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PRETESTICollana a cura di Anna Grazia D’Oria

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CARLA CAVALLUZZI – SERGIO RUBINI

DOMENICO STARNONE

IL CATTIVO SOGGETTO

© 2009 Piero Manni s.r.l.Via Umberto I, 51 - San Cesario di [email protected]

In copertina: Illustrazione di Omar Di MonopoliProgetto grafico di Vittorio Contaldo

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Un soggetto per il cinema non è un racconto che cerca lettori. Vie-ne scritto per essere letto soltanto da chi deve decidere se farne un filmoppure no. Per questo motivo ha poche regole ma significative: lessicodi uso comune; sintassi prossima a quella dei telegrammi; un po’ di me-tafore fantasiose per far vedere che chi scrive sa scrivere; azione tuttaal tempo presente; qualche stringata battuta di dialogo; venti paginet-te al massimo, meglio dieci (non meno però, se no si sembra svogliati).

Questo testo, che appunto è stato scritto per il cinema, pur rispettan-do in linea di massima il canone, ignora decisamente un paio delle re-gole elencate: ha una settantina di pagine in più del dovuto e abbon-da col dialogo. Va considerato dunque un soggetto anomalo, e alla ba-se di questa anomalia c’è un’unica ragione: il piacere di rappresentare.

È andata così: siamo partiti da una vecchia idea di Sergio Rubi-ni, che ama il cinema di genere anche se poi lo fa a modo suo, e diriunione in riunione, di chiacchiera in chiacchiera, il Bene dubbiosoe fragile, il Male furbo che assolve e si autoassolve si sono fatti ve-dere e dire con tale prepotenza che sono diventati presenze rifinite,chiesa, prete, bandito, sangue.

Un’illusione, naturalmente. Se il soggetto avesse generato una sceneggiatura e poi attori, luo-

ghi, costumi, fotografia, musiche, molte cose buone o cattive si sa-rebbero perse per strada, altre, buone o cattive, ne avrebbero presoil posto, e chissà che storia, che film – bello, brutto – alla fine sareb-be venuto fuori. Ma non è successo: a chi ci aveva commissionato illavoro, il testo non è piaciuto. Resteremo, dunque, noi che l’abbia-mo scritto, gli unici spettatori di un film che non si vedrà.

A meno che qualcuno non voglia ricavarne una visione privatis-sima muovendo da queste pagine. Prima ancora degli schermi nellesale cinematografiche o a casa nostra, esiste lo schermo segretissimodella testa. Si guarda scrittura, si vedono mondi. A tutt’oggi restanon solo il cinema più economico che abbiamo, ma anche quello tec-nicamente più avanzato.

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All’inizio pare tutto sereno. C’è il profilo azzurrino dellemontagne che, come un bavero alzato, circondano una gran-de vallata. C’è la luce calda del tardo pomeriggio che giocacon tutte le tonalità del giallo del grano non ancora raccolto.Ci sono le cicale che spaccano i timpani.

Ma già quando si leva un coro piuttosto stonato e cominciaa venir su per la collina una processione, le cose cominciano adiventare come in uno stagno quando ci buttate un sasso.

I fedeli stanno portando sulle spalle un piccolo altarino ad-dobbato di fiori con al centro la statua di Maria Vergine. Ègente del posto, gente perbene: contadini e artigiani, il sinda-co, il dottore, persino il tenente dei carabinieri in grande uni-forme e qualche lavoratore straniero che ormai fa parte dellacomunità. Alcuni, i più partecipi, i più ispirati, camminanoscalzi. Molte donne coprono il capo con il velo, ben coniuga-te e mal coniugate, nubili e prossime al matrimonio. Niente diche, insomma. Ma il sacerdote che guida la processione, quel-lo sì che ha qualcosa che non va.

È un uomo sotto i quaranta, vestito con l’abito talare da ce-rimonia, la barba lunga e lo sguardo di chi sta annegando. Seuno gli spaccasse la testa in due e ci guardasse dentro, si ac-corgerebbe che, proprio mentre tesse le lodi del suo Dio, cista litigando.

Il peggio comunque è altrove. Per rendersene conto bastaspostare lo sguardo sulla macchina che si inerpica ad alta ve-locità lungo i tornanti della collina tutta a grano.

Alla guida c’è un tipo sulla cinquantina, un vestito primave-

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rile color crema, il volto segnato da veleni vari: sigarette, alcol,donne e chissà cos’altro. È vestito con una certa cura ma unpo’ cafone. Porta in testa un panama e si capisce che a quelcappello ci tiene, forse crede di fare una gran bella figura.

Che tipo è? Mah. L’espressione per adesso è indecifrabile. A una certa disso-

lutezza malvagia degli occhi associa, incongruamente, unasincera accattivante fragilità da agnello sacrificale. Di sicuronon se la passa molto bene, in questo momento: è spaventato,borbotta a ogni curva pericolosa non bestemmie ma una spe-cie di rissoso e tuttavia supplice elenco di santi; una litania afior di labbro che suona tipo: ma tu guarda – San Michele Ar-cangelo – come cazzo doveva andare a finire; ma tu pensa –San Giovanni Battista – con che stronzi io me la devo vedere;Padreterno, Padreterno, che ho fatto di male.

Però non sembra disperato. Pare uno di quelli che una so-luzione la trovano sempre, anche quando tutto si mette male.E tutto certamente si sta mettendo male. È inseguito. Tremacchine, un tornante più sotto, cercano di guadagnare terre-no. Ma lui guida bene e mantiene un piccolo vantaggio. Van-taggio che aumenta quando si butta per una stradina in salitache attraversa il bosco. La strada si fa sempre più accidentata.Una curva presa male fa volare la vettura fuori strada. Gran-de tonfo. Tutto tace.

Sugli inseguitori c’è poco da discutere. Hanno evidenti fac-ce da galera e sono armati. Poiché la macchina dell’inseguitonon si vede e non si sente più, le auto ora avanzano lentamen-te, gli occupanti spiano il bosco.

Poi la vettura in coda inchioda, strombazza, fa marcia in-dietro e va a fermarsi ai margini della scarpata. Lo stesso fan-

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no subito dopo le altre. Due uomini grossi, decisi, che parla-no con ferocia un qualche dialetto meridionale strettissimo,scendono dall’auto armi in pugno e dal ciglio della strada ve-dono di sotto, seminascosto nella selva, il veicolo capovolto.Vanno a controllare mentre altri uomini armati sorvegliano lastrada.

La macchina è un rottame, del guidatore nessuna traccia. Idue frugano intorno, niente. Poi un rintocco lungo di campa-ne gli fa alzare la testa al cielo. Indicano agli altri, come bam-bini che hanno visto dove sono nascoste le caramelle, il cam-panile di una chiesetta di montagna.

Lo scampanio sta segnalando l’arrivo della processione einfatti il gruppo di fedeli con la Madonna in spalla ha raggiun-to la chiesa. Uomini e donne depongono la Vergine davantiall’altare mentre continuano preghiere e canti e il prete impar-tisce svogliatamente le sue benedizioni.

Il rito giunge al termine, i devoti vanno via dirigendosi chialla volta del paese, chi verso le case intorno, chi verso la fer-mata della corriera. Pochi si attardano col prete: don Lucio diqua, don Lucio di là. Il prete ascolta ma tagliando corto. Unacoppia deve celebrare a giorni il suo matrimonio, una donnacon due gemellini pestiferi vuole sapere se l’asilo riaprirà. Leparole di don Lucio sono scabre, con qualche sarcasmo: per ilmatrimonio è tutto a posto, Dio nell’alto dei cieli non si pre-occupa d’altro; quanto all’asilo, il Comune è in ritardo coipermessi, ha tante cose più importanti da fare, pure in terra lepriorità di chi comanda sono spesso fondate su criteri imper-scrutabili.

«Vero, Muta?»Anche l’anziana perpetua, detta Muta perché parla troppo,

è mandata via senza troppi complimenti. Il suo dovere l’ha

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fatto, ha preparato la cena (filetto d’asino, buonissimo), hapulito e lustrato, può andarsene a casa.

«Quant’è grezzo quest’uomo» spettegola Muta per stradaparlando malissimo del prete con la madre dei gemellini. «Èun ragazzo così scorbutico» dice, «e poi lo senti come parla,gnegnè gnegnè, questi dell’Altitalia chi li capisce. Tutto il con-trario di don Galeno che sì, forse gli piacevano le femmine esicuramente beveva, ma almeno ci potevi scambiare due paro-le. Questo mamma mia com’è affliggente».

«Ha le sue ragioni.»«Sarà ma non mi deve affliggere a me!»E mentre pronuncia stizzosamente questa frase, ecco le tre

auto che vengono su a velocità sostenuta. La perpetua, la ma-dre dei gemelli e anche i gemelli si girano a guardarle con cu-riosità.

«Sarà gente che ha urgenza di pregare.»Muta fa cenno di sì in modo ispirato:«Quando il Signore chiama, non puoi dire aspetta, mi de-

vo prendere un caffè.» Le due donne entrano nel bosco e calano a valle per una

scorciatoia. Muta ha già ripreso a dir male di don Lucio.

Il prete sta spazzando la navata centrale, quando le tremacchine irrompono sul sagrato e sei uomini armati si rove-sciano in chiesa. Il commando è capeggiato da un uomo cheurla frasi secche in dialetto e ha una cicatrice che gli divide indue una guancia.

Il prete resta di stucco, non si sa se paralizzato dal terroreo del tutto indifferente a ciò che sta accadendo.

Gli uomini frugano dappertutto, nelle navate, dietro l’alta-re, in sacrestia. Rovesciano banchi e sedie, la statua della Ver-

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gine, immagini votive, fiori e ceri, i confessionali. Ciò che cer-cano non si trova. A don Lucio cade di mano con naturalez-za, come se si fosse dimenticato di averla, la ramazza, che ur-tando contro il pavimento dà un suono secco di fucilata. Ungiovane gli punta contro di scatto il mitra e l’uomo con la ci-catrice gli è subito addosso e lo investe con frasi dialettali fu-ribonde a cui il prete risponde in buon italiano, con accentolombardo, senza emozioni, vagamente ironico.

«Cazzo fai lì, coglione? Parla! Dove s’è nascosto?»«Dio?»«Dio, prete di merda? Dio?! Vuoi fare lo spiritoso con

questa faccia qua?»Gli indica il viso segnato dalla cicatrice, vuole terrorizzar-

lo, e intanto, mentre parla, colpisce il prete in petto con lapunta delle dita facendolo arretrare.

Don Lucio indietreggia balbettando frasi monche che gliescono sfottenti a ogni colpo che riceve in petto:

«No, volevo solo dire che il padrone di casa è assente. Cheperò non significa che uno è autorizzato a entrare in chiesa espaccare tutto: di solito ci si mette sulla panca e si aspetta, ca-so mai pregando.»

L’uomo con la cicatrice fa occhi da pazzo criminale.«Ho capito, tu sei uno che pensa di poter coglionare la

gente! Ma lo sai che a quelli come te gli sparo in mezzo agliocchi?»

Con un gesto ampio, plateale, punta la pistola su don Lu-cio. Il prete arretra ancora di un passo, inciampa, cade su unadelle pietre tombali che quadrettano il pavimento e il killer gliè subito addosso, gli poggia la pistola contro la fronte.

«Ricominciamo da capo: dove sta?»«Dimmi almeno chi.»«Don Mimì Festa!»

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«E chi è?»Lo spavento del prete, ora che ha la canna della pistola sul-

la fronte, c’è, è reale. Ma è un particolare tipo di spavento: èlo spavento del corpo che cerca di sfuggire alla morte mentrela mente rema orgogliosamente contro e anzi reagisce all’in-sensatezza di ciò che sta succedendo con distacco ironico.

L’uomo con la cicatrice sibila:«Mimì Festa è uno che appena lo trovo muore. Guardami

bene in faccia, stronzo: o mi dici dove sta o sparo!»Don Lucio mormora come se la lingua fosse indipendente

dal suo terrore:«Qui non è entrato nessun Mimì Festa. Ha guardato alla

fermata della corriera per Potenza? Quattrocento metri sulladestra: pochi passi e trova una piazzuola…»

È troppo per l’uomo con la cicatrice. Preme ancora di piùla pistola contro la fronte del prete.

«La corriera, eh, pezzo di merda!? La piazzola, eh!? Sonouno stronzo, secondo te? Parla!»

E sta davvero per sparare, a questo punto, il dito è contrat-to sul grilletto.

La morte del prete è prossima, tutto il suo corpo lo senteed è come se si raccogliesse in un grumo. Le palpebre si chiu-dono strette sulle pupille, aboliscono in anticipo il mondo.Ma la voce, quella non si rassegna: all’improvviso dispiega uncanto a squarciagola che rimbomba per la navata ed è lo stes-so della processione, anche se don Lucio questa volta lo gridacome per sfregio.

Il prete canta:«T’adoriam ostia divina, T’adoriam ostia d’amor!»

Il canto inaspettato interrompe il viavai distruttivo dei kil-ler. Per un lungo attimo aspettano tutti il colpo di pistola conun sorriso scemo sul ghigno.

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Invece l’uomo con la cicatrice allontana lentamente l’arma:«Porta male ammazzare un pazzo.»E fa cenno agli altri:«Andiamo alla fermata della corriera!»Ma sulla soglia della chiesa urla ancora, in dialetto, al pre-

te che sta continuando a cantare, ma ora in sordina:«Se don Mimì sta qua dentro e non me l’hai detto, torno e

ti sgozzo proprio sotto all’altare, pezzo di merda!»

Le auto si allontanano. Il prete smette piano piano di can-tare e riapre gli occhi. Cade il silenzio sulla chiesa devastata.Don Lucio si solleva a fatica sui gomiti e intanto qualcosa locolpisce, non ci può credere. Una delle pietre tombali a pochipassi si sta muovendo, si solleva.

Compare come fosse un essere venuto dall’aldilà il tipo colpanama, l’inseguito.

«Canti bene!» commenta con un mezzo sorriso accattivan-te.

È tutto ammaccato, gli abiti strappati, esce dalla buca a fa-tica. Si tiene il costato sanguinante con una mano.

Don Lucio si rimette in piedi, fissa come abbacinato lamacchia di sangue sulla camicia dell’uomo. Mormora:

«Mimì Festa, m’immagino. Aspetti, chiamo subito un’am-bulanza. E i carabinieri. Andrà tutto bene, non si preoccupi.»

L’uomo non si preoccupa. Lo afferra per un braccio salda-mente, con improvvisa durezza.

«Mi può togliere il cappello, padre?»La domanda è incongrua. E sebbene il tono sia gentile, tut-

to dell’uomo è improvvisamente imperativo.«Non sono suo padre» risponde il prete liberando il brac-

cio, «mi chiamo Lucio».Ma intanto obbedisce, gli toglie il cappello.

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«Va bene così?»«Grazie, padre Lucio, non lo volevo sporcare di sangue, ma

non volevo nemmeno stare nella casa del signore col cappelloin testa. Me lo tiene lei? È un regalo che mi ha fatto mio figlio,ci tengo moltissimo, se si rovina mi metto a piangere.» MimìFesta sorride ma il sorriso sembra anche una smorfia di soffe-renza. «Perché non vuole essere chiamato padre? La paternitàè una bellissima cosa, quella di un prete poi è così… così…»

Ma qui lancia all’improvviso un lungo gemito, si accasciacontro una colonna. Il prete gli è accanto, Mimì è un cenciobianco, ma mormora preoccupato:

«Mi raccomando, attento al cappello.» Poi seguita con voce flebile: «Non vorrà contribuire a rendere orfano un figlio? I delin-

quenti che hanno sfasciato la chiesa vogliono farmi la pelle. Lasupplico, mi sento male. Se lei mi manda in ospedale io sonomorto. Se mi consegna alla polizia o ai carabinieri io sonomorto. È gente quella che arriva dove vuole.»

«Che gli ha fatto?»«Problemi di famiglia.»«Avevo capito che è molto affezionato alla famiglia.»«Alla mia sì, ma a quella dei Giovanniello no. Lei lo sa chi

sono i Giovanniello?»I Giovanniello? Il prete sbotta. Non lo sa e non lo vuole sapere chi sono i

Giovanniello. Basta. Don Mimì rifiuta l’ospedale? Peggio perlui. Non si fida delle forze dell’ordine? Va bene. Ma alloraquella è la porta e vada a morire da qualche altra parte.

«Padre» mormora l’uomo col respiro affaticato, «don Lu-cio, lei non mi può cacciare dalla casa del Signore. Voi pretiaiutate tutti, gli affamati, gli assetati… Mi prende, per favore,un bicchiere d’acqua?»

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Don Lucio sospira.«Va bene, un bicchiere d’acqua e poi se ne va.»Ma l’uomo l’afferra per la tonaca:«Voi aiutate tanta povera gente, rossi, gialli, i negri… Aiu-

ti anche me… Mi tratti come un disgraziato, che so, delloZimbawe, del Ruanda, della Nigeria, del Darfur! Mi tratti co-me uno dell’Africa!»

Don Lucio lo soppesa, ha un guizzo improvviso di furia:«Sa che le dico? È cascato male! Io me ne fotto dei rossi,

dei gialli e dei negri! Io me ne fotto dell’Africa e di tutto il pia-neta!»

Mimì Festa gli lascia la tonaca come se gli avesse trasmessouna scossa elettrica. È scandalizzato sul serio:

«Questo – mi permetta, padre – non ci posso credere!Questo, le devo dire, mi pare ve-ra-men-te una bruttissimaaffermazione!»

Il prete fa spallucce:«Bruttissima, eh? Ora le prendo l’acqua e toglie il distur-

bo, caro signore.»Don Lucio si allontana imbronciato verso la sacrestia con

un gesto di desolato fastidio.«Guardi che cazzo hanno combinato i suoi amici!»Il prete scavalca una panca, scalcia via un cero, entra in cu-

cina, poggia il cappello di Festa sul frigo. Poi prende un bic-chiere d’acqua con un’espressione tesa, cupissima. Quandotorna si accorge che l’uomo ha la testa reclinata, è svenuto.

Don Lucio lo scrolla, gli dà un po’ di schiaffetti, niente. Al-lora gli controlla le ferite, sono superficiali. Gli tocca la fron-te, pare fresca.

«Sveglia! Signor Festa, mi sente? Ehi!»Festa geme, comincia a biascicare, smaniando a occhi chiu-

si, parole che supplicano il perdono, dichiarano la sua inno-

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cenza e la paura che ha di morire senza rivedere più suo figlio. Il prete si guarda intorno nella chiesa sconvolta, gli grava

addosso il silenzio. Poi si decide. Solleva l’uomo tra le braccia con un notevole sforzo e bar-

collando, inciampando, lo porta in uno stambugio dietro lasacrestia. Qui lo scarica senza troppi riguardi su una branda.

Mimì seguita a delirare, trema, batte i denti. Don Lucio gliscopre il petto, gli medica le ferite, gli fa ingoiare un antibio-tico. L’uomo ogni tanto, tra una frase di delirio e l’altra, sbot-ta: ahia! cazzo, un po’ di delicatezza, ma per il resto si limitaa farneticare e a gemere con pacata sofferenza. Infine si ac-quieta, anche se a volte sussulta nel sonno.

Il prete lo copre con una coperta, ma ha lo sguardo di chiè arrabbiato innanzitutto con se stesso. Esce chiudendo laporta a doppia mandata. Si lascia alle spalle il gemito lungo didon Mimì Festa.

Adesso, nella penombra della chiesa, don Lucio risistemala statua della Madonna, riallinea le panche, raccatta i ceri, ri-mette su i confessionali. Sgobba fino a notte fonda, madido disudore, e non sa, non può sapere che, a sorpresa, Festa, nellasua stanzetta, è tutt’altro che sfinito dal delirio, anzi sembraLazzaro un minuto dopo la resurrezione.

Smanetta accanitamente, con una smorfia dura, un’aria ac-cigliata, uno sguardo vigile, sul suo cellulare. E il telefono glivibra in continuazione tra le mani. Una due tre chiamate a cuinon risponde. Sms a raffica. Uno solo lo rischiara, quasi lo in-tenerisce: «Dove sei? Come stai? Dammi tue notizie.» Digitasubito in risposta: «Tutto bene. Stai tranquillo. Non possodirti niente adesso. Mi faccio vivo io. Baci.»

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Don Lucio si sveglia di soprassalto, ha dormito su unapanca della navata di destra, nella chiesa che è di nuovo in bel-l’ordine. Gli arrivano voci allegre dal cortile interno.

Il prete, intontito dal sonno, si tira su a fatica, ha la schie-na rotta.

Raccatta un cero che gli era sfuggito, vede in un angolol’aureola della Madonna e va a sistemargliela sulla testa, maquella ricade sghemba e allora lascia perdere.

Poi esce nel cortile e trasecola. Mimì Festa è a tavola, all’ombra, sotto una fiammeggiante

buganvillea, e ha davanti l’occorrente per la colazione piùsfarzosa nella storia delle colazioni. Naturalmente si sta in-gozzando ma intanto intrattiene Muta con qualcosa che de-v’essere assai divertente, perché l’anziana è rovesciata sulla se-dia e ride che non riesce a calmarsi. Finché vede don Lucio esi ricompone bruscamente esclamando:

«Venite, don Lucio, adesso apparecchio anche per voi. Ma-donna mia com’è simpatico vostro cugino, com’è alla mano,quant’è bravo! E soprattutto quant’è buono! Non me l’avetedetto che avete parenti pugliesi. Ma tanto voi non dite mainiente. Lui invece sì. Mi stava raccontando – glielo posso di-re, signor Festa?»

