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Avvenire 01/08/2012 Page : A12 Copyright © Avvenire January 8, 2012 2:47 pm / Powered by TECNAVIA / HIT-M Copy Reduced to 49% from original to fit letter page LA CHIESA CHE AIUTA La vita accanto a chi teme per la propria, la pazienza di mettersi in discussione anche con chi non crede. Ecco dove arriva la Chiesa DOMENICA 8 GENNAIO 2012 12 l’attività Nel mondo della sanità, là dove si incontrano ogni giorno la malattia e le sofferenze umane, migliaia di sacerdoti accolgono la sfida di annunciare il Vangelo E di misurarsi con le regole della medicina e della scienza, spesso “allergiche” alla spiritualità. Viaggio nell’esperienza di un cappellano ospedaliero Il Polo ospedaliero delle emergenze di Lavagna (Chiavari) Preti in corsia, quando la fede “cura” Ascolto e preghiera 8 ore al giorno: l’impegno di don Mario Cagna accanto ai malati DA ROMA MIMMO MUOLO anno imparato a conoscerlo e a fi- darsi di lui un po’ alla volta, giorno dopo giorno. Anche quelli che all’i- nizio lo guardavano come una presenza e- stranea o “inquietante”. Anche quelli che in un primo momento gli si sono rivoltati con- tro con stizza o addirittura con rabbia. E al- cuni tornano a trovarlo la domenica per la Messa, perfino dopo diversi mesi che sono stati dimessi. Don Mario Cagna è il cappel- lano del Polo ospedalie- ro delle emergenze di La- vagna, diocesi di Chiava- ri e provincia di Genova. Dalle otto di mattina fi- no al pomeriggio inoltra- to lo si può trovare nella piccola ma graziosa cap- pella dell’ospedale o in giro tra i reparti, dove passa di letto in letto per portare la comunione o più semplicemente per parlare con i malati e i loro familiari. Don Mario appartiene alla task force dei sa- cerdoti italiani (un migliaio circa sui 36mila complessivamente in servizio alle diocesi) che esercitano il proprio ministero nei luo- ghi della sofferenza e della fragilità umana. Ospedali, nosocomi, rsa, hospice per malati terminali. Una “vita da prete” sicuramente diversa da quella con cui siamo più abituati ad avere contatto: parroci e viceparroci, ad e- sempio. Anche se la missione è la stessa: por- tare il Vangelo in tutti gli ambienti. «E Dio so- lo sa – afferma il sacerdote ligure – se in un ospedale ce n’è bisogno». Don Cagna ha 47 anni, da quindici è sacer- dote, da sei svolge a tempo pieno il ministe- ro di cappellano ospedaliero. I suoi “parroc- chiani” sono i 260 ammalati del Polo delle e- mergenze (tanti sono i posti letto della strut- tura) più un migliaio di operatori sanitari in servizio nei vari reparti. Ma questa è una “par- rocchia” estensibile a fisarmonica, poiché non bisogna dimenticare i familiari, con i quali il contatto è spesso fecondo di relazio- ni umane come e più che con gli ammalati. Di storie del resto, in questi sei anni, ne sono passate tante davanti agli occhi del giovane sacerdote. «Come quella volta – racconta – che avvicinandomi a una signora nel repar- to di rianimazione dove da poco era stata ri- coverata sua madre in gravi condizioni, mi so- no sentito rispondere con un duro rifiuto al- la mia richiesta di dire insieme una preghie- ra. Il giorno dopo sono tornato, la signora e- ra ancora lì ed è stata lei a chiedermi di pre- gare. «Sa? – mi ha detto – Ho pensato che a mia madre farebbe piacere». La vita della gen- te può essere una grande maestra. «Spesso mi sento ringraziare per una parola detta, per il tempo speso con i malati, per un sorriso. In realtà è più quello che ricevo di quello che dò», confida il cappellano. «Ad esempio ho imparato che il silenzio e l’ascolto paziente a volte sono meglio di tante parole». Specie di fronte a situazioni particolari.