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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE FACOLTÀ DI SCIENZE M.F.N. Corso di Laurea Magistrale in Matematica Sintesi della Tesi di Laurea presentata da Benedetta Lorè Problemi Classici della Matematica Relatore Prof. Andrea Bruno Il Candidato Il Relatore ANNO ACCADEMICO 2006 - 2007 Luglio 2007 Classificazioni : 01A20, 51-03, 12F05 Parole chiave: Riga e compasso, curve speciali, teoria di Galois, numeri di Fibonacci

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE

FACOLTÀ DI SCIENZE M.F.N.

Corso di Laurea Magistrale in Matematica

Sintesi della Tesi di Laurea

presentata da

Benedetta Lorè

Problemi Classici della

Matematica

Relatore

Prof. Andrea Bruno

Il Candidato Il Relatore

ANNO ACCADEMICO 2006 - 2007

Luglio 2007

Classificazioni : 01A20, 51-03, 12F05

Parole chiave: Riga e compasso, curve speciali, teoria di Galois, numeri

di Fibonacci

a tutti coloro che non credevano ce la potessi fare

Indice

I

Sintesi

Non sono molto chiare le origini della matematica. Sicuramente gran

parte dei concetti che oggi accostiamo a questa disciplina sono il risultato di

uno sviluppo di pensiero che originariamente era accentrato sul numero, sulla

grandezza e sulla forma. Tutto ciò è testimoniato dal fatto che questi rudi-

menti matematici appartengono all’ istinto di alcuni animali (un corvo è in

grado di riconoscere insiemi contenenti fino a quattro elementi, mentre altre

forme di vita possono distinguere le forme differenti presenti nel loro ambi-

ente, proprio come un matematico si interessa alla forma e alle relazioni), e

comporta l’ idea che la matematica sia insita nell’ istinto umano. È chiaro

che la nascita della nostra materia fosse legata alla vita quotidiana. In un

primo momento le nozioni primitive di numero, grandezza e forma facevano,

probabilmente, riferimento più a contrasti che a somiglianze: la differenza tra

un solo lupo e molti lupi, la disuguaglianza di dimensioni tra un pesciolino

e una balena, la dissomiglianza tra la rotondità della luna e la rettilinear-

ità di un pino. Col tempo, poi, deve essersi sviluppata l’ idea che esistano

anche delle somiglianze: il contrasto tra un solo lupo e molti lupi, tra una

sola pecora e un gregge, tra un solo albero ed una foresta suggerisce che un

solo lupo, una sola pecora, un solo albero hanno in comune la loro unicità.

Nella stessa maniera si sarebbe osservato che alcuni altri gruppi, come le

coppie, possono essere messi in corrispondenza biunivoca. Ecco che iniziano

pian piano a delinearsi alcuni aspetti basilari della matematica. Per quanto

concerne il concetto di numero, il suo sviluppo deve chiaramente essere sta-

to lento e graduale (lo testimonia il fatto che moltissime lingue conservano,

nella loro grammatica, una distinzione bipartita tra singolare e plurale, ossia

tra uno solo e molti, mentre altre, come il greco, distinguono tra uno, due

e più di due) ed il fatto che nella maggior parte delle popolazioni vige un

sistema decimale di numerazione, non può che essere conseguenza del fatto

1

che le dita di due mani (strumento di calcolo ancor oggi adottato da tutti i

bambini che approcciano allo studio di questa scienza) sono dieci! L’ idea di

numero risulta sicuramente molto più antica di tutti i progressi tecnologici

quali l’ uso di metalli o la costruzione di rudimentali veicoli a ruote. Si pensa

addirittura che tale idea abbia preceduto la nascita di una qualsiasi forma di

civilizzazione o di scrittura (sono stati pervenuti resti archeologici, risalen-

ti a 30.000 anni fa, dotati di significato numerico). Non si sa ancora bene

per quale scopo fossero nati i numeri. Gli studiosi si dividono in due grandi

scuole di pensiero riguardo questo argomento: si suppone che la matematica

sia nata in risposta a bisogni pratici dell’ uomo, ma ricerche antropologiche

rivelano la possibilità di una diversa origine. È stata, infatti, avanzata l’

ipotesi che l’ arte del contare sia sorta in connessione con riti religiosi e prim-

itivi e che quindi l’ aspetto ordinale abbia preceduto l’ aspetto quantitativo.

