m2.

ConcimazioneÈ una pianta molto rustica e poco esigente dal punto di vista nutrizionale ma che risponde bene

alle concimazioni, soprattutto quelle organiche di fondo. È bene non eccedere nelle concimazioniazotate poiché si possono ottenere foglie e fiori troppo sviluppati che essiccano difficilmente, dandoun prodotto con caratteristiche scadenti, anche se in maggiore quantità. È buona norma conoscereil grado di fertilità del terreno prima di definire il piano di concimazione. Indicativamente la piantanecessità di 120 Kg/ha di N; 90 Kg/ha di P e 120 Kg/ha di K.

Cure colturaliControllo assiduo delle infestanti attraverso sarchiature, almeno fino alla chiusura dell’interfila.

La malva richiede una buona disponibilità idrica dopo la semina o il trapianto, dopo ogni taglio perfavorire il ricaccio e irrigazioni di soccorso in caso siccità; con una buona irrigazione si possono effet-tuare tagli anche ogni 15-20 giorni.

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Epoca e modalità di raccoltaQuando la coltura è destinata alla produzione di foglie, si possono eseguire anche 4-5 tagli a par-

tire dalla fine di giugno fino a settembre, ad intervalli di 3 settimane. La raccolta può essere eseguitea mano o con apposita falciatrice, quando le piantine sono nel pieno del rigoglio vegetativo ma con stelinon ancora significati, praticando il taglio a 10-15 cm da terra. I fiori si raccolgono in luglio-agosto.

AvversitàCon clima caldo-umido si possono verificare, soprattutto a fine stagione, attacchi di ruggine o

di oidio, particolarmente dannosi perché a carico delle foglie. Di un certo interesse sono anche idanni di altica con tipici fori sulle foglie. La semina tardiva, fine maggio, e l’attento uso dell’irriga-zione aiutano a prevenire la ruggine.

ResaIl prodotto più conveniente, visto l’alto costo della manodopera per la raccolta dei fiori, sono le

foglie. Le produzioni riferite a 100 m2 si aggirano sui 5-6 kg di fiori e 35-40 kg di foglie essiccate,ottenibile in 2-4 raccolte annue a seconda dell’andamento stagionale e della possibilità di irrigare.

In tabella 17 sono sintetizzate le peculiarità pedoclimatiche e l’epoca di semina, trapianto e raccolta.

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Tab. 17 - Sintesi delle esigenze agronomiche e pedoclimatiche della malva

NOTIZIE UTILI E ACCORGIMENTI COLTURALILa coltivazione della malva non presenta alcuna difficoltà, anche perché la si trova allo stato spontaneopressoché ovunque. Coltivarla è consigliabile e conveniente date le richieste del mercato erboristico (fogliee fiori) e le sue quotazioni sono interessanti e costanti, soprattutto in biologico. La malva è una buona col-tura per le zone collinari e montane dell’Appennino maceratese. Può essere coltivata come annuale (neiclimi più freddi) o biennale (nei climi più temperati), ma nel secondo anno il rapporto foglie/steli tende adiminuire. Per la produzione di foglie la spaziatura deve essere aumentata, mentre per i fiori sono conve-nienti distanzi minori. La malva è poco esigente per quanto riguarda le successioni con altre colture, ma èopportuno non farla seguire da se stessa o da altre Malvaceae, mentre può precedere senza problemi diversealtre colture officinali. Il mantenimento di un bel colore è fondamentale nelle specie da foglia, soprattutto seda tisana, e questo dipende dal momento della raccolta e dalle modalità di essiccazione. Le foglie si con-servano in sacchi di juta e in luoghi asciutti.

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MELISSA(Melissa officinalis L.)

Terreno e ambiente Può essere coltivata in zone col-

linari/montane (fino a 900/1000 m);essendo pianta ombrofila e igrofila,dovrebbe essere coltivata in luoghiumidi e in suoli freschi, profondi epermeabili, senza ristagni. Preferisceterreni fertili. Data la sua sensibilitàai freddi intensi, è consigliabile sce-gliere le esposizioni più favorevoli.

Operazioni colturali all’impiantoIl terreno va preparato in autunno arando ad una profondità di 40-45 cm; è auspicabile, laddove

sia possibile, una concimazione di fondo con circa 30 t/ha di letame; in primavera vanno eseguitelavorazioni secondarie di affinamento.

Tecniche di moltiplicazioneDi norma la semina diretta è sconsigliata data la bassa germinabilità del seme. Generalmente si

ricorre al trapianto di piantine provenienti da un semenzaio riscaldato seminato alla fine dell’inverno.La melissa può anche essere propagata, durante il periodo di riposo vegetativo (ottobre-novembre),per talea di rizoma o per divisione del cespo, da consigliare, però, solo per piccole superfici.

Sesti d’impiantoDiverse fonti bibliografiche indicano distanze tra le file di 60-70 cm e 25-30 cm sulla fila. Dai

risultati della nostra esperienza il sesto d’impianto consigliabile è il 70 x 25, con l’obiettivo di 5,5piante/m2 .

ConcimazionePianta rustica che produce bene se concimata. È buona norma conoscere il grado di fertilità del

terreno prima di definire il piano di concimazione. Indicativamente la pianta necessità di 70 Kg/hadi N; 70 Kg/ha di P e 100 Kg/ha di K.

Cure colturaliControllo assiduo delle infestanti nei primi stadi successivi al trapianto. Le piante, infatti, grazie

alla crescita veloce e al notevole rigoglio vegetativo, tendono a coprire rapidamente l’interfila.Rincalzatura delle piantine all’inizio dell’inverno nei climi freddi. La melissa ha forti esigenze idriche,soprattutto nella fase di post-trapianto; dopo ogni taglio è utile una sarchiatura e indispensabile unairrigazione per favorire il ricaccio.

Epoca e modalità di raccoltaUna buona coltivazione può consentire due o tre sfalci di prodotto dal secondo anno (nell’anno

di impianto uno solo alla fioritura); di norma se ne esegue uno in giugno (in prefioritura per tagli

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da tisana) e l’altro a settembre (in piena fioritura per l’estrazione degli olii). Con una buona dispo-nibilità idrica si possono effettuare anche quattro raccolti. L’altezza del taglio deve essere di 10-15 cmda terra e può essere effettuato a mano o con una falciatrice. Raccogliere sempre prima che la piantadiventi troppo alta e legnosa e, di regola, prima che avvenga il disseccamento delle foglie basali.

AvversitàLe principali avversità sono a carico delle foglie, in particolare ruggine, oidio, septoriosi, cicaline.

ResaDal secondo anno la produzione riferita a 100 m2 è di 240-300 kg di prodotto fresco, corrispon-

denti a circa 45-55 kg di foglie essiccate; la resa in olio è dello 0,1-0,3%, di cui l’acido rosmarinicorappresenta il componente principale. Per la distillazione è migliore il secondo o terzo raccolto, evi-tando di portare alla distillazione un prodotto troppo lignificato; l’altitudine favorisce la concentra-zione degli olii.

In tabella 18 sono sintetizzate le peculiarità pedoclimatiche e l’epoca di semina, trapianto e raccolta.

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Tab. 18 - Sintesi delle esigenze agronomiche e pedoclimatiche della melissa

NOTIZIE UTILI E ACCORGIMENTI COLTURALINon dovrebbe mai mancare in un campo di officinali. Il prodotto riscuote ancora un certo apprezzamentosul mercato come sommità fiorite o “foglie monde”. Pianta rustica ma è in grado di valorizzare molto beneuna concimazione organica. Come specie poliennale, non più di 4-5 anni, potrebbe essere coltivata fuorirotazione alla stregua della medica. Con un taglio a 30-35 cm di altezza si aumenta il rapporto foglie/steli.In caso di attacchi fungini delle foglie basali è consigliabile alzare il taglio o aumentarne il numero delle rac-colte. Il taglio tisana va fatto in prefioritura, quello per gli olii essenziali allo stadio di piena fioritura o sfio-ritura, ma sempre dal secondo in poi, in modo che la pianta sfrutti a pieno tutto il sole estivo. Particolareattenzione deve essere rivolta alla fase di raccolta. Le foglie, essendo facilmente deteriorabili, vanno trattatecon cura e rapidamente essiccate o distillate nel giro di poche ore (max 6 ore tra raccolta e trasformazione),per evitare che il prodotto ammassato inneschi rapide fermentazioni. L’eccessiva pressatura nei sacchi e laluce del sole, infatti, tendono ad annerire le foglie. Il mantenimento di un bel colore è fondamentale nellespecie da foglia, soprattutto se da tisana, e questo dipende dalla correttezza nelle modalità di essiccazione.