«Una delle cose che più spesso mi dicono è: "Non me lo merito. Dopo una vita di lavoro e di sacrifici, tutta dedicata alla famiglia, perché proprio a me questa sofferenza?". All’inizio ero tenta- to di rispondere che non si può fare un commer- cio con il Signore: "Ti ho dato tanto, adesso ho di- ritto alla ricompensa". Poi ho capito che il rifiu- to della malattia era un atteggiamento umanis- simo,un sentimento che talvolta anch’io ho pro- vato. E che, dunque, ac- compagnando questo sentimento con pa- zienza e ascolto, prima o poi si sarebbe a- perto lo spazio per dire la parola giusta». Ugualmente difficile può essere il rapporto con chi non crede. «C’era una dottoressa – ri- corda don Cagna – dichiaratamente atea. Non ero riuscito a entrare in empatia con lei. Ma un giorno è venuta a cercarmi e con mia grande sorpresa mi ha chiesto di recarmi al capezzale di un malato. "Mi sono accorta che le sue parole fanno bene come le mie medi- cine", mi ha detto. Sono rimasto basito. Non me l’aspettavo proprio, anche se c’è una ri- cerca condotta in Inghilterra che avvalora an- che dal punto di vista scientifico questa te- si». Ma per sé don Mario rifiuta ogni altra eti- chetta che non sia quella di essere «segno della presenza di Dio vicino alle persone». «Non sono uno psicologo, né un operatore sociale, ma solo un prete. E dal contatto con le persone ho capito che la dimensione spi- rituale appartiene a ogni persona, anche a chi si professa non credente o addirittura si ribella alla mia presenza, perché è “arrab- biato” con Dio. Tra l’altro anche la rabbia de- nota relazione. E dalla rabbia può partire la via del ritorno». Per questo nella giornata ospedaliera di don Cagna molto spazio viene dato ai colloqui. Per contratto il cappellano dovrebbe fare 36 ore settimanali più le reperibilità notturne, in cambio delle quali riceve uno stipendio di 1.400 euro netti al mese. «Ma poiché non de- vo timbrare il cartellino – dice – a volte le 36 ore le faccio in tre giorni. Il resto del tempo lo offro come volontariato. Mi piace pensa- re che la spesa per i cappellani sia non un co- sto superfluo, ma una risorsa. Anche per il personale ospedaliero. Negli ospedali ci so- no tanti problemi. Se possiamo aiutare a guardarli non solo dal punto di vista tecnico, che pure è importante, il beneficio che ne de- riverà andrà certamente a vantaggio di tut- ti». Credenti e non. © RIPRODUZIONE RISERVATA H «Spesso mi capita di sentirmi ringraziare per una parola detta, per un sorriso, persino per un silenzio. In realtà è sempre più quello che ricevo di quello che dò» Al centro nella foto, don Mario Cagna, cappellano ospedaliero a Lavagna DA SAPERE I cappellani ospedalieri? Pagati dalle strutture Così si “libera” 8xmille nche se indirettamente, si può dire che i cappellani ospedalieri hanno una duplice funzione sociale. Oltre