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POLITECNICO DI MILANO Facoltà di Design Corso di laurea specialistica in Design della Comunicazione Semi Liberi: Una strategia di comunicazione per la rigenerazione della Biodiversità. Seed Saver: Un nome per la rete di contatto. Relatore: Maria Luisa Galbiati Correlatore: Luigi Marcello Ciccognani A.A. 2015/2016 Tesi di laurea di: Riccardo Schito Matricola: 841175

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Page 1: POLITECNICO DI MILANO€¦ · Hub City, rinnovata e moderna. La diversità, l’eterogeneità è un’altra caratteristica fondamentale da considerare quando si ragiona sull’identità

POLITECNICO DI MIL ANO

Facoltà di DesignCorso di laurea special istica in Design del la Comunicazione

Semi Liberi: Una strategia di comunicazione per la rigenerazione della Biodiversità.

Seed Saver: Un nome per la rete di contatto.

Relatore: Maria Luisa GalbiatiCorrelatore: Luigi Marcello Ciccognani

A.A. 2015/2016

Tesi di laurea di: Riccardo SchitoMatricola: 841175

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- Indice delle figure

- Indice dei grafici

- Abstract

- MILANO: da grigio a verdeNodo globale

La Rete Urban GreenGreen Business e Green EconomyCoinvolgimento e crowdfunding civico Agricoltori civici e Contadini Urba-niUrban Seed Saving

- ECONOMIA COLLABORATIVASharing economy, scambioPeer to peer, baratto informaticoOpen source fruizione libera

- MARCHI COLLETTIVI

Marchi di garanzia

- COLLABORAZIONE SO-CIALE PER IL BENE COMU-NE Pre rivoluzione industrialePost rivoluzione industriale Ai giorni nostri

-IL PROGETTO SEED SAVER

Concept Cos'è Seed SaverTarget e condizioniBrandbook

- Bibliografia

Indice

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Indice dele figure

p. 34 La rete Seed Saverp. 35 Icona Associazioni di Seed Savingp. 35 Icona Orti Urbanip. 35 Icona Startup e servizip. 36 Tessera Seed Saver

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Indice dei grafici

p. 36 User Experience

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Abstract

Seed Savers è un progetto che ha come obiettivo quello di frenare l’erosione genetica che ha colpito gli ecosistemi mondiali negli ultimi anni di progres-so industriale. Nel concreto si occupa di creare un ponte fra la terra e i semi ormai rari, per ridargli vita e valore, re-insegnare la pratica agricola in città, e creare consapevolezza sull’importanza del tema Biodiversità e delle tradizioni agricole tramandate di generazione in generazione.

L’abbandono della vita rurale in favore dell’urbaniz-zazione è uno dei tanti motivi per cui il nostro pa-trimonio genetico agroecologico si è quasi del tutto perso. Dunque è necessario che quest’ultimo venga recuperato e reintrodotto nel contesto urbano.

Da circa dieci anni a questa parte c’è stato uno sfor-zo che ha consentito a Milano di “cambiare colore”. Ora è una città green sotto tanti punti di vista: i tra-sporti, la lotta agli sprechi, l’aumento di aree verdi sono alcune delle idee che hanno cambiato la città.Qui, si è venuta a formare una rete di interazioni e scambi: nodi di questa rete green sono gli Orti Urbani, (in crescita esponenziale negli ultimi anni) i parchi (che secondo i piani congiungeranno l’ester-no e l’interno della città) e ovviamente le persone che la rendono viva e attiva.

Questi presupposti la rendono adatta a favorire la

crescita del brand Seed Saver, marchio collettivo che si occupa di garantire il futuro della biodiversità, tramite lo scambio gratuito e la diffusione di semipermettendo il riconoscimento delle associazioni e degli orti che rispettano i criteri per entrare a far parte del circuito.

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Da cemento grigio a vetrina verde

"Milano è una città europea moderna, un centro privilegiato, con i suoi luoghi d’integrazione per eccellenza: spazi pubblici considerati come patri-monio comune, da valorizzare" 1. Tramite lo sviluppo di quest'ultimi si tenta di confor-mare il capoluogo lombardo al processo di crescita della città che in numerose città del Nord Europa avviene già da tempo. Queste metropoli hanno, per prime, promosso una struttura urbana riqualificata che favorisse le interazioni sociali, al fine di unificare realtà eterogenee tra loro slegate.

Un tema spesso dibattuto su Milano è la sua rela-zione con l’ambiente, con la Natura. Milano non possiede un referente forte come il mare, un lago, un fiume, che consenta ai cittadini una relazione diretta con la natura. Ciò, non significa che Milano non viva un rapporto con la natura, anzi. La natura che ha plasmato la città è una natura diffusa, "che consiste in quei numerosi corsi d’acqua che avvol-

gono e attraversano la città e da quei paesaggi di transizione che conducono dall’urbano al rurale, diradandosi" 2.

Il passato rurale di Milano si può ritrovare nei piccoli centri che circondano la città, che nell’800 costitu-ivano una fitta rete e che oggi sono stati inglobati nella città stessa. Il passato “naturale” invece è poco percepibile. Il simbolo di questa difficile relazione è segnato da quella che viene ricordata come “chiu-sura dei Navigli”, così a Milano la natura immediata è scarsa, ridotta e confinata. Ma anche la natura mediata non è stata particolarmente sviluppata. Per natura mediata si intende la natura costruita, progettata, i parchi e le aree verdi artificiali, che sono quell’elemento della città moderna che ha au-mentato la capacità integratrice e socializzatrice. Le impostazioni progettuali della città hanno limitato e confinato per decenni le aree destinabili al verde pubblico, in tutte le fasi di sviluppo urbano della

1 Mauro Ceruti, Milano: identità, saperi, territori, in Milano, nodo della rete globale AAVV, Bruno Mondado-ri, Milano, 2005.2 (Mauro Ceruti, 2005).

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attraverso piste ciclabili, percorsi pedonali, nuovi tratti di trasporto pubblico, implementazione di servizi quali il bike sharing e il car sharing.

Questi percorsi sono luoghi di alta qualità ambien-tale, alta capacità simbolica e alta interattività. Sono i luoghi che consentono al signolo individuo e alla collettività, di compiere scambi e interazioni, in una nuova relazione con la natura e con la storia, due elementi che spesso sono stati sottovalutati andan-do ad incidere sulla qualità della vita della città.

La Rete Urban GreenMilano è dunque una città che negli ultimi dieci anni ha cambiato il suo volto e costruito delle con-nessioni sia all’interno dei suoi confini, sia rispetto all’esterno. "Nel delicato equilibrio tra i territori, l’agricoltura gioca sicuramente un ruolo importante" 4. Il recu-pero della natura può mitigare gli impatti dell’urba-nizzazione e ripristinare l’equilibrio ecologico, oltre che attivare trasformazioni sociali che riguardano l’aggregazione, la collettività, l’accesso al cibo e le abitudini dei cittadini. Attraverso le aree verdi recu-perate e le conversioni di spazi agricoli confinanti con la città, si sono andati riempiendo degli spazi vuoti che, magari, sarebbero stati occupati da altro cemento.

unire tutti i parchi che si trovano intorno a milano per consentire la creazione di un cerchio di circa 70 km di verde intorno a milano; dargli un nome unico che rievochi l’intero parco come punto di riferimen-to; inserimento di opere riguardanti gli animali fatte da 100 artisti diversi; creazione di infrastrutture e percorsi pedonali e ciclistici.Idea del parco orbitale risale al 2007.

La Biblioteca degli Alberi, presso il nuovo sito urba-no di piazza Gae Aulenti, è un progetto che risale al 2005. Ad oggi i lavori sono iniziati da molto poco e vanno a rilento, nonostante fosse previsto il suo completamento per primavera 2017.Sorgerà un’area di novantamila metri quadri, con delle isole circolari dove si andranno a piantare alberi in modo da creare delle zone di “disintossica-zione urbana”.Secondo il progetto originale il cerchio verde sarà attraversato (o circondato) da un percorso che evidenzi per iscritto il nome scientifico delle varie tipologie di piante.In buona parte del parco lo spazio sarà adibito a terreno per coltivare piante ed ortaggi e garantire

un clima bio-diversificato alla zona.

Cascina Cuccagna

Il progetto Cuccagna recupera all'uso pubblico dei cittadini i preziosi e grandi spazi della settecentesca omonima cascina urbana, fin qui cadente e abban-donata, trasformandola in una realtà che estranea dalla città pur rimanendone perfettamente inte-grata. Così ha avuto origine uno spazio di ritrovata natura, di incontro e aggregazione: un laboratorio attivo di cultura, un punto di riferimento per la ri-cerca comune di benessere sociale e di qualità della vita. Si configura come un’area recuperata, ristrut-turata e restituita ai cittadini, a riscoprire il rispetto per il concetto di comunità e di collettività. Qui avvengono scambi nell'ambito del mercato agricolo circostante, e contemporaneamente vi è la coltiva-zione e il consumo diretto di prodotti che possono essere così considerati "a filiera corta". Un'impresa esemplare sostenuta e finanziata da chi ha a cuore il futuro della città.

