pon c-1-fse-2009-758 apprendista scrittore

71
ITC “VITALE GIORDANO” PON APPRENDISTA SCRITTORE A.S. 2009/2010 Prof.ssa Benedetta Giorgio

Upload: coviello-c

Post on 21-Jul-2015

197 views

Category:

Education


0 download

TRANSCRIPT

ITC“VITALE GIORDANO”

PONAPPRENDISTA SCRITTORE

A.S. 2009/2010

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Prof.ssa Benedetta Giorgio

DOCENTI TUTOR

PROF.ssa ANGELA MARIA CASTELLANETA Prof. GAETANO EUGENIO BALDASSARRE

DOCENTE ESPERTA

PROF.ssa BENEDETTA GIORGIO

Prof.ssa Benedetta Giorgio

“Meglio scrivere per se stessi e non avere pubblico, che scrivere per il pubblico e non avere se stessi”. (Marc Connelly)

Prof.ssa Benedetta Giorgio

BINOMIO FANTASTICO

SCRITTURA IMMANENTESE MI SVEGLIASSI E….

IL GUSTO INTENSO DELL’ULTIMA SIGARETTA

SCRITTURA SEMANTICA

CARO DIARIO

LETTERA A ME STESSA

SCRITTURA CREATIVA

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Scrivere è per me il bisogno di rivelarmi, il bisogno di risonare, non dissimile dal bisogno di respirare, di palpitare, di camminare incontro all'ignoto nelle vie della terra. (Gabriele D'Annunzio, Notturno)

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Prof.ssa Benedetta Giorgio

La parola singola (gettata li a caso, con la sua forza evocativa di immagini, ricordi, fantasie, personaggi, avvenimenti del passato, …) agisce solo quando ne incontra una seconda che la provoca, la costringe ad uscire dai binari dell'abitudine, a scoprirsi nuove capacità di significato …. Una storia può nascere solo da un binomio fantastico.“ G. Rodari

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Un amore impossibile Computer/Amare

Questa storia che vi stiamo per raccontare non è la solita:”C’era una volta…”.Ma è una storia che vi farà ridere, gioire e soprattutto emozionare. Le storie classiche oramai sono passate, non è più tempo di castelli, draghi, principesse da salvare e principi su bianchi destrieri.Nel ventunesimo secolo la parola d’ordine è computer… già il computer strano mezzo che può permetterci di comunicare, ci aggiorna e ci diverte. La nostra buffa storia narra di uno strambo computer: Jasper.Jasper è il computer di un’ adolescente molto “incasinata” che vive a New York. Il nostro amico ogni giorno ha a che fare con problemi d’amore, incomprensioni, litigi ,tutte cose che fanno parte della vita di una ragazza.Quando la ragazza è a scuola e in casa non c’è nessuno, Jasper ne approfitta per andare a far una visita ai suoi amici.Un caldo giorno d’estate Jasper decide, come di consueto, di partire per un viaggio… e non un qualsiasi viaggio, niente popò di meno che a Electrolandia , la città della tecnologia.Jasper all’arrivo si sente realizzato e contento, ma purtroppo deve subito ripararsi perché un’ inaspettata pioggia lo coglie di sorpresa e tutti noi sappiamo che i computer non sono resistenti all’acqua.Jasper ed i suoi amici trovano rifugio in una taverna.Il padrone della taverna li accoglie con molta gentilezza e mostra loro subito le camere in cui avrebbero alloggiato. La notte passa velocemente e al mattino Jasper e i suoi amici sono pieni di forze ed energie. Ben presto si precipitano fuori dalla taverna per concedersi ai migliori divertimenti. Al pomeriggio i nostri “Don Giovanni” tornano nel loro “hotel” , ma a questo punto non è più l’ondata di calore a colpire Jasper, bensì è la travolgente bellezza di Alice, figlia- computer del proprietario della taverna.

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Jasper alla sua vista andò in “cortocircuito”, imbarazzato le si presentò e tra i due nacque feeling.Il giorno seguente Jasper invitò Alice a trascorrere la giornata con lui e lei accettò volentieri, anche se ciò andava contro il volere del padre.Jasper orami sentì di essere innamorato ma preferì non confessare i suoi sentimenti alla sua amata, perché per lui era giunto il momento di andare e perché temeva di non essere contraccambiato e ricevere una tremenda delusione.Così se ne andò amareggiato e sconsolato. Tornato a casa la situazione non cambiò, anzi peggiorò di giorno in giorno. Passano le settimane ,i mesi ma nulla cambiò. I suoi amici decisero di fare qualcosa: riportarlo da Alice.Jasper, in un primo momento, fu contrario a questa idea, però poi incoraggiato dagli amici decise di tornare. So che penserete che è difficile per un computer provare emozioni, ma Jasper era diverso. Tornato dalla sua amata fu pieno di felicità e amore.Però a questo punto ci dovrebbe essere un :” E vissero felici e contenti” , ma…il padre di Alice contrastò in tutti i modi questo amore.Dopo varie vicissitudini, Jasper riuscì a farsi accettare dal padre della sua amata. Così, il nostro buffo computer esplose dalla felicità.Finalmente potè coronare il suo sogno:sposare Alice.Quel giorno Jasper non lo dimenticherà mai, lo “salverà” nella sua memoria per l’eternità.Da questa storia abbiamo imparato che l’amore è universale e può manifestarsi in tutti i modi possibili, anche tra computer!E adesso per dare un tocco di autenticità, dirò :“E VISSERO TUTTI FELICI E CONTENTI” 

Cirrincione Apollonia

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Computer/ amare UN COLPO DI FULMINE C’era una volta, un computer che si differenziava dagli altri perché era dotato di poteri magici. Si chiamava Top e aveva un’amica di nome Sara alla quale dava sempre consigli perché era una ragazza che spesso si metteva nei pasticci.Un giorno Top, rimasto solo in casa, approfittò per uscire e per farsi una bella passeggiata in città con i suoi amici Pingo e Gerry. Ad un tratto gli occhi di Top si illuminarono perché vide una bella “girl-computer”.Lei si chiamava Fantasy, era così bella che tutti i “boy-computer” la desideravano, ma a lei non importava niente di nessuno, perché non aveva trovato il computer confacente ai suoi desideri. Top si avvicinò a lei e le propose di uscire. Lei accettò. Top tornò a casa felice e contento. Sara, nel vedere il suo amico, rimase stupita e gli chiese il perché del buon umore della giornata. Top le raccontò tutto quello che era successo e, poiché il giorno seguente avrebbe dovuto uscire con Fantasy, questa volta fu lui a chiederle dei consigli. Top per tutta la notte non fece altro che pensare ansiosamente all’appuntamento del giorno seguente. Finalmente, arrivò il momento tanto atteso da Top. Uscirono e trascorsero una bella serata insieme: al termine del loro appuntamento entrambi confessarono i sentimenti che provavano l’uno per l’ altro. E da quel giorno nacque un grande amore che crebbe giorno dopo giorno.

Sonila Gjika

Prof.ssa Benedetta Giorgio

L’amore oltre il computer

Computer/Amare

Questa storia narra di un ragazzo schiavo del computer, per cui non accennerò al nome (per questione di privacy).Questo ragazzo, assolutamente patetico, era solo e disperato finché non scoprì un sito internet…Ops! Sto correndo troppo, andiamo con calma.Aveva sedici anni, forse, andava al liceo scientifico, o al classico?Era un ragazzo con una propria cultura, colui che comunemente definiamo un genio; purtroppo non brillava per bellezza, infatti, era emarginato da tutti per il suo aspetto fisico.Tornava a casa triste e angosciato e doveva anche sorridere per non far preoccupare la madre. Si sentiva perso e amareggiato e decise di affogare le sue pene nel computer.Mentre navigava, però, trovò il suo ultimo barlume di speranza: un sito per incontri via internet.Richiedeva un nome e la foto. Ovviamente lui non mise la sua foto, anzi, utilizzò la foto di suo fratello che, al contrario di lui, aveva il viso di un angelo. Arrivavano richieste di appuntamento da ogni parte; alla fine ne trovò una adatta a lui: si chiamava Angela, una bella ragazza. Conversarono a lungo e di molte cose, alla fine, però, arrivò il momento cruciale: l’appuntamento. Come poteva andarci? Non si era mostrato quello che era, non poteva andare da lei e rivelargli la triste verità, non sarebbe stato giusto.Prese una decisione ancora più triste: la lasciò. Non potete immaginare quanto fu difficile e doloroso, ma andava fatto. Il giorno dopo uscì per strada e, incredibile a vedersi, era lì, davanti a lui, la ragazza che aveva ingannato: Angela. Avrebbe voluto dirle tante cose, quanto l’amava e quanto fosse dispiaciuto, e invece stava lì, zitto, ad osservarla.  

Lorenzo Viesti   

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Tu, la mia salvezza

Computer/amareIn una stanza, ormai abbandonata dalla famiglia Rossi, c’erano molti elettrodomestici, tra cui un computer. Esso era sopranominato, dalla gente ,Lucifero poiché era considerato “un’ anima selvaggia e pericolosa” per i bambini. Un giorno la figlia del signor Rossi , Federica , pensò di andare in cantina a cercare un vecchio televisore che le fu regalato dal nonno ormai defunto. Quando la ragazza entrò, udì uno strano rumore proveniente dalle scale che erano presenti alla sua destra. Incuriosita, cominciò a cercare la fonte del rumore . Una volta raggiunte le scale si accorse che c’era una scatola basculante. La piccola colse subito l’occasione per avvicinarsi e per scoprire cosa ci fosse dentro di essa; così l’aprì e subito un urlo la scosse :” Ehi piccolina ti aspettavo da tanto, tempo stavo per morire; sei tu la mia salvezza, l’unica in grado di sapermi AMARE…..”. Ella rimase perplessa ma dopo un po’ ribatté:”Ma uno come te , un computer , non può parlare !!!!Ma sto……sto sognando?”.” Piccola non stai sognando è realtà , tu devi salvarmi presto altrimenti mi uccideranno.” . Federica prese tra le sue braccia , Lucifero e cominciò a coccolarlo come se fosse un bambino appena nato. Egli si sentì per un attimo uno strumento fortunato perché per la prima volta una persona , anche se solo una bambina , era in grado di aiutarlo e di saperlo consolare , amare. Per Lucifero quell’attimo significò l’eternità . In cambio egli le mostrò un video costituito da una successione di immagini di bambole e caramelle . La fanciulla sorrise e con tanto affetto lo abbracciò . Lucifero la ringraziò perché nessuno l’aveva fatto sentire così importante e l’aveva amato anche se per un solo attimo . Fra i due nacque un’ amicizia “segreta” che durò per l’eternità. Anna Ruggiero 

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Computer \ amareIL COMPUTER MAGICO

A volte si pensa che il computer sia un mezzo pericoloso ma …Tantissimi anni fa vivevano dei maghi che avevano autorità su tutti i paesi dei propri regni. Un giorno si riunirono in un’assemblea per discutere su un problema comune; il popolo non si amava, c’era solo odio e tutti erano stanchi della vita che conducevano! Decisero quindi di cercare una soluzione a questo problema che si manifestava da qualche tempo. Ripresero dei vecchi libri di formule magiche e cercarono quelle che sicuramente gli avrebbero aiutati. Un giovane mago, che non aveva esperienza sbadatamente prese un libro e mentre leggeva una frase, davanti ad essi si sollevò un polverone. Ma cos’era? Un oggetto? Sì ma cosa. Nessuno aveva mai visto un “oggetto” del genere. Decisero di chiamarlo Computer che per la loro lingua significava: “Novità”. Esso all’inizio fu preso poco in considerazione, tutti pensavano che fosse un oggetto senza alcuna utilità, ma una notte, mentre tutti dormivano, un ragazzo orfano, piangeva perché non si sentiva amato da nessuno ed era solo. Si sedette su una panchina in una piazza in cui era stato lasciato il computer e sentì una voce che gli chiedeva ripetutamente: “ Perché piangi ?” Il ragazzo non credeva che questa voce provenisse da quell’oggetto che tutti consideravano inutile. Sì avvicinò ad esso e sentì un’altra volta la voce che lo reinterrogava , capì che proveniva dal computer. Il computer parlava: era una cosa insolita. Decise di rivolgergli la parola. Così finalmente con lui riuscì ad aprire il cuore e a comunicare tutti i sentimenti che ogni giorno provava. Non fu il solo, molte persone riuscirono a riprendere energia grazie ad esso si ricordarono che la vita è un dono che è inutile sprecare vivendola in modo negativo. Il computer, essendo intelligente, riuscì a divulgare a tutta la gente la cultura, infatti maghi vietavano questo perché volevano restare gli unici colti, permisero a raggirare tutta la gente. Tutti divennero amici di questo magnifico computer che riuscì a trasmettere lezioni di vita; ma la cosa più bella fu che affezionandosi alla gente riuscì a trasmettere quel sentimento o vero: l’amore! I maghi iniziarono ad essere invidiosi di questo rapporto nato tra il computer e la gente. Nessuno ascoltava più loro, ma solo i consigli giusti del computer. I maghi,allora, decisero di infliggere una punizione: trasformare il computer in un essere anziano e molto cattivo in modo che la gente non si sarebbe accorta di quello che era stato fatto del computer. Il giorno seguente nessuno riuscì a trovare il computer, tutti piansero per la perdita di esso ma capirono che da esso avevano ricavato esperienze di vita eterne:amarsi e affrontare la vita in modo sereno.Questa fantastica storia è stata tramandata di generazioni in generazioni e da essa dobbiamo ricavarne che il computer non è un “oggetto” pericoloso ma può offrire tanto. 