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TARASSACO(Taraxacum officinale Weber)

Terreno e ambiente È una pianta che dispone di

una grande capacità di adattamentoalle più diverse condizioni; prosperanei suoli da umidi a secchi, purchèprofondi e ricchi di elementi fertiliz-zanti, non troppo argillosi, leggeri enon acidi. La sua presenza indica cheil terreno che la ospita è ricco di calcio.I terreni sciolti sono favorevoli perla pulitura delle radici.

Operazioni colturali all’impiantoIl terreno va preparato in autunno arando ad una profondità di 40-45 cm; in primavera vanno

eseguite lavorazioni secondarie di affinamento, compresa una rullatura sia prima che dopo la semina.Essendo pianta nitrofila si avvantaggia di somministrazioni abbondanti di letame maturo (20-30 t/ha).

Tecniche di moltiplicazioneL’impianto viene eseguito per semina diretta senza particolari problemi nel mese di marzo-aprile.

La quantità necessaria di seme è di 5-6 Kg/ha, utilizzando una seminatrice di precisione, 15-25 Kgcon seminatrice da foraggere. La germinazione è abbastanza pronta. Meno indicato è il trapianto pri-maverile o autunnale delle piantine per i maggiori costi rispetto alla semina, che avviene, tra l’altro,con buone probabilità di successo.

Sesti d’impiantoLe distanze tra le file variano, secondo i diversi autori, da 45 a 75 cm e circa 10 cm sulla fila,

con l’obiettivo di ottenere 12-22 piante/m2. Sulla base della nostra esperienza il sesto d’impianto con-sigliabile è il 70 x 10, che corrisponde a una densità d’impianto di 14 piante/m2 .

ConcimazionePrima di definire il piano di concimazione, sarebbe utile conoscere il grado di fertilità del terreno.

Il tarassaco è una tipica pianta nitrofila. Indicativamente, sulla base di esperienze di coltivazione, lapianta necessità di 100 Kg/ha di N; 90 Kg/ha di P e 150 Kg/ha di K.

Cure colturaliLa pianta è assai rustica e non richiedere particolari cure colturali. Solo la gestione delle infestanti

deve essere abbastanza pronta e attenta, soprattutto nelle fasi successive alla semina. Con le irriga-zioni si interviene nei periodi di maggiore siccità.

Epoca e modalità di raccoltaLa raccolta si effettua alla fine del primo anno, al momento del riposo vegetativo (ottobre-

novembre) nel caso di una semina primaverile. Con trapianto di piantine autunnale la raccolta avviene

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in autunno del secondo anno (anno prolungato). L’escavazione viene fatta a mano o con scavatuberi.L’epoca di raccolta va commisurata alla praticabilità dei terreni nel periodo autunnale ed, eventual-mente, va anticipata.

AvversitàLa principale malattia è l’oidio a carico delle foglie, con la tipica formazione di una patina bian-

castra (oidio). A volte possono verificarsi attacchi di ruggine. In entrambi i casi una primavera freddae piovosa è una condizione favorevole allo sviluppo di questi miceti. Terreni argillosi e ristagnanti pos-sono favorire l’insorgere di marciumi radicali da rizottonia.

ResaDel tarassaco si utilizzano soprattutto le radici. La produzione, riferita a 100 m2, è variabile da

15 a 31 kg, ma più verosimilmente, secondo l’esperienza diretta di coltivatori, da 8 a 20 kg di pro-dotto lavorato. Il contenuto in mucillaggini è molto importante per uso erboristico. Le foglie verdisono commestibili come verdura.

In tabella 19 sono sintetizzate le peculiarità pedoclimatiche e l’epoca di semina, trapianto e raccolta.

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Tab. 19 - Sintesi delle esigenze agronomiche e pedoclimatiche del tarassaco

NOTIZIE UTILI E ACCORGIMENTI COLTURALIÈ una pianta comunissima dal mare ai monti. Pur essendo perenne, in coltivazione non si dovrebbe tenerein campo per più di due anni anzi, come per la valeriana, sarebbe meglio l’anno prolungato, da ottobre aottobre. Il tarassaco coltivato trova nella raccolta spontanea la concorrenza più forte, soprattutto quella estera.Probabilmente per renderla una coltura conveniente, allo stato attuale, bisognerebbe sfruttarne tutti e tre iprodotti: le foglie e le radici per l’erboristeria; le foglie allo stato verde come prodotto alimentare; il semeche è assai richiesto dalle ditte produttrici di sementi da orto. In rotazione segue bene un cereale oppureun prato stabile. Non necessita di cimature in fioritura a differenza della valeriana. Da notare che le radicidi tarassaco provenienti da piantine trapiantate perdono il loro carattere spiccatamente fittonante, diven-tando molto più ramificate. Come specie da radice i terreni troppo argillosi creano sicuramente dei problemiin fase di raccolta, aumentando i costi di produzione sia per l’escavazione che per la pulitura. Va detto, però,che nei terreni compatti il contenuto in mucillaggini aumenta. Le radici lavate vengono tagliate a pezzi perfavorirne l’essiccazione.

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VALERIANA(Valeriana officinalis L.)

Terreno e ambiente Può essere coltivata in zone col-

linari e di bassa montagna; preferi-sce terreni profondi e permeabili,privi di sassi, liberi da malerbe, fer-tili, freschi, meglio se sciolti e dovel’acqua non ristagni. Su terreni fre-schi e fertili sviluppa molto ma conpoco odore, su terreni più asciutti oad altitudini maggiori la pianta svi-luppa meno ma l’odore è più intenso.Sopporta anche climi molto freddi.

Operazioni colturali all’impiantoLa lavorazione del terreno deve essere effettuata accuratamente, ma non troppo profondamente

(30-35 cm), interrando abbondante stallatico, che viene ben valorizzato da questa specie. Il terrenova preparato in autunno, in primavera vanno eseguite lavorazioni secondarie di affinamento, conparticolare cura per la semina diretta.

Tecniche di moltiplicazioneSi propaga per seme o per via vegetativa. L’impianto per semina diretta si esegue in primavera

o in autunno con 6-8 kg/ha di seme con seminatrice di precisione. L’esperienza, però, consiglia ilricorso alle piantine di un semenzaio, seminato a fine luglio, per avere piantine da trapiantare dopocirca 3 settimane a fine estate. Per via vegetativa si può propagare in autunno tramite frammenti dirizoma o per piante ottenute dalla divisione dei cespi di piante madri aventi 2 anni.

Sesti d’impiantoLe distanze tra le file variano, secondo i diversi autori, da 60 a 80 cm e 30-40 cm sulla fila, con

l’obiettivo di ottenere 5-7 piante/m2. Sulla base della nostra esperienza il sesto d’impianto consiglia-bile è il 70 x 35, che corrisponde a una densità d’impianto di 4 piante/m2.

ConcimazionePrima di definire il piano di concimazione, sarebbe utile conoscere il grado di fertilità del terreno.

La valeriana, come quasi tutte le piante da radici, è una specie potassofila. Indicativamente, sullabase di esperienze di coltivazione, la pianta necessità di 100 Kg/ha di N; 50 Kg/ha di P e 150 Kg/ha di K.

