politica di coesione della ue: sesta relazione della commissione in italiano

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale Investimenti per l'occupazione e la crescita Promuovere lo sviluppo e la buona governance nelle città e regioni dell'UE Politica regionale e urbana Luglio 2014

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La sesta relazione sulla coesione registra una convergenza verso gli obiettivi di crescita della strategia Europa 2020, perseguiti attraverso la creazione di posti di lavoro e la riduzione delle disparità in tutta Europa. Nel periodo 2014-2020 gli investimenti saranno focalizzati su settori chiave come l'efficienza energetica, l'occupazione, l'inclusione sociale e le PMI, con l'obiettivo di ottenere il massimo degli investimenti a beneficio dei cittadini. La politica di coesione ha attenuato il drastico calo degli investimenti pubblici, dovuto alla persistente crisi economica, iniettando risorse laddove era necessario.

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Page 1: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

Investimenti per l'occupazione e la crescitaPromuovere lo sviluppo e la buona governance

nelle città e regioni dell'UE

Politica regionale e urbana

Luglio 2014

KN-02-14-063-IT-C

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Page 3: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Commissione europea

Promuovere lo sviluppo e la buona governance nelle città e regioni dell'UE

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

Investimenti per l'occupazione e la crescita

Bruxelles, 2014

Page 4: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Europe Direct è un servizio a vostra disposizione per aiutarvi a trovare le risposte ai vostri interrogativi sull'Unione europea.

Numero verde unico (*):

00 800 6 7 8 9 10 11(*) Le informazioni sono fornite gratuitamente, e le chiamate sono nella maggior parte dei casi gratuite (con alcuni operatori e in alcuni alberghi e cabine telefoniche il servizio potrebbe essere a pagamento).

La presente relazione è stata adottata dalla Commissione europea il 23 luglio 2014

Responsabile: Lewis Dijkstra, Commissione europea, direzione generale della Politica regionale e urbana

Questa pubblicazione è consultabile online all'indirizzo: http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docoffic/official/reports/cohesion6/6cr_it.pdf

Questa pubblicazione è stata realizzata con l'assistenza tecnica di Applica (Belgio) in collaborazione con SeproTec (Spagna).

Eventuali commenti sulla relazione saranno accolti favorevolmente e andranno inviati a: Commissione europeaDirezione generale della Politica regionale e urbanaDirezione BB-1049 BruxellesE-mail: [email protected]

Illustrazioni di copertina (da sinistra a destra): © Free Graphic Download© Deymos Photo/Shutterstock.com© Eleonora Cugini e Gianluca Bernardo© Artens/Shutterstock.com

Per l'eventuale utilizzo o riproduzione di immagini non tutelate dal diritto d'autore dell'Unione europea, è necessario richiedere l’autorizzazione direttamente ai titolari dei diritti d’autore.

Numerose altre informazioni sull'Unione europea sono disponibili su Internet consultando il portale Europa (http://europa.eu).

Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione europea, 2014

ISBN 978-92-79-39117-0doi 10.2776/98003

© Unione europea, 2014Riproduzione autorizzata con citazione della fonte.

Printed in Belgium Stampato su carta sbiancata senza cloro (ECF).

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iii

Prefazione

La crisi ha colpito in modo particolare le regioni e le città dell'UE. Il processo di di-minuzione delle disparità economiche regionali in atto si è interrotto, mentre la di-soccupazione è rapidamente aumentata in quasi tutte le zone dell'UE. La povertà e l'esclusione sociale sono ugualmente aumentate, colpendo anche svariate città degli Stati membri più sviluppati.

La Sesta relazione sulla coesione sociale si discosta dalle relazioni precedenti. Eviden-zia i nessi tra la politica di coesione e la strategia Europa 2020 attraverso l'inserimen-to di capitoli sulla crescita intelligente, inclusiva e sostenibile, mostrando come essa sia evoluta per rafforzare il proprio impatto sugli obiettivi dell'UE in termini di crescita e occupazione e come una buona governance sia essenziale per la sua efficacia.

La politica di coesione ha già migliorato la competitività regionale e la vita delle persone all'interno dell'UE. Ha sostenuto la creazione di nuove imprese e aiutato la popolazione a migliorare le proprie competenze e trovare nuovi posti di lavoro. Ha ampliato l'accesso alla banda larga e investito nelle reti ferroviarie e nel migliora-mento della viabilità stradale nelle aree meno sviluppate dell'UE. Infine ha accresciuto notevolmente il numero di abitazioni allacciate a sistemi di fornitura dell'acqua pota-bile e di gestione delle acque reflue.

I Fondi strutturali e d’investimento europei (SIE) stanno sempre più assumendo un'impor-tanza strategica per il raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020, soprat-tutto in merito agli obiettivi sull'occupazione e sulla riduzione della povertà. In vari Stati membri essi sono divenuti la principale fonte di finanziamento degli investimenti pubblici, a seguito dei tagli operati dagli Stati membri per ridurre i disavanzi di bilancio.

Fino al 2020 i fondi SIE investiranno maggiori risorse in materia di economia a basso contenuto di carbonio, innovazione e PMI, occupazione di qualità, mobilità sul lavoro e inclusione sociale, nonché in materia di reti digitali e nella rete TEN–T, istruzione, formazione, formazione permanente e riforma della pubblica amministrazione.

Il semestre europeo e le relative raccomandazioni specifiche per paese svolgono un ruolo cruciale nel rinforzare la politica di coesione. Il quadro giuridico alla base dei fondi SIE nel 2014 ha introdotto nuovi regolamenti per garantire l'istituzione del cor-retto contesto normativo e macroeconomico, in grado di massimizzare l'impatto della politica di coesione. Inoltre, una quota più consistente delle risorse dei fondi SIE sarà dedicata al rafforzamento della capacità amministrativa, in virtù dell'aumentata con-sapevolezza sul fatto che in assenza di una buona governance è impossibile conse-guire alti tassi di crescita e la convergenza economica regionale.

Queste modifiche, assieme a una maggiore attenzione ai risultati, faranno sì che la politi-ca di coesione possa affrontare meglio le disparità regionali in termini di resa economica e tenore di vita, contribuendo anche al raggiungimento degli obiettivi di Europa 2020.

Johannes Hahn Commissario europeo per la Politica regionale

László Andor Commissario europeo per l'Occupazione, gli affari sociali e l'inclusione

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

iv

Page 7: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

v

Sommario

Prefazione .......................................................................................................................................................................................... iii

Glossario ............................................................................................................................................................................................. xi

Investimenti per l'occupazione e la crescita .....................................................................................................................xv

1. Introduzione.............................................................................................................................................................................................xv

2. Una politica in evoluzione: investire nella competitività delle regioni per migliorare la vita dei cittadini .......................................................................................................................................................................................... xviii

3. Il conseguimento dei risultati è il fulcro della nuova politica di coesione ............................................................xx

3.1 I programmi della politica di coesione devono operare in un contesto favorevole .............................xx

3.2 I programmi della politica di coesione devono concentrare le risorse su un numero limitato di priorità e massimizzare il loro valore aggiunto .........................................................................................................xxi

3.3 I programmi della politica di coesione devono definire obiettivi e risultati chiari ..............................xxii

3.4 I programmi della politica di coesione devono dare più voce alle città ......................................................xxii

3.5 È necessaria una maggiore inclusione dei partner a tutti i livelli nei programmi della politica di coesione......................................................................................................................................................................................... xxiii

4. Dalla teoria alla pratica: nuovi elementi che emergono dai negoziati ............................................................... xxiii

5. Conclusioni .......................................................................................................................................................................................... xxvii

Riassunto esecutivo ...................................................................................................................................................................xxix

Capitolo 1: Crescita intelligente ................................................................................................................................................1

1. Introduzione...............................................................................................................................................................................................1

2. La crisi ha interrotto il processo di riduzione delle disparità regionali ....................................................................1

3. Negli Stati membri dell'Europa centro–orientale il settore industriale rimane solido, mentre l'agricoltura richiede ulteriori interventi di modernizzazione ........................................................................................7

4. I settori dell'industria e delle costruzioni, i più colpiti dalla crisi ..............................................................................11

5. La crisi ha determinato la perdita di posti di lavoro, ma anche un incremento della produttività ......14

6. La crescita nelle regioni metropolitane è più soggetta a periodi di alti e bassi rispetto alle regioni rurali .................................................................................................................................................................................17

6.1 Le regioni metropolitane della capitale hanno mantenuto un andamento positivo, finché la crisi non ha causato un calo dell'occupazione superiore alla media .............................................................17

6.2 La crescita del PIL nelle regioni rurali è rimasta limitata nel periodo precedente la crisi, ma ha dimostrato maggiore resilienza negli anni della crisi ...................................................................................18

7. Il tasso di creazione di impresa e l'imprenditorialità dipendono dall'iniziativa individuale e dal corretto ambiente istituzionale ......................................................................................................................................21

8. L'innovazione resta territorialmente concentrata .............................................................................................................28

8.1 R&S e l'obiettivo 2020 ..........................................................................................................................................................29

8.2 I brevetti nell'UE e negli USA .............................................................................................................................................34

9. La quota di istruzione terziaria sta aumentando, ma permangono forti disparità ........................................34

10. Le carenze in termini di reti digitali e di trasporto sono in via di miglioramento, ma molto resta ancora da fare ......................................................................................................................................................................................40

Page 8: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

vi

10.1 Le reti digitali si stanno diffondendo, ma non in maniera uniforme ........................................................40

10.2 Le reti stradali negli Stati membri centro–orientali sono ancora sottosviluppate ...........................41

10.3 La bassa velocità e la scarsa frequenza dei collegamenti ferroviari negli Stati membri centro–orientali determinano una loro minore attrattiva rispetto alla scelta dell'automobile ............43

11. Gli scambi e gli investimenti esteri diretti stimolano la crescita nell'UE–12 .................................................49

12. La competitività regionale ha determinato ricadute limitate nelle regioni dell'UE–13 ............................49

13. Conclusioni ...........................................................................................................................................................................................54

Capitolo 2: Crescita inclusiva ..................................................................................................................................................57

1. Introduzione............................................................................................................................................................................................57

2. La crisi ha cancellato gli aumenti occupazionali dal 2000 .........................................................................................57

2.1 I tassi di occupazione sono diminuiti rapidamente nelle regioni più colpite dalla crisi ....................57

2.2 La disoccupazione nell'UE è la più alta di tutto il decennio .............................................................................58

2.3 Il tasso di disoccupazione femminile è molto più alto nelle regioni meridionali dell'UE .................63

2.4 La riduzione del tasso di abbandono scolastico sta procedendo secondo le previsioni ..................63

2.5 La formazione continua sta attraversando una fase stagnante ...................................................................70

2.6 Occorre innalzare le competenze linguistiche e matematiche degli adulti in diversi Stati membri, secondo l'inchiesta dell'OCSE sulle competenze degli adulti (PIAAC) .............................................71

3. La povertà e l'esclusione sociale sono aumentate a causa della crisi ..................................................................71

3.1 L'indigenza materiale grave è più diffusa nelle cittadine, nelle periferie e nelle aree rurali degli Stati membri meno sviluppati .......................................................................................................................................71

3.2 La bassa intensità lavorativa negli Stati membri più sviluppati si concentra maggiormente nelle città ..............................................................................................................................................................................................73

3.3 Il rischio di povertà è più alto nelle aree urbane degli Stati membri più sviluppati, e nelle cittadine, periferie e aree rurali degli Stati membri meno sviluppati .......................................................................................74

3.4 Le città negli Stati membri meno sviluppati sono prossime agli obiettivi 2020, mentre le città negli Stati membri più sviluppati hanno accumulato un ritardo ...........................................................77

3.5 La qualità della vita nelle città europee non è omogenea ...............................................................................78

3.6 I tassi di criminalità sono più alti nelle regioni urbane, nelle regioni di confine e nelle destinazioni turistiche ....................................................................................................................................................................79

4. I flussi migratori interni agli Stati membri e tra Stati membri diversi sono determinati dalle disparità sotto il profilo occupazionale, retributivo e sanitario .................................................................................79

4.1 Il territorio dell'UE è estremamente urbanizzato, ma il processo di urbanizzazione ancora in corso ha diminuito il proprio ritmo ....................................................................................................................................79

4.2 La migrazione netta è la causa principale dell'aumento demografico verificatosi a partire dal 2000 ................................................................................................................................................................................................88

4.3 Sempre più nati all'estero si sono inseriti nel mercato del lavoro con esiti differenti ......................91

4.4 Nonostante l'aspettativa di vita sia alta, permangono differenze tra le regioni ..................................92

4.5 Lo sviluppo umano è in via di miglioramento negli Stati membri centro–orientali, mentre è in contrazione in Spagna, Grecia e Irlanda per effetto della crisi ......................................................................96

5. Conclusioni ..............................................................................................................................................................................................97

Capitolo 3: Crescita sostenibile ..............................................................................................................................................99

1. Introduzione............................................................................................................................................................................................99

2. L'Unione europea deve mitigare e adattarsi al cambiamento climatico ..........................................................100

Page 9: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sommario

vii

2.1 È necessario che l'UE riduca le emissioni di gas a effetto serra per riuscire a raggiungere gli obiettivi per il 2020 ...............................................................................................................................................................100

2.2 L'UE dovrà incrementare l'utilizzo delle energie rinnovabili per riuscire a raggiungere i propri obiettivi entro il 2020 ................................................................................................................................................103

2.3 L'UE deve adattarsi al verificarsi di catastrofi naturali sempre più frequenti.....................................105

3. Il passaggio a sistemi di trasporto più sostenibili può aumentare l'efficienza energetica e migliorare la qualità dell'aria ................................................................................................................................................108

3.1 Migliorare l'accessibilità e l'efficienza energetica ...............................................................................................108

3.2 Le grandi città offrono un accesso migliore al sistema di trasporto pubblico ...................................110

3.3 La congestione del traffico è elevata in molte grandi città dell'UE ..........................................................113

3.4 La qualità dell'aria è tuttora migliorabile in molte zone dell'UE ................................................................115

4. Rendere le città più attraenti contribuisce a promuovere l'efficienza dell'UE sotto il profilo delle risorse ........................................................................................................................................................................................115

4.1 Le città utilizzano il suolo in maniera più efficiente ..........................................................................................117

4.2 Le politiche locali e nazionali possono plasmare i luoghi e l'intensità d'utilizzo del suolo dei nuovi insediamenti, promuovendo la creazione di città più compatte ....................................................124

5. Il miglioramento degli ecosistemi e la riduzione dell'impatto ambientale rendono l'UE un luogo più efficiente e vivibile ..................................................................................................................................................................124

5.1 Preservare la qualità dell'acqua, proteggendo le specie e gli habitat ....................................................124

5.2 Il trattamento delle acque reflue urbane è necessario per garantire la qualità delle risorse idriche ...................................................................................................................................................................................................125

5.3 La gestione dei rifiuti solidi è in via di miglioramento, tuttavia molto resta ancora da fare in diverse regioni dell'UE ...........................................................................................................................................................128

5.4 Ecosistemi integri offrono numerosi servizi di vitale importanza ..............................................................128

6. Conclusioni ...........................................................................................................................................................................................136

Capitolo 4: Gli investimenti pubblici, la crescita e la crisi ....................................................................................... 137

1. Introduzione.........................................................................................................................................................................................137

2. La quota di spesa pubblica a favore della crescita è diminuita ............................................................................137

2.1 La crisi ha provocato un'impennata del disavanzo pubblico nazionale .................................................137

2.2 Gli investimenti pubblici sostengono la crescita economica ........................................................................139

2.3 La spesa pubblica, dopo un periodo di crescita, sta ora attraversando una fase declinante ....140

2.4 Gli investimenti pubblici sono prima aumentati e poi diminuiti .................................................................142

3. Le amministrazioni pubbliche locali e regionali svolgono un ruolo chiave sotto il profilo degli investimenti e della spesa pubblica ......................................................................................................................................142

3.1 Le amministrazioni pubbliche locali e regionali sono responsabili di buona parte della spesa pubblica ...............................................................................................................................................................................................142

3.2 Le amministrazioni locali e regionali gestiscono la maggioranza degli investimenti pubblici ................................................................................................................................................................................................144

3.3 La crisi ha interrotto un periodo di crescita sostenuta della spesa pubblica delle amministrazioni locali e regionali .............................................................................................................................................................................147

3.4 Investire in tempi di crisi: finanziamenti diretti e investimenti locali e regionali ..............................149

3.5 Le entrate delle amministrazioni subnazionali dipendono in primo luogo dai trasferimenti .....150

3.6 Disavanzo e debito pubblico delle amministrazioni subnazionali .............................................................152

4. Il contributo della politica di coesione agli investimenti pubblici negli Stati membri ................................154

Page 10: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

viii

5. Investimenti, aiuti di Stato e prestiti della BEI.................................................................................................................155

5.1 Politica sulla concorrenza .................................................................................................................................................155

5.2 Banca europea per gli investimenti ............................................................................................................................157

6. Conclusioni ...........................................................................................................................................................................................159

Capitolo 5: L'importanza di una buona governance per lo sviluppo sociale ed economico ..................... 161

1. Perché l'UE dovrebbe concentrarsi sul principio di buona governance? ............................................................161

2. È più facile fare impresa nel nord dell'UE ..........................................................................................................................162

3. La maggioranza degli europei considera la corruzione un problema grave e molto diffuso ................165

4. Gli indicatori di governance variano tra Stati membri e all'interno degli Stati membri ...........................167

4.1 La qualità delle istituzioni di alcune regioni è molto più alta (o molto più bassa) ..........................168

4.2 L'autorità delle regioni dell'UE è in aumento.........................................................................................................169

5. Una scarsa governance limita l'impatto della politica di coesione ......................................................................172

5.1 Una scarsa governance può rallentare gli investimenti, causando perdite nei finanziamenti ...................................................................................................................................................................................175

5.2 Una scarsa governance può ridurre l'effetto leva della politica di coesione .......................................176

6. Conclusioni ...........................................................................................................................................................................................177

Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione ..................................................................................................... 179

1. Introduzione.........................................................................................................................................................................................179

2. La geografia si è semplificata di pari passo con l'incremento dei finanziamenti ........................................180

2.1 La spesa per la politica di coesione è aumentata in rapporto all'RNL ....................................................180

2.2 La geografia della politica di coesione si è semplificata tra il 1989 e il 2013 ..................................182

2.3 I finanziamenti rimangono concentrati nelle regioni meno sviluppate ...................................................187

2.4 I Fondi strutturali e di investimento europei e la politica di coesione .....................................................188

2.5 L'intensità degli aiuti nelle regioni meno sviluppate è aumentata fino al periodo 2000–2006 per poi diminuire ............................................................................................................................................................................191

3. Qual è stata l'evoluzione degli obiettivi nel tempo? .....................................................................................................194

3.1 La formazione e la mobilità erano le priorità iniziali ........................................................................................194

3.2 Negli anni Settanta e Ottanta si è assistito a una disoccupazione strutturale e a rapidi cambiamenti nel settore agricolo e manifatturiero ...................................................................................................194

3.3 Il livello di infrastrutture di base presenti nei paesi aderenti all'UE negli anni Ottanta e nel primo decennio del 2000 era piuttosto scarso ................................................................................................195

3.4 Miglioramento dei trasporti e delle infrastrutture ambientali .....................................................................196

3.5 Le agende di Lisbona e Göteborg ................................................................................................................................196

3.6 Europa 2020, riduzione della povertà, mitigazione del cambiamento climatico, oltre il PIL .....197

3.7 Oltre il PIL: povertà, sviluppo umano e benessere .............................................................................................198

3.8 Quali sono gli obiettivi della politica di coesione? ..............................................................................................200

4. I fondamenti economici della politica di coesione sono diventati più integrati ............................................201

4.1 La politica di coesione è andata oltre i fattori determinanti della crescita di primo livello .......203

4.2 La politica di coesione può stimolare la crescita investendo nei fattori determinati della crescita di secondo livello .........................................................................................................................................................203

4.3 La politica di coesione sostiene l'integrazione del mercato e può velocizzare la crescita delle regioni meno sviluppate ............................................................................................................................................................205

Page 11: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sommario

ix

5. La ripartizione dei finanziamenti tra diverse aree strategiche è cambiata con l'evolversi degli obiettivi della politica ....................................................................................................................................................................206

6. L'impatto della crisi sul periodo 2007–2013 ...................................................................................................................208

6.1 L'FSE e la risposta alla crisi .............................................................................................................................................211

7. Conclusioni ...........................................................................................................................................................................................211

Capitolo 7: Effetti della politica di coesione .................................................................................................................. 213

1. Introduzione.........................................................................................................................................................................................213

2. I risultati dei programmi nel periodo 2007–2013 ........................................................................................................214

2.1 Il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo di coesione ....................................................................214

2.2 Il Fondo sociale europeo ...................................................................................................................................................219

3. Risultanze della valutazione d'impatto della politica di coesione ........................................................................222

3.1 Lo stato dell'arte e le sfide che attendono i programmi cofinanziati dal FESR e dal Fondo di coesione.........................................................................................................................................................................................222

3.2 Risultanze delle valutazioni dei programmi realizzati nell'ambito del FESR e del Fondo di coesione.........................................................................................................................................................................................225

3.3 Risultanze delle valutazioni dei programmi dell'FSE ........................................................................................228

4. Modellizzazione dell'impatto della politica di coesione 2000–2006 e 2007–2013......................................231

5. Conclusioni ...........................................................................................................................................................................................234

Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014–2020 ................................................................................... 235

1. Gli elementi chiave della riforma ............................................................................................................................................235

1.1 Nuove geografie e finanziamenti .................................................................................................................................236

1.2 Concentrazione tematica a sostegno della strategia Europa 2020 .........................................................239

1.3 Rafforzare l'efficacia degli investimenti ....................................................................................................................242

1.4 Raggiungere e dimostrare i risultati ...........................................................................................................................243

1.5 Allineare gli investimenti dell'UE al semestre europeo ...................................................................................246

1.6 Un approccio strategico alle riforme della pubblica amministrazione ....................................................247

1.7 Governance economica solida .......................................................................................................................................248

1.8 Preservare gli investimenti a favore della crescita............................................................................................252

1.9 Collegare la verifica dell'addizionalità ai programmi per la stabilità e la convergenza ...............253

1.10 Potenziare il ruolo degli strumenti finanziari ......................................................................................................253

1.11 Rafforzare la cooperazione a livello europeo .....................................................................................................254

2. Valutazione preliminare dei negoziati sui programmi 2014–2020 .....................................................................258

2.1 Priorità di finanziamento nel periodo 2014–2020 .............................................................................................258

2.2 Allineare gli investimenti alle raccomandazioni specifiche per paese ....................................................263

2.3 Aumentare l'impatto degli investimenti e incrementare i risultati ..........................................................265

3. Impatto stimato della politica di coesione 2014–2020 .............................................................................................266

3.1 Impatto stimato a livello nazionale ............................................................................................................................268

3.2 Impatto stimato a livello regionale .............................................................................................................................271

Riferimenti bibliografici ........................................................................................................................................................... 277

Elenco delle figure, delle carte, delle tabelle e dei riquadri ................................................................................... 287

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

x

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xi

Glossario

Politica di coesione: comprende tutti i programmi finanziati dai seguenti fondi: Fondo sociale europeo (FSE), Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e Fondo di coesione (FC).1 Denominata anche politica regionale.

Fondi strutturali: Fondo sociale europeo (FSE) e Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR).

AbbreviazioniAEA: Agenzia europea dell’ambienteAMECO: Database macroeconomico annuo della direzione regionale degli Affari economici e finanziari

della Commissione europea.BEI: Banca europea per gli investimentiCOH: paesi della coesione, comprendenti gli Stati membri meno sviluppati e moderatamente sviluppati

(v. sotto)DG BUDG: Commissione europea, direzione generale del BilancioDG COMP: Commissione europea, direzione generale della ConcorrenzaDG ECFIN: Commissione europea, direzione generale degli Affari economici e monetariDG EMPL: Commissione europea, direzione generale per l'Occupazione, gli affari sociali e l'inclusioneDG MOVE: Commissione europea, direzione generale della Mobilità e dei trasportiDG REGIO: Commissione europea, direzione generale della Politica regionale e urbanaEFGS: European Forum for Geography and StatisticsFEAMP: Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, già Fondo europeo per la pesca (FEP) e prece-

dentemente Strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP)

FEASR: Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, già Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG)

FESR: Fondo europeo di sviluppo regionaleFSE: Fondo sociale europeoFSIE: Fondi strutturali e d’investimento europei. Comprende tutti i programmi finanziati da FSE, FESR,

FC, FEASR e FEPISCED: International Standard Classification of Education (Classificazione internazionale standard

dell’istruzione)JRC: Centro comune di ricerca della Commissione europeaNSI: Istituto nazionale di statisticaOCSE: Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economicoSPA: Standard di potere d’acquistoUE: Unione europea, già Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), Comunità economica

europea (CEE) e Comunità europea (CE)

Gli Stati membri e le loro abbreviazioniBE BelgioBG BulgariaCZ Repubblica cecaDK DanimarcaDE Germania

1 In alcuni periodi il FEASR e il Fondo europeo per la pesca sono stati considerati come appartenenti ai Fondi strutturali o alla politica di coesione. Ma ai fini della presente relazione essi saranno trattati separatamente.

Page 14: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

xii

EE EstoniaIE IrlandaEL GreciaES SpagnaFR FranciaHR CroaziaIT ItaliaCY CiproLV LettoniaLT LituaniaLU LussemburgoHU UngheriaMT MaltaNL Paesi BassiAT AustriaPL PoloniaPT PortogalloRO RomaniaSI SloveniaSK SlovacchiaFI FinlandiaSE SveziaUK Regno Unito

Raggruppamenti per Stati membri

Per data di adesionePer maggior facilità di lettura, la presente relazione intende la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea (CE) come Unione europea (UE).

UE–6: I sei Stati membri iniziali: BE, DE, FR, IT, LU e NLUE–9: EU6 più DK, IE e UKUE–10: UE–9 più ELUE–12: UE–10 più ES e PT (quando si fa riferimento ai dati per il periodo 1986–1995)UE–12: Tutti gli Stati membri che hanno aderito all'Unione nel 2004 e 2007: BG, CZ, EE, CY, LV, LT, HU,

MT, PL, RO, SI, SKUE–13: Tutti gli Stati membri che hanno aderito all'Unione nel 2004, 2007 e 2013: BG, CZ, EE, HR, CY, LV,

LT, HU, MT, PL, RO, SI, SKUE–15: UE–12 più AT, FI, SE UE–25: UE–15 più CZ, EE, CY, LV, LT, HU, MT, PL, SI, SKUE–27: UE–25 più RO e BGUE–28: UE–27 più HR

Raggruppamenti geografici

• Stati membri dell'Europa centro–orientale: BG, CZ, EE, HR, LV, LT, HU, PL, SI, SK

• Stati membri meridionali: EL, ES, IT, CY, MT, PT

• Stati membri occidentali: UE–15

• Stati membri scandinavi: DK, FI, SE

• Stati baltici: EE, LV, LT

• Benelux: BE, LU, NL

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Glossario

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Per grado di sviluppoPaesi membri meno sviluppati: BG, EE, HR, LV, LT, HU, PL, SK, RO (PIL pro capite inferiore al 75% della media dell'UE nel 2012)Paesi membri moderatamente sviluppati: CZ, EL, CY, MT, PT, SI2 (PIL pro capite tra il 75% e il 90%)Paesi altamente sviluppati: BE, DK, IE, ES, FR, DE, IT, LU, NL, AT, FI, SE, UK (PIL pro capite sopra la media dell'UE)

Per status

Paesi candidati: Turchia, Montenegro, Serbia e l'ex Repubblica jugoslava di Macedonia (FYROM)Paesi candidati potenziali: Albania, Bosnia–Erzegovina, Kosovo ai sensi della risoluzione 1244/99 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU e Islanda

Tipologie regionali

Regioni metropolitane

Questa classificazione è stata sviluppata in collaborazione con l'OCSE e comprende l'approssimazione al livello NUTS 3 di tutte le zone urbane funzionali con oltre 250 000 abitanti, in base alla metodologia UE–OCSE sulla definizione di zone urbane funzionali.

Regioni prevalentemente urbane, intermedie e prevalentemente rurali

Questa classificazione si basa sulla classificazione dell'OCSE e successiva revisione della Commissione. Una metodologia dettagliata figura nell'Annuario regionale Eurostat 2010.

Regioni frontaliere

Le regioni di confine sono regioni NUTS 3 ammissibili ai programmi di cooperazione transfrontaliera ai sensi del regolamento del Fondo europeo di sviluppo regionale.

Tipologie localiGrado di urbanizzazioneCittà: unità amministrative locali con oltre il 50% della popolazione residente in un centro urbano;Cittadine e periferie: unità amministrative locali con oltre il 50% della popolazione residente in un agglome-rato (cluster) urbano ma con meno del 50% residente in un centro urbano; Zona rurale: unità amministrative locali con oltre il 50% della popolazione residente in zone di tipo rurale;Per maggiori informazioni consultare la relazione disponibile all'indirizzo Internet: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/statistics_explained/index.php/Degree_of_urbanisation_classification_-_2011_revision http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docgener/work/2014_01_new_urban.pdf

Città e zone di pendolarismo

Città: stessa definizione di cui sopraZone di pendolarismo: unità amministrative locali contigue con almeno il 15% della popolazione occupata che si reca al lavoro in un'altra città.Per maggiori informazioni consultare la relazione disponibile all'indirizzo Internet: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/statistics_explained/index.php/European_cities_–_the_EU-OECD_functional_urban_area_definitionhttp://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docgener/focus/2012_01_city.pdf

2 Cipro è stato inserito in ragione della sua ammissibilità al Fondo di coesione Nel 2012 il PIL pro capite in SPA era il 92% della media dell'UE, mentre secondo le proiezioni nel 2013 è inferiore al 90%.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Investimenti per l'occupazione e la crescita1

1. Introduzione

Sebbene negli ultimi anni i governi nazionali abbiano dovuto ricorrere a tagli alla spesa per pareggiare il bilancio e i finanziamenti privati si siano esauriti a causa della crisi economica e finanziaria, i finanziamenti a titolo della politica di coesione hanno continuato a fluire verso gli Stati membri e le regioni, a sostegno degli investimenti essenziali a favore della crescita e dell’occupazione.

La crisi ha inciso in modo radicale sui bilanci nazionali e regionali, limitando la di-sponibilità dei finanziamenti in tutti i settori di investimento. Tra il 2008 e il 2013 gli investimenti pubblici in tutta l’UE sono diminuiti del 20% in termini reali (Figura 1). In Grecia, Spagna e Irlanda il calo ha sfiorato il 60%. Nei paesi dell’Europa centrale e orientale, in cui i finanziamenti della politica di coesione sono particolarmente impor-tanti, gli investimenti pubblici (espressi in investimenti fissi lordi) si sono ridotti di un terzo. Senza la politica di coesione gli investimenti negli Stati membri più colpiti dalla crisi sarebbero diminuiti di un ulteriore 50%. In questi paesi i finanziamenti a favore della coesione rappresentano attualmente oltre il 60% del bilancio di investimenti (Figura 2).

La crisi economica ha invertito la prolungata tendenza alla convergenza del PIL e dei tassi di disoccupazione nell'UE, interessando in particolare le regioni dell'Europa me-ridionale. La crisi ha inoltre determinato un aumento della povertà e dell'esclusione sociale. A sua volta questo ha ostacolato il raggiungimento di svariati obiettivi della strategia Europa 2020.

1 COM(2014) 473 def.

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Figura 1 Impatto della politica di coesione sugli investimenti pubblici, 2007–2013

Miliardi di euro, prezzi 2005

UE-28, Investimenti pubblici (Investimenti fissi lordi)

UE-28, Investimenti pubblici al netto dei pagamentidella politica di coesione (FESR, FSE, FC) 2007-2013

Fonte: Eurostat e DG REGIO

Page 18: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

xvi

Ad esempio, tra il 2007 e il 2012 in 210 delle 277 regioni dell’UE si è registrato un aumento della disoccupazione. In 50 di queste regioni il tasso di disoccupazione è più che raddoppiato. La situazione è particolarmente preoccupante per i giovani, dato che nel 2012 il tasso di disoccupazione giovanile era superiore al 20% in quasi la metà delle regioni. Ne consegue che molte regioni non sono ancora state in grado di contri-buire al conseguimento dell’obiettivo principale della strategia Europa 2020: un tasso di occupazione pari al 75% per la popolazione nella fascia di età 20–64 entro il 2020.

La Commissione e gli Stati membri hanno reagito alla crisi riassegnando alcuni inve-stimenti, previsti nel quadro della politica di coesione, a settori in cui l’impatto delle attività economiche e dell’occupazione sarebbe stato diretto e immediato nonché continuando a riservare un’attenzione particolare al superamento degli ostacoli strut-turali a lungo termine che si frappongono allo sviluppo. Entro la fine del 2013 sono quindi stati riassegnati oltre 45 miliardi di euro–ossia il 13% dei fondi totali. Questo spostamento di fondi è servito a incentivare l’adozione di misure intese ad attenuare la disoccupazione e l’esclusione sociale crescenti e a promuovere gli investimenti in innovazione e ricerca e sviluppo (R&S), sostegno alle imprese, energie sostenibili, infrastrutture sociali e didattiche.

La Commissione ha inoltre proposto misure volte ad accrescere la liquidità per gli Stati membri più colpiti dalla crisi. L’adozione di tali misure da parte del Parlamento europeo e del Consiglio ha consentito una riduzione dei contributi nazionali, rendendo possibile l’afflusso di pagamenti anticipati per l’ammontare di oltre 7 miliardi di euro. È stata anche approvata un’ulteriore riduzione del cofinanziamento nazionale per un valore pari a quasi 2,1 miliardi di euro.

È documentato che gli investimenti della politica di coesione hanno avuto ripercus-sioni significative.

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Figura 2 Quota della politica di coesione negli investimenti pubblici, media 2010–2012

Finanziamenti della politica di coesione e cofinanziamenti nazionali in % sugli investimenti pubblici complessivi

Fonte: Eurostat e DG REGIO

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Investimenti per l'occupazione e la crescita

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Tra il 2007 e il 2012 il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) ha creato circa 600 000 posti di lavoro: tale dato corrisponde al 20% circa delle perdite di posti di lavoro stimate nello stesso periodo, a partire dall’inizio della crisi finanziaria. Il fondo ha investito in 200 000 progetti di piccole e medie imprese (PMI) e in 80 000 imprese in fase di avviamento, ha finanziato 22 000 progetti riguardanti la cooperazione fra il settore imprenditoriale e quello della ricerca, ha fornito la copertura con banda larga a 5 milioni di persone e ha incluso 5,5 milioni di persone nei servizi di trattamento del-le acque reflue. Grazie agli investimenti dell’UE a titolo della politica di coesione sono inoltre stati costruiti 3 000 km di reti di trasporto europee di fondamentale importan-za (il 15% della rete globale TEN T) ed è anche raddoppiata la quota di finanziamenti governativi per le attività di R&S negli Stati membri meno sviluppati.

Tra il 2007 e il 2012 il Fondo sociale europeo (FSE) ha sostenuto 68 milioni di parte-cipazioni a progetti individuali. Dopo aver ricevuto gli aiuti del FSE, 5,7 milioni di per-sone disoccupate o inattive hanno trovato un impiego e quasi 8,6 milioni di qualifiche sono state acquisite con il sostegno del FSE. Sono stati segnalati oltre 400 000 casi di nuove imprese create e di persone che hanno avviato un’attività di lavoro autonomo. Tutti questi aspetti hanno contribuito a limitare la contrazione del PIL in molti paesi o a impedire un ulteriore aumento della disoccupazione.

Gli effetti di detti investimenti aumenteranno nel corso dei prossimi anni, in quanto gli Stati membri hanno tempo fino alla fine del 2015 per utilizzare i fondi a valere sui programmi 2007–2013 e solo qualche tempo dopo che gli investimenti sono stati effettuati è possibile misurarne l’impatto.

Con un bilancio totale di oltre 450 miliardi di euro (compreso il cofinanziamento nazio-nale) per il periodo di programmazione 2014–2020, la politica di coesione costituisce il principale strumento di investimento dell’UE. Essa apporterà il contributo maggiore nel sostegno alle PMI, alle attività di R&S e innovazione, all’istruzione, all’economia a basse emissioni di carbonio, all’ambiente, alla lotta contro la disoccupazione e l’esclusione socia-le, allo sviluppo di infrastrutture atte a collegare i cittadini dell’UE e all’ammodernamento della pubblica amministrazione. Gli investimenti previsti a titolo della politica di coesione, combinati con le riforme strutturali, svolgeranno un ruolo fondamentale per il sostegno alla crescita e alla creazione di posti di lavoro e per il conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 relativi ad una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

La sfida consiste nel garantire che queste risorse siano utilizzate nel modo più ef-ficace ed efficiente possibile, massimizzando i loro effetti, consolidando la ripresa e aiutando l’UE ad uscire dalla crisi più forte e più competitiva di prima.

La nuova politica di coesione è pienamente in linea con la strategia Europa 2020 e con i suoi obiettivi precipui in materia di occupazione, ricerca e sviluppo, clima ed energia, istruzione e lotta contro la povertà e l’esclusione sociale ed è connessa al semestre europeo e al processo di governance economica dell’UE. Gli investimenti a titolo della politica di coesione saranno pertanto utilizzati anche per sostenere le politiche perseguite dagli Stati membri nel quadro degli orientamenti integrati e dei programmi nazionali di riforma nonché per affrontare le pertinenti raccomandazio-ni specifiche per paese (RSP), formulate dal Consiglio. La Commissione può anche chiedere agli Stati membri di modificare i loro accordi di partenariato e i programmi operativi per rispondere alle nuove sfide individuate nelle RSP.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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La presente comunicazione sintetizza i risultati dei finanziamenti a favore della coe-sione nel precedente periodo di programmazione e descrive i principali elementi della riforma della politica di coesione per il periodo 2014–20202 nonché le tendenze che emergono dai negoziati sui programmi attualmente condotti dalla Commissione e da-gli Stati membri. La comunicazione è corredata di un documento di lavoro dei servizi della Commissione, che analizza le sfide socioeconomiche e relative alla governance che incombono sugli Stati membri e sulle regioni e valuta l’impatto della politica di coesione e degli investimenti pubblici sulle disparità economiche e sociali.

2. Una politica in evoluzione: investire nella competitività delle regioni per migliorare la vita dei cittadini

Il trattato sull’Unione europea sancisce che l’obiettivo della politica di coesione è ri-durre le disparità economiche, sociali e territoriali, fornendo un sostegno particolare alle regioni meno sviluppate.

Nel corso del tempo questa politica ha contribuito a migliorare il tenore di vita e le opportunità economiche nelle regioni dell’UE, migliorando le competenze e le possi-bilità di impiego, aumentando l’accesso alle regioni, promuovendo lo sviluppo delle capacità amministrative, creando collegamenti tra istituti di ricerca, università e mon-do imprenditoriale nonché erogando servizi alle piccole e medie imprese. Sostenendo i principali motori della crescita economica, la politica di coesione aiuta le regioni dell’UE a crescere più rapidamente.

Pur restando fedele alle sue origini, la politica di coesione ha registrato sviluppi e progressi. Nei primi anni della sua esistenza, tale politica limitava il proprio raggio d’azione alla sfera nazionale, finanziando negli Stati membri progetti predeterminati di scarsa influenza a livello europeo. Nel corso del tempo sono stati introdotti principi fondamentali come la programmazione pluriennale, investimenti più strategici e un maggiore coinvolgimento dei partner regionali e locali.

La parte più consistente del sostegno finanziario nel quadro della politica di coesione è stata costantemente rivolta alle regioni e agli Stati membri meno sviluppati. Gli investimenti, inizialmente incentrati sulle infrastrutture, sono stati tuttavia successi-vamente orientati verso il sostegno alle PMI, alle opportunità occupazionali più inno-vative e alle politiche sociali. Tale cambiamento è stato possibile grazie allo sviluppo delle infrastrutture negli Stati membri (sia in quelli che hanno aderito all’UE dopo il 2004 sia negli Stati membri di lunga data), finanziato nel quadro della politica di coesione in periodi precedenti.

La figura 3 illustra la composizione degli investimenti e la sua evoluzione a partire dal 1989.

La quota di investimenti nelle infrastrutture pesanti (in particolare quelle di trasporto) era elevata al momento del varo della politica e in seguito all’allargamento del 2004, quando sono entrati a far parte dell’UE paesi che presentavano un evidente divario infrastrutturale. Con la creazione del Fondo di coesione negli anni ‘90 gli investimenti

2 Regolamenti (UE) nn. 1299/2013 e 1304/2013.

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Investimenti per l'occupazione e la crescita

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ambientali hanno acquisito un’importanza sempre maggiore, aiutando gli Stati mem-bri e le regioni a conformarsi alle direttive e ai regolamenti dell’UE in questo settore. Gli investimenti nel settore produttivo e in particolare nelle PMI sono rimasti relati-vamente stabili.

Gli investimenti nel capitale umano (istruzione, occupazione e inclusione sociale) sono tuttavia leggermente diminuiti in termini relativi. Ciononostante il ruolo del FSE quale strumento per investire nel capitale umano è cresciuto considerevolmen-te, da ultimo a seguito delle conseguenze drammatiche della crisi economica sui mercati del lavoro degli Stati membri. Quale nuova misura per far fronte a questo problema, il quadro normativo per il periodo 2014–2020 definisce per il FSE una quota minima (23,1%) del bilancio della politica di coesione. Tale fatto è importante per garantire il volume di investimenti nel capitale umano, nell’occupazione, nell’in-clusione sociale, nella riforma della pubblica amministrazione e nello sviluppo del-le capacità istituzionali necessario per contribuire al conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020.

Durante il periodo 2007–2013 la politica di coesione–in particolare mediante il FSE–ha sostenuto per la prima volta la modernizzazione e la riforma delle amministrazioni pubbliche e dei sistemi giudiziari nei paesi in fase di convergenza. Tale sostegno è inteso a migliorare il funzionamento, l’accessibilità e la qualità dei servizi pubblici, al fine di agevolare l’elaborazione di politiche fondate su elementi concreti e di attuare politiche di concerto con le parti sociali e la società civile.

Infine, la quota di risorse destinate all’assistenza tecnica è aumentata significativa-mente dal periodo 2000–2006, rispecchiando l’importanza fondamentale del buon funzionamento delle istituzioni per la gestione efficace dei programmi della politica di coesione.

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Figura 3 Ripartizione degli investimenti della politica di coesione nelle regioni meno sviluppate, 1989–2013

% del totale

Assistenza tecnica

Ambiente

Occupazione, istruzione, inclusione sociale

Infrastrutture (trasporti, energia, telecomunicazioni)

Sostegno alle imprese, R&S e innovazione

Fonte: DG REGIO

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Adattando opportunamente gli investimenti ai livelli di sviluppo economico, la politica di coesione è stata in grado di adeguarsi nel tempo all’evolversi delle esigenze di ciascuna regione, sebbene l’evoluzione della politica non sia stata decisiva come ci si attendeva. L’evidenza indica, ad esempio, che l’introduzione nel periodo 2007–2013 dell’assegna-zione obbligatoria di una parte dei fondi alle priorità dell’UE ha rappresentato un passo in avanti ma i risultati sono stati eterogenei e l’eccessiva dispersione dei fondi continua.

È inoltre diventato sempre più evidente che l’efficacia della politica di coesione di-pende da sane politiche macroeconomiche, da un ambiente imprenditoriale favore-vole e da istituzioni solide. In alcuni casi le politiche inadeguate nonché le debolezze a livello amministrativo e istituzionale hanno limitato l’efficacia dei finanziamenti. Sono rimaste lacune anche quando si è trattato di recepire la legislazione dell’UE nel diritto nazionale per i settori direttamente correlati alla politica di coesione. Benché siano stati posti in essere tentativi di definire quadri strategici, istituzionali e amministrativi, la loro applicazione è rimasta discrezionale e non sistematica.

Infine, l’attuazione dei fondi è stata maggiormente incentrata sulla spesa e sulla con-formità alle norme di gestione piuttosto che sul conseguimento di obiettivi. Talvolta gli obiettivi dei programmi erano vaghi ed è stato difficile controllare e valutare i risultati. La determinazione degli obiettivi è un’attività complessa e alcuni Stati membri hanno fissato obiettivi non abbastanza ambiziosi, limitando così la capacità di valutare gli effetti degli interventi e di capire quali erano le misure più efficaci e per quale ragione.

3. Il conseguimento dei risultati è il fulcro della nuova politica di coesione

Durante i negoziati sulla riforma della politica di coesione, portati a termine nel di-cembre 2013, si è cercato di porre rimedio a tali carenze.

La riforma verte sull’attuazione di una politica in materia di investimenti. Gli obiettivi della politica di coesione sono stati allineati alla strategia Europa 2020 e all’atto della pianificazione degli investimenti si è sistematicamente tenuto conto delle pertinen-ti raccomandazioni specifiche per paese (RSP). Anche le modalità di funzionamento della politica di coesione sono state sottoposte a riforma in base a cinque idee fon-damentali.

3.1 I programmi della politica di coesione devono operare in un contesto favorevole

La nuova politica di coesione è collegata al processo di governance economica dell’UE e al "semestre europeo", in quanto gli investimenti nel quadro della politica di coe-sione non possono essere considerati separatamente dal contesto economico in cui vengono effettuati.

Al fine di evitare politiche economiche o fiscali insostenibili, che compromettono l’effi-cacia del sostegno dell’UE nel corso del periodo 2014–2020, i finanziamenti possono essere sospesi qualora uno Stato membro non rispetti le raccomandazioni ricevute nell’ambito del processo di governance economica dell’UE.

Page 23: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Investimenti per l'occupazione e la crescita

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L’efficacia degli investimenti non deve essere compromessa da politiche inadeguate o da strozzature a livello regolamentare, amministrativo o istituzionale. Gli Stati mem-bri e le regioni devono pertanto soddisfare una serie di requisiti preliminari, concepiti per garantire che gli investimenti confluiscano in un chiaro quadro politico strategico atto ad assicurare un rapido recepimento della legislazione dell’UE che si ripercuota sull’attuazione dei fondi di coesione, una sufficiente capacità amministrativa e il ri-spetto di requisiti minimi, ad esempio in materia di lotta alla discriminazione, parità di genere, disabilità, appalti pubblici e aiuti di Stato.

In particolare, ogni settore di investimento deve basarsi su una strategia ben definita. Gli investimenti nei trasporti, ad esempio, possono essere effettuati solo dopo aver posto in essere una strategia globale dei trasporti a livello nazionale o regionale. Analogamente, gli investimenti in R&S e innovazione vanno inquadrati in una "strate-gia di specializzazione intelligente", che comporta un processo di elaborazione di una visione, di individuazione di vantaggi competitivi, di definizione delle priorità strate-giche e dell’adozione di politiche intelligenti volte a massimizzare per ogni regione il potenziale di sviluppo basato sulle conoscenze. In sintesi, dovrebbero essere i progetti a seguire le strategie e non viceversa.

3.2 I programmi della politica di coesione devono concentrare le risorse su un numero limitato di priorità e massimizzare il loro valore aggiunto

Gli Stati membri e le regioni devono concentrare i finanziamenti su un numero limitato di settori rilevanti a livello di UE. Una quota elevata del FESR sarà assegnata a quattro priorità che costituiscono il fulcro della strategia Europa 2020: innovazione e ricerca, agenda digitale, sostegno alle PMI ed economia a ridotte emissioni di carbonio.

La concentrazione del FSE su un massimo di cinque priorità di investimento fungerà da sostegno al consolidamento delle realizzazioni e dei risultati a livello europeo e garantirà inoltre una correlazione più chiara con la strategia europea per l’occupazio-ne e gli orientamenti integrati per l’occupazione. Almeno il 20% della dotazione del FSE sarà riservata al sostegno dell’inclusione sociale e alla lotta contro la povertà e la discriminazione.

Data l’urgente necessità di combattere la disoccupazione giovanile, è stata avviata con una dotazione di 6 miliardi di euro l’iniziativa a favore dell’occupazione giovanile (YEI), fornendo finanziamenti mirati per contribuire ad attuare la "garanzia per i giovani" in tutta l’UE. In tal modo si garantisce che ad ogni giovane venga offerta un’occupazione o una formazione adeguata entro quattro mesi dal termine del percorso scolastico o dall’inizio della disoccupazione. I finanziamenti a titolo della YEI saranno concentrati sulle regioni che presentano tassi di disoccupazione giovanile particolarmente elevati.

Le regioni e gli Stati membri dovranno operare scelte chiare in merito ai loro obiettivi. In questo modo sarà possibile ottenere una massa critica di risorse atte a garantire che l’im-patto sia significativo e che gli investimenti vadano a quei settori in cui possono esplicare effetti diretti e immediati sulla crescita e sull’occupazione.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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3.3 I programmi della politica di coesione devono definire obiettivi e risultati chiari

Il successo della politica di coesione sarà misurato in base ai suoi risultati e al suo impatto. Le riforme si concentrano pertanto su una maggiore attenzione ai risultati, grazie a indicatori di rendimento nonché ad attività di rendicontazione e di valutazio-ne migliori.

In fase di elaborazione dei programmi, gli Stati membri e le regioni devono precisare i risultati che intendono conseguire entro la fine del periodo di programmazione. I programmi dovranno illustrare le modalità secondo cui le azioni proposte contribui-ranno al conseguimento di tali obiettivi e stabiliranno gli indicatori di rendimento con parametri di riferimento e obiettivi chiari per misurare i progressi compiuti. Ciascun programma avrà un quadro di riferimento dei risultati al fine di aumentare la traspa-renza e la responsabilità.

Per fornire un incentivo supplementare, circa 20 miliardi di euro (ossia il 6% del bi-lancio della politica di coesione) sono stati accantonati per essere assegnati nel 2019 ai programmi che dimostrano di essere sulla buona strada per la realizzazione dei loro obiettivi.

3.4 I programmi della politica di coesione devono dare più voce alle città

Le città possono svolgere un ruolo fondamentale nella politica di coesione e per il conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. Più di due terzi degli eu-ropei vive nelle città. Le città sono produttive ed innovative e possono assumere un ruolo guida ai fini di una crescita intelligente. Esse possono essere più efficienti sotto il profilo delle risorse (ad esempio riducendo al minimo l’occupazione del suolo, l’im-permeabilizzazione del suolo e l’impiego di energia) e possono partecipare alla realiz-zazione di una crescita sostenibile, ad esempio attraverso le infrastrutture verdi. Dato il divario di ricchezza, la concentrazione dell’esclusione sociale e della povertà nelle città, esse sono essenziali per affrontare la sfida della crescita inclusiva.

Per tali motivi si prevede che, nel periodo 2014–2020, circa la metà del FESR sarà spesa nelle città. La nuova politica di coesione mira inoltre a potenziare il ruolo delle città nel concepire e attuare politiche che contribuiscano a conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020, determinando un importo minimo (5% del FESR) per gli investi-menti integrati nello sviluppo urbano sostenibile e garantendo che le città svolgeranno il ruolo principale nella selezione dei progetti.

La Commissione inviterà inoltre alla presentazione di progetti nell’ambito del nuovo programma "Azioni urbane innovative", per sostenere le città che sono disposte a sperimentare nuove idee in materia di sviluppo urbano.

Page 25: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Investimenti per l'occupazione e la crescita

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3.5 È necessaria una maggiore inclusione dei partner a tutti i livelli nei programmi della politica di coesione

Il quadro strategico 2014–2020 si fonda sul presupposto che tutti i partner a livello nazionale, regionale e locale saranno coinvolti in tutte le fasi di programmazione, nel rispetto dei principi della governance multilivello e includendo le parti sociali e le organizzazioni della società civile. Per la prima volta a livello di UE, il codice europeo di condotta sul partenariato3 fornisce agli Stati membri un modello per raggiungere e coinvolgere tali partner nell’elaborazione dei programmi nel corso dell’intera fase di attuazione nonché in quelle di monitoraggio e di valutazione. I partenariati potrebbero altresì risultare particolarmente efficaci nel realizzare strategie di sviluppo locale di tipo partecipativo. Nei nuovi regolamenti sono integrate anche misure volte a poten-ziare le capacità delle parti sociali e della società civile.

4. Dalla teoria alla pratica: nuovi elementi che emergono dai negoziati

Al momento dell’adozione della presente comunicazione, la Commissione aveva rice-vuto tutti i 28 accordi di partenariato (AP) e circa 150 programmi operativi (PO)4. Sono in corso negoziati con gli Stati membri e le regioni. Quanto segue fornisce pertanto solo un’indicazione della misura in cui gli elementi principali della riforma sono stati integrati nelle nuove strategie e nei nuovi programmi.

Le informazioni disponibili rivelano alcune tendenze decisamente incoraggianti e al-cuni problemi.

3 Cfr. il regolamento delegato della Commissione del 7.1.2014, C (2013) 9651 final.

4 Quattro AP sono già stati adottati dalla Commissione.

01 Innovazione e R&S

02 Tecnologie dell'informazione e della comunicazione

03 Sostegno alle PMI

04 Economia a basso contenuto di carbonio

05 Adattamento al cambiamento climatico

06 Ambiente

07 Infrastrutture di rete

08 Occupazione

09 Inclusione sociale

10 Istruzione

11 Buona governance

FSE FESR FC

in % sul finanziamento complessivo (esclusa assistenza tecnica)

Fonte: Accordi di partenariato provvisori e definitivi al 1° giugno 2014

Figura 4 Ripartizione per priorità e per Fondo, 2014–2020

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Complessivamente, circa 336 miliardi di euro sono destinati ai programmi nazionali e regionali nel quadro dell’obiettivo "Investimenti a favore della crescita e dell’occu-pazione" (IGJ). Le risorse sono ripartite come segue: 187,5 miliardi di euro al FESR, 63 miliardi di euro al Fondo di coesione e 85 miliardi di euro al FSE, che superano la dotazione minima prevista a livello giuridico per il FSE, pari a 80 miliardi di euro5.

Circa 124 miliardi di euro sono destinati alle attività di R&S e innovazione, alle TIC, alle PMI e all’economia a basse emissioni di carbonio (Figura 4), con un aumento pari a quasi il 22% rispetto al periodo 2007–2013. La maggior parte di tale importo è finanziato dal FESR (116,5 miliardi di euro) e il resto dal Fondo di coesione.

98 miliardi di euro saranno investiti a favore dell’occupazione, dell’inclusione sociale e delle misure per l’istruzione. La parte preponderante di tale importo viene dal FSE: occupazione (30,7 miliardi di euro), inclusione sociale (20,9 miliardi di euro) ed istru-zione (26,3 miliardi di euro).

59 miliardi di euro sono destinati ai trasporti e alle infrastrutture delle reti energeti-che: si tratta di una diminuzione del 21% rispetto al periodo 2007–2013.

Circa 4,3 miliardi di euro saranno investiti nel potenziamento delle capacità istitu-zionali delle autorità pubbliche e nell’efficienza delle pubbliche amministrazioni e dei servizi ("buona governance"): ciò rappresenta un aumento del 72% rispetto al periodo precedente.

Il nuovo periodo di programmazione comporta quindi un chiaro cambiamento di rotta in termini di priorità di finanziamento rispetto al periodo 2007–2013 (Figura 5). Gli Stati membri e le regioni investiranno di più sulle priorità del FESR (R&S e innovazio-

5 Le risorse finanziarie per l’obiettivo IGJ comprendono il FESR (ad esclusione del sostegno per la coope-razione territoriale europea), il FSE e il Fondo di coesione. Le cifre riflettono la situazione a partire dal 1º giugno e possono ancora cambiare nel contesto dei negoziati sui programmi.

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45

Figura 5 Ripartizione per priorità 2014-2020 e 2007-2013

2014-2020 2007-2013

Priorità FESR

Priorità FSE

Infrastrutture di rete

Adattamento al cambiamento climatico e ambiente

in % sul totale (esclusa assistenza tecnica)

Fonte: Accordi di partenariato provvisori e definitivi al 1° giugno 2014 e DG REGIO

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Investimenti per l'occupazione e la crescita

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ne, TIC, PMI ed economia a basse emissioni di carbonio) e sulle priorità del FSE (occu-pazione, inclusione sociale, istruzione e governance). Di conseguenza si ridurranno gli investimenti in infrastrutture di rete e ambientali. La diminuzione degli investimenti in infrastrutture è particolarmente marcata negli Stati membri più sviluppati.

La particolare attenzione riservata dalla Commissione all’economia a basse emissioni di carbonio si è tradotta in un sostanziale incremento di tale tipologia di investimento: oltre 38 miliardi di euro contribuiranno al passaggio ad un’economia a basse emissio-ni di carbonio e resiliente ai cambiamenti climatici. Vari paesi hanno posto particolare enfasi sull’efficienza energetica e sullo sviluppo delle energie rinnovabili. In alcuni casi è tuttavia necessario chiarire meglio il nesso tra investimenti e risultati attesi in relazione agli obiettivi in materia di cambiamenti climatici.

Date le sfide rappresentate dagli elevati tassi di disoccupazione e dall’aumento della povertà, l’accento sulla crescita inclusiva potrebbe essere maggiore in alcuni AP. La Commissione ritiene anche che i finanziamenti destinati all’istruzione non siano al mo-mento sufficienti per attuare le priorità individuate. In alcuni AP viene attribuita una priorità ridotta alle misure attive di inclusione sociale. Per garantire migliori risultati a livello sociale e investimenti più adeguati ai cambiamenti sociali, la riforma della politi-ca sociale va integrata meglio nell’attività di programmazione.

Per quanto concerne inoltre l’iniziativa a favore dell’occupazione giovanile, le informa-zioni pertinenti in alcuni accordi di partenariato e programmi operativi sono piuttosto generali e non precisano le modalità di realizzazione di tale nuova iniziativa e del rela-tivo sostegno all’attuazione dei sistemi di garanzia per i giovani. In alcuni programmi le azioni sostenute dall’iniziativa a favore dell’occupazione giovanile vanno maggiormente incentrate sul sostegno alla creazione di posti di lavoro.

Nonostante l’esistenza di una RSP sull’integrazione della minoranza Rom, alcuni Stati membri non prevedono una priorità specifica per le comunità emarginate, rendendo così più difficile valutare quanti finanziamenti saranno assegnati a tale settore d’in-tervento. Alcuni Stati membri non tengono sufficientemente conto delle esigenze di questo gruppo destinatario o della necessità di elaborare ulteriormente la propria strategia e la logica d’intervento.

La modernizzazione amministrativa e la qualità della giustizia sono riconosciuti come fattori chiave per la competitività e la crescita inclusiva. Molti Stati membri stanno programmando misure volte a rendere più incisive le proprie istituzioni pubbliche e a migliorare la loro capacità di realizzare politiche più efficaci, erogare servizi ammi-nistrativi migliori, accelerare i procedimenti giudiziari, aumentare la trasparenza e l’integrità delle istituzioni pubbliche nonché favorire una maggiore partecipazione del pubblico nelle varie fasi di elaborazione delle politiche. In un certo numero di Stati membri, in cui la riforma della pubblica amministrazione è stata affrontata come una sfida, non esiste però una strategia ben definita e gli obiettivi sono incompleti e poco chiari, mentre tali riforme sono indispensabili per sostenere la crescita, l’occupazione e la competitività. In alcuni di questi Stati membri manca inoltre un chiaro impegno politico a favore di tali riforme.

Emerge con chiarezza che la necessità di prepararsi agli investimenti adeguandosi alle condizioni operative prima ancora di procedere all’attuazione del programma è

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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stata presa sul serio. Il processo non è stato facile e, in molti casi, la Commissione dovrà concordare piani d’azione per garantire la piena conformità alle prescrizioni entro scadenze ben definite. Le condizioni che gli Stati membri hanno trovato partico-larmente difficili da soddisfare riguardano settori in cui devono essere recepite le di-rettive dell’UE o in cui devono essere applicati in modo efficace i regolamenti dell’UE.

A livello nazionale e regionale sono state definite strategie di specializzazione intel-ligente allo scopo di accelerare la trasformazione economica e ridurre il divario di conoscenze. È necessario porre maggiormente l’accento su forme di sostegno meno incisive, sul sostegno alla ricerca orientata al mercato e sulla collaborazione con le imprese. Sussiste il rischio che il sostegno alle PMI sia orientato allo status quo e non venga adattato alle loro esigenze e al potenziale di crescita per assicurare un forte effetto leva e un rapido assorbimento.

Alcuni Stati membri hanno inoltre elaborato programmi che istituiscono collegamenti chiari tra l’economia digitale e l’innovazione. Ciò è importante in quanto gli inve-stimenti nella banda larga ad alta velocità e nelle TIC sono necessari per superare strozzature specifiche e per promuovere soluzioni orientate al mercato. Ad esempio, è essenziale concentrarsi sugli investimenti nelle reti a banda larga di prossima ge-nerazione per garantire che le regioni meno sviluppate non perdano ulteriormente terreno. Anche le sinergie tra la politica di coesione, il programma Orizzonte 2020 e altri programmi dell’UE sono di fondamentale importanza nel contesto delle strategie di specializzazione intelligente a livello regionale e nazionale.

Nel periodo 2014–2020 circa 88 programmi in 16 paesi saranno programmi a finan-ziamento multiplo, che combinano le risorse del FESR, del Fondo di coesione e del FSE. Tale fatto dovrebbe incoraggiare un approccio integrato, in grado di riunire politiche, fondi e priorità di diversa natura.

Per rendere la politica più efficace, orientata ai risultati e basata sulle prestazioni, gli Stati membri e le regioni dovranno fissare obiettivi e traguardi dettagliati. È essen-ziale che i programmi non esprimano le finalità in modo troppo generico e che com-prendano un numero considerevole di possibili azioni intese a mantenere la massima flessibilità nella selezione dei progetti in una fase successiva. Questo è un elemento fondamentale: se gli obiettivi e i traguardi non sono sufficientemente ambiziosi e dettagliati sarà molto difficile sottoporre a valutazione la politica e promuovere un dibattito pubblico significativo a tale riguardo. Nel corso del processo negoziale la Commissione si concentrerà su tali rischi.

Gli accordi di partenariato sono stati redatti basandosi ampiamente su un dialogo positivo tra i partner, sebbene vi siano indicazioni che in alcuni casi tale dialogo è stato insufficiente, che importanti parti interessate non sono state coinvolte o che le osservazioni non sono state riprese nelle versioni successive dei documenti. La Commissione esaminerà molto attentamente le modalità di applicazione da parte degli Stati membri del codice di condotta sul partenariato, al fine di garantire una reale partecipazione delle parti interessate.

Quale ultimo aspetto, ma non meno importante degli altri, va osservato che il nuo-vo periodo richiede una solida governance e meccanismi di coordinamento a livello nazionale e regionale al fine di garantire la coerenza tra i programmi, il sostegno

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Investimenti per l'occupazione e la crescita

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alla strategia Europa 2020 e le RSP nonché di evitare sovrapposizioni e lacune. Ciò è particolarmente importante in considerazione dell’aumento complessivo del numero di programmi regionali (per i programmi del FSE si tratta quasi del 60% rispetto al periodo 2007–2013).

5. Conclusioni

Nel periodo 2014–2020 la politica di coesione guiderà le attività di investimento di un terzo del bilancio dell’UE per contribuire a realizzare gli obiettivi paneuropei di cresci-ta e creazione di posti di lavoro nonché di riduzione delle disparità economiche e so-ciali. Tale politica costituisce inoltre il principale strumento di investimento a livello di UE al fine di perseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020 e apporta il contributo maggiore in una serie di settori, tra cui: sostegno alle PMI, R&S e innovazione, investi-menti in una forza lavoro qualificata e competitiva, lotta contro la disoccupazione e l’esclusione sociale, adattamento ai cambiamenti climatici e ambiente.

I modelli economici forniscono un’indicazione dell’impatto macroeconomico. Si pre-vede ad esempio che, grazie alla politica di coesione, nei principali paesi beneficiari il PIL potrebbe aumentare in media del 2% e l’occupazione dell’1% circa durante il periodo di attuazione.

Gli effetti di aumento della produttività esplicati dalla politica di coesione continueranno inoltre a rafforzarsi anche quando i programmi saranno giunti a termine. Si stima che, entro il 2030, in questi paesi il PIL sarà superiore del 3% rispetto al livello atteso in as-senza di tale politica. Ciò significa che, nel periodo 2014–2030, per ogni euro speso nei principali paesi beneficiari si prevede che il PIL sia superiore di oltre tre euro.

Affinché tali effetti diventino concreti è tuttavia essenziale che gli Stati membri e le regioni attuino le riforme e utilizzino questa politica quale strumento di investimento ef-ficace. Sarà pertanto fondamentale l’esito dei negoziati in corso per sviluppare strategie solide, individuare un numero limitato di priorità di investimento principali, determinare obiettivi ambiziosi e assicurare che le condizioni, a livello locale e globale, massimizzino l’impatto degli investimenti cofinanziati a titolo della politica di coesione.

Nel 2017 la Commissione presenterà al Parlamento europeo una prima relazione sui progressi compiuti nell’ambito dei programmi. In tal modo verrà fornita una pano-ramica dei progressi realizzati dagli Stati membri e dalle regioni nel conseguimento degli obiettivi stabiliti nei rispettivi programmi, indicando se essi stiano dando o no i risultati previsti.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Riassunto esecutivo

La presente relazione esce all'inizio del nuovo settennato di programmazione della politica di coesione, in una fase in cui l'Unione europea si presenta profondamente cambiata dal 2007, anno di avvio della precedente programmazione. All'epoca l'UE stava attraversando una fase di crescita economica costante. Ilivelli di reddito erano in aumento, così come i tassi di occupazione e la spesa pubblica, mentre la pover-tà e l'esclusione sociale erano in calo e le disparità regionali si stavano riducendo. Malgrado queste tendenze positive, le disparità tra regioni continuavano comunque a rimanere ampie e numerose.

L'avvento della crisi ha modificato questo scenario. Dal 2008 il debito pubblico è aumentato vertiginosamente, il reddito è diminuito per molti cittadini dell'UE, i tassi di occupazione sono crollati in molti paesi e la disoccupazione ha toccato il picco più alto mai raggiunto negli ultimi 20 anni, mentre la povertà e l'esclusione sociale sono tendenzialmente diventate più diffuse. Allo stesso tempo, in molti paesi sono aumen-tate le disparità regionali in termini di tassi di occupazione e disoccupazione, come pure quelle in termini di PIL pro capite, mentre in altri si è interrotto il processo di attenuazione delle disparità. Questi sviluppi indicano che gli obiettivi di Europa 2020 in materia di occupazione e lotta alla povertà sono divenuti più difficili da raggiungere rispetto al periodo in cui sono stati definiti. Per questo motivo, nei prossimi 6 anni occorrerà incrementare gli sforzi per ottenere risultati positivi a fronte dei pesanti vincoli di bilancio.

Capitolo 1: Nella sua prima fase, la crisi ha colpito particolarmente il settore edi-le e il settore manifatturiero. In entrambi l'occupazione è diminuita drasticamente, nell'edilizia a seguito del collasso della bolla immobiliare in alcuni Stati membri e dei tagli alla spesa pubblica, nel settore manifatturiero a causa del declino a livello di domanda globale, soprattutto per i beni di investimento. Più recentemente, i mer-cati mondiali sono in fase di espansione e le esportazioni in aumento, determinando un certo incremento della produzione. Questo aspetto è particolarmente importante soprattutto per molti Stati membri dell'Europa centro–orientale, nei quali il settore manifatturiero costituisce un'ampia fetta di valore aggiunto.

L'impatto territoriale della crisi è variegato. Nella maggior parte dell'UE, le regioni metropolitane si sono dimostrate maggiormente soggette a fasi alterne tra momenti di espansione e momenti di contrazione, mentre nel complesso le regioni rurali hanno dimostrato una maggiore resilienza. Nell'UE–15, le regioni metropolitane di secondo livello hanno avuto un rendimento nella media, mentre nell'UE–13 esse hanno supe-rato le altre regioni. Tra il 2008 e il 2011, le regioni rurali dell'UE–15 hanno registrato una contrazione del PIL inferiore rispetto alle altre regioni, grazie a un maggior incre-mento della produttività. Anche nell'UE–13 il maggior incremento della produttività ha determinato una riduzione del divario con le altre regioni in termini di crescita.

Nonostante le difficoltà dello scenario economico, la percentuale di persone con istru-zione terziaria è salita negli ultimi anni in molti paesi e i tassi di abbandono scolastico

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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sono diminuiti. Di conseguenza, gli obiettivi dell'UE inerenti questi due settori saranno probabilmente raggiunti entro il 2020, se non prima. Allo stesso tempo, durante la crisi la quota di R&S non è diminuita in rapporto al PIL, anzi è leggermente aumentata nel corso dell'ultimo anno/degli ultimi due anni, anche se non abbastanza da raggiun-gere l'obiettivo del 3% fissato per il 2020. L'innovazione, tuttavia, rimane per lo più concentrata territorialmente e non mostra segni di diffusione nelle regioni in ritardo.

Gli investimenti nei trasporti e nelle infrastrutture digitali hanno diminuito le carenze a livello di reti in molte regioni rurali e nelle regioni meno sviluppate. L'accesso a Internet tramite le tecnologie di nuova generazione, però, rappresenta una nuova sfida per le aree rurali in cui tali tecnologie sono pressoché assenti. Inoltre, il comple-tamento della rete transeuropea dei trasporti richiederà per lo meno altri due decenni di investimenti massicci, in particolare negli Stati membri centro–orientali.

Gli investimenti esteri diretti e gli scambi commerciali all'interno dell'UE, entrambi importanti fonti di crescita per gli Stati membri meno sviluppati, hanno risentito della contrazione provocata dalla crisi. Fortunatamente le esportazioni dall'UE–13 verso gli altri paesi UE hanno dimostrato discreti segnali di ripresa, superando la quota di PIL che rappresentavano prima dell'avvento della crisi; inoltre, anche gli investimenti esteri diretti sembrano ripartiti.

La competitività rimane limitata nella maggior parte degli Stati membri centro–orien-tali, con l'eccezione tipica delle regioni della capitale. Qui il livello di competitività tende a essere molto alto, pur non essendo generalmente ancora in grado di produrre ricadute positive misurabili sulle altre regioni. In questi paesi, dunque, molte delle regioni vicine alla capitale non traggono benefici tangibili da questa vicinanza, mentre negli Stati membri più sviluppati anche tali regioni tendono a mostrare livelli di com-petitività elevati. In effetti in alcuni Stati membri, quali Paesi Bassi, Germania e Italia, regioni con una seconda grande città presentano con livelli di competitività più elevati rispetto alla regione della capitale.

Capitolo 2: La crisi ha spazzato via la metà degli incrementi occupazionali ottenuti tra il 2000 e l'inizio della recessione, soprattutto negli Stati membri meridionali. Di conse-guenza, nelle regioni di transizione e nelle regioni meno sviluppate, i tassi di occupa-zione sono inferirori di circa 10 punti percentuali rispetto all'obiettivo nazionale, contro solo 3 punti percentuali nelle regioni più sviluppate. Anche l'incremento del tasso di disoccupazione è maggiore in queste regioni, pari a una media di 5 punti percentuali tra il 2008 e il 2013, contro i 3 punti percentuali delle regioni più sviluppate.

Nonostante il 2013 sia stato il primo anno con il medesimo tasso di disoccupazione nell'UE per gli uomini e per le donne, in alcune zone permangono forti disparità, in particolare in molte regioni meridionali dove la disoccupazione femminile è molto più diffusa di quella maschile. Il tasso di occupazione femminile rimane più basso di quello maschile in tutte le regioni dell'UE. Se questo divario è relativamente limitato in alcune regioni della Svezia e della Finlandia, esso supera i 20 punti percentuali in Italia, Grecia e in svariate regioni della Romania, della Repubblica ceca e della Polonia. Sul fronte dell'istruzione, invece, in nove regioni su dieci molte più donne che uomini tra i 30 e i 34 anni hanno un'istruzione terziaria.

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Riassunto esecutivo

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Un ulteriore effetto della crisi economica è rappresentato dal rischio povertà ed esclu-sione sociale. Nell'UE si calcolano attualmente circa 9 milioni di persone a rischio po-vertà o esclusione, con un incremento particolarmente pronunciato in Grecia, Spagna, Italia e nel Regno Unito. Una questione chiave è costituita dalle differenze all'interno dei singoli paesi. Il rischio povertà tende a essere molto più basso nelle città rispetto al resto del paese per gli Stati membri meno sviluppati, mentre nelle città degli Stati membri più sviluppati avviene il contrario. Pertanto in questi ultimi, nell'ottica di rag-giungere gli obiettivi riguardanti la lotta alla povertà fissati dalla strategia Europa 2020, occorre ridurre in maniera decisiva il numero di persone a rischio povertà o esclusione sociale nei centri urbani, mentre nei paesi meno sviluppati la sfida princi-pale è la riduzione del numero di persone a rischio nelle aree prevalentemente rurali.

Le forti disparità in termini di occupazione, livelli di reddito e benessere sociale sono tra i fattori principali alla base degli spostamenti dei popoli all'interno dell'UE. Negli ultimi 20 anni, negli Stati membri centro–orientali si è registrata una tendenza delle persone a spostarsi dalle zone rurali alle aree urbane, soprattutto in direzione della capitale, nonché verso altri territori dell'UE. Il naturale calo demografico assieme al fenomeno migratorio hanno determinato una diminuzione significativa degli abitanti delle regioni rurali dell'UE–13 nel corso dell'ultimo decennio. Nell'UE–15, al contrario, la popolazione è mediamente aumentata nelle regioni rurali a seguito dei flussi mi-gratori interni netti, controbilanciando il naturale calo demografico.

Nell'UE–15, nel corso dell'ultimo decennio, il contributo dell'immigrazione netta all'aumento demografico è stato di tre volte maggiore rispetto a quello apportato dall'incremento naturale. Al contrario, nell'UE–13 l'emigrazione ha contribuito di due volte al calo demografico rispetto al calo naturale.

Permangono ampie differenze tra i paesi dell'UE quanto ad aspettative di vita e tassi di mortalità. Vi è una differenza di oltre 9 anni tra le dieci regioni con l'aspettativa di vita più alta e le 10 con l'aspettativa più bassa. Analogamente, la mortalità infantile e i decessi per incidente stradale in rapporto alla popolazione differiscono di 4 volte tra le 10 regioni con la situazione migliore e le 10 regioni con la situazione peggiore.

Capitolo 3: La crisi ha avuto effetti contrastanti sull'ambiente. La contrazione dei redditi e delle attività economiche ha favorito una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra; nel contempo, lo scarso miglioramento dell'efficienza energetica potreb-be causare un'inversione di questa tendenza in caso di ripresa della domanda. La crisi ha altresì ridotto il costo delle quote nell'ambito del sistema europeo per lo scambio delle quote di emissioni (ETS), causando così una diminuzione degli incentivi econo-mici a favore dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili e una sospensione della transizione verso un'economia a basso contenuto di carbonio. La Commissione europea ha posticipato l'asta di un gruppo di quote a seguito del calo dei prezzi.

Nell'UE si registrano alcuni progressi per quanto concerne il miglioramento del tratta-mento delle acque reflue urbane e dei rifiuti solidi. Sono diventate più numerose le cit-tà e i piccoli centri che soddisfano gli standard di qualità fissati dalla direttiva UE sul trattamento delle acque reflue. È aumentata la quantità di rifiuti destinati al recupero o alla termovalorizzazione, con relativa produzione energetica, mentre è diminuita la quantità destinata allo smaltimento in discarica. In entrambi i casi, tuttavia, molto

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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resta ancora da fare e sono necessari investimenti massicci soprattutto negli Stati membri e nelle regioni meno sviluppate.

Nell'UE si registrano ampie differenze per quanto concerne la qualità dei "servizi" ero-gati dagli ecosistemi. Questi servizi possono svolgere importanti funzioni come la de-purazione dell'aria e dell'acqua, il contenimento delle acque per la prevenzione delle alluvioni e la rimozione del carbonio. Le recenti inondazioni in diverse zone dell'UE e la scarsa qualità dell'aria in molti centri urbani rendono tali servizi quanto mai necessari. Gli investimenti in queste infrastrutture in genere consentono un risparmio dei costi, contribuendo nel contempo a limitare la perdita di biodiversità.

La dimensione urbana della crescita sostenibile è origine di numerosi contrasti. Da un lato la qualità dell'aria è scadente in molte città e resa peggiore dal traffico con-gestionato; inoltre, sono più vulnerabili alle ondate di calore a seguito del cosiddetto effetto "isola di calore", nonché alle alluvioni per la loro frequente vicinanza a fiumi e mari e per la grande espansione delle superfici sigillate.

Dall'altro lato, le città offrono maggiori vantaggi in termini di efficienza ambientale, poi-ché la vicinanza ai luoghi di interesse riduce il bisogno di compiere lunghi spostamenti. Il servizio di trasporto pubblico è più accessibile nelle città, con mezzi di trasporto più ecocompatibili; il consumo energetico per il riscaldamento domestico è inferiore. Allo stesso modo, le città utilizzano il suolo in maniera più efficiente rispetto ad altre aree con densità demografica inferiore e maggior terreno edificabile pro capite.

Capitolo 4: Nella maggioranza degli Stati membri, il bilancio nazionale nel periodo di crisi è deficitario; il debito pubblico è aumentato vertiginosamente, in alcuni casi superando il 100% del PIL. L'erodersi delle finanze pubbliche ha portato all'adozione capillare di misure di consolidamento fiscale e a un consistente taglio della spesa pubblica da parte di numerosi governi. In media, la spesa pubblica nell'UE è scesa del 20% in termini reali tra il 2008 e il 2013, in Grecia, Spagna e Irlanda è scesa di oltre il 60%, mentre nei paesi dell'UE–12, ove la politica di coesione riveste un ruolo parti-colarmente importante, del 32%. La conseguenza di questo scenario potrebbe essere una riduzione dei tassi di crescita sul medio periodo.

Visti i tagli nella spesa nazionale, si fa sempre più affidamento alla politica di coe-sione per finanziare gli investimenti a favore della crescita. Negli anni 2010–2012, i finanziamenti della politica di coesione rappresentavano complessivamente fino al 21% della spesa pubblica nell'UE, fino al 57% nell'insieme dei paesi della coesione e oltre il 75% in Slovacchia, Ungheria, Bulgaria e Lituania. In assenza di questi con-tributi, la spesa pubblica negli Stati membri meno sviluppati avrebbe registrato un ulteriore calo.

La responsabilità di quasi due terzi della spesa pubblica nell'UE è affidata alle autorità locali e regionali, le quali hanno quindi risentito particolarmente dei tagli effettuati. L'autonomia politica (o autogoverno) delle regioni è tendenzialmente aumentata nel corso degli ultimi decenni, con incrementi notevoli in molti Stati membri. In Italia, in particolare, l'autonomia amministrativa delle regioni è superiore a quella in essere negli stati federali di Germania, Austria e Belgio.

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Riassunto esecutivo

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Capitolo 5: Nel corso degli ultimi anni, l'UE ha attribuito sempre più importanza alla governance e alla qualità delle istituzioni pubbliche, anche in relazione ai programmi della politica di coesione. Ad esempio, nel 2014 è stata adottata una relazione anti-corruzione, oltre all'inserimento nel semestre europeo di specifiche raccomandazioni nazionali concernenti questioni legate alla capacità amministrativa. Iniziative come l'e–government e l'e–procurement possono contribuire ad aumentare l'efficienza e ri-durre i casi di abuso di potere. Inoltre, lo sviluppo di strategie nazionali anticorruzione e antifrode potrà favorire il rafforzamento delle capacità amministrative, promuoven-do un uso più efficiente dei fondi.

Il miglioramento delle capacità istituzionali e dell'amministrazione pubblica costitu-isce uno degli 11 obiettivi tematici chiave per il periodo 2014–2020 della politica di coesione. Questa decisione deriva anche dal nesso riscontrato tra scarsa efficienza amministrativa, da un lato, e tasso di assorbimento dei fondi stanziati dalla politica di coesione per il periodo 2007–2013 dall'altro, in alcuni casi talmente ridotto da com-portare il rischio del taglio dei fondi disponibili per alcuni Stati membri.

Se in base ai risultati di alcune indagini sulla governance e grazie alla facilità di fare impresa, alcuni paesi dell'Europa settentrionale hanno ottenuto buoni risultati, sono ancora troppi gli Stati membri con un livello percepito di amministrazione pubblica scadente e dove si riferisce la presenza di un sistema di corruzione. Recenti studi hanno dimostrato che la facilità di fare impresa e la qualità delle istituzioni possono variare anche all'interno degli stessi paesi, segno della necessità di strutturare inter-venti più mirati per recuperare il ritardo nelle regioni meno sviluppate. Secondo questi studi, inoltre, i problemi di governance possono costituire un freno per lo sviluppo so-cioeconomico e ridimensionare l'impatto degli investimenti della politica di coesione.

Riconoscendo il ruolo chiave ricoperto dagli enti locali e regionali nella gestione della spesa pubblica, l'OCSE ha recentemente adottato una serie di principi di gestione efficace della spesa pubblica applicabili a tutti i livelli amministrativi.

Capitolo 6: La politica di coesione è nata dalla constatazione secondo cui gli ostacoli allo sviluppo economico quali l'assenza di innovazione, le competenze della forza lavoro, la qualità infrastrutturale o istituzionale possono bloccare definitivamente la crescita e la produttività, causando un decadimento del tenore di vita. Nel corso degli anni, gli aiuti finanziari assegnati nell'ambito della politica, incentrata quindi sulle regioni meno sviluppate, sono passati dalle infrastrutture pesanti al sostegno e all'innovazione azien-dale, all'occupazione e all'inclusione sociale, al fine di superare gli ostacoli identificati.

Anche la natura e gli obiettivi della politica di coesione hanno subito un'evoluzione. La copertura geografica è stata semplificata con l'ammissibilità di tutte le regioni alle richieste di contributo nell'ambito di almeno una misura di sostegno. Inoltre, ponendo al centro la riduzione delle disparità economiche, la politica si è meglio armonizzata alla strategia complessiva dell'UE. Così, durante gli anni Novanta i finanziamenti sono stati estesi alle infrastrutture ambientali e transeuropee e negli anni 2000 la politica di coesione è stata diretta al perseguimento delle strategie di Lisbona e Göteborg per la crescita e lo sviluppo sostenibile. Nel nuovo periodo, la politica di coesione è parte integrante della strategia Europa 2020, incentrandosi su occupazione, innovazione, sostenibilità e lotta alla povertà e all'esclusione sociale.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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I successivi allargamenti dell'UE hanno modificato le sfide che la politica di coesione deve affrontare, aumentandone anche il di grado di difficoltà. Non solo è notevol-mente aumentato il numero di regioni con un basso livello di sviluppo, ma si è anche accentuata la diversità territoriale all'interno dell'UE.

Con l'introduzione nel trattato di Lisbona della coesione territoriale come obiettivo esplicito della politica di coesione, viene dedicata una maggiore attenzione all'ac-cesso ai servizi, alla geografia funzionale, all'analisi territoriale e alla sostenibilità. Questa evoluzione si rispecchia nel crescente interesse verso la crescita sostenibile in Europa 2020 e nel riconoscimento dell'importanza di superare il PIL come strumento di valutazione dello sviluppo territoriale. Il dibattito su come misurare il progresso e sul ruolo della politica di coesione in questo ambito è ancora aperto.

Capitolo 7: La politica di coesione nel periodo 2007–2013 ha contribuito in maniera sostanziale alla crescita e all'occupazione. Si stima che questa abbia prodotto un aumento medio del PIL del 2,1% annuo in Lettonia, dell'1,8% annuo in Lituania e dell'1,7% annuo in Polonia, rispetto a quanto sarebbe stato possibile realizzare in assenza dei contributi. Un altro effetto stimato è l'aumento del livello di occupazione dell'1% annuo in Polonia, dello 0,6% in Ungheria e dello 0,4% in Slovacchia e Lituania. Le stime delle ricadute sul lungo periodo sono più ampie in ragione dell'impatto sul potenziale di sviluppo economico. In Lituania e Polonia, si stima che il PIL nel 2020 sia più alto del 4% di quanto sarebbe possibile senza gli investimenti effettuati, mentre in Lettonia del 5%.

Durante lo stesso periodo, la politica di coesione è stata fondamentale per sostenere la spesa pubblica in aree di vitale importanza quali R&S, sostegno alle PMI, energia sostenibile, sviluppo delle risorse umane e inclusione sociale. In alcuni Stati membri, essa ha altresì contribuito a promuovere i processi di riforma nazionale, in particolare dei sistemi di istruzione, del mercato del lavoro e della pubblica amministrazione.

Vi sono prove concrete del fatto che la politica di coesione stia producendo risultati tangibili in molte aree. Ha sostenuto oltre 60 000 progetti di RST entro la fine del 2012, oltre 21 500 accordi di collaborazione tra imprese e centri di ricerca, e quasi 80 000 nuove imprese. Inoltre, grazie ai fondi stanziati, è stato possibile consentire l'accesso alla banda larga a oltre 5 milioni di persone, migliorare la fornitura di acqua potabile per 3,3 milioni di persone e consentire il collegamento al sistema di drenag-gio e gestione delle acque reflue per 5,5 milioni di persone.

Tra il 2007 e il 2012, grazie alla politica di coesione, fino a 68 milioni di persone hanno partecipato a programmi di inserimento lavorativo1, di cui 35 milioni di donne, 21 milioni di giovani, 22 milioni di disoccupati e 27 milioni con un basso livello di istruzione (con o senza obbligo scolastico). Grazie all'FSE oltre 5,7 milioni di persone hanno trovato lavoro e quasi 8,6 milioni hanno acquisito una qualifica, mentre secon-do quanto riferito dagli Stati membri sono state create oltre 400 000 nuove imprese o forme di lavoro autonomo.

1 Poiché le relazioni calcolano tutte le istanze di partecipazione, risulta che molte persone hanno parte-cipato diverse volte alle attività. Le attività possono spaziare da un colloquio di breve durata, all'orien-tamento, alla formazione o allo stage in azienda.

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Riassunto esecutivo

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Per il periodo di programmazione 2007–2013, si attendono risultati ancora più con-sistenti per i mesi che mancano alla fine del 2015. I dati sui pagamenti sottolineano tuttavia la necessità di accelerare il completamento dei programmi. Nonostante gli inevitabili scostamenti temporali tra la spesa effettivamente sostenuta sul campo e i pagamenti della Commissione, in alcuni paesi sono stati riscontrati notevoli ritardi per quanto riguarda l'approvazione e la realizzazione dei progetti. Questo vale soprat-tutto in settori quali la RSTI, le reti ferroviarie, le TIC, la banda larga e gli investimenti nell'energia e nell'efficienza energetica, in ragione della scarsa esperienza delle am-ministrazioni pubbliche oppure della presenza di progetti relativamente complessi.

Capitolo 8: Nel periodo 2014–2020, un terzo del bilancio UE sarà investito nell'am-bito della politica di coesione per affrontare le disparità tra regioni, contribuendo allo stesso tempo al raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. I due obiettivi sono pienamente compatibili tra loro. In effetti, il perseguimento degli obiettivi di Europa 2020 può considerarsi una leva per la promozione degli obiettivi di sviluppo regionale e per rafforzare i vari elementi che determinano il potenziale di crescita delle regioni.

La nuova politica di coesione non solo è pienamente allineata alla strategia Europa 2020 e ai suoi obiettivi chiave, ma è anche collegata al semestre europeo e all'evo-luzione della governance economica dell'UE. In questo modo, l'efficacia degli inve-stimenti non verrà compromessa da politiche fiscali ed economiche errate. Gli Stati membri e le regioni dovranno inoltre definire opportuni quadri normativi, amministra-tivi e istituzionali al fine di massimizzare l'impatto degli investimenti. Grazie a una concentrazione delle risorse attorno ad alcune priorità chiave e a una maggiore atten-zione al rendimento e ai risultati, si garantirà un uso efficiente delle risorse finanziarie e il contributo della politica di coesione alla crescita e alla creazione di lavoro.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Capitolo 1: Crescita intelligente

1. Introduzione

Nel corso degli ultimi decenni, la politica di coesione ha investito risorse molto consistenti a favore della cresci-ta intelligente. Ha cofinanziato l'innovazione, l'istruzio-ne, le reti digitali e le reti di trasporto. Gli investimenti effettuati hanno contribuito alla creazione di un mercato unico in grado di stimolare la crescita, la produttività e la specializzazione in tutte le regioni, e di conseguenza a rafforzare la posizione dell'UE in mercati globali nei quali compete sia con territori a basso costo sia con soggetti altamente innovativi.

Il presente capitolo descrive le tendenze sulla crescita intelligente nelle regioni e nelle città dell'UE, eviden-ziando l'impatto della crisi su di esse. Affronta un'ampia gamma di tematiche, tra cui la dimensione territoriale della crisi, l'innovazione, l'istruzione terziaria, l'impren-ditorialità, l'estensione delle reti digitali e di trasporto e l'integrazione dei mercati tramite gli scambi e gli inve-stimenti esteri diretti.

L'obiettivo principale è di mettere in evidenza l'anda-mento delle regioni meno sviluppate e di alcune spe-cifiche tipologie territoriali come città e aree rurali. Un'ulteriore finalità è collegata al raggiungimento degli obiettivi nazionali di Europa 2020 in materia di spesa in R&S, istruzione terziaria e formazione continua.

La maggior parte delle tenedenze di lungo periodo de-scitte qui sono positive in termini di rendimento delle economie dell’UE. Esse comprendono una maggiore integrazione tra mercati, scambi e investimenti esteri diretti, la transizione dell'occupazione verso settori più produttivi, un miglior accesso alle reti digitali e di tra-sporto e un continuo aumento nel numero di persone con un'istruzione terziaria.

La crisi, tuttavia, ha avuto effetti dirompenti in molte parti dell'UE. Ha provocato un'inversione di tendenza per quan-to riguarda la riduzione delle disparità regionali sul lungo periodo. Ha determinato una contrazione delle attività economiche e dell'occupazione nella maggioranza degli

Stati membri. Fortunatamente, i primi segni di ripresa si percepiscono in molti degli aspetti qui esaminati, quali l'incremento degli scambi e la crescita positiva del PIL verso la fine del 2013 in quasi tutti gli Stati membri.

Nonostante il sostanziale contribuito fornito dalla poli-tica di coesione alla crescita intelligente e alla riduzione delle disparità, sono necessari sostanziali investimenti per affrontare i bassi livelli di innovazione in molte re-gioni, il permanere delle disparità economiche e i divari nelle reti digitali e di trasporto negli anni a venire, anche oltre l'attuale periodo di programmazione.

2. La crisi ha interrotto il processo di riduzione delle disparità regionali

Un abitante su 4 risiede nelle regioni NUTS 2 dell'UE, con un PIL pro capite espresso in SPA1 inferiore al 75% della media UE (Carta 1.1). Si tratta di regioni per lo più ap-partenenti agli Stati membri dell'Europa centro–orien-tale, ma anche a Grecia, Italia meridionale, Portogallo e alla maggioranza delle regioni periferiche.

Tra il 2000 e il 2011, tutte le regioni degli Stati membri centro–orientali hanno registrato un incremento del PIL pro capite in SPA rispetto alla media UE. In genere, i maggiori incrementi si sono verificati nelle regioni della capitale. In Slovacchia, Romania e Bulgaria, il PIL pro capite espresso in SPA è aumentato sensibilmente in queste regioni (fino al 186% della media UE nella pri-ma, 122% nella seconda e 78% nella terza), doppiando nei primi due paesi l'incremento medio nazionale. Nelle regioni meno sviluppate della Grecia, Italia e Portogallo (eccetto Açores) al contrario, non si è registrato un au-mento del PIL pro capite rispetto alla media UE; in Grecia a causa dei pesanti effetti della crisi, mentre negli altri

1 Il prodotto interno lordo (PIL) pro capite espresso in standard di potere di acquisto rappresenta il valore totale di tutti i beni e ser-vizi prodotti per abitante. Lo standard di potere di acquisto (SPA) permette di attenuare le differenze di potere d'acquisto tra paesi con diversi livelli di prezzo.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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due paesi anche a causa della presenza di tassi di cre-scita relativamente bassi presenti prima della crisi.

Fino all'avvento della crisi nel 2008, le disparità tra economie regionali dell'UE erano in diminuzione (il co-efficiente di variazione del PIL regionale pro capite era sceso del 10% tra il 2000 e il 2008 — Figura 1.1). Nel 2000, il PIL medio pro capite nel 20% più sviluppato delle regioni era di circa 3,5 volte più alto di quello nel 20% meno sviluppato. Nel 2008, questa differenza era scesa a 2,8 volte. Questo cambiamento è princi-palmente dovuto alla maggiore rapidità con cui sono cresciute le regioni con il PIL più basso, avvicinandosi ai risultati delle regioni più prospere (processo noto come beta–convergenza). Tuttavia, sembra che la crisi abbia interrotto questa tendenza poiché tra il 2008 e il 2011 le disparità regionali sono aumentate (il coefficiente di variazione è salito leggermente).

L'interruzione della tendenza alla convergenza è con-fermata anche da altri indicatori economici per i quali si dispone di dati più recenti, in particolare per l'occu-pazione e la disoccupazione. Se tra il 2000 e il 2007 le disparità regionali a livello di tassi di occupazione e di-soccupazione sono diminuite, dal 2008 sono aumentate in maniera significativa. Nel 2013, pertanto, le disparità a livello di entrambi questi fattori sono più ampie ri-spetto al 2000.

Questi cambiamenti sono visibili anche nei tassi reali di crescita del PIL pro capite. Tra il 2001 e il 2008 quasi tut-

te le regioni hanno registrato un incremento positivo, con tassi superiori al 5% annuo in molte regioni dell'UE–13 (Carta 1.2). Tra il 2008 e il 2011, invece, due regioni su tre hanno subito una diminuzione del PIL pro capite, fino al 3% annuo e oltre in Grecia e in alcune regioni della Romania, del Regno Unito e dell'Irlanda (Carta 1.3).

Nel corso degli ultimi anni, le disparità regionali si sono ampliate poiché la crisi economica ha colpito le regioni in maniera differenziata. Alcune regioni sono state pe-santemente colpite, altre poco o affatto. Ciò è partico-larmente evidente a livello dei tassi di disoccupazione. Nel 2008, cinque regioni avevano un tasso di disoccu-pazione superiore al 20%. Nel 2013, questo numero è salito a 27. Allo stesso tempo, il tasso di disoccupazione è sceso in molte regioni della Germania grazie alla te-nuta relativamente forte dell'economia tedesca fin dal-la recessione globale del 2008–2009.

Nonostante dagli ultimi dati disponibili sul PIL pro ca-pite si evinca solo l'inizio della crisi, è possibile osser-vare la medesima tendenza. In alcune regioni, il PIL pro capite in termini reali (ovvero a prezzi costanti) è diminuito notevolmente, come ad esempio in Közép–Dunántúl (Ungheria) o in Estonia, dove è crollato del 15% tra il 2008 e il 2009. In altre regioni ha continua-to ad aumentare come in Pomorskie (Polonia) o Åland (Finlandia), dove è salito rispettivamente del 4% e 6%.

L'impatto della recessione generale subentrata dopo la crisi del 2008 non ha seguito uno specifico andamento

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PIL pro capite Tasso di disoccupazione Tasso di occupazioneCoefficiente di variazione, 2000=100

Fonte: Eurostat, calcoli della DG REGIO

Figura 1.1 Coefficiente di variazione del PIL pro capite, tasso di occupazione (15–64), tasso di disoccupazione, UE-27 regioni NUTS 2, 2000–2013

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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geografico, colpendo sia le economie più sviluppate che quelle meno sviluppate. Tra il 2008 e il 2009, il PIL reale pro capite è notevolmente diminuito nei tre Stati baltici ma anche in Finlandia, Svezia e Italia esso ha subito. Allo stesso tempo, la diminuzione è stata modesta in Francia e Belgio, ma anche a Cipro e a Malta, mentre in Polonia si registra una crescita costante. Delle 13 regioni in cui il PIL reale pro capite è sceso di oltre il 10%, 6 avevano un PIL pro capite superiore alla media UE nel 2008.

Anche le disparità regionali interne ai vari paesi si sono ampliate notevolmente in diversi casi tra il 2000 e il 2011. Questo vale in particolare per Bulgaria e Romania (dove il coefficiente di variazione è salito rispettivamen-te di 22 e 12 punti percentuali), soprattutto per effetto dell'alto tasso di crescita nella regione della capitale. La convergenza del PIL pro capite delle altre regioni di que-sti due paesi in direzione della media UE ha proseguito il suo corso, ma a un ritmo molto più blando.

Anche le disparità regionali all'interno della Grecia e del Regno Unito sono aumentate nel corso di questi ultimi 11 anni (con un incremento del coefficiente di variazio-ne rispettivamente di 12 e 8 punti percentuali), in en-trambi i casi a causa in parte della diminuzione del PIL pro capite rispetto alla media UE in alcune delle regioni meno sviluppate. Questo si è verificato ad esempio a Ipeiros (Grecia), dove il PIL pro capite è sceso dal 71% della media UE al 55%, e in West Wales and the Valleys (nel Regno Unito), dove è sceso dal 72% della media UE al 64%.

Un ulteriore indicatore delle disparità regionali, l'indi-ce di Theil2, è scomponibile in due elementi, uno per misurare le disparità tra Stati membri e l'altro per mi-surare le disparità all'interno degli Stati membri. Tale indice mostra che le disparità in termini di PIL pro ca-pite tra le regioni NUTS 2 all'interno degli Stati membri (calcolabili solo fino al 2011 per i dati disponibili) sono leggermente aumentate dal 2004, soprattutto in ragio-ne dell'alto tasso di crescita in alcune aree urbane (in genere le regioni della capitale) dell'UE–13 (Figura 1.2). Questo dato è controbilanciato dalla marcata diminu-zione delle disparità tra gli Stati membri fino al 2009, determinando così una complessiva attenuazione del-le disparità regionali nell'UE–28. La crisi economica ha interrotto questo processo di convergenza; le disparità sono così rimaste inalterate nel 2009, per poi aumen-tare nel 2010 e 2011. Tuttavia, i dati provenienti dalle contabilità nazionali per il 2012 e le ultime previsioni degli Stati membri fino al 2015 suggeriscono che que-sta interruzione potrebbe essere solo temporanea e che nel 2012 il processo di convergenza potrebbe avere già registrato una ripresa, considerata la mancanza di in-crementi significativi delle disparità regionali all'interno dei paesi.

L'effetto della crisi economica sul lungo processo di attenuazione delle disparità regionali nell'UE è osser-vabile anche nell'esperienza delle singole regioni. Tra il 2003 e il 2011, in 50 regioni sulle 63 situate negli Stati membri poco o moderatamente sviluppati, si è

2 In sintesi, l'indice di Theil misura il grado di differenza tra le di-seguaglianze nel PIL pro capite tra regioni e la situazione di pari livello di ogni regione.

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Figura 1.2 Indice di Theil, PIL pro capite, regioni NUTS 2 UE-28, 2000–2015

Indice di Theil

Tra Stati membri

Tra Stati membri (proiez.)

All'interno degli Stati membri

Indice

Fonte: Eurostat, calcoli della DG REGIO

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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registrato un tasso di crescita maggiore rispetto alla media UE (Figura 1.3). Nel periodo precedente la cri-si (2003–2008), 56 regioni sono cresciute più veloce-mente rispetto alla media UE, mentre durante la crisi (2009–2011) questo numero è sceso a 45.

È ragionevole ritenere che il lungo processo di conver-genza nell'UE proseguirà anche una volta superata la crisi. Poiché, tra le altre cose, tale processo è trainato dall'introduzione, da parte delle regioni meno sviluppa-te, di tecnologie e metodi di lavori elaborati e testati in altre regioni, è probabile che tali regioni tenderanno a recuperare il ritardo in termini di produttività. È altresi' probabile che negli anni a venire, grazie ai finanziamenti della politica di coesione, il tasso di crescita delle aree

meno sviluppate dell'UE supererà quello delle zone più sviluppate, esattamente come nel periodo 2003–2008.

L'analisi delle variazioni nel PIL pro capite tra il 2000 e il 2011 conferma che, nel lungo periodo, la conver-genza è un risultato più che altro dello sviluppo delle regioni meno sviluppate, anziché del rallentamento della crescita nelle regioni più sviluppate. Ad esem-pio, le regioni (NUTS 2) con un PIL pro capite inferio-re al 50% della media UE erano 37 nel 2000 e solo 20 nel 2011, con un aumento de PIL pro capite in 16 regioni tra il 50% e il 75% della media UE e in una regione (Yugozapaden, la regione della capitale della Bulgaria) tra il 75% e il 100% della media. Il processo di convergenza ha seguito un ritmo notevole anche in

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UE-27

Figura 1.3 Tassi di crescita del PIL pro capite negli Stati membri meno sviluppati o moderatamente sviluppati, 2003–2011

Variazione media annua (%)

Le colonne rappresentano le regioni NUTS 2. Dati non disponibili per la Grecia.Fonte: Eurostat, calcoli della DG REGIO

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Figura 1.4 Crescita del PIL pro capite in termini reali, UE-28, 2001–2015

Variazione media annua (%)

Paesi membri meno sviluppatiPaesi membri moderatamente sviluppatiPaesi altamente sviluppati

Fonte: Eurostat

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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Bucureşti–Ilfov (Romania) tra il 1995 e il 2011, con un aumento del PIL pro capite da meno del 50% della media UE a oltre il 120%.

Il PIL pro capite è cresciuto più velocemente in termi-ni reali negli Stati membri meno sviluppati nel periodo 2000–2013; si prevede che questa tendenza rimarrà confermata anche nel 2014 e 2015 (Figura 1.4). Il tasso di crescita negli Stati membri moderatamente svilup-pati, al contrario, è risultato inferiore rispetto a quello degli Stati membri molto sviluppati, anche nel periodo 2011–2013, mentre si prevede un leggero aumento en-tro il 2015.

3. Negli Stati membri dell'Europa centro–orientale il settore industriale rimane solido, mentre l'agricoltura richiede ulteriori interventi di modernizzazione

Nel 1970, l'industria rappresentava oltre il 30% dell'oc-cupazione totale e del VAL (valore aggiunto lordo) dell'UE6 (ovvero in quelli che all'epoca erano i 6 Stati membri). La crescita del settore terziario, l'automazione della produzione e lo spostamento di parte della pro-duzione nelle economie emergenti ha determinato una

Turchia

La Turchia ha una popolazione di quasi 75 milioni di abitanti in continuo aumento (di quasi 10 milioni nel-lo scorso decennio). Anche l'economia sta crescendo velocemente, con un tasso annuo del 5% tra il 2002 e il 2012. Di conseguenza il PIL pro capite in termini di SPA è arrivato al 56% della media UE nel 2012, con un tasso superiore a quello della Romania e del-la Bulgaria ma inferiore a quello della Croazia.

La Turchia è tuttavia caratterizzata da profonde dispa-rità regionali. Nelle regioni occidentali di Istanbul (oltre

il 50% della media nazionale nel 2011), Kocaeli (oltre il 41%), Ankara (oltre il 32%) e Bursa (oltre il 31%), il PIL pro capite si attesta su livelli relativamente elevati (Carta 1.4). In tre regionali orientali i livelli di PIL sono più bassi della metà della media nazionale. Tali dispa-rità sono aumentate tra il 2004 e il 2007, attenuandosi leggermente tra il 2007 e il 2011.

Ancora oggi l'agricoltura assorbe quasi un quarto dell'occupazione totale e una quota significativa, ben-ché molto inferiore, del PIL (9% nel 2012).

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Le disparità economiche regionali nel mondo

Profonde disparità regionali sono riscontrabili nell'a-rea dell'Accordo nordamericano per il libero scam-bio (Carta 1.5) come pure nei paesi BRIC (Carta 1.6). Queste disparità non sono direttamente rapportabili a quelle europee a causa della grande differenza in termini di superficie territoriale delle regioni. India e Cina, entrambe con una popolazione superiore al miliardo di persone, avrebbero bisogno di oltre 700 regioni per essere comparabili con le regioni europee NUTS 2. Relativamente agli USA, il PIL pro capite do-vrebbe essere riferito a 160 regioni anziché a 50 stati.

L'Accordo nordamericano per il libero scambio ha favo-rito una più forte integrazione economica tra Canada, USA e Messico dal 1994, incrementando gli scambi e gli investimenti esteri diretti. Diversamente dall'UE, il NAFTA non prevede la libera circolazione delle perso-ne. Ecco perché molti dei messicani che lavorano negli USA sono considerati immigrati clandestini.

Durante il primo decennio dell'accordo (1994–2003), la crescita del PIL reale pro capite in Messico si limi-tava allo 0,8% annuo. Nello stesso periodo, il tasso di crescita in Canada e negli USA era tre volte superiore. In Messico, il basso tasso di crescita non dipendeva dall'accordo per il libero scambio ma presumibilmen-te dalla presenza di bassi livelli di istruzione e un am-biente imprenditoriale poco favorevole, nonché dalla carenza di infrastrutture di trasporto. Poiché il NAFTA non prevede una politica di sviluppo analoga alla po-litica di coesione, è necessario più tempo prima che le regioni messicane traggano beneficio dall'integrazio-ne degli scambi.

Tra il 2004 e il 2012, invece, l'economia messicana ha registrato un andamento più positivo, con una cresci-ta media del PIL reale pro capite pari all'1,5% annuo malgrado la crisi, il doppio del tasso di Canada e USA.

Nonostante il miglioramento dei risultati economici del Messico, le disparità regionali all'interno del NAFTA non sono diminuite. In larga parte questo è imputabile alla mancata capacità delle regioni messicane meno svilup-pate di recuperare il proprio ritardo.

Anche se all'inizio del processo di sviluppo economico le disparità regionali tendono ad ampliarsi, questo non si può dire per i paesi BRIC. Tra il 2000 e il 2010, esse sono diminuite in Cina e Brasile e aumentate in India e Russia.

In Cina, il PIL pro capite delle regioni costiere è molto più alto rispetto a quello delle regioni dell'entroterra. In Russia, il PIL pro capite di Mosca, San Pietroburgo e del-le regioni circostanti è molto più elevato di quello delle regioni meridionali del paese. Più in generale, il PIL pro capite nelle aree settentrionali è tendenzialmente più alto di quello delle zone meridionali grazie all'attività di estrazione delle risorse naturali. Anche Brasile e India presentano profonde disparità regionali, in particolare il PIL pro capite delle principali aree urbane è molto più alto rispetto a quello delle regioni rurali più remote.

Questi paesi, essendo alla ricerca di nuovi metodi per diminuire le disparità che li caratterizzano, hanno ma-nifestato grande interesse nei confronti del funziona-mento della politica di coesione. Nel corso degli ultimi 8 anni, la Commissione ha siglato protocolli di inte-sa in materia di cooperazione politica regionale con Cina, Russia e Brasile, accordi di cooperazione con Cile, Perù e Giappone, nonché con Ucraina, Moldova e Ge-orgia nell'ambito del partenariato orientale. Riguardo a quest'ultimo, la Commissione ha organizzato una serie di attività inerenti la politica regionale e urbana, sfociati in scambi di esperienza sull'assistenza tecnica, ricerche, visite di studio, corsi di formazione, conferen-ze, costruzione di reti e rapporti tra le regioni e le città dell'UE e questi altri paesi.

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Balcani occidentali

Essi comprendono i tre paesi candidati dei Balcani oc-cidentali (Montenegro, Serbia ed ex Repubblica jugo-slava di Macedonia) e i tre paesi candidati potenziali (Albania, Bosnia–Erzegovina e Kosovo — secondo la risoluzione ONU 1244).

Il Montenegro è il paese con il minor numero di abitanti, circa 620 000 e, nel contempo, con il PIL pro capite più alto (anche se era solo pari al 46% della media UE in termini di SPA nel 2012), inoltre è il secondo paese con il tasso di disoccupazione più basso (20%).

La Serbia si caratterizza per il numero di abitanti più alto (7 milioni di persone) e l'economia più estesa. Tra il 2003 e il 2008 il PIL è salito del 6% annuo, mentre tra il 2008 e il 2012 la crescita è diminuita dell'1,2% annuo. Il PIL pro capite è pari a solo un terzo della me-dia UE e il tasso di disoccupazione nel 2012 riguarda il 24% della forza lavoro.

L'ex Repubblica jugoslava di Macedonia ha una popo-lazione di poco superiore ai 2 milioni di abitanti. Il PIL

di questo paese è aumentato del 5% annuo tra il 2003 e il 2008 e del 2% nei successivi quattro anni. Il tasso di disoccupazione è molto elevato (31% nel 2012) e il PIL pro capite è simile a quello della Serbia (35% della media UE).

I tre paesi candidati potenziali nel 2012 avevano un PIL pro capite compreso tra il 23% e il 30% della me-dia UE in termini di SPA. L'Albania presentava il tasso di disoccupazione più basso (14%), anche se più alto della media UE, mentre i tassi di disoccupazione in Bo-snia–Erzegovina (29%) e Kosovo (35%) erano netta-mente superiori alla media.

Solo un paese su 6 (Albania) ha un tasso di occupa-zione superiore al 50% della popolazione tra i 15 e i 64 anni (nessuno Stato membro dell'UE ha un tasso inferiore al 50%). In Bosnia–Erzegovina nel 2012 è pari a solo il 40%, mentre in Kosovo meno di un quarto della popolazione in età lavorativa è occupata, un dato impressionante.

Tabella 1.1 Indicatori chiave relativi ai Balcani occidentali, 2003–2012

Popolazione (in migliaia)

PIL pro capite espresso in

SPA (EU28 = 100)

Tasso di disoccupazione

(%)

Tasso di occupazione, 15–64 anni

(%)

Tasso di crescita del PIL reale (% p.a.)

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Montenegro 621 43 20 47 6,2 1,2

ex Repubblica jugoslava di Macedonia

2060 35 31 44 4,7 1,9

Serbia 7217 35 24 45 5,0 0,2

Albania 2816 30 14 56 6,0 3,8

Bosnia–Erzegovina 3836 28 29 40 5,2 0,6

Kosovo (ai sensi della Risoluzione UNSC 1244)

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* 2008–2011 Fonte: Eurostat, Banca Mondiale e wiiw

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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diminuzione costante del tasso di occupazione e del valore aggiunto lordo nel settore dell'industria (eccet-to l'edilizia) nell'economia dell'UE (Figura 1.5). Questa tendenza non è stata modificata dagli allargamenti del 2004 e 2007, i quali hanno determinato un leggero au-mento nella quota di occupazione in ambito industriale. Nel 2012, il tasso del VAL dell'industria è sceso al 19% e la quota di occupazione al 16%.

Nell'UE–12, tuttavia, il settore industriale è più diffuso rispetto all'UE–15 e ha subito meno cambiamenti nel corso del tempo. Tra il 1995 e il 2012, la quota di VAL nell'industria si attesta al 27%. Durante questi dicias-sette anni il tasso di occupazione è sceso dal 26% al 22%, rimanendo comunque più alto rispetto a quello dell'UE–15, nella quale solo il 14% degli occupati lavora nell'industria (Figura 1.6).

La quota di attività agricole ha subito modifiche so-stanziali. Nel 1970, l'agricoltura rappresentava il 12% dell'occupazione totale e il 6% del VAL dell'UE6 (Figura 1.8). Entro il 2012, questi valori sono scesi ri-spettivamente al 5% e al 2% nell'UE–27. In questo caso l'effetto dei vari allargamenti è più visibile, con incrementi nella percentuale di occupati dopo gli al-largamenti del 1981, 1986, 2004 e 2007. A causa del basso livello di produttività dei paesi entrati a far par-te dell'UE, tuttavia, le percentuali di VAL non sono au-mentate in maniera significativa–l'agricoltura di sus-sistenza, ad esempio, contribuisce alla composizione della percentuale di occupati ma di fatto non incide sul VAL.

Nell'UE–12, la percentuale di occupati in agricoltura è scesa dal 25% al 15% tra il 1995 e il 2012 e, con l'in-cremento della produttività, è probabile che continui a diminuire (Figura 1.7). Nell'UE–15, la quota nel 2012 è pari a solo il 3%.

Al declino del numero di posti di lavoro nell'industria e nell'agricoltura ha corrisposto un aumento dei posti di lavoro nel settore terziario. Tuttavia, il passaggio da un lavoro nell'agricoltura o nell'industria a un impiego nel settore dei servizi spesso richiede l'apprendimento di nuove competenze. Questa transizione può essere age-volata dall'organizzazione di attività formative rivolte a persone intenzionate a trovare lavoro in un altro settore rispetto al proprio.

4. I settori dell'industria e delle costruzioni, i più colpiti dalla crisi

In genere gli Stati membri meno sviluppati presentano una struttura economica diversa dal resto dell'UE, con una percentuale maggiore di occupati e di VAL nel com-parto dell'industria (Tabella 1.2). Nel 2012, la quota di occupati nell'industria in questi paesi era pari al 22%, superiore del 50% rispetto agli Stati membri altamen-te sviluppati (15%). I segnali di convergenza rispetto a questa percentuale sono scarsi. Tra il 2000 e il 2012, l'industria negli Stati membri meno sviluppati ha regi-strato un incremento del VAL più alto rispetto ad altri settori. Persino durante il periodo di crisi, tra il 2008 e il 2012, il VAL è salito del 2% annuo, a fronte di un

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UE-6 UE-9 UE-10 UE-12 UE-25

Figura 1.5 Quota di attività industriali (eccetto il settore delle costruzioni) nell'UE, 1970–2012

% del totale Occupazione VAL

2012

2007

UE-27

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UE-15

1995

1986

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1973

Fonte: AMECO

Page 50: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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calo dell'1% annuo negli Stati membri molto svilup-pati e moderatamente sviluppati. Anche l'occupazione nell'industria negli Stati membri è rimasta pressoché invariata fino al 2008, subendo invece una contrazione negli altri Stati.

L'ingresso nell'UE e nel mercato unico ha aumentato le potenzialità di specializzazione e di creazione di di-stretti territoriali. È possibile quindi che gli Stati mem-bri meno sviluppati abbiano potuto mantenere elevata la quota di occupati nell'industria in quanto l'equilibrio tra costo del lavoro, produttività e accessibilità li rende attraenti per le aziende manifatturiere.

L'occupazione e il VAL nel settore delle costruzioni sono bruscamente diminuiti nel periodo di crisi in tutti e tre i gruppi di paesi. Il calo maggiore si è registrato nei tre

Stati baltici e in Irlanda, Grecia e Spagna, nei quali è scoppiata una bolla speculativa immobiliare durante la crisi finanziaria.

Negli Stati membri meno sviluppati i servizi finanziari e i servizi all'impresa rappresentano quote inferiori di occu-pati e VAL, nonostante stiano aumentando, avvicinandosi ai valori riscontrabili nei paesi molto sviluppati. Negli Stati membri meno sviluppati l'impatto della crisi su questo macrosettore è meno evidente, l'occupazione e il VAL han-no continuato ad aumentare anche se a un tasso inferiore rispetto a quello registrato nel periodo 2000–2008.