AnnaRita Portento

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Si può insegnare a un computer a dire "Ti amo", ma non gli si può insegnare ad amare.Albert Jacquard, Piccola filosofia ad uso dei non filosofi, 1997

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Kafka sembra aver creato nelle sue opere un mondo parallelo: a differenza della maggior parte degli scrittori, che si limitano a descrivere il mondo che li circonda o ciò che è dentro di loro, in lui la parola sembra segno di qualcosa che, altro dalla comune esperienza della vita, si percepisce come ineffabile e concreto al tempo stesso (pensiamo alla descrizione - tanto più assurda quanto più realistica - dell'insetto della Metamorfosi), ma dotata di tale pregnanza da accentuare il mistero, e creare nel lettore tensione, curiosità e domande senza fine. E. Bertozzi

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Prof.ssa Benedetta Giorgio

SE MI SVEGLIASSI E . . . Adesso, mi ritorna in mente quella strana mattina di primavera in cui, mi sono svegliata precipitandomi dal letto per dirigermi verso lo specchio. Ma non appena mi sono trovata davanti ad esso, ha notato di aver perso tutte le sembianze umane e di essere diventata una farfalla, bella e coloratissima, ma soprattutto libera e spensierata. Inizialmente non sono stata molto contenta di quello che mi era accaduto, anzi ho avuto molta paura, ma successivamente ho pensato che diventare una farfalla avrebbe potuto comportare anche molteplici aspetti positivi. Ero totalmente immersa nei miei mille pensieri, e quindi non mi ero resa conto che erano già arrivate le 7:45. Ma la voce della mamma che mi diceva: “Franci, dai sbrigati che è tardi, a quest’ora dovresti già essere a scuola! Sei sempre la solita ritardataria!”, mi riportò alla realtà. Così, chiamai i miei genitori ai quali feci notare l’accaduto. Loro non credevano ai propri occhi e pensarono che gli avessi fatto uno scherzo. Solo quando la mamma si china su di me e sentì la mia voce provenire direttamente dalla farfalla, credette ai suoi occhi. E’ durato poco ma è stato un bellissimo sogno, per pochissimo tempo ho pensato che diventare una farfalla poteva essere la soluzione migliore per liberarmi dalla fretta e dai mille pensieri di ogni giorno. Forse, però della vita da farfalla mi sarei anche stancata, perciò è stato bello finché è durato. Adesso, ripensandoci credo che non ce l’avrei fatta a vivere sola immersa nella natura, senza l’affetto dei miei familiari, dei miei amici, e sembrerà strano, ma mi sarebbe mancata anche la mia scuola perché,anche se la critichiamo tanto, in fondo è lì che abbiamo vissuto i nostri migliori anni, e ancora oggi è lì che viviamo i momenti più belli della nostra vita. Inoltre, penso che diventare una farfalla mi avrebbe reso triste, perché io che amo la vita non avrei sopportato l’idea di dover vivere soltanto una giornata.  

Francesca Maggio

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Se mi svegliassi e.........

Una sera d’estate mi risvegliai e mi ritrovai distesa nella vasca. Ero diventata un delfino, bellissimo, delicato, fragile ma soprattutto FELICE. Stavo molto bene: ero libera e il mondo sembrava ai miei occhi strano e colmo di gente inutile in grado solo di saper parlare ma non di affrontare i problemi concretamente.Era bello vedere il mondo con occhi diversi, avevo voglia di scoprire nuove cose e di conoscere nuovi esseri viventi. Ora, l’unico problema erano i miei genitori : non sapevo come far comprendere la mutazione fisica; immaginavo che nessuno mi avrebbe accettata ma io volevo restare così perché il delfino era l’unico animale che m rappresentava realmente : esso è un mammifero solare, proprio come me. Non volevo più uscire di casa perché conoscevo il rischio che avrei corso, ma un giorno decisi di andare in cucina e farmi vedere da mia madre. Quando lei mi vide, rimase scioccata perché non mi riconobbe. Io ebbi il coraggio di spiegarle tutto, lei si convinse e capì che la mia vita era destinata ad essere vissuta in una vasca. Amavo questo stile di vita perché mi piaceva passare le ore in vasca, a costo di litigare con i miei perché restavo ore rinchiusa in bagno. Per fortuna i miei amici accettarono questa mia nuova “vita”. Io fui molto felice di vivere la mia vita così, una vita diversa ma soprattutto la vita che desideravo.

Anna Ruggiero

Prof.ssa Benedetta Giorgio

SE MI SVEGLIASSI E… Andai a dormire dopo una giornata storta e, chissà per quale motivo pensai alle scimmie: creature libere e senza vestiti; come vorrei dondolarmi di qua e di là nudo proprio come loro, mangiare a sbafo frutta e soprattutto banane! Il giorno dopo mi svegliai e stentavo a crederci: ero una scimmia. Ero così felice che la prima cosa che feci fu togliermi i vestiti. E adesso? Che cosa avrebbe fatto una scimmia nella camera di un bambino? Tutto quel pensare mi fece venir fame, avevo un’immane voglia di banane, come se avessi sviluppato una specie di malattia, la”bananamania”. Scesi in cucina a saccheggiare il frigorifero, ma quando lo aprì un riflesso incondizionato del mio corpo, mi fece urlare, probabilmente perché c’era della carne e forse, la mia nuova forma non sopportava quella visione. Qualunque fosse stato il motivo, il mio urlo svegliò l’intera casa e mia madre si precipitò in cucina stramazzando per la paura.Tentai di comunicare ma lei percepiva solo i versi di una scimmia. Per evitare il pericolo di una padellata in testa scappai dalla finestra e mi allontanai da casa. Mi ritrovai in una giungla, urbana però.Sul marciapiede vi era una moltitudine di persone che si muoveva in modo caotico come se scappasse da un predatore. Per strada le macchine correvano incuranti dei semafori come un gruppo di pesci. La gente mi guardava con aria sospetta; mi chiedevo il perché, anche se era ovvio.Ero disorientato e spaventato: volevo tornare a casa ma non potevo,ridotto così. Mentre pensavo ad una soluzione, un passante mi prese e mi mise in un sacco; gridavo aiuto ma nessuno mi capiva. Fui portato nello zoo locale e rinchiuso in una gabbia insieme a miei simili. Riuscivo a capirli,sentivo le loro voci che mi rimproveravano perché ho paragonato la loro vita a una vita libera. Stavo impazzendo con tutte quelle voci in testa ma alla fine mi svegliai sollevato dal fatto che era solo un sogno.

VIESTI LORENZO 

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Se mi svegliassi e Quando mi sono svegliata non capivo niente vedevo solo un letto sporco di sangue, la testa mi girava forte. Pian piano cercai di alzarmi dal letto e mi soffermai ad osservare la mia immagine riflessa allo specchio.Avevo la pelle bianca gli occhi quasi rossi ed ero fredda, molto fredda.Improvvisamente una scarica di vitalità mi percorse lungo il corpo mi sentivo più agile e più forte: provai a saltare giù dalla finestra nemmeno un graffio! Whow! io che ero una schiappa in educazione fisica ora ero agile come un felino! Con una sorprendente velocità raggiunsi il fiume che si trovava al centro del bosco, di fronte a casa mia.Avevo la gola secca volevo bere. Mi chinai per bere un po’ d’acqua, ma la mia sete persisteva. Sentii un buon profumo giungere dal cespuglio che stava più avanti. C’era un cerbiatto. Inferocita quasi come un leone mi avventai sul povero animale: la mia sete era passata!Mi specchiai nell’acqua del fiume, i miei occhi non erano più rossi ma dorati. Corsi per tutto il bosco, cercando di sfogare la mia rabbia, poi mi precipitai in camera e mi adagia sul letto sporco.Cosa ero? Cosa mi stava succedendo? Mi chiusi nella mia camera per riflettere e feci una ricerca su Internet sulle buffe cose che mi stavano capitando, Aprii una pagina a caso ed ero un vampiro!Il bicchiere di acqua che avevo in mano cadde per terra frantumandosi in mille pezzi, non potevo crederci ero un mostro! E ora si spiegavano molte cose: la pelle fredda, la strana voglia di sangue, gli occhi dorati che diventavano man mano rossi, il non dormire, la incredibile forza e agilità e la pelle bianchissima.Tra tanti dubbi che avevo in mente uno era il più importante: perché? Perché ero un vampiro? A chi mi dovevo rivolgere? Di certo non a mia madre, mi avrebbe creduto pazza, ma soprattutto, mi chiedevo: “come farò a essere accetta”!? I vampiri sono creature estinte da molto tempo, nessuno ci crede più. Inoltre non sono viste di buon occhio perché sono i predatori più pericolosi che possano esistere, sarei stata messa messa alla berlina da tutti e trattata come una cavia per esperimenti o peggio isolata.Mi lavai e mi cambiai i vestiti sporchi, poi andai a scuola, sentivo i mormorii della gente che parlava di me.Tutti mi trovavano strana e cambiata, più bella ma quasi irreale. Il mio fidanzato: Naith mi prese la mano e la trovò molto fredda, io mi giustificai dicendogli che era l’effetto della neve e lui ci credette. La giornata trascorse lentamente, era insopportabile perché tutti mi fissavano sbalorditi, però non mi riuscii a spiegare una cosa: come mai un vampiro, circondato da così tanti umani, non aveva il desiderio di sangue umano? Perche?Tornata a casa mi rinchiusi in camera per cercare di dormire un po’ ma non riuscivo a fare nemmeno quello…ah già, un altro particolare di noi vampiri! Anche se aveva nevicato, qualche raggio di luce si intravedeva, provai a mettere il mio braccio al sole…ero sbalordita!

Prof.ssa Benedetta Giorgio

La mia pelle luccicava. Su di essa sembravano stesi tanti piccoli diamanti: era davvero stupenda.Appena mi riappoggiai sul letto ebbi un flashback. Ora ricordavo tutto: l’altra sera un ragazzo davvero incantevole: occhi azzurri,capelli castani quasi dorati,fisico perfetto e un’aria da eterno dannato, mi si avvicinò e mi baciò sul collo. Non era un bacio qualunque era quello di un vampiro.Mi aveva trasformata lui: ma chi era, perché proprio a me!I giorni passavano e i miei genitori non capivano perché non mangiassi e perché tutti mi evitavano. La bella ragazza di un tempo, quella solare, piena di amici, che voleva divertirsi, non esisteva più: neanche chi abita nel deserto era come me.La gente iniziava a notarmi, iniziava a mormorare. Tutti gli occhi erano puntati su di me, ero diventato lo zimbello della città, mi criticavano continuamente, mi evitavano. Solo la mia famiglia cercava di capire, anche il mio ragazzo mi evitava.In certi momenti ero tentata di dire loro tutto, ma qualcosa mi frenava. I giorni passavano e mi sentivo sola più che mai avevo perso tutto, mi rimaneva solo quella schifosa voglia di bere sangue.La cosa più orrenda è che arrivai ad uccidere persone a causa della mia natura. Mi vergognavo di me stessa, ma vivendo tra umani iniziai a cercare di abituarmi all’idea di saziarmi solamente di animali.Non era la cosa migliore però non potevo farci niente. La cosa peggiore era che non provavo più emozioni, ero vuota, la luce che brillava nei miei occhi si era spenta.Ma una cosa mi era rimasta: la musica, la mia passione, la mia ispirazione ,la cosa per cui vivevo non mi aveva tradita, grazie a lei mi sentivo viva.

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Era passato un anno da quando ero diventata un vampiro. Ora le cose mi sembravano più facili, non prestavo ascolto alle critiche altrui, le parole che sentivo le facevo “volare”. Vivevo meglio e affrontavo in maniera diversa questa mia nuova vita.Un giorno però decisi di vuotare il sacco: dissi tutto a Naith.Lui mi mancava troppo, sentivo che lui mi apparteneva ancora, era mio e dovevo riprenderlo. Tutto questo però era strano perché i vampiri non provano emozioni.Quando aprì la porta, Naith si stupì nel vedermi lì. Poi mi fece accomodare,ed io con molta calma gli raccontai tutto quello mi era successo un anno prima.Lui rimase a bocca aperta, non ci credeva pensava che fosse un trucchetto per rimettermi con lui. Così lo portai nel bosco e gli feci vedere la mia pelle ai raggi del sole: tanti piccoli diamanti, poi gli feci notare la mia straordinaria velocità e agilità nel saltare. Lui non ebbe parole. Il silenzio piombò su di noi.

Apollonia Cirincione

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Se mi svegliassi e …Una mattina d’inverno alzandomi dal letto con molta fatica, mi accorsi di essermi trasformata in una bellissima farfalla con due grandi e variopinte ali. Spaventata da ciò, iniziai a svolazzare per la stanza cercando di darmi una spiegazione anche se non ne trovavo una in grado di rispondere al mio “perché”. Non sapevo cosa fare, se andarmene oppure rimanere. Quello che mi metteva più ansia era il modo in cui avrebbero accolto la novità i miei genitori. Decisi di andarmene, lasciando loro un bigliettino su cui c’era scritto il motivo di questa mia improvvisa scomparsa. Mi ero isolata da tutto e da tutti, non volevo vedere nessuno e soprattutto me stessa, iniziai a piangere per quello che mi era successo. Svolazzavo inutilmente nel cielo senza saper dove andare, però poi arrivata sera decisi di ritornare a casa perché non riuscivo a stare senza i miei genitori. Entrai dalla finestra del salotto che era aperta, presi tutto il coraggio e mi presentai davanti a loro. I miei genitori mi riconobbero subito e gioirono nel rivedermi a casa. Mi dissero che a loro non importava ciò che ero diventata ma che fossi a casa con loro. Mi commossi tanto nel sentire che loro mi volevano ancora bene. Mia sorella decise di dormire nella mia stanza per sorvegliarmi e soprattutto per farmi compagnia, considerato il mio stato d’animo. Il giorno seguente mi risvegliai, e mi ritrovai di nuovo nel mio aspetto naturale. Scoppiai di gioia nel vedermi la Sonila di prima e per la felicità immensa svegliai mia sorella per comunicarle la stupenda notizia. Corsi subito in cucina a riferire questo anche ai miei genitori. Da quel giorno ritornai alla vita normale vivendola serenamente e in compagnia dei miei cari.

Sonila Gjika

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Se mi svegliassi...Ero nel mio letto. Era una di quelle mattine in cui non vuoi lasciare il letto, le coperte, il tepore.Notai che dalla finestra filtrava luce: era arrivato Maggio, il mio mese preferito.Mi rigirai un’altra volta e aprendo gli occhi notai qualcosa che non avevo notato prima avevo qualcosa davanti alla mia faccia, poi sentii qualcosa di ruvido sotto la mia guancia.Mi alzai di colpo ma non mi reggevo sulle mie gambe: c’erano delle zampe e quello che vedevo era un musetto. Mi osservai, invece del mio corpo c’era un cane, dal pelo marrone rossiccio. Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo.Continuai ad osservarmi <sono proprio io > pensai. Avvicinai la mia testa, il muso, alle zampe: odoravano di me.Mi guardai attorno e scesi, con un balzo, dal letto. Ero agilissima e per quanto potesse essere assurda quella situazione, mi piaceva.Andai verso il mio fidato specchio e quello che era riflesso era proprio ciò che avevo visto: un cagnolino, un cucciolo col pelo sfumato proprio del colore dei miei capelli. Rimasi affascinata. Era veramente bello quel cane: aveva un muso piccolo il pelo a volte rado e più scuro, il nasino nero e proprio nel momento in cui lo vidi fece uno starnuto. Risi tra me.