Cure colturaliLa gestione delle infestanti deve essere abbastanza pronta e attenta, soprattutto nelle fasi succes-

sive alla semina. La valeriana tollera male prolungati periodi di siccità, per cui è importante poterintervenire con irrigazioni di soccorso. Altro aspetto di rilievo è la cimatura delle infiorescenze in pri-mavera, a partire dal mese di giugno in modo scalare, per favorire l’ingrossamento dei rizomi e l’ac-cumulo di principi attivi.

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Epoca e modalità di raccoltaLa raccolta si effettua alla fine del primo anno, al momento del riposo vegetativo (ottobre-

novembre) nel caso di una semina o trapianto primaverile. Con trapianto di piantine autunnale laraccolta avviene in autunno del secondo anno (anno prolungato). L’escavazione viene fatta a manoo con scavatuberi. L’epoca di raccolta va commisurata alla praticabilità dei terreni nel periodo autun-nale ed, eventualmente, va anticipata.

AvversitàSi segnalano attacchi di septoriosi, oidio, ruggine e afidi, tutti a carico delle foglie e rizottoniosi a

carico delle radici.

ResaDella valeriana si utilizzano le radici. La produzione, riferita a 100 m2, è variabile dai 25 ai 35 kg

di prodotto lavorato. La resa in olio essenziale è dello 0,5-1% sul materiale secco.

In tabella 20 sono sintetizzate le peculiarità pedoclimatiche e l’epoca di semina, trapianto e raccolta.

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NOTIZIE UTILI E ACCORGIMENTI COLTURALIViene spesso indicata come biennale, in realtà è preferibile coltivarla a ciclo annuale o anno prolungato, cioèimpianto autunnale e raccolta l’autunno successivo. Attualmente la coltura per stare sul mercato dovrebbeessere coltivata su ampie superfici. È una pianta tipicamente potassofila, indicata anche per ambienti dimontagna. Non eccedere con l’azoto, in quanto si favorirebbe lo sviluppo delle porzioni epigee a danno deirizomi. In una rotazione non dovrebbe seguire a se stessa e neppure a delle Malvaceae, mentre segue benele colture sarchiate oppure i prati poliennali. Nella scelta di coltivare la valeriana, in quanto specie da radice,si deve tener conto in modo particolare della tessitura del terreno, per evitare eccessivi costi di espianto infase di raccolta e successiva pulitura dei rizomi. Il lavaggio deve essere abbastanza rapido, possibilmenteentro 20 minuti, poiché oltre i 40-50 minuti il contenuto in p.a. diminuisce. Successivamente il prodottolavato deve essere essiccato, con temperature non oltre i 25-30 °C. Il prodotto si conserva in recipienti divetro o porcellana al riparo dal sole. La presenza di acido isovalerianico libero (forte odore nell’aria) indicache l’estratto è vecchio o è stato ottenuto da rizomi conservati troppo a lungo.

Tab. 20 - Sintesi delle esigenze agronomiche e pedoclimatiche della valeriana

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UNA PROPOSTA INNOVATIVA: LO ZAFFERANO

Nel corso della sperimentazione, alle sei specie già impiantate, si è aggiunto lo zafferano (Crocussativus ) con lo scopo principale di acquisire il know how agronomico ed effettuare una prima verificadella adattabilità di questa coltivazione alle caratteristiche pedoclimatiche del territorio del GAL Sibilla.

Lo zafferano è una pianta erbacea perenne, sterile, della famiglia delle Iridaceae. Ha un bulbo-tuberodi forma sferica un po’ schiacciata, di colore bruno. I fiori sono di color lilla-azzurro e presentano trestili gialli e uno stigma tripartito con lacinie allargate e arrotolate all’apice, di colore rosso-arancio.Le foglie sessili, di forma lineare e colore verde scuro, sono raccolte in ciuffi alla base. La fioriturasi ha da metà ottobre alla prima decade di novembre.

È spontaneo delle zone montuose dell’Iran e della zona del Mediterraneo orientale. Si adatta tut-tavia a crescere nelle zone montane con terreni calcarei, sabbioso-limosi profondi e ben drenati, finoa circa 800-1000 m di quota.

Il nome zafferano, che indica il prodotto commerciale, deriva dalla parola araba zaafaran, a suavolta derivata da asfar, che significa di colore giallo, mentre il termine Crocus fu utilizzato per la primavolta da Teofrasto nel 287 a.C. Le rappresentazioni grafiche più antiche dello zafferano, risultanoessere raffigurazioni presenti in papiri egizi e pitture parietali del palazzo di Cnosso databili al 3500a.C. Le citazioni più antiche sono invece riferibili al Cantico dei Cantici della Bibbia, dove viene citatocon il termine ebreo Karkom, e all’Iliade. I faraoni egizi, Ippocrate e Plinio il Vecchio riconoscevanoallo zafferano notevoli doti terapeutiche: veniva utilizzato contro la peste, contro la tosse ed il maldi petto, per ravvivare le funzioni di fegato, reni e polmoni, oltre che per i suoi, veri o presunti, effettilussuriosi. Nel Medioevo veniva utilizzato contro il Mal caduco ed entrava anche nella preparazione

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Affresco presso il Palazzo di Cnosso (Creta)3500 a.C.: Raccoglitrice di zafferano.

a destra: Zafferano (da Hortus romanus, 1774)

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Fasi del ciclo agronomicoe di trasformazione dello zafferano

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del Laudano. In antichità era molto usato a fini cosmetici: così a Creta labbra e capezzoli venivanotinti di rosso aranciato per aumentare il potere di seduzione femminile, Cleopatra ne faceva largo usoin forma di profumi. A Roma era un vero e proprio “status symbol”, nelle domus più ricche i com-mensali sedevano su cuscini riempiti di petali di zafferano, polvere di zafferano cadeva sui convitatiche sorseggiavano vino mescolato a stimmi di zafferano. I più raffinati, come l’Imperatore MarcoAurelio, facevano il bagno solo in acqua profumata di zafferano. L’utilizzo culinario si affermò con ilnascere della borghesia. Lo speziare le pietanze era un modo di ostentare la ricchezza da parte delpadrone di casa. Ma anche per i produttori e per i mercanti lo zafferano era una ricchezza “l’oro ver-miglio”, che veniva messo via e venduto solo in casi di necessità o quando il prezzo di mercato erapiù favorevole. Esistono ricettari del XVII secolo che riportano ricette per la preparazione di inchio-stri e colori gialli o dorati a base di zafferano, oltre a ricette che ne prevedono l’utilizzo per coloraretessuti in modo naturale; del resto anche i Romani lo utilizzavano per tingere le vesti nuziali e le toghedei magistrati.

Strettamente legata alla storia dello zafferano, è la storia delle contraffazioni; l’alto costo dellozafferano ha portato infatti a vari tentativi di contraffazione che risulta piuttosto semplice da effet-tuare soprattutto nel prodotto in polvere in cui vengono aggiunti fiori di Carathamus tinctorius, liguledi Calundula officinalis, stimmi di Crocus vernus, antere dello zafferano stesso, ma si può arrivare anchead aggiungere zafferano esausto o polvere di gesso.

Sicuramente l’uso più conosciuto di questa spezia è quello nella ricetta del risotto alla milanese;tuttavia si apprezzano moltissimo le qualità organolettiche dello zafferano anche in piatti a base dipesce, nelle zuppe di legumi, o nelle salse che possono accompagnare carni bianche. Oltre che nellanostra cucina, lo zafferano trova impiego nella preparazione della Bouillabaisse francese e dellaPaella spagnola.

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Campo di zafferano all’inizio della fioritura

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PRIMI RISULTATI DELLE PROVE DI CAMPOI parametri presi in considerazioni nelle due diverse situazioni pedoclimatiche testate, in località

Podalla (Fiastra) e Taro (Pievetorina), sono stati di carattere agronomico e relativi al regolare sviluppodelle piante nel corso delle principali fasi del ciclo vegetativo, rappresentate dalla: – germinazione dei bulbi;– suscettibilità dei bulbi impiantati al marciume di origine micotica;– fioritura;– allungamento delle foglie e inizio della gemmazione del bulbo madre;– essiccazione della parte aerea;– espianto dei bulbi figli (bulbi che si differenziano dal bulbo madre) a fine ciclo.