a quella propria di aiuto e sostegno ai malati, ai loro familiari e al personale sanitario, permettono infatti all’8xmille di essere impiegato anche in altre direzioni. Il motivo è presto detto. Ogni anno la Chiesa italiana preleva dai fondi che le vengono attribuiti grazie alle firme dei contribuenti una somma che oscilla tra i 360 e i 380 milioni di euro e la destina al sostentamento del clero. Nel 2009 sono stati 381, nel 2010 358 e nel 2011 360. Ma il fabbisogno complessivo per assicurare a tutti i 36mila sacerdoti in servizio alle diocesi un dignitoso sostentamento è notevolmente superiore. Nel 2009, ad esempio, tale fabbisogno è stato pari a 578,2 milioni di euro. Come è stata coperta la differenza? Per rispondere a questa domanda bisogna ricordare che il sostentamento del clero non si basa solo sull’8xmille (che copre poco più del 60% dei costi complessivi), ma ha anche altre fonti. Un ulteriore 8% viene dalle parrocchie e dagli altri enti ecclesiastici, il 3% dalle offerte deducibili dei fedeli (offerte "insieme ai sacerdoti", come sono state ribattezzate di recente), l’8% dai redditi degli Istituti diocesani per il sostentamento del clero e infine il 19% dalle remunerazioni proprie dei sacerdoti. In quest’ultima fonte troviamo anche i cappellani ospedalieri, i quali, come abbiamo visto nell’esperienza di don Mario Cagna, percepiscono uno stipendio dall’ente ospedaliero presso il quale svolgono il proprio servizio. Il sistema che regola lo "stipendio" dei preti fissa infatti minimi e massimi che sono uguali per tutti coloro che si trovano nelle stesse condizioni. Si va in pratica dagli 883 euro di un prete appena ordinato ai 1.380 euro di un vescovo ai limiti della pensione. Se questa cifra può essere pagata al sacerdote dall’ente ecclesiastico in cui svolge il suo servizio (ad esempio la parrocchia), egli non riceverà alcuna integrazione dall’Istituto centrale di sostentamento del clero (Icsc), che in pratica funziona come una camera di compensazione. Se invece questo non è possibile (si pensi alle parrocchie piccole), la differenza viene integrata dall’Icsc. Naturalmente la regola vale anche per gli stipendi propri dei sacerdoti che sono cappellani ospedalieri, militari o delle carceri e i professori di religione. Don Cagna non riceve nulla dall’Icsc in quanto il suo tipendio viene interamente pagato dall’ente ospedaliero e questo libera risorse dell’8xmille da destinare a opere di carità e di culto. In sostanza senza quel 19% delle remunerazioni proprie (nel 2009 si trattava di 112,5 milioni di euro) la quota di 8xmille da destinare al sostentamento del clero sarebbe stata più grande. E conseguentemente si sarebbe ridotta la parte per il culto e per la carità. Un’ulteriore dimostrazione di quella capacità di creare ponti di solidarietà a tutti i livelli che è poi il segreto del successo dell’8xmille e della fiducia che tanti cittadini continuano a riporre nell’operato della Chiesa. Mimmo Muolo © RIPRODUZIONE RISERVATA A Croce e camice per mille sacerdoti in 800 strutture acerdoti con il camice bianco. O se si vuole sacerdoti di corsia. Dove le corsie sono naturalmente quelle degli ospedali. La figura del cappellano ospedaliero è ben presente, oltre che nell’immaginario collettivo, anche