Green Business e Green Eco-nomyCon green business si intende un tipo di azien-da che cerca di limitare il suo impatto negativo sull’ambiente al minimo. Spesso, queste tipologie di aziende hanno regole interne che disciplina-no metodi di rispetto ambientale e favoriscano la consapevolezza e il riguardo nei confronti dei diritti umani. In generale vengono definite green quando rispettano questi criteri:- Principi di sostenibilità per ogni decisione del business.- Utilizzo e produzione di prodotti ecososte-nibili.- È più green delle aziende tradizionali.- Ha creato un piano di business duraturo e rispettoso dei principi ambientali.La camera di commercio di Milano e Unioncamere Lombardia hanno elaborato dei dati secondo i quali è possibile notare come questo trend sia in cresci-ta. In un anno le aziende green sono cresciute del 6%, mentre nei precedenti cinque anni la crescita è stata addirittura del 64%.La competitività garantisce sempre nuova ricerca ed innovazione nell’ambito, tanto che in Lombardia questo tipo di aziende ha toccato da poco le 9 mila unità.

Innovazione e cooperazione, normate dal Decennio

città, per favorire l’edificazione. Milano è una città a cui sono sempre stati associati una serie di aggettivi che poco hanno a che fare con il verde. Si stima infatti che negli anni ottanta la quantità di verde per ogni abitante fosse di solo 8 mq, condannandola ad essere ricordata come una città grigia. Nel 2009, anno in cui è stato annunciato Expo 2015, la quantità di verde per abitante era di 13,5 mq. Oggi sono quasi 20. Questo è successo grazie ad un processo che ha portato a riconsiderare la città per collocarla in quelle che sono le città globali, assimilabile a grandi centri come Londra, New York, Berlino. Per attuare questa trasformazione è necessario, prima di tutto, creare una “cultura del luogo” attraverso attrattive estetiche e simboliche.

Sulla spinta di queste nuove esigenze, il paesaggio urbano dell’ultimo decennio si è evoluto. Grazie alla notevole disponibilità di aree destinate alla riqualifi-cazione e al riuso, che sono state in grado di favo-rire la trasformazione di Milano in un laboratorio, qualifica fondamentale per emergere nel contesto globale. Milano non è una “capitale mancata”, come poteva essere considerata nel passato, ma ha un nuovo valore simbolico: è un nodo. Un nodo è sede di relazioni multiformi in un territorio discon-tinuo e molteplice. Nel 2015 il megaevento globale EXPO ha fatto si che la città si presentasse al mondo in questa sua nuova veste. Una città laboratorio, un’ Hub City, rinnovata e moderna.

La diversità, l’eterogeneità è un’altra caratteristica fondamentale da considerare quando si ragiona sull’identità di Milano. Indubbiamente un evento come l’Esposizione Universale ha portato numerosi visitatori da ogni parte del mondo, permettendo una sorta di internazionalizzazione sia dei servizi offerti che della comunicazione in generale. Milano oggi è una città che parla inglese, cosa che, a livello nazionale, le costa non poche prese in giro. Ma questa è un’altra storia. Quindi si tratta di diversità non solo di culture che vi si incontrano, ma anche di luoghi, classi, professioni, conoscenze, esperienze e soprattutto di individui. Gli individui sono i nodi che compongono una rete di scambio e di intera-zioni che rendono efficiente il ruolo di Milano come “nodo” globale.

La Città Metropolitana di Milano attuale ingloba anche le vaste aree che la circondano, entrate a farne parte attraverso le così dette “porte della città”: aereoporti, stazioni, collegamenti. Lentamente da non luoghi hanno iniziato a ritrovare identità pro-prie per estendere la portata della città. Mediante

queste porte, Milano si presenta, dà le proprie chiavi d’accesso ai visitatori esterni e, allo stesso tempo, città, provincie, regioni si presentano, affidando le proprie chiavi di accesso ai cittadini milanesi. “Mila-no si presenta” non vuol dire solo fornire informazio-ni e servizi su tutto ciò che è opportuno conoscere sulla città e sulla sua vita da parte dei visitatori in transito; "potrebbe significare anche un vero e proprio “Museo dell’Identità di Milano”, decentrato nelle varie porte della città" 3. Per costruire un’iden-tità coerente deve esserci anche una sorta di tema comune che faccia da linea guida a tutte le realtà orbitanti, le quali a loro volta sono state coinvolte a pieno titolo all’interno della città. Questo è avvenu-to attraverso la promozione (e quindi investimenti) di eventi, prodotti tipici e valorizzazione di beni culturali esterni alla città. Uno scambio sinergico tra interno ed esterno. Un ingresso privilegiato alla città è stata l’area EXPO, su cui attualmente però è ancora in atto una discus-sione circa il suo ruolo futuro, ma che ha saputo in qualche modo dettare la nuova storia da raccontare su Milano: una città verde, sostenibile e impegnata a presentarsi come esempio e “nodo” globale.

I grandi progetti interni alla città, come ad esempio i progetti di Porta Garibaldi e la Nuova Darsena, si configurano come nuovi spazi di natura mediata e presentano condizioni ambientali capaci di molti-plicare le interazioni individuali e collettive. Attra-verso strategie di comunicazione amichevoli e ad alto valore simbolico, Milano ha fatto conoscere ai suoi cittadini progetti attraverso i quali si delinea il futuro. A questo proposito si possono citare il Bosco Verticale, che mette in equilibrio natura e cemento in un quartiere riqualificato, o il tanto criticato EXPO Gate, lo “stendino”, una struttura in contrasto, ma per questo in dialogo, con il retrostante Castello Sforzesco, in pieno centro. Un altro esempio è la nuova area chiamata Tre Torri, dove le architetture di Archistar internazionali (Hadid, Isozaki, Libeskind), configurano una nuova parte della città dominata dal verde. Questi progetti interni hanno una distri-buzione equilibrata all’interno del tessuto della città, e una buona connessione con il centro e con altri nodi importanti nel panorama urbano come la Fiera con San Siro, Garibaldi con Repubblica, Navigli con Porta Ticinese, che a loro volta sono collegati con le zone più esterne attraverso scali ferroviari che sono oggi le aree in via di potenziamento. Questo ha permesso di connettere tra di loro i luoghi dove sono stati realizzati questi grandi progetti urbani-stici che ora si prestano a diventare altro. Queste zone sono connesse sia tematicamente (modernità, tecnologia, sostenibilità, eleganza) che fisicamente

3 (Mauro Ceruti,2005)

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un contributo da parte dell’Amministrazione per la restante parte non coperta, fino a un importo massi-mo di 50 mila euro per ogni singolo progetto. ”

Agricoltori civici e Contadini UrbaniCon la sottoscrizione del Protocollo di Intesa “Stra-tegia per lo sviluppo rurale di Milano” del 3 maggio 2012 fra Comune di Milano , Provincia di Milano, Regione Lombardia e Consorzio DAM è stato avviato un percorso di condivisione delle azioni e degli strumenti giuridici finalizzati alla valorizzazione degli ambiti agricoli produttivi di Milano.Il modello di governance delineato e definito complessivamente “Milano Metropoli Rurale“ punta all’elaborazione di una strategia condivisa nella pro-spettiva di mettere in rete imprese agricole, piatta-forme distributive, trasformatori, commercio locale e media distribuzione, gruppi di acquisto solidale, cooperative di consumo, scuole e agenzie formative pubbliche, private e di matrice sociale, cooperati-ve sociali che forniscono competenze e lavoro alle aziende agricole e altri soggetti.

Secondo la rivista scientifica online Environmental Research Letters i dati satellitari hanno permesso di calcolare che, nel mondo, gli orti urbani (cioè situati entro un raggio di 20 chilometri dalle città), occupa-no una superficie pari ai 28 Stati dell’Unione euro-pea. In Italia è di circa 3,3 milioni di metri quadri l’area dedicata a questo tipo di attività che occupa circa 9,9 milioni di contadini urbani. In Lombardia, nel 2015 anno di EXPO, sono stati contati 2781 orti urbani, nel 2012 erano meno di 2000.

Secondo quest’evoluzione, quello che oggi riguarda il Green ha contribuito a creare una città più nuova e moderna soprattutto nella sua costruzione simbo-lica e nell’attivazione sociale. Sul territorio del comune di Milano la pressione an-tropica è molto forte e l’uso/abuso del suolo è ormai insostenibile, ma il senso civico e di appartenenza alla comunità, oltre che il senso della solidarietà sono molto forti e radicati. “I milanesi vivono in cam-pagna ma forse non lo sanno¨ è uno slogan utilizza-to nel progetto Imagining Parco Sud, per riflettere sui luoghi del Parco Agricolo a Sud di Milano. Da censimento Istat, sono 117 le aziende che coltivano aree agricole site nel Comune di Milano, rendendo il territorio milanese uno dei maggiori comuni in quanto a concentrazione di attività agricole.