I rilievi sul prodotto, invece, hanno riguardato il numero di fiori raccolti e i grammi di zafferanoottenuti dopo la “sfioratura” ed essiccazione degli stimmi, oltre alla quantità di bulbi raccolti a fineciclo e utili al reimpianto della coltura dopo selezione per dimensione ed eliminazione di quelli malati.

Per lo zafferano il pedoclima di coltivazione assume un ruolo fondamentale, in quanto la suscet-tibilità dei bulbi agli attacchi di patogeni e animali terricoli costituisce, forse, il principale fattore limi-tante per la diffusione di questa coltura fuori dai territori storicamente vocati.

Ci riferiamo, in particolare, ai danni da Fusarium, fungo che provoca marciume dei bulbi, parti-colarmente aggressivo su terreni pesanti e alla presenza di microti terricoli (arvicole), che possonoarrecare notevoli danni al capitale dei bulbi da espiantare a fine ciclo, indispensabili per la ricostitu-zione dei campi.

Per quanto riguarda il primo aspetto, i risultati di questi primi due anni hanno dimostrato cheuna corretta pratica agricola, basata sulla realizzazione di una efficiente rete scolante e una scelta deiterreni destinati all’impianto con leggera pendenza, possono contribuire a contenere il marciume dei

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Aiuola a file binate dopo il trapianto dei bulbi

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bulbi entro una percentuale accettabile, anche in presenza di terreni argillosi. Sulla presenza dellearvicole, invece, si può agire adottando ampie rotazioni dei terreni, ma in generale è il decorso dellastagione invernale a determinarne l’entità dei danni, soprattutto in relazione alla durata del periododi copertura nevosa.

Sul piano produttivo i dati ottenuti, seppur raffrontabili con i dati di altre zone storiche di pro-duzione dello zafferano (Altopiano di Navelli e Cascia), non sono ancora sufficienti per poter definireuno standard agronomico specifico per l’area di coltivazione interessata dal progetto.

In generale, però, possiamo dire che nelle due diverse condizioni altitudinali e pedologiche, ilcomportamento vegetativo della coltura è stato abbastanza regolare, dimostrando un buon adatta-mento ai due ambienti di coltivazione.

Come sesto di impianto si è utilizzato quello generalmente consigliato per la coltura, che prevedela costituzione di aiuole a file binate (ma anche a tre o quattro file) con interfila di 30 cm e distanzadei bulbi sulla fila di 1 cm.

La superficie interessata dai singoli campi prova è stata mediamente di 20 m2, ognuno dei qualicostituito da quattro aiuole a file binate.

I risultati produttivi relativi al numero di fiori raccolti e alle quantità di prodotto commerciabile edi bulbi espiantati a fine ciclo, sono riportati in tabella 21.

Sia nel caso del prodotto commerciale ottenuto che in riferimento ai bulbi raccolti al termine delciclo colturale, il dato sperimentale è estremamente lusinghiero ed in linea con le produzioni diNavelli (AQ) e Cascia (PG).

Attualmente la sperimentazione di questa specie prosegue con l’attivazione di altre sei aree spe-rimentali che saranno in grado di definire quanto meno le tecniche colturali più idonee al territoriomaceratese, con conseguente avvio di una produzione locale, estremamente auspicabile vista la resaeconomica del prodotto, che oscilla tra 6 e 12 €/grammo con punte anche più elevate per prodotticertificati e ben confezionati.

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Tab. 21 - Sintesi dei primi risultati ottenuti nella coltivazione dello zafferano

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PROBLEMATICHE COMMERCIALIE IPOTESI DI FILIERA PER LE OFFICINALI

PROBLEMI E OPPORTUNITÀLa coltivazione di piante non alimentari destinate all’impiego come complementi dell’alimenta-

zione e della salute può essere un’attività remunerativa purché si rispettino alcuni criteri di imposta-zione dell’impresa che tengano in minor conto la logica di massima quantità al prezzo più basso. Piùimportante è invece la corretta individuazione del segmento di mercato e il prodotto finito cui si miraal di là della fase prettamente agricola. Al pari è importante la connessione con una fase post-raccoltanecessariamente evoluta sia in senso tecnologico che scientifico in cui il prodotto agricolo diventamateria prima eletta. Le piante officinali sono in definitiva dei natural product carriers e pertanto è sulnatural product che occorre focalizzare la tecnica colturale e le attività di post-raccolta, condizionamentoe trasformazione del materiale vegetale grezzo.

Fermo restando quanto detto per l’aspetto meramente agronomico, dell’attività di produzione èfondamentale individuare preventivamente sul mercato quali piante siano effettivamente le piùrichieste e fra queste quelle che meglio si adattino al sistema agricolo vigente. Questo inteso comel’ordinaria organizzazione produttiva dell’azienda agricola tipo, in modo tale da non sconvolgerecompletamente l’assetto di mezzi e competenze dell’imprenditore.

È necessario, inoltre, approfondire come i prodotti di campo possono essere valorizzati, in unsistema di operazioni di post-raccolta, trasformazione e commercializzazione. In particolare verrannopresi in considerazione alcuni aspetti utili per cercare di trarre le conclusioni di questa valutazione.

Lo standard agronomico di riferimento (ovvero la tecnica colturale più efficiente in termini di rapportocosti/risultati).

Le operazioni di post-raccolta quale elemento necessario all’ottenimento di un prodotto commercia-bile e compatibile con il formato mercantile.

Gli utilizzi principali del prodotto finito e dei suoi derivati onde ricavare un indizio sulla tipologia,sulla qualità di prodotto finito ottenibile e sulla tecnologia, che deve essere connessa a tale prodottoper poter arrivare sul mercato.

Le prospettive di mercato sono l’attuale situazione (con una panoramica di prezzo) e gli sviluppi futuri,se presenti, per un tale prodotto. tali informazioni sono valide per un tempo molto breve a causa del-l’enorme volatilità del mercato stesso.

I plus di prodotto sono le positività che ragionevolmente possono essere conseguite per garantireuna migliore qualificazione del prodotto e una maggior penetrazione nel mercato.

VALUTAZIONE MERCEOLOGICA DELLE SPECIE SPERIMENTATEPimpinella anisum L. (anice verde). Talora l’anice necessita di essiccazione. La pulitura dei frutti in

tararà può portare ad un prodotto pulito pronto confezionamento. La distillazione dell’anice vienefatta in corrente di vapore sul frutto intero o meglio cilindrato. Il parametro qualitativo è l’olio essen-ziale che deve essere presente in misura non inferiore al 2%, con componente ottimale di anetolodell’80%. Fra le piante officinali i prodotti dell’anice possono essere considerati delle commoditiescommerciate a livello internazionale. Le aree di produzione tradizionale nel bacino del Mediterraneosono la Francia meridionale, la Turchia, il Nord Africa (in particolare l’Egitto). Importanti produttoriextra europei sono l’India e in minor misura la Cina. L’anice soffre inoltre di concorrenza da partedell’anice stellato (Illicium verum Hooker) frutto di un arbusto asiatico. In Germania quest’ultimo èpiù apprezzato per via della intensità dell’aroma e della presenza di altri componenti pregiati nell’olioessenziale. Alcuni prezzi osservati sono sotto tabulati (Tab. 22).

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L’impiego nel settore alimentare rendono il mercato di questa droga stabile nel tempo. Non siprevedono aumenti di prezzo.

Sicuramente il principale plus può essere ricondotto al legame con il territorio. Difatti le Marche,pur in zone diverse ma non lontane, vantano una storia di coltivazione secolare. Interessante sarebbecaratterizzare gli ecotipi, se esistenti, che sono coltivati in connessione con la Varnelli, e lavorare sulmiglioramento agronomico e su quello dello spettro chimico dell’olio essenziale. Sfruttare ad esempiola debolezza che presenta l’anice stellato dovuta alle sofisticazioni con la specie tossica e molto simileIllicium anisatum L.