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Le zampe erano perfettamente proporzionate, ma piccole.Gli occhi, erano bellissimi,marrone chiaro tendenti al dorato.Cercai di capire di che razza fosse, sembrava un lupo.Rimasi così estasiata che mi dimenticai che quel cagnolino ero io. La luce che filtrava dalla finestra era aumentava ed ma io non riuscivo a staccare gli occhi da quel cicciolo.La sveglia suono e qualcuno bussò alla porta contemporaneamente.Mi svegliai e solo in quel momento mi preoccupa: ero un cane.Come avrei potuto rispondere alla persona che stava bussando? Un’altra volta”toc-toc” ed aprì la porta.Emily, mia sorella, guardò verso il letto ma non mi vide. Girandosi fissò e nel suo sguardo leggevo sorpresa, la sua paura.<Angela, dove sei? Qui c’è un cane!! Cosa hai combinato?> Stava per uscire dalla stanza, quando io abbaiai. Lei si girò di scatto, si avvicinò e fletté le ginocchia per essermi vicina.Mi stava osservando, e io speravo che lei capisse chi fossi.Abbaiai un’altra volta e ancora un'altra, ricambiavo il suo sguardo tentando di trasmetterle qualcosa.< Angela…> speravo che stesse capendo. Iniziò ad accarezzarmi e dopo una lunga pausa ribatté < non ci credo, sei tu? Amore mio!>Abbaiai ancora una volta come per dire <si, sono io>

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Appoggiai la testa sulla sua mano e mi avvicinai. Lei in quel momento stava per arretrare ma cambiò idea, anzi mi accolse fra le sue braccia.Come sempre mi aveva capita. Mi accoccolai sulle sue gambe.< Non capisco, come puoi essere tu?? Sorellina mia> così dicendo mi lasciò < Cosa è successo?>In quel momento avrei voluto risponderle. Andai verso il mio computer, che per fortuna era acceso. Riuscii a scrivere < nmi sdonoi ssvegfliata così> Sbagliai qualche tasto, le mie zampe per essere piccole erano più grandi dei tasti.<ti sei vegliata così??>Annuì si con la testa.<Angela ma sei un cane!>L’aveva detto in tono repertorio. Mi fece irritare così che le abbaiai.<Va bene,calmati>Continuò ad osservarmi < Angy, sei veramente bella!>e riprese ad accarezzarmi.Passarono i giorni e nonostante il mio aspetto, la mia sorellona mi trattava affettuosamente come sempre, faceva le sue solite battute ed io, per quanto possibile ridevo.La vita sembrò tornare come prima anche se il mio aspetto era cambiato. Monica Moretti

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Se mi svegliassi e…

Era un giorno come tutti gli altri, il sole splendeva, e dalla finestra udivo i rumori delle macchine e di qualsiasi altro mezzo automobilistico. Quando, appena alzato dal letto, mi guardai allo specchio e di colpo mi spaventai, ed urlai “Oh mio Dio! Sono un cane!”. Esterrefatto, mi rivolsi ai miei familiari che impauriti mi cacciarono di casa. A questo punto non sapevo più cosa fare, e camminai disperatamente alla ricerca di qualche amico che mi desse conforto. Dopo un lungo viaggio, intravidi alcuni amici ed esultando dalla gioia, corsi verso loro che però cominciarono a prendermi a calci e a bastonate e così corsi via. Non seppi più cosa pensare, e mi domandai “Ma è possibile che a questo mondo gli animali vengano così maltrattati e derisi? Cosa avrà fatto di così crudele un povero cane impaurito e indifeso?” a questa domanda però non seppi dar una risposta. Era giunta oramai la sera, e mi diressi disperatamente verso un posto più tranquillo e sereno dove poter passar la notte in pace. Era stata una lunga giornata, e pregai Dio che da quel momento in poi potessi vivere tra la gente senza che essi mi cacciassero. Finalmente arrivò l’alba, e appena mi svegliai, sussultai di gioia perché mi accorsi che ero ritornato un essere umano. Andai di corsa a casa, e trovai i miei genitori infuriati con me, perché avevo trascorso un giorno intero fuori casa; spiegai loro la situazione e me ne andai di casa, sbattendo la porta d’ingresso.Per strada, mentre camminavo, incontrai un povero cane smarrito e feci una cosa di cui vado fiero: lo portai a casa. Da quel giorno, decisi di aprire una clinica per animali indifesi, così che qualunque essere vivente di questo mondo, possa vivere in tranquillità e serenità.

VITO MURGOLO

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Prof.ssa Benedetta Giorgio

“Nonostante le frequenti dichiarazioni sulla presunta morte del congiuntivo nelle frasi dipendenti nell’italiano contemporaneo, esso è ancora vitale. E’ metodologicamente sbagliato intonare il De profundis per delle categorie morfologiche che, il più delle volte, non muoiono, ma “traslocano” per rispondere a delle esigenze comunicative.” Sabatini

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Pare che Giuseppe ricevesse molto denaro dal padre suo e ci regalasse di quelle sigarettechissà che tale disgusto non abbia una grande importanza nella mia curaIo credevo fosse il suo modo di gettarli via credevo anche di sapere che la nostra vecchia fantesca, Catina, li buttasse viaPoi li fumavo finché la mia fronte non si fosse coperta di sudori freddiNon si dirà che nella mia infanzia io mancassi di energiaÈ come se fossi adesso là accanto a quel caro corpo che più non esiste.Che abbia dormito anche lui all'altro capo del grande sofà?Mi piaceva tanto che il babbo dovesse imporsi un riguardo per me, che non mi mossiMia madre certo non pensava che mio padre stesse per ammattireNon fu poi la mancanza di denaro che mi rendesse difficile di soddisfare il mio vizioAvevamo molte sigarette e volevamo vedere chi ne sapesse bruciare di più nel breve tempoBastava questa frase per farmi desiderare ch'egli se ne andasse prestoche io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità?Del secolo passato ricordo una data che mi parve dovesse sigillare per sempre del mio vizioAncor oggi mi pare che se quella data potesse ripetersi, io saprei iniziare una nuova vitaQuella data mi parve contenesse un imperativo supremamente categoricoMa non si creda che occorrano tanti accordi in una data per dare rilievo ad un'ultima sigaretta!Curioso come si ricordino meglio le parole dette che i sentimenti!M'ero aspettato che il dottore studiandomi scoprisse il veleno che inquinava il mio sangueEgli suppose che il mio stomaco mancasse di acidiGiunsi a parlare con lui come s'egli avesse potuto intendere la psico-analisiIo non toccherei più un Rumkorff se avessi da temerne un effetto simile.Parlava molto meglio di quanto scrivesse.(I. SVEVO) Nicola Labianca

Prof.ssa Benedetta Giorgio

IL GUSTO INTENSO DELL’ULTIMA SIGARETTA(I. Calvino)

Ma come può essere che una persona come me non sappia far altro a questo mondo che sognare?Dovevo guardare il mio vizio in faccia come se fosse nuovo.L'amministratore mi era stato imposto per impedire ch'io sciupassi l'eredità di mio padreNon ebbi mai un dubbio ch'egli non avesse tenuta la scommessa.Volevo che quando mio figlio fosse giunto all'età di potermi giudicare mi trovasse equilibrato e serenoIo credo ch'essa fosse stata sorpresa gradevolmente dopo di avermi sposato di non sentirmi mai rimpiangere la mia libertàSe l'infermiere non venisse subito, la lascerei andare dove vuole.Giacché hai deciso così, sii forte.Seppi che cosa mi facesse soffrire soltanto quando fui lasciato soloIn quel momento a me pareva che il vizio del fumo non valesse lo sforzo cui m'ero lasciato indurreSe non fossi stato stornato dalle mie preoccupazioni, avrei potuto stare a sentire con dilettoLe domandai se, quand'era vivo suo marito, il lavoro per lei fosse stato organizzato a quel modoOra tutto le sembrava un riposo anche prima ch'io a quella casa arrivassi con la mia cura.Giovanna mi domandò se credevo che i morti vedessero quello che facevano i viviLe dissi ch'io credevo che i morti sapessero tutto, ma che di certe cose s'infischiasseroIo mi crucciavo al pensiero che mia moglie approfittasse della mia reclusione per tradirmiL'infermiere aveva sperato che fosse ritornato perché un malato avrebbe avuto bisogno di luiIo la guardai indagando se il sorriso che contraeva la sua faccia fosse stereotipatoImbecille! Perché pensi che tua moglie ti tradisca?Lei farebbe una bella figura se tentasse di scappareQualunque donna allora mi fosse stata a tiro si trovava in pericoloIpocritamente dissi che il giorno seguente volevo che mi si procurasse del buon vinoA  me parve ch'essa dormisseGuardai le stelle con ammirazione come se le avessi conquistate da pocoMi pare che tu abbia approfittato della mia assenza per cambiar di posto a quell'armadio.

Michele Putignano 

Prof.ssa Benedetta Giorgio

La riscrittura è la forma più completa di manipolazione di testi perché in essa non è importante solo cosa scrivere ma come scrivere.

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Componimento letterario in cui l'autore, per artificio retorico, esclude tutte le parole che contengono una determinata lettera

.

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Lipogramma in “S” Testo originale C’era un prepotente nella classe di Peter:si chiamava Barry Tamerlane. Non aveva l’aria da prepotente. Non era di quelli sempre tutti sporchi; non aveva la faccia brutta e neppure lo sguardo da far paura o le croste sopra le dita, e non girava armato. Non era poi tanto grosso. Ma nemmeno di quei tipi piccoli, ossuti e nervosi che quando fanno la lotta possono diventare cattivi. A casa non lo picchiavano, come spesso succede ai prepotenti, e neanche lo viziavano.Aveva genitori gentili ma fermi, che non sospettavano nulla. La voce non ce l’aveva né acuta né rauca; gli occhi,non particolarmente piccoli e cattivi, e non era neppure troppo cretino. Anzi, a guardarlo era bello morbido e tondo, senza essere grasso; portava gli occhiali e sulla faccia soffice e rosa luccicava l’argento dell’apparecchio dei denti. Spesso metteva su un’aria triste e innocente che a certi grandi piaceva e che gli tornava comoda quando doveva togliersi dai guai. Come si spiega allora che Barry Tamerlane riuscisse tanto bene a fare il prepotente? (I. McEwan)

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Testo senza “S”C’era un prepotente nell’aula di Peter: chiamato Barry Tamerlane. Non aveva l’aria da prepotente. Non era di quelli perennemente tutti imbrattati; non aveva la faccia brutta e neppure l’ occhiata da far paura o le dita non pulite, e non girava armato. Non era poi tanto corpulento. Ma nemmeno di quei tipi piccoli, magri e crudeli che quando fanno la lotta diventano cattivi. Nella dimora non lo picchiavano, come regolarmente accade ai prepotenti, e neanche lo viziavano. Aveva genitori gentili ma fermi, che non diffidavano di nulla. La voce non l’aveva né acuta né rauca; gli occhi, non particolarmente piccoli e cattivi, e non era neppure troppo cretino. Anzi, a guardarlo era bello morbido e tondo, non era corpulento; portava gli occhiali e aveva la faccia morbida, luccicava l’argento dell’apparecchio dei denti. Regolarmente aveva un’aria malinconica e innocente che a certi grandi piaceva e che gli tornava comoda quando doveva tirar via lui dai guai. Come interpretare allora che Barry Tamerlane trionfava tanto bene a fare il prepotente?   

Giovanni Gelao

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Caro diario,da quell’incontro ho capito che ormai la mia vita sarebbe cambiata. Tutto iniziò una sera d’estate: solite serate con le mie amiche, ma quella sera fu indimenticabile. Incontrai un ragazzo,Marco, che a prima vista sembrava antipatico, ma poi dopo poche ore iniziammo a parlare di cose banali e subito mi accorsi che era un ragazzo semplice e molto dolce. Continuammo a vederci per tanto tempo. Un giorno parlammo della nostra vita e delle nostre difficoltà. Io gli spiegai che con i miei genitori litigavo sempre perché non riuscivano mai a comprendere le mie esigenze, molto spesso mi trascuravano e mi sentivo messa in disparte.Ricordo ancora ogni mia singola parola e le lacrime che avvolsero il mio viso pallido.......Marco mi abbracciò e mi riempì di coccole accompagnate da due semplici frasi:” Sei splendida, la tua semplicità ti rende Unica e per nessuna ragione al mondo dovrai cambiare.......”Nella mia vita fu il primo ragazzo che mi rivolse queste parole piccole in sé ma con un significato molto profondo.Da quel momento mi sentì sempre più felice e il nostro rapporto d’amicizia si rafforzò sempre più.Mai nessuno mi aveva detto queste parole : Grazie d’esistere Marco....Tvb.....Caro diario ora devo andare.Spero che tutto ciò che ho scritto riuscirò a dirglielo personalmente perché il bene che gli voglio è così immenso che darei la vita....

Anna Ruggiero

Prof.ssa Benedetta Giorgio

New York 24/06/2010Caro diario,da quell’ incontro ho imparato che la vita è una grande opportunità che va colta e non sprecata.Iniziò tutto quel 24 giugno del 2010. Era un giorno qualunque. Mi ero svegliata che era quasi mezzogiorno. In estate ne approfittavo sempre perché non c’era scuola. Tuttavia, l’indomani sarei andata a scuola per recuperare uno dei miei debiti:matematica. Ma!! Dopotutto me lo sono meritato, non ho fatto niente per tutto l’anno. Che amarezza! Odio la scuola! Chi l’ha inventata! Quanto vorrei tornare indietro e rifare tutto per rimediare ai miei errori, ma è troppo tardi e mi devo arrendere all’evidenza!Il giorno passò velocemente, fortuna che c’erano i miei amici che mi tiravano su il morale. Trascorsi con loro il pomeriggio al mare e poi tornai a casa.Non riuscivo a dormire ero troppo ansiosa, preoccupata; poi, tra un pensiero e l’altro riuscii ad addormentarmi.La mattina fu difficile alzarmi, non trovavo la forza di farlo; mia madre mi buttò giù dal letto per svegliarmi. Il trauma era enorme mi faceva malissimo la testa ed erano solo le sette, alle otto dovevo presentarmi a scuola.Arrivai puntuale, mi stupii nel vedere così tante persone, chiesi un’informazione e mi diressi nella mia aula.Mentre camminavo sentivo che sudavo freddo, mi mancava l’aria, il caldo era talmente afoso che svenni.Mi risvegliai dopo pochissimo tempo con un forte dolore alla testa (non bastava quello di stamattina, anche questo!). Ero esterrefatta per tutto ciò che mi stava succedendo, però mi trovavo ancora nella scuola. Era vuota deserta faceva quasi terrore. Mi rialzai pian piano da terra, camminai per il lungo corridoio e una voce, direi angelica, mi chiamò.Più camminavo più la voce diventava forte, arrivai alla fine del corridoio e intravidi una strana figura.Era alta, snella, tutta vestita di bianco. man mano riuscii a vedere anche il volto...ero estasiata! Non avevo mai visto una cosa più bella, era un angelo dai capelli ricci e dorati come il grano, gli occhi blu, profondi come l’oceano.Mi parlò con dolcezza, quasi come una mamma.Mi disse che lei era un angelo venuto dal cielo per aiutarmi, per darmi un' opportunità.Dovevo rivivere l’annonuovamente, però bene, senza distrazioni.