I cittadini si affiancano agli agricoltori di professio-ne che coltivano campi e ampi spazi con tecniche intensive a scopi commerciali, diventando di fatto agricoltori “civici”: famiglie, cooperative sociali, scuo-le che coltivano direttamente piccoli appezzamenti di terreno di proprietà comunale. Le motivazioni di queste attività sono le più varie: dal desiderio di mangiare cibo più sano, all’hobby, al pollice verde oppure anche per combattere la solitudine o recu-perare deficit psicomotori. Questo impegno perso-nale che ognuno prende si traduce però nel recupe-ro ambientale ed ecologico di terreni dismessi e nel rafforzamento delle relazioni e interazioni sociali e di un rapporto con la natura e il mondo agricolo.

La moda degli orti urbani, perché di moda si tratta, nasce negli Stati Uniti negli anni ‘70 a San Franci-sco dove attualmente esiste anche la San Francisco League of Urban Green (SLUG), un’associazione che promuove pratiche agricole in ambito metro-politano e che si è battuta per l’approvazione di una delibera comunale grazie alla quale chiunque può vendere i prodotti del proprio orto casalingo. In grandi città come New York e Boston coltivare un orto su un grattacielo è una tendenza partita dall’upper class. Sempre negli Stati Uniti l’ex first lady Michelle Obama ha speso il suo ruolo pubblico a servizio della comunicazione sociale per la buona condotta riguardo al cibo e al benessere. Come? Coltivando un orto.

Ormai anche in Italia si sono diffuse moltissime realtà analoghe, soprattutto nei contesti urbani ad alto consumo di suolo e degrado ambientale. Sono molteplici le attività di orti a Milano condotte da pri-vati ed associazioni che contribuiscono ad arricchire il paesaggio della città. Il progetto Agricity si occupa di illustrare tutte le attività della Milano Rurale e for-nisce un quadro delle tipologie di orti che esistono attualmente in città.

Le circoscrizioni di decentramento del Comune di Milano gestiscono alcuni spazi ortivi (circa 780 orti), realizzati con finalità sociale e aggregativa.Nelle scuole l’orto è utilizzato come strumento didattico: visto come attività di formazione, aggre-gazione e sensibilizzazione alle tematiche dell’am-biente e della nutrizione. L’orticoltura si inserisce a pieno titolo come materia di insegnamento offren-do la possibilità agli allievi di acquisire conoscenze trasversali (matematica, scienze, alimentazione, ecc.) e di socializzare anche con persone diverse dai loro insegnanti (esperti esterni, nonni, volontari, ecc.).

della Biodiversità istituito nel 2011, sono alla base delle azioni dell’Unione Europea, e saranno dunque sostenute fino al 2020. La Regione ha messo a di-sposizione 235 milioni di euro per favorire iniziative per le smart cities: per lo sviluppo della banda larga, l'efficientamento energetico, il sostegno alla mobili-tà elettrica, e Claudia Maria Terzi, assessore all’am-biente energia e sviluppo sostenibile della Regione Lombardia, afferma l’obiettivo di aiutare le imprese lombarde. Il comune di Milano ad esempio sostiene questa tendenza con l’istituzione di bandi e concorsi pre-miati in finanziamenti per la crescita dell’azienda. Lo fa perché oltre alla creazione di servizi in sé, que-sti progetti aiutano la socializzazione dei cittadini.Secondo Serge Latouche, economista e filosofo francese, esistono dei parametri alternativi che determinano la crescita di un luogo: Il benessere e il divertimento dei cittadini, la partecipazione attiva e il coinvolgimento. Ed è proprio su questi parametri che Milano sta creando il suo futuro.

Uno dei servizi di questo tipo, nato a Milano e che ha riscosso particolare successo è Cortilia: La cam-pagna a casa tua. Come fa intuire il claim è come fare la spesa in cam-pagna, ma da casa, seduti davanti al computer.È un servizio privato che punta sul gusto e sull’arti-gianalità dei frutti prodotti dalle campagne vicine, e li trasporta direttamente a casa. In questo modo non solo i cittadini pagano per avere dei servizi validi e sostenibili, ma aiutano a mantenere attive le cascine che circondano la zona e che da sempre, prima della sovranità della Grande Distribuzione Or-ganizzata, hanno fatto arrivare nella città cibi della tradizione.

Coinvolgimento e crowdfun-ding civicoIl crowdfunding è un sistema di “finanziamento dal basso”, in cui le persone mettono a disposizione il proprio denaro per sostenere aziende o persone.L’applicazione del concetto si svolge su piattaforme web based, in cui i membri della community pos-sono esporre o finanziare progetti. Si impone una soglia di denaro da raggiungere per la realizzazione, e se viene raggiunta il progetto può nascere.Tra le varie forme di crowdfunding ne esiste una chiamata “crowdfunding civico”, ed è una delle più in voga attualmente perché molte istituzioni se ne stanno servendo per il finanziamento di progetti comunali o nazionali. In questo modo la sfera pub-

blica e privata si uniscono per dar forma a soluzioni di benessere comune.

A Milano i cittadini dimostrano di voler partecipare ed investire nello sviluppo di iniziative comunitarie. Si possono sentire coinvolti attivamente, dato che sono proprio loro i finanziatori ed investitori del progetto. Tra i progetti che hanno visto il raggiungi-mento della soglia sulla piattaforma italiana ed in particolare a Milano si possono citare Pomodorti ed Ecolab.

La piattaforma italiana, Eppela, sul suo sito recita così:

“«La prima piattaforma di raccolta fondi per la realizzazione di progetti d’impresa ad alta vocazio-ne sociale è realtà». Ad annunciarlo sono stati gli assessori Cristina Tajani (Politiche del lavoro e svi-luppo economico) e Pierfrancesco Majorino (Politi-che sociali) in occasione della quarta giornata della Collaborative Week. I protagonisti della novità? Il Comune di Milano in collaborazione con Eppela [...]. Con l’avvio di questa piattaforma vogliamo sostene-re le idee d’impresa attraverso un approccio condi-viso che sostenga le giovani startup, le nuove realtà produttive nonché l’emergente modello di econo-mia condivisa con un occhio particolare ai progetti d’innovazione sociale, che pongono la persona al centro – sostengono gli assessori Cristina Tajani e Pierfrancesco Majorino, che proseguono: «Grazie a quest’azione di crowdfunding i progetti innovativi ad alto contenuto sociale avranno un’opportunità reale per finanziarsi ed emergere, oltre a favorire lo sviluppo di una città che guarda al futuro in manie-ra solidale, inclusiva e innovativa»”.E continua: "La nuova piattaforma, che sarà inserita nell’area Mentor del nostro sito, prevederà un avvio sperimentale, per un periodo di 18 mesi e potrà contare su un contributo dell’Amministrazione di 400mila euro volto a sostenere idee e i progetti di persone e organizzazioni che mirano a incentivare l’avvio di processi di finanziamento “dal basso e condivisi”. Progetti e idee che potranno spaziare dallo sviluppo di una città più accessibile, grazie alla rimozione delle barriere tangibili e intangibili per soggetti con fragilità psico-fisiche, passando per l’aumento della connettività o la riduzione del digital divide sino a nuovi servizi per la cura delle persone e la conciliazione famiglia-lavoro e il miglio-ramento della qualità della vita e progetti d’impresa sociale.I progetti che riusciranno a ottenere attra-verso il crowdfunding un finanziamento almeno pari alla metà dell’importo complessivo previsto per la propria realizzazione potranno beneficiare di

4 (Dubbeling, 2011)

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ColtivaMi è invece un progetto avviato dal Comu-ne di Milano finalizzato all’assegnazione di spazi aperti per la realizzazione di orti urbani in aree di proprietà comunale. Attualmente le aree disponibili sono in totale 8. Ma chi sono i nuovi contadini urbani?Non vi sono differenze significative fra i sessi, mentre sono più marcate quelle per classi di età. Un coltiva-tore di orti su quattro è under 34, mentre gli over 65 sono quasi la metà (Nomisma, 2010). Molti operatori agricoli appartengono alle fasce più deboli della società; altri, sono individui che intendono dedicarsi a nuovi passatempi. Non vi sono molti agricoltori di professione (solo il 7%), ma molti pensionati e casalinghe, operai ed artigiani. Seguono, distanzia-ti, anche professionisti e commercianti (Barberis, 2010). «Non ci sono solo pensionati come si potreb-be pensare, anzi: la categoria più rappresentata è quella del capofamiglia tra i 45 e i 55 anni». Per l’Osservatorio Nomisma-Vita in Campagna sull’a-gricoltura amatoriale quelli che si dedicano all’orto di città sono: pensionati (47%), casalinghe (14%), impiegati (12%), operai (10%), lavoratori autonomi, commercianti e imprenditori (8%), insegnanti (4%), altro (5%). I costi per l’affitto di un orto comunale si aggira sui 200 euro annui.

Dietro a questi numeri c’è una volontà sempre più percepita di voler dipendere meno dai prodot-ti commerciali in favore di un’alimentazione più sana. Il cibo, argomento portato ai massimi livelli di interesse da EXPO, è stato il motore attraverso cui il cittadino ha riscoperto la qualità del consumo e della sostenibilità, del km0, dei sapori tipici. Questo ha generato nuove abitudini e una nuova mentalità.