Il processo di ristrutturazione e modernizzazione del settore agricolo è ancora in corso negli Stati membri meno sviluppati. Nel 2012 esso rappresenta il 16% del totale degli occupati, un valore 6 volte maggiore rispet-

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UE-6 UE-9 UE-12 UE-27

Figura 1.8 Quota di attività agricole nell'UE, 1970–2012

% del totaleOccupazione VAL

2012

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1995

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Fonte: AMECO

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Figura 1.6 Quota di attività industriali (eccetto il settore delle costruzioni) nell'UE–12, 1995–2012

VAL% del totaleOccupazione

Fonte: AMECO

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Figura 1.7 Quota di attività agricole nell'UE–12, 1995–2012

% del totaleOccupazioneVAL

Fonte: AMECO

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Capitolo 1: Crescita intelligente

13

Tabella 1.2 Variazione dell'occupazione e del VAL per settore e gruppo di Stati membri, 2000–2008 e 2008–2012

Occupazione VAL

Meno sviluppati

Mediamente sviluppati

Molto sviluppati

UE–28 Meno sviluppati

Mediamente sviluppati

Molto sviluppati

UE–28

Quota nel 2012 (in %)Agricoltura, silvicoltura e pesca 15,9 8,3 2,5 5,2 4,5 2,7 1,5 1,7Industria (tranne costruzioni) 21,7 18,6 14,5 16,0 25,9 20,5 18,5 19,1Costruzioni 7,3 7,5 6,4 6,6 7,4 4,5 5,8 5,9Commercio all'ingrosso e al dettaglio; trasporti; attività dei servizi di alloggio e di ristorazione; informazione e comunicazione

25,0 29,1 27,7 27,4 26,8 27,1 23,2 23,6

Attività finanziarie e assicurative; attività immobiliari; attività professionali, scientifiche e tecniche; attività amministrative e servizi di assistenza

8,8 11,6 17,2 15,3 18,8 23,0 27,6 26,9

Pubblica amministrazione; attività di organizzazioni ed enti extraterritoriali

21,2 24,9 31,6 29,4 16,6 22,3 23,4 22,9

Totale 100 100 100 100 100 100 100 100Variazione media annua (in %), 2000–2008

Agricoltura, silvicoltura e pesca –2,5 –2,5 –1,6 –2,2 2,6 –1,9 0,8 0,9Industria (tranne costruzioni) 0,1 –0,3 –1,1 –0,7 5,8 3,7 1,0 1,4Costruzioni 4,6 0,8 1,5 1,9 6,5 1,2 1,4 1,7Commercio all'ingrosso e al dettaglio; trasporti; attività dei servizi di alloggio e di ristorazione; informazione e comunicazione

2,0 1,8 1,1 1,3 5,4 4,6 2,4 2,7

Attività finanziarie e assicurative; attività immobiliari; attività professionali, scientifiche e tecniche; attività amministrative e servizi di assistenza

3,1 3,1 2,8 2,8 4,7 2,9 2,5 2,6

Pubblica amministrazione; attività di organizzazioni ed enti extraterritoriali

1,2 1,8 1,4 1,4 1,7 1,9 1,5 1,6

Totale 0,8 1,0 1,0 1,0 4,7 3,0 1,9 2,1Variazione media annua (in %), 2008–2012Agricoltura, silvicoltura e pesca –1,3 –2,0 –1,5 –1,5 –3,1 –0,5 –1,8 –1,9Industria (tranne costruzioni) –2,9 –3,6 –2,0 –2,3 2,0 –1,2 –1,0 –0,8Costruzioni –3,5 –7,1 –3,9 –4,1 –0,3 –13,3 –3,9 –4,1Commercio all'ingrosso e al dettaglio; trasporti; attività dei servizi di alloggio e di ristorazione; informazione e comunicazione

–0,4 –1,8 –0,2 –0,3 0,9 –3,5 –0,1 –0,3

Attività finanziarie e assicurative; attività immobiliari; attività professionali, scientifiche e tecniche; attività amministrative e servizi di assistenza

2,3 –0,2 0,5 0,6 0,7 –1,0 0,3 0,3

Pubblica amministrazione; attività di organizzazioni ed enti extraterritoriali

0,2 –1,0 0,7 0,5 0,3 –0,7 0,8 0,7

Totale –1,0 –2,3 –0,4 –0,6 0,8 –2,4 –0,2 –0,3Fonte: Eurostat

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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to a quello degli Stati membri molto sviluppati (2,5%). La quota di VAL dell'agricoltura è notevolmente inferio-re ma tre volte più alta di quella di questi ultimi paesi (4,5% contro l'1,5%). Entrambi questi valori tendono a diminuire, parallelamente al calo dell'occupazione e a un incremento del VAL inferiore a quello di altri settori. In ogni caso, la quota di occupati nell'agricoltura negli Stati membri meno sviluppati nel 2012 è comunque più alta rispetto alla percentuale dell'UE–6 osservata nel 1970 (12%).

L'impatto della crisi è stato più pesante negli Stati membri moderatamente sviluppati, con un calo del VAL e dell'occupazione superiore al 2% annuo tra il 2008 e il 2012. La contrazione maggiore si è registrata nei comparti edile, manifatturiero, della distribuzione, dei trasporti e delle comunicazioni.

Nel complesso gli Stati membri molto sviluppati sono stati meno colpiti dalla crisi, registrando un calo dell'oc-cupazione di appena lo 0,4% annuo e del VAL dello 0,2% annuo tra il 2008 e il 2012. Il calo più consistente a livello di occupazione e VAL si è registrato nel com-parto edile, manifatturiero e agricolo.

5. La crisi ha determinato la perdita di posti di lavoro, ma anche un incremento della produttività

Tra il 2001 e il 2008, il VAL pro capite nell'UE è au-mentato dell'1,7% annuo in termini reali, alimenta-to principalmente da un incremento della produttività pari all'1,2% annuo. Gli incrementi nel tasso di occu-pati hanno aggiunto un ulteriore 0,5% annuo, mentre l'aumento della quota di popolazione in età lavorati-va ha avuto un impatto ridotto ma comunque positivo (0,1% — Tabella 1.3). Durante il periodo di crisi tra il 2008 e il 2012, il VAL pro capite è sceso dello 0,5% annuo e il tasso di occupazione dello 0,8% annuo, con un incremento della produttività pari allo 0,3% annuo.

Le differenze tra gli Stati membri meno sviluppati e il resto dell'UE sono molto pronunciate in entrambi i pe-riodi. Tra il 2001 e il 2008, l'incremento del VAL pro capite è stato più consistente negli Stati membri meno sviluppati (5,2% annuo), soprattutto in virtù dell'au-mento della produttività (4,2% annuo), mentre un in-

cremento della quota di popolazione in età lavorativa sul totale (con conseguente aumento del numero di oc-cupati per qualsiasi tasso di occupazione) ha fornito un ulteriore contributo (pari allo 0,4% annuo). Nel periodo 2008–2012, anche il VAL pro capite degli Stati membri meno sviluppati è aumentato, seppur a un tasso molto più basso (pari allo all'1,2% annuo), a fronte di un decli-no in tutti gli altri Stati membri. L'aumento della produt-tività (pari all'1,8% annuo) è stata la principale fonte di crescita in questi anni, a fronte di un calo significativo dell'occupazione (dell'1,1% annuo).

Tra il 2008 e il 2012 tutti gli Stati membri meno svi-luppati hanno registrato una diminuzione dei posti di lavoro e un aumento della produttività, con l'eccezione di Romania e Ungheria dove è avvenuto il contrario. In cinque di questi paesi l'incremento di produttività ha compensato il calo occupazionale, con il VAL pro capite rimasto invariato. L'aumento della quota di popolazione in età lavorativa ha inciso meno durante questo periodo (contribuendo alla crescita con uno 0,2% annuo anziché lo 0,4%), pur con effetti significativi in Bulgaria, Polonia e Slovacchia (con un incremento tra lo 0,4% e lo 0,5% annuo). In Croazia la popolazione in età lavorativa è di-minuita in rapporto al totale (con un calo del VAL pro capite dello 0,6% annuo), a seguito dell'effetto combi-nato di emigrazione, bassi tassi di fertilità e invecchia-mento della popolazione.

Il VAL pro capite è salito dell'1,3% annuo tra il 2001 e il 2008 negli Stati membri molto sviluppati, mentre è diminuito dello –0,7% annuo tra il 2008 e il 2012. Nel primo periodo, il tasso di produttività (salito dello 0,9% annuo) ha contribuito maggiormente rispetto all'aumen-to del tasso di occupazione (pari allo 0,4% annuo), con la percentuale di popolazione in età lavorativa rispetto al totale rimasta invariata. Tra il 2008 e il 2012, il tasso di occupati è sceso dello 0,7% annuo, mentre la produttività è aumentata solo marginalmente, come marginalmente è diminuita in media la quota di popolazione in età lavo-rativa, anche se in misura maggiore (pari a circa lo 0,5% annuo) in Irlanda, Danimarca e Finlandia.

Tra gli Stati membri molto sviluppati, emergono Irlanda e Spagna per aver subito il calo più pesante a livello di tas-so di occupazione (3,6% e 3,9% annuo), a fronte dell'au-mento di produttività più consistente (2,4% e 2,7% an-nuo). Questo risultato è in parte dovuto alla contrazione del settore edile, già di per sé scarsamente produttivo, e agli incrementi di produttività in altri comparti.

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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Tabella 1.3 Ripartizione della variazione media annua del VAL pro capite, 2000–2008 e 2008–2012

2000–2008 2008–2012

Variazione media annua (%)

VAL pro capite Produttività Tasso di occupazione

Quota di popolazione in età lavorativa

VAL pro capite Produttività Tasso di occupazione

Quota di popolazione in età lavorativa

UE–28 1,7 1,2 0,5 0,1 UE–28 –0,5 0,3 –0,8 0,0Meno sviluppati 5,2 4,2 0,6 0,4 Meno sviluppati 0,9 1,8 –1,1 0,2

Ungheria 3,3 3,0 0,0 0,2 Croazia –2,7 0,4 –2,5 –0,6Polonia 4,5 2,9 0,6 0,9 Romania –1,2 –1,1 0,0 –0,1Croazia 4,5 2,2 2,0 0,2 Ungheria –1,2 –1,4 0,3 0,0Estonia 6,2 4,0 1,8 0,3 Lettonia –0,5 3,8 –4,5 0,3Slovacchia 6,4 4,4 1,1 0,8 Estonia 0,0 1,2 –1,4 0,3Bulgaria 6,4 3,2 3,3 –0,3 Lituania 0,4 0,9 –0,7 0,1Romania 7,0 8,2 –0,8 –0,4 Bulgaria 1,0 3,8 –3,1 0,4

Lettonia 8,5 5,0 3,1 0,2 Slovacchia 1,2 2,3 –1,6 0,5Lituania 8,8 5,8 2,5 0,4 Polonia 2,7 3,3 –1,0 0,4

Mediamente sviluppati

2,7 2,1 0,5 0,1 Mediamente sviluppati

–2,5 –0,2 –2,0 –0,3

Portogallo 0,6 0,8 –0,2 0,0 Grecia –5,2 –0,8 –3,7 –0,8Malta 1,8 1,3 –0,1 0,6 Cipro –3,2 0,4 –4,4 0,8Cipro 1,9 0,6 0,5 0,7 Slovenia –2,4 –0,5 –2,0 0,1Grecia 3,2 1,6 1,4 0,1 Portogallo –0,8 1,8 –2,4 –0,2Slovenia 4,3 3,3 0,8 0,1 Rep. ceca –0,5 –0,3 0,0 –0,2Rep. ceca 4,7 4,2 0,3 0,2 Malta 0,4 –0,8 1,2 –0,1

Molto sviluppati 1,3 0,9 0,4 0,0 Molto sviluppati –0,7 0,1 –0,7 –0,1Italia 0,2 –0,5 0,9 –0,3 Lussemburgo –2,6 –2,5 –0,5 0,3Danimarca 0,8 0,6 0,6 –0,4 Irlanda –1,8 2,4 –3,6 –0,6Francia 0,9 1,0 –0,2 0,1 Italia –1,8 –0,8 –0,9 –0,1Spagna 1,3 0,1 0,7 0,5 Finlandia –1,7 –0,9 –0,4 –0,4Belgio 1,4 1,0 0,4 0,0 Spagna –1,5 2,7 –3,9 –0,1Germania 1,7 1,3 0,7 –0,4 UK –1,4 –0,7 –0,5 –0,1Paesi Bassi 1,7 1,5 0,4 –0,1 Danimarca –1,2 0,7 –1,3 –0,5Irlanda 1,7 1,0 –0,2 0,8 Paesi Bassi –0,9 –0,3 –0,3 –0,3Austria 2,0 1,4 0,6 0,0 Belgio –0,5 –0,2 –0,5 0,1UK 2,0 1,7 0,1 0,2 Francia –0,3 0,3 –0,4 –0,2Lussemburgo 2,1 1,8 0,3 0,0 Austria 0,0 –0,4 0,3 0,0Svezia 2,3 2,2 0,1 0,0 Svezia 0,5 0,9 –0,2 –0,2Finlandia 2,5 1,5 1,0 –0,1 Germania 0,7 –0,1 0,6 0,2

Per Irlanda e Malta è stato utilizzato il PIL reale anziché il VAL reale. Fonte: Eurostat, AMECO e calcoli della DG REGIO

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Tra gli Stati membri molto sviluppati, Germania e Svezia sono gli unici due paesi ad aver registrato un aumento del VAL pro capite durante il periodo di crisi, ma con un'ampia separazione tra produttività e occupazione. In Germania, l'aumento dell'occupazione (tenendo conto del tasso di occupati e della quota di popolazione in età lavorativa) ha leggermente superato l'aumento del VAL pro capite, proprio per effetto di una moderata con-trazione della produttività. In Svezia, la produttività è aumentata di più rispetto al PIL pro capite e il tasso di occupazione è diminuito.

Gli Stati membri moderatamente sviluppati (Grecia, Portogallo, Cipro, Malta, Repubblica ceca e Slovenia) sono stati colpiti più duramente dalla crisi come gruppo rispetto agli altri Stati membri. Mentre il VAL pro capite è salito del 2,7% annuo nel primo periodo, esso è di-minuito del 2,5% nel secondo periodo, soprattutto per effetto del calo del tasso di occupazione (2% annuo), ma anche della diminuzione della quota di popolazione in età lavorativa rispetto al totale (0,3% annuo) e del-la contrazione della produttività (0,2% annuo). Questa contrazione ha dunque attutito gli effetti della diminu-

zione del VAL sull'occupazione, ma solo in minima par-te. In questo periodo, tuttavia, i vari paesi hanno seguito dinamiche di sviluppo molto diverse tra loro.

Malta è l'unico paese del gruppo in cui il VAL pro capite è aumentato leggermente, a fronte di una contrazio-ne relativamente consistente della produttività (0,8% annuo) accompagnata da un aumento significativo del tasso di occupazione (1,2% annuo). In Portogallo, dall'altro lato, il VAL pro capite è sceso ma in misu-ra minore rispetto alla media del gruppo, mentre la produttività è aumentata in misura molto maggiore rispetto al resto del gruppo (1,8% annuo), con una si-gnificativa diminuzione del tasso di occupazione (2,4% annuo). A Cipro, il VAL pro capite è nettamente cala-to (3,2% annuo), mentre la produttività è aumentata (0,4% annuo) diversamente dagli altri paesi del gruppo (Grecia e Slovenia); questo, assieme a un incremento della popolazione in età lavorativa sul totale pari allo 0,8% annuo per effetto del fenomeno dell'immigrazio-ne, ha determinato un considerevole calo del tasso di occupazione (pari al 4,4% annuo, superiore a qualsiasi altro paese).

Scomposizione della crescita in VAL pro capite

La crescita in termini di VAL pro capite si articola in tre principali componenti: variazioni a livello di produttività (VAL per occupato), variazioni nel tasso di occupazione (occupati rispetto alla popolazione in età lavorativa), va-riazioni nella percentuale di occupati sul totale della popolazione.

Pertanto:

VAL

=

VAL

x

Occupazione

x

Popolazione in età lavorativa

Popolazione totale Occupazione Popolazione in età lavorativa

Popolazione totale

La stessa equivalenza può essere espressa in termini di variazioni.

Solitamente il tasso di occupazione è tratto dalla rilevazione sulla forza lavoro, condotta in base al comune di re-sidenza degli occupati. Il valore della produttività, invece, si calcola sulla base dell'occupazione sul luogo di lavoro (dati provenienti dalla contabilità nazionale). Ai fini della validità di questa equivalenza, il tasso di occupati qui fa riferimento ai dati occupazionali riportati nelle contabilità nazionali anziché ai dati provenienti dalla rilevazione sulla forza lavoro.

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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6. La crescita nelle regioni metropolitane è più soggetta a periodi di alti e bassi rispetto alle regioni rurali

6.1 Le regioni metropolitane della capitale hanno mantenuto un andamento positivo, finché la crisi non ha causato un calo dell'occupazione superiore alla media

Nel 2011, le regioni metropolitane (Carta 1.7) rappresen-tavano il 59% della popolazione dell'UE, il 62% dell'oc-cupazione e il 67% del PIL dell'UE. Erano quindi i centri principali in termini di occupazione e attività imprendi-toriali, caratterizzati da livelli di produttività più elevati delle altre zone. In tutti gli Stati membri, le regioni metro-politane hanno un PIL pro capite superiore a quello delle altre regioni, anche se questo dato non sempre si traduce in tassi di crescita più alti. Ad esempio, tra il 2000 e il 2011 il PIL pro capite è cresciuto più velocemente nelle regioni non metropolitane in Germania, Austria, Svezia, Finlandia, Portogallo e Spagna.

Cionondimeno, tra il 2000 e il 2008 nell'UE–15 come nell'UE–13 il PIL reale pro capite delle regioni metropo-litane è aumentato più velocemente rispetto alle altre regioni (Tabella 1.4). I tassi di crescita così elevati nelle regioni della capitale sono anche dovuti a una maggiore crescita produttiva nell'UE–15 e a una maggiore cresci-ta occupazionale nell'UE–13.

La crescita nelle regioni metropolitane di secondo livello era in linea con la situazione nazionale, ma inferiore all'andamento delle regioni metropolitane della capita-le. Le regioni metropolitane più piccole sono cresciute più lentamente rispetto alle altre regioni metropolitane. Nell'UE–15 hanno registrato lo stesso tasso di crescita delle regioni non metropolitane. Nell'UE–13, le regioni metropolitane più piccole hanno registrato un tasso di crescita decisamente inferiore a quello delle regioni non metropolitane.

Tra il 2008 e il 2011, le regioni metropolitane dell'UE–15 e dell'UE–13 hanno risentito in maniera diversa della crisi. Nell'UE–15, il tasso di diminuzione del PIL nelle re-gioni della capitale è identico a quello delle altre regioni. Nell'UE–13, il PIL nelle regioni della capitale è diminui-

Tabella 1.4 Variazioni del PIL pro capite, della produttività e dell'occupazione pro capite per tipologia di regione metropolitana, 2000–2008 e 2008–2011

2000–2008 2008–2011

Variazione media annua (%)PIL pro capite

Produttività Occupazione pro capite

PIL pro capite

Produttività Occupazione pro capite

UE–15Regione metropolitana capitale 1,4 0,9 0,6 –0,8 0,3 –1,1Regione metropolitana di secondo livello

1,3 0,7 0,6 –0,8 0,1 –0,9

Regione metropolitana più piccola 1,2 0,7 0,5 –0,6 0,2 –0,8Regione non metropolitana 1,2 0,8 0,4 –0,8 0,2 –1,0Totale 1,3 0,8 0,5 –0,7 0,2 –0,9

UE–13Regione metropolitana capitale 5,5 3,6 1,9 –0,3 1,0 –1,3Regione metropolitana di secondo livello

4,9 4,1 0,8 1,4 1,3 0,1

Regione metropolitana più piccola 3,7 3,6 0,1 1,4 1,2 0,2Regione non metropolitana 4,5 4,4 0,0 0,6 1,7 –1,1Totale 4,9 4,3 0,6 0,7 1,4 –0,8

UE–28Regione metropolitana capitale 1,9 1,0 0,9 –0,7 0,5 –1,2Regione metropolitana di secondo livello

1,6 1,0 0,6 –0,6 0,1 –0,7

Regione metropolitana più piccola 1,3 0,8 0,5 –0,5 0,2 –0,8Regione non metropolitana 1,6 1,3 0,3 –0,5 0,5 –1,0

Totale 1,6 1,1 0,5 –0,5 0,4 –0,9Fonte: Eurostat e calcoli della DG REGIO

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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to, mentre è aumentato nelle altre regioni. In entrambi i casi, a questo fenomeno si è accompagnata una con-trazione dell'occupazione maggiore che in altre zone.

Nell'UE–15, le regioni metropolitane più piccole e quelle di secondo livello hanno registrato uno scarso aumento della produttività e un calo occupazionale, con una di-minuzione del PIL pro capite simile a quello dell'UE–15 nel suo complesso.

Nell'UE–13, il tasso di crescita del PIL pro capite delle regioni di secondo livello e delle regioni metropolitane era il doppio della media dell'UE–13, per effetto della crescita della produttività senza cali occupazionali. Sarà interessante osservare se questa tendenza anticiperà un periodo di tassi di crescita più alti al di fuori della regione metropolitana della capitale, restringendo in tal modo il divario a livello di PIL pro capite con quest'ultima.

Secondo le conclusioni di una nuova ricerca ESPON3 specificamente incentrata sul rendimento delle città di secondo livello, nonostante gli importanti contributi for-niti all'economia nazionale da parte di alcune di queste città, nella maggioranza dei paesi il loro apporto non è paragonabile a quello delle città capitali. L'ipotesi è

3 Parkinson, M. et al. (2012).

che il loro apporto potrebbe essere più significativo a patto che possano beneficiare di aiuti nazionali e UE più consistenti.

In molti paesi si osserva una spiccata tendenza a in-vestire troppo nelle capitali e troppo poco nelle città secondarie, ed è auspicabile che i governi centrali si oppongano a un tale approccio per creare politiche ter-ritoriali specifiche per le città di secondo livello. Questo dimostra l'importanza di una politica di sviluppo mirata e contestualizzata, che tenga conto del diverso impatto territoriale delle politiche nazionali sulla R&S, innova-zione, istruzione e formazione, trasporti e connettività.

6.2 La crescita del PIL nelle regioni rurali è rimasta limitata nel periodo precedente la crisi, ma ha dimostrato maggiore resilienza negli anni della crisi

Tra il 2000 e il 2008, il PIL reale pro capite nelle regio-ni rurali (Carta 1.8 e Riquadro) nell'UE–28 è aumentato dell'1,7% annuo (Tabella 1.5), seguendo un tasso analo-go a quello di altre tipologie di regioni. L'unica differenza riguarda il fatto che la produttività nelle regioni rurali è cresciuta più velocemente, mentre l'occupazione in rap-porto alla popolazione è aumentata più lentamente.

Tabella 1.5 Variazioni del PIL pro capite, della produttività e dell'occupazione pro capite per tipologia di regione metropolitana, 2000–2008 e 2008–2011

2000–2008 2008–2011 2011

Variazione media annua (%)

PIL pro capite

Produttività Occupazione pro capite

PIL pro capite

Produttività Occupazione pro capite

PIL pro capite (SPA) indice UE–28=100

UE–15Urbana 1,3 0,8 0,5 –0,9 0,2 –1,0 124Intermedia 1,2 0,7 0,5 –0,6 0,3 –0,8 100Rurale 1,2 0,7 0,5 –0,5 0,4 –0,9 90Totale 1,3 0,8 0,5 –0,7 0,2 –0,9 110

UE–13Urbana 5,5 3,6 1,9 0,7 0,9 –0,2 108Intermedia 4,6 4,2 0,4 0,5 1,5 –1,0 57Rurale 4,3 4,5 –0,2 0,6 1,6 –1,1 46Totale 4,9 4,3 0,6 0,7 1,4 –0,8 64

UE–28Urbana 1,5 0,9 0,7 –0,8 0,2 –0,9 122Intermedia 1,5 1,0 0,5 –0,4 0,4 –0,9 90Rurale 1,7 1,5 0,2 –0,3 0,7 –1,0 74Totale 1,6 1,1 0,5 –0,5 0,4 –0,9 100Fonte: Eurostat e calcoli della DG REGIO

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Capitolo 1: Crescita intelligente

19

Dimensione della città, benefici dell'agglomerazione e governance metropolitana

In tutti i paesi dell'OCSE, la produttività e le retribuzio-ni aumentano in proporzione alla dimensione della città (Figura 1.9). In considerazione dei livelli di produttività più alti e della loro dimensione, i grandi agglomerati ur-bani contribuiscono in maniera sostanziale alla crescita nazionale.

Perché le grandi città sono più produttive?

La produttività delle città dipende da una vasta gamma di fattori, tra cui la presenza di imprese innovative e la disponibilità di forza lavoro qualificata. La produttività, però, cresce con l'aumentare delle dimensioni delle città (almeno fino a un certo punto), sollevando la questione del perché avvenga in questo modo. Innanzi tutto, una prima spiegazione è legata al fatto che le grandi città dispongono di più alti livelli di capitale umano, anche se il rapporto con la dimensione della città è spesso non li-neare, nel senso che le percentuali di lavoratori altamen-te qualificati e le percentuali di lavoratori scarsamente qualificati aumentano di pari passo. In secondo luogo, nelle grandi città si concentra in genere un'alta percen-tuale di settori molto produttivi, quali i servizi consulen-ziali e finanziari. Terzo, le grandi città fungono spesso da snodi o centri di servizio attraverso cui convogliare le attività commerciali, finanziarie e gli altri flussi. Questi flussi richiedono solitamente la disponibilità di servizi ad alto valore aggiunto. Quarto, le città traggono vantag-gio dai "benefici dell'agglomerazione", ovvero in media la produttività delle persone aumenta con l'aumentare della dimensione della città in cui esse abitano e lavora-no. La Figura 1.10 mostra i livelli di produttività di città in Germania e USA rettificati per le differenze a livello di capitale umano. Recenti stime dell'OCSE suggeriscono che la produttività aumenta del 2–5% per ogni raddop-pio della popolazione (Ahrend et al. (2014a)), in linea con quanto affermato da studi analoghi riferiti ai singoli pa-esi (Combes et al. (2011)).

Di solito si ritiene che i benefici dell'agglomerazione de-rivino dalla possibilità di "condividere", "incrociare" e "ap-prendere" (si veda ad esempio Duranton e Puga, 2004). Nei grandi agglomerati, le aziende usufruiscono di una maggiore offerta di servizi pubblici, nonché di infrastrut-ture "condivise", ovvero in comune, quali laboratori pub-blici e università. Esse trovano con più facilità fornitori meglio rispondenti alle loro esigenze. Analogamente la presenza di un mercato del lavoro più ampio consente più alti livelli di flessibilità e una migliore corrispondenza tra personale e posti di lavoro. La creazione, diffusione e concentrazione delle conoscenze nei grandi agglomerati favorisce anche l'accesso alle tecnologie e alle compe-tenze. Inoltre, i benefici dell'agglomerazione sono spesso associati alla possibilità per gli abitanti di usufruire di migliori "connessioni" nelle grandi città, probabilmente derivanti dalla maggiore disponibilità di "capitali basati sulla conoscenza" (beni immateriali) grazie alle imprese ivi localizzate.

I benefici dell'agglomerazione non solo derivano dalla di-mensione demografica della città in questione, ma anche da vantaggi "presi a prestito" dagli agglomerati vicini. Per ogni raddoppio della popolazione residente in agglome-rati nel raggio di 300 km, si stima che la produttività del-la città situata al centro aumenti dell'1–1,5% (Ahrend et al. (2014a)). In parte questo potrebbe spiegare il motivo per cui la produttività degli agglomerati urbani statuni-tensi solitamente aumenta in maniera più proporzionata al numero di abitanti rispetto ai paesi europei. Essen-zialmente, poiché le distanze tra agglomerati tendono a essere minori in Europa, le città più piccole non sono par-ticolarmente svantaggiate poiché "prendono a prestito" i benefici dell'agglomerazione dalle città limitrofe.

L'importanza della governance metropolitana per l'efficienza e il benessere economico

Le aree metropolitane attraversano generalmente più confini amministrativi. Esse risentono spesso di una poli-

00

Figura 1.9 Le grandi aree metropolitane sono più produttive

VAL per occupato - USD (SPA)120 000

100 000

80 000

60 000

40 000

20 000

USA/Canada Europa (OCSE) Giappone/Corea Messico/Cile

20 000

40 000

60 000

80 000

100 000

120 0000,5 - 1 milione di abitanti1 - 2 milioni di abitanti2 - 5 milioni di abitanti5+ milioni di abitanti

Fonte: Banca dati dell'OCSE sulle città metropolitane

Page 58: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

20

tica frammentata, e non è insolito che al loro interno si-ano presenti diverse centinaia di comuni. Se questi ultimi continuano a perseguire le proprie politiche indipenden-temente dagli altri, difficilmente riusciranno ad affronta-re la sfida dello sviluppo del potenziale economico dell'a-rea metropolitana nel suo complesso e del benessere dei propri abitanti in maniera adeguata. Gli studi condotti dall'OCSE mostrano che la frammentazione dei comu-ni causa un'effettiva riduzione della crescita economica (Figura 1.11), come anche della produttività delle aree

metropolitane; secondo le stime, raddoppiando il numero dei comuni per 100 000 persone ne consegue una dimi-nuzione della produttività pari al 5–6%. È probabile che questo derivi in parte dall'insufficienza delle infrastruttu-re di trasporto, come dimostrato dalla presenza di strade extraurbane che si interrompono sul confine amministra-tivo senza alcuna ragione apparente. Questo aumenta anche le probabilità di esclusione sociale per le persone residenti in zone scarsamente collegate.

Gli effetti potenzialmente negativi della frammentazione dei comuni, tuttavia, potrebbero essere in buona parte mitigati dalle forme di governance adottate. In partico-lare, si ritiene che la presenza di un governo centrale metropolitano possa quasi dimezzare l'effetto negativo della frammentazione sulla produttività. Le aree metro-politane provviste di un organo di governance centrale, in media, registrano una minore espansione urbana incon-trollata, probabilmente grazie a un uso più efficiente del terreno e alla pianificazione dei trasporti (Figura 1.12). Analogamente, nelle aree metropolitane provviste di un'autorità dei trasporti, o nella quale vi sia un organo preposto al coordinamento del sistema dei trasporti, le persone tendono a essere più soddisfatte del servizio di trasporto pubblico; le aree interessate, inoltre, tendono ad avere livelli di inquinamento atmosferico decisamente più bassi (Ahrend et al. (2014b)).

-0,6

-0,4

-0,2

-0,6

-0,4

-0,2

Organi di governance centrale e variazioni nell'espansione urbanistica incontrollata*

1,2

1,0

0,8

0,6

0,4

0,2

0,0

Con organi di governo Senza organi di governo

0,0

0,2

0,4

0,6

0,8

1,0

1,2

* Effetti fissi a livello di paese

Fonte: Ahrend et al. (2014c)

58

63

68

73

78

58

63

68

73

78

Autorità dei trasporti e % di cittadini soddisfatti del servizio di trasporto pubblico

Con autorità dei trasporti Senza autorità dei trasporti

0,00

0,25

0,00

0,25

50 000

Germania

-0,25500 000 5 000 000

-0,25

Produttività della città (normalizzata)

Germania occidentale

Germania orientale

Popolazione (scala log10)

Fonte: Ahrend et al. (2014a)

-0,3

0

-0,3

0

30 000 000

Stati UnitiProduttività della città (normalizzata)

0,3

3 000 000300 000

Popolazione (scala log10)

0,3

11

Figura 1.11 Le aree metropolitante meno frammentate hanno registrato una crescita maggiore

Crescita media annua del PIL pro capite, 2000-2010 (%)1,5

0,50,5

1,5

ElevatoBasso Medio-bassa Medio-alta

Grado relativo di frammentazione

Fonte: Ahrend et al. (2014b)

Figura 1.12 Istituzioni pubbliche e alcuni risultati specifici

Figura 1.10 Dimensione demografica e produttività per città

Page 59: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 1: Crescita intelligente

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Nell'UE–15, il PIL pro capite delle regioni rurali è au-mentato un po' più lentamente in quanto la produttività è cresciuta meno rispetto alle altre regioni, mentre il tasso di occupazione in rapporto alla popolazione è au-mentato allo stesso ritmo delle altre regioni.

Anche nell'UE–13, il PIL pro capite delle regioni rurali è aumentato più lentamente tra il 2000 e il 2008 rispetto ad altre regioni, anche se qui si è registrata una maggio-re crescita della produttività e una contrazione dell'oc-cupazione in rapporto alla popolazione, a fronte di un aumento in altre regioni. Le due tendenze potrebbero essere tra loro collegate, nella misura in cui il maggiore aumento di produttività era attribuibile al recupero del ritardo nell'uso delle tecnologie e all'adozione di sistemi di lavoro più efficienti, anche nel comparto agricolo, de-terminando a sua volta un calo dell'occupazione.

La crisi ha avuto effetti differenziati sulle regioni rurali. Nell'UE–15 la diminuzione del PIL pro capite tra il 2008 e il 2011 è stata meno pronunciata nelle regioni rurali rispetto alle regioni urbane. Nell'UE–13, i tassi di cre-scita del PIL pro capite tra il 2008 e il 2011 sono scesi notevolmente rispetto al periodo precedente, pur man-tenendosi positivi. Le regioni urbane sono cresciute un po' di più rispetto alle altre regioni

L'occupazione è diminuita in tutte le tipologie di regioni, ma in maniera più consistente nell'UE–15 e nelle re-gioni rurali dell'UE–13. La produttività ha continuato a crescere nell'UE–15 ma soprattutto nell'UE–13. In en-trambe le aree, le regioni rurali hanno registrato una crescita maggiore rispetto alle altre.

Nel 2011, le differenze a livello di PIL pro capite tra le tre tipologie di regione erano molto minori nell'UE–15 rispetto all'UE–13. Nelle regioni rurali, il PIL pro capite medio corrispondeva al 90% della media UE, nelle re-gioni rurali era pari al 124% della media, con una diffe-renza di 34 punti percentuali. Nell'UE–13, al contrario, il PIL pro capite nelle regioni rurali era solo il 46% della media UE, mentre nelle regioni urbane era pari al 108% della media, con una differenza di 62 punti percentuali.

7. Il tasso di creazione di impresa e l'imprenditorialità dipendono dall'iniziativa individuale e dal corretto ambiente istituzionale

La demografia imprenditoriale rispecchia il dinamismo di un'economia tramite l'adattamento delle strutture economiche e delle imprese ai cambiamenti nelle con-dizioni del mercato. Nel periodo 2014–2020, la politica di coesione è fortemente incentrata sul supporto alla crescita intelligente con particolare attenzione all'in-novazione e alle imprese a forte crescita, tramite pro-grammi atti a supportare la capacità innovativa delle PMI. Anche nei precedenti periodi, una quota cospicua del fondo stanziato nell'ambito della politica di coesione è stata destinata a interventi di miglioramento dell'am-biente imprenditoriale e di supporto della creazione d'impresa.

Gli indicatori sulla demografia imprenditoriale regiona-le mostrano i luoghi della creazione di nuove attività e la velocità di crescita delle imprese. In questa sezione, vengono esaminati due indicatori principali: il tasso di natalità delle imprese (imprese create in una regione ri-spetto al numero di imprese esistenti nella stessa zona) e il tasso di mortalità (imprese che hanno cessato l'at-tività dall'ultima attività svolta nella regione rispetto al numero complessivo di aziende attive).

Il tasso di natalità delle imprese costituisce uno dei principali motori della creazione di posti di lavoro e del-lo sviluppo economico. La presenza di imprese nuove e innovative tende ad aumentare la competitività econo-mica sia in maniera diretta sia stimolando i concorrenti ad adottare pratiche più efficaci. I tassi di mortalità ten-dono a indicare quelle attività economiche che hanno smesso di essere profittevoli.

Nel 2010, le imprese di nuova creazione erano tenden-zialmente più numerose all'interno o nei pressi delle regioni della capitale, negli Stati membri più sviluppati come anche in quelli meno sviluppati. I tassi di natalità erano più alti anche nelle regioni caratterizzate da un'e-conomia in continua espansione (soprattutto in Polonia) o da una rapida ripresa dopo la pesante contrazione del 2009 (come in Slovacchia) (Figura 1.14).

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Page 61: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 1: Crescita intelligente

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Definizione OCSE–UE di città e zona di pendolarismo e di regioni metropolitane

La nuova definizione UE–OCSE è legata alle regioni metropolitane.

Le città, nella nuova definizione, sone le stesse di quelle individuate in base al grado di urbanizzazione (si veda sopra). Una città viene definita come un insieme di uno o più comuni (amministrazione locale di livello 2) con almeno il 50% della popolazione residente in un centro urbano.

L'area di pendolarismo della città viene identificata come la serie di comuni limitrofi in cui almeno il 15% dei resi-denti viaggia regolarmente verso la città per lavorare. I comuni sotto questa soglia ma circondati da altri comuni sopra la soglia vengono inseriti anch'essi nella zona di pendolarismo. (Per ulteriori informazioni, si veda Dijkstra e Poelman 2012 e OCSE 2012). La città sommata alla zona di pendolarismo costituisce la cosiddetta area urbana funzionale.

Questa relazione contiene i dati relativi ai centri urbani (accesso al trasporto pubblico), città (rischio di povertà) e le città e le zone di pendolarismo (qualità dell'aria).

Le regioni metropolitane1 sono composte dalle città più le zone di pendolarismo con oltre 250 000 abitanti. Se in una regione NUTS 3 oltre il 50% della popolazione è residente in una città, compresa la zona di pendolarismo, essa viene considerata come (parte di) regione metropolitana.

Si distinguono tre tipologie di regioni metropolitane:

1. regioni della capitale (ovvero le regioni in cui si trova la capitale della nazione);

2. regioni metropolitane di secondo livello;

3. regioni metropolitane più piccole.

Le regioni metropolitane di secondo livello consistono nelle città più estese di una regione, ad esclusione della capitale. Per distinguerle dalle regioni metropolitane più piccole viene usata una linea di demarcazione naturale secondo il numero di abitanti.

1 Eurostat, Metropolitan regions, http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/region_cities/metropolitan_regions.

Celle ad alta densità, centro urbano e città (Graz)

Cella ad alta densità (>1 500 abit. per kmq.)

Comuni

Centro urbano (Gruppo di celle ad AD con popolazione > 50 000)

Comuni più estesi > 50% della popolazione risiede in un centro urbano

Città dell'audit urbano

Page 62: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Il pendolarismo e le geografie funzionali

La differenza nel PIL pro capite tra le regioni urbane e altre regioni è in parte attribuibile alle distorsioni pro-vocate dal fenomeno del pendolarismo. Il numero di persone occupate in una regione urbana ma residenti in una regione limitrofa o rurale determina un incremento del PIL pro capite della regione urbana (concorrendo alla formazione del PIL ma non del numero di abitanti), e nel contempo una diminuzione del PIL pro capite della regione di residenza (concorrendo alla formazione del numero di abitanti ma non del PIL). In vari casi si tratta di un effetto limitato, in altri può avere dimensioni molto ampie. Ad esempio, la metà delle persone che lavora a Bruxelles non abita nella regione di Bruxelles, pertanto il PIL pro capite a Bruxelles è quasi il doppio del valore che avrebbe in assenza del pendolarismo. Data questa situazione, il PIL pro capite non costituisce un buon indi-catore del reddito pro capite.

L'utilizzo delle regioni funzionali, quali ad esempio i ba-cini occupazionali1 o le regioni metropolitane, consente di evitare questa distorsione. Sulle 272 regioni me-tropolitane, tuttavia, ben 42 combinano tra loro zone rurali, intermedie e urbane, pertanto in questi casi le differenze in termini di PIL pro capite tra le tre tipologie di aree sono probabilmente eccessive per effetto del pendolarismo.

Un metodo per mettere in evidenza l'impatto del pen-dolarismo consiste nel confrontare il PIL pro capite (distorto dal pendolarismo) con il PIL per persona oc-cupata, considerando le persone occupate in base al posto di lavoro al fine di superare la distorsione provo-

1 L'Eurostat ha istituito una task force per esaminare le diverse metodologie riguardanti il mercato del lavoro. I risultati saranno disponibili nel 2015.

cata dal pendolarismo. Naturalmente il PIL pro capite per occupato è ovviamente molto più alto del PIL pro capite, poiché solo la metà della popolazione totale è occupata. Nell'ambito di una regione funzionale priva di pendolarismo interno o esterno, questa differenza dovrebbe corrispondere alla percentuale di popolazio-ne occupata.

Tuttavia, ad esempio, nel caso della regione metropoli-tana di Parigi, il PIL pro capite è molto più alto di quanto suggerirebbe la differenza tra le due aree con pendo-larismo netto interno, mentre è decisamente più basso più alto nelle aree con pendolarismo netto esterno (Fi-gura 1.13). Questo è indicativo di un aumento gonfiato del PIL pro capite nelle regioni in cui il numero di posti di lavoro supera il numero di occupati residenti, e della riduzione nelle regioni in cui si verifica il contrario (a tutti gli effetti regioni "dormitorio" a fianco delle regioni ove si concentrano le attività economiche).

Esiste un consenso crescente sulla necessità di colle-gare le politiche economiche e le strategie di sviluppo a regioni più funzionali, anziché affrontare specifici punti di un ambito economico o occupazionale. Questo è di-mostrato dall'introduzione di nuovi strumenti per il go-verno delle aree metropolitane in Francia, Regno Unito e in altri paesi. Ed è anche il motivo per cui nella valutazio-ne della competitività regionale si è proceduto all'unione di diverse regioni NUTS 2, onde evitare di frammentare un'unica regione metropolitana in più regioni.

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Figura 1.13 PIL pro capite e per persona occupata nella regione metropolitana di Parigi, 2010

Indice, Regione metropolitana di Parigi=100 PIL pro capite PIL per persona occupata180

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Hauts-de-Seine Parigi Val-de-Marne Essone Yvelines Seine-Saint-Denis

Val-d’Oise Seine-et-Marne

Fonte: Eurostat e calcoli della DG REGIO

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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In Francia, dove il tasso di natalità imprenditoriale è risultato mediamente elevato, esistono spiccate diffe-renze regionali, con tassi più alti nelle regioni più peri-feriche e meridionali, oltre che attorno a Parigi e nelle regioni confinanti con il Belgio e la Germania.

In Austria e in Italia si sono registrati tassi di natali-tà particolarmente bassi. Altri paesi presentano ampie differenze regionali, anche se in alcuni casi imputabili a un'unica regione in particolare, come ad esempio Ilfov in Romania, la regione NUTS 3 attorno a Budapest e Byen

Novità rispetto al grado di urbanizzazione e alla tipologia urbano–rurale

Nella Quinta relazione sulla coesione sociale, la Commis-sione europea ha sviluppato una nuova tipologia territo-riale associata a una corrispondente tipologia regionale1.

Entrambe le tipologie fanno riferimento a un nuovo strumento analitico, una griglia demografica utile per individuare tre tipi di celle:

1. centro urbano (denominazione alternativa: cluster ad alta densità): sequenza di celle contigue di un chilometro quadrato con una densità minima di 1 500 abitanti per chilometro quadrato e una po-polazione minima di 50 000 persone;

2. cluster urbano: sequenza di celle contigue di un chi-lometro quadrato con una densità di almeno 300 abitanti per chilometro quadrato e popolazione mi-nima di 5 000 persone;

3. cella rurale: celle esterne ai cluster urbani.

1 Eurostat, Urban-rural typology, http://epp.eurostat.ec.europa.eu/statistics_explained/index.php/Urban-rural_typology..

Esse vengono poi utilizzate per definire le seguenti tre tipologie di comuni (amministrazione locale di livello 2):

1. città: almeno il 50% della popolazione vive in un centro urbano;

2. piccoli centri e quartieri: meno del 50% della po-polazione vive in un centro urbano, ma oltre il 50% vive in un cluster urbano;

3. zone rurali: almeno il 50% della popolazione vive nelle cosiddette celle rurali.

Tali celle sono anche utilizzate per definire le regioni NUTS 3 nel modo seguente:

1. prevalentemente urbana: meno del 20% della po-polazione vive in una cella rurale;

2. intermedia: tra il 20% e il 50% della popolazione vive in un cella di tipo rurale;

3. prevalentemente rurali: almeno il 50% della popo-lazione vive nelle cosiddette celle rurali.

Così si crea una connessione particolarmente stretta tra regioni rurali e aree rurali, essendo definite nella stessa identica maniera.

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16

4

7

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AT IT ES RO HU FI NL SI DK BG CZ EE PT FR SK PL

In % sul numero di imprese Media nazionale Regioni NUTS 3

Fonte: Eurostat

Figura 1.14 Tasso di natalità delle imprese, 2010

Page 64: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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København (tasso elevato) e Bornholm (tasso basso) in Danimarca.

I tassi di mortalità delle imprese erano particolarmen-te alti in Romania, Slovacchia e in molte regioni polac-che, oltre che nelle regioni meridionali della Spagna (es. Andalucia e Murcia), Italia (es. Calabria) e nelle regioni orientali in Danimarca (Figura 1.5). Si sono registrati bassi tassi di mortalità nei Passi Bassi, in Austria, nell'I-talia nord–orientale e in varie regioni della Francia. È interessante notare la tendenza, da parte delle regioni della Polonia e della Slovacchia, a registrare tassi cospi-cui di natalità e mortalità, segno di un livello di avvicen-damento (o "abbandono") molto elevato. In Romania, nel 2010 gli alti tassi di mortalità erano affiancati da bassi tassi di natalità, a indicare un'ulteriore contrazio-ne economica dopo la grave recessione del 2009.

Questo nuovo insieme di dati sulla demografia impren-ditoriale regionale potrebbe diventare un indicatore po-litico di particolare importanza per misurare le dinami-che imprenditoriali a livello regionale. Può infatti servire per identificare i tassi di creazione di impresa inferiori alla media, o le regioni con un alto tasso di mortalità o un basso tasso di sopravvivenza. Ognuno di questi tre esempi richiederebbe un ulteriore approfondimento volto a indagare le cause della scarsa qualità dell'am-biente imprenditoriale nelle regioni in questione.

L'imprenditorialità costituisce un motore fondamentale per lo sviluppo, la ristrutturazione e la crescita delle re-gioni. Essa può essere considerata come un'interazione dinamica e istituzionalizzata tra atteggiamenti, capacità

e aspirazioni dei singoli individui, finalizzata a plasmare la distribuzione delle risorse attraverso la creazione di nuove attività e la gestione di quelle esistenti. Pertanto l'imprenditorialità si traduce con un complesso processo che comporta decisioni individuali all'interno di un con-testo più ampio. Questo fenomeno è stato studiato dal punto di vista dell'individuo e del contesto, tuttavia la complessa relazione tra questi due elementi non è mai stata analizzata prima a livello regionale.

Le variazioni in termini di imprenditorialità misurate nelle 125 regioni sono notevoli (Carta 1.9), con una dif-ferenza di oltre il quadruplo tra la prima in classifica (Hovedstaden in Danimarca) e l'ultima (Macroregiunea doi in Romania). Tra le prime 10 vi sono quatto regioni svedesi, due danesi, due britanniche, una francese e una irlandese. Hovedstaden è seguita dalle due regioni con le due città più grandi di tutta l'UE, Greater London e Île de France. Altre regioni più sviluppate, sedi di grandi cit-tà con un PIL pro capite più alto, in genere occupano una posizione più alta rispetto alle regioni meno sviluppate dello stesso paese. Nella maggioranza dei casi, le re-gioni della capitale occupano la prima posizione in ogni paese. Le regioni nelle ultime posizioni appartengono a Romania, Ungheria e Grecia.

L'indice contiene sia indicatori individuali sia indicatori istituzionali e ambientali (si veda il riquadro), rispec-chiando il contesto regionale. Ad esempio, un fattore come la percezione del rischio deriva dalla combinazio-ne tra un fattore istituzionale (l'effettivo rischio impren-ditoriale a carico della start–up, misurabile in termini di tasso di chiusura) e un fattore individuale (l'accet-

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NL AT FR SI BG IT FI HU ES EE DK PL SK RO

Figura 1.15 Tasso di mortalità delle imprese, 2010

In % sul numero di imprese Media nazionale Regioni NUTS 3

Fonte: Eurostat

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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Page 66: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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tazione personale del rischio di impresa, misurabile in termini di percentuale di popolazione tra i 18 e i 64 anni che afferma di non sentirsi frenata dalla paura del falli-mento nella creazione di una nuova impresa).

L'analisi degli aspetti individuali offre un quadro diverso rispetto all'indice combinato (Carta 1.10). Le 10 miglio-ri regioni in termini di indice "individuale" comprendono non solo 5 regioni tra le prime 10 della classifica pro-dotta dall'indice combinato (es. London, Hovedstaden e Île de France), ma anche le due regioni slovene e le due irlandesi. Le 10 regioni in fondo alla classifica, diversa-mente dai risultai dell'indice combinato, comprendono 3 regioni tedesche e 4 regioni polacche.

Questa analisi può servire alle regioni per calibrare me-glio le strategie intese a rimuovere gli ostacoli e liberare il potenziale imprenditoriale, compresa l'imprenditoria sociale.

8. L'innovazione resta territorialmente concentrata

Come ampiamente documentato dalla letteratura eco-nomica, la ricerca e l'innovazione svolgono un ruolo fon-damentale nel determinare la performance economica nazionale e regionale. L'innovazione, intesa nel senso ampio di innovazione di prodotto, processo, mercato e organizzazione, risulta essere uno dei principali motori della crescita economica, dell'occupazione e della so-stenibilità ecologica, e ha quindi un'importanza critica per il progresso sociale e per il benessere.

In particolare, l'innovazione è uno dei principali motori della crescita della produttività sul lungo periodo e rive-ste un ruolo cruciale per il mantenimento della compe-titività delle imprese sulle imprese concorrenti. Questi concetti si applicano in modo particolare alle imprese europee, sempre più in competizione con le imprese lo-calizzate nelle zone meno sviluppate del mondo e nel-le economie emergenti. Queste ultime non solo stanno velocemente recuperando il proprio ritardo tecnologico, ma continuano a trarre vantaggio da un costo del la-voro inferiore reso possibile da un'organizzazione del mercato del lavoro secondo standard differenti, dall'as-senza di tutele sociali per i lavoratori e da aspettative di reddito inferiori, anche se il basso costo del lavoro è parzialmente controbilanciato da una minore produtti-vità. Da questo punto di vista, l'innovazione e la capaci-

Indice dell'imprenditorialità regionale e dello sviluppo — REDI

Un recente progetto UE1 ha sviluppato un indice (in-dice dell'imprenditorialità regionale e dello sviluppo o REDI–Regional Entrepreneurship and Development Index) per descrivere il processo di creazione d'im-presa, tenendo conto sia di atteggiamenti e caratte-ristiche individuali sia del contesto regionale, in gra-do quindi di misurare non solo la disponibilità delle persone ad avviare una nuova attività, ma anche la presenza delle condizioni necessarie nella regione di riferimento.

Questo indice si compone di tre sottoindicatori re-lativi ad atteggiamenti imprenditoriali, capacità e aspirazioni. Ciascun sottoindicatore è formato da una componente individuale (relativa al compor-tamento decisionale del singolo) e da una istitu-zionale (relativa al contesto). Con atteggiamenti imprenditoriali si intendono l'insieme degli atteg-giamenti della popolazione di una regione nei con-fronti dell'imprenditorialità, con elementi quali la percezione delle opportunità e dei rischi, il sostegno culturale e la capacità di fare rete. Essi vengono misurati da indicatori inerenti l'agglomerazione dei mercati, il capitale sociale e il grado di corruzione. Le capacità imprenditoriali misurano le caratteri-stiche degli imprenditori e delle nuove imprese ad alto potenziale di crescita, come l'adozione delle tecnologie, il livello del capitale umano e il grado di competizione sul mercato. Tali indicatori com-prendono il livello di istruzione, il grado di sofisti-cazione delle imprese e la libertà operativa delle imprese. Le aspirazioni imprenditoriali fanno rife-rimento alla natura distintiva, strategica dell'attivi-tà imprenditoriale, quale l'innovazione di prodotto e di processo e l'accesso ai finanziamenti. Esse si misurano utilizzando gli indicatori di innovazione, R&S e sviluppo del mercato finanziario. Gli indica-tori possono fare riferimento alle regioni (NUTS 1 o NUTS 2) oppure ai paesi.

1 Szerb, L. et al. (2013)

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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tà di assimilare le innovazioni prodotte altrove risultano essere condizioni importanti per riuscire a preservare le caratteristiche specifiche del modello sociale europeo.

Inoltre, contrariamente alla crescita ottenuta dalla ri-strutturazione delle economie, la crescita derivante dall'innovazione è per sua essenza priva di limiti, ecco perché è fondamentale per assicurare la crescita eco-nomica e lo sviluppo sul lungo periodo4.

Il livello di spesa regionale per attività di ricerca e svi-luppo (R&S) costituisce uno dei principali indicatori per la valutazione degli investimenti a favore dell'innovazione5. Il progresso tecnologico è in larga misura prodotto dalle attività di R&S e la spesa per R&S è indicativa dell'im-pegno da parte del settore pubblico e delle imprese a generare innovazioni e nuove opportunità di mercato6. Il ruolo svolto da R&S nel sostenere i motori principali della crescita è entrato a far parte degli obiettivi chiave della strategia Europa 2020, in particolare la spesa per R&S nell'UE dovrebbe raggiungere il 3% del PIL entro il 2020.

Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2011 la spesa per R&S nell'UE–28 si aggirava attorno al 2% del PIL (Carta 1.11). Tuttavia alcune regioni presentano signifi-cativi scostamenti rispetto alla media–Braunschweig in Germania e Brabant Wallon in Belgio hanno registrato una spesa per R&S pari all'8% del PIL, a fronte di altre regioni (Ciudad Autónoma de Ceuta in Spagna, Dytiki Macedonia, Notio Aigaio in Grecia e Severozapaden in Bulgaria) in cui la spesa era pari a solo lo 0,1% del PIL.

La spesa per R&S nell'Unione è aumentata regolarmen-te nell'ultimo decennio, passando nell'UE–27 dall'1,8% del PIL nel 1995 al 2,0% nel 2011. Tuttavia, la crescita ha seguito un passo troppo lento per colmare il divario con le economie mondiali altamente sviluppate, quali il Giappone dove nel 2011 la spesa per R&S era pari al 3,7% del PIL o gli USA con il 2,9% del PIL.

4 Questa importanza è riconosciuta dall'iniziativa denominata Innovation Union, lanciata nel 2010 nell'ambito della strategia Europa 2020 per stimolare la ricerca e l'innovazione nell'UE attra-verso 34 specifiche azioni.

5 Va notato, tuttavia, che se la spesa per R&S tende a sottostimare le attività innovative, in particolare nei settori esterni alla produ-zione dove le innovazioni non tecnologiche sono frequenti (si veda la sezione dedicata al Quadro regionale di valutazione dell'innova-zione riportata di seguito).

6 Si osservi come la spesa per R&S costituisca un indicatore iniziale non rappresentativo di quanto tale spesa sia effettivamente trasformata in innovazioni, e più specificatamente in innovazioni commerciali.

Generalmente le regioni con il più alto tasso di spesa per R&S sono le regioni più sviluppate. Tra le 20 re-gioni dell'UE con i più alti livello di spesa per R&S, 16 hanno un PIL pro capite superiore al 100% della media dell'UE–27. La stragrande maggioranza delle regioni con i più bassi livelli di spesa per R&S è situata negli Stati membri meridionali, centrali o orientali, oppure nelle regioni con livelli di PIL pro capite relativamente bassi degli Stati membri occidentali.

8.1 R&S e l'obiettivo 2020

Nel 2011 la spesa per R&S superava l'obiettivo di Europa 2020 del 3% solo in 32 regioni dell'UE, mentre era infe-riore all'1% in 100 regioni. La maggioranza delle regioni detiene un livello di spesa nettamente inferiore all'o-biettivo nazionale, che per molti Stati membri è inferio-re all'obiettivo generale (Tabella 1.6 e Carta 1.12). Solo 32 regioni hanno raggiunto l'obiettivo di spesa nazionale e persino gli Stati membri con un livello di spesa vicino alla soglia nazionale (es. Danimarca, Svezia e Germania) presentano notevoli disparità regionali7. Tuttavia, non per tutte le regioni è possibile o consigliabile raggiungere l'o-biettivo nazionale, poiché le differenze regionali in questo senso costituiscono una caratteristica intrinseca della si-tuazione, come esposto qui di seguito.

La spesa per R&S è generalmente elevata nelle regioni ove vi siano grandi città, anche se la regione con la cit-tà di maggiori dimensioni, solitamente la capitale, non sempre presenta i livelli più alti. In effetti, in numerose regioni con una spesa elevata non vi sono città mol-to grandi, come Oulu in Finlandia o Styria in Austria. Questo è in parte dovuto alla tendenza, da parte delle città molto grandi, ad avere una quota minore di attività manifatturiere, che sono quelle che generano la mag-gior parte del settore R&S.

Il settore R&S non è rappresentativo della spesa com-plessiva per l'innovazione. Pur rappresentando un'am-pia fetta della spesa per l'innovazione nel settore mani-fatturiero, essa non coglie buona parte della spesa nei servizi. Essendo il settore manifatturiero concentrato territorialmente, è realistico prevedere che non tutte le regioni raggiungeranno l'obiettivo nazionale di spesa per R&S. Infatti, grazie alle "esternalità" positive, ovvero

7 Si veda ESPON (2013), Territorial Dimension of the Europe 2020 Strategy.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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alle ricadute prodotte dalla concentrazione dell'innova-zione tecnologica in alcune aree specifiche, molte re-gioni non dovrebbero cercare di raggiungere l'obiettivo nazionale in materia di R&S, bensì dovrebbero concen-trarsi sull'individuazione di altri metodi di innovazione.

L'innovazione costituisce un fattore chiave di sviluppo per tutte le regioni UE, non solo per quelle più tecnolo-gicamente avanzate. Tuttavia, esse differiscono note-volmente tra loro in termini di rendimento innovativo. Alcune sono molto vicine alla frontiera tecnologica glo-bale e la loro crescita è generalmente imperniata su R&S e sull'innovazione tecnologica, al fine di ampliare sempre più questa frontiera. Altre stanno recuperando il ritardo con le regioni più avanzate tramite un processo di assorbimento delle tecnologie esistenti; la loro sfida principale consiste nell'aumentare la capacità dei lavo-ratori e delle imprese di realizzare questo processo.

Per un altro gruppo di regioni, la scarsità delle infrastrut-ture e la qualità del contesto imprenditoriale costituisco-no un fattore limitante. Pertanto, è fondamentale tenere conto dei vari aspetti che compongono l'innovazione oltre al semplice R&S, o alla pura innovazione tecnologica, al fine di poter fornire un quadro più preciso e completo del-la geografia dell'innovazione nell'UE. Questo è l'approc-cio adottato dal Quadro di valutazione dell'innovazione regionale (o RIS–Regional Innovation Scoreboard) per la stima del rendimento innovativo nelle regioni NUTS 1 e 2.

Il RIS copre 190 regioni europee in tutto–le regioni dell'UE più quelle della Norvegia e della Svizzera8. Esso utilizza 11 indicatori relativi a diversi aspetti cruciali per l'innovazione, quali ad esempio "Risorse umane", "Finanziamenti e aiuti", "Investimenti delle imprese", "Collaborazioni e attività imprenditoriali" (rilevazione degli sforzi imprenditoriali e della disponibilità ad in-

8 Informazioni sul metodo e sugli indicatori utilizzati per la rico-struzione del RIS sono reperibili nella relazione predisposta dalla Commissione europea "Quadro di valutazione dell'innovazione re-gionale 2014", Commissione europea (2014).

staurare collaborazioni), "Risultati" (ovvero il numero di imprese che hanno introdotto innovazioni sul mercato o all'interno della propria organizzazione e i relativi ef-fetti sull'occupazione, sulle esportazioni e sulle vendite). Ai fini dell'analisi, le regioni sono state raggruppate in quattro categorie (Carta 1.13): leader dell'innovazione (34 regioni), follower o regioni che tengono il passo (57 regioni), innovatori moderati (68 regioni) e innovatori cosiddetti modesti o in ritardo (31 regioni).

In genere, dai dati emersi la resa regionale risulta es-sere tendenzialmente in linea con la resa nazionale. I leader e follower regionali dell'innovazione sono per lo più localizzati nei paesi definiti come tali nel quadro di valutazione "L'unione dell'innovazione" (IUS), e lo stesso dicasi per gli innovatori regionali moderati e modesti. Tutti i leader regionali dell'innovazione appartengono a soli 8 Stati membri (Danimarca, Germania, Finlandia, Francia, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito), a dimostrazione del fatto che sono relativamente po-che le zone dell'Europa in cui si concentra l'eccellenza nell'innovazione. Le regioni in Bulgaria, Croazia, Grecia, Polonia e Romania hanno ottenuto la valutazione peg-giore in termini di rendimento.

Vi sono tuttavia alcune differenze a livello di rendimen-to regionale all'interno dei singoli paesi. In particolare, in 14 paesi vi sono regioni appartenenti a due grup-pi di rendimento e 4 (Francia, Portogallo, Slovacchia e Spagna) a 3 gruppi. Solo in Austria, Belgio, Bulgaria, Repubblica ceca e Grecia tutte le regioni appartengono allo stesso gruppo.

Dalla rilevazione condotta per il periodo 2004–2010, emerge come il rendimento sul piano dell'innovazione sia peggiorato nella maggioranza delle regioni (155 su 190, si veda la Carta 1.14). Le regioni con tassi di cre-scita relativamente alti sono presenti in tutta l'UE. In ogni paese, almeno una regione ha migliorato la propria resa di oltre la media UE. Questo vale per tutte le regio-ni di Austria, Irlanda, Paesi Bassi e Svizzera.

Tabella 1.6 Spesa totale per R&S e distanza dall'obiettivo 2020, regioni dell'UE–28, 2011

Più sviluppate

Transizione Meno sviluppate

UE–28

R&S in % sul PIL, 2011 2,3 1,3 0,8 2,1

Distanza dall'obiettivo nazionale (differenza in punti %)

0,4 1,4 0,9 0,9

% di regioni* che ha raggiunto l'obiettivo nazionale 21 8 5 14* Comprende solo le regioni con dati statistici e un obiettivo nazionale. Fonte: Eurostat e calcoli della DG REGIO

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Viceversa nella metà dei paesi (14), almeno una re-gione ha peggiorato il proprio rendimento durante questo periodo. L'indice è sceso di oltre il 2,5% annuo in 7 regioni polacche, 4 regioni spagnole e 1 regione in Croazia, Italia e Romania. Una ulteriore diminuzio-ne (superiore al 10% annuo) si è registrata in Ciudad Autónoma de Ceuta e Ciudad Autónoma de Melilla in Spagna e Podlaskie e Kujawsko–Pomorskie in Polonia. Nel complesso, i risultati indicano l'assenza di segnali di recupero del divario, inteso come avvicinamento del rendimento delle regioni meno innovative verso quello delle regioni più innovative.

Molte tra le regioni più innovative (leader dell'innova-zione e follower con un ottimo rendimento) registrano un punteggio elevato per quasi tutti gli indicatori (es. risorse umane, spesa per R&S, imprenditorialità e inno-vazioni di processo e di prodotto). Al contrario, la mag-gioranza degli innovatori moderati e modesti registrano valori estremamente diversi tra loro per i vari aspetti.

Un fattore chiave per l'imprenditorialità e l'innovazione è rappresentato da un atteggiamento positivo dei sin-goli nei confronti della novità (secondo i dati dell'indagi-ne sociale europea). Inoltre, il rendimento regionale di-pende in buona parte dalla presenza di un sistema ben sviluppato di finanziamenti pubblici a sostegno dell'in-novazione e dall'accesso delle imprese a tali forme di aiuto. Questo suggerisce che i finanziamenti pubblici possono compensare la carenza di finanziamenti privati nella promozione delle attività innovative.

In genere l'analisi conferma l'esistenza di differenze profonde tra le regioni UE in termini di rendimento in-novativo, a conferma del fatto che l'innovazione ha una forte dimensione regionale. Date queste ampie differen-ze, è necessario che i programmi di supporto all'innova-zione, compresi quelli rientranti nell'ambito della politi-ca di coesione, tengano chiaramente conto del contesto locale o regionale durante la fase di progettazione delle misure di sostegno da erogare.

8.2 I brevetti nell'UE e negli USA

Nel biennio 2008–2009, sono state depositate all'Uf-ficio europeo dei brevetti (UEB) circa 135 domande di brevetto per milione di abitanti. Negli USA, nello stesso periodo sono state depositate 408 domande per milio-ne di abitanti. La maggiore numerosità dei brevetti negli

USA è il segnale di un'economia più innovativa, ma an-che di una maggiore propensione alla presentazione di domande di brevetto.

Nonostante le marcate differenze regionali in entram-bi i territori, nella maggioranza degli Stati USA il nu-mero dei brevetti pro capite è molto più alto rispetto alle regioni UE. Nell'UE, le regioni con il maggior nu-mero di domande sono Noord–Brabant (559 per milio-ne di abitanti), Stuttgart (544) e Mittelfranken (505); altre regioni numericamente rilevanti si trovano in Germania, Inghilterra meridionale, Svezia e Finlandia. Nella maggioranza delle regioni UE, tuttavia, il nume-ro di brevetti pro capite rimane relativamente basso (Carte 1.15 e 1.16).

Negli USA, gli Stati con il maggior numero di domande sono localizzati sulle costa orientale e occidentale, so-prattutto in Massachusetts (879 per milione di abitanti) e California (864).

I dati relativi alle domande di brevetto suggeriscono che, mentre alcune regioni UE potrebbero essere pros-sime alla frontiera della conoscenza globale in alcune aree economiche, la maggioranza è ancora molto lon-tana. Negli USA, presumibilmente molti più Stati appar-tengono alla prima categoria.

9. La quota di istruzione terziaria sta aumentando, ma permangono forti disparità

L'istruzione terziaria, con i suoi collegamenti al mon-do della ricerca e dell'innovazione, può contribuire a creare quel capitale umano altamente qualificato ne-cessario all'UE per la creazione di lavoro, la crescita economica e i miglioramenti a livello di stato sociale9.

La disponibilità di una forza lavoro istruita è essenziale per la prosperità. Il livello di istruzione della forza lavo-ro di una regione e il valore mediano dei redditi nella stessa regione tendono a essere strettamente corre-lati. Inoltre, il raggiungimento di un livello di istruzio-ne relativamente alto tende a indicare una riduzione del rischio di disoccupazione. La quota di popolazione tra i 25 e 64 anni con un livello di istruzione elevato

9 Commissione europea (2012), Education and training monitor 2012.

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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Programma quadro per la competitività e l'innovazione

Il Programma quadro per la competitività e l'innovazio-ne (CIP) rientra tra i vari programmi di finanziamento dell'UE a sostegno delle attività innovative (comprese le eco–innovazioni), l'accesso al credito e ai servizi di supporto all'impresa. Con uno stanziamento pari a 3,6 miliardi di euro per il periodo 2007–2013, si rivolge in particolare alle piccole e medie imprese; pur non avendo come obiettivo specifico la coesione, sostiene progetti che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi della coesione.

Gli strumenti principali utilizzati per il sostegno alle PMI sono gli strumenti finanziari (con finanziamenti pari a circa 1 miliardo di euro), ma anche reti, piattaforme e agenzie (es. la rete Imprese Europa, PRO INNO Eu-rope e Europe INNOVA). Altre iniziative comprendono gli European Cluster (es. European Cluster Observatory, European Cluster Excellence Initiative) e il supporto alle eco–innovazioni, progetti di market replication e pro-getti pilota sulle TIC.

Il CIP promuove anche l'effettuazione di analisi stati-stiche sull'innovazione regionale. Il progetto dell'osser-vatorio regionale per l'innovazione (denominato RIM Plus) fornisce una piattaforma per lo scambio di co-noscenze sulle politiche regionali di innovazione nelle regioni dell'UE. Il Quadro regionale per la valutazione dell'innovazione (RIS) offre un'analisi comparativa del rendimento delle regioni in termini di innovazione. L'e-

dizione 2012 del RIS conferma la presenza di situazio-ni molto variegate in termini di rendimento innovativo regionale, dimostrando che le differenze non sono mol-to cambiate nel corso del tempo. Tra il 2007 e il 2011, pertanto, solo pochissime regioni hanno registrato un miglioramento del proprio rendimento.

Capitalizzando le lezioni apprese grazie al CIP, i due programmi sono finalizzati a sostenere la competiti-vità e l'innovazione nel periodo di programmazione 2014–2020. Il Programma per la competitività delle imprese e delle PMI (COSME) affronta vari aspetti le-gati alla competitività di particolare rilevanza per le PMI. L'innovazione è un tema affrontato dal Program-ma quadro per la ricerca e l'innovazione Orizzonte 2020. Elemento chiave dei nuovi programmi è il raf-forzamento delle sinergie tra COSME, Orizzonte 2020 e i Fondi strutturali. Le regioni sono chiamate a defi-nire strategie regionali di specializzazione intelligente al fine di massimizzare l'impatto degli investimenti, sfruttare al meglio il potenziale innovativo e creati-vo del proprio mercato interno e collegare le proprie capacità in termini di ricerca e sviluppo alle esigenze delle imprese. In questo ambito, i fondi previsti dalla politica di coesione possono costituire una importante fonte di sostegno per l'applicazione di tecniche di pro-duzione avanzate, la modernizzazione delle fabbriche e lo sviluppo di tecnologie abilitanti.

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FI IE CY LU UK EE SE BE DK LT NL ES FR LV DE SI EL PL BG HU AT CZ SK HR PT MT IT RO

Figura 1.16 Percentuale di popolazione con un'istruzione terziaria per paese ed estremi regionali, 2013

% sulla popolazione 25-64 anni Massimo regionale Minimo regionale Media nazionaleInner

London

Helsinki-Uusimaa

Southern and

Eastern

Cipro

Lussemburgo

Åland

Tees Valley and

Durham

Norra Mellansverige

Prov. Hainaut

Estonia

Stoc-colma

Prov. Brabant Wallon

Hovedstaden

Lituania

Midtjylland

Utrecht

Zeeland

Île de France

Lettonia

Berlino

Ciudad Autónoma de Ceuta

(ES)

Picardie ArnsbergVzhodna Slovenija

Zahodna Slovenija

Notio Aigaio

Attiki

MazowieckieYugozapaden

Lubuskie

Severozapaden

Közép-Magayrország

Vienna

Praga

Észak-MagyarországBurgenland

Severozápad

Bratislavský Kraj

Západné Slovensko

Kontinentalna Hrvatska

Jadranska Hrvatska

Lisbona

MaltaLazio

PugliaRegião Autónoma dos

Açores (PT)

Sud-Muntenia

Bucuresti-Ilfov

Fonte: Eurostat

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(ovvero con un diploma di livello universitario), tuttavia, varia notevolmente da regione a regione (Carta 1.17 e Figura 1.16). Nel 2013 questa quota superava il 40% solo nel 10% delle regioni, con i valori più alti in Inner London, Brabant Wallon e Helsinki. In molti casi, sono le regioni della capitale o le regioni adiacenti a registrare i livelli di istruzione più elevati10.

Viceversa, la quota è inferiore al 15% in 15 regioni, lo-calizzate in particolare in Italia e in Romania.

Si possono riscontrare differenze notevoli tra regioni appartenenti allo stesso paese. Nel Regno Unito la quo-ta di persone con un'istruzione terziaria varia dal 28% al 63%, superando il divario tra Stati membri, compreso tra il 16% e il 42%. All'altro estremo, circa un quarto della popolazione tra i 25 e i 64 anni nell'UE dispone solo dell'istruzione di base (ovvero ha un titolo di studio inferiore al diploma di scuola secondaria superiore). Le regioni con il più alto numero di persone con questo grado di istruzione sono per lo più situate negli Stati membri meridionali, con quote in molti casi superiori al 50% (Carta 1.18 e Figura 1.17).

In molti casi gli estremi regionali sembrano confor-marsi alle medie nazionali, ma con alcune eccezioni.

10 Occorre tuttavia notare che, in ragione delle differenti modalità organizzative dei sistemi di istruzione all'interno dell'UE (si veda l'esempio di Austria o Germania, in cui la formazione per gli operai specializzati al di fuori del sistema universitario ha una durata maggiore di quanto richiesto altrove, con conseguente acquisi-zione da parte dei discenti di un ottimo livello di competenze), il numero di persone con un livello di istruzione terziario non costi-tuisce necessariamente un indicatore attendibile della presenza di forza lavoro altamente qualificata, o semplicemente ben istruita.

Ad esempio, la Romania ha una percentuale di bassa scolarità superiore al Regno Unito o alla Danimarca, ma Bucureşti–Ilfov ha una percentuale inferiore a tutte le regioni di questi due Stati membri.

L'istruzione terziaria e l'obiettivo 2020

La strategia Europa 2020 si propone di innalzare al 40% la quota di popolazione tra i 30 e i 34 anni con un'istruzione terziaria entro il 2020. Gli Stati membri hanno poi tradotto questo valore con obiettivi nazionali, variabili dal 26% (Italia) al 60% (Irlanda). Nell'UE–27, tra il 2008 e il 2012 questa percentuale è salita in ma-niera significativa dal 31% al 36%, da cui si evince che l'obiettivo europeo del 40% dovrebbe essere raggiunto senza particolari difficoltà.

La situazione prevalente nel 2013, invece, presenta nu-merose variazioni tra le regioni (Carta 1.19 — conside-rata la relativamente scarsa numerosità del campione di riferimento, per le regioni si utilizza una media trien-nale a garanzia di una maggiore attendibilità dei valori).

Mentre il 29% delle 124 regioni più sviluppate che ab-biano dati disponibili e un proprio obiettivo nazionale ha già raggiunto tale obiettivo, non una sola tra le regioni in transizione e solo 4 tra quelle meno sviluppate hanno raggiunto l'obiettivo nazionale (Tabella 1.7 e Carta 1.20).

Le regioni in cui la popolazione tra i 30 e i 34 anni con diploma terziario è inferiore al 20% appartengono a Italia, Romania, Grecia, Slovacchia, Repubblica ceca,

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PT MT ES IT EL BE FR NL IE RO CY UK DK LU HR BG HU SE AT FI SI DE LV PL EE SK CZ LT

Extremadura

Figura 1.17 Percentuale di popolazione con un basso livello di istruzione per paese ed estremi regionali, 2013

% sulla popolazione 25-64 anni Massimo regionale Minimo regionale Media nazionaleRegião Autónoma dos Açores (PT)

Lisbona

Malta

Puglia

LazioComunidad de

Madrid

Attiki

Anatoliki Makedonia,

Thraki

Prov. Hainaut

Picardie

Zeeland

Prov. Brabant Wallon

BretagnaUtrecht Southern

and Eastern

Bucuresti - Ilfov

Border, Midland

and Western

Sud-Est

Cipro

West Midlands

Nordjylland

Highlands and Islands

Hovedstaden

Lussemburgo

Kontinentalna Hrvatska

Jadranska Hrvatska

Yugozapaden

Sveroiztochen

Észak-Alföld

Közép-Magyarország

Övre Norrland

Småland med öarna

Vorarlberg

Kärnten

Åland Vzhodna Slovenija

Bremen

Helsinki-Uusimaa

Zahodna Slovenija

Chemnitz

Lettonia

Śląskie

Warminsko-Mazurskie

Estonia

Bratislavský Kraj

Východné Slovensko

Severozápad

Praga

Lituania

Fonte: Eurostat

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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Programmi quadro di ricerca

I programmi quadro di ricerca costituiscono lo stru-mento principale di supporto alle attività di ricerca e innovazione nel territorio dell'UE. L'obiettivo primario è il rafforzamento della capacità scientifica e tecnologica dell'UE, nonché della sua competitività internazionale tramite accordi di cooperazione con partner di ricerca di altri paesi.

Il Settimo programma quadro per la ricerca (7PQ), con una dotazione finanziaria di circa 50 miliardi di euro per il periodo 2007–2013, si proponeva di trasformare l'UE nel centro di ricerca leader del mondo, supportando l'eccellen-za nella ricerca ovunque essa si svolgesse.

Il programma ha supportato una gamma di attività quali la promozione delle attività di ricerca svolte dalle PMI; il sostegno alla creazione di un'infrastruttura per la ricerca paneuropea di larga scala1, nonché l'ottimizza-zione delle infrastrutture esistenti. Un'ulteriore finalità era il rafforzamento del potenziale di R&S delle regioni tramite la creazione di cluster di ricerca regionali (coin-volgendo la tripla elica di ricercatori, imprese e pubbli-che amministrazioni) attraverso l'iniziativa delle Regioni della conoscenza e il sostegno ai centri di ricerca eccel-lenti nelle regioni di convergenza tramite l'iniziativa sul potenziale di ricerca.

Orizzonte 2020 è il nuovo programma UE per la ri-cerca e l'innovazione per il periodo 2014–2020; pre-vede uno stanziamento di quasi 80 miliardi di euro (a prezzi correnti), successivamente integrati dai finanzia-menti privati che prevede di stimolare. L'intento è quello di collegare la ricerca e l'innovazione tramite il supporto all'eccellenza scientifica, la leadership industriale e mi-sure di intervento sulle sfide della società. Lo scopo è di contribuire alla creazione di una cultura scientifica di altissimo livello all'interno dell'UE, eliminare le barriere all'innovazione e facilitare la cooperazione tra pubbli-co–privato nella produzione di innovazione.

1 Commissione europea, ESFRI — European Strategy Forum for Research Infrastructures. http://cordis.europa.eu/esfri/roadmap.htm.

Orizzonte 2020 unifica in un unico strumento finanzia-rio tre programmi precedenti finalizzati a supportare la ricerca e l’innovazione: il Settimo programma quadro, il Programma quadro per la competitività e l’innovazione e l’Istituto europeo di innovazione e tecnologia. L'inten-to è di erogare finanziamenti continui a progetti innova-tivi dalla fase di laboratorio fino allo sfruttamento com-merciale, integrando attività precedentemente condotte in maniera separata per meglio affrontare le sfide della società in termini di salute, energia pulita e trasporti.

Include tutte le forme di innovazione, compresi i servizi e l'innovazione sociale, supportando anche lo sviluppo del mercato delle innovazioni e la definizione di un corpus le-gislativo adeguato per la gestione degli appalti pubblici, la definizione di standard e via dicendo.

L'obiettivo è di attrarre i migliori ricercatori a prescin-dere dalla loro provenienza. Si continuerà ad assegnare fondi tramite la pubblicazione di inviti a presentare pro-poste, senza tenere conto della regione di provenienza delle stesse. Un approccio del genere, tuttavia, ha biso-gno di essere integrato con misure complementari atte a garantire l'accessibilità dei fondi a un'ampia gamma di proponenti, soprattutto nelle regioni meno sviluppate. Nell'ambito della politica di coesione, pertanto, saranno previste azioni di sostegno a favore delle regioni, per favorirne lo sviluppo delle capacità di ricerca e inno-vazione.

Come nel precedente periodo di programmazione, parte delle ricerche finanziate verterà su tematiche regionali. Nell'ambito del filone di ricerca sulle scienze socioecono-miche e scienze umane, con uno stanziamento di 623 mi-lioni di euro per il periodo 2007–2013, sono stati condotti studi su questioni quali il rendimento regionale, la specia-lizzazione intelligente, problematiche urbane e regioni ru-rali sotto pressione a causa della globalizzazione, nonché la coesione sociale nelle città. Orizzonte 2020 continuerà a sovvenzionare questa tipologia di ricerche nell'ambito del pilastro "Sfide per la società", supportando anche stu-di sulla pianificazione spaziale e urbana innovativa per la creazione di ambienti sostenibili e inclusivi.

Tabella 1.7 Popolazione tra i 30 e i 34 anni con un'istruzione terziaria, regioni dell'UE–28, media 2013

Più sviluppate

Transizione Meno sviluppate

UE–28

Popolazione tra i 30 e i 34 anni con un'istruzione terziaria, 2013

41,3 32,3 28,9 36,8

Variazione in punti % 2008–2013 5,7 1,1 8,1 5,8

Variazione in punti % 2000–2008 9,3 9,1 8,5 8,6

Distanza dall'obiettivo nazionale (differenza in punti %) 1,0 12,2 8,7 4,3

% di regioni* che ha raggiunto l'obiettivo nazionale 27 0 6 17* Comprende solo le regioni con dati statistici e un obiettivo nazionale. Fonte: Eurostat e calcoli della DG REGIO

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Grecia e Ungheria. Tra il 2000 e il 2008 la distanza me-dia dall'obiettivo nazionale era scesa di 9 punti percen-tuali in tutte e tre le categorie di regioni. Tra il 2008 e il 2013, questa distanza si è accorciata di 8 punti per-centuali in molte delle regioni meno sviluppate, seguite dalle regioni più sviluppate (5,7 punti percentuali). Nelle regioni della transizione, la distanza dall'obiettivo na-zionale non si è accorciata sensibilmente tra il 2008 e il 2013, rimanendo sempre di 12 punti percentuali, contro la regione più sviluppata con 1 punto percentuale e le regioni meno sviluppate con 9 punti percentuali. Sulla base delle attuali tendenze, è probabile che sempre più regioni tra quelle meno sviluppate e quelle più svilup-pate raggiungano gli obiettivi nazionali; mentre per le regioni della transizione, occorre intensificare gli inter-venti affinché tali obiettivi siano raggiunti.

10. Le carenze in termini di reti digitali e di trasporto sono in via di miglioramento, ma molto resta ancora da fare

10.1 Le reti digitali si stanno diffondendo, ma non in maniera uniforme

L'accesso a reti di telecomunicazione a elevata efficien-za rappresenta un fattore chiave per la competitività e la crescita economica. L'offerta di servizi digitali e la possibilità di operare efficacemente in un ambiente im-prenditoriale globale poggiano sempre più sull'efficien-

za e sulla velocità dei collegamenti a banda larga. L'infrastruttura tecnologica è dunque un elemento cru-ciale del potenziale di sviluppo delle regioni UE. Le re-gioni più prospere sono in genere ben attrezzate da questo punto di vista, mentre molte delle regioni meno prospere presentano ancora gravi lacune.

Negli ultimi anni il grado di copertura della banda lar-ga nell'UE è aumentato considerevolmente. Nel 2012, l'accesso alla rete fissa a banda larga è disponibile per il 96% dei nuclei familiari dell'UE–2711; passando alle tecnologie mobili, l'accesso alla rete HSPA (High Speed Packet Access) è disponibile per il 95% dei nuclei familia-ri, mentre la piena copertura della connessione satellitare ad alta capacità KA–SAT è presente in tutti gli Stati mem-bri, tranne quattro (Estonia, Lettonia, Lituania e Svezia). Tuttavia, il tasso di copertura è maggiore rispetto al tas-so di effettivo utilizzo e nel 2012 solo il 70% dei nuclei familiari con possibilità di accesso (il 67% del totale) di-spone di un abbonamento alla banda larga.

Le differenze in questo campo sono ampie anche tra le regioni, soprattutto tra quelle urbane e quelle rurali. Nel 2012 per 9,1 milioni di abitazioni nell'UE, di cui oltre il 90% provenienti da zone rurali, non è disponibile la co-pertura a banda larga su rete fissa. La copertura, in aree di questo tipo in Polonia e Bulgaria, è inferiore al 40%. Nella maggioranza delle città e delle aree urbane la co-pertura è quasi totale, anche se sussistono zone dove la copertura è inferiore al 90%, la maggioranza delle quali

11 Commissione europea (2013), Broadband lines in the EU, Documento di lavoro del Comitato per le comunicazioni.

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HU ES RO DK AT BG EE PT SI FI LU LT LV SK MT

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Figura 1.18 Accesso alle reti di prossima generazione (NGA) per tipologia di area, fine 2011

% di famiglie per tipologia di area Zona rurale Zona urbana100

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Fonte: Commissione europea (2013), Broadband lines in the EU: situation at 1 July 2012, documento di lavoro del Comitato per le comunicazioni

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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in Svezia, Finlandia e in Europa meridionale e orientale e alcune, tutte in Polonia, dove è inferiore al 75%.

Passando alle reti di accesso di nuova generazione 12 (NGA), il divario si allarga ulteriormente (Figura 1.18). Nel 2011, il 78% dei nuclei familiari nelle zone rura-li dell'UE aveva accesso alla banda larga standard ma solo il 12% alla rete NGA. Contrariamente a quanto av-viene per la banda larga standard, le regioni in ritardo sono per lo più ubicate negli Stati membri dell'UE–15. Se la copertura si attesta al 100% o poco meno nei Paesi Bassi, in Belgio e a Malta, essa è inferiore all'80% in Francia, Irlanda, Italia, Grecia, Polonia e Cipro. Le abi-tazioni nelle aree rurali di Lussemburgo, Irlanda, Italia, Cipro, Slovacchia, Lettonia e Polonia non hanno alcun accesso alla rete NGA, mentre in Germania la copertura disponibile è minima.

La diffusione della banda larga presso i nuclei familiari è aumentata notevolmente negli ultimi anni, parallela-mente alla disponibilità della copertura della rete. Se nel 2009 solo il 56% circa dei nuclei familiari dell'UE aveva sottoscritto un abbonamento alla rete a banda larga, nel 2013 questa cifra è salita al 76%. Tuttavia permangono profonde differenze tra regioni (si veda la Carta 1.21). Nel 2013 in Severozapaden (Bulgaria), Kentriki Ellada, Nisia Aigaiou Kriti (Grecia) e Nord–Est (Romania), il tasso di diffusione è inferiore al 50%, mentre in Flevoland, Utrecht (Paesi Bassi), London, South West (Regno Unito), Helsinki–Uusimaa (Finlandia) e Bremen, è superiore al 90%.

Anche per le imprese si delinea un quadro analogo. Tra il 2010 e il 2013, la quota di aziende con 10 o più ad-detti nell'UE–28 con un abbonamento alla banda lar-ga è aumentata dall'84% al 90%. In Finlandia, Francia e Danimarca il tasso di diffusione superava il 96%. Viceversa, il tasso di diffusone era inferiore all'80% in Bulgaria, Grecia, Croazia e Polonia e solo del 61% in Romania.

12 Reti di accesso di nuova generazione: reti di accesso cablate co-stituite in tutto o in parte da elementi ottici e in grado di fornire servizi d'accesso a banda larga con caratteristiche più avanzate (quale una maggiore capacità di trasmissione) rispetto a quelli forniti tramite le reti in rame esistenti.

10.2 Le reti stradali negli Stati membri centro–orientali sono ancora sottosviluppate

Nel 1955, solo pochi collegamenti della rete trans–eu-ropea dei trasporti TEN–T consentivano di viaggiare a una velocità oraria superiore a 80 km orari (si veda la Carta 1.22). La stragrande maggioranza dei collega-menti consentiva una velocità media di 70 km orari. Nel 1970 la situazione era molto migliorata grazie alla costruzione di vari collegamenti stradali in Germania, Italia, Benelux e Regno Unito in grado di accettare ve-locità superiori a 80 km orari; al contrario, ancora poco o nulla esisteva nel resto dell'UE, compresi i paesi cen-tro–orientali.

Il divario tra l'Europa nord–occidentale più l'Italia e le altre zone dell'Unione si era ulteriormente accentuato già nel 1980, con la costruzione nella prima di numerosi collegamenti stradali con velocità media superiore a 90 km orari. Portogallo, Grecia e gli Stati membri centro–orientali non disponevano di collegamenti con velocità media superiore a 80 km orari, mentre alcuni erano ido-nei solo per velocità inferiori a 60 km orari. In Spagna l'unica tratta con velocità superiore a 80 km orari colle-gava Valencia con Barcellona.

Verso il 1990, le velocità medie erano ulteriormente au-mentate, ma le differenze tra paesi erano ancora presen-ti. Verso il 2000, la velocità media in Grecia, Spagna e Portogallo era aumentata considerevolmente, superando

L'agenda digitale

Secondo le stime, la metà della crescita della pro-duttività nell'UE nel primo decennio di questo se-colo è attribuibile alle TIC1. Lo sviluppo delle reti digitali è dunque fondamentale per la coesione economica dell'Unione alla luce della tendenza, da parte delle regioni meno sviluppate, di accumulare un ritardo nell'accesso alla banda larga. Questi gli obiettivi dell'agenda digitale 2020: (1) garantire a tutti i cittadini dell'UE l'accesso alla banda larga veloce (oltre 30 Mbps); (2) consentire ad almeno la metà dei cittadini UE l'utilizzo della banda larga a velocità di 100 Mbps o oltre; (3) raddoppiare gli investimenti pubblici nel settore R&S in materia di TIC.

1 Europe’s Digital Competitiveness Report (2010).

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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i 100 km orari in alcuni collegamenti. Nel 2012, Spagna e Portogallo hanno recuperato il ritardo rispetto agli Stati membri molto sviluppati in quanto a velocità nei colle-gamenti. I miglioramenti nelle velocità dei principali col-legamenti stradali di questi tre paesi sono stati ampia-mente realizzati grazie ai fondi della politica di coesione.

Rispetto al resto dell'UE, i collegamenti stradali in Polonia, negli Stati baltici, in Romania e Bulgaria sono tuttora piuttosto lenti. La completa realizzazione della rete principale TEN–T, prevista entro il 2030, dovreb-be aumentare le velocità medie soprattutto negli Stati membri centro–orientali. I finanziamenti della politica di coesione e il nuovo "Meccanismo per collegare l'Europa" (Connecting Europe Facility) sono finalizzati alla realiz-zazione della rete centrale multimodale TEN–T.

10.3 La bassa velocità e la scarsa frequenza dei collegamenti ferroviari negli Stati membri centro–orientali determinano una loro minore attrattiva rispetto alla scelta dell'automobile

A partire dagli anni Settanta, la quota di passeggeri per km di rete ferroviaria è diminuita sempre più con il pro-gressivo aumento dell'utilizzo dell'automobile. In due aree, tuttavia, il collegamento ferroviario costituisce un'alternativa interessante e più efficiente sotto il pro-filo delle risorse rispetto al trasporto aereo o su strada: i viaggi a lunga percorrenza e gli spostamenti verso il posto di lavoro. Le reti ferroviarie tradizionali possono far ottimizzare i tempi di percorrenza casa–lavoro per tragitti fino a 350 km rispetto ai viaggi aerei, mentre le reti ad alta velocità sono più indicate per viaggi fino a 800 km.

La rete ferroviaria ad alta velocità (HSL) è in continua espansione. Tra il 1990 e il 2009, le linee con velocità superiore a 250 km orari sono passate da 1 000 km a 6 000 km. In questo periodo, il valore passeggeri per km percorso è salito da meno di 20 miliardi all'anno a quasi 100 miliardi13. Entro il 2030, se i lavori andranno a buon fine, la rete ad alta velocità TEN–T dovrebbe co-prire oltre 30 000 km.

13 Commissione europea (2009), European high–speed rail — An easy way to connect.

La politica comune dei trasporti contribuisce alla coesione e allo sviluppo regionale tramite il miglioramento dell'accessibilità

La creazione di un mercato unico pienamente inte-grato non può avvenire senza efficaci collegamenti tra le varie parti. Tuttavia, i collegamenti transfron-talieri sono spesso lacunosi, soprattutto negli Stati membri centro–orientali, tenendo separato il centro dell'UE dalla periferia e ostacolando lo sviluppo degli scambi all'interno dell'UE.

La politica comune dei trasporti si propone di svi-luppare sistemi di trasporto affidabili, competitivi ed efficienti dal punto di vista energetico al fine di con-tribuire all'attenuazione della natura periferica del-le regioni lontane rispetto al centro dell'UE, nonché allo sviluppo delle regioni in ritardo in ragione della scarsità di infrastrutture di collegamento e dei costi di trasporto elevati. Essa comprende lo sviluppo del trasporto marittimo a corto raggio, le "autostrade del mare", le vie di navigazione interna e un uso più efficiente dell'attuale rete di trasporto su rotaia.

Le rete TEN–T1 si compone di due livelli: una rete centrale da terminare entro il 2030 e una rete più capillare, collegata a quella centrale, da termina-re entro il 2050. La rete centrale fornirà un soste-gno fondamentale alla crescita del mercato unico, facilitando il flusso di merci e persone all'interno dell'UE, compresi gli Stati membri meno sviluppati (Carta 1.22). Essa comprende il collegamento di 94 importanti porti europei alle reti stradali e ferrovia-rie, il collegamento su rotaia di 38 aeroporti chiave alle città principali, l'adeguamento all'alta velocità di 15 000 km di linee ferroviarie e 35 progetti tran-sfrontalieri per ridurre i cosiddetti colli di bottiglia.

Un nuovo strumento finanziario, il Meccanismo per collegare l'Europa (CEF–Connecting Europe Faci-lity)2 contribuirà all'attuazione della rete TEN–T, triplicando la dotazione finanziaria a disposizione per le infrastrutture di trasporto nel periodo 2014–2020 fino a 26 miliardi di euro, che serviranno da capitale iniziale per stimolare l'immissione di ulte-riori fondi da parte degli Stati membri.

L'esperienza mostra che i finanziamenti destinati all'infrastruttura TEN–T tendono a esercitare un forte effetto leva. Per il prossimo periodo di programma-zione, si prevede che per 1 milione di euro di finan-ziamento UE verranno generati circa 5 milioni di euro provenienti da fondi pubblici nazionali oppure, in caso di utilizzo di strumenti finanziari innovativi, fino a 20 milioni di euro provenienti dal settore privato.

1 Regolamento (UE) n. 1315/2013.

2 Regolamento (UE) n. 1316/2013.

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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Tuttavia, vi sono notevoli differenze tra le regioni per quanto riguarda il grado di estensione delle reti ferro-viarie convenzionali e ad alta velocità. In Belgio, Francia, Spagna, Germania, Italia e Regno Unito, ampi tratti della rete ferroviaria nazionale sono stati aggiornati per l'u-tilizzo di treni ad alta velocità, a fianco della creazione di nuove linee specifiche per l'alta velocità (Carta 1.24).

Francia, Belgio, Svezia e Finlandia detengono il primato per quanto riguarda i km pro capite di linee ferroviarie servite da treni con velocità superiore a 120 km orari.

Queste opere sono state in buona parte realizzate con i contributi del FESR, del Fondo di coesione, nonché con gli stanziamenti nell'ambito della rete TEN–T e le sov-venzioni della Banca europea per gli investimenti.

Malgrado i significativi investimenti per la moderniz-zazione della rete ferroviaria, esistono ancora colle-gamenti regionali con treni a velocità inferiore a 120 km orari. Essi sono localizzati soprattutto negli Stati baltici, in Polonia, Ungheria, Romania e Bulgaria. Per di più, in alcune aree tipo la Polonia centrale, le velo-

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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cità sono diminuite dal 1990 (Carte 1.23 e 1.24 e Figura 1.20).

La capacità delle reti fer-roviarie di offrire un'al-ternativa appetibile ai viaggi su strada dipende non solo dalla velocità ma anche dalla frequen-za dei treni. Nel 2010 il numero medio di treni giornalieri sulle reti di quasi tutte le regioni degli Stati baltici e di Polonia e Irlanda era inferiore a 25 (Carta 1.25), pari a meno di un'ora per tratta. Date queste basse frequenze, in genere chi se lo può permettere preferisce utilizzare l'automobile. Viceversa, nei Paesi Bassi e in Danimarca, il numero medio di treni giornalieri sulle reti principali TEN–T era pari a 130 o più alto, con una serie di vantaggi tra cui minori tempi di at-tesa, migliori collegamen-ti e in genere un'offerta più allettante.

Secondo le linee guida sulla strategia TEN–T, l'obiettivo è di poter di-sporre di una vera e pro-pria rete transeuropea multimodale tramite la creazione di una nuova infrastruttura e l'ottimizzazio-ne delle infrastrutture esistenti. L'importanza attribu-ita allo sviluppo di sistemi di trasporti sostenibili ed ecocompatibili, quali le reti ferroviarie, si evince anche dalle finalità del Meccanismo per collegare l'Europa (CEF) e dalle priorità del Fondo di coesione concernenti gli investimenti nei trasporti.

L'accessibilità ai voli passeggeri è maggiore per quanto riguarda i principali aeroporti di Londra, Parigi, Francoforte e Amsterdam (con oltre 2000 voli giornalieri) (Carta 1.26). Nell'UE–15, di fatto in tutte le regioni le persone hanno accesso a oltre 10 voli giornalieri entro 90 minuti di auto. Questo non avviene in Romania, Bulgaria, Polonia, Estonia e Lettonia, in parte perché i collegamenti stradali sono scadenti, ma anche per la scarsa domanda di voli da e verso alcune regioni.

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Figura 1.20 Variazione nella lunghezza della rete ferroviaria con treni operanti a velocità superiori a 120 km orari, 1990–2013

km per milione di abitantioltre 200 km/holtre 160 km/holtre 120 km/h

Fonte: RRG 2013 e calcoli della DG REGIO

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Figura 1.19 Lunghezza della rete ferroviaria con treni operanti a velocità superiori a 120 km orari, 2013

km per milione di abitanti

Fonte: RRG 2013 e calcoli della DG REGIO

oltre 200 km/holtre 160 km/holtre 120 km/h

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11. Gli scambi e gli investimenti esteri diretti stimolano la crescita nell'UE–12

Benché la politica di coesione sia nata anche sulla base della preoccupazione per gli effetti del mercato unico sul-le regioni meno sviluppate, l'integrazione dei paesi cen-tro–orientali ha incrementato notevolmente gli scambi con l'UE–15 e tra i paesi stessi. Nel 2004 le importazioni ed esportazioni riguardanti l'UE–27 ammontavano me-diamente al 20% circa del PIL di questi paesi. Da allora questa cifra è notevolmente aumentata, con una leggera flessione nel 2008 e 2009 a causa della crisi. Nel 2012, i flussi di importazioni ed esportazioni rappresentavano il 40% del PIL, con un incremento pari al doppio in 8 anni. Una tale rapida integrazione nel mercato unico ha con-sentito a queste economie di specializzarsi e aumentare la propria produttività, determinando così un aumento dei tassi di crescita sia nei paesi interessati sia a livello di UE nel suo complesso (Figura 1.21).

Anche gli investimenti esteri diretti (IED) hanno costituito un importante motore di sviluppo per le economie dell'UE–12. Essi provenivano principalmente da altri Stati membri. La crisi, tuttavia, ha ridotto buona parte di questi flussi. Nel 2007, l'UE–12 ha ricevuto 55 miliardi di euro sotto forma di IDE; nel 2009 questa cifra è scesa a 23 miliardi di euro. Da allora i flussi sono arrivati quasi a toccare i 30 miliardi

di euro nel 2012, rimanen-do comunque molto al di sotto dei valori del 2005 (Figura 1.22).

In tutti gli Stati membri dell'UE–15 e dell'UE–12, la regione della capitale detiene una percentuale consistente, spesso la più consistente, di occupati in imprese estere. In queste regioni, la maggiore ac-cessibilità, la concentra-zione degli uffici direzio-nali delle grandi società e i buoni collegamenti con il mercato nazionale tendo-no ad attrarre in partico-lare le imprese di servizi.

Anche nelle regioni più prossime ai confini interni dell'UE, la percentuale di occupati in aziende estere tende a es-sere più alta che nelle altre regioni (Carta 1.27). Questo vale in particolare per le imprese manifatturiere, per le quali la vicinanza alle altre parti del mercato interno dell'UE è generalmente importante.

Le regioni dell'Italia meridionale, della Spagna meridio-nale, del Portogallo settentrionale, della Polonia orien-tale e dell'Ungheria orientale, oltre che la maggioranza delle regioni greche, tendono ad avere una percentuale relativamente bassa di occupati in imprese straniere. Anche se la posizione relativamente decentrata di que-ste regioni rispetto al cuore del mercato unico potrebbe in parte spiegare questo dato, è vero che regioni al-trettanto periferiche in Irlanda, nei paesi nordici e negli Stati baltici registrano una percentuale molto più alta di occupati in imprese straniere.

12. La competitività regionale ha determinato ricadute limitate nelle regioni dell'UE–13

L'indice di competitività regionale (RCI) è stato concepi-to per misurare le variazioni nella dimensione della competitività a livello regionale. Utilizza 73 indicatori

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Figura 1.21 Scambi tra UE–12 e UE–27 in rapporto al PIL, 2004–2012

% del PIL dell'UE–12Esportazioni dall'UE–12 all'UE–27Importazioni nell'UE–12 dall'UE–27

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Fonte: Eurostat

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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per lo più di dimensione regionale, utili ai fini della valu-tazione della competitività14.

Si articola in 11 "pilastri" suddivisi in tre gruppi.

•• I pilastri di base: (1) Qualità delle istituzioni, (2) Stabilità macroeconomica, (3) Infrastrutture, (4) Salute, (5) Qualità dell'istruzione primaria e secon-daria. Questi sono i pilastri più importanti per le re-gioni meno sviluppate.

•• I pilastri relativi all'efficienza: (6) Istruzione superio-re e formazione continua, (7) Efficienza del mercato del lavoro, (8) Dimensione del mercato. Questi pila-stri sono importanti per tutte le regioni.

• I pilastri relativi all'innovazione: (9) Maturità tec-nologica, (10) Complessità delle imprese, (11) Innovazione. Questi pilastri sono importanti per le regioni intermedie ma soprattutto per le regioni al-tamente sviluppate.

Al fine di tenere conto del livello di sviluppo regionale, i pesi assegnati a ciascun gruppo sono in funzione del PIL pro capite regionale (Tabella 1.8).

L'indice è applicato a un insieme modificato di regioni NUTS 2, per evitare di creare zone economiche funzionali articolate su più regioni. Le regioni NUTS 2 sono state

14 Annoni, P. e Dijkstra, L. (2013).

combinate per definire le zone economiche funzionali di Londra, Bruxelles, Amsterdam, Vienna, Praga e Berlino.

L'indice offre una valutazione delle differenze in termi-ni di competitività all'interno di uno stesso paese. Esso mette in evidenza la profonda dimensione regionale della competitività. Si tratta di un aspetto fondamen-tale in quanto gli enti locali e regionali hanno voce in capitolo su molti dei fattori chiave della competitività.

L'indice può inoltre costituire un valido strumento con cui gli Stati membri dell'UE, caratterizzati da ampie dif-ferenze in termini di competitività regionale, possono comprenderne i potenziali effetti negativi sull'econo-mia nazionale e sulle modalità di attenuazione, possi-bilmente con il supporto della politica di coesione. Ad esempio, in Romania, Slovacchia e Francia emerge un profondo divario tra la regione della capitale e la se-conda regione più competitiva, mentre in Germania le regioni non presentano particolari differenze in termini di competitività.

L'assenza di effetti di ricaduta, soprattutto nei pressi delle capitali di alcuni tra gli Stati membri meno svilup-pati, è già stata rilevata nell'edizione 2010 dell'indice di competitività regionale. L'edizione 2013 conferma che la prossimità a una regione competitiva nei paesi sviluppati tende a migliorare la competitività della re-gione, mentre questo non avviene negli Stati membri meno sviluppati. Il livello complessivo di competitività di un paese dipende dal rendimento di tutte le regioni che lo compongono, non solo da quello della regione della capitale. Il miglioramento del contesto operativo,

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Extra UE–27 Consistenze di investimenti diretti esteri (asse di destra) UE–27 Consistenze di investimenti diretti esteri (asse di destra)Totale flussi investimenti diretti (asse di sinistra) UE–27 Flussi di investimenti diretti esteri (asse di sinistra)

miliardi di EUR miliardi di EUR

Fonte: Eurostat

Figura 1.22 Investimenti diretti esteri nell'UE-12, 2005–2012

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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la presenza di una rete di trasporti efficiente e un ac-cesso di buona qualità alla banda larga in altre regioni potrebbe contribuire a ridurre le differenze in termini di competitività.

L'indice rivela l'esistenza di profonde differenze a li-vello di competitività in molti paesi (Figura 1.23). In Francia, Spagna, Regno Unito, Slovacchia, Romania, Svezia e Grecia le variazioni tra regioni sono partico-larmente evidenti, con la regione della capitale quasi sempre in testa come regione più competitiva. In Italia e Germania, invece, la regione della capitale non è la regione più competitiva.

Precedenti studi in ambito geografico avevano eviden-ziato la presenza di quella che fu denominata "banana blu", ovvero una dorsale che dalla grande Londra si estendeva fino alla Lombardia attraverso il Benelux e la Baviera, nonché di un pentagono formato da Londra, Parigi, Milano, Monaco e Amburgo. In queste aree si

concentrava la maggior par-te delle attività economiche. Secondo questa linea di ricerca, le attività economiche erano articolate secondo uno schema molto netto centro–periferia.

L'indice di competitività regiona-le, invece, mostra uno schema policentrico caratterizzato dalla presenza di solide città capitali e regioni metropolitane in mol-

ti territori dell'UE. Ad esempio Stoccolma, Copenaghen, Helsinki, Berlino, Praga, Bratislava e Madrid, non ricom-prese nelle aree menzionate nel paragrafo precedente, presentano tutte un livello di competitività molto eleva-to (Carta 1.28). L'indice di competitività regionale mo-stra anche che, in alcuni paesi, il livello di competitività è molto elevato in tutte le regioni, mentre in altri, que-sto vale solo per la regione della capitale.

Delle dieci regioni in testa alla classifica nel 2010, otto sono rimaste tra le prime dieci anche nel 2013. In entrambi gli anni la regione più competitiva è Utrecht nei Paesi Bassi, mentre tra le prime dieci si registrano l'area funzionale di London and Berkshire, Buckinghamshire e Oxfordshire nel Regno Unito, l'area funzionale di Amsterdam e Zuid–Holland sempre nei Paesi Bassi, Hovedstaden (che com-prende Copenaghen) in Danimarca, Stockholm e Île de France (la regione di Parigi).

Tabella 1.8 Pesi utilizzati per l'elaborazione dell'indice di competitività regionale 2013

PIL pro capite (SPA) nel 2009 (UE–28=100)

Base Efficienza Innovazione Totale

<50 35 50 15 100

50–75 31,25 50 18,75 100

75–90 27,5 50 22,5 100

90–110 23,75 50 26,25 100

>110 20 50 30 100

Fonte: Annoni, P. e Dijkstra, L. (2013).

RO BG EL LV LT HR SK MT

HU PL IT PT CY ES CZ EE SI IE FR AT FI DK

UK SE DE BE NL

LU

Figura 1.23 Indice di competitività regionale, 2013

Stato membro Regione della capitale Regione1,5

1,0

0,5

0,0

-0,5

-1,0

-1,5

Fonte: Annoni, P. e Dijkastra, L (2013)

-1,5

-1,0

-0,5

0,0

0,5

1,0

1,5

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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La politica della coesione ha contribuito al migliora-mento della competitività di molte regioni, investendo in aree quali ad esempio innovazione, istruzione, sanità, accessibilità e TIC.

13. Conclusioni

La politica di coesione svolge un ruolo chiave per la pro-mozione della crescita intelligente nelle regioni dell'UE, in particolare in quelle meno sviluppate. La crescita intelligente rappresenta un fattore indispensabile per competere in un mercato globale. Il cofinanziamento degli investimenti nell'innovazione e gli aiuti alle PMI possono migliorare la competitività dell'UE e delle sue regioni. Gli investimenti nelle reti di trasporto e nelle reti energetiche e digitali contribuiscono a un miglior funzionamento del mercato unico. Hanno favorito un in-cremento degli scambi tra UE–15 e UE–12, stimolando in questi ultimi un flusso di investimenti esteri diretti.

Questo capitolo ha evidenziato fino a che punto le aree meno sviluppate dell'UE sono riuscite a colmare il diva-rio con il resto dell'Unione in termini di PIL pro capite, indicandone anche le cause determinanti. Nonostante il processo di diminuzione delle disparità regionali in cor-so negli anni precedenti la recessione globale, proprio la recessione (e la lunga crisi che ne è seguita) hanno interrotto il processo della convergenza, causando un repentino aumento della disoccupazione in molte regio-ni, specialmente in quelle più deboli.

Tendenzialmente, la crisi ha colpito in maniera più pesante le regioni rurali rispetto alle regioni urbane; nell'UE–15 la diminuzione dei posti di lavoro è stata mitigata da una contrazione in termini di produttività, mentre nell'UE–13 si sono persi molti più posti di lavoro che altrove. In media, le regioni metropolitane hanno resistito alla crisi meglio di altre regioni, soprattutto le regioni della capitale nell'UE–15.

La crisi ha colpito in particolare il settore manifatturiero e il settore edile, causando una significativa contrazione dell'occupazione e del PIL in quest'ultimo. Nel settore manifatturiero, accanto a un calo occupazionale si è in-vece registrato un aumento del PIL tra il 2008 e il 2013 negli Stati membri meno sviluppati.

L'innovazione è aumentata, rimanendo però concentra-ta territorialmente. Per molti versi questo è uno scena-

rio auspicabile, viste le esternalità positive derivanti dal concentrare l'innovazione tecnologica in aree specifiche. Nondimeno, l'innovazione ampiamente intesa come dif-fusione e adozione di nuove tecnologie e conoscenze sviluppate altrove, rimane un fattore cruciale per stimo-lare la crescita in tutte le regioni.

La quota di popolazione con istruzione terziaria è no-tevolmente aumentata nel tempo e l'obiettivo Europa 2020 di innalzare al 40% la percentuale di persone tra i 30 e i 34 anni con questo livello di istruzione verrà probabilmente raggiunto, anche se rimangono profonde disparità tra le regioni. La percentuale di persone che partecipano a iniziative di formazione continua è tutta-via molto inferiore all'obiettivo, soprattutto nelle regioni UE centro–orientali.

Il divario in termini di reti digitali e di trasporto si sta riducendo. La copertura a banda larga è prossima al 100% in quasi tutte le regioni, mentre l'accesso alle reti di nuova generazione è limitato soprattutto alle aree più urbanizzate. Negli ultimi 25 anni circa, gli Stati membri meridionali hanno investito risorse consisten-ti per lo sviluppo dei collegamenti stradali, ferroviari e aerei, ricevendo contributi dal FESR e dal Fondo di coe-sione, arrivando così oggi a disporre di reti paragonabili a quelle degli Stati membri più sviluppati. Nei paesi cen-tro–orientali, tuttavia, molto resta ancora da fare per sviluppare le reti ferroviarie e stradali, indispensabili anche per migliorare l'accesso ai locali aeroporti.

Gli scambi e gli investimenti esteri diretti, per quanto toccati dalla crisi, hanno fornito importanti contributi alla crescita nell'UE–12, sottolineando i benefici deri-vanti dall'entrata nel mercato unico.

L'indice di competitività regionale, nello sforzo di sinte-tizzare tutte queste informazioni, mostra che le regioni dell'UE–15 in cui ci sia una grande città, spesso, ma non sempre, la capitale, registrano i più alti livelli di competi-tività e che la vicinanza a tali regioni tende a incoraggiare la competitività delle regioni limitrofe. Nell'UE–13, d'altro canto, la regione della capitale è quella con il livello di competitività maggiore, pur non avendo (a oggi) innesca-to la competitività delle regioni limitrofe. Con il progredire dello sviluppo e il rafforzamento dei collegamenti eco-nomici e di trasporto tra la capitale e le altre regioni, gli effetti a cascata derivanti dalla diffusione della crescita nelle altre regioni hanno più probabilità di manifestarsi, riducendo così il divario con la regione della capitale.

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Capitolo 1: Crescita intelligente

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Nonostante il contributo fornito dalla politica di coesio-ne alla promozione della crescita intelligente all'interno dell'UE e delle sue regioni, le sfide per il futuro restano numerose, con altri decenni di investimenti necessari per completare il mercato unico e le reti transeuropee e ridurre le disparità regionali.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Capitolo 2: Crescita inclusiva

1. Introduzione

Con l'introduzione della strategia Europa 2020, la Commissione europea ha rafforzato i propri obiettivi sociali nell'ambito del capitolo dedicato alla "crescita in-clusiva", intesa come innalzamento dei tassi di occupa-zione e riduzione della povertà e dell'esclusione sociale. Il persistere della crisi ha determinato un ulteriore ab-bassamento dei tassi di occupazione a fronte di un in-cremento della disoccupazione e della povertà, renden-do questi obiettivi sempre più difficili da raggiungere.

La povertà e l'esclusione sociale si concentrano in di-verse tipologie territoriali all'interno dell'UE. Negli Stati membri meno sviluppati tendono a essere più diffuse nelle aree rurali, mentre nei paesi più sviluppati si ri-scontrano tipicamente nelle città. La concentrazione di povertà e deprivazione nelle città in cui anche le oppor-tunità lavorative sono tendenzialmente maggiori, rap-presenta il cosiddetto paradosso urbano, rimasto inalte-rato anche durante la crisi. La crisi subentrata nel 2008 ha tuttavia aggravato la povertà e l'esclusione sociale in due terzi degli Stati membri.

La grande disomogeneità nella distribuzione geografi-ca delle opportunità lavorative e retributive all'interno dell'UE ha determinato un flusso di spostamento dei popoli tra una regione e l'altra e tra un paese e l'altro. Per effetto di questo fenomeno, alcune regioni hanno assistito a un costante calo demografico nel corso dei decenni. In molti tra gli Stati membri meno sviluppati, la popolazione tende a spostarsi dalle regioni rurali a quelle urbane, anche per sfuggire a situazioni di grande povertà nelle prime. L'UE continua ad attirare flussi di migranti provenienti dai territori extra UE; in alcuni Stati membri, però, queste persone si integrano con fatica nel mercato del lavoro. A quanto pare anche le disparità a livello sanitario costituiscono un'ulteriore concausa dei flussi migratori all'interno e tra Stati membri.

La crescita inclusiva costituisce il cuore della politica di coesione. La coesione sociale è stata introdotta come obiettivo sin dal trattato di Roma e il Fondo sociale eu-ropeo è stato costituito nel 1958 proprio per assolvere a

questo compito. La coesione rappresenta la dimensione chiave di una politica che, pur rivolgendosi spesso alle regioni, si propone il miglioramento del benessere delle persone in tutto il territorio dell'UE.

Una quota considerevole delle risorse finanziare stan-ziate per la politica di coesione viene dunque utilizzata per la promozione di azioni che comprendono forma-zione e istruzione, politiche attive del lavoro, lotta alla povertà e all'esclusione sociale dei gruppi svantaggia-ti. Si tratta di misure complementari a quelle attuate nell'ambito di altre aree di intervento, indispensabili per la buona riuscita di queste ultime. Ad esempio, gli aiuti al settore R&S e all'innovazione possono produrre risultati positivi solo se accompagnati da un contestua-le sviluppo del capitale umano. La dimensione sociale occupa dunque una posizione centrale nell'ambito della politica di coesione, non meno importante della dimen-sione economica ai fini della promozione dello sviluppo.

2. La crisi ha cancellato gli aumenti occupazionali dal 2000

Questa sezione fornisce una descrizione di come i pro-gressi ottenuti in termini di riduzione della disoccupa-zione e incremento dei tassi di occupazione siano stati gravemente compromessi a seguito della crisi. Esamina inoltre le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi di Europa 2020 in tema di abbandono scolastico e for-mazione continua.

2.1 I tassi di occupazione sono diminuiti rapidamente nelle regioni più colpite dalla crisi

Tra il 2000 e il 2008, il tasso di occupati tra le persone con età compresa tra i 20 e i 64 anni è salito media-mente di 4 punti percentuali (Tabella 2.1). La crisi, pur-troppo, ha cancellato metà degli incrementi realizzati in questo periodo. Le tre categorie di regioni riconosciute dalla politica di coesione, tuttavia, hanno sperimentato situazioni diverse. Nelle regioni meno sviluppate, il tasso

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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medio di occupati nel 2013 è sceso rispetto al 2000 perché la crisi ha cancellato tutti gli incrementi ottenu-ti precedentemente. Le regioni della transizione hanno perso due terzi dei precedenti incrementi, mentre le re-gioni meno sviluppate ne hanno perso solo un terzo.