In cerimonie rituali che rappresentavano miti della creazione era necessario

chiamare in scena i partecipanti secondo un ordine specifico e forse il contare

fu inventato per rispondere a tale esigenza (tale ipotesi si accorderebbe perfet-

tamente con l’ idea primitiva secondo la quale i numeri apparivano suddivisi

in maschili -i dispari- e in femminili -i pari-, e miti riguardanti tale suddivi-

sione presentano una notevole continuità). Anche la geometria, studiata ed

approfondita da nomi quali Pitagora o Aristotele, deve avere, senza dubbio,

origini molto antiche. L’ uomo della prima età neolitica aveva sicuramente

scarso interesse a misurare terreni o a procedere con rituali religiosi (motivi

più che validi per poter introdurre una nuova disciplina di questo genere),

eppure i suoi graffiti e disegni rivelano un interesse per le relazioni spaziali

che preparò la strada alla geometria. È, dunque, chiaro che le reali origini

della matematica, nelle sue forme più primitive, rimangono a noi sconosciute,

per il semplice motivo che la nostra materia nacque prima di una qualsiasi

forma di scrittura, e ciò comporta che non abbiamo a disposizione alcun

tipo di documentazione concreta e attendibile. Ciò che, però, sappiamo con

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certezza è che i primi grandi sviluppi di questa scienza, concretizzati per lo

più dai babilonesi e dagli egiziani, vennero in risposta a necessità puramente

tecniche delle popolazioni suddette (basti pensare alla costruzione delle pi-

ramidi egiziane che supponeva adeguate conoscenze matematiche ma anche

fisiche). Ciò comporta che grandi studi vennero effettuati, ma dovendo so-

lamente essere strumenti di lavoro, non vennero assolutamente approfonditi

da un punto di vista concettuale. In altre parole non vennero introdotte

tecniche matematiche come possono essere le dimostrazioni o, quanto meno,

le verifiche. Questi concetti iniziano ad affiorare con l’ avvento dei greci.

Quel periodo fu importante per lo studio di moltissime arti, dall’ oratoria

alla dialettica, dalla letteratura alla filosofia. L’ introduzione della filosofia

comporta un importante passo in avanti nello studio della matematica. Per

definizione la filosofia non è altro che amore per la sapienza, ossia lo studio dei

problemi più disparati con l’ unico scopo di approfondirli, uno studio, quindi,

non derivante da alcuna esigenza pratica, ma solo ed esclusivamente fine a se

stesso. La matematica si trasforma abbastanza velocemente da una tecnica

ad una disciplina. Non è più importante il “perché”, ciò che ora interessa

è il “come”. In questo stesso periodo si diffondono i problemi che verranno

trattati nel mio elaborato. La nascita della filosofia permette un importante

sviluppo della scienza, permette di studiarla in quanto tale. È infatti chiaro

che, al di là delle varie leggende legate agli argomenti, la risoluzione di tali

problemi appare chiaramente indipendente da qualunque esigenza utilitaris-

tica. La magia dei problemi qui presenti sta, oltre che nelle implicazioni che

essi comportano (al problema della duplicazione del cubo si fanno risalire le

origini della geometria analitica), nel fatto che problemi nati nel V secolo

a.C. sono stati poi risolti, nella maggior parte dei casi, nel XIX secolo come

conseguenza di complesse teorie algebriche o analitiche sviluppatesi proprio

in quel periodo. Non solo, ma già gli antichi greci, nonostante potessero con-

tare su molte poche scoperte precedenti e non avessero i mezzi adeguati per

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raggiungere i propri obiettivi, si accorsero che la maggior parte dei problemi

da loro stessi proposti non potevano essere risolti con i soli mezzi elemen-

tari. Da qui la scoperta e l’ introduzione di svariate curve (come le coniche

o la meno nota trisettrice di Ippia) e di innovativi mezzi di dimostrazione.

Procediamo comunque con ordine. Cosa significa risolvere un problema, o

per essere più precisi, costruire una figura con i soli mezzi elementari? È

chiaro che questi mezzi dovevano risultare elementari anche a quell’ epoca,

ed è quindi chiaro che dovevano consentire di disegnare figure note non solo

per gli studi effettuati a riguardo, ma anche e, soprattutto, perché presen-

ti in natura e facili da riprodurre. I mezzi elementari sono, quindi, quegli

strumenti che ci permettono di costruire una retta ed un cerchio, per cui si

tratta di una riga non marcata e di un compasso. Perché riga non marcata?

Si tratta di un eccesso di notazione? Assolutamente no; è importante, invece,

sottolineare l’ utilizzo consentito: la riga non può essere affatto usata per ef-

fettuare alcuna misurazione, ma solo ed esclusivamente per unire due punti

precedentemente costruiti. Non a caso l’ italiano Mascheroni (1750 - 1800)

dimostrò che tutte le costruzioni che si possono eseguire con riga e compasso

si possono eseguire anche con il solo compasso, anche se, chiaramente, senza

riga non si possono tracciare le rette congiungenti i punti. Mascheroni si

mosse dimostrando che, con il solo compasso, è possibile ottenere ciascuna

delle seguenti 4 costruzioni:

• tracciare un cerchio dati il centro e il raggio;

• trovare i punti di intersezione tra due cerchi;

• trovare i punti di intersezione tra una retta e un cerchio;

• trovare i punti di intersezione tra due rette.

che costituiscono i quattro punti fondamentali di una qualsiasi costruzione

con riga e compasso.