Riprende a ridere ma cercando di controllarsi. Festa è pla-cidissimo, addenta una fetta di pane stracarica di burro e mar-mellata, poi dice accondiscendente:

«Diteglielo, tanto figuriamoci se non se lo ricorda. Lucio,ti ricordi di quando sei venuto a casa nostra e non sapevi do-v’era il cesso e ti sei fatto pipì sotto? Cos’era, il ’72?»

Muta non riesce più a frenarsi, all’idea del prete bambinoche si piscia sotto, e ride senza ritegno.

Don Lucio allora si siede a tavola con calma, si stropicciagli occhi:

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«Nel ’72 avevo un anno. Muta, quando s’è calmata mi pre-para il mio caffè?»

Muta si ricompone, si alza malvolentieri: «Subito» dice fred-da, e a Festa invece, radiosa: «Vi faccio la spremuta d’arancia?Quella v’aiuta sicuramente. Qui da vostro cugino vi fate unabella villeggiatura e intanto vi rimetto a posto io, signor Festa.»

«Mimì.»Il prete accenna nervosamente, a mezza bocca, all’aria di

Puccini, ma Muta che ne sa, tira avanti con smancerie e vezzi: «Mimì non posso, è troppa confidenza, non ci riesco. Però

tutto quello che desidera basta che lei dice: Muta, mi servequesto, e io lo faccio. Ma non si può credere! Signore mio, co-m’è stato possibile? Lei va al ristorante, entra e va a batterecontro uno specchio?!»

Festa fa cenno di sì, serio, e intanto si taglia grandi fette dipane fresco e mentre ci ficca in mezzo una quantità notevoledi salame e formaggio, scandisce soffertamente:

«I pensieri: sono stati i troppi pensieri.»Muta è vicina alla commozione, adesso.«Si vede, eh, che avete molti pensieri. Ho visto che avete il ve-

stito sporco, ve lo smacchio. E più tardi vado a casa e poi tornocon quello che serve e vi medico bene io. Fidatevi, ho accuditoper dieci anni don Galeno che aveva certe pustole brutte sullecaviglie. Vi porto una pomata che aiuta assai la cicatrizzazione.»

«Vi sono obbligato» dice Festa addentando il panino.Il prete sbotta:«Muta, per favore, il caffè!»Muta esce compunta, ma alle spalle di don Lucio scocca un

bel sorriso complice a Festa e poi fa gesti e smorfie per dire:sta sempre incazzato, questo qui, che brutto carattere, non sidiverte mai.

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A questo punto bisogna dire che, per quanto don Luciosia spiacevolmente colpito dall’invadenza di Mimì Festache gli sta divorando tutte le provviste, per quanto sia pre-occupato dall’irruzione gravissima del giorno prima, perquanto sia arrabbiato con se stesso in quanto sa bene che ilsuo dovere è chiamare i carabinieri ma non gli va di farlo,l’unica cosa che davvero gli sta a cuore è chiedere subito,stupefatto:

«Ma che magia le hai fatto, a Muta?»Poi si corregge in fretta:«Mi scusi per il tu, m’è venuto così, non volevo.»Festa invece ne è felice. Il tu lo rallegra, lo consola. Ha

sempre sognato di avere un cugino prete a cui rivolgersi, inpiena confidenza, per sottoporgli i casi complicati della vita.

Ma Lucio si sottrae tetro:«Non siamo cugini e i casi della tua vita non mi interessano.

Hai preso in giro quella povera vecchia!»«Io? È lei che m’ha catturato. M’ha aperto la porta, m’ha

preparato la colazione. Io sono stato soltanto gentile. Il pro-blema sai qual è, Lucio?»

«Non lo so e non lo voglio sapere.»«Il problema è che la croce della mia vita è che appena io

apro la bocca tutti stanno bene, si sentono rassicurati e nonriescono più a vivere senza di me. Non mi credi? È così! Lamia condanna è che io dovrei stare sempre zitto. Perché appe-na parlo mi devo far carico del benessere che do agli altri. Èpossibile? Si può sopportare una cosa simile?»

Don Lucio scuote la testa disgustato:«Ti piace vantarti, eh? Ti piace, ma facendo finta di essere

una vittima. Ah che piacere! È una cosa che voi meridionalifate così bene: le finte vittime, per nascondere la presunzionee la superbia!»

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«Lucio, non è per vanteria! E poi che vittima, che presun-zione, che superbia! Guarda, ti voglio raccontare la storia del-la mia vita, così capisci.»

«Non ho tempo.»«In confessione! Alla fine mi dai una penitenza e mi sento

meglio!»Il prete scuote la testa, mormora:«Mi fa ribrezzo la confessione.» E poi balza su con un’aria

tormentatissima: «Volete tutti continuamente confessarvi. Enon per la penitenza. Della penitenza non ve ne frega niente!Vi piace raccontare i fatti vostri, questo è il punto. Li raccon-tate in chiesa, sui giornali, dallo psicanalista, nei libri, al cine-ma e alla televisione! Vi piace fare pettegolezzi su voi stessi!Senonché vuoi sapere la verità?»

Festa fa l’aria desolata:«No, la verità mi rattrista.»«Te la dico lo stesso. Non me ne frega un cazzo dei fatti

tuoi, chiaro? Ti vedo bene, hai mangiato, hai bevuto: ora ti al-zi e te ne vai!»

Festa è come se d’incanto si rimpicciolisse, fa un’espressio-ne depressissima:

«Ho la febbre, mi fa male questo braccio…»Il prete gli indica il pane che è quasi finito:«Ma per tagliare il pane ti funziona, però!»Mimì supplica, senza ritegno:«Tienimi qua per un po’, Lucio, facciamo veramente che

sono tuo cugino. È l’unica possibilità che ho…»«Lo sai che quelli possono tornare da un momento all’al-

tro?»Mimì tace un attimo, cambia di nuovo, per pochi secondi

gli passa un guizzo feroce negli occhi.«Non ti devi preoccupare. L’hai visto quello con la cicatrice?»

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«Sì e non lo voglio rivedere mai più!»«E mai più lo rivedrai! Quello si chiama Chiochiò, Lucio.

Chiochiò! Ora dimmi tu se uno che si chiama Chiochiò puòpensare che io sto qua. Ha guardato dappertutto, ha spaccatotutto quello che c’era da spaccare, t’ha schiaffato la canna del-la pistola in mezzo agli occhi, ha deciso che non valeva la pe-na di spararti, basta: tutto il repertorio l’ha fatto, oltre non ècapace di andare. Quello non solo non pensa che mi nascon-do in questo posto, ma nemmeno ci ripensa, non è all’altezzadi un ripensamento. Da quando è uscito da qui, questo per meè l’angolino più sicuro del mondo. Ti prego, fammi restare,salvami la vita!»

Il prete sta per rispondere. Dall’espressione che ha si capi-sce che qualcosa di quell’uomo lo affascina, ma che non hadubbi, il signor Festa deve andarsene dai carabinieri, dalla po-lizia o da tutt’e due le forze dell’ordine subito.

Però in quel momento appare Muta con un vassoio e il caf-fè. Dice a don Lucio, imbronciata:

«Di là c’è Maddalena che l’aspetta. È urgentissimo.»Il prete diventa ancora più nero:«Di nuovo?»«Sì.»Don Lucio si allontana in fretta, a testa bassa.Mimì gli grida dietro:«Il caffè!»Muta gli si rivolge piena di attenzioni:«Prendetevelo voi, se no si raffredda.»

Maddalena è una che la vedi e pensi subito: questa ha tuttele sue cosine proprio al posto giusto e nella misura giusta.Don Lucio però pare che alla cosine di Maddalena non faccia

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nemmeno caso. Una sola cosa lo preoccupa: il marito delladonna, Ciro, direttore dell’Ufficio postale, è diventato pazzoun’altra volta. Pazzo di gelosia.

Maddalena piange, si dispera. E peggio ancora piange e sidispera la bambina di due anni che porta in braccio.

Cosa è successo? È successo – racconta tra i singhiozzi Maddalena – che Ci-

ro s’è svegliato malissimo, non è andato al lavoro e non l’hafatta andare al lavoro. S’è sognato che lei aveva una tresca colpresidente della Comunità montana presso cui è impiegata. Equando Ciro sogna quelle cosacce, si sveglia come se il sognonon fosse un sogno, ma una porcheria successa veramente.

«M’ha inseguita per casa con un coltello» si dispera Mad-dalena. «Ho fatto appena in tempo a prendere la bambina escappare qui. Non ho portato il biberon, non ho portato ilciuccio, niente!»

La donna un po’ si sfoga, un po’ cerca di acquietare la fi-glia. Don Lucio sta a sentire. A un certo punto prende inbraccio la bambina sperando che si calmi, ma la bambina stre-pita ancora di più, è un inferno.

A quel punto si affaccia in canonica don Mimì Festa, tallo-nato da Muta che ormai sembra la sua perpetua invece chequella di don Lucio.

Il prete si secca per quell’ennesima intrusione ma Festa facome se conoscesse tutti da decenni e fosse in grande intimi-tà. È chiaro che Muta lo ha informato per filo e per segno sututta la brutta vicenda di Maddalena e lui fa il ficcanaso, ma lofa come un parente che ha fama di uomo equilibrato e giusto.

«Signora mia, la gelosia è una malattia incurabile. Lei il ma-lato incurabile lo può assistere, ma non può sperare che gua-risca. Lo ama suo marito?»

«Sì. Anche se quando fa così…» singhiozza Maddalena.

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«E allora le do un consiglio piccolo piccolo, poi lei fa quel-lo che le pare. Se ne prenda cura come di un paralitico, un in-fartuato, uno con una paresi. E quando ha le sue crisi nonscappi, non pianga, ma lo affronti a brutto muso, lo rimpro-veri, lo sgridi come si fa coi bambini quando sono capriccio-si. Vedrà che le cose andranno meglio. Lo so che è stancante,ma lei ha don Lucio, è fortunata. Viene qua, si confessa, luiascolta come solo lui sa ascoltare. Vero, Lucio?»

E qui toglie la bambina dalle braccia del prete con delica-tezza.

«Come si chiama quest’angioletto?»La piccola seguita a strepitare come un demone furibondo.«Jennifer.»«Jennifer, questi nomi stranieri: perché Carmela no, perché

Rosaria no? Mah. Jennifer, vuoi stare un po’ con lo zio Mimì,mentre la mamma parla con don Lucio? Vuoi il biberon? Vuoiil ciuccio?»

«Non ce li ha, povera bambina: sono scappata e…»Festa flette ritmicamente le gambe facendo oh oh oh.«È bella, Jennifer! È buona! Oh oh oh! Ora ci pensa zio

Mimì…»Ballonzola per la stanza e il prete guarda Festa allibito e fa

fatica a concentrarsi su Maddalena, che piano piano sta ri-piombando dentro le sue angosce e ricomincia a sfogarsi rac-contando frammenti singhiozzati della scenata: Ciro col col-tello, il presidente della Comunità montana, l’assenza al la-voro.

È una cosa inattesa, per don Lucio. Che garbo che ha quel-l’uomo, con la bambina. Jennifer già piange un po’ meno.

Intanto Mimì sta istruendo Muta. Gli serve un pezzetto dispugna pulitissimo. E uno straccetto altrettanto pulito. E unfilo di seta. E zucchero.

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Muta obbedisce. L’uomo le passa la bambina che è già piùtranquilla, ricopre il pezzetto di spugna con lo zucchero, cimette intorno lo straccetto, lega il tutto col filo di seta e oraha in mano una specie di bambolina o fantasmino che porge aJennifer dicendo:

«Guarda, Jennifer, che t’ha fatto zio Mimì: la pupatella dizucchero, sei contenta?»

Si riprende la piccola in braccio, le ficca in bocca la testadella bambolina, ballonzola per la canonica col suo oh oh oh,finisce in un angolo buio dove c’è una sedia impagliata e lì sie-de dondolandosi ritmicamente, oh oh oh. Jennifer si lamentasempre più flebile, finché tace.

Qui tace anche Maddalena stupita. E per la prima volta ve-diamo il viso di don Lucio meno teso, come ammorbidito daun mezzo sorriso di tenerezza.

«Chi è quel signore così simpatico?» sussurra la donna.«Mio cugino» sussurra don Lucio.Muta esclama con fierezza:«È venuto qui da noi in villeggiatura, perché si deve ripo-

sare: ha troppi pensieri ed è andato a sbattere per distrazionecontro uno specchio.»

Ma subito tutto cambia. Stridore di freni. Urla: cazzo sei,Maddalè, ti credi che sono uno stronzo, ti credi che sono uncoglione? Dammi mia figlia e vaffanculo, puttana!

Muta si spaventa, in un lampo è accanto a don Mimì Festa,unico baluardo ormai, nella sua vita di nubile anziana. Mad-dalena strilla, afferrando una mano di don Lucio:

«È qui, m’ammazza!»Irrompe Ciro. È un uomo intorno ai quaranta, alto, bello, biondo, ben

piantato e tuttavia deturpato dalla furia. Entrando, la prima

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cosa che vede è la mano della moglie stretta intorno a quelladel prete. Gli basta quello per moltiplicare la voglia di scem-pio. È lui allora? Il prete, non il direttore? O è anche lui? Per-ciò Maddalena si viene così spesso a confessare? Che cazzo gliracconta? Che cazzo?

A rabbia si somma rabbia in un crescendo. Don Luciofronteggia Ciro; Ciro, enorme, pare pronto a cominciare lastrage da lui.

Quand’ecco che ricomincia il pianto di Jennifer e un atti-mo dopo si sente la voce molto seccata di Mimì Festa cheesclama:

«Eh no, cazzo, Ciro, m’hai fatto svegliare la bambina!»Ciro molla il prete, si gira di scatto. Nella sua testa l’incu-

bo dilaga: chi è questo tizio che ha in braccio sua figlia? Conche diritto s’è preso la sua bambina? Che rapporto c’è conMaddalena?

Già si avventa per riprendersi Jennifer e poi fare non sa be-ne cosa: un eccidio, un pianto, una fuga?

Ciro non ha messo in conto che lo spettacolo terrorizzan-te non è lui ma Festa.

Mimì ha cambiato espressione, lo sguardo gli è diventatogelido, agli angoli della bocca ha la sua smorfia disgustata.Passa la bambina a Muta con un gesto che non ammette di-scussione e va verso l’uomo con una specie di calma distratta,ripetendo in un modo svagatamene amichevole, che però con-trasta con la crudeltà degli occhi: me la stai facendo piangereda stamattina, Ciro; e sei uno che ha studiato, cazzo, mica unostronzo; fai il direttore delle poste, dovresti sapere che i bam-bini non si trattano così. Sembra un uomo a passeggio, esile,scuro, con quel tono in bilico tra bonarietà e gelida determi-nazione. Poi tutto avviene in un lampo. Festa, piccolo, scansaCiro, enorme. Afferra una sedia e lo colpisce in pieno petto.

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L’uomo arretra, sbatte contro una parete, si ritrova Mimì chegli tiene due dita alla gola, serrate come una morsa, e gli mor-mora con una voce quasi carezzevole: se fai figli ti devi con-trollare, Ciro, i figli sono una responsabilità; perciò scegli:vuoi campare per altri quarant’anni con la testa a posto, sen-za credere a ogni cazzata che ti viene in testa, o vuoi fare ilpazzo e morire subito?

Ciro se la cava perché don Lucio, Maddalena lo strappanodalle mani di Festa.

«Basta, basta, che modi sono, basta!» grida la donna.È spaventatissima, bianca come la panna. Fa sedere il ma-

rito che ansima, tossisce. Don Lucio trascina via Festa.«Sei pazzo?»Mimì si ravvia i capelli con le dita, raccoglie compitamente

la sedia con cui ha colpito Ciro, la offre a Muta che tiene inbraccio Jennifer strepitante, le dice con garbo: la pupata, glie-la tenga in bocca, signorina Muta; e si metta comoda, se no sistanca.

Muta siede e Jennifer le si assopisce velocemente tra lebraccia.

«Chi è quel signore, lo conosci?» rantola Ciro bevendo ac-qua a piccolissimi sorsi.

Maddalena mormora:«Non ci pensare, lascia stare. È il cugino di don Lucio.»L’uomo guarda il prete con uno sguardo depresso: ha un

viso piacevole, adesso, di uomo buono e tranquillo. Mormo-ra avvilito:

«Madonna mia, perché mi succede? Non so come comin-cia: una parola, poi un’immagine, un brutto sogno, non lo so.All’inizio è solo un sospetto, poi diventa tutto vero, è comeun’allucinazione, è come quando nel deserto uno vede l’acquae invece è sabbia…»

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Scoppia a piangere sul seno ampio di sua moglie.«Perdonami, Maddalè, perdonami…»Tra i singhiozzi si rivolge anche a don Lucio:

«Perdonatemi tutti… lei, padre, e suo cugino…»Festa gli si rivolge in amicizia, gli tende la mano con sim-

patia:«Che perdonare, non c’è niente di personale. E che, non

capisco? Sono geloso pure io! Piacere, Domenico Festa, mami chiamano Mimì.»

Si stringono la mano:«Signor Festa…»«La prego: Mimì.»«Grazie, Mimì. Se non c’era lei, potevo fare qualcosa di as-

sai brutto.»Mimì allarga le braccia:«A buon rendere, Ciro. Oggi fa una cazzata lei, domani io.

L’essenziale è che qualcuno ci rimetta in tempo sulla retta via.Ma abbassiamo la voce, non facciamo svegliare di nuovo labambina.»

Don Lucio ora deve fare i conti con qualcosa che sta cre-scendo e che tuttavia respinge: la curiosità per quell’uomo.C’è un certo non so che di Festa che comincia a fargli davve-ro impressione: la cura che ha messo nell’occuparsi della bam-bina; e, all’opposto, il ricorso terribile e insieme risolutivo al-la violenza; ma anche un suo modo accattivante di tirarti nel-la tela del suo senso delle cose.

Adesso, per esempio, quando tutto sembra ricomposto e lafamigliola sale in auto serena, eccolo che rimescola di nuovo lecarte, sfottente sì, ma con quel suo tono che rende normale, ac-cettabile, tutto. Ha preso confidenzialmente sottobraccio donLucio. Il prete con cautela si è appena liberato dicendogli:

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«Speriamo che duri.»Mimì ghigna:«Non dura, cugino.»«Perché?»«Quel cazzone ha ragione.»«Vuoi dire che lei lo tradisce veramente col presidente del-

la Comunità montana?»«Macché. Sei sordo? Sei cieco? Quella si vuole scopare te,

non la Comunità montana!»Don Lucio arrossisce. «Ma che dici?»E meno male che arriva Muta e dice che ha calato la pasta,

è pronto.«Non vorrei disturbare» fa complimenti Mimì.«Che disturbo, siete di famiglia» scodinzola Muta. Don Lucio butta lì senza parere:«Un pasto non lo si nega a nessuno.»Ma se ne pente subito. Ciò che Muta fa durante il pranzo è

quanto di più avvilente si possa immaginare. Serve a Festa lapasta più condita, i pezzi di carne migliore. Se don Lucio lechiede qualcosa, nemmeno sente, è Mimì che deve interveni-re con frasi tipo: signorina Muta, scusi, Lucio vorrebbe un al-tro po’ di carne.

Anche la conversazione prende una piega spiacevole. Sedon Lucio rimprovera Festa per i suoi comportamenti conCiro, Mimì gli cita la violenza correttiva della Bibbia; e se donLucio si scaglia anche contro la violenza correttiva della Bib-bia, ecco che Festa si scandalizza spalleggiato da Muta, e di-venta peggio di un vescovo: non si dice male della Bibbia, laBibbia va interpretata, è la parola di Dio, la verità e la vita.

I ruoli a un certo punto appaiono rovesciati. Don Lucio di-ce con amarezza, con sarcasmo:

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«La parola di Dio, eh? Ve la dico io la parola di Dio: Nu-meri 31, 15-18: “Avete lasciato in vita tutte le femmine? Orauccidete ogni maschio tra i fanciulli e uccidete ogni donna chesi è unita con un uomo; ma tutte le fanciulle che non si sonounite con uomini conservatele in vita per voi”. Bella no, sietecontenti? No? Vogliamo passare ai Vangeli? Sentite Luca 19,27, quest’è Gesù che parla: “Quanto ai miei nemici che nonmi volevano per re, portateli qui e sgozzateli alla mia presen-za”. È questa la verità, questa è la luce?»

Festa lo guarda stupefatto:«Ma che cazzo di prete sei, Lucio? Se il Padreterno deve

governare, gli devi lasciare carta bianca. E tu invece lo criti-chi? E tra tutti i versetti bellissimi che riportano fedelmente leparole sue, di Gesù, degli apostoli e dello spirito santo, ti vaia imparare proprio quelli più trucidi? Scusa, ti devo spiegareio a te, adesso, che lì c’è la provvidenza divina, che non la ca-piamo, e il problema grosso della battaglia contro il male?»

«Contro il male» approva Muta disapprovando il prete, edon Lucio guarda quei due depresso e gli si vede in faccia ilpensiero: basta, che sto dicendo, dove mi faccio trascinare daquesti due ignoranti.

Peggio ancora va quando si parla del modo con cui MimìFesta s’è preso cura di Jennifer. Qui Muta fa gli occhi lucidi ditenerezza, al pensiero di che padre dev’essere stato Mimì, ilquale ammette con falsissima modestia:

«Sì, ho cercato di fare il possibile. Perché sapete, se c’è unacosa che a me dà fastidio è veder soffrire un bambino.»

