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PROCOPIO DI CESAREA Procopio (490-555?) nacque a Cesarea in Palestina, compì gli studi di filosofia, retorica, diritto a Gaza, esercitò, forse, a Costantinopoli, in veste di avvocato. Fu scelto nel 52 7 da Belisario come consigliere nella sua prima campagna contro la Persia, gli fu a fianco come paredro (coadiutore a latere) in Africa, in Italia, poz� pare, di nuovo in Persia. Era a Costantino- poli nel 542: la sua drammatica, circostanziata descrizione dea peste rivela il testimone oculare. Nulla si sa degli ultimi anni della sua vita. Nel libello Vendite ali' asta dei filosofi, Luciano, il noto sofista del II sec. d.C., dichiara che di Aristotele ce ne sono due: «queo che si vede dal di fuori sembra uno, quello dall'interno un altro». La stessa formula si può adottare per Procopio: come Aristotele scrisse per un largo pubbl ico e per la cerchia ristretta dei suoi discepol i, così Procopio scrisse per il regime Le guerre, Sugli edifici, e, di nascosto, per il ristretto ceto patrizio, le Carte segrete. I libri sulle Guerre (sette pubblicati insieme, uno più tardi) hanno come argomento la lotta contro i persiani� la spedizione contro i vandali� in Africa, lo scontro con i goti in Italia: il quadro si chiude, nel settimo libro, con il 551; nell'ottavo libro sono trattati gli eventi dal 55 1 al 553 in Persia, nelle regioni danubiane, in Italia; viene abbandonato il criterio di procedere per teatri di operazione, sono raggruppati per blocchi cronologici gli avvenimenti dei vari settori. L'opera è sostenuta da uno sforzo costante di rerire con imparzialità, di chiarire oggettiva- mente gli accadimenti� che sono spiegati nei loro nessi, ricondot- ti alla loro genesi, collocati nei loro luoghi precisi. I giudizi sui personaggi sono equilibrati, anche se a Belisario viene riservata un 'autentica celebrazione; certo, l'idea dell'imperium Roma- num attraversa l'opera, ma Procopio sa bene cosa sta succeden- do, avverte che il passato di Roma è ormai una forma vuota. Eccellenti sono i resoconti militari. 4 7

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Page 1: PROCOPIO DI CESAREA - uniroma1.it...Africa, in Italia, poz pare, di nuovo in Persia. Era a Costantino poli nel 542: la sua drammatica, circostanziata descrizione della peste rivela

PROCOPIO DI CESAREA

Procopio (490-555?) nacque a Cesarea in Palestina, compì gli studi di filosofia, retorica, diritto a Gaza, esercitò, forse, a Costantinopoli, in veste di avvocato. Fu scelto nel 52 7 da Belisario come consigliere nella sua prima campagna contro la Persia, gli fu a fianco come paredro (coadiutore a latere) in Africa, in Italia, poz� pare, di nuovo in Persia. Era a Costantino­poli nel 542: la sua drammatica, circostanziata descrizione della peste rivela il testimone oculare. Nulla si sa degli ultimi anni della sua vita.

Nel libello Vendite ali' asta dei filosofi, Luciano, il noto sofista del II sec. d.C., dichiara che di Aristotele ce ne sono due: «quello che si vede dal di fuori sembra uno, quello dall'interno un altro». La stessa formula si può adottare per Procopio: come Aristotele scrisse per un largo pubblico e per la cerchia ristretta dei suoi discepoli, così Procopio scrisse per il regime Le guerre, Sugli edifici, e, di nascosto, per il ristretto ceto patrizio, le Carte segrete.

I libri sulle Guerre (sette pubblicati insieme, uno più tardi) hanno come argomento la lotta contro i persiani� la spedizione contro i vandali� in Africa, lo scontro con i goti in Italia: il quadro si chiude, nel settimo libro, con il 551; nell'ottavo libro sono trattati gli eventi dal 5 51 al 5 5 3 in Persia, nelle regioni danubiane, in Italia; viene abbandonato il criterio di procedere per teatri di operazione, sono raggruppati per blocchi cronologici gli avvenimenti dei vari settori. L 'opera è sostenuta da uno sforzo costante di riferire con imparzialità, di chiarire oggettiva­mente gli accadimenti� che sono spiegati nei loro nessi, ricondot­ti alla loro genesi, collocati nei loro luoghi precisi. I giudizi sui personaggi sono equilibrati, anche se a Belisario viene riservata un 'autentica celebrazione; certo, l'idea dell'imperium Roma­num attraversa l'opera, ma Procopio sa bene cosa sta succeden­do, avverte che il passato di Roma è ormai una forma vuota. Eccellenti sono i resoconti militari.