nell’esperienza attuale di molti ammalati, medici e infermieri, che quotidianamente li incontrano nei luoghi di cura. Secondo i dati dell’Ufficio nazionale Cei della pastorale della sanità, si tratta di un migliaio di sacerdoti (senza contare suore e diaconi permanenti) presenti negli 800 ospedali pubblici di tutta Italia. Ma oggi il ruolo e l’attività del cappellano ospedaliero sta mutando, così come del resto è cambiata la stessa sanità. Don Andrea Manto, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei, sottolinea che uno dei principali fattori di cambiamento è dato dalla durata media delle degenze: «Prima degli anni Settanta questa durata era di 30 giorni, all’inizio degli anni Ottanta si è era già ridotta a 14 giorni, e oggi siamo a 6,8 giorni in media per paziente. Il minor tempo di permanenza in ospedale sollecita dunque modalità di approccio diverse». Inoltre l’opera del cappellano si estende adesso anche al di fuori delle mura dell’ospedale, specialmente nei confronti degli anziani soli e degli immigrati, una volta dimessi dai luoghi di cura. «Per tutte queste considerazioni e nonostante il breve tempo dei ricoveri – fa notare don Manto – l’opera dei cappellani è importante non solo sotto il profilo squisitamente spirituale. Essi infatti contribuiscono all’umanizzazione dell’ambiente ospedaliero e con la loro presenza di conforto e di sostegno spesso implementano l’efficacia stesse delle cure mediche». Che cos’è dunque un cappellano ospedaliero? Una sorta di psicologo, una variante dell’assistente sociale o semplicemente un uomo di Dio che si accosta ad altri uomini e donne in un momento di particolare fragilità? «Io penso – risponde don Manto – che i nostri cappellani siano e restino innanzitutto dei sacerdoti. Anche nel mondo della sanità il loro compito essenziale è quello dell’annuncio del Vangelo. Ma mi piace pensare che essi siano anche uomini a servizio dell’armonia delle buone relazioni umane in mondo sotto pressione come quello della sanità. Non dobbiamo dimenticare, infatti – conclude il direttore dell’Ufficio nazionale – che l’opera dei cappellani non si rivolge solo ai malati e ai loro familiari, ma anche al personale sanitario». E anche in questo caso «è finalizzata a supportare quella fondamentale componente umana che, affiancandosi all’indispensabile competenza professionale, può aiutare a guarire». (M. Mu.) © RIPRODUZIONE RISERVATA S La loro opera fondamentale per chi soffre, ma anche per il personale sanitario, di frequente sotto pressione dal punto di vista umano INCHIESTA/8 l sostentamento del clero è una delle grandi destinazioni dell’8xmille. Ogni anno, infatti, diversi milioni di euro contribuiscono ad assicurare ai sacerdoti in servizio alle diocesi italiane una remunerazione che in media si aggira sui mille euro lordi al mese. Nella nostro "Giro d’Italia" dell’8xmille abbiamo già toccato l’argomento, raccontando la giornata tipo di un parroco. Ma i sacerdoti sono presenti anche in altri ambiti, come ad esempio gli ospedali. Un ambiente, quello della sofferenza e della cura, dove spesso la missione propria dei preti si coniuga con una importante funzione sociale. Come l’esperienza che qui presentiamo, secondo lo stile del chiedilo a loro, dimostra chiaramente. (M.Mu.) I