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Jacob Steiner (1796-1863) tentò, poi, di usare la sola riga invece del solo

compasso. Chiaramente, però, la riga non può condurre al di fuori di un certo

campo di numeri, per cui non può bastare per tutte le costruzioni geometriche

ottenibili con i mezzi elementari.

Con tali mezzi è possibile svolgere un gran numero di costruzioni. Consid-

eriamo i punti A e B nel piano. Con la riga uniamoli tracciando il segmento

AB. Dopo di che con il compasso tracciamo le due circonferenze di cen-

tri rispettivamente A e B e di uguale raggio AB. È chiaro che queste due

curve si intersecheranno in due punti. Siano essi C e C ′. Ora, sfruttando

nuovamente la riga, possiamo unire il punto C prima con A, poi con B. La

figura che otteniamo è un triangolo equilatero. Se poi unissimo C anche con

C ′, questo segmento incontrerebbe il segmento AB nel punto M . Questo

punto costituisce il punto medio del segmento e, ricordando la proprietà dei

triangoli equilateri secondo la quale la mediana è anche altezza e bisettrice, il

segmento CM risulterà essere tutto ciò. Con costruzioni analoghe potremo

anche bisecare un angolo o inscrivere in un cerchio un esagono regolare o

quant’ altro. Ci accorgeremo però, leggendo i capitoli seguenti, che non

tutte le costruzioni possono essere ottenute tramite questa tecnica. Nel XIX

secolo sono state studiate le condizioni che ci permettono di affermare con

certezza quali costruzioni possono o non possono essere eseguite con i solo

mezzi elementari, e questa nuova teoria ha permesso di semplificare di gran

lunga i problemi da affrontare. La potenza degli antichi greci sta nel fat-

to che, nonostante non potessero chiaramente conoscere tutte queste teorie,

e non sapessero, quindi, quando e come si potessero effettuare determinate

costruzioni, non si persero d’ animo, anzi, escogitarono metodi più disparati

per poter risolvere i loro problemi. Tali metodi consistevano nell’ utilizzo di

nuove curve da essi stessi scoperte che, ovviamente, rispondessero a deter-

minate proprietà, o anche in innovativi metodi dimostrativi. Molto cara alla

matematica moderna è la “reductio ad absurdum”, già utilizzata da Menec-

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mo nel 350 a.C. per poter dimostrare la reale posizione di un punto. Questo

particolare metodo consiste nel negare la nostra tesi nella speranza di ar-

rivare ad una contraddizione. Se si verificano queste circostanze è chiaro che

le conclusioni assunte risulteranno errate, per cui dovrà essere vera la tesi

negata. Il procedimento, oggi molto chiaro e, in alcuni casi, utile per sem-

plificare complesse dimostrazioni, appare chiaramente molto innovativo se si

considerano l’ epoca e i mezzi che i greci avevano a disposizione. Accanto

a tale discorso, possiamo accostare le molteplici curve da essi studiate come

conseguenza ma, anche e soprattutto, come mezzo per raggiungere i propri

scopi. Iniziamo con la particolare curva, già citata, detta trisettrice di Ippia

(e più in là nominata quadratrice in quanto consentiva di trisecare un angolo

ma anche di quadrare un cerchio) scoperta dal grande matematico greco nel

V secolo a.C.. La costruzione può sembrare molto artificiosa se si considera-

no i mezzi che attualmente abbiamo a disposizione, ma è chiaro che bisogna

sempre considerare i tempi in cui queste scoperte vennero realizzate. Accanto

alla trisettrice avremo poi la possibilità di incontrare un’ altra curva, anch’

essa poco nota attualmente, detta concoide che Nicomede studiò per poter

dare una personale costruzione della duplicazione di un cubo (ed utilizzata

anche per trisecare un angolo). Infine, parlando sempre di curve particolari,

studieremo nel dettaglio la spirale di Archimede che consente la trisezione

un angolo. Curve ancora più importanti, da un punto di vista moderno, e

incontrate per caso durante lo studio della duplicazione del cubo, sono le

coniche (parabola, ellisse ed iperbole): queste nuove curve vennero in aiuto

dei greci per poter risolvere parecchi problemi (come, ad esempio la trisezione

dell’ angolo oltre, chiaramente, alla duplicazione del cubo). È affascinante l’

idea che scoperte avvenute prima della nascita di Cristo vengano oggigiorno

considerate talmente valide da costituire una importante parte della geome-

tria moderna (le coniche vengono tuttora studiate da tutti noi negli anni del

liceo). Importante è notare come molto spesso nella risoluzione di un prob-

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lema saltino fuori molte implicazioni degne di studi paralleli. Continuando

poi con la lettura dell’ elaborato scopriremo che un paio di problemi (nello

specifico la trisezione dell’ angolo e la duplicazione del cubo) sono stati risolti