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L'ETÀ Dl GIUSTINIANO

Nella Storia inedita (o Carte segrete), invece, Procopio interpreta la realtà contemporanea da un'angolazione partigia­na, traccia una biografia nera del suo eroe Belisario, ma soprattutto di Giustiniano, ipocrita e despota, e della sua scandalosa consorte Teodora (allo scopo, forse, di rafforzare il fronte senatoriale contro l'imperatore?) .

Segnati di nuovo da rispetto per l'autorità (e forse commissio­nati dal Palazzo) sono i sei libri Sugli edifici. In essi Procopio passa in rassegna l'infaticabile attività edilizia (civile, militare e religiosa) di Giustiniano in tutto il territorio dell'impero, con intento palesemente esaltatorio, ma rivelandosi un competente anche in campo architettonico e urbanistico.

Procopio subi' profondamente l'influsso stilistico di Erodoto e Tucidide, volle adeguare il proprio dire ai canoni del greco classico: raramente affiorano in lui tracce del linguaggio dei suoi giorni.

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IL SIMBOLO DI UN IMPERO: SANTA SOFIA;'

Incendiata durante la rivolta di Nzka, Santa Sofia risorge più grande e fastosa: un panegirico, di rara bellezza, in lode di Giustiniano.

Proemio Non certo per sfoggiare bravura, né per fiducia nella

potenza della parola e tanto meno per vantarmi della mia conoscenza dei luoghi, mi sono deciso a comporre quest'opera storiografica; non avevo alcun motivo di spingere a tal punto la presunzione. Ma spesso mi è capitato di pensare a quanti e quali vantaggi la storia suole procurare alle città: essa trasmet­te ai posteri la memoria del passato, in perpetua lotta col tempo che incessantemente tenta di coprire gli avvenimenti con l'oblio, sprona sempre con i suoi elogi il lettore alla virtù e attaccando invece di continuo la malvagità, ne riduce l'influs­so. Questo soltanto deve esserci sempre presente e costituire il nostro scopo, e cioè che i fatti siano sempre chiaramente visibili, così come colui che, fra tutti gli uomini, li ha compiuti. Il compito, io credo, non è impossibile nemmeno per una voce balbettante e fievole. A parte questo, la storia ci mostra come i sudditi, se beneficati, furono grati ai sovrani che li beneficaro­no e ad essi espressero gratitudine in misura ancora maggiore, poiché, pur avendo goduto forse solo per un istante il beneficio di chi li governava, custodiscono eterna nelle future generazioni la memoria della sua virtù. Perciò anche molti dei posteri perseguono la virtù e cercano di emulare le gesta dei progenitori evitando, per timore delle calunnie, azioni vergo­gnose. Quali siano i motivi della mia premessa, lo mostrerò subito.

·

In questi nostri tempi regna l'imperatore Giustiniano. Egli

.. Da De aedzficiis, r, 1-30.

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PROCOPIO DI CESAREA

assunse la direzione di uno stato incurabilmente disgregato e lo rese più grande per estensione e molto più splendido, scacciandone dai confini i barbari, antichi tormentatori, così come ho già narrato dettagliatamente nella mia opera sulle guerre. Ora appunto si racconta che un tempo Temistocle, figlio di Neocle, si vantò orgogliosamente di possedere la facoltà di trasformare una piccola città in una grande. Giusti­niano invece possiede l 'abilità di conquistare altri stati. Molti paesi, infatti, che all'epoca non appartenevano all'impero romano, li ha incorporati ad esso ed ha creato innumerevoli città che prima non esistevano. Avendo trovato che l'insegna­mento religioso prima di lui si era spesso trovato invischiato in errori ed era stato costretto a peregrinare in svariate direzioni, annientò tutte le vie che conducono all'errore e riuscì a tenerlo saldo nella certezza della fede su un unico fondamento. Egli si assunse inoltre le leggi, che per essersi inutilmente moltiplica­te, erano oscure, e, per essere cadute in reciproca contraddi­zione, erano confuse. Purificandole dunque dalla massa di sottili pedanterie e rafforzandole con certezza dalle loro incoerenze, le salvò. Contro chi attentava alla sua persona rinunciò volontariamente all'atto di accusa, colmando invece di ogni benessere i bisognosi, usando violenza al loro destino di oppressione, tutti provvedimenti con i quali riuscì a sposare esigenza di stato e comune felicità. Ed infine, ha rinforzato con moltissime truppe l'impero romano, minacciato da ogni parte dai barbari, ed ha fortificato tutte le sue regioni di confine allestendo impianti difensivi.