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LA CHIESACHE AIUTA

La vita accanto a chi teme per lapropria, la pazienza di mettersiin discussione anche con chi noncrede. Ecco dove arriva la Chiesa

DOMENICA8 GENNAIO 201212

l’attivitàNel mondo della sanità,là dove si incontranoogni giorno la malattia ele sofferenze umane,migliaia di sacerdotiaccolgono la sfida diannunciare il VangeloE di misurarsi con leregole della medicina edella scienza, spesso“allergiche” allaspiritualità. Viaggionell’esperienza di uncappellano ospedaliero

Il Polo ospedaliero delle emergenze di Lavagna (Chiavari)

Preti in corsia, quando la fede “cura”Ascolto e preghiera 8 ore al giorno: l’impegno di don Mario Cagna accanto ai malatiDA ROMA MIMMO MUOLO

anno imparato a conoscerlo e a fi-darsi di lui un po’ alla volta, giornodopo giorno. Anche quelli che all’i-

nizio lo guardavano come una presenza e-stranea o “inquietante”. Anche quelli che inun primo momento gli si sono rivoltati con-tro con stizza o addirittura con rabbia. E al-cuni tornano a trovarlo la domenica per laMessa, perfino dopo diversi mesi che sonostati dimessi. Don Mario Cagna è il cappel-lano del Polo ospedalie-ro delle emergenze di La-vagna, diocesi di Chiava-ri e provincia di Genova.Dalle otto di mattina fi-no al pomeriggio inoltra-to lo si può trovare nellapiccola ma graziosa cap-pella dell’ospedale o ingiro tra i reparti, dovepassa di letto in letto perportare la comunione opiù semplicemente perparlare con i malati e i loro familiari.Don Mario appartiene alla task force dei sa-cerdoti italiani (un migliaio circa sui 36milacomplessivamente in servizio alle diocesi)che esercitano il proprio ministero nei luo-ghi della sofferenza e della fragilità umana.Ospedali, nosocomi, rsa, hospice per malatiterminali. Una “vita da prete” sicuramentediversa da quella con cui siamo più abituatiad avere contatto: parroci e viceparroci, ad e-sempio. Anche se la missione è la stessa: por-tare il Vangelo in tutti gli ambienti. «E Dio so-lo sa – afferma il sacerdote ligure – se in unospedale ce n’è bisogno».Don Cagna ha 47 anni, da quindici è sacer-dote, da sei svolge a tempo pieno il ministe-ro di cappellano ospedaliero. I suoi “parroc-chiani” sono i 260 ammalati del Polo delle e-mergenze (tanti sono i posti letto della strut-tura) più un migliaio di operatori sanitari inservizio nei vari reparti. Ma questa è una “par-rocchia” estensibile a fisarmonica, poichénon bisogna dimenticare i familiari, con iquali il contatto è spesso fecondo di relazio-ni umane come e più che con gli ammalati.Di storie del resto, in questi sei anni, ne sonopassate tante davanti agli occhi del giovanesacerdote. «Come quella volta – racconta –che avvicinandomi a una signora nel repar-to di rianimazione dove da poco era stata ri-coverata sua madre in gravi condizioni, mi so-no sentito rispondere con un duro rifiuto al-la mia richiesta di dire insieme una preghie-ra. Il giorno dopo sono tornato, la signora e-ra ancora lì ed è stata lei a chiedermi di pre-gare. «Sa? – mi ha detto – Ho pensato che amia madre farebbe piacere». La vita della gen-

te può essere una grande maestra. «Spesso misento ringraziare per una parola detta, per iltempo speso con i malati, per un sorriso. Inrealtà è più quello che ricevo di quello chedò», confida il cappellano. «Ad esempio hoimparato che il silenzio e l’ascolto pazientea volte sono meglio di tante parole». Speciedi fronte a situazioni particolari.«Una dellecose che più spesso mi dicono è: "Non me lomerito. Dopo una vita di lavoro e di sacrifici,tutta dedicata alla famiglia, perché proprio ame questa sofferenza?". All’inizio ero tenta-

to di rispondere che nonsi può fare un commer-cio con il Signore: "Ti hodato tanto, adesso ho di-ritto alla ricompensa".Poi ho capito che il rifiu-to della malattia era unatteggiamento umanis-simo,un sentimento chetalvolta anch’io ho pro-vato. E che, dunque, ac-

compagnando questo sentimento con pa-zienza e ascolto, prima o poi si sarebbe a-perto lo spazio per dire la parola giusta».Ugualmente difficile può essere il rapportocon chi non crede. «C’era una dottoressa – ri-corda don Cagna – dichiaratamente atea.Non ero riuscito a entrare in empatia con lei.Ma un giorno è venuta a cercarmi e con miagrande sorpresa mi ha chiesto di recarmi alcapezzale di un malato. "Mi sono accorta chele sue parole fanno bene come le mie medi-cine", mi ha detto. Sono rimasto basito. Nonme l’aspettavo proprio, anche se c’è una ri-cerca condotta in Inghilterra che avvalora an-che dal punto di vista scientifico questa te-si».Ma per sé don Mario rifiuta ogni altra eti-chetta che non sia quella di essere «segnodella presenza di Dio vicino alle persone».«Non sono uno psicologo, né un operatoresociale, ma solo un prete. E dal contatto conle persone ho capito che la dimensione spi-rituale appartiene a ogni persona, anche a