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Non ebbi nemmeno il tempo di chiederle il perché ,che lei svanì nel nulla, si dissolse come un fantasma. Non sapevo cosa fare, sicuramente era un sogno, da cui dovevo svegliarmi. Passò qualche minuto da quell’incontro e sentii suonare la campanella. Era la campanella della scuola, guardai fuori dalla finestra e pioveva, era ancora inverno, l’estate non era ancora arrivata e io vidi i miei amici, con i cappotti,le sciarpe, e la cartella, che venivamo a scuola.Mi salutarono normalmente e soprattutto si stupirono nel vedermi così puntuale a scuola.No, non era un sogno era la realtà, stavo rivivendo il passato, il mio vecchio anno scolastico. Il professore arrivò e io mi sedetti per ascoltare la lezione, la giornata passò lentamente, tornata a casa continuavo a domandarmi perché quell’angelo mi era comparso, cosa voleva dirmi?Arrivò un nuovo giorno e di corsa mi affacciai alla finestra:era inverno, l’episodio di ieri era vero!Andai a scuola e come sempre mi feci sorprendere a parlare come al solito. Tornata a casa l’angelo mi ricomparve, sgridandomi, e dicendomi che ero una stupida perché non stavo imparando niente dall’esperienza dell’anno precedente; poi se ne andò.Riflettei molto su tutto ciò e capii che era una seconda opportunità che la vita mi offriva per rimediare ai miei errori.Da quel giorno recuperai bene a scuola, divenni più attenta e diligente. Rinunciai a molto, feci un po’ di sacrifici ma alla fine i risultati si videro.Anche i miei genitori erano contenti ed io ero fiera del mio lavoro.L’angelo non aveva fatto più nessuna apparizione e questa penso che fosse un buon segno.L’anno scolastico finì, venni promossa con buoni voti, senza nessun debito. L’estate era arrivata ed io ero immensamente felice perché potevo godermi la mia vacanza senza pensieri. Un giorno trovai una lettera sulla scrivania con scritto:“Complimenti Holly, hai superato l’anno scolastico come mi aspettavo, cerca di non sbagliare mai più e di rigare sempre dritto...Il tuo angelo”Ero sbalordita l’angelo esisteva veramente e tutto questo era stata una grande opportunità.Impara che nella vita niente avviene per caso, tutto ha un suo fine, e quando hai un’ occasione coglila perché non ti ricapiterà mai più.

Apollonia Cirincione 

 

Prof.ssa Benedetta Giorgio

  Bitonto, 24/4/2022Caro diario, E’ da tanto che non ti scrivo. Ultimamene sono stata molto impegnata e non ho trovato tempo.Sto vivendo un periodaccio perché sono emotivamente inquieta.Nell’ultima settimana sto ancora peggio. Sinceramente non so nemmeno io il motivo, cerco di spiegarmelo, ma non arrivo mai ad una soluzione.Negli ultimi giorni sono depressa come non lo sono stata da tanto tempo. Ho voglia di rompere qualcosa, di strappare delle pagine di un quaderno solo per sfogarmi.Mi sono scocciata di tutto. Durante l’anno scolastico arriva sempre il momento in cui non ho più voglia di studiare. Beh, io sono arrivata a quel punto. Vorrei staccare un po’, fare qualsiasi cosa pur di non pensare ,anche se solo per poche ore ,alla scuola.Per fortuna tra due settimane ci sono le vacanze pasquali e vado in vacanza vicino Roma. Stare in un posto che non sia sempre lo stesso e cambiare,anche se solo per qualche giorno, le mie abitudini mi fa stare meglio.Ho litigato con mio fratello per una cosa banale, ma litigare con la mia famiglia mi fa sempre male; peggio che farlo con le amiche.Poi c’è il fattore “amicizia” che non mi abbandona. La rottura con la mia migliore amica mi fa ancora soffrire nonostante sia successa quattro mesi fa (ma ufficialmente da due mesi).Il tentativo di andare avanti e farmi nuove amiche non sta andando benissimo.Sono in fase di prova e non so se la supererò. Ho paura di rimanere sola o di soffrire ancora e la cosa peggiore è che la mia ex amica mi ha chiesto di tornare ad esserle tale.L’incontro con una persona mi ha cambiato il modo di pensare. Le ho raccontato tutto quello che mi sta succedendo e ne abbiamo parlato a lungo.Lei mi ha consigliato di riflettere bene sulla scelta da fare.Adesso sono le quattro e mezza e sono nel laboratorio di italiano e frequento il PON in cui mi diverto tantissimo perché ho conosciuto una ragazza, Rossella. Nonostante tutta la confusione che avevo fino ad un’oretta fa sono felice e sento di poter andare avanti, di stringere i denti e dire no al passato. Adesso va bene.Rispetto a quando ho iniziato a scriverti il mio umore è migliorato tantissimo, grazie ai consigli della mia amica Tania, a cui devo tanto e anche a Rossella che oggi pomeriggio mi ha fatto vivere ore spensierate.  Monica Moretti

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Bitonto, 18 marzo 2010Caro diario,da quell’incontro ho imparato che la vita non è solo quella che a noi ragazzi appare, sempre divertimento ma è dura perché piena di difficoltà che ognuno deve superare giorno dopo giorno con tutte le proprie forze, non abbattendosi e non fermandosi di fronte al primo ostacolo. Ho compreso il valore della vita un pomeriggio d’inverno, quando io e mia nonna eravamo sedute sul divano a guardare un programma in tv in cui si parlava delle vite spezzate dei ragazzi. Mia nonna decise di raccontarmi la sua esperienza di vita. Mi narrò brevemente che la sua vita non è stata facile, ma poiché ha avuto tanta voglia di andare avanti, ha superato molti ostacoli che le si sono presentati. Per nonna la vita è un dono di Dio e proprio perché ne abbiamo una sola dobbiamo lottare per vivere nel miglior modo possibile. Mia nonna mi raccontò che ai suoi tempi si moriva facilmente per malattie banali di cui non si conoscevano i farmaci e per le guerre. La ricerca scientifica, oggi, ha fatto passi da gigante per cui il tasso di mortalità dovrebbe ridursi ma altre cause, quali gli incidenti stradali spesso provocati dall’uso di alcool e di sostanze stupefacenti, elevano notevolmente la percentuale. Mia nonna è stata sempre per me un punto di riferimento, e con i suoi insegnamenti ho imparato a lottare senza mai tirarmi indietro, a superare le difficoltà quotidiane. Dai suoi racconti ho imparato che nella vita convivono aspetti positivi e negativi. Le esperienze aiutano l’uomo a crescere e a capire i valori della vita ma i giovani, data la loro età, non ne comprendono l’importanza e la sprecano inutilmente. Io non sarò una “giovane qualunque” vivrò la mia vita come un dono ricevuto e non la sprecherò per futili motivi.

Ti saluto con affettoSonila Gjika

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Bitonto, 18 marzo 2010Caro diario,da quell’incontro ho imparato che nella vita tutto si può e si deve superare, con un po’ di forza e soprattutto con tanta volontà. Tutto è avvenuto circa due anni fa durante il mese di luglio, era un pomeriggio estivo qualunque e, come sempre, trascorrevo il tempo a chiacchierare con gli amici a telefono oppure in chat, in attesa che la mia migliore amica arrivasse per farmi un po’ di compagnia. Di solito durante l’estate accade sempre così: non si ha mai nulla da fare e si trascorre il tempo con gli amici. Ma quel pomeriggio accadde qualcosa di diverso. Poiché i miei genitori lavorano, durante la giornata io sono rimasta a casa dei miei nonni e quel pomeriggio sentì una voce provenire direttamente dalla stanza accanto: “Francesca, verresti un attimo qui?”. Era mio nonno, immediatamente mi diressi verso lui e gli chiesi perché mi stesse chiamando e lui: “Parliamo un po’ nipotina mia, sei sempre impegnata con i tuoi amici e non abbiamo mai modo di chiacchierare un po’, vieni qui e siediti accanto a me!” Io, subito, mi avvicinai a lui con un rapido movimento e forse un con un po’ di curiosità e di timore per ciò che avrei dovuto ascoltare, con un semplice gesto affettuoso l’accarezzai e mi avvicinai a lui dandogli un bacio, proprio uno di quei baci che lui amava tanto ricevere dai suoi nipotini. Incominciò ininterrottamente a parlarmi ed io, mai come in quel momento, gli avevo dato tanto ascolto, fino al punto che seguivo con lo sguardo ogni movimento che compiva il suo labiale e ad ascoltare attentamente ogni sua parola. Sin dalla mia nascita sono sempre “cresciuta” con lui e con la nonna, ma mai e dico mai prima d’allora mi ero soffermata così tanto tempo a chiacchierare con lui di cose così importanti: la vita e la sua importanza. Abbiamo trascorso insieme un intero pomeriggio senza mai interrompere la nostra chiacchierata, e poi giunse la sera e insieme l’ora in cui di solito tornavo a casa con la mia mamma. Come sempre lo salutai con un bacio ed un abbraccio e corsi a casa pensando che il giorno seguente avrei continuato la nostra chiacchierata. Invece non fu così, il mattino del 18 luglio 2007 mamma e papà dovettero correre in ospedale per raggiungere il nonno che aveva avuto un infarto. Ero sola in casa e pensavo che tutto si sarebbe risolto e che il nonno sarebbe tornato da me. Invece dovetti rispondere a una triste e tragica telefonata: mamma mi comunicò la fine dell’esistenza del mio caro e amato nonno, ma soprattutto del mio maestro di vita.Ed è da quel giorno che adesso affronto tutti gli ostacoli con minor difficoltà affiancata sempre dalla mia famiglia, perché sento che qualcuno mi giuda dall’alto e poi penso sempre che se abbiamo potuto superare la “partenza” di un uomo così speciale, possiamo superare tutto e sempre.Insomma, per farla breve caro diario mio nonno MI HA INSEGNATO A VIVERE ed è per questo che oggi sono ancora qui a

vivere la vita, perché questo dono Dio ce lo fa una sola volta e bisogna saperlo apprezzare: questo diceva sempre il mio grande uomo.

Francesca Maggio

Prof.ssa Benedetta Giorgio

LETTERA A ME STESSO

Prof.ssa Benedetta Giorgio

, 25/03/2010

Cara Hollysembrerà strano ma ho deciso di scriverti una lettera, per capirti e magari conoscerti meglio. Questo è un momento difficile per me e una delle persone che può capirmi meglio sono proprio io.Sono molto fiera di me stessa perché fino ad ora ho raggiunto risultati che mi soddisfano molto, però cerco sempre di migliorarmi.È come se cercassi una specie di sfida con me stessa: lo faccio solo per mettermi alla prova.Adesso ci sono lati del mio carattere che devo ancora scoprire ma “ci sto lavorando”. Qualche tempo fa non ero così tanto solare ed estroversa come ora, ma le esperienze della vita mi hanno cambiata e ,devo, dire in meglio.Con le persone ero molto introversa e timida non riuscivo a far uscire il meglio di me stessa, ma ora sono felice perché mi sento una persona nuova e cambiata.A volte vorrei scappare da tutto e da tutti, lontano da questa realtà, libera di fare ciò che voglio, di imparare a mie spese. Ma non è possibile perché dalla realtà non si può fuggire, la si deve affrontare. La vita è così; un percorso ad ostacoli, una giostra da cui io non voglio scendere e se cadrò non mi importa perchè mi rialzerò più forte di prima. Ci sono momenti in cui mi vorrei prendere a schiaffi per certi comportamenti stupidi che assumo, ma fortunatamente mi riprendo subito.Non ho molto da scrivere a me stessa, forse perché non ho da rimproverarmi tanto. Io mi piaccio così come sono e non cambierò per nessuno, perché questa è la mia vita! Un bacio Holly, a domani P.S. ti adoro!

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Cara Anna, Bitonto, 12/03/2010

Cosa ti sta succedendo? Cosa sta succedendo alla piccola Anna?Forse Anna sta crescendo, non è più quella bambina sempre allegra, sorridente. E’ una ragazza a volte triste perché la vita non sempre le regala quello che vorrebbe. Anna sta imparando che bisogna cogliere ogni attimo della vita perché essa è preziosa e in sé è già un Dono. In questi ultimi mesi Anna ha capito che non tutti i sogni sono raggiungibili ,che non sempre la gente mantiene le promesse, che spesso ti deludeHa capito che ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per distruggerla, che a volte la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai, è invece una di quelle che ti aiuteranno a rialzarti, che nella maggior parte dei casi prima di perdonare una persona devi perdonare te stessa.......Anna non mi resta altro che dire: Vivi la vita più che puoi, sogna ciò che ti va... vai dove vuoi.....sii ciò che vuoi essere, perché hai solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi veramente fare. Rincorri il tuo Sogno perché un giorno la vita ti sorriderà e ti regalerà ciò che meriti perché persone come te sono rare al Mondo.