Silybum marianum (L.) Gaertn. (cardo mariano). Di regola data la scalarità della maturazione delseme il prodotto raccolto presenta un umidità del 18-22% e pertanto un’essiccazione anche sempli-cemente al sole è necessaria. Successivamente deve essere immagazzinato sottovuoto. L’achenio dicardo mariano (cardui mariae fructus) è largamente impiegato nella estrazione di principi attivi dallaspiccata azione epatoprotettiva. L’Indena spa è una importante ditta che trasforma questo prodottoin estratti purificati destinati al settore farmaceutico. Il principio attivo utile è una miscela di flavoli-gnani, la silimarina, concentrata nel tegumento dell’achenio (1,5-3%). L’utilizzo principale è pertanto ditipo industriale. La coltivazione di questa officinale deve essere finalizzata all’impiego in industria epertanto è più idonea a sistemi colturali estensivi. Nel mercato sono molto consolidate le produzioniaustriache, polacche, ungheresi, che si rivolgono ai clienti industriali come Indena ed altri, che richie-dono forniture consistenti (dell’ordine di centinaia di tonnellate per anno), con parametri di qualitàelevati e lotti uniformi. Pertanto la coltivazione non è indicata su scala medio piccola a meno che nonsi intenda puntare alla produzione di estratti titolati, da agricoltura biologica destinati al mercatointerno, di cui c’è richiesta. I prezzi del prodotto grezzo sul mercato, date le caratteristiche di massasono sempre piuttosto bassi (Tab. 23).

I plus maggiori sono la quantità, il titolo ed il prezzo basso che non sono compatibili con la realtàoggetto della prova. Sicuramente la coltivazione biologica rappresenta un plus per produzioni limi-tate purché si prolunghi in altre fasi di elaborazione (estratto idroalcolico) per il quale è possibile tro-vare una collocazione sul mercato.

Malva sylvestris L. (malva). La malva “foglie” necessita di essiccazione particolarmente accurataper consentire la conservazione del colore. Un taglio del prodotto fresco prima dell’essiccazione contrinciaforaggi è indicato per prevenire l’impaccamento del prodotto. Si utilizzano le foglie in genereassociate a fiori in quantità limitata. La malva è conosciuta per le proprietà emollienti ed antiflogi-stiche dovute all’elevato contenuto in mucillagini. L’impiego prevalente è quello di prodotto infusio-nale sia nelle tisane che in infusi alimentari. Estratti idroalcolici sono impiegati in preparazioni gale-niche. Estratti acquosi sono impiegati in cosmesi. Le foglie di malva possono considerarsi un pro-dotto la cui richiesta è stabile o addirittura in lieve aumento. In effetti è richiesta in moltissimi pre-

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Tab. 22 - Prezzo medio dei prodotti ottenibili da anice verde

Tab. 23 - Prezzo medio dei prodotti ottenibili da cardo mariano

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parati, infusi, bevande e integratori alimentari. La facilità della coltivazione e la produttività elevatala rende comunque abbastanza fragile all’aggressione di eventuali competitori. I prezzi sono stabilida un paio di anni (Tab. 24).

Come è chiaramente comprensibile dalla tabella dei prezzi la coltivazione biologica rappresentaun interessante plus di prodotto. A prescindere da questo è indispensabile anche raggiungere unabuona qualità organolettica. Il colore e la presenza di fiore è fondamentale per la qualità mercantiledella malva, specialmente così come è richiesta dal mercato italiano. Il colore verde intenso e la pre-senza di fiori blu scuro è molto apprezzata. La M. sylvestris subsp. mauritiana risponde meglio a questecaratteristiche anche se tende a produrre più fusto.

Melissa officinalis L. (melissa, cedronella). La melissa può essere essiccata o distillata in corrente divapore. È altresì utilizzabile nell’estrazione dal secco o dal fresco. Il prodotto secco mercantile è datoda erba intera destinata a ulteriori lavorazioni o all’estrazione (previa frantumazione), foglie intere,molto pregiate, taglio tisana, taglio filtro e polvere. L’olio essenziale è in genere commerciato greggio.Il prodotto greggio fresco o essiccato può essere impiegato in estrazione con CO2 supercritica, otte-nendo estratti integrali ricchi di aroma naturale. La droga è data dalla sommità essiccata intera odalle foglie monde. La melissa è di grande importanza come erbe infusionale, entrando in tisanesemplici e composte, come ingrediente aromatico e suscettibile di claims riguardanti il benessere del-l’umore. Insieme a malva e camomilla rappresenta la maggiore erba infusionale dei climi temperati.L’olio essenziale, ricco in citronellolo e citrale, pregiatissimo, è usato in profumazioni cosmetiche estivee mediterranee. Nell’80% dei casi il prodotto commerciato a causa del costo è sofisticato con misceledi terpeni sintetiche. La caratteristica di erba infusionale e un certo apprezzamento sul mercato avvi-cinano rapidamente questo prodotto ad una commodity. La richiesta è in aumento, anche se proba-bilmente un eccesso di piantagioni effettuata nella campagna 2004 (Est Europa) dovrebbe manife-starsi sul mercato da qui al 2006. L’olio essenziale soffre a causa di sofisticazioni pesanti che immet-tono sul mercato prodotto a prezzi dieci volte più bassi del prodotto naturale (Tab. 25).

La melissa è caratterizzata da una grande labilità dell’olio essenziale, nelle fasi di essiccazione, sfo-gliatura e conservazione. Molto prodotto commerciale infatti è caratterizzato da basso o nullo aroma.La ditta svizzera Ricola richiede ai produttori specifiche tecnologiche per avere un prodotto primarioo semilavorato ricchissimo in olio essenziale, ad esempio attraverso l’essiccazione a freddo e la con-

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Tab. 24 - Prezzo medio dei prodotti ottenibili da malva

Tab. 25 - Prezzo medio dei prodotti ottenibili da melissa

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servazione sottovuoto. I plus di prodotto sono pertanto conseguibili attraverso la coltivazione di varietàselezionate ad alto olio essenziale, nella individuazione ottimale della fase in cui si ha massimo accu-mulo di o.e. e il migliore rapporto foglia fusto, e nello sviluppo di tecnologie soft nella fase di essicca-zione, sfogliatura e conservazione. All’uopo la coltivazione su scala medio piccola è indicato.

Taraxacum officinale Weber (tarassaco, dente di leone). Le radici necessitano di lavaggio, cippaturaed essiccazione per la conservazione. Il lavaggio è necessario in caso di terreni pesanti ed argillosiche causano contaminazione batterica della droga escludendone l’uso come infusionale. La drogapiù interessante nel ns. mercato è la radice, talora frammista a sommità. Il tarassaco ha un impiegoprevalente come ingrediente minore in tisane composte, ovvero come ingrediente in tinture estrattie simili dalle proprietà depurative e rimineralizzanti. La sua importanza è comunque relativamentecontenuta. Recentemente ne è stato studiato l’impiego per l’apporto di inulina nella razione alimen-tare dei suini come fattore di modulazione dell’aroma della carne. Il tarassaco coltivato soffre ungrave svantaggio verso il prodotto da raccolta spontanea proveniente dall’Est-Europa e dai Balcani,il cui prezzo è piuttosto basso e la qualità discreta parlando di prodotti non destinati all’infusionale.Questo, combinato ad una richiesta modesta da parte del mercato (dovuta al suo sapore non pro-prio gradevole), la rende una coltura poco competitiva, specialmente nella coltivazione nei terrenimarginali dove può richiedere maggiore manodopera. I prezzi osservati sono indicati in tabella 26.

Anche per questa droga la coltivazione biologica rappresenta un plus interessante che si riflettesul prezzo. Potrebbe essere interessante lo sviluppo di prodotti a maggior valore aggiunto come succhida pianta intera o foglia fresca in IV gamma. Il lavaggio delle radici ai fini della riduzione della caricabatterica è altresì fattore di competizione sul prodotto estero.