Urban Seed SavingQueste realtà costituiscono una porta di accesso per introdurre il Seed Saving a Milano. La pratica agrico-la e orticola è ormai già da tempo avviata e sembra dimostrare il suo successo.Si tratta di iniziative che esistono perlopiù nelle aree riqualificate e bonificate della città negli ultimi anni, e per questo motivo racchiudono nella loro stessa natura la novità, la modernità, il futuro e il progresso. Inoltre in questi orti urbani il raccolto non deve rendere un ritorno economico: lo scopo dei coltivatori è, come abbiamo visto, differente. Il contesto culturale in cui ci troviamo per sviluppare un progetto che riguardi il seed saving rivela un ter-

reno fertile costituito dalla consapevolezza acquisita dai cittadini / contadini urbani disposti ad imparare sempre di più sulla natura e dagli spazi verdi che sono stati riqualificati e rimessi a disposizione della città. Un grande sistema che favorisce la cultura del-la sostenibilità a favore dell’ambiente. Esistono degli spazi, delle associazioni attive sul territorio e dei luoghi deputati allo scambio di informazioni e alle interazioni tra i cittadini. I Seed Saver, per rendere efficiente il proprio lavoro per salvare la biodiversità, hanno bisogno di costruire una rete per permettere alle connessioni di essere veloci ed efficienti. Una rete efficiente permetterebbe non uno sviluppo sostenibile, bensì una Riproduzione Sostenibile 5.

La riproduzione è quella caratteristica che ha governato il mondo fino al XVIII secolo, prima che diventassimo predatori della natura a tutti gli effetti, come abbiamo già dimostrato illustrando la storia del pensiero ecologico. E proprio tramite la ripro-duzione di geni che altrimenti si estinguerebbero è mantenuto in vita un patrimonio, senza che se ne tragga un profitto economico, come quando un nonno pianta un albero da frutto per i nipoti pur sapendo che non ne vedrà mai i frutti.

Qui sta la ricchezza.

5 (Serge Latouche, 2010, p.17)

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Economia collaborativa

Il periodo storico in cui ci troviamo è caratterizzato da una serie di crisi: crisi ambientale, energetica, alimentare, sociale. Ultima, ma non meno incisiva, la crisi finanziaria. Il vivere in un sistema capitalistico fa sì che la crisi finanziaria, che è direttamente meno importante rispetto alle altre ai fini della sopravvivenza del ge-nere umano, risulti come la più profonda ed insor-montabile. Il denaro, essendo parte fondamentale della nostra società, garantisce sicurezza, e il pensiero comune che unisce molti individui è che “i soldi possono tutto”. Questa idea è deviata, e genera una crisi dei valori e delle religioni poichè il Dio universale è la banco-nota con l’occhio nel triangolo. La vita dell'uomo ruota intorno al denaro, che diviene il nuovo, e più rilevante, metro di misura: la qualità di qualunque cosa spesso si misura sulla base del corrispondente economico che le viene attribuito. Un preconcetto

largamente diffuso che porta facilmente a credere che il valore reale di un oggetto sia direttamente proporzionale al costo che gli viene attribuito. Se-condo questo metro di valutazione allora si dovreb-be affermare che tutto ciò che è gratuito non abbia alcun tipo di valore, per cui tutto ciò che viene of-ferto gratuitamente all'uomo da parte della natura, vale molto meno di qualunque altra cosa alla quale si possa attribuire un significato economico, che la includa nel circuito commerciale.

Sharing Economy, Scambio

Diviene un'esigenza evidente dunque, quella di ri-calibrare i metri di misura, imparare a riconoscere il reale valore di ciò che la natura è in grado di offrire, e ripagarla favorendone la crescita, non distruggen-dola.

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Ciò che non produce valore finanziario, può comun-que produrre valore sociale, ed è quello a cui punta il progetto Seed Saver. Generata dall'incontro delle singole coscienze mo-rali nella collettività, la collaborazione sociale impli-ca un lavoro ed un consumo condivisi dalla società, e si manifesta nel sentimento di una responsabilità comune nei confronti della qualità della vita.

Le recenti crisi, finanziarie ed ambientali, hanno spinto molti cittadini a creare delle soluzioni alter-native per vivere con costi minori, lottando contro gli sprechi. Questo modus vivendi ha spinto molti a sorgere sul mercato, a costruirsi da soli il lavoro che gli era stato tolto per assenza di fondi.Sono sorti servizi sempre più utili alla comunità, grazie ai quali si ha la possibilità di riutilizzare ciò che qualcuno ha smesso di usare o di condividere spese e spazi. Questa economia diffusissima da pochi anni a questa parte, risponde al nome di Sha-ring Economy. La parola stessa spiega il significato, economia della condivisione, ed è una sfera econo-mica in cui professionisti, consumatori e cittadini mettono a disposizione competenze, tempo, beni e conoscenze, con la finalità di creare nuove reti sociali passando attraverso la tecnologia digitale. Così vengono incentivati il risparmio e la ridistribu-zione del denaro, la socializzazione e soprattutto la salvaguardia ecologica, tentando di frenare l’impla-cabile produzione del settore industriale, in favore del riutilizzo. Possiamo quindi affermare che questo nuovo modello economico ruoti intorno al consumo consapevole e alla riduzione degli sprechi, ponen-do l’attenzione sul servizio offerto piuttosto che sul denaro.Strumenti immancabili in ogni progetto di sharing economy sono la base comunitaria, la convenienza e la tecnologia. Molti beni oramai possono essere forniti dalle perso-ne, questo porta l’acquisto ad un livello orizzontale e non più verticale come prima, quando l’azienda era l’unica erogatrice di beni e servizi. Inoltre si mol-tiplicano le possibilità di creare legami con persone che fanno parte della community, e con l’instau-rarsi di un rapporto di fiducia si aumenta il proprio benessere sociale ed economico. La tecnologia è lo strumento conduttore che fa sì che queste com-munity non muoiano, rendendo più facile e veloce la conoscenza grazie all’abolizione delle distanze geografiche.Secondo i dati forniti da Sharitaly (il festival dell’e-conomia collaborativa) in Italia le startup di sha-ring economy sono arrivate a quota 206, il 10% in più rispetto alle 187 del 2015. Il 46% dei fruitori ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni, e un ulteriore

29% ha un’età compresa fra 35 e 44 anni. Numero che rispecchiava le aspettative, data la giovinezza di questo tipo di economia.

Peer to Peer, baratto informaticoLa sharing economy però non è altro che un model-lo in scala reale di quello che avveniva già da un po’ di anni sul web. Infatti si afferma che il suo precur-sore sia Napster, che in realtà è il primo client peer to peer progettato. Il peer to peer è un baratto, un do ut des, in cui i consumer accingono dati da un database di file comune fornito dalla community. Questo garantisce con maggiore velocità (perché il traffico si sposta dal singolo server detentore del file, a tanti piccoli centri che insieme collaborano per far raggiungere maggiori velocità di download) la conseguenza di-retta è una maggiore facilità di reperimento del file.La Rete paritaria è un'espressione che indica un mo-dello in cui i nodi non sono gerarchizzati , ma sono posti tutti sullo stesso piano. L'esempio classico di P2P è la rete per la condivisione di file, meglio cono-sciuta come file sharing. Questo è uno dei punti più critici e criticati del peer to peer. Nasce principalmente da esigenze di velocità di banda, però è stato sicuramente utile a dare una scossa al mercato dei software proprietari, che impedivano la libera generazione delle idee e degli sviluppi informatici.

Open Source, fruizione liberaGNU è un sistema operativo nato nel 1985, come alternativa ad UNIX. GNU è l’acronimo di GNU is not UNIX. Richard Stallman, inventore di GNU, dice che «L'o-biettivo principale di GNU era essere software libero. Anche se GNU non avesse avuto alcun vantaggio tecnico su UNIX, avrebbe avuto sia un vantaggio sociale, permettendo agli utenti di cooperare, sia un vantaggio etico, rispettando la loro libertà.». GNU è nato perché UNIX (uno dei primissimi sistemi operativi) era diventato un software privato ed a pa-gamento, quando in realtà era nato come gratuito e alla portata di tutti i computer. La privatizzazione del software ha fatto sì che pro-prio Stallman diventasse uno dei massimi attivisti contro la privatizzazione del software: è così dive-nuto fondatore di FSF (Free Software Fundation), un’organizzazione senza fini di lucro per lo sviluppo e la distribuzione di software libero.