Si rivolge a don Lucio e a Muta:«I bambini stavano in cima ai pensieri di Gesù. Io questo

non me lo scordo mai. Per esempio: ho una paura pazza del-l’aereo. Voi dite che c’entra. Ve lo spiego. Sapete come con-trollo l’attacco di panico? Quando sono al momento dell’im-

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barco mi guardo intorno per vedere se tra i passeggeri c’è al-meno un bambino. Se c’è mi calmo. Perché penso: l’aereo noncadrà coi bambini dentro, Gesù non lo può permettere.»

Don Lucio scoppia a ridere:«Che cazzata!»Silenzio. Mimì ci resta male:«Una cazzata Gesù?»Muta gli fa eco scandalizzatissima:«Gesù?»

Quando la perpetua va via promettendo di tornare prestocon la sua pomata miracolosa, i due restano soli in silenzio amangiare. Poi il prete sbuffa, abbandona le posate, respinge ilpiatto ed esclama:

«Va bene, dimmi chi sei, dimmi chi sono quelli che ti vo-gliono morto!»

Mimì non chiede altro, racconta. Ha visto, don Lucio, co-me gli si è attaccata Muta? Ha visto come gli è stato gratoCiro anche se lo stava ammazzando? I suoi guai, come gli hagià spiegato, vengono da lì, la gente lo vede e subito gli vuo-le bene. Quasi trent’anni fa ha conosciuto una ragazza, Ro-saria. Era bella, voleva scherzarci un po’. Ma lei si è così in-namorata di lui che non è stato più possibile scollarsela didosso. Niente di straordinario, naturalmente, se non che erala figlia di un malavitoso del Gargano, Nicola Giovanniellodella famiglia dei Giovanniello. Figuriamoci se uno può fareil cretino con una Giovanniello. Se l’è dovuta sposare (tral’altro era incinta) e, bisogna dire, non è stata una cattiva si-stemazione per uno che nella vita non aveva futuro, nientestudi, niente di niente. Nicola Giovanniello, il suocero, èstato assai comprensivo e gli ha ricavato uno spazio “pulito”all’interno di un mare di affari sporchissimi. Così Mimì non

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si è mai immischiato in storie di droga, prostituzione, stroz-zinaggio, e soprattutto non ha mai ammazzato nessuno. Alui spettava il compito di riempire l’Italia di videopoker eovviamente di raccogliere i proventi. Tutto qui, fino a quan-do non è morto suo suocero e la famiglia Giovanniello nonè finita nelle mani del primogenito maschio, Franchino, ilfratello minore di sua moglie. Da quel momento in poi le co-se sono precipitate: suo cognato ha cominciato a dettare leg-ge. Pure Franchino, va detto, si era affezionato a Mimì e selo voleva tenere sempre al fianco come se fosse il corno del-la fortuna. A fianco nelle cose più sporche, naturalmente.Ma lui si è rifiutato. E Franchino s’è incazzato e quando l’ul-tima volta Mimì gli si è presentato con il solito ricavato deivideopoker anziché riconoscergli la sua parte – duecentomi-la euro! – lo ha umiliato dandogliene solo cinquecento,l’equivalente cioè della paga dell’ultimo dei garzoni. A que-sto punto lui – Mimì – non ci ha visto più e gliene ha dettequattro smerdandolo davanti a tutti. Eh sì! È per questo cheFranchino è diventato furioso e gli ha scatenato addossoquel coglione di Chiochiò.

«Tu hai davanti un uomo» conclude solennemente Mimì«che rischia di pagare con la vita il suo rifiuto di vivere con-tro Dio. Non è che non sono un peccatore, anzi. Ma so distin-guere il bene dal male».

«Beato te» mormora don Lucio.

Intanto, mentre Mimì e Lucio approfondivano la cono-scenza, ogni tanto abbiamo dato un’occhiata a Muta. La per-petua ha fatto un po’ di strada sotto il sole caldo del primopomeriggio, con la sua sporta a rotelle vuota, verso la ferma-ta della corriera. E la corriera l’ha caricata al volo e ora sta an-dando in paese lungo i tornanti che fasciano la collina.

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A un tratto però l’andatura del pullman è rallentata da unomino della polizia stradale con tanto di paletta. Alle sue spal-le, ai margini di una scarpata ci sono una volante dei carabi-nieri e un carro attrezzi che solleva con la gru lo scheletro diuna macchina incidentata, quella di Mimì.

La corriera passa oltre.

Questo è quanto basta per dire che i due uomini chiacchie-rano, in canonica, ma farebbero bene a dare uno sguardo fuo-ri. Invece non ci pensano nemmeno e il prete ha appena incal-zato Mimì:

«Di tua moglie e tuo figlio non hai detto niente.»«Mia moglie Rosaria mi sta attaccata come una patella, ma

sta attaccata pure ai Giovanniello, è fatta della stessa pasta. Daragazza era bellissima, ma il tempo è cattivo, adesso è diven-tata fisicamente identica a suo fratello, torzuta, botoluta. E saiqual è la disgrazia? L’unica persona a cui tengo veramente,mio figlio Christian – un ragazzo d’oro che veramente esseresuo padre è una soddisfazione, – beh, tu vedi me, magro, rifi-nito? Lui è venuto esattamente il contrario. Quadrato, senzacollo, un bestione. Ha due braccia – Madò che sono! tale equale a Rambo 3 e a mio cognato, che però è la schifezza diRambo 3: mio figlio è assai meglio!»

«Gli vuoi bene?»«È la mia vita. Perciò certe cose che hai detto m’hanno fat-

to dispiacere. Un prete non le deve nemmeno pensare! Che èquesta cosa che non vuoi essere chiamato padre? La paterni-tà, don Lucio, è bella. Dio è padre, non te lo scordare!»

Don Lucio dice malinconicamente:«Un padre che però il figlio l’ha lasciato morire sulla croce.»Mimì si accende:«Per amore di noi altri, perché siamo tutti suoi figli!»

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Don Lucio sorride scettico:«Per amore? Lo sai quanti ne muoiono di bambini ogni

giorno? Hai presente la povertà, la fame, le malattie, gli ura-gani, i tifoni, i maremoti, i terremoti, gli incendi, gli incidentid’auto e gli aerei che cadono?» Qui cambia tono, sembramorso da un dolore che non riesce a contenere: «Sì, gli aereiche cadono! Perché non è vero che sono più sicuri, gli aerei,se ci sono bambini a bordo! I bambini non rendono più sicu-ro niente! Ogni minuto, su questo stramaledetto pianeta, c’èuna strage di innocenti!»

Cade un silenzio lunghissimo. Poi si sentono dei colpi for-ti. Qualcuno scuote i battenti della canonica.

I due si guardano interrogativamente.«Non ti preoccupare, non è Chiochiò. Quello non bus-

sa» sussurra Festa, ma come se lo dicesse per rassicurare sestesso.

Il prete si alza, va a spiare da una finestrella. Fuori ecco duecarabinieri. Ci siamo, dunque.

«Bisogna fidarsi, Festa» sibila il prete sul persuasivo macon un filo crescente d’ansia. «Questa è brava gente incorrut-tibile, li conosco. Racconterai come stanno le cose, io stessotestimonierò sulla violenza dei tuoi persecutori.»

Festa fa sì con la testa, ma come se dicesse: bravo, come no,non hai capito niente, ti vuoi liberare di me, ma io così sonomorto.

Il sacerdote fa un ultimo cenno di rassicurazione e va adaprire la porta. Sarà per il caldo, sarà per la situazione, gron-da sudore da tutti i pori.

I due carabinieri sono simpatici, accaldati anche loro. Unabirretta, ah se ci fosse. Il prete si vede costretto a farli entrare.Birre non ne ha, ma un bicchiere d’acqua non si nega a nessu-

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no. E mentre fa scorrere il rubinetto e riempie i bicchieri, sirende conto che Festa è sparito, maledizione.

Che fare? I due carabinieri bevono a sorsi piccoli e intanto gli raccon-

tano di aver trovato un veicolo incidentato proprio a pochecentinaia di metri da lì, a una curva della collina. La personache guidava è sparita e la macchina risulta rubata. Era solo, ilguidatore, era in compagnia? Mah. Al suo interno sono statetrovate tracce di sangue. Don Lucio ha per caso visto qualco-sa di sospetto?

«Sospetto? Sospetto proprio, non mi pare…»Il prete annaspa. I carabinieri percepiscono il suo nervosi-

smo, rincarano la dose. Il guidatore fantasma può essere peri-coloso, magari si nasconde là intorno. Sicuro che don Lucionon ha niente da segnalare?

Passa un attimo lungo, poi esplode la voce accattivante diMimì Festa:

«Ci sono io da segnalare! Buongiorno a tutta l’Arma!»L’uomo fa capolino dalla cucina con una padella tra le ma-

ni e un sorriso smagliante. Ha indossato una parannanza, èsporco di farina e si atteggia a cuoco di un certo rispetto. Stapreparando per la serata il dolce che sua mamma faceva quan-do da piccolo, d’estate, don Lucio veniva a fare la villeggiatu-ra a casa sua in Puglia.

«I sapori dell’infanzia» esclama. «Certo identico a come lofaceva mamma non è possibile rifarlo. Ci vorrebbe l’acqua diuna volta, gli alberi di una volta, l’Italia di una volta, l’età diuna volta, il palato di una volta, perfino la mamma di una vol-ta, non quella che mi è morta due anni fa, mangiata dalla ma-lattia, povera mamma mia. Ma ci accontentiamo, no, Lucio?»

E don Lucio si ritrova a balbettare, rivolto ai carabinieri:«È mio cugino… Mimì… Resta un po’ qua da me.»

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Festa incalza i carabinieri:«Trattenetevi con noi. Guardate che è una cosa che non si

può perdere. Mia madre ci metteva dentro le visciole. Sapetecosa sono le visciole?»

I carabinieri non sanno, ma già pendono dalle labbra di Fe-sta, già sono catturati dalla sua energia vitale. Si trattengono,perdono tempo, sono felici all’idea che in serata Mimì mande-rà per loro, in caserma, una metà abbondante della favolosatorta della mamma. Insomma non hanno più fretta, non se nevogliono andare più.

Don Lucio allora si accascia su una sedia, si asciuga il su-dore, si prende la testa tra le mani.

Cos’ha quell’uomo, Mimì Festa. È indubbiamente spaventato. Teme veramente di essere

ammazzato. Sul serio non si fida delle forze dell’ordine. Maeccolo lì, non resiste: si informa dei guai privati dei due cara-binieri, del paese da dove vengono, della qualità dei dolci dicasa loro, se anche la loro mamma faceva torte speciali quan-d’erano bambini. Adesso sproloquia perfino sulla truffa deiristoranti che promettono il ritorno agli antichi sapori. Al-l’antico, signori miei – a qualsiasi anticaglia, – non si può tor-nare. L’antico è il presente di una volta, e il presente non puòtornare, passa, è continuamente un altro presente. Vero, ma-resciallo?

Quando i carabinieri vanno via, il prete non lo salutanonemmeno. Stringono solo vigorosamente la mano di Mimì esembrano veramente contenti di stare al mondo nello stessomomento in cui sta al mondo lui.

«Fatto» dice Mimì rientrando.Il prete lo guarda dall’alto in basso.«Quanti anni hai?»«Quasi cinquanta.»

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«E io quanti ne avevo, quando venivo al paese a trovarti?»«Cinque?»«Cinque, eh? E tu almeno quindici, stronzo! Com’è che

giocavamo insieme? Eri un ritardato mentale? La torta, lamamma, i sapori dell’infanzia, l’antico! Lo sai che m’hai fat-to? M’hai reso tuo complice!»

«Complice dell’innocenza!»«Nessuno è innocente, Festa! E basta, tu ora ti chiudi nel-

la tua stanzetta e non ti muovi più.»«Fammi fare almeno la torta per i carabinieri! L’aspetta-

no!»Don Lucio perde le staffe, lo spinge un po’ rozzamente

verso la stanzetta.«Ahi» geme Festa proteggendo le ferite. «Non c’è bisogno

di farmi male. Ti sei dimenticato quello che ho qui sotto? Va-do, vado!»

Ma prima di entrare nella stanzetta, adocchia il suo cappel-lo sul frigo, lo prende, se lo ficca in testa. Poi chiude la portamentre il prete scandisce:

«E se devi essere mio ospite, devi seguire le mie regole!Primo, dovrai farti vedere in giro il meno possibile. Secon-do, non attaccherai bottone con chiunque venga a trovarmi.Terzo, non dovrai prendere iniziative senza il mio consenso.Conciato come stai, un po’ di riposo tra l’altro ti farà solobene.»

Ma non ha finito nemmeno di parlare che già esplode dal-la stanza un vocio, risate. Si riaffaccia e vede Mimì sdraiatosulla brandina, cappello in testa, col televisore acceso.

«Almeno la televisione la posso guardare?»Il prete sbuffa e chiude la porta a chiave.

Mimì Festa dorme davanti al televisore acceso, panama su-

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gli occhi. Bussano alla porta. È Muta. Gli fa cenno di non fia-tare. Ha portato tutto l’occorrente per le medicazioni. Apre laporta con le sue chiavi.

Mimì è atterrito dall’arte medica di Muta, ma è impossibi-le sottrarsi. Con furore infermieristico Muta lo innaffia di di-sinfettante, lo fascia. A ogni «Muta, se mi stessero torturandomi sentirei meglio di adesso», la vecchia risponde con la fie-rezza del compito che si è attribuita: «Il medico pietoso ucci-de il malato.»

Del tempo che passa non ci occupiamo in dettaglio. Certoora, vuoi grazie alle cure di Muta, vuoi perché forse non è maistato veramente male, Mimì Festa si sente meglio, gironzoladi qua e di là, aggiusta cose in chiesa. Adesso, per esempio, stafinendo di sistemare l’aureola della Madonna, quella rovinatada Chiochiò e il suo commando, e Muta sta lì ferma a guarda-re incantata (più Mimì che la Madonna).

«Come siete bravo, che bel lavoro che avete fatto, chissàcome s’era rotta.»

Ma don Lucio passa e nemmeno ci fa caso. Mimì si lagna:«Nemmeno grazie, m’ha detto. Anzi non se n’è nemmeno

accorto. Sa solo incazzarsi, quello.»«È un ingrato, lo so io com’è ingrato.»Serafico Mimì contempla il suo lavoro e dice:«Ma noi lo facciamo per la Madonna, no?»Il problema è che don Lucio non solo è un musone, ma è

anche molto indaffarato, ha un matrimonio da celebrare. E lafamiglia dello sposo e quella della sposa sono invischiati inodi di paese per i confini tra le proprietà, per le strade e i sen-tieri in comune, per le destinazioni agricole che gli uni voglio-no mutare in terreni edificabili e gli altri no.

Insomma sono quasi come i Montecchi e i Capuleti e don

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Lucio sbuffa preoccupato, mentre Muta gode inzuppando ilpane nelle contese.

L’unico che da qualche giorno si muove con sincero inte-resse tra una fazione e l’altra è Festa, fulminato dallo sguardodi don Lucio naturalmente, perché non se ne sta chiuso nelsuo sgabuzzino.

Lo vediamo mentre parlotta col padre dello sposo che è ve-nuto a parlamentare con don Lucio per la disposizione dei po-sti in chiesa. Lo vediamo mentre scherza col padre della sposache è venuto a parlamentare con don Lucio perché la disposi-zione concordata col consuocero non gli sta bene. Lo vediamopersino parlamentare col vecchio Chen che parla pochissimoitaliano, fa il fioraio e ha un’arte vera nell’addobbare le chieseper i matrimoni, lui e la sua vasta famiglia, tutta strategicamen-te sistemata non solo nella decorazione floreale ma anche in ri-storanti cinesi, palestre cinesi, combriccole di massaggiatori ci-nesi, cosche di sfruttatori cinesi di lavoratori cinesi.

Anche trovare i testimoni di nozze è stato per don Lucioun faticoso gioco di equilibrio rivolto a evitare che quelli del-la sposa non si azzannino con quelli dello sposo sull’altare, inpiena celebrazione. Eppure le cose si mettono male proprio inquello snodo delicatissimo. Arrivano i due promessi sposi,molto agitati. Il testimone dello sposo, frutto di faticosissimemediazioni, s’è ammalato di scarlattina. E tutto è di nuovo inalto mare. Sbotta don Lucio:

«Sapete che vi dico? Mi state mandando al manicomio.Non vi sposate, è meglio.»

Ma Muta, che non ha mai tolto gli occhi di dosso a don Mi-mì Festa in tutti questi giorni, e ora lo guarda mentre sul sa-grato conversa con i fotografi-videoperatori che devono im-mortalare il matrimonio e sono venuti per un sopralluogo, di-ce con gli occhi accesi:

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«Posso suggerire un nome?»Il prete segue lo sguardo di Muta e sussulta:«No!»«Lo suggerisco lo stesso. Il testimone ideale per me è lui, il

cugino del prete!»Che bella idea. I due ragazzi si entusiasmano. Non solo

il cugino del prete lo apprezzano loro per l’umanità, la fi-nezza paterna, con cui ha dato consigli preziosi per affron-tare la vita matrimoniale, ma è amatissimo anche dai lorogenitori.

«Com’è possibile» trasecola don Lucio. «Mio cugino è gra-dito a tutt’e due le famiglie?»

«Sì. Suo cugino ci sta per fare il più bello dei regali» gliconfidano i due promessi sposi abbassando la voce.

«Quale?» si allarma il prete.«La riconciliazione» esclama felice la promessa sposa. «Riconciliazione tra i genitori tuoi e i suoi?»«Sì. Non so come ha fatto ma ormai chi voleva negare il

passaggio per una certa terra lo concede, chi era pronto a spa-rare per tenersi un castagneto sta raggiungendo un accordo. Esoprattutto tutti, la mia famiglia e la sua, vogliono trasforma-re i terreni agricoli in terreni edificabili.»

«Cemento e soldi cioè.»«Case di vacanza, don Lucio, e alberghi per incrementare

il turismo. Se il Comune è d’accordo a fare una piccola modi-fica al piano regolatore, però. Ma anche lì suo cugino haun’ipotesi: s’è guardato le carte e dice che volendo, unendo leforze, si può ottenere quello che serve.»

Don Lucio non crede alle sue orecchie. I due giovani giàcorrono da Mimì.

«Un testimone ha la scarlattina. Per favore, lo sostituireb-be lei?» fa moine la ragazza.

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Mimì guarda don Lucio, quello gli fa cenno di sì a malin-cuore e lui sorride ampio, accondiscendente:

«Ma certo. Io testimonio volentieri. Rendere testimonian-za mi fa sentire bene. Quando il Signore mi chiama rispondosempre Eccomi.»

Ora i due sposi sono sull’altare. Si tratta di un classico ma-trimonio del Sud con tanto di abiti sgargianti e cappellini allaregina d’Inghilterra. C’è anche la perpetua, capelli cotonati evestito buono, che con un cestino passa tra i banchi per rac-cogliere le offerte. Don Mimì, il sorriso stampato sul viso, ilpanama in una mano, sta accanto allo sposo ma ogni tanto sigira a guardare il pubblico e da entrambi gli schieramenti gliarrivano cenni di saluto a cui risponde con condiscendenza.

Don Lucio invece sta parlando della prole, con la sua ariasofferta. C’è qualcosa di nuovo in lui. È come se parlandoperdesse progressivamente, suo malgrado, quel filo di incre-dulità a cui si è abituato lui stesso, ma proprio per questo an-naspasse, quasi che non gli riuscisse di trovare niente di sosti-tutivo:

«…io non credo che i figli siano il coronamento del matri-monio… il coronamento del matrimonio è il vostro amore…però i figli se vengono sono una benedizione… I bambini… ibambini sono la debolezza di Dio e di Gesù… Pensate albambin Gesù che è lì per ricordarci che anche il peggiore dinoi è stato un bambino indifeso… Sì, i bambini ci ricordanoche Dio rinuncia alla sua potenza e si fa debole… che ha undebole per i deboli… Non so come spiegarmi… spiegarvi…In aereo, per esempio… Chi ha paura dell’aereo – e io ne hopaura, – se solo vede un bambino tra i passeggeri prende co-raggio… Allora depone la sua paura per prendersi idealmen-

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te cura di quel bambino… Sì, un bambino ci rassicura, credia-mo che niente ci possa nuocere perché Dio non permetteràche qualcosa gli nuoccia… Perciò curatevi della vostra prole,preoccupatevene… Ne ricaverete coraggio per affrontare lavita…»

Lieve brusio per quelle parole un po’ confuse. Don Lucioguarda per un secondo Festa – che risponde allo sguardo conuno sguardo allegro, incoraggiante – e poi lo abbassa. Oddio-santo, che ha fatto? Gli ha rubato l’idea dell’aereo! E così fa-cendo ha confessato innanzitutto a se stesso quanto quest’uo-mo stia cominciando a suggestionarlo.

Che tipo è Festa! Il prete, nel corso della funzione, nonpuò fare a meno di studiarselo. Dovrebbe invidiarlo per quel-la sua capacità di comunicazione che lui non ha e che gli gio-verebbe tanto con il suo gregge, ma non lo invidia e anzi, an-che se non vuole ammetterlo, lo ascolta sempre più con sim-patia. Come adesso che i testimoni si preparano a leggerequalcosa per gli sposi.