Valeriana officinalis L. (valeriana). Il prodotto necessita di solito di lavaggio, anche grossolano e disuccessiva essiccazione (a meno di 40° C) fino ad umidità standard di conservazione (12,50%). Illavaggio deve essere effettuato con cura, specialmente nei terreni sabbiosi poiché la sabbia è indesi-derata nei processi di lavorazione successivi. Il prodotto commerciabile è la radice intera o eventual-mente grossolanamente cippata. La droga è rappresentata dalla radice (rizoma con radici avventizie)essiccata. La valeriana ha come utilizzo principale l’estrazione industriale di principi attivi per la for-mulazione di farmaci tranquillanti e simili. Utilizzi minori possono essere gli estratti idroalcolici peruso erboristico, anche se soggetti a notifica ministeriale ed eventualmente come taglio tisana, anchese la sgradevolezza dell’odore la rende proponibile solo per conoscitori. I parametri di qualità sonorappresentati dagli acidi valerenici (0,45% su e.s.) o dai valepotriati (0,5-2% su droga essiccata). Lavaleriana è commerciata in un mercato dove prevalgono le quantità ed il basso prezzo (Tab. 27).

In questo mercato dominano i tedeschi come acquirenti ed i polacchi, ucraini e ungheresi comevenditori. Anche India e Cina hanno sviluppato coltivazioni di specie autoctone (V. jatamansi Jones eV. wallichii DC) commerciando estratto secco. Questo mercato non è accessibile per produzioni di

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Tab. 26 - Prezzo medio dei prodotti ottenibili da tarassaco

Tab. 27 - Prezzo medio dei prodotti ottenibili da valeriana

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nicchia e comunque su superfici limitate. Rimane un debole spazio come prodotto da taglio tisanabiologico per il mercato italiano, ma con spazi sufficientemente presidiati da merce tedesca e olandese.I prezzi sono quelli di una commodity e sono influenzati prevalentemente dal titolo di principi attivi edeventualmente dall’assenza di contaminanti pericolosi.

Questa droga deve i suoi plus esclusivamente all’alto titolo in principi attivi specialmente se com-binato con grandi quantitativi e prezzi bassi.

Crocus sativus L. (zafferano). Gli stimmi dello zafferano devono essere essiccati ad una temperaturamoderata di 40-45 °C, utilizzando, secondo la tradizione, un setaccio tenuto a debita distanza dallabrace per 10-15 minuti. La droga è rappresentata dallo stimma dello zafferano. Lo zafferano è uti-lizzato da secoli come spezia alimentare di cibi e bevande. Sono noti anche utilizzi come ingrediente diintegratori alimentari (tinture e alcooliti) destinati al controllo delle dislipidemie. I valori di rifermentosono il contenuto dei principi aromatizzanti come la crocina, la crocetina e i principi amaricanti picro-crocina e safranale. Lo zafferano rappresenta in buona sostanza una commodity commerciata a livelloglobale ma che sussiste anche sotto forma di produzioni e commercio locali fortemente caratterizzati. Imaggiori produttori mondiali sono India (dove il mercato interno consuma tutto), l’Iran (volto all’ex-port) la Grecia e la Spagna. In Italia sussistono realtà relitte ancorché vitali, sull’altopiano di Navelli(AQ), in Sardegna e disseminato nelle province di Siena e Firenze. I prezzi sono estremamente diversia seconda delle provenienze, e la differenza di prezzo è indice anche della qualità (organolessi, caricabatterica, altri contaminanti).

La grande domanda di manodopera rende questa droga molto costosa e pertanto molto soggettaa sofisticazioni anche gravi. Cosicché una produzione di qualità e ben caratterizzata dal punto divista territoriale ed ambientale può trovare soddisfacenti sbocchi di mercato. Essendo poi lo zafferano

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Essiccazione degli stimmi di zafferano con il metodo tradizionale

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un prodotto già lavorato è suscettibile di essere confezionato senza necessità di impianti complessi.La coltivazione biologica, dato l’alto prezzo del prodotto convenzionale, non garantisce ulteriori sovrap-prezzi. Il recupero del legame del territorio come forma di promozione ha dato risultati interessanti.

In definitiva, quindi, considerando i vari aspetti analizzati, possiamo tentare di individuare alcuniindicatori sintetici di valore e fattibilità tecnica ed economica delle singole specie in grado di rappre-sentare un percorso per lo sviluppo di queste colture nelle aree interne della Regione Marche. Agliindicatori ritenuti fra i più significativi e di seguito elencati, saranno attribuiti tre gradi di valore codi-ficati in medio, basso ed elevato (Tab. 28):

– compatibilità agronomica dello standard colturale, ovvero di come lo standard colturale (come sommadi tecniche che portano al prodotto migliore a costi minori) sia applicabile nelle condizioni in cui siopera; ove questa compatibilità sia ottimale si avrà il milgior prodotto a costi compatibili con i prezzidi mercato.

– fitness di mercato, ovvero come un prodotto ottenuto a determinati costi di produzione è collo-cabile sul mercato seguendo le esigenze precise del mercato stesso in termini di principi attivi, quantitàe prezzo;

– valore di filiera, come somma delle potenzialità di una data materia prima di attraversare unadata filiera e raggiungere un valore aggiunto significativo.

Ne consegue che malva, melissa e zafferano sono specie di interesse in un proseguimento delprogetto. Anice e tarassaco sono specie deboli ma possono essere sviluppate attraverso una adeguatapolitica di filiera. Il cardo mariano e la valeriana sono poco consigliabili, non tanto per gli aspettimeramente agronomici (che hanno dato risultati soddisfacenti), ma per le difficoltà di valorizzazione ecommercializzazione; rimangono comunque specie valutabili nella prospettiva di una forte organiz-zazione commerciale su base territoriale capace di costruire mercato e tracciabilità del prodotto.

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Tab. 28 - Indicatori sintetici di valore e fattibilità tecnico-economica

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UN’IPOTESI CONCRETA DI FILIERA

La sola coltivazione delle piante officinali, è stato già richiamato, non è sufficiente affinché il pro-cesso di produzione e di accesso al mercato sia completo. Questa attività agricola, al pari della viti-coltura e simili, necessita di un minimo di infrastruttura aziendale o interaziendale che consenta dipervenire ad un prodotto commerciale compatibile con il circuito mercantile (magazzinaggio, spedi-zione, acquisto). Inoltre, le condizioni operative, scelta delle specie, tipo di lavorazioni in post raccoltaed obiettivi di qualità, sono strettamente legati a precisi sbocchi commerciali che necessitano di essereindividuati a priori. Di seguito verranno effettuate alcune considerazioni che l’azienda deve fare insede di progetto prima di avviare una coltivazione di piante officinali.

LE DOTAZIONI AZIENDALICome ricordato altrove l’attività di produzione delle piante officinali e derivati non può essere

distinta da attività specializzate di post-raccolta e di trasformazione che consentano al prodotto grezzodi raggiungere lo standard normalmente in commercio. Le dotazioni devono contemplare impiantidi condizionamento e stabilizzazione ed impianti di trasformazione veri e propri. Ipotizzando unacatena di processo completa, le attrezzature che potrebbero essere ipotizzate sono le seguenti.

Essiccatoio. Dispositivo necessario a disidratare le erbe e portarle alla stabilità e pertanto ad unaconservabilità nel lungo termine (36 mesi). Può essere ad aria naturale, termico convenzionale o apompa di calore o gel di silicio. I sistemi più avanzati sono a freddo che consentono di conservarein modo eccellente le caratteristiche organolettiche del prodotto. Esistono essiccatoi da 500 a 3.000Kg/ciclo. Di regola 1.000 Kg sono sufficienti per una superficie di circa 1 Ha di coltura da sommità(malva, melissa, ortica) in asciutto.

Battitrice o tagliatrice. Questo dispositivo serve per tagliare o frantumare il prodotto greggio edeffettuare una prima suddivisione fra porzioni utili e scarti (fusti), da separare successivamente consetacci o per flottazione. Normalmente è composta da un rotore a denti o a lame che agisce all’internodi una camera dove viene immessa la droga greggia. Il prodotto battuto o tagliato cade in basso doveviene raccolto per le successive fasi di lavorazione.