La crisi ha tendenzialmente amplificato le disparità a li-vello di tassi di occupazione, e nel 2013 la differenza in termini di tassi occupazionali tra regioni più sviluppate e regioni meno sviluppate era di 11 punti percentuali (72% contro 61%). Nell'ambito della strategia Europa 2020, gli Stati membri hanno fissato i propri obiettivi nazionali in merito al tasso di occupazione, in linea di massima congruenti con l'obiettivo generale del 75% da raggiungere entro il 2020. Tali obiettivi oscillano dal 62,9% per Malta all'80% per Danimarca e Svezia. Non ci si attende il raggiungimento degli obiettivi nazionali da parte di ogni singola regione, in ragione delle grandi dif-ferenze in termini di situazione di partenza. Nondimeno, nelle regioni meno sviluppate e della transizione, i tassi di occupazione sono molto distanti dai valori fissati per gli obiettivi nazionali: 9–10 punti percentuali contro i 3 punti percentuali delle regioni più sviluppate.

Solo una regione su cinque nell'UE ha raggiunto il ri-spettivo obiettivo nazionale; tutte tranne una rientrano fra le regioni più sviluppate o della transizione. Le 10 regioni in cui il divario rispetto all'obiettivo nazionale

è più ampio sono localizzate nella Spagna e nell'Italia meridionali, oltre alle regioni ultraperiferiche di Reunion e Guyane (Carta 2.2).

La presenza di significative differenze regionali in ter-mini di tassi di occupazione è un dato comune a molti paesi, a dimostrazione della natura regionale del mer-cato del lavoro, con tassi inferiori al 60% in varie re-gioni della Grecia, Croazia, Spagna e Italia meridionale, così come in alcune regioni della Bulgaria, Romania e Ungheria (Carta 2.1).

2.2 La disoccupazione nell'UE è la più alta di tutto il decennio

Il tasso di disoccupazione nell'UE–28 era sceso dal 9,3% nel 2004 al 7,1% nel 2008. Tra il 2008 e il 2013, inve-ce, è salito al 10,9%, raggiungendo il massimo storico dall'inizio delle rilevazioni statistiche (2000). Nell'UE–15 la disoccupazione si attesta all'11,1% nel 2013, rag-giungendo il massimo storico da quando si dispone di dati comparabili (nella fattispecie l'anno 1991).

L'aumento della disoccupazione ha invertito la tenden-za verso una diminuzione delle disparità regionali in ter-mini di mercato del lavoro. Gli incrementi maggiori della disoccupazione si registrano in Spagna, Grecia, Irlanda

Tabella 2.1 Tasso di occupati 20–64 anni, regioni dell'UE–28, 2000–2013, distanza dall'obiettivo nazionale

Più sviluppate Transizione Meno sviluppate UE–28

Tasso di occupati 20–64 anni, 2013 72,0 65,1 61,1 68,3

Variazione in punti % 2008–2013 –1,4 –2,9 –2,7 –1,9

Variazione in punti % 2000–2008 4,1 4,6 2,4 3,7

Distanza dall'obiettivo nazionale (differenza in punti %)

3,2 9,3 10,5 6,7

% di regioni* che ha raggiunto l'obiettivo nazionale

34,6 15,4 1,4 21,7

* Comprende solo le regioni in cui sia stato definito un obiettivo nazionale. Fonte: Eurostat, calcoli della DG REGIO

Tabella 2.2 Tasso di disoccupazione, regioni dell'UE–28, 2000–2013

Più sviluppate Transizione Meno sviluppate

UE–28

Tasso di disoccupazione, 2013 9,2 15,3 12,8 10,8

Variazione in punti % 2008–2013 3,2 5,0 4,9 3,8

Variazione in punti % 2000–2008 –0,8 –2,5 –5,8 –2,2Fonte: Eurostat, calcoli della DG REGIO

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Capitolo 2: Crescita inclusiva

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Capitolo 2: Crescita inclusiva

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e negli Stati baltici in particolare (Carta 2.4), con tassi superiori al 18% in molti casi (Carta 2.3).

Tra il 2008 e il 2013, il tasso di disoccupazione è sa-lito in 227 regioni NUTS 2 su 272. Di fatto il tasso è diminuito solo nelle regioni tedesche. Il tasso di di-soccupazione più alto si è registrato nelle regioni del-la transizione, con una media del 15% (Tabella 2.2). Il tasso di incremento della disoccupazione tra il 2008 e

il 2013 in queste regioni e nelle regioni più sviluppate ha superato il tasso di diminuzione registrato nel perio-do 2000–2008. Per entrambi i gruppi, ne deriva che il tasso disoccupazione nel 2013 è salito rispetto al 2000. Le regioni meno sviluppate avevano registrato un calo della disoccupazione tra il 2000 e il 2008 (pari a 5,8 punti percentuali). Nonostante il forte impatto della crisi (che ha causato un aumento di 4,9 punti percentuali), il tasso è rimasto comunque inferiore a quello del 2000.

La Strategia europea per l'occupazione e le politiche UE in materia di mercato del lavoro di risposta alla crisi

Dal 1997, la strategia europea sull'occupazione è fi-nalizzata alla creazione di posti di lavoro migliori e più numerosi, alla ricerca di un equilibrio tra flessibilità or-ganizzativa e sicurezza nelle transizioni tra un posto di lavoro e l'altro. Tramite il metodo di coordinamento aperto, svolge funzioni di orientamento delle politiche occupazionali negli Stati membri. Finalità, priorità e obiettivi vengono definiti a livello di UE, mentre le spe-cifiche politiche vengono formulate e attuate a livello nazionale con il supporto della Commissione europea per le attività di indirizzo, monitoraggio e collabora-zione al coordinamento. Questa strategia si collega all'indagine annuale sulla crescita, nella quale vengo-no stabilite le priorità dell'UE per l'anno a venire. Essa comprende:

• gli orientamenti per l'occupazione — priorità e obiettivi comuni per le politiche in materia di occupazione;

• la relazione comune sull'occupazione, contenente un'analisi dei progressi compiuti;

• i programmi nazionali di riforma;

• le raccomandazioni nazionali.

Nel 2012 la Commissione ha adottato un insieme di proposte operative per il medio periodo su tre fronti — creazione di nuovi posti di lavoro, funzionamento del mercato del lavoro e governance a livello di UE. Il pacchetto occupazione mette l'accento sullo sviluppo delle competenze, anche tramite la formazione continua, e sulla lotta alla discrepanza tra domanda e offerta di competenze. Svariate sono le misure previste nell'ambito del pacchetto complessivo per il periodo 2012–2013:

• Il pacchetto occupazione giovanile (2012) mira a ridurre la disoccupazione e l'esclusione sociale dei giovani, anche tramite la garanzia giovani. Nel 2013, il Consiglio ha invitato gli

Stati membri a garantire a tutti i giovani sotto i 25 anni un'offerta qualitativamente valida di lavoro, il proseguimento degli studi, o un'attività di apprendistato o tirocinio entro un periodo di quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale. Gli Stati membri ammessi a partecipare all'iniziativa per l'occupazionale giovanile dovranno redigere i piani di attuazione per la garanzia giovani.

• L'alleanza europea per l'apprendistato (2013) si propone di migliorare la qualità e l'offerta delle proposte di apprendistato nell'UE, promuovendo un cambiamento di mentalità nei confronti di questo strumento.

• Il quadro di qualità per i tirocini (2013) si propone di offrire ai giovani la possibilità di acquisire esperienza lavorativa di alta qualità, accrescendone l'occupabilità.

• La modernizzazione del funzionamento dei servizi europei per l'impiego (EURES) è stata promossa tramite un proposta di regolamento del 2014 mirata a incoraggiare la mobilità professionale all'interno dell'UE, al fine di ridurre le carenze di manodopera in aree ad alta crescita e il persistere di sacche di disoccupazione in altre regioni.

• La grande coalizione per l'occupazione nel settore digitale promuove forme di cooperazione tra imprese e organizzazioni per lo sviluppo di iniziative di formazione e istruzione innovative per le professioni nel settore delle TIC, al fine di facilitare la certificazione delle competenze e la mobilità dei lavoratori.

Inoltre, nel 2013 la Commissione ha proposto di potenziare l'azione di coordinamento e monitoraggio delle politiche sociali e occupazionali all'interno dell'area dell'euro, per meglio identificare e combattere le disparità socioeconomiche.

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Capitolo 2: Crescita inclusiva

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Nel 2013 il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 23% della forza lavoro di età compresa tra i 15 e i 24 anni (Carta 2.5). In una regione su quattro il tasso di di-soccupazione supera il 35%, con punte particolarmente elevate negli Stati membri meridionali. In molte regioni, tuttavia, la maggioranza delle persone in questa fascia di età non appartiene alla forza lavoro, ovvero non ha un'occupazione né sta cercando attivamente un lavoro. Il tasso NEET (ovvero la percentuale di giovani non occu-pati e non inseriti in un percorso di studio o formazione) offre un quadro più preciso della situazione giovanile, essendo riferito solo alle persone tra i 15 e i 24 anni e non a tutti gli appartenenti alla forza lavoro (Carta 2.6). Tra il 2008 e il 2013, il tasso NEET nell'UE–28 è salito di 2 punti percentuali, pari al 13% degli appartenenti a questa fascia di età. I tassi superavano il 25% in alcuni regioni della Bulgaria, Romania, Italia, Spagna e Grecia, ove si è registrato l'aumento maggiore durante il perio-do di crisi (Commissione europea 20131).

2.3 Il tasso di disoccupazione femminile è molto più alto nelle regioni meridionali dell'UE

La disoccupazione femminile, in rapporto a quella ma-schile, presenta un quadro molto variegato all'interno dell'UE. Nel complesso, i tassi di disoccupazione ma-schile e femminile sono molto simili nel 2013, tran-ne uno 0,9 punto percentuale in più rispetto al 2008. Questa leggera diminuzione è dovuta alla concentra-zione della perdita di posti di lavoro nei settori edile e manifatturiero, nei quali la percentuale di donne lavo-ratrici è relativamente limitata. Nel 2013 la disoccupa-zione femminile supera di minimo 5 punti percentuali quella maschile in 15 regioni, per lo più situate in Grecia e Spagna (Carta 2.7). Viceversa, è di 3 punti percentua-li più bassa in 16 regioni, situate per lo più in Irlanda, Bulgaria, Regno Unito e Portogallo.

Nel 2013 il tasso di occupazione femminile è più basso di quello maschile a causa della differenza nel grado di partecipazione delle donne alla forza lavoro. Le diffe-renze maggiori si riscontrano nelle regioni meridionali dell'UE, soprattutto a Malta (ove le donne hanno un tas-so inferiore agli uomini di 32 punti percentuali), Grecia, Italia meridionale e alcune zone della Spagna. Dall'altra

1 Commissione europea (2014), Employment and Social Developments in Europe 2013.

parte, in due regioni finlandesi (Åland ed Etelä–Suomi) il tasso di occupazione maschile e femminile sono molto vicini tra loro.

Il persistere di differenze così ampie nei tassi di occu-pazione maschile e femminile rendono complicato, se non impossibile, il raggiungimento degli obiettivi 2020 in materia di occupazione. Il divario nei tassi occupazio-nali è strettamente legato alla tipologia di opportunità occupazionali aperte alle donne, alle retribuzioni offerte, nonché alla disponibilità e al costo dei servizi per l'in-fanzia e dei servizi di assistenza agli anziani, considera-to che si tratta di responsabilità ancora prevalentemen-te in capo alle donne.

Relativamente al grado di istruzione, le donne superano gli uomini nella maggior parte delle regioni. Nel 2013 per ogni 100 uomini tra i 25 e i 64 anni con istruzione terziaria, vi sono 109 donne. Nel corso degli ultimi 20 anni, la percentuale di donne con istruzione terziaria ha raggiunto e superato quella maschile. Se nel 2013 si contano solo 98 donne tra i 50 e i 54 anni con istruzione terziaria ogni 100 uomini (ovvero persone che hanno completato gli studi negli anni Ottanta), le donne tra i 30 e i 34 anni sono 126 ogni 100 uomini (ovvero perso-ne che hanno completato gli studi venti anni dopo, nel primo decennio del 2000) (Carte 2.9 e 2.10).

Questa tendenza è visibile anche a livello regionale. Nel 2013, in nove regioni su dieci, il numero di donne tra i 30 e i 34 anni con una laurea o un titolo di studio equivalente è più alto di quello degli uomini. Le eccezio-ni principali si riscontrano nelle regioni della Germania occidentale, dove il sistema di istruzione terziaria com-porta un periodo di studi molto più lungo per ottenere una laurea rispetto al resto dell'UE. Con la transizione al sistema articolato in Bachelor (laurea di primo livello) e Master (laurea magistrale o specialistica), in futuro questa differenza potrebbe scomparire.

2.4 La riduzione del tasso di abbandono scolastico sta procedendo secondo le previsioni

La riduzione del tasso di abbandono scolastico precoce (inteso come mancato completamento del percorso di studi in una scuola secondaria superiore) è cruciale non solo per l'innalzamento delle competenze della forza la-voro, ma anche per le prospettive occupazionali e di vita

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delle persone interessate. Le persone con un diploma di scuola superiore hanno maggiori probabilità di trovare lavoro, guadagnare di più e avere un'aspettativa di vita più lunga rispetto a persone con un grado di istruzione inferiore.

L'obiettivo Europa 2020 prevede di ridurre al 10% la quota di abbandoni scolastici per la popolazione tra i 18 e i 24 anni nell'UE, contro l'11,9% del 2013, comunque già inferiore rispetto al tasso del 2008 (14,8%). Se que-sta riduzione è in parte attribuibile al peggioramento del contesto occupazionale, vi sono anche i segnali di un miglioramento strutturale che consente di prevedere una prosecuzione di questa tendenza, anche se a un ritmo più blando. Nel 2013, l'obiettivo è stato raggiunto da 82 regioni sulle 221 in cui siano state effettuate ri-levazioni statistiche e definito un obiettivo nazionale (il Regno Unito non ha fissato alcun obiettivo). Circa due terzi di queste regioni sono tra le più sviluppate (Tabella 2.3 e Carte 2.11 e 2.12).

Per promuovere la crescita e l'occupazione, scongiu-rando colli di bottiglia e deficit, i sistemi di istruzione e formazione devono essere in grado non solo di assor-bire un numero più alto di studenti, ma anche di forni-re un insegnamento di buona qualità. Le indagini con-dotte dall'OCSE in questo ambito (Carta 2.13) rivelano che circa il 20% dei quindicenni sottoposti ai test PISA dimostra insufficienti abilità di lettura, mentre le com-petenze matematiche sono insufficienti per una percen-tuale ancora più alta. In molti paesi dell'UE, è ancora elevato il numero di persone con scarsi risultati nelle due principali competenze di base, oltre che nell'alfabe-tizzazione scientifica.

In Bulgaria, Romania e Cipro, la quota di persone con scarse capacità in queste aree supera il 30%, mentre la Grecia ha oltre il 30% di persone con scarse capacità in matematica ma risultati leggermente migliori nelle

altre due aree. Viceversa, tre Stati membri (Finlandia, Estonia e Paesi Bassi) hanno già raggiunto il traguardo UE 2020 di ridurre a meno del 15% la quota di persone con scarse capacità di lettura, matematica e scienze, mentre Germania, Danimarca, Irlanda e Lettonia hanno quasi raggiunto l'obiettivo.

Tabella 2.3 Abbandono scolastico precoce e distanza dall'obiettivo nazionale, regioni dell'UE–28, 2008–2013

Più sviluppate Transizione Meno sviluppate UE–28Abbandono scolastico precoce 2013 (% popolazione 18–24 anni)

11,1 15,5 12,1 11,9

Diminuzione in punti % 2008–2013 3,3 3,7 1,0 2,8

Distanza dall'obiettivo 2013–2020 (differenza in punti %)

0,5 4,0 3,3 1,9

% di regioni* che ha raggiunto l'obiettivo nazionale 47 22 25 37* Comprende solo le regioni con dati statistici e un obiettivo nazionale. Fonte: Eurostat

Istruzione e formazione 2020

Oltre agli obiettivi chiave sull'abbandono scolastico precoce e la partecipazione all'istruzione terziaria, altri tre parametri strategici si aggiungono alla strategia 2020:

• partecipazione di almeno il 95% dei bambini dai 4 anni fino all'età di inizio dell'obbligo scolastico all'educazione della prima infanzia;

• diminuzione sotto la soglia del 15% dei quindi-cenni con scarse capacità in lettura, matematica e scienze;

• partecipazione di almeno il 15% degli adulti (nella fascia di età 25–64) a iniziative di for-mazione continua;

• sono stati compiuti progressi notevoli gra-zie alla cooperazione, soprattutto tramite il supporto alle riforme nazionali dei sistema di formazione continua, la modernizzazione dei sistemi di istruzione superiore e lo sviluppo di metodologie europee condivise per garantire un'istruzione di qualità, la trasparenza delle qualifiche e la mobilità tra paesi.

Lo stanziamento per il programma europeo di istruzione e formazione Erasmus+ è stato aumen-tato del 40% e prevede 14,7 miliardi di euro per il periodo 2014–2020, che consentiranno a oltre 4 milioni di europei di maturare esperienze di studio, lavoro e volontariato in un altro paese.

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2.5 La formazione continua sta attraversando una fase stagnante

La formazione continua successiva ai percorsi di for-mazione di base e istruzione scolastica è necessaria per consentire alle persone di mantenere e sviluppare le proprie competenze, adattarsi ai cambiamenti strut-turali e agli sviluppi tecnologici, conservare il posto di lavoro, avanzare di carriera oppure rientrare nel mer-cato del lavoro. Alla luce di ciò, l'obiettivo fissato dal Consiglio prevede l'innalzamento al 15% della quota di adulti partecipanti a iniziative di formazione continua entro il 20202.

2 Commissione europea (2012), Education and training monitor 2012.

Nel 2013 questa quota è pari al 10,5%, di poco inferiore al dato del 2004 (9,1%). Per questo motivo il traguardo fissato potrebbe essere difficile da raggiungere. Appena una regione su quattro (77 su 266) superava l'obiet-tivo del 15%, con le percentuali più alte (oltre il 20%) nelle regioni appartenenti ai tre Stati membri nordici. Viceversa, in tutte o quasi tutte le regioni in Bulgaria, Grecia, Romania, Ungheria, Slovacchia e Polonia, la quo-ta è rimasta al di sotto del 5% (Carta 2.14). L'importanza di perfezionare le politiche in materia di formazione de-gli adulti è anche rimarcata nelle raccomandazioni che il Consiglio rivolge a ciascun paese nell'ambito del se-mestre europeo; in particolare, nel 2013 è stata fornita

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Figura 2.1 Competenze linguistiche degli adulti, 2011–2012 Inferiore al livello 1Livello 1Livello 2Livello 3Livello 4/5

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I dati mancanti si riferiscono ad adulti che non sono riusciti a fornire sufficienti informazioni per valutare i propri livelli di competenze a causa di difficoltà linguistiche o di apprendimento. UK comprende solo Inghilterra e Irlanda del Nord; BE comprende solo Flanders.Fonte: OCSE (2013), Skills Outlook 2013.

I paesi sono classificati in ordine crescente della percentuale combinata di adulti appartenenti alla categoria di livello 3 e 4/5

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Figura 2.2 Competenze matematiche degli adulti, 2011–2012

% di popolazione a partire dai 16 anni

Inferiore al livello 1Livello 1Livello 2Livello 3Livello 4/5

I paesi sono classificati in ordine crescente della percentuale combinata di adulti appartenenti alla categoria di livello 3 e 4/5

I dati mancanti si riferiscono ad adulti che non sono riusciti a fornire sufficienti informazioni per valutare i propri livelli di competenze a causa di difficoltà linguistiche o di apprendimento. UK comprende solo Inghilterra e Irlanda del Nord; BE comprende solo Flanders.Fonte: OCSE (2013), Skills Outlook 2013.

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Capitolo 2: Crescita inclusiva

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una raccomandazione specifica in merito alla formazio-ne a Estonia, Spagna, Francia, Ungheria e Polonia3.

2.6 Occorre innalzare le competenze linguistiche e matematiche degli adulti in diversi Stati membri, secondo l'inchiesta dell'OCSE sulle competenze degli adulti (PIAAC)

Le capacità di lettura e comprensione delle informazioni letterarie e numeriche è essenziale per una piena parte-cipazione alla vita sociale ed economica. Senza questo tipo di competenze le persone restano ai margini della società, scontrandosi con barriere non indifferenti quan-do cercano di entrare nel mercato del lavoro.

Purtroppo in molti Stati membri, è molto alto il numero di persone con scarse capacità di lettura e calcolo, come indicato dall'Inchiesta sulle competenze degli adulti (PIAAC),4 condotta dall'OCSE per valutare le capacità di comprensione, calcolo e risoluzione di problemi delle persone con età superiore a 16 anni. I livelli più alti di competenze in matematica e lettura si riscontrano in Finlandia, Paesi Bassi, Svezia e Norvegia, oltre che in Giappone. Viceversa, livelli piuttosto bassi si registra-no in Spagna e Italia, dove molti adulti hanno difficoltà persino con le competenze più elementari (Figure 2.1 e 2.2.). L'inchiesta mostra inoltre come vi sia un collega-mento tra le diseguaglianze in termini di competenze in lettura e matematica da un lato, e una sperequazione nella distribuzione del reddito dall'altro.

3. La povertà e l'esclusione sociale sono aumentate a causa della crisi

La crescita inclusiva costituisce il cuore della strategia Europa 2020. In altri termini, le politiche sociali dovreb-bero cercare di supportare le persone a trovare lavoro, contribuire alla modernizzazione del mercato del lavo-ro, investire nelle competenze e nella formazione, com-battere la povertà e riformare i sistemi di protezione sociale, allo scopo di aiutare le persone ad anticipare e gestire il cambiamento, costruendo così una società più coesa. La finalità principale è di garantire la propagazio-

3 http://ec.europa.eu/europe2020/making-it-happen/country- specific-recommendations/index_it.htm per scaricare tutte le rac-comandazioni.

4 OCSE (2013), OECD Skills Outlook 2013.

ne dei benefici della crescita economica a tutti i livelli della società all'interno dei territori dell'Unione.

In particolare, la strategia Europa 2020 ha inserito fra i suoi punti focali la povertà e l'esclusione sociale. Ha quindi introdotto un nuovo parametro generale, artico-lato in tre indicatori: grave indigenza materiale, appar-tenenza a nuclei familiari disoccupati o a bassa occu-pazione, a rischio povertà (si veda il riquadro). Questa sezione esamina per prima corsa i tre indicatori specifici e successivamente il parametro generale.

Questi indicatori provengono interamente dalle infor-mazioni raccolte grazie al progetto EU–SILC (Indagine statistica sul reddito e le condizioni di vita nell'UE), uni-ca fonte di dati comparabili per gli Stati membri dell'UE, anche se non per tutti sono disponibili indicatori a livello regionale. (Per il 2014, invece, la Commissione europea sta concedendo aiuti agli istituti nazionali di statistica affinché siano prodotti dati anche su base regionale).

Se gli indicatori nazionali basati sul dato aggregato spes-so non rendono conto delle differenze tra regioni o aree territoriali, per un'analisi approfondita della povertà, delle sue cause e degli interventi di contrasto alla povertà è spesso necessario disporre di informazioni geografica-mente dettagliate. In questa sezione, questi indicatori vengono analizzati innanzi tutto in relazione al grado di urbanizzazione, utilizzando un sistema di classificazione che a livello locale distingue tra grandi città da un lato, e piccole cittadine, periferie e aree rurali dall'altro. Per fa-cilità di esposizione, le aree rurali sono dunque associate alle piccole cittadine e alle periferie. Questo consente di identificare le principali tipologie territoriali nelle quali si concentrano la povertà e l'esclusione sociale. Negli Stati membri occidentali esse si concentrano soprattutto nelle grandi città, negli Stati membri centro–orientali principal-mente nelle aree rurali.

3.1 L'indigenza materiale grave è più diffusa nelle cittadine, nelle periferie e nelle aree rurali degli Stati membri meno sviluppati

Nel 2005 circa l'11% della popolazione dell'UE–27 ri-sultava gravemente indigente. Questa quota è scesa all'8% nel 2009, per poi risalire nuovamente all'11% nel 2012 a causa della crisi. Esiste una stretta corre-lazione tra questo indicatore e il livello di reddito e di

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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sviluppo economico di un paese. I valori più alti si re-gistrano in Bulgaria (44%), Romania (30%), Lettonia e Ungheria (entrambe 26%).

In Bulgaria, Romania e Ungheria, i tassi di indigenza sono molto più bassi nelle città — 12 punti percentuali in meno in Bulgaria e 8 punti percentuali in meno in Romania e Ungheria (Figura 2.3). Viceversa in Austria, Irlanda, Regno Unito e Belgio, i tassi di indigenza sono compresi tra l'8% e il 10%, mediamente 5 punti percen-tuali in più rispetto al resto del paese.

Tra il 2008 e il 2012, i tassi di indigenza sono saliti di 7–8 punti percentuali in Grecia, Ungheria, Lituania,

Lettonia e Italia. Nei due Stati baltici e in Grecia, i tassi di indigenza sono aumentati di più nelle città, mentre in Italia e Ungheria sono aumentati maggiormente nelle aree più periferiche.

In Austria, Romania e Polonia, i tassi di indigenza sono diminuiti di 2–4 punti percentuali. In Polonia e Romania, i tassi nelle cittadine, nelle periferie e nelle aree rurali sono scesi di oltre 5 punti percentuali (rispetto ai 3 punti percentuali nella prima e zero nella seconda).

Nel complesso, l'indigenza materiale grave rimane più diffusa negli Stati membri meno sviluppati, in partico-lare nelle aree rurali, nelle cittadine e nelle zone pe-

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Figura 2.4 Quota di popolazione che vive in famiglie a bassa intensità lavorativa per grado di urbanizzazione, 2008–2012

% di popolazione età 0-59 nella zonaCittà 2012Città 2008

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Figura 2.3 Quota di popolazione in condizioni di grave indigenza materiale per grado di urbanizzazione, 2008–2012

% di popolazione nella zonaCittà 2012Città 2008

Zone rurali, cittadine e periferie 2012Zone rurali, cittadine e periferie 2008

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IE, AT: 2008 e 2011Fonte: Eurostat

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Capitolo 2: Crescita inclusiva

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riferiche. Negli Stati membri più sviluppati, l'indigenza materiale è meno diffusa ma comunque maggiore nelle città rispetto alle altre zone. La crisi ha provocato un aumento delle situazioni di indigenza in diversi Stati membri, ma non ha modificato la morfologia di base.

3.2 La bassa intensità lavorativa negli Stati membri più sviluppati si concentra maggiormente nelle città

Rispetto all'indigenza, la bassa intensità lavorativa è distribuita in maniera più uniforme nei territori dell'UE. Nel 20085, la quota di persone che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa oscilla dal 14% in Irlanda al 5% a Cipro (Figura 2.4). Nel 2012 la crisi ha provo-cato incrementi di 5–10 punti percentuali6 in Lituania, Lettonia, Spagna, Grecia e Irlanda. Nello stesso periodo, si registra un leggero calo in Polonia e Germania, paesi nei quali l'occupazione ha risentito meno della crisi (in Germania, il tasso di occupati è aumentato).

Il tasso di bassa intensità lavorativa nelle città del-la Bulgaria, Irlanda, Lituania, Slovacchia, Ungheria e Croazia è di 5–9 punti percentuali in meno rispetto alle altre zone. Per contro, è di 5 punti percentuali più alto nelle città del Regno Unito, della Danimarca, Germania, del Belgio e dell'Austria. In linea generale, quindi, le si-tuazioni di bassa intensità lavorativa sono più diffuse nelle città degli Stati membri più sviluppati, con l'ec-cezione dell'Irlanda. La contemporanea presenza del fenomeno della disoccupazione in città dove le opportu-nità di lavoro sono maggiori è a volte denominata con l'espressione "paradosso urbano".

L'impressione è che la crisi abbia avuto poco impatto su questa conformazione. In Grecia, Svezia, Portogallo e Austria, il tasso di bassa intensità lavorativa nelle città è salito di più che non nelle altre aree. In Germania, il tasso nelle città non è cambiato, mentre nelle altre aree è diminuito di 2 punti percentuali. Nella Repubblica ceca è avvenuto il contrario.

5 Si tratta degli anni in cui è stata svolta la rilevazione statistica. L'intensità lavorativa viene misurata sull'anno solare precedente, tranne nel Regno Unito (anno fiscale precedente) e in Irlanda (12 mesi precedenti).

6 Per la maggioranza dei paesi, le cifre per il 2012 fanno riferimento all'anno solare 2011; si veda la precedente nota a piè di pagina.

Cosa si intende per "a rischio povertà o esclusione sociale" (indicatore AROPE)?

Per rischio povertà o esclusione si intende il verifi-carsi di una o più tra le seguenti tre condizioni:

• grave indigenza materiale: condizioni di vita contrassegnate dalla mancanza forzata di ri-sorse, riassunte in almeno quattro dei seguen-ti nove elementi: 1) capacità di pagare le rate del mutuo/affitto o le utenze entro le scadenze, 2) capacità di tenere la casa sufficientemente riscaldata, 3) capacità di affrontare spese im-previste, 4) capacità di consumare un pasto a base di carne, pollo o proteine ogni due giorni, 5) capacità di pagare una settimana all'anno di vacanza lontano da casa, 6) capacità di poter-si permettere un auto, 7) una lavatrice, 8) una TV a colori, 9) un telefono (incluso cellulare). Questo indicatore offre una stima della povertà assoluta, ed è misurato nello stesso modo in tutti gli Stati membri;

• appartenenza a un nucleo familiare disoccu-pato o a bassa intensità lavorativa: nel quale le ore effettivamente lavorate dai membri in età lavorativa (18–59) sono inferiori al 20% delle ore lavorative potenziali, perché disoc-cupati o con un'occupazione a tempo parziale anziché a tempo pieno (gli studenti sono esclusi dal calcolo);

• a rischio povertà: appartenenza a un nucleo fa-miliare con reddito disponibile "rettificato" (ovve-ro aggiustato in base alle dimensioni e alla com-posizione della famiglia) inferiore alla soglia di povertà, fissata al 60% della mediana nazionale. Questo è l'indicatore della povertà relativa.

Il numero complessivo di persone a rischio pover-tà o esclusione sociale è inferiore alla somma dei numeri in ciascuna categoria, poiché è frequente il caso di soggetti rientranti in più di una categoria.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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3.3 Il rischio di povertà è più alto nelle aree urbane degli Stati membri più sviluppati, e nelle cittadine, periferie e aree rurali degli Stati membri meno sviluppati

Il tasso di rischio di povertà rappresenta un indicatore relativo della povertà. Due sono gli aspetti che è impor-tante tenere in considerazione:

a) Poiché la soglia di povertà viene definita a livello nazionale, un soggetto con un determinato livello di reddito potrebbe essere ritenuto a rischio di po-vertà in un paese e non a rischio in un altro paese contraddistinto da livelli di reddito più alti.

b) I tassi di rischio di povertà sono sensibili alle varia-zioni nel livello di reddito complessivo. Un soggetto con reddito costante per un periodo di due anni po-trebbe trovarsi al di sopra della soglia di rischio in caso di abbassamento del reddito mediano, o sotto la soglia in caso di innalzamento del reddito me-diano. L'incremento della quota di persone a rischio povertà provocato dalla contrazione nel reddito fa-miliare mediano in molti paesi a seguito della re-cessione economica, non è così elevato come ci si sarebbe potuti attendere — infatti in alcuni paesi questo tasso è diminuito.

Ad esempio, in Lettonia il tasso di rischio di povertà è diminuito dal 26% al 19% tra il 2008 e il 20127, prin-

7 Anni di produzione del reddito 2007–2011.

cipalmente a causa della diminuzione del reddito gene-rale. Se la soglia di povertà fosse rimasta ai livelli del 2008, il tasso di rischio di povertà sarebbe salito dal 26% al 36%8.

Dei tre indicatori, questo è quello che evidenzia le mag-giori differenze tra le città e il resto del paese. Nei 15 Stati membri, di cui buona parte appartenenti all'UE–13, i tassi di rischio di povertà nelle città sono di almeno 4 punti percentuali più bassi che altrove (Figura 2.5), se-gno che le persone in città guadagnano di più che nelle altre zone.

In 6 Stati membri dell'UE–15, dall'altro lato, i tassi di rischio di povertà nelle città erano più alti di 4 punti percentuali che altrove, evidenziando una distribuzione meno omogenea dei redditi nelle città rispetto alle altre zone.

Tra il 2008 e il 2012, i tassi di rischio di povertà sono sali-ti in 17 Stati membri, anche a causa della crisi. All'interno dell'UE, in linea generale i tassi sono saliti di più nelle città (mediamente di 1 punto percentuale) che non nelle altre aree (0,3 punti percentuali). La differenza è partico-larmente rilevante in Grecia, con un aumento di 6 punti percentuali nelle città contro 1 punto percentuale nelle altre aree. I tassi di povertà sono saliti di 4 punti percen-tuali nelle città tedesche e di 6 punti percentuali nelle cit-tà austriache. Nei Paesi Bassi i tassi di povertà nelle città

8 Definibile come tasso di povertà ancorato a un momento temporale specifico.

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Figura 2.5 Quota di popolazione che vive in famiglie a rischio di povertà per grado di urbanizzazione, 2008–2012

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Capitolo 2: Crescita inclusiva

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sono saliti di 2 punti percentuali, mentre in altre zone sono diminuiti di 4 punti percentuali. Pertanto nel 2012 i tassi di povertà e rischio povertà sono più alti nelle città che non altrove, mentre nel 2008 erano più bassi.

Data la spiccata dimensione territoriale dei tassi di povertà, se ne deduce che gli indicatori nazionali non mostrano importanti differenze. Le politiche di lotta alla povertà potrebbero trarre beneficio da una ricostruzio-ne più dettagliata in termini geografici della situazione dominante e delle principali cause. Per questo motivo la Commissione europea ha lanciato un'iniziativa in colla-borazione con ESPON e la Banca mondiale, finalizzata alla predisposizione di carte più dettagliate per ciascun Stato membro (Carta 2.15).

3.4 Le città negli Stati membri meno sviluppati sono prossime agli obiettivi 2020, mentre le città negli Stati membri più sviluppati hanno accumulato un ritardo

La strategia Europa 2020 si prefigge di ridurre il rischio di povertà ed esclusione sociale per 20 milioni di perso-ne rispetto al 2010, pari a circa il 19,5% della popola-zione complessiva. Già nel 2012, la maggioranza delle regioni in Austria, Repubblica ceca, Paesi Bassi e Stati membri settentrionali, oltre ad alcune regioni in Spagna, Italia, Slovacchia, Slovenia e Belgio, hanno raggiunto questo traguardo (Carta 2.16). (Per quanto riguarda Germania e Francia, la scomposizione regionale dei dati

Inclusione sociale e politiche di protezione sociale

L'inserimento del rischio di povertà ed esclusione so-ciale tra gli obiettivi della strategia Europa 2020 ri-flette una maggiore attenzione verso le questioni so-ciali da parte del quadro politico di Europa 2020. Ai governi nazionali compete la responsabilità primaria nell'attuazione delle riforme, mentre le autorità locali e regionali svolgono un ruolo fondamentale soprattut-to per quanto concerne l'erogazione dei servizi. Alcuni Stati membri avevano avviato un processo di ristrut-turazione dei sistemi di protezione sociale già prima della recessione, riuscendo così ad affrontare meglio la crisi dal punto di vista sociale ed economico.

La Piattaforma europea contro la crisi e l'esclusione so-ciale è stata costituita con l'intento di supportare gli Sta-ti membri nel raggiungimento dell'obiettivo nazionale in termini di lotta alla povertà ed esclusione sociale, anche attraverso un utilizzo più ottimale dei fondi europei.

Nel 2012 la Commissione ha adottato il pacchetto "investimenti sociali". Articolato in tre filoni, il primo riguarda la lotta allo svantaggio infantile precoce, tra-mite misure per favorire l'accesso a un'istruzione di qualità e per migliorare la situazione economica delle famiglie. Il secondo riguarda l'investimento nelle com-petenze anche a prescindere dal processo di consolida-mento fiscale in atto, tramite la promozione di servizi formativi e assistenziali accessibili, nonché il supporto alla ricerca del lavoro. Il terzo riguarda la semplifica-zione amministrativa delle procedure di gestione e ac-cesso ai contributi.

Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è stato costituito nel 2006 per fornire sostegno ai lavo-

ratori in esubero che risentono delle conseguenze delle trasformazioni strutturali del commercio mondiale o della recente crisi. Per il periodo 2014–2020 prevede anche misure di sostegno per l'occupazione giovanile a livello regionale.

Il programma PROGRESS (Programma europeo per l'occupazione e la solidarietà sociale) si propone di co-stituire una piattaforma europea di scambio e appren-dimento finalizzata alla raccolta di evidenze sull'effi-cacia delle politiche occupazionali e sociali europee, nonché alla promozione di un maggior coinvolgimento delle parti sociali e degli attori della società civile nelle azioni politiche.

Lo strumento Progress Microfinance (costituito nel 2010 in risposta alla crisi) si propone di accrescere la disponibilità di microcrediti per la costituzione o lo sviluppo di piccole imprese, a favore di persone social-mente ed economicamente svantaggiate.

Per il periodo 2014–2020, le reti Progress ed Eures (Servizi europei per l'impiego) rientrano nel nuovo programma per l'occupazione e l'innovazione sociale (EaSI). La finalità è di sostenere gli sforzi degli Stati membri nel programmare e attuare le riforme sociali e occupazionali a ogni livello, attraverso il coordinamen-to politico e l’individuazione e lo scambio di informa-zioni sulle migliori prassi.

Il nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD) in-tende rafforzare la coesione sociale tramite azioni di assistenza non finanziaria (materiale) a favore degli indigenti.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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non è ancora disponibile, sebbene i tassi nazionali siano in entrambi i casi inferiori all'obiettivo 20209).

La distanza dall'obiettivo nazionale è generalmente più ampia nelle regioni meno sviluppate (Carta 2.17). Ad esempio nelle regioni meno sviluppate di Italia, Spagna, Ungheria e Bulgaria, la distanza dal rispettivo obiettivo nazionale è di oltre 14 punti percentuali, segno che pro-babilmente la politica di coesione in queste regioni do-vrebbe prevedere specifiche misure atte a ridurre il nu-mero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale.

Tra il 2008 e il 201210, il numero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale nell'UE è aumentato di 6,5 milioni, pari a quasi un quarto (24,8%) della popolazione. I più colpiti sono soprattutto le persone in età lavorativa a causa dell'aumento significativo della disoccupazione e della tendenza al ribasso dei salari, in una fase persisten-te caratterizzata dalla carenza di posti di lavoro.

Nel 2012, le città di 7 Stati membri registrano in me-dia un tasso più basso del rispettivo obiettivo nazionale 2020 (Figura 2.6). In tre Stati membri, ciò avviene per le aree "non propriamente urbane" (ovvero cittadine, periferie e aree rurali) (si tenga presente che il Regno Unito, la Svezia e la Croazia non hanno fissato un pro-prio obiettivo nazionale). Allo scopo di formulare politi-che di riduzione dei tassi, è importante sapere in quali tipologie di aree si concentrano i fenomeni di rischio di

9 Relativamente alla Germania, occorre tenere presente che, a dif-ferenza degli altri Stati membri, l'indicatore nazionale utilizzato è rappresentato dalla disoccupazione di lunga durata.

10 Anni di produzione del reddito 2007–2011.

povertà o esclusione sociale, in maniera tale da poter differenziare almeno in parte le misure di contrasto te-nendo conto delle specificità del contesto.

3.5 La qualità della vita nelle città europee non è omogenea

La conduzione regolare di indagini sulla percezione del-le persone in merito alla qualità della vita nelle città europee consente di ottenere un'istantanea delle im-pressioni dei cittadini su una serie di tematiche legate al contesto urbano. L'ultima rilevazione per il 201311 mi-sura la soddisfazione degli abitanti di 79 città dell'UE. Le risposte a 7 indicatori in un campione di 16 città sono analizzate qui di seguito, quale illustrazione della situazione all'interno dell'UE12 (Figura 2.7).

Agli intervistati è stato chiesto di valutare la propria soddisfazione rispetto ai seguenti aspetti della città in cui vivono: trasporti pubblici, qualità dell'aria, sicurezza, qualità dell'amministrazione locale, opportunità lavora-tive, costo e disponibilità di alloggi, integrazione degli stranieri. I risultati sono riportati in grafici a radar e con-frontati con il livello mediano di soddisfazione nell'UE.

Essi rivelano l'esistenza di notevoli differenze tra una città e l'altra in termini di valutazione della qualità di vita da parte dei cittadini, segnalando anche punti di

11 Commissione europea (2013), Flash Eurobarometer 366.

12 Le risposte del tipo "Non so" sono state eliminate in fase di elabo-razione dei dati.

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BE, IE, AT e UK: 2008 e 2011Fonte: Eurostat

Figura 2.6 Quota di popolazione che vive in famiglie a rischio povertà o esclusione per grado di urbanizzazione, 2008–2012 e obiettivi nazionali 2020

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Capitolo 2: Crescita inclusiva

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forza e di debolezza delle varie città. Alcune opinioni poco favorevoli testimoniano l'impatto della crisi sul be-nessere delle persone e sulle finanze della città. Questo è particolarmente evidente per le città più duramente colpite dalla recessione. Ad Atene, Oviedo e Palermo, la scarsità di opportunità occupazionali viene considerata come la principale problematica. Viceversa nelle gran-di città dell'Europa settentrionale — Helsinki, Monaco, Amburgo, Parigi e Londra — la maggioranza dei citta-dini considera relativamente facile trovare lavoro. Allo stesso tempo, la concentrazione dei posti di lavoro nelle città determina un aumento del flusso di persone che si trasferiscono in città e un conseguente aumento della pressione abitativa, facendo lievitare i prezzi e diminui-re i livelli di soddisfazione.

La soddisfazione per le questioni legate alla sicurez-za, alla qualità dell'aria e al trasporto pubblico tende a essere collegata alla percezione di efficienza dell'am-ministrazione locale. Le città con una valutazione mol-to positiva in tema di efficienza amministrativa, come Aalborg, Monaco, Amburgo e Rostock, mostrano anche livelli elevati di soddisfazione rispetto alle altre temati-che; a Oviedo, Atene, Palermo, Parigi, Madrid e Sofia, al contrario, i cittadini si ritengono insoddisfatti per tutte le categorie.

3.6 I tassi di criminalità sono più alti nelle regioni urbane, nelle regioni di confine e nelle destinazioni turistiche

I reati non sono distribuiti uniformemente all'interno dell'UE. La aree altamente urbanizzate, le destinazioni turistiche e alcune regioni di confine registrano un nu-mero molto più alto di reati denunciati pro capite rispet-to ad altre zone, anche se queste cifre vanno interpre-tate con un certo grado di cautela (Carte 2.18 e 2.19). Il numero dei reati denunciati, quali i furti in apparta-mento, è spesso inferiore alla realtà, poiché le vittime potrebbero avere la residenza in una regione diversa da quella in cui è stato commesso il reato (ad esempio perché derubati dell'auto o di altro durante un viaggio). Questo può quindi determinare un tasso arrotondato per eccesso in alcune regioni e per difetto in altre.

I furti sono più frequenti nelle regioni con grandi città, ad esempio in Belgio nella regione di Bruxelles o nel-le regioni che contengono le città di Anversa, Liegi e Charleroi. Anche i furti in appartamento si verificano più

spesso nelle regioni urbane NUTS 3 che non altrove, ad esempio nelle regioni di Vienna o Sofia. È anche il caso delle regioni turistiche, ad esempio quelle lungo la costa del Mediterraneo in Francia o Spagna, oppure nell'Algar-ve in Portogallo. Lo stesso dicasi per il furto di veicoli a motore, con tassi elevati in alcune regioni di confine, come ad esempio lungo il confine tra Belgio e Francia oppure tra Germania, Polonia e Repubblica ceca.

La criminalità può avere pesanti ripercussioni sullo svi-luppo sociale ed economico, diffondendo un clima di paura tra i cittadini e agendo da deterrente per gli im-prenditori che intendono avviare un’attività. Comporta dei costi supplementari che possono colpire soprattutto i membri più poveri della società e scoraggiare i poten-ziali investitori. Le strategie di sviluppo delle regioni ca-ratterizzate da tassi elevati di criminalità non possono non tenere conto di questi aspetti.

4. I flussi migratori interni agli Stati membri e tra Stati membri diversi sono determinati dalle disparità sotto il profilo occupazionale, retributivo e sanitario

4.1 Il territorio dell'UE è estremamente urbanizzato, ma il processo di urbanizzazione ancora in corso ha diminuito il proprio ritmo

L'evoluzione demografica dell'UE sul lungo periodo con-sente di inquadrare le ultime tendenze in una prospet-tiva più ampia, così da distinguere tra tendenza a lungo termine da un lato e forte discontinuità rispetto al pas-sato dall'altro. Essa offre anche un punto di riferimento inteso come distinzione tra cambiamenti di proporzioni senza precedenti, e cambiamenti tutto sommato circo-scritti se confrontati con le variazioni avvenute nei 50 anni precedenti. Inoltre, gli investimenti nelle infrastrut-ture di larga scala vanno pianificati tenendo conto della probabile evoluzione demografica nel corso dei decenni a venire, a tal fine basandosi sulle tendenze del passa-to. Un rapido incremento demografico può determina-re un adeguamento dei prezzi a causa della necessità di potenziare servizi e infrastrutture (scuole, ospedali ecc.), difficilmente finanziabili in caso di scarsa disponi-

Page 118: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

80

Città

Mediana UE

Figura 2.7 Grado di soddisfazione dei cittadini in merito ad alcuni aspetti della qualità della vita in un campione di città, 2012

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdi alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

Ad Atene (EL), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdi alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

A Ostrava (CZ), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdi alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

Ad Aalborg (DK), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdi alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

A Cluj-Napoca (RO), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdegli alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

A Monaco (DE), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdegli alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

Ad Amburgo (DE), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Qualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdegli alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubblici

A Rostock (DE), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdi alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

A Oviedo (ES), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Page 119: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 2: Crescita inclusiva

81

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdi alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

A Parigi (FR), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdi alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'ariaQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

A Sofia (BG), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdi alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

A Londra (UK), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdi alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

A Palermo (IT), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdi alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

A Budapest (HU), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdi alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

A Helsinki (FI), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdi alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubbliciQualità dell'aria

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

A Madrid (ES), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Opportunità lavorative

Costo e disponibilitàdi alloggi

Integrazione degli stranieri

Trasporti pubblici

Sicurezza

Efficienza dell'amministrazione

comunale

A Varsavia (PL), gli abitanti si ritengono soddisfatti di:

Fonte: Urban Audit Perception Survey

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

82

Page 121: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 2: Crescita inclusiva

83

bilità dei contributi pubblici. Viceversa una crescita più lenta consente una migliore pianificazione della spesa pubblica, ad esempio in caso di ristrutturazione o rico-struzione di scuole o ospedali.

È possibile che le regioni in rapido declino demografico debbano ridimensionare la propria offerta di servizi e infrastrutture. Tra il 2001 e il 2011, in 1 regione NUTS 3 su 20 si è registrato un declino demografico superiore al 10%, determinando in tutta probabilità un eccesso nell'offerta di alloggi, servizi pubblici e così via. Varie città della Germania orientale hanno subito un calo de-mografico tale da dover eliminare interi quartieri per riuscire a rendere la città più praticabile.

Per il periodo 1961–2011, la crescita della popolazio-ne nell'UE ha raggiunto il suo picco massimo negli anni Sessanta, con un aumento dell'8% nel corso del decennio. Poi è progressivamente rallentata fino agli anni Novanta, con un incremento pari a circa il 2% nel decennio, per poi riprendere con un incremento del 3,5% circa tra il 2001 e il 2011. Questi cambiamenti si traducono con il numero relativo di regioni NUTS 3 aventi un incremento demografico superiore al 10% a decennio. Tra il 1961 e il 1971, una su tre è cresciuta di oltre il 10% rispetto al decennio precedente, mentre negli anni Ottanta, Novanta e Duemila meno di una su 10 (Carte 2.20 e 2.21).

Le regioni con un declino demografico superiore al 10% hanno seguito una tendenza contraria alle aspettative.

Negli anni Sessanta, questa tendenza si è verificata nel 5% delle regioni appartenenti soprattutto a Portogallo, Grecia e Spagna. Negli anni Settanta, la quota è scesa al 2,5% circa, negli anni Ottanta e Novanta diminuendo ulteriormente all'1,5%. Nel 1989, il crollo del muro di Berlino e i cambiamenti nei regimi dell'Europa centro–orientale, verificatisi più o meno nello stesso periodo, hanno determinato un aumento significativo dei flussi migratori. Negli anni Novanta, solo il 4% o poco più del-le regioni ha registrato un calo demografico superiore al 10%, contro il 7% del primo decennio del 2000, riguar-dante le regioni situate principalmente negli Stati baltici e in Romania, Bulgaria, Croazia e Germania orientale.

La crescita negli anni Sessanta si è concentrata soprat-tutto nelle regioni urbane, con un incremento nel corso del decennio pari al 12%, contro il 9% delle regioni in-termedie e l'1% delle regioni rurali.

Dopo il 1971, le differenze in termini di crescita tra l'UE–15 e l'UE–13 sono diventate più marcate. Tra il 1971 e il 2011, la popolazione nell'UE–15 è aumentata del 4% circa per decennio. La crescita nelle regioni intermedie e urbane era leggermente superiore alla media, mentre nelle regioni rurali era circa la metà della media.

Nell'UE–13, l'incremento demografico è rallentato dopo il 1981, per poi registrare un saldo negativo dopo il 1991. In tutte e tre le tipologie di regioni, la popolazione è diminuita durante gli anni Novanta, mentre nel pri-

Tabella 2.4 Evoluzione demografica per tipologia urbano–rurale, 1961–2011

Variazione demografica (%)1961–1971 1971–1981 1981–1991 1991–2001 2001–2011

UE–15 Urbana 11,6 4,4 2,9 3,6 6,4

Intermedia 7,8 4,9 3,6 3,9 4,5

Rurale –0,3 1,8 1,5 2,4 2,4

Totale 7,8 4,1 2,9 3,5 5,0

UE–13 Urbana 14,9 11,0 4,5 –2,4 0,7

Intermedia 11,2 9,6 3,5 –0,6 –0,3

Rurale 3,6 4,2 2,0 –2,8 –3,2

Totale 8,5 7,6 3,1 –1,9 –1,3

UE–28 Urbana 12,0 5,1 3,1 2,9 5,7

Intermedia 8,6 6,1 3,6 2,8 3,4

Rurale 1,2 2,7 1,7 0,3 0,3

Totale 8,0 4,9 2,9 2,2 3,6Fonte: Serie temporali di dati sulla popolazione delle zone LAU2, INS, DG REGIO/Spatial Foresight

Page 122: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

84

Page 123: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 2: Crescita inclusiva

85

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

86

mo decennio del Duemila è diminuita nelle regioni rurali (del 3%) e aumentata nelle regioni urbane (con un tasso che sfiorava l'1%) (Tabella 2.4).

Le variazioni a livello di incremento demografico appe-na evidenziate sono state accompagnate da un'evolu-zione nel grado di urbanizzazione all'interno dell'UE. Rispetto al resto del mondo, l'UE e in particolare l'UE–15 erano già fortemente urbanizzate sin dal 1961. Nei successivi 50 anni, la quota di popolazione dell'UE–15 residente in città (42%) non è variata (Tabella 2.5). Tra il 1961 e il 1991, gli abitanti delle città e dei quartieri periferici sono aumentati dal 28% al 32%, mentre gli abitanti delle zone rurali sono diminuiti dal 30% al 25%. Queste percentuali sono rimaste grosso modo invariate dal 1991 a oggi. Pertanto, nel 1961 il 70%

della popolazione dell'UE–15 viveva nelle aree urbane (città, piccole cittadine e aree periferiche), per poi au-mentare al 75% nel 1991 e attestarsi su questo livel-lo fino al 2011.

L'UE–13 presenta un grado di urbanizzazione inferiore. Nel 2011, il 60% della popolazione viveva nelle aree urbane, in percentuale comunque maggiore rispetto a 50 anni prima (45%). Come nell'UE–15, l'incremento è avvenuto soprattutto tra il 1961 e il 1991, anche se al contrario dell'UE–15, l'incremento è avvenuto sia nelle città più grandi (dal 25% al 34%), sia nelle cittadine sia nelle periferie (dal 20% al 25%). Tra il 1991 e il 2011 queste percentuali sono variate pochissimo, fat-ta eccezione per un leggero incremento nelle cittadine e periferie.

Tabella 2.5 Popolazione per grado di urbanizzazione, 1961–2011

% del totale 1961 1971 1981 1991 2001 2011

UE–15 Città 42,4 43,6 43,4 42,9 42,2 42,3Cittadine e periferie 27,8 29,5 31,0 31,8 32,5 32,6Zone rurali 29,8 26,9 25,6 25,3 25,3 25,0

UE–13 Città 25,4 29,0 32,6 34,2 33,9 33,8Cittadine e periferie 19,7 21,4 23,1 24,5 25,1 25,7Zone rurali 55,0 49,6 44,3 41,4 41,0 40,4

UE–28 Città 38,6 40,3 40,9 40,9 40,4 40,5Cittadine e periferie 26,0 27,7 29,2 30,1 30,8 31,2Zone rurali 35,5 32,0 29,9 29,0 28,8 28,3

Solo dati parziali per Portogallo e Slovenia. Fonte: Serie temporali di dati sulla popolazione delle zone LAU2, INS, DG REGIO/Spatial Foresight.

Tabella 2.6 Variazione demografica, variazione naturale e migrazione netta per tipologia urbano–rurale, 2001–2011

Variazione complessiva (%)Prevalentemente

urbanaIntermedia Prevalentemente

ruraleTotale

UE–15 Variazione demografica complessiva 6,8 4,7 3,1 5,4

Variazione demografica naturale 2,6 0,5 –0,6 1,3

Migrazione netta 4,1 4,2 3,7 4,1

UE–13 Variazione demografica complessiva 0,6 –1,1 –3,9 –1,9

Variazione demografica naturale –1,2 –0,7 –1,8 –1,3

Migrazione netta 1,8 –0,4 –2,2 –0,6

UE–28 Variazione demografica complessiva 6,1 3,3 0,4 3,8

Variazione demografica naturale 2,2 0,2 –1,0 0,7

Migrazione netta 3,8 3,1 1,5 3,0Fonte: Eurostat

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Capitolo 2: Crescita inclusiva

87

Page 126: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

88

4.2 La migrazione netta è la causa principale dell'aumento demografico verificatosi a partire dal 2000

L'incremento complessivo della popolazione tra il 2001 e 2011 è limitato, pari al 3,8% nell'UE–28. L'apporto fornito dall'incremento naturale (ovvero la differenza tra il numero dei nati e il numero dei morti) è minimo (solo 0,4%); buona parte dell'incremento demografi-co è dovuto all'immigrazione netta da paesi extra UE (Carte 2.22 e 2.23).

Mentre la migrazione (interna o extra UE) ha determi-nato un aumento della popolazione in tutte le tipologie di regioni nell'UE–15, nell'UE–13 ha causato un incre-mento solo nelle regioni urbane e poiché il saldo na-turale è negativo in tutte e tre le tipologie di regioni, la popolazione è aumentata solo nelle regioni urbane (Tabella 2.6).

Nell'UE–15, il saldo naturale è negativo nelle regioni ru-rali e positivo nelle regioni intermedie e soprattutto in quelle urbane. Questo è il motivo principale per cui la popolazione nelle regioni urbane è cresciuta due volte più velocemente rispetto alle regioni rurali.

Tabella 2.8 Variazione demografica, saldo naturale e migrazione netta nelle regioni dislocate lungo i confini terrestri, 2001–2011

Variazione complessiva (%) Regioni dislocate lungo

i confini terrestriAltro Totale

UE–15 Variazione demografica complessiva 4,05 5,56 5,41Variazione demografica naturale 0,74 1,49 1,30Migrazione netta 3,29 4,01 4,06

UE–13 Variazione demografica complessiva –3,10 –0,99 –1,89Variazione demografica naturale –1,66 –1,00 –1,26Migrazione netta –1,46 0,01 –0,64

UE–28 Variazione demografica complessiva 0,91 4,54 3,78Variazione demografica naturale –0,30 1,11 0,74Migrazione netta 1,22 3,40 3,02

Fonte: Eurostat, DG REGIO

Tabella 2.7 Struttura per età della popolazione, divisa per tipologia urbano–rurale, 2012

% del totalePrevalentemente

urbanaIntermedia Prevalentemente

ruraleTotale

UE–15 Popolazione 14 anni o meno

16,2 15,4 15,4 15,8

Popolazione 65 anni o più

17,2 19,3 20,4 18,5

UE–13 Popolazione 14 anni o meno

14,0 15,0 15,2 14,9

Popolazione con 65 anni o più

15,6 14,8 15,7 15,3

UE–28 Popolazione con 14 anni o meno

16,0 15,3 15,3 15,6

Popolazione con 65 anni o più

17,0 18,2 18,6 17,8

I dati relativi a Malta risalgono al 2010; i dati relativi alle regioni DE8, ES63 e ES7 risalgono al 2011. Fonte: Eurostat, DG REGIO

Page 127: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 2: Crescita inclusiva

89

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

90

Nell'UE–13, la popolazione con meno di 15 anni costi-tuisce una quota più bassa della popolazione rispetto all'UE–15, concentrandosi soprattutto nelle regioni rurali della prima e nelle regioni urbane della secon-da (Tabella 2.7). Nell'UE–15, la popolazione con più di 65 anni costituisce una quota molto più alta che non nell'UE–13. Nell'UE–15 si concentra soprattutto nelle regioni rurali, mentre nell'UE–13 è diffusa in maniera omogenea nelle tre tipologie di regioni.

La popolazione nelle regioni di confine dell'UE–13 è diminuita nel corso dell'ultimo decennio

Tra il 2001 e il 2011, la popolazione nelle regioni di-slocate lungo i confini "terrestri"13 dell'UE–13 è dimi-nuita in maniera molto più netta che non nelle altre regioni dell'UE–13 (3% contro l'1% — Tabella 2.24 e Carta 2.24). Ciò è dipeso innanzi tutto dal flusso mi-gratorio netto che ha determinato in questo periodo

13 Le regioni dislocate lungo i confini "terrestri" sono regioni NUTS 3 ammissibili ai programmi di cooperazione transfrontaliera ai sen-si del regolamento del FESR, con l'eccezione delle regioni con un solo confine marittimo (si veda in proposito Dijkstra, L. e Poelman, H., http://epp.eurostat.ec.europa.eu/statistics_explained/index.php/Regional_typologies_overview).

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

PL RO SK BG LT HU

MT

NL FI IE CZ PT FR SI SE UK

DK BE IT DE LU AT ES EL CY EE LV

2001 2012

Figura 2.8 Popolazione nata al di fuori dell'UE–27, 2001 e 2012

% della popolazione totaleEE: 20, 15; LV: 25, 16

AT: nessun dato per il 2001Fonte: Eurostat

UE–

27

0

2

4

6

8

10

12

14

0

2

4

6

8

10

12

14

RO PL LT BG SI LV SK PT EE FI HU EL CZ FR NL IT DK SE MT

DE

UK ES AT BE IE CY LU

2001 2012 32 - 38

Figura 2.9 Popolazione nata in un paese diverso dell'UE–27, 2001 e 2012

% della popolazione totale

UE–

27

AT: nessun dato per il 2001Fonte: Eurostat

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Capitolo 2: Crescita inclusiva

91

una diminuzione della popolazione dell'1,5%; nel resto dell'UE–13, invece, l'immigrazione è stata controbilan-ciata dall'emigrazione. Il declino naturale della popola-zione, verificatosi in entrambe le aree, è stato più mar-cato nelle regioni frontaliere.

Nell'UE–15, al contrario, la popolazione è aumentata net-tamente tra il 2001 e il 2011 (del 5%), per effetto non solo della crescita naturale ma anche e soprattutto dell'immi-grazione netta. La crescita demografica nelle regioni di confine (a un tasso del 4%) è stata di poco inferiore alla crescita nel resto dell'UE–15, a seguito sia dell'incremento naturale sia dei flussi migratori netti verso l'interno.

Pertanto, l'impressione generale è che le regioni di con-fine terrestre dell'UE–13 siano ritenute località meno attraenti dove trasferirsi e/o formarsi una famiglia ri-spetto ad altre zone dell'UE–13 o UE–15.

4.3 Sempre più nati all'estero si sono inseriti nel mercato del lavoro con esiti differenti

Come precedentemente accennato, la migrazione è la causa principale dell'incremento demografico nell'UE; in particolare la quota di persone nate al di fuori dell'UE è passata dal 2,9% al 4,1% tra il 2001 e il 2012 (Figura 2.8). L'incremento è stato particolarmente ac-centuato in Spagna (5 punti percentuali) e in Italia (3,4 punti percentuali), in entrambi i casi per il flusso di mi-granti provenienti soprattutto dal Nord Africa e dall'A-merica Latina.

Fermo restando che la mobilità all'interno dell'UE non incide sul numero complessivo di abitanti comunitari, ne determina un incremento in alcuni Stati membri. Tra il 2001 e il 2012, la quota di persone nate in uno stato UE diverso da quello in cui abitano è aumentata dall'1,4% al 2,7% (Figura 2.9). Il dato è simile all'incremento de-gli immigrati provenienti dai paesi extra UE, anche se la percentuale totale di residenti in UE nati in un altro Stato membro resta inferiore (2,7% contro 4,1%).

La mobilità tra Stati membri, tuttavia, ha un impatto mol-to disomogeneo. Tra il 2001 e il 2012, la quota di resi-denti nati in un altro Stato membro è rimasta stabile o è aumentata in tutti gli Stati membri. In 6 Stati membri, al contrario, la quota è rimasta molto bassa con una per-centuale di nati in un altro Stato membro dell'UE inferiore allo 0,3%. In Italia e Spagna, la percentuale ha registrato un incremento notevole nel periodo, passando dallo 0,2% al 2,2% nell'una e dall'1% al 4,5% nell'altra, soprattutto a seguito dei flussi di persone provenienti dalla Romania. In Irlanda, Regno Unito, Cipro e Danimarca, la percentuale è raddoppiata, nei primi due paesi soprattutto per effetto dei flussi di persone provenienti dalla Polonia, dagli Stati bal-tici e dagli altri paesi entrati a far parte dell'UE nel 2004.

Nel 2013, il tasso di occupazione delle persone tra i 15 e i 64 anni nate nel paese di residenza (64,5%) è leg-germente più basso di quello relativo ai nati in un altro Stato membro (66,4%), ma molto più alto rispetto a quello dei nati al di fuori dell'UE (56%). In tutti gli Stati membri del'UE–15, il tasso di occupazione dei nati al di fuori dell'UE è più basso rispetto a quello relativo ai nati in un altro Stato dell'UE.

43

48

53

58

63

68

73

78

83

EL HR ES IT HU BG RO SK PL CY LU IE MT PT SI BE LT FR LV CZ EE FI UK AT DK DE

NL SE

Figura 2.10 Tasso di occupati per paese di nascita, 2013

% sul totale della popolazione tra i 15 e i 64 anni

Nati nel paese di residenzaNati in un paese diverso dell'UE–27Nati al di fuori dell'UE

UE–

28

I dati non attendibili non sono stati inseriti; DE: il tasso di occupati è calcolato per cittadinanza e riferito al 2012.Fonte: Eurostat

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

92

In metà degli Stati membri, il tasso di occupazione delle persone nate in un'altra zona dell'UE è più alta rispetto a quella dei nati nello stesso paese. Nel Regno Unito e in Portogallo, Lussemburgo e Finlandia, nel 2013 è di almeno 5 punti percentuali più alto (Figura 2.10). Le differenze nei tassi di occupazione sono in parte deter-minate dalle differenze riguardanti le fasce di età e in alcuni casi il grado di istruzione. Esse suggeriscono in ogni caso che le preoccupazioni concernenti l'impatto della mobilità sociale europea sulla spesa pubblica ri-sultano mal poste (in quanto le persone tendono a tra-sferirsi in un altro paese per motivi di lavoro e non per usufruire delle prestazioni sociali).

La differenza nel tasso di occupazione tra i nati al di fuori dell'UE (ovvero gli immigrati) e i nati nel paese interessa-to è molto più ampia. Nel 2013 in molti Stati membri il tasso di occupazione degli uni era decisamente più basso di quello degli altri, soprattutto in Belgio, Germania, Paesi Bassi e Svezia, con una differenza di circa 18 punti per-centuali. I motivi non sono facilmente identificabili, anche se molto probabilmente comprendono il mancato rico-noscimento delle qualifiche estere (e non tanto i bassi livelli di istruzione in quanto tali), una scarsa conoscenza della lingua locale, fino alla discriminazione in alcun casi. L'istruzione e la formazione possono contribuire a ridur-re questo divario, stimolando la crescita dell'occupazio-ne. Anche il servizio pubblico potrebbe partecipare con il buon esempio, includendo una quota proporzionale di immigrati nel proprio personale.

4.4 Nonostante l'aspettativa di vita sia alta, permangono differenze tra le regioni

L'aspettativa di vita nell'UE, riflesso del suo benessere, è una tra le più alte al mondo. Tra i 50 paesi con la più alta aspettativa di vita nel 2012, vi sono 21 Stati mem-bri dell'UE, 18 dei quali con un'aspettativa di vita supe-riore a quella degli Stati Uniti. Negli USA, solo Hawaii e Minnesota hanno un'aspettativa di vita superiore alla media UE. In molti stati meridionali USA, il dato è analogo a quello riscontrato in Polonia e Ungheria (Carte 2.25 e 2.26).

Esistono marcate differenze tra una regione e l'altra dell'UE. L'aspettativa di vita alla nascita è inferiore a 74 in molte zone della Bulgaria, come anche in Lettonia e Lituania, mentre all'interno dell'UE è complessivamente

La strategia sanitaria dell'UE

Esistono ampie disparità tra le regioni dell'UE in termini di salute. La salute degli abitanti delle re-gioni meno sviluppate tende ad avere una qualità peggiore rispetto alle altre regioni, nonostante il persistere di sacche di cattiva salute anche nelle regioni più sviluppate. La riduzione delle disparità in questo ambito rientra anche tra gli obiettivi del trattato.

Nel corso dell'ultimo decennio, il calo della mortalità infantile in molte delle regioni meno sviluppate ha determinato un'attenuazione delle disparità regio-nali all'interno dell'UE (con una diminuzione dell'indi-ce Gini pari al 13% tra il 2000 e il 2010); nonostante tutto, però, le disparità rimangono ampie.

La comunicazione della Commissione1 sulle dise-guaglianze sanitarie ha evidenziato il fatto che le persone con un livello di istruzione scarso, un lavo-ro meno qualificato o un reddito basso tendono a morire precocemente e ad avere maggiori problemi di salute2.

Esistono ancora numerose barriere all'accesso ai servizi sanitari quali il costo, la distanza, i tempi di attesa, scarsa sensibilità culturale e pratiche di-scriminatorie. Nelle regioni remote o montagnose meno densamente popolate, come anche nelle iso-le, la distanza rimane una questione prioritaria. La necessità di saldare la prestazione sanitaria entro e non oltre l'erogazione della stessa può costituire una barriera all'accesso, soprattutto per le persone economicamente o socialmente svantaggiate.

La strategia europea per la salute propone investi-menti sanitari "intelligenti" tramite:

• una spesa più efficace, e non necessariamente aumentata, a favore di servizi sanitari soste-nibili;

• la promozione di uno stile di vita più salutare;

• l'estensione della copertura dei servizi sanitari al fine di ridurre le disuguaglianze e l'esclusione sociale.

In più, grazie alla direttiva sull'assistenza sanitaria transfrontaliera, risulta più facile usufruire delle cure sanitarie all'interno dell'UE, soprattutto nelle regioni di confine.

1 COM(2009) 567 def.

2 Mackenbach, J. (2006).

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Capitolo 2: Crescita inclusiva

93

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Capitolo 2: Crescita inclusiva

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

96

superiore a 80 anni in due regioni su tre. In 17 regioni di Spagna, Francia e Italia, è di 83 anni o più.

Le differenze a livello di mortalità infantile (Carta 2.27) e vittime per incidenti stradali (Carta 2.28) sono le due cause principali alla base delle disparità regionali ri-guardanti l'aspettativa di vita alla nascita. Nel 2012, nella regione Sud–Est in Romania, in Yugoiztochen e Severozapaden in Bulgaria e in Guadalupe, il tasso di mortalità infantile supera i 10 decessi ogni 1 000 nati vivi, laddove in 13 regioni in altre zone dell'UE è inferio-re a 2. La media UE nel 2012 è pari a 4.

Nel 2012, in 39 regioni il numero di vittime per inci-denti stradali pro capite è inferiore a 30 ogni milione di abitanti, contro la media UE pari a 56. Queste regioni si trovano per lo più nel Regno Unito, nei Paesi Bassi e in Svezia; esse comprendono 11 regioni della capitale e altre regioni altamente urbanizzate. In parte, la presen-za in elenco di molte regioni sede della capitale dipende dalla minore probabilità del verificarsi di incidenti mor-tali, per effetto dell'istituzione dei limiti di velocità che regolano la circolazione stradale per i veicoli.

In 23 regioni, il numero di vittime per incidente stradale è superiore al doppio della media UE: 138 o più per 1 mi-lione di abitanti nel 2012. Tali regioni appartengono per lo più a Belgio, Bulgaria, Grecia, Portogallo e Romania. Il programma europeo di azione per la sicurezza stradale 2011–2020 si propone di dimezzare il numero di morti sulle strade europee nel decennio, portandolo a circa 30 vittime per 1 milione di abitanti (un tasso inferiore si registra solo in 39 delle 272 regioni NUTS 2, come sot-tolineato in precedenza). Il programma prevede azioni di miglioramento della sicurezza stradale, formazione e istruzione per gli utenti della strada, miglioramento dei controlli, misure di miglioramento della sicurezza dei veicoli, l'utilizzo di tecnologie intelligenti e maggiore attenzione agli utenti più vulnerabili.

L'innalzamento dell'aspettativa di vita e il basso tasso di fertilità costituiscono la causa principale dell'incre-mento della popolazione con più di 65 anni nell'UE. Nel 2012, la quota è pari al 18%, contro il 16% nel 2000. In diverse regioni questa percentuale è molto più alta. In quasi un terzo delle regioni appartenenti soprattutto a Germania, Italia e Grecia, è pari o superiore al 20%. In Liguria in Italia e Chemnitz in Germania, supera il 25%. Tra il 2000 e il 2012, la percentuale è salita in

9 regioni su 10, registrando l'incremento maggiore in Brandenburg nei pressi di Berlino (dal 15% al 22%).

4.5 Lo sviluppo umano è in via di miglioramento negli Stati membri centro–orientali, mentre è in contrazione in Spagna, Grecia e Irlanda per effetto della crisi

Considerata la grande varietà degli indicatori, valutare in maniera completa le problematiche sociali di una re-gione non è compito facile. Al fine di ricavare un quadro semplice ma esaustivo, può essere utile sfruttare un in-dicatore composto quale l'indice di sviluppo umano UE (ISU UE)14, per illustrare la situazione regionale adesso e in rapporto alla sua evoluzione dal 2008.

L'indice si basa su 6 indicatori che comprendono sa-lute, istruzione e reddito/occupazione. I due indicatori relativi alla salute riguardano l'aspettativa di vita retti-ficata alla luce dei dati sul buono stato di salute e sulla mortalità infantile. I due indicatori relativi all'istruzione considerano la percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni non occupati e non inseriti in un percorso di forma-zione o istruzione (NEET) e la quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni con un diploma di istruzione terziaria. I due indicatori relativi a reddito/occupazione riguardano il reddito familiare lordo rettificato pro capite, espresso in SPA ("rettificato" nel senso di comprensivo del valore dei servizi in natura offerti dal sistema pubblico quali la scuola, la sanità e gli asili), e il tasso di occupazione per la popolazione tra i 20 e i 64 anni.

Nel 2012, lo sviluppo umano risulta di molto inferio-re alla media nella maggioranza delle regioni centro–orientali, in Italia meridionale e in Grecia (Carta 2.29). Allo stesso tempo, anche alcune regioni centro–orien-tali hanno ottenuto un buon punteggio. In Estonia e nelle regioni della capitale di Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria, l'indice è vi-cino o superiore alla media UE.

In Austria, Germania, Paesi Bassi e negli Stati mem-bri nordici, l'indice è elevato, segno della presenza di un buon equilibrio tra salute, istruzione e reddito. Nel Regno Unito, in Francia e in Belgio, la situazione è va-

14 Sviluppato dal Centro comune di ricerca e dalla direzione generale della Politica regionale e urbana. Si veda Hardeman, S. e Dijkstra, L. (2014).

Page 135: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 2: Crescita inclusiva

97

riabile e spazia da regioni con punteggi elevati e altre invece sotto la media, mentre in Spagna e Italia il di-vario è più accentuato, in quest'ultima soprattutto tra nord e sud.

Ciò che colpisce sono i cambiamenti avvenuti tra il 2008 e il 2012, in particolare un notevole peggiora-mento dell'indice in Grecia, Irlanda, Spagna e Croazia e in certe zone dell'Italia, oltre che in alcune regioni dei Paesi Bassi, del Regno Unito e della Danimarca anche se in misura minore (Carta 2.30).

Viceversa, l'indice è notevolmente salito in tutte le re-gioni tedesche e polacche, meno colpite dalla crisi. Allo stesso tempo, l'indice è aumentato anche in molte re-gioni appartenenti ai paesi colpiti dalla crisi, compresi i tre Stati baltici, Finlandia, Svezia, Slovacchia, Ungheria e Repubblica ceca, così come molte regioni in Romania e Bulgaria.

L'ISU UE propone una visione alternativa dello sviluppo, mostrando i progressi ottenuti dalle regioni della capi-tale negli Stati membri centro–orientali e il persistere dei problemi in Grecia e nell'Italia meridionale. Come indicatore, rispetto al PIL rappresenta più da vicino le questioni cruciali per la vita delle persone: salute, istru-zione, reddito e opportunità di lavoro.

5. Conclusioni

Tra il 2000 e il 2008, molte regioni e città all'interno dell'UE sono riuscite nell'intento di conseguire una cre-scita inclusiva. I tassi di occupazione sono aumentati, mentre la povertà e l'esclusione sono diminuite.

La crisi ha tuttavia provocato un significativo aggravio della situazione dal 2008, azzerando molti dei guada-gni ottenuti nel corso degli 8 anni precedenti a livello di incremento dell'occupazione e diminuzione della disoc-cupazione. Nonostante i primi segnali di ripresa, pas-serà del tempo prima di poter nuovamente generare un aumento dei tassi di occupazione e una riduzione della povertà e dell'esclusione sociale.

Su alcuni fronti, tuttavia, i miglioramenti hanno tenuto a prescindere dalla crisi. Ad esempio, vista la costante diminuzione nel numero di abbandoni scolastici, esiste l'eventualità di raggiungere l'obiettivo Europa 2020 an-che prima del 2020. Il divario occupazionale tra i sessi è

stato attenuato, anche se in buona parte è derivato dal grande aumento della disoccupazione maschile anziché dalla diminuzione della disoccupazione femminile, che rimane elevata in molte regioni meridionali.

La povertà e l'esclusione sociale variano a seconda del-la tipologia di regione all'interno dell'UE, senza che la crisi abbia modificato questa situazione. Le città negli Stati membri meno sviluppati tendono a registrare tassi di povertà ed esclusione più bassi di quelli delle altre aree, mentre si verifica il contrario nelle città degli Stati membri più sviluppati. In alcuni paesi, la concentrazio-ne della povertà nelle città è legata alla presenza di moltissimi immigrati provenienti dai paesi extra UE e scarsamente integrati nel mercato del lavoro.

Le grosse disparità quanto a opportunità occupaziona-li, reddito e standard di vita continuano a spingere le persone a spostarsi alla ricerca di migliori opportunità e modi di vita, il che rimarca la necessità di garantire loro pari opportunità di accesso al mercato del lavoro rispetto alla popolazione autoctona.

La politica di coesione può svolgere un ruolo fonda-mentale nel contribuire al raggiungimento degli obiet-tivi di Europa 2020 qui presi in esame, in particolare tramite il cofinanziamento delle attività di istruzione e formazione e il sostegno alle misure per l'eliminazione degli ostacoli alla crescita, in maniera tale da stimo-lare la creazione di nuovi posti di lavoro e aumentare le retribuzioni e i redditi nelle regioni meno sviluppate. Contemporaneamente può far sì che donne e uomini abbiano le stesse opportunità di lavoro e carriera, ad esempio cofinanziando il potenziamento delle strutture di assistenza all'infanzia. Può inoltre assicurare a don-ne e uomini, ovunque essi siano, l'accesso a un servizio sanitario di alto livello, tramite il sostegno agli investi-menti in ospedali e altre infrastrutture sanitarie.

Page 136: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

98

Page 137: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

99

Capitolo 3: Crescita sostenibile

1. Introduzione

Una quota consistente dei fondi a titolo della politica di

coesione è stata destinata per favorire il passaggio verso

modalità di sviluppo più sostenibili all'interno delle regioni

dell'UE. Essa ha cofinanziato l'installazione dei principali

impianti idraulici per il miglioramento dell'acqua potabile

e degli impianti per il trattamento delle acque reflue urba-

ne, ha investito in programmi di smaltimento e riciclo dei

rifiuti solidi, ha contribuito al potenziamento dell'efficienza

energetica, anche attraverso il supporto a progetti di mo-

dernizzazione degli impianti di riscaldamento nell'edilizia

pubblica e privata o a trasporti urbani meno energivori.

Ha inoltre contribuito alla tutela ambientale, collaboran-

do all'istituzione di una rete di siti protetti nell'ambito di

Natura 2000.

Nonostante questi progressi, permangono ancora sfide im-

portanti legate alla riduzione dell'impatto ambientale delle

attività economiche e al miglioramento della qualità degli

ecosistemi.

Con la crescita della consapevolezza a proposito delle

conseguenze del cambiamento climatico, l'UE ha assunto

l'impegno di limitare le emissioni di gas a effetto serra e

di ridurre il consumo di combustibili fossili. A tal fine, la po-

litica di coesione ha incrementato le risorse da impiegare

per rendere effettivo il passaggio a un'economia a basso

tenore di carbonio, in particolare attraverso il sostegno

alla produzione di energia rinnovabile e al miglioramento

dell'efficienza energetica. Viste le sempre maggiori proba-

bilità del verificarsi di eventi calamitosi quali incendi, sic-

cità e alluvioni provocati dal cambiamento climatico, all'o-

rigine di sempre più frequenti disastri naturali, parte dei

fondi viene destinata alla mitigazione di tali rischi; inoltre

verranno compiuti ulteriori sforzi per garantire un utilizzo

efficiente sotto il profilo delle risorse.

La politica di coesione produce anche effetti indiretti sull'am-

biente e sulla sostenibilità, in quanto i contributi forniti alle

regioni per lo sviluppo e il miglioramento delle infrastrut-

ture di trasporto possono condurre a un maggior dispendio

energetico. Per questo è fondamentale integrare le consi-

derazioni di natura ambientale all'interno della politica di

coesione. Gli investimenti nell'efficienza energetica possono

contribuire a compensare questi effetti, affiancandoli a scel-

te giudiziose in merito alle infrastrutture da sovvenzionare.

Analogamente, un'economia in crescita può determinare una

serie di cambiamenti a livello di utilizzo del suolo. Adottando

le giuste politiche a livello locale, regionale e nazionale è

possibile contenere questi cambiamenti e concentrarli in

aree ben servite dai mezzi pubblici, ad esempio promuoven-

do la riqualificazione delle aree dismesse o lo sviluppo di

nuove aree più prossime ai servizi pubblici esistenti.

Preservare la natura e le risorse naturali, promuovere il ri-

sparmio energetico, ampliare le energie rinnovabili e le tec-

nologie ecocompatibili, mitigare e favorire l'adattamento

agli effetti del cambiamento climatico, investire nella ge-

stione del rischio catastrofi costituiscono non solo misure

necessarie per affrontare le sfide ambientali, bensì offrono

opportunità di crescita e creazione di nuovi posti di lavoro.

È indispensabile occuparsi della conservazione e ottimizza-

zione delle risorse naturali anche per salvaguardare i "ser-

vizi ecosistemici" sui quali poggiano indirettamente molte

attività, intesi come una serie di servizi svolti dalla natura

stessa, quali la fornitura di aria e acqua pulite, oppure i

metodi naturali di protezione dai disastri naturali e dalle

loro conseguenze. La salvaguardia di questi "servizi" con-

sente un risparmio economico, poiché essi contribuiscono

a evitare i costi necessari per la bonifica delle aree conta-

minate o dei fiumi inquinati, nonché a prevenire o mitigare

costosi disastri naturali (talvolta provocati dall'uomo) quali

alluvioni o frane.

Esistono marcate differenze tra gli Stati membri e le re-

gioni dell'UE per quanto riguarda il perseguimento dello

sviluppo sostenibile. In alcuni casi esse dipendono dalle

differenze di tipo geografico o dalla disponibilità di risorse

naturali, in altri sono lo specchio delle differenze a livel-

lo di pressioni ambientali e gestione delle risorse naturali.

Pertanto la situazione può essere migliorata sensibilmente

individuando il corretto tipo di intervento in rapporto al tipo

di regione interessata.

Questo capitolo affronta quattro tematiche principali: in

primo luogo, il cambiamento climatico e il grado di realiz-

zazione degli obiettivi di Europa 2020; secondo, l'efficienza

Page 138: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

100

energetica, la qualità dell'aria e i trasporti; terzo, l'efficien-

za delle risorse, soprattutto in riferimento all'utilizzo del

suolo; quarto, i possibili sistemi per la riduzione dell'impat-

to ambientale e il mantenimento o il miglioramento degli

ecosistemi e dei servizi che essi offrono. Infine conclude

illustrando gli effetti sulla coesione prodotti da altre politi-

che UE incentrate sul tema della crescita sostenibile.

2. L'Unione europea deve mitigare e adattarsi al cambiamento climatico

È attualmente in atto un processo di cambiamento climati-

co a livello globale, a seguito dell'incremento nell'atmosfe-

ra dei gas a effetto serra prodotti dalle attività umane. Sin

dalla fine del XIX secolo, la temperatura dell'atmosfera ter-

restre e degli oceani è costantemente aumentata, e secon-

do le previsioni dovrebbe continuare a salire sempre più

rapidamente negli anni a venire. Dall'inizio del XX secolo, la

temperatura media della crosta terrestre è aumentata di

quasi 1° C, con i due terzi di questo incremento concentrati

dal 1980 in avanti.

Il cambiamento climatico incide sull'economia, sulla so-

cietà e sugli ecosistemi in molti modi diversi. Ha una forte

dimensione territoriale. I suoi effetti variano da regione e

regione, in base alla diversa esposizione al cambiamento

climatico e alle diverse capacità di affrontarlo secondo le

caratteristiche fisiche, ambientali, sociali, culturali ed eco-

nomiche di ciascuna. In genere, la temperatura si è alzata

più nelle aree urbane che in quelle non urbane. Vista la

tendenza storica dell'Europa all'espansione dell'urbanizza-

zione, sempre più persone e risorse sono esposte al rischio

rappresentato dalle conseguenze dell'innalzamento del-

la temperatura. Anche le regioni possono contribuire alla

formazione del proprio clima: ad esempio la temperatura

delle città è in parte la conseguenza dell'utilizzo e dell'im-

permeabilizzazione del suolo, segno della possibilità di te-

nere sotto controllo, per lo meno fino a un certo punto, il

cambiamento climatico in atto.

Esposizione e sensibilità sono i fattori che determinano

l'effetto potenziale del cambiamento climatico su una

data regione. Le regioni, poi, differiscono anche nella ca-

pacità di adattarsi al cambiamento climatico e di contra-

starne gli effetti, e ogni valutazione in merito alla vulne-

rabilità di una regione al cambiamento deve tenere conto

di questi aspetti.

Il progetto sul cambiamento climatico ESPON1 effettua

questo tipo di valutazione, utilizzando le proiezioni sul

cambiamento climatico e le variabili atmosferiche gene-

rate dal modello climatico CCLM2 (Carta 3.1). Date queste

proiezioni, l'effetto potenziale del cambiamento climatico

è stato valutato per ciascuna regione dell'UE sulla base

dell'esposizione e della sensibilità al cambiamento e del-

la sua capacità di adattamento, utilizzando per le misu-

razioni diversi indicatori relativi alle caratteristiche fisiche,

ambientali, sociali, economiche e culturali (ad es., una

proiezione del cambiamento nel numero di giornate estive

con temperatura superiore a 25° C assieme al numero di

persone con minimo 65 anni nei punti più caldi delle aree

urbane con dimostrata capacità di sopportare il calore).

I risultati evidenziano ampie oscillazioni in merito all'im-

patto potenziale del cambiamento climatico sulle regio-

ni. Se, come prevedibile, le zone più calde sono situate

nell'Europa meridionale, anche altre regioni (ad esempio

le zone montagnose oppure le aree costiere densamente

popolate) risultano particolarmente colpite a causa dell'in-

nalzamento dei livelli del mare oppure della dipendenza

economica dal turismo estivo e/o invernale. Anche alcu-

ne aree della Scandinavia settentrionale risultano colpite,

soprattutto per la sensibilità ambientale e la vulnerabilità

delle infrastrutture alle alluvioni.

La linea di separazione tra nord e sud quanto agli effetti rile-

vati, tuttavia, non rispecchia solo l'impatto del cambiamento

climatico in sé, ma anche la maggiore capacità di adatta-

mento dei paesi europei scandinavi e occidentali. Si prevede

invece un impatto da medio a elevato in vaste zone dell'Eu-

ropa meridionale, come pure nelle regioni del Mediterraneo.

2.1 È necessario che l'UE riduca le emissioni di gas a effetto serra per riuscire a raggiungere gli obiettivi per il 2020

L'UE ha intrapreso una serie di passi per ridurre le emissio-

ni di gas a effetto serra, sviluppando nel contempo strate-

gie di adattamento per rafforzare la resilienza agli effetti

inevitabili del cambiamento climatico. In particolare, ha so-

stenuto alcune azioni in direzione di un'economia ad alta

1 ESPON (2011), Climate Change and Territorial Effects on Regions and Local Economies in Europe.

2 Il modello climatologico regionale CCLM è un modello atmosferico non idrostatico ad area limitata per applicazioni meteorologiche, svi-luppato dal consorzio COSMO e dalla comunità Climate Limited–area Modelling Community (CLM).

Page 139: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

101

Page 140: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

102

efficienza energetica e a basso tenore di carbonio, fissando

i cosiddetti obiettivi "20–20–20" da raggiungere entro il

2020: riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (GES)

di almeno il 20% rispetto ai livelli del 19903; innalzamento

al 20% della quota delle rinnovabili sul consumo energeti-

co totale nell'UE; infine, miglioramento dell'efficienza ener-

getica del 20%. Questi punti fanno ora parte degli obiettivi

chiave della strategia Europa 2020. L'UE ha inoltre fissato

un ulteriore traguardo riguardante la progressiva riduzione

delle emissioni di GES dell'80–95% rispetto ai livelli del

1990 entro il 20504.

Il sistema per lo scambio di quote di emissione (EU–ETS),

uno strumento di mercato per l'assegnazione e lo scam-

bio di quote di emissioni di GES, rientra fra le iniziative

europee per la riduzione delle emissioni di gas a effetto

serra. È integrato dalla cosiddetta decisione sullo sforzo

condiviso con la quale ogni Stato membro ha assunto un

impegno vincolante nei confronti di un obiettivo naziona-

le annuo di limitazione delle emissioni nei settori non co-

perti dall'EU–ETS, come gli edifici, l'agricoltura, i rifiuti e i

3 L'UE ha persino proposto di ridurre le proprie emissioni del 30%, a condizione che un impegno a favore della riduzione delle emissioni sia assunto anche dagli altri paesi grandi produttori del mondo.

4 Si noti come questi obiettivi siano fissati in base alla produzione, ovvero facciano riferimento alle emissioni prodotte all'interno dei confini dell'UE. Tuttavia, con la globalizzazione, una quota sem-pre più vasta di emissioni proviene dalle regioni esterne all'UE, pur essendo una conseguenza delle importazioni dell'UE. In effetti, a partire dal 1990 le esportazioni nette delle emissioni dai paesi in-clusi nell'allegato 2 del protocollo di Kyoto ai paesi di cui all'alle-gato 1 sono quadruplicate. Per ulteriori informazioni si rimanda a: Petersa, G. P. et al. (2010).

trasporti (eccetto l'aviazione), responsabili di circa il 60%

delle emissioni complessive nell'UE. Gli obiettivi nazionali

per il periodo 2013–2020 si differenziano in base ai livelli

di PIL pro capite, variando da una riduzione del 20% delle

emissioni (rispetto al 2005) nei paesi più sviluppati, a un

aumento del 20% nei paesi meno sviluppati.

La politica di coesione non può fornire contributi diretti al

sistema EU–ETS. Tuttavia può svolgere un ruolo cruciale

per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di GES nei

settori compresi nell'ambito della decisione sullo sforzo

condiviso. Ad esempio, la politica di coesione può soste-

nere iniziative per l'isolamento degli edifici pubblici, contri-

buendo in tal modo alla riduzione delle emissioni nel set-

tore degli edifici. I contributi per il finanziamento di mezzi

pubblici più ecocompatibili e una migliore gestione dei

rifiuti dovrebbero contribuire entrambi all'abbassamento

delle emissioni di GES.

In alcuni Stati membri si è registrata una consistente ri-

duzione delle emissioni di GES nei settori compresi dalla

decisione sullo sforzo condiviso (Figura 3.1). Tra il 2005 e

il 2011, essa ha raggiunto il 16% in Ungheria e superato il

14% nel Regno Unito. In alcuni paesi dell'UE–12, tuttavia,

si è registrata una riduzione più modesta, indicativa dell'e-

levato tasso di crescita mantenuto fino allo scoppio della

crisi. Le emissioni, inoltre, sono aumentate in maniera si-

gnificativa in Polonia ed Estonia (del 9% in entrambe). Dal

2008, invece, la crisi economica ha generalmente limitato

la produzione di emissioni.

-20 -20 -20

-17 -16 -16 -16 -16 -15 -14 -14 -13

-10

-5-4

1 45

9 10

11 1113 14 15

1719 20

-25

-20

-15

-10

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10

15

20

25

-25

-20

-15

-10

-5

0

5

10

15

20

25

DK IE LU SE AT FI NL

UK BE DE FR IT ES CY EL PT SI MT CZ HU HR EE SK PL LT LV RO BG

Figura 3.1 Variazione nelle emissioni di gas a effetto serra nelle aree interessate dalla decisione sullo sforzo condiviso, 2005–2011 e dagli obiettivi di Europa 2020

% variazione rispetto al 2005 % di variazione 2005–2011 Obiettivo 2020

Obiettivo già raggiunto

Distanza accorciata ma obiettivo non ancora raggiunto

Aumentata la distanza dall'obiettivo

Distanza dall'obiettivo

Fonte: DG CLIMA

Obiettivo = Limitare l'incremento delle emissioniObiettivo = riduzione delle emissioni

Page 141: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

103

Esistono ampie differenze tra un paese e l'altro anche per

quanto riguarda la distanza dal rispettivo obiettivo nazio-

nale. Diversi paesi hanno già raggiunto e superato il pro-

prio obiettivo, come Ungheria e Romania in cui, a fronte di

un impegno a non superare rispettivamente il 10% e il

19% dei livelli del 2005, le emissioni sono effettivamente

diminuite. In altri paesi le emissioni sono in diminuzione

nonostante non sia ancora stato raggiunto l'obiettivo na-

zionale, come in Svezia, dove l'obiettivo era un calo del

17% mentre le emissioni sono diminuite del 10% in rap-

porto al 2005. A Malta, d'altro canto, le emissioni sono

aumentate rispetto all'obiettivo. Lussemburgo, Danimarca,

Irlanda e Paesi Bassi sono gli stati più lontani dai rispettivi

obiettivi nazionali, mentre il Regno Unito (dove è attesa

una riduzione delle emissioni di un ulteriore 2%), Austria,

Belgio e Francia (in cui è attesa una riduzione di un ulterio-

re 4%) sono i più vicini5.

5 Le emissioni di GES sono strettamente correlate alle attività economi-che. La grande incertezza su quelle che saranno le tendenze economi-che del futuro non consente di valutare appieno la capacità degli Stati membri di raggiungere i propri obiettivi entro il 2020 sulla base degli attuali livelli di emissioni, nemmeno per quei paesi in cui le emissioni sono già inferiori alla soglia prevista.

2.2 L'UE dovrà incrementare l'utilizzo delle energie rinnovabili per riuscire a raggiungere i propri obiettivi entro il 2020

L'UE ha concordato di utilizzare fonti rinnovabili per il 20%

del proprio consumo energetico entro il 2020. Ai sensi del-

la direttiva sulle fonti rinnovabili, gli Stati membri si sono

impegnati a incrementare la quota di energie rinnovabili

sul consumo energetico totale entro il 2020, con obiettivi

variabili dal 10% a Malta al 49% in Svezia.

In alcuni Stati membri la quota di rinnovabili è già mol-

to elevata, sfiora il 51% in Svezia e il 36% in Lettonia

(Figura 3.3), contro valori molto bassi in altri stati, come

Malta e Lussemburgo, con una quota inferiore al 4%. Le

rinnovabili dovrebbero svolgere un ruolo sempre più im-

portante non solo per favorire il passaggio a un'economia

a basse emissioni di carbonio, ma anche per migliorare la

sicurezza energetica.

Emissioni imputabili alla produzione ed emissioni imputabili al consumo

Ai fini della contabilità dei gas a effetto serra, il livello di emissioni è quantificabile in base alla produzione o al con-sumo. Le emissioni imputabili alla produzione si calcolano a partire dall'utilizzo di carbon fossile nelle varie attività (es. industria, agricoltura, energia). Le emissioni imputabili al consumo rappresentano le emissioni di GES generate durante la produzione di beni e servizi che soddisfano la domanda finale in un determinato paese (es. consumi do-mestici, consumi pubblici e investimenti), a prescindere dal paese che ha effettivamente generato le emissioni di so-stanze (Figura 3.2).

Per un dato Stato membro, i livelli di emissioni im-putabili alla produzione e imputabili al consumo pos-sono differire ampiamente tra loro. Ad esempio, un determinato paese in sui si svolgono poche attività inquinanti può avere un basso livello di emissioni im-putabili alla produzione, mentre le emissioni imputa-bili al consumo possono essere elevate in caso di im-portazione di beni e servizi la cui produzione genera grandi quantità di gas a effetto serra.

Questa situazione è illustrata nel seguente grafico in cui le emissioni di gas a effetto serra sono riportate di fianco alle emissioni imputabili al consumo per ciascun Stato membro dell'UE–27. Pur riscontrando una eviden-te relazione positiva, non si configura un rapporto uno a uno tra le due tipologie di emissioni. Ad esempio, in

Lussemburgo le emissioni imputabili alla produzione sono vicine alla media dell'UE–27, mentre le emissio-ni imputabili al consumo raggiungono il livello più alto nell'Unione. Viceversa in Danimarca il livello di emissio-ni imputabili alla produzione è molto elevato, laddove il livello di emissioni imputabili al consumo è molto più basso. In genere, tuttavia, i livelli più alti di emissioni imputabili sia alla produzione sia al consumo si regi-strano negli Stati membri più sviluppati.

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SKPTLT PLMT

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15

17

19

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23

25

5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25

Figura 3.2 Emissioni di gas a effetto serra, in tonnellate di CO2 equivalenti pro capite, 2008

Emissioni imputabili alla produzioneFonte: Arto, I. et al. (2012)

Emis

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Page 142: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

104

Gli Stati membri presentano ampie differenze anche ri-

spetto all'attuale quota di rinnovabili in rapporto all'obiet-

tivo nazionale. Regno Unito, Francia e Paesi Bassi dovranno

incrementare l'utilizzo delle rinnovabili di minimo 10 punti

percentuali per raggiungere i propri obiettivi. Dal lato op-

posto tre paesi, ovvero Bulgaria, Estonia e Svezia, hanno

già raggiunto i propri obiettivi, mentre Romania, Lituania,

Austria e Repubblica ceca si stanno avvicinando al rispetti-

vo traguardo. È necessario compiere ulteriori sforzi affinché

alcuni Stati membri riescano a raggiungere i propri obiet-

tivi. Il timore è che l'attuale prezzo basso del carburante, e

del carbone in generale, non costituisca un incentivo suffi-

ciente per investire nelle energie rinnovabili. In parte que-

sto deriva dal fatto che, a causa del rallentamento delle

attività economiche a seguito della crisi e del conseguente

calo delle emissioni, si è registrato un surplus di quote di

emissione in circolazione nel sistema ETS. Inoltre, sul lungo

periodo, questo potrebbe ridurre la capacità del sistema

di raggiungere obiettivi più ambiziosi quanto a riduzione

delle emissioni in maniera ottimale dal punto di vista co-

sti–benefici. Per questo motivo la Commissione ha preso la

decisione di sospendere temporaneamente la messa all'a-

sta di una parte di quote.

Le più grandi fonti rinnovabili nell'UE sono la biomassa e

l'energia idraulica (che nel 2012 hanno prodotto rispetti-

vamente circa 83 e 29 milioni di tonnellate equivalente di

petrolio — Mtep), seguite dall'energia eolica (17,7 Mtep), il

biogas (12 Mtep) e il solare fotovoltaico (5,8 Mtep) e geo-

termico (5,7 Mtep). Mentre l'uso dell'energia idraulica e

geotermica è limitato ad alcuni territori specifici, l'energia

eolica e solare, le biomasse e le pompe di calore sono uti-

lizzabili più diffusamente, nonostante l'esistenza di consi-

derevoli differenze regionali quanto al potenziale energeti-

co di queste fonti. La capacità di utilizzare appieno il

potenziale delle energie rinnovabili dipende anche dalla

disponibilità di adeguate infrastrutture di trasmissione, di-

stribuzione e stoccaggio a livello regionale, oltre che dalla

conformazione della domanda6. L'ampliamento dell'offerta

energetica proveniente da fonti rinnovabili, in molti casi

funzionanti a intermittenza, richiederà il potenziamento

delle infrastrutture e nuove soluzioni per un'efficace inte-

grazione nella rete.

Le regioni costiere, soprattutto quelle attorno al Mare del

Nord e nella zona meridionale del Baltico, hanno un poten-

ziale eolico maggiore di altre regioni. Questo vale anche

per alcune isole del Mediterraneo. Il costo della produzione

di energia eolica diminuisce nelle zone in cui la forza del

vento è tale da riuscire a produrre energia elettrica.

Le zone con il più alto potenziale di utilizzo di energia solare

sono le regioni dell'Europa meridionale e occidentale, dove

l'irraggiamento solare è ai massimi livelli (Carta 3.2 sull'ido-

neità dei territori all'energia solare7). Gli Stati membri cen-

tro–orientali hanno un potenziale inferiore, tuttavia i pannel-

6 Un'ulteriore considerazione riguarda l'impatto ambientale dell'energia rinnovabile. Ad esempio, poiché dalla combustione delle biomasse si pro-ducono emissioni di particolato, sostanza cancerogena, essa andrebbe accompagnata dall'adozione di limiti molto severi alle emissioni.

7 L'idoneità al fotovoltaico si calcola tenendo conto dei fattori a favore e contro lo sviluppo del fotovoltaico. Questi criteri comprendono l'elevato irraggiamento solare, un terreno prevalentemente pianeggiante, la di-stanza da insediamenti densamente popolati, nonché la vicinanza a stra-de e reti elettriche. Le aree protette, le foreste, i corpi idrici e i terreni già valorizzati sono stati tutti classificati come non idonei.

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MT

LU UK NL BE IE CY HU SK CZ IT PL EL DE ES FR BG HR SI DK EE LT RO PT AT FI LV SE

Figura 3.3 Quota di energie rinnovabili sul consumo energetico finale lordo, 2006, 2012, obiettivo 2020

in % sul consumo energetico complessivo lordo 2006 2012 Obiettivo 2020

UE–

28

Fonte: Eurostat

Page 143: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

105

li solari sono installabili sui tetti degli edifici di qualsiasi tipo,

industriale, commerciale o residenziale, per fornire energia

direttamente agli occupanti di questi edifici consentendo un

risparmio in termini di spazio. Pur richiedendo la disponibi-

lità di spazi ampi per l'installazione, gli impianti fotovoltaici

su larga scala, denominati anche "fattorie solari", consento-

no un'efficiente produzione energetica e il loro impatto am-

bientale può essere contenuto trasferendo gli impianti su

terreni inutilizzati o a basso rendimento.

2.3 L'UE deve adattarsi al verificarsi di catastrofi naturali sempre più frequenti

Negli ultimi anni si è registrato un aumento nel numero e

nel costo dei disastri provocati da calamità naturali8 mani-

festate nel territorio europeo. Le cause sono imputabili non

solo al cambiamento climatico, che molto probabilmente

inciderà sulla frequenza, intensità e durata degli eventi at-

mosferici negli anni a venire, ma anche alle attività umane

8 Commissione SWD(2014)134 Overview of natural and man–made disaster risks in the EU.

La dimensione territoriale del pacchetto sul cambiamento climatico e l'energia

Il pacchetto "Clima ed energia" tiene conto del livello di sviluppo economico degli Stati membri nella definizio-ne degli obiettivi sulle emissioni di GES al di fuori del sistema di scambio e sulle energie rinnovabili.

Le fonti rinnovabili contribuiscono a diversificare l'of-ferta energetica nell'UE e a migliorare la competitività di alcune regioni, stimolando la crescita di nuove indu-strie e la creazione di nuovi posti di lavoro e occasioni di esportazione. Inoltre, i progetti di interesse comune presentati nell'ambito del Meccanismo per collegare l'Europa, con uno stanziamento di 5,1 miliardi di euro, potranno fornire un importante contributo al migliora-mento della sicurezza negli approvvigionamenti e del-la competitività in aree non abbastanza attraenti dal punto di vista commerciale.

Gli investimenti nell'efficienza energetica, come quelli per ridurre il consumo energetico negli impianti di ri-scaldamento, possono apportare notevoli benefici agli abitanti delle città grazie al miglioramento della qua-lità dell'aria. La nuova direttiva europea concernente il rendimento energetico in edilizia (Energy Performance of Buildings Directive–EPBD) adottata nel 2010 e non ancora completamente attuata, dovrebbe ulteriormen-te favorire il miglioramento della qualità dell'aria tra-mite la riduzione del consumo energetico.

Relativamente al trasporto urbano, i regolamenti sui parametri di rendimento dei veicoli commerciali leg-geri hanno condotto a una consistente riduzione nelle emissioni di GES, passando da una produzione di 172 grammi per km nel 2000 a 135,7 grammi nel 2011 per le emissioni di CO2 dei nuovi veicoli. Tale diminuzione incide positivamente anche sulla salute delle persone e degli ecosistemi grazie alla riduzione di sostanze in-quinanti come l'NO2 e il PM10.

Il ruolo attivo delle amministrazioni locali e regionali nel processo è assolutamente fondamentale. L'effica-cia delle politiche sul clima e l'energia dipendono dalla collaborazione attiva degli enti locali e regionali, viste le deleghe ricoperte in materia di permessi edilizi e pia-nificazione territoriale. A loro compete anche la respon-sabilità in materia di edilizia pubblica e in alcuni casi di edilizia residenziale, settori in cui l'incremento dell'ef-ficienza energetica richiede una serie di investimenti.

Il Libro bianco sull'adattamento ai cambiamenti climati-ci1 promuove un approccio locale, "dal basso", all'adatta-mento, concretamente inteso come collaborazione delle amministrazioni locali alla fase di progettazione e attua-zione di politiche comuni sostenibili sul clima e sull'ener-gia, finalizzata alla creazione di un sistema di trasporto sostenibile, al miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici e al teleriscaldamento, allo sviluppo delle rin-novabili e della generazione distribuita di energia.

Il partenariato di innovazione "Città e comunità intelli-genti" (SCC) si propone di incrementare le interconnes-sioni tra la produzione, la distribuzione e l'utilizzo di energia; la mobilità e i trasporti; le tecnologie dell'infor-mazione e della comunicazione (TIC). Si aggiunga an-che il Patto dei Sindaci, un movimento a livello europeo che intende sostenere il percorso delle amministrazioni locali e regionali verso l'attuazione degli obiettivi della politica europea 2020 sul clima e sull'energia. Oltre al risparmio energetico, i firmatari si prefiggono di soste-nere la creazione di posti di lavoro stabili e qualificati; favorire un ambiente e condizioni di vita più salutari; aumentare la competitività economica e l'indipenden-za energetica. Ad oggi i firmatari sono oltre 5 000, con oltre 200 enti sostenitori, per una copertura effettiva di quasi 170 milioni di persone in tutta Europa.

1 COM(2009) 147 def.

Page 144: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

106

Page 145: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

107

ed economiche che comportano un uso sempre più inten-

sivo del suolo9.

Le calamità naturali più frequenti in Europa comprendono

ondate di calore, tempeste, terremoti, alluvioni e incendi bo-

schivi. Le ondate di calore hanno causato il maggior numero

di vittime degli ultimi anni10. I picchi di calore11 sono diven-

tati molto frequenti ed è probabile che diverranno sempre

più frequenti ed intensi a causa del cambiamento climatico.

Per misurare l'impatto potenziale, è stato sviluppato l'indice

di stress termico (da parte del JRC a Ispra) per una serie di

città dell'UE che tiene conto sia del rischio naturale sia della

capacità di mitigare tale rischio12. Esso mostra che l'impatto

potenziale più elevato in assoluto si registra nelle regioni

mediterranee in Spagna, Francia meridionale, Italia e Grecia,

per la tendenza a una minore capacità di adattamento.

Questo vale anche per le città dell'Europa orientale, pur es-

sendo molto meno esposte al calore. Le regioni dell'Europa

centrale e settentrionale, all'opposto, dimostrano un rischio

minore e una capacità di adattamento maggiore.

L'innalzamento della temperatura nelle città non è solo im-

putabile al riscaldamento globale ma anche al modo con

cui esse si sono sviluppate. In particolare, l'aumento della

temperatura dipende dall'uso del suolo urbano, dall'effi-

cienza energetica degli edifici e dai principali mezzi di tra-

sporto. Questi sono tutti aspetti rientranti direttamente

nell'ambito della politica di coesione.

Gli incendi boschivi accadono di frequente in Europa,

con una media di 70 000 all'anno. Negli ultimi anni, gli

incendi boschivi hanno distrutto oltre un milione di etta-

ri di foreste e superfici boschive ogni anno, soprattutto

nel Mediterraneo. Gli incendi più vasti si sono verificati

in Portogallo (nel 2003 e 2005), Spagna (2006) e Grecia

9 AEA (2010), Mapping the impacts of natural hazards and technologi-cal accidents in Europe.

10 Per il periodo 1998–2009, l'AEA ha rilevato 576 disastri provocati da catastrofi naturali con un numero di vittime di quasi 100 000 persone, di cui oltre 77 500 causate da ondate di calore, ibid.

11 Poiché le temperature estreme sono da considerarsi in rapporto alle normali condizioni meteorologiche in una data area, non esiste una definizione univoca di ondata di calore. Sono state tuttavia formulate alcune proposte di definizione generica: ad es. il progetto "European Climate Assessment and Dataset" definisce come ondata di calore un periodo di almeno 6 giorni consecutivi in cui la temperatura me-dia giornaliera supera il 90° percentile della temperatura giornaliera media per il periodo 1961–1990. Il progetto EuroHEAT dell'Organiz-zazione mondiale delle sanità ha proposto un'analoga definizione di ondata di calore, intesa come periodo in cui la temperatura massima percepita e la temperatura minima superano il 90° percentile della distribuzione mensile per almeno 2 giorni (ibid).

12 Lung, T. et al. (2013).

(2007). Pur essendo fino a un certo punto importanti per la

sostenibilità delle foreste sul lungo periodo, gli incendi bo-

schivi possono provocare vittime, anche se in misura mino-

re rispetto alle ondate di calore, e causare un consistente

danno economico — stimato a 7 miliardi di euro di perdite

per il periodo 1998–2009, secondo l'AEA.

La pressione sulle risorse idriche è aumentata nell'UE e am-

pie zone sono ora colpite da periodi di penuria d'acqua e

siccità, non solo nelle zone più secche ma anche in quelle

più umide. I periodi di siccità possono compromettere gra-

vemente l'agricoltura, il turismo e la produzione energetica,

nonché la disponibilità di acqua dolce e i relativi ecosiste-

mi, in quanto spesso causano la riduzione dei livelli di fiumi,

laghi e acque superficiali che si traduce con un deteriora-

mento della qualità dell'acqua. Anche gli oceani e i mari che

circondano l'Europa risentono sempre più dell'impatto del

cambiamento climatico, con pesanti ripercussioni sui settore

della pesca, dell'acquacoltura e del turismo.

Secondo diverse proiezioni climatiche, in futuro si preve-

de un aumento della frequenza della scarsità di acqua e

della siccità a seguito del cambiamento climatico e del

conseguente innalzamento delle temperature medie. Tali

eventi si estenderanno molto probabilmente oltre l'Euro-

pa meridionale, per toccare sempre più spesso anche altre

zone dell'UE. Inoltre, la domanda di acqua durante i periodi

secchi supera spesso le scorte disponibili e il bisogno di

garantire le necessaria fornitura di acqua agli ecosistemi

più vulnerabili viene sistematicamente trascurato.

Assieme alle tempeste, le alluvioni determinano le perdite

economiche più consistenti. Negli anni più recenti, diverse

zone dell'UE sono state colpite da alluvioni, come il Bacino

dell'Elba, le Alpi italiane e francesi, la Valle del Po, le spon-

de del Reno in Germania, Francia e Paesi Bassi, le regioni

della bassa Loira in Francia e Mecklenburg–Vorpommern,

nonché la Polonia occidentale. Anche diverse regioni della

Slovacchia e della Repubblica ceca sono particolarmente

esposte al rischio di alluvioni.

Gli straripamenti dei fiumi possono risultare particolar-

mente dannosi nelle aree urbane, compromettendo le

infrastrutture e la vita delle persone. Il centro di ricerca

JRC–ISPRA ha compiuto una valutazione dell'impatto delle

alluvioni nelle grandi città dell'UE, utilizzando un indicatore

che tiene conto sia del rischio di alluvioni sia della capacità

di attenuazione e ripresa delle città13. L'indicatore mostra

13 Ibid.

Page 146: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

108

l'esistenza di grandi differenze tra un città e l'altra a li-

vello di esposizione alle alluvioni, parzialmente collegate

alla loro collocazione rispetto alle principali vie d'acqua.

Le aree più vulnerabili, caratterizzate da un elevato rischio

di alluvioni combinato con una bassa capacità di adatta-

mento, si trovano in alcune regioni di Romania, Polonia,

Lettonia, Lituania, Portogallo e Spagna meridionale.

In futuro il rischio alluvioni potrebbe aumentare in nume-

rose zone costiere a causa dell'innalzamento dei livelli del

mare e delle temperature. In particolare questo fenomeno

potrebbe riguardare le aree situate al livello del mare o

non oltre 5 metri sopra il livello del mare, come le regioni

lungo le coste olandesi.

Alla luce di ciò, le politiche di prevenzione e gestione del ri-

schio sono fondamentali per garantire la sostenibilità dello

sviluppo e della crescita economica.

3. Il passaggio a sistemi di trasporto più sostenibili può aumentare l'efficienza energetica e migliorare la qualità dell'aria

L'UE si è attivata per contribuire al miglioramento dell'ef-

ficienza energetica attraverso la direttiva sull'efficienza

energetica e il piano di efficienza energetica del 2011. Con

efficienza energetica si intende soprattutto la riduzione del

consumo energetico negli edifici e nei trasporti, nel 2010

responsabili rispettivamente del 41% del 32% del consu-

mo energetico complessivo nell'UE.

Il miglioramento dell'efficienza energetica nelle abitazioni

e negli edifici si ottiene combinando le tecnologie attuali

con dispositivi innovativi. L'efficienza energetica degli edi-

fici è migliorabile soprattutto con l'installazione di impianti

di isolamento e l'adeguamento degli impianti di riscalda-

mento; anche su questo aspetto, tuttavia, vi sono profon-

de differenze all'interno dell'UE, soprattutto il ritardo degli

Stati membri centro–orientali, dai quali potrebbe invece

provenire un importante contributo al risparmio energetico

in Europa.

3.1 Migliorare l'accessibilità e l'efficienza energetica

L'incremento dell'efficienza energetica e la garanzia sulla

sostenibilità dei sistemi di trasporto entro il 2050 rientrano

tra le finalità della politica comune dei trasporti dell'UE. A

tal fine, è stato definito un triplice obiettivo di vasta porta-

ta: 1) sviluppare e introdurre carburanti e sistemi di propul-

sione nuovi e sostenibili; 2) ottimizzare le catene logistiche

multimodali, incluso il passaggio a sistemi più efficienti dal

punto di vista energetico; 3) aumentare l'efficienza tramite

l'utilizzo di sistemi informativi e incentivi di mercato. Un

metodo per raggiungere questo triplice obiettivo consiste

nell'accorciare le distanze di viaggio, mantenendo o mi-

gliorando nel contempo l'accessibilità.

Anche il progresso tecnologico consente di aumentare

l'efficienza energetica. Tramite l'adozione di nuove tec-

nologie è possibile potenziare l'efficienza del carburante.

Il passaggio a mezzi di trasporto più efficienti in termini

energetici può contribuire al raggiungimento del triplice

obiettivo, laddove il miglioramento della rete di trasporto

può favorire questo passaggio, diminuendo la congestione

del traffico.

L'utilizzo da parte delle persone di un mezzo di trasporto,

che sia l'automobile, l'autobus, il treno o la bicicletta, sot-

tende l'esigenza di effettuare uno spostamento, ovvero di

avere accesso a una specifica destinazione. Pertanto, per

un'analisi dei trasporti è necessario distinguere tra distan-

za di percorrenza da un lato e accessibilità (intesa come

arrivo alla destinazione prevista) dall'altro. In alcuni casi si

possono ridurre le distanze, contemporaneamente aumen-

tando l'accessibilità. In caso di vicinanza alla destinazione

di arrivo, come spesso avviene in città, la distanza media

di percorrenza tende a diminuire. Ad esempio, nel 2011 nei

Paesi Bassi gli abitanti di un città, grande o piccola che sia,

hanno percorso in media 26 km al giorno, contro i 30 km al

giorno percorsi da chi non viveva in un'area urbana.

Date le minori percorrenze, gli spostamenti a piedi o in

bicicletta costituiscono alternative più comode in città che

non nelle altre zone. Inoltre maggiore è anche la domanda

riguardante i mezzi pubblici che, essendo economicamen-

te più vantaggiosi ed ecocompatibili, vengono tendenzial-

mente usati di più dai cittadini rispetto alle automobili.