tramite l’ appoggio di un’ altra classe di problemi oggi perlopiù in disuso,

ma comunque molto validi da un punto di vista storico e scientifico. Si trat-

ta dei problemi di “inserzione”: in poche parole si richiede di costruire un

segmento i cui estremi si trovino al di sopra di alcune linee date e che passi

per un punto dato (ossia inserire un segmento in una determinata regione

del piano). Ciò che va sottolineato è che, nonostante in tempi antichi questo

metodo venisse utilizzato forse alla pari della costruzione con riga e com-

passo, per potersi ridurre al minor numero possibile di ipotesi si dovettero

considerare valide solamente le inserzioni ottenibili con i soli mezzi elemen-

tari. Se poi le inserzioni non potevano effettuarsi mediante riga e compasso,

ma nemmeno attraverso le sezioni coniche, si considerava necessaria un’ in-

vestigazione dettagliata dell’ inserzione stessa (proprio come fece Nicomede

nel caso della duplicazione del cubo). Tutte queste argomentazioni verranno

riprese a tempo debito, con gli opportuni approfondimenti, nel corso della

trattazione, ma credo fosse necessario darne una veloce anticipazione tesa a

determinare e chiarire metodi risolutivi e di costruzione adottati. Tutti gli

argomenti saranno, infatti, trattati dalle origini alla risoluzione definitiva,

ossia da un punto di vista storico, dove verranno riportati i vari tentativi

fatti per le risoluzioni, e da un punto di vista moderno in cui si dimostra la

validità dei risultati ottenuti. Nel dettaglio la tesi sarà così costruita:

• Capitolo 1: Trisezione degli angoli

(Dato un angolo ϕ = AOB costruire, facendo uso solamente di una

riga non marcata e di un compasso, un punto A′ tale che A′OB = ϕ3).

Il problema in questione è nato intorno alla fine del V secolo a.C. grazie

ad una scuola che si stava sviluppando in quello stesso periodo: la scuo-

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la pitagorica. Fu proprio uno dei seguaci di Pitagora, Ippia di Elide,

a darne un primo tentativo di soluzione, seppur artificiosa, utilizzan-

do una particolare curva da lui stesso studiata (la curva nota come

trisettrice in quanto utilizzata per trisecare un angolo). Dopo questa

prima soluzione dovremo aspettare un paio di secoli per poter osservare

una seconda costruzione. Ci troviamo, infatti, nel II secolo a.C. quan-

do Archimede (anch’ esso nato a Elide), sfruttando una seconda curva

che egli attribuisce a Conone di Alessandria, oggi nota come spirale

di Archimede, trova una nuova costruzione plausibile. Il fatto che già

Ippia e Archimede si trovarono a risolvere il problema con strumenti

sicuramente più complessi di quelli elementari ci suggerisce che già gli

antichi greci immaginassero che la trisezione di un angolo fosse impossi-

bile se si utilizzano solamente riga non marcata e compasso. Il problema

dell’ antichità sta nel fatto che, però, non si aveva molta dimestichezza

con tutte quelle curve che andavano al di là della retta e del cerchio.

Dalla volontà di risolvere comunque il problema, si studiò la possibilità

di ridurlo, inizialmente, ad un altro, cioè si svilupparono i problemi di

inserzione. Gli scritti di Pappo riferiscono due di queste costruzioni

particolari, la prima probabilmente risalente al V secolo a.C., la sec-

onda attribuita ad Archimede (questa seconda costruzione si avvicina

molto alla risoluzione del problema originario. Qui, infatti, vengono

utilizzati solamente la riga ed il compasso, ma la riga ha più funzioni di

quelle accettate generalmente, ossia non viene utilizzata solamente per

unire due punti già precedentemente costruiti, ma anche per misurare

alcune lunghezze). Negli scritti di Pappo leggiamo, inoltre, che alcuni

geometri del tempo (dei quali non sono noti i nomi) utilizzano molto

ingegnosamente le iperboli (o più in generale le coniche) per ottenere

i risultati desiderati, inizialmente per risolvere problemi di inserzione,

successivamente per una soluzione diretta del problema di trisezione.

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Tali curve diventeranno il metodo preferito di indagine in epoche più

recenti. Abbiamo, infatti, a disposizione costruzioni dovute a Cartesio,

Clairaut o Chasles (risalenti quindi ad un periodo compreso tra il XVII

e il XIX secolo) in cui le coniche hanno ruolo da protagoniste. Tutto

questo per costruzioni date mediante le coniche, ma queste non sono

le uniche curve che vennero utilizzate. Tornando indietro nel tempo,

tra il 250 e il 150 a.C., Nicomede studiò una curva, detta concoide in

quanto si presenta con una forma che ricorda un conchiglia. Tale curva

venne poi ripresa, a distanza di secoli, da Newton proprio per risol-

vere il problema in questione. Da un punto di vista moderno il nostro

problema trova risoluzione definitiva solamente nel XIX secolo grazie

ad una teoria algebrica sviluppata da Evariste Galois. Il risultato più

importante, per i nostri scopi, è il seguente:

Teorema 0.0.1. Un numero complesso α = a + ib è costruibile se e

solo se esiste una catena di estensioni

Q = E0 ⊆ E1 ⊆ E2 ⊆ ... ⊆ En ⊆ En+1

t. c.