Anche Mimì, tutto contento, aspetta il suo momento. DonLucio gli ha messo a disposizione parecchi versetti, il giornoprima. Ma a sorpresa lui cosa ha scelto? Ha scelto il passo diGiovanni (2, 23-25) dove si dice: “Mentre era in Gerusalem-me alla festa di Pasqua, molti, vedendo i segni portentosi chelasciava, si affidavano al suo nome. Ma Gesù a loro non si af-fidava, perché li conosceva tutti e non aveva bisogno che qual-cuno gli rendesse testimonianza sull’uomo; sapeva di personacosa c’era nell’uomo”. Ora come scandisce bene la citazione!Fissa con tale adesione gli sposi, che i presenti trattengono ilrespiro come se, a ricorrere ai versetti di Giovanni, fosse nonun cialtrone, ma chissà quale saggio meditabondo.

Manciate di confetti, riso. Il cielo è nero, si teme la pioggia.

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Gli sposi escono dalla chiesa. La sposa lancia il bouquet e leragazze si sbracciano ad acchiapparlo. Ma a prenderlo con unguizzo inatteso è Muta che se lo porta via dopo un’occhiata aMimì. Festa però guarda subito altrove, intimidito, e anzi, persfuggire a Muta, raggiunge un gruppo folto di ragazzini sca-tenati che si sono messi a tirar calci a una palla insieme ai fi-gli-aiutanti di Chen e a Chen stesso.

Scatta un allegro miscuglio di italiano, dialetto, lingue stra-niere. Mentre gli altri fanno foto, si abbracciano, si baciano,chiacchierano, ecco nascere due squadre di ragazzini, ciascunacapitanata da un adulto: Chen e Mimì. Ma Chen, sebbene anzia-no, sebbene ansimante, sebbene ogni tanto si fermi tenendosi ilcuore, è bravo, ha il tiro preciso, frega spesso Festa e va al gol.

Mimì subito si secca e si accanisce in modo selvaggio:«Cazzo vuoi, Chen!? Vuoi terrorizzare l’Occidente? Ma

l’Occidente ti fotte Chen! Calmati, lo vedi che non ce la fai?Attenzione, tu muori, tu muori! Ma guarda questo limonevecchio! Stronzo! Sta’ attento a te che muori veramente!»

Ma i figli, e soprattutto i ragazzini italiani della sua squa-dra, amano Chen, lo festeggiano. Grande Chen! A ogni im-presa calcistica lo esaltano con una specie di filastrocca inven-tata là per là che risponde alle maledizioni di Mimì:

«Può morire Chen? No! Può morire Chen? No! Chen èimmoribile!»

Così Festa presto non si diverte più. Anzi, s’arrabbia, stra-pazza i suoi, gli grida:

«Immoribile? Quello è moribilissimo! Forza Italia! ForzaOccidente! A morte i musi gialli! Vinceremo!»

Don Lucio lo guarda dalla soglia della chiesa. Ecco cos’èFesta. Scuote la testa disgustato, rientra.

Chen intanto, pur essendo il gioco di Mimì carognesco,stravince. La sua squadra esulta:

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«Sei immoribile, Chen! Bravo! Può morire Chen? Puòmorire Chen? No, Chen è immoribile!»

Chen ansima, tossisce, è contento. Mimì Festa lo fissa ne-rissimo e brontola:

«Ti faccio vedere io se sei immoribile, Chen!»E tira una pallonata di tale violenza che solo perché Chen

la scansa resta vivo. La palla finisce prima contro un muro epoi schizza su oltre il cancello che cinge il cortile della chiesa.

Il cinese e i ragazzini restano in silenzio. Anche gli invitati che s’erano messi a guardare sotto il cie-

lo nero di nuvole sono abbastanza disorientati.Mimì si passa la mano sulla faccia e gli riappare un sorriso

un po’ sforzato. Alza le mani in segno di resa:«Va bene, va bene, ho esagerato. Sei un campione, Chen,

scusa. Vado a prendere la palla!»

Scavalcata l’inferriata, don Mimì si ritrova in una zona ap-parentemente abbandonata. La palla è finita in un mucchio dioggetti in un angolo del porticato: uno scivolo, un’altalena,giochi arrugginiti. Più oltre c’è una porta scardinata, Mimì in-curiosito entra.

Nella penombra di una grande stanza tagliata da lamelle diluce, l’uomo inciampa su qualcosa: sedioline e banchetti perbambini.

Si guarda intorno. Alle pareti c’è un grande cartellone bru-ciacchiato che racconta con disegni infantili i momenti dellavendemmia; lavoretti per la festa del papà; campane di carto-ne che inneggiano alla Pasqua e tante altre tracce di scuola; ela foto di un gruppo di bambini tra i tre e i sei anni, con unadonna al centro e da un lato don Lucio sorridente con unbambino in braccio.

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Festa passa da un ambiente all’altro ed è sempre peggio.Quel luogo è stato una scuola per l’infanzia, ma sembra che cisia passata una colata lavica che l’ha trasformato in un craterelunare.

Anche del crocifisso appeso in una stanzetta in fondo nonè rimasto che lo scheletro con Gesù che penzola e oscilla co-me la molla di un cucù.

Ecco una luce abbagliante, Mimì Festa si spaventa. È unlampo che squarcia il cielo e subito dopo una pioggia fitta sifa grandine. L’acquazzone è arrivato, ormai, e inzuppa tutta lacontrada.

Sul sagrato gli sposi e gli invitati corrono a ripararsi tra ur-la divertite e strilli di paura. Mimì arriva di corsa e si ritrovatra quelli che si sono riparati all’ingresso della chiesa, proprioaccanto a Muta che stringe il suo bouquet e il cappello di Fe-sta. L’aveva lasciato su una panca in chiesa.

«Se non ci fosse lei, Muta, grazie.»Festa si copre il capo e l’anziana è felice di stare accanto a

un uomo così elegante. Arrossisce, mormora:«Sposa bagnata sposa fortunata.»

È sera. Il temporale era tutt’altro che un acquazzone esti-vo, sta continuando sempre più tremendo. Il vento di pioggiaagita le fronde degli alberi e picchia sui vetri della parrocchia.Il buio della notte è sventrato da colpi di luce e tuoni terribi-li. Ogni oggetto in canonica vibra.

Don Lucio nel suo letto legge un libro ponderoso e ascol-ta una musica heavy-metal dall’i-Pod. La tempesta non lotocca minimamente.

Alla porta bussa qualcuno. Ma don Lucio, le cuffie alleorecchie, non può sentire. Allora la porta si apre e fa capoli-no Mimì con un sorriso tra l’imbarazzato e l’impaurito. L’uo-

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mo è pallido di terrore. Don Lucio controvoglia si toglie l’i-Pod e lo guarda. Mimì ironizza:

«Ah, ecco perché non rispondevi! Hai voglia io a bussare!Avevo paura che eri morto! Posso?»

«Avanti. Cos’altro è successo?»«Niente, è che – insomma hai visto che putiferio c’è là fuo-

ri – non riesco a dormire. Volevo fare due chiacchiere – così,tanto per passare il tempo…»

Ma ecco un altro tuono fortissimo. Mimì sussulta, insaccala testa, chiude gli occhi, rizza il pelo come un gatto per lospavento.

Don Lucio trasecola, ride: «Hai paura del temporale? Ma come, tu mi stai per uccide-

re Ciro, te ne freghi di quell’assassino del tuo amico Chio-chiò, fai il selvaggio con Chen che solo perché è educato nont’ha steso con una mossa di kung fu, e hai paura dei tuoni?»

«No, è che mi dà un po’ fastidio il rumore.» Ma altro che fastidio, il suo terrore è palese. Allora don

Lucio lo fa accomodare. Mimì così, cercando sempre di dissi-mulare l’ansia, spiega di aver avuto paura fin da piccolo deitemporali. Colpa dei suoi genitori. Gente senza un soldo esenza un mestiere. Morti tutt’e due giovanissimi, uno di can-cro e l’altra di crepacuore. Niente parenti amorevoli. È cre-sciuto in un orfanotrofio. E lì non c’era nessuno che gli dices-se: Mimì, non ti preoccupare, il tuono non fa niente, sta’ vici-no a mamma. Lì l’unica cosa che potevi fare era cacarti sotto.È perciò che in notti così lui questo fa, si caca sotto, a cin-quant’anni.

Sono cose che Mimì Festa dice con aria smagata, ma il pa-nico pare vero, basta vedere la sua reazione quando la lampa-dina sul comodino si spegne. «Madonna santissima!» esclamasbirciando il cielo oltre i vetri.

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C’è un black-out generale. Oltre la finestra tutta la contra-da è avvolta da una coltre scurissima. I lampi illuminano unpaesaggio immobile e maligno.

Don Lucio si intenerisce.«Vieni qua, siediti.»Festa siede sul bordo del letto. Il prete mormora ironico:«Quello che è mancato a te io l’ho avuto in abbondanza.

Agiatezza e genitori perfetti, in ottima salute, che ancora og-gi mi sostengono in ogni cosa. Ottimi studi. Mio padre è unfilologo importante. Lo sai cos’è un filologo?»

«No.»«Fa niente, si può campare lo stesso. Mia madre invece è

una biologa. Tutt’e due coltissimi, tutt’e due raffinatissimi,tutt’e due non credenti.»

Festa si scandalizza:«Tutt’e due?»«Sì, atei. A me invece è venuta la smania di Dio già a dodi-

ci anni!»«Evidentemente qualcosa ti mancava pure a te.»«Può essere, ma io l’ho presa non per una mancanza, ma

per una vocazione. Dio chiamava e io mi sentivo pronto.»«E papà e mamma, i miscredenti?»«Tollerantissimi. Anzi mi portavano dai preti giusti, mi

suggerivano libri da leggere. Così io ce l’ho messa tutta per di-ventare un sacerdote come si deve. Perciò subito non sonopiaciuto al mio vescovo, che mi ha sbattuto da Brescia a qui.»

«Il Sud è bello.»«Sì, devo dire che mi è sembrata una bellissima punizione.

Avevo i miei libri, la mia collezione di rock anni Settanta, e ilmio Creatore. Poi tutto è andato perduto con l’incendio…»

«Che incendio?»

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«Possibile che Muta non te l’ha detto?»«No.»Il prete fa una smorfia di scontento.«La gente scorda tutto nel giro di un anno. Ci difendiamo

così.»Festa ammette:«Però ho visto l’asilo, è tutto bruciato.»«Vedi, a ficcare il naso sei un campione. L’ho messo su io,

l’asilo, ma forse è stato un atto di presunzione, fin dal princi-pio. Poiché il destino di una persona si gioca tutto tra 0 e 3 an-ni, mi sono messo in testa di fare una scuola perfetta per l’in-fanzia. Sono cocciuto, mi sono dato da fare. Ci venivano i fi-gli della gente più disagiata della vallata, gratis. Ma non homai rifiutato nessuno, l’essenziale era solo non togliere il po-sto ai più poveri. Intorno a quella struttura s’è creata nel girodi poco tempo tutta una vita. Il pomeriggio quel posto è di-ventato il ritrovo di bambini, giovani e vecchi: si suonava, siascoltava la musica, si faceva teatro e cinema. Ne hanno par-lato i giornali, sai, sono pur sempre il figlio dei miei genitori,loro e io abbiamo buone relazioni. Poi un giorno, mentre eroin città, è esplosa una bombola della mensa…»

Tuoni, lampi. Il temporale continua a infuriare, ma ciò chedavvero soffia e urla, ora, è la memoria di don Lucio. Vociconcitate di gente che scappa, bambini che piangono stretti al-le maestre, il suono lancinante delle sirene, il riverbero dellefiamme. E infine i pompieri che portano fuori i resti di sei diquei bambini.

«Li conoscevo uno per uno» mormora don Lucio con gliocchi lucidi. «Non erano né meglio né peggio degli altri. Pe-rò erano bambini con tutta una vita ripiegata nel cuore, unavita che andava ancora scandita, ritmata, svolta al meglio.Non gli è stata data la possibilità.»

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«Che brutta disgrazia, mi dispiace.» Don Lucio tace per un attimo, poi prende un tono gelido:«No, guarda. Dio, quando succedono queste cose, io lo

posso giustificare solo se non ha potenza, se non ha onni-scienza, se è cieco e sordo fino a coincidere col caso. Ma se èpotente, se è onnisciente, allora è un dio sadico e malvagio,primo perché solo un sadico può inventare la morte, secondoperché solo un malvagio può darla ai bambini.»

Silenzio, solo il vento, i tuoni.«Sai che mi ha colpito subito di te?»«Dimmelo, sentiamo le stupidaggini che tiri fuori.»«Che sei esagerato. Cazzo, tu bestemmi! E perché, che ti è

successo di straordinario? Una cosa brutta, bruttissima, sicu-ro. Ma di cose brutte, bruttissime, ne succedono continua-mente, a tutti e dappertutto. Sono le prove a cui Dio chiama,sta lì apposta.»

Il prete sbotta:«Sta lì apposta per metterci in difficoltà? La sua funzione è

dimostrarmi continuamente che non c’è via che non porti alCalvario? Un po’ di varietà, porca miseria! Un po’ di sana im-prevedibilità! Se due più due ogni tanto fa tre o cinque o set-te, ho bisogno di Dio. Ma se due più due fa quattro, semprequattro, e io lo so, l’ho imparato, a che mi serve Dio?»

In quel momento di colpo si riaccende la luce sul comodi-no. I due sbattono gli occhi, si guardano in faccia quasi sor-prendendosi di trovarsi lì a parlare.

«Miracolo!» ghigna Festa. «Ecco a che mi serve Dio, a ri-darmi la luce! Il tuo problema è che hai avuto tutto, don Lu-cio. Chi ha tutto non riesce a pensare che può perdere qual-cosa. Pure uno spillo che finisce nel cesso lo mette in crisi. Pi-glia me, invece: se si esclude Christian, mio figlio, nella miavita io ho avuto solo un raggio di sole.»

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Il prete torna ironico:«Sono pronto a scommettere quello che vuoi: il tuo unico

raggio di sole è una donna.» Festa si secca:«Come lo sai?»«Basta aspettare un po’ e nei confessionali salta sempre

fuori o una donna o un uomo, a seconda del sesso o delle pro-pensioni sessuali di chi parla!»

Mimì cala di tono, quasi si giustifica:«Vabbè, il raggio di sole è una donna, che c’è di male?

L’unica persona che sapesse acquietarmi. Ma ero già sposato,per mia disgrazia, e legato mani e piedi ai Giovanniello. Chedovevo fare? Si chiamava Odette, aveva diciotto anni! L’ave-vo conosciuta in un paesino di mare da queste parti. Odettequell’estate era stata eletta Reginetta dello scoglio. Aveva uncorpicino e gli occhi di smeraldo.»

«Risparmiami, ti prego.»«Va bene. Ti dico solo che ho completamente perso la testa

per lei e sono cambiato in tutto, da così a così. Per capirci: tum’hai visto oggi alla partita con Chen? Hai visto che cazzateposso fare? Beh, con Odette niente! Lei, quando mi stava vi-cino, era un filtro stretto che mi faceva spurgare la voglia difar male. Naturalmente però, per paura di perderla, non riu-scivo a cambiare fino in fondo. Le avevo mentito sul mio con-to, non le avevo raccontato che ero orfano, che a dodici anniero finito in riformatorio per uno scippo, che ero sposato eavevo un figlio, che lavoravo con i Giovanniello. Tiravo avan-ti a campare. Ma lei intanto mi aveva presentato ai suoi geni-tori, gente perbene. E io dicevo che volevo sposarla. Proget-tavamo minutamente la nostra vita, era bellissimo farlo. La in-coraggiavo a cercare la sua strada, cantava bene, ipnotizzava ilpubblico, era una vamp. Senonché mia moglie venne a sapere

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tutto. Ora una moglie tradita è già di per sé una belva, ma unamoglie tradita che appartiene alla famiglia Giovanniello è ve-ramente pericolosa. Mi spaventai non tanto per me, quantoper Odette e i suoi genitori. Sparii da un giorno all’altro e nonl’ho vista mai più.»

Il temporale si è placato. Solo un debole sgocciolio oltre lefinestre. Don Lucio tace. Poi mormora:

«Scusa se ho fatto dell’ironia. Lo so che l’amore è impor-tante. Dev’essere bello aver conosciuto almeno una volta nel-la vita una donna con cui stai veramente bene, a cui ti senti didire tutto, anche quello che non hai mai confessato nemmenoa te stesso. Perché sai che lei capirà.»

«È così. Però pure gli amici vanno bene. Noi pareva chenon ci dovevamo dire niente e invece, vedi, ci siamo detti tut-to. Buonanotte, don Lucio, e grazie per il conforto.»

Va verso la porta. Ma ora è don Lucio che sente il bisognodi confidarsi e ha un’espressione molto seria. Poggia il suo li-bro sul comodino:

«Aspetta, ti voglio dire una cosa: io non ho più fede.»Festa si ferma sulla soglia.«E che c’era bisogno di dirlo? Si vede. Ma ritornerà.»«No, non ritornerà. Dio non c’è e se c’è è lontano, piccolo

piccolo, inutile.»Mimì minimizza:«Va bene, si sarà un po’ ristretto, ma l’ha fatto per gentilez-

za: siamo troppi e rompicoglioni, tutti a raccomandarci con-tinuamente. Però vedrai che presto o tardi ricomparirà allagrande. Siamo fatti con la materia del casino, del bordello as-soluto, e se lui non fa ordine con le buone o con le cattive, èla fine.»

Don Lucio sorride:«Questo ti aspetti?»

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Un guizzo di sarcasmo brilla per un attimo negli occhi diFesta.

«E tu?»Don Lucio si rende conto che lo sta spingendo verso qual-

cosa di oscuro. Scuote la testa, ha un sorriso malinconico.«Non lo so. Sto discutendo con le autorità ecclesiastiche

da mesi. Ormai ci siamo. Domani devo andare in città, e sa-rà un giorno importante, di grande solitudine. Perciò ti rin-grazio per avermi fatto compagnia stasera. Ne avevo bisognoe non lo sapevo.» Lo soppesa serio, con curiosità: «Sai chehai ragione? Con te non bisogna avere a che fare, diventi su-bito necessario. Pure quella cosa dell’aereo e dei bambini.Scusami se t’ho fregato l’idea, oggi, ma mi è tornato in men-te là per là e non ho saputo farne a meno.»

Festa fa il magnanimo:«Mo ci mettiamo a far questione sulla proprietà delle idee?

T’è piaciuta la storia dell’aereo? E va bene, sono contento. Fi-guriamoci, mi escono tante sciocchezze dalla bocca! Tu rubacome ti pare, non c’è problema…»

«Buonanotte, Mimì.»«Buonanotte, Lucio.»

L’indomani mattina, di buonora, don Lucio si mette inmacchina e parte. Una volta sulla statale armeggia con l’auto-radio. Si sente una vecchia languida canzone, il prete passaoltre in cerca di altri canali. Ecco allora, seccata, la voce diMimì:

«No, che fai, lascia! È bella la musica anni Sessanta!»Don Lucio sussulta, guarda nello specchietto: «Ma che cazzo! Mi vuoi far venire un infarto? Che fai là

dietro?»

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Mimì agilmente guadagna il posto accanto al guidatore.«Visto che per te è un giorno importante, non ti voglio la-

sciare solo. Gli amici si vedono nel bisogno.»Intanto cerca di ripescare la canzone che gli piaceva. Il pre-

te è seccato:«E se ti vede uno di quelli che ti vogliono ammazzare?»Mimì ha ripescato la canzone. Si estasia, a sentirla, e intan-

to dice:«No problem. Visto come so bene l’inglese, eh?»Tira giù lo schienale e si sdraia completamente, godendosi

la canzone.«Chi mi vede, a me, così?»

Il viaggio non è lungo. Ora siamo in un austero corridoiodella Curia. Una porta si apre e compare un prete dal profilorapace. Fa cenno a don Lucio, che è in attesa su una panca in-sieme a Mimì. Don Lucio balza in piedi, Mimì gli fa un gestodi incoraggiamento, i due preti si allontanano fino a scompa-rire oltre una porta.

Mimì allora cambia atteggiamento. Controlla l’orologio,va alla finestra e dà un’occhiata di sotto. Quindi si dirige ver-so la porta da cui è uscito il prete. Dà uno sguardo all’interno.La stanza è vuota. In un angolo c’è un attaccapanni con uncappello nero, una cappa scura.

A questo punto diamo uno sguardo a ciò che succede a donLucio. Adesso è in presenza del vescovo, un vecchio canutoche tiene gli occhi penetranti negli occhi angosciati del prete,come per leggervi dentro:

«Figliuolo, hai avuto ripensamenti?» Don Lucio fa cenno di no.

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«C’è qualcosa che mi nascondi?» «Niente, Eminenza.» Don Lucio è lì, davanti al suo vescovo, impietrito.

Un altro prete, invece, cappa e cappello, nel frattempo va apasso svelto, i movimenti sciolti, per le strade del centro sto-rico. Finché si ferma davanti alla vetrata di una palestra.

Adesso lo riconosciamo: è Mimì. Oltre il vetro ci sono gio-vani e meno giovani che sgobbano con vari attrezzi. Ma luicerca una persona determinata, la cerca con ansia crescente, eil viso teso si rischiara solo quando la individua. È un giova-ne basso, tarchiato, molto muscoloso che sta sollevando pesicon un’energia feroce.