L'esempio olandese mostra che gli abitanti di una zona

altamente urbanizzata camminano di più (0,95 km contro

0,6 km), fanno maggiore uso di mezzi pubblici (5,6 km con-

Page 147: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

109

tro 1,9 km) e minore uso dell'auto (16 km contro 24 km)

rispetto agli abitanti di altre zone (Statistics Netherlands

2013). Queste differenze sono evidenti anche nelle stati-

stiche regionali, secondo le quali Amsterdam, Rotterdam

e Utrecht registrano il minore chilometraggio in termini di

distanze percorse e il livello più basso relativamente all'u-

so dell'auto in tutto il territorio dei Paesi Bassi. Pur non

disponendo di dati così dettagliati per l'insieme dell'UE,

l'impressione è che l'utilizzo di mezzi di trasporto più effi-

cienti sotto il profilo energetico si possa applicare anche ad

altre città del territorio dell'UE14. Le automobili rappresen-

tano un'ampia fetta dei mezzi di trasporto usati fuori dalle

città, sia perché il sistema di trasporto pubblico è meno

efficiente sia perché le distanze non consentono comodi

spostamenti a piedi o in bicicletta15.

Per poter confrontare l'importanza relativa dei modi di

trasporto terrestre16 tra i vari paesi, si normalizzano i dati

esprimendo il livello di distanze per passeggero in rapporto

alla popolazione. Lussemburgo e Francia hanno registrato

le distanze più lunghe percorse nel 2011, ciascuno con una

media di oltre 15 000 chilometri–passeggero per abitan-

te (Figura 3.4). All'opposto gli Stati membri dell'UE–12 re-

gistrano la distanza minima percorsa, con i dati più bassi

riscontrati in Romania e a Malta. Queste cifre, però, sono

indicative di un insieme di fattori, come ad esempio i livelli

di PIL e di reddito, la disponibilità di infrastrutture, il grado di

14 AEA (2013), A closer look at urban transport — TERM 2013.

15 Si veda anche ESPON (2013), TRACC.

16 Va sottolineato come le analisi sopra esposte si riferiscano al solo tra-sporto terrestre su automobile, autobus o rotaia, e che una quota signi-ficativa di spostamenti internazionali, e in alcuni paesi anche nazionali, avviene via mare o per via aerea (Eurostat (2011)).

pendolarismo, la vicinanza della popolazione ai servizi, l'ac-

cesso a reti ferroviarie ad alta velocità, nonché l'esistenza di

corridoi di trasporto internazionale attraverso il paese.

Tra il 1995 e il 2011 si è registrato un notevole incremen-

to nell'uso dell'automobile in molti degli Stati membri che

in quegli anni hanno aderito all'UE, in particolare Lituania,

Polonia, Slovenia, Estonia e Bulgaria. Anche in Grecia l'u-

tilizzo dell'automobile ha subito un aumento significativo

(Figura 3.5). L'aumento nell'uso dell'automobile è stato ac-

compagnato da una significativa diminuzione dell'uso dei

mezzi pubblici nell'UE–12, soprattutto in Slovacchia.

Viceversa, l'uso dell'automobile è diminuito nel Regno

Unito e nei Paesi Bassi, nel primo accompagnato da un

incremento dei viaggi su rotaia.

Le automobili incidono in maniera consistente sul traspor-

to passeggeri negli Stati membri di cui si abbiano dati a

disposizione, con una quota molto più ampia rispetto al

trasporto su rotaia, autobus e corriera. Nel 2011, le au-

tomobili rappresentavano l'84% dei chilometri percorsi

per via terrestre nell'UE, con ampie variazioni tra i vari

Stati membri (passando dal 91% in Lituania al 64% in

Ungheria), segno delle differenze di tipo infrastrutturale e

geografico (Figura 3.6).

Gli autobus rappresentavano mediamente il 9% dei chilo-

metri passeggero percorsi, con una quota variabile dal 3%

nei Paesi Bassi al 25% in Ungheria, mentre i treni rappre-

sentavano solo il 7%, con differenze legate alle condizioni

e all'estensione della rete ferroviaria nazionale. In Francia,

Austria e Svezia, dotate di collegamenti ferroviari veloci e

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UE–

12 LU FR SI FI SE DE IT UK BE IE LT DK AT EL NL PL PT EE ES CY BG CZ LV MT

HU SK RO

Figura 3.4 Passeggeri/km per modalità di trasporto, 2012

Migliaia di passeggeri/km pro capite Treno Tram e metro Autobus e pullman Autovetture

Fonte: EU transport in figures: Statistical pocketbook 2013

Page 148: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

110

frequenti, circa il 10% degli spostamenti avviene su rotaia,

mentre in Grecia, Estonia e Lituania, caratterizzate da una

rete poco estesa e treni lenti e non molto frequenti, gli

spostamenti su rotaia sono relativamente pochi.

La maggior parte del trasporto merci nell'UE (75%) av-

viene su strada (Figura 3.7). In alcuni paesi, tipo Grecia o

Spagna, la preponderanza del trasporto merci su strada è

in parte dovuta alla carenza di corsi d'acqua interni e alla

scarsa estensione della rete ferrovia (oltre all'alta veloci-

tà). In Lettonia ed Estonia, al contrario, oltre il 50% del

trasporto merci avviene su rotaia, derivando in parte dalle

importazioni dalla Russia. Romania, Paesi Bassi e Belgio

registrano la percentuale più alta di trasporto merci su vie

d'acqua interne per la presenza di fiumi e canali navigabili.

Le strategie per il miglioramento dell'efficienza dei tra-

sporti devono differenziarsi da regione a regione. Nelle

regioni occidentali, come pure in altre regioni tra quelle

più sviluppate, esiste una rete stradale già ben evoluta.

In queste aree le politiche dovrebbero quindi puntare a

promuovere il passaggio verso modalità di trasporto più

efficienti sotto il profilo energetico. Le regioni meno svilup-

pate, dall'altro lato, non dispongono di una rete stradale e

di idonee forme di collegamento con il resto dell'UE.

3.2 Le grandi città offrono un accesso migliore al sistema di trasporto pubblico

Il sistema di trasporto pubblico presenta delle differenze

da una città dell'UE all'altra in termini di portata e fre-

quenza dei servizi, nonché delle modalità adottate17. Fino a

tempi recentissimi, non era facile operare un confronto tra

i sistemi di trasporto pubblico presenti nelle varie città, sia

perché mancava una definizione univoca di città, sia per-

ché i dati disponibili sul trasporto pubblico erano limitati.

Queste difficoltà sono in via di superamento18.

La già citata definizione UE–OCSE fornisce un metodo ar-

monizzato per definire i centri urbani, le città e le rispettive

zone di pendolarismo, mentre sono sempre di più i gestori

dei servizi di trasporto pubblico a offrire libero accesso ai

propri dati in un formato comune (GTFS, lo stesso utilizza-

to dalle mappe di Google). Combinando tali dati con i dati

ad alta risoluzione sulla distribuzione della popolazione19

e con una mappa digitale delle strade si ottiene la prima

analisi armonizzata dell'accesso al sistema di trasporto

pubblico nelle città europee.

L'analisi distingue tra due modalità di trasporto pubblico:

• mezzi a media velocità: autobus e tram;

• mezzi ad alta velocità: metropolitane e treni.

La facilità di accesso per ciascuno viene definita come segue:

• spostamento di cinque minuti a piedi per i mezzi a media velocità;

• spostamento di dieci minuti a piedi per i mezzi ad alta velocità.

17 AEA (2013), A closer look at urban transport, TERM 2013.

18 Dijkstra, L. e Poelman, H. (2014).

19 Una nuova serie di mappe sull'uso del suolo utilizza mappe di tutti gli agglomerati europei, utilizzando griglie demografiche di dimensione 100 m, aree periferiche o aree di rilevazione insieme all'Atlante urbano.

-2 0 2 4 6

Figura 3.5 Variazione nel rapporto passeggeri/km per modalità di trasporto, 1995–2011

UE–27UE–15UE–12

Regno UnitoPaesi BassiDanimarca

ItaliaBelgioMalta

UngheriaSpagna

Repubblica cecaGermania

AustriaFranciaIrlanda

LussemburgoSlovacchia

SveziaRomania

CiproFinlandiaLettonia

PortogalloBulgariaEstonia

SloveniaGrecia

PoloniaLituania

Variazione in migliaia di passeggeri/km pro capite

Fonte: EU transport in figures: Statistical pocketbook 2013

Autovetture

Autobus e pullman

Tram e metro

Treno

Page 149: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

111

La frequenza del servizio si calcola in base al numero me-

dio di partenze all'ora nella fascia oraria tra le 7:00 e le

20:00 in una tipica giornata lavorativa:

• molto elevata: accesso a oltre 10 partenze all'ora per

i mezzi a media e alta velocità;

• elevata: accesso a oltre 10 partenze all'ora per una sola

tra le due tipologie di trasporto, ma non per entrambe;

• media: accesso a un numero compreso tra 4 e 10 par-

tenze all'ora per una sola o per entrambe le tipologie

di trasporto, ma comunque non superiore a 10 par-

tenze all'ora;

• bassa: accesso a meno di quattro partenze all'ora per

una o entrambe le tipologie di trasporto, ma comun-

que non superiore a quattro partenze all'ora.

È così possibile mettere a confronto tra loro alcune città

europee per quanto riguarda la quota di popolazione con

facilità di accesso ai mezzi pubblici, ripartita per frequen-

za di corse. In 12 grandi centri urbani sui 14 esaminati

(Figura 3.8), tra il 60% e l'84% della popolazione nel 2012

ha avuto accesso a un servizio con frequenza molto ele-

vata. Ci sono maggiori variazioni per quanto riguarda la

quota di popolazione con accesso molto elevato, con oltre

il 30% in cinque città a meno del 10% in tre città. Dublino

ha la quota più bassa in termini di accesso a servizi a

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15 LT PL NL

UK SI DK FI PT HR IE EE FR SE LU IT CY MT

RO DK EL ES BG BE AT LV SK CZ HU

Figura 3.6 Traffico passeggeri per modalità di trasporto, 2011

Treni Pullman, autobus e filobus Autovetture

Fonte: EU transport in figures: Statistical pocketbook 2013

Passeggero–km in % sul totale del trasporto terrestre di passeggeri

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UE–

27

UE–

15 CY MT IE EL ES PT LU IT UK

DK SI FR PL CZ SK HU HR FI BG BE DE SE LT NL AT RO EE LV

Figura 3.7 Trasporto merci per modalità, 2011

Tonnellate–km in % sul totale del trasporto terrestre di merci Acque navigabili interne Treno Strade

Fonte: EU transport in figures: Statistical pocketbook 2013

Page 150: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

112

frequenza elevata (38%), di molto inferiore a Stoccolma

(71%) o Bruxelles (84%), città di dimensioni simili.

Anche L'Aja e Amsterdam hanno ottenuto un punteggio

relativamente basso in questo senso, anche se la costru-

zione della metropolitana di Amsterdam dovrebbe favorire

un aumento della percentuale. Il servizio di trasporto pub-

blico nelle città olandesi va considerato alla luce dell'utiliz-

zo diffuso delle biciclette, rendendo meno rilevante la do-

manda di mezzi pubblici. Nel centro urbano di Manchester,

esteso su buona parte della Grande Manchester, le perso-

ne con accesso molto elevato sono in percentuale molto

limitata, date le dimensioni della città.

In 9 centri urbani di medie dimensioni sui 14 considerati

(Figura 3.9), l'accesso a un servizio di trasporto pubblico a

frequenza elevata nel 2012 è salito dal 12% al 60% della

popolazione, senza mai superare il 7% sotto il profilo dei

servizi ad altissima frequenza. A livello generale, dunque,

Migliorare l'accesso ai mezzi pubblici ad Atene

Dagli anni Novanta, sono stati spesi oltre 4 miliardi di euro per la costruzione del sistema di trasporto rapido della metropolitana di Atene, che collega l'ag-glomerato urbano e alcune zone dell'Attica orienta-le, buona parte finanziati nell'ambito della politica di coesione (tramite il FESR e il Fondo di coesione integrati da prestiti della BEI), nell'ottica di ridurre il traffico veicolare1. Prima dell'introduzione della metropolitana, il sistema di trasporto pubblico era composto solo da autobus e dalla linea elettrica su rotaia Atene–Pireo.

La metro ha notevolmente migliorato la qualità della vita ad Atene, diminuendo la congestione del traffico e i livelli di smog, nonché accorciando sistematica-mente i tempi di spostamento. Ha anche contribuito a invertire la tendenza a usufruire sempre meno dei mezzi pubblici, aumentando il numero di passeggeri del 50% tra il 1992 e il 2008.

Prima della costruzione delle linee 2 e 3 della me-tro, solo l'8% della popolazione del centro di Atene aveva accesso a servizi di trasporto pubblico a ele-vata frequenza, una percentuale molto inferiore a Berlino, Stoccolma, Copenaghen, Bruxelles o Marsi-glia (il 30% in tutte). Dopo la costruzione di queste linee, la quota è arrivata a sfiorare il 20%.

1 Commissione europea (2009), Good practice in urban tran-sport — Athens Metro.

Pacchetto sulla mobilità urbana

Un'efficace politica di trasporto europea non può ignorare la dimensione urbana. Le città costituiscono importanti snodi del sistema di trasporto europeo; le aree urbane rappresentano spesso il punto di par-tenza o di termine di buona parte degli spostamenti. Inoltre, molti degli effetti negativi dei trasporti (quali il traffico o l'inquinamento) colpiscono soprattutto le aree urbane. Secondo l'ultima rilevazione dell'Eu-robarometro1, la metà dei cittadini europei utilizza l'automobile tutti i giorni (50%), superando la quota di persone che si spostano in bicicletta (12%) oppure con i mezzi pubblici (16%) presi assieme. Allo stes-so tempo, la grande maggioranza della popolazione europea considera come gravi problemi delle città l'inquinamento dell'aria (81%), il traffico veicolare (76%), i costi di spostamento (74%), gli incidenti (73%) e l'inquinamento acustico (72%).

Con il pacchetto sulla mobilità urbana, la Commis-sione intende intensificare il proprio sostegno al servizio di trasporto urbano per il periodo di pro-grammazione 2014–2020. La pianificazione della mobilità urbana è strettamente legata al raggiungi-mento degli obiettivi della politica UE per un sistema di trasporto europeo competitivo ed efficiente sotto il profilo delle risorse; d'altro canto, l'organizzazione della mobilità urbana rientra principalmente nelle competenze delle amministrazioni locali. Per molti anni le iniziative dell'UE sulla mobilità urbana erano tese a sostenere gli sforzi compiuti a livello di città, mediante l'attuazione di interventi in settori dall'e-vidente valore aggiunto in termini di UE. Il presente pacchetto invita gli Stati membri a:

• condurre un'analisi approfondita dello stato at-tuale e futuro della mobilità urbana alla luce de-gli obiettivi chiave della politica dell'UE;

• garantire lo sviluppo e l'attuazione dei piani sulla mobilità urbana sostenibile;

• rivedere gli strumenti tecnici, politici, legali, fi-nanziari e di altro genere a disposizione degli enti preposti alla pianificazione urbana.

Fulcro del pacchetto è la comunicazione "Insieme verso una mobilità urbana competitiva ed efficace sul piano delle risorse", accompagnata da un alle-gato contenente il concetto di piani per la mobilità sostenibile e quattro documenti di lavoro dei servizi della Commissione su logistica urbana, accesso re-golamentato alle aree urbane, applicazione dei si-stemi di trasporto intelligenti (ITS) nelle aree urbane e sicurezza stradale nelle aree urbane.

1 Commissione europea (2013), Special Eurobarometer 406.

Page 151: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

113

i servizi di trasporto urbano sono molto più frequenti nei

grandi centri urbani.

3.3 La congestione del traffico è elevata in molte grandi città dell'UE

L'efficienza delle reti di trasporto costituisce une delle prin-

cipali priorità della politica dell'UE in materia di trasporti,

come emerge dalla Tabella di marcia verso uno spazio unico

europeo dei trasporti — Per una politica dei trasporti com-

petitiva e sostenibile20 della Commissione. I collegamenti

che compongono la rete dei trasporti su strada differiscono

molto tra loro quanto a volume di traffico sopportato, e per-

tanto a capacità di utilizzo e congestionamento21.

20 COM(2011) 144 def.

21 Christidis, P. e Ibañez Rivas, J. N. (2012).

La congestione nell'UE ha un costo stimato superiore a

110 miliardi di euro annui. Essa produce anche un'ampia

gamma di effetti collaterali negativi quali l'aumento del

consumo di carburante, l'inquinamento atmosferico e acu-

stico, compromettendo la qualità della vita, l'accesso agli

esercizi commerciali e agli altri servizi22. Diverse grandi

città presentano un livello di congestionamento molto ele-

vato (Carta 3.3). Oltre il 25% delle strade ad alta velocità

di Bruxelles, Milano, Lille e Manchester risultano congestio-

nate. Il problema potrebbe essere limitato tramite l'intro-

duzione di forme di tassazione della congestione — misura

che l'OCSE ha caldeggiato in diversi paesi — per incorag-

giare le persone a regolare gli orari degli spostamenti, il

tragitto da compiere e/o il mezzo di trasporto utilizzato.

22 OCSE–ECMT, 2007, Managing Urban Traffic Congestion.

0

20

40

60

80

100

0

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100

Figura 3.8 Accesso al trasporto pubblico nelle città europee di grandi dimensioni, 2012

% di popolazione del centro urbano

Nessun accesso

Basso

Medio

Elevato

Molto elevato

DublinoL'Aia

Rotterdam

Budapest

Amsterdam

Helsinki

Berlino

Manchester

Stoccolma

CopenaghenAtene

Torino

Marsiglia

Bruxelles

Fonte: Dihkstra, L. e Poelman, H. (2014)

0

20

40

60

80

100

0

20

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100

Figura 3.9 Accesso al trasporto pubblico nelle città europee di medie dimensioni, 2012% di popolazione del centro urbano

Nessun accesso

Basso

Medio

Elevato

Molto elevato

Fonte: Dihkstra, L. e Poelman, H. (2014)

Dordrecht

EidhovenLeiden

Charleroi

HaarlemTolosa Liegi

Bordeaux

GöteborgGand

AnversaTallinn

UtrechtMalmö

Page 152: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

114

Page 153: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

115

3.4 La qualità dell'aria è tuttora migliorabile in molte zone dell'UE

La qualità dell'aria incide sulla salute umana e sull'am-

biente, e in quanto tale costituisce un aspetto chiave del

benessere. All'interno dell'UE, le emissioni di vari inquinan-

ti sono diminuite significativamente nell'ultimo decennio,

con un calo dell'esposizione al biossido di azoto (SO2), al

monossido di carbonio (CO) e al piombo (Pb). Tuttavia,

continuano a riscontrarsi problemi di inquinamento atmo-

sferico in diverse regioni dell'UE dove la qualità dell'aria

è sistematicamente inferiore ai parametri fissati dalle di-

rettive UE. Questo è vero soprattutto per le città, in cui si

concentra la maggioranza della popolazione.

Attualmente i principali inquinanti dannosi per la salute

sono il particolato aerodisperso (PM10)23, l'ozono a livello

del suolo (O3) e il biossido di azoto (NO2) Nonostante la

presenza di diverse direttive europee che regolano l'emis-

sione degli inquinanti nell'industria, agricoltura e traspor-

ti24, molti Stati membri non rispettano i limiti di qualità

dell'aria imposti per legge. Dalle misurazioni, negli ultimi

anni non si è registrata alcuna significativa riduzione della

concentrazione di PM10 e O3. I livelli di PM10 fissati a 20 μg/

m3 dalle linee guida sulla qualità dell'aria dell'Organizza-

zione mondiale della sanità (OMS) sono sistematicamente

superati in tutto il territorio europeo, nelle zone rurali come

in quelle urbane. In molte città dell'UE, le concentrazioni

di PM10 sono rimaste pressoché invariate dagli anni 2000.

Le regioni con alte concentrazioni di PM10 sono quelle si-

tuate lungo la Valle del Po in Italia, nella Polonia centro–

meridionale, nonché nella Repubblica ceca, Slovacchia e

Bulgaria (Carta 3.4). Alte concentrazioni di O3 si riscontra-

no soprattutto nell'UE meridionale, in particolare in Italia

settentrionale, dove i limiti vengono superati per 25 giorni

o più all'anno (Carta 3.5).

Nonostante il mancato raggiungimento, da parte dell'UE,

dell'obiettivo ambientale intermedio riguardante la tutela

degli ecosistemi più sensibili rispetto al processo di acidi-

ficazione, tra il 1990 e il 2010 si è verificata una significa-

23 Con PM10 (PM2,5) si intende un materiale formato da particelle micro-scopiche con diametro aerodinamico uguale o inferiore a 10 (2,5) μm in sospensione nell'atmosfera. Se esistono specifici limiti imposti dalle direttive europee in merito alla concentrazione di PM10, al contrario la concentrazione di PM2,5 non è regolamentata nonostante la maggior pe-ricolosità di questo particolato per la salute umana, essendo in grado di penetrare più profondamente nei polmoni.

24 Direttiva 2010/75/UE sulle emissioni industriali, direttiva 2001/81/CE sulle soglie di emissione nazionali e direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell'aria ambiente.

tiva riduzione dell'area colpita da eccessiva acidificazione

causata dall'inquinamento atmosferico, soprattutto grazie

a una serie di misure adottate precedentemente per miti-

gare le emissioni di SO2. Tra il 1990 e il 2010, invece, l'area

degli ecosistemi sensibili colpita da eccesso di azoto non

si è ridotta in maniera significativa25, e le concentrazioni di

O3 nell'aria ambiente continuano a causare una diminu-

zione nella crescita della vegetazione e nella produzione

agricola26.

Anche altre fonti inquinanti sono oggetto di monitoraggio.

Nello specifico, l'UE ha affrontato il problema delle emis-

sioni di mercurio, un inquinante globale (ovvero presente

ovunque, nell'aria, in acqua, nei sedimenti, nel suolo e negli

organismi viventi) nocivo per la salute umana, lanciando

nel 2005 una strategia che comprendeva 20 misure per

ridurre le emissioni, tagliare la domanda e l'offerta e pro-

teggere dall'esposizione, soprattutto rispetto al metilmer-

curio presente nel pesce.

4. Rendere le città più attraenti contribuisce a promuovere l'efficienza dell'UE sotto il profilo delle risorse

Le città sono molto più efficienti in termini di consumo

energetico e utilizzo del suolo rispetto ad altre aree. Il

consumo energetico da parte delle abitazioni private del-

le città tende a essere minore perché buona parte della

popolazione vive in appartamenti o case a schiera, più ef-

ficienti dal punto di vista del riscaldamento rispetto alle

case singole. Ad esempio, nei Paesi Bassi, il consumo pro

capite di gas ed elettricità è due volte più alto nelle case

singole che non negli appartamenti. La differenza è tale

da risultare evidente anche a livello regionale. Le regioni

NUTS 2 alle quali appartengono Amsterdam e Rotterdam

registrano quindi il consumo pro capite di gas ed elettricità

più ridotto dei Paesi Bassi27.

25 I composti dell'azoto (N) e l'ammoniaca (NH3) attualmente costitu-iscono le principali sostanze acidificanti nell'atmosfera. Oltre agli effetti acidificanti, l'azoto contribuisce anche alla produzione di un'eccedenza di nutrienti negli ecosistemi terrestri e acquatici, con conseguenti cambiamenti sotto il profilo della biodiversità.

26 Per quanto riguarda le perdite dei raccolti e le conseguenti perdite economiche, si stima che nel 2000 abbiano riguardato 23 colture orticole e agricole, pari a un importo di 6,7 miliardi di euro (si veda Holland M. et al. (2006)).

27 Purtroppo non si dispone di dati a un tale livello di dettaglio per tutto il territorio dell'UE.

Page 154: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

116

Page 155: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

117

4.1 Le città utilizzano il suolo in maniera più efficiente

Un esempio ancora più significativo dell'efficienza del vi-

vere urbano è l'impatto sull'utilizzo del suolo. In media, le

aree urbane utilizzano circa un quarto di suolo edificato

(ovvero terreno utilizzato per la costruzione di edifici) per

abitante, rispetto alle zone rurali o intermedie. Questo

emerge dalle immagini satellitari ad alta definizione uti-

lizzate dal JRC per l'individuazione delle aree edificate e la

classificazione degli edifici residenziali, commerciali, indu-

striali, agricoli, misti o di altro tipo (Tabella 3.1 e Carte 3.6

e 3.7). Una differenza così marcata esiste nell'UE–15 come

anche nell'UE–13.

La ragione è duplice: da un lato un uso più efficiente del

suolo da parte delle persone e delle imprese nelle aree

urbane, dall'altro un maggior numero di edifici industria-

li e agricoli nelle altre aree. Pertanto, l'incremento della

popolazione e delle attività economiche in città produce

un impatto minore sull'uso del suolo rispetto al verificarsi

della medesima crescita altrove.

Le grandi città utilizzano il suolo in maniera più intensiva rispetto alle città più piccole

La stessa conclusione emerge utilizzando un indicatore

leggermente diverso, quello della sigillatura del suolo (o

impermeabilizzazione), il quale dimostra che dove la den-

sità della popolazione è maggiore il suolo sigillato (cemen-

tificato) pro capite è inferiore. Pertanto le città più grandi,

generalmente caratterizzate da una grande concentrazio-

ne di abitanti, tendono a essere più efficienti rispetto alle

città più piccole (Figura 3.10).

Nel centro delle grandi città, il suolo è utilizzato in maniera più intensiva

La densità demografica media, tuttavia, tende a masche-

rare l'esistenza di numerose variazioni. La densità demo-

grafica tende a diminuire con il progressivo allontanamen-

to dal centro della città. Nelle grandi capitali dell'UE, a

densità demografica raggiunge il picco a un raggio di 3–4

chilometri dal centro (Figure 3.11 e 3.12)28.

28 Nella maggioranza dei casi, in effetti, il centro storico non appare così densamente popolato come le aree immediatamente circostanti. Il motivo alla base dello svuotamento dei centri storici è legato alla massiccia presenza di attività commerciali e servizi.

La tendenza generale può essere spiegata tramite la te-

oria economica di Von Thünen, il quale aveva osservato

come il prezzo del suolo e il relativo utilizzo si modificava-

no a seconda dell'accesso al mercato (il centro cittadino). Il

rendimento dell'utilizzo del suolo, pertanto, tende a essere

maggiore quanto più si è vicini al centro storico, sede di

negozi e servizi, seguito dalle aree residenziali ad alta den-

sità. Il rendimento dell'utilizzo del suolo tende a diminuire

allontanandosi dal centro.

Malgrado questa tendenza generale, la densità demo-

grafica è anche diversa tra città di grandezza simile. Ad

esempio, Parigi ha un picco di densità demografica di 520

abitanti per chilometro quadrato, contro il picco di 300 abi-

tanti di Londra. Madrid, Atene e Berlino raggiungono un

picco rispettivamente di 650, 400 e 290 abitanti.

Nelle capitali di medie dimensioni, i picchi tendono a es-

sere più bassi. Stoccolma, Vienna e Bruxelles registrano

un picco compreso tra i 300 e i 400 abitanti per chilo-

metro quadrato, mentre Lisbona, Dublino, Amsterdam e

Budapest tra i 200 e i 300.

Raggiunto il picco, la densità demografica diminuisce più

o meno bruscamente con l'avvicinarsi alle zone periferi-

che. Questo è particolarmente evidente per Parigi, Atene,

Vienna, Budapest, Stoccolma, Bruxelles e Dublino. In alcu-

ne zone, ad esempio a Madrid, Lisbona e Amsterdam, si

osserva anche un picco di secondo livello, probabilmente

correlato all'esistenza di centri storici "satellite" nei pressi

dell'agglomerato principale.

L'incremento della popolazione urbana e i cambiamenti nell'intensità d'uso del suolo

Una nuova analisi illustra come, tra il 1950 e il 2006, alcu-

ne città siano cambiate sotto il profilo dell'utilizzo del suolo

e della popolazione (Carta 3.8). I cambiamenti più rapidi

si sono verificati negli anni Sessanta e Settanta, caratte-

rizzati da un notevole incremento della popolazione e da

Tabella 3.1 Area edificata per abitante, regioni UE, 2012

km quadrato per milione di abitanti

Prevalentemente urbana

Intermedia Prevalentemente rurale

UE–13 126 260 362

UE–15 94 221 372

UE–28 97 230 368

Fonte: Carta degli insediamenti umani del JRC e calcoli della DG REGIO.

Page 156: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

118

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Capitolo 3: Crescita sostenibile

119

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200

300

400

500

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700

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

Popola

zione

per

chilo

met

ro q

uadra

to

Distanza dal centro della città (Km)

Fonte: Batista e Silva, F. et al. (2012)

Paris

Londra

Madrid

Atene

Berlino

Figura 3.11 Andamento della densità demografica in un campione di capitali europee di grandi dimensioni, 2006

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20

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40

50

10 30 50 70 90 110 130 150 170

Figura 3.10 Rapporto tra densità di popolazione e suolo sigillato per abitante nelle zone urbane funzionali, 2006

Suol

o si

gilla

to p

er a

bita

nte

Fonte: Batista e Silva, F. et al. (2012)

Densità demografica

y = 27,11e-0,009x

R2 = 0,3759

0

100

200

300

400

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

Distanza dal centro della città (Km)Fonte: Batista e Silva, F. et al. (2012)

Vienna

Lisbona

Budapest

Bruxelles

Stockholm

Dublino Amsterdam

Figura 3.12 Andamento della densità demografica in un campione di capitali europee di grandi dimensioni, 2006

Popo

lazi

one

per

chilo

met

ro q

uadr

ato

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

120

L'Atlante urbano mostra che i cambiamenti più veloci sono avvenuti nelle città centro–orientali

L'Atlante urbano è la prima mappatura ad alta risolu-zione attendibile e comparabile sull'utilizzo del suolo in 408 città europee e i rispettivi agglomerati per gli anni di riferimento (2006 e 2012)1. È stato realizzato per colmare un vuoto conoscitivo sui modelli d'utilizzo del suolo nelle città europee. Trasformando le immagi-ni satellitari in mappe dettagliate sull'utilizzo del suolo, permette di confrontare le varie città anche in termini di evoluzione temporale e consentire un'analisi delle variazioni previste sull'utilizzo del suolo, in maniera tale da migliorare la comprensione delle tendenze a livello di urbanizzazione.

Le ultime analisi dell'Atlante urbano comprendono un campione di mappe dell'utilizzo del suolo (2012) riferite a cinque città europee, illustrando per ciascuna le va-riazioni nell'utilizzo del suolo per il periodo 2006–2012. Dai risultati del 2012 emerge una differenza nell'inten-sità d'utilizzo tra le cinque città, dovuta a una differenza in termini di conformazione spaziale, forme urbane e potenziale di sviluppo. L'utilizzo più intensivo del suolo si registra a Bratislava, seguita da Edimburgo e Praga, mentre l'utilizzo meno intensivo caratterizza Monaco e Bucarest. Nella maggioranza delle città, le aree in-dustriali, commerciali, pubbliche e militari utilizzano la metà del suolo consumato dalle aree residenziali. Que-sto non avviene invece a Bratislava, dove l'utilizzo del suolo è praticamente uguale nelle due tipologie di aree.

1 L'Atlante urbano è un'iniziativa congiunta nata dalla collabora-zione tra l'ESA, DG IMPRESA (Copernicus), DG REGIO e l'AEA.

Nel periodo esaminato, in molte di queste città le aree edificate tendono a espandersi in contempora-nea a un aumento della popolazione, con l'eccezione di Bratislava (Carta 3.9). Le variazioni più significati-ve in termini di utilizzo del suolo durante il periodo 2006–2012 si sono registrate nelle città dell'Europa centro–orientale, come Praga e Bucarest, la cui rapi-da crescita è stata accompagnata da una altrettanto rapida espansione delle aree edificate. Costrette a far fronte a un significativo aumento della popolazione, entrambe hanno dovuto ridurre le aree agricole, bo-schive e naturali per fare spazio alle attività econo-miche e residenziali.

Le zone di massimo cambiamento nell'utilizzo del suolo sono più evidenti a Bratislava, dove nuove aree edifi-cate sono sorte nei pressi delle maggiori arterie stra-dali, malgrado una diminuzione della popolazione. Vi-ceversa Monaco ed Edimburgo hanno limitato molto i cambiamenti nell'utilizzo del suolo tra il 2006 e il 2012, divenendo entrambe città più compatte e sostenibili. Entrambe hanno registrato un'espansione delle zone umide e delle superfici acquatiche, contrariamente ad altre città che hanno visto diminuire le aree naturali per la pressione delle attività economiche. La comprensione delle tendenze dell'urbanizzazione e dei suoi effetti sul territorio europeo costituisce un elemento cruciale per il mantenimento della coesione socioeconomica e per la promozione dello sviluppo sostenibile. L'Atlante urbano fornisce un contributo significativo al riguardo.

una ancora più rapida espansione delle aree edificate. Ad

esempio, tra il 1955 e il 1984 a Palermo le aree edificate

sono triplicate, mentre la popolazione è aumentata solo

del 26%. Nei due decenni seguenti, i cambiamenti hanno

seguito un diverso andamento: le aree edificate sono au-

mentate del 9% mentre la popolazione è diminuita del 3%.

A Helsinki, tra il 1950 e il 1984 le aree edificate sono quasi

raddoppiate, mentre la popolazione è diminuita del 25%.

Nei due decenni seguenti, la popolazione e le aree edificate

sono aumentate del 12% in entrambi i casi, senza alcuna

modifica in termini di intensità d'utilizzo del suolo.

All'opposto, a Vienna tra il 1955 e il 1997 le aree edifica-

te sono aumentate solo del 15% mentre la popolazione è

diminuita del 5%. Nel decennio successivo la popolazione

è aumentata del 7%, mentre le aree edificate sono aumen-

tate solo del 4%, determinando un incremento nell'intensi-

tà d'utilizzo del suolo.

Confrontando l'intensità d'utilizzo del suolo a Palermo,

Vienna, Helsinki e Bratislava tra gli anni Cinquanta e il

primo decennio del Duemila, si evidenzia una rapida con-

vergenza delle aree edificate in rapporto alla popolazio-

ne, raggiungendo negli anni Ottanta una densità di circa

9 000 abitanti per chilometro quadrato, rimasta pressoché

invariata da allora.

Grazie alla ripresa che ha caratterizzato numerosi centri

urbani dell'UE durante gli anni Novanta e il primo decen-

nio del Duemila, molte città hanno potuto procedere alla

riqualificazione di vari siti dismessi e al riuso di edifici ab-

bandonati, accrescendo la vitalità dei centri storici senza

per questo ampliare le aree edificate.

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Capitolo 3: Crescita sostenibile

121

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Capitolo 3: Crescita sostenibile

123

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

124

4.2 Le politiche locali e nazionali possono plasmare i luoghi e l'intensità d'utilizzo del suolo dei nuovi insediamenti, promuovendo la creazione di città più compatte

Una città più compatta può consentire un maggior rispar-

mio in termini di infrastrutture e tempi di spostamento,

diminuendo così gli effetti dannosi per l'ambiente delle

aree edificate e l'elevato consumo energetico. Secondo

Matsumoto29, le città compatte presentano le seguenti ca-

ratteristiche chiave:

• Modelli di sviluppo contiguo: i nuovi insediamenti ge-

neralmente si collocano ai margini delle aree urbane

esistenti, evitando un'espansione urbana incontrollata.

• Aree densamente edificate: viene fatto un uso intensi-

vo del suolo urbano, con un maggior numero di abitan-

ti e attività per una determinata superficie edificata.

• Elevata accessibilità: i sistemi di trasporto di massa

garantiscono un'alta mobilità all'interno delle aree ur-

bane, mentre l'utilizzazione mista del suolo garantisce

ai cittadini un veloce accesso ai servizi.

Queste caratteristiche sono utilizzate dalla piattaforma

per il modellamento dell'uso del suolo per definire due

scenari futuri sull'uso del suolo30: uno scenario privo di

particolari cambiamenti ("business–as–usual"), l'altro di

città compatta. Entrambi gli scenari includono alcune sti-

me sull'impatto della politica di coesione (sulla base dei ri-

sultati del modello RHOMOLO) e sui miglioramenti a livello

di accessibilità. Si tiene conto anche del sostegno fornito

dalla politica di coesione a specifiche aree politiche (es.

infrastrutture di R&S, salute e istruzione, rifiuti e gestione

dei rifiuti, e rigenerazione urbana). La differenza principale

tra i due scenari consiste nel fatto che, mentre nel primo

non è prevista l'adozione di specifiche politiche sull'utilizzo

del suolo urbano, nel secondo si presume l'esistenza di una

politica a favore di città più compatte.

Dal confronto tra i due scenari, si evincono i numero-

si benefici derivanti dallo sviluppo di città più compatte.

Nonostante una diminuzione dell'intensità d'utilizzo del

suolo in entrambi gli scenari, questo calo è inferiore nelle

29 OCSE (2012), Compact City Policies.

30 Batista e Silva, F. et al. (2013).

città compatte in cui, allo stesso tempo, vi è una mino-

re frammentazione urbana, una maggiore qualificazione

degli spazi abbandonati e lo sviluppo di grandi centri ur-

bani. Lo scenario "business as usual" si caratterizza per

un'espansione urbana incontrollata e uno uso intensivo

dell'automobile, con conseguente incremento nel consumo

energetico, ed è indicativo del fatto che un tale modello di

sviluppo tende a bloccare le persone in un regime di dipen-

denza dall'automobile.

5. Il miglioramento degli ecosistemi e la riduzione dell'impatto ambientale rendono l'UE un luogo più efficiente e vivibile

5.1 Preservare la qualità dell'acqua, proteggendo le specie e gli habitat

In quanto risorsa naturale, l'acqua riveste un ruolo di fon-

damentale importanza per il funzionamento della biosfera

ed è indispensabile per tutti gli organismi, nonché vitale

per l'agricoltura e le altre attività economiche. Inoltre, l'ac-

qua dolce e più in generale gli ecosistemi costieri svolgo-

no una vasta gamma di funzioni di regolazione, come il

controllo delle inondazioni e l'eliminazione delle sostanze

inquinanti. Essi sono altresì essenziali per la salute degli

ecosistemi marini.

Tuttavia, le risorse idriche sono sottoposte a sempre mag-

gior pressione, spesso a causa delle attività umane. L'origine

di tale pressione è molteplice. I cambiamenti nell'utilizzo

del suolo e lo sviluppo delle attività economiche vanno

spesso di pari passo con l'inquinamento e gli interventi sul

paesaggio. Questi ultimi comprendono lavori di canalizza-

zione, distacco di pianure alluvionali, bonifica di terreni, co-

struzione di dighe e la diffusione di superfici impermeabili,

alterando il sistema idrologico. Ad esempio il processo di

urbanizzazione tende a essere accompagnato da interventi

di sigillatura del suolo e dalla modifica degli attuali sistemi

fognari e di drenaggio, aumentando il rischio di alluvioni e

modificando gli habitat e l'ambiente acquatico. Le riserve

idriche sono spesso soggette a eccessiva estrazione, ad

esempio per il massiccio uso irriguo da parte dell'agricoltu-

ra in alcune zone dell'UE, soprattutto in estate, provocando

un incremento del rischio di siccità. Il cambiamento climati-

co esercita una pressione ulteriore in quanto tende ad au-

Page 163: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

125

mentare la frequenza e la gravità delle siccità e delle allu-

vioni, oltre alla distribuzione temporale dell'acqua

disponibile, soprattutto in aree dove il graduale scioglimen-

to delle nevi e la ricarica delle falde vengono sostituiti da

veloci disgeli e alluvioni lampo. Per questo motivo occorre

investire nella gestione del rischio di catastrofi.

L'efficacia nel preservare gli ecosistemi acquatici varia

sensibilmente all'interno dell'UE. In varie regioni, nume-

rosi corpi idrici sono stati sottoposti a una serie di azioni

che ne hanno modificato l'idrologia (ovvero il movimen-

to, la distribuzione e la qualità dell'acqua) o la morfologia

(tramite il raddrizzamento dei corsi d'acqua, la canaliz-

zazione o il distacco dalle pianure alluvionali). In partico-

lare, questo si è verificato soprattutto in molte regioni di

Belgio, Paesi Bassi, Repubblica ceca, Germania, Polonia e

Ungheria. Anche i corpi idrici di molte regioni di Francia,

Svezia, Spagna e Regno Unito hanno subito tali pressio-

ni31 (Carta 3.10). Molti dei cambiamenti risalgono all'inizio

dell'era industriale, come il raddrizzamento del Reno (rea-

lizzato tra il 1817 e il 1876), o anche a epoche precedenti,

come il recupero dei terreni dal mare nei Paesi Bassi.

La qualità dell'acqua e la condizione degli ecosistemi ac-

quatici sono minacciate anche dalla presenza di sostanze

nutritive dagli effetti potenzialmente inquinanti. Secondo

le analisi, la metà dei corpi idrici (laghi, fiumi, aree umide

e falde freatiche) all'interno dell'UE non soddisfano gli in-

dicatori per il raggiungimento del buono stato ambientale

(Good Environmental Status–GES)32 o del buon potenziale

ecologico (Good Environmental Potential–GEP), imponendo

l'adozione di misure correttive necessarie al conseguimen-

to degli obiettivi della direttiva quadro dell'UE in materia

di risorse idriche33. Le situazioni peggiori si riscontrano

nell'Europa nord–occidentale, dove oltre il 90% dei corpi

d'acqua versa in cattive condizioni dal punto di vista eco-

logico, soprattutto a causa dell'agricoltura intensiva, della

presenza di industrie a forte consumo energetico e dell'e-

levata densità della popolazione.

31 AEA (2012), Water resources in Europe in the context of vulnerability.

32 La direttiva quadro in materia di acque classifica la qualità dell'acqua in cinque classi di stato: elevato, buono, sufficiente, scarso e cattivo. Con "ele-vato stato" si intendono condizioni biologiche, chimiche e morfologiche non modificate o poco modificate dall'intervento umano. La valutazione della qualità si basa sul grado di scostamento dai parametri di riferimento. Per "buono stato" si intende un leggero scostamento dai parametri di riferimen-to. La definizione di stato ecologico tiene conto di specifici aspetti connessi agli elementi della qualità biologica, come ad esempio "composizione e abbondanza della flora acquatica" oppure "composizione, abbondanza e struttura di età della fauna ittica" (per l'elenco completo si rinvia alla diret-tiva quadro in materia di acque, allegato V, sezione 1.1).

33 Ibid.

5.2 Il trattamento delle acque reflue urbane è necessario per garantire la qualità delle risorse idriche

Anche le acque reflue pongono una forte pressione

sull'ambiente acquatico, a causa della materia organica

e dei nutrienti, ma anche delle sostanze pericolose e dei

metalli che esse contengono. L'inquinamento da nutrienti è

la principale causa di eutrofizzazione (eccessiva fioritura di

alghe e diminuzione di ossigeno), nonché uno dei maggio-

ri ostacoli al raggiungimento del cosiddetto "buono stato"

delle acque marine e dolci. Un adeguato processo di rac-

colta e gestione delle acque reflue è quindi essenziale al

fine di preservare la qualità delle riserve di acqua (dalle

falde superficiali ai serbatoi per la distribuzione dell'acqua

potabile), delle acque destinate alla balneazione e degli

ecosistemi marini. Anche l'accesso a servizi igienico–sani-

tari adeguati è un diritto umano basilare e indispensabile

per la salute delle persone, come sottolineato anche dal-

la prima Iniziativa dei cittadini europei (ICE) "right2water"

("diritto all'acqua")34. La direttiva UE sul trattamento delle

acque reflue urbane rende obbligatorio il procedimento di

raccolta e trattamento delle acque reflue in ogni insedia-

mento e area produttiva con un numero di abitanti equiva-

lenti superiore a 2 00035.

Il tipo di trattamento richiesto dipende dal livello di sensi-

bilità dell'area di scarico delle acque reflue. Il trattamento

primario (meccanico) rimuove parte dei solidi in sospen-

sione ed è richiesto nelle aree in cui lo scarico delle acque

reflue non danneggia l'ambiente ("aree meno sensibili", è

effettuato in via del tutto eccezionale e in base alle spe-

cifiche condizioni locali), il trattamento secondario (biolo-

gico) decompone la maggior parte della materia organica

trattenendo alcuni nutrienti, e rappresenta il livello minimo

richiesto in tutte le "aree normali", mentre il trattamen-

to terziario ("avanzato") rimuove quasi completamente la

materia organica ed è richiesto nelle aree "sensibili", ca-

ratterizzate da un elevato rischio di effetti nocivi dovuti

allo scarico delle acque, oppure che richiedono specifiche

misure protettive, come ad esempio le aree di estrazione

dell'acqua potabile.

In generale, i livelli più alti di conformità si riscontrano nei

"vecchi" Stati membri, con in testa Austria, Germania e

Paesi Bassi, nei quali la direttiva è stata ampiamente rece-

34 COM(2014) 177 def.

35 Il concetto di abitante equivalente considera il carico generato dalla popolazione residente, non residente (per lo più turisti) e dalle attività produttive di cui all'articolo 11 della direttiva.

Page 164: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

126

Page 165: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

127

pita. Tuttavia, anche tra i "vecchi" Stati membri ve ne sono

alcuni che risultano particolarmente deficitari, come Italia,

Spagna, Belgio e Lussemburgo, soprattutto per la presenza

di sistemi di trattamento non idonei, con conseguenti pro-

blemi di inquinamento nelle aree di scarico delle acque

reflue. Si configura uno scenario diverso per gli Stati mem-

bri entrati nell'UE nel 2004 o successivamente, in parte

perché stanno ancora usufruendo delle agevolazioni previ-

ste dal periodo di transizione concordato nei rispettivi trat-

tati di adesione. In alcune regioni la raccolte delle acque

reflue è assente o solo parziale Ad esempio in alcuni Stati

membri quali Bulgaria, Cipro, Estonia, Lettonia e Slovenia,

meno del 30% delle acque reflue prodotte viene sottopo-

sto un adeguato processo di raccolta (Carte 3.12 e 3.13)36.

In media, negli Stati membri più recenti, circa il 40% delle

acque reflue viene sottoposto al trattamento secondario,

con tassi superiori all'80% registrati in Repubblica ceca,

Ungheria, Lituania e Slovacchia. Solo il 14% delle acque

36 COM(2013) 574 def.

La politica ambientale e i territori dell'UE

La politica ambientale dell'UE si avvale di specifici pro-grammi d'azione. Il più recente è il 7° programma d'a-zione Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta1. Esso trae ispirazione da una serie di iniziative ambientali di recente attuazione, tra cui la tabella di marcia sull'effi-cienza delle risorse, la strategia sulla biodiversità fino al 2020 e la tabella di marcia verso un'economia a basso tenore di carbonio, con l'obiettivo di ridurre le disparità ambientali all'interno dell'UE. Per la sua at-tuazione, la politica si avvale di diversi strumenti (ini-ziative, tasse e imposte, direttive, istituzione di oneri, scambio di emissioni, appalti verdi, costruzione di reti), con un impatto significativo sia sulle regioni meno svi-luppate, sia su diverse tipologie territoriali (urbane, ru-rali, marittime, insulari, montuose ecc.) e gruppi sociali (quali ad esempio i disoccupati).

La politica ambientale dell'UE sostiene l'installazione di infrastrutture verdi2 in virtù dei benefici ecologici, economici e sociali che esse apportano con mezzi na-turali. Puo' evitare di ricorrere a infrastrutture costose da costruire e svolge un ruolo fondamentale soprattut-to nelle città,3 dove può produrre benefici per la salute quali aria pulita e risorse idriche di migliore qualità.

La realizzazione di infrastrutture verdi può anche con-tribuire alla promozione di un maggiore senso di comu-nità, alla lotta all'esclusione sociale e all'isolamento, alla creazione di opportunità di connessione tra aree urbane e aree rurali, creando luoghi gradevoli dove vi-vere e lavorare4, oltre a più numerosi posti di lavoro5.

1 http://ec.europa.eu/environment/newprg/.

2 COM(2013) 249 def.

3 COM(2005) 718 def.

4 Relazioni, ricerche e documenti di analisi realizzati con il soste-gno della Commissione: http://ec.europa.eu/environment/nature/ecosystems/studies.htm.

5 Alcuni esempi di nuovi posti di lavoro creati grazie alle infrastrutture verdi sono riportati nella Tabella 2 del Documento di lavoro dei ser-vizi della Commissione (SWD(2013) 155 definitivo).

Le aree di Natura 20006 sono finalizzate a garantire la protezione delle specie minacciate e degli habitat; tuttavia esse offrono ulteriori opportunità per lo svilup-po delle attività turistiche, ricreative, agricole, forestali, ittiche e relative all'acquacoltura; costituiscono metodi per il controllo del rischio inondazioni, l'adattamento al cambiamento climatico e la produzione di altri servizi ecologici, i cui benefici complessivi ammontano a circa 200–300 miliardi di euro all'anno7. Pur non essendo ancora completata, la rete NATURA 2000 è già a buon punto con oltre il 15% del territorio dell'UE candidato a essere considerato area protetta nell'ambito della stessa (Carta 3.11).

Investire nella rete Natura 2000 per le aree maritti-me e terresti può inoltre rappresentare l'occasione per incrementare la cooperazione transfrontaliera e inter-regionale, ad esempio in riferimento alla strategia per la regione del Danubio o per le catene montuose (ad esempio, il progetto sul corridoio Alpi–Carpazi ha no-tevolmente contribuito a limitare la frammentazione del paesaggio in Austria, Repubblica ceca e Slovacchia tramite la costruzione di "ponti verdi" e la creazione di habitat adeguati).

Invece, è meno chiaro l'impatto delle misure legislative e regolamentative (es. le varie direttive e gli standard EIA) sulla coesione sociale ed economica8. Da un lato, il miglioramento dell'ambiente nelle regioni meno favori-te contribuisce a renderle più attraenti per gli investito-ri esterni e per i turisti, contribuendo al rafforzamento dell'identità regionale. Dall'altro lato, le implicazioni eco-nomiche e finanziarie delle varie disposizioni normative possono inibire lo sviluppo sul breve e lungo periodo.

6 Natura 2000 è una rete dell'UE per la protezione delle aree natu-rali, costituita ai sensi della direttiva in materia di uccelli e habi-tat.

7 Secondo quanto stabilito da un recente studio della Commissione intitolato The Economic benefits of the Natura 2000 Network.

8 Robert, J. et al. (2001).

Page 166: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

128

reflue scaricate nelle aree sensibili degli Stati membri più

recenti viene sottoposto al trattamento terziario.

5.3 La gestione dei rifiuti solidi è in via di miglioramento, tuttavia molto resta ancora da fare in diverse regioni dell'UE

I rifiuti solidi, generando emissioni di sostanze inquinanti

che penetrano nell'atmosfera, nel terreno, nelle acque su-

perficiali e sotterranee, costituiscono un problema per la

salute umana e per l'ambiente. Rappresentano anche una

delle maggiori sfide a causa dell'incremento progressivo

della quantità di rifiuti prodotti per persona. Per questo il

riciclo e lo sfruttamento del potenziale energetico dei rifiuti

hanno assunto una grande importanza.

Nel 2010, nell'UE–28 sono state prodotte circa 4,5 ton-

nellate di rifiuti per persona. Buona parte di questi rifiu-

ti proveniva dall'edilizia e dalle demolizioni, dall'attività

estrattiva, dalle cave e dal settore manifatturiero. Anche

la produzione di rifiuti domestici risulta notevole, con un

quantitativo pro capite pari a 436 kg nel 2010. Destano

sempre più preoccupazione i rifiuti marini, fuoriusciti dal

sistema di gestione dei rifiuti generici.

La quantità complessiva di rifiuti nell'UE, tuttavia, è pro-

gressivamente diminuita nel tempo. Tra il 2004 e il 2010,

la quantità di rifiuti prodotti pro capite all'interno dell'UE

è diminuita del 7,1%, con ampie differenze tra i vari Stati

membri. La quantità prodotta è aumentata soprattutto

in Grecia, Danimarca, Finlandia, Portogallo, Paesi Bassi,

Svezia, Lettonia, Belgio, Francia e Lussemburgo, contro

una significativa diminuzione a Malta e in Croazia, Austria,

Romania, Ungheria, Regno Unito, Irlanda, Repubblica ceca

e Spagna.

Sempre più rifiuti vengono destinati al riciclo oppure alla

produzione di energia. Dal 2004 al 2010, la quota di rifiuti

riciclati è salita dal 44% al 52%; inoltre, anche la quo-

ta sottoposta a incenerimento per il recupero energetico

è leggermente salita (da poco più del 3% a quasi il 4%).

L'incremento del processo di riciclo dei rifiuti è stato in-

coraggiato dall'UE e dalle legislazioni nazionali, dall'im-

posizione di tasse e oneri per il deposito in discarica e la

gestione dei rifiuti, oltre che dall'aumento dei prezzi dei

materiali riciclati e dell'energia.

Nel 2010, la quota di rifiuti conferiti in discarica si aggira

ancora attorno al 23% nell'UE–2737 (Figura 3.13). Tuttavia

permangono ampie differenze tra i vari Stati membri. In

Grecia ed Estonia, oltre il 70% dei rifiuti è destinato alla

discarica, contro il 40% a Cipro e in Ungheria, Romania,

Slovacchia e Spagna. In Belgio, Lussemburgo, Danimarca

e Paesi Bassi, la quota di rifiuti conferiti in discarica è in-

feriore al 5%.

5.4 Ecosistemi integri offrono numerosi servizi di vitale importanza

Oltre a fungere da habitat per numerose specie selvati-

che, gli ecosistemi assolvono a tutta una serie di funzio-

ni, offrendo anche vari servizi indispensabili alla vita delle

37 Vista la loro scarsa qualità, i dati sui rifiuti derivanti da attività estrat-tive sono stati omessi dal calcolo.

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EL EE CY HU RO SK ES SI CZ PL FR UK IT FI DE AT SE BE LU DK NL

Figura 3.13 Quota di rifiuti conferiti in discarica in un campione di Stati membri UE nel 2010

in % sul totale dei rifiuti generati (eccetto i principali rifiuti da attività estrattiva)

UE–27

Fonte: Eurostat

Page 167: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

129

Page 168: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

130

persone38. Essi vanno dalla fornitura di acqua potabile e

di aria di buona qualità, all'impollinazione dei raccolti alla

regolazione dei corsi d'acqua. Gli ecosistemi nelle regioni

marine e costiere contribuiscono alla produzione di cibo e

alla formazione di barriere naturali contro il rischio alluvio-

ni. Le foreste e le zone boschive aiutano a regolare i corsi

d'acqua, catturare il carbonio e gli inquinanti atmosferici e

prevenire l'erosione del suolo. Le zone umide sono in grado

di migliorare la qualità dell'acqua e regolare i corsi d'ac-

qua, limitando il rischio di alluvioni. I servizi ecosistemici

sono essenziali per la vita dell'uomo; sempre più le poli-

tiche dell'UE avvertono la necessità di sostenerli, proteg-

gendo il capitale naturale, per la loro importanza nel fare

fronte ai cambiamenti che potenzialmente avverranno nei

prossimi anni.

Un sistema per proteggere il capitale umano consiste nel-

la conservazione della biodiversità tramite l'istituzione di

aree naturali protette, come ad esempio i siti appartenenti

alla rete comunitaria Natura 2000, tipico esempio di infra-

struttura verde39. I servizi forniti dalla biodiversità, tuttavia,

non si fermano ai confini delle aree protette. Molti servizi

vengono prodotti al di fuori delle aree naturali, utilizzando

altre forme di infrastruttura verde. I parchi urbani offrono

ai cittadini uno spazio ricreativo accessibile ed economico.

Le pianure alluvionali, spesso costituite da pascoli o bru-

ghiere, offrono una protezione dal rischio di alluvioni du-

rante i periodi di acqua alta. Le foreste e le zone boschive

aiutano a regolare i corsi d'acqua, catturare il carbonio e

gli inquinanti atmosferici e prevenire l'erosione del suolo.

Un'infrastruttura verde di questo tipo offre alla popola-

zione un'ampia gamma di benefici, e spesso rappresen-

ta un'alternativa economicamente efficace alle soluzioni

concepite dall'uomo. Numerosi esempi dimostrano che il

ripristino delle pianure alluvionali e delle zone umide rap-

presenta una maniera più efficace e meno costosa di ridur-

re il rischio di alluvioni, che non la costruzione di barriere.

L'offerta dei servizi ecosistemici si caratterizza per una for-

te dimensione regionale. È strettamente legata al contesto

locale, variando in base al capitale naturale e all'infrastrut-

tura verde disponibili. Il modello di sviluppo adottato dalle

moderne economie ha ridotto il ricorso alla natura per la

38 Con ecosistema si intende un complesso dinamico di comunità vege-tali, animali e di microrganismi, che interagisce come unità funzionale con il rispettivo ambiente abiotico. Gli esseri umani fanno parte inte-grante degli ecosistemi.

39 Con infrastruttura verde si intende un insieme di terreni naturali, ter-reni coltivati e altri spazi aperti, in grado di sostenere la capacità degli ecosistemi di fornire beni e servizi.

produzione di tali servizi. Se alcuni servizi, come la produ-

zione di cibo e legname, sono stati mantenuti, tanti altri

servizi ecosistemici sono stati compromessi dall'industria-

lizzazione. L'agricoltura intensiva, ad esempio, è in parte

responsabile della scomparsa delle api e di altre specie

fondamentali per l'impollinazione dei campi coltivati e per

il mantenimento dei livelli di produttività40. L'inquinamento

dell'aria, ad esempio da NH3 derivante dall'uso nei fertiliz-

zanti e negli effluenti da allevamento in agricoltura, può

causare acidificazione ed eutrofizzazione. Di conseguenza,

i servizi ecosistemici sono prodotti soprattutto nelle regioni

a forte presenza di aree rurali, montuose, umide, forestali

o costiere.

Nella Carta 3.14 è illustrata la capacità potenziale di pro-

durre servizi ecosistemici nelle regioni NUTS 2, mediante

un indice complessivo sui servizi ecosistemi denominato

TESI (total ecosystem services index), composto da 13 in-

dicatori specifici, ciascuno in grado di misurare la capaci-

tà di fornire un determinato servizio (produzione di cibo,

bestiame, acqua e legname; regolazione a livello di aria,

clima, qualità del suolo, acqua e qualità dell'acqua; impol-

linazione, erosione, tutela delle aree costiere e fornitura

di servizi ricreativi). Quattro indicatori fanno riferimento a

servizi di fornitura, vale a dire i beni o i prodotti ricavati

dagli ecosistemi. Otto indicatori riguardano i servizi di re-

golazione, ovvero i benefici ottenuti grazie al controllo dei

processi naturali all'interno degli ecosistemi. Un indicatore

riguarda i servizi culturali: le attività ricreative in quanto

beneficio immateriale ottenuto dagli ecosistemi41.

In genere le regioni con un indice TESI basso, ovvero in cui

buona parte del terreno è destinata alle attività agricole o

allo sviluppo urbanistico, dispongono di una minor quanti-

tà di terreno non utilizzato che possa trarre beneficio dei

servizi forniti da ecosistemi quali foreste o zone umide. Al

contrario, le regioni con un indice TESI più alto dispongono

di una gamma di servizi ecosistemici più ampia ed equili-

brata. Lo scarto tra indice TESI medio ed elevato dipende

dalla maggiore o minore produttività degli ecosistemi. Ad

esempio, le zone umide e le foreste sono spesso più pro-

duttive in termini di servizi rispetto alle zone erbose o agli

arbusteti.

40 Zulian, G. et al. (2013).

41 Per i dettagli sulla metodologia si rinvia a Maes, J. et al. (2011), e Maes, J. et al. (2012). Si noti che l'indice TESI non è stato adottato nell'ambito della Mappatura dei servizi ecosistemici (MAES).

Page 169: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

131

Come indicato preceden-

temente, le infrastrutture

verdi comprendono tut-

ti gli ecosistemi naturali,

semi–naturali e artificiali.

Sussiste una forte cor-

relazione positiva all'in-

terno dell'UE tra aree

regionali dotate di infra-

strutture verdi e capacità di

fornire servizi ecosistemici

(Carta 3.14). Gli investi-

menti nelle infrastrutture

verdi dovrebbero pertanto

determinare un potenzia-

mento di detti servizi.

Dalla Carta 3.15 si evince

che anche le regioni che

utilizzano il terreno pre-

valentemente per la coltivazione possono disporre di nu-

merosi servizi ecosistemici. Ad esempio, un recente studio

condotto nel Regno Unito suggerisce che la riconversione

di zone relativamente poco estese di terreno agricolo in

terreno libero destinato ad attività ricreative, genera molti

più benefici sociali in rapporto alla perdita, comunque limi-

tata, di raccolto che ne deriverebbe42.

Al fine di individuare le azioni più appropriate per incre-

mentare i benefici derivanti dagli ecosistemi, occorre tene-

re conto anche degli aspetti inerenti il lato della domanda.

La domanda di servizi ecosistemici tende ad aumentare di

pari passo con l'incremento della densità demografica o

con la creazione di nuovi insediamenti umani. Le azioni ne-

cessarie per il potenziamento dei servizi ecosistemici, per-

tanto, variano in base ai luoghi e alle specificità dei territori

di riferimento. Il più delle volte, questo implica la necessità

di focalizzare la questione su aree molto più piccole che

non le regioni NUTS 2, come si evince dagli esempi che

seguono relativi al miglioramento della qualità dell'aria.

In diverse città dell'UE la qualità dell'aria è ancora molto scadente

Come già sottolineato, l'inquinamento atmosferico costitu-

isce uno dei principali problemi delle città in tutto il territo-

rio dell'UE. La rimozione degli inquinanti e del pulviscolo

dall'atmosfera è un servizio ecosistemico svolto soprattut-

42 Bateman, I.J. et al. (2013).

to dalle foreste e dagli altri terreni boschivi43. Le regioni

della Svezia settentrionale e della Finlandia abbondano di

aree con queste caratteristiche, perfettamente in grado di

svolgere funzioni di questo tipo. Tuttavia, data la bassa

densità demografica di questi territori, la domanda di ser-

vizi resta limitata rispetto alle aree urbane. Pertanto è in

queste ultime aree che occorre concentrare l'azione politi-

ca finalizzata a potenziare la capacità di regolazione della

qualità dell'aria da parte degli ecosistemi44. L'obiettivo può

essere raggiunto investendo nelle infrastrutture verdi qua-

li parchi urbani e spazi verdi, in cui gli alberi possano con-

tribuire a diminuire le temperature, favorire la ventilazione

(con relativa dispersione degli inquinanti atmosferici) e

pulire l'atmosfera da agenti inquinanti come l'NO2. Se la

semplice azione di piantare alberi, se eseguita non corret-

tamente, può creare ulteriori zone di concentrazione di (al-

tri) inquinanti atmosferici (es. il PM), essa è comunque ne-

cessaria nell'ambito di una strategia integrata per il

miglioramento dell'aria delle città dell'UE.

I modelli informatici contenenti i dati sulla qualità dell'a-

ria e le informazioni sulle aree verdi urbane sono utili

43 La differenza tra foreste e altre zone boschive consiste nel grado di co-pertura della volta. Benché non esista una definizione generale adottata a livello di UE per queste categorie di terreno, la definizione di "foresta" fornita dalla FAO presuppone una copertura minima del 30%, mentre le altre zone boschive una copertura compresa tra il 10 e il 30%.

44 Naturalmente le foreste restano una risorsa naturale fondamentale anche nelle zone meno densamente popolate, per tutta una serie di funzioni quali la regolazione del clima, l'assorbimento dell'anidride carbonica, la regolazione del ciclo idrogeologico e la creazione di ha-bitat per gli uccelli migratori.

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Figura 3.14 Infrastrutture verdi e disponibilità di servizi ecosistemici, regioni UE NUTS 2

Infrastrutture verdi (in % sulla superficie complessiva di terreno)

Fonte: Maes, J. et al. (2012)

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cosi

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Page 171: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

133

per definire la quantità di sostanze inquinanti rimuovibili

dall'atmosfera utilizzando questo sistema. I benefici deri-

vanti dalla rimozione degli inquinanti atmosferici si calco-

lano effettuando una stima dell'abbassamento del costo

dell'inquinamento a carico della società, non contemplato

nel prezzo di mercato dei beni e dei servizi responsabili

dell'inquinamento, quali l'elettricità e i trasporti.

Le città dell'UE differiscono notevolmente tra loro per

quanto riguarda la capacità di regolazione della qualità

dell'aria. Al riguardo è emblematico l'esempio del biossido

di azoto (NO2), uno dei maggiori inquinanti atmosferici rila-

sciato a seguito della combustione dei carburanti fossili. La

Carta 3.16 mostra come la rimozione dell'NO2 nelle grandi

aree urbane dell'UE sia possibile anche grazie al contributo

delle aree verdi.

La capacità di rimozione dell'NO2 per abitante varia note-

volmente da una grande zona urbana all'altra, principal-

mente in funzione del rapporto tra area boschiva e popola-

zione. Le grandi aree urbane della Scandinavia, dell'Europa

centro–orientale (con l'eccezione di Bulgaria e Romania),

della Germania dimostrano una capacità relativamente

elevata di rimozione di NO2 per abitante. La capacità di ri-

mozione è notevolmente inferiore nell'Europa meridionale

(tranne il Portogallo), ma anche nell'Italia settentrionale e

Regno Unito.

In molte città dell'UE, soprattutto nelle più grandi, le con-

centrazioni di NO2 restano elevate (Carta 3.17). Ad esempio,

Milano e Madrid hanno concentrazioni elevate e una bassa

capacità di rimozione. Città come Berlino e Stoccolma han-

no un'elevata capacità di rimozione, il che spiega in parte

i livelli di concentrazione più bassi rispetto a quelli di altre

grandi città. D'altra parte in queste città sono stati fatti

degli investimenti finalizzati al potenziamento della capa-

cità di rimozione, ottenendo una ulteriore riduzione delle

concentrazioni, come ad esempio nelle infrastrutture verdi

quali boschi cittadini, parchi o coperture a verde45.

Le pianure alluvionali possono regolare i flussi d'acqua, migliorandone la qualità e l'efficienza

Con pianure alluvionali si intendono tutti quei territori di-

slocati lungo le rive dei mari, dei laghi e dei fiumi, soggetti

45 Con copertura a verde si indica un tetto che sia stato parzialmente o totalmente ricoperto di vegetazione. Assolve a varie funzioni quali l'assorbimento di acqua piovana, l'isolamento, la creazione di habitat per la fauna selvatica, contribuendo inoltre a ridurre le temperature dell'aria urbana, mitigando l'effetto "isola di calore".

ad alluvioni ricorrenti. Se gestite correttamente, le pianure

alluvionali possono fornire importanti servizi ecosistemici.

In primo luogo, esse proteggono dalle alluvioni le zone a

valle, svolgendo un ruolo cruciale nell'attenuazione del ri-

schio di catastrofi. Le pianure alluvionali e le zone umide

svolgono anche ulteriori funzioni, in particolare la purifi-

cazione dell'acqua grazie alla loro efficacia nel trattene-

re, trasformare e rimuovere gli inquinanti, i sedimenti e i

nutrienti in eccesso, evitando l'inquinamento delle zone a

valle e, ancora più importante, contribuendo alla disponibi-

lità di acqua pulita. Oltre a funzionare come bacini naturali

di raccolta e trattamento delle acque, le pianure alluvionali

costituiscono un habitat per molte specie vegetali e ani-

mali, contribuendo a preservare la biodiversità.

La purificazione dell'acqua è un altro servizio ecosistemi-

co poco conosciuto svolto dalle pianure alluvionali. Esse

sono particolarmente efficienti nel contrastare l'eccessivo

carico di azoto derivante dai fertilizzanti artificiali e dalla

combustione dei carburanti fossili, in grado di pregiudicare

la qualità dell'acqua in molti territori, oltre che causa di

inquinamento idrico. L'azoto in eccesso entra nei fiumi, nei

torrenti, nei laghi e più a valle negli estuari e nelle zone

costiere, causando il fenomeno dell'eutrofizzazione, che a

sua volta si traduce con un’eccessiva formazione di alghe

e, in casi particolari, con la proliferazione cianobatterica

sotto forma di fioritura di alghe nocive.

La rimozione dell'azoto inizia nel momento in cui la pianu-

ra alluvionale viene inondata per effetto dell'acqua alta. In

questo modo, utilizzando le pianure alluvionali come riser-

ve temporanee nei momenti di picco del flusso, è possibile

aumentare notevolmente la capacità dei fiumi di tratte-

nere, trasformare e rimuovere questa sostanza dall'ac-

qua. Ad esempio, i modelli di simulazione mostrano come

il ripristino delle connessioni tra le pianure alluvionali e i

fiumi, ove possibile, dovrebbe ridurre il carico complessivo

di azoto riversato dai bacini fluviali nei mari europei me-

diamente del 7%46. Come si evince dalla Carta 3.18, diversi

bacini fluviali europei, come quello del Reno o della Mosa,

svolgono tale servizio a favore di aree e città densamente

popolate (la mappa mostra l'azoto complessivo scaricato

dai principali fiumi europei, simulando il potenziale di ri-

tenzione dell'azoto in uno scenario che prevede l'utilizzo

strategico delle pianure alluvionali).

46 Maes, J. et al. (2012).

Page 172: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

134

Page 173: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 3: Crescita sostenibile

135

Page 174: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

136

6. Conclusioni

La politica di coesione svolge un ruolo fondamentale nel

supportare le regioni dell'UE ad adattarsi a modalità di svi-

luppo più sostenibili e ad affrontare le numerose sfide am-

bientali che si prospettano per il futuro. L'analisi esposta

nel presente capitolo ha evidenziato le ampie differenze di

rendimento tra le varie regioni UE rispetto alle tematiche

ambientali.

Gli effetti del cambiamento climatico saranno molto diver-

si da regione a regione, in funzione non solo della disloca-

zione ma anche delle principali attività economiche svolte,

delle caratteristiche degli insediamenti umani (es. urbano

o rurale) e delle caratteristiche della popolazione (giovane

o anziana) della regione considerata. Per questo motivo

vanno adottate misure adeguate alle specificità del conte-

sto locale, al fine di riuscire a limitare l'impatto devastante

del cambiamento climatico in tutte le regioni, specialmen-

te quelle più vulnerabili.

Le regioni dell'UE possono inoltre svolgere un ruolo fonda-

mentale nel circoscrivere l'entità del cambiamento clima-

tico, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi definiti

dal pacchetto dell'UE "Clima ed energia". In particolare, la

politica di coesione può sostenere le amministrazioni locali,

regionali e nazionali nel processo di riduzione delle emis-

sioni di GES nei settori non coperti dal sistema di scambio,

quali i trasporti e l'edilizia. Può anche promuovere il poten-

ziamento della produzione energetica da fonti rinnovabili

e contribuire all'incremento dell'efficienza energetica, so-

prattutto negli edifici e nei trasporti pubblici.

Molte delle misure riguardanti i trasporti, l'efficienza energe-

tica e le rinnovabili sono congruenti con i piani per la qualità

dell’aria ai sensi della direttiva 2008/50/CE, finalizzata alla

riduzione della concentrazione di particolato, NO2 e ozono,

per promuovere una salute migliore per i cittadini riducendo

gli effetti nocivi per le coltivazioni, gli edifici e gli ecosistemi.

Nonostante un miglioramento della situazione registrato

nel corso del tempo, devono essere compiuti ulteriori sforzi

per potenziare la gestione delle acque reflue in molte re-

gioni dell'UE, nell'UE–12 come nell'UE–15. Lo stesso dicasi

per la gestione dei rifiuti. Sono stati compiuti notevoli passi

avanti per quanto riguarda il riciclo dei rifiuti, il recupero

energetico e la riduzione nell'uso delle discariche; tuttavia

in alcune regioni occorrono ulteriori investimenti per mi-

gliorare la capacità di trattamenti dei rifiuti utilizzando la

modalità meno nociva per l'ambiente.

Inoltre, la politica di coesione può aiutare le regioni dell'UE

a migliorare la qualità dell'ambiente. Questo non soltanto

per migliorare il benessere generale, ma anche per otte-

nere specifici benefici derivanti dalla presenza di ecosi-

stemi integri; in genere essi incidono positivamente sulla

salute grazie allo svolgimento di funzioni di vitale impor-

tanza, mettendo a disposizione acqua potabile pulita, aria

respirabile, sequestro di carbonio o regolazione dei corsi

d'acqua. La politica di coesione può contribuire al miglio-

ramento della qualità dell'aria nei centri urbani ove questa

sia una necessità, nonché al ripristino della capacità degli

ecosistemi di offrire servizi, in caso di eventuale deteriora-

mento degli stessi. In quest'ottica, il sostegno agli investi-

menti nelle infrastrutture verdi acquista di importanza per-

ché esse spesso rappresentano una soluzione efficace ed

economica sotto il profilo dei costi, contribuendo allo stes-

so tempo al raggiungimento degli obiettivi fissati dall'UE

inerenti il controllo della perdita di biodiversità.

Page 175: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

137

Capitolo 4: Gli investimenti pubblici, la crescita e la crisi

1. Introduzione

La crisi economico–finanziaria scoppiata nel 2008 ha inciso pesantemente sulle finanze pubbliche in tutta Europa. La contrazione delle attività economiche ha ridotto la base imponibile e di conseguenza le entrate pubbliche, in una fase contrassegnata dall'incremento della spesa pubblica per effetto delle misure anticon-giunturali messe in atto dagli Stati membri, dell'aumen-to della disoccupazione e degli aiuti al sistema bancario.

A seguito di ciò, il deficit e la spesa pubblica sono aumen-tati nella maggioranza degli Stati membri, innescando una fase di compensazione nell'ambito della politica di bilancio in direzione del consolidamento fiscale, avviato all'inizio del 2010. Questo si è tradotto con un taglio alla spesa pubblica in vari paesi europei. La spesa pubblica a favore della crescita, in settori quali l'istruzione, R&S, le TIC e i trasporti, è stata colpita particolarmente rispetto ad altre voci di spesa.

Questo comporta una serie di implicazioni per la politica di coesione, visto che questa sostiene gli investimenti delle amministrazioni locali, regionali e nazionali per la promozione della crescita. Occorre che le misure finan-ziate dalla politica di coesione siano complementari a quelle adottate dagli Stati membri. La loro efficacia è a rischio se le risorse stanziate dagli Stati membri per questo tipo di spesa non sono sufficienti.

In secondo luogo, in uno scenario in cui gli Stati mem-bri diminuiscono la spesa per la crescita, il ruolo della politica di coesione diventa cruciale per finanziare gli investimenti pubblici, indispensabili per mantenere il potenziale di crescita e creare così le condizioni per la riuscita e la sostenibilità del consolidamento fiscale e la diminuzione del debito pubblico in futuro. La politica di bilancio e gli sviluppi della finanza pubblica ai vari livelli amministrativi degli Stati membri sono dunque gli ele-menti costitutivi del contesto operativo della politica di coesione che ne determinano la capacità di raggiungere i risultati attesi.

2. La quota di spesa pubblica a favore della crescita è diminuita

2.1 La crisi ha provocato un'impennata del disavanzo pubblico nazionale

Le finanze pubbliche nell'UE sono notevolmente peg-giorate dopo l'avvento della crisi economica e finanzia-ria a settembre 2008 (Figura 4.1). Dal 2000 al 2008, il bilancio pubblico dell'UE–27 si aggirava mediamente sull'1,9% del PIL, con un surplus dello 0,6% del PIL nel 2000 e un disavanzo massimo del 3,2% nel 2003. A partire dal 2008, il disavanzo medio ha iniziato a salire, raggiungendo il 6,9% del PIL nel 2009. Nel 2010 il disa-vanzo pubblico si è stabilizzato al 6,5% del PIL, per poi iniziare una progressiva discesa, raggiungendo il 4,4% del PIL nel 2011, il 3,9% nel 2012 e il 3,3% nel 2013, soprattutto per effetto delle misure di consolidamento fiscale adottate dal 2010 in avanti.

La maggioranza degli Stati membri mostra grosso modo la stessa tendenza, nonostante l'esistenza di consistenti variazioni in termini di ampiezza dei cam-biamenti. Il deterioramento delle finanze pubbliche risulta molto più accentuato in alcuni Stati membri rispetto ad altri (Figura 4.2). In Spagna e Irlanda, un surplus del 2–3% del PIL nel 2006 si è trasformato nel 2009 in un disavanzo pari a circa l'11% in Spagna e il 14% in Irlanda. Il disavanzo è aumentato consi-derevolmente anche in Grecia, passato dal 5,7% del PIL nel 2006 al 15,6% nel 2009, nonché in Lettonia, passando dallo 0,5% del PIL al 9,8% nello stesso pe-riodo. Lussemburgo e Svezia hanno registrato poche variazioni in termini di saldo, mentre in Ungheria, già afflitta da problemi di bilancio ancora prima della cri-si, il disavanzo è diminuito per effetto delle misure di consolidamento fiscale, passando dal 9,4% del PIL nel 2006 al 4,6% nel 2009.

Nel 2013, il disavanzo più alto si è registrato in Slovenia (14,7% del PIL) e Grecia (12,7%), seguite da Spagna (7,1%) e Irlanda (7%), mentre Lussemburgo era in sur-plus (0,1%) e Germania in pareggio (0%). Danimarca,

Page 176: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

138

Lettonia ed Estonia hanno registrato un disavanzo inferiore all'1%. L'aumento vertiginoso del disavan-zo pubblico nel 2009 è imputabile in larga misura al brusco declino delle entrate nazionali che ha seguito la contrazione delle attività economiche, a sua volta deri-vante dalla crisi finanziaria e dalla recessione mondiale (Figura 4.3). Nel 2009, le entrate nazionali nell'UE–27 in termini reali sono diminuite in media del 5,3%. Sono poi aumentate nei successivi tre anni (dell'1,9% nel 2010, del 2,9% nel 2011 e dell'1,4% nel 2012), soprattutto grazie a un leggero miglioramento economico (con re-lativo incremento della base imponibile), ma anche a seguito dell'aumento delle aliquote fiscali e all'adozione di misure di rafforzamento della riscossione fiscale in alcuni Stati membri.

La spesa pubblica nell'UE è aumentata regolarmente in termini reali negli anni precedenti la crisi, con un incre-mento medio del 2,4% annuo tra il 2000 e il 2008. È poi salita del 3,6% nel 2009 e dell'1,2% nel 2010, per poi diminuire dell'1,5% nel 2011 e stabilizzarsi com-plessivamente nel 2012 e 2013, pur con una leggera tendenza al ribasso. La crescita del 2009 rispecchia l'effetto combinato degli stabilizzatori automatici che hanno determinato un incremento dei trasferimenti so-ciali derivanti dall'aumento della disoccupazione e dalle decisioni politiche in merito agli aiuti alle banche in dif-ficoltà, oltre ai pacchetti di stimolo fiscale adottati alla fine del 2008. Le fluttuazioni successive sono il frutto dei piani per il consolidamento fiscale messi in atto a partire dal 2010.

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2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Figura 4.1 Saldo delle amministrazioni pubbliche, media UE–27, 2000–2013

% del PIL

media 2000-2008

media 2009–2013

HR: dati dal 2002Fonte: Eurostat

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0

5

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SI EL ES IE UK CY PT HR FR PL SK MT IT BE FI NL

HU RO LT CZ AT BG SE DK LV EE DE LU

2006 2009 2013

Figura 4.2 Saldo delle amministrazioni pubbliche, 2006, 2009 e 2013

% del PIL

Fonte: Eurostat

UE–

28

Page 177: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 4: Gli investimenti pubblici, la crescita e la crisi

139

La maggioranza degli Stati membri mostra a grandi li-nee lo stesso modello di cambiamento, eccettuate si-gnificative differenze tra i vari paesi per quanto riguar-da l'entità delle fluttuazioni (come evidenziato nella Figura 4.4). Dopo una crescita moderata in molti paesi durata fino all'insorgere della crisi, tra il 2009 e il 2013 la spesa pubblica è diminuita in termini reali in 15 sta-ti. Un declino particolarmente accentuato si è registrato in Grecia, Lituania, Romania e Irlanda (con una dimi-nuzione media della spesa pubblica rispettivamente del 3,8%, 3,0%, 2,7% e 2,6% annuo ta il 2009 e il 2013). In altri Stati membri, la spesa pubblica è diminuita a un ritmo più lento, mantenendosi inferiore al 2%, segno della politica di consolidamento fiscale adottata a livello di UE. La spesa pubblica ha seguito un andamento al

rialzo dal 2009 in 13 Stati membri, gli Stati che hanno meno risentito dell'impatto della crisi.

2.2 Gli investimenti pubblici sostengono la crescita economica

È un fatto ormai assodato nella letteratura economi-ca che la spesa pubblica possa incidere sulle attività economiche nel breve periodo e sulla crescita nel lungo periodo; è anche vero, però, che non esiste una correla-zione esatta tra le due poiché essa dipende da numerosi fattori. In ogni caso vi è un consenso unanime sul fatto che una regolamentazione efficiente, una pubblica am-ministrazione efficace e ben funzionante, e una spesa

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EL LT RO IE CY PT LV HR ES IT BG CZ UK NL

HU DE EE DK SK AT LU FR PL BE FI SE MT SI

Figura 4.4 Variazione media annua nella spesa pubblica nazionale in termini reali, 2000–2009, 2009–2013

Variazione media annua (in %) media 2000–2009 media 2009–2013

UE–

28HR: media 2002-2009

Fonte: Eurostat

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-5,0

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3 500

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4 500

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5 500

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2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Entrate (asse di sinistra)

Spesa (asse di sinistra)

Disavanzo (asse di destra)

Miliardi di euro % del PIL

Fonte: Eurostat

Figura 4.3 Spesa pubblica nazionale, entrate e saldo delle amministrazioni pubbliche, media UE–27, 2000–2013

Page 178: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

140

pubblica opportunamente mirata sono requisiti essen-ziali per il buon funzionamento delle moderne econo-mie, tramite la disponibilità di infrastrutture e servizi pubblici basilari, l'applicazione della legge e il rispetto dei diritti di proprietà.

Tali servizi comprendono l'istruzione e il supporto al settore R&S, entrambi necessari per una crescita sul lungo periodo. Tuttavia, senza un intervento pubblico si prevede un calo delle risorse a favore di questi due settori, poiché il processo decisionale dei singoli rela-tivo alla spesa tende a non tenere conto dei benefici più ampi per la società e per l'economia che tale spesa può apportare.

Stando alle ultime ricerche, la spesa pubblica può agire da stimolo importante per l'economia nei periodi di re-cessione, durante i quali i privati sono restii a investire e il loro impatto sull'economia tende a essere per forza di cose più forte. Esse suggeriscono anche che in questi periodi la spesa pubblica può produrre significativi effet-ti transfrontalieri, favorendo la diffusione della crescita attraverso gli scambi commerciali all'interno dell'econo-mia UE, nello stesso modo in cui gli effetti depressivi del consolidamento di bilancio possono diffondersi da uno Stato membro all'altro (si veda il Riquadro contenente una sintesi della letteratura economica sui vari effetti della spesa pubblica).

2.3 La spesa pubblica, dopo un periodo di crescita, sta ora attraversando una fase declinante

Come già sottolineato, alcune delle voci che compongono la spesa pubblica sono ritenute favorevoli alla crescita, ovvero potenzialmente in grado di stimolare l'aumento futuro del tasso di crescita. È il caso di voci quali istruzio-ne, salute, tutela ambientale, trasporti, R&S ed energia1.

Il deterioramento delle finanze pubbliche e le misure di consolidamento fiscale messe in atto a partire dalla fine del 2010 sono sfociate in alcuni importanti cambiamen-ti inerenti la composizione della spesa pubblica in diver-si Stati membri. In particolare, la spesa a favore della crescita ha subito tagli sproporzionati nell'ambito delle misure di consolidamento fiscale2.

La spesa favorevole alla crescita, in percentuale sul tota-le, è complessivamente diminuita nell'UE–27 tra il 2008 e il 2012, scendendo dal 36,7% al 35,6% (Figura 4.5). Il calo è stato particolarmente rilevante in Portogallo (–8,1 punti percentuali), Slovacchia (–7,9), Irlanda (–7,4) e Grecia (–7,2). La percentuale è salita in soli 7 Stati

1 Commissione europea (2012), The Quality of Public Expenditures in the EU, in cui è tracciata un'analisi della spesa sulla base dei dati Eurostat relativi alla "Classificazione delle funzioni delle ammini-strazioni pubbliche" (COFOG).

2 Ai fini della presente analisi, la spesa a favore della crescita com-prende le seguenti categorie COFOG: Affari economici (costituiti pre-valentemente da trasporti ed energia), tutela ambientale, salute e istruzione. Si noti che la categoria R&S in tali settori è stata inserita.

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CZ LT HR NL EE MT LV ES BE IE BG AT SK SI UK LU PL SE RO HU FI DK DE FR PT IT CY EL

UE–

27

2008 2012

Figura 4.5 Spesa pubblica nazionale nelle categorie a favore della crescita, 2008 e 2012

% della spesa pubblica nazionale totale

HR: nessun dato per il 2008

Fonte: Eurostat

Page 179: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 4: Gli investimenti pubblici, la crescita e la crisi

141

La letteratura economica riguardante gli effetti della spesa pubblica sulla crescita

Quasi tutti concordano sul ruolo essenziale svolto dal settore pubblico in merito agli investimenti nelle infra-strutture e sull'impatto positivo di questi investimen-ti sulla crescita economica (si veda ad es. Gramlich (1994)). Vi è anche ampio consenso sulla necessità dell'intervento pubblico per correggere la tendenza del privato a ridurre gli investimenti a favore dell'istruzio-ne e del settore R&S, a causa della mancata percezione dei benefici sociali oltre agli interessi privati. Se da un lato esiste una vasta letteratura sui nessi tra istruzione e crescita, dall'altro lato questi nessi, tendendo a ma-nifestarsi sul lungo periodo, sono di difficile rilevazione statistica. Nondimeno, i dati a disposizione dimostrano l'impatto positivo che la spesa per l'istruzione produce sulla crescita (si veda Blankenau et al. (2007)).

Se gli effetti positivi del settore R&S sulla crescita del-la produttività sono fuori discussione (si veda Griliches (1994)), è invece più difficile valutare le ricadute dei con-tributi pubblici a favore del settore R&S. Questo deriva innanzi tutto dalla necessità di tenere conto di un possi-bile "effetto inerziale" legato al fatto che gli investimenti in R&S potrebbero aver avuto luogo anche senza alcun supporto pubblico (si veda, ad esempio, Bronzini e Lachi-ni, 2011, secondo cui i contributi pubblici non alterano il comportamento delle grandi aziende). Secondo, anche riscontrando eventuali ricadute positive, è difficile stabi-lire se tale incremento va a compensare la scarsità degli investimenti (come ipotizzato dalla letteratura), oppure ulteriori carenze del mercato, come ad esempio la diffi-coltà delle PMI di accedere ai finanziamenti per il settore R&S. La questione rimane aperta ed è tuttora oggetto di ricerche approfondite.

Per l'analisi dell'impatto della spesa pubblica sulle attività economiche nel breve periodo, occorre tenere conto del "moltiplicatore fiscale", teorizzato per la pri-ma volta da Richard Kahn (allievo di J.M. Keynes) nel 1931 e definito come la variazione della produzione a seguito di un dato cambiamento nella spesa pubblica, nel gettito fiscale o in entrambi gli aspetti. La recente recessione globale ha suscitato un rinnovato interesse nella stima dell'entità di questo moltiplicatore.

Le stime del moltiplicatore variano nel tempo e con l'evolversi delle economie, in funzione del tipo di mo-dello applicato e dei presupposti di base. A grandi linee, l'entità del moltiplicatore sembra essere influenzata da fattori quali la presenza di frizioni nel mercato finan-ziario, la credibilità dell'azione politica considerata e la sua natura permanente o temporanea, la sua composi-zione, la presenza o assenza di rigidità nel mercato, l'entità degli stabilizzatori automatici, il tipo di politica

monetaria in vigore, il grado di apertura dell'economia e il regime di cambio (Relazione della Commissione eu-ropea sulle finanze pubbliche nell'UEM 2012).

Le numerose stime del moltiplicatore variano ampia-mente tra loro in termini di entità dello stesso. Alcune stime lo fissano a meno di uno (si veda ad es. Barro (1981), Perotti (2005) e Barro e Redlick (2011)), altri a più di uno (Blanchard e Perotti (2002), Beetsma e Giuliodori (2011) e Ramey (2011)), altri ancora a 1,6% (Beetsma, Giuliodori e Klaassen (2008)). Alcuni analisti contemplano persino moltiplicatori negativi (si veda ad es. Giavazzi, Jappelli e Pagano (2000), Giudice, Turrini e in’t Veld (2007) oppure Di Comite et al. (2012)).

Dal punto di vista teorico, ancora di recente la maggio-ranza dei modelli non era in grado di produrre moltiplica-tori nettamente superiori a uno (si veda ad es. Aiyagari, Christiano e Eichenbaum (1992), Baxter e King (1993), Ramey e Shapiro (1998) e Cogan et al. (2010)), a causa delle caratteristiche neoclassiche incorporate. In parti-colare, una politica fiscale espansionista è compensata dalla considerazione secondo cui i consumatori, temen-do una maggior pressione fiscale per l'incremento del debito pubblico, limiteranno eventuali aumenti nelle loro spese. Analogamente, si ritiene che l'aumento del debito pubblico per finanziare la spesa pubblica determini un aumento dei tassi di interesse, in tal modo riducendo (o escludendo) gli investimenti privati. Ne consegue dun-que una riduzione del moltiplicatore.

I modelli più recenti, invece, suggeriscono che il molti-plicatore nei periodi di recessione economica potrebbe essere più alto che non nei periodi di crescita (pari a 2,5 contro 0,6, secondo Auerbach e Gorodnichenko, (2013)). Questa asimmetria emerge da alcune specifi-cità delle recessioni incorporate nei nuovi modelli — in particolare, il mancato accesso al credito da parte del-le famiglie (Krugman e Eggertsson (2012)), la rigidità verso il basso dei salari nominali e la frizione nei mer-cati finanziari (o i costi di transazione) — le quali ten-dono a far salire il moltiplicatore nei periodi di contra-zione rispetto ai periodi di sviluppo.

Inoltre, alcuni autori hanno sottolineato in modo par-ticolare la difficoltà di ridurre i tassi di interesse sotto lo zero, in tal modo invalidando la politica monetaria. Le recenti stime dei nuovi modelli keynesiani che com-prendono questo fattore individuano in questi periodi un moltiplicatore compreso tra 3 e 5, in quanto i fi-nanziamenti privati e i consumi non sono annullati dal-la spesa pubblica (Christiano et al. (2011), Egertsson (2009), Woodford (2011)). Pertanto, un aumento nella spesa pubblica può avere importanti ripercussioni sulle

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

142

membri, generalmente quelli meno colpiti dalla crisi e meno soggetti alle misure di consolidamento fiscale.

2.4 Gli investimenti pubblici sono prima aumentati e poi diminuiti

La crisi ha avuto un notevole impatto sul calo degli inve-stimenti provenienti dal settore privato (Figura 4.6). Gli investimenti pubblici (qui intesi come investimenti fissi lordi del governo centrale), rimasti abbastanza stabili per un decennio, sono aumentati significativamente tra il 2007 e il 2009, svolgendo almeno in parte una fun-zione anti–congiunturale di compensazione rispetto al declino negli investimenti privati. Dal 2010, tuttavia, si è registrato un crollo degli investimenti pubblici paralle-lamente agli investimenti privati, in continuo calo per ef-fetto delle sconfortanti prospettive di crescita. Secondo

le ultime previsioni della Commissione per il 2013 e 2014, gli investimenti nell'UE–27 raggiungeranno il mi-nimo storico in termini di spesa pubblica (nel 2014) in relazione al settore privato nel 2013.

3. Le amministrazioni pubbliche locali e regionali svolgono un ruolo chiave sotto il profilo degli investimenti e della spesa pubblica

3.1 Le amministrazioni pubbliche locali e regionali sono responsabili di buona parte della spesa pubblica

Negli ultimi decenni, la quota di spesa subnazionale sul totale della spesa nazionale è aumentata in molti paesi dell'UE, parallelamente alla crescita del ruolo delle am-ministrazioni locali e regionali nell'attuazione delle po-litiche pubbliche. Tuttavia esistono ampie differenze tra un paese e l'altro per quanto riguarda questa percen-tuale, derivanti soprattutto dalle differenze a livello di assetto istituzionale e grado di decentralizzazione. Le amministrazioni subnazionali tendenzialmente rivesto-no un ruolo molto importante negli Stati federali, come Austria, Belgio e Germania, o in paesi come Spagna e Svezia, caratterizzati da elevata decentralizzazione. Vale la pena notare, però, come la responsabilità nella gestione della spesa non sia necessariamente sinonimo di assunzione di poteri decisionali3.

Le amministrazioni locali e regionali sono responsabili del 66% circa della spesa pubblica totale in Danimarca, sfiorando il 50% in Svezia e Spagna. In Grecia, Cipro e Malta, sono responsabili di meno del 6% (Figura 4.7). Nell'insieme dell'UE–27, la quota di amministrazioni subnazionali è salita di 2 punti percentuali tra il 1995 e il 2013, registrando un aumento molto maggiore in Spagna, Romania, Danimarca e Svezia, e una significati-va diminuzione in Irlanda e Paesi Bassi.

Nel 2013 la media della spesa pubblica subnazionale in rapporto al PIL è pari al 16% nell'UE–28, oscillando da una quota inferiore all'1% a Malta a quasi il 38% in Danimarca (Figura 4.8).

3 Commissione europea (2012), Report on Public Finances in EMU 2012; Governatori, M. e Yim, D. (2012).

attività economiche laddove la politica monetaria risulta poco incisiva.

Secondo alcuni studi della Commissione europea (In 't Veld (2013)), inoltre, la portata delle ricadu-te transfrontaliere della politica di consolidamento fiscale, generate tramite gli scambi commerciali, è tale da rafforzare l'impatto negativo sul prodotto.

L'impatto più forte del previsto della spesa pubbli-ca sulla produzione durante le fasi di recessione è confermato anche da recenti studi empirici (ad es., Corsetti et al. (2012), Auerbach e Gorodnichenko (2012a), Baum et al. (2012)). Essi concludono so-stenendo che le recenti ricerche sul tema potrebbero aver sottovalutato le ricadute della politica fiscale sul prodotto nelle fasi di recessione, sopravvalutan-dole invece nelle fasi di crescita (Auerbach e Gorod-nichenko, 2012b And Blanchard e Leigh (2013)).

Si potrebbe quindi dedurre che non soltanto la cre-scita, durante una fase di recessione, sarebbe più ef-ficacemente stimolata da una politica fiscale espan-sionista, ma anche che il consolidamento fiscale in questi periodi comporta una maggior pressione al ribasso dell'attività economica. Allo stesso tempo, è necessario valutare le ricadute del consolidamento sulla crescita in relazione all'importanza del risana-mento dei conti pubblici. Stando all'esperienza, gli Stati membri che abbiano accumulato un enorme debito pubblico sono suscettibili di repentine inver-sioni di tendenza nel mercato, che potrebbero tra-sformarsi in vere e proprie crisi finanziarie in assenza di importanti misure correttive.

Page 181: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 4: Gli investimenti pubblici, la crescita e la crisi

143

Tipologie di spesa a livello subnazionale

La spesa delle amministrazioni subnazionali si concen-tra in alcune aree specifiche, soprattutto istruzione e servizi sociali e abitativi, ma anche sanità, trasporti e comunicazione4 (Tabella 4.1). Vi sono tuttavia profonde differenze tra i vari Stati membri, derivanti dal grado di decentramento, dalle caratteristiche del sistema fede-rale e dalle specifiche competenze assegnate alle am-ministrazioni subnazionali.

4 I trasporti e le comunicazioni rientrano nella categoria "Affari eco-nomici", alla quale appartiene anche il supporto alle imprese, se-condo la classificazione COFOG delle voci di spesa.

In alcuni paesi, in primis la Danimarca, buona parte della spesa subnazionale è destinata ai servizi sociali, mentre in altri paesi questo non avviene, ad esempio in Italia, dove a questa voce va solo il 5%, mentre una parte consistente è destinata alla sanità.

La spesa complessiva delle amministrazioni subnazio-nali supera la spesa pubblica del governo centrale su diversi servizi pubblici, quali istruzione, attività culturali, fornitura di acqua, illuminazione pubblica e altre infra-strutture locali, tutela ambientale (Tabella 4.2). In alcuni Stati membri la spesa pubblica in queste aree è quasi completamente effettuata dalle amministrazioni subna-zionali, anche se in molti casi viene finanziata a livello nazionale tramite i trasferimenti statali, spesso destina-

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Figura 4.6 Investimenti fissi lordi pubblici e privati, media UE–27, 1995W2014

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Figura 4.7 Spesa pubblica subnazionale, 1995 e 2013

% della spesa pubblica nazionale

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28HR: nessun dato per il 1995

Fonte: Eurostat

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

144

ti specificamente a questi servizi5. Questo riguarda, ad esempio, i servizi abitativi in Belgio, Estonia, Lettonia e Lituania, e la tutela ambientale in Spagna, Grecia e Cipro. La spesa subnazionale è particolarmente elevata in Spagna e Germania per quanto riguarda l'istruzione, in Danimarca, Spagna, Svezia, Italia e Finlandia per la sanità, e in Spagna, Germania, Belgio e Italia per gli af-fari economici. Con l'eccezione della Danimarca, tutta-via, negli Stati membri la spesa per la protezione socia-le rimane per lo più centralizzata.

Le amministrazioni subnazionali sono responsabili di buona parte della spesa favorevole alla crescita, così come sopra definita (istruzione, sanità, tutela ambien-tale, trasporti, R&S, energia). Nel complesso, nel 2011 esse si sono occupate del 46% di tale spesa nell'UE–27, pari al 38% della spesa complessiva.

La responsabilità subnazionale per tale spesa, però, varia notevolmente da un paese all'altro (Figura 4.9). In media, nel 2012 la spesa pubblica subnazionale nell'UE–27 è pari all'8% circa del PIL, con una punta del 14% del PIL in Svezia e Danimarca e appena lo 0,3% a Cipro e Malta. In otto Stati membri, le amministrazioni subnazionali sono responsabili di oltre il 50% della spe-sa nazionale a favore della crescita, con in testa Svezia, Italia, Spagna, Danimarca e Finlandia.

5 Ad esempio, la sanità in Danimarca o Svezia. Si noti che i trasferi-menti destinati a un specifico servizio non costituiscono la regola generale, ma coesistono spesso con i trasferimenti generici.

3.2 Le amministrazioni locali e regionali gestiscono la maggioranza degli investimenti pubblici

Le amministrazioni subnazionali contribuiscono in ma-niera significativa agli investimenti pubblici6. Nel 2013, circa il 55% degli investimenti pubblici complessivi dell'UE–28 sono stati effettuati dalle autorità subnazio-nali (Figura 4.10). Una quota particolarmente elevata si registra in Germania, Belgio, Finlandia e Francia (supe-riore al 65%). Solo in pochi Stati membri — Grecia, Cipro e Malta in particolare — le amministrazioni subnaziona-li gestiscono una minima parte degli investimenti pub-blici. Sono paesi in cui le amministrazioni locali hanno la responsabilità di una quota molto ridotta della spesa pubblica complessiva.

Nondimeno, il livello di partecipazione delle ammini-strazioni pubbliche negli investimenti pubblici è diminu-ito dal 2000 in 14 Stati membri, in modo particolare in Irlanda, dove è passato dal 60% al 21% nel 2013. Come illustrato nella prossima sezione, si tratta in buo-na parte di una conseguenza delle misure di consolida-mento fiscale attuate in risposta alla crisi economica e finanziaria.

6 Intesi come la somma degli investimenti fissi lordi e dei trasferi-menti in conto capitale da parte del settore pubblico.

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Figura 4.8 Spesa pubblica subnazionale, 2013

% del PIL

UE–28

Fonte: Eurostat

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Capitolo 4: Gli investim

enti pubblici, la crescita e la crisi

145

Tabella 4.1 Spesa pubblica subnazionale per funzione, 2013

Totale Protezione sociale

Istruzione Servizi pubblici generici

Salute Affari economici (compresi i trasporti)

Servizi abitativi e altre infrastrutture di comunità

Tempo libero, cultura

e religione

Ordine pubblico e sicurezza

Tutela ambientale

% della spesa pubblica subnazionale totaleBelgio 100 20 32 17 1 15 2 6 4 3Bulgaria 100 8 32 10 9 12 14 5 1 9Repubblica ceca 100 6 32 13 3 22 4 8 2 10Danimarca 100 55 10 4 22 4 1 2 0 1Germania 100 25 22 23 2 12 2 4 7 2

Estonia 100 8 35 8 18 13 7 8 0 3Irlanda 100 19 23 6 0 20 13 5 3 11Grecia 100 19 2 35 0 17 4 7 1 16Spagna 100 7 18 28 24 10 2 4 4 3Francia 100 18 15 16 1 13 15 10 3 8Croazia n.a. n.a. n.a. n.a. n.a. n.a. n.a. n.a. n.a. n.a.Italia 100 5 7 14 48 13 4 2 2 5Cipro 100 0 0 43 0 0 27 16 0 14Lettonia 100 11 37 9 9 12 11 7 2 2Lituania 100 14 34 7 18 9 3 4 4 8Lussemburgo 100 7 15 24 0 15 9 13 2 15Ungheria 100 13 29 21 8 12 6 6 0 5Malta 100 0 0 59 0 10 0 4 4 23Paesi Bassi 100 15 29 8 2 17 3 9 7 10Austria 100 20 19 15 22 13 3 4 1 2Polonia 100 13 29 11 14 16 5 7 2 3Portogallo 100 7 12 32 6 17 8 10 1 7Romania 100 15 20 10 13 18 10 7 1 6Slovenia 100 11 37 10 11 11 5 9 1 5Slovacchia 100 8 40 14 0 15 8 6 1 8Finlandia 100 25 17 14 30 7 1 4 1 0Svezia 100 27 21 12 27 6 3 3 1 1Regno Unito 100 30 27 9 0 7 11 3 9 4UE–27 100 20 20 17 13 11 5 5 5 4La spesa locale e statale non è consolidata. Fonte: Eurostat.

Page 184: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

146

Tabella 4.2 Spesa pubblica subnazionale per funzione, 2013Totale Protezione

socialeIstruzione Servizi

pubblici generici

Salute Affari economici (compresi i trasporti)

Servizi abitativi e altre infrastrutture di comunità

Tempo libero, cultura

e religione

Ordine pubblico

e sicurezza

Tutela ambientale

% della spesa pubblica nazionale totale

Belgio 30 22 83 15 3 47 100 94 46 87

Bulgaria 14 4 62 4 10 15 91 42 4 84

Repubblica ceca 22 4 48 25 3 40 59 30 11 69

Danimarca 44 54 46 7 98 42 60 49 9 56

Germania 38 21 95 55 7 59 82 93 90 76

Estonia 22 6 53 15 23 27 97 44 1 33

Irlanda 11 5 19 5 0 25 67 33 10 62

Grecia 5 3 1 4 0 17 57 37 1 90

Spagna 40 9 96 36 94 30 97 82 45 95

Francia 19 8 28 24 1 39 88 77 20 87

Croazia n.a. n.a. n.a. n.a. n.a. n.a. n.a. n.a. n.a. n.a.

Italia 24 3 24 17 78 45 64 49 12 86

Cipro 4 0 0 7 0 0 16 28 0 91

Lettonia 25 9 52 19 21 21 92 50 9 17

Lituania 22 11 58 7 20 27 97 44 19 80

Lussemburgo 10 1 15 18 0 19 43 37 10 63

Ungheria 16 7 45 17 8 16 58 30 2 56

Malta 2 0 0 7 0 1 0 4 2 13

Paesi Bassi 25 12 49 13 3 43 84 80 37 91

Austria 28 13 48 36 37 37 74 69 14 71

Polonia 25 8 48 21 28 42 77 78 15 78

Portogallo 11 2 12 11 6 36 86 63 3 87

Romania 21 10 64 13 26 16 78 70 5 64

Slovenia 16 5 41 16 10 27 60 44 7 63

Slovacchia 15 3 48 14 0 23 69 38 3 55

Finlandia 33 19 50 37 61 32 53 65 18 29

Svezia 42 27 74 28 84 35 89 70 15 57

Regno Unito 23 20 42 17 0 26 39 44 40 57

UE–27 28 14 53 26 27 40 63 69 37 78La spesa locale e statale non è consolidata. Fonte: Eurostat.

Page 185: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 4: Gli investimenti pubblici, la crescita e la crisi

147

3.3 La crisi ha interrotto un periodo di crescita sostenuta della spesa pubblica delle amministrazioni locali e regionali

Dal 2000 al 2009, la media della spesa pubblica a li-vello subnazionale nell'UE era leggermente inferiore al 16% del PIL. In termini reali, essa è aumentata a un tasso medio annuo del 2,8%. Nel 2009 è salita del 3,4%, in parte a seguito del pacchetto di stimolo fisca-le, ma anche per l'incremento nella domanda di servizi sociali. Le misure di consolidamento fiscale messe in atto dal 2010 in poi hanno posto fine alla crescita: la spesa è rimasta invariata nel 2010, per poi diminuire dello 0,5% nel 2011, dello 0,8% nel 2012 e del 2,2% nel 2013.

Un analogo andamento è osservabile in numerosi Stati membri. Con l'eccezione di Malta e Germania, la cresci-ta nella spesa pubblica a livello subnazionale ha subito un forte ridimensionamento in tutti i paesi (Figura 4.11), in alcuni casi anche molto drastico (come Ungheria e Irlanda, dove è scesa rispettivamente dell'11% e del 9% annuo tra il 2010 e il 2013).

È soprattutto la capacità delle amministrazioni sub-nazionali di contribuire agli investimenti pubblici ad essere stata particolarmente colpita dai pacchetti di consolidamento dei conti messi in atto all'interno dell'UE. Gli investimenti pubblici a livello subnazio-nale nell'UE–27 sono aumentati regolarmente dalla seconda metà del XX secolo in avanti, per stabiliz-

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Figura 4.9 Spesa a favore della crescita, 2012

% del PIL Amministrazione centrale e previdenza sociale Amministrazioni subnazionali

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Figura 4.10 Investimenti pubblici subnazionali, 2000 e 2013

% dell'investimento pubblico totale

Fonte: Eurostat

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

148

zarsi attorno al 2,3% del PIL tra il 2002 e il 2007 (Figura 4.12). Sono poi ulteriormente aumentati al 2,5% nel 2009, anche grazie all'applicazione delle misure di stimolo. Dal 2010, anno in cui sono state in-trodotte le prime misure di consolidamento fiscale, al 2013, gli investimenti pubblici sono crollati all'1,8% del PIL, raggiungendo un valore molto più basso di quello osservato nel 1997. In termini reali, gli investi-menti pubblici subnazionali nell'UE sono diminuiti del 7,2% nel 2010, del 5,9% nel 2011, del 3,3% nel 2012 e dell'8,6% nel 2013.

Tra il 2009 e il 2013, gli investimenti pubblici subnazionali sono dimi-nuiti in termini reali in 20 Stati membri. In quasi tutti gli altri, hanno con-tinuato a crescere ma a un passo più lento. Gli investimenti sono mag-giori rispetto a prima dell'avvento della crisi solo in Belgio, Finlandia, Estonia, Svezia e Malta (Figura 4.13). La Spagna registra l'inversione di tendenza più eclatante, con un aumento degli investimenti pubbli-ci pari a oltre il 4% an-nuo in termini reali tra il 2000 e il 2009, seguito

da un crollo di oltre il 22% annuo tra il 2009 e il 2013. Diminuzioni significative si registrano anche in Irlanda (18% annuo), Cipro, (16%), Slovacchia (13%) e Portogallo (12%).

I dati mostrano quindi che nel 2013 gli investimen-ti pubblici hanno toccato il minimo storico in rapporto al PIL dal 1997 in sette paesi dell'UE–27, in particola-re in Spagna (con un crollo dal 4,3% del PIL nel 2009 all'1,5% nel 2013) e Irlanda (con un crollo dal 3,5% del PIL nel 2008 allo 0,9% nel 2013) (Figura 4.14).

1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011 2013

Figura 4.12 Investimenti pubblici subnazionali, media UE–27, 1997–2013

% del PIL2,6

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HU IE CY EL PT ES CZ IT UK NL LT LV RO HR SI LU SK PL AT BG DK FR DE EE BE FI SE MT

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2000-2009 2009-2013Variazione media annua (in %)

HR: 2002-2009

Fonte: Eurostat

Figura 4.11 Variazione media annua nella spesa pubblica subnazionale in termini reali, 2000–2009 e 2009–2013

Page 187: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 4: Gli investimenti pubblici, la crescita e la crisi

149

3.4 Investire in tempi di crisi: finanziamenti diretti e investimenti locali e regionali

Come già sottolineato, gli investimenti subnazionali han-no risentito pesantemente della crisi e delle misure di ri-sanamento dei conti messe in atto in risposta alla crisi. Secondo uno studio dell'OCSE (realizzato col contributo della Commissione europea), i paesi OCSE maggiormente colpiti dalle difficoltà economiche nel periodo 2007–2011 hanno assistito a una netta contrazione sotto il profilo degli investimenti subnazionali. Un nuovo indicatore ri-guardante la capacità di finanziamento diretto, costruito per misurare la disponibilità di risorse dei governi subna-zionali destinate al finanziamento degli investimenti evi-

tando la creazione di nuovo debito, mostra che questa capacità è decisamente diminuita nel periodo in oggetto. Come illustrato nella Figura 4.15, la capacità è stretta-mente correlata alla spesa per investimenti, da cui si evince che i governi subnazionali, se in grado di generare la capacità di bilancio di effettuare spese per investimen-ti, tendono effettivamente a investire.

L'analisi del recente andamento delle finanze subnazio-nali mostra una significativa contrazione nelle finanze subnazionali a seguito della crisi. La spesa sui servizi sociali e i trasferimenti alle aziende, tuttavia, sono stati mantenuti, o in certi casi addirittura incrementati, ridu-cendo così il margine di bilancio destinato agli investi-menti pubblici.

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Figura 4.13 Variazione media annua negli investimenti pubblici subnazionali, volume, 2000–2009 e 2009–2013

Variazione media annua (in %)

HR: 2002–2009Fonte: Eurostat

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Figura 4.14 Investimenti pubblici subnazionali, 1997, 2013 e minimi storici

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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In aggiunta, le amministrazioni subnazionali hanno do-vuto affrontare un peggioramento delle condizioni di accesso al credito. Le capacità di investimento in molti paesi dell'OCSE sono ulteriormente diminuite con l'in-troduzione di nuove regole per l'accesso al credito o con l'irrigidimento di quelle già esistenti, adottate nell'ambi-to delle misure di consolidamento fiscale.

L'OCSE ha messo in luce la probabilità di un'ulteriore di-minuzione di questa capacità nel medio–lungo periodo. Dato questo scenario, l'assetto istituzionale svolge un ruolo fondamentale per quanto riguarda sia le entrate (vale a dire il reddito derivante dalla riscossione tribu-taria) e le uscite (ovvero le competenze in materia di spesa). Nella maggioranza dei paesi dell'OCSE, si preve-de un aggravio della pressione sui governi subnazionali responsabili della spesa per la sanità e i servizi sociali, per effetto delle tendenze demografiche.

I governi centrali sono ben consapevoli delle sfide che molto probabilmente attenderanno in futuro le ammini-strazioni subnazionali, introducendo misure di controllo delle entrate e dei livelli di debito in alcuni paesi. Alcuni governi, poi, stanno cercando di realizzare economie di scala nella gestione dei servizi pubblici, tramite la fu-sione di più autorità locali in un unico soggetto oppure attraverso una più stretta collaborazioni tra i vari enti. Tuttavia, nei paesi in cui le competenze di spesa nelle aree di maggior criticità sono delegate soprattutto alle amministrazioni subnazionali, occorrerà intensificare gli sforzi per mantenere la capacità di erogare servizi di eccellenza nel medio–lungo periodo.

3.5 Le entrate delle amministrazioni subnazionali dipendono in primo luogo dai trasferimenti

Le entrate delle amministrazioni pubbliche subnazionali nell'UE hanno notevolmente risentito della crisi. Se tra il 2000 e il 2009 esse sono aumentate a un ritmo relati-vamente costante con un tasso medio annuo del 2,5% in termini reali, tra il 2009 e il 2013 sono diminuite dello 0,1% annuo.

In questi quattro anni, le entrate delle amministrazioni pubbliche subnazionali sono diminuite in 12 Stati membri (Figura 4.16). Un declino particolarmente accentuato si è registrato in Irlanda, Cipro, Ungheria e Spagna. Negli altri paesi, le entrate sono comunque aumentate ma a un ritmo molto più lento rispetto a prima dello scoppio della crisi. Le uniche eccezioni sono costituite da Austria, Germania, Svezia e Malta, dove la crescita delle entrate dopo il 2009 ha superato quella verificatasi anteriormente.

I motivi alla base delle variazioni nelle entrate delle amministrazioni subnazionali variano da paese a paese e dipendono dalle fonti di entrata. Le principali fonti di entrata n tutta l'UE sono costituite dai trasferimenti in conto corrente e in conto capitale da parte dell'ammi-nistrazione centrale (Figura 4.17). Questo è il caso so-prattutto di Malta, Romania, Bulgaria e Paesi Bassi. In Germania, Austria, Spagna e Svezia, invece, le fonti di entrata sono costituite dalle imposte locali, per effetto del maggior grado di autonomia delle amministrazioni subnazionali negli uni rispetto agli altri. I trasferimenti

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Figura 4.15 Capacità di finanziamento diretto subnazionale e investimenti pubblici nei paesi dell'OCSE, 2007 e 2011

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Capitolo 4: Gli investimenti pubblici, la crescita e la crisi

151

consentono inoltre all'amministrazione centrale di eser-citare un controllo sulla spesa locale.

In alcuni casi, ad esempio il Regno Unito, il calo delle entrate dopo il 2008 deriva innanzi tutto da una con-trazione nel gettito fiscale locale7. In molti Stati membri, invece, è imputabile al taglio dei trasferimenti da parte del governo centrale (Figura 4.18). Tuttavia, i trasferi-menti si muovono nelle due direzioni, poiché i proventi derivanti dal gettito fiscale locale o da eventuali ven-dite (es. di abitazioni) effettuate dalle amministrazio-ni locali possono essere trasferiti all'amministrazione

7 In molti casi, le entrate provenienti dal gettito fiscale sono per lo più controllate dal governo centrale, il quale fissa i limiti sulle ali-quote fiscali applicabili.

centrale. In alcuni Stati membri, tali trasferimenti hanno una certa portata e vanno tenuti presente nella valuta-zione delle variazioni nel reddito delle amministrazioni subnazionali. Nella maggioranza degli Stati membri più duramente colpiti dalla recessione mondiale, i trasferi-menti netti alle autorità locali da parte dell'amministra-zione centrale sono nettamente diminuiti tra il 2009 e il 2013. È il caso della Spagna, in cui i trasferimenti netti alle autorità regionali sono diminuiti del 62% in termini reali, sia a seguito del calo notevole nei trasferimenti dall'amministrazione centrale (del 45%), sia per effetto dell'aumento consistente dei trasferimenti dalle regioni al governo centrale (passando da appena 1,4 miliardi di euro a 10,1 miliardi di euro, prezzi del 2005). Una tendenza simile è stata registrata dalle amministra-

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IE CY HU ES NL IT LT UK EL CZ PT SI LV LU HR FR RO EE DK PL AT FI DE BE SK SE BG MT

2000–2009 2009–2013

Figura 4.16 Variazione media annua nelle entrate pubbliche subnazionali in termini reali, 2000–2009 e 2009–2013

Variazione media annua (in %)

UE–

27

HR: 2002–2009Fonte: Eurostat

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MT

RO BG NL

UK LT EL HU DK HR PL CY IE LU PT EE IT SI SK CZ FR LV FI SE

Figura 4.17 Fonti di entrate pubbliche subnazionali, 2013

% delle entrate complessive

Altro (vendite, oneri sociali)

Imposte subnazionali

Trasferimenti in conto corrente e in conto capitale

BE–R

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ni

BE–L

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ES–L

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AT–L

ocal

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UE–

27

In linea con la banca dati Eurostat sui bilanci pubblici, sui bilanci dei governi subnazionali in Germania, Austria, Spagna e Belgio sono disaggregati tra livello "statale" (autorità federali/regionali) e livello "locale" (autorità locali)Fonte: Eurostat

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

152

zioni locali spagnole, pur con un livello di diminuzione inferiore. Significative riduzioni si registrano anche in Irlanda, Repubblica ceca, Lettonia e Italia. Viceversa in 14 paesi, in particolare Germania (per i Länder e le am-ministrazioni locali) Lituania, Svezia e Lussemburgo, i governi centrali hanno potenziato il supporto alle am-ministrazioni locali e regionali. Non è un caso che nella maggioranza dei paesi contrassegnati da un incremento nei trasferimenti netti a favore delle autorità subnazio-nali, la recessione abbia avuto una durata limitata e le misure di consolidamento fiscale siano apparse meno necessarie.