Anna Ruggiero

 PS. Sorridi alla vita e torna ad essere com’eri ;)

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Bitonto, 11 Marzo 2010Cara Monica,Siamo a Marzo? Come va?Avrei tante cose da dirti, ma non riesco a trovare le parole. Vorrei poterti raccontare tutto.Sto vivendo un periodo di confusione, oggi più che mai.Partiamo dalle cose meno importanti: la scuola.Sono molto felice della scelta che ho fatto, le materie mi piacciono molto, anche se la mia preferita è scienze; quella con cui ultimamente sto avendo problemi è proprio Economia aziendale: la materia principale di questa scuola.Mio padre voleva che andassi al Liceo Scientifico, ma vedendo il problemi che sta avendo mio fratello con il latino, ho preferito venire qui, dove si fa molta matematica, disciplina in cui sono molto brava.Si avvicina il pagellino (valutazione intermedia) ed è un po’ stressante: ricominciano le interrogazioni e i compiti in classe.In modo particolare sono preoccupata per le materie Trattamento Testi e Dati e Diritto: vorrei prendere almeno sei ai compiti in classe che abbiamo fatto la settimana scorsa.Nelle altre discipline ho preso voti buoni, alcuni sei, qualche sette e un otto e mezzo a matematica, come ho detto prima sono veramente brava.Al secondo posto c’è la famiglia.In questo periodo mi sono avvicinata molto a mia madre, con la quale mi confido, anche se non le dico tutto quello che mi succede, perché vorrei avere un po’ di privacy.Con mio padre ci sono più divergenze, legate a tante cose. Ma in fin dei conti è normale alla mia età.Il problema più grande, che mi tormenta,è legato all’amicizia.È da Novembre che purtroppo sono in questo stato: la mia migliore amica è cambiata e, dopo molte discussioni avute a Dicembre litighiamo seriamente.Allora lei mi disse che non voleva più essere mia amica, ciò mi ferì molto perché da lei non me lo sarei aspettato. A Gennaio la perdonai, ma ormai il rapporto era rovinato e così a fine mese le dissi addio.Da allora ho sofferto molto, ma non potevo andare avanti, non riuscivo più a vederla in faccia quando ci incrocivamo.Ogni giorno stavo male e ultimamente mi stavo rassegnando, ma proprio oggi a scuola lei mi ha chiesto se possiamo recuperare l’amicizia.Io adesso non so che cosa fare, mi manca molto, ma in realtà mi manca la sensazione di amicizia.Devo prendere una decisione e credo di farlo insieme a mia madre.Spero che tu stia in una situazione migliore della mia. 

Ti voglio tanto bene.Baci.

Monica Moretti

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Bitonto 11/03/10Caro Lorenzo,Come va,tutto bene? Sono Lorenzo. Io non mi lamento; in questo momento sto scrivendo la lettera a me stesso. Conosci la novità? Sono stato bocciato al liceo scientifico, ma non preoccuparti, adesso frequento l’istituto tecnico commerciale ed è meglio! Qui non ci si annoia: i compagni sono tutti bravi ragazzi, maturi e diligenti!Scommetto che non ci hai creduto nemmeno un po’; in realtà è l’esatto contrario: non studiano, fanno confusione e non hanno rispetto per i professori, proprio la classe dei miei sogni (assai!!!). Adesso frequento il PON d’italiano:l’attività ideale per me poiché scrivere è la mia passione. La professoressa del progetto è una donna molto cordiale con noi, ed è strano, dato che i professori ,di solito, sono severi con gli alunni. Riguardo alla mia vita sentimentale non ho ancora trovato l’anima gemella, o meglio la trovai ma poi scoprì che mi tradiva. Mi chiedo se troverò mai la ragazza ideale per me: chissà, forse è sotto il mio naso. La mia famiglia? Vorrei evitare di parlarne, per cui accennerò solo ai miei genitori e ai miei fratelli. Mia madre sta bene, diciamo solo che deve lavorare a casa e al negozio di tabacchi come un ossessa,stirare,cucinare, fare la taxista per mio padre ecc.Mio padre, come ben sai, lavora al suo tabaccaio, Metropolis. Qui suda sette camicie per insegnarmi il mestiere ma io continuo a ripetergli che non mi piace. Ti ricordi i miei fratelli? Prima erano piccoli e frequentavano le scuole elementari. Adesso hanno undici anni e vanno alla scuola media “Rutigliano”; se prima erano vivaci, adesso puoi immaginare che cosa siano diventati ! Bene, il mio tempo è esaurito, ora devo salutarti. Arrivederci.  

Da Lorenzo a LorenzoP.S. Non scordarti mai di te stesso

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Bitonto, 11 marzo 2010Cara Sonila,ti sto scrivendo per parlare un po’ di me stessa e delle difficoltà che incontro con i miei amici e a volte con i genitori . Questo è un periodo molto difficile della mia vita: sto vivendo l’adolescenza, periodo durante il quale si presentano molti problemi che spesso non riesco ad affrontare a volte per il mio carattere timido, altre volte per paura di commettere degli errori. Col passare del tempo mi sono resa conto che sono cresciuta sia fisicamente che psicologicamente. Ho imparato a conoscermi meglio e a capire quali sono i miei pregi e i miei difetti. L’attuale scuola mi sta aiutando a crescere, e a tre quarti dell’anno posso dire di essere soddisfatta di come lo sto affrontando e dell’impegno che sto mettendo che mi consente di ottenere buoni voti. I professori sono fantastici, sia nel modo con cui spiegano che nell’approccio ricco di umanità che hanno nei nostri confronti. Con i compagni di classe vado molto d’accordo anche se a volte entro in conflitto con alcuni di loro per motivi legati al mio profitto positivo. Oltre ai compagni di classe, ho anche dei compagni al di fuori dell’ambiente scolastico, con i quali a volte trascorro le serate del fine settimana facendo delle passeggiate oppure andando al cinema oppure mangiando una pizza. Sono molte legata alle mie amiche, perché sono sincere e semplici come me. Con i miei genitori, ho un ottimo rapporto, anche se a volte litigo per futili motivi. A differenza di altri adolescenti cerco di trascorrere buona parte della giornata con loro. Cerco sempre di modificare un po’ il mio carattere in positivo e, a distanza di anni posso dire che sono diventata più responsabile e più matura. Spero di continuare così, dando sempre il massimo di me stessa e mi auguro che un giorno possa riuscire a realizzare tutti i miei sogni.

Un forte abbraccio. 

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Bitonto, 11 marzo 2010Caro Giovanni,

ti sto scrivendo per raccontarti pensieri, per porti domande che affliggono la mia mente.Ormai da quando ho deciso di frequentare questa scuola sono trascorsi tre quarti di anno scolastico. Mi trovo spesso a riflettere tra me, se questa sia stata la scelta più giusta: frequentare l’istituto tecnico commerciale, o avrei dovuto scegliere diversamente. Proprio non so, se scegliendo diversamente, avrei ottenuto molti risultati ,boh?? Forse mi sbaglio? É stato molto duro decidere quale strada intraprendere per il mio futuro. L’anno scorso feci una scelta molto scrupolosa per evitare che accadessero situazioni di questo tipo: trovarmi con la mia mente a dover rimuginare: ho fatto una scelta giusta o sbagliata. Ma questo non è accaduto. Adesso però è troppo tardi per cambiare scuola, sono trascorsi quasi nove mesi e qui ho trovato amici fantastici che non vorrei cambiare. I dubbi avanzano nella mia testa come se stessero divorando le mie certezze e i programmi che avevo previsto per il mio futuro.

 Giovanni Gelao

 P.S. riuscirò a reagire e a risolvere questi dubbi.

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Bitonto, Giovedì 11 marzo 2010 Caro Emanuele, è da tanto che non ti scrivo e ho bisogno di confidarmi con qualcuno e quel qualcuno sei tu. Se ci penso, sono circa tre mesi che non ho più notizie di te. In questo preciso momento mi trovo a scuola e sono stremato per la stanchezza e, come se non bastasse, devo frequentare il potenziamento d’italiano, anche se non è male perché il tempo lo trascorro con i miei compagni.Sai, ho ricevuto la modulistica per l’iscrizione al terzo anno e sono indeciso a che tipo d’indirizzo mi devo iscrivere. Oggi, le ultime due ore di lezione le abbiamo svolte in auditorium dove c’è stato l’ orientamento col preside e il vice preside i quali ci hanno spiegato cosa scegliere in base ai nostri progetti futuri tra indirizzo IGEA e MERCURIO. Ho scelto questa scuola per intraprendere la carriera di ragioniere programmatore e per questo sono molto motivato ad indirizzarmi verso la specialistica mercurio. Per quanto riguarda il mio andamento scolastico non mi posso lamentare, avendo la media dell’otto; in questa scuola ho conosciuto nuovi compagni ai quali mi sono molto affezionato e ogni giorno la giornata trascorre velocemente con loro. Oggi ho ricevuto il compito di matematica e ho avuto un bell’otto e sono contentissimo. Lo so che è difficile in questo momento scegliere quello che potrà essere il lavoro che potrà garantirmi la sicurezza economica futura, ma non preoccuparti: so che riuscirai a fare la scelta giusta perché tu sei un ragazzo molto motivato e serio. Ora basta parlare di scuola, parliamo un po’ della nostra vita. Devo dire che gli anni adolescenziali si fanno sentire con i soliti problemi: l’amore, i litigi e tutte quelle cose che col tempo serviranno a farci crescere e maturare. Devo dire che in amore non ho molta fortuna ma spero che col passare del tempo riesca a trovare la mia anima gemella e condividere le mie emozioni e i miei sentimenti. Ora devo andare e ricordati di scrivermi.   

Tanti saluti dal tuo caro amico Emanuele  P.S. Buona fortuna  

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Cara AnnaRita,Come stai? Beh è da tanto che non ti poni questa domanda ma forse è arrivato il momento che faccia chiarezza su tutto quello che hai intorno. Molte volte presa dall’ eccessivo fare per aiutare gli altri non dedichi un po’ di tempo a te stessa. Non rifletti se sei realmente felice come appare alla gente. So che a volte ti senti sola pur avendo molta gente che ti circonda. E’ vero,cerchi qualcosa che non possiedi o forse qualcosa della quale ne sei entrata in possesso ma non te ne sei resa conto. Cerchi a volte più serenità, vorresti essere capita dai tuoi amici, dai tuoi genitori che non riescono a comprendere le tue emozioni, i tuoi sentimenti, quello di cui realmente hai bisogno. E così ti senti un pesce fuor d’acqua. Molto spesso capita che se qualcuno ti fa una critica (che gli altri considerano un consiglio) pensi che tu sia inutile, vuota. Tuttavia, sai in cuor tuo che non è davvero così. Anche tu hai una personalità per alcuni fragile per altri, che magari in qualche occasione hanno fatto di tutto per farti soffrire, molto dura. Però hai un pregio bellissimo: “hai voglia di vivere”, in qualsiasi modo, nei momenti tristi, nei momenti felici ma soprattutto riesci a far ritrovare la gioia di vivere alle persone, agli amici che si sono dimenticati la vera essenza della vita, che ti accorgi stanno prendendo strade sbagliate. Vuoi essere amata da tutti come tu fai con gli altri e il solo pensiero che qualcuno abbia un giudizio negativo su di te ti indurrebbe a chiedere il perché. Spero che la gente ti apprezzi per quello che sei, spero che sia entrata a far parte nella vita degli altri con molto piacere che ti vogliono tanto bene.

AnnaRita Portento

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Bitonto

11/03/2010Cara Marika,Ormai è da molto tempo che non ci parliamo,sono successe tante cose ultimamente e non so, adesso, neanche da dove iniziare a raccontartele .Non so se dire che sono felice o che sono molto triste..in realtà sto un po’ cosi..Che cosa mi sta succedendo?? Boh!, in questo ultimo periodo mi sento un po’ diversa rispetto agli anni precedenti; penso che la mia vita sia un po’ cambiata: non so se sto crescendo in modo giusto o in modo inadeguato..A volte mi confronto con le mie amiche , ma sembro indietro rispetto a loro. Nonostante tutto ciò mi sono accorta che anche i miei atteggiamenti sono cambiati ,purtroppo. Ormai è da ben due mesi che mi sono lasciata con il mio ragazzo,mi sento diversa ma da questa storia ho capito tante cose : ho provato tante gioie e emozioni . Adesso sono qui circondata da amici, da tanta gente. Nonostante tutto, penso solo ad una cosa la vita è bella e bisogna divertirsi per viverla fino in fondo,ma bisogna sempre affrontarla con gioia ed amore perche molta gente vive grazie a noi. Ora non so che altro dire: mi sono accorta che il tempo è passato e che devo andare a finire di studiare .A prestooo…

Un bacio Marika

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Folate di vento addolcivano un’assolata giornata di maggio. Anna, Francesca e Marco percorrevano la stradina di campagna. Francesca per l’occasione sfoggiava il suo ultimo acquisto: un leggero ed elegante vestito di garza, perfetto per la festicciola organizzata dalla zia che li aspettava alla cascina, ma che su quella stradina ghiaiosa s’era giàimpolverato tutto.La strada era diritta, costeggiata da un fosso che portava l’acqua del pozzo; Più avanti un filare di gelsi gettava ombre leggere sulla ghiaia. Francesca, un po’ sudata, scattò con la bici: <<Ombra, finalmente ombra!>> Anna e Marco e loro volta spinsero sui pedali. Quante buche, le trecce di Anna saltellavano sulle spalle. Marco superò Francesca lasciandola in una nuvola di polvere. Lei rallentò imbronciata, stava per “scoppiare” quando arrivò Anna che le sussurrò: <<Lascia perdere, poi ci vendicheremo.>>. Sulla curva Marco, pentito, s’era fermato all’ombra ad aspettarle.Anna urlò: <<Là, un laghetto>>, in realtà era un ampio rigonfiamento del fosso; superato un ponticello di scrostati mattoni rossi lasciarono le bici e si avvicinarono all’acqua: era limpida, alcuni pesci si nascosero tra le alghe. Sulla riva, dei fiori sfioravano l’acqua, Francesca, nel tentativo di coglierli, entrò nell’acqua fino alle ginocchia. Con le spalle rivolte stava per abbassarsi, ma restò immobile; istintivamente anche gli altri volsero lo sguardo nella stessa direzione. Lontano un centinaio di metri tra alberi e mura spuntava un curioso tetto rosso. No, non poteva essere una cascina, pensarono, e quasi in risposta ad un segreto segnale contemporaneamente si mossero, ripresero le bici e si avviarono verso il punto.Sembrava che nessuno da anni fosse più passato di lì. Sullo stretto viale di terra battuta, le alte erbacce ostacolavano l’avanzata dei tre. Marco, davanti, ogni tanto toglieva un piede dai pedali e scalciava per allargare il passaggio per le compagne. Lo seguiva senza troppa difficoltà Anna che si voltò e vide le gambe graffiate di Francesca: <<Te l’avevo detto di mettere i jeans!>> <<Pensavo di andare ad una festa, non ad un safari.>>Su entrambi i lati la strada era invasa da rovi e cespugli. Tra questi biancheggiava un masso. Marco si fermò, guardò in giro, non vide più le compagne, forse s’erano fermate. Ora che era più vicino s’accorse che quello visto non era un masso, ma una statua. Stava avvicinandosi quando si bloccò di colpo, non era tranquillo, forse qualcosa s’era mosso vicino ala statua. Continuò. La statua era un busto di donna consumato dal tempo; lo colpì un particolare: nel marmo bianco era incastonato un occhio di pietra nera.Marco urlò, stravolto fece un salto indietro: la testa della statua si stava muovendo. Il ragazzo cade, alzò gli occhi. Anna e Francesca, ridendo come matte, uscirono da dietro la statua. <<Chi la fa l’aspetti!>> sentenziarono in coro. Marco ancora pallido rise, ma era un riso palesemente forzato. Anna prese l’iniziativa: <<Cerchiamo forse ce ne sono altre.>> Infatti alla fine contarono sei statue, tre per lato, ma nessun’altra aveva particolari di pietra nera; tutte raffiguravano busti di uomini o di donne, forse gli antichi proprietari.