chi si professa non credente o addirittura siribella alla mia presenza, perché è “arrab-biato” con Dio. Tra l’altro anche la rabbia de-nota relazione. E dalla rabbia può partire lavia del ritorno».Per questo nella giornata ospedaliera di donCagna molto spazio viene dato ai colloqui.Per contratto il cappellano dovrebbe fare 36ore settimanali più le reperibilità notturne, incambio delle quali riceve uno stipendio di1.400 euro netti al mese. «Ma poiché non de-vo timbrare il cartellino – dice – a volte le 36ore le faccio in tre giorni. Il resto del tempolo offro come volontariato. Mi piace pensa-re che la spesa per i cappellani sia non un co-sto superfluo, ma una risorsa. Anche per ilpersonale ospedaliero. Negli ospedali ci so-no tanti problemi. Se possiamo aiutare aguardarli non solo dal punto di vista tecnico,che pure è importante, il beneficio che ne de-riverà andrà certamente a vantaggio di tut-ti». Credenti e non.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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«Spesso mi capita disentirmi ringraziare peruna parola detta, per unsorriso, persino per unsilenzio. In realtà èsempre più quello chericevo di quello che dò»

Al centro nella foto, don Mario Cagna, cappellano ospedaliero a Lavagna

DA SAPERE

I cappellani ospedalieri?Pagati dalle struttureCosì si “libera” 8xmille

nche se indirettamente, si può direche i cappellani ospedalieri hanno

una duplice funzione sociale. Oltre aquella propria di aiuto e sostegno aimalati, ai loro familiari e al personalesanitario, permettono infatti all’8xmille diessere impiegato anche in altre direzioni.Il motivo è presto detto.Ogni anno la Chiesa italiana preleva daifondi che le vengono attribuiti grazie allefirme dei contribuenti una somma cheoscilla tra i 360 e i 380 milioni di euro e ladestina al sostentamento del clero. Nel2009 sono stati 381, nel 2010 358 e nel2011 360. Ma il fabbisogno complessivoper assicurare a tutti i 36mila sacerdoti inservizio alle diocesi un dignitososostentamento è notevolmente superiore.Nel 2009, ad esempio, tale fabbisogno èstato pari a 578,2 milioni di euro. Come èstata coperta la differenza?Per rispondere a questa domanda bisognaricordare che il sostentamento del cleronon si basa solo sull’8xmille (che coprepoco più del 60% dei costi complessivi),ma ha anche altre fonti. Un ulteriore 8%viene dalle parrocchie e dagli altri entiecclesiastici, il 3% dalle offerte deducibilidei fedeli (offerte "insieme ai sacerdoti",come sono state ribattezzate di recente),l’8% dai redditi degli Istituti diocesani peril sostentamento del clero e infine il 19%dalle remunerazioni proprie dei sacerdoti.In quest’ultima fonte troviamo anche icappellani ospedalieri, i quali, comeabbiamo visto nell’esperienza di donMario Cagna, percepiscono uno stipendiodall’ente ospedaliero presso il qualesvolgono il proprio servizio. Il sistema cheregola lo "stipendio" dei preti fissa infattiminimi e massimi che sono uguali pertutti coloro che si trovano nelle stessecondizioni. Si va in pratica dagli 883 eurodi un prete appena ordinato ai 1.380 eurodi un vescovo ai limiti della pensione. Sequesta cifra può essere pagata alsacerdote dall’ente ecclesiastico in cuisvolge il suo servizio (ad esempio laparrocchia), egli non riceverà alcunaintegrazione dall’Istituto centrale disostentamento del clero (Icsc), che inpratica funziona come una camera dicompensazione. Se invece questo non èpossibile (si pensi alle parrocchie piccole),la differenza viene integrata dall’Icsc.Naturalmente la regola vale anche per glistipendi propri dei sacerdoti che sonocappellani ospedalieri, militari o dellecarceri e i professori di religione. DonCagna non riceve nulla dall’Icsc in quantoil suo tipendio viene interamente pagatodall’ente ospedaliero e questo liberarisorse dell’8xmille da destinare a operedi carità e di culto. In sostanza senza quel19% delle remunerazioni proprie (nel2009 si trattava di 112,5 milioni di euro)la quota di 8xmille da destinare alsostentamento del clero sarebbe stata piùgrande. E conseguentemente si sarebberidotta la parte per il culto e per la carità.Un’ulteriore dimostrazione di quellacapacità di creare ponti di solidarietà atutti i livelli che è poi il segreto delsuccesso dell’8xmille e della fiducia chetanti cittadini continuano a riporrenell’operato della Chiesa.