Setacciatrice. Lavora in connessione con il dispositivo precedente. Ha lo scopo di separare performa le frazioni elette (foglie, semi, fiori) dal prodotto greggio, scartando le parti grossolane comei fusti, ed eliminando le polveri fini e la terra. Di regola sonomeccanici, oscillanti con corpo tondo, quadro o rettangolare,con diversi livelli di efficienza e di costo.

Mulino. Il mulino serve esclusivamente ad ottenere taglifini, ad esempio per filtro o per tagliare radici e semi al finedi ottenere un formato destinato ad esigenze particolari (es.estrazione). Pur non essendo assolutamente indispensabile,consente di raggiungere la flessibilità che è necessaria ad unproduttore di materia prima.

Bilancia. La bilancia è indispensabile per poter gestirecorrettamente tutte le operazioni di carico a magazzino, lavo-razione e vendita del prodotto finito.

Insaccatrice. Quest’ultimo dispositivo è utile per potermanipolare il prodotto secondo le migliori garanzie igienicosanitario e con il minimo danneggiamento del materialelavorato.

Distillatore. Il distillatore potrebbe costituire un’ulteriore

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Distillatore

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dotazione per la trasformazione del prodotto fresco in olii essenziali puri. Tale equipaggiamento è disemplice conduzione e consente di ottenere un prodotto ad alto valore aggiunto, senza molti passaggisuccessivi alla raccolta e con un prodotto di partenza anche non perfetto. In genere l’investimento èimportante anche per dotazioni minime (ad es.: 200 lt), e pertanto anche l’orientamento della pro-duzione agricola deve essere opportunamente riconsiderato puntando alle specie a duplice attitudine,ovvero sia da prodotto secco che da olio essenziale (es.: melissa, menta, timo, origano etc.).

I PROCESSIEssiccazione. L’essiccazione all’aria è il sistema tradizionale di disidratazione più usato la mondo.

Esso è apprezzato per semplicità ed economicità di esercizio (energia solare) ed è idoneo nelle zonein cui nel periodo di raccolta (giugno – settembre) si ha un clima temperato asciutto. Questa situa-zione è quella che si riscontra nell’appennino dell’Italia centrale. Il sistema può essere ottimizzatoattraverso l’adozione di accorgimenti che consentano di conservare il più possibile le caratteristichepeculiari del prodotto. Infatti, dato che è impossibile influenzare le condizioni atmosferiche da cui ilprocesso dipende, è però opportuno evitare alcuni inconvenienti tipici del metodo. Innanzituttooccorre evitare l’esposizione diretta alla luce solare che in genere incide negativamente su alcunecaratteristiche organolettiche delle droghe, in particolare il colore, influenzandone anche il contenutoin sostanze attive (pigmenti, antiossidanti). A tale scopo è necessario creare degli ambienti ventilatichiusi o schermati (anche parzialmente) dalla luce. Secondo accorgimento, evitare una eccessivaesposizione alle oscillazioni di umidità dovute alla notte che sono causa di scolorimenti e prolifera-zione di microrganismi dannosi. In tale caso è possibile avvolgere il prodotto in teli plastici al calardel sole per poi scoprirlo in pieno sole. Semplici cabine di legno con graticci o serre adattate sono

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Diversi stadi di essiccazione della melissa

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alcune soluzioni che combinano il basso costo di realizzazione/esercizio con la conservazione dellecaratteristiche del prodotto.

L’essiccazione con aria condizionata di norma avviene artificialmente all’interno di essiccatoicome sopra descritti. La durata del processo può essere indicativamente fra le 36 e le 48 ore, a secondadel tipo di prodotto e dell’essiccatoio impiegato. Le temperature normalmente non devono esseretroppo elevate (max 40 °C), pena la perdita di sostanze volatili, importanti fattori di qualità del pro-dotto. L’erba essiccata fino al 10-11% di umidità (p/p), ovvero la droga greggia, è stabile e può essereimmagazzinata debitamente per un periodo lungo. È fondamentale in questa fase collocare il prodottoin contenitori (sacchi, bins, etc.) chiusi per prevenire sia le infestazione degli insetti delle derrate, chela re-umidificazione del prodotto con susseguente perdita di qualità. L’essiccazione è un processoenergeticamente costoso e la scelta opportuna dell’essiccatoio e delle fonti di energia utilizzate (solare,biomasse) può essere determinante ai fini della riduzione dei costi di produzione.

Taglio e selezione. Il prodotto essiccato grezzo ha un mercato come tale, ma il valore aggiunto risultaalquanto basso e la competizione con prodotti esteri indifferenziati è notevole. Lavorare un prodottosecco per portarlo alla conformità con i prodotti finiti o semifiniti normalmente circolanti sul mercatoè fondamentale nella strategia della filiera. Le macchine sopra descritte consentono di eliminare partiindesiderate, come i fusti, steli, polvere fina e pesante, sassi, che sono nel prodotto greggio. Il pro-dotto lavorato è quindi un concentrato di frazioni elette (fiori, foglie, semi, etc.), pronto per l’impiegoo persino il confezionamento nelle unità di vendita (tisane). Di regola tali operazioni sono fatte dalleindustrie di commercio all’ingrosso che pertanto trattengono la gran parte del valore aggiunto persé. La combinazione delle apparecchiature è fondamentale per avere una piena versatilità e un rap-porto utile/scarto accettabile.

Distillazione. La distillazione è un’operazione effettuata sul prodotto verde che ha lo scopo diestrarre l’olio essenziale mediante l’impiego di vapore. Ha il vantaggio della semplicità operativa, del-l’immediatezza del prodotto, l’olio essenziale, che è pronto per la vendita tanto all’ingrosso quanto aldettaglio. Questa trasformazione consente di valorizzare molto anche produzioni limitate e con qua-lità inferiore rispetto al prodotto da tisana. È indispensabile però che le specie coltivate contenganooli essenziali con valore di mercato. La distillazione consente anche di ottenere sottoprodotti interes-santi, quali le acque aromatiche, che hanno delle potenzialità d’impiego sotto varie forme (ingredien-tistica, detergenti, profumazioni).

Magazzinaggio, imballaggio e spedizione. Una fase spesso trascurata della filiera delle piante officinali èquella che riguarda la manipolazione (handling) e il magazzinaggio (housing) dei prodotti lavorati.È importante dire che la disponibilità di spazi e sistemi idonei ad un corretto magazzinaggio è tantoimportante quanto la disponibilità di attrezzature per la trasformazione.

Questo per due motivi:– le droghe, grezze o elaborate che siano, sono materiali secchi la cui deperibilità dipende esclusi-

vamente dal sistema di stoccaggio. La durata come prodotti alimentari è infatti di 36 mesi, anchese teoricamente può essere molto più lunga;

– la capacità di stoccaggio consente all’azienda di sfuggire ai cicli economici negativi per eccessodi prodotto ed attendere tempi e prezzi migliori.Quindi un sistema di confezionamento all’ingrosso, manipolazione e stivaggio appropriato sono

una parte sostanziale del processo economico e produttivo.

I PRODOTTILa piccola azienda che decida di puntare su una produzione di piante officinali in Italia deve

puntare su un’impostazione che consenta di sfruttare al massimo le opportunità offerte dalla qualitàdel proprio prodotto, sia in un mercato di materie prime, sia in uno di prodotti finiti. In altre parole,optare per una diversificazione sia in fatto di gamma orizzontale (più specie coltivate), sia come

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gamma verticale (più formati di prodotto) è indispensabile. Appare chiaro come la filiera è fonda-mentale per poter seguire questa strada.

Per quanto riguarda le specie vale quanto detto in precedenza, dato che il numero delle coltiva-bili è elevato (oltre 100 nell’ambiente temperato), è opportuno restringere il campo a tre o quattroentità, sperimentando annualmente almeno una nuova specie, in modo da valutarne la potenzialitàe la vocazione territoriale. Importante sarebbe anche recuperare specie di impiego tradizionale localeda promuovere attraverso il marketing territoriale.