1. [Ei : Ei−1] ≤ 2,∀i = 1, 2, ..., n + 1;

2. α ∈ En+1.

Questa teoria ci permette, cioè, di ridurre il nostro problema alla

riducibilità di una equazione di terzo grado. Oggi possiamo affermare

con certezza che un angolo di 90◦ è trisecabile (l’ equazione che ne deri-

va sarà 4x3 − 3x = 0, notoriamente e facilmente riducile) mentre un

angolo di 60◦ non lo è (l’ equazione 4x3 − 3x − 12

= 0 associata all’

angolo in questione è irriducibile).

• Capitolo 2: Poligoni regolari

9

(Costruire, facendo solamente uso di una riga non marcata e di com-

passo, un poligono regolare di n lati, con n qualsiasi).

Si tratta di un problema nato come semplice conseguenza del prece-

dente. È chiaro che la trisezione dell’ angolo può essere estesa al prob-

lema di dividere un qualsiasi angolo in n parti uguali. Inoltre sappiamo

che in una circonferenza a due uguali angoli al centro corrispondono

due uguali archi di circonferenza e due uguali corde. Consideriamo

quindi un angolo giro e proponiamoci di dividerlo in n parti uguali:

otterremo la costruzione di un n-gono regolare. La prima testimoni-

anza risalente all’ antichità è la costruzione di un ettagono regolare

data da Archimede (tale costruzione merita particolare considerazione

in quanto oggi sappiamo che un ettagono, in realtà, non può essere

costruito!). Tale problema non è di grande valenza storica, ma sicura-

mente la sua importanza matematica lo rende degno di essere consid-

erato uno dei problemi classici. L’ unico inconveniente sta nel fatto che

si hanno a disposizione poche soluzioni antiche e quasi esclusivamente

risultati moderni. La teoria già citata nel capitolo precedente prevede

una parte dedicata interamente alla costruzione dei poligoni regolari.

Come abbiamo già visto la risoluzione dei problemi con riga e compas-

so viene a dipendere dalla risoluzione di equazioni di grado arbitrario.

Nel caso specifico la costruzione di un poligono di n lati dipenderà dall’

equazione binomia zn = 1. Inoltre, siccome un primo punto può essere

preso a piacere sulla circonferenza, si tratterà di costruirne solamente

n− 1. Algebricamente il discorso che ne deriva consiste nel vedere che

zn−1 = 0 ammette sempre la soluzione z = 1, per cui basterà studiare

l’ equazione zn−1z−1

= zn−1 +zn−2 + ...+z +1 = 0. Iniziamo a considerare

il lemma di Gauss, secondo il quale:

Lemma 0.0.2. Se un polinomio F (z) a coefficienti interi è riducibile,

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esso può essere scomposto nel prodotto di due polinomi a coefficienti

interi.

da cui il risultato:

Teorema 0.0.3. L’ equazione

zp − 1

z − 1= 0

dove p è un numero primo, è irriducibile.

Nel 1796 Gauss dimostra che un p-gono regolare, con p = 22ν+ 1

(primo di Fermat) e’ costruibile con riga non marcata e compasso. Cio’

si estende all’ n-gono regolare con n = 2h · ph00 · · · phr

r dove i pi sono

del tipo pi = (22ν1 + 1). Pierre Wantzel, nel 1836, dimostra che tale

condizione e’ anche necessaria. Per cui un esagono (6 = 21(2+1)) sarà

costruibile mentre un ettagono no!

• Capitolo 3: Quadratura del cerchio

(Dato un cerchio di raggio r, costruire, facendo uso della sola riga non

marcata e del compasso, un quadrato ad esso equivalente).

Si tratta di un problema che ha impegnato moltissimo, forse più degli

altri, matematici di tutti i tempi, in quanto può essere molto semplice-

mente ricondotto al celebre problema della determinazione del preciso

valore del π (lettera che deriva dall’ iniziale della parola greca periph-

eria, corrispondente della parola italiana circonferenza). In che modo?

Sia r il raggio di un cerchio e d il suo diametro. Sia c la circonferenza

ed a la sua area. Siano cioè:

c = πd = 2πr

a = πr2 =1

4πd2 =

1

2rc

11

dove π è il rapporto costante tra la circonferenza e il diametro. Dalla

formula dell’ area risulta chiaro che l’ area del cerchio è pari all’ area

del triangolo avente per base la circonferenza c e per altezza il raggio r.

Per cui il problema della rettificazione della circonferenza risolverebbe

il problema della quadratura del cerchio (se sappiamo trovare un seg-

mento equivalente alla circonferenza possiamo costruire tale triangolo

per trasformarlo, successivamente, nel quadrato richiesto, cosa che è

possibile con riga e compasso). Se poi, per semplicità, scegliamo un

cerchio di diametro unitario, il nostro problema si ridurrebbe ulterior-

mente al problema di costruire un segmento di lunghezza π. In questi

termini la quadratura del cerchio si trasforma in un problema molto

più antico dei precedenti. Già ai tempi degli antichi egizi era sorto il

problema di calcolare l’ area di un campo circolare. Il valore che essi

attribuivano a tale numero era 3 e 16, valore abbastanza vicino al reale.