3.6 Disavanzo e debito pubblico delle amministrazioni subnazionali

Così come in tutti i segmenti del settore pubblico dell'UE, anche la situazione finanziaria delle pubbliche ammini-strazioni subnazionali si è fortemente aggravata dopo lo scoppio della crisi economica e finanziaria8. Se nel 2007 il disavanzo sfiorava appena lo 0,1% del PIL, nel 2009 e 2010 le finanze pubbliche a livello subnazionale hanno raggiunto un disavanzo di entità pari allo 0,8% del PIL. Questo peggioramento è dovuto soprattutto al crollo delle entrate nel 2008 e 2009 (Figura 4.19), de-rivanti principalmente dai tagli ai trasferimenti prove-nienti dall'amministrazione centrale. Le misure di con-

8 Si noti che, visti i trasferimenti tra i vari livelli della pubblica ammi-nistrazione, l'entità del disavanzo pubblico delle amministrazioni subnazionali non dovrebbe essere interpretato come un loro con-tributo al disavanzo dell'amministrazione centrale.

solidamento fiscale hanno poi cominciato a produrre i primi effetti, e il disavanzo si è progressivamente ridotto allo 0,1% del PIL nel 2013, tornando ai livelli del 2007.

Il deterioramento delle finanze pubbliche subnazionali è più accentuato in alcuni Stati membri, in particolare in Belgio, Spagna, Finlandia e Germania, dove il disavanzo è aumentato di oltre 0,5 punti percentuali tra il 2007 e il 2013 (Figura 4.20). In pochi altri stati, invece, lo stato delle finanze pubbliche a livello subnazionale è miglio-rato, come in Ungheria, Bulgaria, Portogallo e Grecia.

Nel 2013 Spagna e Finlandia registrano il disavanzo più alto (1% del PIL) a livello subnazionale, mentre all'al-tro estremo si collocano i paesi con un surplus come Ungheria (2,6%), poi Grecia, Repubblica ceca e Bulgaria (0,4% del PIL).

L'incremento nei deficit pubblici durante la crisi, a livello nazionale e locale, è sfociato in un'impennata nei livelli di debito pubblico accumulato, aumentato complessiva-mente di 30 punti percentuali sul PIL (passando dal 58% del PIL a oltre l'87%) nel periodo 2007–2013. L'incremento si è verificato soprattutto durante la recessione del perio-do 2008–2010, successivamente è proseguito ma a un passo più contenuto per effetto delle misure di risana-mento dei conti messe in atto da allora nella maggioran-za degli Stati membri. L'incremento più marcato ha ri-guardato i Paesi più gravemente colpiti dalla contrazione economica, molti dei quali sottoposti a programmi di adeguamento macroeconomico — di quasi 100 punti percentuali sul PIL tra il 2007 e il 2013 in Irlanda, di oltre

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IE CY IT CZ LV RO SI PT NL

UK EL HU EE BG DK LT SK PL HR FR FI MT

LU SE

Figura 4.18 Variazione nei trasferimenti netti tra amministrazioni locali, statali e centrali in termini reali, 2009–2013

% di variazione

ES–C

om. A

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ES–L

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In linea con la banca dati Eurostat sui bilanci pubblici, sui bilanci dei governi subnazionali in Germania, Austria, Spagna e Belgio sono disaggregati tra livello "statale" (autorità federali/regionali) e livello "locale" (autorità locali)Fonte: Eurostat, DG REGIO

Page 191: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 4: Gli investimenti pubblici, la crescita e la crisi

153

60 punti percentuali in Portogallo e Grecia, e di oltre 50 punti percentuali in Spagna e a Cipro.

Benché le amministrazioni locali e regionali abbiano la responsabilità di circa il 30% della spesa pubblica sta-tale e di circa il 60% degli investimenti statali, si os-serva come l'aumento del debito pubblico, al pari del disavanzo, derivi in buona parte dalle attività del go-verno centrale. L'indebitamento complessivo delle am-ministrazioni locali e regionali senza importanti poteri legislativi nell'UE è inferiore al 10% del PIL in tutti gli Stati membri. Se da un lato il debito a livello subnazio-nale è aumentato notevolmente in alcuni paesi, quali Polonia, Slovenia, Bulgaria e Lettonia, dall'altro il valore di partenza in relazione al PIL era molto basso, limitan-

do dunque l'aumento in termini assoluti. In alcuni paesi (ad esempio l'Ungheria, come poc'anzi sottolineato), le amministrazioni locali sono persino riuscite a diminuire il proprio indebitamento durante la crisi.

Il deterioramento delle finanze pubbliche ha tuttavia colpito molto pesantemente alcuni governi regionali. In particolare, il debito delle regioni spagnole nel 2013 è superiore al 20% del PIL (Figura 4.21), e nel 2013 è quasi il quadruplo del debito precedente allo scoppio della crisi. Ciò desta preoccupazione, considerato il ruo-lo critico rivestito dalle regioni spagnole nella gestio-ne della spesa a favore della crescita e nell'erogazione dei servizi sanitari e scolastici. In Belgio, il debito di tre regioni è quasi raddoppiato durante la crisi, pur man-

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Entrate (asse di sinistra)Spesa (asse di sinistra)Disavanzo (asse di destra)

Miliardi di euro, prezzi 2005

% del PIL dell'UE

Fonte: Eurostat

Figura 4.19 Spesa pubblica ed entrate subnazionali e disavanzo pubblico subnazionale, media UE–27, 2000–2013

ES FI EE LV FR LT NL BE PL SI SE AT DK DE IE IT MT

UK HR CY RO LU PT SK BG CZ EL HU

2007 2013

Figura 4.20 Bilancio finanziario pubblico subnazionale, 2007 e 2013

% del PIL3,0

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28

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Fonte: Eurostat

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

154

tenendosi relativamente basso. Dall'altro lato, il debito dei governi regionali degli altri due stati membri a orga-nizzazione federale, Germania e Austria, entrambi meno colpiti dalla crisi, è diminuito dal 2010.

Nonostante tutto, in Germania il debito pubblico subna-zionale ammonta a circa il 30% del PIL, incidendo per oltre un terzo sul debito pubblico complessivo, unico paese oltre alla Spagna con un debito a questo livello superiore al 20% del totale. In entrambi i casi, il debito subnazionale è prevalentemente a carico delle regio-ni (Landër in Germania e Comunidades Autónomas in Spagna), a fronte del debito relativamente basso delle amministrazioni locali. Quest'ultimo caso è quanto si è verificato anche in altri Stati membri, soprattutto quelli più centralizzati.

4. Il contributo della politica di coesione agli investimenti pubblici negli Stati membri

Come già evidenziato, gli investimenti pubblici sono di-minuiti significativamente a partire dal 2009. A fronte di ciò, è ulteriormente aumentata l'importanza della politica di coesione per il finanziamento dei program-mi di investimento pubblico. Per diversi Stati membri, in particolare quelli colpiti da un calo delle entrate e un incremento della spesa sociale, la politica di coesione è divenuta la principale fonte di finanziamento per gli investimenti pubblici.

Per il periodo 2007–2013, lo stanziamento composto dai Fondi strutturali, dal Fondo di coesione e dai relati-vi cofinanziamenti nazionali ammontava in media allo 0,55% annuo del PIL dell'UE–27. Nonostante l'importo relativamente limitato rispetto agli indicatori delle con-tabilità nazionali, il FESR, l'FSE e il Fondo di coesione producono delle ripercussioni macroeconomiche di ri-lievo, soprattutto se confrontate con gli investimenti pubblici (Figura 4.22). Dal 2010 al 2013, questi fondi rappresentavano una quota pari al 14% circa della spe-sa negli investimenti pubblici di capitale dell'UE, e fino al 21,5% del totale degli investimenti pubblici fissi9.

Il rapporto finanziamenti/investimenti pubblici comples-sivi varia notevolmente da uno Stato membro all'altro, rispecchiando per lo più le differenze tra regioni a livello di intensità degli aiuti e l'entità degli investimenti pub-blici in ogni Stato membro. I rapporti più alti si riscon-trano negli Stati membri beneficiari del Fondo di coe-sione e del FESR nell'ambito dell'obiettivo Convergenza (Figura 4.23). In Slovacchia, Ungheria, Bulgaria e Lituania, l'ammontare dei finanziamenti rappresenta oltre il 75% degli investimenti pubblici. I paesi con i rap-porti più bassi sono Lussemburgo, Danimarca e Paesi Bassi, tutti senza regioni di convergenza.

9 Per investimenti di capitale complessivi si intende la somma de-gli investimenti pubblici fissi (investimenti fissi lordi dell'ammini-strazione centrale) e dei trasferimenti statali in conto capitale. Si noti che le percentuali riportate vanno considerate in proporzione, poiché la spesa cofinanziata dall'FS non è del tutto rappresentata dai due indicatori sugli investimenti pubblici proposti in questa se-zione. I trasferimenti di capitale comprendono anche gli aiuti agli istituti bancari.

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EL IT PT IE CY BE ES FR UK

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Figura 4.21 Debito pubblico lordo consolidato, 2013

% del PIL Governo centrale Governi subnazionali180

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Fonte: Eurostat

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Capitolo 4: Gli investimenti pubblici, la crescita e la crisi

155

Il ruolo della politica di coesione nel supportare la ca-pacità degli Stati membri di investire a favore della cre-scita implica l'esistenza di un filo diretto tra questa e le tematiche politiche macroeconomiche. La politica di coesione, pertanto, incide sui bilanci degli Stati membri, non solo per l'apporto di risorse integrative destinate al finanziamento della spesa pubblica, ma anche in consi-derazione dell'obbligo di cofinanziamento dei program-mi europei da parte degli Stati membri, nel rispetto del principio di addizionalità10. L'attuale crisi economico–fi-nanziaria ha messo in luce la necessità di rendere più stringente la coerenza tra la politica di coesione da un lato, e il nuovo sistema di governance economica dell'UE dall'altro. Questo ha condotto all'adozione di una serie di riforme (descritte al Capitolo 6 della presente relazio-ne), atte a intensificare i collegamenti tra i due aspetti.

5. Investimenti, aiuti di Stato e prestiti della BEI

5.1 Politica sulla concorrenza

La politica sulla concorrenza è finalizzata a garantire pari opportunità di concorrenza per le imprese, a prescindere dalla loro ubicazione e dallo Stato membro di apparte-nenza. Tuttavia, poiché in certi casi l'intervento statale è necessario, il trattato prevede una serie di situazioni in cui gli aiuti di Stato sono da ritenersi compatibili con le

10 Secondo il principio di addizionalità, gli Stati membri si impegnano a non sostituire i finanziamenti nazionali con i fondi UE, mantenen-do un determinato livello di spesa per gli investimenti pubblici.

regole della concorrenza nel mercato interno. Sono quindi specificate varie esenzioni al divieto generale di assegna-re aiuti statali. Pertanto, gli aiuti di Stato possono essere impiegati, ad esempio, per fornire capitale di rischio e fi-nanziamenti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020, promuovendo l'adozione di tecnologie più innovative ed ecologiche.

Nel 2011, gli aiuti di Stato ammontavano a 64,3 mi-liardi di euro, pari a 128 euro pro capite. Nel triennio 2009–2011, corrispondevano mediamente allo 0,6% del PIL annuo dell'UE, con un incremento rispetto allo 0,4% del periodo 2006–2008 per effetto delle misure adottate per combattere la crisi.

L’entità degli aiuti di Stato differisce a seconda degli Stati membri, passando dal 2,2% del PIL pro capite a Malta ad appena lo 0,1% del PIL pro capite in Bulgaria nel periodo 2009–2011.

Aiuti regionali

Gli orientamenti della Commissione in materia di aiuti di Stato a finalità regionale per il periodo 2007–2013 stabiliscono i principi per determinare se gli aiuti per lo sviluppo economico delle aree svantaggiate, e in parti-colare per il sostegno agli investimenti nella creazione di nuove imprese che esso presuppone, sono compatibili o meno con le regole del mercato interno. Alla luce di ciò, l'intensità massima consentita degli aiuti di Stato è maggiore nelle regioni con un PIL pro capite più basso e nelle regioni ultraperiferiche. Per il periodo 2014–2020,

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2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Figura 4.22 Contributo della politica di coesione (PC) agli investimenti pubblici, UE–28, 2007–2013

Miliardi di euro, prezzi 2005

Nel 2007 i pagamenti della PC rappresentano il 2,1 % degli investimenti UE (11,5 % considerando anche i pagamenti 2000–2006)

Investimenti pubblici UE–28 (investimenti fissi lordi)

Investimenti pubblici UE–28 senza i pagamenti della PC 2007–2013 (FESR, FSE, FC)

Fonte: Eurostat, DG REGIO

Nel 2013 i pagamenti della PC rappresentano il 18,1 % degli investimenti dell'UE

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

156

la Commissione ha adottato nuovi orientamenti sugli aiuti di Stato a finalità regionale, nell'ambito di una strategia complessiva di modernizzazione dei metodi di controllo degli aiuti di Stato. Essi sono finalizzati alla promozione della crescita nel mercato unico, sia adot-tando misure di aiuto più efficaci, sia richiamando l'at-tenzione degli organi di controllo della Commissione sui casi di più forte impatto sulla concorrenza.

I nuovi orientamenti 2014–2020 prevedono di:

• aumentare la quota complessiva di regioni am-missibili agli aiuti a finalità regionale, innalzando-la dall'attuale 46,1% al 47,2% della popolazione dell'UE, soprattutto in risposta alla crisi;

• diminuire le misure di aiuto soggette all'esame del-la Commissione grazie all'inserimento di nuove ca-tegorie esonerate dall'obbligo di notifica preventiva, consentendo agli Stati membri di spendere piccole somme a titolo di aiuti di Stato con un carico ammi-nistrativo ridotto;

• sottoporre le misure di aiuto di grande entità a una valutazione approfondita sulla loro efficacia incen-tivante, proporzionale alla capacità di influire sullo sviluppo regionale e agli effetti sulla concorrenza;

• adottare un approccio più restrittivo in merito agli aiuti agli investimenti delle grandi imprese nelle aree assistite maggiormente sviluppate;

• nelle regioni ultraperiferiche e nelle aree scarsamen-te popolate, mantenere e semplificare la facoltà degli Stati membri di concedere aiuti operativi alle imprese;

• mantenere inalterata le intensità massime di aiuto per le regioni meno sviluppate. Per le altre regioni, le intensità sono scese di appena 5 punti percentua-li, vista la diminuzione a livello di disparità economi-che regionali, oltre che per evitare eventuali gare di sovvenzioni tra Stati membri in periodi di restrizioni di bilancio;

• rafforzare le disposizioni antidelocalizzazione, non consentendo la concessione di aiuti regionali per at-tività identiche o analoghe da delocalizzare nell'am-bito dello spazio economico europeo.

Aiuti a favore delle regioni svantaggiate

Il trattato sul funzionamento dell'UE (articolo 107, pa-ragrafo 3, lettera a)) consente gli aiuti che favoriscano lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso oppure si abbia una grave sot-toccupazione (regioni della "categoria a") (Carta 4.1). In pratica, le aree interessate sono regioni di livello NUTS 2 con un PIL pro capite inferiore al 75% della media dell'UE–25, corrispondenti grosso modo alle regioni di convergenza (comprese le regioni in regime di phasing–out). Nel 2011, gli aiuti a queste regioni hanno sfiorato i 15,2 miliardi di euro.

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90

SK LT HU BG LV PT EE CZ PL MT

RO SI EL ES IT CY DE FI FR UK BE SE AT IR NL

DK LU

Figura 4.23 Ripartizione tra FESR, FSE, Fondo di coesione e cofinanziamenti nazionali all'interno degli investimenti pubblici complessivi, media 2011–2013

% dell'investimento pubblico totale

Fonte: Eurostat, DG REGIO

UE–27

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Capitolo 4: Gli investimenti pubblici, la crescita e la crisi

157

Gli aiuti alle regioni di "categoria a" sono aumentati di un quarto tra il 2009 e il 2011 (da 14 miliardi di euro), no-nostante la tendenza alla diminuzione sul lungo periodo (da una media di 17 miliardi di euro nel 2003–2005 a 13 miliardi di euro nel 2006–2008). L'entità degli aiuti in tali regioni varia nei diversi Stati membri in base alle differenze nelle politiche regionali, al grado di utilizzo degli aiuti a sostegno dello sviluppo e alla percentuale di popolazione ammissibile.

Aiuti di Stato differenziati per le isole, le aree scarsamente popolate e altre regioni classificate come geograficamente isolate

Il trattato sul funzionamento dell'UE (articolo 107, pa-ragrafo 3, lettera c)) consente l'utilizzo degli aiuti per agevolare lo sviluppo di talune aree, sempre che non alterino la concorrenza (regioni di "categoria c"). Le aree interessate comprendono le regioni con un PIL pro ca-pite inferiore alla media dell'UE–25, le aree con una di-soccupazione superiore al 15% della media nazionale o in fase di profonda ristrutturazione o di declino rela-tivamente accentuato, nonché le regioni con una bassa densità demografica, le isole con una popolazione non superiore a 5 000 abitanti e altre regioni isolate geogra-ficamente, regioni limitrofe alle regioni di "categoria a". Gli aiuti a queste regioni, definite di "categoria c", am-montavano nel 2009 a circa 2,9 miliardi di euro (ossia poco più di un quarto delle regioni di "categoria a"), il 39% in meno rispetto al 2008.

Aiuti di Stato e obiettivi di Lisbona

Il regolamento generale di esenzione per categoria (GBER), introdotto nel 2008, concede l'approvazione automatica di diverse tipologie di aiuti non richiedenti notifica preventiva. Tale esenzione per categoria non ha una dimensione spaziale, applicandosi a tutte le regioni. L'attuale regolamento resterà in vigore fino alla fine del 2014, dopodiché verrà sostituito da un nuovo GBER che la Commissione intende adottare per introdurre nuove categorie di aiuti non richiedenti notifica preventiva. Il GBER comprende gli aiuti alle PMI, ricerca, innovazione, sviluppo regionale, formazione, occupazione e capitale di rischio, nonché gli aiuti per la tutela ambientale, l'im-prenditoria, la creazione d'impresa nelle regioni assistite e altre tematiche quali la difficoltà delle donne impren-ditrici di accedere ai finanziamenti.

La riforma introdotta dal GBER era finalizzata a dirigere gli aiuti verso gli obiettivi di Lisbona, incoraggiando gli Stati membri a individuare forme di sostegno realmente utili per la competitività, la creazione di nuovi posti di lavoro e la coesione sociale ed economica. Allo stesso tempo, ha ridotto il carico amministrativo per le ammi-nistrazioni pubbliche, i beneficiari degli aiuti e la stessa Commissione. Il GBER ha unificato e semplificato i rego-lamenti precedenti, estendendo le categorie degli aiuti di Stato in regime di esenzione. Quasi il 41% (17,2 mi-liardi di euro) degli aiuti all'industria e ai servizi era già esente nel 2011 nell'ambito dei precedenti regolamenti, contro il 19% (11 miliardi di euro) nel 2008 e il 6% (3 miliardi di euro) nel 2006.

5.2 Banca europea per gli investimenti

I prestiti della Banca europea per gli investimenti sono finalizzati alla realizzazione delle priorità politiche stabi-lite dall'UE. La strategia operativa per il periodo 2013–2015 della BEI combina la concessione di prestiti, in-tegrati ai contributi dell'UE, e attività consulenziali per rispondere agli obiettivi della politica di coesione e alla strategia Europa 2020.

In risposta alla crisi la BEI ha aggiornato la propria strate-gia, ponendo una maggiore (anche se non esclusiva) at-tenzione sulla crescita intelligente. L'ambito di intervento della BEI è variegato e include il finanziamento di progetti infrastrutturali finalizzati alla crescita e alla coesione, tra cui il completamento delle reti TEN e lo sviluppo della banda larga. Altro obiettivo primario è il sostegno alle PMI (soprattutto nel campo dell'economia della conoscenza), per il ruolo centrale da esse svolto a favore della crescita, dell'occupazione e dell'innovazione nell'UE. La BEI sostie-ne anche progetti per lo sviluppo di modalità di traspor-to più sostenibili ed efficienti sotto il profilo delle risorse, dell'efficienza energetica e delle rinnovabili.

In risposta alla crisi, la BEI ha previsto di incrementare di 60 miliardi di euro le risorse destinate al credito per il periodo 2013–2015, innalzando lo stanziamento com-plessivo da 42 miliardi di euro a 62 miliardi di euro per il 2013, e a 60 miliardi di euro per gli anni 2014 e 2015. Questo consentirà alla Banca di potenziare le proprie at-tività in quattro aree prioritarie: innovazione e sviluppo delle competenze, accesso al credito per le PMI, infra-strutture strategiche e investimenti per il raggiungimento degli obiettivi dell'UE in materia di efficienza delle risorse.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

158

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Capitolo 4: Gli investimenti pubblici, la crescita e la crisi

159

La Commissione europea e la BEI hanno inoltre svilup-pato congiuntamente una serie di strumenti finanziari che prevedono la combinazione tra concessione di pre-stiti e contributi dell'UE, a sostegno della realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020. Essi hanno generato un effetto leva sui finanziamenti, massimiz-zando l'impatto per i beneficiari finali.

Per il periodo di programmazione 2007–2013 sono stati investiti circa 20 miliardi di euro a titolo dei prestiti per programmi d’investimento strutturali, uno strumento che combina tra loro credito e sovvenzioni (Figura 4.24).

Le attività dell'istituto bancario comprendono anche la gestione dello strumento JASPERS, una struttura di assi-stenza tecnica finalizzata a supportare gli Stati membri dell'UE nell'elaborazione di progetti di elevata qualità, da sottoporre a richiesta di finanziamento nell'ambito dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione. Dalla sua istituzione nel 2006 alla fine del 2012, i progetti appro-vati realizzati con il supporto di JASPERS sono in tutto 226 in 12 paesi, per un investimento complessivo pari a 39 miliardi di euro (10 miliardi nel 2012).

Un'ulteriore iniziativa promossa dalla BEI è denominata JESSICA (Sostegno europeo congiunto per investimenti sostenibili nelle aree urbane), realizzata in collaborazio-ne con la Commissione europea e la Banca per lo svilup-po del Consiglio d'Europa con lo scopo di sostenere pro-getti urbani a generazione di entrate, tramite strumenti di finanziamento rimborsabili che utilizzino i Fondi per lo sviluppo urbano. Alla fine del 2012, erano stati com-missionati 75 studi di valutazione JESSICA e costituiti

18 fondi holding, per un finanziamento complessivo pari a 1,7 miliardi di euro riguardante 54 regioni. Sono stati istituiti 37 Fondi per lo sviluppo urbano con un finanzia-mento pari a circa 1,4 miliardi di euro.

6. Conclusioni

La crisi economico–finanziaria ha causato un pesante deterioramento delle finanze pubbliche nella maggio-ranza degli Stati membri dell'UE. Per far fronte all'im-pennata dei deficit pubblici del 2009, all'interno dell'UE sono state adottate varie misure di risanamento di bi-lancio a partire dal 2010. A seguito di ciò, in alcuni Stati membri si è registrata una diminuzione della spesa pub-blica, mentre in altri è diminuito il tasso di crescita.

Non tutte le categorie in cui si articola la spesa pubbli-ca, tuttavia, ne hanno risentito in egual misura. La spe-sa pubblica a favore della crescita e gli investimenti pubblici sono stati colpiti dalle misure di risanamento dei conti; secondo le previsioni, nel 2014 gli investi-menti pubblici nell'UE–27 raggiungeranno il minimo storico.

Questo vale in modo particolare per i livelli di governo subnazionali, responsabili di buona parte della spesa per la crescita e per gli investimenti pubblici. Dal 2010, gli investimenti pubblici subnazionali nell'UE–27 sono diminuiti in maniera significativa, tornando ai livelli del 1997. Il calo maggiore si è registrato in Spagna, dove gli investimenti pubblici subnazionali sono diminuiti in media del 24% annuo tra il 2009 e il 2013.

1 6

HU EE PT CY PL SI BG LV CZ ES HR LT MT

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DK

Figura 4.24 Prestiti della Banca europea per gli investimenti, 2007–2013

Media annua in % sul PIL1,6

1,4

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0,8

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UE–28

Fonte: BEI, Eurostat, DG REGIO

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0,8

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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A fronte di uno scenario del genere, il ruolo della politi-ca di coesione nel supportare la spesa pubblica a favore della crescita ha assunto una grande importanza in al-cuni Stati membri, divenendo di gran lunga la fonte prin-cipale per i finanziamenti pubblici. A maggior ragione, la prerogativa della politica di coesione di aiutare gli Stati membri a individuare una via di uscita dinamica dalla crisi economica, e raggiungere così gli obiettivi della stra-tegia Europa 2020, sta diventando sempre più cruciale. La tendenza degli Stati membri a ridurre gli investimen-ti pubblici è un'ulteriore fonte di preoccupazione, perché solleva la questione della capacità, da parte degli stessi, di rispettare il principio di addizionalità per cofinanziare i prossimi programmi della politica di coesione.

Page 199: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

161

Capitolo 5: L'importanza di una buona governance per lo sviluppo sociale ed economico

1. Perché l'UE dovrebbe concentrarsi sul principio di buona governance?

Vi sono due visioni opposte tra gli economisti in merito al nesso tra buona governance e sviluppo socio–economico. La prima considera la buona governance come sottopro-dotto dello sviluppo. La seconda ritiene che una buona governance e l'efficienza delle istituzioni rappresentino condizioni necessarie per un forte sviluppo socio–econo-mico. Ritiene che i paesi possano rimanere bloccati in una situazione caratterizzata da un basso livello di crescita e uno scarso livello istituzionale, e che per uscirne potreb-bero avere bisogno di subire uno shock1.

Un corpus crescente di studi sostiene questo secondo approccio, rimarcando l'impatto positivo dell'efficienza delle istituzioni non solo sulla crescita economica, ma anche su innovazione e imprenditoria, salute, benessere e diminuzione della povertà, oltre che sull’impatto della politica di coesione2. Per questo è ormai comunemente accettato che, la presenza di servizi pubblici di ottima qualità, ben funzionanti costituisce una precondizione essenziale per il successo economico, e che '...una capa-cità amministrativa e giudiziaria debole, unita all'incer-tezza del diritto, costituiscono ostacoli chiave per affron-tare le sfide dello sviluppo economico'3.

Una delle finalità più importanti del processo di adesione all'UE è di garantire che il principio dello Stato di diritto, ovvero l'uguaglianza davanti alla legge e la non discrimi-nazione, sia saldamente radicato nell'impianto giuridico e nelle prassi dei paesi candidati. Tali condizioni di adesione rimangono valide anche dopo l'ingresso nell'UE e tutti i governi sono tenuti a garantirne l'applicazione.

In un periodo in cui le finanze pubbliche degli Stati membri sono sottoposte a sempre maggior pressione, poter garantire la qualità e l'efficienza dei servizi pubbli-

1 Acemoglu, D. e Robinson, J. (2012).

2 Rothstein, B. (2011); Rodriguez–Pose, A. e Garcilazo, E. (2013).

3 Documento di lavoro dei servizi della Commissione SEC(2010) 1272.

ci rappresenta una sfida che richiede l'introduzione di in-novazioni tecnologiche e organizzative. Si fa riferimento qui sia all'offerta dei servizi pubblici sia all'ideazione e attuazione di investimenti pubblici di grande qualità.

Una buona governance, la certezza del diritto e un corpus normativo di alto livello sono tutte condizioni essenziali per garantire la stabilità dell'ambiente imprenditoriale. Le istituzioni che governano le interazioni sociali ed eco-nomiche all'interno di un paese dovrebbero soddisfare una serie di requisiti chiave. Essi comprendono l'assen-za di corruzione, un approccio funzionale alla politica della concorrenza e degli appalti, un quadro normativo efficace, un sistema giudiziario efficiente e indipenden-te. Inoltre, il rafforzamento della capacità istituzionale e amministrativa, la riduzione del carico burocratico e il miglioramento della qualità legislativa contribuiscono a facilitare gli adattamenti strutturali, promuovendo la crescita economica e l'occupazione4.

La modernizzazione della pubblica amministrazione, ri-tenuta un requisito chiave per il successo dell'agenda di Europa 2020, rientra tra le cinque priorità politiche dell'analisi annuale della crescita per gli anni 2012, 2013 e 20145. Tale modernizzazione comprende una serie di misure quali ad esempio la riforma del siste-ma di appalti pubblici, la digitalizzazione della pubblica amministrazione, la riduzione degli oneri amministrativi per imprese e cittadini e l'aumento della trasparenza6. La lotta alla corruzione e il miglioramento del funziona-mento delle autorità pubbliche e giudiziarie costituisco-no ulteriori ambiti di intervento prioritari.

Questo capitolo offre una panoramica sull'andamen-to delle istituzioni pubbliche in generale, concentrando l'attenzione su alcuni temi specifici quali la facilità di

4 La "qualità delle istituzioni" rappresenta il primo pilastro del si-stema di valutazione proposto dalla relazione sulla competitività mondiale del Foro economico mondiale.

5 Sia l'analisi annuale della crescita per il 2013 sia i programmi di aggiustamento economico sottolineano la necessità per gli Stati membri di aumentare l'efficienza e l'efficacia dei servizi pubblici, nonché la trasparenza e la qualità dell'operato dell'amministrazio-ne pubblica e giudiziaria.

6 COM(2013) 453 def.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

162

fare impresa, la corruzione e la governance a livello re-gionale e nazionale, e conclude evidenziando il nesso tra una buona governance e l'attuazione della politica di coesione.

2. È più facile fare impresa nel nord dell'UE

La presenza di una legislazione commerciale di buon livello consente alle imprese di dedicare tempo e risorse alle attività imprenditoriali, non sprecando energia nel disbrigo degli adempimenti burocratici. I paesi migliori per fare impresa non sono quelli privi di norme e rego-lamentazioni, ma quelli in cui tali norme siano chiare e facili da rispettare.

L'indicatore proposto dalla Banca mondiale nell'indagine Doing Business si fonda sul concetto secondo cui le regola-mentazioni dovrebbero essere 'S.M.A.R.T' — Semplificate, Meritevoli, Adattabili, Rilevanti e Trasparenti. Combinando

10 aspetti7, questo indicatore consente di valutare il grado di influenza delle regolamentazioni d'impresa sulle PMI in 189 regioni, essenzialmente misurando la loro complessità e i costi che esse comportano, oltre alla solidità delle istitu-zioni pubbliche.

Secondo tale indicatore, la Danimarca si classifica come il paese più favorevole alle imprese dell'UE (al 5° po-sto assoluto) e Malta come il meno favorevole (al 161° posto)8. I 10 Stati membri più favorevoli (tutti tra i pri-mi 30 della classifica mondiale) sono i tre Stati nordi-ci, i tre Stati baltici, Regno Unito, Irlanda, Germania e Paesi Bassi. I cinque Stati membri meno favorevoli sono Malta, Croazia, Repubblica ceca, Romania e Grecia.

7 Tali aspetti sono: avvio di un'impresa, ottenimento dei permessi edi-lizi, risoluzione di dispute commerciali e insolvenze, allacciamento alla rete elettrica, trasferimento di proprietà immobiliari, accesso al credito, tutela degli investitori, pagamento delle imposte, commercio transfrontaliero.

8 Banca mondiale, Doing Business 2014.

Definizioni di buona governance

Sono tanti i modi per definire e individuare una buo-na governance. Un modo relativamente immediato è imperniato sul concetto di facilità di fare impresa. È il caso delle relazioni della Banca mondiale sulle attività commerciali, secondo le quali i governi possono faci-litare la crescita economica mettendo a disposizione un sistema regolamentativo semplice e trasparente che possa consentire alle imprese di concentrarsi sulle attività strategiche, dedicando solo una minima parte delle proprie risorse alle procedure amministrative.

L'organizzazione Transparency International, invece, pone al centro la questione della corruzione, definita come l'abuso del potere conferito per profitto persona-le. Secondo questa tesi, la corruzione danneggia chiun-que debba dipendere da una carica pubblica; essa non si limita a bloccare lo sviluppo economico, bensì dan-neggia la salute, la fiducia e il benessere generale.

Un approccio più mirato è quello adottato da Bo Roth-stein (2011), secondo il quale con una buona gover-nance si intende l'esercizio imparziale del potere. Il punto centrale qui è la modalità di implementazione delle politiche, più che la loro sostanza in quanto tale, indicando molto chiaramente che non vi è spazio per la corruzione, clientelismi, favoritismi, discriminazioni e nepotismo. Un approccio così specifico risulta vantag-gioso in quanto facilita le attività di monitoraggio, con-

sentendo di effettuare interventi mirati per assicurare l'imparzialità dell'operato delle istituzioni pubbliche.

Un approccio più ampio è quello adottato dall'indagine "Worldwide Governance Indicators", anch'essa pubbli-cata dalla Banca mondiale, che definisce la governance come "l'insieme delle tradizioni e istituzioni mediante le quali si esercita l'autorità in un paese. Ciò include 1) il processo di selezione, monitoraggio e sostituzione dei governi; 2) la capacità di un governo di formulare e attuare efficacemente politiche solide; 3) il rispetto da parte dei cittadini e dello Stato per le istituzioni che governano le interazioni socioeconomiche"1.

Un nuovo indicatore europeo su base regionale coniu-ga in un unico strumento gli approcci proposti da Roth-stein, dell'organizzazione Transparency International e dalla Banca mondiale, tenendo conto dei risultati delle statistiche regionali riguardanti le percezioni dei citta-dini sul tema della corruzione e dell'imparzialità degli enti pubblici, oltre che gli indicatori di governance a li-vello nazionale.

Nonostante le evidenti differenze a livello di defini-zione, i risultati ottenuti dalle varie misurazioni sono molto simili tra loro, segno della tendenza comune a rilevare le medesime carenze in materia di governance.

1 Kaufmann, D. et al. (2010)

Page 201: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 5: L'importanza di una buona governance per lo sviluppo sociale ed economico

163

Elementi importanti inseriti nell'indicatore sono la quantità di tempo, il numero di procedure e i costi e il capitale necessari per avviare un'impresa. Nell'UE, ciò richiede in media 13 giorni, 5,4 distinte procedure, un costo pari al 4,4% del reddito nazionale pro capite e un capitale minimo versato pari al 10% del reddito. Le differenze tra i vari Stati membri sono notevoli. In Lituania e Irlanda, è richiesta la metà delle procedure a una frazione del costo rispetto a Repubblica ceca e Malta (Tabella 5.1).

Tra il 2006 e il 2014, tutti gli Stati membri hanno mi-gliorato la propria posizione rispetto a un parametro ideale relativo alla facilità di fare impresa (fissato a 100 nella Figura 5.1 e inteso come adozione dell'ap-proccio ottimale per ognuno degli aspetti considerati). I miglioramenti più significativi si sono registrati nei paesi più lontani dal valore ideale — Croazia, Polonia, Repubblica ceca e Slovenia, anche se pure Portogallo, Francia e Romania hanno mostrato ampi miglioramenti.

Tabella 5.1 Avviare un'impresa nel 2014

Paese Posizione Procedure (numero)

Tempo (giorni)

Costo (% del reddito

pro capite)

Capitale min. versato (% del

reddito pro capite)

Lituania 11 4 6,5 0,9 0

Irlanda 12 4 10,0 0,3 0

Repubblica ceca 146 9 19,5 8,2 29,5

Malta 161 11 39,5 10,8 1,5

UE–28 70 5,4 12,9 4,4 10,4Fonte: Doing Business 2014, Banca mondiale

Differenze tra paesi per quanto riguarda la facilità di fare impresa

Da qualche tempo la Banca mondiale analizza la facilità di fare impresa anche a livello subnazio-nale in sempre più paesi. Le differenze sono par-ticolarmente accentuate in Italia. Ad esempio, per ottenere un permesso edilizio per la costruzione di un capannone, a Bologna occorrono 164 giorni a un costo pari al 177% del reddito pro capite, con-tro i 208 giorni a Potenza a un costo pari al 725% del reddito pro capite. La risoluzione di una disputa contrattuale richiede in media 855 giorni e un costo pari al 22% dell'importo del risarcimento a Torino, contro i 2 022 giorni e un costo pari al 34% dell'im-porto del risarcimento a Bari. L'avvio di un'impresa varia dai 6 giorni a Padova ai 16 giorni di Napoli, mentre il trasferimento di proprietà immobiliare ri-chiede 13 giorni a Bologna e 24 a Roma.

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IE UK

DK SE FI DE AT NL LT LV PT BE EE PL FR ES SI CY CZ SK BG RO HU IT LU HR EL MT

2006 2014

Figura 5.1 Facilità di fare impresa, 2006–2014

Distanza dall'ideale (ideale = 100)

LU: 2007, CY: 2009, MT: 2012Fonte: Doing Business 2014, Banca mondiale

Page 202: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

164

L'amministrazione digitale e gli appalti elettronici possono migliorare la facilità di fare impresa riducendo i costi

Il sistema di gestione digitalizzata dell'amministrazione (o e–government) consente agli enti pubblici di offrire servizi in modo più trasparente ed efficiente sotto il profilo dei costi. Consentire l'accesso ai servizi di e–Government per almeno il 50% dei cittadini dell'UE rientra tra gli obiettivi per il 2015 dell'Agenda digitale per l'Europa.

Nel 2012, il 44% della popolazione dell'UE ha usufruito di servizi resi tramite strumenti di e–Government. Tra il 2011 e 2012, la percentuale di utenti è aumentata in tut-ti i paesi, tranne tre (Figura 5.2). A parte gli aumenti più significativi registrati in Romania (+ 24 punti percentuali), Croazia (8 punti percentuali) e Grecia (7 punti percen-tuali), a livello generale la quota rimane bassa. L'Italia presenta la percentuale più bassa di utilizzatori di servizi di e–Government nel 2012 (18%), registrando un calo rispetto al 2011.

L'adozione del sistema di appalto elettronico, ovvero l'u-tilizzo di un sistema informativo da parte della pubblica amministrazione per l'acquisizione di beni o servizi o per lo svolgimento di gare d'appalto per l'esecuzione di lavori pub-blici, può consentire un risparmio significativo ai contribuen-ti europei. Nell'ambito del processo di modernizzazione del sistema di appalti pubblici nell'UE, la Commissione ha pro-posto di adottare la modalità dell'appalto elettronico come sistema standard a livello di UE entro la metà del 2016.

Nonostante i benefici dimostrati, il sistema di appalti elet-tronici è ancora agli albori nell'UE. Nel 2012, è stato utilizza-to solo per il 5–10% delle procedure di approvvigionamento, mentre solo il 12% delle imprese all'interno dell'UE ha par-tecipato a gare d'appalto utilizzando Internet (Figura 5.3) Solo quattro Stati membri (Irlanda, Lituania, Slovacchia e Polonia) hanno registrato una quota superiore al 20%.

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DK SE FI NL FR LU EE AT DE BE IE SI LV ES UK

HU SK MT PT LT EL PL RO CZ CY BG HR IT

2011 2012

Figura 5.2 Utilizzo dei servizi di e-government da parte dei cittadini, 2011–2012

% di popolazione

Fonte: Eurostat

UE–

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5

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IE LT PL SK DK EE LV CZ PT SE UK FR MT AT RO NL CY LU HU BG BE IT DE EL FI ES SI

Figura 5.3 Imprese che hanno usato Internet per la partecipazione agli appalti elettronici, 2012

% di imprese

UE–27

Fonte: Eurostat

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Capitolo 5: L'importanza di una buona governance per lo sviluppo sociale ed economico

165

Le variazioni tra una zona e l'altra di uno stesso paese in merito alla facilità di fare impresa, tuttavia, derivano anche dalle differenze nell'applicazione delle regolamen-tazioni nazionali (si veda il Riquadro). Emerge quindi l'e-sigenza di ridurre le differenze nel fare impresa non solo tra paesi ma anche tra regioni o città di uno stesso paese.

3. La maggioranza degli europei considera la corruzione un problema grave e molto diffuso

Secondo l'ultima relazione dell'UE in materia di anticor-ruzione,9 il problema della corruzione, pur riguardando tutti gli Stati membri, non può essere affrontato con una strategia politica indifferenziata e uguale per tutti, in ragione delle grandi differenze tra i vari Stati membri quanto alla natura e al grado di diffusione della cor-ruzione. La corruzione rappresenta un danno per tutta l'Unione. Distorce il mercato unico, riduce le finanze pubbliche e abbassa i livelli di investimento. Essa incide particolarmente anche sul tema della coesione, poiché le regioni e gli Stati membri meno sviluppati tendono a presentare risultati insufficienti sul piano degli indicatori di corruzione e governance.

La maggioranza della popolazione UE considera la corru-zione un problema grave del proprio paese (Figura 5.4). In tutti gli Stati membri tranne cinque (i paesi nordici, Paesi Bassi e Lussemburgo), oltre il 60% della popola-

9 COM(2014) 38 def.

zione ritiene che la corruzione sia un problema dilagan-te, con un'incidenza variabile dal 61% (in Germania) al 99% (in Romania).

Nel 2013, quattro persone su cinque nell'UE conside-ra la corruzione un fenomeno diffuso nel proprio paese (Figura 5.5.). Come già nel 2011, il valore indicante la minore corruzione percepita si è riscontrato nei paesi nordici. Nella metà degli Stati membri, nove persone su 10 ritengono che la corruzione sia un problema diffuso o molto diffuso.

La percezione della corruzione, tuttavia, può essere pe-santemente influenzata dai recenti scandali o dalla situa-zione economica e finanziaria, mentre è più rara la per-centuale di coloro che dichiarano di essere stati oggetto o testimoni di fenomeni di corruzione. Solo l'8% degli in-tervistati ha dichiarato di aver avuto esperienza diretta o di aver assistito a casi di corruzione nei precedenti dodici mesi. L'incidenza è molto maggiore in 9 Stati membri, passando dal 12% a Cipro al 25% in Lituania.

Nonostante la percezione della corruzione come feno-meno dilagante, a livello generale la maggioranza degli Stati membri UE ottiene risultati relativamente buoni dal punto di vista dell'indice di percezione della corru-zione10 (CPI), elaborato da Transparency International11

10 L'indice rappresenta una media dei punteggi standardizzati ottenuti da un massimo di 13 rilevazioni svolte presso cittadini e imprese sulla percezione della corruzione nel settore pubblico. Un punteggio elevato indica una minore corruzione percepita.

11 Come già citato nello studio realizzato da PwC EU Services ed Ecorys (2013a).

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100RO EL CY PT H

U BG SI MT IE LT ES CZ IT LV AT SK EE FR UK BE PL DE SE LU FI NL

DK

Figura 5.4 Percezione della corruzione come problema grave, 2011

% di risposte (le risposte "Non so" sono state escluse) Concorda Non concorda100

UE–

27

Fonte: Eurobarometer 374, 2011.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

166

con riferimento a 177 paesi (Carta 5.1). I 20 paesi con il minor livello di corruzione secondo l'indice aggiornato al 2013 comprendono 8 Stati membri UE (i tre Stati mem-bri nordici, i paesi del Benelux, Germania e Regno Unito). Sette Stati membri, invece, ottengono un punteggio re-lativamente basso, classificandosi tra il 57° e l'80° po-sto. In ordine decrescente sono Croazia, Repubblica ceca, Slovacchia, Italia, Romania, Bulgaria e Grecia.

Dallo studio intitolato Identifying and reducing corrup-tion in public procurement in the EU12, ordinato dalla Commissione europea su richiesta del Parlamento eu-ropeo, emerge come il 20% circa del PIL dell'UE venga speso tramite appalti pubblici (pari a un importo di 2,4 mila miliardi di euro, prezzi del 2010). Dati questi impor-ti, la relazione UE contro la corruzione conclude che il si-stema degli appalti pubblici costituisce una "zona calda" sul fronte della corruzione. Lo studio ha esaminato una serie di settori in cui si spendono somme consistenti di finanziamenti europei tramite appalti pubblici, in parti-

12 PwC EU Services ed Ecorys (2013b).

colare viabilità e reti ferroviarie, gestione rifiuti e risorse idriche, edilizia urbana e pubblica, nonché formazione. La tabella 5.2 illustra gli effetti stimati della corruzione in queste aree.

La corruzione varia in rapporto alle aree strategiche di intervento, alcune delle quali risulterebbero più predi-sposte alle frodi di altre (Tabella 5.3). La formazione è il settore più vulnerabile, con una perdita di fondi pubblici che va da un quota leggermente inferiore al 5% della spesa complessiva, fino ad arrivare a sfiorare il 16%.

Lo studio ha altresì esaminato vari tipi di indicatori — o "red flags" — relativi al rischio di corruzione, il più co-mune dei quali consiste nella manipolazione della gara d'appalto, attraverso un accordo tra i vari concorrenti per assicurare l'aggiudicazione del contratto da parte di uno di questi. Nel caso della formazione, l'indicatore più co-mune è costituito dalle tangenti, ovvero somme di de-naro versate ai funzionari pubblici responsabili del con-ferimento dei contratti. Il conflitto d'interesse nel settore degli appalti si verifica quando un funzionario pubblico o

Tabella 5.2 Stima dei costi diretti della corruzione negli appalti pubblici in un campione di 8 Stati membri

Costi diretti della corruzione (in milioni di euro)

% del valore complessivo degli appalti nel settore negli 8 Stati membri

Strade e ferrovie 488–755 Da 1,9% a 2,9%

Acqua e rifiuti 27–38 Da 1,8% a 2,5%

Edilizia pubblica/Infrastrutture 830–1141 Da 4,8% a 6,6%

Formazione 26–86 Da 4,7% a 15,9%

R&S 99–228 Da 1,7% a 3,9%Fonte: PwC EU Services ed Ecorys

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EL IT LT CZ RO ES HR PT SI SK BG HU LV MT PL IE CY FR UK EE AT BE DE

NL

LU SE FI DK

Figura 5.5 Percezione del grado di diffusione della corruzione, 2013

% di risposte (le risposte "Non so" sono state escluse) Rara o assenza di corruzione Diffusa100

UE–

27

Fonte: Eurobarometer 397, 2013.

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Capitolo 5: L'importanza di una buona governance per lo sviluppo sociale ed economico

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un membro della sua famiglia detiene delle quote nella società vincitrice dell'appalto. Se un funzionario pubblico ignora un'evidente manchevolezza da parte di un con-traente nello svolgimento di un compito previsto, questa viene ritenuta un'azione deliberata.

Lo studio conclude però che i progetti a finanziamento euro-peo sono meno soggetti a cor-ruzione grazie all'attuazione dei necessari sistemi di controllo e gestione e alle misure antifrode riguardanti la spesa realizzata con il contributo dell'UE.

4. Gli indicatori di governance variano tra Stati membri e all'interno degli Stati membri

Sono sei gli indicatori di go-vernance proposti dalla Banca mondiale ed elaborati per oltre 200 paesi: stabilità politica, ef-ficacia dell'azione di governo, qualità della regolamentazione, tasso di legalità, controllo della corruzione, partecipazione e re-sponsabilità.

L'indicatore relativo alla qualità dell'azione di governo (atto a mi-surare la percezione dei cittadini in merito alla capacità del gover-no di offrire servizi di alta qualità,

l'efficienza e l'indipendenza dell'amministrazione pubbli-ca e la capacità di predisporre e attuare le politiche pub-bliche) è importante soprattutto per lo sviluppo economi-co e presenta notevoli variazioni da uno Stato membro all'altro (Figura 5.6). I tre Stati membri nordici risultano

Tabella 5.3 Tipologia di corruzione per area strategica

Manipolazione di gara d'appalto

Tangenti Conflitto d'interesse Deliberata cattiva gestione

Edilizia pubblica/Infrastrutture

19 14 11 3

Strade e ferrovie 10 8 4 1

Acqua e rifiuti 15 6 3 0

Formazione 1 3 2 1

R&S 12 4 2 0

Totale 57 35 22 5Fonte: PwC EU Services ed Ecorys

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

168

avere i governi più efficaci, mentre Romania, Bulgaria, Grecia e Italia sono quelli con i governi meno efficaci. L'indicatore mostra poche variazioni per la maggioranza degli Stati membri tra il 1996 e il 2012 e un migliora-mento della situazione in Lituania, Bulgaria, Lettonia e Croazia, anche se da un basso livello di partenza. Allo stesso tempo, mette in luce un significativo peggiora-mento sotto il profilo dell'efficacia governativa in Grecia e Spagna, probabilmente a causa della crisi economica.

Anche l'indicatore relativo al "tasso di legalità", indicante la percezione dei cittadini in merito all'applicazione e al rispetto della legge, presenta delle differenze tra i vari Stati membri in maniera molto simile alla percezione dell'efficacia governativa. Nuovamente, i punteggi più

alti riguardano i tre Stati membri nordici mentre quelli più bassi Romania, Bulgaria, Grecia e Italia, più la Croazia. Si osservano delle analogie anche rispetto ai cambiamenti occorsi tra il 1996 e il 2012, con significa-tivi miglioramenti in Bulgaria e Croazia (pur con un pun-teggio basso in entrambi i paesi) e nei tre Stati baltici, nonché un significativo peggioramento in Grecia, Spagna e Italia.

4.1 La qualità delle istituzioni di alcune regioni è molto più alta (o molto più bassa)

Come sottolineato in precedenza, sussistono ampie va-riazioni regionali sotto il profilo delle modalità di attua-zione delle regolamentazioni nazionali, rispecchiando le differenze a livello di efficienza delle amministrazioni locali e regionali. È fondamentale tenere conto di que-ste differenze anche in fase di valutazione della qualità della governance in rapporto allo sviluppo sociale ed economico.

Un nuovo indice regionale, sviluppato dal Gothenburg Institute of Quality of Government, è utile a questo scopo (Carta 5.2). I risultati sono allarmanti, in quanto almeno il 15% degli intervistati provenienti da diver-se regioni della Bulgaria, Romania, Ungheria e Italia riferisce di aver pagato una tangente nel corso dei 12 mesi precedenti. La percezione della qualità istituziona-le varia notevolmente da una regione all'altra in Italia, Spagna, Belgio, Romania e Bulgaria. Nei primi tre paesi, i valori più bassi riguardano le regioni meno sviluppate, il che potrebbe indicare una situazione di stallo all'in-segna della bassa qualità amministrativa e della bassa crescita. In Romania e Bulgaria, come pure in Ungheria, la regione della capitale ha ottenuto un punteggio infe-riore alle altre regioni, forse per la presenza di maggiori occasioni di corruzione.

Nei paesi con la più alta qualità istituzionale percepita (i tre Stati nordici e i Paesi Bassi), non si evidenziano particolari differenze tra le varie regioni.

La situazione nelle regioni ultraperiferiche varia da pa-ese a paese. Mentre quelle portoghesi hanno un valo-re in linea con la media nazionale (Açores) o più alto (Madeira), quelle spagnole (Canarias) e le quattro fran-cesi presentano valori molto più bassi.

Metodi di lotta alla corruzione

Un recente studio condotto da ANTICORRP sulla corruzione in Romania, Ungheria ed Estonia sottoli-nea il fatto che le politiche anticorruzione, per esse-re efficaci, dovrebbero rientrare in una strategia di più ampio respiro finalizzata al miglioramento della governance. Non è automatico che l'introduzione di misure repressive, leggi speciali o agenzie an-ticorruzione produca un impatto significativo sulla corruzione. Ed è anche difficile che l'intervento di-retto di un organismo esterno produca chissà quali cambiamenti, anche se può comunque influire sulla situazione.

Un buon punto di partenza è di diminuire gli spa-zi per l'adozione di comportamenti discrezionali nell'amministrazione pubblica. L'amministrazione digitale e il sistema di appalto elettronico posso-no fornire un contributo in tal senso, al pari delle riforme amministrative rispetto alla riduzione della burocrazia e alla semplificazione dei regolamen-ti. Il miglioramento del contesto imprenditoriale, pertanto, è un aiuto nella lotta alla corruzione in quanto limita le potenziali occasioni in cui essa può verificarsi.

La partecipazione e la collaborazione del privato e del volontariato possono contribuire ad aumentare la pressione sociale contro la corruzione. I singoli direttamente interessati possono inoltre concorrere al mantenimento dell'indipendenza della magistra-tura e di una responsabilità pubblica di alto livello. I media svolgono un ruolo chiave nel vigilare sulla governance, purché si tratti di organi d'informazio-ne economicamente indipendenti e pluralistici.

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Capitolo 5: L'importanza di una buona governance per lo sviluppo sociale ed economico

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I risultati della rilevazione 2013 sono molto simili a quelli del 201013, anno in cui la pubblicazione dei risul-tati ha sollecitato la produzione di ricerche sul nesso tra la qualità delle istituzioni nelle regioni e il tasso di inno-vazione, imprenditorialità e crescita. Alcuni dei risultati chiave di queste ricerche sono riportati nella relazione dell'OCSE intitolata Investing Together (2013), secondo la quale una bassa qualità istituzionale ostacola lo svi-luppo economico, compromettendo l'impatto degli inve-stimenti pubblici. Questo vale anche per gli investimenti cofinanziati a titolo della politica di coesione, deducendo quindi che gli effetti di tale politica sullo sviluppo regio-nale potrebbero essere amplificati migliorando la quali-tà della governance. Tali miglioramenti, tuttavia, non si verificheranno semplicemente con il passare del tempo,

13 Le due indagini non sono del tutto comparabili, a causa di alcune differenze sotto il profilo metodologico.

ma più probabilmente grazie all'impegno concertato di tutti i livelli istituzionali, oltre che con il coinvolgimento dei cittadini e dei media.

4.2 L'autorità delle regioni dell'UE è in aumento

In varie parti dell'UE si sta diffondendo una tendenza alla regionalizzazione. Secondo l'indice di autogoverno regionale (si veda il Riquadro), negli ultimi 50 anni è aumentato il livello di autonomia delle regioni di molti Stati membri, in particolare in Italia, Belgio e Spagna, ma anche in Scozia e nel Regno Unito, paesi già carat-terizzati da forme di autogoverno regionale molto avan-zate (Carta 5.4).

0,5 1,5 2,5

-1,0.0 -0,5.5 0,0 0,5 1,5 2,5

20121996 1996 2012

Efficacia dell'azione di governo1,0 2,0

-1,0 -0,5 0,0 1,0 2,0

RomaniaBulgaria

GreciaItalia

CroaziaSlovacchia

Ungheria

LettoniaLituania

PoloniaRepubblica ceca

Slovenia

Portogallo

Estonia

Spagna

Malta

Cipro

Francia

Belgio

Irlanda

Austria

UKGermania

LussemburgoPaesi Bassi

Svezia

DanimarcaFinlandia

I dati relativi al 1996 mostrano solo se la differenza è statisticamente significativaFonte: Banca mondiale

Punteggio in deviazione standard

0,5 1,5 2,5

0,5 1,5 2,5

1996 2012

Tasso di legalità-1,0 -0,5 0,0 1,0 2,0

Bulgaria

Romania

CroaziaItalia

GreciaSlovacchia

Ungheria

PoloniaLettonia

LituaniaSlovenia

Repubblica cecaPortogallo

SpagnaCipro

Estonia

MaltaBelgio

Francia

Germania

UKIrlanda

Lussemburgo

Paesi Bassi

Austria

Danimarca

Svezia

Finlandia

-1,0 -0,5 0,0 1,0 2,0

Punteggio in deviazione standard

Figura 5.6 Indicatori della Banca mondiale, 1996–2012

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

170

Page 209: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 5: L'importanza di una buona governance per lo sviluppo sociale ed economico

171

Il grado di autogoverno è aumentato notevolmente anche nella Repubblica ceca e in Slovacchia, Polonia, Grecia e Finlandia, pur rimanendo però sempre basso.

In Germania e nelle regioni austriache si sono verificati pochi cambiamenti, ma occorre tenere in considerazione il fatto che entrambi i paesi possiedono un livello di au-togoverno estremamente avanzato sin dal 1960. Nessun vero cambiamento si è verificato nelle regioni inglesi, svedesi, portoghesi continentali, croate e bulgare.

Nel 2011, l'indice di autogoverno regionale più elevato si è registrato negli Stati federali di Germania, Austria e

Belgio (Carta 5.3). Il secondo indice più elevato riguar-dava gli Stati organizzati in regioni, più centralizzati ri-spetto agli Stati federali ma meno degli Stati unitari. Anche le regioni più autonome, come land in Finlandia, Scotland nel Regno Unito, Navarra in Spagna e Açores e Madeira in Portogallo, hanno ottenuto un indice par-ticolarmente elevato. L'indice più basso riguardava la Bulgaria, il Portogallo continentale e l'Irlanda14.

Oltre al grado di autogoverno, le regioni interessa-te dall'indice differiscono tra loro anche sotto il profi-lo dell'entità della popolazione. In Germania, Francia, Italia, Spagna e Polonia, tutte o quasi tutte le regioni hanno una popolazione superiore al milione di abitan-ti. Nel Regno Unito, invece, come anche in Bulgaria, Croazia e Finlandia, la maggioranza delle regioni in-teressate hanno una popolazione inferiore ai 250 000 abitanti.

Nel 2011, le regioni in quasi la metà degli Stati mem-bri avevano una qualche forma di autonomia rispetto all'assunzione di prestiti. L'autonomia era maggiore nei Länder tedeschi e nelle regioni italiane, ove era possibi-le contrarre prestiti senza alcun limite, mentre le regioni in Francia, Paesi Bassi, Ungheria, Svezia e Scozia pote-vano contrarre prestiti senza autorizzazione da parte dell'amministrazione centrale seppur entro certi limiti. Le regioni ceche, croate, polacche, romene, spagnole, inglesi e gallesi potevano contrarre prestiti previa au-torizzazione e non superando una determinata soglia. Relativamente agli altri 9 Stati membri a organizzazio-ne regionale, essi non avevano alcuna facoltà di con-trarre prestiti.

Nel 2011, solo Navarra e le province basche in Spagna avevano un livello elevato di autonomia fiscale, poten-do decidere la base imponibile e l'aliquota fiscale per almeno una delle principali imposte (imposta sul reddito delle persone fisiche e delle società, imposta sul valo-re aggiunto, imposta sulle vendite). Poche altre regioni (le altre regioni spagnole, le regioni italiane e belghe, Åland in Finlandia, Açores e Madeira in Portogallo, i Län in Svezia e la Scozia) erano autorizzate a fissare l'aliquota fiscale per almeno un'imposta principale, se entro certi limiti, ma non la base imponibile. I Länder tedeschi erano autorizzati a decidere la base imponibile e l'aliquota delle imposte minori, mentre le regioni in

14 I tre Stati baltici, Lussemburgo, Slovenia, Cipro e Malta non aveva-no regioni nel 2011, secondo la definizione di regione utilizzata dai ricercatori (popolazione media minima di 150 000 abitanti).

Come è stato sviluppato l'indice europeo sulla qualità delle istituzioni?

Realizzato su commissione della direzione generale della Politica regionale e urbana e pubblicato per la prima volta nel 2010, questo indice integra gli indicatori della Banca mondiale sulla governance a livello nazionale con i risultati di un'indagine per la rilevazione delle variazioni regionali di ciascun paese. La media nazionale degli indici regionali è pertanto identica al punteggio sulla governance as-segnato dalla Banca mondiale.

È stata aggiornata al 2013 con il sostegno del Set-timo programma quadro1. L'indagine è incentrata sui servizi pubblici, spesso gestiti a livello locale o regionale (applicazione della legge, istruzione e sanità) e maggiormente inclini a variare da un pa-ese all'altro. Le domande riguardano la qualità e l'imparzialità di tali servizi, come anche la perce-zione e l'esperienza degli intervistati in merito alla corruzione.

Tra le altre2, ecco alcune delle domande poste:

• Come valuterebbe la qualità della scuola pub-blica nella sua zona?

• Alcune persone ricevono trattamenti di favore nell'ambito del sistema sanitario della sua zona

• Tutti i cittadini ricevono lo stesso trattamento da parte delle forze dell'ordine nella sua zona

• Negli ultimi 12 mesi, lei o un membro della sua famiglia avete pagato una tangente.

1 Si basa su un'indagine condotta presso 85 000 persone intervistate in 24 paesi e 212 regioni. Si veda ANTICORRP www.anticorrp.eu.

2 Si veda Charron, N. (2013) e Charron, N. et al. (2014) per maggiori dettagli.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

172

Croazia, Francia, Ungheria, Italia, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia e Inghilterra erano autorizzate a fissare l'ali-quota ma non la base imponibile.

In Bulgaria, Repubblica ceca, Danimarca, Finlandia (tran-ne Åland), Grecia, Ungheria, Irlanda, Polonia, Portogallo continentale, Romania, Irlanda del Nord e Galles, la base imponibile e le aliquote fiscali di tutte le imposte locali e regionali vengono fissate dallo Stato.

L'indice di autogoverno regionale registra i cambiamenti avvenuti fino al 2011, dimostrando che la crisi ha inci-so anche su questo aspetto. In alcuni casi alle regioni sono state conferite più competenze e responsabilità, mentre in altri casi le amministrazioni centrali hanno intensificato il controllo sulle amministrazioni regionali, ad esempio istituendo delle soglie di accesso al credito.

Vale la pena notare, tuttavia, come questo indice non riesca a cogliere il livello di decentramento nella sua interezza, non misurando il grado di autogoverno delle amministrazioni subregionali. Considerato il ruolo sem-pre più importante delle città e delle aree metropolitane, la Commissione intende svolgere ulteriori approfondi-menti su questo argomento.

5. Una scarsa governance limita l'impatto della politica di coesione

Un basso livello di governance può influire direttamente e indirettamente sull'impatto della politica di coesione. Innanzi tutto, può determinare una diminuzione nella spesa qualora le risorse finanziarie disponibili per l'at-tuazione dei programmi non venissero interamente spe-se. Secondo, può condurre all'adozione di una strategia poco coerente o poco appropriata per un dato paese o una data regione. Terzo, potrebbe portare all'ammissio-ne a finanziamento di progetti di qualità scadente, o al contrario alla mancata candidatura a finanziamento dei progetti migliori. Quarto, potrebbe compromettere l'ef-fetto leva a causa della minore propensione del settore privato a cofinanziare gli investimenti.

Un sistema di governance di scarsa qualità non è neces-sariamente un sistema corrotto o fraudolento, anche se potrebbe essere entrambe le cose. E non implica neces-sariamente una situazione di illegalità. Aspetti quali la lentezza dei processi decisionali, una scarsa organizza-zione nelle consultazioni pubbliche, l'attenzione incen-trata sulle questioni elettorali a breve termine rispetto a una strategia di sviluppo a lungo termine, i cambiamenti

L'indice di autogoverno regionale

Questo indice rappresenta l'area su cui una data am-ministrazione esercita il proprio potere, il grado di indi-pendenza con cui lo esercita e le sfere d'azione su cui lo esercita.

L'ambito territoriale dell'autorità distingue tra auto-governo (inteso come esercizio del potere da parte di un'amministrazione entro la propria giurisdizione) e governo partecipato (esercizio del potere da parte di un'amministrazione su una giurisdizione più ampia di cui essa fa parte).

Il grado di autorità misura il livello di autonomia le-gislativa, fiscale ed esecutiva di un'amministrazione pubblica, nonché le condizioni che determinano la sua facoltà di agire in maniera unilaterale, oltrepassando le decisioni del governo centrale.

La sfera d'azione indica la gamma di settori politici sui quali esercita il proprio potere — tassazione, contra-zione di prestiti e riforme costituzionali in particolare.

L'indice di autogoverno regionale misura cinque di-mensioni (si veda qui di seguito).

Dimensioni del potere regionale (autogoverno)Autogoverno I poteri esercitati dal governo regionale sulla opolazione che vive nella regione stessaDensità istituzionale Il grado di autonomia del governo regionale rispetto alla

nomina da parte del governo nazionaleAmbito politico L'insieme dei settori politici di competenza del governo regionale.

Autonomia fiscale Il grado di indipendenza nell'esercizio della pressione fiscale sui cittadini.

Autonomia nell'accensione di prestiti

Il grado di autonomia con cui contrarre un prestito

Rappresentanza Il grado di indipendenza legislativa ed esecutiva di una regioneFonte: Hooghe, L. et al. (di prossima pubblicazione).

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Capitolo 5: L'importanza di una buona governance per lo sviluppo sociale ed econom

ico

173

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

174

Principi OCSE sull'efficacia degli investimenti pubblici: una responsabilità condivisa tra i vari livelli istituzionali

L'OCSE ha recentemente approvato un insieme di principi riguardanti gli investimenti pubblici in cui, per la prima vol-ta, sono chiamate in causa anche le amministrazioni sub-nazionali, riconoscendo così il ruolo sempre più strategico delle amministrazioni locali e regionali nella pianificazione e attuazione degli investimenti pubblici. Le raccomanda-zioni vanno viste alla luce della crisi che ha causato una diminuzione degli investimenti pubblici in numerosi pae-si, accrescendo l'importanza del rapporto costi–benefici. Questi principi saranno monitorati con cadenza triennale da parte dei comitati OCSE e, benché non legalmente vin-colanti, avranno un impatto di tipo etico.

Per garantire l'efficacia degli investimenti pubblici occor-re un rigoroso coordinamento ai vari livelli di governo, al fine di colmare le lacune che dovessero emergere a livello informativo, politico o fiscale. In più, è necessa-rio che i vari livelli amministrativi abbiano la capacità di progettare e attuare progetti di investimento pubblico. Questi principi, pertanto, fanno riferimento alle modalità di coordinamento degli investimenti pubblici ai vari livelli di governo, di rafforzamento delle capacità attuative e di creazione di un contesto adeguato per la pianificazione degli investimenti.

Considerato che i progetti di investimento vengono ra-ramente pianificati, finanziati e implementati da un'uni-ca autorità pubblica, i diversi livelli amministrativi sono coinvolti nelle varie fasi del processo in base alle specifi-che esigenze di cooperazione. Gli investimenti pubblici, se attuati dal governo centrale, tendono anche a richiedere un coinvolgimento a livello locale, essendo indispensabile tenere conto delle esigenze locali, di possibili ostacoli e fattori territoriali che potrebbero determinarne l'efficacia. Pertanto, anche se privi di contributi finanziari o respon-sabilità decisionali, le amministrazioni locali possono au-mentare (o ridurre) i risultati e l'impatto degli investimenti.

Per aiutare i paesi ad affrontare queste sfide, l'OCSE ha sviluppato un insieme di principi sull'efficacia degli inve-stimenti pubblici in un contesto di governance multilivello. L'obiettivo è di supportare i vari livelli amministrativi nella valutazione dei punti di forza e di debolezza delle proprie capacità di investimento, individuando le aree prioritarie di miglioramento. I principi si articolano in tre gruppi, cia-scuno dei quali è rappresentativo di una sfida sistemica di governance multilivello per gli investimenti pubblici.a) Sfide riguardanti il coordinamento: Il coordinamen-

to tra più settori, giurisdizioni e livelli amministrativi è un elemento necessario ma di difficile attuazione. Gli attori coinvolti negli investimenti pubblici sono numerosi, ecco perché è necessario dover allineare tra loro i rispettivi interessi.

b) Sfide riguardanti le capacità: In caso di debolezza nella capacità di progettazione e attuazione, le poli-tiche potrebbero non riuscire a raggiungere gli obiet-

tivi prefissati. I dati suggeriscono che i risultati degli investimenti pubblici e della crescita sono stretta-mente legati alla qualità delle istituzioni, anche quel-le di livello subnazionale.

c) Sfide riguardanti le condizioni strutturali: L'adozione di buone prassi nella gestione della dotazione finan-ziaria, degli appalti e dei regolamenti è una condizione essenziale per il successo degli investimenti, ma non è sempre omogenea a tutti i livelli amministrativi.

Principi OCSE sull'efficacia degli investimenti pubblici in un contesto di governance multilivello

I paesi membri dell'OCSE dovrebbero adoperarsi per far sì che i livelli di governo nazionale e subnazionale utiliz-zino efficacemente le risorse destinate ai finanziamenti pubblici per lo sviluppo territoriale, nel rispetto dei princi-pi esposti qui di seguito.

Coordinare gli investimenti pubblici ai vari livelli ammi-nistrativi e politici: • utilizzare strategie integrate di investimento mirate

ai singoli territori; • adottare misure di coordinamento efficaci a vari li-

velli di governo, nazionali e subnazionali; • coordinare le varie amministrazioni subnazionali per

garantire l'effettuazione degli investimenti al livello corretto.

Rafforzare la capacità di effettuare investimenti pubblici e promuovere l'apprendimento strategico ai vari livelli istituzionali: • prevedere gli effetti a lungo termine e i rischi connes-

si agli investimenti pubblici; • favorire il coinvolgimento delle parti interessate du-

rante tutto il ciclo produttivo dell'investimento; • sensibilizzare il settore privato e gli istituti di credito

al fine di diversificare le fonti di finanziamento e po-tenziare la capacità;

• rafforzare le competenze dei funzionari e delle isti-tuzioni pubbliche durante tutto il ciclo produttivo dell'investimento;

• focalizzare l'attenzione sui risultati, promuovendo l'apprendimento.

Garantire la presenza di condizioni strutturali adeguate per gli investimenti pubblici a tutti i livelli di governo: • sviluppare un contesto fiscale idoneo agli obiettivi

che si intende perseguire con gli investimenti; • richiedere una gestione finanziaria sana e trasparente; • favorire la trasparenza e l'utilizzo strategico degli

appalti pubblici a tutti i livelli di governo; • impegnarsi per la qualità e la coerenza nei sistemi di

regolamentazione a tutti i livelli di governo.

Per ulteriori informazioni si rimanda a: http://www.oecd.org/gov/regional-policy/oecd-principles-on-effective- public-investment.htm.

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Capitolo 5: L'importanza di una buona governance per lo sviluppo sociale ed economico

175

repentini nelle politiche e nelle priorità sono tutti per-fettamente legali, tuttavia tendono a minare l'impatto della politica di coesione.

5.1 Una scarsa governance può rallentare gli investimenti, causando perdite nei finanziamenti

Secondo gli ultimi dati disponibili (21 maggio 2014), gli Stati membri hanno assorbito (o speso) in media solo il 68% dei fondi dell'UE disponibili per il periodo 2007–201315. Il tasso di assorbimento in Romania è pari a solo il 46% dei fondi, mentre in Slovacchia, Bulgaria, Italia, Malta e Repubblica ceca è inferiore al 60%. Dall'altra par-te, il tasso di assorbimento in Finlandia, Estonia, Lituania e Portogallo supera l'80%. La lentezza nell'assorbimento dei fondi nei paesi interessati potrebbe essere dovuta a una serie di motivazioni, non ultima l'incompetenza del-le autorità di gestione, o più in generale della pubblica amministrazione, oppure l'insufficienza di personale. Indipendentemente dalle cause, questo potrebbe voler dire che, non essendo in grado di spendere i fondi a loro disposizione nei tempi concessi, gli Stati membri potreb-bero in parte perderli (ai sensi del disimpegno o regola "n+2"), oppure spenderli in maniera poco efficace nel ten-tativo di rispettare le scadenze temporali assegnate.

Osservando il rapporto tra i tassi di assorbimento e l'indice di efficacia dell'a-zione di governo della Banca mondiale, emerge una possibile connessio-ne tra le due dimensioni (Figura 5.7). In sette Stati membri, l'indice di effica-cia dell'azione di governo e il tasso di assorbimen-to sono entrambi sotto la media (nell'UE–27 la me-dia è del 68%), mentre in 10 Stati entrambi gli indici sono superiori alla media. Allo stesso tempo, Estonia, Lituania e Portogallo han-

15 Inteso come presentazione delle domande di rimborso e ricezione dei pagamenti per le spese effettuate nell'ambito dei programmi finanziati dai Fondi strutturali e dal Fondo di coesione. Queste cifre sono comprensive del pagamento degli acconti.

no i tassi di assorbimento più elevati in assoluto e un tas-so di efficacia inferiore alla media, anche se di pochissimo. Le dimensioni geograficamente limitate e la presenza di un numero ridotto di autorità di gestione potrebbero aver contribuito al raggiungimento di tassi di assorbimento elevati; questi aspetti, però, non sembrano aver inciso in maniera favorevole su Malta o sulla Lettonia.

Molte delle difficoltà legate alla gestione dei programmi finanziati nell'ambito della politica di coesione sono di natura amministrativa e fanno riferimento alla gestione delle risorse umane, ai sistemi gestionali, al coordina-mento tra i diversi organi coinvolti e alla corretta ese-cuzione degli appalti pubblici. Il numero complessivo di addetti coinvolti varia notevolmente da un'autorità di gestione all'altra, con differenze anche nel rapporto tra personale dipendente e risorse estere, e tra personale dedicato o personale solo parzialmente dedicato allo svolgimento di specifiche mansioni (gestione, certifica-zione, rendicontazione e attuazione).

La carenza di personale adeguatamente qualificato può essere un problema sistemico di lungo periodo (come in Bulgaria o Romania, ad esempio) o temporaneo (come nel caso della rendicontazione in Austria). L'elevato tasso di avvicendamento del personale è un problema ricorren-te a tutti i livelli amministrativi, soprattutto in alcuni paesi

RO

SK

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FRUK

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ATIE

DK

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SE

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PT

-1,5

-1,0

-0,5

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40 50 60 70 80 90

Figura 5.7 Assorbimento dei finanziamenti della politica di coesione ed efficacia dell'amministrazione, 2014

1,5

1,0

0,5

0,0

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1,0

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Tasso di assorbimento totale del finanziamento della politica di coesione 2007-2013 al 21/05/14 (%)

Fonte: Banca mondiale e SFC

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

176

dell'UE–12. In diversi paesi, i fondi per l'assistenza tecnica vengono utilizzati per il pagamento di stipendi o addirit-tura incentivi destinati al rafforzamento di determinate aree funzionali (con conseguente lancio di un'indagine da parte della Commissione per far luce sulla questione).

L'adozione di moderni sistemi gestionali per favorire la corretta realizzazione delle attività e la rendicontazione dei risultati da parte dei dirigenti è diffusa in manie-ra frammentaria. In alcuni paesi, i sistemi atti a evitare il conflitto d'interesse o prevenire atti di corruzione da parte dei funzionari pubblici mostrano una certa debo-lezza. I sistemi informatici per il miglioramento dell'effi-cienza e della trasparenza nell'utilizzo dei fondi europei sono ben sviluppati in alcuni paesi ma pressoché assenti in altri. In genere, i sistemi di monitoraggio e controllo finanziario sono ben funzionanti, mentre i sistemi per la verifica degli effetti e dei risultati ottenuti sono meno efficaci, nonostante l'esistenza di svariati esempi di buo-ne prassi potenzialmente utilizzabili anche per l'attuale periodo di programmazione.

Le strategie finalizzate al raggiungimento degli obietti-vi delle politiche dell'UE non sempre sono sviluppate in maniera coerente, a causa delle pressioni politiche. In alcuni paesi, occorre intensificare gli sforzi per rafforza-re sia la fase di programmazione iniziale (criteri di se-lezione, elaborazione dei progetti e organizzazione della fase di gara), sia la fase attuativa (stipula dei contratti e gestione progettuale).

Alcuni Stati membri hanno avuto difficoltà a completare i progetti entro le scadenze di ammissibilità della spe-sa. Un problema diffuso riguarda la ridotta capacità di elaborazione e attuazione di progetti complessi da parte delle amministrazioni locali e regionali; per questo mo-tivo, gli sforzi per costruire le capacità dovranno riguar-dare tutti i livelli della pubblica amministrazione e non solo il livello nazionale.

Le debolezze sistematiche che affliggono il sistema de-gli appalti pubblici costituiscono la causa in assoluto più diffusa di irregolarità riscontrate durante le verifi-che ispettive, che determinano la sospensione dei pa-gamenti e l'applicazione di rettifiche finanziarie. Diversi Stati membri hanno dimostrato una scarsa capacità nel-la corretta applicazione delle direttive sulla valutazione d'impatto ambientale e sulla valutazione ambientale strategica, nonché dei regolamenti sugli aiuti di Stato. I paesi che hanno richiesto un maggior sostegno in tal

senso generalmente sono quelli appartenenti all'UE–12 (e probabilmente anche la Croazia nel nuovo periodo). I problemi più frequenti si verificano soprattutto nel set-tore delle reti ferroviarie, dei rifiuti solidi, delle acque reflue, della RSTI, delle TIC e degli strumenti finanziari.

Possono verificarsi problemi di coordinamento tra i di-versi programmi nazionali orizzontali (o settoriali), ma anche tra programmi regionali e nazionali. Inoltre, la delega di attività a organismi intermedi da parte delle autorità di gestione può diventare eccessivamente com-plessa, facendo diluire le responsabilità.

5.2 Una scarsa governance può ridurre l'effetto leva della politica di coesione

L'utilizzo dei fondi disponibili rappresenta un passo ne-cessario ma non sufficiente per massimizzare l'impatto della politica di coesione. Contano anche altri aspetti, quali l'oggetto specifico della spesa, il rapporto costi–benefici dei progetti interessati e la certezza generale che il progetto verrà completato.

Qui entrano in gioco anche le competenze e le intenzioni dei politici e delle amministrazioni pubbliche regionali e nazionali responsabili della gestione dei fondi. La scar-sità di competenze è un problema superabile tramite la formazione e il reclutamento di ulteriore persona-le, purché ci sia una presa d'atto di questa esigenza16. L'intenzione deliberata da parte di un governo o di un'i-stituzione di perseguire altri scopi che non l'offerta di beni e servizi pubblici necessari alla popolazione è mol-to più difficile da combattere — una situazione definita da Barca (200917) come "appropriazione dello Stato".

Una governance di ottima qualità crea un circolo virtuo-so nel quale la popolazione affida al governo il compito di prendere le giuste decisioni e utilizzare i proventi del prelievo fiscale nella maniera più efficace possibile in termini di costi–benefici, favorendo così un'ampia par-tecipazione alle procedure di appalto pubblico con con-seguente calo dei prezzi, e incoraggiando gli investitori privati a tenere conto delle politiche pubbliche18.

16 Rodríguez–Pose, A. e Storper, M. (2006).

17 Barca, F. (2009).

18 Acemoglu, D. e Robinson, J. (2012).

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Capitolo 5: L'importanza di una buona governance per lo sviluppo sociale ed economico

177

Una governance di scarsa qualità, al contrario, crea un circolo vizioso contrassegnato dal calo della fiducia nel-le istituzioni, dalla diffusione dell'evasione fiscale, dalla mancata denuncia dei casi di corruzione, dall'astensio-ne delle aziende alla partecipazione ai bandi pubblici per la convinzione che l'aggiudicazione dei contratti sia subordinata alle giuste conoscenze o al pagamento di tangenti, e infine dall'incertezza degli investimenti per l'imprevedibilità delle politiche pubbliche. Il più delle volte un tale circolo vizioso si può interrompere solo al verificarsi di uno shock dall'esterno, o con l'intervento di un soggetto esterno a supporto delle forze locali impe-gnate nel miglioramento della qualità istituzionale.

Un recente studio empirico19 evidenzia il ruolo fonda-mentale della qualità delle istituzioni, sia come fattore determinante della crescita economica sia come garan-te dell'efficienza della spesa a titolo della politica di co-esione. Secondo i risultati di questa ricerca, il migliora-mento della governance nelle regioni in via di sviluppo è una condizione essenziale per aumentare l'impatto della politica di coesione (si veda il Riquadro). Coerentemente, il nuovo periodo di programmazione attribuisce una maggiore importanza al miglioramento della capacità

19 Rodriguez–Pose, A. e Garcilazo, E. (2013).

di gestione dei fondi da parte delle istituzioni, al punto da includere tale capacità fra i requisiti necessari per l'accesso al sostegno finanziario.

6. Conclusioni

La facilità di fare impresa, il grado di corruzione e la qualità dell'azione di governo sono presenti a livelli di-versi nei Stati membri e nelle regioni dell'UE. Questo limita la crescita potenziale dei paesi in cui la gover-nance è inferiore alla media, ostacolando il corretto funzionamento del mercato unico. Molti cittadini dell'UE sono seriamente preoccupati per la diffusione della cor-ruzione anche nei paesi ritenuti più virtuosi per quanto riguarda la lotta alla corruzione e all'abuso d'ufficio.

Un'ampia gamma di indicatori suggerisce che in diver-si Stati membri (nell'UE–15 ma anche nell'UE–13) e in diverse regioni, soprattutto in quelle meno sviluppate, il sistema di governance è di bassa qualità, il che osta-cola lo sviluppo sociale ed economico e limita l'impatto della politica di coesione. La dimensione regionale del-la governance sta aumentando di importanza in molte aree dell'UE, alla luce del fatto che le amministrazioni interessate stanno acquisendo sempre più autonomia e responsabilità sotto il profilo della spesa pubblica. I prin-cipi sull'efficacia degli investimenti sviluppati dall'OCSE a dimostrazione del ruolo cruciale svolto in questo ambito dalle amministrazioni locali e regionali, indicano come il maggiore impatto derivi dalla spesa per investimenti.

La Commissione, assieme all'OCSE e altre organizzazio-ne internazionali, hanno riconosciuto l'importanza di mi-gliorare la governance a tutti i livelli all'interno dell'UE; a tal fine, hanno quindi adottato una serie di misure riguardanti più fronti, quali la nuova relazione anticor-ruzione e una maggiore attenzione alla questione nell'a-nalisi annuale sulla crescita e nella politica di coesione per il nuovo periodo (si veda il prossimo capitolo).

La qualità dell'azione di governo come elemento determinante per l'efficacia della politica di coesione

In un recente studio condotto da Rodriguez–Pose e Garcilazzo (2014), è stata analizzata la cresci-ta del PIL reale tra il 1995 e il 2006 nelle regioni dell'UE–15 con l'ausilio di un modello econometrico che utilizza dati panel. Lo scopo era individuare i fattori determinanti e di valutare il ruolo della spe-sa della politica di coesione, la qualità delle istitu-zioni e l'interazione tra le due dimensioni. I risultati suggeriscono che la spesa ha inciso notevolmente sulla crescita del PIL pro capite; nelle regioni che hanno ricevuto quote consistenti di finanziamenti (soprattutto le regioni meno sviluppate), più alta è la qualità delle istituzioni, maggiore è l'impatto prodotto.

Essi suggeriscono anche che la scarsa qualità delle istituzioni costituisce un ostacolo non superabile in-crementando la spesa, e che il miglioramento della qualità delle istituzioni è indispensabile per assicu-rare la piena efficacia della politica di coesione.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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179

Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

1. Introduzione

Anche se l'origine delle politiche comunitarie volte a contrastare le disparità regionali può essere fatta risa-lire al trattato di Roma, la politica di coesione è stata introdotta per davvero solo nel 1989. Negli anni pre-cedenti, i fondi comunitari con un impatto regionale, ad esempio il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR), il Fondo sociale europeo (FSE) e il Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG), serviva-no per finanziare specifici progetti nazionali con scarsa rilevanza europea o subnazionale. Negli anni Ottanta, una serie di eventi, fra cui in particolare l'Atto unico eu-ropeo, l'ingresso nell'UE di Grecia, Spagna e Portogallo e l'adozione del programma per il mercato unico, hanno innescato un cambiamento a livello politico. Esso è sfo-ciato nel 1988 nell'emanazione del primo regolamento che inseriva i Fondi strutturali all'interno di una politi-ca comune finalizzata al rafforzamento della coesione economica e sociale. Contemporaneamente sono stati introdotti alcuni principi chiave, come la concentrazione delle risorse nelle zone più povere dell'UE, la program-mazione strategica degli investimenti e il coinvolgimen-to dei partner locali e regionali. Questo processo ha an-che portato a un aumento significativo dei fondi per il periodo 1989–1993 rispetto al passato.

Il trattato di Maastricht entrato in vigore nel 1993 ha istituito un nuovo strumento, il Fondo di coesione. Il rego-lamento sulla politica di coesione adottato per il periodo 1994–1999, compreso anche lo Strumento finanziario di orientamento della pesca, includeva i principi chiave della concentrazione delle risorse, la programmazione pluriannuale e l'addizionalità dei finanziamenti dell'UE. Rafforzava poi le norme in materia di partenariato e va-lutazione. I finanziamenti stanziati a titolo della politica di coesione sono stati raddoppiati fino a coprire un terzo del bilancio dell'UE.

Il periodo 2000–2006 è stato inaugurato con l'adozione da parte degli Stati membri della "strategia di Lisbona" (marzo 2000), incentrata sui temi della crescita, occu-pazione e competitività; essi sono così divenuti il tema chiave di numerose politiche dell'UE, innescando un'e-

voluzione della politica di coesione verso un maggior ri-lievo all'innovazione. Il periodo è stato anche contrasse-gnato dal più grande allargamento della storia dell'UE, con l'ingresso di 10 nuovi Stati membri nel 2004. Essi hanno aumentato del 20% la popolazione dell'UE, ma il PIL solo del 5%. L'allargamento ha quindi aumentato le disparità a livello di reddito e occupazione all'interno dell'UE, poiché il PIL pro capite nei nuovi paesi in termini di SPA era inferiore alla metà della media esistente, e solo il 56% della popolazione in età lavorativa era occu-pata, contro il 64% negli Stati membri esistenti.

Con l'ingresso di Bulgaria e Romania, il periodo 2007–2013 è stato contrassegnato dalla più alta concentra-zione mai vista di finanziamenti a titolo della politica di coesione (l'81,5% del totale) negli Stati membri e nelle regioni a maggior povertà. In linea con l'agenda "Crescita e occupazione" lanciata nel 2005, un quarto delle risorse finanziarie è stato destinato alla ricerca e all'innovazione, mentre circa il 30% alle infrastrutture ambientali e alle misure per fronteggiare il cambiamen-to climatico. Altri importanti cambiamenti introdotti per rendere più efficiente e sostenibile la politica di coesione comprendevano la promozione di strumenti di ingegne-ria finanziaria e l'istituzione di strutture di assistenza tecnica per supportare gli Stati membri nell'elaborazio-ne di progetti complessi di elevata qualità.

Questo capitolo passa in rassegna l'evoluzione della po-litica di coesione dal 1989 al 2013. La prima sezione descrive i cambiamenti sotto il profilo dei finanziamenti e della geografia della politica di coesione. La seconda sezione descrive l'evoluzione delle finalità della politica nel tempo e le considerazioni economiche alla base di tali finalità.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

180

2. La geografia si è semplificata di pari passo con l'incremento dei finanziamenti

2.1 La spesa per la politica di coesione è aumentata in rapporto all'RNL

La politica di coesione assorbe una quota relativamen-te bassa del reddito nazionale lordo (RNL) dell'UE, rag-giungendo la punta dello 0,36% nel 2012. Eppure negli ultimi due decenni la politica di coesione è diventata la principale fonte di finanziamento europeo dell'agenda politica dell'Unione. Allo stesso tempo, l'ingresso degli Stati membri meno sviluppati e l'aggravarsi delle dispa-rità regionali hanno aumentato la sfide da affrontare.

La suddivisione tra i tre fondi (FESR, FSE e Fondo di coe-sione) destinati al finanziamento della politica di coesio-ne è legata soprattutto alle esigenze di investimento del-le regioni e dei Paesi meno sviluppati. Negli anni Settanta e all'inizio degli anni Ottanta, prima dell'introduzione del Fondo di coesione, la spesa complessiva non era molto elevata e veniva ripartita più o meno uniformemente tra l'FSE e il FESR (Figura 6.1). Con l'ingresso della Grecia, della Spagna e del Portogallo, l'esigenza di potenziare gli investimenti nelle infrastrutture ha portato a un incre-mento dell'importo specifico stanziato a titolo del FESR.

Negli anni Novanta è stato introdotto il Fondo di coe-sione con l'obiettivo di aumentare il sostegno agli inve-stimenti nelle infrastrutture ambientali e di trasporto

1,2 1,8

FESR FC

Figura 6.2 Spesa per la politica di coesione, 1990–1999

FSE

UE–12/UE–15

Danimarca

Paesi Bassi

Svezia*

Lussemburgo

Austria*

Germania

Belgio

Francia

Finlandia*

UK

Italia

Spagna

Grecia

Irlanda

Portogallo

0,6 2,42,11,50,90,30

% del reddito nazionale lordo (RNL)

* dal 1995 in poiFonte: DG BUDG, AMECO e calcoli della DG REGIO

0 30

1976

1981

1986

1995

2004

2007

2012

FC FESR

UE–9

Figura 6.1 Spesa per la politica di coesione, 1976–2012

% del reddito nazionale lordo (RNL) FSE0,40

0,35

0,30

0,25

0,20

0,15

0,10

0,05

0,00

UE–27UE–25UE–15UE–12UE–10

Fonte: DG BUDG, AMECO e calcoli della DG REGIO

0,00

0,05

0,10

0,15

0,20

0,25

0,35

0,40

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

181

nei paesi a basso RNL. Fino al 2006, l'importo si aggi-rava approssimativamente attorno allo 0,03% dell'RNL dell'UE. Tra il 2007 e il 2012, la spesa finanziata a titolo del Fondo di coesione è raddoppiata in rapporto all'RNL, a seguito degli allargamenti del 2004 e del 2007 e all'ingresso nell'UE di 12 paesi con un livello infrastrut-turale estremamente insufficiente.

La politica di coesione negli anni Novanta

Negli anni Novanta, la spesa per la politica di coesione in rapporto all'RNL è aumentata del 150%, in partico-lar modo negli Stati membri meno sviluppati: dall'1% al 2,3% dell'RNL in Portogallo, dall'1% all'1,8% dell'RNL in Irlanda, dallo 0,6% all'1,7% in Grecia e dallo 0,3% allo

0,9% in Spagna (si veda la Figura 6.2). I finanziamenti ricevuti dagli altri Stati membri durante gli anni Novanta erano compresi tra lo 0,05% e lo 0,2% del rispettivo RNL.

La politica di coesione dal 2000

La spesa per la politica di coesione tra il 2000 e il 2006 (Figura 6.3) è rimasta relativamente elevata in Portogallo (1,8% dell'RNL), Grecia (1,4%) e Spagna (0,9%). Nei 10 Stati membri entrati nell'Unione nel 2004, a causa del poco tempo a disposizione per ef-fettuare la spesa a titolo della politica di coesione pri-ma della fine del periodo, l'importo era compreso tra lo 0,2% e lo 0,6% dell'RNL, con l'eccezione di Cipro (0,1% dell'RNL).

0,3 0,6 0,9

FESR FC

Figura 6.3 Spesa per la politica di coesione, 2000–2006

UE–15/UE–25

Danimarca

Lussemburgo

Paesi Bassi

Cipro*

Belgio

Svezia

Austria

Francia

UK

Germania

Finlandia

Malta*

Slovenia*

Repubblica ceca*

Italia

Slovacchia*

Ungheria*

Polonia*

Irlanda

Lettonia*

Estonia*

Lituania*

Spagna

Grecia

Portogallo

0,0 1,2 1,5 1,8 2,1% del reddito nazionale lordo (RNL)

* dal 2004 in poi

Fonte: DG BUDG, AMECO e calcoli della DG REGIO

FSE

Lituania

Estonia

Lettonia

Ungheria

Polonia

Portogallo

Grecia

Slovacchia

Repubblica ceca

Bulgaria

Slovenia

Malta

Romania

Spagna

Cipro

Italia

Germania

Finlandia

Irlanda

Francia

Belgio

UK

Lussemburgo

Austria

Svezia

Paesi Bassi

Danimarca

UE–27

FSE FESR FC

% del reddito nazionale lordo (RNL)

Fonte: DG BUDG, AMECO e calcoli della DG REGIO

0,0 0,3 0,6 0,9 1,2 1,5 1,8 2,1 2,4 2,7 3,0

Figura 6.4 Spesa per la politica di coesione, 2007–2012

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

182

La spesa per la politica di coesione per il periodo 2007–2012 è aumentata in rapporto all'RNL, anche perché i fondi per il periodo 2000–2006 sono stati ampiamente spesi nel triennio 2007–2009, sommandosi alla spesa realizzata con i finanziamenti del periodo 2007–2013 (Figura 6.4). In questo periodo, la spesa nei tre Stati baltici mediamente ammontava al 2,5–3% del proprio RNL annuo, in Ungheria al 2,3% dell'RNL e in Polonia al 2,1%, più alta che in qualsiasi altro Stato membro nel periodo 2000–2006.

La spesa a titolo della politica di coesione è aumenta-ta leggermente in Portogallo, toccando l'1,9% dell'RNL annuo, e in Grecia, arrivando all'1,6%, mentre a Malta, in Slovenia, Bulgaria, Repubblica ceca e Slovacchia, la spesa variava tra l'1% e l'1,5% dell'RNL.

I paesi dell'UE–15, con l'eccezione di Portogallo, Grecia e Spagna, hanno ricevuto una quota compresa tra lo 0,03% e lo 0,2% del proprio RNL annuo.

2.2 La geografia della politica di coesione si è semplificata tra il 1989 e il 2013

A partire dal 1989, le regioni sono state raggruppate in categorie distinte per obiettivi strategici ed entità dei fondi ricevuti. Da quel momento è stato possibile osservare tre distinte tendenze: 1) la continuità nell'e-rogazione dei fondi; 2) il restringimento delle categorie regionali; 3) il passaggio a un'organizzazione geografica più semplice.

Continuità

Si è verificata continuità nella modalità di definizione delle regioni che beneficiano dei finanziamenti più con-sistenti. Esse sono state classificate come regioni di ca-tegoria "Obiettivo 1" fino al 2006, "Convergenza" fino al 2013 e "Meno sviluppate" dal 2014 in avanti; in ognuno di questi casi, tuttavia, si tratta delle regioni con un PIL pro capite in termini di SPA inferiore al 75% della media UE. Le regioni in questione, coerentemente classifica-te in quasi tutti i casi come regioni di livello NUTS 2, costituiscono un insieme di entità amministrative e statistiche pure, e in quanto tali non necessariamente corrispondenti a mercati del lavoro funzionanti, ad aree economiche funzionali o a giurisdizioni politiche.

La popolazione appartenente alla categoria interessata si è modificata nel corso dei cinque periodi di program-mazione (Tabella 6.1). Nei primi due periodi, il 25% del-la popolazione UE viveva nelle regioni dell'Obiettivo 1. L'allargamento del 2004 ha innalzato la quota al 34%. Poi la convergenza del PIL pro capite verso la media UE di alcune delle regioni interessate ha abbassato la quota al 32% nel periodo 2007–2013, nonostante l'in-gresso della Romania e della Bulgaria e l'assegnazione dei finanziamenti anche a questi paesi. La continuazione del processo di convergenza ha determinato un'ulteriore flessione della quota fino al 25% per il periodo 2014–2020, tornando ai valori di 25 anni fa.

Tabella 6.1 Popolazione per categoria di regione, 1989–2020

% della popolazione dell'UE1989–1993

1994–1999

2000–2006

2007–2013

2014–2020

Obiettivo 1 (1989–2006) – Convergenza (2007–2013) – Regioni meno sviluppate (2014–2020)

25,4 24,6 34,1 31,7 25,4

Obiettivo 6 0,4Regioni in transizione 0,3 2,9 7,3 13,5Obiettivi 2 (1989–2006) — 5b (1989–1999) 21,7 25,0 15,2Obiettivi 3 (1989–2006) — 4 (1989–1999) 74,6 75,0 63,0Competitività regionale e occupazione (2007–2013)

61,0 61,0Regioni più sviluppate (2014–2020)Fondo di coesione* 16,9 30,9 34,3 25,8Popolazione di UE–12 UE–15 UE–25 UE–27 UE–28*Nel periodo 2007–2013, gli aiuti alla Spagna sono stati assegnati nell'ambito del regime di transizione. La quota di popolazione esclusa la Spagna era del 25,1%. Fonte: DG REGIO

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

183

Riduzione delle categorie di regioni

Dal 1989 le categorie di regioni sono diminuite, pas-sando da cinque nel periodo 1989–1993, a sette nel periodo 1994–1999, infine a tre nei periodi 2007–2013 e 2014–2020 (si vedano il Riquadro e la Carta 6.1). Nel periodo 1989–1993, vi erano tre categorie specifica-mente rivolte alla diminuzione delle disparità regionali: l'Obiettivo 1 per assistere le regioni meno sviluppate, l'Obiettivo 2 per sostenere la riconversione economica e sociale delle zone che versano in difficoltà strutturali e l'Obiettivo 5b per contribuire allo sviluppo delle zone rurali. Le ultime due categorie erano sovrapponibili e generalmente comprendevano aree molto meno estese rispetto alle regioni NUTS 2, ritenute le più problemati-

che. Le altre due categorie comprendevano le restanti regioni UE non inserite nell'Obiettivo 2: Obiettivo 3 con-tro la disoccupazione di lunga durata e Obiettivo 4 per l'inserimento lavorativo dei giovani.

Queste categorie sono rimaste in vigore per il periodo 1994–1999, quando l'allargamento dell'UE ad Austria, Svezia e Finlandia nel 1995 è sfociato nella creazione di una nuova categoria specificamente rivolta al supporto agli ultimi due paesi citati: Obiettivo 6 a favore delle regioni con scarsissima densità di popolazione. Inoltre è stata creata per l'Abruzzo la prima categoria "In transi-zione", al fine di predisporre una misura di supporto per attenuare gli effetti economici della fuoriuscita dall'o-biettivo 1 e della revoca dei relativi finanziamenti.

Gli obiettivi della politica di coesione, 1989–2020

Obiettivo 1989–1993 1994–1999 2000–2006 2007–2013 2014–2020

1 Sviluppo e adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo

Convergenza Meno sviluppate

Ex 1 1994–1996 Abruzzo

Regime phasing–out Obiettivo 1

Regime phasing–out e –in

Transizione

5b Promozione dello sviluppo rurale

Sviluppo e adeguamento strutturale delle zone rurali1

Obiettivo 2: riconversione economica e sociale delle zone che versano in difficoltà strutturali

Competitività regionale e occupazione

Più sviluppate

2 Riconversione di regioni, regioni frontaliere o parti di regioni gravemente colpite dal declino industriale

Riconversione di regioni o parti di regioni gravemente colpite dal declino industriale

3 Lotta alla disoccupazione i lunga durata

Lotta alla disoccupazione di lunga durata e facilitazione dell’inserimento professionale

Obiettivo 3 Politiche dei sistemi d'istruzione, formazione e occupazione

4 Inserimento professionale dei giovani

Adattamento della forza lavoro ai cambiamenti industriali

6 Sviluppo e adeguamento strutturale di regioni a scarsissima densità di popolazione

Appartenente all'Obiettivo 1

Numero di categorie 2

5 7 4 3 3

1 A partire dall'anno 2000, i contributi per lo sviluppo rurale vengono in parte finanziati dal secondo pilastro della politica agricola comune, al di fuori dei programmi della politica di coesione 2 Non comprendono le Iniziative comunitarie o l'obiettivo di Cooperazione territoriale

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

184

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

185

Nel periodo 2000–2006, l'Obiettivo 5b è confluito nell'Obiettivo 2, il cui scopo generale era di sostenere la riconversione economica e sociale di zone anche in questo caso tipicamente molto meno estese rispetto alle regioni NUTS 2 colpite da problemi strutturali molto urgenti, di qualsiasi natura essi siano. Allo stesso tempo, la categoria delle regioni in transizione è stata estesa per supportare le regioni in regime di "phasing–out", de-stinatarie di finanziamenti a titolo dell'Obiettivo 1 nel precedente periodo ma il cui PIL pro capite era aumen-tato superando la soglia del 75%. Gli Obiettivi 3 e 4 sono stati unificati, continuando a comprendere tutte le regioni non comprese nell'Obiettivo 1.

Nel periodo 2007–2013, l'Obiettivo 1 è stato rinominato "Convergenza", mentre gli Obiettivi 2 e 3 sono stati uni-ficati sotto il cappello "Competitività regionale e occu-pazione". La categoria Transizione è stata allargata fino a comprendere le regioni in regime di "phasing–in" e di "phasing–out", le une con un PIL pro capite superiore al 75% della media dell'UE–15, le altre con un PIL inferiore al 75% della media dell'UE–15 ma superiore al 75% della nuova media dell'UE–27 derivante dall'ingresso dei 12 paesi dell'Europa centro–orientale. I finanzia-menti assegnati a questi ultimi paesi, benché inferiori rispetto a quelli destinati alle regioni di convergenza, erano comunque più consistenti di quelli a disposizione delle regioni dell'obiettivo di competitività regionale e occupazione.

Per il periodo di programmazione in corso 2014–2020, sono rimaste tre categorie ciascuna con una nuova denominazione: "Regioni meno sviluppate", "Regioni in transizione", "Regioni più sviluppate". La categoria delle regioni in transizione include tutte le regioni con un PIL pro capite compreso tra il 75% e il 90% del-la media dell'UE–27; i finanziamenti più consistenti sono tuttavia assegnati alle regioni appartenenti alla categoria Convergenza nel precedente periodo di pro-grammazione.

Il passaggio a un'organizzazione geografica più semplice

Con l'allargamento del 2004, l'incidenza della popola-zione UE nelle regioni ora denominate "meno sviluppa-te" è aumentata dal 25% della popolazione dell'UE–15 al 34% della popolazione dell'UE–25. Nonostante l'in-gresso della Romania e della Bulgaria nel 2007 e del-la Croazia nel 2013, la convergenza del PIL pro capite

verso la media UE ha determinato in molte regioni una diminuzione della popolazione nelle regioni rimaste con un PIL pro capite inferiore alla soglia del 75%, nel 2007 al 32% dell'UE–27 e nel 2014 al 25% dell'UE–28.

Nell'ambito dell'Obiettivo 2 (o Obiettivo 5b fino al 1999), come già sottolineato, l'approccio era di concentrare gli aiuti nelle zone con le maggiori urgenze, spesso localiz-zate in aree molto poco estese, a volte addirittura parti di uno stesso comune. Una tale "microzonizzazione" era spesso di ostacolo alla progettazione e attuazione dei programmi, in quanto i problemi di sviluppo che affligge-vano l'area in questione in molti casi andavano effettiva-mente affrontati tramite investimenti anche nei territori limitrofi e non solo nella zona ammessa a beneficiare degli aiuti. Così nel 2007 la microzonizzazione è stata sospesa a favore di una nuova categoria, "Competitività regionale e occupazione", creata per comprendere tutte le regioni tranne le regioni di convergenza e le regioni in transizione. Questa classificazione è rimasta anche per il periodo 2014–2020, salvo la modifica alle denomina-zioni delle categorie.

Cooperazione macroregionale

Le strategie macroregionali costituiscono una nuova modalità per sostenere la cooperazione territoriale tramite l'elaborazione di una risposta congiunta alle sfide ambientali, economiche o ine-renti la sicurezza in una determinata area. Per il perseguimento di questi obiettivi non sono previsti stanziamenti di ulteriori fondi dell'UE, ma l'eroga-zione di supporto tramite i programmi della politica di coesione.

A oggi sono state concordate due strategie macro-regionali, una per la regione del Mar Baltico (adotta-ta nel 2009) riguardante i temi dell'ambiente, dello sviluppo economico, dell'accessibilità e della sicu-rezza, e l'altra per la regione del Danubio (adottata nel 2011), incentrata sui temi della connettività, dell'ambiente, della prosperità e del potenziamento delle capacità. Nella regione del Mar Baltico vi sono oltre 100 progetti pilota, mentre nella regione del Danubio 150 progetti sono in corso di attuazione (per una spesa pari a 49 miliardi di euro), sui 400 in fase di valutazione.

Il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a presentare una strategia dell'UE per la macroregio-ne dell'Adriatico e dello Ionio entro la fine del 2014.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

186

Nel periodo 1994–1999, il Fondo di coesione compren-deva Irlanda, Spagna, Portogallo e Grecia, pari al 17% della popolazione dell'UE–15. Nel periodo successivo questi quattro paesi sono rimasti ammissibili, salvo la revoca del sostegno all'Irlanda nel 2003 in ragione dell'aumento dell'RNL oltre la soglia del 90% per effet-to della crescita. Anche i 10 paesi entrati nell'UE nel 2004 sono stati considerati ammissibili al sostegno, innalzando l'incidenza della copertura al 31% della po-

polazione del'UE–25. Nel periodo 2007–2013, l'ingres-so della Romania e della Bulgaria ha aumentato l'inci-denza della popolazione coinvolta al 34% sul totale dell'UE–27, salvo la revoca del sostegno alla Spagna per l'incremento del rispettivo RNL. Nel periodo 2014–2020, la copertura del Fondo di coesione riguarda la Grecia, il Portogallo e tutti i 13 paesi entrati a far parte dell'UE dal 2004, pari a un 26% della popolazione dell'UE–28.

Programmi di cooperazione territoriale iniziati nel 1989 con INTERREG

INTERREG I (1990–1993)

L'iniziativa INTERREG è stata lanciata nel 1990 con l'in-tento di contribuire ad affrontare gli inconvenienti cau-sati dalle frontiere nazionali che separano le regioni di confine dal nuovo mercato unico europeo Essa era in-centrata specificamente sulla cooperazione transfron-taliera con uno stanziamento pari a 1,6 miliardi di euro (prezzi 2011), poco più del 2% del finanziamento com-plessivo previsto per la politica di coesione. Con i suoi 31 programmi operativi indirizzati alle regioni fron-taliere, interne ed esterne, ha sostenuto più di 2 500 progetti.

INTERREG II (1994–1999)

Con uno stanziamento più consistente pari a 4,9 miliar-di (sempre prezzi del 2011), l'iniziativa INTERREG II, at-tiva dal 1994 al 1999, ha esteso l'ambito di intervento alla cooperazione territoriale. Il numero di programmi transfrontalieri è quasi raddoppiato, passando da 31 a 59 a seguito dell'ingresso nell'UE di Austria, Finlandia e Svezia nel 1995 e della creazione di uno strumento ad hoc per la cooperazione tra regioni situate lungo i confini esterni. Inoltre sono stati ampliati per inclu-dere gli aiuti in materia di istruzione, salute, servizi di comunicazione e formazione linguistica. Si è altresì aggiunta l'asse sulla transnazionalità per promuovere

la cooperazione tra grandi gruppi di territori confinanti, nonché lo scambio di informazioni e la condivisione di esperienze tra le regioni dei diversi paesi interessati.

INTERREG III (2000–2006)

Nel periodo 2000–2006 si è assistito a un ulteriore al-largamento dell'UE e a un incremento nel numero delle regioni frontaliere. Lo stanziamento a valere sull'ini-ziativa INTERREG III è stato innalzato a 6,2 miliardi di euro, con un incremento pari a 890 milioni di euro del Fondo per la cooperazione transnazionale e una ridu-zione del Fondo per la cooperazione transfrontaliera (di 150 milioni di euro).

Cooperazione territoriale (2007–2013 e 2014–2020)

Nel periodo 2007–2013, la cooperazione territoriale ri-entra fra gli obiettivi della politica di coesione con uno stanziamento pari a 8,9 miliardi di euro, ossia il 2,5 % del totale, comprensiva anche del sostegno allo stru-mento di assistenza preadesione (IPA) e allo strumento europeo di vicinato e partenariato (ENPI).

Per il periodo 2014–2020, la dotazione finanziaria è stata mantenuta uguale in termini reali, nonostante una leggera flessione nel pacchetto finanziario com-plessivo stanziato per la politica di coesione.

Tabella 6.2 Finanziamenti per la cooperazione territoriale, 1989–2020

in miliardi di euro, prezzi costanti 2011

1989–1993* 1994–1999 2000–2006 2007–2013 2014–2020

Cooperazione transfrontaliera 1,64 3,64 3,90 6,60 6,62Cooperazione transnazionale 0,71 1,60 1,80 1,82Cooperazione interregionale 0,55 0,40 0,45 0,50Totale 1,64 4,90 6,20 8,88 8,94Quota dei finanziamenti della politica di coesione (%)

2,2 2,1 1,9 2,5 2 8

* Periodo di riferimento: 1990–1993 Fonte: Relazioni annuali sui Fondi strutturali, valutazione ex–post di INTERREG e SFC

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

187

2.3 I finanziamenti rimangono concentrati nelle regioni meno sviluppate

Dal 1989 in poi, il bilancio dell'UE ha assunto una dimen-sione pluriennale. Questo ha favorito l'adozione di una prospettiva a lungo termine per i programmi finanziati nell'ambito della politica di coesione. Il primo periodo aveva una durata di cinque anni (1989–1993), il secondo sei (1994–1999), dal terzo in poi sette. La maggior parte dei finanziamenti era coerentemente destinata alle re-gioni meno sviluppate (Tabella 6.3). Includendo anche il Fondo di coesione, la quota assegnata a queste regioni è rimasta quasi invariata dal 1989 in poi, passando dal 76% nel periodo 1989–19941 al 73% nel periodo 2014–2020, raggiungendo un picco solo negli anni 2007–2013 con una quota leggermente superiore all'80%.

L'intensità degli aiuti nelle regioni meno sviluppate (ov-vero il rapporto tra i finanziamenti erogati e la popola-

1 I dati sulla distribuzione dei finanziamenti per tipologia di regione non sono disponibili per il periodo anteriore al 1989, in quanto fino a quell'anno le categorie di regioni non esistevano.

zione della categoria interessata) è iniziata con un im-porto di 110 euro a persona (prezzi costanti del 2011), successivamente aumentata a 259 euro nell'UE–15 nel periodo 2000–2006, diminuita a 188 euro nel periodo 2007–2013 e ulteriormente scesa a 180 euro a perso-na per il periodo 2014–2020 (Tabella 6.4).

L'intensità degli aiuti per il Fondo di coesione si attesta-va a 54 euro a persona (prezzi 2011), quando è stato introdotto per la prima volta nel periodo 1994–1999. Con l'allargamento del 2004, è scesa sotto i 50 euro, per salire a 60 euro nel periodo 2007–2013 e a 62 euro a persona per il periodo 2014–2020.

L'intensità degli aiuti nelle regioni in transizione era ini-zialmente molto bassa, 49 euro a persona nel periodo 1994–1999 (quando riguardava solo l'Abruzzo), per sa-lire a 101 euro nel periodo 2007–2013 e scendere a 66 euro a persona nel periodo 2014–2020.

L'intensità degli aiuti nelle regioni più sviluppate per il periodo 2014–2020, analogamente al periodo prece-

Tabella 6.3 Distribuzione dei finanziamenti tra categorie di regioni, 1989–2020

% 1989–1993 1994–1999 2000–2004 2004–2006 2007–2013 2014–2020

Meno sviluppate 73,2 61,6 63,6 63,2 59,0 53,5Transizione 0,0 0,2 2,6 2,0 7,5 10,8Più sviluppate 23,6 27,4 24,3 19,1 12,9 16,5Fondo di coesione 3,1 10,8 9,4 15,7 20,7 19,2Meno sviluppate e Fondo di coesione

76,4 72,4 73,1 78,9 79,7 72,8

Totale 100 100 100 100 100 100UE UE–12 UE–15 UE–15 UE–25 UE–27 UE–28Fonte: Relazioni annuali sui Fondi strutturali, SFC e calcoli della DG REGIO.

Tabella 6.4 Intensità degli aiuti annua per categoria di regione, 1989–2020

Euro pro capite prezzi costanti 2011 1989–1993 1994–1999 2000–2004 2004–2006 2007–2013 2014–2020

Meno sviluppate* 110 210 259 179 188 180Transizione 49 67 67 101 66Più sviluppate 13 32 29 29 21 22Fondo di coesione*** 36 54 48 49 60 62Totale ** 42 86 89 83 100 84UE UE–12 UE–15 UE–15 UE–25 UE–27 UE–28* FESR+FSE** FESR+FSE+FC*** Nel periodo 2007–2013, gli aiuti alla Spagna sono stati assegnati nell'ambito del regime di transizione. L'intensità degli aiuti esclusa la Spagna è pari a 76 euro. Fonte: Relazioni annuali sui Fondi strutturali, SFC e calcoli della DG REGIO. Deflatore fisso del 2%

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

188

dente, è leggermente superiore a 20 euro a persona, contro i 30 euro dei periodi 1994–1999 e 2000–20062.

2.4 I Fondi strutturali e di investimento europei e la politica di coesione

Lo stanziamento previsto per i cinque fondi SIE è au-mentato dal periodo 1989–1993 con l'allargamento dell'UE e l'ampliamento delle tematiche oggetto dei fondi SIE, passando da 75 miliardi di euro a 460 miliardi di euro per il periodo 2007–2013 (Tabella 6.5).

Per il periodo 2014–2020, il totale stanziato è sceso a 400 miliardi di euro. L'importo complessivo e la ripar-tizione tra i singoli fondi può ancora variare, in quanto gli Stati membri hanno la facoltà di trasferire fondi dal primo pilastro della politica agricola comune (PAC) al Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) o viceversa, e dal FESR all'FSE, a seconda delle rispettive esigenze e priorità di investimento.

La modalità di coordina-mento di questo finan-ziamento si è evoluta nel tempo. Fino al periodo 2000–2006, i finanzia-menti a titolo del FEASR e del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) sono stati spesso combinati con il FESR e l'F-SE per costituire un unico programma. Nel periodo 2007–2013, il FEASR e il FEAMP hanno finanziato programmi separati per la promozione dello sviluppo ri-spettivamente delle zone rurali e dello zone dipendenti dalla pesca.

Nel nuovo periodo di programmazione, i Fondi strutturali e di investimento sono stati nuovamente riuniti sotto lo stesso "ombrello". Gli accordi di partenariato coprono tutti i fondi SIE, mentre l'adozione di norme comuni favorisce un maggior coordinamento a livello di attuazione.

2 L'intensità degli aiuti delle regioni più sviluppate comprende gli Obiettivi 2 e 3 negli anni 2000–2006 e gli Obiettivi 2, 3, 4 e 5b negli anni 1994–1999. Poiché gli Obiettivi 2 e 5b erano geograficamente più concentrati, le intensità degli aiuti nelle zone ammesse al sostegno erano molto più alte rispetto ai valori riportati nella presente relazione.

La politica agricola comune (PAC) e lo sviluppo rurale

La prima generazione di attività finalizzate allo sviluppo rurale nell'ambito della politica agricola comune (PAC) è stata introdotta negli anni Settanta sotto forma di misu-re di sostegno ai cambiamenti strutturali nell'agricoltura e di aiuti al mantenimento delle attività agricole nelle zone soggette a vincoli naturali. Sono seguite ulteriore misure, fra cui gli incentivi all'insediamento dei giovani agricoltori e il supporto agli investimenti nella trasfor-mazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.