Mimì lo contempla con orgoglio. Adesso il ragazzo ha de-posto i pesi, chiacchiera con una ragazzina in shorts tutta mè-ches dorate. L’uomo intanto entra, benedice l’addetta della re-ception, indica lo spogliatoio con espressione serafica e la ra-gazza non osa fermarlo, i segni del sacerdozio la mettono insoggezione. Una volta nello spogliatoio Festa si toglie il cap-pello e la cappa, si tira indietro i capelli con le dita, assumeun’espressione vigile e aggressiva, entra nella palestra. In unattimo è alle spalle del giovane muscoloso, gli mormora conaffetto:

«Christian.»Il ragazzo si gira di scatto. «Papà!»Festa sorride, abbraccia il figlio, gli dà un paio di baci con

lo schiocco, ne tasta i muscoli con la finta meraviglia che ingenere si riserva ai bambini:

«Madò, bell’e papà, come sei forte!»Chistian tira il padre verso le docce, è in imbarazzo, non gli

va di essere trattato come se fosse ancora piccolo. E poi si sen-

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te che ha un rancore dentro e non cerca altro che l’occasionedi sbottare. Il ragazzo sibila con astio:

«Sparisci, te ne vai, come se noi non esistessimo! Pensavoche eri morto!»

E poi con la voce appena incrinata:«T’ho regalato il cappello! L’ho fatto venire apposta da Fi-

renze! E ce l’hai? No! Che hai fatto, l’hai buttato?»«Io? Ma sei pazzo? Guarda chi tengo dentro il mio porta-

foglio, guarda!»Mimì estrae il portafoglio e gli mostra una foto in cui si ve-

dono il figlio e lui col panama nuovo in testa.«Vedi bell’e papà se mi scordo di te?»Naturalmente il ragazzo s’aggrappa a quel che capita per

sfogare e insieme nascondere un’avversione profonda per suopadre. L’unico che non s’accorge di niente è proprio Mimì,che ha altre ansie, sorveglia l’ambiente, le voci, i rumori, e sivede che ha fretta.

«Come va a casa?»«Come deve andare? Che domande fai, papà?»«Sono tutti incazzati con me, eh? In testa a tutti tua ma-

dre?»Il ragazzo annuisce. «Beh, se la devono far passare. Tu almeno mi vuoi bene?

Eh? Vuoi bene a papà?»Il ragazzo dice di sì, a occhi bassi.«Mica stai con tua madre? Mica stai coi Giovanniello? Tu

stai con me, è vero? Lo so che ti sei dispiaciuto per zio Fran-chino! E che, credi che non capisco? Ma zio Franchino era uncretino, Christian! E si può essere comandati da un cretino?Rispondi!»

Il ragazzo dice no, a occhi bassi.«Bravo. Ricordati sempre che tu non sei cretino! Hai tutti

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’sti muscoli, è vero, come zio Franchino, ma non sei figlio dizio Franchino: di cognome fai Festa, tu sei figlio mio! E i Fe-sta, guarda, sono sottili, sono eleganti, sono intelligenti…»

Si tira via i capelli dalla fronte con orgoglio:«La nostra fronte è alta! Perciò non si poteva più andare

avanti con quello stronzo di tuo zio al comando. Basta. Ades-so tu mi devi fare un favore: cerca di capire quanti sono dallaparte nostra, contiamoci! Ché appena si calmano le acque ri-cominciamo e questa volta in proprio, io e te! Muoviti comese niente fosse, con attenzione, fai un sondaggio! Vedi chi èche rimpiange la gestione Giovanniello e chi vuole la gestioneFesta. Lo sai fare un sondaggio? Poi ti contatto io. Va bene?Christian, va bene?!»

Il ragazzo annuisce, mormora: «E a mamma che gli devo dire?»«Niente. Franchino era suo fratello, posso capire che ce l’ha

con me. E comunque se pure è incazzata, che me ne fotte? Io leho voluto bene, Christian, a tua madre! Era bella! Però l’hai vi-sta che è diventata? Il tempo con le femmine non è galantuo-mo. E poi, cazzo, ce l’ha sempre con me. Sempre! Però è tuamadre e la rispetto. Il problema era Franchino, non lei. Ora fac-ciamo capire a tutti che si devono prendere un tranquillante eragionare con me e te!»

«Ma dove stai nascosto? Se ti cerco dove ti trovo?»«È meglio che non lo sai. Così nessuno ti potrà rompere le

palle. Non sai niente e basta.»Il ragazzo fa cenno di sì. Poi all’improvviso ha un gesto di

ribellione, sibila contenendo a stento la furia:«Perché l’hai fatto? Nonno ti voleva bene! E pure zio

Franchino! Ti sei fatto una posizione con loro! Non aveviniente e i Giovanniello t’hanno dato tutto! Perché, papà?»

Festa fissa suo figlio incerto.

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«Che cazzo dici, Christian?»E all’improvviso gli dà uno schiaffone.«Non ti permettere di parlare così a tuo padre, mai più.

Che fai, te ne vai dietro alle cazzate che ti raccontano a casa?Credi più a tua madre che a me?»

Il ragazzo fa gli occhi lucidi ma riesce a trattenere le lacri-me. Festa gli fa una carezza veloce dove l’ha colpito:

«T’ho fatto male?»«No.»«Bravo, fai l’uomo. E soprattutto fidati di me. A noi due

insieme non ci frega nessuno. Dammi un bacio.»Christian lo bacia, ma con visibile sforzo, su una guancia.

Mimì fa per allontanarsi. Il figlio lo ferma, serio, con un tonoquasi disperato:

«Papà.»«Che c’è?»Il ragazzo dice con un’improvvisa traccia di minaccia, co-

me un monito:«Io non ho la fronte come la tua, papà, io ho la fronte bassa.»Mimì lo fissa perplesso, poi torna indietro, gli solleva la

massa dei capelli. Effettivamente la fronte è bassina. Ma Festasi entusiasma:

«Ma che dici! E che è una fronte bassa questa? Questa èsputata la fronte della razza Festa. Intelligentissimi, noiFesta, e tutti con le femmine così! Ti ho visto con la bion-dina prima, eh! Bravo a papà! Ciao! E mi raccomando: ilsondaggio!»

Fila via in fretta.

Intanto l’incontro del vescovo con don Lucio volge al ter-mine. Il prelato tira fuori da un astuccio una lettera.

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«Questa legittima il tuo abbandono dei voti. Firmala quan-do avrai deciso.»

L’anziano la consegna al giovane e col suo fare suadentesottolinea che da questo momento ha il destino nelle sue ma-ni. Può in ogni momento fermare tutto o andare fino in fon-do.

«La mia speranza è che non me la consegnerai mai. Ti au-guro di fare la scelta giusta.»

«Grazie» dice debolmente don Lucio che bacia l’anello delvescovo e si allontana dalla stanza.

In fondo al corridoio della Curia, nella sua stanza, il prete dalprofilo rapace che ha accompagnato don Lucio cerca qualcosache non trova. L’uomo è disorientato, quando alle sue spallecompare Mimì e gli mette addosso la cappa e in testa il cappello:

«Prego, eminenza!»«Grazie, non sono eminenza.»«È un piacere aiutarla, padre.»L’anziano sacerdote è un po’ interdetto, quando compare

don Lucio:«Ma che fai, non ti trovavo più.»Lo trascina via verso l’uscita. Mimì pare proprio che non

veda l’ora di sapere com’è andata: «Allora? Sono stato tutto il tempo in ansia.»Il prete gli mostra la lettera. Sorride:«Da adesso tutto dipende soltanto da me.»«E da Dio» gli ricorda con aria saggia Mimì.«Se avessi la certezza che Dio perde tempo a stare dietro a

me, mentre invece ad Auschwitz dormiva, avrei sciolto quelpo’ di riserve che mi restano. Andiamo, va’, e godiamoci lagiornata.»

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Ora la litoranea offre un panorama da capogiro. Il prete hamesso su un bellissimo lento rock anni Settanta che si addiceal manto di dune che scorre a lato dell’auto, all’azzurro bril-lante del mare, alla luce.

Mimì viaggia sdraiato e fissa il tetto dell’auto. Ma poi tirasu il sedile, vuole fare una domanda:

«Ma tu…»«Ma io?»«Ma tu sei giovane no? Sei forte… un toro…»«Un toro non direi…»«Però scoppi di salute! Ci avrai le tue esigenze… Insomma

– scusa, eh – ma una donna ce l’hai mai avuta?»Don Lucio si fa serio e mette una mano sulla spalla di Mimì: «No. Io sono gay… come tutti i preti del resto!» Mimì è paralizzato: «L’avevo capito… Cioè, non l’avevo capito… E comunque

non c’è niente di male, io i froci li rispetto… Mo non pensareche mi fai schifo…»

Don Lucio scoppia a ridere: «Scherzo! Certo che ho avuto una donna, e non solo una!

Prima però!»«Ah, meno male! E… ti mancano?»

Don Lucio non fa neanche a tempo a rispondere, Mimì se-guita:

«Ti mancano, ti mancano, si vede! A chi non mancano lefemmine?»

Fa lo sguardo malinconico:«Io però non me le sono mai fatte mancare!»«Questo si capisce subito.»«Si capisce, eh? Eppure per me è come se non ne avessi mai

veramente avute. Perché una cosa sono le donne e un’altra èl’unica donna che vorresti avere.»

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Guarda fuori, si accende:«Puoi girare alla prossima per favore? Rallenta! Qui!»

Non c’è nessuno per strada, nel paesino affacciato sul ma-re. È la controra: la gente o è barricata in casa o sta a cuocer-si sulla spiaggia. Mimì e don Lucio sono fermi a un angolo aguardare una piccola casa bassa e bianca.

«Non resta niente nei posti» dice Festa con tono depresso.«Io ti posso dire che lì abitava Odette, ma che significa? Lì cisono pietre, asfalto, gli oleandri e basta. Dove cazzo stal’amore che ho provato per lei?»

«Perché non vai a bussare?» gli fa don Lucio. «Ma come ti viene? Chissà dove sta quella adesso! Sono

passati duecento anni! Sarà grassa, sarà in tournée a Montevi-deo! Andiamocene, va’, ti volevo solo far vedere il posto.»

Ma il prete va al citofono e suona. Mimì scuote la testa fa-cendogli cenno che è svitato.

Una voce di donna risponde:«Sì? Chi è?»Mimì sgrana gli occhi. Il prete fa cenno: è lei? Festa si stringe nelle spalle, ma è agitatissimo. Don Lucio

risponde: «Sto cercando Odette…»Sussurra a Mimì: che cognome? «Moreno.»«Odette Moreno.»«Sono io» risponde la donna.«Lettura del gas» urla al citofono Mimì che quasi atterra

don Lucio con una spallata. «Ci apre?» La porta scatta e Mimì si dilegua per le scale. Don Lucio re-

sta sulla soglia e il portone lentamente gli si richiude in faccia.

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Don Lucio sta aspettando da qualche minuto. Fa caldo e siè sbottonato la camicia, il colletto. Quando da una finestra gliarriva un fischio: è Mimì, accanto a lui c’è Odette che, comese avesse fatto un gioco di prestigio, gliela indica con tutt’edue le mani gridando:

«Odette!», e sulla faccia ha l’espressione fiera e soddisfattadi chi vuole sottolineare: tu stai vedendo che meraviglia?

Odette saluta con composta cordialità:«Buongiorno, don Lucio!»E il prete risponde con un cenno timido. Ecco dunque

Odette. Quanto avrà, quarant’anni? È bella, piena. Parla sen-za smancerie, senza bambineggiare. Alla prima frase che pro-nuncia, già ti chiama per nome, perché sa che il tuo nome nel-la sua bocca, nella sua gola, ti trascina accanto a lei veloce-mente e tu hai l’impressione che sei già parte di lei, suo fratel-lo, o il suo amico più caro, sangue comunque che pulsa colsuo sangue. Che coppia che fa con Mimì Festa. Don Lucio livede venire giù insieme un minuto dopo e sembra subito che– anche se non si vedono da vent’anni – l’energia vitale del-l’uno s’è sommata a quella dell’altro, di nuovo, e spandonointorno un piacere di stare al mondo che, quando fanno spa-zio al prete in mezzo a loro, il prete è come se fosse una bat-teria scarica che subito riacquista forza e allegria.

Ah questa donna con quale naturalezza sa accorciare in po-chi secondi le distanze. Non ha imbarazzi nella voce. Ti guar-da diritto negli occhi. S’è già ficcata sotto il tuo braccio. Nondice niente di sé, vuole solo sapere di te con un interesse ge-nuino. E tuttavia tu senti dal contatto, dal modo di pronun-ciare le parole, dal modo di ridere, dalla sua andatura che la-scia che il fianco sbatta contro il tuo con disinvolta velocissi-ma intimità, che il suo corpo parla liberamente, racconta mol-

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ta esperienza del mondo, racconta quarant’anni intensi, rac-conta autonomia, indipendenza, anche disincanto, ma disin-canto non disamorato, non malinconico, accettato invece conallegria e in un certo senso goduto come una liberazione daisogni falsi.

«Mimì è così» dice senza rammarico, «vent’anni di silenzioe poi arriva con un cugino prete giovane e bello. Cos’è, un re-galo per farti perdonare?».

«Cugini non ne regalo» scherza Mimì su di giri. «E che, mimetto a regalare uno come questo, che non c’è prezzo? Odet-te, io non sono cambiato, io regalo sempre e soltanto me stes-so e tutto quello che mi porto appresso.»

«Devi vedere se una ti vuole ancora. Don Lucio, che devofare? Lo mando via? Gli dico non mi ricordo nemmeno comesei fatto, che vuoi da me? O mi fido? Mi garantisce lei che suocugino non mi farà di nuovo male? Che dice?»

Don Lucio azzarda:«Dico che mi deve dare del tu.»«A un prete? Non posso. Se le do del tu, non ci credo più

che è un prete. E allora me ne torno subito a casa mia, questonon lo voglio nemmeno vedere, io sto qui solo perché c’è lei.»

Questa donna è così. Gioca e giocando dice le sue ansie co-me se non fossero ansie. È chiaro che ha amato veramente Mi-mì Festa e che non è donna da smettere di amare. Ora lui lericompare davanti a sorpresa e lei è libera – racconta – s’è spo-sata ma s’è separata, ha il suo mestiere di cantante che la por-ta con successo di qua e di là, era difficile far la moglie; e poilei è una che ama una volta sola, il resto è affetto, un po’ disesso, certe volte un abbaglio che dura quindici giorni e poipassa.

«Ma non lo sapevo, don Lucio. Quando mi sono sposata,mi creda, ero convinta di amarlo, mio marito.»

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Sono passati solo dieci minuti dal loro incontro. Stanno aspasso per il lungomare, l’acqua è splendida, il cielo è abba-gliante. E don Lucio pare aver perso definitivamente i tor-menti della mattinata nella Curia. Dov’è finito il peso insop-portabile della lettera nella tasca? Il prete sfiora la carta manon ne percepisce più il messaggio greve. La vitalità di questadonna gli sta venendo addosso non di striscio, ma con pienez-za ed è contento di come lei lo sta tirando subito dentro il suosmarrimento per l’arrivo di Festa. Anzi – lui lo sente – gli sista affidando. Gli lancia segnali d’aiuto con tranquilla maturi-tà, senza ansia. Gli comunica quasi senza darlo a vedere chenient’altro ha contato davvero nella sua vita, se non questofinto cugino inaffidabile, tuttavia non si fa illusioni, ormai; esolo se lui, don Lucio, la sostiene almeno un poco, lei è dispo-sta a godersi pienamente il ritorno di Mimì Festa per un po-meriggio, un poco soltanto e basta; tanto non c’è da farci af-fidamento e lei questo lo sa e del resto cosa le importa, non èpiù una ragazzina, sa anche come la vita butta.

«Ci sta ancora quel ristorante di pesce?» chiede Mimì.«Sì.»«E io là vi porto, a tutt’e due!»«Che dice, lei, don Lucio, ci devo venire?»Si intromette Mimì:«Basta, eh? Se non gli dai del tu, questo ci molla e se ne va,

Odette, e la macchina è la sua, stai attenta, rischio di restaretutta la vita qua! Capisco l’imbarazzo, ma fai uno sforzo, que-sto è un ministro di Dio. E tu a Dio che fai, gli dai del lei? AGesù gli dai del lei? Come dici: scusi, Gesù, mi faccia questagrazia? Dici così: la prego, Spirito Santo, ci porti un po’ di pa-ce? No, e allora? Vuoi dare del tu a Dio, alla Madonna e aisanti, e del lei al loro servo?»

Calca sulla parola servo, Mimì, con godimento, e Odette

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passa finalmente al tu e il suo fianco striscia ancora più inti-mamente contro quello del prete, e il suo braccio stringe quel-lo di don Lucio con un’amicizia crescente. Come si sta benetutt’e tre. Don Lucio è felice, ed è grato a quest’uomo ingo-vernabile. Le cose che gli vengono in mente! Lui non ci ave-va mai pensato che, persino sul piano grammaticale, è più fa-cile stare a tu per tu con Dio, che con un prete.

Il ristorante è proprio sugli scogli. I tre stanno pranzando.Mimì fa il grande di Spagna, ha ordinato frutti di mare di ognispecie, da mangiare rigorosamente crudi. Lui e Odette ne but-tano giù a volontà sotto lo sguardo perplesso del prete.

Don Lucio è perplesso almeno per due motivi: primo, per-ché il pesce crudo gli fa un po’ paura e anche un po’ ribrezzo;secondo perché Odette parla e a ogni frase viene fuori chedella vita vera di Mimì non sa nulla. Come, come? Festa permolti anni è vissuto al Nord e ha diretto un’azienda nei din-torni di Brescia che produceva videopoker? Festa scapolo erae scapolo è rimasto? Festa a forza di vivere ospite a casa di suocugino prete, nella sua villa nei dintorni di Brescia, ha presoun accento settentrionale che ora esibisce in un modo che hauna qualche verosimiglianza solo per la povera Odette?

Il prete gli tiene il gioco, lo sostiene e si diverte anche. Inquesto momento le balle di Mimì gli sembrano la messinsce-na di un mondo possibile dentro il quale, finché la balla dura,la vita appare messa per il meglio. E allora che male c’è? Però,Dio santo, è vero anche che gli dispiace che quel gradevolecialtrone inganni Odette.

Lei certo non si può dire solare. Di sicuro bisogna trovareun altro aggettivo. O forse un ossimoro. Parla di sé, diciamo,con un’opaca limpidezza. Il prete lo sente e tuttavia in questaschermaglia è dalla parte di lei. Certo, ha un gruppo di musi-

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cisti di gran livello. Certo fa concerti. Però tra una frase e l’al-tra si percepiscono zone grigie. Dove, come, quando? Ma haimportanza? Il prete le guarda gli occhi e ci sente dentro unasincerità dei sentimenti che non ha a che fare con i singoli fat-ti che sta raccontando a Festa. Anzi l’opacità di quei fatti sem-bra una difesa contro l’eccessiva limpidezza degli affetti sin-ceri che cova.

«Mangia, Lucio!» lo esorta Mimì di tanto in tanto.Il prete ci prova ma cede subito con una smorfia. Mimì allora lo istruisce sulle modalità di consumo e Odet-

te ride e rinforza la lezione di Mimì con indicazioni sue. Abili movimenti di lingua, dice Festa, come fa lei, guarda!

E Odette spazzola con un sol colpo tutto il contenuto di unriccio di mare.

Don Lucio titubante prova a imitarla. La donna lo guardae approva, il prete ingoia commentando:

«Sushi pugliese, tutto qui.»

Le ore corrono. Al ristorante segue la spiaggia, il mare. Èpossibile sentirsi all’improvviso, nel giro di poco tempo, cosìaderenti al creato? Odette vuole fare il bagno, si leva blusa egonna, resta in reggiseno e slip.

«Tanto mica ti fa impressione» dice al prete, «è come sefossi in costume».

A don Lucio fa impressione ma non lo dice e non lo vuolenemmeno dare a vedere, sicché si spoglia, resta a sua volta inmutande, borbotta:

«Vengo anch’io!»«Così vi viene una congestione a tutt’e due, avete mangia-

to da poco!» si preoccupa Mimì.Ma l’acqua è bellissima, Odette è già dentro, grida a Festa:«Vieni, è caldissima.»

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«Vieni» insiste don Lucio entrando in acqua a sua volta.«Ho tutto sullo stomaco. Va’. Se morite, i cadaveri li recu-

pero io.»Il prete va e Festa subito comincia a smanettare col cellula-

re. Quando però solleva lo sguardo, i due non ci sono più.Cazzo. Si spoglia tra un’imprecazione e l’altra, e con l’acquache gli bagna lo stomaco, comincia a chiamarli a gran voce.

Sembra proprio spaventato, tant’è vero che quando i duesbucano da dietro uno scoglio s’arrabbia con loro, dice chesono scherzi stupidi che non si fanno.

Per tutta risposta i due gli buttano acqua, lo afferrano, lotengono sotto. Cominciano così scherzi, lotte, vendette. Mi-mì Festa stringe Odette, l’abbraccia, la respinge, la tiene sottofin quasi ad annegarla, la tira su e ora vuole baciarla.

Lei lo colpisce a pugni e a schiaffi durissimi, e poi all’im-provviso, è lei a baciarlo, a lungo, avidamente.

Don Lucio si gira dall’altro lato e dà prova di grandi capa-cità nello stile libero. È una prova compiaciuta che offre soloa se stesso, naturalmente. Gli altri due non ci fanno nemme-no caso. Ora parlano fittamente e tornano a riva.

È Odette la più savia. Dice che ha molto da studiare unbrano nuovo che un suo amico musicista ha preparato perlei e Lucio tace, capisce che lei non vuole mettere a rischioulteriormente la sua tranquillità. Mimì invece sembra unbambino a cui hanno sottratto il giocattolo preferito e lo ri-vuole.