Il pensiero di questa no profit è fondato sull’estrema liberalizzazione del software, questo ne impediva tutti gli utilizzi a fini lucrativi. Oggi in realtà vedia-mo la proliferazione di questa filosofia in forme di software chiamate open source, che non sono altro che l’evoluzione un po’ più commerciale di quello che era la filosofia del software liberoLo sviluppo e la distribuzione del software libero si fonda sull’utilizzo di licenze GPL. Tale licenza è quanto di più libero esista nel mondo informatico, in quanto tutto ciò che è sotto questa licenza deve essere reso di nuovo disponibile una volta modifica-to il codice sorgente. È consentito fare qualsiasi cosa con un codice con licenza GPL, ma veniva critica-to in quanto tutto ciò non poteva assolutamente essere usato commercialmente, impedendo così la diffusione del software ad un più vasto pubblico.Nel 1997 Bruce Perens, Eric S. Raymond, Ockman e altri cominciarono a pensare alla stessa licenza, ma applicata nel mondo degli affari, per ridefinire quel concetto di Free, che in inglese ha duplice significa-to: libero e gratuito.Così nasce la licenza Open Source. Significa Codice aperto e chi usa questo tipo di licenza deve mettere a disposizione degli altri il codice sorgente utilizzato per programmare il software. Spesso molti identificano Open Source e gratis come sinonimi, ma in realtà non è così. Un progetto può essere open source ed essere commercializzato lo stesso. La differenza è che chi ha competenze informatiche, o voglia modificare qualcosa per le sue esigenze, ha una base di partenza per imple-mentare quel software e, volendo, renderlo di nuovo disponibile.Di conseguenza la qualità del software finale (o volendo mai finale) è superiore, grazie alla somma sinergica di pensieri ed abilità delle mani che colla-borano al suo sviluppo.Tutto è stato reso inoltre molto più semplice grazie all’avvento smisurato di internet, che favorisce la comunicazione globale praticamente gratis.In questo modo sono nati molti sistemi operativi, software ed altri progetti, che riguardano anche altri ambiti al di fuori dell’informatica.

È una filosofia volta a valorizzare l’intelligenza co-mune reinvestendola nuovamente in se stessa.

Secondo gli studi di Black Duck Software, il 78% delle aziende preferisce l’utilizzo di software open source, e il trend è in crescita. Di questi, il 66% lo considera come prima proposta da fare al cliente nel percorso di sviluppo del prodotto o servizio. Paul Santinelli, partner di nomi importanti come IBM e Red Hat, commenta i risultati dello studio:

“L’open source ha consolidato la sua posizione di base predefinita per lo sviluppo software. Si sta infiltrando in quasi ogni aspetto della moderna im-presa superando addirittura l’utilizzo dei pacchetti proprietari in termini di qualità, costi, personalizza-zione e sicurezza. Nei prossimi anni, vedremo l’open source sbloccare il potenziale di una nuova gene-razione di tecnologie -Internet of Things, big data e cloud computing”.Secondo quanto detto, otto aziende su dieci riten-gono migliori i prodotti open source sia da un punto di vista qualitativo che economico. Il 64% delle aziende intervistate partecipa attivamente nello sviluppo di software open source, sia per quanto riguarda scopi interni, che esterni. In più modifican-dolo come si vuole si vanno a coprire quelle esigen-ze specifiche che i software commerciali magari non forniscono.

Anche in questo capitolo abbiamo visto esempi di quello che è il concetto di comunità e libero scam-bio, nell’ambito informatico.L’uomo ha sempre collaborato per un bene comu-ne, cercando di contrastare quegli squilibri che sono causa di conflitti, che siano essi fra singoli individui o gruppi. Tutto ruota intorno al concetto di possesso e, dall’al-tra parte, libertà. La libertà è un diritto inalienabile, ma su questo concetto sono stati scritti miliardi di libri, dette mi-liardi di parole e versati litri di sangue.L’uomo è un animale sociale, e se tale deve essere deve funzionare per la società. Se il sistema nel qua-le viviamo si fondasse sul singolo individuo proba-bilmente vivremmo in una dissocietà. A quel punto il concetto di possesso magari potrebbe essere più forte di quello di libertà.

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Marchi collettivi

Spesso durante la spesa capita di ritrovarsi davanti a due prodotti che sono apparentemente uguali, senza sapere quale scegliere. Quali sono i criteri che garantiscono la scelta di un prodotto piuttosto che un altro?

Quando la frutta era venduta al mercato, dove le marche non erano assolutamente in superiorità, molto spesso il “marchio” era un foglio di carta che avvolgeva il frutto. Il produttore era lo stesso disegnatore dell’incarto e anche pur non avendo alcuna competenza grafica doveva trovare il modo di attrarre l’acquirente, di garantire che il suo frutto fosse migliore di un altro. Questo è un esempio, per quanto molto meno sofisticato di come lo viviamo ora, di marchio individuale. Il marchio individuale serve a garantire sé stesso, a distinguersi dagli altri, ma quando su tutti i prodotti è apposto un logo diverso (che riconduce inevitabil-mente a dei brand) come si afferma che un prodot-

to rispetti le esigenze che ci si è posti?

Non è ormai un segreto che le industrie che ope-rano nel settore della GDO, pur di raggiungere quantità maggiori a prezzi minori, badino poco alla qualità. I valori nutrizionali di quello che mangiamo oggi sono nettamente inferiori a quelli degli anni in cui l’industrializzazione non era così violenta. In Italia in particolare la produzione di cibo si paga veramente a caro prezzo, ma non solo dal punto di vista del consumatore. Le disciplinari per la produ-zione alimentare prevedono l’utilizzo di determinati tipi di fertilizzanti e pesticidi, registrati in una lista che di anno in anno viene aggiornata, inserendovi tutti quelli che sono ormai dichiarati illegali perché magari troppo nocivi all’ambiente. Questo implica una produzione più attenta all’ambiente rispetto all’anno precedente, ma anche maggiori spese per i produttori che, dovendo cambiare di anno in anno metodo di produzione, non possono assestarsi su

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a un secondo marchio, e quindi dovrebbero essere posizionati in maniera da coesistervi.Talvolta invece sono così importanti da essere pre-ponderanti sul marchio individuale associati. L’importante in ogni caso è che crei un vincolo di fiducia con il cliente, che vedrà rispecchiato in quel bollino la qualità di ciò che il marchio collettivo, e tutti gli individuali che sono ad esso associati, inten-de garantire.

un metodo di coltivazione univoco.Per cui, anche pagando il trasporto e dogana, nelle grandi distribuzioni conviene di più comprare da produttori di altre nazioni, piuttosto che da quelli italiani. Ecco spiegato perché in Italia, nota per la produzione di agrumi ad esempio, le arance arrivino dalla Spagna invece che dalla Sicilia.

Marchi di garanzia

Il caso del marchio di garanzia Bio la dice lunga: or-mai è talmente risaputo il poco rispetto della natura e dei valori nutrizionali nelle agricolture intensive, che si è sentito il bisogno di creare un marchio che attesti quali prodotti siano migliori degli altri, dato che ormai la qualità di base non garantisce soddi-sfazione nel cliente. Un occhio non esperto non ha la capacità di discer-nere cosa sia “buono” o “cattivo” solamente guar-dando un alimento. In più, se aggiungiamo il fatto che chi è nato e vissuto in città raramente ha avuto l’occasione di crearsi dei termini di paragone, quel bollino che certifica la provenienza o la qualità, è una vera e propria manna dal cielo. Il marchio di garanzia fa parte di quella categoria di marchi che sono chiamati Marchi collettivi. Già nel medioevo le corporazioni degli orefici usavano apporre punzonature che garantissero la qualità dell’oro o dell’argento che veniva commercializzato. Data la difficoltà di riconoscimento dei metalli si è sentita l’esigenza di creare un simbolo che attestas-se l’originalità di quel lingotto, che ne garantisse l’origine e la finitura per fornire all’acquirente la certezza di un acquisto sicuro. Ed è proprio quello che succede oggi con il cibo e con tanta altra merce.I marchi collettivi sono dei segni nati con la funzio-ne di garantire la qualità dei prodotti. La registrazio-ne del marchio è concessa ai titolari del segno: quei soggetti che garantiscono la qualità di prodotti, su richiesta di enti o associazioni che hanno bisogno di una garanzia sui loro articoli.Prima di un cambio di legislazione avvenuto nel 1992, il titolare del segno non poteva usufruirne personalmente; ora invece, avvenuto il cambiamen-to legislativo, sono emerse all’interno dello scenario commerciale le figure del marchio di garanzia e del marchio di certificazione. I marchi di qualità o di indicazione geografica pos-sono essere considerati dei marchi collettivi poiché l’utilizzo del marchio è concesso a diversi soggetti

indipendenti gli uni dagli altri, ma vi è un’impor-tante differenza con i marchi collettivi: questi ultimi nascono da un atto di autonomia privata, da asso-ciazioni, consorzi, o enti che sono legati al titolare del segno. I marchi di qualità invece nascono da un disegno ex lege volto a favorire alcune aziende. In questo caso l’ente che si occupa della garanzia non è un ente privato come nel caso dei marchi collettivi, ma è un ente internazionale. Inoltre i marchi di garanzia sono nati esclusivamente per esigenze promozio-nali e quindi i loro valori sono legati al commercio e alla valorizzazione pubblicitaria di varietà tradizio-nale ad esempio.In ogni caso, questo tipo di marchi non devono es-sere registrati all’ufficio brevetti, quindi la differenza fondamentale tra i due consiste nel fatto che, diver-samente dei marchi collettivi, i marchi di garanzia non possono essere considerati dei brand.