All'inizio degli anni Novanta, nella politica sono state ri-comprese anche attività non prettamente agricole ma sempre orientate territorialmente e legate in maniera evidente allo sviluppo sociale ed economico delle zone rurali, nell'ottica di consentire agli agricoltori una diversi-ficazione delle proprie attività. L'introduzione dell'inizia-tiva LEADER, volta all'attuazione di strategie di sviluppo

locale mediante un approccio dal basso ("bottom–up"), è stata integrata dall'adozione di misure finalizzate alla conservazione del patrimonio culturale e naturale e al miglioramento delle infrastrutture locali e dei servizi es-senziali nelle zone rurali.

Con la riforma dall'Agenda 2000, è stata istituita la po-litica di sviluppo rurale nell'ambito del secondo pilastro della PAC con l'obiettivo di contribuire allo sviluppo eco-nomico, sociale e culturale delle zone rurali dell'UE.

Per il periodo 2007–2013, è stato introdotto un approc-cio più strategico rispetto ai programmi di sviluppo rura-le. Lo stanziamento per lo sviluppo rurale ammontava a 96,3 miliardi di euro, comprensivo degli importi trasferiti

Tabella 6.5 Ripartizione per Fondo, 1989–2020

miliardi di euro, prezzi 2011

FSE FESR FC FEASR FEAMP Totale

1989–1993 24 39 2,2 10 751994–1999 67 119 20 35 4,1 2452000–2006 79 150 32 45 4,6 3112007–2013 78 205 71 102 4,4 4602014–2020 71 181 56 85 6,6 400I Fondi sono identificati utilizzando le rispettive denominazioni correnti. Il FEASR e il FEAMP avevano una denominazione diversa nei precedenti periodi. Il Fondo di coesione è stato lanciato per la prima volta nel 1992, divenendo operativo nel 1993. Fonte: Relazioni annuali sui Fondi strutturali, SFC e calcoli della DG REGIO.

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

189

allo sviluppo rurale dal pilastro 1 della PAC (mediante il "sistema di modulazione").

Pur non avendo la coesione tra gli obiettivi specifici, la politica agricola comune si propone di considerare "il carattere particolare dell’attività agricola che deriva dalla struttura sociale dell’agricoltura e dalle disparità strutturali e naturali fra le diverse regioni agricole"3. La finalità è di garantire il progresso economico e sociale nel settore agricolo e nelle zone rurali, al contempo so-stenendo l'offerta di approvvigionamento alimentare a costi ragionevoli per i consumatori dell'UE.

Inoltre, il regolamento che disciplina il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) collega lo svi-luppo rurale alla coesione economica e sociale, specifi-cando che il FEASR contribuirà alla strategia di Europa 2020 tramite la promozione dello sviluppo rurale nei territori dell'UE a complemento del sostegno fornito dal-la PAC, dalla politica di coesione e dalla politica comune della pesca4.

Coesione economica

A livello di UE, il raggruppamento che comprende i set-tori primari — agricoltura, silvicoltura e pesca — e l'a-limentazione costituiscono una parte consistente dell'e-conomia dell'UE, con una quota di occupati pari a 16,5 milioni di persone (7,3% del totale) e un valore aggiunto lordo (VAL) del 3,7% nel 2011. Queste cifre nascondo-no profonde differenze tra un paese e l'altro, in quanto il settore agroalimentare è più importante nell'UE–12, soprattutto in termini occupazionali, e nelle zone rurali.

La PAC contribuisce alla coesione economica trami-te i due pilastri che la compongono. Il sistema dei pa-gamenti diretti consente di sostenere la vitalità delle attività agricole nell'UE, e delle comunità che da esse dipendono, offrendo una fonte di reddito sicura per i produttori, in grado di renderli meno vulnerabili alle fluttuazioni dei prezzi. Nel 2011, la spesa per il primo pilastro della PAC ammontava a 44,0 miliardi di euro5, di cui la quota in assoluto più consistente assegnata agli agricoltori sotto forma di aiuti diretti pari a: 40,2 miliardi

3 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, articolo 39, para-grafo 2, sulla politica agricola comune.

4 Articolo 2 del regolamento (UE) n. 1305/2013.

5 COM(2012) 484 def.

di euro6. La spesa per lo sviluppo rurale, dall'altro lato, è volta a sostenere la vitalità delle zone rurali tramite il finanziamento degli investimenti, il trasferimento di conoscenze e competenze e le misure per la promozione dell'innovazione.

Coesione sociale

La PAC contribuisce anche al rafforzamento della coesio-ne sociale, principalmente tramite il supporto allo svilup-po rurale. Poiché un terzo della popolazione a rischio di povertà nell'UE vive in zone (rurali) scarsamente popola-te, la politica di sviluppo rurale svolge un ruolo essenzia-le per l'inclusione sociale. Oltre alle misure di sostegno all'occupazione nel comparto agricolo e negli altri settori, sono previsti anche aiuti allo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi basilari. Dunque, a fine 2012 circa 127 600 giovani agricoltori avevano ricevuto contributi per l'inse-diamento di nuove attività e circa 34 000 villaggi erano stati sottoposti a intervento di recupero.

Tali contributi sono utilizzabili dagli Stati membri anche per favorire l'integrazione dei gruppi svantaggiati, ad esempio la popolazione Rom, tramite l'insediamento e lo sviluppo di imprese non agricole, la creazione di nuovi posti di lavoro, l'investimento su piccola scala in infra-strutture e servizi di base per il territorio, anche tramite le strategie di sviluppo locale nell'ambito dell'iniziativa LEADER.

Coesione territoriale

Oltre al pilastro sullo sviluppo rurale, la PAC si caratte-rizza per una forte dimensione territoriale nell'ambito del primo pilastro tramite il sostegno agli agricoltori che svolgono un importante ruolo di gestione del territorio, ma anche in considerazione del contributo significativo fornito dall'agricoltura, dalla silvicoltura e dal settore agroalimentare allo sviluppo socioeconomico delle zone rurali. Per quanto riguarda il pilastro sullo sviluppo ru-rale, questa politica include una prospettiva economica, sociale e ambientale basata su un approccio territoriale, contribuendo al mantenimento di un equilibrio sosteni-bile tra zone urbane e zone rurali.

6 Essi sono prevalentemente, dissociati', vale a dire i pagamenti diretti sostengono il reddito degli agricoltori a prescindere dalla produzione, in cambio del rispetto da parte loro di normative inerenti la sicurezza alimentare, la tutela ambientale, il benessere animale e il manteni-mento dei terreni in buone condizioni.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

190

Poco più del 32% dei contributi dell'UE per lo sviluppo rurale sono stati assegnati alle regioni di convergenza nel periodo 2007–2013, con una spesa di oltre 35,3 mi-liardi di euro del FEASR entro il giugno 2013, quasi 15,2 miliardi per misure di miglioramento dell'ambiente e del paesaggio, quasi 12,9 miliardi di euro per il migliora-mento della competitività nell'agricoltura e nella silvi-coltura, 5,1 miliardi di euro per il miglioramento della qualità della vita nelle zone rurali e per la promozione della diversificazione dell'economia rurale e quasi 1,2 miliardi a titolo di LEADER.

La nuova riforma della PAC e i suoi contributi alla coesione

Anche per il periodo 2014–2020, la PAC si suddivide in due pilastri. Lo stanziamento complessivo ammonta a 252 miliardi di euro per i pagamenti diretti (pilastro 1) e 95 miliardi di euro per lo sviluppo rurale (pilastro 2). Il sistema dei pagamenti diretti prevede nuovi elementi volti a potenziare il contributo della PAC alla politica di coesione, anche attraverso una distribuzione più equi-librata, trasparente ed equa dei pagamenti diretti tra agricoltori e tra paesi. I pagamenti diretti saranno inol-tre più mirati, ad esempio tramite l'erogazione di pa-gamenti integrativi a tutti i giovani agricoltori dell'UE e potenzialmente alle regioni con vincoli naturali.

Un'importante modifica, direttamente legata gli obiettivi dell'UE in tema di coesione, riguarda il nuovo quadro dello sviluppo rurale, per cui la politica di sviluppo rura-le viene in parte armonizzata e coordinata con gli altri fondi SIE nell'intento di aumentare le possibilità di rea-lizzazione degli obiettivi di Europa 2020.

Gli Stati membri stanno formulando le proprie stra-tegie di sviluppo rurale per il nuovo periodo di pro-grammazione sulla base di 6 priorità, una delle quali, in linea con gli obiettivi di coesione, riguarda "l'inclu-sione sociale, la riduzione della povertà e lo sviluppo economico nelle zone rurali". Inoltre, l'innovazione, la salvaguardia dell'ambiente e l'adattamento al cam-biamento climatico costituiscono obiettivi trasversali di tutti i programmi.

Questo approccio più strategico dovrebbe consentire di strutturare interventi di politica maggiormente mirati alle esigenze delle zone e delle popolazioni interessate, migliorando gli effetti sulla coesione.

La politica comune della pesca e la politica marittima integrata

Il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) è volto ad assicurare lo svolgimento efficiente e sostenibile delle attività legate alla pesca, la redditività e la competitività della pesca e dell'acquacoltura, garan-tendo condizioni di vita dignitose a coloro che dipendono da tali attività. Questo Fondo è stato istituito nel 1994 con la denominazione iniziale di Strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP), divenendo poi Fondo europeo per la pesca nel 2007 e FEAMP nel 2014.

Il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) fornisce contributi finanziari per l'attuazione della politica comune della pesca. I primi tre pilastri del fondo sono finalizzati principalmente al supporto alla flotta peschereccia dell'UE e ai relativi settori, come l'acquacoltura, la pesca in acque interne e la trasforma-zione del prodotto pescato, nell'ottica dell'adattamento al cambiamento.

Il quarto pilastro del FEAMP fornisce contributi per lo sviluppo delle aree costiere dipendenti dalla pesca, per assicurarne la redditività economica sul lungo periodo. Il FEAMP contribuisce così a fronteggiare le disparità socioeconomiche delle comunità costiere altamente di-pendenti dalla pesca, da alcuni anni colpite da un gra-duale declino causato dallo sfruttamento eccessivo e dalla concorrenza globale.

Per il periodo 2007–2013, nell'ambito del quarto pila-stro (dell'allora FEP) sono stati erogati 0,6 miliardi di euro a supporto dello sviluppo delle zone costiere dipen-denti dalla pesca, per garantirne la redditività sul lungo periodo. Nel 2010, vi erano 93 regioni costiere NUTS 3 in cui la pesca rappresentava oltre il 5% dell'occupazio-ne, e 25 regioni in cui il valore aggiunto lordo derivante dalla pesca rappresentava più del 10% del totale. Con la progressiva sostituzione della pesca con altre attività, il grado di dipendenza è in fase declinante in termini di occupazione e valore aggiunto. I progetti realizzati col contributo del Fondo sono finalizzati alla generazione di valore aggiunto per i prodotti ittici e dell'acquacoltura, alla creazione o al mantenimento dei posti di lavoro, al sostegno all'imprenditoria e all'innovazione, nonché al miglioramento della qualità dell'ambiente costiero.

Per il periodo 2007–2013, le regioni di convergenza han-no ricevuto circa il 75% della dotazione di 4,4 miliardi di

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

191

euro, assegnato in funzione della quota storica della pe-sca nell'ambito della politica di coesione. Riguardo alle altre regioni, gli stanziamenti tenevano conto di criteri specifici per settore, come ad esempio l'occupazione in un dato comparto e i necessari adeguamenti strutturali.

Per il periodo 2014–2020 la ripartizione della dotazione finanziaria viene effettuata utilizzando esclusivamente criteri specifici per settore, onde garantire una distribu-zione più equilibrata dei finanziamenti ed evitare pro-blemi di assorbimento nelle regioni di convergenza, meno dipendenti dalla pesca.

Una caratteristica importante dei fondi SIE che molto probabilmente rivestirà un ruolo fondamentale nelle comunità costiere, è il cosiddetto "Sviluppo locale di tipo partecipativo", uno strumento che consentirà alle comunità locali di utilizzare i contributi per le attività legate alla pesca all'interno di una strategia più ampia, con l'obiettivo di promuovere una diversificazione delle economie delle zone ancora dipendenti dalla pesca.

La politica marittima integrata, lanciata nel 2012, si propone di affrontare le questioni marittime attraverso un approccio più coerente. Essa si prefigge di aumen-tare il coordinamento tra le diverse aree politiche, a salvaguardia della biodiversità e a tutela dell'ambiente marino. Un tema centrale riguarda la promozione del-la crescita economica in vari settori tipici del comparto marittimo, tra cui l'energia blu (come l'energia eolica offshore), l'acquacoltura, il turismo marittimo, costiero e di crociera, le risorse marine minerali e le biotecnolo-gie blu, settori interdipendenti e funzionanti grazie alla condivisione di competenze e infrastrutture quali porti e reti di distribuzione dell'energia elettrica. La politica include anche misure trasversali quali la pianificazio-ne dello spazio marittimo, la sorveglianza marittima integrata e la ricerca marina finalizzata al migliora-mento della gestione degli oceani. Nel marzo 2013 la Commissione ha proposto una normativa volta a crea-re un quadro comune per la pianificazione dello spazio marittimo. Una volta applicata, essa dovrebbe assicu-rare alle imprese la certezza del diritto necessaria per gli investimenti.

2.5 L'intensità degli aiuti nelle regioni meno sviluppate è aumentata fino al periodo 2000–2006 per poi diminuire

L'intensità degli aiuti nelle regioni meno sviluppate dei vari Stati membri rispecchia la tendenza generale a li-vello di UE. Tra il 1989 e il 2006 è aumentata in tutti gli Stati membri (si veda la Figura 6.5, in cui la dimen-sione dei cerchi mostra la quota di popolazione nazio-nale nelle regioni meno sviluppate). Belgio e Paesi Bassi

Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG)

Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizza-zione è stato istituito nel 2006 per fornire aiuto ai lavoratori che hanno perso il proprio posto di lavoro a causa della globalizzazione. Più recentemente è stato esteso anche ai lavoratori in esubero a causa della crisi. I lavoratori possono beneficiare del sup-porto in caso di chiusura di una grande azienda, di trasformazioni nella struttura del commercio di un settore o di trasferimento della produzione all'este-ro. Il FEG non può essere utilizzato per finanziare interventi di recupero, modernizzazione o ristruttu-razione di aziende.

In generale, i contributi del FEG possono essere richiesti solo in caso di esubero di almeno 1 000 lavoratori della stessa azienda o dello stesso set-tore localizzato in una specifica regione o in alcune regioni limitrofe. Tra il 2007 e il 2013, sono state 128 le domande di contributo presentate nell'ambi-to del FEG, pari a un contributo di quasi 0,5 miliardi di euro per aiutare quasi 100 000 lavoratori.

I progetti finanziati riguardavano principalmente interventi di sostegno ai lavoratori per trovare un nuovo lavoro o creare una propria impresa, tramite attività di orientamento professionale, mentoring e coaching, formazione, indennità di mobilità e rein-serimento, e consulenza sulla creazione di impresa.

Per il periodo 2014–2020, la dotazione massima del FEG è pari a 150 milioni di euro annui, il dop-pio del periodo precedente, a fronte di una quota di cofinanziamento non superiore al 60%. Sono in-clusi anche i lavoratori autonomi e i lavoratori con contratto a tempo determinato. Inoltre, tra il 2014 e il 2017, nelle regioni colpite da forte disoccupa-zione giovanile, i giovani che non lavorano possono ricevere un sostegno in proporzione al numero di lavoratori che beneficiano del FEG secondo la nor-male prassi.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

192

avevano una regione poco sviluppata a testa nel periodo 1994–1999, divenute poi regioni in Transizione nel perio-do 2000–2006. In Francia e Regno Unito, la quota di po-polazione nelle regioni meno sviluppate è rimasta molto bassa per tutto il periodo. In Grecia, Portogallo e Irlanda, nel periodo 1989–1993 la popolazione viveva intera-mente nelle regioni meno sviluppate, mentre nel periodo 2000–2006 l'incidenza era scesa al 27% in Irlanda e al 66% in Portogallo, rimanendo invece al 100% in Grecia.

In questo periodo l'intensità degli aiuti più alta in asso-luto riguarda le regioni meno sviluppate fra tutte quelle interessate. Nel periodo 2000–2006, la media variava

tra i 380 e i 490 euro pro capite annui nelle regioni di convergenza di Irlanda, Portogallo e Grecia, rimanendo però inferiore a 150 euro annui in Austria e Finlandia.

L'intensità media degli aiuti nelle regioni meno sviluppa-te a livello di UE è più bassa nei periodi 2007–2013 e 2014–2020 che non anteriormente (circa 230 euro annui contro i 284 euro nell'UE–15 per il periodo 2000–2006).

L'intensità degli aiuti nelle regioni meno sviluppate dell'UE–27 mette in luce gli effetti dell'imposizione di un tetto massimo (o "capping") nell'assegnazione dei fondi, calcolato in percentuale fissa sul PIL e variabile

0

50

0

1989-1993 1994-1999 2000-2006

IT UK DE SE FR IE

Figura 6.5 Intensità degli aiuti nelle regioni meno sviluppate, 1989–2006

Euro a persona, prezzi 2011550

500

450

400

350

300

250

200

150

100

UE BE NL FI AT ES EL PT

L'intensità degli aiuti comprende l'FSE, il FESR e il Fondo di coesione. In questo caso si suppone che l'intensità dell'aiuto del fondo di coesione sia la stessa in tutte le regioni di uno Stato membro beneficiario dell'aiuto in questione.Fonte: DG BUDG, SFC e calcoli della DG REGIO

0

50

2007-2013 2014-2020

UE MT BG UK RO IT SI FR HR LV LT PL CZ EE SK

Figura 6.6 Intensità degli aiuti nelle regioni meno sviluppate, 2007–2020

Euro a persona, prezzi 2011550

500

450

400

350

300

250

200

150

100

DE ELES PT HU

L'intensità degli aiuti comprende l'FSE, il FESR e il Fondo di coesione. In questo caso si suppone che l'intensità dell'aiuto del fondo di coesione sia la stessa in tutte le regioni di uno Stato membro beneficiario dell'aiuto in questioneFonte: DG BUDG, SFC e calcoli della DG REGIO

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

193

da paese a paese, in parte secondo il livello di sviluppo ma tenendo conto anche di altri fattori. Il sistema del tetto massimo, ancora in vigore, è stato introdotto per la prima volta nel periodo 2000–2006. In questo modo si intende evitare un surriscaldamento dell'economia del percipiente per effetto dei contributi finanziari ricevuti, nonché garantire l'assorbimento delle risorse da parte degli Stati membri interessati, garantendo l'assegnazio-ne delle stesse a progetti sufficientemente maturi.

Per questo motivo, l'intensità degli aiuti più alta non riguarda più le regioni meno sviluppate (Figura 6.6). Essa è diminuita in Bulgaria e Romania, ad esempio, come pure nel Regno Unito. L'intensità degli aiuti po-trebbe aumentare parallelamente allo sviluppo del paese e al miglioramento nell'utilizzo dei fondi (come in Slovacchia o Polonia), per poi diminuire dopo il rag-giungimento di una certa soglia di sviluppo (come nella Repubblica ceca).

Regioni ultraperiferiche

Le 9 regioni "ultraperiferiche"1 dell'UE sono tutte situa-te a grande distanza dal rispettivo paese di apparte-nenza, nell'Oceano Atlantico, nei Caraibi, nell'Oceano Indiano e nel Sud America. Circa 4,6 milioni di persone complessivamente vivono in queste regioni. La loro specifica situazione è stata riconosciuta per la prima volta in una dichiarazione allegata al trattato di Maa-stricht del 1992 e successivamente in un articolo dei trattati di Amsterdam e Lisbona.

Tutte queste regioni hanno un tasso di incremento de-mografico piuttosto alto, rafforzato, in molte di loro, dal verificarsi della migrazione interna netta. Con l'ec-cezione di Madeira, il livello del PIL pro capite è infe-riore alla media UE; il più basso si registra a Mayotte (situata tra il Madagascar e la costa africana, con una popolazione di circa 213 000 abitanti), inserita tra le regioni ultraperiferiche il 1° gennaio 2014, con un PIL pro capite di circa un quarto della media UE.

La disoccupazione in queste regioni è decisamente più diffusa che non nel resto dell'UE; nel 2012 i tassi più alti si riscontrano a Canarias e Rèunion, rispettivamen-te al 33% e 28%, mentre i più bassi a Madeira e Açor-es, rispettivamente al 15% e 17%.

Per il periodo 2014–2020, 6 regioni su 8 sono state classificate come regioni "meno sviluppate" in termi-ni di ammissibilità ai contributi; Canarias rientra nella categoria delle regioni in transizione e Madeira fra le "più sviluppate".

L'intensità media degli aiuti per le regioni nel periodo 2014–2020 è tendenzialmente simile a quella del pe-riodo 2007–2013, attestandosi a poco più di 190 euro a persona (prezzi costanti 2011). Il livello a Madeira e Açores, tuttavia, è diminuito significativamente a cau-sa dell'incremento del PIL pro capite. L'intensità degli aiuti è diminuita anche in due delle 5 regioni francesi

1 Saint–Martin è una regione ultraperiferica appartenente alla re-gione NUTS 2 della Guadeloupe. La restante parte del riquadro si riferisce alla regione NUTS 2 della Guadeloupe includendo Saint–Martin.

(Réunion e Guadeloupe), aumentando invece in Guya-ne e Martinique. È aumentata notevolmente anche alle Canarias, passate da un livello relativamente basso ai valori di Mayotte, la quinta regione francese.

0 100 200 300 400

2007–2013 2014–2020

Figura 6.7 Intensità degli aiuti nelle regioni ultraperiferiche, 2007–2020

Região Autónoma da Madeira

(PT)

Região Autónoma dos Açores

(PT)

Mayotte (FR)

Réunion (FR)

Guyane (FR)

Martinique (FR)

Guadeloupe (FR)

Canarias (ES)

Fonte: Eurostat, SFC

Euro pro capite per anno, prezzi 2011

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

194

In Slovenia, Polonia e Romania, la regione della capitale non rientra più nella categoria delle regioni meno svi-luppate nel periodo 2014–2020, mentre in Slovacchia, Repubblica ceca, Ungheria e Portogallo, la regione della capitale non apparteneva a questa categoria fin dal pe-riodo 2007–2013.

3. Qual è stata l'evoluzione degli obiettivi nel tempo?

L'ambizione di diminuire le differenze regionali in termini di sviluppo risale alla fondazione della Comunità econo-mica europea nel 1957 con il trattato di Roma, secondo il quale la Comunità mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni. Questo obiettivo è ancora al centro della politica di coesione. Tuttavia, l'Unione di oggi è radicalmente diversa da quella che era 57 anni fa. Le varie ondate di allargamenti hanno introdotto nuove tematiche e nuove sfide, oltre ad aumentare la portata di alcune fra quelle esistenti. Anche l'interpretazione degli obiettivi ha subito modifiche ed è tuttora in evoluzione.

3.1 La formazione e la mobilità erano le priorità iniziali

Negli anni Sessanta, il Fondo sociale europeo (FSE) si occupava delle disparità regionali in termini di sviluppo, fornendo supporto alla mobilità geografica e occupazio-nale dei lavoratori. L'FSE assisteva i lavoratori occupati in settori sottoposti a modernizzazione o ristruttura-

zione tramite specifiche indennità di frequenza per la partecipazione a corsi intensivi di aggiornamento, e aiutava in particolare le persone non occupate a ricol-locarsi e trovare un nuovo impiego tramite i fondi per il reinserimento professionale. Negli anni Sessanta, tut-tavia, i tassi di disoccupazione erano bassi (si veda la Figura 6.8) e chi perdeva lavoro trovava velocemente una nuova occupazione.

3.2 Negli anni Settanta e Ottanta si è assistito a una disoccupazione strutturale e a rapidi cambiamenti nel settore agricolo e manifatturiero

Nella prima metà degli anni Settanta, la disponibilità dei posti di lavoro e le prospettive economiche delle regioni meno sviluppate destavano sempre più preoccupazione. Mentre nell'UE il tasso di disoccupazione medio durante gli anni Sessanta era inferiore al 3%, dalla metà degli anni Settanta è aumentato fino ad arrivare a toccare il 10% a metà degli anni Ottanta, con oltre 30 regioni NUTS 3 con tassi superiori al 20%. Questo è avvenuto in conseguenza del rapido declino dell'occupazione che ha colpito molte regioni nel comparto agricolo e manifattu-riero. Le politiche hanno pertanto spostato l'attenzione con l'obiettivo di fornire aiuti alle regioni a forte pre-valenza agricola, nonché alle regioni colpite dal declino industriale e/o da una grave disoccupazione strutturale. Un alto livello di disoccupazione giovanile ha determi-nato la focalizzazione delle misure di sostegno, in parti-colare sui giovani.

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Figura 6.8 Tasso medio di disoccupazione, 1960–2012

% della forza lavoro

Fonte: AMECO, DG ECFIN

UE–25 UE–27

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

195

3.3 Il livello di infrastrutture di base presenti nei paesi aderenti all'UE negli anni Ottanta e nel primo decennio del 2000 era piuttosto scarso

Le successive ondate di allargamenti dell'UE hanno mo-dificato le sfide che la politica di coesione si propone di affrontare. Se da un lato alcuni dei nuovi paesi ri-sultavano altamente sviluppati e molto simili agli Stati membri esistenti, altri lo erano molto meno sul piano economico e sociale.

Nel 1973, Regno Unito e Danimarca avevano un livello di sviluppo analogo a quello dei 6 Stati membri originari (Figura 6.9). Nel Regno Unito, il PIL pro capite in termini

di SPA corrispondeva al 93% della media UE di allora, in Danimarca superava la media UE del 7%. Anche la di-soccupazione era in entrambi i casi inferiore alla media UE (Figura 6.10). L'Irlanda, dall'altro lato, era un paese molto meno sviluppato, con un PIL pro capite pari al 60% della media dell'UE6 e un tasso di disoccupazione due volte la media.

Nel momento della sua adesione nel 1981, la Grecia aveva un PIL pro capite pari all'85% della media UE e un tasso di disoccupazione più basso della media. Portogallo e Spagna erano entrambi paesi meno svi-luppati rispetto ai precedenti Stati membri al momento del loro ingresso nel 1986, l'uno con un PIL pro capite pari a solo il 50% della media UE e l'altro del 69%. La

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Figura 6.9 PIL pro capite (SPA) per allargamento UE, 1973–2013

Indice pre–adesione UE = 100120

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HR: i dati riguardano il 2012Fonte: Eurostat

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1973 1981 1986 20041995 2007 2013

Figura 6.10 Tasso medio di disoccupazione per allargamento UE, 1973–2013

% della forza lavoro Media UE pre–adesione

Fonte: Eurostat, AMECO e calcoli della DG REGIO

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Spagna, inoltre, aveva un tasso di disoccupazione pari al 17%, quasi il doppio della media UE di allora. In tutti e tre i paesi, il livello di infrastrutture era insufficiente o di scarsa qualità.

Nel 1995, Svezia e Austria avevano entrambe livelli di PIL pro capite superiori alla media e un tasso di disoc-cupazione inferiore alla media, mentre in Finlandia il PIL pro capite era solo leggermente inferiore alla media (90%), mentre il tasso di disoccupazione era al 15%, effettivamente più alto della media UE di allora (10%). Anche se questo allargamento non ha aggiunto nuove sfide alla politica di coesione, ha certamente aumentato la diversità territoriale dell'UE, con l'integrazione delle nuove zone di montagna e delle aree scarsamente po-polate nell’estremo nord dell’Unione.

L'allargamento del 2004 ha creato una sfida molto più impegnativa, alla luce del fatto che il PIL pro capite dei 10 nuovi Stati membri si aggirava tra il 40% e il 76% della media UE. Cinque di questi Stati avevano un tasso di disoccupazione superiore alla media UE, con Polonia e Slovacchia aventi un tasso pari al doppio della media. Il livello generale delle infrastrutture presenti in tutti que-sti paesi era decisamente inferiore a quello della mag-gioranza degli attuali Stati membri (si veda il capitolo 1).

Nel 2007, anno di adesione all'UE, Romania e Bulgaria erano i paesi meno sviluppati dell'Unione, con un PIL pro capite inferiore al 40% della media e un livello di infrastrutture molto più basso rispetto al resto dell'UE.

Nel 2013, la Croazia è entrata a far parte dell'UE con un PIL pro capite pari al 61% della media UE e un tasso di disoccupazione al 16%, decisamente più alto rispetto alla media UE del 10%.

3.4 Miglioramento dei trasporti e delle infrastrutture ambientali

Con la creazione del Fondo di coesione nel 1992, il miglio-ramento dei trasporti e delle infrastrutture ambientali è diventato un obiettivo esplicito della politica di coesione.

Il Fondo di coesione è stato istituito come misura di accompagnamento alla creazione del mercato unico. L'intento era di assicurare a tutti gli Stati membri, inclusi quelli dislocati alla periferia dell'UE e in ritardo in termi-ni di sviluppo economico, la capacità di beneficiare della crescita derivante dall'eliminazione delle barriere alla

concorrenza nei mercati di riferimento. Inoltre, conside-rato il tetto massimo al disavanzo e al debito pubblico imposto dai criteri di Maastricht, sarebbe stato molto più difficoltoso per i paesi scarsamente dotati a livello di infrastrutture colmare il divario con il resto dell'Unione.

Il supporto previsto era quindi volto ad aiutare questi pa-esi nel processo di recupero del ritardo, tramite la parte-cipazione ai costi di ampliamento e miglioramento delle reti di trasporto e delle infrastrutture ambientali, in tal modo rimuovendo gli ostacoli allo sviluppo economico e sociale. Allo stesso tempo, gli investimenti in questione erano altresì finalizzati al rafforzamento del progetto del mercato unico — e in definitiva dell'Unione economica e monetaria — tramite il miglioramento dei collegamenti di trasporto con il resto dell'UE e la dotazione di infra-strutture un minimo accettabili a livello di UE.

Diversamente dal FESR, fin dall'inizio l'attenzione princi-pale era concentrata sulla situazione nazionale anziché sui contesti regionali, nonché sul divario tra i paesi a basso reddito e il resto dell'UE, piuttosto che sulle di-sparità tra le singole regioni. Pertanto, l'ammissibilità a beneficiare del supporto del Fondo di coesione era espressa in termini nazionali — ovvero il possesso di un reddito nazionale lordo (RNL) pro capite inferiore al 90% della media UE.

In pratica, il Fondo di coesione ha consentito ai paesi a basso reddito di adeguarsi alle direttive ambientali in materia di acqua potabile pulita, gestione delle acque reflue urbane e dei rifiuti solidi. La facilitazione dell'a-deguamento alle direttive UE negli Stati membri con un RNL inferiore al 90% trascende l'obiettivo legato alla ri-duzione delle disparità regionali, per questo rappresenta un obiettivo integrativo della politica di coesione.

Il sostegno erogato dal Fondo di coesione continua a concentrarsi sin dalla sua creazione all'ambito dei tra-sporti e delle infrastrutture ambientali. Tuttavia, come già sottolineato, sono notevolmente cambiate le caratte-ristiche dei paesi beneficiari dei contributi, in termini sia di sviluppo economico sia di carenza delle infrastrutture.

3.5 Le agende di Lisbona e Göteborg

La strategia di Lisbona adottata nel 2000 era finalizza-ta alla promozione di un'economia dell'UE riguardante la competitività e la conoscenza, anche attraverso gli investimenti nell'innovazione. Essa è stata rilanciata nel

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

197

2005 con una maggiore attenzione alla crescita e all'oc-cupazione e con l'introduzione di programmi di riforma nazionali volti a garantire una maggiore coerenza e ap-propriazione della strategia.

La strategia di Göteborg, adottata nel 2001, era incen-trata sullo sviluppo sostenibile, ovvero sulla capacità di soddisfare i bisogni dell'attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di risponde-re alle loro. Successivamente è stata aggiornata dalla strategia a favore dello sviluppo sostenibile, più com-pleta e adeguata per i successivi allargamenti del 2006.

I nessi tra la politica di coesione, la strategia di Lisbona e la strategia a favore dello sviluppo sostenibile sono stati rafforzati per il periodo di programmazione 2007–2013. I nuovi requisiti previsti dal principio di "earmar-king" garantivano l'attribuzione di buona parte dei fondi della politica di coesione a progetti strategici nei due ambiti in questione, dando un ulteriore impulso all'alli-neamento della politica di coesione con l'agenda politica complessiva dell'UE.

In questo processo, l'obiettivo primario di riduzione del-le disparità economiche è rimasto comunque intatto. La parte più consistente dei finanziamenti continuava a essere assegnata alle regioni meno sviluppate (come già evidenziato) e i requisiti del principio di earmarking erano meno stringenti per queste regioni che non per le regioni più sviluppate.

3.6 Europa 2020, riduzione della povertà, mitigazione del cambiamento climatico, oltre il PIL

Rispetto all'agenda di Lisbona, la strategia Europa 2020 ha introdotto due nuovi elementi nell'agenda politica del'UE, ovvero la riduzione della povertà (si veda il ca-pitolo 2) e una maggior attenzione alla sostenibilità (si veda il capitolo 3). Questo ha determinato un cambia-mento negli obiettivi della politica di coesione e nelle modalità di attuazione della politica, privilegiando gli in-terventi finalizzati al raggiungimento di obiettivi multipli.

La strategia prevede cinque obiettivi prioritari defi-niti a livello di UE e nazionale, fermo restando che le varie problematiche si possono manifestare diversa-mente anche all'interno del medesimo Stato membro. Ciascuno di questi obiettivi primari segue una diversa logica spaziale.

In alcuni casi, la concentrazione spaziale non fa che aggravare la situazione. Ad esempio, la concentrazio-ne della povertà e dell'esclusione sociale in zone ter-ritorialmente circoscritte incide in maniera fortemente negativa sulle aree circostanti. In altri casi, la concen-trazione spaziale può avere effetti positivi, nel caso dell'innovazione, o neutri, nel caso delle emissioni di GES o delle energie rinnovabili. Nel caso dell'istruzione, la concentrazione ha un impatto disomogeneo. Un tasso elevato di abbandoni scolastici precoci tende a produrre esternalità positive, mentre un alto tasso di istruzione terziaria tende a generare esternalità positive. Queste ultime sono inevitabili con lo spostamento di sempre più persone con un livello di istruzione universitario verso le grandi città, alla ricerca di opportunità lavorative più interessanti.

Sono ambivalenti anche le conseguenze della concen-trazione spaziale dei tassi di occupazione elevati (o bas-si). Il raggruppamento di alti tassi di occupazione può comportare una scarsità di manodopera e competenze, risolvibile solo mediante spostamenti di persone su lun-ghe distanze. Il raggruppamento di bassi tassi di occu-pazione può contribuire all'abbattimento dei salari e alla creazione di esternalità negative. Allo stesso tempo, le inevitabili differenze nella dimensione e nella struttura economica dei bacini occupazionali, nonché nelle nor-me che regolano il mercato del lavoro, indicano che non è realistico supporre l'esistenza di tassi di occupazione identici. In breve, sia la presenza di profonde disparità nei tassi di occupazione regionali sia l'assenza totale di disparità tendono a generare esternalità negative. La situazione ottimale prevede la presenza di leggere di-sparità nei tassi di occupazione, in modo tale da evitare il ribasso o il surriscaldamento dei bacini occupazionali.

Anche le modalità con cui le politiche pubbliche affronta-no queste problematiche cambiano da una zona all'altra. Per ridurre la povertà nelle zone che versano in condi-zioni di grave povertà, è necessario adottare un approc-cio diverso da quello utilizzato nelle zone mediamente colpite. Per ridurre efficacemente le emissioni di gas a effetto serra nelle zone urbane, occorre adottare politiche diverse da quelle delle zone rurali. Le politiche di stimolo dell'innovazione o di promozione dell'istruzione dovreb-bero tenere conto della specializzazione economica at-tuale e potenziale della regione o città di riferimento.

Le differenze tra gli obiettivi europei e gli obiettivi nazio-nali riflettono sia un senso di realismo, una comprensio-

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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ne delle esternalità della concentrazione, sia i probabili sviluppi futuri.

Ad esempio, l'indice 2020 basato sulla distanza dagli obiettivi dell'UE in merito alla crescita intelligente e in-clusiva (Carta 6.2) e l'indice 2020 basato sugli obiet-tivi nazionali7 (Carta 6.3) mostrano che nel complesso la distanza dagli obiettivi dell'UE aumenta in rapporto alla distanza per gli Stati membri meno sviluppati. La distanza media dagli obiettivi dell'UE è dunque rela-tivamente elevata per la Grecia, Romania, Bulgaria, Ungheria, Croazia, Polonia e Italia.

La distanza dai rispettivi obiettivi nazionali tende a di-minuire leggermente nel caso degli Stati membri con un basso livello di partenza che abbiano optato per un obiettivo di spesa nel settore R&S inferiore e più reali-stico, il che vale per quasi tutti i paesi meno sviluppati. Questo è segno di un senso di realismo, ma anche de-gli effetti positivi generati dalla concentrazione spaziale della spesa in R&S.

Relativamente agli obiettivi nazionali in materia di occu-pazione, istruzione, povertà ed esclusione sociale, inve-ce, gli Stati membri con i tassi più bassi hanno optato per obiettivi ambiziosi, da cui si deduce la necessità di un grande impegno per la loro realizzazione. Questo mo-stra che gli Stati meno sviluppati sono molto motivati nel voler recuperare il ritardo col resto dell'UE, riconoscendo le potenziali esternalità negative della concentrazione spaziale dei bassi tassi di occupazione, dei bassi livelli di istruzione e degli alti tassi di povertà o esclusione sociale.

Gli obiettivi nazionali in materia di emissioni di GES nel meccanismo di condivisione degli sforzi implica una ri-duzione da parte degli Stati membri più sviluppati ca-ratterizzati da livelli di emissioni pro capite molto più elevati rispetto agli Stati membri meno sviluppati, auto-rizzati a un moderato incremento. In questo modo si uti-lizza una modalità di distribuzione degli sforzi più equa rispetto all'applicazione di tagli uniformi che non ricono-scono l'importanza del luogo di provenienza delle GES.

7 Per quanto riguarda gli Stati membri che non hanno individuato un obiettivo nazionale di riferimento, è stato attribuito un obiettivo sulla base degli obiettivi degli Stati membri che avevano un tasso simile nel 2009. Per ulteriori informazioni si rinvia a (Athanasoglou, S. e Dijkstra, L. (2014)).

3.7 Oltre il PIL: povertà, sviluppo umano e benessere

Il trattato esprime la finalità di ridurre le disparità regio-nali a livello di sviluppo ma non definisce, se non in termi-ni molto vaghi, a quali tipologie di disparità fa riferimento. Per molti anni, l'obiettivo prioritario era la riduzione delle disparità nei tassi di PIL pro capite e disoccupazione. Nel tempo, tuttavia, l'attenzione è stata estesa ad altri aspet-ti concernenti lo sviluppo, come la qualità ambientale, la sostenibilità, la povertà e l'esclusione sociale.

Tale cambiamento rientra in una tendenza generale orientata all'individuazione di modalità più appropriate per la misurazione dello sviluppo. La relazione Stiglitz–Sen–Fitoussi (2009) sulla misurazione della perfor-mance economica e del progresso sociale riassume in maniera eccellente ciò che conosciamo e ciò che dovrà avvenire in futuro. Sottolinea il fatto che gli indicatori non dovrebbero tradursi soltanto con valori medi, ben-sì indicare la loro distribuzione tra la popolazione. Ad esempio, in certi casi l'incremento del reddito medio potrebbe derivare da un aumento del reddito per una minoranza della popolazione, contro una diminuzione per la maggioranza della popolazione. In questo modo si determina una frattura tra il quadro statistico ufficiale e il vissuto della popolazione, con il rischio di intaccare la fiducia negli indicatori in questione.

In contemporanea alla relazione Stiglitz–Sen–Fitoussi, la Commissione europea ha pubblicato la comunica-zione dal titolo "Non solo PIL"8 nello stesso anno. Essa individuava cinque modalità chiave per misurare il pro-gresso, tra cui il completamento del PIL con indicatori sociali e ambientali e il miglioramento delle informazio-ni riguardanti la distribuzione e le disuguaglianze.

In linea con questo approccio, da più parti è stato chiesto anche alla politica di coesione di tenere conto non solo del PIL9. Già per il periodo 2007–2013, svariati indicatori di progresso sono stati tenuti in considerazione in fase di definizione delle principali priorità di intervento e delle re-lative strategie operative10. Per il periodo 2014–2020, la Commissione europea ha richiesto alla Banca mondiale e a ESPON di elaborare una serie di mappe dettagliate del-le zone di grande povertà su cui concentrare le politiche.

8 Non solo PIL, COM(2009) 433 def.

9 Libro verde sulla coesione territoriale, COM(2008) 616 def.

10 Quinta relazione sulla coesione, COM(2010) 642 def. e SEC(2010) 1348.

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

200

Ciò nonostante la categorizzazione delle regioni e la de-finizione dei criteri di ammissibilità ai finanziamenti a ti-tolo della politica di coesione per il periodo 2014–2020 si basa ancora soprattutto sul PIL. Un prerequisito per la valutazione di ulteriori indicatori potenzialmente utili allo scopo consiste nella disponibilità di una serie temporale di dati statistici ufficiali a livello regionale. Questo è uno dei motivi che ha spinto la Commissione a investire nel miglioramento degli indicatori regionali sulla povertà e sull'esclusione sociale nell'ambito del progetto europeo di indagine sul reddito e le condizioni di vita delle fami-glie EU–SILC (Statistics on Income and Living Conditions). Combinando una più approfondita comprensione terri-toriale dell'UE (mediante le tipologie regionali e locali) e una più accurata misurazione della distribuzione del red-dito, delle disuguaglianze e della povertà si ottiene un idoneo quadro di riferimento che la politica di coesione può utilizzare per tenere conto di questi aspetti11.

11 Progress on GDP and beyond, Documento di lavoro dei servizi della Commissione SWD(2013) 303.

3.8 Quali sono gli obiettivi della politica di coesione?

L'evoluzione nel tempo degli obiettivi della politica di coesione di cui alla sezione precedente può essere così sintetizzata. La riduzione delle disparità regionali a livel-lo di sviluppo è e rimane tuttora un obiettivo centrale, pertanto i finanziamenti sono stati in buona parte as-segnati e continueranno a essere assegnati alle regio-ni meno sviluppate. La natura delle disparità regionali oggetto degli interventi si è invece trasformata negli anni. La priorità iniziale attribuita alla disoccupazione, alla riconversione industriale e alla modernizzazione dell'agricoltura è stata ampliata fino a ricomprendere le disparità a livello di innovazione, grado di istruzione, qualità ambientale e povertà, come si evince dalla sud-divisione dei finanziamenti nei diversi settori strategici. Il processo di rilettura delle disparità in termini di svi-luppo è ancora in corso e potrebbe condurre in futuro a concentrare di più l'attenzione sulle disparità a livello di benessere generale.

Comitato delle regioni e dimensione territoriale di Europa 2020 e di altre politiche dell'UE

Secondo il Comitato delle regioni (CdR), la progettazio-ne e l'attuazione della strategia Europa 2020 dovreb-bero includere una "dimensione territoriale". Gli obiet-tivi dovrebbero quindi essere definiti almeno in parte a livello regionale e, tramite l'impostazione di specifici indicatori, le regioni dovrebbero essere in grado di mo-nitorare i progressi ottenuti.

Nell'opinione del Comitato, l'attribuzione di un ruolo centrale alle autorità locali e regionali nella condu-zione della politica di coesione e nell'attuazione della strategia Europa 2020 dovrebbe favorire il processo di appropriazione della politica, massimizzando l'efficacia degli investimenti pubblici, nella consapevolezza che a tale scopo andrebbero anche rafforzate le capacità amministrative degli enti coinvolti. Il CdR sollecita inol-tre un rafforzamento di un approccio agli investimenti regionali di lungo periodo, per renderli più impermeabili alla crisi.

La posizione del Comitato si basa su una serie di "lavo-ri"1, fra cui un sondaggio svolto presso gli enti regionali

1 I lavori del CdR sulla valutazione di medio periodo della stra-tegia Europa 2020 hanno compreso conferenze e inchieste sulle 7 iniziative faro, 4 specifici seminari/workshop con oltre 1 750 partecipanti e un sondaggio di ampio respiro pres-so gli enti regionali e locali rivolto a oltre 1 000 intervistati (http://portal.cor.europa.eu/europe2020/Pages/welcome.aspx).

e locali (ERL) che ha messo in luce il pieno sostegno alla strategia Europa 2020 tra gli oltre 1 000 inter-vistati, al contempo segnalando la scarsa dimensione territoriale della strategia e l'assenza di un ruolo chiaro per gli ERL. È emersa da parte degli ERL la volontà di un maggior coinvolgimento in tutte le fasi del processo politico, e di una maggiore attenzione alle interdipen-denze transfrontaliere.

La stragrande maggioranza degli ERL coinvolti nel sondaggio era convinta della necessità di differenziare gli obiettivi su base regionale, senza però manifestare un'opinione univoca sulla modalità migliore per proce-dere in tal senso. Tre le possibili alternative suggerite: definire obiettivi regionali identici a quelli nazionali, più ambiziosi per le regioni più avanzate, o più ambiziosi per le regioni meno sviluppate. Sulla base di questo, il CdR sollecita l'adozione di un approccio misto che combini obiettivi definiti a livello nazionale e regionale, differenziati per indicatore e per paese.

Seguendo gli orientamenti della Commissione sulle modalità di valutazione dell'impatto territoriale, il Co-mitato ha adottato una strategia per la valutazione dell'impatto territoriale volta a esaminare l'impatto territoriale delle politiche dell'UE sugli ERL, aumentan-do la visibilità degli esiti dello stesso nell'iter prelegi-slativo e legislativo.

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

201

A parte l'obiettivo legato alla riduzione delle dispari-tà regionali, la politica di coesione si è maggiormente allineata all'agenda politica complessiva dell'UE. Negli anni Novanta, la politica di coesione inizia a essere uti-lizzata anche allo scopo di migliorare le reti di trasporto transeuropee a supporto del mercato unico, nonché di adeguare ed espandere le infrastrutture ambientali, fa-cilitando l'adeguamento degli Stati membri alle diretti-ve dell'UE in materia di ambiente. Gli investimenti nelle infrastrutture di trasportano potrebbero aver contribuito alla riduzione delle disparità economiche; tuttavia, gli investimenti nelle infrastrutture ambientali non hanno influito particolarmente sullo sviluppo economico del-le regioni interessate. Pertanto, il miglioramento delle infrastrutture ambientali potrebbe essere considerato come un obiettivo supplementare della politica di coe-sione. L'adozione delle strategie di Lisbona e Göteborg ha conferito maggior risalto ai temi dell'innovazione e della sostenibilità, determinando l'allargamento degli obiettivi della politica di coesione alla riduzione del-la povertà e dell'esclusione sociale nell'ambito della strategia Europa 2020. L'armonizzazione della politica di coesione agli obiettivi dell'UE ha altresì influito sulle modalità utilizzate per il raggiungimento degli obiettivi. Ad esempio, le misure adottate a favore della crescita intelligente devono tenere conto dell'impatto prodotto sulla sostenibilità e sull'inclusione.

Il perseguimento di obiettivi dell'UE è ampiamente compatibile con l'intento di ridurre le disparità regionali; questo significa che, ad esempio, i contributi all'innova-zione o allo sviluppo sostenibile nelle regioni più vulne-rabili sono estremamente utili per il raggiungimento di tali obiettivi.

La maggiore coerenza con l'agenda dell'UE nel suo complesso dimostra che la politica di coesione non è esclusivamente incentrata sulle regioni meno sviluppa-te, anzi essa sostiene gli investimenti in tutte le regioni, nell'ottica di rafforzare gli obiettivi comuni dell'UE.

4. I fondamenti economici della politica di coesione sono diventati più integrati

L'identificazione e la comprensione dei fondamenti eco-nomici dell'intervento politico possono contribuire a de-finire in maniera più precisa gli obiettivi della politica di coesione, riconoscendo le migliori strategie per il rag-giungimento di tali obiettivi. La sezione precedente ha messo in evidenza come l'interpretazione degli obiettivi generali espressi nel trattato si sia evoluta nel corso de-gli anni, tenendo conto delle sfide che attendono sia gli Stati membri attuali sia i paesi che aderiscono all'Unione.

Di particolare rilievo qui sono le principali cause respon-sabili delle disparità regionali a livello di sviluppo econo-mico. È opportuno sottolineare che tali cause possono dif-ferire da regione a regione nelle varie parti dell'UE e sono soggette a probabili cambiamenti nel tempo. Ad esempio, le cause del ritardo nelle regioni del Regno Unito differi-scono da quelle delle regioni rumene, mentre le cause del ritardo nelle regioni spagnole o portoghesi di oggi potreb-bero essere diverse da quelle degli anni Ottanta.

Nel dibattito in corso sulla politica di coesione, si distin-guono tre principali correnti di pensiero sulle proble-matiche che essa dovrebbe proporsi di affrontare. Esse distinguono fra quelle incentrate sui fattori determinan-ti dello sviluppo cosiddetti "di primo livello", per lo più intrinsechi del paese o della regione in questione, quelle incentrati sui fattori determinanti di "secondo livello", costruiti o influenzati dall'uomo, e infine quelle incentra-te sull'impatto degli scambi e dell'integrazione econo-mica sullo sviluppo, probabilmente i fattori più rilevanti nel recente passato.

La distinzione tra primo livello e secondo livello non è così netta. Alcuni fattori non sono affatto modificabili (ad esempio la presenza di montagne) e sono evidentemente intrinsechi. Altri possono essere modificati ma solo in tempi molto lunghi, ad esempio la natura rurale o urbana di una regione oppure la conformazione degli insediamenti, e da un punto di vista delle politiche possono essere considerati a tutti gli effetti intrinsechi. Altri ancora potrebbero invece evolversi più velocemente, pur se sul lungo periodo, come la macrostruttura dell'attività economica (tendenzialmente un riflesso delle caratteristiche intrinseche delle regioni) o i livelli di istruzione della forza lavoro, più aperti alle in-fluenze della politica, anche se gli eventuali cambiamenti

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

202

La coesione territoriale e il trattato di Lisbona del 2007

Con l'adozione del trattato di Lisbona nel 2009, la co-esione territoriale è stata inserita in maniera esplicita fra gli obiettivi della coesione economica e sociale, per quanto già presente in maniera implicita fra gli scopi della politica. A conclusione del dibattito lanciato dal Libro verde sulla coesione territoriale, la Quinta rela-zione sulla coesione sociale riepilogava i cambiamenti innescati dalla maggiore valenza attribuita alla coesio-ne territoriale in termini di 1) importanza dell'accesso ai servizi, 2) sviluppo sostenibile, 3) geografie funzio-nali e 4) analisi territoriale. Dal 2010, la Commissione europea ha preso provvedimenti per affrontare tutte e quattro queste tematiche.

1) Accesso ai servizi

Sia la strategia Europa 2020 sia lo stanziamento per il periodo 2014–2020 contemplano azioni specifiche per il miglioramento dell'accesso digitale e fisico ai servizi. L'Agenda digitale per l'Europa è volta a garantire a tut-ta la popolazione dell'UE l'accesso al collegamento a banda larga veloce entro il 2020 e l'utilizzo dei servizi di e–government per un cittadino dell'UE su due entro il 2015.

Tra il 2014 e il 2020, tramite il Meccanismo per collega-re l'Europa verranno investiti 32 miliardi di euro in infra-strutture di trasporto, 9 miliardi di euro nelle infrastrut-ture energetiche e 9 miliardi di euro nei servizi digitali e a banda larga. Questo può contribuire a ridurre i tempi di percorrenza verso il più vicino ospedale, magari situato sull'altro versante della frontiera nazionale, a potenziare la disponibilità e l'affidabilità delle reti energetiche e a migliorare l'accesso ai servizi online.

2) Sviluppo sostenibile

La crescita inclusiva è al cuore della strategia Euro-pa 2020 e della politica di coesione. Per il periodo 2014–2020, almeno il 20% del FESR nelle regioni più sviluppate e il 6% delle regioni meno sviluppate dovrà essere investito per promuovere l'efficienza energetica e il potenziamento dell'approvvigionamento da energie rinnovabili.

3) Geografie funzionali

Le geografie funzionali consentono di cogliere la di-mensione spaziale di una tematica strategica, ad esempio la gestione di un bacino fluviale o un bacino occupazionale. Tramite le geografie funzionali si può incrementare l'efficienza delle politiche pubbliche, an-che se spesso sono necessarie azioni coordinate tra diversi confini politici o amministrativi.

Nel periodo 2014–2020, è stata introdotta una nuova misura per facilitare l'utilizzo delle geografie funzionali: l'investimento territoriale integrato volto a facilitare l'attuazione di una strategia integrata

in una specifica area, ad esempio un'area metropolita-na o transfrontaliera.

Per poter comprendere meglio la dimensione delle ge-ografie funzionali, la Commissione ha sviluppato nuove definizioni territoriali armonizzate: • assieme all'OCSE, ha creato una nuova definizione

armonizzata di città e della sua area di pendolari-smo, per illustrare quanto quest'ultima, soprattutto nelle grandi città, sia spesso attraversata da più confini regionali NUTS 2 e talvolta anche nazionali.

• Combinando l'approccio utilizzato per la definizione della tipologia urbano–rurale del 2010 e la nuova definizione di città, si viene così a definire una nuo-va tipologia locale, il grado di urbanizzazione, che distingue tra aree rurali, piccole città e periferie, e città vere e proprie. Questo consente di monitorare e comprendere meglio le varie questioni politiche ri-guardanti tutte le tipologie di area, rurale o urbana.

Per conferire loro maggiore stabilità e visibilità, la Commissione intende inserire tali tipologie locali e re-gionali in allegato alla nomenclatura NUTS.

4) Analisi territoriale

Una migliore comprensione delle diverse aree geogra-fiche in Europa può facilitare l'individuazione e la sele-zione delle risposte politiche adeguate e la valutazione dell'impatto delle politiche dell'UE con dimensione ter-ritoriale, come sottolineato dagli Stati membri nell'A-genda territoriale e dal Comitato delle regioni.

Dal 2010, la Commissione ha notevolmente migliorato la quantità di dati subnazionali disponibili tramite le statistiche ufficiali prodotte da Eurostat e da altre fon-ti con l'aiuto di enti quali il Centro comune di ricerca, Copernicus, l'Agenzia spaziale europea, ESPON, l'A-genzia europea per l'ambiente, la Banca mondiale, l'OCSE e altri collaboratori esterni. Questo ha permes-so di disporre di dati di qualità migliore su un'ampia gamma di tematiche quali povertà, benessere, salute, qualità dell'aria, innovazione, accesso ai mezzi pubblici e conformazione degli insediamenti; tuttavia molto re-sta ancora da fare per costruire un quadro ancora più completo e approfondito.

Per facilitare la valutazione degli impatti territoriali1, la Commissione europea ha investito nel perfezionamen-to della capacità di modellazione. Le proiezioni di livello subnazionale sul territorio dell'UE possono ora essere generate tramite il nuovo modello economico regiona-le RHOMOLO e il modello sull'utilizzo del suolo LUISA; interventi di miglioria e adeguamento hanno riguar-dato anche le proiezioni sulla popolazione e sui livelli di istruzione.

1 Si veda anche il documento dei servizi della Commissione SWD(2013) 3 def.

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

203

verificatisi sul medio periodo (un periodo di programma-zione) tendono a essere relativamente limitati. Altri fatto-ri chiaramente appartenenti al secondo gruppo di cause potrebbero invece evolversi molto rapidamente, come ad esempio l'accesso alla banda larga.

4.1 La politica di coesione è andata oltre i fattori determinanti della crescita di primo livello

Alle origini di molte politiche di bilancio sul trasferimen-to di reddito dalle regioni avanzate alle regioni in ritardo vi è il concetto secondo cui in alcune regioni l'attività economica, e quindi la sua capacità di generare reddito, sarà sempre in una situazione di stasi. Tale situazione viene normalmente giustificata facendo riferimento alle cause di primo livello legate alle caratteristiche intrinse-che alle regioni, quindi non modificabili dalla politica se non molto lentamente, come ad esempio la collocazione geografica in zone ultraperiferiche.

Tali argomentazioni ricorrono spesso nel dibattito sullo sviluppo regionale dell'UE in corso da anni. Il trattato menziona alcuni luoghi meritevoli di particolare atten-zione: "zone rurali, zone interessate da transizione in-dustriale e regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più set-tentrionali con bassissima densità demografica e le re-gioni insulari, transfrontaliere e di montagna". Secondo alcuni, queste zone avrebbero diritto alla ricezione di fi-nanziamenti permanenti ad hoc, a compensazione degli handicap di primo livello che le affliggono.

I responsabili della progettazione della politica di coesione hanno però cercato di resistere a queste argomentazioni. Pur interessanti all'apparenza e, in alcuni casi e periodi spe-cifici, degne di attenzione, esse non andrebbero generaliz-zate come condizioni fisse che condannano una particolare tipologia di regione a un ritardo permanente. Vari luoghi sono riusciti a superare i cosiddetti ostacoli naturali di primo livello, riuscendo così a raggiungere tassi di crescita elevati e divenendo regioni "ad alto reddito". Nell'economia del XXI secolo, le caratteristiche intrinseche possono costituire uno stimolo tanto quanto un ostacolo alla crescita. Per questo motivo la politica di coesione si è maggiormente concen-trata sui fattori determinanti di secondo livello, perché è su questi fattori che essa può incidere, anziché semplicemente limitarsi a compensare le regioni per i presunti svantaggi, pur riconoscendone l'importanza e tenendone conto nella fase di definizione della politica da perseguire.

Inoltre, fin dall'inizio si è rivolta anche al terzo gruppo di fattori dello sviluppo, la promozione dell'integrazione economica delle regioni all'interno dell'UE. In effetti, la logica alla base della politica di coesione sin dalla sua introduzione è il rafforzamento della capacità delle re-gioni di svilupparsi nell'ambito di un mercato unico in cui beni e servizi possano essere scambiati liberamente oltre i confini nazionali.

4.2 La politica di coesione può stimolare la crescita investendo nei fattori determinati della crescita di secondo livello

Secondo le teorie economiche e le evidenze empiriche, alla base di un ritardo nello sviluppo possono esserci svariati fattori, tutti riconducibili in maggiore o minore misura ai fattori determinanti di secondo livello.

1) Investimenti insufficienti nello stock di capitale pubblico

Una scarsità nello stock di capitale pubblico per insuf-ficienza di investimenti pubblici può essere alla base di un basso livello di sviluppo. Ad esempio, la mag-gioranza delle regioni dell'Europa centro–orientale che si trovavano dietro la cosiddetta cortina di ferro tende a disporre di infrastrutture molto più scarse. In alcuni paesi, gli investimenti pubblici sono concentrati per lo più nella regione della capitale o nelle regioni limitrofe, mentre nelle regioni lontane dalla capitale lo stock di capitale pubblico è tendenzialmente più basso e potrebbe comprometterne lo sviluppo. Ad esempio, la regione della capitale potrebbe avere una concen-trazione molto più fitta di università e centri di ricerca rispetto alle altre zone del paese.

2) Scarsa accessibilità

La posizione di una città o regione rispetto alle altre ne determina in larga misura il grado di accessibilità. Ad esempio, l'accessibilità stradale al resto dell'UE dalla Finlandia o Svezia settentrionale sarà sempre inferiore rispetto al Lussemburgo, a prescindere dal livello di investimenti nelle infrastrutture di trasporto.

Tuttavia l'accessibilità di alcune regioni o città è di molto inferiore a quella che si otterrebbe miglioran-do i collegamenti di trasporto. Il miglioramento dei collegamenti consentirebbe ai produttori nelle zone

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

204

in questione di competere sul mercato unico in ma-niera più efficace, facilitando contemporaneamente l'accesso a questi mercati per i produttori localizzati altrove, stimolando così la concorrenza. In questo modo si potrebbe favorire la convergenza economi-ca delle regioni meno sviluppate, purché si riescano a mantenere bassi i costi di produzione in tali zone. In più, il rafforzamento dell’integrazione economica derivante da questo processo potrebbe promuovere una maggiore crescita complessiva di tutta l'UE.

3) Capitale umano

La qualità della forza lavoro incide notevolmente sulla produttività e di conseguenza sullo sviluppo economico. La disponibilità di capitale umano alta-mente qualificato si traduce con personale più effi-ciente e innovativo. Può inoltre favorire un aumento della flessibilità e dell'adattabilità della forza lavo-ro. In questo modo l'economia può più facilmente spostarsi verso nuove opportunità, parallelamente all'evolversi del mercato.

4) Innovazione

L'immissione di nuovi prodotti sul mercato, l'utilizzo di nuovi processi produttivi e l'introduzione di mi-gliorie in termini di organizzazione e marketing pos-sono dare un forte impulso allo sviluppo economico. Sul lungo periodo, l'innovazione costituisce il mo-tore principale della crescita economica. L'adozione e l'adattamento delle innovazioni sviluppate altrove possono aiutare le regioni distanti dalla frontiera della conoscenza a mettersi al passo.

5) Scarsa qualità delle istituzioni

Negli ultimi anni la ricerca in ambito economico è stata segnata da una "svolta istituzionale", con la conduzione di numerosi lavori che hanno evidenzia-to il ruolo fondamentale ricoperto dalla qualità go-vernativa e istituzionale delle amministrazioni pub-bliche nella promozione dello sviluppo. Le ricerche in questo ambito e le prove addotte dimostrano che un quadro istituzionale di bassa qualità può rappresen-tare un ostacolo per lo sviluppo, costringendo i paesi e le regioni a rimanere intrappolati in una situazione di stallo all'insegna della bassa qualità amministra-tiva e della bassa crescita. Buona parte di queste

ricerche riguardano i paesi in via di sviluppo, ma evi-dentemente sono applicabili anche all'Europa.

Oltre ai benefici diretti che può apportare, un'ammi-nistrazione di alta qualità può anche consentire di individuare meglio la giusta combinazione di inve-stimenti, garantendo un utilizzo efficace dei finan-ziamenti.

6) Agglomerati e cluster

Un ulteriore causa di sottosviluppo consiste nell'as-senza di agglomerati che possano ospitare attività economica e generare vantaggi economici, o eco-nomie, derivanti dalla concentrazione di persone e imprese in un luogo specifico (economie di urba-nizzazione). Vi sono economie che potrebbero de-rivare dalla concentrazione in un'area limitrofa di produttori operanti nello stesso settore economico o nella stessa filiera (cosiddetti cluster o distretti industriali).

Le economie di urbanizzazione dipendono natural-mente dalla presenza di una grande città o di più cit-tà situate vicine tra loro. I cluster o distretti industriali non richiedono necessariamente la presenza di una grande città, ma certamente una concentrazione suf-ficiente di imprese in grado di generare esternalità.

Le regioni potrebbero risentire del sottosviluppo di uno o più tra questi fattori. La politica di coesione è stata istituita per permettere alle regioni in diffi-coltà di colmare il ritardo rispetto al resto dell'UE, in quanto può contribuire a risolvere la maggioranza delle cause di sottosviluppo.

La sfida principale consiste nell'individuare il giusto insieme di politiche per affrontare i fattori respon-sabili del sottosviluppo, operazione che in pratica viene svolta congiuntamente dalla Commissione assieme alle regioni e agli Stati membri interessati tramite la procedura del dialogo. A seconda della regione, la giusta combinazione di politiche potreb-be essere incentrata su settori quali capitale uma-no, istituzioni, infrastrutture o innovazione, o più tipicamente, su un insieme di questi aspetti. L'OCSE, ad esempio, ha rimarcato l'importanza di accom-pagnare gli investimenti nelle infrastrutture di tra-sporto con ulteriori misure volte alla promozione

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

205

della produttività delle imprese localizzate nelle regioni oggetto degli interventi sul miglioramento dell'accessibilità, per evitare che la perdita di quote di mercato a favore dei produttori ubicati altrove sia superiore ai guadagni derivanti dalla maggiore facilità di esportare nelle altre regioni.

L'obiettivo di ridurre il sottosviluppo non dovrebbe esse-re interpretato come una pretesa di equiparare i livelli di sviluppo di tutte le regioni. Si tratterebbe di un obiettivo irraggiungibile e poco proficuo. Alcune differenze regio-nali in termini di produttività, occupazione e istruzione rimarranno sempre, ma non dovrebbero essere ritenute problematiche, salvo non creino delle disparità a livello di benessere o condizioni di vita. La politica di coesione non è in grado di superare completamente la scarsità a livello di economie di agglomerazione — le economie di urbanizzazione, in particolare, non possono essere cre-ate senza la presenza di una grande città. Può invece facilitare l'emergere di queste economie nelle città esi-stenti o in una rete policentrica di città. I benefici dell'ag-glomerazione potrebbero dunque essere raggiunti me-diante la cooperazione tra piccoli centri o città, oppure tramite la creazione di collegamenti tra più centri urbani o persino tra zone urbane e zone rurali.

La concentrazione spaziale dei settori economici o di at-tività economiche tra loro interconnesse può avvenire al di fuori delle grandi città. Nonostante alcuni contesti-no la possibilità di creare cluster o distretti industriali a partire dalle politiche pubbliche, le misure volte al mi-glioramento del contesto imprenditoriale e alla promo-zione dell'innovazione potrebbero portare alla comparsa di economie di agglomerazione anche nelle regioni ca-ratterizzate dall'assenza di una grande città.

L'impatto delle economie di agglomerazione sulle dispa-rità regionali, però, non andrebbe esagerato. All'interno dell'UE, vi sono numerose regioni ad alta produttività nelle quali non vi è alcuna grande città, e viceversa numerose regioni a bassa produttività nonostante la presenza di una grande città. I motivi principali alla base delle differenze regionali a livello di sviluppo hanno a che fare con lo stock di capitale, la tecnologia e il capitale umano; non tanto con la presenza o assenza di una città.

4.3 La politica di coesione sostiene l'integrazione del mercato e può velocizzare la crescita delle regioni meno sviluppate

Le disparità regionali possono essere viste come ef-ficienti o inefficienti a seconda della causa che le de-termina. Con la rimozione delle disparità inefficienti si potrà stimolare la crescita complessiva. Il tentativo di rimuovere le disparità efficienti, invece, può pro-vocare una ripartizione poco ottimale delle risorse e comportare in tal modo una riduzione della crescita complessiva.

Questo aspetto riveste un ruolo cruciale nel dibatti-to riguardante l'impatto atteso del mercato unico. In parte, la politica di coesione era motivata dal timore che le regioni in ritardo avrebbero risentito dell'ingres-so nel mercato unico. Sono tre le teorie economiche sul tema, corrispondenti a tre approcci radicalmente diversi tra loro.

Secondo le previsioni della teoria economica neoclassi-ca, il capitale fluirebbe verso le regioni meno sviluppate perché e lì che verrebbero generati i ritorni più alti. Ad esempio, è presumibile che gli investimenti diretti esteri (IDE) siano indirizzati agli Stati membri meno sviluppa-ti, stimolando il tasso di crescita. Gli investimenti nello stock di capitale pubblico potrebbero risentirne a cau-sa dell'abbassamento del reddito del paese, privandosi ad esempio della necessaria disponibilità per permet-tersi di investire nell'adeguamento delle infrastrutture di trasporto per collegare l'economia al mercato unico. Questo potrebbe a sua volta diminuire il ritorno sugli investimenti privati, rallentamento l'afflusso degli IDE. Secondo questa teoria, la politica di coesione potrebbe contribuire ad alleggerire le difficoltà finanziarie, accele-rando il processo di convergenza.

Con la creazione del mercato unico è comparsa una nuova teoria. Una nuova teoria sugli scambi, derivata dai primi lavori di Kaldor e altri sull'aumento dei pro-fitti della produzione industriale e sviluppata negli anni Ottanta da Paul Krugman, sosteneva che le regioni con economie di scala, ovvero con un'alta percentuale di una determinata industria, tendono a beneficiare maggior-mente degli scambi secondo il cosiddetto effetto “mer-cato interno”.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

206

Secondo diversi sostenitori della politica di coesione, nel timore che le regioni in ritardo di sviluppo avrebbero per-so terreno per la mancanza di economie di scale, il finan-ziamento erogato a titolo della politica andava erogato a titolo di compensazione alle regioni soggette a un proba-bile declino per le suddette motivazioni. Quindi, anziché lavorare a fianco delle forze del mercato, la politica di coesione era vista come operante in opposizione a esse. Di conseguenza il compito della politica di coesione non era di ridurre le disparità regionali, bensì di compensare le regioni colpite da un declino economico relativo, per non dire assoluto. Questa è l'argomentazione sottesa alla relazione sullo sviluppo della Banca mondiale del 2009.

La nuova geografia economica, sviluppata da Krugman e altri negli anni Novanta, presenta alcuni elementi in comune con la nuova teoria del commercio, ma è più sfumata per quanto riguarda i benefici del commercio. Pur riconoscendo l'importanza di aumentare i rendimen-ti di scala, essa segnala i costi legati alla congestione e gli ulteriori fattori che favoriscono la dispersione delle attività economiche e, da un certo punto in poi, il trasfe-rimento dei produttori fuori dai centri dove si concentra l'attività economica.

Secondo questa teoria, le regioni in ritardo di sviluppo potrebbero trarre beneficio dall'ingresso nel mercato unico, ma questo non avverrebbe in maniera automa-tica, anzi dipenderebbe in buona parte dalle condizioni economiche di tali regioni, soprattutto a livello di am-biente imprenditoriale, in rapporto alle stesse condizio-ni nelle regioni più sviluppate. Si ritiene dunque che la

politica di coesione possa favorire la diminuzione delle disparità regionali, a patto di individuare le modalità per lavorare a fianco delle forze di mercato e rafforzarsi vi-cendevolmente nella lotta alle disparità.

Ad esempio, la politica di coesione può contribuire a migliorare l'ambiente imprenditoriale nelle regioni in ri-tardo di sviluppo, aumentando le probabilità che esse possano trarre beneficio dall'integrazione commercia-le. Analogamente, può sostenere il miglioramento nei trasporti e nelle reti digitali, consentendo la realizzazio-ne di economie di scala tramite il potenziamento degli scambi e degli investimenti interni. Ultimo punto ma non meno importante, la politica di coesione può anche con-tribuire ad alleggerire in parte i costi della congestione nelle regioni in via di sviluppo, investendo nell'adegua-mento dei sistemi di trasporto e nel miglioramento della mobilità urbana; così facendo, contribuisce a prolungare la crescita diminuendo le esternalità negative.

5. La ripartizione dei finanziamenti tra diverse aree strategiche è cambiata con l'evolversi degli obiettivi della politica

La modalità con cui i finanziamenti sono ripartiti tra le macroaree strategiche oggetto dalla politica di coesione è in funzione delle tipologie di regioni interessate, delle loro esigenze e priorità. Le regioni meno sviluppate han-no investito molto di più nelle infrastrutture rispetto alle

Tabella 6.6 Finanziamento della politica di coesione per macroarea strategica nell'UE–15, 1989–2013

Regioni meno sviluppate e Fondo di coesione

Altre regioni

% del totale1989–1993

1994–1999

2000–2006

2007–2013

1989–1993

1994–1999

2000–2006

2007–2013

Sostegno alle imprese (compreso RSTI)

31,5 33,0 28,0 34,4 48,1 31,1 29,2 33,8

Infrastrutture (trasporti, energia, telecomunicazioni, infrastrutture sociali)

36,3 26,1 30,9 23,2 5,2 1,5 13,4 13,2

Capitale umano (mercato del lavoro, istruzione, inclusione sociale, ecc.)

20,6 24,7 24,5 22,3 39,0 56,8 45,8 34,6

Ambiente 1,6 14,3 14,0 15,4 7,6 9,8 8,6 14,2 Altro 9,7 1,9 0,8 0,4 0,0 0,8 1,1 0,3 Assistenza tecnica 0,4 0,0 1,8 4,3 0,0 0,0 1,8 3,8 Totale 100 100 100 100 100 100 100 100Fonte: Relazioni annuali sui Fondi strutturali, SFC e calcoli della DG REGIO

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

207

altre regioni (Tabella 6.6). Nell'UE, l'incidenza dei finan-ziamenti assegnati alle infrastrutture non ambientali era del 36% nel periodo 1989–1993, per poi crollare al 23% nel periodo 2007–2013 per effetto del completamento delle reti di trasporto. Allo stesso tempo, il sostegno alle infrastrutture ambientali è aumentato dal periodo 1994–1999 in avanti, a seguito dell'introduzione del Fondo di coesione, che ha consentito di innalzare gli in-vestimenti in materia ambientale da una quota inferiore al 2% del contributo della politica di coesione nel perio-do 1989–1993, al 14% nel periodo seguente e al 15% nel periodo 2007–2013.

Nelle altre regioni dell'UE–15, l'incidenza degli investi-menti nelle infrastrutture (non ambientali) è passata dal 5% nel periodo 1989–1994 al 13% nel periodo 2007–2013, in parte a seguito dei maggiori investimenti nel campo delle energie rinnovabili dal 2000 in avanti; an-che gli investimenti nelle infrastrutture ambientali sono aumentati, passando dall'8% al 14% del finanziamento complessivo.

Diversamente dalle infrastrutture, gli investimenti nel capitale umano rappresentano una quota molto più alta del finanziamento complessivo nelle altre regioni dell'UE–15, rispetto alle regioni meno sviluppate, pur con delle oscillazioni tra un periodo e l'altro. Essi sono passati dal 39% del finanziamento complessivo nel periodo 1989–1993 al 57% nel periodo 1994–1999, rispecchiando una diminuzione di pari entità nella per-centuale assegnata al sostegno alle imprese. Sono poi diminuiti al 46% nel periodo 2000–2006 e al 35% nel periodo 2007–2013 con l'incremento del sostegno alle infrastrutture in primo luogo e all'ambiente in secondo luogo. Dall'altro lato, l'incidenza del sostegno alle im-

prese è leggermente aumentata, passando dal 31% nel periodo 1989–1994 al 34% nel periodo 2007–2013.

Nelle regioni meno sviluppate dell'UE–15, la quota di finanziamenti assegnati al capitale umano ha subito minori oscillazioni tra un periodo e l'altro, passando dal 21% al 25% e infine al 22% del totale dello stanzia-mento per il periodo 2007–2013. La quota di contri-buti assegnati al sostegno alle imprese si è mantenuta in linea con quella delle altre regioni dell'UE–15 negli ultimi tre periodi di programmazione, con un'inciden-za del 34% sul finanziamento complessivo nel periodo 2007–2013, dopo una diminuzione al 28% nel periodo precedente.

La distribuzione dello stanziamento della politica di co-esione tra le varie aree strategiche nei paesi aderenti all'UE nel 2004 e 2007 è molto diversa da quella dei paesi dell'UE–15, incluse le regioni meno sviluppate (Tabella 6.7). Tali paesi hanno destinato una quota mol-to più consistente dei finanziamenti alle infrastrutture e all'ambiente (in pratica, soprattutto alle infrastrutture ambientali), in particolare nel periodo 2004–2006, in considerazione dei livelli qualitativi e quantitativi mol-to bassi e della conseguente necessità di potenziare gli investimenti per adeguarsi alle direttive dell'UE (si veda più avanti).

Ne deriva che l'incidenza dei finanziamenti assegnati al sostegno alle imprese (26% nel periodo 2007–2013) e al capitale umano (13%) era molto minore nell'UE–15, pur con alcuni trasferimenti dalle infrastrutture al so-stegno alle imprese nel periodo 2007–2013 (del 14%).

Tabella 6.7 Finanziamento della politica di coesione per macroarea strategica nei paesi aderenti, 2004–2013

% del totaleUE–10

2004–2006UE–12

2007–2013

Sostegno alle imprese (compreso RSTI) 14,2 25,6Infrastrutture (trasporti, energia, telecomunicazioni, infrastrutture sociali)

41,5 36,1

Capitale umano (mercato del lavoro, istruzione, inclusione sociale)

14,8 12,5

Ambiente 27,3 20,8Altro 0,1 0,0Assistenza tecnica 2,1 5,0Totale 100,0 100,0Fonte: Relazioni annuali sui Fondi strutturali, SFC e calcoli della DG REGIO.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

208

6. L'impatto della crisi sul periodo 2007–2013

La crisi economica e finanziaria ha colpito fin da subito i programmi operativi previsti per il periodo 2007–2013. Pur avendo finalità strategiche di lungo periodo, le poli-tiche regionali dell'UE hanno dovuto subire un processo di adattamento per rispondere ai contesti economici più disparati e a sfide del tutto impreviste.

A livello operativo, vari programmi hanno evidenziato un'incompatibilità tra i finanziamenti stanziati e la re-lativa domanda o contesti locali radicalmente diversi. Ad esempio, in alcune aree strategiche si è verificato un calo nella domanda di aiuti, a fronte di un incremento in altre aree. Per vari programmi è stato problematico sia reperire il necessario cofinanziamento nazionale o regionale sia tenere conto delle variazioni nei tassi di cambio (soprattutto in Polonia e Regno Unito), anche se

Gli strumenti finanziari nel periodo 2007–2013

Gli strumenti finanziari (SF), vale a dire i finanziamen-ti rotativi integrativi alle sovvenzioni a fondo perduto, rientrano nella politica di coesione sin dal periodo di programmazione 1994–1999, sviluppandosi da allora in termini di varietà, ambito e importo. La flessibilità che essi consentono a livello di gestione dei contributi agli Stati membri e alle regioni è divenuta particolarmente importante nell'incertezza economica degli ultimi anni.

Gli SF sono coerenti con la logica e il quadro normativo della politica di coesione, compresa la gestione parteci-pata e il principio di sussidiarietà. Essi vengono utilizzati soprattutto nelle regioni caratterizzate da ostacoli allo sviluppo sotto forma di scarsa capacità amministrativa, carenza di imprenditori, mercati finanziari sottosviluppa-ti e così via. Gli SF possono contribuire a far fronte a tali ostacoli tramite:

• l'offerta di un'ampia gamma di agevolazioni finan-ziarie fra cui capitale azionario, prestiti, garanzie e microcredito alle imprese (PMI in primis), oltre a con-tributi per progetti per lo sviluppo urbano, l'efficienza energetica o le energie rinnovabili;

• la promozione di un uso più efficiente delle risorse pubbliche, sia attingendo a pratiche ed esperienze in ambito commerciale, sia attraendo capitali privati e assumendosi una parte dei rischi d'investimento;

• la possibilità di riutilizzare gli stessi fondi in più cir-costanze, aumentandone così gli effetti, cosa parti-colarmente importante in un periodo di ristrettezze finanziarie;

• la capacità di incentivare i beneficiari a utilizzare i fondi efficacemente, per riuscire a restituirli alla fine.

Con la diffusione dell'utilizzo degli SF durante il pe-riodo 2007–2013, è anche aumentata la necessità di trarre insegnamenti dalle esperienze precedenti e di adeguare il quadro normativo, armonizzando le regole e offrendo orientamenti più precisi relativamente alla loro attuazione. Gli audit espletati dalla Commissione, le relazioni e gli studi elaborati dalla Corte dei conti,

nonché le osservazioni del Parlamento europeo e delle istituzioni coinvolte nella gestione degli SF hanno se-gnalato le sfide da affrontare affinché gli SF possano pienamente contribuire alla realizzazione degli obiet-tivi della politica di coesione. Dall'entrata in vigore della legislazione riguardante il periodo 2007–2013, la Commissione si è adoperata attivamente (tramite la modifica dei regolamenti, la pubblicazione di note orientative, l'esecuzione di valutazioni e lo svolgimento di attività di assistenza tecnica) per rafforzare e chiari-re meglio le regole sugli SF.

In base agli ultimi dati disponibili riferiti dagli Stati membri, circa il 5% degli stanziamenti del FESR per il periodo 2007–2013 è stato assegnato a oltre 900 SF in 175 PO in 25 Stati membri (tutti tranne Irlan-da e Lussemburgo) entro la fine del 2012. I contributi provenienti dal FESR e, in misura minore, dell'FSE am-montavano a 8,4 miliardi di euro, di cui buona parte destinati alle imprese. Secondo i dati, sono stati pre-sentati 144 000 specifici progetti di investimento per imprese e sono stati creati oltre 40 000 posti di lavoro lordi direttamente tramite gli SF.

Anche quasi 744 milioni di euro provenienti dai Fondi strutturali sono stati utilizzati per il cofinanziamento degli SF, con l'assegnazione di contributi a proget-ti di sviluppo urbano e di promozione dell'efficienza energetica/delle energie rinnovabili in 19 Stati mem-bri. Secondo gli ultimi dati, in media ogni 100 euro di contributi assegnati agli SF dai Fondi strutturali, si è generato un cofinanziamento pubblico/privato pari a 150 euro. Questa percentuale dovrebbe aumentare nel tempo con la rotazione dei fondi. Allo stesso tempo, i dati indicano anche che a fine 2012 gli SF contenevano ancora quasi 8 miliardi di finanziamenti a titolo dei PO, ancora da sborsare a favore dei beneficiari finali. In vari Stati membri, dunque, occorrono maggiori sforzi per garantire l'erogazione dei fondi ai beneficiari finali entro la fine del 2015 (ovvero entro la data massima consentita per la spesa per il periodo 2007–2013).

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

209

dall'altro lato le diminuzioni nei costi dell'edilizia hanno consentito un abbassamento del costo di alcuni progetti (come in Bulgaria e Polonia).

Sono state introdotte alcune misure innovative in ter-mini di regolamento e di programma per accelerare l'e-rogazione dei Fondi strutturali, oltre che per renderli più flessibili e adeguati, soprattutto negli Stati membri più vulnerabili. La Commissione ha collaborato con gli Stati membri nel lavoro di riprogrammazione, anche sotto for-ma di task force (ad esempio aiutando la Grecia nell'at-tuazione del programma di aggiustamento UE–FMI, velocizzando l'assorbimento dei fondi dell'UE). Nel feb-braio 2012, in 8 Stati membri (Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Portogallo, Slovacchia, Spagna e Grecia) sono

stati costituiti dei "gruppi d'intervento", composti da de-legati nazionali e funzionari della Commissione.

Dal 2009 quasi il 13% dei fondi complessivi (45 miliardi di euro) è stato trasferito da determinate aree strategi-che ad altre aree, sia per soddisfare le necessità più im-pellenti sia per potenziare alcuni interventi dimostratisi particolarmente efficaci (Figura 6.11). I principali incre-menti nei finanziamenti hanno riguardato gli interventi in materia di R&S e innovazione, sostegno generico alle imprese, energia sostenibile, reti stradali e mercato del lavoro, in particolare le misure a favore dell'occupazio-ne giovanile. Le principali riduzioni hanno riguardato gli interventi in materia di TIC, ambiente, reti ferroviarie, formazione, istruzione e potenziamento delle capacità.

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Figura 6.11 Ridistribuzione dei finanziamenti UE tra le varie aree strategiche, fine 2013

% del totale

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Fonte: DG REGIO

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DK NL

Figura 6.12 Tagli ai cofinanziamenti nazionali per il periodo 2007–2013, fine 2013

% sull'importo concordato inizialmente

Fonte: DG REGIO

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

210

Entro il 2013, sono stati destinati a un'erogazione acce-lerata o a una riassegnazione circa 17 miliardi di euro di finanziamenti dell'UE, che dovrebbero andare a favore di quasi 1 milione di giovani e 55 000 PMI.

La Commissione ha sollecitato una semplificazione o razionalizzazione delle procedure regionali e nazionali, al fine di garantire una maggiore rapidità nell'attuazio-ne dei programmi tramite il versamento di anticipi sui pagamenti agli enti pubblici e aumentando i pagamenti alle imprese che hanno optato per il regime di aiuti di Stato (in 10 Stati membri). Al fine di migliorare il flusso di cassa per le autorità di gestione, la Commissione ha erogato ulteriori 7 miliardi di euro a titolo di anticipi sui pagamenti12.

Inoltre sono stati abbassati i tassi di cofinanziamento nazionali in alcuni Stati membri, in particolare quel-li più colpiti dalla crisi, al fine di alleviare la pressione sui bilanci statali (Figura 6.12). In questo modo è stato possibile diminuire la spesa pubblica nazionale da 143 miliardi di euro a 118 miliardi di euro, ovvero una ridu-zione del 18% che, se da un lato ha comportato un ta-glio dell'importo complessivo degli investimenti pubblici effettuati, dall'altro ha consentito il completamento dei progetti già messi in cantiere e il parallelo miglioramen-to del flusso di cassa nei paesi in questione.

12 Questo importo è comprensivo del prefinanziamento integrativo in-trodotto dal regolamento (CE) n. 284/2009 del Consiglio, nonché di ulteriori 775 milioni di euro di cui al regolamento (UE) n. 539/2010 modificato, al fine di migliorare la situazione di liquidità degli Stati membri.

L'UE ha altresì approvato un ulteriore abbassamento dei cofinanziamenti nazionali tramite l'innalzamento tem-poraneo della quota di cofinanziamento europeo di 10 punti percentuali per gli Stati membri in grande difficol-tà finanziaria (la cosiddetta maggiorazione o sistema "top–up" per i paesi con programmi di adeguamento). La clausola di "top–up" consente l'effettuazione di paga-menti anticipati rispetto alle scadenze fissate a favore di questi paesi, alleggerendo così la pressione sui bilanci statali e garantendo l'indispensabile afflusso di liquidità. Alla fine del 2013, quasi 2,1 miliardi di euro sono stati versati con questa formula.

Per il periodo di programmazione 2007–2013, si at-tendono risultati ancora più consistenti per i prossimi 18 mesi. Alla fine del 2012, i progetti selezionati rap-presenterebbero circa 292 miliardi di euro, pari all'84% del finanziamento dell'UE disponibile. In alcuni Stati membri, tuttavia, vi sono pesanti ritardi nella fase di approvazione e avvio dei progetti, soprattutto in aree quali RSTI, reti ferroviarie, TIC e banda larga, energia e potenziamento delle capacità, a causa della scarsa esperienza delle autorità coinvolte oppure di una certa complessità dei progetti.

Gli ultimi dati sui pagamenti evidenziano la necessità di intensificare gli sforzi per riuscire a completare i pro-grammi previsti per il periodo 2007–2013. Nel maggio 2014, l'importo che deve ancora essere rimborsato agli Stati membri da parte della Commissione è di 108 mi-liardi di euro, pari al 32% del finanziamento complessi-vo disponibile per il periodo. Un basso tasso di assorbi-

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Figura 6.13 Assorbimento dei finanziamenti e approvazione dei progetti per il periodo di programmazione 2007–2013

% sul finanziamento totale della politica di coesione 2007-2013Tasso di assorbimento maggio 2014

Tasso di approvazione dei progetti a fine 2013

UE–

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Fonte: SFC

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Capitolo 6: L'evoluzione della politica di coesione

211

mento dei fondi si è registrato in Romania, Slovacchia, Bulgaria, Italia e Malta (Figura 6.13). Se da un lato si verifica un inevitabile scostamento temporale tra spese sostenute sul campo, trasmissione della dichiarazione di spesa alla Commissione ed effettivo rimborso, dall'al-tro sta crescendo il rischio per alcuni Stati membri di perdere buona parte dei fondi a causa della mancata capacità di completare i programmi entro la fine del 2015. La possibilità che gli Stati membri non riescano a raggiungere gli obiettivi della politica se non acceleran-do il processo, è da tenere in seria considerazione.

6.1 L'FSE e la risposta alla crisi13

Rispetto alla crisi, l'FSE ha svolto ruoli diversi all'interno dell'UE, in funzione della modalità con cui essa ha colpi-to i diversi mercati del lavoro, dei contributi già erogati e delle specifiche misure adottate nei vari paesi.

Sviluppi nel mercato del lavoro

L'impatto della crisi sull'occupazione varia notevolmen-te da Stato a Stato, sia in base alle diverse modalità con cui sono stati colpiti i vari settori, sia in funzione delle risposte che la politica ha saputo dare alla crisi stessa. Nell'UE–27 sono stati persi oltre 5 milioni di posti di la-voro tra il terzo trimestre del 2008 e il 2009, ma con notevoli differenze tra i vari Stati membri. Dopo il 2009 gli Stati membri hanno continuato a divergere in termini di sviluppo, alcuni attraversando una fase di crescita, altri di ulteriore declino. Considerato che durante la crisi l'occupazione in diversi paesi è diminuita in misura mi-nore rispetto alla diminuzione del PIL, è probabile che l'impatto della recessione economica non si sia ancora manifestato completamente.

Le risposte delle politiche nazionali e il ruolo dell'FSE

Il piano europeo di ripresa economica lanciato con lo scoppio della crisi conteneva una serie di raccoman-dazioni in materia di provvedimento per il mercato del lavoro per i vari Stati membri. Nella maggioranza dei paesi sono stati introdotti pacchetti per la ripresa per contrastare gli effetti della recessione. È stata introdotta una gamma diversificata di misure di stimolo per il mer-cato del lavoro, fra cui formule di lavoro a tempo parzia-le, finanziamenti temporanei all'occupazione, riduzione

13 Metis GmbH e wiiw (2012).

del costo indiretto del lavoro, incremento dell'occupa-zione nella pubblica amministrazione e programmi di formazione. Questi ultimi rappresentavano circa un ter-zo dell'incremento della spesa, un quarto era destinato a iniziative in favore dell'occupazione, mentre importi minori erano assegnati alla creazione diretta di posti di lavoro e nuove imprese.

Innanzi tutto l'FSE ha erogato contributi a sostegno della formazione, offrendo agli occupati con formule di lavoro a tempo parziale la possibilità di aggiornare contemporaneamente le proprie competenze. Inoltre è stato utilizzato per il cofinanziamento di misure volte al mantenimento o alla creazione di nuovi posti di lavoro, ad esempio l'apprendistato o gli incentivi alle assunzioni.

In alcuni Stati membri la ripartizione dei fondi è sta-ta modificata in corso d'opera, anche per sostenere alcuni settori pesantemente colpiti dalla crisi (quali l'edilizia e alcuni comparti del settore manifatturiero). Indubbiamente uno degli effetti della crisi è stato un aumento di consapevolezza in merito alle conseguenze di una grave recessione sia sull'occupazione nei prin-cipali settori dell'economia, sia per i gruppi sociali più vulnerabili.

7. Conclusioni

Nelle sezioni precedenti è stata fornita una panoramica dell'evoluzione delle finalità della politica di coesione, e del loro progressivo avvicinamento alla strategia com-plessiva dell'UE. Questo processo ha determinato evi-denti ripercussioni sulle tipologie di azioni a valere sulla politica di coesione, in particolare l'aumento delle quote di finanziamento a favore dei progetti ambientali e il collegamento di una parte più consistente dei contributi alle strategie di Lisbona, Göteborg ed Europa 2020.

A partire dal 2007 la geografia della politica di coesione ha subito un processo di semplificazione, in maniera tale da assicurare la copertura di tutte le regioni aumentan-done l'efficacia operativa.

I successivi allargamenti hanno modificato le sfide che la politica di coesione mira ad affrontare, aumentando-ne anche il grado di difficoltà. Non solo è aumentato il numero di regioni aderenti all'UE con un basso livello di sviluppo, ma si è anche accentuata la diversità territo-riale europea.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

212

Con l'introduzione della coesione territoriale quale obiettivo specifico del trattato di Lisbona, la politica di coesione si è maggiormente concentrata sull'importan-za della sostenibilità e dell'accesso ai servizi basilari, sulla necessità di tenere conto delle geografie funzio-nali e sull'importanza dell'analisi territoriale. Questa evoluzione si rispecchia nel crescente interesse verso la crescita sostenibile in Europa 2020 e nel riconoscimen-to dell'importanza di superare il PIL come strumento di valutazione dello sviluppo territoriale. In merito all'esi-genza di potenziare l'analisi territoriale, ESPON si è reso disponibile sostenendo progetti di ricerca applicata su tematiche di rilievo.

Il dibattito sui sistemi di misurazione dei progressi e sul-le possibili risposte della politica di coesione in questo ambito è ancora aperto. Gli esiti del dibattito andranno probabilmente a influire sulla configurazione della poli-tica di coesione dopo il 2020 ed eventualmente anche sulle modalità di attuazione nel periodo in corso.

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Capitolo 7: Effetti della politica di coesione

1. Introduzione

Sono numerose le fonti d'informazione riguardanti l'im-patto della politica di coesione sugli obiettivi dei pro-grammi che essa cofinanzia. Tali fonti offrono un'indi-cazione su quanto la politica di coesione abbia avuto successo nel raggiungimento sia di questi obiettivi sia delle finalità più ampie della politica, legate al raffor-zamento della capacità delle economie nazionali e re-gionali di conseguire uno sviluppo sostenibile e di con-tribuire a una maggiore coesione economica, sociale e territoriale.

In primo luogo, esistono informazioni quantitative su-gli esiti diretti dei progetti e misurazioni sostenute da indicatori fisici, oggetto di monitoraggio da parte delle autorità di gestione responsabili dei programmi. Gli in-dicatori sono solitamente costituiti dai prodotti proget-tuali (ad esempio il numero di nuove aziende sostenute in fase di creazione, la lunghezza delle reti stradali o ferroviarie costruite, il numero di partecipanti ai corsi di formazione), oppure i risultati che essi hanno per-messo di conseguire (quali il risparmio in termini di tempi o costi di spostamento grazie all'apertura di una nuova tangenziale, il numero di persone collegate al principale sistema di drenaggio e a un sistema di ge-stione delle acque reflue funzionante, oppure il numero di partecipanti a corsi di formazione che hanno trovato lavoro).

In secondo luogo, altri elementi provengono dalle valu-tazioni di specifici programmi o interventi in alcune aree strategiche (come ad esempio il sostegno allo sviluppo imprenditoriale oppure la RSTI), finalizzate a stimare l'efficacia dei finanziamenti erogati in termini sia del raggiungimento dell'obiettivo immediato della misura (come l'incremento degli investimenti alle imprese coin-volte oppure della relativa spesa nel settore R&S) sia della finalità più generica riguardante il rafforzamento del potenziale di sviluppo dei territori in questione (ad esempio tramite l'aumento della competitività delle im-prese ivi ubicate oppure con la crescita delle competen-ze della forza lavoro).

Terzo, ulteriori elementi vengono ricavati dai modelli macroeconomici volti a cogliere le modalità di funziona-mento delle economie al fine di stimare l'impatto della politica di coesione e dei programmi che essa sostiene sulle principali variabili economiche, in particolare sul PIL, sull'occupazione e sull'andamento degli scambi commer-ciali. In pratica questi modelli riproducono una simulazio-ne di come l'economia si sarebbe potuta sviluppare (o si potrebbe sviluppare in futuro) in assenza della politica di coesione, confrontandoli poi con la maniera con cui essa si è effettivamente sviluppata (o con le proiezioni del suo sviluppo). A tal fine, nel modello vengono incorporate le evidenze derivanti dalle valutazioni e dagli altri studi con-dotti sugli effetti immediati e sugli effetti più ampi degli interventi politici in materia di investimento nelle impre-se, RSTI, competenze e produttività della forza lavoro da un lato e delle imprese dall'altro, diminuzione dei costi di trasporto grazie alle nuove reti stradali, ferroviarie e alla costruzione di altre infrastrutture, e così via.

Ultimo ma non meno importante, vi è un filone di ricerca indipendente e di dimensioni più contenute, che utilizza prevalentemente le tecniche econometriche per valuta-re gli effetti complessivi della politica di coesione sugli sviluppi regionali.

Le fonti descritte sono tutte e quattro fondamentali per valutare l'impatto complessivo della politica di coe-sione e i suoi obiettivi. Nelle sezioni seguenti è riporta-ta una sintesi dei dati raccolti nelle quattro aree citate. L'attenzione è incentrata sull'ultimo periodo di program-mazione 2007–2013, anche se i dati si riferiscono tal-volta agli anni precedenti, non ultimo per il fatto che il periodo 2007–2013 terminerà formalmente alla fine del 2015 e i programmi sono ancora in corso di realizzazione. Ancora più importante, molti dei progetti finanziati consi-stono in interventi di lunga durata finalizzati a influenzare la struttura delle economie, modificare i comportamenti e il rendimento delle imprese e dei singoli, e rafforzare la capacità di sostenere la crescita. Pertanto, gli effetti os-servabili in termini di miglioramento della resa economi-ca si manifesteranno solo tra diversi anni, e solo in quel momento si avranno a disposizione i dati per analizzarli.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

214

2. I risultati dei programmi nel periodo 2007–2013

Questa sezione passa in rassegna i risultati ottenuti dai programmi realizzati nell'ambito della politica di coe-sione, secondo quanto riportato nelle relazioni annuali sullo stato di attuazione. La prima sezione è dedicata al FESR e al Fondo di coesione, la seconda all'FSE.

2.1 Il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo di coesione

Come sottolineato in precedenza, i programmi cofinan-ziati nell'ambito della politica di coesione per il periodo 2007–2013 sono ancora in fase di attuazione e molti progetti devono ancora essere completati. Nondimeno è possibile individuare gli esiti dei progetti finanziati a titolo del FESR e del Fondo di coesione fino alla fine del 2012 (sesto anno del periodo e ultima data per la quale si hanno dati disponibili), sulla base degli indicatori fisici sulle realizzazioni e sui risultati della spesa sostenuta, messi a disposizione dalle autorità di gestione. I dati raccolti dalle autorità di gestione sono riepilogati qui di seguito e si focalizzano sugli indicatori chiave; essi sono organizzati in maniera tale da poter essere comparati da un programma all'altro, nonché aggregati a livello nazionale e di UE.

Creazione diretta di posti di lavoro lordi

Dalle rilevazioni sui programmi risulta che a fine 2012, anno in cui la maggioranza dei paesi aveva speso solo la metà o meno dei finanziamenti disponibili per il pe-riodo, circa 593 954 posti di lavoro erano stati creati direttamente in tutta l'UE tramite iniziative cofinanziate col FESR. Questo dato rappresenta il 43% dell'obiettivo fissato a inizio periodo, il che lascia supporre che entro la fine del 2015 potrebbero essere quasi 1,4 milioni i nuovi posti di lavoro creati direttamente grazie al con-tributo del FESR. Molti di questi nuovi posti di lavoro — circa 320 000 in tutto — riguardano le regioni meno sviluppate (Convergenza), nelle quali sussiste una forte esigenza di occupazione e dove, se verranno raggiunti gli obiettivi previsti, la cifra potrebbe salire a 900 000 entro la fine del 2015.

Occorre sottolineare che i dati si riferiscono ai cosid-detti posti di lavoro lordi–ovvero non tengono conto di eventuali sostituzioni–e in sostanza si riferiscono

al numero di nuove posizioni di lavoro inserite nel pro-getto finanziato o, nella maggioranza dei casi, nelle aziende che hanno avuto accesso ai contributi. Molti di questi lavori avrebbero potuto essere creati anche in mancanza del sostegno, nel senso che le aziende avrebbero potuto procedere ugualmente con i pro-pri progetti di investimento anche senza aver rice-vuto il finanziamento pubblico, ma probabilmente su scala più piccola e con una forza lavoro più esigua. Ciononostante, quasi certamente una buona parte dei posti di lavoro aggiuntivi non esisterebbe senza il so-stegno dell'UE. Questo è quanto emerge dall'analisi dei dati di valutazione sintetizzati qui di seguito. Per di più, le cifre non comprendono i nuovi lavori creati a seguito della realizzazione dei progetti e dei miglioramenti a livello di competitività che essi stimolano e che potran-no facilmente manifestarsi nel lungo periodo, come il-lustrato dai modelli macroeconomici.

Esempi di programmi di sostegno alle imprese

Grecia Sono stati erogati finanziamenti a circa 1 300 PMI nell'ambito dell'iniziativa di ingegneria finanziaria JEREMIE, soprattutto sotto forma di prestiti, consen-tendo loro di superare i rigidi vincoli per l'accesso al credito imposti dal mercato finanziario.

Portogallo Fino a metà 2013, sono circa 9 458 le aziende sovvenzionate nell'ambito dei programmi di aiuto alle imprese cofinanziati dal FESR e 952 le nuove imprese assistite finanziariamente in fase di start–up, di cui 448 nei settori high–tech o ad alta intensità di conoscenza.

Belgio I vari strumenti finanziari costituiti da capitale di rischio, garanzie sui prestiti, microcredito e "pro-dotti misti", cofinanziati dal FESR, hanno consentito lo start–up di 571 nuove imprese e l'allargamento di 671 aziende entro la fine del 2012, superando di oltre 10 volte le sovvenzioni all'investimento.

Bulgaria Nell'ambito del programma JEREMIE, cir-ca 1 388 PMI hanno ricevuto prestiti a basso tasso di interesse entro la fine del 2012, riuscendo così a superare la stretta creditizia imposta dal mercato fi-nanziario.

Malta Il programma di garanzia sul portafoglio pre-stiti cofinanziato dal FESR ha consentito l'erogazione di contributi a 533 PMI entro la metà del 2013, in tal modo alleggerendo le difficoltà di accesso al credito sul mercato finanziario.

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Capitolo 7: Effetti della politica di coesione

215

Sostegno all'imprenditorialità

La grande maggioranza dei nuovi posti di lavoro riguar-dava le PMI, beneficiarie di una fetta molto consistente del sostegno previsto, in prevalenza finalizzato al mi-glioramento dell'efficienza aziendale tramite i contributi agli investimenti in nuovi macchinari e attrezzature, o per lo sviluppo di nuovi prodotti. A fine 2012 sono sta-ti avviati circa 200 000 progetti di sostegno alle PMI in totale su tutto il territorio dell'UE. Inoltre sono quasi 78 000 le nuove imprese nell'UE che hanno potuto usu-fruire degli incentivi alla creazione di attività imprendi-toriali tramite il sostegno finanziario del FESR, nonché dei servizi di orientamento e consulenza erogati tramite gli sportelli di sostegno alle imprese, anch'essi finan-ziati nell'ambito del FESR (si veda il Riquadro per alcuni esempi specifici di interventi finanziati).

Una parte crescente dei finanziamenti è stata erogata sot-to forma di strumenti di ingegneria finanziaria quali pre-stiti, contributi in conto interessi o capitali di rischio; essi hanno il vantaggio di consentire alle aziende di superare le difficoltà di accesso al credito pur essendo rimborsa-bili (e potendo persino generare un tasso di rendimento), e quindi risultano potenzialmente utilizzabili più volte dalla stessa azienda. Trattandosi di finanziamenti con

obbligo di rimborso, costituiscono un ulteriore incentivo affinché le aziende garantiscano il buon esito del finan-ziamento erogato.

Sostegno alla RSTI

Oltre 21 600 progetti di sostegno alla cooperazione tra centri di ricerca e imprese sono stati cofinanziati entro la fine del 2012, con l'obiettivo di garantire che le atti-vità del settore R&S svolte nei centri di ricerca abbiano maggiori possibilità di trasformarsi in prodotti e proces-si nuovi o migliori in grado di consentire alle imprese di mantenere o espandere la propria quota di mercato, in un contesto di scambi regionale e globale.

Allo stesso tempo, sono stati erogati contributi a circa 61 200 progetti di RST e Innovazione che, sommati al sostegno a favore delle altre misure, hanno condotto alla creazione di 21 000 posti di lavoro nel settore della ricerca, metà dei quali nelle regioni meno sviluppate.

Infrastrutture TIC

Il FESR è stato utilizzato in molti territori dell'UE per pro-muovere l'utilizzo delle TIC da parte delle imprese, l'intro-duzione dei sistemi digitali di accesso ai servizi pubblici e gli investimenti nella banda larga per migliorare l'acces-so a Internet, o in alcuni casi per portare la Rete dove pri-ma non esisteva. Entro la fine del 2012, gli investimenti in questo ambito hanno consentito l'accesso alla banda larga per oltre 5 milioni in più di persone, metà delle quali

Esempi di progetti finanziati in ambito RSTI

Spagna A fine 2012 erano 5 839 i grandi progetti cofinanziati a supporto delle attività di R&S realizza-te nel settore pubblico, pari a una quota significativa dei progetti avviati nell'ambito del piano nazionale di RSTI.

Francia Tramite il sostegno del FESR, sono stati cre-ati 71 "Pôles de compétitivité" volti a riunire gruppi di imprese, laboratori di ricerca e università, ciascuno specializzato in un determinato macrosettore di atti-vità. Secondo una valutazione del 2012, essi hanno promosso la creazione di oltre 2 500 innovazioni sin dalla loro istituzione.

Repubblica ceca Il FESR ha cofinanziato 53 nuovi centri di trasferimento tecnologico, centri di eccel-lenza e parchi tecnologici.

Slovenia Il FESR ha cofinanziato 8 centri di eccel-lenza, 7 centri di competenze e 17 centri di sviluppo economico entro la fine del 2012.

Romania Con l'aiuto dei fondi dell'UE, sono stati co-struiti ex novo o rimodernati 253 centri di R&S.

Esempi di progetti finanziati in ambito TIC

Grecia Quasi 730 000 persone in più hanno avuto accesso alla banda larga grazie ai finanziamenti del FESR, la maggioranza delle quali situata nelle regio-ni della Macedonia e della Tracia, una delle regioni meno sviluppate in assoluto, contribuendo così alla riduzione del "digital divide".

Spagna Il FESR ha contribuito in misura sostanzia-le al processo di informatizzazione nei settori del-la pubblica amministrazione, istruzione, sanità e in ambito giudiziario, nonché alla diffusione delle TIC nelle PMI.

Romania Grazie ai progetti sostenuti dal FESR, oltre 560 000 persone hanno potuto usufruire dei sistemi di governance, sanità e apprendimento online entro la fine del 2012.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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nelle regioni meno sviluppate, contribuendo così alla ridu-zione del cosiddetto "digital divide", ancora relativamente accentuato in diversi paesi soprattutto dell'UE–12 e negli Stati membri meridionali dell'UE–15.

Trasporti

Quasi 2 550 km di nuove strade sono stati costruiti nell'ambito dei progetti cofinanziati a titolo del FESR e del Fondo di coesione entro la fine del 2012, la

maggioranza dei quali nelle regioni meno sviluppate dell'UE–12, provviste di reti stradali altamente insuffi-cienti dopo decenni di abbandono. Di questi, 1 200 km erano autostrade nell'ambito della rete TEN–T. Inoltre, circa 17 000 km di strade esistenti sono state sot-toposte a interventi di adeguamento — quali opere di ampliamento o trasformazione in strade a doppia corsia — anche in questo caso riguardanti soprattutto le regioni meno sviluppate soprattutto nell'UE–12, ca-ratterizzate da situazioni di grave congestionamento e dal rallentamento nei tempi di percorrenza a causa delle condizioni stradali e della scarsità di autostrade e tangenziali nelle zone urbane. Entrambe le tipologie di investimento hanno contribuito in molti casi a un notevole risparmio nei tempi di percorrenza, nonché al miglioramento dei collegamenti tra insediamenti umani e attività economiche sia all'interno dei vari pa-esi, sia tra un paese e l'altro. La costruzione di nuove strade ha in alcuni casi consentito un alleggerimento del traffico dei centri urbani, diminuendo l'inquina-mento e la congestione e migliorando così la qualità della vita in questi centri.

Anche se entro la fine del 2012 sono relativamente poche le nuove reti ferroviarie costruite, sono stati ap-portati dei significativi miglioramenti alle linee esisten-ti, tramite interventi di elettrificazione, l'installazione di moderni sistemi di controllo e segnalamento, la realiz-zazione del doppio binario e così via. Entro la fine del 2012, complessivamente 2 369 km di reti ferroviarie risultano essere stati sottoposti a interventi di miglio-ramento, ancora una volta in misura maggiore nelle regioni meno sviluppate. Inoltre, sia grazie alla costru-zione di nuove linee sia tramite l'adeguamento delle reti esistenti, quasi 1 500 km sono stati aggiunti alla rete ferroviaria TEN–T, in questo caso soprattutto nel-le regioni di convergenza dell'UE–15. In questo periodo sono stati finanziati anche diversi progetti in materia di trasporti pubblici urbani, in particolare la metropolitana della capitale della Bulgaria, Sofia, determinando una significativa diminuzione del traffico cittadino.

Diversi altri progetti volti al miglioramento del sistema di trasporti e, in alcuni casi, alla diminuzione degli effetti dannosi per l'ambiente sono stati realizzati nel territorio dell'UE entro la fine del 2012, soprattutto in materia di trasporti urbani, porti e aeroporti, anche se la loro natura molto diversa rende difficoltosa l'aggregazione degli esiti (nel Riquadro sono riportati alcuni esempi).

Esempi di progetti finanziati in ambito trasporti

Portogallo Le strade costruite grazie al sostegno del FESR e del Fondo di coesione comprendono l'ultimo tratto della tangenziale interna di Lisbona, che sop-porta un traffico giornaliero medio di 50 000 veicoli, diminuendo del 40% il traffico sulle principali strade della capitale e migliorando così l'ambiente urbano.

Bulgaria I fondi dell'UE hanno cofinanziato la co-struzione della seconda linea della metropolitana di Sofia, oltre a 13 nuove stazioni, 2 sulla linea uno, e 11 sulla linea due. La nuova linea ha consentito un alleggerimento del traffico cittadino, migliorando la viabilità urbana.

Estonia I miglioramenti nella rete ferroviaria cofinan-ziati dai fondi dell'UE ha consentito una riduzione del 31% dei tempi di percorrenza entro la fine del 2012; l'obiettivo è di giungere a una diminuzione complessi-va del 45% entro la fine del 2015.

Ungheria I fondi dell'UE hanno cofinanziato la co-struzione di un tratto dell'autostrada M0 nella zona di Budapest, contribuendo alla diminuzione del traf-fico cittadino, mentre i miglioramenti nella rete fer-roviaria hanno determinato una diminuzione di 47 minuti nella durata media dei viaggi sulle linee ap-partenenti alla rete TEN–T.

Polonia I fondi dell'UE hanno permesso l'ampliamen-to e l'ammodernamento dell'aeroporto di Wroclaw, con la costruzione di un nuovo terminale dotato delle più moderne infrastrutture, compreso un sistema au-tomatizzato di controllo bagagli.

Romania Circa 124 km di una nuova autostrada sono stati costruiti con i contributi dell'UE entro la fine del 2012 e ulteriori 387 km dovrebbero essere completati entro la fine del 2015. Quando sarà terminata, l'auto-strada collegherà le coste del Mar Nero e le principali città del paese, fra cui Bucarest, Sibiu e Arad, con l'Un-gheria e le principali città dell'Europa centrale.

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Capitolo 7: Effetti della politica di coesione

217

Infrastrutture ambientali

Entro la fine del 2012, quasi 3,3 milioni di cittadini dell'UE hanno beneficiato di un miglioramento nell'ac-cesso all'acqua potabile grazie ai progetti cofinanziati. In buona parte si tratta della popolazione delle regio-ni meno sviluppate (2,7 milioni sul totale), soprattutto delle regioni di convergenza spagnole (dove 1,7 milioni di persone hanno beneficiato del miglioramento appor-tato alla fornitura idrica).

Inoltre, circa 5,5 milioni hanno beneficiato del miglio-ramento degli allacciamenti ai sistemi fognari, soprat-tutto tramite l'installazione di impianti di raccolta e depurazione delle acque reflue, contribuendo alla tute-la dell'ambiente e al consolidamento delle prospettive di sviluppo sostenibile. Anche questi interventi han-

no riguardato soprattutto le regioni meno sviluppate dell'UE–15, in particolare la Spagna (con un bacino di utenza di 2,2 milioni di persone) e l'Italia (1,1 milioni).

Sono stati realizzati circa 2 126 progetti con l'aiuto dei contributi dell'UE, volti al riciclo dei rifiuti domestici e industriali, all'incremento delle infrastrutture di tratta-mento dei rifiuti e all'ampliamento delle discariche, ol-tre alla chiusura dei siti che non soddisfano i requisiti minimi, quasi tutti nelle regioni di convergenza e molti nell'UE–12.

I progetti rivolti alla prevenzione delle alluvioni cofinan-ziati dal FESR hanno consentito di rafforzare la protezio-ne per circa 4,2 milioni di persone nel territorio dell'UE, sia nelle le regioni dell'obiettivo convergenza sia nelle regioni dell'obiettivo di competitività.

Migliorare la qualità delle domande relative ai grandi progetti

L'iniziativa JASPERS (assistenza comune per so-stenere progetti nelle regioni europee) ha fornito un importante contributo al miglioramento del-la qualità delle domande di finanziamento per i grandi progetti infrastrutturali nell'UE–12, aiutando gli Stati membri a elaborare al meglio le proposte progettuali e dimostrare che i benefici attesi oltre-passano i costi.

La Banca europea per gli investimenti (BEI) è in as-soluto il maggior ente cofinanziatore dei programmi finanziati dall'UE, ed è attivamente impegnata in ini-ziative volte al potenziamento delle capacità in di-versi paesi, fra cui Grecia, Bulgaria e Romania.

Nei precedenti periodi di programmazione erano sta-te istituite speciali task force con il coinvolgimento degli Stati membri, di istituti di credito internaziona-li, la Commissione e altri esperti, operanti in qualità di "pronto soccorso" per i programmi che manife-stassero problemi urgenti (ad esempio nelle regio-ni italiane meridionali, Bulgaria e Romania). I fondi destinati all'assistenza tecnica sono stati utilizzati per finanziare il riesame di particolari aree strategi-che, nonché interventi nell'ambito di progetti speci-fici condotti dalla BEI, dalla Banca mondiale e dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. In Romania, è stata lanciata un'iniziativa speciale volta al miglioramento delle procedure di appalto pubblico, con la partecipazione della DG Politica regionale, DG Mercato interno e JASPERS.

Esempi di progetti finanziati in materia di infrastrutture ambientali

Portogallo Entro la fine del 2012 sono stati co-struiti circa 239 impianti di trattamento delle ac-que reflue con il sostegno dei fondi dell'UE, oltre a 1 425 km di rete fognaria alle quale sono allacciate circa 820 000 persone, nonché 640 km di rete idri-ca, migliorando l'accesso all'acqua potabile per oltre 273 000 persone.

Italia I progetti cofinanziati dal FESR hanno consen-tito l'allacciamento di oltre 1 milione di persone a migliori impianti di gestione delle acque reflue, pari a circa il 13% della popolazione totale nelle regioni di convergenza e a quasi il 40% della popolazione in Sicilia e Basilicata, dove è stata realizzata buona parte degli investimenti.

Malta L'impianto di depurazione meridionale, costru-ito con l'aiuto dei finanziamenti europei e in grado di trattare l'80% dei liquami prodotti sull'isola, ha con-sentito un cambiamento positivo nella classificazio-ne delle acque costiere meridionali, salite in Classe 1 dalla Classe 3, facendo così diventare Malta il primo paese del Mediterraneo a trattare tutti i liquami pri-ma di procedere con lo scarico a mare.

Slovacchia I fondi dell'UE hanno consentito il cofi-nanziamento di interventi di costruzione o moder-nizzazione di 89 infrastrutture per la raccolta diffe-renziata dei rifiuti, aumentando di 15 699 tonnellate annue la quantità di rifiuti recuperati.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Energie rinnovabili e aumento dell'efficienza energetica

Col sostegno del FESR sono stati realizzati numerosi progetti (circa 29 358 in tutto) volti ad aumentare la capacità di generazione di energia elettrica dalle fon-ti rinnovabili. Oltre l'80% riguardava le regioni meno sviluppate, anche se in prevalenza quelle situate nell'UE–15 che non nell'UE–12. Il risultato complessivo è un aumento della capacità di generazione pari a 2 431 MW, contribuendo in maniera significativa alla realizza-zione dell'obiettivo dell'UE di innalzare al 20% la quota di rinnovabili sulla produzione energetica complessiva entro il 2020.