Mimmo Muolo© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Croce e camice per mille sacerdoti in 800 struttureacerdoti con il camicebianco. O se si vuolesacerdoti di corsia. Dove le

corsie sono naturalmente quelledegli ospedali. La figura delcappellano ospedaliero è benpresente, oltre chenell’immaginario collettivo,anche nell’esperienza attuale dimolti ammalati, medici einfermieri, chequotidianamente li incontranonei luoghi di cura. Secondo idati dell’Ufficio nazionale Ceidella pastorale della sanità, sitratta di un migliaio di sacerdoti(senza contare suore e diaconipermanenti) presenti negli 800ospedali pubblici di tutta Italia.Ma oggi il ruolo e l’attività del

cappellano ospedaliero stamutando, così come del resto ècambiata la stessa sanità. DonAndrea Manto, direttoredell’Ufficio nazionale della Cei,sottolinea che uno deiprincipali fattori dicambiamento è dato dalladurata media delle degenze:«Prima degli anni Settantaquesta durata era di 30 giorni,all’inizio degli anni Ottanta si èera già ridotta a 14 giorni, eoggi siamo a 6,8 giorni inmedia per paziente. Il minortempo di permanenza inospedale sollecita dunquemodalità di approccio diverse».Inoltre l’opera del cappellanosi estende adesso anche al di

fuori delle mura dell’ospedale,specialmente nei confronti deglianziani soli e degli immigrati,una volta dimessi dai luoghi dicura. «Per tutte questeconsiderazioni e nonostante ilbreve tempo dei ricoveri – fanotare don Manto – l’opera deicappellani è importante nonsolo sotto il profilosquisitamente spirituale. Essi

infatti contribuisconoall’umanizzazionedell’ambiente ospedaliero e conla loro presenza di conforto e disostegno spesso implementanol’efficacia stesse delle curemediche». Che cos’è dunque uncappellano ospedaliero? Unasorta di psicologo, una variantedell’assistente sociale osemplicemente un uomo di Dioche si accosta ad altri uomini edonne in un momento diparticolare fragilità? «Io penso –risponde don Manto – che inostri cappellani siano erestino innanzitutto deisacerdoti. Anche nel mondodella sanità il loro compitoessenziale è quello

dell’annuncio del Vangelo. Mami piace pensare che essi sianoanche uomini a serviziodell’armonia delle buonerelazioni umane in mondo sottopressione come quello dellasanità. Non dobbiamodimenticare, infatti – conclude ildirettore dell’Ufficio nazionale –che l’opera dei cappellani non sirivolge solo ai malati e ai lorofamiliari, ma anche al personalesanitario». E anche in questocaso «è finalizzata a supportarequella fondamentalecomponente umana che,affiancandosi all’indispensabilecompetenza professionale, puòaiutare a guarire». (M. Mu.)

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La loro opera fondamentaleper chi soffre, ma ancheper il personale sanitario,di frequente sotto pressionedal punto di vista umano

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l sostentamento del clero èuna delle grandi destinazioni

dell’8xmille. Ogni anno, infatti,diversi milioni di eurocontribuiscono ad assicurare aisacerdoti in servizio alle diocesiitaliane una remunerazione che inmedia si aggira sui mille eurolordi al mese. Nella nostro "Girod’Italia" dell’8xmille abbiamo giàtoccato l’argomento, raccontandola giornata tipo di un parroco. Mai sacerdoti sono presenti anche inaltri ambiti, come ad esempio gliospedali. Un ambiente, quellodella sofferenza e della cura, dovespesso la missione propria deipreti si coniuga con unaimportante funzione sociale.Come l’esperienza che quipresentiamo, secondo lo stile delchiedilo a loro, dimostrachiaramente. (M.Mu.)

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