«Chi cazz’è questo stronzo di musicista?» comincia. E silamenta: «Non ci vediamo da tanto e tu vai a perdere tempocon quel coglione? E don Lucio? Vuoi buttare la serata conquesto strimpellatore stonato di chitarra, invece che con que-sto qui, guardalo, un signor prete, un prete signore, non sai da

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che famiglia viene? Suo padre è un famoso filosofo, i genitorierano amici di papa Woityla!»

Don Lucio scuote la testa, gli viene da ridere. Ma Mimì in-siste:

«Diglielo! È vero o no che Giovanni Paolo II veniva a ca-sa tua? È vero o no che ti leggeva il miracolo delle nozze diCana la sera per farti addormentare?»

Odette fissa don Lucio, incerta, e gli legge negli occhi la ri-sata.

«Giura che non stai per dirmi che è vero!»Don Lucio fa cenno di sì e scoppiano a ridere insieme.

Odette lo colpisce a piccoli pugni sulla spalla:«Anche tu ti fai manipolare da questo qua? Anche tu!?»Don Lucio è contento di quei colpetti teneri sulla spalla,

mormora contenendo il riso:«Wojtyla non è mai venuto a casa dei miei genitori. Ma

dalla mia parrocchia si vede un bellissimo tramonto. Questoti giuro che è vero.»

«Esatto» si entusiasma Mimì. «Vediti il tramonto dalla ca-nonica e poi ti riaccompagniamo a casa.»

Don Lucio si gira e si rigira nel letto. Per tutta la casa delprete si spandono gli ansimi e i gemiti di Mimì e della suacompagna.

Nella stanzetta che gli ha assegnato a suo tempo don Lu-cio, Festa e Odette Moreno soddisfano un desiderio tenuto afreno per vent’anni e sono come pazzi.

«Aspetta» rantola Mimì, «non mi stringere troppo che hole ferite…».

«Povero… come t’è successo…»«…un incidente d’auto, proprio mentre stavo per arrivare

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qui… Dai, amore mio… Dai, zuccherino; dai, sciroppo; dai,caramellina…»

E si va avanti così, con moine e sospiri, mentre il prete nel-l’altra stanza cerca di tenersi stretto il sonno e non gli riesce.Finché Mimì grida:

«Ora lasciami… Odette, lasciami… fammi uscire… fammiuscire…»

Ma la donna gli stringe forte il nodo delle gambe intorno aifianchi e lo abbraccia stretto gemendo. Mimì si abbandona.

Don Lucio, che non ne può più di tutto quel trambusto, sirompe le scatole, accende la luce e s’infila il suo i-Pod.

«Sei pazza» mormora Mimì.«Siamo pazzi» dice Odette con la sua bella voce calda.E già Mimì vuole prendere le distanze:«Guarda che non ci dobbiamo fare illusioni. Io mo mi fac-

cio questa villeggiatura qui da mio cugino, ma poi ho i mieiaffari, Odette: un’azienda di software che non sai quante ro-gne mi dà. Non ti posso dire: poi facciamo, poi diciamo…»

Ma la reazione di Odette non è quella che lui prevede. Leifa il tono rassegnato, senza rimostranze nemmeno sottintese:

«E chi vuole niente? Da te? Ma va’! Ho la mia musica, iconcerti…»

E immediatamente Mimì se l’ha a male.«…e pure ’sto coglione che ti fa credere di essere Mozart!»Risatina di Odette.«Ricominci? Tu hai la tua vita e io la mia!»«Sì? E io secondo te ho una cosa equivalente a questo Mo-

zart? Io ho una vita di merda, Odette! Io ho il software! Vuoimettere il software mio e il Mozart tuo? A te il mio softwareti dà fastidio, ti fa ingelosire? No. A me il tuo Mozart sì, mi

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fa incazzare in un modo che ti darei un morso in testa! Pro-mettimi almeno che questo stronzo non lo vedi più…»

«E perché?»«Perché mi fa venire il sangue agli occhi!»«E che diritto hai di farti venire il sangue agli occhi? Negli

ultimi vent’anni non t’ho mai visto e nelle ultime sei ore ab-biamo scopato una volta e abbiamo litigato quaranta volte!Che vuoi da me?»

Mimì tace, poi borbotta:«Vabbè, allora lo dico a mio cugino, che tu fai la zoccola

con questo suonatore!»«Sai che paura!»«Non t’è simpatico don Lucio?»«Molto. Ma non sembra tuo cugino. C’è un abisso tra te e

lui.»Mimì mormora abbracciandola:«Vuoi dire che io sono meglio?»

Il prete, in pigiama grigio con pantaloncini corti, è in cuci-na che sfoglia il giornale. Il tavolo è apparecchiato per tre.Appaiono anche Mimì e Odette, tutt’e due in pigiama grigio,pantaloncini corti, identici a quello del prete. Mimì sbadiglia:

«C’era uno sconto?»«Su che?»«Sui pigiami. Perché li hai comprati tutti dello stesso tipo,

e grigi? Ti rendi conto di che cosa ti perdi a tenere Odette acolazione con questo schifo di pigiama da…»

«Da?»«Da prete, cazzo! Un po’ di fantasia, almeno in privato!»In realtà Odette, anche se col pigiama del prete, è meravi-

gliosa. Prepara il caffè, lo distribuisce ai due uomini. Ma ne deve

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versare subito un altro a Mimì, perché quello, sbadato co-m’è, proprio mentre stava chiedendo a don Lucio, al solitoper sfottere, se gli hanno dato fastidio durante la notte, se hadormito bene, ha fatto un movimento brusco e ha versato latazza per intero sul giornale. Peccato. È Mimì questa voltache ripulisce tutto e butta il giornale rovinato nella spazza-tura.

Ma in realtà l’incidente non è stato casuale. Il mondo ester-no preme e irrompe all’improvviso. Don Lucio stava per leg-gere una pagina dove spiccava il titolo: “Ritrovato il corpo delboss Franchino Giovanniello. È stato assassinato. Guerra trale cosche per la successione?”. E Mimì ha voluto impedirglie-lo. E ce l’ha fatta. Almeno per questa volta.

Ad ogni modo è improbabile che don Lucio sarebbe riu-scito a leggere l’articolo. Innanzitutto è troppo distratto dalpiacere di avere di fronte Odette. E poi è arrivata Muta che haportato lo scompiglio.

«Chi è questa signora in mutande?» sta strillando.«La mia fidanzata, signorina Muta» dice con un visibile

piacere sadico Mimì.E Muta non regge al colpo, si affloscia su una sedia:«Ah, e quanto resta?»

È Odette che deve darsi da fare per recuperare. Aiuta Mu-ta a sparecchiare, si impegna con lei nei lavori domestici. L’an-ziana lentamente si acquieta.

«Però posso continuare a medicarlo io, il signor Festa?»«E come no!»«Non gliel’ho curato bene?» mormora Muta in cerca di

nuove complicità che rallegrino la sua vita. «Ho una pomatache è miracolosa. Come bisogna fare che don Mimì è così

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stressato, pover’uomo? Possibile che uno va a sbattere controuno specchio?»

Odette ha una smorfia di disappunto. Specchio? Non incidente d’auto? Non dice più nulla.

Ma poco dopo la vediamo in cucina coi suoi abiti del gior-no prima, annuncia che vuole andare via, ha da fare.

«Di già?» sussulta don Lucio.Mimì la fissa smarrito, la tira via in cortile a strattoni auto-

ritari. Il prete li osserva dalla finestra. Non si sente cosa si dico-

no, ma è chiaro che Festa la sta supplicando di restare e lei di-ce di no, no, no, e allora lui passa a minacciarla. Un’alternan-za di buone e cattive maniere.

Alla fine rientrano, lei davanti, lui dietro. La donna brusca-mente dice al prete:

«Quando hai tempo, mi confesseresti?» Il prete la fissa incerto, Odette non ha più l’aria del giorno

prima. «Ho tutto il tempo che vuoi. Va’ in chiesa, ti raggiungo» le

dice con simpatia.Odette fa cenno di sì, esce. Mimì ghigna feroce:«Com’è che quando sentivo il bisogno di confessarmi io,

rompevi le palle e ora che si vuole confessare lei sei subitopronto? Sei mio cugino o il suo? Vieni con me, provolone, cheti devo far vedere un tubo del cesso.»

«Dopo.»«Adesso. Il tubo ha la precedenza sulla confessione di

Odette se non vogliamo finire allagati.»Don Lucio lo segue malvolentieri. Una volta in bagno, mentre il prete dà un’occhiata al tubo

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che in realtà non sembra avere problemi, Mimì si defila e inun baleno chiude la porta a chiave lasciando il sacerdote pri-gioniero nella toilette.

Don Lucio protesta, batte i pugni sulla porta, non capisceche senso ha quello scherzo.

«Non capisci perché non sai che significa quando una don-na ti entra nel sangue!» gli grida lui con una punta di dispera-zione nella voce.

Si dilegua.

Andiamo da Odette. Sta percorrendo la navata di destra,quando una mano spunta da un confessionale e le fa cenno diavvicinarsi. La donna si inginocchia.

Naturalmente nel confessionale c’è Mimì che parla senzarispettare nessuna regola sacramentale. Parla a monosillabi,quel tanto necessario per avviare le confidenze che lo interes-sano di più.

«Dunque.»«Non voglio confessarmi, don Lucio. Ho detto così per ta-

gliar fuori Mimmo. Oppure non so, forse voglio veramenteconfessarmi. Ma non è l’assoluzione che cerco, è un consiglio.Io ho amato…»

«Quanti?»«Come quanti?»«Uno, due, una dozzina?»Odette storce la bocca, ha capito subito chi c’è dall’altro lato.«Lo vuoi sapere? Una contabilità precisa è difficile. Negli

ultimi vent’anni sono stati… vediamo… dodici all’anno…Centoquarantaquattro, mi pare, complessivamente… Però incerte circostanze l’ho fatto anche con due… Insomma è uncalcolo difficile… Comunque, devo dire, è stato sempre bel-lissimo… Io sto bene solo quando mi scopano… Tranne

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quando ho amato un uomo, tantissimo, da ragazzina… A let-to, poverino, non valeva niente… Però mi faceva pena e fin-gevo di godere… Quando m’ha lasciata ho capito che era piùun vantaggio che una perdita…»

Mimì suda, soffre, fa gli occhi da pazzo furioso.«E adesso?» rantola.«Adesso, stavo appunto per dire, amo un uomo più di me

stessa… Senza di lui non posso vivere…»Mimì si rischiara.«Chi è…»«Un vero signore, sensibile, fine, intelligente, bello e che a

letto mi fa diventare pazza… È un musicista assai bravo…»Il viso di Mimì è una maschera di dolore silenzioso e, in-

sieme, di furia che vuole essere gridata. Quando la mano didon Lucio lo agguanta e lo tira fuori, per lui è quasi un sol-lievo.

Via, via, via, gli fa cenno il prete. E siede lui al posto fino aquel momento occupato da Mimì.

«Odette…»«Don Lucio… Se n’è andato quello stronzo?»«Sì.»«Spero che abbia creduto a tutto quello che gli ho detto!»«Penso di sì, aveva una faccia molto brutta…»«Se lo merita… Gli ho raccontato un sacco di bugie, voglio

che soffra!»«Non ci credo. Che succede? Desideri davvero confessar-

ti?»«Voglio dirti cosa ho deciso questa notte.»«È necessario?»«Mi aiuterebbe.»«Dimmi.»«Ho trentanove anni, don Lucio. Voglio un figlio finché ho

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ancora qualche possibilità di averne. Ma non lo voglio da unuomo qualunque. Lo voglio dall’unico uomo che ho amatoveramente nella mia vita.»

«Mi sembra una bella cosa.»«Solo che l’uomo è Mimì Festa, don Lucio.»«Ah.»«E questa cosa l’ho capita stanotte e ho deciso là per là.»«Vuoi che si occupi del bambino? Vuoi sposarlo? Vuoi vi-

vere con lui?»Silenzio.«No. Perché non penso che si possa avere da uno come quel-

lo una cosa del genere e sono cresciuta ormai, ho smesso di so-gnare l’impossibile. Voglio solo un figlio. A questo ho decisoche non rinuncerò. Però ho un’angoscia qui in petto. Da quan-do lui è ricomparso, tutto è diventato come su una nave quan-do c’è la tempesta, non c’è più equilibrio: un momento tutto vada un lato e il momento dopo tutto va dal lato opposto. Sonopazza a volere quello che voglio da uno come quello?»

Altro lungo silenzio. Don Lucio scosta la tenda del confes-sionale. Mimì Festa non è andato via. È seduto nell’ombra,per terra, accanto a una colonna, e fissa cupamente il pavi-mento tirando ogni tanto un pugno all’aria. Il prete dice:

«Quell’uomo è capace di tutto. Per esempio è capace anchedi essere il miglior padre del mondo. L’ho visto coi miei oc-chi. Tu lo ami?»

«Da pazzi. Pensavo di averlo dimenticato e invece è statocome se questi vent’anni non ci fossero mai stati.»

Don Lucio sospira, una sofferenza gli taglia lo sguardo.«Non ho consigli da darti, Odette. Anzi ne ho uno solo: ri-

metti al centro della tua vita l’impossibile e forse ti sorpren-derai.»

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«Dimmi cosa t’ha detto» supplica Mimì mentre gioca aping pong, «e, te lo giuro su mia moglie, te lo giuro su mio co-gnato, un minuto dopo me lo sono già dimenticato!».

«Sei ridicolo. Ti rendi conto che ti stai comportando peg-gio di Ciro? Vuoi che ti dia una seggiata in testa come tu haifatto con quel poveraccio?»

I due sono al centro del cortile, accaldati come due ragaz-zini. Mimì pare essersi acquietato, ma poi ricomincia:

«Io ti faccio solo le domande: è innamorata del musicante,gli vuole bene, vuole più bene a lui che a me? Rispondi, caz-zo!»

Il prete è divertito. Tace, mostra un’abilità superiore aquella di Mimì. Il tiro è preciso, veloce. Il gioco dell’altro in-vece è sgangherato e soprattutto scorretto.

«T’ha confessato tutto? Dimmi almeno se ha avuto davve-ro centoquarantaquattro uomini!»

Don Lucio ride:«O mio Dio! Questo non me l’ha detto: centoquaranta-

quattro?»«Allora non me lo confermi? Ha mentito? Ha esagerato?»Il prete si ricompone, borbotta:

«Sono vincolato al segreto della confessione!»«Ma se ti stai per spretare!» grida Mimì.Don Lucio qui ferma il gioco, dice gelidamente:«Non l’ho ancora fatto.»«Va bene: allora o rompi il segreto o io ingoio questa pal-

lina e mi uccido!»Mimì si ficca la pallina in bocca, cosa che lascia il prete del

tutto indifferente. È in quel mentre che si sente un suono di chitarra. Mimì

sputa la pallina.«Chi cazzo suona, è arrivato il musicante? Se è così è già

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morto!»Poi si sente nitida, bellissima, la voce di Odette. Proviene

dall’asilo abbandonato. I due ci vanno di corsa.

Qui bisogna dire che Odette è commovente mentre, tra letracce sparse dei disegni e dei giochi dei bambini, canta unavecchia canzoncina infantile accompagnandosi con una chi-tarra che da tempo se ne stava tra i mille oggetti abbandonatidi quel posto. E poi si deve anche aggiungere che i due uomi-ni che si sono affacciati ad ascoltarla, a guardarla, ora stannocaptando in forme diverse, con sensibilità diverse, il suo biso-gno di avere un figlio che si è saldato, senza che forse lei nem-meno se ne accorgesse, a quel luogo, ai segni dell’infanzia chevi permangono. Ecco quindi un corpo di donna che sotto gliocchi di due uomini spande intorno il suo bisogno di mater-nità. E l’uno desidera, ma ancora senza dirserlo, di averla persempre nel suo letto, e l’altro, tacendosi ciò che gli pare inno-minabile, aspira a contemplarla ogni giorno come una ma-donna senza aureola, in un angolo della canonica.

Quando la canzone finisce Mimì e don Lucio applaudonoe si aggiunge anche l’applauso convinto di Muta che ha mol-lato la cucina ed è venuta a vedere quale altro scandalo si staaggiungendo allo scandalo.

Odette posa la chitarra in un angolo, dice a don Lucio conquei suoi toni che rendono tutto naturale:

«In questo posto si sente che ai bambini qualcuno ha volu-to molto bene ed è un peccato che in uno spazio così pienod’amore, di queste faccine così belle non se ne vedano più.»

«Ci sono state ottime maestre» borbotta don Lucio svico-lando.

Odette sorride, indica la foto alla parete che riproduce il

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prete tra i bambini:«Ma l’amore veniva da qui e si vede e ancora si sente.»Mimì allora scatta in avanti coi suoi soliti modi ambigui:

forse vuole fare colpo, come al solito; forse vuole approfitta-re del momento per tirare via il prete dalla sua depressione;forse non può e non vuole sottrarsi a quel flusso di energiache sta legando lui, don Lucio, Odette; forse vuole solo trat-tenere la donna, che sta per sfuggirgli, con un impegno che lasuggestioni, e così trattenersi lui stesso in un posto che ritie-ne sicuro. O, più probabilmente, è la folla confusa di tuttequeste cose che lo spinge a dire:

«Da domani qui si lavora a rimettere su l’asilo! E si marciadritto tutti, disciplina, impegno, fantasia!»

«L’asilo, sì, che bello!» approva Muta che fino ad ora del-l’asilo se n’è sempre fregata.

«Sì, sì» acconsente insperatamente Odette, «è troppo tristeun posto così, senza vita!».

Don Lucio scuote la testa, infila la mano in tasca dove c’èla lettera che gli ha dato il vescovo:

«È inutile perdere tempo» dice con un tono brusco chedall’arrivo di Odette non ha più avuto, «soldi non ce ne sonoe contributi il Comune non ne sborsa».

Ma don Mimì Festa gli si infila sotto braccio e dice:«Facciamoci quattro passi. Tu sai che dovresti fare, Lucio?

Tu dovresti tornare in seminario e ristudiare tutto daccapo.Perché se io ti interrogo e ti chiedo cos’è la divina provviden-za, tu non lo sai più.»

La divina provvidenza è acquattata nella navata centrale,sotto la lapide di pietra da cui è sbucato Mimì Festa tempo ad-dietro. Ora l’uomo sta sollevando la lastra con uno sforzo no-tevole, sotto lo sguardo accigliato del prete. Poi si cala nella

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fossa e ritorna su con una valigetta. «Quando t’ho detto che mio cognato non mi voleva paga-

re, non ti ho precisato che i soldi me li sono presi comun-que…»

Apre la valigetta, c’è un tesoro là dentro. Don Lucio ha unasmorfia tra meraviglia e orrore.

«Avevi detto duecentomila. Qua c’è molto di più.»«Dovevo scappare, non potevo stare a contare il centesi-

mo.»Sceglie un po’ di mazzette.«Questi dovrebbero bastare… Come puoi vedere, avrò i

miei difettucci, ma se il Signore chiama, io dico sempre Ecco-mi.»

«Il Signore non chiama per questa robaccia! Liberami lachiesa dall’immondizia e vattene! Avresti dovuto dirmi subi-to che sei un ladro! Ecco perché quelli ti vogliono ammazza-re! Maledetto incosciente! E vuoi trascinarmi quella poveradonna in questa storia? La perderai, Festa, vedrai! L’hai giàpersa!»

Si dirige a passi lunghi verso l’uscita. Mimì resta seduto perterra, accanto alla sua valigetta, accanto alla fossa. Poi all’im-provviso grida:

«Don Lucio… Prete!»La voce è così imperativa che don Lucio si ferma.«Cosa vuoi, miserabile?»Mimì fa un sorrisetto compiaciuto, ma l’espressione del vi-

so non è delle sue migliori:«Hai detto bene: sono un miserabile. Io sì e tu no. Ma è

proprio per questo che allora fai bene a firmare quella cazzodi lettera che ti porti in tasca e lasciare subito questo posto!Non sei adatto al mestiere che fai, Lucio! E sai perché? Nonsai riconoscere la tua miseria! Non la sai riconoscere, pezzo di

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stronzo, vedi solo quella degli altri! Io sono un miserabile? Sì.Ma tu sei un presuntuoso! Tu non vuoi fare il servo di Dio, tuvuoi fare Dio! Anzi vuoi essere meglio di Dio, perché questoche hai non ti piace! Imbecille! Perché cazzo secondo te il Si-gnore s’è tenuto dentro la sua casa tutti questi soldi? Perchénon ha lanciato un fulmine durante il temporale e li ha bru-ciati?»

Il prete tentenna, poi muove qualche passo verso l’uscita,quindi esce di corsa.

«Coglione» mormora tra sé e sé Festa. Sceglie un altro pa-io di mazzette, poi con il gesto di chi dice: ma sì, abbondia-mo, ne prende ancora un’altra. Chiude la valigetta, la cala dinuovo nella fossa.

Il prete s’è calmato. Ora sta guardando commosso, dalla fi-nestra, Odette che da sola va ammucchiando all’esterno, nelcortile, suppellettili e giochi ancora utilizzabili dell’asilo. Fa-tica, tutta accaldata, ma sembra felice, ha trovato una ragioneforte per trattenersi ancora.

In quel momento arriva tutta affannata Muta.«Venga, don Lucio, venga!»Lo trascina in chiesa. La cassetta delle offerte è zeppa di eu-

ro. La Madonna, con la sua aureola perfettamente restaurata,sorride. Muta non capisce perché don Lucio sia colpito più daquell’aureola che dal denaro.