Inoltre, numerosissimi progetti sono stati dedicati all'incremento dell'efficienza energetica nei condomini e negli edifici pubblici, soprattutto nei paesi dell'UE–12 dove entrambe le tipologie prevedevano un grande di-spendio energetico, anche a causa dei metodi di costru-zione utilizzati e dei decenni di trascuratezza durante il regime precedente.

Turismo, attività culturali, infrastrutture sociali, opere di bonifica e riqualificazione urbana

I progetti realizzati in altre aree strategiche oltre a quel-le precedentemente citate coprono una vasta gamma di tipologie quali promozione e sviluppo del turismo, attivi-tà ricreative, bonifica di aree contaminate, in particolare

siti industriali dismessi, riqualificazione di edifici e zone urbane, costruzione e ammodernamento di ospedali, poliambulatori, scuole, centri sociali e altre infrastruttu-re sociali. Pur trattandosi di progetti tendenzialmente di piccola entità, essi producono un impatto significativo sul miglioramento della qualità della vita nelle comuni-tà locali, contribuendo anche allo sviluppo delle attività economiche.

Gli esiti di questi investimenti però, data la loro natu-ra, sono difficilmente misurabili tramite indicatori fisici quali il miglioramento dell'ambiente urbano o delle at-trattive locali, la salvaguardia delle tradizioni culturali e dei monumenti storici, da preservare sia per le futu-re generazioni sia per quelle attuali (per non dire del loro potenziale turistico). In pratica, la maggior parte degli indicatori fisici utilizzati fa riferimento al numero di progetti realizzati che, di per sé, è poco rappresenta-tivo delle realizzazioni o dei risultati ottenuti grazie alla spesa effettuata.

Questi i principali esiti conseguiti entro la fine del 2012, in base ai dati raccolti e aggregati nei i vari paesi:

• sono stati realizzati oltre 8 600 progetti cofinan-ziati dal FESR per la promozione del turismo, la maggioranza dei quali (circa il 75%) nelle regioni di Convergenza dell'UE–12, con un risultato di 11 928 nuovi posti di lavoro totali;

• la bonifica di circa 576 km quadrati di aree inqui-nate, la maggior parte delle quali nelle regioni di convergenza e circa due terzi in Ungheria, Spagna e Italia;

• il cofinanziamento di circa 3 800 progetti in tutta l'UE di ampliamento o miglioramento delle strutture sanitarie, la maggioranza delle quali nelle regioni di convergenza;

• il sostegno a circa 19 043 progetti di investimento nell'edilizia scolastica, per la costruzione di nuove scuole o università o la ristrutturazione e l'adegua-mento delle attrezzature di quelle esistenti, quasi tutte nelle regioni di convergenza, in particolare dell'UE–15.

Esempi di progetti finanziati in ambito energetico

Austria Grazie ai progetti finanziati, 55 impianti ali-mentati a biocarburante hanno incrementato la ca-pacità di generazione di 89 MW, pari al 20%, deter-minando una potenziale diminuzione delle emissioni di gas a effetto serra equivalenti alla produzione di CO2 di circa 33 000 automobili.

Lituania Sono stati realizzati interventi di ristruttura-zione e miglioramento dell'efficienza energetica per 706 edifici pubblici entro la fine del 2012.

Lettonia Sono stati realizzati interventi di ristrut-turazione e miglioramento dell'efficienza energe-tica per l'edilizia sociale pubblica; nel complesso, i lavori svolti hanno consentito una diminuzione dei costi di riscaldamento superiori al 45%.

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Capitolo 7: Effetti della politica di coesione

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2.2 Il Fondo sociale europeo

Accesso al mondo del lavoro

Nel periodo 2007–2013, il sostegno dell'FSE rappre-senta circa il 20% della spesa per le politiche attive del lavoro degli Stati membri, da un minimo del 2% nei paesi ad elevato reddito a oltre il 100% nei paesi di Convergenza a basso reddito.

L'FSE ha supportato almeno 19,6 milioni di "parteci-panti" (ovvero casi di partecipazione ai vari programmi) con l'obiettivo di promuovere l'accesso delle persone al mondo del lavoro entro la fine del 20121; di questi, 3,3 milioni di persone hanno trovato lavoro una vol-ta terminate le attività. Nella maggioranza degli Stati membri, l'incidenza della popolazione che ha trovato lavoro e di quella ancora occupata dopo 6 o 12 mesi si è avvicinata al traguardo fissato2. Inoltre, risultano oltre 497 000 casi di persone che hanno ottenuto una qualifica e quasi 42 000 persone che hanno intrapreso una forma di lavoro autonomo.

Il sostegno è stato erogato anche a favore dell'inseri-mento lavorativo, soprattutto di disabili e altri gruppi svantaggiati. La crisi ha ostacolato l'inserimento lavo-rativo e la permanenza nel mondo del lavoro della po-polazione, per questo alcuni programmi hanno subito delle modifiche.

A fine 2012, sono oltre 20 milioni i giovani sotto i 25 anni che hanno beneficiato di una forma di sostegno, pari a quasi il 30% del totale; negli Stati membri me-ridionali, tuttavia, il tasso di partecipazione è ancora più basso nonostante l'elevata percentuale di giovani non occupati e non inseriti in un percorso di istruzione o formazione, il che fa intuire che il numero di persone inoccupate sopra i 25 anni sia ancora più alto.

Dalle valutazioni3 condotte in 5 Stati membri (Austria, Repubblica ceca, Francia, Italia e Portogallo), emerge come, dopo lo scoppio della crisi, i programmi della po-litica di coesione abbiano intensificato le misure a fa-vore dei giovani. In tutti e cinque i paesi è stata data

1 FSE Expert Evaluation Network (2014).

2 Secondo il parere di alcuni esperti non si tratterebbe di obiettivi par-ticolarmente ambiziosi, tuttavia i dati vanno confrontati con la grave crisi nel mercato del lavoro rispetto alla quale tali obiettivi sono stati definiti.

3 FSE Expert Evaluation Network (2013).

Esempi di progetti finanziati in ambito urbano e nel settore delle infrastrutture turistiche, culturali, sociali e scolastiche

Italia Il FESR ha cofinanziato l'aggiornamento delle attrezzature informatiche e scientifiche nell'80% di tutte le scuole elementari e medie delle regioni di Convergenza nel sud del paese.

Portogallo Nell'ambito del programma di moder-nizzazione delle scuole, cofinanziato dal FESR, sono state costruite ex novo, ampliate o ristrutturate cir-ca 867 scuole e infrastrutture scolastiche.

Francia Grazie al sostegno del FESR, è stata aper-ta una sezione distaccata del museo del Louvre a Lens, nella regione Nord–Pas–de–Calais.

Austria Il FESR ha contribuito al finanziamento del-la riqualificazione di circa 28 500 metri quadrati di spazi pubblici nella città di Vienna.

Ungheria Grazie al sostegno del FESR, sono state ristrutturate 136 scuole materne, primarie e secon-darie, corrispondenti a un bacino di utenza di oltre 12 000 bambini.

Romania Il FESR ha cofinanziato la ristrutturazione di buona parte di Alba Iulia in Transilvania, compre-sa la cittadella, trasformando questa città in uno dei maggiori centri turistici della regione. Grazie a questi interventi, il museo della cittadella ha regi-strato un aumento di visitatori da 21 900 nel 2010 a oltre 45 000, solo nei primi 9 mesi del 2013.

Slovenia Sono stati realizzati circa 146 progetti per il miglioramento delle infrastrutture turistiche, compresa la riqualificazione di 20 siti di valore cul-turale. Nonostante non vi sia necessariamente un nesso causale, il numero di pernottamenti è au-mentato da 7,6 milioni nel 2007 a 9,5 milioni nel 2012 e oltre 457 000 persone hanno visitato i siti riqualificati.

Slovacchia Il FESR ha cofinanziato l'ampliamento e l'ammodernamento delle strutture sanitarie, con il risultato di un aumento di 2 022 posti letto negli ospedali e 664 541 pazienti curati in strutture più moderne.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

220

priorità agli aiuti in favore dei giovani a rischio di ab-bandono scolastico precoce o già fuoriusciti dal sistema scolastico, e in quattro paesi su cinque (tutti tranne il Portogallo) ai giovani non occupati e non inseriti in un alcun ciclo di istruzione o formazione (la cosiddetta ge-nerazione NEET).

Dal 2009 in poi, maggiori risorse sono state destinate al sostegno di iniziative di promozione dell'autoimprendi-torialità e della creazione di impresa volte allo sviluppo del cosiddetto mercato del lavoro secondario, in grado di offrire opportunità di stage in azienda, formazione e qualificazione a disoccupati di lunga durata.

Politiche a favore dell'inclusione sociale

L'inclusione sociale ha assunto un ruolo molto impor-tante nell'ambito degli obiettivi del periodo 2007–2013, rispetto ai precedenti periodi. Grazie ai contributi dell'FSE, sono state sovvenzionate varie iniziative volte alla realizzazione di "percorsi di integrazione" e al rein-serimento lavorativo delle fasce deboli4.

A fine 2012, 12,9 miliardi di euro erano stati investiti nelle misure a favore dell'inclusione sociale, con un ul-teriore impegno di spesa pari a 10,3 miliardi di euro5. I risultati disponibili riguardano solo alcuni Stati membri, ma dalle cifre disponibili il numero di persone che ha trovato lavoro risulta elevato, con oltre 164 000 casi riferiti (di cui la stragrande maggioranza in Spagna).

4 FSE Expert Evaluation Network (2012).

5 Fanno riferimento alle diverse categorie di spesa riguardanti l'inclusione sociale nell'ambito dell'FSE.

Anche i dati sull'acquisizione di qualifiche sono molto positivi, con quasi 148 000 casi segnalati di persone che hanno conseguito una qualifica.

I contributi erano altresì finalizzati a combattere la po-vertà che affligge i gruppi più vulnerabili, quali ad esem-pio immigrati, minoranze etniche e madri sole, nonché alla lotta alla discriminazione6. Alcune delle iniziative realizzate comprendevano gli aiuti all'inserimento la-vorativo a favore dei beneficiari, campagne pubbliche di sensibilizzazione sul tema della discriminazione, se-minari sulla diversità per datori di lavoro e responsabili delle risorse umane, nonché corsi di formazione rivolti al personale dei centri per l'impiego.

In alcuni paesi oltre la metà dei finanziamenti è stata destinata al sostegno alle donne, ad esempio la Polonia (56,5%), mentre in altri si è registrata un'incidenza de-cisamente inferiore alla metà (solo il 39,5% nel Regno Unito). Al lato opposto, in Spagna, sarebbero quasi 888 000 le donne che entro la fine del 2011 hanno tro-vato lavoro una volta terminate le attività finanziate, pari al 62% delle partecipanti.

Rispetto al periodo 2000–2006, sono aumentati i finan-ziamenti a favore dell'inserimento lavorativo di immi-grati e minoranze (1 miliardo di euro complessivamen-te)7, con ulteriori 5 miliardi di euro a sostegno di altre misure sempre destinate a queste categorie. Inoltre, 10 miliardi di euro sono stati assegnati a favore di mi-sure generiche rivolte alle fasce deboli, fra cui immigrati e minoranze. Entro la fine del 2012, circa 6,4 milioni di persone appartenenti ai due gruppi hanno partecipato a programmi finanziati nell'ambito dell'FSE.

Sostegno allo sviluppo del capitale umano

Sono state registrate quasi 25,9 milioni di partecipazioni a misure cofinanziate nell'ambito dell'FSE finalizzate al miglioramento del capitale umano entro la fine del 2012.

In 13 Stati membri, l'FSE ha contribuito alla moderniz-zazione del sistema di istruzione e formazione8, con uno stanziamento di oltre 8 miliardi di euro per attività di progettazione, introduzione e attuazione delle riforme. Nel complesso, il 10% circa del finanziamento comples-

6 GHK e Fondazione G. Brodolini (2014).

7 CSES (2011).

8 Ibid.

Gruppi di intervento sulla disoccupazione giovanile

Nel 2012, la Commissione ha istituito i gruppi di intervento sulla disoccupazione giovanile negli 8 Stati membri con i livelli più elevati di disoccupazio-ne giovanile. In questo modo è stato possibile utilizza-re i fondi non assegnati dalla politica di coesione nel periodo 2007–2013 per aumentare le opportunità di lavoro a favore dei giovani, nonché per agevolare l'ac-cesso delle PMI ai finanziamenti. Si prevede che oltre un milione di giovani beneficeranno degli aiuti, con-tando su uno stanziamento complessivo superiore ai 4,2 miliardi di euro (di cui 1,4 miliardi già impegnati a favore di progetti in corso).

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Capitolo 7: Effetti della politica di coesione

221

sivo (35 miliardi di euro) è stato destinato ad attività di istruzione e formazione; entro la fine del 2010, circa 5 milioni di giovani, 5,5 milioni di persone scarsamente qualificate e 576 000 anziani hanno partecipato a corsi di formazione continua cofinanziati dall'FSE9. Tali cifre, pur non essendo tra loro sommabili onde evitare la dop-pia contabilizzazione, offrono un'indicazione di massima sull'entità delle adesioni.

Anche se le cifre variano in base alle caratteristiche dei partecipanti e alla situazione del mercato del lavoro dei singoli paesi, si stima che in media il 20–35% dei par-tecipanti sia entrato nel mondo del lavoro subito dopo aver frequentato il corso finanziato dall'FSE.

A ulteriore conferma del ruolo prioritario assegnato ai giovani da alcuni Stati membri, oltre 696 000 parteci-panti hanno proseguito gli studi partecipando ad altre attività di formazione o istruzione una volta terminati i corsi finanziati, con oltre 262 000 casi di acquisizio-ne di nuove qualifiche segnalati. Inoltre quasi 236 000 partecipanti hanno ottenuto un impiego e oltre 60 000 partecipanti hanno avviato un'attività autonoma.

Miglioramento delle capacità istituzionali

Per il periodo 2007–2013, gli orientamenti strategici comunitari e il regolamento dell'FSE10 hanno indicato come priorità chiave da affrontare la buona governan-ce e il potenziamento delle capacità, soprattutto nelle regioni e negli Stati membri meno sviluppati. A seguito di ciò, sono stati stanziati 3,7 miliardi di euro a titolo dell'FSE per il rafforzamento delle capacità istituziona-li e dell'efficienza della pubblica amministrazione e dei servizi pubblici a livello nazionale, regionale e locale, ove opportuno, delle parti sociali e degli enti non gover-nativi, nell'ottica di promuovere le riforme e ottimizzare i regolamenti e la governance. Tale stanziamento è sta-to suddiviso in due capitoli di spesa11:

• meccanismi per il miglioramento delle attività di progettazione, monitoraggio e valutazione delle po-litiche e dei programmi a livello nazionale, regionale e locale;

9 Ecorys (2012).

10 Articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (CE) n. 1081/2006 sul Fondo sociale europeo.

11 Commissione europea (2013), Politica di coesione: relazione stra-tegica 2013.

• potenziamento delle capacità riguardanti la realiz-zazione delle politiche e dei programmi, compresa l'applicazione della normativa.

Quattro Stati membri (Bulgaria, Romania, Ungheria e Grecia) hanno istituito un programma specifico dedica-to al potenziamento delle capacità, mentre altri 9 Paesi (Repubblica ceca, i tre Stati baltici, Polonia, Slovenia, Slovacchia, Malta e Regno Unito — Galles) hanno in-serito questo tema fra le priorità di uno dei programmi, soprattutto nei programmi regionali. Altri, come l'Italia, hanno combinato i due approcci, da un lato creando un programma nazionale dedicato e dall'altro inserendo il tema fra le priorità degli assi regionali.

Ad esempio, il programma bulgaro per la costruzione delle capacità amministrative comprende uno stanzia-mento di 157 milioni di euro nell'ambito della politica di coesione, volto al miglioramento delle modalità di attuazione delle politiche e della qualità dei servizi of-ferti ai cittadini e alle imprese. È inoltre finalizzato al rafforzamento della professionalità, trasparenza e re-sponsabilità del sistema giudiziario e al miglioramento della gestione delle risorse umane, alla formazione dei dipendenti pubblici e degli organismi giudiziari e della società civile.

Le tematiche su cui sono incentrati i programmi riguar-dano la struttura degli enti pubblici, le risorse umane, i sistemi e gli strumenti utilizzati. Una serie di studi ap-profonditi ha permesso di individuare i fattori indispen-sabili per la costruzione di un'efficace capacità ammini-strativa12: • partecipazione della società civile; • impiego di una metodologia chiara e un approccio

tecnico; • impegno politico; • chiara definizione delle responsabilità; • scambio di esempi di buone prassi a livello di UE; • utilizzo di sistemi efficaci per il monitoraggio e la

valutazione.

12 Ecorys (2012).

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

222

3. Risultanze della valutazione d'impatto della politica di coesione

3.1 Lo stato dell'arte e le sfide che attendono i programmi cofinanziati dal FESR e dal Fondo di coesione

I dati presentati nelle sezioni precedenti forniscono un'indicazione della portata delle attività realizzate col sostegno della politica di coesione e delle tipologie di progetti e misure cofinanziate. In alcuni casi indicano anche l'esito della spesa sostenuta e i risultati che tali interventi hanno determinato. Tuttavia, di per sé non rivelano ciò che la politica di coesione ha conseguito a livello di valore aggiunto o di quanto abbia inciso in termini di sviluppo delle economie regionali o nazionali, numero di persone occupate, tenore di vita della po-polazione, maggior equilibrio tra attività economiche e occupazione nelle regioni, o più in generale in termini di coesione sociale e territoriale.

Questo è in parte dovuto al fatto che le cifre indicate sono espresse in valori lordi e alcuni degli effetti pro-dotti avrebbero potuto verificarsi comunque anche sen-za l'erogazione del sostegno finanziario. Ad esempio, nel caso di un progetto o misura realizzati con un cofi-nanziamento del FESR o dell'FSE pari al 50%, gli effetti ottenuti dovrebbero essere attribuiti al finanziamento erogato per una quota pari al 50%; nell'ipotesi in cui il progetto non fosse stato realizzato in mancanza del fi-nanziamento, tale percentuale sarebbe maggiore, se in-vece il progetto fosse stato realizzato comunque, anche con un finanziamento ridotto o senza finanziamento, la percentuale di incidenza sarebbe minore. In quest'ul-timo caso subentra una componente del cosiddetto "effetto inerziale", che si verifica quando il sostegno fi-nanziario viene assegnato a un progetto che si sarebbe realizzato anche senza tale finanziamanto. Tale effetto rappresenta il 100% del finanziamento nel caso di re-alizzazione del progetto o della misura mantenendo la stessa scala, meno del 100% in caso di realizzazione del progetto ma su scala più ridotta.

Un'ulteriore complicazione deriva dall'ipotesi secondo cui, anche in caso di non realizzazione del progetto per mancanza di contributi, si sarebbe potuto realizzare un progetto analogo. Ad esempio, l'assegnazione dei fondi a un'impresa per la realizzazione di investimenti o per la creazione di nuovi posti di lavoro potrebbe determi-

Valore aggiunto europeo tramite la costruzione di reti e la diffusione di buone prassi

L'UE sostiene la realizzazione di programmi volti alla diffusione di esempi di buone prassi riguardanti la riforma della pubblica amministrazione, nonché alla sollecitazione del pensiero creativo per l'ideazione di soluzioni efficaci a problemi condivisi a livello di UE.

La Rete europea della pubblica amministrazione (EU-PAN1) è una rete informale composta dai direttori gene-rali della pubblica amministrazione dei vari Stati mem-bri, della Commissione europea e dei paesi osservatori. Essa si prefigge il miglioramento delle prestazioni e del-la qualità degli enti pubblici europei tramite lo sviluppo di nuove metodologie basate sullo scambio di pareri, esperienze ed esempi di buone prassi tra i partecipanti.

La Commissione sostiene una Comunità di pratica at-tiva nell'ambito della gestione basata sui risultati2, rivolta ai decisori politici e ai responsabili dei program-mi incaricati della predisposizione, della gestione e del monitoraggio dei programmi dell'FSE. Un importante prodotto della rete è un repertorio di informazioni sulla gestione basata sui risultati, utile per accompagnare gli operatori nello sviluppo dei sistemi in questa direzione.

Il Premio europeo per le pubbliche amministrazioni3 (EPSA–European Public Sector Award) è finalizzato al riconoscimento dell'eccellenza nelle istituzioni pubbli-che dell'UE. Le categorie previste nell'ambito di questa iniziativa hanno promosso uno sviluppo della consa-pevolezza su importanti aspetti della pubblica ammi-nistrazione, incoraggiando così gli enti a modernizzare le proprie disposizioni e pratiche amministrative. L'EPSA non costituisce soltanto un premio bensì, tramite la rac-colta sistematica di buone prassi, una vera e propria base di conoscenze sulle modalità che consentono alle amministrazioni pubbliche di ottimizzare la propria or-ganizzazione e migliorare la qualità dei servizi offerti. Negli ultimi 6 anni ha raccolto ed esaminato complessi-vamente oltre 800 esempi in tal senso.

Nell'ambito del 7° programma auadro (PQ7), il Premio europeo per l'innovazione nella pubblica amministra-zione è stato assegnato alle 9 iniziative più innovative e potenzialmente replicabili nell'ambito della funzione pubblica, selezionate fra 203 domande di candidatura provenienti da 22 diversi paesi.

1 Si veda EUPAN, http://www.eupan.eu/.

2 Per ulteriori informazioni si rinvia al sito della Comunità di pratica attiva nell'ambito della gestione basata sui risultati (Community of Practice on Results Based Management (COP RBM)), http://www.coprbm.eu/?q=node/1.

3 Si veda EPSA, http://epsa2013.eu/.

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Capitolo 7: Effetti della politica di coesione

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nare un'assenza di investimenti o di nuovi posti di lavoro presso un'altra impresa, rispetto a quanto sarebbe avve-nuto in altre circostanze. In questo caso, l'erogazione del finanziamento genera un "effetto trasferimento" di cui si dovrebbe tenere conto nella valutazione dei risultati.

La misurazione corretta dell'esito di un progetto o pro-gramma, e del contributo fornito al raggiungimento de-gli obiettivi della politica, è determinabile solo tramite approfondita analisi dell'intervento (o degli interventi) in questione, nell'ottica di distinguere l'effetto del soste-gno finanziario ricevuto da un lato e gli ulteriori fattori in gioco dall'altro. È molto importante procedere in questo modo non solo per individuare i risultati ottenuti grazie alla realizzazione della misura in questione, ma anche per valutare se il finanziamento è stato speso corretta-mente e se potrà essere utilizzato in maniera analoga anche in futuro, oppure se converrà apportare delle mo-difiche per renderlo più efficace.

Per quanto riguarda i programmi cofinanziati dal FESR e dal Fondo di coesione per il periodo 2007–2013, sono state condotte almeno 821 valutazioni nei vari Stati membri13. Nel caso del FSE, sempre nello stesso periodo, sono state condotte 721 valutazioni nei vari Stati mem-bri14. Il numero delle valutazioni effettuate è molto più alto di quello dei periodi precedenti. Inoltre, le valutazio-ni effettuate dal 2007 in avanti hanno in buona parte una natura meno "formale", ovvero sono state intrapre-se con l'intento di approfondire la modalità con cui ven-gono spesi i fondi e non semplicemente per soddisfare l'obbligo imposto dai regolamenti, e sono maggiormen-te orientate a una migliore comprensione dell'andamen-to dei programmi. In molti casi esse si sono incentrate su specifici aspetti di particolare rilevanza o su parti di programmi, singole misure o tipologie progettuali, anzi-ché sui programmi nella loro interezza, tendenzialmente più difficili da valutare se non in maniera relativamente superficiale.

Molte delle valutazioni non riguardano direttamente i ri-sultati dei programmi in sé. In molti casi sono incentrate

13 Si tratta di una stima sulla base dei dati delle valutazioni effettuate nei vari paesi dalla Rete di esperti indipendenti in valutazione, isti-tuita dalla DG Politica regionale nel 2010 per occuparsi del monito-raggio dei programmi del FESR e del Fondo di coesione per il periodo 2007–2013 in ciascuno dei 27 Stati membri e della raccolta di in-formazioni sull'attività valutativa. Alcune delle valutazioni sono state realizzate con i contributi relativi al periodo 2000–2006 (terminato solo nel dicembre 2009). Si veda Expert Evaluation Network (2014).

14 Secondo quanto riferito dalla Rete dei valutatori esperti dell'FSE alla fine del 2013.

sull'esame dei processi e delle procedure adottate per la gestione dei fondi, l'approvazione dei progetti e così via, al fine di verificare la corretta esecuzione delle attività previste e individuare eventuali miglioramenti. In altri casi si focalizzano soprattutto sui progressi a livello di attuazione dei programmi, al fine di individuare even-tuali difficoltà incontrate in fase di attuazione e verifica-re che quanto previsto fosse effettivamente realizzato. In questo caso vengono esaminati anche i risultati otte-nuti, soprattutto tenendo conto dei dati di monitoraggio e delle tipologie di indicatori considerati nella sezione precedente, e non per tentare di distinguere gli esiti at-tribuibili ai programmi in quanto tali.

Solo poco più del 20% delle valutazioni riguardanti il FESR e il Fondo di coesione e il 23% delle valutazioni riguardanti l'FSE erano finalizzate all'analisi dei risultati dei programmi e dell'efficacia nel raggiungere gli obiettivi stabiliti all'inizio del periodo di programmazione. Nel 2013, invece, le valu-tazioni riguardanti il FESR e il Fondo di coesione con que-sta finalità sono aumentate in maniera significativa (sfio-rando il 36%). Questo cambiamento è indicativo del fatto che i programmi erano stati avviati da tempo, producendo una maggiore quantità di risultati da valutare, ma anche dell'accresciuto interesse da parte degli Stati membri re-lativamente all'efficacia delle politiche. La maggioranza di tali valutazioni sostanzialmente prevedeva un'analisi dei dati quantitativi per cercare di distinguere gli effetti diret-tamente connessi al finanziamento erogato da ulteriori fattori che potessero influire sugli esiti, stimando anche la presenza di eventuali "effetti inerziali".

Un'altra tendenza interessante è l'impiego sempre più diffuso di tecniche più rigorose, quali ad esempio la va-lutazione d'impatto controfattuale. Questa tecnica è ap-positamente studiata per isolare l'impatto dei finanzia-menti, mettendo a confronto i beneficiari dei contributi con un "gruppo di controllo" che non ha ricevuto alcun contributo (si veda il Riquadro). Il numero di valutazioni eseguite con questi metodi, per quanto molto limitato considerando l'intero periodo (circa il 4% del totale dei programmi del FESR e del Fondo di coesione e il 5% del totale dei programmi dell'FSE), è comunque in au-mento. In parte, tale incremento è dovuto a una serie di iniziative realizzate dalle direzioni generali della Politica regionale e urbana e per l’Occupazione, gli affari sociali e l'integrazione (si veda il Riquadro), ma anche al cre-scente interesse da parte degli Stati membri a saperne di più sul funzionamento delle misure e sulle modalità di miglioramento delle performance.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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La maggiore importanza attribuita ai risultati che carat-terizza il nuovo periodo di programmazione, come espo-sto qui di seguito, costituirà un forte incentivo per gli Stati membri a condurre valutazioni di questo tipo. Inoltre, gli stessi rigidi vincoli di bilancio, destinati a rimanere in vigo-re ancora per molto tempo a venire, assegnano un ruolo centrale alla massimizzazione dell'efficacia con cui la spe-sa viene effettuata. Ciò può avvenire solo raccogliendo più prove possibili sull'efficacia delle misure finanziate, il che significa aumentare il numero di valutazioni del genere.

L'utilizzo dei metodi controfattuali comporta la costi-tuzione di un gruppo di controllo adeguato e la dispo-nibilità di dati sufficienti, al fine di poter confrontare il comportamento e l'efficacia di questo gruppo rispetto al gruppo beneficiario dei finanziamenti. È il caso ad esem-

pio del sostegno alle imprese o all'innovazione. Non è invece applicabile alla maggior parte degli investimenti nelle infrastrutture, dove sono utilizzabili altre tecniche quantitative (ad esempio l'analisi costi–benefici), men-tre in altre aree strategiche (ad esempio il sostegno alle comunità locali), l'analisi dettagliata di casi di studio consente una potenziale valutazione dei risultati degli interventi. Per quanto riguarda i programmi cofinan-ziati dall'FSE, le varie tipologie di interventi realizzati nell'ambito dell'FSE, fra cui i corsi di formazione, in-centivi all'inserimento lavorativo e altri servizi afferenti il mercato del lavoro (es. orientamento professionale, coaching) sembrerebbero prestarsi all'analisi controfat-tuale, laddove il sostegno ai sistemi e alle infrastrutture appare più impegnativo dal punto di vista dell'adozione di un approccio controfattuale.

Valutazioni controfattuali

L'approccio utilizzato per la valutazione controfattua-le degli interventi cofinanziati nell'ambito della politi-ca di coesione è analogo a quello adottato per i test di nuovi medicinali o terapie mediche. Si tratta di in-dividuare un gruppo di controllo con caratteristiche il più possibile simili al gruppo di imprese o individui beneficiari del sostegno finanziario, il quale può così essere confrontato in maniera significativa col pri-mo gruppo in termini di comportamento o efficacia (redditività, ad esempio, oppure esito positivo nel tro-vare lavoro). In questo modo la valutazione d'impat-to controfattuale cerca di individuare gli effetti netti o l'impatto degli interventi.

Il vantaggio di un tale metodo è di consentire una defini-zione delle stime di impatto in maniera più attendibile e rigorosa. Nello specifico, l'analisi controfattuale consente di rispondere alle domande "Quale sarebbe stata la si-tuazione senza l'intervento?" e, in particolare, "Funziona?"

L'applicazione dell'analisi controfattuale alla po-litica di coesione, tuttavia, non è un processo im-mediato. Occorre selezionare accuratamente un gruppo di controllo valido, nonché raccogliere informa-zioni attendibili sui soggetti che compongono il gruppo di controllo e il gruppo dei beneficiari dei finanziamenti, e in molti casi questo non è tecnicamente possibile.

Vari servizi della Commissione si stanno quindi adope-rando per rendere tali metodi il più possibile accessibili:

• la DG Politica regionale e urbana ha avviato una serie di valutazioni per sperimentare il metodo, pro-muovendo l'organizzazione di tre campus estivi per

la formazione dei valutatori e delle autorità di ge-stione, anche per l'FSE.

• La DG Occupazione, affari sociali e inclusione ha costituito un gruppo di valutatori esistenti. In base a ciò, ha prodotto un manuale operativo e pubblicato due bandi per la presentazione di proposte per la conduzione di valutazioni pilota.

• Per il nuovo periodo di programmazione, entrambe le DG hanno introdotto una serie di requisiti inerenti la raccolta dati. La DG Politica regionale e urbana ha introdotto un requisito riguardante la pubblicazione dei dati sul sostegno alle imprese, per renderli accessibili a terzi per finalità di valutazione. Per motivi di privacy, la DG Occupazione, affari sociali e inclusione non richiede la pubblicazione dei dati riguardanti i singoli cittadini, ma ha adottato alcuni requisiti sulla registrazione e sulla conservazione dei dati.

• La DG Occupazione, affari sociali e inclusione, in collaborazione con il Centro comune di ricerca a Ispra, Italia, ha costituito un Centro di ricerca sulla valutazione di impatto (CRIE), volto a supportare gli Stati membri con iniziative di consulenza e formazione metodologica. La DG Politica regionale e urbana sta istituendo uno sportello informativo per fornire consulenza su specifiche valutazioni.

• La DG Concorrenza, basandosi sull'esperienza della DG Politica regionale e urbana, sta elaborando i re-quisiti di valutazione per i nuovi orientamenti sugli aiuti di Stato.

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Capitolo 7: Effetti della politica di coesione

225

Allo stesso modo, la piena comprensione dell'effica-cia dei vari interventi deriva non solo dall'applicazione della giusta tecnica quantitativa, ma anche dall'analisi di come sono stati ottenuti i risultati, per la quale gene-ralmente occorre un esame dettagliato sui meccanismi e sui processi in questione.

3.2 Risultanze delle valutazioni dei programmi realizzati nell'ambito del FESR e del Fondo di coesione

I risultati delle valutazioni condotte nel periodo 2007–2013 sono riepilogati qui di seguito in riferimento a tre macroaree strategiche che consentono di trarre alcune conclusioni generali sui risultati del sostegno fornito — imprese, RSTI e investimenti nei trasporti.

Sostegno all'imprenditorialità

Numerose valutazioni effettuate nel periodo hanno ri-guardato l'analisi degli effetti del sostegno finanziario alle imprese, non ultimo perché una quota molto con-sistente dei contributi a valere sul FESR sono stati as-segnati a tali misure, in particolare nelle regioni dell'o-biettivo Competitività. In linea generale le misure in questione sono relativamente facili da valutare, a patto di disporre dei dati necessari (provenienti per lo più dai registri delle società, ma anche dalle stesse aziende be-neficiarie delle sovvenzioni), il che purtroppo non avvie-ne in tanti casi.

Alcune valutazioni sono state condotte utilizzando meto-dologie derivanti dall'analisi controfattuale, come indica-to in precedenza, ritenuta la più efficace per distinguere gli effetti del sostegno finanziario, ovvero per individua-re gli effetti direttamente riconducibili al finanziamento stesso. Questi i principali esiti delle valutazioni:

• in Germania, diverse valutazioni hanno evidenziato come l'assistenza alle imprese contribuisca alla modernizzazione dell'economia, promuovendo an-che lo sviluppo regionale, soprattutto nelle regioni orientali15;

• in Portogallo, i contributi agli investimenti avrebbe-ro favorito l'incremento dell'occupazione e l'innal-zamento del tasso di sopravvivenza delle imprese16;

15 Si veda: Bade, F. J. et al. (2010); GEFRA und IAB (2010); Prognos, A. G. (2011).

16 Marmede, R. et al. (2013).

• in Italia, invece, secondo le conclusioni di diver-se valutazioni i contributi agli investimenti hanno prodotto un impatto significativo sul miglioramento del rendimento nella maggioranza delle PMI; per le grandi aziende, invece, è stato più difficile individua-re degli effetti positivi17;

• in Ungheria, il sostegno finanziario avrebbe stimo-lato un aumento significativo degli investimenti da parte delle imprese, producendo però un impatto minore sul valore aggiunto e sui profitti;

• nel Regno Unito, in Germania e in Italia, le valu-tazioni condotte sugli strumenti finanziari han-no evidenziato l'impatto positivo di tali strumenti sull'andamento delle imprese; tuttavia il numero di valutazioni effettuate a oggi è ancora limitato in rapporto alla portata dei finanziamenti veicolati tra-mite tali strumenti.

Dall'altro lato, le valutazioni condotte in Finlandia18, Slovenia19, Polonia20 e Lettonia21 in merito alle misure di sostegno alle imprese hanno avuto maggiori difficoltà a individuare effetti positivi rilevanti sull'andamento delle aziende. In ogni caso, dagli esiti delle analisi controfat-tuali è possibile trarre le seguenti conclusioni generali22:

• nella maggioranza dei casi il sostegno finanziario alle imprese ha determinato un incremento a livel-lo di investimenti, produzione e occupazione nelle PMI, in parte derivante dal superamento dei vincoli all'accesso al credito nel mercato dei capitali; allo stesso tempo, la grande variabilità degli impatti da un programma all'altro indica che l'elaborazione e la successiva modalità di attuazione delle misure di sostegno rivestono un ruolo cruciale;

• il sostegno erogato tende a incidere di più sulla cre-scita della produzione e dell'occupazione, che non sull'aumento della produttività, anche se questo po-trebbe dipendere dal periodo relativamente breve in cui è stata svolta l'analisi sull'andamento delle

17 Fra le varie valutazioni si vedano ad esempio: Polese, A. et al. (2011); Cles–Format–Met. (2012); Mariani, M. et al. (2012); Bondonio, D. e Martini, A. (2012).

18 Pietarinen, M. (2012).

19 Jaklič, A. (2012).

20 Klimczak, T. et al. (2013).

21 Ernst & Young (2013).

22 Per una sintesi delle risultanze si veda Mouqué, D. (2012).

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

226

imprese beneficiarie degli aiuti; i posti di lavoro cre-ati, invece, sembrano relativamente ben retribuiti o con una retribuzione superiore alla media aziendale e di lunga durata;

• i dati dimostrano alcuni margini di miglioramento nel rapporto costi–benefici delle misure, intesi come la possibilità di ridurre l'importo dei finanziamenti senza influire particolarmente sui risultati ottenu-ti. La misura con il miglior rapporto costi–benefici sembrerebbe essere quella più economica, ovvero l'attività di consulenza e orientamento alle imprese; analogamente, anche gli strumenti finanziari risul-tano più efficienti in termini di costi–benefici rispetto alle sovvenzioni (non rimborsabili), in quanto da un lato incidono positivamente sull'andamento delle imprese, dall'altro sono potenzialmente riutilizzabili per il finanziamento di ulteriori investimenti;

• secondo la maggior parte delle valutazioni, il soste-gno finanziario avrebbe influito pochissimo sul com-portamento delle grandi imprese, non apportando alcun miglioramento significativo nell'andamento di tali imprese rispetto agli indicatori esaminati, ed evidenziando dunque un forte "effetto inerziale" nei finanziamenti erogati. Ciò solleva la questione sull'opportunità o meno di erogare sovvenzioni di-rettamente alle grandi imprese. Una strategia mi-gliore potrebbe invece essere quella di trasformare la regione — o il paese — in questione in luoghi più favorevoli alle attività imprenditoriali.

Sostegno alla RSTI

Un numero relativamente elevato di valutazioni hanno avuto per oggetto il sostegno del FESR alla ricerca e allo sviluppo tecnologico e all'innovazione, soprattutto nel-le regioni dell'obiettivo Competitività dove, accanto al sostegno alle imprese, rappresenta un'ampia fetta dei finanziamenti erogati. Quasi tutte hanno concluso affer-mando che gli effetti degli interventi sono stati positivi. Si tratta in particolare delle valutazioni controfattuali svolte per buona parte in Italia, Finlandia, Germania, Spagna e Ungheria, e riguardanti principalmente il pe-riodo 2000–2006.

In generale tali valutazioni hanno riscontrato che il so-stegno erogato ha incoraggiato le imprese ad aumenta-re l'importo della spesa per le attività di R&S, superando l'importo del finanziamento (ovvero non solo la spesa

è stata superiore all'importo che sarebbe stato speso in assenza del contributo, ma l'entità della spesa sup-plementare era più alta dell'importo del finanziamento concesso). Inoltre, nel caso del sostegno alle imprese, alcune valutazioni hanno messo in luce come le PMI ab-biano registrato effetti più importanti rispetto alle gran-di aziende, con un aumento della spesa maggiore nelle une che non nelle altre.

Gli esiti delle valutazioni riguardanti gli effetti sulla pro-duttività e sui profitti, in questo caso specifico indica-tori importanti del successo delle misure di supporto, sono invece più variegati. Una valutazione condotta in Italia, ad esempio, ha riscontrato che gli effetti a bre-ve termine dei contributi alla RSTI sull'andamento delle aziende erano positivi, risultando invece più limitati sul lungo periodo. Al contrario, una valutazione condotta in Danimarca su una misura realizzata negli anni Novanta, ma non finanziata dal FESR, ha riscontrato che il soste-gno fornito ai consorzi per l'innovazione ha prodotto un aumento nella redditività delle imprese beneficiarie dei contributi pari al 12% in rapporto al gruppo di controllo (non beneficiario di alcun supporto), nei 10 anni suc-cessivi all'intervento23. Questo esempio suggerisce che anche il tipo di supporto da destinare al settore delle innovazioni potrebbe condizionare gli effetti prodotti.

Allo stesso tempo, diverse valutazioni hanno riscontra-to che il sostegno ha generato effetti positivi sull'oc-cupazione nell'ambito delle attività di R&S (aumentan-do il numero di posti di lavoro nel settore della ricerca, come in Irlanda) e allo sviluppo di cluster dell'innova-zione (come in Ungheria). Più in generale le valutazioni condotte in Germania, Italia, Regno Unito, Portogallo e Slovenia hanno riscontrato un incremento nella capacità innovativa delle PMI favorito dalle misure di supporto, in altri termini un maggiore impulso (ovvero l'intensificar-si degli sforzi profusi nel settore R&S) ha prodotto un aumento dei risultati, potenzialmente migliorandone la competitività.

Le valutazioni che hanno utilizzato metodi diversi dall'a-nalisi controfattuale si sono tendenzialmente concen-trati su altri aspetti del sostegno fornito. In Polonia e Slovacchia, ad esempio, le misure di supporto hanno rivelato una scarsa concentrazione strategica, in tal modo producendo effetti meno significativi, mentre in Belgio, Svezia e Portogallo, è stata riscontrata un'insuf-

23 Centre for Economic and Business Research (2010).

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Capitolo 7: Effetti della politica di coesione

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ficiente capacità di coinvolgimento delle PMI nell'ambito delle misure, con conseguente difficoltà a far giungere i finanziamenti a buona parte delle imprese.

Le valutazioni hanno inoltre appurato che in vari casi le agenzie o i centri istituiti per fornire assistenza alle imprese in materia di RTDI dimostravano una scarsa ca-pacità in merito, riducendo ancora una volta gli effetti della realizzazione degli interventi finanziati. È il caso ad esempio dell'Italia, soprattutto nelle regioni meno sviluppate nel sud del paese e in misura molto mino-re nelle regioni più sviluppate del nord In Francia, una valutazione sui "poli tecnologici" afferma che tali centri, beneficiari del cofinanziamento del FESR, sono riusciti a determinare un aumento delle attività di R&S, segna-lando però la necessità di concentrare maggiormente l'attenzione sulle innovazioni spendibili commercial-mente e non solo sulla ricerca pura.

Investimenti nel settore dei trasporti

Rispetto al sostegno all'impresa o alla RSTI, sono state condotte meno valutazioni riguardanti il sostegno agli investimenti nel settore dei trasporti. In particolare, è il caso dei progetti cofinanziati dal FESR e dal Fondo di coesione per il periodo 2007–2013, poiché i progetti completati rispetto al totale sono relativamente pochi e quelli completati sono in funzione da poco tempo–trop-po poco per poter effettuare un'adeguata valutazione dei risultati. Le valutazioni condotte durante il periodo 2007–2013, per lo più riguardanti investimenti finan-ziati nell'ambito del precedente periodo di program-mazione, tendevano ad analizzare gli effetti dei singoli progetti, come la costruzione di un'autostrada o di una linea ferroviaria, anziché della rete nel suo complesso. Quest'ultima sarebbe più interessante da esaminare, in quanto i progetti in questione vengono — o dovrebbero venire — pianificati come parte di un sistema di tra-sporto e non come singola iniziativa. In effetti, il fatto di considerare i progetti come azioni a sé stanti il più delle volte può condurre a risultati fuorvianti in termini di effetti sugli obiettivi economici e sociali complessivi, poiché questi ultimi derivano dalla messa in funzione della rete nel suo insieme; inoltre in linea di principio è difficile, se non impossibile, isolare gli effetti delle singo-le parti della rete.

Ad esempio, i guadagni derivanti dalla costruzione di un'autostrada che collega la principale città di una re-gione a un'altra città del paese tenderanno a dipendere

dalle condizioni dei collegamenti e dalla facilità di ac-cesso alla stessa autostrada, che ne determineranno il traffico generale e il complessivo risparmio in termini di tempo e costi. I suoi effetti, pertanto, non sono fa-cilmente scindibili dagli effetti legati alla costruzione delle strade di accesso. Analogamente, gli effetti deri-vanti dall'introduzione di un collegamento ferroviario rapido tra due città (non necessariamente una linea ad alta velocità) dipenderà dalla facilità con cui si posso-no raggiungere le stazioni sia ai due estremi sia quelle intermedie, che a sua volta dipenderà dai collegamenti stradali e ferroviari alle stazioni, nonché dalla facilità di parcheggio nei pressi delle stesse. Ancora una volta tali effetti possono essere misurati in maniera adeguata solo considerando il sistema nella sua globalità e non il semplice collegamento ferroviario in sé.

Le valutazioni eseguite a livello di reti di trasporto e non di singoli progetti hanno consentito di appurare che, in linea generale, le reti hanno avuto effetti positivi sullo sviluppo regionale. Ad esempio:

• in Grecia, la costruzione della metropolitana di Atene avrebbe diminuito notevolmente il traffico cittadino, stimolando l'occupazione e il turismo, nel contempo diminuendo l'inquinamento e miglioran-do la qualità della vita;

• in Lituania, dalle valutazioni è emerso come gli in-vestimenti nelle reti stradali abbiano favorito un incremento dell'occupazione nelle zone interessate, tramite la diminuzione dei costi di trasporto e il mi-glioramento dell'accessibilità;

• in Germania e Slovenia, il sostegno del FESR per lo sviluppo del trasporto urbano in diverse città avreb-be stimolato un aumento della competitività delle regioni interessate, in parte diminuendo i tempi e i costi di spostamento e attirando nuovi investitori.

Le valutazioni effettuate hanno anche consentito di mettere in luce i potenziali problemi connessi alla soste-nibilità degli investimenti effettuati, poiché non sempre i futuri costi di manutenzione sono stati calcolati nell'a-nalisi volta alla valutazione dei guadagni in rapporto alla spesa in questione.

Uno dei principali motivi alla base della scarsità nume-rica delle valutazioni eseguite sulle reti di trasporto è collegato alla difficoltà intrinseca di questa operazione,

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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soprattutto se il fine è la valutazione degli effetti eco-nomici e sociali su una determinata regione o un deter-minato paese. In molti casi si tratta di effetti intangibili (ad esempio il miglioramento nella qualità della vita), oppure visibili su un periodo molto lungo, in quanto con-tinueranno a verificarsi per molti anni, o addirittura de-cenni a venire, risultando quindi di difficile misurazione o previsione. Risulta più facile anche se non del tutto lineare valutare i singoli progetti, soprattutto se l'eser-cizio si limita a un esame degli aspetti più misurabili e più certi, come la diminuzione del numero e dei tempi di spostamenti, nonché l'abbassamento dei costi di eserci-zio dei veicoli nel caso dei collegamenti stradali.

Pur trattandosi di un metodo di minore portata, l'esa-me di 9 grandi progetti di trasporto su 10, svolto tra-mite un'analisi dei costi–benefici nell'ambito della va-lutazione ex post del Fondo di coesione per il periodo 2000–2006, ha messo in luce che tali progetti avrebbe-ro fruttato ritorni positivi netti, ovvero il valore netto dei guadagni risulterebbe più alto dei costi di costruzione, funzionamento e manutenzione24.

L'unico progetto in cui i costi avrebbero superato i be-nefici è quello riguardante la costruzione della linea ad alta velocità Madrid–Barcellona, probabilmente perché valutato separatamente rispetto alle altre sezioni della rete e all'impatto complessivo del completamento della rete (quando avverrà) sul volume di traffico nelle altre li-nee. In effetti l'analisi è stata svolta sulla linea in funzio-ne al di sotto della sua piena capacità operativa, in parte perché le linee secondarie ad essa collegate non erano ancora state completate (ma anche a causa dell'impat-to della recessione sul suo utilizzo). Per questi motivi i benefici ottenuti risultano diminuiti, a dimostrazione dell'importanza di adottare una prospettiva più ampia e a lungo termine per le valutazioni, anziché seguire un approccio troppo limitato.

La principale conclusione da trarre dalle diverse valuta-zioni, oltre che da ulteriori studi effettuati nel corso degli

24 I 10 progetti in questione sono: la costruzione dell'alta velocità tra Madrid e Barcellona; la linea ferroviaria tra Lisbona e l'Algarve in Portogallo; la linea ferroviaria Thriassio–Pedio–Eleusina–Korinthos in Grecia; l'adeguamento della linea ferroviaria Bratislava Rača–Trnava in Slovacchia; l'autostrada A2 in Polonia tra Konin e Strykow; l'allungamento di altri 75 km dell'autostrada A23 in Spagna tra Pau in Francia e Saragozza; il passante Agiou Konstantinou in Grecia; l'autostrada M1 in Irlanda; il corridoio IX B in Lituania, compreso il passante sud di Vilnius; e la sezione orientale della tangenziale M0 di Budapest in Ungheria.

anni sugli investimenti nei trasporti25, riguarda il fatto che, se da un lato la presenza di una rete di trasporto funzionante potrebbe rivestire un ruolo cruciale per lo sviluppo, i suoi effetti dipendono in larga misura anche dalla situazione generale della regione o del paese in questione. Pertanto essa andrebbe considerata alla luce degli altri fattori responsabili dello sviluppo, quali la di-sponibilità di forza lavoro qualificata e la presenza di imprese innovative.

3.3 Risultanze delle valutazioni dei programmi dell'FSE

I risultati delle valutazioni riferite al periodo 2007–2013 sono riepilogati qui di seguito, suddivisi per area stra-tegica.

In merito alla questione della possibilità di misurare ef-ficacemente l'impatto degli interventi dell'FSE, in linea generale le valutazioni non sono riuscite a raccogliere un numero sufficiente di prove stringenti in grado di dimostrare gli effettivi cambiamenti promossi dall'FSE per i beneficiari finali. Nondimeno, secondo le poche e approfondite valutazioni riguardanti alcuni program-mi e interventi specifici finanziati dall'FSE, il sostegno dell'FSE ha prodotto effetti in larga misura significativi e apprezzabili. Ad esempio, esse mostrano come i parteci-panti agli interventi finanziati dall'FSE abbiano più pro-babilità di trovare lavoro rispetto ai gruppi di controllo.

In linea generale, i risultati in termini di aumento dell'a-dattabilità, accesso all'occupazione e capitale umano sono ritenuti buoni. Inoltre, alcune approfondite valuta-zioni hanno permesso di raccogliere anche esempi di no-tevoli benefici netti. L'analisi riguardante il tema dell'in-clusione sociale risulta meno convincente. La scarsità dei riscontri sui risultati ottenuti, di cui pochissimi forniti dalle valutazioni effettuate, hanno indotto a ritenere che, in linea generale, le risorse destinate dall'FSE all'in-clusione sociale sono state utilizzate in maniera meno coerente ed efficace. La promozione dei partenariati e il rafforzamento della capacità amministrativa sono aree strategiche meno comuni nei vari Stati membri, pertan-to i riscontri sui risultati ottenuti in questi settori sono estremamente limitati. Tuttavia le valutazioni sono ten-denzialmente positive per quanto riguarda i benefici ap-portati ai servizi pubblici.

25 Ad esempio: OCSE, (2011), Crescenzi, R. e Rodriguez–Pose, A. (2012).

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Capitolo 7: Effetti della politica di coesione

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Migliorare l'accesso all'occupazione

Laddove siano state condotte valutazioni approfondite da parte degli Stati membri, esse mostrano che i par-tecipanti agli interventi supportati dall'FSE hanno più probabilità di trovare lavoro rispetto ai gruppi di con-trollo. Negli Stati membri in cui le valutazioni hanno previsto un confronto tra le attività organizzate dagli SPO e le attività integrative finanziate dall'FSE a favore dello stesso gruppo di riferimento, sono stati riscontrati effetti positivi derivanti dai pacchetti di interventi sup-portati dall'FSE, sostanzialmente volti a erogare servizi più intensivi e qualitativamente migliori a favore dei di-soccupati.

Nonostante questo, però, i tassi di inserimento lavora-tivo sono generalmente inferiori al 50%, pur con oscil-lazioni legate al periodo in cui sono state effettuate le rilevazioni una volta terminate le attività. In alcuni Stati membri, i tassi di inserimento lavorativo sono general-mente in rapporto di 1 a 3 o inferiori.

I finanziamenti temporanei all'occupazione sono stati ampiamente utilizzati fin dall'inizio della recessione glo-bale per incentivare le aziende ad assumere disoccupa-ti e altri gruppi con svantaggi specifici; secondo alcune valutazioni, tuttavia, una percentuale significativa dei beneficiari finali ricadrebbe nella condizione di disoccu-pazione una volta terminata l'iniziativa. Le valutazioni suggeriscono anche che i lavori socialmente utili e le altre misure per la creazione di posti di lavoro tempo-ranei registrano risultati mediocri in termini di tassi di inserimento lavorativo al termine degli interventi. Al contrario, le attività di formazione a carattere profes-sionalizzante, i tirocini e gli stage in azienda avrebbero ottenuto risultati più tangibili.

Parità tra donne e uomini

La considerazione della prospettiva di genere in ogni fase (preparazione, attuazione, monitoraggio e valuta-zione) dei programmi dell'FSE rientra fra i requisiti dei regolamenti per il periodo 2007–2013. Per questo mo-tivo fanno esplicito riferimento a misure volte a favorire la conciliazione tra lavoro e vita privata, a incoraggiare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e a diminuire la segregazione di genere, compresa la ridu-zione dei divari salariali.

Secondo i dati emersi dalle valutazioni, negli interventi finanziati dall'FSE è stata dedicata un'attenzione parti-colare alla parità di genere; in alcuni Stati membri essi hanno contribuito a far sì che la parità di genere rien-trasse nell'agenda politica, attuando alcune misure che diversamente non sarebbero state finanziate.

L'integrazione della prospettiva di genere all'interno dei programmi stessi, tuttavia, rende difficoltosa la stima dei finanziamenti specificamente rivolti a supportare la parità tra donne e uomini. Dal punto di vista dei risul-tati, tuttavia, le donne rappresentano il 52% circa di tut-ti i beneficiari delle misure di sostegno, con oscillazioni che vanno dal 39% nel Regno Unito al 56,5% in Polonia. Le stime degli effetti sull'occupazione non sono ancora del tutto disponibili, ma ad esempio in riferimento alla Spagna, 888 000 donne avrebbero trovato lavoro entro la fine del 2011 dopo aver partecipato a un programma dell'FSE, pari a una percentuale che sfiorava il 62% sul totale.

Le misure riguardanti la parità di genere sovvenziona-te dall'FSE erano orientate al raggiungimento di alcuni obiettivi26:

• aumentare la capacità delle donne di competere nel mercato del lavoro migliorandone le competenze;

• formare donne e uomini a professioni tradizional-mente svolte dal sesso opposto, aumentando in tal modo le reciproche prospettive occupazionali;

• aiutare le donne a diventare imprenditrici, fornendo anche servizi assistenziali indispensabili per con-sentire loro di conciliare lavoro e vita familiare;

• migliorare la qualità dei servizi assistenziali per favorirne l'utilizzo, estendendo gli orari di apertura e formando persone disoccupate in professioni nel settore assistenziale;

• combattere gli stereotipi di genere e, in misura minore, la segregazione di genere nell'istruzione, tramite l'organizzazione di campagne pubbliche di sensibilizzazione, seminari rivolti ai membri dei sin-dacati, corsi di formazione per insegnanti e genitori e la revisione dei programmi scolastici;

26 Come indicato dalla valutazione di tali misure da parte di GHK e Fondazione G. Brodolini (2011).

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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• aiutare le donne più povere e vulnerabili, spesso sottoposte a varie forme di segregazione come an-che vittime di violenza, a rafforzare le proprie com-petenze e la propria fiducia, nell'ottica dell'indipen-denza economica.

In generale è dimostrato che il ricorso a strategie inte-grate unenti varie tipologie di interventi è sempre più utilizzato per affrontare le cause multiple della discri-minazione o le varie motivazioni alla base dei divari di genere. Gli esempi comprendono la combinazione di mi-sure quali orientamento personale e formazione in aula su competenze pratiche di uso quotidiano, accesso faci-litato al supporto psicologico, corsi di lingue, formazione professionale e aiuto alla ricerca del lavoro, tendenzial-mente più efficaci rispetto a una loro realizzazione in maniera isolata.

Allo stesso tempo, sono diminuite le misure volte a in-fluenzare il contesto sociale, economico o istituzionale, oppure tarate sul lato della domanda, come i corsi di formazione per i datori di lavoro o i responsabili delle risorse umane, oppure finalizzate all'assegnazione di incentivi per l'assunzione di donne manager da parte delle imprese. Le valutazioni effettuate hanno rimarcato l'esigenza di intensificare tali misure, al fine di eliminare le cause profonde delle discriminazioni.

Inclusione sociale — migranti e minoranze

Dalle valutazioni condotte nei vari Stati membri emerge come, tra i servizi realizzati col sostegno dell'FSE, i più efficaci siano quelli rivolti nello specifico alle esigenze di uno gruppo specifico; in particolare, la formazione sem-brerebbe una misura efficace per i migranti.

Rispetto al periodo precedente, è aumentato il sostegno dell'FSE a favore dell'inserimento lavorativo e dell'in-clusione sociale dei migranti e delle minoranze etniche nel periodo 2007–2013. Un finanziamento pari a 1,17 miliardi di euro è stato stanziato per la realizzazione di misure specifiche di supporto ai migranti e un ulteriore importo di 10 miliardi di euro è destinato a misure gene-riche rivolte ai gruppi svantaggiati, compresi i migranti e le minoranze, di cui la metà, secono le stime, diretta a questi ultimi. In totale, dunque, poco più dell'8% del bi-lancio complessivo dell'FSE è stato stanziato a supporto di questa fascia di popolazione.

Circa 1,2 miliardi di utenti interessati avrebbero parte-cipato a misure cofinanziate dall'FSE entro la fine del 2012 (di cui 862 000 migranti), anche se la cifra rea-le potrebbe essere superiore di 100 000 unità a causa della registrazione di un numero inferiore di partecipanti tra le minoranze etniche, in particolare i Rom.

Stando ai dati di una delle valutazioni effettuate27, il so-stegno dell'FSE avrebbe aiutato i partecipanti a trovare lavoro rafforzandone l'occupabilità, soprattutto rispetto alle competenze in ambito informatico, comunicazione e alle competenze di base, ma anche incoraggiando gli utenti verso forme di lavoro autonomo.

È anche emerso come i contributi dell'FSE abbiano contribuito al miglioramento dei servizi di integrazione iniziale, alla creazione di nuove reti e strutture orga-nizzative e più in generale allo sviluppo della capaci-tà degli enti pubblici di fornire assistenza alle persone provenienti da minoranze etniche. Allo stesso tempo, ha favorito un aumento delle conoscenze e uno scambio di esperienze tra enti pubblici e ONG specializzate nella comprensione delle esigenze dei migranti e delle mi-noranze etniche, nonché delle barriere all'ingresso nel mercato del lavoro di questi gruppi.

Se da un lato sono numerose le misure specificamen-te rivolte ai Rom, dall'altro con sempre maggior fre-quenza è stato adottato nei loro confronti un approc-cio "esplicito ma non esclusivo", per evitare di separarli completamente dagli altri gruppi con il rischio di au-mentarne l'isolamento. L'adozione di misure tra loro integrate sembrerebbe l'approccio più efficace, reso possibile collegando il supporto all'istruzione e alla formazione con l'accesso ai servizi abitativi, di traspor-to e sanitari e al miglioramento nelle infrastrutture di base, tutte condizioni essenziali per l'inserimento lavo-rativo dei Rom.

Dalle valutazioni sono emersi alcuni esempi di buone prassi, ad esempio in Spagna, dove le ONG sono state consultate fin dall'inizio, per poi essere coinvolte diretta-mente nell'attuazione delle misure assieme agli stessi beneficiari finali.

27 CSES (2011).

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Capitolo 7: Effetti della politica di coesione

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4. Modellizzazione dell'impatto della politica di coesione 2000–2006 e 2007–2013

L'unica maniera per ottenere un quadro esaustivo dell'impatto della politica di coesione sulle economie dell'UE è di utilizzare un modello macroeconomico che tenga conto dei dati disponibili sugli effetti delle varie tipologie di interventi.

Questa sezione presenta un modello di valutazione28 dell'impatto potenziale dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione nel corso dei precedenti periodi di program-mazione 2000–2006 e 2007–2013 presso gli Stati membri principali beneficiari del supporto finanziario. Si tratta di tre paesi della Coesione dell'UE–15, Portogallo, Spagna e Grecia, nell'insieme beneficiari dei finanzia-menti nei due periodi di programmazione, assieme a Irlanda, beneficiaria del Fondo di coesione fino al 2003, e degli Stati membri dell'UE–12, i quali hanno ricevuto assistenza pre–adesione dal 2001, per poi vedere un incremento dei finanziamenti percepiti dopo l'adesione nel 2004 o 2007 nel caso di Bulgaria e Romania. Sono quindi comprese la parte orientale della Germania e le regioni dell'Italia meridionale (il Mezzogiorno) (per una descrizione più approfondita del modello macroecono-mico utilizzato per la generazione delle stime si rinvia al prossimo capitolo, incentrato sulla stima degli effetti del finanziamento della politica di coesione nell'attuale periodo di programmazione utilizzando la stessa meto-dologia — ovvero comparando gli sviluppi in assenza di finanziamenti con gli sviluppi ottenuti grazie agli inve-stimenti finanziati).

Nel periodo di programmazione 2000–2006, sono stati spesi oltre 250 miliardi di euro nella politica di coesio-ne nell'UE–15, nonché negli aiuti di preadesione e negli interventi strutturali nell'UE–10. La spesa negli Stati membri menzionati precedentemente ammontava a 186 miliardi di euro.

Per il periodo di programmazione 2007–2013, la do-tazione complessiva ammonta a 336 miliardi di euro, di cui 173,9 miliardi stanziati per gli Stati membri en-trati nell'UE dal 2004, 76 miliardi per Spagna, Grecia e Portogallo e 26 miliardi per i Länder della Germania orientale e il Mezzogiorno in Italia.

Le Figure 7.1 e 7.2 illustrano l'impatto potenziale del-la politica di coesione sul PIL ("potenziale" nel senso di impatto stimato supponendo che gli effetti siano quelli indicati nel modello) rispettivamente per i due periodi di

28 Il modello utilizzato per la realizzazione di tale analisi di impatto costituisce un'estensione del modello Quest III, contenente una rap-presentazione degli effetti dell'investimento sul capitale umano e sull'evoluzione tecnologica endogena, il che lo rende particolarmen-te adatto per la valutazione degli interventi strutturali tipici della politica di coesione. Fa riferimento anche agli espliciti collegamenti transfrontalieri realizzati tramite gli scambi commerciali bilaterali, al fine di cogliere potenziali ricadute e interazioni tra gli Stati mem-bri dell'UE. Per una descrizione più dettagliata del modello, si rinvia a Varga, J. e in ‘t Veld, J. (2011).

Esempi di valutazioni di impatto controfattuale sull'FSE condotte negli Stati membri

Nell'ambito della valutazione dell'FSE per il periodo 2007–2013 in Inghilterra1, sono stati esaminati gli effetti degli interventi finalizzati ad aumentare l'oc-cupabilità dei percipienti dell'indennità per chi cerca lavoro (pagabile per un periodo massimo di 6 mesi), dell'assegno di inabilità o dell'integrazione salariale e di sostegno (in genere spettante ai disoccupati di lunga durata), sulla base di dati contabili. Grazie al numero elevato di persone coinvolte, è stato possibi-le effettuare un'approfondita analisi statistica, distin-guendo i beneficiari in base alle caratteristiche e al tipo di supporto ricevuto. La valutazione ha messo in luce gli effetti molto positivi in termini di incremento dell'accesso all'occupazione; gli effetti migliori hanno riguardato il gruppo più svantaggiato.

In Lituania è stata realizzata una valutazione dei programmi di inserimento sociale rivolti alle per-sone disabili e agli ex detenuti2, con l'obiettivo di esaminare gli effetti a livello di reinserimento dei partecipanti nel mercato del lavoro. Oltre ai parte-cipanti effettivi, i dati utilizzati hanno consentito di identificare anche i soggetti ammissibili al sostegno ma che non hanno partecipato agli interventi. È sta-to riscontrato che i programmi hanno aumentato le probabilità dei partecipanti di trovare lavoro, la dura-ta dell'impiego e la retribuzione percepita. Inoltre, gli effetti più incisivi avrebbero riguardato più le persone disabili che non gli ex detenuti3.

1 Ainsworth, P. e Marlow, S. (2011).

2 Gli interventi sottoposti a valutazione sono stati finanzia-ti nell'ambito del periodo di programmazione 2004–2006. Tuttavia, i dati utilizzati per l'analisi coprono un periodo fino al 2010; lo studio ha inoltre presentato una serie di racco-mandazioni su come poter migliorare l'utilizzo dell'assisten-za strutturale dell'UE anche per la restante fase del periodo di programmazione 2007–2013.

3 Public Policy and Management Institute (2012).

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

232

programmazione, mostrando per entrambi i casi da un lato l'impatto medio sul breve periodo, dall'altro l'impat-to sul lungo periodo.

Dai risultati emerge come la politica di coesione ab-bia un incontrovertibile impatto positivo sul PIL negli Stati membri in questione. I risultati della simulazione suggeriscono che gli investimenti finanziati nell'ambi-to della politica di coesione durante il periodo 2000–2009 potrebbero aver determinato un aumento me-dio del PIL fino all'1,8% annuo in Lettonia rispetto al valore di riferimento (ovvero rispetto al livello del PIL in assenza del finanziamento), fino all'1,6% annuo in Portogallo e dell'1,3% annuo in Grecia (Figura 7.1). Si prevede anche che i programmi della politica di coe-

sione contribuiscano al miglioramento delle condizio-ni del mercato del lavoro. Nello stesso periodo, la si-mulazione suggerisce che i programmi del periodo 2000–2006 abbiano determinato un aumento dell'oc-cupazione approssimativamente dello 0,5% rispet-to al valore di riferimento in Lituania e Portogallo, e dello 0,3% in Polonia, Lettonia e Spagna.

Nel periodo 2007–2016, l'incremento medio del PIL per effetto della politica di coesione è stimato al 2,1% an-nuo in Lettonia, 1,8% annuo in Lituania e 1,7% annuo in Polonia, rispetto alle proiezioni del rispettivo valore di riferimento. In termini di occupazione, l'impatto medio annuo stimato è pari all'1% in Polonia, 0,6% in Ungheria e 0,4% in Slovacchia e Lituania.

RO CY BG DE IT SI MT IE CZ SK HU EE PL ES LT EL PT LV

2015

Figura 7.1 Stima dell'impatto della politica di coesione sul PIL nel periodo 2000–2006

% differenza dalla linea di base 2000-2009 (media annua)3,5

3,0

2,5

2,0

1,5

1,0

0,5

0,0

IT = Mezzogiorno

Fonte: QUEST

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

2,5

3,0

3,5

-1,0

0,0

1,0

2,0

3,0

4,0

5,0

6,0

-1,0

0,0

1,0

2,0

3,0

4,0

5,0

6,0

DE IT ES CY EL HU SI MT CZ PT RO BG SK EE PL LT LV

2007-2016 (media annua) 2022% differenza dalla linea di base

Fonte: QUEST

Figura 7.2 Stima dell'impatto della politica di coesione sul PIL nel periodo 2007–2013

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Capitolo 7: Effetti della politica di coesione

233

Per entrambi i periodi, l'impatto sul medio e lungo pe-riodo in tutti i paesi supera l'impatto registrato durante il periodo di finanziamento stesso. Nel 2015, l'effetto dei finanziamenti a favore degli investimenti nel periodo 2000–2009 è rappresentato in Spagna da un incremen-to del PIL di quasi 1 punto percentuale in più rispetto al periodo stesso (1,9% anziché poco meno dell'1%), mentre in Grecia e Portogallo da un incremento di oltre 1 punto percentuale (Figura 7.2), raggiungendo un picco del 3% annuo in entrambi i paesi rispetto al valore di riferimento. L'impatto sull'occupazione cresce col tem-po. Nel 2014 raggiunge l'1,3% in Lituania, lo 0,9% in Lettonia e lo 0,8% in Polonia.

L'impatto a lungo termine dei finanziamenti per il periodo di programmazione 2007–2016 è ancora più pronuncia-to, con un incremento del PIL nel 2022 per effetto della realizzazione di ulteriori investimenti superiore al dop-pio dell'incremento medio durante il periodo stesso. In Lituania e Polonia, pertanto, si stima che il PIL nel 2020 superi di oltre il 4%, e in Lettonia del 5%, l'ipotetico valore raggiunto in assenza di investimenti. Nello stesso anno,

l'occupazione risulta aumentata dell'1,8% in Polonia e dello 0,7% in Ungheria e Slovacchia.

I risultati di queste simulazioni evidenziano come i gua-dagni stimati derivanti dalla spesa a titolo della poli-tica di coesione si accumulano negli anni per effetto del rafforzamento della competitività delle economie beneficiarie delle sovvenzioni, proseguendo anche oltre il termine dei programmi di investimento in questio-ne. Durante il periodo di erogazione del finanziamento, dunque, l'impatto sul PIL deriva in larga misura dall'au-mento della domanda determinato dalla spesa, in parte controbilanciato dal conseguente incremento dei tassi d'interesse, dei salari e dei prezzi. Nel lungo periodo, l'effetto degli investimenti sull'incremento della produt-tività si rafforza, determinando un incremento nel pro-dotto potenziale delle economie, ovvero nella capacità di sostenere la crescita, segno che il PIL può crescere senza per questo generare una pressione inflazionistica.

Ipotizzando che gli ulteriori investimenti effettuati in virtù dei contributi ricevuti corrispondano ai dati suggeriti dalle

L'impatto della politica di coesione: una sintesi delle ricerche economiche svolte

Numerosi rapporti di ricerca prodotti dalla metà degli anni Novanta in avanti fanno uso di tecniche econome-triche per valutare gli effetti della politica di coesione sulla crescita delle regioni e sul grado di convergenza del PIL pro capite verso la media dell'UE. La maggioran-za di essi riguarda principalmente i precedenti periodi di programmazione e gli effetti della politica sulle re-gioni dell'UE–15, e solo alcuni tra i più recenti coprono anche i paesi dell'UE–12. Tali rapporti utilizzano una vasta gamma di tecniche per generare le stime degli effetti della politica, distinguendoli dagli ulteriori fattori in gioco.

Circa la metà degli studi realizzati ha rilevato che la politica di coesione ha determinato effetti molto po-sitivi sulla crescita dell'UE1, mentre circa un quar-to ha riscontrato effetti positivi ma meno accentuati e non i tutti i casi. Nel rimanente quarto delle ricerche effettuate sono stati riscontrati effetti molto limitati o statisticamente non significativi. Questi studi, tutta-via, sono stati pubblicati in buona parte tra il 1996 e il 2004, un periodo caratterizzato da dati numericamente più scarsi e riferiti a un lasso di tempo più breve.

1 Bradley, J. et al. (2007); Cappellen, A. et al. (2003); De la Fuente, A. e Vives, X. (1995); Martin, R. e Tyler, P. (2006).

La stragrande maggioranza degli studi pubblicati dopo il 2005, basati su dati più completi e riguardanti un las-so temporale più esteso, ha riscontrato risultati ampia-mente positivi2. Questo vale sia per gli studi riguardanti i paesi dell'UE–12 sia per quelli relativi all'UE–15.

Tuttavia, nonostante la maggioranza degli studi effet-tuati abbia riscontrato una diminuzione delle disparità regionali in termini di andamento economico grazie alla politica di coesione, essi concludono che tali effetti non sono uniformi3 e che numerosi altri fattori determinano la buona riuscita della politica nei singoli ambiti, nonché la portata degli effetti prodotti. Tali fattori riguardano in particolare il quadro istituzionale in essere e l'efficien-za della pubblica amministrazione, le politiche nazionali seguite e l'andamento delle regioni confinanti4. Analoga-mente, secondo gli ultimi studi la buona riuscita della po-litica è anche legata alla distribuzione e alla ripartizione dei finanziamenti tra le varie aree strategiche, tema cen-trale nell'ambito del recente processo di riforme.

2 Midelfart–Knarvik, K.H. e Overman, H.G. (2002); Ederveen, S. et al. (2006); Hagen, T. e Mohl, P. (2009).

3 De Freitas, M. L. et al. (2003); Rodriguez–Pose, A. e Garcilazo, E. (2013).

4 Becker, S. O. et al. (2012); Ederveen, S. et al. (2002); Bouvet, F. e Dall’Eerba, S. (2010).

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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valutazioni, le simulazioni dimostrano dunque che il raf-forzamento del potenziale produttivo delle economie be-neficiarie del supporto sia più duraturo e di portata più ampia, rispetto agli effetti a breve termine prodotti dallo stimolo alla domanda tramite l'iniezione di liquidità.

5. Conclusioni

Valutare l'impatto della politica di coesione non è com-pito facile. I progressi ottenuti sono però sottoposti a costante monitoraggio, mentre gli effetti sono stati va-lutati a più livelli, utilizzando un'ampia gamma di meto-dologie. In linea generale le valutazioni confermano i benefici concreti e tangibili che la politica di coesione ha prodotto e continuerà a produrre nelle regioni e città dell'UE.

Essa ha consentito di raggiungere un'ampia gamma di risultati. Migliaia di progetti hanno sostenuto gli investi-menti nelle PMI o l'avvio di nuove attività. Altri progetti hanno contribuito a migliorare la capacità delle imprese di trasformare il settore R&S in innovazioni di valore. La politica di coesione ha consentito a milioni di nuclei fami-liari e imprese di collegarsi alle più avanzate reti informa-tiche. Ha finanziato la costruzione di chilometri di strade e ferrovie, migliorando i collegamenti di trasporto in zone dell'UE dove la loro assenza o il cattivo stato di conser-vazione hanno impedito lo sviluppo economico. La poli-tica di coesione ha altresì contribuito al miglioramento dell'accesso al mercato del lavoro nell'UE, promuovendo l'integrazione sociale dei gruppi più vulnerabili della po-polazione. Ha anche operato per la tutela dell'ambiente, soprattutto cofinanziando l'installazione di infrastrutture ambientali in luoghi ove diversamente non sarebbe stato possibile a causa della mancanza di risorse.

Questi risultati hanno contribuito a migliorare la struttura delle economie europee, al contempo promuovendo un modello di sviluppo inclusivo e sostenibile trasversale a tutta l'UE. Grazie al sostegno della politica di coesione le imprese, in particolare le PMI, hanno migliorato le proprie prestazioni, aumentando gli investimenti e l'occupazione e potenziando le attività di R&S e la propria capacità in-novativa. Gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto, quando realizzati nel contesto di una strategia coerente, hanno dimostrato di essere in grado di determinare un impatto positivo sullo sviluppo regionale.

I cambiamenti provocati a livello microeconomico dalla politica di coesione si manifestano dopo un certo lasso di tempo anche a livello macroeconomico. La valutazio-ne dell'impatto della politica di coesione sulla crescita del PIL e dell'occupazione dovrebbe tenere conto degli effetti diretti e indiretti degli interventi, il che è fattibi-le solo simulando la sua evoluzione tramite l'utilizzo di modelli macroeconomici. Secondo tali simulazioni la po-litica di coesione contribuirebbe in maniera significativa all'incremento del PIL e dell'occupazione, soprattutto negli Stati membri che hanno maggiormente beneficia-to del sostegno finanziario. I modelli mostrano anche che, in linea con l'obiettivo a lungo termine della politi-ca di sviluppare costantemente il potenziale produttivo delle economie UE, l'effetto continua a manifestarsi an-che una volta conclusi i programmi.

Nonostante i risultati positivi emersi dalle valutazioni, la politica di coesione presenta margini di miglioramento. In particolare i dati sottolineano l'importanza di concen-trare i finanziamenti su un numero limitato di priorità chiave, assicurando la presenza delle giuste condizioni affinché la politica possa produrre il suo impatto mas-simo. Anche la fase di progettazione e attuazione della politica stessa andrebbe ottimizzata, nell'ottica di dedi-care una maggiore attenzione ai risultati, definire obiet-tivi coerenti e selezionare traguardi chiari e adeguati da raggiungere per i vari programmi. In larga misura, que-ste sono le finalità che hanno improntato la riforma dei programmi relativi al periodo 2014–2020.

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235

Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014–2020

1. Gli elementi chiave della riforma

Il biennio di negoziazioni sulla riforma della politica di coesione si è concluso nel dicembre 2013. La politica di coesione investirà dunque circa un terzo del bilancio dell'UE in aree chiave coerenti con la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusi-va. A tal fine, nell'ambito di un nuovo quadro normativo sono stati definiti 11 obiettivi tematici in linea con le pri-orità di Europa 2020. Per massimizzare l'impatto degli investimenti, gli Stati membri e le regioni dovranno con-centrare i finanziamenti dell'UE su un numero limitato di obiettivi, alla luce delle specifiche sfide territoriali che li attendono e delle proprie esigenze di sviluppo.

Al centro della riforma vi è l'esigenza di assicurare una maggiore attenzione ai risultati degli investimenti re-alizzati col sostegno dell'UE, tramite il miglioramento degli indicatori e il potenziamento delle attività di mo-nitoraggio e valutazione. Ai fini di una maggiore resa, sono state introdotte nuove disposizioni in materia di condizionalità volte a garantire che le condizioni di base indispensabili per l'efficacia degli investimenti siano pre-senti prima dell'avvio degli investimenti (condizionalità

ex ante) e che l'impatto dei contributi della politica di coesione non venga indebolito dall'incertezza del qua-dro macroeconomico e fiscale (condizionalità macroe-conomica). La politica terrà conto delle esigenze degli Stati membri individuate durante il semestre europeo e sosterrà il risanamento dei conti pubblici, contribuendo a preservare la spesa favorevole alla crescita. Fornirà ri-sorse per intraprendere le riforme strutturali, compresa la costruzione di capacità amministrative.

Sono state stabilite normative comuni a tutti i fondi dell'UE riguardanti il sostegno allo sviluppo socioeco-nomico (ovvero FESR, FSE, Fondo di coesione, FEASR e FEAMP), nell'ottica di migliorare il coordinamento e ar-monizzare l'attuazione dei cosiddetti Fondi strutturali e d’investimento europei (fondi SIE). In questo modo l'uti-lizzo da parte dei beneficiari dovrebbe risultare semplifi-cato, riducendo anche il rischio di potenziali irregolarità.

Un ulteriore elemento fondamentale della riforma è rappresentato da un più efficace coordinamento tra i fondi SIE e ulteriori politiche e strumenti dell'UE (ad esempio Orizzonte 2020, il Meccanismo per collegare l'Europa e il Programma per la competitività delle im-

Semestre europeo

Raccomandazioni specifiche per paese

Investimenti a favore della crescita

Risanamentodei conti

Cond

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Condizionalità ex ante e macroeconomiche

Potenziamento della capacità

(POLITICA DI COESIONE)

Riforme strutturali

La politica di coesione nell'ambito delle politiche economiche dell'UE

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

236

prese e le PMI); il Quadro strategico comune (QSC) si propone di fornire orientamenti per il raggiungimento di tale finalità.

Per accedere ai finanziamenti dell'UE, ogni Stato mem-bro ha l'obbligo di predisporre un accordo di partenaria-to nel quale definire le proprie priorità di investimento, specificando come esse rispondono alle specifiche rac-comandazioni nazionali nell'ambito del semestre euro-peo e al raggiungimento degli obiettivi di Europa 2020, nonché le disposizioni per la gestione efficace dei fondi. Le procedure di programmazione, gestione, monitorag-gio e verifica andranno poi specificate in dettaglio nei relativi programmi nazionali o regionali.

Per rafforzare l'appropriazione sul campo dei program-mi, un nuovo codice europeo di condotta fissa i princi-pali criteri per l'organizzazione dei partenariati da parte degli Stati membri e delle regioni, fornendo gli opportu-ni orientamenti in materia.

Il nuovo quadro legislativo e politico promuove un ul-teriore ampliamento e rafforzamento dell'utilizzo de-gli strumenti finanziari come alternativa più efficace e sostenibile al tradizionale finanziamento basato sulle sovvenzioni in diverse aree. Inoltre, sono state elabora-te varie modalità di attuazione della politica al fine di affrontare specifiche sfide legate allo sviluppo territoria-le, come ad esempio gli investimenti territoriali integrati (ITI), lo sviluppo locale di tipo partecipativo (SLTPE) e i programmi plurifondo nei quali si combinano i contributi provenienti dall'FSE, dal FESR e dal Fondo di coesione.

1.1 Nuove geografie e finanziamenti

Il sostegno finanziario della politica di coesione è volto ad aiutare le regioni a superare gli ostacoli allo svilup-po, siano essi carenze infrastrutturali, scarsa capacità innovativa o di adattamento ai cambiamenti nel con-testo economico globale. Tali ostacoli sono presenti in tutte le regioni a livelli diversi; l'entità del supporto fi-nanziario concesso riflette il loro grado di sviluppo e la necessità di ricorrere ad aiuti finanziari per riuscire ad affrontare efficacemente le varie difficoltà.

Sono due le finalità principali dei finanziamenti della politica di coesione per il periodo 2014–2020: gli in-vestimenti per la crescita e l'occupazione da un lato, la cooperazione territoriale europea dall'altro. Per quanto

Il Meccanismo per collegare l'Europa (MCE)

Il Meccanismo per collegare l'Europa consiste in un nuovo strumento per il finanziamento delle reti tran-seuropee di trasporto, energia e telecomunicazioni (TEN), con uno stanziamento complessivo pari a 33 miliardi di euro. La quota più consistente — pari a 26 miliardi di euro — è destinata ai trasporti, mentre la dotazione per i settori dell'energia e delle telecomuni-cazioni è rispettivamente di 5 miliardi e 1 miliardo di euro. Verranno poi incentivati ulteriori investimenti da fonti pubbliche e private tramite l'utilizzo di innovativi strumenti finanziari, quali i prestiti obbligazionari per il finanziamento di progetti ("project bonds"), estendi-bili anche dopo il 2016 in caso di valutazione positiva della fase iniziale.

Gli investimenti nei trasporti sono incentrati sulla rete centrale europea, il cui completamento è previsto in via prioritaria entro il 2030, mentre la rete globale dovrebbe essere completata entro il 2050. I proget-ti di interesse comune saranno realizzati nelle zone transfrontaliere caratterizzate dall'assenza dei colle-gamenti di trasporto, nelle aree scarsamente dotate di infrastrutture e nelle zone con collegamenti insuf-ficienti tra le varie modalità di trasporto, oltre che per garantire l'interoperabilità. I progetti saranno finaliz-zati anche alla riduzione delle emissioni di gas a ef-fetto serra nel settore dei trasporti. Obiettivi prioritari saranno i corridoi di trasporto multimodali e "le auto-strade del mare".

Rispetto al settore dell'energia, l'MCE cofinanzierà sia progetti infrastrutturali di importanza chiave sia pro-getti di interesse comune volti alla creazione di una rete elettrica in grado di assorbire l'aumento nell'uso delle rinnovabili necessario per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Per essere ritenuto di interesse co-mune, un progetto deve coinvolgere almeno due Stati membri, favorire l'integrazione dei mercati e la con-correnza nel settore dell'energia nonché la sicurezza negli approvvigionamenti, contribuendo al raggiungi-mento degli obiettivi europei in materia di ambiente ed energia.

Relativamente al settore delle telecomunicazioni, l'MCE fornirà capitali d'avviamento e assistenza tecnica a progetti per lo sviluppo di reti e servizi a banda larga. I finanziamenti serviranno soprattutto per sostenere la fornitura di servizi pubblici transfrontalieri "senza intop-pi", quali appalti elettronici, sanità online e open data. Una parte di minore entità sarà utilizzata per finanziare progetti sulla banda larga in collaborazione con la Ban-ca europea per gli investimenti (BEI). Ai fini dell'ammis-sibilità, i progetti dovranno includere le tecnologie più innovative abbinate a modelli imprenditoriali innovativi oppure a modelli facilmente replicabili.

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

237

riguarda gli investimenti per la crescita e l'occupazione, i finanziamenti dell'UE saranno concentrati a favore delle regioni meno sviluppate (182,2 miliardi di euro su un totale di 351,8 milioni a prezzi correnti), ovvero le re-gioni con un PIL pro capite inferiore al 75% della media dell'UE, in tutto 71 regioni NUTS 2 con un popolazione di circa 128 milioni di abitanti (pari al 25% del totale dell'Unione), per lo più appartenenti agli Stati membri orientali e meridionali (Carta 8.1).

Al fine di supportare le regioni che non rientrano più nell'obiettivo Convergenza e che per questo potrebbero risentire negativamente dell'improvvisa contrazione dei fondi dell'UE, nonché tutte le regioni con un PIL pro capi-te compreso tra il 75% e il 90% della media dell' UE, è stata istituita la nuova categoria delle regioni in transizio-ne. Essa copre 51 regioni NUTS 2 localizzate soprattutto nell'Europa centrale con una popolazione di 68 milioni di abitanti, pari al 14% della popolazione dell'UE, che in tut-to riceveranno circa 35,4 miliardi di finanziamenti.

Tutte le altre regioni con un PIL pro capite superiore al 90% della media dell'UE (151 regioni con una popola-zione di 307 milioni di persone, pari al 61% del totale dell'UE) rientrano nella cosiddetta categoria delle "re-gioni più sviluppate". Appartenenti per lo più agli Stati membri centrali e settentrionali, tali regioni riceveranno un finanziamento pari a 54,4 miliardi di euro.

Il Fondo di coesione continuerà a supportare gli Stati mem-bri con un RNL pro capite inferiore al 90% della media dell'UE, cofinanziando gli investimenti nelle infrastruttu-re ambientali e nelle reti transeuropee di trasporto. Sono ammessi al sostegno 14 Stati membri situati nell'Europa orientale e meridionale, più Cipro in via transitoria (Carta 8.2), pari a 74,7 miliardi di euro, di cui 11,3 miliardi già destinati al Meccanismo per collegare l'Europa1.

1 Inoltre, si prevede uno specifico stanziamento di 1,6 miliardi di euro per le regioni ultraperiferiche e per le regioni settentrionali scarsa-mente popolate. Per l'obiettivo della cooperazione territoriale euro-pea è stato stanziato un finanziamento pari a 9,6 miliardi di euro.

Il Fondo di solidarietà dell’Unione europea (FSUE)

Il Fondo di solidarietà dell’Unione europea (FSUE) è sta-to istituito a seguito delle gravi inondazioni che hanno colpito l'Europa centrale nell'estate 2012, per assistere le regioni degli Stati membri dell'UE e dei paesi candi-dati all'adesione all’Unione europea colpiti da gravi ca-lamità naturali con serie ripercussioni sul tenore di vita, sull'ambiente naturale o sull'economia.

Va considerata "grave" qualsiasi catastrofe naturale che provoca danni superiori a una soglia di costo specifica per paese, oppure se colpisce la maggior parte della popolazione di una regione, con profonde e durevoli ri-percussioni sulle condizioni di vita dei cittadini e sulla stabilità economica.

Il FSUE contribuisce al finanziamento della gestione delle emergenze, come il ripristino delle infrastrutture di base; la messa a disposizione di alloggi temporanei e il costo dei servizi di soccorso destinati a soddisfare le necessità immediate della popolazione, nonché la realizzazione di misure preventive quali la costruzio-ne di barriere o argini per impedire l'aggravarsi della situazione.

Dalla sua istituzione nel 2002, i finanziamenti erogati ammontano a 3,6 miliardi di euro destinati ad aiutare le popolazioni colpite da 56 disastri naturali, fra cui al-luvioni, incendi boschivi, terremoti, uragani e siccità, in 23 Stati membri. Per il periodo 2014–2020, gli aiuti a titolo del Fondo di solidarietà potranno essere mobilitati per un importo massimo annuo pari a 500 milioni di

euro. Sono state introdotte nuove regole per facilitare e velocizzare l'accesso ai fondi, quali la disposizione sulle richieste di pagamento anticipato, al fine di poter inter-venire più rapidamente nelle aree colpite dalle calamità e incoraggiare gli Stati membri ad adottare misure di prevenzione del rischio più efficaci. Sono stati chiariti i criteri di ammissibilità ai finanziamenti, soprattutto in caso di catastrofe regionale.

Risultano prioritarie le misure volte a minimizzare i ri-schi di catastrofi e a investire nella prevenzione. I be-nefici di un tale approccio sono stati spesso dimostrati — più recentemente, nel caso delle alluvioni nell'Europa centrale nel 2013, riguardanti una zona molto più este-sa rispetto a quelle di 12 anni fa ma meno gravi dal punto di vista del numero di vittime e dei danni provo-cati, grazie alla messa in campo delle misure preventi-ve. Secondo la Banca mondiale, ogni euro investito nella prevenzione consente un risparmio medio di 4–7 euro nella gestione dei danni.

Nel periodo 2007–2013 oltre 5 miliardi di euro sono stati investiti nell'ambito della politica di coesione per la prevenzione dei rischi, mentre nel periodo 2014–2020 la priorità rientra fra gli obiettivi tematici della politica di coesione. Ulteriori misure prevedono l'attuazione di una specifica direttiva sulle alluvioni e la revisione della normativa sulle catastrofi, per rafforzare il monitorag-gio dei rischi e rafforzare la cooperazione in materia di prevenzione e soccorso.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

239

Al fine di tenere conto dell'effetto differenziale della crisi sugli Stati membri e sulle regioni, nel 2016 è prevista una verifica in itinere riguardante la ripartizione dei fon-di tra le varie aree, sulla base dei dati statistici che si avranno a disposizione al momento. Le eventuali mo-difiche nelle ripartizioni verranno quindi ridistribuite nel periodo 2017–2020.

Per garantire il rispetto del principio del cofinanziamen-to e la definizione dei contributi nazionali secondo livelli corretti, sono stati fissati dei tassi massimi di cofinan-ziamento in rapporto al livello di sviluppo economico della regione o dello Stato membro interessato. Per quanto riguarda i Fondi strutturali, i tassi oscillano tra il 50% nelle regioni più sviluppate e l'85% nelle regioni meno sviluppate (Carta 8.3).

1.2 Concentrazione tematica a sostegno della strategia Europa 2020

Per il periodo 2014–2020, gli Stati membri e le regioni sono tenuti a concentrare le risorse finanziarie su un numero limitato di aree strategiche orientate al per-seguimento della strategia Europa 2020, nell'ottica di massimizzare l'impatto dei finanziamenti europei. Con questo approccio si intende ovviare all'esperienza matu-rata nei precedenti periodi, secondo cui i finanziamenti avrebbero prodotto un impatto più limitato del previsto a causa dell'eccessiva dispersione delle risorse.

In larga parte questo dipendeva dal numero eccessivo di priorità che gli Stati membri potevano selezionare, ma anche dalla riluttanza degli stessi a concentrare le risorse su poche priorità su cui poter determinare un impatto incisivo. Con l'introduzione nel periodo 2007–2013 del principio di "earmarking", secondo il quale una determinata quota dei finanziamenti doveva essere destinata alle priorità di Lisbona per garantire una maggiore attenzione agli obiettivi dell'UE comuni, sono stati compiuti alcuni passi in avanti, ma con risul-tati eterogenei.

Per il periodo 2014–2020 sono stati introdotti due re-quisiti inerenti la concentrazione tematica. Primo, i fondi dell'UE devono essere orientati su aree chiave coerenti con la strategia Europa 2020 per una crescita intelli-gente, sostenibile e inclusiva e, più in particolare, con le raccomandazioni specifiche per paese emanate dal Consiglio nell'ambito del semestre europeo. Secondo, gli

importi dei finanziamenti da destinare ai vari obiettivi sono stabiliti da regolamenti specifici ai singoli fondi.

Indirizzare le risorse alle aree chiave della crescita

Gli investimenti finanziati dal FESR dovranno concen-trarsi su 4 priorità chiave: R&S e innovazione, agenda digitale, sostegno alle PMI ed economia a basso con-tenuto di carbonio. Il livello minimo di finanziamento stanziabile per questi obiettivi varia in base al grado di sviluppo delle singole regioni. Nelle regioni più svilup-pate ammonta all'80% minimo, nelle regioni in transi-zione al 60% e nelle regioni meno sviluppate al 50%. Nell'ambito delle varie quote, poi, una percentuale dovrà essere stanziata a favore dello sviluppo di un'economia a basso contenuto di carbonio, nella misura di almeno il 20% nelle regioni più sviluppate, del 15% nelle regioni in transizione e del 12% nelle regioni meno sviluppate (Carte 8.4 e 8.5).

In merito all'FSE, gli stanziamenti dovranno concentrarsi su massimo cinque priorità di investimento nell'ambito degli obiettivi tematici in materia di occupazione, inclu-sione sociale, istruzione e potenziamento della capacità istituzionale. In questo modo dovrebbe essere possibi-le sfruttare al meglio i finanziamenti erogati all'interno dell'UE. Si dovrebbe altresì garantire un collegamento più esplicito con la strategia europea per l'occupazione e gli orientamenti integrati in materia di occupazione.

Le regioni e gli Stati membri sono chiamati a compiere scelte chiare sugli obiettivi da perseguire, cosicché la concentrazione delle risorse su pochi obiettivi dovreb-be consentire il raggiungimento di una massa critica di risorse, assicurando un impatto decisivo sulle aree in questione in termini di crescita e occupazione.

Promuovere l'occupazione, l'istruzione e l'inclusione sociale

Lo stanziamento a valere sull'FSE prevede un importo minimo di 80 miliardi di euro, una quota leggermente più alta in termini monetari rispetto al periodo 2007–2013, da destinare alla promozione dell'occupazione, dell'istruzione e dell'inclusione sociale in Europa. Le quote assegnate ai singoli Stati membri sono state de-terminate in percentuale sul totale delle risorse dell'FSE

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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e del FESR che essi riceveranno nell'ambito dell'obiet-tivo riguardante l'investimento per la crescita e l'occu-pazione (Tabella 8.1). Tali quote rispecchiano le diverse esigenze di investimento degli Stati membri, in parte determinate dal grado di sviluppo di ciascuno. In genere, il fabbisogno di investimenti negli Stati membri meno sviluppati riguarda un'ampia gamma di infrastrutture, fra cui il miglioramento dei collegamenti di trasporto, mentre nelle regioni più sviluppate è il capitale umano a richiedere maggiori investimenti.

Nell'ambito dello stanziamento a valere sull'FSE, una quota di almeno il 20% deve essere destinata al raffor-zamento dell'inclusione sociale e alla lotta alla povertà e alla discriminazione.

Data l'assoluta urgenza di affrontare gli alti livelli di disoccupazione giovanile che preoccupano molti Stati membri, è stata lanciata una nuova iniziativa per l'oc-cupazione giovanile cofinanziata dall'FSE, volta ad aiutare i giovani a entrare nel mercato del lavoro o a partecipare ad attività di istruzione e formazione neces-sarie per migliorare le proprie prospettive occupazionali. L’iniziativa prevede una serie di misure fra cui sostegno all'apprendistato, al lavoro autonomo e alla creazione di impresa, nonché stage in azienda e attività di istruzione e formazione continua. Le regioni con tassi di disoccu-pazione giovanile superiori al 25% nel 2012 e le regio-ni con tassi superiori al 20% appartenenti a paesi che hanno registrato un aumento del tasso di oltre il 30% nel 2012 sono ammissibili ai contributi nell'ambito di questa iniziativa (Carta 8.6).

Lo stanziamento previsto per tale iniziativa è pari a 6,4 miliardi di euro, di cui almeno 3,2 miliardi provenienti da investimenti mirati nell'ambito degli stanziamenti na-zionali dell'FSE e il resto da una specifica linea di finan-ziamento dell'UE. Gli importi potranno essere aumentati a seguito della verifica di medio periodo dei finanzia-menti dell'UE, prevista per il 2016.

1.3 Rafforzare l'efficacia degli investimenti

L'efficacia del finanziamento della politica di coesione è subordinata a solide politiche macroeconomiche, a un ambiente microeconomico favorevole e a un chiaro quadro istituzionale. Per affrontare le strozzature che ostacolano la crescita, in molti settori è necessario af-

fiancare agli investimenti le adeguate condizioni strate-giche e normative.

Da vari studi in materia, tuttavia, emerge come nelle precedenti programmazioni l'efficacia dei finanziamen-ti dell'UE sia stata indebolita da politiche inadeguate e vincoli amministrativi e istituzionali. Sussistono anche alcune lacune per quanto concerne il recepimento della normativa dell'UE nelle legislazioni nazionali riguardanti le aree direttamente collegate alla politica di coesione. Nonostante i tentativi effettuati in passato per stabilire "condizionalità" connesse alle disposizioni strategiche, istituzionali e amministrative in essere, la loro applica-zione è risultata opzionale e poco sistematica.

Sono state quindi introdotte alcune condizionalità ex ante per il periodo 2014–2020, onde evitare che l'efficacia degli investimenti dell'UE venga inficiata dall'incertezza politica o da strozzature di tipo regolamentativo, ammini-strativo o istituzionale. Tali condizionalità, numericamen-te limitate, si incentrano sulle condizioni quadro ritenute di massima importanza ai fini degli investimenti. Essendo sviluppate sui vincoli esistenti nei vari Stati membri, non richiedono l'integrazione di vincoli supplementari o il su-peramento di requisiti già esistenti.

Si prevedono due tipologie di condizionalità ex ante:

• condizionalità collegate agli 11 obiettivi tematici e alle rispettive priorità di investimento dei fondi.

Tabella 8.1 Quote minime di supporto dell'FSE per Stato membro nell'ambito dell'obiettivo Investimenti per la crescita e l'occupazione, 2014–2020

% di FESR+FSEBelgio 52,0 Lituania 24,2Bulgaria 28,7 Lussemburgo 50,7Repubblica ceca 22,1 Ungheria 24,0Danimarca 50,0 Malta 21,6Germania 36,8 Paesi Bassi 50,0Estonia 18,0 Austria 43,5Irlanda 51,7 Polonia 24,0Grecia 28,1 Portogallo 38,5Spagna 27,7 Romania 30,8Francia 41,7 Slovenia 29,3Croazia 24,6 Slovacchia 20,9Italia 26,5 Finlandia 39,5Cipro 30,7 Svezia 42,5Lettonia 20,7 Regno Unito 45,9Fonte: Accordi di partenariato provvisori e definitivi al 1° giugno 2014.

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

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L'individuazione di condizionalità in questo ambito è subordinata agli obiettivi e alle priorità su cui i programmi hanno ritenuto di incentrarsi. Esse sono legate alle specifiche aree di intervento dei fondi SIE e sono riconducibili all'efficacia delle politiche per-seguite, alla trasposizione della normativa dell'UE direttamente collegata all'esecuzione dei finanzia-menti e al possesso di una adeguata capacità am-ministrativa (si veda il Diagramma).

• Condizionalità più generali connesse ad aspetti tra-sversali applicabili a tutti i programmi che garan-tiscono il rispetto dei requisiti minimi in materia di lotta alla discriminazione, parità di genere, disabili-tà, appalti pubblici, aiuti di Stato e così via.

Qualora gli Stati membri e successivamente la Commissione dovessero appurare la mancata soddisfa-zione delle condizionalità ex ante in fase di adozione dei programmi, gli Stati membri dovranno predisporre spe-cifici piani d'azione per dimostrare che verranno tempe-

stivamente create le giuste condizioni per non inficiare l'esecuzione efficace ed efficiente dei fondi. La mancata realizzazione del piano d'azione entro la fine del 2016 potrebbe comportare la sospensione dei pagamenti da parte della Commissione. Anche la mancata osservanza di elementi chiave che potrebbe compromettere seria-mente l'efficacia della spesa potrà determinare una so-spensione dei finanziamenti dell'UE in fase di adozione del programma da parte della Commissione.

1.4 Raggiungere e dimostrare i risultati

Nel passato l'attuazione del sostegno della politica di coesione in alcune zone era più concentrata sulla spesa e sulla gestione in sé, che non sulla performance intesa come raggiungimento di specifici obiettivi. Spesso i pro-grammi non contenevano indicazioni sufficientemente precise sugli obiettivi da raggiungere e sulle modalità di realizzazione di tali obiettivi, il che rendeva difficile il monitoraggio e la valutazione della performance.

Criteri per la soddisfazione delle condizionalità ex ante nel settore R&S e Innovazione

* Il Forum strategico europeo sulle infrastrutture di ricerca (ESFRI) rappresenta uno strumento strategico per lo sviluppo dell'integra-zione scientifica in Europa e per il rafforzamento della sua portata internazionale. L'accesso libero e competitivo a infrastrutture di ricerca di livello avanzato consente di sostenere e diffondere la qualità delle attività scientifiche in Europa, attirando i migliori investitori da tutto il mondo. Si veda http://ec.europa.eu/research/infrastructures/index_en.cfm?pg=esfri

Obiettivo tematico

Priorità di investimento del FESR

Condizionalità ex ante e criteri di conformità

Strategie nazionali o regionali di specializzazione intelligente con:- analisi SWOT o similare per concentrare i fondi su alcune priorità in materia di ricerca o innovazione;- misure per stimolare gli investimenti;- strumenti di monitoraggio. Adozione del quadro di bilancio per la ricerca e l'innovazione.

Promuovere gli investimenti delle

imprese nel settore R&I e sviluppare

connessioni e sinergie

Ra�orzare la RST e

Innovazione

Potenziare le infrastrutture

Presenza di un piano pluriennale per la definizione della dotazione finanziaria e delle priorità di investimento in linea con le priorità dell'Unione.

Ove opportuno, è stato adottato il forum strategico europeo sulle infrastrutture della ricerca*.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

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Logica di intervento della politica di coesione nel periodo 2014–2020 — L'esempio del sostegno al settore high–tech in una delle regioni più sviluppate

Descrizione dell'obiettivo specifico

La regione più settentrionale della Germania, Schleswig–Holstein, intende aumentare il numero di nuove imprese orientate alla conoscenza e alle nuove tecnologie. L'indicatore di risultato in rapporto a questo obiettivo è rappresenta-to dal numero medio di nuove start–up a orientamento tecnologico ogni 10 000 abitanti della regione in età lavorativa ed economicamente attivi. Così misurato, il parametro di riferimento per il settore orientato alla conoscenza e alle tecnologie nella regione è fissato a 4,45 nel 20111, un valore notevolmente inferiore alla media nazionale.

Obiettivo fissato per l'indicatore di risultato. La regione intende innalzare a 4,85 il numero di nuove imprese a orien-tamento tecnologico ogni 10 000 abitanti in età lavorativa ed economicamente attivi entro il 2023. Il programma cofinanziato dal FESR costituirà uno degli strumenti utilizzati per conseguire tale obiettivo. Inoltre verrà diffusa una politica favorevole alla creazione d'impresa, sia a livello di regione sia in termini di investimenti privati (cosiddetti "altri fattori").

Descrizione delle possibili azioni da intraprendere

Le regioni hanno a disposizione diverse modalità con cui sostenere la creazione d'impresa in ambito tecnologico. Analizzando i punti di debolezza della regione e utilizzando gli esiti delle scorse valutazioni, i responsabili politici hanno concluso che i problemi principali derivano dalle barriere ai finanziamenti e dalle lacune a livello conoscitivo.

Per questo motivo, la regione ha deciso di adottare una duplice linea d'azione:

• ridurre le barriere ai finanziamenti per sostenere i settori della conoscenza e attrarre capitali di rischio;

• sostenere misure volte alla riduzione delle barriere infrastrutturali alle tecnologie nonché gli incubatori di imprese.

I corretti indicatori di realizzazione ("output indicators") per questa duplice linea d'azione sono il numero di imprese beneficiarie del sostegno e l'importo degli investimenti privati raccolti a integrazione dei fondi pubblici. Si tratta di indicatori inseriti nell'elenco degli indicatori comuni ai sensi del regolamento del FESR. A questi si aggiungono altri quattro indicatori specifici che serviranno per valutare il numero di progetti sovvenzionati, il numero di progetti sfociati nella effettiva creazione d'impresa, il numero di nuove start–up orientate alla conoscenza e alle tecnologie e la quantità di spazio affittato presso i centri tecnologici e gli incubatori di imprese. Fonte: Bozza del programma operativo regione Schleswig–Holstein, adattato.

1 Proveniente dall'analisi condotta dal Centro europeo per la ricerca economica (Gruppo di esperti sulle start–up del ZEW).

ALTRIFATTORI

OBIETTIVO SPECIFICO(RISULTATI ATTESI)Aumentare l'intensità della creazione d'impresa

ESITO (AZIONI)

Numero di nuove imprese supportate, nuovi spazi sedi di incubatori d'impresa

RISULTATI EFFETTIVI

Tradotti col numero di nuove imprese a orientamento

tecnologico ogni 10 000 persone

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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In alcuni casi gli Stati membri sono stati riluttanti a fissa-re i rispettivi traguardi, oppure hanno stabilito traguardi che sapevano di poter raggiungere facilmente, pertanto non abbastanza significativi da essere confrontati con i risultati ottenuti. Questo, a sua volta, ha limitato la capa-cità dei valutatori di misurare gli effetti degli interventi e di distinguere le misure efficaci e la relativa motivazione.

Dato questo scenario, l'orientamento ai risultati tramite l'utilizzo di indicatori più adeguati e lo svolgimento di at-tività di monitoraggio e valutazione costituisce il cuore della riforma della politica di coesione.

L'orientamento ai risultati va incorporato sin dalla fase di elaborazione dei programmi. Essa dovrebbe seguire una logica di intervento ben definita che parta dall'indi-viduazione dei fabbisogni di sviluppo e dei mutamenti che il programma intende determinare per rispondere a tali fabbisogni, per poi dimostrare l'utilità in merito della spesa prevista.

Per ogni programma vanno poi fissati alcuni "obiettivi specifici" indispensabili per definire i risultati che si pre-vede raggiungere, tenendo conto delle esigenze e delle caratteristiche dell'area di riferimento. Devono essere definiti alcuni indicatori specifici per programma, com-pleti di parametri di riferimento e obiettivi, nell'ottica di misurare in che modo i risultati attesi contribuiranno a determinare i cambiamenti previsti. Essi dovranno esse-re accompagnati da indicatori comuni valevoli su tutti i

programmi, utili per consentire di aggregare i risultati a livello nazionale e di UE.

Al fine di monitorare il grado di raggiungimento degli obiettivi e dei traguardi e promuovere e premiare le prestazioni di qualità, per ogni programma va defini-to un quadro di riferimento dei risultati ("performance framework"), costituito da tappe fondamentali ("mile-stones") da raggiungere entro il 2018, traguardi finali da raggiungere entro il 2023 e una riserva di efficacia ed efficienza da assegnare nel 2019 al raggiungimento delle tappe fondamentali.

La riserva di efficacia ed efficienza ammonta al 6% degli stanziamenti nazionali per Stato membro, fondo e cate-goria di regione, per un totale di 20 miliardi di euro. La sfida principale per gli Stati membri e le regioni consiste nell'individuare tappe fondamentali chiare e misurabili, realistiche e allo stesso tempo sufficientemente ambi-ziose da risultare significative.

1.5 Allineare gli investimenti dell'UE al semestre europeo

Nell'ambito del nuovo quadro politico, esiste uno stretto collegamento tra i fondi SIE e il semestre europeo. Nella fase di predisposizione dei programmi per il periodo 2014–2020, gli Stati membri e le regioni dovranno tenere conto delle raccomandazioni specifiche per paese (RSP),

Esempi di raccomandazioni specifiche per paese (RSP) nel 2013

(Sotto) settore RSP Stato membro Numero di Stati membri

Reti energetiche, rinnovabili ed efficienza energetica

Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Spagna, Italia, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Slovacchia, Germania, Finlandia

12

R&S e Innovazione Estonia, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia

6

Miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza della pubblica amministrazione

Bulgaria, Cipro, Repubblica ceca, Spagna, Grecia, Croazia, Italia, Romania, Slovacchia

9

Riforma del sistema giudiziario Bulgaria, Grecia, Spagna, Ungheria, Lettonia, Malta, Romania, Slovenia, Slovacchia

9

Miglioramento del contesto imprenditoriale

Bulgaria, Grecia, Spagna, Ungheria, Italia, Polonia, Romania

7

Lotta alla corruzione Bulgaria, Repubblica ceca, Grecia, Croazia, Ungheria, Italia

6

Appalti pubblici Bulgaria, Grecia, Ungheria, Croazia 4

Assorbimento dei fondi SIE Bulgaria, Romania, Slovacchia 3

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

247

ovvero le raccomandazioni sugli opportu-ni cambiamenti strutturali da realizzare tramite investimenti pluriennali, rientranti nell'ambito del sostegno dei fondi SIE.

Diverse RSP non riguardano direttamente i fondi SIE (ad esempio quelle inerenti la tassazione, il quadro fiscale, le spesa pub-blica per le pensioni e la sanità, la riforma del regime di previdenza sociale o le misu-re relative al mercato interno). Pur essen-do alcune di queste riforme indirettamen-te collegate alla creazione delle corrette condizioni quadro per l'utilizzo dei fondi SIE, la loro attuazione esige un intervento politico diverso dagli investimenti dell'UE.

Tuttavia, il pacchetto di RSP 2013 conteneva anche al-cune raccomandazioni di diretto interesse per i fondi SIE. Esse riguardavano varie misure volte allo sviluppo della ricerca e l'innovazione, l'incremento dell'accesso al credito per le PMI e la creazione d'impresa, l'incremento dell'efficienza energetica e la modernizzazione delle reti energetiche, il miglioramento nella gestione dei rifiuti e delle acque, l'aumento nella partecipazione al mercato del lavoro, l'adeguamento dei sistemi di istruzione e la riduzione della povertà e dell'esclusione sociale.

Un'altra area importante oggetto delle RSP 2013 riguarda la pubblica amministrazione, il sistema giudiziario e l'or-ganizzazione dei servizi pubblici. Tramite un'indicazione numerica è stata segnalata la necessità di migliorare l'ef-ficacia e l'efficienza della pubblica amministrazione, au-mentare la qualità e l'indipendenza del sistema giudizia-rio, combattere efficacemente la corruzione e garantire la corretta attuazione della normativa sugli appalti pubblici. In alcuni casi è stata inviata più di una raccomandazione (tutte e quattro nel caso di Bulgaria e Grecia).

La modernizzazione della pubblica amministrazione è or-mai considerata un requisito fondamentale indipensabile per la piena realizzazione della strategia Europa 2020; per questo il nuovo quadro giuridico pone un accento particolare sul potenziamento di capacità istituzionali e sulla riforma della pubblica amministrazione. La finalità è quella di creare istituzioni che siano in grado di interagire col pubblico in maniera stabile e prevedibile, ma anche abbastanza flessibili da rispondere alle sfide della socie-tà, aperte al dialogo con i cittadini e capaci di introdurre politiche nuove e fornire servizi migliori.

1.6 Un approccio strategico alle riforme della pubblica amministrazione

Con capacità istituzionale non si intende una mera com-petenza tecnica oggetto dei corsi di formazione rivol-ti ai funzionari pubblici, ma la modalità cui le autorità pubbliche interagiscono e forniscono servizi a imprese e cittadini. La buona governance2 rappresenta sia la base di partenza sia l'obiettivo ultimo della costruzione del-la capacità istituzionale, finalizzata allo sviluppo della fiducia e del capitale sociale. I paesi con un capitale so-ciale di alto livello tendono anche a essere caratterizzati da un sistema economico più solido.

I fattori ambientali rivestono un ruolo chiave nell'ela-borazione di un approccio strategico alla riforma della pubblica amministrazione. Essi comprendono la stabili-tà istituzionale, il coinvolgimento delle parti interessate, l'allineamento degli obiettivi e un'effettiva collaborazio-ne tra le varie parti in causa3.

Sulla base di questi fattori, queste sono le condizioni per la buona riuscita:

• l'adozione di un approccio personalizzato specifico per paese che identifichi in maniera chiara i pun-ti deboli delle amministrazioni, nonché le principali aree strategiche che richiedono supporto ammini-strativo;

2 Definibile come “la modalità di esercizio del potere nella gestione delle risorse economiche e sociali per lo sviluppo di un paese”.

3 de Koning, J. et al. (2006).

Principi di eccellenza

PRINCIPI DI ECCELLENZA

Sviluppo di partenariati

Innovazione e miglioramento

costantiSviluppo e

coinvolgimento delle persone

Gestione in termini di processi

e fatti

Leadership e coerenza negli

obiettivi

Attenzione rivolta ai cittadini/clienti

Orientamento ai risultati

Responsabilità sociale

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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• un'adeguata attenzione alla dimensione locale e re-gionale;

• la necessità che il processo di potenziamento delle capacità faccia riferimento a un quadro di riforme coerente e non a singole iniziative ad hoc4.

Per la modernizzazione della pubblica amministrazione, gli Stati membri dovranno adottare un approccio strate-gico basato sui "principi di eccellenza"5, come indicato nel regolamento recante disposizioni comuni sui fondi SIE.

1.7 Governance economica solida

Per massimizzare l'impatto degli investimenti finanziati dai fondi SIE, è necessario disporre di un contesto ma-croeconomico sano. Per questo motivo i finanziamenti SIE devono essere strettamente correlati alle procedure di governance economica dell'Unione. Accomunate dallo stesso obiettivo fondamentale — una crescita sosteni-bile, sostenuta ed equilibrata — le due politiche dovran-no essere rigorosamente allineate tra loro.

I fondi SIE sono destinati principalmente alla realizza-zione di investimenti pubblici con l'obiettivo di aiutare gli Stati membri ad affrontare le sfide economiche e sociali che li attendono. L'efficacia degli investimenti pubblici, però, può essere inficiata dalla scarsa soste-nibilità delle finanze pubbliche e dalla mancata solidità delle politiche economiche. Ad esempio, nel caso di pa-esi esclusi dai mercati finanziari o costretti a introdur-re difficili riforme economiche a causa dell'aggravarsi delle condizioni finanziarie, è più difficile perseguire nell'elaborazione dei programmi una strategia di inve-stimento a lungo termine, assicurare la partecipazione del settore privato o garantire un adeguato livello di investimento pubblico.

Nel caso di mancata attuazione di sane politiche econo-miche o di mancata realizzazione delle necessarie rifor-me strutturali da parte dei governi nazionali, è probabi-le che l'efficacia degli investimenti sostenuti dai fondi SIE venga diminuita. Pertanto, il nuovo quadro politico stabilisce un collegamento diretto tra l'attuazione dei Fondi e il rispetto della governance economica europea — o, più specificamente, delle azioni intraprese a livello

4 Commissione europea (2005).

5 Istituto europeo di amministrazione pubblica.

nazionale per garantire la realizzazione di politiche fi-scali chiare, rispondere ai cambiamenti nelle condizioni economiche e attuare le necessarie riforme strutturali ("condizionalità macroeconomica").

A tal fine, occorre sottolineare che le politiche economi-che e di bilancio attuate a livello regionale non possono essere disgiunte dalle politiche realizzate a livello nazio-nale. Gli obiettivi fissati a livello di UE per queste ultime si applicano a tutti i livelli di governo. È quindi fonda-mentale garantire un adeguato coordinamento tra que-sti aspetti, al fine di garantire la coerenza della politica di bilancio globale e una ripartizione più equa degli oneri tra i vari livelli amministrativi. La condizionalità macroe-conomica, quindi, rappresenta un ulteriore incentivo per tutti i livelli di governo a gestire con prudenza le finanze pubbliche, occupandosene con un atteggiamento di re-sponsabilità collettiva.

Il nesso tra i finanziamenti dell'UE e la governance macroeconomica non è un concetto nuovo. Già ricono-sciuto nel trattato di Maastricht, è iscritto nel quadro giuridico del Fondo di coesione sin dalla sua creazione. I nuovi impegni assunti dai paesi dell'area dell'euro per il rispetto del patto di stabilità e crescita prevedono l'ampliamento e il rafforzamento delle misure di sor-veglianza delle politiche economiche volte al supera-mento della crisi economica (tramite l'adozione del cosiddetto "six pack").