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Conducendo a mano le bici arrivarono all’ingresso della villa. Quello che un tempo era stato un elegante cancello li fermò, ora era tutto arrugginito, ma una luccicante catena impediva di aprirlo. <<Forse la casa è abitata, la catena è nuova>> disse Marco armeggiando, << niente da fare, proviamo a scavalcare.>> Francesca lo fulminò con gli occhi. All’improvviso videro qualcosa muoversi. Francesca saltò sulla bici. Era un verde ramarro. Tentando di seguirlo Anna scostò dei rami e vide un varco nella muraglia. <<Venite!>> I compagni accorsero. Francesca si fermò: <<Che schifo, una ragnatela!>> Marco spinse l’amica oltre il muro. Stava iniziando un bisticcio quando Anna li richiamò: <<Non fate rumore, potrebbero esserci i proprietari.>> Francesca, togliendosi la ragnatela urlò: <<Qui ci sono solo ragni e spine, è tutto abbandonato!>> <<Ma la catena è nuova>>, ribattè Marco.Sembrava che si fosse rannuvolato, in realtà il parco intorno alla casa era talmente fitto che dominava un’uniforme luce soffusa velata di verde. I grandi alberi ombreggiavano completamente in giardino. Davanti ai ragazzi c’erano tre vie, presero quella che conduceva alla facciata principale. Marco corse ed entrò in quella che ad Anna parve una gabbia. << Ma è una voliera! Quelle così grandi le usavano per i pavoni.>> precisò Francesca. <<Ma tu devi sempre sapere tutto?>> le rispose Anna scocciata. Continuarono fino ad uno spiazzo. La casa si presentava su due piani. Il tetto formava una mansarda a cui dava luce un abbaino. Il piano terra aveva una porta con due finestre sbarrate, al primo piano ancora due finestre contornavano una porta che dava su un balconcino quasi rotondo. L’edera avvolgeva la metà destra della casa, casa che era completamente rossa. Provarono a forzare la porta e le finestre, ma senza risultato.Passando vicino ad una vasca a forma di stella raggiunsero, a sinistra, gli alberi più grandi del parco. L’aria s’era fatta fresca, quasi fredda, Anna ebbe i brividi e Francesca s’incamminò turbata verso un’area meno buia sul retro della casa. Sotto una tettoia una carriola ed un badile erano appoggiati al muro. La voce di Marco risuonò all’improvviso:<<Entriamo!>>. Le ragazze si volsero verso di lui e lo videro correre verso una finestra mancante di un’anta. Francesca, rivolta ad Anna, esclamò:<< Non entro là dentro neppure se mi pagano!>> Anna, senza ascoltarla corse da Marco che già s’era infilato nell’apertura, e mentre i due scomparivano oltre la finestra Francesca implorava: <<Non lasciatemi sola…vengo anche io.>>Anna estrasse il suo accendino e fece luce; non che fumasse, ma a volte le piaceva atteggiarsi a grande. La stanza apparve completamente vuota. Li colpì il fatto che, nonostante l’abbandono, non vi fosse sporcizia, addirittura non c’era polvere. Marco diede la mano a Francesca e tutti e tre iniziarono la perlustrazione del piano terra. <<Niente d’interessante>> concluse Marco. Francesca approfittò del momento:<<Andiamocene, fra poco inizierà la festa della zia.>> Ma Anna, già sul quinto gradino, invitava: <<Saliamo a vedere.>>Una leggera corrente d’aria fredda scendeva dalle scale, Francesca saliva rigida appoggiandosi alla ringhiera. Anche di sopra non vi erano mobili, solo un divanetto di legno riempiva la stanza a sinistra del balcone.Di là, nel corridoio, lentamente le ante del balcone si aprirono e la stanza dal buio passò alla penombra. <<Da giù le ante mi sembravano ben chiuse!>> disse Anna. Marco vedendo Francesca sbiancarsi, per allentare la tensione, le offrì una caramella. Uscirono sul balcone, il panorama li rasserenò, la macchia verde del grande giardino contrastava con il verde sbiadito dei campi. Marco si tolse una scarpa: <<Come avrà fatto ad entrare sto sassolino?>> Anche Francesca scherzava: <<Da mia zia però le scarpe non le togli!>> Stavano rientrando quando, praticamente assieme, la videro. Nel giardino una ragazza dai lunghi capelli biondi,

Prof.ssa Benedetta Giorgio

vestita di bianco, scalza, volgeva loro lo sguardo. Il pallido viso e i lenti movimenti le davano un aspetto spettrale; lentamente si allontanò.Nessuno parlò. In silenzio, dopo un po’, i ragazzi rientrarono.La mano di Francesca, improvvisamente, strinse il braccio di Anna fino a farle male: nella penombra, seduta sul divano, la ragazza pallida stava leggendo un libro. Marco fu il primo a rompere il silenzio :<<Come ti chiami?>> Nessuno rispose. Anna, quasi per cambiare argomento chiese a Francesca:<<Ma come fa a leggere con così poca luce?>> Inaspettatamente la ragazza pallida aprì le labbra per rispondere, ma di nuovo si fermò. Marco giocherellava nervoso con l’accendino dell’amica e Francesca s’era avvicinata alla finestra per aprirla. Anna quasi senza pensarci propose:<<Perché non vieni anche tu alla festa in cascina?>> Agli amici sembrò una proposta senza senso, ma la ragazza pallida sembrò interessata e dopo qualche secondo iniziò a rispondere:<< La zia…>> Intanto gli occhi della ragazza erano sull’accendino e lentamente si avviò verso le scale della mansarda. Affascinati Marco e Anna la seguirono, mentre Francesca, alla finestra, guardava lontano.Francesca fuori dalla finestra notò che c’era maltempo. Chiamò gli amici e disse:<<Amici fuori c’è un tremendo acquazzone, non penso che possiamo uscire con le bici e raggiungere la zia>>.La pallida ragazza intervenne:<<Se volete potete restare qui finché il maltempo non sarà passato, ho tre camere libere, e se volete, vi preparo subito da mangiare, visto che siete molto affamati.>>Marco gli chiese:<<Possiamo sapere come ti chiami e che ci fai tutta sola in una casa abbandonata?>>La ragazza pallida rispose:<<Mi chiamo Genèvieve e abito in questa casa da molto tempo. Un giorno di cinque anni fa mia madre l’aveva comprata,poi arrivò in questa casa un signorotto molto arrogante, che prese possesso della casa. Lo citammo in tribunale e fortunatamente quel signore non vinse la causa e la casa rimase a mia madre. Dopo due mesi mia madre si ammalò e morì. Rimasi da sola perchénon ho parenti, di mio padre non ho notizie e forse non sa neanche che esisto, non so neanche come si chiama né dove abita. Comunque, essendo già grande, potevo gestirmi da sola e da allora non ho mai più sorriso. Non ho lavoro e quindi vivo con molta difficoltà. Ogni tanto viene una signora, molto gentile, a portarmi qualcosa da mangiare. Purtroppo non mi porta molto ed io cerco di farmelo bastare fino a quando lei ritorna. Questa è la mia triste storia>>.Marco, Francesca e Anna ascoltarono. Nel frattempo notarono che aveva smesso di piovere. Decisero di invitare la loro nuova amica a venire dalla loro zia.Genèvieve tentennò ma poi accettò e li seguì.Arrivati a casa della zia, fatte le dovute presentazioni, motivarono il loro ritardo, e raccontarono la triste storia della loro amica. La zia servì subito la cena e tutti andarono a dormire per la stanchezza.Il mattino seguente Marco, Francesca e Anna andarono a trovare Genèvieve nella sua stanzetta, ma non trovarono nessuno. Sul letto c’era un biglietto color indaco in cui c’era scritto:<<Da tempo aspettavo che qualcuno mi salvasse da quella casa, la mia anima non aveva riposo. Solo voi mi avete accolta nonostante fossi una sconosciuta, trovata in una casa abbandonata. Avete avuto il coraggio di accogliermi come amica e di accettarmi. Vi ringrazio infinitamente per quello che avete fatto per me. Ora la mia anima potrà riposare in pace. Addio Genèvieve.I ragazzi, stupiti, portarono il foglietto alla zia che disse:<<Ragazzi avete vissuto un’esperienza fantastica questa settimana. Sono fiera di voi. Avete salvato un’anima donandole la vostra amicizia e il vostro affetto. Sono fiera di voi.>>. Detto questo sparì nella cucina.Per tutto il periodo del soggiorno dalla zia, i ragazzi raccontarono del loro incontro con la ragazza pallida, affinché si conoscesse

nel mondo la storia di lei. MARICA LAUDADIO

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Prof.ssa Benedetta Giorgio

F

LA RAGAZZA DI QUELLA CASA

Folate di vento addolcivano un’assolata giornata di maggio. Anna, Francesca e Marco percorrevano la stradina di campagna. Francesca per l’occasione sfoggiava il suo ultimo acquisto:un leggero ed elegante vestito di Garza, perfetto per la festicciola organizzata dalla zia che li aspettava alla cascina, ma che su quella stradina ghiaiosa s’era già impolverato tutto.La strada era diritta, costeggiata da un fosso che portava l’acqua del pozzo; più avanti un filare di gelsi gettava ombre leggere sulla ghiaia. Francesca, un po’ sudata, scattò con la bici: ”Ombra, finalmente ombra!” Anna e Marco a loro volta spinsero sui pedali. Quante buche, le trecce di Anna saltellavano sulle spalle. Marco superò Francesca lasciandola in una nuvola di polvere. Lei rallentò imbronciata, stava per”scoppiare” quando arrivò Anna che le sussurrò: ”Lascia perdere, poi ci vendicheremo”. Sulla curva Marco, pentito, s’era fermato all’ombra ad aspettarle.Anna urlò: ”Là, un laghetto”, in realtà era un ampio rigonfiamento del fosso; superato un ponticello di scrostati mattoni rossi lasciarono le bici e si avvicinarono all’acqua: era limpida, alcuni pesci si nascosero tra le alghe. Sulla riva,dei fiori sfioravano l’acqua, Francesca, nel tentativo di coglierli, entrò nell’acqua fino alle ginocchia. Con le spalle rivolte al ponte stava per abbassarsi, ma restò immobile; istintivamente anche gli altri volsero lo sguardo nella stessa direzione. Lontano un centinaio di metri di alberi e mura spuntava un curioso tetto rosso. No, non poteva essere una cascina, pensarono, e quasi in risposta ad un segreto segnale contemporaneamente si mossero, ripresero le bici e si avviarono verso il punto.Sembrava che nessuno da anni fosse più passato da lì. Sullo stretto viale di terra battuta, le alte erbacce ostacolavano l’avanzata dei tre. Marco, davanti, ogni tanto toglieva un piede dai pedali e scalciava per allargare il passaggio per le compagne. Lo seguiva senza troppa difficoltà Anna che si voltò e vide le gambe graffiate di Francesca:”te l’avevo detto dimettere i jeans!””Pensavo di andare ad una festa, e non ad un safari.”Su entrambi i lati la strada era invasa da rovi e cespugli. Tra questi biancheggiava un masso. Marco si fermò, guardò in giro, non vide più le compagne, forse s’erano fermate. Ora che era più vicino s’accorse che quello visto non era un masso, ma una statua. Stava avvicinandosi quando si bloccò di colpo, non era tranquillo, forse qualcosa si era mosso vicino alla statua. Continuò. La statua era un busto di donna consumato dal tempo; lo colpì un particolare: nel marmo bianco era incastonato un occhio di pietra nera.Marco urlò, stravolto fece un salto indietro: la testa della statua si stava muovendo. Il ragazzo cadde, alzò gli occhi. Anna e Francesca, ridendo come matte uscirono da dietro la statua. “Chi la fa l’aspetti!”sentenziarono in coro. Marco ancora pallido rise, ma era un riso palesemente forzato. Anna prese l’iniziativa: “cerchiamo forse ce ne sono altre.” Infatti alla fine contarono sei statue, tre per lato, ma nessun’altra aveva particolari di pietra nera; tutti raffiguravano busti di donne o di uomini, forse gli antichi proprietari.Conducendo a mano le bici arrivarono all’ingresso della villa. Quello che un tempo era stato un elegante cancello li fermò, ora era tutto arrugginito, ma una luccicante catena impediva di aprirlo. ”Forse la casa è abitata, la catena è nuova,” disse Marco armeggiando,”niente da fare, proviamo a scavalcare.” Francesca lo fulminò con gli occhi. All’improvviso videro qualcosa muoversi. Francesca saltò sulla bici. Era un verde ramarro. Tentando di seguirlo Anna scostò dei rami e vide un varco nella muraglia. “Venite!” I compagni accorsero. Francesca si fermò: “che schifo, una ragnatela!”Marco spinse l’amica oltre il muro. Stava iniziando un bisticcio quando Anna li richiamò: “non fate rumore, potrebbero esserci i proprietari.” Francesca togliendosi la ragnatela urlò: “qui ci sono solo ragni e spine, è tutto abbandonato!” “ma la catena è nuova”, ribatté Marco.