Mimì sotto la doccia si lava cantando a squarciagola. DonLucio irrompe e tira via la tenda. Ha in una busta il denaro.Ma a sorpresa, agitatissimo, invece di lagnarsi per i soldi, loafferra per un braccio e quasi grida:

«Sei stato tu ad aggiustare l’aureola della Madonna?»«Anche questa è una colpa?»

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«Sei stato tu?»«E certo, mica ci voleva un miracolo!»Don Lucio allora mormora:«E io in tutto questo tempo non me ne sono mai accor-

to…»«Tu no ma lei sì!» ride Mimì. «E non è schizzinosa come

te, con i lavori di ristrutturazione e i soldi!»Indica divertito il danaro:«Chi te li ha dati tutti quei soldi? Io? No, lei! E statti at-

tento che ti stai bagnando tu e bagni pure gli euri della Ma-donna! Che è mamma e ha urgenza che le apri l’asilo! VeroOdette?»

In quel momento infatti s’è affacciata Odette, tutta arruf-fata e sporca per i lavori che sta facendo. Si ferma sulla sogliaa guardare l’uno tutto vestito, l’altro tutto nudo, entrambi ba-gnati dall’acqua della doccia.

«Che giochino fate, cuginetti?» Don Lucio, dopo un’esitazione, si schiarisce la voce e ri-

sponde: «Siamo fortunati: sono arrivati un po’ di soldi. Da domani

possiamo attaccare con i permessi, con i lavori…»

Da questo momento il tempo scorre come un nastro tra-sportatore su cui sono collocati quadri di vita felice di Odet-te, Mimì e don Lucio, impegnati nella ristrutturazione del-l’asilo. Felici naturalmente entro i limiti in cui si può essere fe-lici con uno come Mimì. Odette recupera disegni, foto, lavo-retti. Don Lucio raccoglie il materiale nei cartoni. Mimìsmonta i vecchi infissi. Muta naturalmente lavora solo comeaiutante di Mimì. Che naturalmente vuole avere l’ultima pa-rola su tutto, rinfacciando ogni tanto agli altri che i soldi so-no suoi. Ed eccolo quindi che detta a Odette la lista del mate-

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riale da acquistare e a don Lucio e a Muta l’elenco dei negozipiù convenienti così come glieli hanno consigliati i numerosiamici che si è fatto in zona. Ma poi non è contento dei prez-zi, del colore delle vernici, di tutto, e va lui direttamente a sce-gliere, a trattare. Seleziona anche, cavillosamente, una piccolasquadra di operai – neri, bianchi e parenti di Chen – per stuc-care e ridipingere i muri, per consolidare il tetto, e si incazzaquando il lavoro non è fatto bene.

Insomma i lavori fervono, l’amicizia si consolida, don Lu-cio sembra un altro. Si sfianca, sgobba, fischietta, è persinopiù disposto ad accettare i pettegolezzi di Muta. A volte glicasca lo sguardo su Odette. Ora che pulisce i vetri dalle fine-stre appena montate per esempio. Com’è tranquillizzante unapresenza femminile così…

Così come? Non ha il tempo di scegliere l’aggettivo. Arri-va Mimì e si porta via Odette. In camera da letto. Don Lucioaccende il pc, si infila l’i-Pod. Va bene, che c’è di male? Siamano. A volte litigano, anche violentemente, perché Mimìnon tollera che da qualche parte ci sia in agguato quello chelui chiama il musicante. Ma appena Odette accenna a perderele staffe, ecco che Mimì diventa una pecorella. L’amore è ve-ro. E don Lucio è loro grato perché se lo tengono accanto co-me un consigliere, un amico. Non solo. Quell’amore gli starestituendo fiducia. A don Lucio torna a piacere la vita, tuttodella vita. E l’asilo, che sta venendo su in fretta, sta diventan-do, forse, la parte visibile di un patto rinnovato con il suoDio. Non ne è ancora sicuro. Anzi certe volte, mentre, che so,mostra a Mimì la piantina dell’asilo e gli spiega la disposizio-ne dei mobili, o discute con Odette e soprattutto con Festa icolori delle pareti, o quando lo vede distribuire la paga aglioperai abbondando con mance che chiama premi di produtti-vità, ha l’impressione che il patto di pacificazione con la vita

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non è con Dio, ma con questo intruso così invasivo, così cial-trone, e tuttavia così straordinariamente umano.

Grazie a lui, nientemeno, il prete ricomincerà a sentirsiprete? O grazie a lui si perderà definitivamente, ma con gio-ia? Ogni giorno Festa è uno specchio ondulato che fissa im-magini e poi le deforma. È lui che rompe continuamente la di-sciplina che a chiacchiere pretende da tutti. Comincia a scher-zare con l’acqua, per esempio. Innaffia tutti con la cannola, fadi Odette con gli abiti bagnati addosso un mirabile spettaco-lo. E lei reagisce, lo insegue con un secchio pieno d’acqua. Edon Lucio le dà man forte e quando è prossimo a fare il ga-vettone a Mimì sbaglia e inonda Muta. Allora Mimì accorre ecopre la signorina Muta con la sua giacca per evitare – dice –che i lavoratori si distraggano a vederla con gli abiti incollatiaddosso.

Ogni giorno è un viavai. Arriva il camioncino con i mobi-li e i giocattoli. Si alternano i curiosi: qualche contadino, maanche la gente del paese, i notabili. Riappaiono addirittura icarabinieri che sono entusiasti di rincontrare Mimì. La voce siva diffondendo: il prete s’è deciso, riapre l’asilo. Comincia lafila delle mamme che vogliono iscrivere i figli. Don Lucioguarda i bambini che si rincorrono per gli ambienti ancora inlavorazione.

Qui il nastro finisce di scorrere. Don Lucio è alla scrivania,compila sul computer la graduatoria di coloro che chiedonol’iscrizione. Ha una pila di domande, documenti con foto divolti infantili ridenti o serissimi. Quand’ecco che compareOdette in camicia da notte (Festa le ha fatto regali sfarzosissi-mi): non riesce a dormire, Mimì russa.

Don Lucio la fa accomodare e lei siede sul letto. Vuole ve-dere anche lei le foto dei piccoli, don Lucio porta sul letto le

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cartelle, le guardano insieme, le commentano.«Com’eri tu da bambino?»Il prete è contento della sua curiosità. Ccomincia a raccon-

tare la sua infanzia senza conflitti, piena di cose belle. E le di-ce il suo sogno: dare a tutti i bambini un’infanzia come la sua.Poi si accorge che Odette si è addormentata.

Allora si mette ad osservarla: il corpo lungo e morbido,l’espressione serena, i boccoli che le scivolano sul seno. Lepassa piano una mano sui capelli.

Ma squilla il telefono. Don Lucio sobbalza, risponde. Di-ce che arriva subito e riattacca. Anche Odette s’è svegliata. Eappare pure Mimì, arruffato dal sonno.

«Che succede?»C’è una brutta notizia:«Sta morendo Chen.»«Cazzo, questo mi dispiace» esclama Mimì. Il prete deve uscire per portargli l’estrema unzione.«E come mai? Chen, con tutte quelle belle religioni che

hanno in Oriente, è cattolico?»«Cattolicissimo, più di noi tre messi insieme.»Mimì questa volta pare veramente turbato. Si strofina il vi-

so per strapparsi il sonno dagli occhi.«Vengo pure io.»«A fare che?»«Gli ero affezionato.»«Ma se lo hai quasi ammazzato con una pallonata!»«Che c’entra, in quel momento era immoribile. Ma ora che

è moribile, mi dispiace: era un ottimo calciatore. Odette, vie-ni pure tu?»

«E che, volete lasciarmi qui?»

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Chen giace a letto, respira affannosamente. Non è più ilgran calciatore che abbiamo visto, ma una bambola di ceracon un ultimo residuo di energia. Il prete gli impartiscel’estremo sacramento. I parenti tutt’intorno pregano e pian-gono. Anche Odette, pur non essendo parente e nemmenopersona amica. Don Lucio pronuncia la formula: «Ego te ab-solvo a peccatis tuis. In nomine Patris et Filii et Spiritus San-cti. Amen» e segna la fronte del morto con l’olio santo.

Dal suo angolo Mimì lo osserva attento, accigliato. Unavolta tanto pare intensamente coinvolto da quello che sta ac-cadendo.

Sulla via del ritorno Mimì Festa tace, Odette canticchia unacanzone triste a mezza bocca, don Lucio guida. Poi la donnasmette di cantare e cade il silenzio. È un silenzio anomalo. Èanomalo soprattutto che Mimì non si affretti a riempirlo.

«Che hai? Sei triste?» chiede Odette.«Un po’. Ma soprattutto sono…»Si interrompe, si rivolge al prete: «Scusa, Lucio…»«Che c’è?»«Ma tu il coraggio di dire quella cosa… ego te absolvo…

l’assoluzione… da dove lo prendi?»«Non ti capisco…»«Voglio dire: ci vuole, secondo me, o una grande tranquil-

lità d’animo o una bella superbia, per dire a uno che mancoconosci bene: ego te absolvo… Tu m’assolvi a me? E chi seiper assolvermi? Non m’assolvo io, mi assolvi tu?»

«Tu non ti assolvi?» chiede Odette con sarcasmo.«Io? Macché.»«Ma che dici, tu ti assolvi in continuazione!»Mimì si inalbera:

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«Sto facendo un discorso serio, Odette! Io mi assolvoquando si scherza. Ma quando si fa sul serio non mi assolvo.Tu mi assolveresti, Lucio, in punto di morte?»

«In punto di morte assolviamo tutti.»Mimì diventa grave, si sente un tormento autentico:«Io non ci riuscirei. Io, se dovessi per mestiere andare in gi-

ro ad assolvere la gente come fai tu, o me ne scapperei o direi:cari miei, non vi assolvo… Morite in pace, se ne siete capaci,ma non vi aspettate assoluzioni da me…»

Il cielo si sta schiarendo. A Mimì è venuta voglia di vederel’alba e il prete lo ha accontentato. La morte di Chen li ha im-malinconiti tutti, i discorsi di Mimì hanno fatto il resto. Seg-gono sulla scogliera, Mimì accoglie Odette tra le sue braccia ementre il sole nasce la ninna. Nel silenzio interrotto solo dalcinguettio dei primi uccelli, Mimì canticchia in dialetto unaninna-nanna. Don Lucio guarda il giorno che nasce.

«Se per caso – dico per caso – dovessimo avere un figlio»dice Odette, «lo addormenteresti tutte le sere tu».

Mimì ritorna come lo conosciamo:«Io? Io ho l’azienda da mandare avanti! E tu hai i concerti!»«Vuol dire che non lo farò con te, ma col mio amico musi-

cista!»Attaccano a litigare. E solo quando ormai sono ai ferri cor-

ti, Mimì cede, brontola:«Vabbè, te lo faccio fare io un figlio! Però poi lo diamo a

don Lucio. Sennò che stiamo lavorando a fare?»Balza su, grida a don Lucio:«Lo facciamo meraviglioso quest’asilo, no? Giocattoli in

quantità! Ci dobbiamo mettere dentro il figlio di Odette!»

La ristrutturazione è finita. Nel cortile gli operai stanno

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montando un palchetto. Altri trasportano sedie. C’è grandeanimazione per l’inaugurazione dell’edificio e per la recita chedon Lucio ha organizzato con i bambini della contrada. L’in-tenzione è mettere su una cosetta divertente sul tema del Di-luvio universale.

In città, in un grande negozio di giocattoli, una commessamostra a Odette, al prete e a Mimì dei costumi per bambini: ilgatto con gli stivali, l’Ape Maya, il Re Leone eccetera. Ma iltempo dell’affiatamento e della convivenza serena sta per fini-re. Mentre i tre scelgono i costumi adatti, qualcuno dall’ester-no li spia. È Chiochiò, il killer con la cicatrice.

Mimì si accorge di lui. Lo vede riflesso in uno specchio delnegozio, cambia espressione. Diventa gelidamente deciso.Agguanta un paio di forbici poggiate alla cassa e se le infila intasca. Chiochiò intanto è sparito. Mimì lascia in fretta il nego-zio e don Lucio lo segue con lo sguardo, incuriosito, poi tor-na ai costumi dei bambini divertendosi insieme a Odette.

Mimì è in strada, ma l’uomo con la cicatrice non ha lascia-to traccia. Festa si guarda intorno, si sposta veloce e vigile,finché non individua un’auto coi vetri scuri. Apre lo sportel-lo, siede accanto al conducente. È Chiochiò, sta telefonando.Ma quando vede Mimì, si paralizza. Allontana il cellulare dal-l’orecchio e si sente una voce di donna che dice:

«Pronto, pronto, pronto! Non ti sento, Chiochiò!»Mimì gli fa cenno di tacere, gli tende la mano per avere il

cellulare. Chiochiò obbedisce. Festa non ha armi visibili, nonminaccia, eppure Chiochiò ne ha platealmente paura.

Mimì chiude la comunicazione e butta il cellulare sul sedi-le posteriore.

«Ho sentito che vai in chiesa ultimamente Chiochiò. Bra-vo. Ti piacciono le canzoncine dei preti…»

Estrae le forbici e con una mossa precisa gliele pianta nella

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gola. Mentre Chiochiò lo fissa stupefatto e muore, Mimì glicanticchia:

«T’adoriam ostia divina, T’adoriam ostia d’amor! Bella! Ioci sento l’infanzia, in questa canzone.»

Estrae le forbici dalla gola di Chiochiò ed esce.Chiude la portiera, riattraversa tranquillamente la strada,

rientra nel negozio. Pulisce sulla stoffa di una tenda le forbicie le rimette accanto alla cassa. Torna ad unirsi festosamente aisuoi amici e, visto che sono incerti nella scelta, dice alla com-messa:

«Li prendiamo tutti!»Don Lucio lo fissa perplesso.

È arrivato il giorno dell’inaugurazione e coincide con la fe-sta della protettrice della chiesetta: Maria Vergine.

Tutta la contrada è accorsa per l’evento. Luminarie e ad-dobbi floreali dappertutto. Dopo la cerimonia religiosa – pre-ghiere, canti e comunioni – il sindaco, fascia tricolore in vita,taglia il nastro.

Finalmente il pubblico può ammirare la struttura rimessa anuovo. È proprio un magnifico spazio.

Mentre gli invitati sorseggiano bibite, in cortile ci si prepa-ra per il momento finale: la recita.

Dietro le quinte è tutto un agitarsi di bambini e genitori in an-sia. Anche don Lucio, Mimì e Odette si preparano. Ma la donnapare aspettare qualcuno. Finalmente vede entrare un anziano si-gnore, curvo, magro pelato, col bastone. Anche lui si guarda in-torno. Allora Odette si rischiara e afferra la mano di Mimì:

«Vieni. C’è il musicista!»La faccia di Mimì diventa ferocissima:«Dov’è? Così gli spacco la faccia con una testata!»

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Odette lo trascina davanti all’anziano signore:«Mimì Festa, il maestro Guidoni. È stato lui a insegnarmi

a leggere la musica, quando avevo nove anni. Si accomodi,maestro, grazie per essere venuto. E mi scusi ancora se nonsono potuta venire al suo compleanno… Ma è arrivato all’im-provviso questo amico…»

Mimì stringe vigorosamente la mano del musicista. Le sus-surra:

«Non me lo potevi dire subito che il tuo amante era quasimorto?»

Il pubblico si è accomodato in platea e tra schiamazzi e in-citamenti il sipario si apre.

In una scenografia molto approssimativa, ma tutto somma-to di buon effetto, è messo in scena il racconto biblico dell’ar-ca di Noè. Come arca è stata utilizzata la caravella di una gio-strina per bambini, di quelle di latta dipinta. L’ha procurataCiro, il marito geloso, che ha uno zio che fa il giostraio e oraè anche lui tra il pubblico con la moglie accanto e Jennifer sul-le ginocchia.

Noè è interpretato da Mimì che indossa una vecchia tona-ca di don Lucio. Don Lucio invece fa Dio, su imposizione diMimì che gli ha detto: ti vuoi sostituire al Padreterno, fallo al-meno in scena! Così il prete ha indossato l’elegante completochiaro di Mimì, e, appollaiato sulla sommità di una scala, si af-faccia da una nuvoletta di cartone e fa la voce divina con unmegafono. I bimbi, molto emozionati, sono vestiti tutti daanimaletti. E lo spettacolino viene bene, è divertente, special-mente quando sono i due adulti a non ricordarsi la parte. Peresempio don Lucio deve dire il brano biblico del Diluvio, maqualcosa non va, si inceppa. Mimì-Noè lo incoraggia:

«Signore… Signore! Qua stiamo tutti aspettando che pio-

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va… Signor Dio, se non fa piovere, gli animali si annoiano.Per favore, vogliono salire sull’arca che gli ho preparato!»

Don Lucio è in imbarazzo. Qualcosa, un pensiero incon-trollato, gli ha bruciato la memoria. Allora raccatta la Bibbiache ha lì di lato e va al brano dimenticato. Ma ecco che si ren-de conto che per ritrovare il passo ha usato la lettera del ve-scovo come segnalibro.

Eccolo il pensiero che gli era passato di soppiatto per la te-sta: quella lettera, il suo contenuto. Le voci intorno a lui sva-niscono e le immagini sembrano rallentare. Adesso tutto èfermo. Don Lucio corre con lo sguardo su tutti i presenti e siferma prima su Mimì che parla, parla, fa ridere tutti, ma le vo-ci, ogni suono è stato risucchiato via; e poi su Odette, che èdietro le quinte in attesa ed è vestita con tanto di ali e aureolain testa.

Don Lucio allora sorride. Com’è bello quest’attimo di fin-zione. Sta per arrivare il Diluvio universale e tuttavia vivere èbello, persino fronteggiare la catastrofe e il dolore è bello.

Qui il prete fa la sua scelta. Strappa la lettera in mille pez-zettini e li butta in aria facendoseli piovere addosso. Don Lu-cio pronuncia le frasi bibliche, Noè affolla l’arca di animali-bambini, torna il sereno, spunta l’arcobaleno. E a fare l’arco-baleno compare Muta che fa scoppiare tutti a ridere.

Un attimo dopo arriva Odette e canta una canzone di ri-conciliazione. Com’è bello vederla, ascoltarla. Mimì-Noè eLucio-Dio la guardano incantati. Come tutti del resto.

O quasi tutti. Mimì sbarra gli occhi: nel fondo del cortile èappena comparsa una donna vestita di nero sui cinquanta,tozza, robusta, cattiva. Non sembra intenzionata a godersi lafesta, ma caso mai a guastarla. L’uomo la riconosce subito: èsua moglie Rosaria, che si sta guardando intorno come un ra-pace. Poi lo sguardo si ferma su Odette e sembra uno sguar-

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do di fuoco divoratore. Ma a questo punto la canzone di Odette è finita, il pubbli-

co applaude. Sul palchetto appaiono tutti i protagonisti dellospettacolo. Tranne Mimì.

Odette e il prete si guardano intorno, lo cercano, ma di luinon c’è traccia. Rosaria è l’unica a non applaudire. Marcia peril cortile, raggiunge il prete dietro le quinte, gli si para davanti:

«Una parola, padre.»Don Lucio non sa chi è, ma capisce al volo che non è il ca-

so di dire: non adesso.«Si accomodi.»

Eccoci in una stanzetta. Rosaria fronteggia il prete, non èabituata a tergiversare.

«Sono Rosaria Festa. Dov’è mio marito?»Don Lucio non sa cosa rispondere. Capire ha capito, ma

che fare?«Non saprei… qui c’è tanta gente… Oggi festeggiamo la

riapertura…»La donna sorride acida:«Come siete elegante.»«Ma no, ho fatto la recita per i bambini e allora…»«Ma sì, voi vi divertite! Don Lucio, io so tutto su di voi.

Siete un bamboccio viziato e vi fate problemi che non esisto-no. A me – volete sapere la verità? – la gente come voi mi fasolo incazzare. Voi nemmeno ve lo immaginate quali sono iproblemi della vita vera! Perciò, per una volta sola, occupa-tevi di cose serie. Perché, come sono arrivata io qua, tra die-ci minuti arriverà altra gente. E quelli non vengono per do-mandare dove sta mio marito. Quelli prima sparano e poifanno la domanda.»

Il tono è serio, freddo, fa paura. Don Lucio recupera di

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fronte al pericolo la sua inclinazione ironica:«E lei, signora? Lei fa prima la domanda ma poi, comun-

que, dopo spara? Non lo so dov’è suo marito. Ma, a sentirecome parla, se anche lo sapessi non glielo direi.»

La donna guarda l’orologio, tradisce per un attimo l’ansia.«Don Lucio, voi vi state prendendo una brutta responsabi-

lità. E io vi consiglio di non prendervela, perché non sapeteniente e non potete capire.»

«Cos’è che dovrei capire?»«Dovete capire che state coprendo un uomo che non im-

maginate nemmeno lontanamente che uomo di merda è. Checosa v’ha raccontato? Che è orfano, ha paura dei tuoni, è unavittima dell’ingiustizia?»

Il prete questa volta è sorpreso e il disorientamento glielosi legge in faccia. La donna ride aspra:

«Ho capito, v’ha raccontato quelle cazzate là. Dice semprele stesse cose, non fa nemmeno la fatica di inventarsi qualco-sa di nuovo. Me le ha raccontate pure a me, queste cose, tren-t’anni fa, quando avevo diciotto anni. E io mi sono innamo-rata di lui, perché ero cretina.»