L'obiettivo delle nuove disposizioni normative in mate-ria di condizionalità macroeconomica è di garantire da un lato che l'efficacia dei fondi SIE non venga indebo-lita dall'incertezza delle politiche macroeconomiche, e dall'altro che i Fondi siano destinati ad affrontare le nuove sfide economiche e sociali strutturali di lungo pe-riodo e non i fenomeni ciclici e di breve durata.

Il principio di condizionalità macroeconomica prevede un'applicazione graduale e proporzionata. La sospen-sione dei finanziamenti SIE viene ritenuta una soluzione estrema nel caso in cui uno Stato membro raggiunga un livello significativo di non ottemperanza delle varie procedure dell'UE riguardanti la governance economica. Ogni eventuale sospensione sarà proporzionata all'en-tità della violazione, in maniera tale da non superare il limite necessario per garantire l'utilizzo efficace dei finanziamenti.

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

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La condizionalità macroeconomica si articola in due direttrici:

1) riprogrammazione dei fondi SIE: essa riguarda gli emendamenti agli accordi di partenariato e ai pro-grammi durante la fase attuativa, nell'ottica di forni-re un supporto mirato alle RSP del semestre europeo e ovviare ai cambiamenti nei contesti economici, alle esigenze in materia di riforme strutturali o a squilibri che dovessero emergere in corso d'opera, oppure di massimizzare l'impatto dei fondi SIE sullo sviluppo economico e sulla competitività. A titolo esemplifica-tivo, tali emendamenti potrebbero comprendere:

• sostegno a riforme per il miglioramento del funzionamento del mercato del lavoro, a inizia-tive di aggiornamento delle competenze e for-mazione continua, a misure volte ad aumentare la partecipazione al mercato del lavoro;

• sostegno a misure volte allo sviluppo della competitività, ad esempio tramite il migliora-mento dei sistemi di istruzione e formazione oppure per la R&S e l'innovazione;

• sostegno agli investimenti nelle infrastrutture;

• sostegno a misure volte al raggiungimento dei traguardi e degli obiettivi in materia di clima ed energia, ad esempio tramite la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, lo svilup-po delle rinnovabili e l'aumento dell'efficienza energetica al fine di ridurre la dipendenza dalle importazioni, abbassare i costi e promuovere la crescita verde;

• sostegno a misure volte al miglioramento della gestione delle risorse naturali e della sostenibi-lità dei sistemi di trasporto;

Connessione tra quadro macroeconomico ed efficacia dei fondi SIE

Secondo l'articolo 175 del TFUE, gli Stati membri con-ducono la loro politica economica e la coordinano al fine di realizzare gli obiettivi di coesione economica, sociale e territoriale; viene così stabilita una correlazione evi-dente tra le politiche economiche nazionali e la politica di coesione. Vi sono numerose vie per collegare il rag-giungimento degli obiettivi della politica di coesione alle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri.

Primo, la politica di coesione è volta alla promozione della crescita e dello sviluppo, in particolare tramite la creazione di condizioni favorevoli agli investimenti nel capitale fisico, umano e tecnologico. Gli squilibri macro-economici possono compromettere questo obiettivo, ad esempio scoraggiando gli investimenti privati a causa dell'inflazione elevata o dell'eccessivo indebitamento pubblico. Secondo, in base al principio di addizionalità la politica di coesione è volta ad aggiungere risorse agli investimenti effettuati dagli Stati membri, integrando gli sforzi compiuti a livello nazionale in materia. Ciò si-gnifica che i governi hanno l'obbligo di garantire il man-tenimento dei livelli di investimento pubblico nelle aree di competenza della politica di coesione. Questo princi-pio può essere gravemente compromesso nel caso in cui, a causa della necessità di ridurre il disavanzo di bi-lancio, occorra effettuare tagli agli investimenti pubblici.

Il nesso empirico tra contesto macroeconomico ed effi-cacia dei fondi SIE è stato oggetto di un recente studio

analitico1, finalizzato a esaminare il rapporto tra politica macroeconomica e indicatori di sviluppo tramite l'utiliz-zo delle classiche tecniche econometriche; tale studio ha evidenziato che:

a) una sana politica di bilancio, e più in specifico il contenimento dei livelli di disavanzo e debito pub-blico in rapporto al PIL, contribuiscono allo svilup-po economico e al conseguimento degli obiettivi dell'UE in materia;

b) l'incremento della spesa pubblica corrente, com-presi gli interessi sul debito, può ostacolare lo sviluppo socioeconomico, mentre gli investimenti pubblici (misurati in termini di formazione netta di capitale fisso) sono associati positivamente alla generazione di miglioramenti;

c) i fondi SIE contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi socioeconomici dell'UE;

d) tuttavia la loro efficacia aumenta mantenendo bassi i livelli di debito pubblico e di indebitamento estero netto.

Tali risultati convalidano l'ipotesi del collegamento tra i fondi SIE e la governance economica per mezzo del principio di condizionalità macroeconomica.

1 Tomova, M. et al. (2013).

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

250

• sostegno alle PMI;

• sostegno a misure volte al miglioramento della qualità della governance, ad esempio poten-ziando la capacità amministrativa e la raccol-ta dati per fini di monitoraggio, valutazione e orientamento strategico.

La mancata osservanza della richiesta della Commissione di emendare l'accordo di partena-riato e il relativo programma da parte dei singoli Stati membri può causare una sospensione parzia-le o integrale dei pagamenti SIE per i programmi in questione. La sospensione dei pagamenti sarà revocata senza indugio non appena lo Stato mem-bro avrà pienamente soddisfatto la richiesta della Commissione. Gli Stati membri potranno continuare a trasmettere le richieste di rimborso anche durante il periodo di sospensione, per evitare la perdita dei finanziamenti dell'UE ai sensi della regola sul di-simpegno (n+3), purché la sospensione sia revocata prima della conclusione del programma.

2) Mancata conformità rispetto alle procedure di go-vernance economica dell'Unione: gli impegni di spesa o i pagamenti riguardanti i programmi in questione saranno revocati del tutto o in parte, qualora uno Stato membro a) ometta di adottare le

misure correttive in risposta alla raccomandazione del Consiglio di riportare il disavanzo entro i limiti nell'ambito della procedura per i disavanzi ecces-sivi, b) trasmetta per due volte consecutive piani d'azione correttivi inadeguati nell'ambito della pro-cedura per gli squilibri macroeconomici oppure c) ometta di osservare la condizionalità richiesta dal programma di aggiustamento macroeconomico.

In tutti questi casi, il nuovo quadro politico privilegia la sospensione degli impegni alla sospensione dei pagamenti, al fine di limitare le conseguenze nega-tive per i beneficiari dei fondi SIE, pur mantenendo l'incentivo a favore dell'adeguamento economico. I pagamenti SIE saranno sospesi solo in caso di ri-chiesta di provvedimenti immediati o nell'eventua-lità di gravi inadempienze. La sospensione degli impegni, inoltre, sarà effettiva solo per quelli riguar-danti il successivo esercizio finanziario. In questo modo l'attuazione dei programmi non viene toccata finché i pagamenti continuano a essere effettuati sugli impegni precedenti, i quali restano attivi per un periodo di tre anni a partire dall'anno cui fa rife-rimento l'impegno di spesa.

Durante tale periodo, lo Stato membro può adottare misure per correggere il disavanzo eccessivo o l'ec-cessivo squilibrio macroeconomico, oppure per at-tuare e ottemperare al programma di adeguamento macroeconomico. Non appena la Commissione avrà ritenuto idonee le azioni correttive intraprese, pro-cederà alla revoca della sospensione degli impegni di spesa in questione e alla reiscrizione in bilancio degli stessi.

Il livello della sospensione aumenterà gradualmen-te in proporzione alla gravità della violazione, al fine di garantire una risposta adeguata che tenga conto dell'entità e della persistenza della non conformità, ma senza oltrepassare il limite necessario a garan-tire l'utilizzo efficace dei fondi SIE. A tutti gli Stati membri verrà inoltre garantita la parità di tratta-mento, in linea con quanto contemplato dal regola-mento recante le disposizioni comuni.

In particolare, il nuovo quadro politico prevede il me-todo del doppio massimale per calcolare il livello del-la sospensione degli impegni dei fondi SIE in base a a) una percentuale specifica dei finanziamenti e b) una percentuale specifica del PIL dello Stato membro

Bilancio dell'UE: differenza tra impegni e pagamenti

Il bilancio dell'UE prevede due concetti di spesa:

• impegni, ovvero impegni giuridici dell'UE a fornire finanziamenti per specifici programmi o iniziative, purché siano soddisfatte determinate condizioni;

• pagamenti, ovvero versamenti in contanti o tra-sferimenti bancari a favore dei beneficiari dei programmi.

Gli stanziamenti di impegno e quelli di pagamento sono spesso diversi tra loro, in quanto i programmi e i progetti pluriennali vengono di solito impegnati nell'esercizio in cui sono decisi ma pagati gradual-mente nel corso degli anni, con l'esecuzione del programma e del progetto. Gli stanziamenti di pa-gamento sono di importo generalmente inferiore ri-spetto agli stanziamenti di impegno, poiché non tutti i progetti vengono concretamente eseguiti o piena-mente realizzati.

Page 289: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

251

interessato. Tale sistema è ritenuto il più semplice ed equo in assoluto per garantire parità di trattamento, considerate le importanti differenze tra Stati membri in ordine all'entità dei fondi SIE in rapporto al PIL. È lo stesso approccio adottato nel caso dell'Ungheria, sottoposta a procedura di sospensione degli impegni del Fondo di coesione nel 2012.

Nel determinare un'eventuale sospensione, ver-ranno tenute in considerazione anche le specifiche condizioni sociali ed economiche dei singoli Stati membri. Tutte le procedure di governance econo-mica prevedono deroghe o clausole di salvaguardia attivabili al verificarsi di circostanze economiche eccezionali o di eventi che sfuggano al controllo dei responsabili politici. Pertanto, la condizionalità ma-croeconomica può scattare solo in caso di inapplica-bilità di dette clausole di salvaguardia.

Anche il quadro giuridico consente di determinare il livello e la portata di un'eventuale sospensione in base al contesto sociale ed economico degli Stati membri interessati, al fine di evitare l'imposizio-ne di un onere eccessivo a paesi che già versano in condizioni difficili. Sono considerati fattori atte-nuanti la presenza di alti tassi di disoccupazione, condizioni di povertà ed esclusione sociale, nonché il perdurare di una fase di recessione economica. Analogamente, saranno esclusi dalla possibilità di sospensione i programmi ritenuti di importanza critica per far fronte ai problemi economici e so-ciali, come ad esempio l'iniziativa per l'occupazione giovanile (IOG), le misure di lotta alla povertà o gli strumenti finanziari per le PMI.

Applicazione progressiva del principio di condizionalità macroeconomica in caso di non conformità rispetto alla procedura per i disavanzi eccessivi

(le tempistiche specificate sono puramente indicative)

T

T+6 mesi

T+8 mesi

T+ 12 mesi

T+ 16 mesi

determina

determina

determina

Il Consiglio stabilisce che lo Stato membro non ha preso gli opportuni provvedimenti ai sensi dell'articolo 126, paragrafo 8, del TFUE seguito da- articolo 126, paragrafo 7 per i paesi non appartenenti all'area dell'euro- articolo 126, paragrafo 9 per i paesi appartenenti all'area dell'euro

Raccomandazione del Consiglio allo Stato Membro di correggere il disavanzo eccessivo secondo l'articolo 126, paragrafo 7, del TFUE

Con una successiva valutazione, il Consiglio stabilisce che lo Stato membro non ha preso gli opportuni provvedimenti- articolo 126, paragrafo 8 per i paesi non appartenenti all'area dell'euro- articolo 126, paragrafo 11 per i paesi appartenenti all'area dell'euro

Il Consiglio notifica allo Stato membro il persistere della non conformità- articolo 126, paragrafo 8 per i paesi non appartenenti all'area dell'euro- articolo 126, paragrafo 11 per i paesi appartenenti all'area dell'euro

Sospensione degli impegni fino a un massimo del 50% annuo nell'esercizio successivo per i fondi SIE oppure dello 0,5% del PIL nominale

Sospensione degli impegni fino a un massimo del 100% annuo nell'esercizio successivo per i fondi SIE oppure dell'1% del PIL nominale

Sospensione fino a un massimo del 50% dei pagamenti dei programmi, applicata alle richieste di pagamento inviate successivamente alla data della decisione

nei casi di inadempienza grave entro 3 mesi o più comunemente entro 6 mesi

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

252

1.8 Preservare gli investimenti a favore della crescita

La disponibilità di investimenti adeguati rappresenta una precondizione per la competitività e la crescita. Gli investimenti pubblici tendono a far aumentare il tasso di rendimento del capitale privato, rilanciando la cresci-ta economica sul lungo periodo. In periodi di recessione, caratterizzati dalla stagnazione della domanda, dalla diminuzione della produzione rispetto al potenziale e dal calo degli investimenti privati, gli investimenti pub-blici possono stimolare la crescita sul breve e sul lungo periodo tramite gli effetti sulla domanda. Come sottoli-neato nel capitolo 4, negli ultimi anni si è registrato una contrazione degli investimenti pubblici e privati, in alcuni paesi arrivati a toccare i minimi storici. I rigidi vincoli di bilancio e i tagli alla spesa pubblica hanno pesantemen-te influito sulla spesa a favore della crescita.

Nelle analisi annuali della crescita realizzate dalla Commissione nel 2012 e 2013, si raccomanda di pro-seguire le attività di risanamento di bilancio a un ritmo adeguato, ma al contempo di preservare gli investimen-ti volti al raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 per la crescita e l'occupazione. Nel 2012, nella comunicazione Un piano per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita–Avvio del dibat-tito europeo (COM (2012) 777 def./2) la Commissione rimarcava come gli investimenti pubblici rientrano fra i fattori significativi da prendere in considerazione quan-do si valuta la posizione di bilancio di uno Stato mem-bro, in particolare per decidere sull'avvio della procedura per i disavanzi eccessivi. Proponeva inoltre che, in sede di valutazione dei programmi di stabilità e convergenza, i programmi di investimenti pubblici straordinari con un impatto certo sulla stabilità delle finanze pubbliche po-tessero essere considerati una deviazione temporanea dall’obiettivo di bilancio a medio termine o dal percorso di avvicinamento a tale obiettivo.

I progetti di investimento nazionali cofinanziati dai Fondi strutturali e di coesione dell'UE (come anche le reti tran-seuropee di trasporto e il Meccanismo per collegare l'Europa) erano considerati i candidati ideali al riguardo, rientrando nella categoria delle spese produttive. Pertanto essi sostengono il PIL potenziale a medio ter-mine e contribuiscono allo sviluppo delle infrastrutture favorevoli alla crescita, del capitale umano (tramite la formazione e l'istruzione) e alla produttività totale dei fattori (tramite l'innovazione e le riforme istituzionali).

Questa proposta è particolarmente importante in uno scenario in cui diversi Stati membri riferiscono la diffi-coltà di continuare a cofinanziare i programmi della po-litica di coesione dovendo rispettare gli obiettivi di bilan-cio previsti dal patto di stabilità e crescita (PSC).

Per questo motivo nel braccio preventivo del patto di stabilità e crescita (PSC) è stata inserita la "clausola su-gli investimenti", valevole per gli Stati membri non sog-getti alla procedura per i disavanzi eccessivi (PDE). Essa rappresenta un'applicazione dell'articolo 5, paragrafo 1, del regolamento 1466/97 per il rafforzamento del-la sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche econo-miche degli Stati membri, e si collega all'esistenza di un ampio divario negativo tra prodotto effettivo e potenzia-le. Consente agli Stati membri di discostarsi temporane-amente dall'obiettivo di bilancio a medio termine o dal percorso prospettato di avvicinamento a tale obiettivo, in considerazione della situazione economica sfavore-vole e in un contesto caratterizzato dall'aumento degli investimenti pubblici. La "clausola sugli investimenti" è applicata nel 2013 e 2014.

Oltre alla "clausola sugli investimenti", il PSC prevede una serie di disposizioni riguardanti le modalità di trat-tamento degli investimenti pubblici. Nel braccio preven-tivo del PSC, gli investimenti ricevono un trattamento speciale ai sensi del nuovo parametro di spesa. In par-ticolare, la media degli investimenti fissi lordi a livello nazionale viene calcolata su un periodo pluriennale, per evitare di penalizzare gli Stati membri in caso di marca-te fluttuazioni tra un anno e l'altro. Inoltre tutte le spese, comprese quelli per investimenti, a valere sui program-mi dell'UE accompagnate dal pieno cofinanziamento dell'UE vengono escluse dal computo degli incrementi della spesa pubblica in questione.

Per quanto riguarda il braccio correttivo del PSC, lo spe-cifico protocollo sulla PDE allegato al trattato prevede che la disciplina di bilancio sia valutata in rapporto a valori di riferimento per il disavanzo e il debito pubblico che non distinguono tra i vari tipi di spesa. In ogni modo, gli investimenti pubblici rientrano fra i fattori significa-tivi da tenere in considerazione nella valutazione della Commissione preliminarmente al lancio di una PDE. In particolare, la Commissione deve tenere conto anche dell'eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti e di tutti gli altri fat-tori significativi. Gli altri fattori significativi comprendo-

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

253

no "l’evoluzione della spesa primaria corrente e in conto capitale (...), l’attuazione di politiche nel contesto di una strategia di crescita comune dell’Unione e la qualità complessiva delle finanze pubbliche".

1.9 Collegare la verifica dell'addizionalità ai programmi per la stabilità e la convergenza

L'addizionalità è uno dei principi chiave della politica di coesione e intende assicurare che questa rechi un valo-re aggiunto. Ciò significa che i Fondi strutturali dell'UE integrano ma non rimpiazzano la spesa pubblica assi-milabile di uno Stato membro. L'addizionalità è rispet-tata se il livello medio annuale della spesa nazionale in termini reali nel periodo 2007–2013 è almeno pari al livello determinato all'inizio del periodo, integrando gli investimenti nazionali con quelli dell'UE.

Nel periodo di programmazione 2007–2013, la verifica del rispetto dell'addizionalità nelle regioni di conver-genza (comprese le regioni con statuto di phasing–out) di 20 Stati membri6 avviene in tre fasi:

• ex ante quando si definisce il livello di spesa pubbli-ca da mantenere ("linea di riferimento");

• in itinere quando è determinato il livello della spesa pubblica reale nel periodo 2007–2010 e si rivede la linea di riferimento;

• ex post quando si determina il livello della spesa reale nel periodo 2011–2013 e si verifica il rispetto della linea di riferimento.

La verifica intermedia ha individuato tre risultanze principali7:

• il livello aggregato della spesa strutturale naziona-le nelle regioni di convergenza nel 2007–2010 ha superato del 7% il livello stabilito ex ante. Ciò è am-piamente legato all'aumento della spesa pubblica in certi Stati membri, essenzialmente a causa degli sforzi di alcuni governi per moderare l'impatto della

6 Belgio, Bulgaria, Repubblica ceca, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Austria, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia e Regno Unito.

7 COM(2013) 104 def.

crisi o, in alcuni casi, a una forte espansione dell'e-conomia prima dell'avvento della crisi;

• diversi Stati membri hanno chiesto di ridurre la loro linea di riferimento nel periodo 2007–2013, nella maggior parte dei casi per il consolidamento dei conti pubblici, mentre per due di essi si trattava di una correzione dell'analisi ex ante. La Commissione ha ritenuto giustificate tutte queste richieste;

• sono emerse delle carenze nell'attuale metodo di verifica dell'addizionalità, e i risultati prodotti non sono pienamente comparabili tra i vari Stati mem-bri. Il processo di verifica ad hoc ha richiesto no-tevoli risorse sia negli Stati membri sia presso la Commissione, inoltre non è risultato conforme ai nuovi piani di risanamento dei conti adottati dagli Stati membri nell'ambito delle procedure di gover-nance economica dell'UE.

Per questi motivi la Commissione ha ritenuto di riforma-re il sistema di verifica per il periodo 2014–2020, isti-tuendo un più stretto collegamento con le procedure di governance economica europea e rendendolo più sem-plice. Si è scelto di utilizzare un unico indicatore sull'in-vestimento pubblico complessivo (investimenti fissi lordi nazionali) per misurare l'efficacia degli sforzi di investi-mento delle amministrazioni nazionali, per consentire lo svolgimento di una verifica trasparente che tenga conto delle manovre fiscali in atto in ogni Stato membro. La riforma rende il sistema di verifica più semplice, me-glio comparabile e meno oneroso. Mentre fino al periodo 2007–2013 il principio di addizionalità veniva verificato in tutti gli Stati membri con almeno un regione di con-vergenza, nel periodo 2014–2020 sarà verificato solo negli Stati caratterizzati da significative disparità regio-nali e con una percentuale molto alta di popolazione residente nelle regioni meno sviluppate. In questo modo il numero di paesi interessati diminuirà da 20 a 148.

1.10 Potenziare il ruolo degli strumenti finanziari

Gli strumenti finanziari rappresentano un modo poten-zialmente efficiente di impiegare le risorse della politica di coesione erogando un sostegno mirato rimborsabile

8 I 14 paesi sono Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Estonia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia e Slovacchia.

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

254

per gli investimenti tramite prestiti, garanzie, capitale azionario e altri meccanismi di assunzione del rischio. Oltre agli evidenti vantaggi legati al riutilizzo dei fon-di nel lungo termine, essi contribuiscono a diminuire la dipendenza delle aziende dalle sovvenzioni (non rimbor-sabili) e a mobilitare investimenti addizionali da fonti private, aumentando l'impatto dei finanziamenti dell'UE.

L'importanza degli strumenti finanziari è cresciuta notevolmente. A fine 2012, il sostegno della politica di coesione tramite questi strumenti ammontava a 12,6 miliardi di euro nei 25 Stati membri, contro un importo di 1,2 miliardi di euro nel periodo 2000–2006. Nell'ottobre 2013, il Consiglio europeo ha concluso che i negoziati dei programmi dovrebbero servire per au-mentare notevolmente gli stanziamenti dei fondi SIE a strumenti finanziari a effetto leva per le PMI nel periodo 2014–2020, come minimo raddoppiando il sostegno nei paesi dove l'accesso al credito resta difficile.

Per incoraggiare il ricorso agli strumenti finanziari, il nuovo quadro di riferimento amplia le possibilità di utilizzo di questo strumento nell'ambito dei finanzia-menti dell'UE. In concreto, ciò significa che le autorità di gestione hanno la facoltà di utilizzare gli strumenti finanziari in relazione a tutti gli 11 obiettivi tematici, anziché circoscriverli a sole tre aree come nel periodo 2007–2013 (sostegno alle imprese, sviluppo urbano ed efficienza energetica).

Saranno predisposti anche strumenti standardizzati e "pronti all'uso" per gli Stati membri con minore espe-rienza, i cui termini e condizioni saranno predefiniti per agevolarne l'applicazione immediata. Sono previsti al-cuni incentivi per l'utilizzo degli strumenti finanziari: per i contributi stanziati nell'ambito dei programmi opera-tivi a favore di strumenti finanziari a livello di UE ge-stiti direttamente dalla Commissione, fino al 100% del sostegno può provenire dal FESR, dall'FSE o dal Fondo di coesione; mentre per i finanziamenti assegnati agli strumenti finanziari nazionali o regionali nell'ambito della gestione partecipata, la quota di cofinanziamento dell'UE aumenta di 10 punti percentuali nel caso in cui l’asse prioritario sia pienamente realizzato attraverso gli strumenti finanziari.

La Commissione e la BEI stanno elaborando di comu-ne accordo un nuovo strumento di gestione del rischio che combina fondi SIE, i programmi Orizzonte 2020 e

COSME con prestiti della BEI per promuovere ulteriori forme di credito a favore delle PMI (Iniziativa PMI).

Gli strumenti finanziari possono facilitare l'accesso al credito per una vasta gamma di organizzazioni e priva-ti, quali imprese che investono nell’innovazione, famiglie che desiderano migliorare l’efficienza energetica delle loro abitazioni, singoli individui che intendono realizzare i propri progetti imprenditoriali. Possono inoltre contribuire a finanziare le infrastrutture pubbliche o altri progetti che soddisfano gli obiettivi strategici della politica di coesio-ne, producendo nel contempo un ritorno finanziario.

Tuttavia gli strumenti finanziari non sono appropriati in ogni circostanza. Per questo il loro utilizzo deve essere motivato sulla base di una valutazione ex ante che indi-vidui, tra le altre cose, le lacune del mercato o i conte-sti in cui gli investimenti non sono effettuati in maniera ottimale e che si intende correggere, verificando anche le relative esigenze di investimento e la conseguente massa critica che si prevede di produrre.

1.11 Rafforzare la cooperazione a livello europeo

La cooperazione territoriale europea (CTE) costituisce uno dei due obiettivi principali della politica di coesione per l'attuale periodo di programmazione; essa fornisce un quadro di riferimento per la realizzazione di azioni comuni e scambi politici fra attori di diversi Stati mem-bri a livello nazionale, regionale e locale (Carte 8.7 e 8.8). Le sfide affrontate dagli Stati membri e dalle re-gioni prescindono con sempre maggior frequenza dalle frontiere nazionali/regionali e richiedono una coope-razione a un livello territoriale appropriato per essere efficacemente risolte. La CTE può quindi apportare un importante contributo al consolidamento dell'obiettivo del trattato in materia di coesione territoriale:

• i problemi transfrontalieri (ad esempio quelli in ma-teria di inquinamento) possono essere affrontati ef-ficacemente con la cooperazione di tutte le regioni coinvolte al fine di evitare costi sproporzionati per taluni e fenomeni di parassitismo da parte di altri;

• la cooperazione può fornire un meccanismo per condividere le buone prassi e le competenze e le conoscenze;

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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• la cooperazione può realizzare economie di scala e contribuire al raggiungimento di una massa critica, ad esempio tramite la definizione di cluster per la realizzazione di specifiche attività;

• la governance può migliorare grazie al coordina-mento delle politiche di settore e degli investimenti che superano i confini nazionali;

• la cooperazione con i paesi confinanti dell'UE può contribuire alla sicurezza e alla stabilità e a instau-rare relazioni reciprocamente proficue;

• nelle macroregioni, ad esempio quelle dislocate lun-go il Mar Baltico, la cooperazione tra paesi è indi-spensabile per gestire gli ecosistemi e promuovere la crescita sostenibile e l'occupazione.

Il quadro giuridico concernente la nuova CTE prevede il principio della concentrazione degli investimenti su specifiche aree strategiche e una maggiore attenzione ai risultati, compresa la definizione di tappe specifiche per programma a fronte delle quali valutare i progressi in fase di attuazione. Esso contiene nuove disposizioni per facilitare l'attuazione del programma, in particolare:

• criteri di selezione molto rigorosi per garantire che i finanziamenti vadano a favore di iniziative real-mente congiunte;

• riduzione del numero di autorità coinvolte nell'at-tuazione del programma e chiarificazione delle ri-spettive responsabilità;

• semplificazione delle regole sull'ammissibilità dei progetti e conferma data preventivamente per iscritto da tutti gli Stati membri partecipanti (e dai paesi terzi, ove applicabile) su ciascun programma, onde evitare eventuali incertezze giuridiche in corso d'opera.

Su richiesta del Consiglio europeo, per il periodo 2007–2013 sono state adottate due strategie macroregio-nali, rispettivamente per le regioni del Mar Baltico e del Danubio. Altre due strategie, per le regioni dell'A-driatico–Ionio e Alpine, sono in corso di preparazione. Ciascuna di queste interessa vari Stati membri e regioni allo scopo di incrementare la coerenza politica e l'im-patto complessivo del finanziamento pubblico.

2. Valutazione preliminare dei negoziati sui programmi 2014–2020

Per il nuovo periodo la Commissione ha adottato un approccio proattivo volto a garantire l'avvio tempestivo dei programmi. Già nell'autunno 2012, la Commissione aveva inviato a tutti gli Stati membri il documento ("position paper") con cui delineava per ognuno il pro-prio parere in materia di necessità di sviluppo e prio-rità di finanziamento. Successivamente, nel 2013 si è svolto un dialogo informale con la maggioranza degli Stati membri per individuare fin da subito le priorità di finanziamento e accelerare così l'adozione dei docu-menti di programmazione entro il minor tempo possi-bile nel 2014.

Alla data di adozione della presente relazione, la Commissione ha ricevuto tutti i 28 accordi di partena-riato (AP), ma solo poco più di 150 dei circa 400 pro-grammi operativi attesi (PO). I negoziati con gli Stati membri e le regioni sono ancora in corso. Quanto segue, pertanto, fornisce solo un'indicazione provvisoria del li-vello di recepimento dei principali elementi della riforma nelle nuove strategie e nei nuovi programmi.

2.1 Priorità di finanziamento nel periodo 2014–2020

Lo stanziamento complessivo per i programmi nazio-nali e regionali nell'ambito dell'obiettivo "Investimenti a favore della crescita e dell'occupazione" è di circa 336 miliardi di euro9. Le risorse sono così ripartite: 187,5 mi-liardi di euro per il FESR, 63 miliardi di euro per il Fondo di coesione, 85 miliardi di euro per l'FSE, una quota su-periore alla soglia minima stabilita per legge per l'FSE, pari a 80 miliardi di euro10.

9 Le risorse finanziarie per questo obiettivo coprono il FESR (tranne il sostegno per la cooperazione territoriale europea), l'FSE e il Fondo di coesione. Le risorse stanziate per l'assistenza tecnica non sono considerate ai fini della presente analisi.

10 Le cifre riportate in questa sezione sono provvisorie (ultimo ag-giornamento: 1° giugno 2014) e potrebbero subire cambiamen-ti nel quadro dei negoziati sui programmi ancora in corso tra la Commissione e gli Stati membri.

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

259

a) Ripartizione per obiettivo tematico (OT)

Sui tre fondi lo stanziamento più consistente riguarda il sostegno ai sistemi di trasporto e infrastrutture energeti-che (OT7) (59,1 miliardi di euro, pari al 18,2% del totale), seguito dal rafforzamento del settore R&S e innovazione (OT1) (40 miliardi di euro, pari al 12,3% del totale) e dal sostegno a un'economia a basso contenuto di carbonio (OT4) (37,8 miliardi di euro, pari all'11,6% del totale).

Gli importi degli stanziamenti finanziari per le misure di sostegno all'occupazione (OT8), PMI (OT3), istruzione e formazione (OT10), tutela dell'ambiente (OT6) e inclu-sione sociale (OT9) sono sostanzialmente sulla stessa linea, con circa 32–33 miliardi di euro (pari a circa il 10% del totale), mentre gli stanziamenti a sostegno

dell'agenda digitale (TIC; OT2), dell'adattamento al cambiamento climatico (OT5) e della buona governance (OT11)11 sono notevolmente inferiori (Figure 8.1 e 8.2).

b) Ripartizione per obiettivo tematico e per singolo fondo

Lo stanziamento che i singoli fondi assegnano ai vari obiettivi tematici è in linea con le disposizioni del nuovo quadro normativo, in particolare per quanto concerne le priorità su cui essi sono concentrati (Figure 8.3 e 8.4).

11 Gli investimenti per il miglioramento della capacità istituzionale degli enti pubblici e dei vari attori coinvolti e dell'efficienza della pubblica amministrazione rientrano nell'ambito dell'obiettivo della buona governance.

Figura 8.1 Ripartizione per obiettivi tematici (euro), 2014–2020

40,0

13,7

32,7

37,8

7,0

32,5

59,1

33,6

31,9

32,5

4,3

0 10 20 30 40 50 60 70Miliardi di euro, prezzi correnti

Fonte: Accordi di partenariato provvisori e definitivi al 1° giugno 2014

01 Innovazione e R&S

02 TIC

03 Sostegno alle imprese

04 Economia a basso contenuto di carbonio

05 Adattamento al cambiamento climatico

06 Ambiente

07 Infrastrutture di rete

08 Occupazione

09 Inclusione sociale

10. Istruzione

11 Buona governance

Figura 8.2 Ripartizione per obiettivi tematici (%), 2014–2020

12,3

4,2

10,1

11,6

2,2

10,0

18,2

10,3

9,8

10,0

1,3

0 10 3020

% sul totale (escl. assist. tecn.)

Fonte: Accordi di partenariato provvisori e definitivi al 1° giugno 2014

01 Innovazione e R&S

02 TIC

03 Sostegno alle imprese

04 Economia a basso contenuto di carbonio

05 Adattamento al cambiamento climatico

06. Ambiente

07 Infrastrutture di rete

08 Occupazione

09 Inclusione sociale

10 Istruzione

11 Buona governance

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

260

Il FESR verrà utilizzato su tutti gli 11 obiettivi tematici, ma le risorse saranno concentrate sul supporto al set-tore R&S e innovazione (40 miliardi di euro, pari al 22% del totale del FESR), PMI (32,7 miliardi di euro, pari al 18% del totale), economia a basso contenuto di carbo-nio (30 miliardi di euro, pari al 16,5% del totale), e siste-mi di trasporto e infrastrutture energetiche (25,6 miliar-di di euro, pari al 14% del totale).

Il sostegno del Fondo di coesione si concentra solo su quattro obiettivi (ovvero 4–7), con una dotazione di poco più di 33 miliardi di euro per i sistemi di trasporto e infrastrutture energetiche (54% del totale), 17 miliardi di euro (27,5% del totale) per la tutela dell'ambiente e

7,7 miliardi di euro (12,5% del totale) per il sostegno a un'economia a basso contenuto di carbonio.

Analogamente al Fondo di coesione, il sostegno finan-ziario dell'FSE si incentra su quattro obiettivi, con una dotazione che sfiora i 31 miliardi di euro (38% del to-tale disponibile) per l'occupazione, 26,3 miliardi di euro (32,5% del totale) per istruzione e formazione e 20,9 miliardi di euro (26%) a favore delle misure per l'inclu-sione sociale.

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45

FESR FC

Figura 8.3 Ripartizione per obiettivi tematici e per Fondo (euro), 2014–2020

FSE

40,0

13,7

32,7

30,17,7

3,63,5

15,517,0

25,633,5

30,72,9

20,911,0

26,36,2

3,21,1

Miliardi di euro, prezzi correnti

Fonte: Accordi di partenariato provvisori e definitivi al 1° giugno 2014

01 Innovazione e R&S

02 TIC

03 Sostegno alle imprese

04 Economia a basso contenuto di carbonio

05 Adattamento al cambiamento climatico

06 Ambiente

07 Infrastrutture di rete

08 Occupazione

09 Inclusione sociale

10 Istruzione

11 Buona governance

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60

FESR FC

Figura 8.4 Ripartizione per obiettivi tematici e per Fondo (%), 2014–2020

FSE

21,9

7,5

18,0

16,512,5

2,05,6

8,527,5

14,0

1,6

54,4

37,9

25,76,0

3,432,5

3,90,6

% sul totale (escl. assist. tecn.)

Fonte: Accordi di partenariato provvisori e definitivi al 1° giugno

01 Innovazione e R&S

02 TIC

03 Sostegno alle imprese

04 Economia a basso contenuto di carbonio

05 Adattamento al cambiamento climatico

06 Ambiente

07 Infrastrutture di rete

08 Occupazione

09 Inclusione sociale

10 Istruzione

11 Buona governance

Page 299: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

261

c) Ripartizione per obiettivo tematico e per gruppo di paesi

La ripartizione dei finanziamenti fra i vari obiettivi va-ria notevolmente tra Stati membri più sviluppati e meno sviluppati12, in base ai rispettivi livelli di sviluppo e alle esigenze in fatto di investimenti; per gli stessi motivi, po-tranno sussistere analoghe differenze anche tra i i paesi appartenenti alla stessa categoria (Figure 8.5 e 8.6).

12 Ai fini della presente analisi, i paesi ammissibili al Fondo di coesione per il periodo 2014–2020 sono gli Stati membri meno sviluppati. Si tratta di Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia e Slovenia. Gli Stati membri più sviluppati sono i paesi non ammissibili al sostegno nell'ambito del Fondo di coesione.

Negli Stati membri più sviluppati, l'incidenza degli inve-stimenti in materia di R&S, innovazione, TIC, PMI ed eco-nomia a basso contenuto di carbonio (44,5% del totale) è notevolmente superiore a quella riguardante gli Stati membri meno sviluppati (35%).

Lo stesso vale per gli investimenti in materia di occupa-zione, inclusione sociale, istruzione, formazione e poten-ziamento della capacità amministrativa (41% del totale nei paesi più sviluppati, poco meno del 27% in quelli meno sviluppati).

Gli Stati membri meno sviluppati, d'altro canto, hanno destinato una quota più consistente per gli investimen-ti in materia di tutela dell'ambiente e adattamento al

0 10 20 30 40 50

Figura 8.6 Ripartizione per obiettivi tematici e per raggruppamento di paesi (%), 2014–2020

Paesi più sviluppati Paesi meno sviluppati

44,5

35,2

8,5

13,9

5,7

24,2

41,3

26,7

% sul totale (escl. assist. tecn.)

Fonte: Accordi di partenariato provvisori e definitivi al 1° giugno 2014

Priorità della concentrazione

del FESR (OT 1-4)

Adattamento al cambiamento

climatico e ambiente

(OT 5-6)

Priorità FSE (OT 8-11)

Infrastrutture di rete (OT 7)

0 20 40 60 80

Figura 8.5 Ripartizione per obiettivi tematici e per raggruppamento di paesi (euro), 2014–2020

Paesi più sviluppati Paesi meno sviluppati

47,2

77,1

9,0

30,5

6,0

53,1

43,7

58,6

Miliardi di euro, prezzi correnti

Fonte: Accordi di partenariato provvisori e definitivi al 1° giugno 2014

Priorità della concentrazione

del FESR (OT 1-4)

Adattamento al cambiamento

climatico e ambiente (OT 5-6)

Infrastrutture di rete (OT 7)

Priorità FSE (OT 8-11)

Page 300: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

262

cambiamento climatico rispetto a quelli più sviluppati (14% contro 8,5%).

La differenza è ancora più pronunciata per quanto ri-guarda i sistemi di trasporto e infrastrutture energeti-che, con un'incidenza quasi 5 volte superiore negli Stati membri meno sviluppati rispetto a quelli più sviluppati (24% contro poco meno del 6%).

La situazione è naturalmente diversa se si considerano gli importi in termini assoluti stanziati a favore dei vari obiettivi, vista l'entità molto più consistente dei finan-ziamenti diretti ai paesi meno sviluppati. Se da un lato l'incidenza degli investimenti in materia di innovazione, TIC, PMI ed economia a basso contenuto di carbonio, nonché di occupazione, inclusione sociale, istruzione e capacità amministrativa è minore negli Stati membri meno sviluppati che non in quelli più sviluppati, gli im-porti dei finanziamenti destinati a questi obiettivi sono molto più consistenti. Tali importi sono più alti anche in rapporto alla popolazione di questi paesi, pari a circa un terzo di quelli più sviluppati.

d) Priorità di finanziamento 2014–2020 e 2007–2013

Il nuovo periodo di programmazione introduce uno spostamento nelle priorità di finanziamento rispetto al periodo 2007–2013, in virtù dello stretto legame tra politica di coesione e strategia Europa 202013.

La dotazione per la spesa in materia di R&S e inno-vazione, TIC, PMI ed economia a basso contenuto di carbonio è di circa 124 miliardi di euro, vale a dire un incremento di quasi il 22% rispetto al periodo 2007–2013 (Figura 8.7). 98 miliardi di euro saranno investiti per misure in materia di occupazione, inclusione sociale, istruzione e formazione, ovvero un importo leggermen-te più alto rispetto al periodo precedente, mentre quasi 4,3 miliardi sono stanziati a favore della buona gover-nance (potenziamento di capacità istituzionali ed effi-cienza della pubblica amministrazione), con un incre-mento del 72% rispetto a prima.

Dall'altro lato, 59 miliardi di euro sono stanziati a favore dei sistemi di trasporto e infrastrutture energetiche, registran-

13 La classificazione della spesa per Stato membro, obiettivo e pro-gramma operativo nel periodo 2007–2013 è stata confrontata con gli 11 obiettivi tematici previsti per il periodo 2014–2020.

do un calo del 21% rispetto al 2007–2013, mentre gli in-vestimenti nella tutela ambientale sono diminuiti del 27%.

In breve, gli Stati membri e le regioni investiranno mag-giori risorse nelle aree identificate come priorità a valere sul FESR (R&S e innovazione, TIC, PMI ed economia a basso contenuto di carbonio) e sull'FSE (occupazione, in-clusione sociale, istruzione e formazione, buona gover-nance). Al contrario, minori risorse saranno assegnate alle infrastrutture di trasporto e ambientali.

Tali variazioni sono comuni sia agli Stati membri più sviluppati sia a quelli meno sviluppati, tuttavia il riorien-tamento verso le priorità del FESR e dell'FSE è più pro-nunciato in questi ultimi, come pure la diminuzione dei

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45

2014-2020 2007-2013

Figura 8.7 Ripartizione per obiettivo tematico, UE-28, 2014–2020 e 2007–2013

38,2

31,2

12,1

15,8

18,2

22,8

31,5

30,2

% sul totale (escl. assist. tecn.)

Fonte: SFC e accordi di partenariato provvisori e definitivi al 1° giugno 2014

Priorità della concentrazione del

FESR (OT 1-4)

Adattamento al cambiamento

climatico e ambiente (OT 5-6)

Infrastrutture di rete (OT 7)

Priorità FSE (OT 8-11)

Page 301: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

263

finanziamenti a favore delle infrastrutture di trasporto ed energetiche (Figure 8.8 e 8.9).

2.2 Allineare gli investimenti alle raccomandazioni specifiche per paese

Numerose raccomandazioni specifiche per paese (RSP) fanno riferimento alle sfide di medio e lungo periodo che richiedono di essere affrontate combinando tra loro riforme strutturali e investimenti. Alcune si collegano di-rettamente agli obiettivi tematici dei fondi SIE quali la riforma del mercato del lavoro, dei sistemi di istruzione e della pubblica amministrazione, la promozione della scienza e dell'innovazione, l'offerta di servizi sociali e

sanitari di alto livello, l'adeguamento dei sistemi di tra-sporto e delle infrastrutture energetiche.

Gli accordi di partenariato (AP) e i progetti di program-mi operativi (PO) in genere rispecchiano le relative RSP tramite l'individuazione dei fabbisogni di sviluppo e in-vestimento. Ma sono pochi i casi in cui i risultati attesi dagli investimenti finanziati dai fondi sono esplicita-mente collegati alle specifiche RSP, per questo occor-re approfondire le modalità con cui le RSP in questione verranno rese effettive all'interno dei programmi. Talune raccomandazioni richiedono evidentemente l'intervento di più fondi a sostegno degli interventi necessari e gli Stati membri dovranno assicurare l'utilizzo dei fondi ap-propriati a tal fine.

0 10 20 30 40 50

2014-2020 2007-2013

Figura 8.8 Ripartizione per obiettivo tematico negli Stati membri più sviluppati, 2014–2020 e 2007–2013

44,5

36,0

8,5

12,1

5,7

14,0

41,3

38,0

% sul totale (escl. assist. tecn.)Fonte: SFC e accordi di partenariato provvisori e definitivi al 1° giugno 2014

Priorità della concentrazione

del FESR (OT 1-4)

Adattamento al cambiamento

climatico e ambiente (OT 5-6)

Infrastrutture di rete (OT 7)

Priorità FSE (OT 8-11)

0 5 10 15 20 25 30 35 40

2014-2020 2007-2013

Figura 8.9 Ripartizione per obiettivo tematico negli Stati membri meno sviluppati, 2014–2020 e 2007–2013

35,2

28,6

14,0

17,8

24,4

27,8

26,5

25,8

% sul totale (escl. assist. tecn.)Fonte: SFC e accordi di partenariato provvisori e definitivi al 1° giugno 2014

Priorità della concentrazione

del FESR (OT 1-4)

Adattamento al cambiamento

climatico e ambiente (OT 5-6)

Infrastrutture di rete (OT 7)

Priorità FSE (OT 8-11)

Page 302: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

264

La maggior parte degli Stati membri e regioni hanno elaborato strategie innovative per la specializzazione intelligente, volte ad accelerare lo sviluppo economico e a ridurre il vuoto di conoscenze. È importante che queste strategie siano incentrate su investimenti capaci di pro-durre massa critica e valorizzare al meglio il potenziale della regione interessata. Maggiore rilievo dovrà esse-re attribuito a modalità di sostegno "più leggere", alla promozione della ricerca orientata alla mercato e alla collaborazione con il settore privato, anziché erogare fi-nanziamenti prevalentemente alle infrastrutture e alle attrezzature di ricerca.

Alcuni Stati membri hanno proposto programmi che istituiscono chiari collegamenti tra economia digitale e innovazione. Ciò è importante in quanto gli investimenti nei collegamenti a banda larga ad alta velocità e nel-le TIC sono indispensabili per superare specifici colli di bottiglia e promuovere soluzioni orientate al mercato. Ad esempio, gli investimenti nella banda larga dovranno essere diretti alle reti di prossima generazione, per far sì che le regioni meno sviluppate non perdano ulteriore terreno. Anche il coordinamento tra la politica di coesio-ne, Orizzonte 2020 e gli ulteriori programmi dell'UE è di fondamentale importanza per le strategie di specializ-zazione intelligente a livello nazionale e regionale.

Secondo numerosi Stati membri, il rafforzamento della competitività delle PMI è essenziale alla strategia mes-sa in campo per la crescita, per la quale si ritiene che gli strumenti finanziari debbano svolgere un ruolo crucia-le. Tuttavia, a oggi l'interesse nella nuova Iniziativa PMI risulta molto limitato. Inoltre il rischio di ricorrere alle solite modalità di sostegno, a prescindere dal settore di riferimento e dalle attività svolte, è reale. Le modalità di sostegno dovrebbero essere calibrate alle esigenze e al potenziale di crescita delle aziende, per garantire un elevato effetto leva e un rapido assorbimento dei fondi.

Nell'ambito degli AP di alcuni Stati membri, le priorità in materia di energia, cambiamento climatico e ambiente sono ben integrate nelle rispettive strategie di sviluppo economico. Diversi puntano sull'efficienza energetica o sullo sviluppo delle rinnovabili come modalità per creare nuove imprese, nuovi posti di lavoro e maggiori oppor-tunità di esportazione, contribuendo anche alla diminu-zione delle emissioni di gas a effetto serra. Tuttavia in taluni casi va chiarita meglio la connessione tra inve-

stimenti e risultati attesi in rapporto agli obiettivi sul cambiamento climatico.

Per rispondere alle sfide poste da un'elevata disoccu-pazione e dalla diffusione della povertà, alcuni AP do-vrebbero dedicare maggiore attenzione agli obiettivi di crescita inclusiva. La Commissione è anche del parere che i finanziamenti stanziati per l'istruzione non siano ancora sufficienti per la realizzazione delle priorità iden-tificate. In alcuni AP, le misure per l'inclusione sociale costituiscono una priorità secondaria. Nell'ottica di mi-gliorare i risultati per la società e realizzare investimenti più adeguati ai mutamenti sociali, la riforma della poli-tica sociale andrebbe tenuta in considerazione in sede di programmazione.

Inoltre, per quanto riguarda l'Iniziativa sull'occupazio-ne giovanile (IOG), le informazioni in merito contenute in alcuni AP e PO sono relativamente generiche e non precisano le modalità di realizzazione di questa nuova iniziativa, né se e in che modo essa potrà coadiuvare i sistemi di garanzia per i giovani. In alcuni programmi, le azioni sostenute dal finanziamento IOG dovranno essere più mirate alla creazione di lavoro.

Nonostante la presenza di una RSP specifica sull'integra-zione della minoranza Rom, alcuni Stati membri non pre-vedono una specifica priorità per le comunità emarginate, rendendo difficile la valutazione dell'entità dei finanzia-menti assegnati a questa area strategica. Alcuni Stati membri non rispondono in maniera adeguata alle neces-sità di questo gruppo di beneficiari, mentre altri devono sviluppare meglio la strategia e la logica di intervento.

È molto importante precisare anche la modalità di coor-dinamento del sostegno del FESR e dell'FSE, data la ne-cessità di adottare un approccio integrato nell'impiego dei due fondi. Un tale approccio si applica, ad esempio, nel settore dell'istruzione, nel quale gli investimenti nel-le infrastrutture dovranno essere combinati ad attività di formazione e istruzione per garantire un utilizzo effi-ciente delle infrastrutture.

Nel periodo 2014–2020 sono previsti circa 88 program-mi multifondo in 16 paesi, realizzati combinando risorse provenienti dal FESR, dal Fondo di coesione e dall'FSE. Così facendo si dovrebbe poter favorire l'adozione di un approccio più integrato, assicurando una maggiore coe-renza tra politiche, finanziamenti e priorità.

Page 303: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

265

La riforma della pubblica amministrazione volta al mi-glioramento della governance non costituisce un'area strategica a sé stante. Piuttosto, la qualità della pubbli-ca amministrazione è spesso un fattore indispensabile per consentire a una regione o uno Stato membro di svilupparsi.

La modernizzazione della pubblica amministrazione e la qualità del sistema giudiziario sono riconosciuti come fattori chiave per la competitività e la crescita inclusi-va. Numerosi Stati membri intendono presentare misu-re volte a rafforzare le istituzioni pubbliche del proprio paese e a migliorare la capacità di realizzare politiche efficaci, fornire servizi amministrativi di maggiore qua-lità, velocizzare i procedimenti giudiziari, aumentare la trasparenza e l'integrità degli enti pubblici, nonché incrementare la partecipazione dei cittadini nelle varie fasi dell'azione politica. Eppure vari Stati membri in cui la riforma della pubblica amministrazione è stata rite-nuta necessaria per favorire l'occupazione, la crescita e l'aumento della competitività, dispongono di una strate-gia poco chiara, con obiettivi incompleti e poco precisi. Inoltre alcuni hanno omesso di assumere un esplicito impegno politico in tal senso.

2.3 Aumentare l'impatto degli investimenti e incrementare i risultati

La maggioranza degli Stati membri si è impegnata a fondo per adottare misure che consentissero di soddi-sfare le condizionalità ex ante. È fondamentale che i criteri di riferimento siano soddisfatti fin dall'avvio del periodo di programmazione, per eliminare eventua-li ostacoli e garantire che l'investimento sia realizzato nella maniera più efficace possibile. Si tratta di un pro-cesso affatto semplice, che in molti casi richiederà alla Commissione di concordare piani d'azione per garantire il pieno rispetto dei requisiti entro scadenze predefinite.

Le condizioni che gli Stati membri hanno trovato parti-colarmente difficili da soddisfare riguardano i settori che esigono una coerenza a livello strategico, ad esempio nell'ambito della specializzazione intelligente. Emergono difficoltà anche nelle aree che richiedono l'attuazione di direttive dell'UE (ad esempio in merito all'efficienza ener-getica o alla valutazione d'impatto ambientale), oppure la piena applicazione di regolamenti dell'UE (ad esempio per quanto riguarda gli appalti pubblici).

In alcuni paesi occorre intensificare ancora di più gli sforzi per superare le strozzature riguardanti la capacità amministrativa. Per consentire una gestione efficiente dei finanziamenti dell'UE, è necessario creare un quadro istituzionale e regolamentativo chiaro e stabile, coinvol-gere e trattenere personale qualificato e motivato, non-ché avvalersi di dispositivi e strumenti appropriati per un impiego efficace dei fondi.

La chiara definizione degli obiettivi costituisce l'essen-za dell'orientamento ai risultati della politica di coesio-ne, fornendo la base di riferimento rispetto alla quale misurarne il successo. Ciò rappresenta un'autentica svolta. Gli Stati membri e le regioni, tuttavia, hanno avuto difficoltà nel formulare con chiarezza e precisio-ne gli obiettivi che la politica intende perseguire. Varie bozze di programmi hanno perseverato nella prassi di indicare finalità generiche e vaghe, o di riportare un lungo elenco di possibili attività nell'ottica di poter se-lezionare i progetti con la massima flessibilità in un secondo momento.

Fino a quando non si avranno obiettivi formulati in ma-niera chiara e intelligibile, sarà difficile stabilire o meno la correttezza della logica di intervento del programma, e se vi siano ragionevoli possibilità di raggiungere i ri-sultati previsti tramite il finanziamento stanziato, con-tribuendo al raggiungimento delle finalità della politica.

Un ulteriore elemento di novità è costituito dal quadro di riferimento dei risultati, che può essere predisposto solo dopo aver definito la logica di programma, la strut-tura finanziaria e i risultati attesi per ciascuna priorità, vale a dire in una fase avanzata della redazione di ogni programma. A oggi solo progetti sono stati inviati alla Commissione. La sfida principale nell'elaborazione dei quadri di riferimento dei risultati consiste nel definire, per gli indicatori utilizzati, traguardi quantificabili abba-stanza ambiziosi ma realistici–ovvero raggiungibili se il programma verrà attuato secondo quanto previsto.

In genere gli accordi di partenariato sono stati elaborati previa consultazione con i partner; tuttavia, si ha motivo di ritenere che in alcuni casi il dialogo non sia stato suffi-ciente. Attori importanti non sono stati coinvolti nel pro-cesso, oppure le loro osservazioni non trovano riflesso nelle versioni dei documenti inviate alla Commissione. Essa verificherà con grande attenzione l'applicazione del Codice di condotta sul partenariato presso gli Stati

Page 304: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

266

membri, per garantire l'effettiva partecipazione di tutti gli attori interessati.

Non da ultimo, per il nuovo periodo occorre adottare un forte meccanismo di governance e coordinamento a li-vello nazionale e regionale, sia per assicurare la coerenza tra i programmi e il sostegno alla strategia Europa 2020 e alle varie RSP, sia per evitare sovrapposizioni e lacune nella spesa. Questo punto risulta ancora più importan-te alla luce del complessivo innalzamento del numero di programmi regionali (con un aumento di quasi il 60% per i programmi dell'FSE rispetto al periodo 2007–2013).

3. Impatto stimato della politica di coesione 2014–2020

Come già sottolineato nel precedente capitolo, stimare l'impatto della politica di coesione non è compito faci-le, non ultimo perché essa incide su un'ampia gamma di variabili macroeconomiche quali PIL, occupazione, produttività, deficit di bilancio e bilancia commerciale, a loro volta interessate da numerosi altri fattori. Gli in-terventi incidono sulla domanda, dato che i programmi in genere si traducono con un aumento della spesa pub-blica e in molti casi anche della spesa privata. L'impatto degli interventi si manifesta anche sul lato dell'offerta, considerando i contributi che essi forniscono agli inve-stimenti in materia di infrastrutture, impianti e attrez-zature nonché di capitale umano; in effetti, la principale finalità è quella di aumentare il potenziale di sviluppo stimolando tali investimenti.

Gli interventi, poi, producono effetti diretti e indiretti. Ad esempio, i progetti sui sistemi di trasporto nel breve periodo stimolano direttamente la domanda, al contem-po migliorando le vie di comunicazione che, nel lungo periodo, dovrebbero indirettamente produrre effetti po-sitivi sullo sviluppo delle imprese e quindi sul PIL. Allo stesso tempo, gli interventi potrebbero far aumentare la domanda di lavoro e di materiali, traducibile con un innalzamento dei salari e dei prezzi, a sua volta provo-cando un calo della competitività in termini di costi e incidendo negativamente sul PIL.

Analogamente, come già sottolineato, il fatto che l'an-damento economico dipenda da numerosi altri fattori indica che l'impatto della politica di coesione non è de-finibile semplicemente con l'esame dei dati riguardanti il PIL e le altre variabili economiche. Per questo scopo,

occorre mettere a confronto il modo con cui l'economia si sarebbe potuta sviluppare in assenza della politica di coesione con il modo con cui essa si è effettivamente sviluppata. A tal fine, si utilizzano modelli macroeco-nomici che consentono di cogliere la modalità di fun-zionamento delle economie (in particolare vengono uti-lizzati per creare il cosiddetto "scenario di riferimento" — ovvero il quadro di ciò che sarebbe potuto avvenire in assenza della politica — da mettere a confronto con l'attuale situazione economica).

I modelli macroeconomici consentono di valutare sia l'impatto a breve termine della politica sia gli effetti a lungo termine che tengono conto dei miglioramenti economici dal punto di vista della domanda e che conti-nueranno anche dopo la fine del periodo di programma-zione. Essi consentono anche di tenere conto dell'intera-zione tra effetti diretti ed effetti indiretti.

L'analisi che segue si avvale di due modelli per simulare l'impatto atteso dei programmi 2014–2020. Il primo è il modello QUEST III, sviluppato e utilizzato dalla direzione generale degli Affari economici e finanziari (DG ECFIN)14. Poiché produce risultati riferiti al livello nazionale, viene integrato da un secondo modello, RHOMOLO15, specifi-camente volto a stimare l'impatto della politica al livello delle regioni NUTS 216. Questo modello incorpora vari elementi tratti dalle geografie funzionali. In particolare, tiene conto di una serie di effetti di ricaduta per valutare se gli interventi abbiano inciso solo sulla regione in cui sono stati realizzati oppure anche sulle altre regioni. Tali effetti di ricaduta emergono sia dai collegamenti com-merciali tra regioni, sia dalla diffusione delle tecnologie.

Per assicurare la coerenza tra gli esiti dei due modelli, RHOMOLO è stato allineato a QUEST, affinché le stime regionali dell'uno siano coerenti con le stime nazionali di QUEST.

14 Questo modello incorpora le più recenti tecniche in materia di modellamento dinamico stocastico di equilibrio generale (DGSE), fondato su principi microeconomici riguardanti gli ipotetici com-portamenti dei singoli individui, delle imprese e di altre forme or-ganizzative.

15 Si tratta di uno strumento sviluppato di recente dalla collabora-zione tra I'Istituto di prospettiva tecnologica del Centro comune di ricerca e la DG Politica regionale.

16 Brandsma, A. et al. (2013).

Page 305: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

267

Sviluppare le simulazioni

Ai fini delle simulazioni, gli interventi della politica di coesione sono stati raggruppati in cinque macroca-tegorie.

• Investimenti nelle infrastrutture, che comprendono gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto, te-lecomunicazioni, energia e ambiente e nel modello vengono considerati come investimenti pubblici. Si ritiene che aumentino la produttività sul medio pe-riodo grazie agli effetti di stimolo sulla produzione, i quali dovrebbero lentamente decrescere con la pro-gressiva obsolescenza delle infrastrutture.

• La spesa per le risorse umane, che comprende la spesa per le attività di istruzione e formazione e per le altre misure riguardanti il mercato del lavoro. Si ritiene che essa contribuisca al miglioramento delle competenze della forza lavoro; gli effetti richiedono tempo per manifestarsi e i guadagni diventano visi-bili solo sul lungo periodo, tuttavia essi sono ritenu-ti significativi e persistenti. Gli effetti diminuiscono a lungo termine con il pensionamento della popo-lazione.

• Il sostegno al settore R&S, che comprende la cre-azione di reti e partenariati tra imprese e centri di ricerca. Si ritiene che essa determini una diminu-zione dei costi fissi di produzione. Si ritiene anche che possa provocare uno spostamento dei lavora-tori altamente qualificati dalla produzione al settore R&S, inizialmente diminuendo la produzione di beni e quindi il PIL, ma col passare del tempo gli incre-menti nella produttività dovrebbero nuovamente prevalere, incrementando la produzione e stimolan-do gli investimenti. Anche se questi effetti diventano visibili solo col tempo, i guadagni in termini di pro-duzione sul lungo periodo sono ritenuti significativi e dovrebbero continuare ad aumentare.

• Aiuti al settore privato, comprendono il sostegno alle PMI, al turismo e alle attività culturali. Ai fini del modello sono considerati come diminuzioni nei costi fissi di produzione; stimolano la crescita a breve ter-mine, ovvero nel momento in cui ha luogo la spesa, mentre a lungo termine si ritiene abbiano effetti du-raturi sulla produttività.

• Assistenza tecnica, ai fini del modello considerata come spesa pubblica. Si ritiene non produca alcun effetto sulla produzione a medio e lungo termine (a prescindere da eventuali miglioramenti a livello di governance della politica che dovessero derivare).

I modelli incorporano sia gli effetti a breve termine sulla domanda sia gli effetti a lungo termine sul lato dell'of-ferta. Gli effetti a breve termine emergono nel periodo in cui viene effettuata la spesa, con un impatto per lo più legato all'incremento nella domanda, in parte pre-giudicato dagli incrementi a livello di tassi di interesse, salari e prezzi. Nel medio e lungo periodo, si materializ-zano gli effetti positivi per la produttività, aumentando così la produzione potenziale e favorendo la crescita del PIL libero dalla pressione inflazionistica. Gli effetti degli interventi, quindi, crescono gradualmente col tempo.

Secondo il modello RHOMOLO, si ritiene che gli investi-menti nei trasporti, oltre ad aumentare la produttività, determinino una diminuzione dei costi di trasporto tra una regione e l'altra, facilitando gli scambi di merci e servizi e stimolando così l'attività economica.

Entrambi i modelli, inoltre, considerano che la spesa della politica di coesione venga finanziata tramite i con-tributi che gli Stati membri versano al bilancio dell'UE in proporzione al proprio PIL, e che tali contributi siano a loro volta finanziati tramite l'aumento delle imposte. L'impatto positivo degli interventi sulla produzione e sull'occupazione, dunque, è in parte controbilanciato dall'impatto negativo di tale aumento.

I due modelli sono stati utilizzati per simulare l'impatto atteso dei programmi della politica di coesione per il periodo 2014–2020. Considerato che la maggior parte dei nuovi programmi non è ancora stata adottata, i fon-di sono stati distribuiti tra le macrocategorie elencate poc'anzi, usando la stessa modalità del periodo di pro-grammazione 2007–2013; fanno eccezione alcuni ag-giustamenti indispensabili per tenere conto delle carat-teristiche già note del nuovo periodo, come ad esempio gli importi dei finanziamenti stanziati per Stato membro e per categoria di regioni, la concentrazione del FESR sui vari obiettivi e la quota minima dell'FSE assegnata ai vari paesi.

Page 306: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

268

3.1 Impatto stimato a livello nazionale

Le stime generate da QUEST sugli effetti della politi-ca di coesione nel periodo 2014–2020 coprono tutti i 28 Stati membri. Esse suggeriscono che, grazie ai fi-nanziamenti a favore degli investimenti, il PIL dell'UE potrebbe superare lo scenario di riferimento (ovvero lo scenario senza la politica di coesione) dello 0,4% entro il 2023, termine effettivo del periodo di programma-zione, e il PIL dell'UE–13 del 2,6%. Si stima che il PIL nell'UE–15, invece, superi di solo lo 0,2% lo scenario di riferimento (Figura 8.10).

Le stime per i singoli paesi comprendono gli effetti di ri-caduta derivanti dagli sviluppi negli altri paesi. Pertanto

non comprendono solo gli effetti della realizzazione dei programmi della politica di coesione nel singolo paese, ma tengono conto anche degli effetti indiretti dei pro-grammi realizzati in altri paesi, sotto forma di incre-mento delle esportazioni verso gli stessi.

Esse tengono anche in considerazione la necessità di dover finanziare la spesa per la politica di coesione, il che fa presumere una maggior pressione fiscale tutti gli Stati membri rispetto allo scenario privo di una politica di coesione. La maggior pressione fiscale unita agli scarsi investimenti della politica di coesione nell'UE–15 spiega l'impatto limitato in questi paesi (e negativo in alcuni, ove l'effetto di depressione delle imposte supera di gran lun-ga l'effetto espansivo degli investimenti) (Figura 8.11).

2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021 2022 2023 2024 2025 2026 2027 2028 2029 2030

Figura 8.10 Stima dell'impatto della politica di coesione sul PIL nel periodo 2014–2020

UE–13 UE–15 UE–283,0

2,5

2,0

1,5

1,0

0,5

0,0

-0,5

Fonte: Simulazioni QUEST 3R&D

3,0

2,5

2,0

1,5

1,0

0,5

0,0

-0,5

% differenza dalla linea di base

IT ES CY SI MT EL PT RO CZ BG SK LT HU EE HR LV PL

Figura 8.11 Stima dell'impatto della spesa della politica di coesione per il 2014–2020 sul PIL nei principali paesi beneficiari, media 2014–2023

% differenza dalla linea di base2,5

2,0

1,5

1,0

0,5

0,0

Fonte: Simulazioni QUEST 3R&D

UE–

13

UE–

15

UE–

28

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

2,5

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

269

L'impatto stimato dei programmi della politica di co-esione sul PIL dei principali paesi beneficiari varia no-tevolmente, sostanzialmente riflettendo le differenze a livello di importi dei finanziamenti ricevuti (Figura 8.12). Il rapporto non è tuttavia proporzionale, essendo lega-to anche ad altri fattori quali la composizione dei pro-grammi. Ad esempio, si stima che l'impatto più rilevan-te sul PIL da parte dei programmi realizzati si verifichi in Polonia, nonostante i finanziamenti inferiori a quella dell'Ungheria, a sua volta solo quinta in graduatoria a livello di impatto stimato. Analogamente, il finanzia-mento della Croazia è abbastanza simile a quello della Lituania in relazione al PIL, ma l'impatto stimato è mol-to più significativo.

I risultati delle simulazioni evidenziano anche il fatto che l'impatto dovrebbe aumentare con gli anni e continuare a farlo anche una volta che i programmi saranno giunti al termine. La maggioranza degli incrementi nel PIL durante il periodo considerato, quindi, derivano dall'aumento della domanda, ritenuta parzialmente compromessa dagli au-menti a livello di tassi di interesse, salari e prezzi. Gli effetti positivi della politica di coesione sulla produttività si ma-terializzano solo sul medio e lungo periodo, aumentando la produzione potenziale e favorendo la crescita del PIL libero dalla pressione inflazionistica (Figura 8.13). Entro il 2030, l'effetto atteso è un aumento del PIL in Polonia — il paese con l'impatto più rilevante — del 3,6% rispetto al valore stimato in assenza della politica di coesione.

IT ES CY SI MT EL PT RO CZ BG SK LT HU EE HR LV PL

Figura 8.12 Spesa della politica di coesione per il periodo 2014–2020 e impatto sul PIL nei principali paesi beneficiari, media 2014–2023

% del PIL Impatto stimato sul PIL Spesa della politica di coesione2,5

2,0

1,5

1,0

0,5

0,0

Fonte: Simulazioni QUEST 3R&D, proiezioni della DG REGIO sulla spesa per la coesione e proiezioni della DG ECFIN per la primavera 2013

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

2,5

IT ES CY SI MT EL PT RO CZ BG SK LT HU EE HR LV PL

2030

Figura 8.13 Stima dell'impatto della spesa della politica di coesione per il 2014–2020 sul PIL nei principali paesi beneficiari, media 2014–2023 e 2030

% differenza dalla linea di base media 2014-20234,0

3,5

3,0

2,5

2,0

1,5

1,0

0,5

0,0

Fonte: Simulazioni QUEST 3R&D

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

2,5

3,0

3,5

4,0

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

270

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

271

Questo continuo miglioramento nel tempo dell'impatto della politica di coesione è evidente anche nel moltiplica-tore che indica l'incremento del PIL per euro di spesa. Per quanto riguarda l’UE nel suo complesso, il valore è sti-mato attorno a 1,5 nel periodo 2014–2023 e fino a 3,75 nel periodo 2014–2030. In questo si scorge una prova del fatto che la politica di coesione non solo stimola la domanda nel breve periodo, ma rafforza il potenziale di crescita delle economie attraverso gli effetti durevoli sul lato dell'offerta una volta esaurito il finanziamento.

La politica di coesione non solo impatta positivamente sul PIL, bensì stimola l'occupazione. Nel breve periodo questo dipende principalmente da un incremento delle attività economiche determinato dal cofinanziamento dell'inve-stimento. Nel lungo periodo, lo stesso investimento tende a far aumentare la produttività del lavoro e la compe-titività tramite i miglioramenti a livello di infrastrutture, metodi di produzione, struttura industriale, competenze della forza lavoro e così via. Questo, a sua volta, tende a tradursi con un'ulteriore espansione delle attività econo-miche e dell'occupazione, con probabilità di perdurare a lungo una volta effettuata la spesa iniziale.

Come nel caso del PIL, è probabile che l'impatto sull'oc-cupazione sia particolarmente efficace nei paesi che hanno maggiormente beneficiato del sostegno. Ad esempio, le simulazioni suggeriscono che in Polonia, du-rante il periodo di attuazione dei programmi, l'occupa-zione potrebbe guadagnare 1 punto percentuale in più rispetto allo scenario senza finanziamento della politica di coesione, e una percentuale ancora più alta in un pe-riodo più prolungato.

3.2 Impatto stimato a livello regionale

Un modello come RHOMOLO, il quale tiene conto degli effetti di ricaduta degli interventi a livello regionale, è molto utile per valutare gli effetti complessivi della po-litica di coesione. Poiché le regioni nell'UE sono stretta-mente connesse tra loro attraverso gli scambi, gli spo-stamenti dei lavoratori, i flussi di capitali e la diffusione delle tecnologie, gli impatti degli interventi tendono a oltrepassare i confini dei luoghi in cui essi sono attuati. L'inserimento di tali interconnessioni nel modello, tutta-via, rende più complicata l'interpretazione dei risultati. Al fine di illustrare la modalità con cui i vari meccani-smi rappresentati nel modello RHOMOLO si combinano tra loro per produrre i vari effetti, qui di seguito sono

presentate tre simulazioni, ciascuna incentrata su una particolare area di intervento.

Investimenti nelle infrastrutture

I finanziamenti nell'ambito della politica di coesione sono in buona parte destinati agli investimenti nelle infrastrutture. Per il periodo 2007–2013, rappresen-tavano circa il 49% del totale e si prevede che anche nell'attuale periodo di programmazione abbiano un ruo-lo importante. Vi sono tuttavia notevoli differenze tra le varie regioni, in particolare la spesa è molto più alta nelle regioni meno sviluppate dove le necessità sono maggiori. L'impatto degli investimenti nelle infrastruttu-re è calcolato ipotizzando una riduzione nei costi di tra-sporto tra regioni e un aumento dell'accessibilità delle zone interessate (la Carta 8.9 mostra l'impatto stimato degli investimenti cofinanziati in termini di accessibilità per ciascuna regione NUTS 2). Ciò riguarda in gran parte le regioni meno sviluppate.

I miglioramenti nelle infrastrutture di trasporto im-plicano un miglior accesso ai mercati dell'UE per le regioni interessate, con conseguente aumento del-le esportazioni e del rispettivo PIL. Allo stesso tem-po indicano un calo nei prezzi delle importazioni per le regioni in questione, avendo migliorato l'accessi-bilità ai produttori provenienti da altre zone. Questo fa aumentare il reddito reale delle famiglie e dimi-nuire i costi per le aziende operanti nella regione, ma può facilmente causare una perdita nella quo-ta di mercato regionale annullando i guadagni ot-tenuti, a vantaggio dei produttori di altre regioni e del rispettivo PIL. L'impatto degli investimenti nelle infrastrutture di trasporto, pertanto, non è confinato alla regione in cui essi vengono effettuati, poiché i mi-glioramenti a livello di accessibilità consentono anche ad altre regioni di esportare più facilmente i propri beni, stimolandone il PIL. Tutti questi effetti, combinati tra loro, producono un impatto differenziale sul PIL del-le varie regioni dell'UE (Carta 8.10).

L'effetto delle interrelazioni regionali può essere ul-teriormente chiarito tramite una simulazione della diminuzione simmetrica dei costi di trasporto in cin-que regioni polacche: Łódzkie, Mazowieckie, Śląskie, Kujawsko–Pomorskie e Pomorskie, derivante da un pro-getto di trasporto volto al miglioramento dei collega-menti tra le stesse (Carta 8.11)

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

272

La simulazione mostra che il progetto produrrebbe un impatto positivo sul PIL di quasi tutte le regioni, anche se con diverse gradazioni. Sul breve periodo (entro i quattro anni successivi al completamento del proget-to), il capoluogo della regione Mazowieckie ottiene i maggiori benefici dall'investimento, soprattutto perché trovandosi nel centro delle 5 regioni interessate può approfittare del maggior incremento in termini di ac-cessibilità. Su un periodo molto lungo (entro 45 anni dal completamento del progetto), invece, l'impatto positivo si riversa maggiormente sulle altre quattro regioni; inoltre anche le restanti regioni del paese trag-gono vantaggio dal generale incremento delle attività economiche. Questo sottolinea l'importanza di tenere conto delle interconnessioni tra regioni nella valutazio-ne dell'impatto complessivo degli interventi realizzati nell'ambito della politica.

Investimenti nelle risorse umane

Si stima che la quota di investimenti della politica di co-esione per lo sviluppo del capitale umano attraverso le varie misure, corrispondente al 21% del finanziamento

totale per il periodo 2007–2013, rappresenterà il 23% nel periodo 2014–2020. Per simularne gli effetti, si con-sidera che un aumento della spesa per la formazione pari all'1% in una regione determini un aumento della produttività del lavoro pari allo 0,3%, aumentando la competitività della regione e il rispettivo PIL. Si ritiene anche che possa determinare un aumento della doman-da di lavoro (per l'abbassamento del costo unitario de-rivante dall'aumento di produttività), cosa che sul lungo periodo fa crescere i salari.

L'effetto netto degli investimenti nel capitale umano entro il 2030 ipotizzato per il periodo è molto positi-vo, soprattutto negli Stati membri centro–orientali, dove si verifica l'incremento maggiore in rapporto al PIL (Carta 8.12).

La differenza di impatto tra le regioni, tuttavia, dipende anche da altri fattori. Primo, si ritiene che gli investimenti nelle risorse umane producano un effetto maggiore sul PIL delle regioni il cui livello di spesa sull'istruzione è rela-tivamente basso. Secondo, le regioni con una quota molto più consistente di attività economiche in settori ad alta intensità di manodopera (ad es. il comparto manifattu-

Carta 8.11 Impatto a breve e lungo termine della diminuzione dei costi di trasporto sul PIL in cinque regioni polacche

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

273

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

274

riero nell'Europa centrale e orientale) traggono maggior beneficio dall'incremento della produttività del lavoro.

Terzo, gli investimenti nelle risorse umane, al pari del-le infrastrutture, generano effetti di ricaduta tramite gli scambi commerciali, apportando vantaggi anche alle al-tre regioni. Tuttavia si ritiene anche che gli investimenti possano determinare un aumento dei salari nelle regio-ni interessate, attirando flussi di lavoratori provenienti da altre regioni, che in questo caso risentono negativa-mente della perdita di reddito e di spesa derivante dagli spostamenti verso l'esterno.

Investimenti nel settore R&S

Si prevede che i finanziamenti della politica di coesione per gli investimenti nel settore R&S, nel periodo 2007–2013 corrispondenti al 12% circa del finanziamento complessivo, aumenteranno per il periodo 2014–2020. Nel modello si considera che il sostegno alle attività di RSTI determini un aumento della produttività complessi-va dei fattori, con conseguente incremento diretto e in-diretto del PIL tramite la diminuzione dei costi di produ-zione. L'abbassamento dei prezzi che ne risulta stimola la domanda e quindi il livello delle attività economiche. Come già per le precedenti tipologie di intervento, anche le altre regioni traggono beneficio dall'incremento del PIL tramite l'aumento della domanda per le esportazioni delle stesse.

Il modello, inoltre, tiene conto degli effetti di ricaduta sulle altre regioni specifici al settore R&S. L'ipotesi di base è che più una regione è distante dalla frontiera tecnologica, maggiore è il potenziale di assorbimento e imitazione degli sviluppi tecnologici realizzati altrove. Ciò significa che non solo le regioni in ritardo recuperano il passo con le regioni più avanzate dal punto di vista tecnologico, ma anche che un aumento delle attività di R&S produce un forte impatto sulla produttività dei fat-tori nelle prime.

I risultati delle simulazioni evidenziano effetti positivi in tutte le regioni, salvo pochissime eccezioni; i mag-giori benefici si verificherebbero in Repubblica ceca, Ungheria, Polonia e Portogallo (Carta 8.13). In Polonia, ad esempio, l'aumento del PIL oscilla tra lo 0,5% e lo 0,8% annuo nel periodo considerato.

Si ritiene che gli effetti degli interventi nel settore R&S si incrementino col tempo, rispecchiando i numerosi effet-ti indiretti generati, soprattutto legati all'aumento degli investimenti privati e alla diminuzione dei costi di pro-duzione, visibili per lo più nel lungo periodo. Ad esem-pio, se l'impatto a breve termine sul PIL nella regione Podkarpackie della Polonia è stimato allo 0,8% annuo tra il 2014 e il 2023, entro il 2030 il PIL dovrebbe cre-scere di un 3,3% in più rispetto allo scenario alternativo. Nella regione Norte in Portogallo, dove l'impatto stimato a breve termine sul PIL è dello 0,2%, l'aumento previsto è dell'1,5% entro il 2030.

In genere, le regioni in transizione subiscono un impatto minore rispetto alle regioni meno sviluppate, sia per la minore quantità di finanziamenti ricevuti a titolo della po-litica di coesione sia per l'effetto più limitato sulla produt-tività dei fattori, il quale viene dato per scontato perché si tratta di regioni meno arretrate in termini di tecnologia.

Impatto combinato degli investimenti a livello regionale

Il modello RHOMOLO può essere utilizzato anche per stimare l'impatto complessivo del finanziamento a tito-lo della politica di coesione per il periodo 2014–2020. L'impatto più rilevante riguarda le regioni dell'Europa centro–settentrionale negli anni 2014–2023 (Carta 8.14). Nelle regioni polacche Śląskie, Podkarpackie, Małopolskie e Lubelskie, come pure nelle regioni Észak–Magyarország e Észak–Alföld in Ungheria, la stima dell'aumento medio del PIL annuo è pari al 2,5% nel periodo considerato.

Questo deriva soprattutto dal fatto che queste regio-ni sono i maggiori percipienti del finanziamento dell'UE; allo stesso tempo, considerati i ritardi in termini di do-tazioni infrastrutturali di queste regioni, l'effetto degli investimenti tende a essere particolarmente rilevante. Analogamente, un determinato investimento nelle risorse umane contribuisce alla spesa complessiva per l'istruzio-ne in maniera più consistente in queste regioni che non negli Stati membri più sviluppati, producendo pertanto un effetto maggiore. Inoltre, in tali regioni l'occupazione si concentra particolarmente nei settori industriali ad alta intensità di manodopera, il che fa aumentare i guadagni derivanti dall'aumento della produttività del lavoro.

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Capitolo 8: La politica di coesione nel periodo 2014-2020

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Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

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Anche se le regioni appartenenti agli Stati membri più sviluppati ricevono minori finanziamenti nell'ambito del-la politica di coesione, quelle meno sviluppate tra queste riscontrano un effetto affatto trascurabile. Ad esempio, si stima un aumento medio del PIL attorno allo 0,5% annuo nella regione Andalucía in Spagna e nella regione Campania in Italia nel periodo 2014–2023.

Su un periodo più lungo si verifica un impatto molto più rilevante sul PIL di tutte le regioni, specialmente quelle situate nell'Europa orientale, centrale e meridionale, per effetto del sostegno agli investimenti a favore del po-tenziale produttivo. Ad esempio, nella regione Śląskie in Polonia, si stima che entro il 2030 il PIL sarà aumenta-to del 6,1% per effetto dell'aumento degli investimenti, superando di oltre 2,5 volte l'impatto medio sul periodo stesso (Carta 8.15).

L'impatto a lungo termine è significativo anche nel-le regioni più sviluppate, nelle quali l'impatto a breve termine sulla domanda è scarso ma gli effetti sull'au-mento del potenziale produttivo sono molto più consi-stenti. L'impatto a lungo termine, inoltre, deriva anche dall'aumento della domanda di esportazioni suscitato dai programmi realizzati in altre zone, in particolare nelle regioni meno sviluppate, domanda che tende ad aumentare col tempo parallelamente alla crescita in queste ultime regioni.

Tali stime, tuttavia, derivano da simulazioni che incorpo-rano considerazioni ipotetiche sulla composizione della spesa finanziata nell'ambito della politica di coesione. Esse saranno aggiornate una volta adottati tutti i nuovi programmi e definita la ripartizione della spesa tra le varie categorie di investimento. Nondimeno esse sug-geriscono che i finanziamenti previsti nell'ambito della politica di coesione possono produrre un impatto signi-ficativo sulle regioni dell'UE, soprattutto su quelle meno sviluppate. Se l'impatto sarà significativo come indicato nelle stime, tuttavia, dipenderà in larga misura dalla re-alizzazione dei programmi nel rispetto dei tempi previ-sti, nonché dall'utilizzo dei finanziamenti con la stessa efficacia ipotizzata nel modello.

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Elenco delle figureFigura 1 Impatto della politica di coesione sugli investimenti pubblici, 2007–2013 ....................................................... xv

Figura 2 Quota della politica di coesione negli investimenti pubblici, media 2010–2012 ..........................................xvi

Figura 3 Ripartizione degli investimenti della politica di coesione nelle regioni meno sviluppate,

1989–2013 ........................................................................................................................................................................................... xix

Figura 4 Ripartizione per priorità e per Fondo, 2014–2020 ........................................................................................................xxiii

Figura 5 Ripartizione per priorità 2014–2020 e 2007–2013 ....................................................................................................xxiv

Figura 1.1 Coefficiente di variazione del PIL pro capite, tasso di occupazione (15–64), tasso di disoccupazione,

UE–27 regioni NUTS 2, 2000–2013 ...........................................................................................................................................3

Figura 1.2 Indice di Theil, PIL pro capite, regioni NUTS 2 UE–28, 2000–2015 ..........................................................................5

Figura 1.3 Tassi di crescita del PIL pro capite negli Stati membri meno sviluppati o moderatamente

sviluppati, 2003–2011 .......................................................................................................................................................................6

Figura 1.4 Crescita del PIL pro capite in termini reali, UE–28, 2001–2015 ................................................................................6

Figura 1.5 Quota di attività industriali (eccetto il settore delle costruzioni) nell’UE, 1970–2012 ...............................11

Figura 1.6 Quota di attività industriali (eccetto il settore delle costruzioni) nell’UE–12, 1995–2012 ......................12

Figura 1.7 Quota di attività agricole nell’UE–12, 1995–2012 .........................................................................................................12

Figura 1.8 Quota di attività agricole nell’UE, 1970–2012 ..................................................................................................................12

Figura 1.9 Le grandi aree metropolitane sono più produttive ..........................................................................................................19

Figura 1.10 Dimensione demografica e produttività per città .............................................................................................................20

Figura 1.11 Le aree metropolitante meno frammentate hanno registrato una crescita maggiore ..............................20

Figura 1.12 Istituzioni pubbliche e alcuni risultati specifici ...................................................................................................................20

Figura 1.13 PIL pro capite e per persona occupata nella regione metropolitane di Parigi, 2010 ...................................24

Figura 1.14 Tasso di natalità delle imprese, 2010 ....................................................................................................................................25

Figura 1.15 Tasso di mortalità delle imprese, 2010 .................................................................................................................................26

Figura 1.16 Percentuale di popolazione con un'istruzione terziaria per paese ed estremi regionali, 2013 ..............35

Figura 1.17 Percentuale di popolazione con un basso livello di istruzione per paese ed estremi

regionali, 2013 .....................................................................................................................................................................................37

Figura 1.18 Accesso alle reti di prossima generazione (NGA) per tipologia di area, fine 2011 .......................................40

Figura 1.19 Lunghezza della rete ferrovia con treni operanti a velocità superiori a 120 km orari, 2013 .................46

Figura 1.20 Variazione nella lunghezza della rete ferroviaria con treni operanti a velocità superiori

a 120 km orari, 1990–2013 ........................................................................................................................................................46

Figura 1.21 Scambi tra UE–12 e UE–27 in rapporto al PIL, 2004–2012 .....................................................................................49

Figura 1.22 Investimenti diretti esteri nell'UE–12, 2005–2012.........................................................................................................50

Figura 1.23 Indice di competitività regionale, 2013 .................................................................................................................................52

Figura 2.1 Competenze linguistiche degli adulti, 2011–2012 .........................................................................................................70

Page 326: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

288

Figura 2.2 Competenze matematiche degli adulti, 2011–2012 .....................................................................................................70

Figura 2.3 Quota di popolazione in condizioni di grave indigenza materiale per grado di urbanizzazione,

2008–2012 ...........................................................................................................................................................................................72

Figura 2.4 Quota di popolazione che vive in famiglie a bassa intensità lavorativa per grado

di urbanizzazione, 2008–2012 ...................................................................................................................................................72

Figura 2.5 Quota di popolazione che vive in famiglie a rischio di povertà per grado di urbanizzazione,

2008–2012 ...........................................................................................................................................................................................74

Figura 2.6 Quota di popolazione che vive in famiglie a rischio povertà o esclusione per grado

di urbanizzazione, 2008–2012 e obiettivi nazionali 2020 .........................................................................................78

Figura 2.7 Grado di soddisfazione dei cittadini in merito ad alcuni aspetti della qualità della vita in un

campione di città, 2012 ........................................................................................................................................................ 80, 81

Figura 2.8 Popolazione nata al di fuori dell'UE–27, 2001 e 2012 ................................................................................................90

Figura 2.9 Popolazione nata in un paese diverso dell'UE–27, 2001 e 2012 ...........................................................................90

Figura 2.10 Tasso di occupati per paese di nascita, 2013 ....................................................................................................................91

Figura 3.1 Variazione nelle emissioni di gas a effetto serra nelle aree interessate dalla decisione sullo sforzo

condiviso, 2005–2011 e dagli obiettivi di Europa 2020 ...........................................................................................102

Figura 3.2 Emissioni di gas a effetto serra, in tonnellate di CO2 equivalenti pro capite, 2008 .................................103

Figura 3.3 Quota di energie rinnovabili sul consumo energetico finale lordo, 2006, 2012, obiettivo 2020 .......104

Figura 3.4 Passeggeri/km per modalità di trasporto, 2012 ............................................................................................................109

Figura 3.5 Variazione nel rapporto passeggeri/km per modalità di trasporto, 1995–2011 .........................................110

Figura 3.6 Traffico passeggeri per modalità di trasporto, 2011 ...................................................................................................111

Figura 3.7 Trasporto merci per modalità, 2011.....................................................................................................................................111

Figura 3.8 Accesso al trasporto pubblico nelle città europee di grandi dimensioni, 2012 ............................................113

Figura 3.9 Accesso al trasporto pubblico nelle città europee di medie dimensioni, 2012 ............................................113

Figura 3.10 Rapporto tra densità di popolazione e suolo sigillato per abitante nelle zone urbane funzionali,

2006 .......................................................................................................................................................................................................119

Figura 3.11 Andamento della densità demografica in un campione di capitali europee di grandi dimensioni,

2006 .......................................................................................................................................................................................................119

Figura 3.12 Andamento della densità demografica in un campione di capitali europee di medie dimensioni,

2006 .......................................................................................................................................................................................................119

Figura 3.13 Quota di rifiuti conferiti in discarica in un campione di Stati membri UE nel 2010 ..................................128

Figura 3.14 Infrastrutture verdi e disponibilità di servizi ecosistemici, regioni UE NUTS 2 .............................................131

Figura 4.1 Saldo delle amministrazioni pubbliche, media UE–27, 2000–2013 ..................................................................138

Figura 4.2 Saldo delle amministrazioni pubbliche, 2006, 2009 e 2013 .................................................................................138

Figura 4.3 Spesa pubblica nazionale, entrate e saldo delle amministrazioni pubbliche, media UE–27,

2000–2013 ........................................................................................................................................................................................139

Figura 4.4 Variazione media annua nella spesa pubblica nazionale in termini reali, 2000–2009,

2009–2013 ........................................................................................................................................................................................139

Figura 4.5 Spesa pubblica nazionale nelle categorie a favore della crescita, 2008 e 2012 .......................................140

Figura 4.6 Investimenti fissi lordi pubblici e privati, media UE–27, 1995–2014 ................................................................143

Page 327: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Elenco delle figure, delle carte, delle tabelle e dei riquadri

289

Figura 4.7 Spesa pubblica subnazionale, 1995 e 2013 ....................................................................................................................143

Figura 4.8 Spesa pubblica subnazionale, 2013 .....................................................................................................................................144

Figura 4.9 Spesa a favore della crescita, 2012 .....................................................................................................................................147

Figura 4.10 Investimenti pubblici subnazionali, 2000 e 2013 .........................................................................................................147

Figura 4.11 Variazione media annua nella spesa pubblica subnazionale in termini reali,

2000–2009 e 2009–2013 ........................................................................................................................................................148

Figura 4.12 Investimenti pubblici subnazionali, media UE–27, 1997–2013 ...........................................................................148

Figura 4.13 Variazione media annua negli investimenti pubblici subnazionali, volume,

2000–2009 e 2009–2013 ........................................................................................................................................................149

Figura 4.14 Investimenti pubblici subnazionali, 1997, 2013 e minimi storici.........................................................................149

Figura 4.15 Capacità di finanziamento diretto subnazionale e investimenti pubblici nei paesi dell'OCSE,

2007 e 2011 ......................................................................................................................................................................................150

Figura 4.16 Variazione media annua nelle entrate pubbliche subnazionali in termini reali, 2000–2009

e 2009–2013 ....................................................................................................................................................................................151

Figura 4.17 Fonti di entrate pubbliche subnazionali, 2013 ...............................................................................................................151

Figura 4.18 Variazione nei trasferimenti netti tra amministrazioni locali, statali e centrali in termini reali,

2009–2013 ........................................................................................................................................................................................152

Figura 4.19 Spesa pubblica ed entrate subnazionali e disavanzo pubblico subnazionale, media UE–27,

2000–2013 ........................................................................................................................................................................................153

Figura 4.20 Bilancio finanziario pubblico subnazionale, 2007 e 2013 .......................................................................................153

Figura 4.21 Debito pubblico lordo consolidato, 2013 ...........................................................................................................................154

Figura 4.22 Contributo della politica di coesione (PC) agli investimenti pubblici, UE–28, 2007–2013 ....................155

Figura 4.23 Ripartizione tra FESR, FSE, Fondo di coesione e cofinanziamenti nazionali all'interno degli

investimenti pubblici complessivi, media 2011–2013 ...............................................................................................156

Figura 4.24 Prestiti della Banca europea per gli investimenti, 2007–2013.............................................................................159

Figura 5.1 Facilità di fare impresa, 2006–2014 ...................................................................................................................................163

Figura 5.2 Utilizzo dei servizi di e–government da parte dei cittadini, 2011–2012 .........................................................164

Figura 5.3 Imprese che hanno usato internet per la partecipazione agli appalti elettronici, 2012 .........................164

Figura 5.4 Percezione della corruzione come problema grave, 2011 .......................................................................................165

Figura 5.5 Percezione del grado di diffusione della corruzione, 2013 ......................................................................................166

Figura 5.6 Indicatori della Banca mondiale, 1996–2012.................................................................................................................169

Figura 5.7 Assorbimento dei finanziamenti della politica di coesione ed efficacia

dell'amministrazione, 2014 .......................................................................................................................................................175

Figura 6.1 Spesa per la politica di coesione, 1976–2012 ...............................................................................................................180

Figura 6.2 Spesa per la politica di coesione, 1990–1999 ...............................................................................................................180

Figura 6.3 Spesa per la politica di coesione, 2000–2006 ...............................................................................................................181

Figura 6.4 Spesa per la politica di coesione, 2007–2012 ...............................................................................................................181

Figura 6.5 Intensità degli aiuti nelle regioni meno sviluppate, 1989–2006 .........................................................................192

Figura 6.6 Intensità degli aiuti nelle regioni meno sviluppate, 2007–2020 .........................................................................192

Figura 6.7 Intensità degli aiuti nelle regioni ultraperiferiche, 2007–2020 ...........................................................................193

Page 328: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

290

Figura 6.8 Tasso medio di disoccupazione, 1960–2012 ..................................................................................................................194

Figura 6.9 PIL pro capite (SPA) per allargamento UE, 1973–2013 ............................................................................................195

Figura 6.10 Tasso medio di disoccupazione per allargamento UE, 1973–2013 ...................................................................195

Figura 6.11 Ridistribuzione dei finanziamenti UE tra le varie aree strategiche, fine 2013 ..............................................209

Figura 6.12 Tagli ai cofinanziamenti nazionali per il periodo 2007–2013, fine 2013 ........................................................209

Figura 6.13 Assorbimento dei finanziamenti e approvazione dei progetti per il periodo

di programmazione 2007–2013 ............................................................................................................................................210

Figura 7.1 Stima dell’impatto della politica di coesione sul PIL nel periodo 2000–2006 .............................................232

Figura 7.2 Stima dell’impatto della politica di coesione sul PIL nel periodo 2007–2013 .............................................232

Figura 8.1 Ripartizione per obiettivi tematici (euro), 2014–2020 ...............................................................................................259

Figura 8.2 Ripartizione per obiettivi tematici (%), 2014–2020 ....................................................................................................259

Figura 8.3 Ripartizione per obiettivi tematici e per Fondo (euro), 2014–2020 ...................................................................260

Figura 8.4 Ripartizione per obiettivi tematici e per Fondo (%), 2014–2020 .........................................................................260

Figura 8.5 Ripartizione per obiettivi tematici e per raggruppamento di paesi (euro), 2014–2020..........................261

Figura 8.6 Ripartizione per obiettivi tematici e per raggruppamento di paesi (%), 2014–2020 ...............................261

Figura 8.7 Ripartizione per obiettivo tematico, UE–28, 2014–2020 e 2007–2013 .........................................................262

Figura 8.8 Ripartizione per obiettivo tematico negli Stati membri più sviluppati, 2014–2020

e 2007–2013 ....................................................................................................................................................................................263

Figura 8.9 Ripartizione per obiettivo tematico negli Stati membri meno sviluppati, 2014–2020

e 2007–2013 ....................................................................................................................................................................................263

Figura 8.10 Stima dell’impatto della politica di coesione sul PIL nel periodo 2014–2020 .............................................268

Figura 8.11 Stima dell’impatto della spesa della politica di coesione per il 2014–2020 sul PIL nei principali

paesi beneficiari, media 2014–2023 ...................................................................................................................................268

Figura 8.12 Spesa della politica di coesione per il periodo 2014–2020 e impatto sul PIL nei principali paesi

beneficiari, media 2014–2023 ................................................................................................................................................269

Figura 8.13 Stima dell’impatto della spesa della politica di coesione per il 2014–2020 sul PIL nei principali

paesi beneficiari, media 2014–2023 e 2030 ..................................................................................................................269

Elenco delle carteCarta 1.1 PIL pro capite (SPA), 2011 ...................................................................................................................................................................2

Carta 1.2 Crescita del PIL pro capite in termini reali, 2001–2008 ....................................................................................................4

Carta 1.3 Crescita del PIL pro capite in termini reali, 2008–2011 ....................................................................................................4

Carta 1.4 Turchia: PIL pro capite (SPA), 2011 ................................................................................................................................................7

Carta 1.5 NAFTA: PIL pro capite (SPA USD), 2012 .......................................................................................................................................9

Carta 1.6 Russia, India, Cina e Brasile: PIL pro capite (SPA USD), 2010 .........................................................................................9

Carta 1.7 Tipologia di regione metropolitana ..............................................................................................................................................22

Carta 1.8 Tipologia urbano–rurale delle regioni NUTS 3.......................................................................................................................22

Carta 1.9 Indice dell'imprenditorialità regionale e dello sviluppo (REDI) — Indice combinato .......................................27

Carta 1.10 Indice dell'imprenditorialità regionale e dello sviluppo (REDI) — Dimensione individuale ..........................27

Carta 1.11 Spesa complessiva per R&S, 2011 ..............................................................................................................................................30

Page 329: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Elenco delle figure, delle carte, delle tabelle e dei riquadri

291

Carta 1.12 Spesa complessiva per R&S, 2011 — Distanza dall’obiettivo nazionale 2020.................................................30

Carta 1.13 Quadro di valutazione dell'innovazione regionale, 2014 ..............................................................................................32

Carta 1.14 Tasso di crescita dell'innovazione regionale, 2008–2014 .............................................................................................32

Carta 1.15 Domande di brevetto trasmesse all'Ufficio europeo dei brevetti (EPO), media 2008–2009 .....................33

Carta 1.16 Domande di brevetto negli USA, media 2011–2012 ........................................................................................................33

Carta 1.17 Popolazione tra i 25 e i 64 anni con un'istruzione terziaria, 2013 ...........................................................................36

Carta 1.18 Popolazione tra i 25 e i 64 anni con un basso livello di istruzione, 2013 ............................................................36

Carta 1.19 Popolazione tra i 30 e i 34 anni con un'istruzione terziaria, media 2011–2013 .............................................38

Carta 1.20 Popolazione tra i 30 e i 34 anni con un'istruzione terziaria, media 2011–2013 — Distanza

dall'obiettivo nazionale 2020 .........................................................................................................................................................38

Carta 1.21 Famiglie con collegamento a banda larga, 2013................................................................................................................42

Carta 1.22a Velocità di percorrenza sulla rete stradale centrale TEN–T, 1955–2012 ..............................................................44

Carta 1.22b Velocità di percorrenza sulla rete stradale centrale TEN–T, 2030 ............................................................................45

Carta 1.23 Velocità massima sulle tratte ferroviarie in base agli orari, 1990 ............................................................................47

Carta 1.24 Velocità massima sulle tratte ferroviarie in base agli orari, 2013 ............................................................................47

Carta 1.25 Numero di treni passeggeri sulla rete ferroviaria centrale TEN–T, 2010 ..............................................................48

Carta 1.26 Accesso ai voli passeggeri, 2012 .................................................................................................................................................48

Carta 1.27 Percentuale di occupati in imprese straniere, 2010 ..........................................................................................................51

Carta 1.28 Indice di competitività regionale (ICR), 2013 .........................................................................................................................53

Carta 2.1 Tasso di occupati (20–64), 2013 ..................................................................................................................................................59

Carta 2.2 Tasso di occupati (20–64), 2013 — Distanza dall'obiettivo nazionale 2020.....................................................59

Carta 2.3 Tasso di disoccupazione, 2013 ......................................................................................................................................................60

Carta 2.4 Variazione del tasso di disoccupazione, 2008–2013 .......................................................................................................60

Carta 2.5 Tasso di disoccupazione giovanile, 2013 ...............................................................................................................................62

Carta 2.6 Giovani tra i 15 e i 24 anni non occupati e non inseriti in percorsi di istruzione o formazione

(NEET), 2013 ............................................................................................................................................................................................62

Carta 2.7 Differenza nei tassi di disoccupazione femminile e maschile, 2013 .......................................................................64

Carta 2.8 Differenza nei tassi di disoccupazione femminile e maschile, 20–64 anni, 2013 ...........................................64

Carta 2.9 Equilibrio di genere nella popolazione tra i 50 e i 54 anni con un'istruzione terziaria,

media 2011–2013 ...............................................................................................................................................................................65

Carta 2.10 Equilibrio di genere nella popolazione tra i 30 e i 34 anni con un'istruzione terziaria,

media 2011–2013 ...............................................................................................................................................................................65

Carta 2.11 Abbandono scolastico precoce, 18–24 anni, media 2011–2013 ...............................................................................67

Carta 2.12 Abbandono scolastico precoce, 18–24 anni, media 2011–2013 — Distanza dall'obiettivo

nazionale 2020 .......................................................................................................................................................................................67

Carta 2.13 Percentuale di quindicenni con scarse capacità in matematica, lettura e scienze, 2012 ............................68

Carta 2.14 Partecipazione degli adulti tra i 25 e i 64 anni all'istruzione e alla formazione, 2013 .................................69

Carta 2.15 Quota di popolazione a rischio povertà, 2010–2011 .......................................................................................................75

Carta 2.16 Popolazione a rischio povertà o esclusione sociale, 2012 .............................................................................................76

Page 330: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

292

Carta 2.17 Popolazione a rischio povertà o esclusione sociale nel 2012 — Distanza dall'obiettivo

nazionale 2020 .......................................................................................................................................................................................76

Carta 2.18 Denunce di furti di veicoli per cittadino, 2008–2010 .......................................................................................................82

Carta 2.19 Denunce di furti nelle abitazioni per cittadino, 2010........................................................................................................82

Carta 2.20 Variazione della popolazione, 1961–2001 .............................................................................................................................84

Carta 2.21 Variazione della popolazione, 2001–2011 .............................................................................................................................85

Carta 2.22 Incremento demografico naturale, 2001–2011 ..................................................................................................................87

Carta 2.23 Immigrazione netta verso le regioni NUTS 3, 2001–2011 ............................................................................................87

Carta 2.24 Regioni coinvolte nella cooperazione transfrontaliera, 2014–2020 ........................................................................89

Carta 2.25 Aspettativa di vita nell'UE, 2011 ..................................................................................................................................................93

Carta 2.26 Aspettativa di vita negli USA, 2010 ............................................................................................................................................93

Carta 2.27 Tasso di mortalità infantile, 2012 ...............................................................................................................................................94

Carta 2.28 Decessi per incidente stradale, 2012 .........................................................................................................................................94

Carta 2.29 Indice di sviluppo umano UE, 2012 .............................................................................................................................................95

Carta 2.30 Variazione nell'Indice di sviluppo umano UE, 2008–2012 .............................................................................................95

Carta 3.1 Vulnerabilità potenziale al cambiamento climatico ........................................................................................................101

Carta 3.2 Idoneità media agli impianti fotovoltaici a livello delle regioni NUTS 3 ..............................................................106

Carta 3.3 Congestione sulla rete stradale ad alta velocità nelle zone urbane funzionali (ZUF), 2012 ...................114

Carta 3.4 Concentrazione di particolato aerodisperso (PM10), 2011 ...........................................................................................116

Carta 3.5 Concentrazione di ozono al livello del suolo (O3), 2011 ...............................................................................................116

Carta 3.6 Dimensione relative delle aree edificate, 2012.................................................................................................................118

Carta 3.7 Area edificata pro capite, 2012 ..................................................................................................................................................118

Carta 3.8 Incremento delle aree edificate a Vienna, Palermo, Praga e Helsinki, 1950–2006 ......................................121

Carta 3.9 Variazione nell’uso del suolo a Bucarest, Praga, Monaco, Edimburgo e Bratislava,

2006–2012.................................................................................................................................................................................122, 123

Carta 3.10 Principali corpi idrici in condizioni ecologiche realmente o potenzialmente non soddisfacenti .............126

Carta 3.11 Aree NATURA 2000, 2012 ............................................................................................................................................................126

Carta 3.12 Acque reflue urbane sottoposte a un trattamento rigoroso, 2010 ........................................................................129

Carta 3.13 Acque reflue non sottoposte a raccolta, 2010 ...................................................................................................................129

Carta 3.14 Capacità di fornire servizi ecosistemici — Indice TESI ..................................................................................................132

Carta 3.15 Infrastrutture verdi ............................................................................................................................................................................132

Carta 3.16 Capacità degli ecosistemi di assorbire il biossido di azoto (NO2) nelle zone funzionali urbane ............134

Carta 3.17 Concentrazione di biossido di azoto (NO2), 2011 ...........................................................................................................134

Carta 3.18 Scarico e ritenzione dell'azoto dai principali fiumi europei .........................................................................................135

Carta 4.1 Aiuti regionali 2011–2013 ............................................................................................................................................................158

Carta 5.1 Indice di percezione della corruzione, 2013 ........................................................................................................................167

Carta 5.2 Indice europeo sulla qualità istituzionale, 2013 ...............................................................................................................170

Carta 5.3 Indice di autogoverno regionale, 2011 ..................................................................................................................................173

Carta 5.4 Variazione nell'indice di autogoverno regionale, 1960–2011 ...................................................................................173

Page 331: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Elenco delle figure, delle carte, delle tabelle e dei riquadri

293

Carta 6.1 Ammissibilità delle regioni ai Fondi strutturali (FESR ed FSE) per categoria, 1989–2013 ......................184

Carta 6.2 Indice Europa 2020, 2011 — Distanza dagli obiettivi UE ..........................................................................................199

Carta 6.3 Indice Europa 2020, 2011 — Distanza dagli obiettivi nazionali .............................................................................199

Carta 8.1 Ammissibilità delle regioni ai Fondi strutturali (FESR ed FSE) per categoria, 2014–2020 ......................238

Carta 8.2 Ammissibilità dei paesi al Fondo di coesione per categoria, 2014–2020 .........................................................238

Carta 8.3 Investimenti per la crescita e l'occupazione: tasso massimo di cofinanziamento per il sostegno

dei Fondi strutturali, 2014–2020 ..............................................................................................................................................240

Carta 8.4 Finanziamenti per R&SI, TIC, competitività delle PMI ed economia a basso contenuto di carbonio,

2014–2020............................................................................................................................................................................................241

Carta 8.5 Finanziamenti per un'economia a basso contenuto di carbonio, 2014–2020 .................................................241

Carta 8.6 Iniziativa per l'occupazione giovanile, 2014–2020 .........................................................................................................244

Carta 8.7 Programmi di cooperazione transfrontaliera nell'ambito del FESR, 2014–2020 ..........................................255

Carta 8.8 Programmi di cooperazione transnazionale nell'ambito del FESR, 2014–2020 ............................................256

Carta 8.9 Impatto degli interventi nelle infrastrutture di trasporto sull'accessibilità, 2030 .........................................270

Carta 8.10 Impatto degli interventi a favore delle infrastrutture di trasporto sul PIL regionale, 2030 ....................270

Carta 8.11 Impatto a breve e lungo termine della diminuzione dei costi di trasporto sul PIL in cinque

regioni polacche ..................................................................................................................................................................................272

Carta 8.12 Impatto degli interventi a favore delle risorse umane sul PIL, media annua 2014–2023 ......................273

Carta 8.13 Impatto degli interventi a favore del settore R&S sul PIL, media annua 2014–2023 ...............................273

Carta 8.14 Impatto dei programmi della politica di coesione 2014–2020 sul PIL, media annua 2014–2023 ....275

Carta 8.15 Impatto dei programmi della politica di coesione 2014–2020 sul PIL, 2030 .................................................275

Elenco delle tabelleTabella 1.1 Indicatori chiave relativi ai Balcani occidentali, 2003–2012 ......................................................................................10

Tabella 1.2 Variazione dell'occupazione e del VAL per settore e gruppo di Stati membri, 2000–2008

e 2008–2012 .........................................................................................................................................................................................13

Tabella 1.3 Ripartizione della variazione media annua del VAL pro capite, 2000–2008 e 2008–2012 .....................15

Tabella 1.4 Variazioni del PIL pro capite, della produttività e dell'occupazione pro capite per tipologia

di regione metropolitana, 2000–2008 e 2008–2011 ....................................................................................................17

Tabella 1.5 Variazioni nella crescita del PIL pro capite, della produttività e dell'occupazione pro capite

per tipologia di regione metropolitana, 2000–2008 e 2008–2011 .......................................................................18

Tabella 1.6 Spesa totale per R&S e distanza dall'obiettivo 2020, regioni dell'UE–28, 2011 ............................................31

Tabella 1.7 Popolazione tra i 30 e i 34 anni con un'istruzione terziaria, regioni dell'UE–28, media 2013 ................39

Tabella 1.8 Pesi utilizzati per l’elaborazione dell’indice di competitività regionale 2013 ....................................................52

Tabella 2.1 Tasso di occupati 20–64 anni, regioni dell’UE–28, 2000–2013, distanza dall’obiettivo nazionale ......58

Tabella 2.2 Tasso di disoccupazione, regioni dell'UE–28, 2000–2013 ...........................................................................................58

Tabella 2.3 Abbandono scolastico precoce e distanza dall'obiettivo nazionale, regioni dell'UE–28,

2008–2013 .............................................................................................................................................................................................66

Tabella 2.4 Evoluzione demografica per tipologia urbano–rurale, 1961–2011 ........................................................................83

Tabella 2.5 Popolazione per grado di urbanizzazione, 1961–2011 .................................................................................................86

Page 332: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

294

Tabella 2.6 Variazione demografica, variazione naturale e migrazione netta per tipologia urbano–rurale,

2001–2011 .............................................................................................................................................................................................86

Tabella 2.7 Struttura per età della popolazione, divisa per tipologia urbano–rurale, 2012 ...............................................88

Tabella 2.8 Variazione demografica, saldo naturale e migrazione netta nelle regioni dislocate lungo i confini

terrestri, 2001–2011 .........................................................................................................................................................................88

Tabella 3.1 Area edificata per abitante, regioni UE, 2012...................................................................................................................117

Tabella 4.1 Spesa pubblica subnazionale per funzione, 2013 ..........................................................................................................145

Tabella 4.2 Spesa pubblica subnazionale per funzione, 2013 ..........................................................................................................146

Tabella 5.1 Avviare un'impresa nel 2014 .....................................................................................................................................................163

Tabella 5.2 Stima dei costi diretti della corruzione negli appalti pubblici in un campione di 8 Stati membri .......166

Tabella 5.3 Tipologia di corruzione per area strategica ........................................................................................................................167

Tabella 6.1 Popolazione per categoria di regione, 1989–2020 .......................................................................................................182

Tabella 6.2 Finanziamenti per la cooperazione territoriale, 1989–2020 ...................................................................................186

Tabella 6.3 Distribuzione dei finanziamenti tra categorie di regioni, 1989–2020 ................................................................187

Tabella 6.4 Intensità degli aiuti annua per categoria di regione, 1989–2020 ........................................................................187

Tabella 6.5 Ripartizione per Fondo, 1989–2020 .....................................................................................................................................188

Tabella 6.6 Finanziamento della politica di coesione per macroarea strategica nell'UE–15, 1989–2013 .............206

Tabella 6.7 Finanziamento della politica di coesione per macroarea strategica nei paesi aderenti,

2004–2013 ..........................................................................................................................................................................................207

Tabella 8.1 Quote minime di supporto dell'FSE per Stato membro nell'ambito dell'obiettivo Investimenti

per la crescita e l'occupazione, 2014–2020 .....................................................................................................................242

Elenco dei riquadriTurchia ........................................................................................................................................................................................................................................7

Le disparità economiche regionali nel mondo .....................................................................................................................................................8

Balcani occidentali ............................................................................................................................................................................................................10

Scomposizione della crescita in VAL pro capite ...............................................................................................................................................16

Dimensione della città, benefici dell'agglomerazione e governance metropolitana ...................................................................19

Definizione OCSE–UE di città e zona di pendolarismo e di regioni metropolitane .......................................................................23

Il pendolarismo e le geografie funzionali ............................................................................................................................................................24

Novità rispetto al grado di urbanizzazione e alla tipologia urbano–rurale ......................................................................................25

Indice dell'imprenditorialità regionale e dello sviluppo — REDI .............................................................................................................28

Programma quadro per la competitività e l'innovazione............................................................................................................................35

Programmi quadro di ricerca ......................................................................................................................................................................................39

L'agenda digitale ...............................................................................................................................................................................................................41

La politica comune dei trasporti contribuisce alla coesione e allo sviluppo regionale tramite il miglioramento

dell'accessibilità .................................................................................................................................................................................................................43

La Strategia europea per l'occupazione e le politiche UE in materia di mercato del lavoro di risposta alla crisi......61

Istruzione e formazione 2020 ...................................................................................................................................................................................66

Cosa si intende per “a rischio povertà o esclusione sociale” (indicatore AROPE)? ........................................................................73

Page 333: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Elenco delle figure, delle carte, delle tabelle e dei riquadri

295

La strategia sanitaria dell'UE .....................................................................................................................................................................................92

Emissioni imputabili alla produzione ed emissioni imputabili al consumo ...................................................................................103

La dimensione territoriale del pacchetto sul cambiamento climatico e l’energia .....................................................................105

Migliorare l'accesso ai mezzi pubblici ad Atene ...........................................................................................................................................112

Pacchetto sulla mobilità urbana ............................................................................................................................................................................112

L’Atlante urbano mostra che i cambiamenti più veloci sono avvenuti nelle città centro–orientali .................................120

La politica ambientale e i territori dell'UE........................................................................................................................................................127

La letteratura economica riguardante gli effetti della spesa pubblica sulla crescita .............................................................141

Definizioni di buona governance............................................................................................................................................................................162

Differenze tra paesi per quanto riguarda la facilità di fare impresa ................................................................................................163

L’amministrazione digitale e gli appalti elettronici possono migliorare la facilità di fare impresa riducendo

i costi .....................................................................................................................................................................................................................................164

Metodi di lotta alla corruzione ................................................................................................................................................................................168

Come è stato sviluppato l’indice europeo sulla qualità delle istituzioni? .......................................................................................171

L'indice di autogoverno regionale .........................................................................................................................................................................172

Principi OCSE sull'efficacia degli investimenti pubblici: una responsabilità condivisa tra i vari

livelli istituzionali ............................................................................................................................................................................................................174

La qualità dell'azione di governo come elemento determinante per l'efficacia della politica di coesione ..................177

Cooperazione macroregionale ................................................................................................................................................................................185

Programmi di cooperazione territoriale iniziati nel 1989 con INTERREG .......................................................................................186

Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) ..................................................................................................................191

Regioni ultraperiferiche...............................................................................................................................................................................................193

Comitato delle regioni e dimensione territoriale di Europa 2020 e di altre politiche dell’UE .............................................200

La coesione territoriale e il trattato di Lisbona del 2007 .......................................................................................................................202

Gli strumenti finanziari nel periodo 2007–2013..........................................................................................................................................208

Esempi di programmi di sostegno alle imprese ...........................................................................................................................................214

Esempi di progetti finanziati in ambito RSTI ...................................................................................................................................................215

Esempi di progetti finanziati in ambito TIC .....................................................................................................................................................215

Esempi di progetti finanziati in ambito trasporti ..........................................................................................................................................216

Migliorare la qualità delle domande relative ai grandi progetti ..........................................................................................................217

Esempi di progetti finanziati in materia di infrastrutture ambientali ...............................................................................................217

Esempi di progetti finanziati in ambito energetico .....................................................................................................................................218

Esempi di progetti finanziati in ambito urbano e nel settore delle infrastrutture turistiche, culturali, sociali

e scolastiche .....................................................................................................................................................................................................................219

Gruppi di intervento sulla disoccupazione giovanile ..................................................................................................................................220

Valore aggiunto europeo tramite la costruzione di reti e la diffusione di buone prassi ........................................................222

Valutazioni controfattuali ..........................................................................................................................................................................................224

Esempi di valutazioni di impatto controfattuale sull’FSE condotte negli Stati membri .........................................................231

L’impatto della politica di coesione: una sintesi delle ricerche economiche svolte ..................................................................233

Page 334: Politica di coesione della UE: sesta relazione della Commissione in Italiano

Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale

296

La politica di coesione nell'ambito delle politiche economiche dell'UE ...........................................................................................235

Il Meccanismo per collegare l'Europa (MCE) ...................................................................................................................................................236

Il Fondo di solidarietà dell’Unione europea (FSUE) .....................................................................................................................................237

Criteri per la soddisfazione delle condizionalità ex ante nel settore R&S e Innovazione .....................................................243

Logica di intervento della politica di coesione nel periodo 2014–2020 — L'esempio del sostegno

al settore high–tech in una delle regioni più sviluppate ..........................................................................................................................245

Principi di eccellenza ....................................................................................................................................................................................................247

Connessione tra quadro macroeconomico ed efficacia dei fondi SIE ...............................................................................................249

Bilancio dell’UE: differenza tra impegni e pagamenti ................................................................................................................................250

Applicazione progressiva del principio di condizionalità macroeconomica in caso di non conformità rispetto

alla procedura per i disavanzi eccessivi ............................................................................................................................................................251

Sviluppare le simulazioni ...........................................................................................................................................................................................267

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