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Sembrava che si fosse rannuvolato, in realtà il parco intorno alla casa era talmente fitto che dominava un’uniforme luce soffusa velata di verde. I grandi alberi ombreggiavano completamente il giardino. Davanti ai ragazzi c’erano tre vie, presero quella che conduceva alla facciata principale. Marco corse ed entrò in quella che ad Anna parve una gabbia. ”Ma è una voliera! Quelle così grandi le usavano per i pavoni.” Precisò Francesca. “Ma tu devi sempre sapere tutto?” le rispose Anna scocciata. Continuarono fino ad uno spiazzo. La casa si presentava su due piani. Il tetto formava una mansarda a cui dava luce un abbaino. Il piano terra aveva una porta con due finestre sbarrate, al primo piano ancora due finestre contornavano una porta che dava su un balconcino quasi rotondo. L’edera avvolgeva la metà destra della casa, casa che era completamente rossa. Provarono a forzare la porta e le finestre, ma senza risultato.Passando vicino ad una vasca a forma di stella raggiunsero, a sinistra, gli alberi più grandi del parco. L’aria s’era fatta fresca, quasi fredda, Anna ebbe i brividi e Francesca s’incamminò turbata verso un’area meno buia sul retro della casa. Sotto una tettoia una carriola ed un badile erano appoggiati al muro. La voce di Marco risuonò all’improvviso:”entriamo!”Le ragazze si volsero verso di lui e lo videro correre verso una finestra mancante di un’anta. Francesca, rivolta ad Anna, esclamò:”non entro la dentro neppure se mi pagano!” Anna, senza ascoltarla corse da Marco che già s’era infilato nell’apertura, e mentre i due scomparivano oltre la finestra Francesca implorava:”Non lasciatemi sola…vengo anch’io.”Anna estrasse il suo accendino e fece luce; non che fumasse, ma a volte le piaceva atteggiarsi a grande. La stanza apparve completamente vuota. Li colpì il fatto che, nonostante l’abbandono, non vi fosse sporcizia, addirittura non c’era polvere. Marco diede la mano a Francesca e tutti e tre iniziarono la perlustrazione del piano terra. “Niente d’interessante” concluse Marco. Francesca approfittò del momento”andiamocene, fra poco inizierà la festa della zia.” Ma Anna, già sul quinto gradino, invitava:”Saliamo a vedere.”Una leggera corrente d’aria fredda scendeva dalle scale, Francesca saliva rigida appoggiandosi alla ringhiera. Anche di sopra non vi erano mobili, solo un divanetto di legno riempiva la stanza a sinistra del balcone.Di là, nel corridoio, lentamente le ante del balcone si aprirono e la stanza dal buio passò alla penombra. “Da giù le ante mi sembravano ben chiuse!” disse Anna. Marco vedendo Francesca sbiancarsi, per allentare la tensione, le offrì una caramella. Uscirono sul balcone, il panorama li rassegnò, la macchia verde del grande giardino contrastava con il verde sbiadito dei campi. Marco si tolse una scarpa:”come avrà fatto ad entrare sto sassolino?” Anche Francesca scherzava:”Da mia zia le scarpe però non le togli!” Stavano rientrando quando,praticamente assieme, la videro. Nel giardino una ragazza dai lunghi capelli biondi, vestita di bianco, scalza, volgeva loro lo sguardo. Il pallido e i lenti movimenti le davano un aspetto spettrale; lentamente si allontanò. Nessuno parlò. In silenzio, dopo un po’, i ragazzi rientrarono.La mano di Francesca, improvvisamente, strinse il braccio di Anna fino a farla male: nella penombra, seduta sul divano, la ragazza pallida stava leggendo un libro. Marco fu il primo a rompere il silenzio:”come ti chiami?” Nessuno rispose. Anna, quasi per cambiare argomento chiese a Francesca:”ma come fa a leggere con così poca luce?” Inaspettatamente la ragazza pallida aprì le labbra per rispondere, ma di nuovo si fermò. Marco giocherellava nervoso con l’accendino dell’amica e Francesca s’era avvicinata alla finestra per aprirla. Anna quasi senza pensarci propose:”Perché non vieni anche tu alla festa in cascina?” Agli amici sembrò una proposta senza senso, ma la ragazza pallida sembrò interessata e dopo qualche secondo iniziò a rispondere:”La zia…” Intanto gli occhi della ragazza erano sull’accendino che Marco accendeva e spegneva. Continuò:”La zia…” Prese l’accendino e lentamente si avviò verso le scale della mansarda. Affascinati Marco e Anna la seguirono, mentre Francesca, alla finestra guardava lontano.

Prof.ssa Benedetta Giorgio

l cielo si oscurò e cominciò a diluviare. Francesca non si spiegava come fosse possibile che si sia messo a piovere così all’improvviso. Corse dietro agli altri e gli disse:”fuori sta diluviando!””cosa?ma se poco fa era bel tempo!”. A quel punto la ragazza spiegò:”lei non vuole che me ne vada” “chi?” chiese Marco; “Mia zia, non vuole che la lasci sola, è stata lei a causare il diluvio”. I ragazzi pensavano che la ragazzina avesse qualche rotella fuori posto ma Anna per rassicurarla le disse:”non ti preoccupare, portaci da lei, parleremo noi con tua zia, riusciremo a convincerla”. La ragazza fece un cenno con la testa, come per dire che non sarebbero riusciti a dissuaderla, ma comunque fece cenno a seguirla. Li condusse in una cantina; qui l’aria era densa di terrore, quasi irrespirabile:”quella è mia zia.” Francesca, dalla vista acuta, rispose:”ma io non vedo nessuno, vedo solo un quadro che raffigura una bella signora e un enorme cassa.” ”quella non è una cassa, è una to…tom…una tombaaa!”I ragazzi urlarono a squarcia gola quando una voce proveniente dalla tomba gli ordinò di tacere:”silenzio, questa è casa mia, e quella è mia nipote, ho promesso a sua madre che mi sarei presa cura di lei, anche dopo la morte; non vi permetterò di portarla via da me, per cui andate via!”. I ragazzi sentirono raggelare il sangue, ma Anna coraggiosamente rimproverò il fantasma: “ma non ti vergogni? Dici di volerti prendere cura di lei, ma così non fai altro che condannare la ragazza alla solitudine.” “Sola? Ma cosa dici, ci sono io con lei, proprio come voleva sua madre, finché io sono qui, lei non ha bisogno di altro.” Anna rimproverò ancora una volta il fantasma e stavolta ci andò pesante:”ma che stai dicendo tu? Questa ragazza ha bisogno di più di questo, ha bisogno di amici, tu hai fatto ciò che potevi, ma se continui anche dopo la morte, sua madre sarà morta con il rimpianto di aver lasciato sua figlia a te!” queste parole colpirono la ragazza:”amici?””certo, noi siamo tuoi amici”. Il fantasma invece rimase adirato, come se quelle parole avessero colpito il suo punto debole; prese la ragazza per il collo e la strangolò. “Annaaaaa!!!” i ragazzi urlarono per la loro amica, volevano intervenire ma avevano troppa paura, quando la ragazzina dai capelli biondi disse:”fermati” il fantasma lasciò la ragazza e si rivolse a lei: ”vattene via e non farti più vedere” il fantasma la rimproverò: “stupida, cosa credi di fare senza di me, la fuori c’è solo dolore e…” fu interrotta dalla ragazzina che l’abbracciò forte dicendo con le lacrime agli occhi: “vattene via e non farti più vedere.”Il fantasma scomparve lasciando un ciondolo alla ragazzina. ”E finita?” chiese Marco. “adesso si.”A quel punto la casa cominciò a crollare. I ragazzi scapparono e riuscirono ad uscirne.”guardate, il temporale è finito.” Disse Francesca con sollievo. Era finita, i ragazzi presero le bici e si avviarono alla casa della loro zia insieme alla ragazzina. Quando arrivarono lì la ragazzina disse: ”grazie” “figurati, fra amici ci si aiuta.” Rispose Anna. Arrivati a destinazione i ragazzi si rivolsero alla ragazzina ma lei non c’era più; c’era solo il suo medaglione per terra. “dov’è finita?” si domandò Francesca.”la risposta è nel medaglione” disse Anna. Nel medaglione c’era scritto: “mia cara Emily, mi dispiace che non abbiamo passato molto tempo insieme, non fraintendermi io ti volevo bene. Se ti evitavo e perché non volevo soffrire quando sarebbe giunta la tua ora, per questo ho affidato a mia sorella il compito di prendersi cura di te. Ma non posso far finta di non provare niente per sempre, per questo scrivo questa lettera, per dimostrarti che io non ti odio e che penso sempre alla mia piccola gattina. Sorella, ti prego prenditi cura di lei, fa che la sua morte sia più dolce possibile, te ne prego. Da mamma a Emily, la mia gattina.” VIESTI LORENZO

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Folate di vento

Folate di vento addolcivano un’assolata giornata di maggio. Anna, Francesca e Marco percorrevano la stradina di campagna. Francesca per l’occasione sfoggiava il suo ultimo acquisto: leggero ed elegante vestito di garza, perfetto per la festicciola organizzata dalla zia che li aspettava alla cascina, ma che su quella stradina ghiaiosa s’era già impolverato tutto.

La strada era diritta, costeggiata da un fosso che portava l’acqua del pozzo; più avanti un filare di gelsi gettava ombre leggere sulla ghiaia. Francesca, un po’ sudata, scatto con la bici: “ Ombra, finalmente ombra “Anna e Marco a loro volta spinsero sui pedali. Quante buche, le trecce di Anna saltellavano sulle spalle. Marco superò Francesca lasciandola in una nuvola di polvere. Lei rallentò imbronciata, stava per scoppiare” quando arrivò Anna che le sussurrò: “ lascia perdere, poi ci vendicheremo.” Sulla curva Marco, pentito, s’era fermato all’ombra ad aspettare.

Anna urlò: “ Là, un laghetto”, in realtà era un ampio rigonfiamento del fosso; superato un ponticello di scrostati mattoni rossi lasciarono le bici e si avvicinarono all’acqua, Francesca, nel tentativo di coglierli, entrò nell’acqua fino alle ginocchia. Con le spalle rivolte al ponte stava per abbassarsi, ma restò immobile; istintivamente anche gli altri volsero lo sguardo nella stessa direzione. Lontano un centinaio di metri tra alberi e mura spuntava un curioso tetto rosso. No, non poteva essere una cascina, pensarono, e quasi in risposta ad un segreto segnale contemporaneamente si mossero, ripresero le bici e si avviarono verso il punto.

Sembrava che nessuno da anni fosse più passato da lì. Sullo stretto viale di terra battuta, le altre erbacce ostacolavano l’avanzata dei tre. Marco, davanti, ogni tanto toglieva un piede dai pedali e scalciava per allargare il passaggio per le campagne. Lo seguiva senza troppa difficoltà Anna che si voltò e vide le gambe graffiate di Francesca: “ te l’avevo detto di mettere i jeans!” “pensavo di andare ad una festa, non ad un safari.”

Su entrambi i lati la strada era invasa da rovi e cespugli. Tra questi biancheggiava un masso. Marco si fermò, guardò in giro, non vide più le compagne forse s’erano fermate. Ora che era più vicino s’accorse che quello visto non era più un masso , ma una statua. Stava avvicinandosi quando si bloccò di colpo, non era tranquillo, forse qualcosa s’era mosso vicino alla statua. Continuò. La statua era un busto di donna consumato dal tempo; lo colpì un particolare: nel marmo bianco era incastonato un occhio di pietra nera. Marco urlò, stravolto fece un salto indietro: la testa della statua si stava muovendo. Il ragazzo cadde, alzò gli occhi. Anna e Francesca, ridendo come matte, uscirono da dietro la statua. “ Chi la fa l’aspetti!” sentenziarono in coro. Marco ancora pallido rise, ma era un riso palesemente forzato. Anna prese l’iniziativa:. “Cerchiamo forse ce ne sono altre.”infatti alla fine contarono sei statue, tre per lato ma nessun’altra aveva particolari di pietra nera; tutte raffiguravano busti di uomini o di donne, forse gli antichi proprietari.

Conducevano a mano le bici arrivarono all’ingresso della villa. Quello che un tempo era stato un elegante cancello li fermò, ora era tutto arrugginito, ma una luccicante catena impediva di aprirlo. “forse la casa è abitata, la catena è nuova,” disse Marco armeggiando, niente da fare, proviamo a scavalcare.” Francesca lo fulminò con gli occhi. All’improvviso videro qualcosa muoversi. Francesca saltò sulla bici. Era un verde ramarro. Tentando di seguirlo Anna scostò dei rami e vide un varco nella muraglia. “Venite!” I compagni accorsero. Francesca si fermò: “Che schifo, una ragnatela!” Marco spinse l’amica oltre il muro. Stava un bisticcio quando Anna li richiamò: “Non fate rumore, potrebbero esserci i proprietari.” Francesca, togliendosi la ragnatela urlò:” qui ci sono solo ragni e spine, è tutto abbandonato!” “Ma la catena è nuova”, ribatté Marco.

Sembrava che si fosse rannuvolato, in realtà il parco intorno alla casa era talmente fitto che dominava un’uniforme luce soffusa velata di verde. I grandi alberi ombreggiavano completamente il giardino. Davanti ai ragazzi c’erano tre vie, presero quella che conduceva alla facciata principale. Marco corse ed entrò in quella che ad Anna parve una gabbia. “Ma è una voliera! Quelle cose grandi le usavano per i pavoni. ” Precisò Francesca. “Ma tu devi sempre sapere tutto?” le rispose Anna scocciata.