Affinché un marchio collettivo sia efficace a livello comunicativo occorre che si rispettino delle regole ben definite che, imposte fin dall’inizio in modo severo e rigido, garantiranno il perfetto funziona-mento del marchio e quindi una maggiore affidabi-lità. Nel caso in cui questo non avvenga, gli associati potrebbero fregiarsi del marchio aggirando le rego-le permettendo il verificarsi del Free Riding. Poiché la possibilità che le regole non vengano rispettate è sempre plausibile, bisognerebbe adottare un siste-ma di controllo che aiuti ad identificare quelli che nel linguaggio web vengono chiamati i Leechers ( le zecche ) ed applicare delle sanzioni per penalizzare i trasgressori.È necessario quindi che i marchi collettivi funzio-nino in maniera organica tra di loro gestendosi ed amministrandosi nel migliore dei modi.Per far sì che tutto funzioni al meglio l’ideale sareb-be quello di mettere sotto il marchio imprese della stessa dimensione e caratteristiche, dal momento che ogni categoria di impresa utilizza diversi metodi di gestione e lavoro. Se le imprese sono diverse da un punto di vista dimensionale e produttivo (sia dal punto di vista della quantità che dei costi) si ver-rebbe a creare inevitabilmente un divario fra i vari soggetti del marchio. Dunque questo tipo di marchio è mirato a far fun-zionare tante piccole imprese piuttosto che poche grandi. Insieme avrebbero più possibilità di accede-re al mercato globale riuscendo ad ottenere visibili-tà e maggiore domanda. Allora la forza e la solidità stessa di queste piccole imprese facenti parte del marchio, consisterà in una reputazione comune fortemente unita e condivisa.A livello di visibilità i marchi collettivi sono associati

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Collaborazione sociale per il bene comune

Olivier De Schutter, portavoce dell’unione europea, nel 2014 ha stilato un rapporto in cui parla del futu-ro del diritto al cibo. Offre una soluzione che risol-verebbe il problema della biodiversità, in quanto ne garantirebbe la rinascita e ricrescita.Attualmente i maggiori produttori di cibo sono le multinazionali alimentari, con il compito di produr-re e distribuirlo su scala mondiale. Ciò avviene sicu-ramente, ma nel modo sbagliato, perché in realtà il cibo non raggiunge la totalità della popolazione mondiale allo stesso modo, in quanto c'è un grande squilibrio che vede opporsi il mondo industrializza-to da una parte, afflitto dal problema dello spreco, e una larga fetta di popolazione mondiale dall'altra, che soffre il problema opposto, quello della carenza di cibo). Purtroppo ancora una larga fetta di popola-zione mondiale vive in condizioni di malnutrizione estrema, e le morti per fame sono ancora una triste realtà.Dal punto di vista nutrizionale o bioetico o ambien-

tale inoltre, la maggior parte di cibo proviene da coltivazioni intensive, il che determina un pericolo mortale alla biodiversità, fornendo peraltro un ap-porto nutrizionale molto basso.Il futuro della produzione del cibo e della ripopola-zione biodiversa risiede quindi nelle agricolture in piccola scala. Questo trend dovrebbe essere incre-mentato fornendo gli strumenti per far emergere le più piccole aziende agricole sul mercato, evitando così questa pericolosa dipendenza dai grandi pro-duttoriInoltre le fasce della popolazione più povere, che tendono a mangiare regolarmente nei fast food e consumare piatti pronti attirati dal basso costo del cibo offerto ed assumendo in questo modo alimenti dai bassi valori nutrizionali, avrebbero la possibilità di ricevere cibo migliore dal punto di vista salutisti-co e nutrizionale che attualmente è bloccato dal muro del prezzo. Cibo di qualità a prezzi superiori alla media è un connubio inscindibile ormai, ma

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tutto ciò è folle. Il cibo è il bene primario, e la sua privazione/limitazione è una violazione dei diritti umani. Le piccole imprese agricole possono essere ricostru-ite grazie ad investimenti in infrastrutture, packa-ging, canali di distribuzione e organizzazione tra di loro. Questo non solo supporterebbe lo sviluppo rurale, ma placherebbe l'annosa questione dell’e-migrazione verso le città e il relativo spopolamento delle campagne. Prima di tutto questo sarebbe necessario una presa di coscienza della situazione alimentare e bioetica, con un cambio di mentali-tà, spezzando il doppio filo che lega il cibo, bene primario per eccellenza, ad un concetto esclusivo di guadagno. Questo tipo di sistema offre l’oppor-tunità, non solo di garantire maggiore reperibilità di cibo per zone, ma anche di valorizzare le realtà locali.

Pre rivoluzione industrialeGuardando al passato, vediamo degli esempi di modelli di produzione alternativi a quello attuale, che si avvicinano al modello di piccole imprese agri-cole e di recupero della biodiversità locale: il primo modello storico di economia in piccola scala, oltre i villaggi neolitici, è da riscontrare nell'economia curtense medievale. I grandi possedimenti terrieri nell’area dell’impero romano tendevano ad organizzarsi economicamen-te in latifondi più o meno estesi. Data la pressione fiscale molti piccoli coltivatori preferivano sotto-stare alle regole dei signori piuttosto che a quelle dello stato. D’altra parte i signori stessi accettavano di buon grado le loro richieste data la scarsità di schiavi. Era una proposta attraente perché la corte garantiva l’immunitas, cioè l’esenzione dal paga-mento delle tasse e il respingimento di ogni tipo di agente di nomina statale.All’interno delle corti i contadini avevano diritto ad un loro appezzamento di terra che avrebbero potu-to coltivare in autonomia, dietro pagamento di una parte di ricavato, che andava al signore della corte. Il rendimento era il necessario per vivere tenendo conto anche che all’interno di ogni corte vigeva l’e-conomia del baratto. In questo modo ognuno aveva la possibilità di trovare tutto il necessario per vivere in una realtà di piccola scala come la corte. Si è considerato a lungo la corte come sistema economico completamente chiuso, privi di contatti con l'esterno, ma in realtà la recente storiografia ha dimostrato che le corti producevano cose diverse,

in base alla specificità del territorio e che grazie al sistema di mercati e fiere, scambiavano i prodotti in eccesso anche se in piccola scala.La ripresa economica è stata uno dei motivi che ha posto fine all’economia curtense. Questo perché grazie all’aumento dei traffici e dei relativi guadagni, non si sentiva più la necessità di rimanere confinati all’interno della corte.In contrapposizione alla corte si vede invece la na-scita dei comuni. Se le corti erano verticali gerarchi-camente, nei comuni invece si vede una forma più orizzontale perché il governo prevedeva la parte-cipazione di tutti quelli che avevano lo status di cittadini. Con questa nuova politica si vide la scom-parsa dei grandi proprietari terrieri in favore della comparsa delle piccole aziende, in una opposizione tra campagna, e quindi feudo, contro il comune cittadino.Un fantastico espediente adottato nei comuni che consentiva a tutti la coltivazione di specie autocto-ne erano i granai comuni. Questi granai avevano una duplice funzione: si aveva la possibilità di andare a reperire i semi necessari ad ogni tipo di coltivazione ; ed erano una protezione in caso di carestie. Uno scambio continuo di semi che si erano adattati al terreno, inoltre garantiva produzioni sempre miglio-ri perché la pianta riusciva a ricavare il nutrimento più idoneo alla sua crescita grazie anche alle nuove tecniche come la rotazione prima triennale poi a maggese delle colture.Le rese erano bassissime e le carestie erano all'ordi-ne dei mesi, era florido per l'economia di sussisten-za, possiamo vedere invece come la recinzione con il fenomeno delle enclosures cioè la recinzione delle terre demaniali, a favore dei proprietari terrieri della borghesia inglese, siano una prima forma di capi-talismo. Gli enclosures act infatti sono stati gli atti che hanno portato l’attività agricola ad abbassarsi drasticamente, vedendo una diminuzione di circa il 50% dei contadini in favore di mano d’opera per la rivoluzione industriale in atto.

Post rivoluzione industriale

Questo capitolo segna l’inizio dell’agricoltura nei termini in cui la viviamo attualmente, cioè estensi-va. Quello che allora pensavano fossero innovazioni tese a risolvere il problema della fame mediante una resa più alta, in realtà sono i primi passi verso il declino della biodiversità che stiamo attualmente vivendo.

Inoltre lo scopo primario è stato ampliamente tradi-to, in quanto il reale obiettivo non è altro che trarre profitto, lasciando comunque ancora metà del mondo nella forbice della fame ed il resto, quello comunemente considerato evoluto, con la minaccia della perdita della biodiversità.

La seconda rivoluzione industriale nella seconda parte del XIX secolo, vede stravolgere completa-mente, il mondo agricolo. Vediamo infatti il progres-sivo aumento delle agricolture intensive a discapito dei piccoli contadini e dei loro appezzamenti terre-ni. L’abbandono del maggese, importantissimo per la rigenerazione dei minerali nella terra. La selezione delle sementi e di conseguenza la perdita di quelle varietà che avevano da sempre caratterizzato la zona. Il miglioramento delle tecniche e degli uten-sili che molto più tardi ha provocato danni come quelli che si sono verificati negli anni ‘30 in America con la dust bowl (anche se questo problema è sorto molto prima, nel momento in cui si sono viste le prime manipolazioni della terra per la coltivazione).Iniziamo a vedere partendo dai prodromi come le enclosures fino ad arrivare alla seconda rivoluzio-ne industriale, come l’interesse delle ormai grandi aziende agricole non fosse più comunitario, bensì solo ed esclusivamente economico.Questi primi passi verso un’economia mondiale però non lo rendevano però un sistema apprezzato da tutti. In Germania, il movimento völkisch affonda le sue radici nel nazionalismo romantico ed è una reinterpretazione tedesca del concetto del populi-smo, Volk infatti significa popolo con connotazione folcloristica. L’idea a cui ruotava attorno questo movimento è il ritorno alla dimensione locale, con caratteri ultra conservatori, e combinava l’interesse per il folclore tedesco, la storia locale e un populi-smo anti urbano di ritorno alla terra. Si presentava il sogno utopico di una relazione mistica con la terra per la condotta di una vita autosufficiente, una protesta contro la modernità e l’alienazione che era stata provocata dalla rivoluzione industriale.