Gran parte delle sue imprese le ho già raccontate in altri libri; in questo descriverò tutte le meraviglie da lui compiute quale costruttore. Il persiano Ciro passa per il migliore degli imperatori, a quanto ne sappiamo, e per i suoi compatrioti egli è soprattutto il fondatore dell'impero quale istituzione. Se l'educazione di Ciro sia stata come Senofonte ateniese descri­ve, non ho modo di verificare. Probabilmente l' abilità dello scrittore, adornata dalla suggestione della parola, gli permise di realizzare un abbellimento delle sue effettive imprese. Se invece si volesse esaminare attentamente il governo del nostro attuale imperatore Giustiniano (chi lo definisse un imperatore buono per natura sarebbe, credo, nel giusto, poiché egli è soave come un padre, per dirla con Omero), verrebbe quasi

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L'ETÀ DI GIUSTINIANO

da pensare che al paragone il governo di Ciro non sia che un gioco da bambini. La riprova è, da una parte, lo stato da lui retto, più che raddoppiatosi, come ho appena detto, in estensione e ulteriore potenza, dall'altra, quegli stessi che macchinarono contro di lui tradimento e addirittura assassinio fino ad oggi sono ancora in vita, non solo, ma pur riconosciuti colpevoli senza ombra di dubbio, continuano ad essere padro­ni del loro patrimonio, e addirittura, quali comandanti dell' e­sercito, sono a capo dei romani e rivestono la dignità di console.

Adesso però, come preannunciato, ci rivolgeremo alle costruzioni promosse dall'imperatore, per impedire che i posteri, di fronte alla loro quantità e magnificenza, esitino a attribuirle a opera di un unico uomo. Spesso infatti molte realizzazioni del passato, non confermate dalla testimonianza scritta, a causa della sbalorditiva grandezza che presupporreb­bero in chi le ha promosse, han suscitato dubbi. Naturalmente gli edifici di Costantinopoli costituiranno innanzi tutto la base l: della mia descrizione; secondo un antico detto, infatti, è opportuno dare ad un'opera che si comincia un volto risplen- e dente. 1

Uomini comuni ed il volgo si sollevarono un tempo in a Bisanzio contro l'imperatore Giustiniano, provocando quella L che fu chiamata la rivolta di Nika: di essa ho scritto aperta- c mente e dettagliatamente nel mio libro sulle guerre. ' Questi s individui mostrarono con il loro comportamento di aver preso i: le armi non solo contro l'imperatore ma, empi qual erano, c niente di meno che contro Dio. Essi osarono infatti appiccare l' il fuoco alla chiesa dei cristiani (Sofia la chiamano i bizantini, n dando così a Dio il più conveniente degli attributi) . Iddio n permise loro di compiere questa empietà prevedendo in quale s splendore questo santuario si sarebbe trasformato. La chiesa d dunque, in preda alle fiamme, giacque completamente in d rovina. L'imperatore Giustiniano però, poco dopo, la riedifi- si cò: in un modo, a mio parere, tale, che, se un cristiano prima del fatto avesse chiesto alla gente se era d'accordo a vedere distrutta e ricostruita così la chiesa, mostrando loro un'imma-gine dell'edificio attuale, chiunque si sarebbe immediatamente

1 Cfr. pp. 49 sgg. 2

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PROCOPIO DI CESAREA

augurato di assistere subito alla distruzione e metamorfosi della chiesa nella forma che ha adesso. L'imperatore, infatti, senza badare a spese, si accinse con zelo all'opera e chiamò a sé architetti da tutte le parti del mondo. Antemio di Tralli,2 di gran lunga il migliore ingegnere, non solo fra i suoi contempo­ranei ma anche fra i suoi predecessori, si mise a servizio dello zelo imperiale, coordinando il lavoro dei muratori e schizzan­do i piani per la nuova creazione. Lo affiancava un altro ingegnere, Isidoro di Mileto, un uomo veramente intelligente e degno di servire l'imperatore Giustiniano. Era anche questo però un segno della benevolenza divina nei confronti dell'im­peratore, il porgli cioè a disposizione le persone più adatte per la realizzazione dei suoi piani. E naturalmente anche l'intelli­genza dell'imperatore stesso deve suscitare ammirazione: egli aveva la capacità di scegliere, fra tutti, gli uomini più idonei per le opere più importanti.