Una gamma verticale è altresì importante per sfruttare tutte le opportunità del mercato. In talcaso, della stessa specie il produttore deve offrire contemporaneamente un prodotto greggio intero(esempio melissa erba), un prodotto lavorato (melissa foglie), un prodotto preparato (melissa tagliotisana) o un ulteriore tipologia di trasformato (melissa olio essenziale). Il confezionamento in prodottifiniti può avvenire in azienda, in un semplice laboratorio di preparazioni alimentari, ovvero pressola nutrita schiera di aziende di servizi industriali (contract manufacturing) che in Italia propone solu-zioni complete: si spedisce la propria materia prima, si ritira il prodotto finito e confezionato a normadi legge (Tab. 29).

STRATEGIA DI MERCATOQuale sarà il mercato delle piante officinali per i piccoli produttori delle Marche? È importante

focalizzare i propri sforzi commerciali in un determinato segmento del variegato mercato delle materieprime vegetali da piante officinali.

Senza dettagliare eccessivamente l’analisi del mercato delle materie di cui si parla, si può sche-maticamente seguire la tabella 30:

Ingrosso. Parlando ovviamente di prodotti all’ingrosso, greggi o semilavorati, il cliente finale idealeper il nostro piccolo produttore è l’azienda di produzione o commercializzazione di integratori ali-mentari (o industria erboristica) che commercializza in proprio. Queste realtà (circa 10 maggiori ope-ratori e moltissimi piccoli) competendo fortemente sul mercato, hanno il massimo interesse ad avereuna materia prima di elevata qualità, “tracciabile” e con legame al territorio. I lotti oggetto di com-mercio in genere sono medio piccoli, compresi fra i 300 e i 1.000 Kg per prodotto e per anno. I prezziin media sono molto più elevati anche se di volatilità più elevata.

Dettaglio. Parlando di prodotti al dettaglio è pensabile ideare una gamma ristretta di prodotti sem-plici (tisane o aromi in bustina, bustine filtri, liquori di erbe, oli essenziali in flaconcino) che sfruttando

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Tab. 29 - Sintesi delle principali fasi di processo e prodotto nella coltivazione delle specie officinali

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l’immagine del territorio possano essere distribuiti a costi contenuti localmente, sia presso punti ven-dita tradizionali, (erboristerie e negozi del naturale) sia presso esercizi che basano la loro attività sulvalore aggiunto del territorio come agriturismi, ristoranti tipici, centri termali, etc., nonchè attraversoeventi di promozione delle produzioni locali (fiere e mercatini).

ASPETTI NORMATIVI DI RILIEVOLe erbe nel momento in cui subiscono una trasformazione, anche la semplice essiccazione, sono

suscettibili di essere inquadrate come alimenti o ingredienti di alimenti. Pertanto, a valle della colti-vazione e persino lo stesso processo di essiccazione (ma non la distillazione) sono da inquadrarsicome attività di preparazione degli alimenti. Quando questa preparazione avvenga in luoghi appositi(laboratori, magazzini, depositi, essiccatoi) questi devono rispettare i requisiti igienico sanitari dimassima (Legge 30 Aprile 1962 n. 283 ed art. 25 DPR 26 Marzo 1980 n. 327, D.L. 155 del 26 Luglio1997). Se l’operatore intende fare ulteriori operazioni di preparazione ma non il confezionamento,deve richiedere l’autorizzazione sanitaria per la preparazione di alimenti ed il laboratorio deve pre-sentare una serie di requisiti di conformità, come pareti lavabili e strutture igieniche per gli addetti.Con questi requisiti di legge l’operatore può trasformare tutti i prodotti provenienti da una coltiva-zione fino allo stadio di materia prima da sottoporre ad ulteriore trasformazione o confezionamen-to (erbe essiccate e tagliate, polveri, estratti fluidi, oli essenziali etc. in grandi contenitori non desti-nati al consumatore). Qualora volesse procedere anche a confezionamento in proprio dovrà adotta-re misure diverse a seconda del tipo di prodotto finito. Per erbe essiccate, tisane e oli essenziali, lanormativa di riferimento rimane quella dell’alimentare e quindi l’autorizzazione sanitaria con indi-cazioni specifiche è sufficiente. Per estratti, alcooliti, tinture, sciroppi ed opercoli e simili, la normati-va di riferimento sarà quella degli integratori alimentari (D.L. 111 del 27 Gennaio 1992) e pertantosarà un laboratorio specializzato e approvato dal Ministero della Salute. Le normative danno indica-zioni anche per l’etichettatura specifica dei singoli prodotti. La produzione di cosmetici a base di erberichiede strutture dedicate.

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Tab. 30 - Schema sinottico delle strategie di mercato

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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Hortus Romanus – Roma 1774

Hortus sanitatis - Magonza – Jacob Meydenbach 1491

Manoscritto 18 – Erbario lapidario sec. XV

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INDICE

PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

PREMESSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

QUADRO AMBIENTALE ED AGRONOMICODEL TERRITORIO DEL GAL SIBILLA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

OROGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

GEOMORFOLOGIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

BIOCLIMA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

UNITÀ DI PAESAGGIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

IL PAESAGGIO AGRARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12Aspetti demografici e socio-economici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12Il contesto produttivo agro-forestale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

IL PROGETTO “RECUPERO, SPERIMENTAZIONE E PROMOZIONEDI PIANTE OFFICINALI E MEDICINALI” DEL GAL SIBILLA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

MOTIVAZIONI E FINALITÀ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

IPOTESI SPERIMENTALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

LE SPECIE SPERIMENTATE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20Anice verde (Pimpinella anisum L.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20Cardo mariano (Sylibum marianum (L.) Gaertn.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21Malva (Malva sylvestris L.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23Melissa (Melissa officinalis L. ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25Tarassaco (Taraxacum officinale Weber) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27Valeriana (Valeriana officinalis L.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28

SPERIMENTAZIONE AGRONOMICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29Individuazione degli appezzamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29Densità di investimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30Prova di concimazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31Modifiche e adattamenti sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33Tipologia del materiale di propagazione utilizzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

RISULTATI DELLA SPERIMENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

ELABORAZIONE DEI RISULTATI DI CAMPO: ANALISI QUANTITATIVE . . . . . . . . . . . . . 35

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ELABORAZIONE DEI RISULTATI DI CAMPO: ANALISI QUALITATIVE . . . . . . . . . . . . . . . 42

RISULTATI OTTENUTI E PROBLEMATICHE INCONTRATE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43Effetti dell’ambiente pedoclimatico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43Aspetti agronomici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46

VALUTAZIONE DEI RISULTATI IN RELAZIONE ALLE IPOTESI SPERIMENTALI . 53DENSITÀ D’IMPIANTO E RAFFRONTO DELLE PRODUTTIVITÀ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53RISULTATI DELLA PROVA DI CONCIMAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

SCHEDE AGRONOMICHE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56

ANICE VERDE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

CARDO MARIANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59

MALVA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61

MELISSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

TARASSACO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65

VALERIANA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

UNA PROPOSTA INNOVATIVA: LO ZAFFERANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69

PRIMI RISULTATI DELLE PROVE DI CAMPO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

PROBLEMATICHE COMMERCIALI E IPOTESI DI FILIERA PER LE OFFICINALI 74PROBLEMI E OPPORTUNITÀ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74VALUTAZIONE MERCEOLOGICA DELLE SPECIE SPERIMENTATE . . . . . . . . . . . . . . . . . 74

UN’IPOTESI CONCRETA DI FILIERA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80LE DOTAZIONI AZIENDALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80I PROCESSI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81I PRODOTTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82STRATEGIA DI MERCATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83ASPETTI NORMATIVI DI RILIEVO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85

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Finito di stamparenel mese di giugno duemilasei presso la Tipografia S. Giuseppe