Per i babilonesi, invece, il π valeva 3 e 18, ma erano soliti, per semplicità

di calcolo, approssimare tale valore a 3. Il primo a capire la vera natura

del π fu Archimede, il quale intuì che il nostro numero non può affatto

essere espresso in forma di frazione, ossia non è un numero razionale.

Egli tentò solamente di trovare un limite più basso ed uno più alto en-

tro cui va misurato il π. Tali limiti sono 3 e 1071

1 ; 3 e 17. Tornando al

problema della costruzione di un quadrato di area equivalente a quella

di un cerchio dato, abbiamo a disposizione due costruzioni attribuite a

Ippocrate di Chio la prima, e a Dinostrato (350 a.C.) la seconda. La

costruzione di Ippocrate nasce da un problema più semplice, cioè dalla

quadratura di una lunula, ed appare chiaro l’ errore che egli commette

generalizzando una proprietà valida solamente in un caso particolare

(con grande probabilità lui stesso si rese conto dell’ errore commesso

ma tentò comunque di ingannare i suoi concittadini inducendoli a pen-

sare che vi fosse riuscito). La costruzione di Dinostrato sfrutta, invece,

12

una curva già citata, ossia la trisettrice di Ippia, tanto che in questo

momento la stessa curva assume il nome di quadratrice. Da un punto

di vista moderno la soluzione al problema è stata data da un punto

di vista analitico ed uno algebrico. Analiticamente studi fatti da no-

mi quali Lambert, Leibnitz, Eulero o Lindemann hanno permesso di

dimostrare innanzitutto l’ irrazionalità, poi la trascendenza del π. Ac-

canto a tali scoperte vanno, poi, citati i vari studi fatti sulle radici di

polinomi a coefficienti interi, e tutti questi risultati ci permettono di

concludere che se volessimo ottenere una quadratura del cerchio con

mezzi elementari, il numero π dovrebbe essere radice di un’ equazione

algebrica, avente una radice esprimibile mediante radici quadrate. Sic-

come π non è algebrico, un’ equazione siffatta non può essere trovata,

per cui il cerchio non può essere quadrato con il solo utilizzo di riga

non marcata e compasso. Algebricamente basterà sfruttare il teorema

già citato nella trisezione dell’ angolo ed il seguente corollario:

Corollario 0.0.4. Sia α un numero costruibile. Allora [Q : Q(α)] ≤ 2n

per qualche intero non negativo n.

Supponiamo che il cerchio abbia raggio r = 1 (la sua area sarà pari a π).

Un quadrato ad esso equivalente dovrebbe allora avere lato pari a√

π.

Siccome π è trascendente avrò che [K : K(√

π)] = ∞ , e, dal corollario,

segue che la quadratura del cerchio è impossibile. Tutto ciò ci dimostra

che non si può ottenere la quadratura esatta del cerchio solamente con

metodi elementari. Eppure, molto spesso, accade che nella pratica l’

esattezza non è necessaria, mentre la semplicità risulta sicuramente più

indispensabile. Ecco perché, per concludere il terzo capitolo, ho deciso

di riportare una soluzione approssimata del problema.

• Capitolo 4: Duplicazione del cubo

13

(Dato un cubo di volume noto, costruire, facendo solamente uso di una

riga non marcata e di un compasso, il lato di un nuovo cubo di volume

doppio).

La nascita di tale problema è legata ad una interessante leggenda, la

cosiddetta leggenda di Delo. Ci troviamo nel V secolo a.C., periodo

in cui gli Ateniesi si trovano a dover combattere contro un nemico più

forte di loro: una spietata epidemia di peste. Come era usanza all’

epoca, una parte dei cittadini decise di recarsi dall’ oracolo di Delo

per interrogarlo sul da farsi. L’ oracolo affermò che l’ unico modo per

sconfiggere la malattia sarebbe stato quello di duplicare l’ altare cubico

del dio Apollo. Credendo che si trattasse di una banalità, si misero

subito all’ opera raddoppiando il lato dell’ altare. È chiaro, però, che

la malattia persistette: invece di duplicare il cubo lo avevano reso ot-

to volte più grande (un cubo di lato a ha volume a3, un cubo di lato

2a ha volume 8a3). Rendendosi conto della difficoltà del problema la

soluzione fu affidata a nomi quali Ippocrate di Chio o Menecmo. A quei

tempi i geometri erano esperti nel trattare le trasformazioni di aree e

le proporzioni. Per loro, ad esempio, trasformare un rettangolo di lati

a e b in un quadrato equivalente di lato x era una banalità, sapevano

che era sufficiente risolvere la proporzione a : x = x : b. Ecco come

arrivarono a pensare di poter duplicare un cubo tramite la proporzione

doppia a : x = x : y = y : 2a. Fu, quindi, Ippocrate a capire che,

per risolvere il problema, bisognava trovare una curva dotata della pro-

prietà richiesta, mentre fu Menecmo a studiarla e a darne un nome.