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Continuarono fino ad uno spiazzo. La casa si presentava su due piani. Il tetto formava una mansarda a cui dava luce un abbaino. Il piano terra aveva una porta con due finestre sbarrate, al primo piano ancora due finestre contornavano una porta che dava su un balconcino quasi rotondo. L’edera avvolgeva la metà destra della casa, casa che era completamente rossa. Provarono a forzare la porta e le finestre, ma senza risultato.Passando vicino una vasca a forma di stella raggiunsero, a sinistra, gli alberi più grandi del parco. L’aria s’era fatta fresca, quasi

fredda, Anna ebbe i brividi e Francesca s’incamminò turbata verso un’area meno buia sul retro della casa. Sotto una tettoia una carriola ed un badile erano appoggiati al muro. La voce di Marco risuonò all’improvviso: “Entriamo!” Le ragazze si volsero verso di lui e lo videro correre verso una finestra mancante di un’anta. Francesca, rivolta ad Anna, esclamò: “non entro là dentro neppure se mi pagano!” Anna, senza ascoltarla corse da Marco che già s’era infilato nell’apertura, e mentre i due scomparivano oltre la finestra Francesca implorava: “non lasciatemi sola…vengo anch’io.”nna estrasse il suo accendino e fece luce; non che fumasse; ma a volte le piaceva atteggiarsi a grande. La stanza apparve

completamente vuota. Li colpì il fatto che, nonostante l’abbandono, non vi fosse sporcizia, addirittura non c’era polvere. Marco diede la mano a Francesca e tutti e tre iniziarono la perlustrazione del piano terra. “niente d’interessante” concluse Marco. Francesca approfittò del momento : “ Andiamocene, fra poco inizierà la festa della zia.” MA Anna, già sul quinto gradino, invitava: “Saliamo a vedere.” Una leggera corrente d’aria fredda scendeva dalle scale, Francesca saliva rigida appoggiandosi alla ringhiera. Anche di sopra non vi erano mobili, solo un divanetto di legno riempiva la stanza a sinistra del balcone. Di là, nel corridoio, lentamente le ante del balcone si aprirono e la stanza del buio passò alla penombra. “ Da giù le ante mi

sembravano ben chiuse!” disse Anna. Marco vedendo Francesca sbiancarsi, per allentare la tensione, le offrì una caramella. Uscirono sul balcone, il panorama li rasserenò, la macchia verde del grande giardino contrastava con il verde sbiadito dei campi. Marco si tolse una scarpa: “come avrà fatto ad entrare questo sassolino?” Anche Francesca scherzava : “Da mia zia però le scarpe non le togli!” Stavano rientrando, quando praticamente assieme, la videro. Nel giardino una ragazza dai lunghi capelli biondi, vestita di bianco, scalza, volgeva loro lo sguardo. Il pallido viso e i lenti movimenti le davano un aspetto spettrale; lentamente si allontanò. Nessuno parlò. In silenzio, dopo un po’, i ragazzi rientrarono. La mano di Francesca, improvvisamente, strinse il braccio di Anna fino a farle male: nella penombra, seduta sul divano, la

ragazza pallida stava leggendo un libro. Marco fu il primo a rompere il silenzio: “ Come ti chiami?” Nessuno rispose. Anna, quasi per cambiare argomento chiese a Francesca: “ Ma come fa a leggere con così poca luce?” Inaspettatamente la ragazza pallida aprì le labbra per rispondere, ma di nuovo si fermò. Marco giocherellava nervoso con l’accendino dell’amica e Francesca s’era avvicinata alla finestra per aprirla. Anna quasi senza pensarci propose: “ Perché non vieni anche tu alla festa in cascina”? Agli amici sembrò una proposta senza senso, ma la ragazza pallida sembrò interessata e dopo qualche secondo iniziò a rispondere: “La zia…” Intanto gli occhi della ragazza erano sull’accendino che Marco accendeva e spegneva. Continuò: “La zia…” Prese l’accendino e lentamente si avviò verso le scale della mansarda. Affascinati Marco e Anna la seguirono, mentre Francesca, alla finestra, guardava lontano. I ragazzi la raggiunsero. Anna chiese alla bambina cosa le fosse successo, lei spaventata non rispose ma scoppiò subito in

lacrime. I tre ragazzi intimiditi da questa, le si avvicinarono per rassicurarla e tranquillizzarla, e la bambina smise subito di piangere. Anna la prese per mano e le chiese ancora, con la speranza che rispondesse, cosa le fosse successo. La bambina, le raccontò che l’anno precedente sua zia,(che era l’unico parente che aveva, dato che all’età di sei anni era rimasta orfana), morì per un malore. Così visse le sue giornate in solitudine. I tre ragazzi decisero insieme di portarla con loro alla festa e di farla divertire.Anna raccontò alla sua famiglia il destino crudele di questa ragazza,e loro impietositi da questo decisero di tenerla a casa e di

occuparsi di lei come loro figlia. Da quel giorno la vita di questa bambina cambiò in positivo. SONJLA GJIKA

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Prof.ssa Benedetta Giorgio

LA VILLA INFESTATA

Folate di vento addolcivano un'assolata giornata di maggio. Anna, Francesca e Marco percorrevano la stradina di campagna. Francesca per l'occasione sfoggiava il suo ultimo acquisto: un leggero ed elegante vestito di garza, perfetto per la festicciola organizzata dalla zia che li aspettava alla cascina, ma che su quella stradina ghiaiosa s' era già impolverato tutto. La strada era diritta costeggiata da un fosso che portava l' acqua del pozzo; più avanti un filare di gelsi gettava ombre leggere sulla ghiaia. Francesca, un pò sudata, scattò con la bici: "Ombra, finalmente ombra!" Anna e Marco a loro volta spinsero sui pedali. Quante buche, le tracce di Anna saltellavano sulle spalle. Marco superò Francesca lasciandola in una nuvola di polvere. Lei rallentò imbronciata, stava per "scoppiare"quando arrivò Anna che le sussurrò: "Lasciala perdere, poi ci vendicheremo." Sulla curva Marco, pentito, s' era fermato all' ombra ad aspettarle. Anna urlò: " Là, un laghetto", in realtà era un ampio rigonfiamento del fosso; superato un ponticello di scrostati mattoni rossi lasciarono le bici e si avvicinarono all'acqua: era limpida, alcuni pesci si nascosero tra le alghe. Sulla riva, dei fiori fiorirono l' acqua, Francesca, nel tentativo di coglierli, entrò nell'acqua fino alle ginocchia. Con le spalle rivolte al ponte stava per abbassarsi, ma restò immobile; istintivamente anche gli altri volsero lo sguardo nella stessa direzione. Lontano un centinaio di metri tra alberi e mura spuntava un curioso tetto rosso. No, non poteva essere una cascina, pensarono, e quasi in risposta ad un segreto segnale contemporaneamente si mossero, ripresero le bici e si avviarono verso il punto.Semprava che nessuno da anni fosse più passato da lì. Sullo stretto viale di terra battuta, le altre erbacce ostacolavano l'avanzata dei tre. Marco, davanti, ogni tanto toglieva un piede dai pedali e scalciava per allargare il passaggio per le campagne. Lo seguiva senza troppa difficoltà Anna che si voltò e vide le gambe graffiate di Francesca : "Te l'avevo detto di mettere i jeans!" "Pensavo di andare ad una festa, non ad un safari."Su entrambi i lati la strada era invasa da rovi e cespugli. Tra questi biancheggiava un masso.Marco si fermò, guardò in giro, non vide più le campagne, forse s'erano fermate. Ora che era più vicino s'accorse che quello visto non era un masso, ma una statua. Stava avvicinandosi quando si bloccò di colpo, non era tranquillo, forse qualcosa s'era mosso vicino alla statua. Continuò. La statua era un busto di donna consumato dal tempo; lo colpì un particolare: nel marmo bianco era incastonato un occhio di pietra nera.

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Marco urlò, stavolta fece un salto indietro: la testa della statua si stava muovendo. Il ragazzo cadde, alzò gli occhi. Anna e Francesca, ridendo come mette, uscirono da dietro la statua. " Chi la fa l'aspetti!" sentenziarono in coro. Marco ancora pallido rise, ma era un riso palesemente forzato. Anna prese l'iniziativa: "Cerchiamo forse ce ne sono altre." Infatti alla fine contarono si statue, tre per lato, ma nessun' altra aveva particolari di pietra nera; tutte raffiguravano busti di uomini o di donne, forse gli antichi proprietari.Conducendo a mano le bici arrivarono all'ingresso della villa. Quello che un tempo era stato un elegante cancello li fermò, ora era tutto arrugginito, ma una luccicante catena impediva di aprirlo."Forse la casa è abitata, la catena è nuova," disse Marco armeggiando, "niente da fare, proviamo a scavalcare." Francesca lo fulminò con gli occhi. All'improvviso videro qualcosa muoversi. Francesca saltò sulla bici. Era un verde ramarro. Tentando di seguirlo Anna scostò dei rami e vide un varco nella muraglia. "Venite!" I compagni accorsero. Francesca si fermò: " Che schifo, una ragnatela!" Marco spinse l'amica oltre muro. Stava iniziando un bisbiglio quando Anna li richiamò: "Non fate rumore, potrebbero esserci i proprietari." Francesca, togliendosi la ragnatela urlò: "Qui ci sono ragni e spine, è tutto abbandonato!" "Ma la catena è nuova",ribatté Marco.Sembrava che si fosse rannuvolato, in realtà il parco intorno alla casa era talmente fitto che dominava un'uniforme luce soffusa velata di verde. I grandi alberi ombreggiavano completamente il giardino. Davanti ai ragazzi c'erano tre vie, presero quella che conduceva alla facciata principale. Marco corse ed entrò in quella che ad Anna parve una gabbia. "Ma è una voliera! Quelle così grandi le usavano per i pavoni." precisò Francesca. "Ma tu devi sempre sapere tutto?" le rispose Anna scocciata. Continuarono fino ad uno spiazzo. La casa si presentava su due piani. Il letto formava una mansarda a cui dava luce un abbaiano. Il piano terra aveva una porta con due finestre sbarrate, al primo piano ancora due finestre contornavano una porta che dava su un balconcino quasi rotondo. L'edera avvolgeva la metà della destra della casa, casa che era completamente rossa. Proviamo a forzare la porta e le finestre, ma senza risultato. Passando vicino ad una vasca a forma di stella raggiunsero, a sinistra, gli alberi più grandi del parco. L'aria s'era fatta fresca, quasi fredda, Anna ebbe i brividi e Francesca s'incamminò turbata verso un'area meno buia sul retro della casa. Sotto una tettoia un carriola ed un badile erano appoggiati al muro. La voce di Marco risuonò all'improvviso: "Entriamo!" Le ragazze si volsero verso di lui e lo videro correre verso una finestra mancante di un'anta. Francesca, rivolta ad Anna, esclamò: "Non entro là dentro neppure se mi pagano!" Anna, senza ascoltarla corse da Marco che già s'era infilato nell'apertura, e mentre i due scomparivano oltre la finestra Francesca implorava: " Non lasciava sola...vengo anch'io."

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Anna estrasse il suo accendino e fece luce; non che fumasse, ma a volte le piaceva atteggiarsi a grande. La stanza apparve completamente vuota. Li colpì il fatto che, nonostante l'abbandono, non vi fosse sporcizia, addirittura non c'era polvere. Marco diede la mano a Francesca e tutti e tre iniziarono la perlustrazione del piano terra. "Niente d'interessante" concluse Marco. Francesca approfittò del momento: "Andiamocene, fra poco inizierà la festa dalla mia zia." Ma Anna, già sul quinto gradino, invitava: "Saliamo a vedere." Una leggera corrente d'aria fredda scendeva dalle scale, Francesca saliva rigida appoggiandosi alla ringhiera. Anche di sopra non vi erano mobili, solo un divanetto di legno riempiva la stanza a sinistra del balcone.Di là, nel corridoio, lentamente le ante del balcone si aprirono e la stanza dal buio passò alla penombra. <<Da giù le ante mi sembravano ben chiuse!>> disse Anna. Marco vedendo Francesca sbiancarsi, per allentare la tensione, le offrì una caramella. Uscirono sul balcone, il panorama li si tolse una scarpa: <<Come avrà fatto ad entrare sto sassolino?>> Anche Francesca scherzava: <<Da mia zia però le scarpe non le togli!>> Stavano rientrando quando, praticamente assieme, la videro. Nel giardino una ragazza dai lunghi capelli biondi, vestita di bianco, scalza, volgeva loro lo sguardo. Il pallido viso e i lenti movimenti le davano un aspetto spettrale; lentamente si allontanò. Nessuno parlò. In silenzio, dopo un po’, i ragazzi rientrarono.La mano di Francesca, improvvisamente, strinse il braccio di Anna fino a farle male: nella penombra, seduta sul divano, la ragazza pallida stava leggendo un libro. Marco fu il primo a rompere il silenzio: <<Come ti chiami?>> Nessuno rispose. Anna, quasi per cambiare argomento chiese a Francesca: <<Ma coma fa a leggere con così poca luce?>> Inaspettatamente la ragazza pallida apri le labbra per rispondere, ma di nuovo si fermò. Marco giocherellava nervoso con l’accendino dell’amica e Francesca s’era avvicinata alla finestra per aprirla. Anna quasi senza pensarci propose: <<Perché non vieni anche tu alla festa in cascina?>> Agli amici sembrò una proposta senza senso, ma la ragazza pallida sembrò interessata e dopo qualche secondo iniziò a rispondere. <<la zia...>> Intanto gli occhi della ragazza erano sull’accendino che Marco accendeva e spegneva. Continuò: <<La zia...>> Prese l’accendino e lentamente si avviò verso le scale della mansarda. Affascinati Marco e Anna la seguirono, mentre Francesca, alla finestra, guardava lontano. La mansarda della villa era favolosa, in ordine e rispetto alle altre stanze era molto impolverata.Un forte raggio di luce filtrava dalla finestra che era semiaperta.

Prof.ssa Benedetta Giorgio

La bambina non parlava, dopo un interminabile silenzio, accennò qualcosa.Si presentò dicendo che era un fantasma: Lucy, il fantasma della villa. Raccontò loro la sua storia, lei era la figlia dei proprietari, la sua era una famiglia felice, agiata, senza problemi.Ma un giorno una brutta malattia: la malaria, colpì la sua famiglia.La mamma fu la prima vittima, poi il padre, i fratelli più piccoli e poi un giorno anche lei si ammalò.Non gli era rimasto nessun altro, solo un fratello: Erik, che era nell’esercito militare. Così una lontana zia: Pruselia, molto perfida e avara si mise in contatto con Erik che si precipitò alla villa.Erik la curò in tutti i modi possibili, ma alla fine non ce la fece. Lucy morì.Ma il suo spirito rimase intrappolato per secoli nella villa. E così si spiega come mai Lucy ripeteva spesso la parola: “La zia”. La bambina nutriva un profondo odio verso zia Pruselia, che era stata così cattiva con lei.I tre ragazzi ora non avevano più paura di Lucy, anzi erano molto interessati alla storia, il pomeriggio trascorse velocemente, però poi arrivò l’ora di andare. Marco Anna e Francesca si diressero verso l’uscita della villa, Lucy li accompagnò e si fece promettere che i tre amici sarebbero presto tornati a trovarla.I ragazzi raggiunsero la zia, ma non raccontarono a nessuno l’esperienza di quel giorno, che fu davvero improvvisa.

Apollonia Cirincione

Prof.ssa Benedetta Giorgio

Prof.ssa Benedetta Giorgio

“Tutti i dilettanti scrivono volentieri. Perciò alcuni di loro scrivono così bene”. (Friedrich Durrenmatt)