Il movimento è stato avversato duramente per le sui idee vicine al regime nazista, ma il ritorno ad una economia di piccola scala si ritrova anche in mo-vimenti con ideologie diametralmente opposte a quella del völkisch.I Kibbutz sono forme associative volontarie nate in Israele, basate su regole rigide e sul concetto di pro-prietà comune. È nato con l’idea di lavoro a favore della comunità, dove ogni componente del Kibbutz lavora anche per tutti gli altri e riceve i frutti del suo lavoro come salario, differenziandosi dal comuni-smo. I Kibbutz sono nati nei primi del novecento e

sono stati uno degli elementi fondamentali nello sviluppo israeliano, sia per le ideologie socialiste, sia per il cambiamento che è stato apportato alle pra-tiche agricole che fino a poco prima erano a puro livello di sussistenza, in un ambiante arido come il deserto.

Ai giorni nostriIl concetto di piccola economia di scala, che rap-presenta il filo conduttore degli esempi prece-dentemente esposti, si ritrova in movimenti con-temporanei, come gli ecovillaggi. Sono comunità sperimentali di vita autosufficiente, dove vengono sperimentate tecniche di agricoltura, di riscalda-mento, di istruzione, edilizia, cucina, ma anche rap-porti culturali ed umani e nuove forme di socializ-zazione. Ne esistono circa venti in Italia e sono nate per fornire un’alternativa di vita a quelle persone che per i più svariati motivi hanno deciso di lasciare le città. La minore vivibilità delle realtà urbane, la lenta scomparsa della militanza politica e delle ide-ologie, la crisi economica, ma soprattutto uno stile di vita capace di guardare al futuro e all’ambiente sono i principi su cui si fonda l’idea di ecovillaggio. Di norma sono piccoli centri, ma i più grandi supera-no i 500 abitanti. Purtroppo i dati ci dicono che la metà degli ecovil-laggi terminano la loro esperienza entro i primi tre anni, questo perché gli sforzi richiesti al loro man-tenimento sono grandi, infatti i villaggi che funzio-nano meglio sono quelli che son riusciti a trovare all'interno un equilibrio nella completa autonomia e autosufficienza, dove i principi della condivisione sono consolidati fra gli abitanti.

Negli ecovillaggi la condivisione è un pilastro fonda-mentale, ma come avviene questo a livello urbano?Negli anni ’60 un architetto scandinavo intraprese un percorso per la creazione di una comunità che in pochi anni di sviluppo vide la nascita del Cohousing.Con il termine cohousing si definiscono dei com-plessi abitativi composti da alloggi privati unificati da spazi e servizi comuni: cucine, lavanderie, labo-ratori, spazi fai da te, spazi gioco per i bambini ed altro. Le case facenti parte del complesso sono più piccole rispetto alle normali sia per contenere i costi di produzione, sia per favorire l’utilizzo delle aree comuni.Di solito il progetto prevede l’inserimento dai venti alle quaranta famiglie che convivono come una comunità rispettando regole, spazi comuni e

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ottenendo benefici economici dati dal risparmio comunitario, in più è un sistema ecologico e con buoni riscontri sociali.Il cohousing si è affermato come strategia ecologica perché la condivisione degli spazi, la costituzione di gruppi di acquisto solidale, il car sharing (e simili) diminuiscono l’impatto ambientale.

Ognuno di questi esempi è una risposta a dei bi-sogni, bisogni che sono molteplici, ma sono acco-munati da un comune. Si è visto come le economie chiuse non hanno futuro e quanto sia difficile farle funzionare soprattutto in un mondo globalizzato, ma ci sono delle idee di fondo che dovrebbero esse-re riprese e sviluppate per il benessere comune.Il progetto Seed Saver nasce da un bisogno meno legato all’individuo e più legato invece al migliora-mento comunitario e del pianeta e trae ispirazione da ciascuno di questi esempi per coglierne il meglio ed applicarlo per garantire un futuro migliore alla terra ed a chi la abita e la abiterà.

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Il progetto Seed Saver

Nei capitoli precedenti abbiamo visto tutti i rife-rimenti a cui Seed Saver deve ispirarsi per fare in modo che la biodiversità torni a ripopolare i nostri paesaggi e, nel caso specifico, le nostre città.Il progetto parte dal piccolo, iniziando ad instillare nei cittadini il seme della curiosità: importiamo una nuova parola nel vocabolario urbano, una parola che spinga ad un approfondimento poiché ancora troppo poco conosciuta. È un format esportabile nelle città nodo, nelle quali il concetto di green eco-nomy e collaborazione sociale è già stato assimilato dai cittadini. I progetti no profit inoltre conferiscono valore sociale alla città, creando coesione fra gruppi di cittadini i quali collaborano per donare un nuovo volto alle aree urbane.

Seed Saver è un marchio collettivo, che riunisce tutti coloro i quali supportano la preservazione della biodiversità e degli ecosistemi locali, per una rigene-razione delle tradizioni agrobioalimentari. Una rete

di connessione i cui nodi principali sono le associa-zioni a tutela della biodiversità, e gli orti urbani. Nel concreto il progetto mira a far diventare gli orti urbani dei punti di raccolta dove trovare semi liberi, i quali sono forniti dalle associazioni di seed sa-ving. Sotto il marchio possono rientrare anche quei progetti, startup, o comunicazioni, che mettono in rilievo o semplificano il raggiungimento della causa.

Tramite l’organizzazione di eventi all’interno della città, il progetto farà in modo che tutti coloro che mirano alla concretizzazione del medesimo fine, possano incontrarsi e scambiarsi opinioni, consigli, e soprattutto semi, per il proprio benessere e di coloro che li circondano.La scaletta degli eventi sarà comunicata attraverso il sito, il quale ha la principale funzione di motore di ricerca. Questo consentirà di fare ricerca su due fronti: Gli orti e i semi.Gli ortisti avranno in questo modo la possibilità di

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cercare quale associazione detiene i semi che gli interessano. I componenti delle associazioni inve-ce potranno cercare gli orti urbani più vicini a se, e sapere dettagli riguardo a bandi e disponibilità per appezzamenti di terra

Seed Saver ha il ruolo di far riconoscere e garanti-re le associazioni o gli orti che rispettano i criteri per entrare a far parte del circuito. Quindi, coloro che rispetteranno le clausole, potranno chiedere l’emissione della tessera del Seed Saver che, oltre ad essere lo stemma di riconoscimento, consente l’ac-cumulo di punti che possono essere spesi nei punti aderenti al circuito.

Condizioni-Un’associazione potrà affiliarsi al circuito purchè supporti la causa garantendo la diffusione (e quindi la coltivazione) dei semi; non venda semi o i prodot-ti da essi derivati; non scambi semi ibridati o OGM; abbia un index seminum.

-Un orto urbano potrà entrare a far parte del circuito a patto che nessuna delle piante presenti nell’orto sia un ibrido o un OGM in grado di contaminare le altre varietà.Nel caso in cui l’orto sia vicino ad altri, esso deve essere protetto da potenziali impollinazioni aliene.L’ orto deve essere coltivato con tecniche che non prevedano l’uso di diserbanti, e fertilizzanti sintetici.

-Una startup o un prodotto potrà entrare a far parte del circuito dal momento in cui il suo prodotto sia volto all’interesse della biodiversità e, soprattutto, sia OPEN SOURCE.

Mission Creare un network che metta in contatto terra e semi sul territorio milanese.

Vision Ristabilire il livello di biodiversità territoriale.

Target

Il target primario del progetto, cioè chi può fregiarsi del marchio, si divide in tre categorie, ognuna con funzioni diverse ma sinergiche per il funzionamento di Seed Saver.

Abbiamo associazioni di seed saving, molto presenti in Italia. Se ne potrebbero trovare anche più di una in ogni regione. Loro sono i possessori dei semi non-chè gli incaricati a diffonderli il più possibile.

Gli orti urbani invece sono lo spazio in cui piantare i semi per far sì che vengano diffusi nell'ambiente metropolitano ed inizino ad essere oggetto di atten-zioni.

Le startup sono i fornitori di idee, di tecnologie e servizi che possano aiutare all' espansione del movi-mento e del brand.

Plant Helper

Associazioni di Seed SavingDetentori di semi e di valori tradizionali, hanno bisogno di associati e sempre più terra in cui far proliferare i semi.