Questa, storicamente parlando, è la prima volta in cui si sente parlare

di parabole. Non solo avevano trovato una soluzione più che valida

al problema, e non solo tale soluzione aveva ampliato le conoscenze

matematiche di ben tre nuove curve (oggi note come parabola, ellissi

ed iperbole), ma erano anche riusciti a ridurre un problema complesso

14

ad uno molto più semplice: la doppia media proporzionale. Chiara-

mente si diffonde velocemente la volontà di trovare una soluzione il più

semplice possibile, idea che persiste per secoli. Abbiamo a disposizione

numerose costruzioni che sfruttano le coniche date da nomi quali Archi-

ta (la cui soluzione fu resa più facilmente eseguibile nel 1821 da Flauti

con una semplice applicazione di geometria descrittiva) o Eudosso e, in

tempi più moderni, da Cartesio o Sluse (dal quale ereditiamo l’ unica

soluzione che sfrutta l’ ellisse). Parallelamente a queste possiamo, poi,

ammirare soluzioni date utilizzando i problemi di inserzione, problemi

già visti durante la trattazione della trisezione di un angolo, tra cui

una, di particolare interesse, data da Nicomede, che sfrutta una cur-

va da lui stesso studiata, detta concoide. Nicomede pensò anche ad

uno strumento che rendesse veloce la costruzione di tale curva, proprio

come un compasso rende possibile la costruzione di un cerchio. Tale

curva colpì molto l’ interesse di Newton tanto che, esso stesso, la uti-

lizzò per dare una personale soluzione al problema della doppia media

proporzionale. È chiaro, però, che nessuna di queste soluzioni sfrutta i

soli mezzi elementari La teoria di Galois ci permette di concludere che

non è possibile duplicare un cubo facendo solamente uso di una riga

non marcata e di un compasso. Consideriamo, per semplicità, un cubo

di volume unitario. Il cubo che vogliamo ottenere dovrà avere volume

2, e conseguentemente lato pari a 3√

2. Ma allora [Q : Q( 3√

2) = 3 e

non minore o uguale di 2 come richiesto dalla teoria di costruibilità.

La costruzione esatta non è quindi possibile, ma, spesso, nella pratica,

è sufficiente una costruzione approssimata. Il quarto capitolo termina

proprio con una costruzione approssimata che sfrutta riga e compasso.

• Capitolo 5: Poliedri regolari

(Determinare i poliedri regolari dello spazio).

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Si tratta di un problema di grande valenza storica che troverà soluzione

moderna grazie ad Eulero. Al di là delle varie teorie che si sono svilup-

pate negli ultimi anni, ancora oggi è certo che fu Teeteto, amico di

Platone, nato nell’ Attica nel 414 a.C., a scrivere sui cosiddetti solidi

platonici. Euclide, nel tredicesimo libro dei suoi “Elementi”, afferma

che, in realtà, tre di questi solidi sono dovuti a Pitagora, ma che so-

lamente grazie a Teeteto abbiamo potuto conoscere l’ ottaedro e l’

icosaedro. Inoltre va, sicuramente, attribuito a Teeteto il teorema che

ci dimostra che i solidi regolari sono solamente 5. L’ importanza storica

del problema sta proprio in questo: già 400 anni prima della nascita di

Cristo si sapeva con certezza quanti e quali fossero questi solidi. Dagli

studi fatti da Teeteto, Platone fa discendere un suo importante dialogo,

il “Timeo”, nel quale associa la Terra al cubo, la qualità di penetrare,

propria del Fuoco, al tetraedro, l’ Aria all’ apparente “mobilità” dell’ ot-

taedro, e l’ Acqua alle molte facce dell’ icosaedro. Avendo, poi, scoperto

un quinto solido regolare (la cosiddetta “Quinta Combinazione”) pensò

di poterlo associare all’ intero Creato, o, quanto meno, ad una sorta

di etere che doveva pervaderlo tutto. Inoltre Platone spiegò come le

reazioni chimiche di base potessero essere descritte utilizzando queste

semplici proprietà. Per esempio, quando l’ Acqua viene scaldata dal

Fuoco, essa produce due particelle d’ Aria ed una di Fuoco, ed infat-

ti, attraverso il numero delle facce dei solidi corrispondenti, otteniamo

20 = 2 ·8+4. Osservando, poi, che i solidi platonici sono gli unici in cui

le facce sono identiche ed equilatere e che ogni solido può essere circo-

scritto da una sfera sulla quale giacerà ogni suo vertice è stato possibile

studiare le particolari simmetrie che i poliedri regolari sottintendono:

un cubo ed un ottaedro hanno lo stesso numero di spigoli (12), ma

mentre il cubo ha sei facce e otto vertici, l’ ottaedro ha otto facce e sei

vertici. Se uniamo i centri di ogni faccia di un cubo otterremo un ottae-

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dro inscritto nel cubo. Se uniamo i centri di ogni faccia di un ottaedro

otterremo un cubo inscritto nell’ ottaedro. Discorso analogo varrà per

un dodecaedro e un icosaedro, mentre il tetraedro si “autoriproduce”.