Ride nevroticamente, qualcosa si sta rompendo nella suamaschera. Esclama:

«Quello stronzo sa fare in modo che lo vedi, ci parli e nonpuoi più stare senza di lui. Perciò me lo sono sposato. Mi sonoillusa di uscire dallo schifo della famiglia Giovanniello e farmiuna famiglia vera. Ma lui m’ha solo usata per diventare il benia-mino di mio padre, per diventare l’amico del cuore di mio fra-tello. Era a loro in realtà che si voleva sposare, per fare soldi co-me li sanno fare i Giovanniello, anzi peggio. Gli piacevano i vi-zi, il lusso, le femmine. M’ha sempre e solo tradita! E non po-tevo dire niente, perché quando Mimì Festa vuole è uno che fapaura. Paura vera! Lo sapete quanta gente ha ammazzato, quel-

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lo? Se vi dico il numero, dite macché, e che è, Totò Riina?»Il prete è in crescente disagio. Più la donna parla, più le sue

parole si riempiono di verità. Ma don Lucio è ormai troppolegato a Mimì, a Odette, e cerca di resistere:

«Signora, stiamo chiaramente parlando di due persone di-verse… Il signor Festa che conosco io ha i suoi difetti, le suecolpe, ma…»

«…ma è un brav’uomo!» esclama la donna con esibito sar-casmo. «Invece no. Mi dispiace darvi una delusione, ma non ècosì. Finché è morto mio padre le schifezze le ha fatte al suoservizio. Ma dopo ha deciso che si doveva mettere in proprio.Ed è arrivato ad ammazzare mio fratello!»

Don Lucio sbarra gli occhi per l’orrore:«Che dice?»«Non li leggete i giornali? Gli ha rubato i soldi e l’ha am-

mazzato!»Per don Lucio è una doccia gelata. «Ma… ma lei doveva impedirlo!»«E come lo impedivo, fischiando, cantando, andando al

commissariato, dicendo le preghiere con la candelina accesa?L’Italia che conosco io non è l’Italia che conoscete voi, donLucio caro.»

L’agitazione di don Lucio sta crescendo, ora sa che la don-na non mente. Mormora addoloratissimo:

«Doveva stargli vicino, doveva cambiarlo… con l’amore…L’ha amato, una volta. Che è successo? Non lo ama più?»

La voce della donna si incrina, per un attimo ha toni che la-sciano intuire la ragazza che è stata una volta.

«Uno a Mimì Festa quando gli vuole bene una volta, nonsmette più di volergli bene. Sono venuta qui per questo. Ab-biamo un figlio…»

Quella frase per il prete è uno scoglio a cui afferrarsi per

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cercare di tirarsi fuori dal mare in tempesta che ha intorno.«Lo so. E le assicuro che gli vuole bene più della sua vita…»Rosaria ridiventa sarcastica, ma il sarcasmo è una pellicola

trasparente sulla disperazione:«Come no! Fin da quando Christian è nato non c’è stato

mai! A mio figlio ce lo siamo cresciuti io e mio fratello! Equando quello stronzo c’era, glielo dovevamo levare di torno.Se no non faceva che sfotterlo, al ragazzo! Assomigli alla fa-miglia di tua madre, diceva! Statti attento a non venire bruttoe grasso come loro! I Giovanniello sono cretini: vuoi esserecretino pure tu? Ah lasciamo perdere, don Lucio! Se voletecredere alle cazzate che v’ha raccontato, credetegli. Se invecelo volete aiutare veramente, passatevi una mano sulla coscien-za e ditegli di andarsene subito di qua, dall’Italia, e non torna-re mai più! Perché se lo trovano, succederà quello che non de-ve succedere!»

«Cosa, signora?! Cosa succederà» sbotta il prete.In Rosaria l’ansia, l’affanno rompono gli argini:«Non l’avete capito? Allora riferitegli questo, a Mimì, ca-

pirà lui: ditegli che a mio figlio – a mio figlio, al nipote predi-letto di mio fratello! – non lo posso tenere più, ormai ha unatesta sua. È chiaro? Avete capito? Ha una testa sua!»

Sul volto di don Lucio esplode l’orrore. Ha capito.

Ma in quel momento appare Odette allegrissima, si rivolgea don Lucio, si blocca dicendo: scusate.

Tutto cambia a questo punto. Al solo vederla un guizzod’odio taglia la faccia di Rosaria che torna a essere com’eraquando è arrivata:

«Ci sta pure questa, qua? E che è, un albergo a ore ’sta chie-sa? Bravo, don Lucio! Anzi, sapete una cosa? Ho fatto male!Non ci dovevo venire fin qua! Io sono sempre troppo generosa!

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Vi devono scannare a uno a uno, pure i bambini, tutti quanti!»Se ne va via scansando con uno spintone Odette.

Fuori la festa è finita. Solo pochi operai, quelli visti duran-te la ristrutturazione, sono al lavoro. Smontano il palchetto eissano su un autocarro, agli ordini di Ciro, l’arca adoperataper la scenografia. Il prete attraversa cupo il cortile, senza ri-spondere al saluto deferente di Ciro. Pochi secondi dopo glicorre dietro Odette.

Don Lucio irrompe in chiesa. Va diritto verso la fossa alcentro della navata: la lapide è sollevata ma lì dentro non c’èné Mimì né la valigia.

Il prete gira lo sguardo intorno rabbiosamente. Da comeurta contro il Cristo in croce, è facile capire che si sente comeuno finito in una trappola mortale. Che scherzo gli ha gioca-to il suo Dio? Lo ha spinto verso la perdita della fede e poi gliha mandato un uomo che gliel’ha fatta ritrovare e ora – orache ha strappato la lettera del vescovo – quell’uomo…

Eccolo. Sta in ginocchio davanti alla Madonna, ha la vali-gia al fianco, e piange – ancora con la vecchia tonaca addosso– e dice con voce strozzata:

«Madonna mia, perdonami! Ti do tutto quello che ho! Tut-to, ma lasciami mio figlio e Odette! Ho sbagliato… Ho fattocose bruttissime… Ma non le volevo fare, sono successe…Non c’era malvagità… solo bisogno…»

Don Lucio gli è addosso, lo afferra per il colletto della to-naca con una mano e lo trascina via dalla statua della Ma-donna, lungo la navata. Mimì non oppone resistenza, gridasolo:

«Perdonami almeno tu, Lucio… Perdonami…»Ma don Lucio è fuori di sé. Lo colpisce a calci e pugni ac-

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compagnandosi con frasi mozze:«Bugiardo… M’hai preso in giro… Prendi in giro tutti…

Ora fai il pentito perché sai che ho parlato con tua moglie…Maledetto assassino…»

Mimì si solleva, cerca di ripararsi, scappa verso l’uscita, manon prova mai a reagire. Il prete lo afferra ancora e seguita apicchiarlo mentre lui supplica:

«Va bene, ammazzami… meglio da te che da altri… piùforte… sei capace sì o no di ammazzarmi? Te lo devo dire iocome si fa?»

Finiscono così sul sagrato. Lì arriva Odette e cerca di fer-mare don Lucio ma lui la respinge, ansima, cerca di colpireancora Mimì:

«Lo sai chi è questo qui? Lo sai? Un mafioso! Ha ammaz-zato suo cognato! Ha ammazzato un sacco di gente!»

Qui, riparandosi, Mimì si ribella:«Eh no, un sacco di gente no, mia moglie esagera!»Alla fine Don Lucio si lascia trascinare via da Odette, si

siede affannato su un gradino e la donna gli si mette accanto,mentre Mimì prova cautamente a tirarsi su mormorando:

«Dove cazzo è finita la valigia? E il cellulare?»Odette intanto mormora:«Lo so, don Lucio… l’ho sempre saputo… O meglio: non

sapevo niente, e niente voglio sapere, ma dentro di me sapevotutto… Tu pensi che ho creduto un solo istante che eri suo cu-gino? No. Però non c’è niente da fare: non conta cosa ha fat-to una persona a cui vuoi bene, ma cosa è per te, cosa sai cheè e cosa sai che può diventare, se lo aiuti…»

Il prete scuote la testa, l’ira sta piano sbollendo.«È un ladro e un assassino… è un uomo malvagio… Tu sei

in pericolo con lui…»Odette gli prende una mano, gliel’accarezza piano. Mor-

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mora:«Però la mia vita è stata un disastro senza di lui… Altro che

concerti! Sono anni che non ne faccio più, che non metto ilnaso fuori dal paese. Per vivere faccio la commessa… Qualepericolo, don Lucio? Lasciaci andare, dacci una possibilità…»

Mimì è di nuovo in piedi. Dice:«Basta, Odette, non lo supplicare… Così gli dai soddisfazio-

ne, lo fai sentire potente… Fagli fare quello che vuole… Tantoche me ne frega come va a finire… Se mi ammazzano oggi vuoldire che non mi ammazzeranno domani… Dove cazzo è finitala mia valigia? E cazzo, ho perso pure il cellulare… Devo tele-fonare a mio figlio… almeno per un saluto, bell’e papà…»

Il prete sente, si stropiccia il viso, si riscuote. Guarda Mimìmentre si muove piano per il sagrato.

«Andiamocene» dice a Odette, «pòrtatelo via, subito!».Ma intanto si sente un rombo di motori. Il prete guarda

verso i tornanti che appaiono tra gli alberi del bosco. In lon-tananza, incolonnate, quattro macchine scure si stanno diri-gendo alla volta della chiesa. Allora si muove in fretta, va aguardare dall’altro lato della chiesa. Anche da lì stanno arri-vando delle auto.

Don Lucio si guarda intorno. Vede Ciro e i suoi aiutantiche stanno per andare via con l’arca. Corre, ferma il mezzo.

«Venite!»Odette afferra Mimì, cerca di trascinarlo via, ma lui si di-

vincola.«La valigia!»E resterebbe lì a cercarla, se non arrivasse trafelata Muta

che porta la valigia, il cellulare e il panama.«Lo stress a lei la rovina, Mimì. Visto che se non c’ero io si

dimenticava tutto?»Mimì l’abbraccia, la perpetua è felice.

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«Come avrei fatto senza di lei, signorina Muta» le mormo-ra all’orecchio. «Lei m’ha salvato, lei è il mio arcobaleno.»

E Muta risponde:«Se ha bisogno, che so, di una segretaria, di una badante,

potrei fare l’arcobaleno a casa sua.»Mimì corre con valigia e panama e cellulare verso l’auto-

carro. Ha capito naturalmente come sfuggiranno agli assassi-ni che stanno arrivando.

«Fate entrare nell’arca prima la gazzella!» grida. «Poi ilpappagallo di Dio, prego…»

«…e poi il serpente a sonagli» mormora don Lucio, schiac-ciato dalla scelta che sta facendo.

L’autocarro, guidato da Ciro, scivola per la strada che attra-versa il bosco e incrocia le automobili scure che arrivano dallaparte opposta. Sfilano i brutti ceffi che Odette, Mimì e don Lu-cio, nascosti nell’arca, spiano da una fessura. Le auto sparisco.

Così i tre e Ciro si lasciano alle spalle il pericolo, la chieset-ta, la contrada. L’autocarro, con l’arca issata a bordo, sembrauna memoria dell’infanzia. Odette, don Lucio e Mimì esconodal suo ventre a uno a uno e si sistemano sul ripiano dell’au-tocarro che corre per una strada di campagna.

Mimì cerca di riprendere contatto col prete immusonito,ma intanto prova anche a telefonare:

«S’è rotto ’sto coso, non funziona più! Odette, mi preste-resti il tuo?»

Odette fa un gesto per dire che non ce l’ha. In effetti è par-tita così in fretta che l’ha lasciato chissà dove.

«Allora mi dai il tuo?» chiede al prete.Don Lucio nemmeno gli risponde. «Madò» si lamenta Mimì «sei ancora incazzato? Guarda

che sei tu che hai menato a me, no io a te. Odette, di’ la veri-

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tà, io l’ho sfiorato? No. Ho reagito? No. Chi ha porto l’altraguancia? Chi è stato il vero cristiano? Io!».

Silenzio infastidito sia di don Lucio che di Odette. Ma Mi-mì non è uno che si arrende:

«T’ho sentito, eh, Lucio, che m’hai chiamato serpente a so-nagli! E io invece a voi? Gazzella, pappagallino, animali gen-tili. Allora perché sarei io il serpente? Chi me lo spiega di voidue?»

Odette non resiste e gli sorride di sbieco. Lui ricambia. «Il vostro problema di persone perbene è che voi preten-

dete da noi poveracci assai più di quanto pretende Dio. Nelmondo che il Signore ha fatto, cari miei, c’è il male. È così dif-ficile da capire? Per esempio c’è il furto? Sì. C’è la bugia? Sì.C’è la violenza? Sì. C’è il tradimento? Sì. E allora? Se questamerda c’è, come faccio io a non finirci dentro? Sono un esse-re superiore? Volo come gli angeli? Sono un dio pure io? No,io sono un essere umano e Dio lo sa. Lo sa così bene che spes-so e volentieri si incazza anche lui. E poiché ha i suoi disegnisegretissimi, quando non può tirare una coltellata a una mer-da d’uomo, me la fa tirare a me. Io spesso e volentieri sonostato la mano di Dio, la sua ingerenza umanitaria. Tutto qui.»

Il prete ricomincia a guardarlo con desolata simpatia. EMimì rincara la dose:

«Ve li farei conoscere, quelli che ho ammazzati, così giudi-chereste voi! Guarda, Lucio, voglio tornare alle mazzate chemi hai dato. Perché m’hai menato? Che ho fatto di male? Tiho detto solo qualche mezza bugia; per il resto lo sai che ti vo-glio bene, sono e sarò tuo amico per sempre. E tu cazzo, tu aun amico che fai, lo prendi a calci e pugni? E a un nemico al-lora che gli avresti fatto? Se avessi avuto i nemici che ho avu-to io, che avresti fatto?»

Don Lucio guarda Odette, Odette ricambia. È come se si

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chiedessero: che dobbiamo fare con questo qui? Come si fa aspiegargli che c’è un’etica e che lo sforzo, appunto, è sottrar-si al male abbracciando un’etica esigente?

Mimì ghigna, li soppesa, sente come si guardano trasmet-tendosi reciproca adesione su chissà quali massimi sistemi,sa che ha vinto ancora. E seguita come se parlasse in gene-rale:

«No, c’è troppa incomprensione, state tutti troppo a criti-care. Volete che noi siamo misericordiosi. Ma voi lo siete?Prendiamo, per esempio, quella cazzata di non desiderare ladonna d’altri. Rompete così le palle: il peccato, il peccato, pa-re che per la gente perbene l’unico vero grande peccato siascopare! Per Dio non credo proprio. Dio sa tutto e si fa i fat-ti suoi. Dio lo sa che la donna d’altri, nel periodo che mi dicedi desiderarmi pure lei, non è la donna d’altri, ma è la mia. Eallora che problema è?»

Il prete distoglie subito lo sguardo da Odette. Odette dà aMimì un brutto spintone:

«Lo vedi che imbroglione sei? Te lo dico io qual è il pro-blema. Il problema è che appena hai sentito che vedevo il mu-sicista mi volevi ammazzare!»

Anche la faccia di Lucio a questo punto cede a un mezzosorriso:

«Sei uno stronzo. Un criminale stronzo.»Odette allora si tira Mimì accanto con un sospiro. Poi ci

pensa su e mette un braccio anche intorno alle spalle di donLucio.

All’inizio pare sempre tutto sereno, si diceva. E qui biso-gna aggiungere che certe volte, alla fine, pare che tutto si ras-sereni. Odette, don Lucio e Mimì fanno il loro ingresso nel

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grande salone della stazione centrale. Ciro è andato via conl’arca, loro si sono guardati intorno con un certo allarme epoi, visto che tutto era tranquillo, si sono rassicurati. I bigliet-ti li ha fatti Odette, per Ancona, da dove si imbarcheranno. Eadesso vanno al binario con relativa tranquillità.

La donna e don Lucio (elegantissimo col vestito color cre-ma di Mimì), a braccetto, si parlano affettuosamente e a guar-darli sembrano proprio una bella coppia. Dieci passi indietroarriva Mimì, tonaca da prete, l’incongruo panama in testa, lavaligia. Sta riprovando col telefono e finalmente riesce ad ave-re la comunicazione. Dice allegro:

«Sì… tra poco… Oh, mi raccomando!»È soddisfatto, adesso. Mette in tasca il cellulare, raggiunge

i due, ride:«Sembrate in viaggio di nozze. Tu poi, Lucio, sei proprio

un signore! Guarda come ti sta bene a te questo vestito! Si ve-de che hai l’eleganza delle persone ben educate! Fai vedere co-me stai pure col panama!»

Se lo leva, glielo mette in testa.«Madò, come sei bello! Che dici, Odette?»«È bellissimo.»Il prete si schermisce, si leva il cappello.«Dai! Riprenditi le cose tue. Vieni un attimo al bagno e ci

cambiamo d’abito!»«Al bagno con te? Ma sei pazzo? Appena arrivo ad Anco-

na di vestiti ne compro trenta a me e trenta a Odette. VeroOdette?»

Intanto una voce all’altoparlante annuncia l’arrivo del tre-no. Mimì si guarda intorno preoccupato.

«Che c’è?» chiede Odette.Festa fa una smorfia:«Ho chiamato mio figlio. Ha detto che veniva a salutarmi.

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Però se non si sbriga…»La parola “figlio” basta ad allarmare don Lucio. Si guarda

intorno anche lui con uno scatto d’ansia. È rimasto con in ma-no il cappello, se ne rende conto. Il suo volto acquista un’ariasolenne. Con un gesto lento se lo rimette in testa.

Festa nota il gesto, sorride, accenna al cappello:«Quello però, scusa, è meglio che me lo riprendo, ci tengo,

e poi mio figlio è permaloso come mio cognato, può essereche s’offende.»

Odette interviene:«Ma no, figurati a tuo figlio che gliene frega del tuo cappel-

lo! Lasciaglielo, sta meglio a don Lucio che a te.»E poiché il prete non accenna a toglierselo, anzi lo calza

meglio con un gesto quasi sfrontato, Mimì fa il generoso finoin fondo:

«Ma sì, tienitelo, te lo regalo! E guarda che è un regalo ve-ro. Le cose a cui non tieni si danno alla Caritas per mettersil’anima in pace. Invece le cose a cui tieni si danno agli amiciveri, per fargli capire che gli vuoi bene.»

E intanto già si agita di nuovo.«Dove cazzo è finito questo? Vado a vedere al sottopassag-

gio. Un attimo solo.»Si allontana.

Don Lucio lo sorveglia con lo sguardo. Ma Odette lo tiraper la giacca. Gli sorride, gli sussurra all’orecchio:

«Lui non lo sa ancora: sono incinta.» E come se il padre fosse il prete – un padre ideale, il padre

della sua felicità, – gli getta le braccia al collo e gli dà un baciolungo e intenso sulle labbra.

Qui allontaniamoci di qualche metro per avere una visione

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d’insieme. Mimì guarda nel pozzo del sottopassaggio e sem-bra un prete nervoso, indaffarato, con la sua valigia in unamano. Don Lucio, mentre Odette lo bacia, sembra proprioMimì col suo vestito buono e il panama e una delle sue don-nacce. Ma il ragazzo rabbioso che gli sta arrivando alle spalle,tra la folla in attesa al binario, chi è?

È Christian, naturalmente. Occhi sbarrati, spaventatissimoe deciso, estrae la pistola e urla:

«Papà!»

Non si spara a un padre senza gridargli papà. Lo sente Mi-mì, all’imbocco del sottopassaggio, e subito si gira e grida, ungrido che non esce, solo le labbra si muovono: Christian.

Lo sente don Lucio e si gira con calma, come se non aspet-tasse che quello.

Lo sente Odette, e vede quel giovane gorilla che spara, eurla urla urla.

Don Lucio cade e non sappiamo se Christian ha capito dinon aver sparato a suo padre. Perché mentre il prete crolla aterra e il panama si chiazza di sangue come il vestito, Chri-stian già fugge terrorizzato, ed è Mimì, suo padre, che lo ve-de scappare, e capisce che cosa è successo, e corre da Odetteche seguita a strillare nel fuggifuggi dei passeggeri atterriti, evede il corpo del suo amico nel sangue, e cade in ginocchio.

Don Lucio sta morendo e lo sa. Si vede davanti Mimì ve-stito da prete e mormora:

«Dammi… dammi l’assoluzione…»«Ma che dici… ora chiamiamo un’ambulanza… vedrai che

si aggiusta tutto…»Don Lucio lo afferra per la tonaca:«Dammi l’assoluzione! La voglio da te! Io ti confesso che

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ho peccato… di superbia… sì… di superbia… E ti ho menti-to… Non ho amato… non ho amato…»

Mimì all’improvviso si fa serio come non è mai stato. Se-gna la fronte di Lucio e scandisce:

«Ego te absolvo a peccatis tuis. In nomine Patris et Filii etSpiritus Sancti. Amen.»

Don Lucio esala l’ultimo respiro. Mimì gli chiude gli occhi. Intanto si sta cautamente raccogliendo gente intorno a lo-

ro. Don Mimì Festa ritrova lo sguardo furbo, pericoloso. Bal-za su e si dilegua con Odette. Arriva la polizia ferroviara, iltreno sta entrando rumorosamente in stazione.

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Stampato presso Valerio Grafiche - San Cesario di Lecce

nell’ottobre 2009per conto di Piero Manni s.r.l.

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