Orti urbani

Sono lo spazio in cui far crescere i semi delle associazioni e il movimento Seed Saver. Hanno bisogno di continuo ri di semi.

Startup e servizi

La tecnologia è ciò che al giorno d'oggi ci aiuta in tutto. Le startup che aderi-scono al servizio sono i promotori e gli aiutanti del movimento. Hanno biso-gno di pubblicità e qualcuno che ga-rantisca per loro e la loro crescita.

Startup Orti urbani Membri di associazioni

SemiServizi Terra

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Gli eventi

Prima della formazione e consolidazione della rete c'è bisogno che i nodi inizino a stringersi. Il compito di seed saver risiede proprio in questo: creare il contatto fra i componenti del circuito e fare in modo che cooperino sino alla formazione di un network solido e stabile, che possa essere esportato in altri paesi. Verranno indetti degli incontri presso orti urbani o spazi aggregativi, ed ogni volta aumenteranno e si fortificheranno i contatti fra i punti, con l'obbiettivo di inserirne quanti più possibile.

Il tesseramento

Il tesseramento è un momento fondamentale nella vita di molti brand. È un gancio da cui è difficile staccarsi per svariati motivi, tra cui il senso di appar-tenenza ad un movimento o corrente di pensiero, l'accesso ad aree riservate, o convenzioni varie ed eventuali.Nel caso di Seed Saver la tessera è uno stemma di

riconoscimento, la stella dello sceriffo per sentirsi parte di un brand che pensa al bene di tutti.

La tessera consente di collezionare punti accu-mulabili tramite scambi di semi sulle piattafrome associative o durante gli eventi Seed Saver.La quantità di punti accumulati non solo è indice di esperienza ma sono anche punti convertibili in beni reali, spendibili nei punti aderenti al circuito.

User Experience

Piantare

Piantare

Aggiorna Index Seminum

Raccogliere

Regalare

Regalare Piantare

Raccogliere

Regalare

EventoScambio semi

=Nuovi semi

Plant Helper

Accumulo punti su tessera

Seed Saver

Aumento esperienza

Spesa punti presso servizi e startup facenti parte del

network

Moodboard e tono di voceGli utenti del progetto sono sicuramente orti, as-sociazioni di seed saving e startup come già stato ripetuto diverse volte nei paragrafi precedenti.

Seed Saver però ha forte bisogno di comunicare all'esterno, perchè più persone possibile conoscano il bisogno e prendano parte al cambiamento.Per questo quindi è stato scelto un tono di voce vi-vace, ma al contempo serio. Una forma che richiami i marchi di garanzia ed un colore che è stato scelto come colore dell'anno.

Ag 123

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SEED SAVER

Indice 1. Concept - Il concept - Elementi compositivi

2. Il Logo - La costruzione del simbolo - Il logotipo e la tipografia - La palette cromatica - Le declinazioni del marchio - Area di rispetto - Dimensioni minime consigliate - Usi scorretti - Gli elementi decorativi

3. Le applicazioni - La Tessera - Locandine - Comunicazioni - Il web

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Concept1.

Il concept del marchio seed saver ruota intorno ad alcuni concetti che sono le parole chiave del progetto: natura, contatto, scambio. Metafora visuale è la mano: organo che si utilizza per esercitare il senso del tatto, simbolo di lavoro e dignità, di qualità ("fatto a mano"). Tra i modi di dire "dare un mano" significa aiutare, la Terra in questo caso, che è rappresentata dal colore verde e dai rapporti fra tutti gli elementi che compongono il marchio. Ogni elemento è infatti rapportato all'altro secondo l'armonia del-la sezione aurea, una delle leggi compositive più presenti nell'ambiente che abitiamo e testimo-nianza della relazione fra universo e natura.

Visto l' abuso delle mani in molti marchi, per ri-chiamare il nome del progetto e far sì che si che si possa distinguere dagli altri, le mani sono state posizionate a formare una S.Infine è stato inserito in un cerchio per richiama-re i marchi di garanzia.

A tal proposito il progetto è nato proprio pen-sando ad un modo di distinguere un prodotto di qualità su un mercato ormai troppo pieno di marchi che si professano come a supporto della natura, ma che fanno parte di quella schiera che ha contribuito alla perdita della biodiversita agroalimentare.Seed Saver nasce quindi da un bisogno reale, un'esigenza che i nuovi progetti non sono abi-tuati a soddisfare poichè in un mercato saturo di bisogni primari, si offrono alternative attrattive per comodità, più che per reale necessità.

IL CONCEPT

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Il marchio

La marca è composta da un marchio e da un logotipo.Il primo nasce dal ridisegno di due mani che en-trano in contatto. Possono essere due mani che si scambiano dei semi, o una che aiuta l'altra, o una stretta di mano. La vicinanza tra le due crea il profilo di una S, iniziale del brand.

GLI ELEMENTI COMPOSITIVI

Il logotipo

Il logotipo è stato scelto per due motivi princi-palmente:Il primo è di inserire e dare visibilità alla parola SEED SAVER, una scelta essenziale per far sì che entri a far parte del vocabolario urbano.Il secondo è la differenziazione. Molte marche presentanti il simbolo delle mani sono sprovviste di logotipo, se non in sede separata. Disponendo la scritta a cerchio e tenendola in continuità con la linea del braccio, rende il logotipo un compo-nente fondamentale della marca.

GLI ELEMENTI COMPOSITIVI

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GLI ELEMENTI COMPOSITIVI

Composizione finale

La composizione finale quindi vede sempre la convivenza di marchio e logotipo. Sulla pagina seguente le declinazioni nelle varie forme e colo-ri, e l'applicazione su sfondi chiari e sfondi scuri.

Applicazione su fondi chiari

Colore Colore

Monocromatico Monocromatico

Scala di grigi Scala di grigi

Applicazione su fondi scuri

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Il logo2.

LA COSTRUZIONE DEL SIMBOLO

La griglia per la costruzione del simbolo è com-posta da una serie di cerchi ottenuto secondo l'armonia della sezione aurea.

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IL LOGOTIPO E LA TIPOGRAFIA

Il font scelto per il progetto è il MONTSERRAT, un Google font, open source, con diciotto pesi di-versi. Ciò gli conferisce molta versatilità, sia sullo stampato che sul web.Il peso nel del logotipo è il BLACK, per garantire massima ed istantanea lettura.

Montserrat Black: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat Black Italic: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat ExtraBold: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat ExtraBold Italic: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat Bold: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat Bold Italic: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat SemiBold: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat SemiBold Italic: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?) Montserrat Medium: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat Medium Italic: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)

Montserrat Regular: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat Reglar Italic: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat Light: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat Light Italic: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat Extralight: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat ExtraLight Italic: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat Thin:ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)Montserrat Thin Italic: ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghilmnopqrstuvwxz1234567890 %&(.,;:’“”!?)

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LA PALETTE CROMATICA

Il colore scelto non è un qualsiasi verde, bensì il Pantone Greenery 15-0343 eletto colore dell'an-no 2017. Il colore dell'anno è quello che rappre-senta lo stato d'animo di ciò che sta avvenendo nella nostra cultura globale. Quest'anno il colore rappresenta l'attitudine gre-en che si è sviluppata da un po' di temp a questa parte.Annessa anche una palette colori utilizzabile al di fuori del logo.

Pantone Greenery 15-0343

R: 135 G: 176 B: 74

C: 55 M: 11 Y: 85 K: 0

Web: #87b04a

LE DECLINAZIONI DEL MARCHIO

Essendo un cerchio è una forma che si adatta ad ogni situazione, quindi esiste una sola declina-zione sviluppata per la riduzione. Il logotipo è stato portato fuori dal marchio per consentirne leggibilità. Inoltre è stato cambiato il peso da Black a Bold, per evitare che le lettere si sovrap-pongano e si perda la percezione delle forme. Sulla pagina seguente le declinazioni nelle varie forme e colori, e l'applicazione su sfondi chiari e sfondi scuri.

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Applicazione su fondi chiari

Colore Colore

Monocromatico Monocromatico

Scala di grigi Scala di grigi

Applicazione su fondi scuri

AREA DI RISPETTO

L'area di rispetto è la distanza minima che inter-corre tra la fine di un logo e l'inizio di un altro, o tra il logo e la fine dello spazio disponibile.L'intero logo è grande quattro volte la distanza che bisogna lasciare per la corretta visualizzazio-ne.Il marchio figurerà quasi unicamente vicino ad altri, è quindi importante rispettare le distanze imposte per evitare sovrapposizioni o sbagliate letture.

Es:

Logox

x + ½ x

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DIMENSIONI MINIME CONSIGLIATE

L'applicazione in dimensioni ridotte è general-mente consigliata solo se strettamente necessa-rio.

15 mm 15 mm10 mm 10 mm

USI SCORRETTI

Non è consentito deformare il logo,cambiargli colore, o posizionarlo su sfondi che ne alterano la lettura.

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ELEMENTI DECORATIVI

Sono stati creati degli elementi decorativi da poter usare come pattern per locandine, comu-nicazioni non ufficiali, e lettere.Il pattern è nato dai semi come protagonisti del progetto, uniti a linee e baccelli per creare mo-vimento e spezzare la continuità degli elementi troppo piccoli.

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