Accanto ai solidi platonici vanno menzionati i solidi semiregolari stu-

diati da Archimede. Si tratta di solidi le cui facce risultano costituite

da poligoni equilateri ed equiangoli ma tali poligoni non sono tutti di

un unico tipo (troviamo, ad esempio, triangoli insieme a quadrati, tri-

angoli insieme a pentagoni, e così via). Da un punto di vista moderno,

come preannunciato, la soluzione al problema va attribuita a Eulero il

quale riuscì a dimostrare che i solidi regolari sono solamente 5, cioè i

solidi platonici sono tutti e soli i poliedri regolari.

• Capitolo 6: Sezione aurea

(Dividere un segmento, facendo solamente uso di una riga non marcata

e di un compasso, in estrema e media ragione, ossia trovare un punto

su di esso tale che la lunghezza di tutto il segmento sta alla sua parte

maggiore come la sua parte maggiore sta alla minore).

Si tratta del problema di maggior fascino trattato in questa sede in

quanto le origini dei suoi studi risalgono ai tempi dei greci, ma studi

fatti su opere egiziane o babilonesi testimoniano che il numero aureo

veniva già utilizzato in epoche così antiche. Come è possibile? Cos’ è il

numero aureo (Φ)? Nella vita quotidiana la parola “proporzione” viene

utilizzata per descrivere un concetto di armonia tra parti differenti. In

matematica, invece, questa stessa parola assume un significato, almeno

apparentemente, differente. Una proporzione è, infatti, un’ uguaglianza

tra due rapporti. La proporzione aurea ha il grande potere di riunire

queste due definizioni in un’ unica. Questo apparentemente anonimo

numero irrazionale ha la proprietà di rendere armoniosa una qualsiasi

forma geometrica. In questi termini è semplice capire come è possibile

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che già popolazioni antiche potessero sfruttarlo. Il primo documento

che abbiamo riguardo l’ argomento risale ai tempi di Euclide (300 a.C.).

In uno dei libri dei suoi “Elementi” leggiamo che un segmento AB può

essere sempre diviso in estrema e media ragione da un punto C in modo

tale che AB : AC = AC : CB. Se poi poniamo AC = x e CB = 1 ot-

teniamo (x + 1) : x = x : 1. Da qui otteniamo l’ equazione x2 = x + 1,

le cui soluzioni saranno Φ e 1Φ. Nell’ elaborato verrà poi dimostrata

la scrittura corretta di tale numero come somma di radici quadrate o

come frazione continua. Si tratta di una frazione costituita da tutti 1,

per cui il numero aureo è il numero irrazionale che converge più lenta-

mente. Strettamente legato al numero aureo è il celebre matematico

Leonardo di Pisa (Leonardo Fibonacci). In che modo? Fibonacci è og-

gi noto per una particolare successione numerica (detta di Fibonacci).

La successione parte da una coppia di 1 e ogni termine successivo sarà

somma dei due precedenti (1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, ...). Gli

studi riguardanti questi numeri partirono da un problema da lui stesso

posto:

“Consideriamo una coppia di conigli che possa riprodursi. Supponiamo

che ogni mese ogni coppia adulta ne produce una giovane ed ogni coppia

giovane diventa adulta. Quante coppie di conigli abbiamo dopo un

anno?”

In che modo la riproduzione dei conigli può essere legata al numero au-

reo? Se Fn è un numero di Fibonacci ed Fn+1 è il suo successivo otterrò

che lim Fn+1

Fn= Φ. Tale proprietà è stata studiata dal noto fisico Keplero

nel 1597. Tramite il numero aureo è possibile costruire svariate figure

geometriche come, ad esempio, il rettangolo aureo (rettangolo in cui il

rapporto tra le due dimensioni è pari a Φ), il triangolo aureo (triangolo

isoscele in cui il rapporto tra il lato obliquo e la base è pari a Φ) o anche

un pentagono (la cui costruzione si ottiene a partire da un triangolo

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aureo). La proprietà delle figure auree sta nel fatto che possono es-

sere sempre sezionate in figure più piccole che rimangono figure auree.

Consideriamo ora opere come il “Partenone” o la “Madonna delle rocce”

di Leonardo da Vinci. Queste, e molte altre, potranno essere perfet-

tamente inscritte in un rettangolo aureo. È quindi chiaro che questo

numero ha grande importanza nell’ arte figurativa. Ma solo in questa

forma d’ arte? La risposta è negativa. Come vedremo leggendo l’ elab-

orato, il numero Φ compare anche in quelle forme d’ arte che vanno

“ascoltate” e non “viste” come possono essere la musica o la poesia.

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