La chiesa, dunque, costituisce uno spettacolo di compiuta bellezza, sconvolgente per chi lo contempla, incredibile per chi ne sente solo parlare. Essa si erge fin quasi a toccare il cielo e quasi ondeggiando svetta sugli altri edifici sovrastando l'intera città. Della città rappresenta il gioiello, poiché le appartiene, ma ne viene al tempo stesso abbellita, essendone una parte e, come suo culmine, si eleva così in alto, che dalla chiesa si può contemplare la città come da un osservatorio. La sua larghezza e la sua lunghezza sono armoniosamente conce­pite, sì che le sue gigantesche dimensioni non possono essere considerate eccessive. In incomparabile bellezza si offre al-1' ammirazione. Maestà e armonia di proporzioni l 'adornano e non ha nulla di troppo e nulla di troppo poco, poiché è più magnifica del consueto e più regolare di ciò che è smodato e straordinariamente inondata di luce e di raggi di sole. Si direbbe quasi che l 'ambiente non venga illuminato dal sole, dall'esterno, ma che la luminosità scaturisca dall'interno stesso, tale è la ricchezza di luce che si riversa nel santuario.

Traduzione di Carolina Cupane Kislinger

2 Cfr. p. 136 nota 7 .

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PAOLO SILENZIARIO

Paolo Silenziario' (500-575?), di famiglia illustre e ricca, figlio forse di un poeta, occupò uno dei primi posti tra i dignitari della corte, riuscendo, per altro, a praticare poesia e eloquenza. Fu suocero di Agazia di Mirina (v. p. 129).

Restano di lui un'ottantina di epigrammi votivi, su opere d'arte, /unerarz� erotici. Avrebbero dovuto essere per programma «imitazioni dotte degli antichi», ma, almeno quelli d'amore, hanno tratti assolutamente non convenzionali. Hanno qualcosa di estremo, di sfrenato, esprimono lo scatenarsi della carne, compongono un canto affannoso e gaudente al tempo stesso. Non sono all'insegna del carpe diem,- sono incontri fermati in un istante, bloccati nel momento più intenso del desiderio. Non tracciano una storia, stanno affiancati l'uno all'altro, sempre a rilevare un 'acme, in una dimensione molto fisica. Ma talora vibra anche una componente affettiva, che induce Paolo a so/fermarsi sulla bellezza un po' sfiorita della donna amata, già al tramonto, e balenano anche fugaci sorrisi ironici.

Nel quadro della propaganda di regime rientrano due compo­nimenti laudativi� La descrizione del tempio di S. Sofia e La descrizione dell'ambone. Il poemetto sul tempio (134 trimetri giambici di allocuzione all'imperatore e al patriarca, 887 esame­tri dattilici) fu scritto per celebrare il secondo restauro della chiesa più grande della capitale nel 563,· il poemetto sull'ambo­ne (un pulpito, una tribuna al centro della chiesa utilizzata anche per l'incoronazione dell'imperatore) consta di 29 trimetri introduttivi e di 2 7 5 esametri, ed è di poco posteriore.

I Poemetti appartengono a un genere preciso, l'ekphrasis, ossia l'illustrazione di quadrz� statue, mosaicz� città: un genere che fior� in particolare, nella letteratura greca del periodo ellenistico (l'archetipo rimane lo scudo di Achille nel XVIII libro

1 Cfr., per il termine, p. 32 e p. 4 1 nota 1 1 .

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L'ETÀ DI GIUSTINIANO

dell'Iliade). C'è, in entrambi, un 'adesione molto sensuosa alle cose che l'occhio può percepire, ai marmi� alle lucz� alle tinte, un affollato elenco di tutte le possibili/acce dell'oggetto artistico, e, insieme, volz' retrospettivi di carattere mitico-letterario. I versi sono percorsi da un'autentica passione, fatta di tatto e vista, per i bei prodotti che il grande artefice sa fabbricare.

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SPLENDORE DI SANTA SOFIA'"

La descrizione vivida e sfolgorante del maggior edificio sacro bizantino.

Il rivestimento marmoreo delle pareti e del pavimento; l ' iconostasi

Chi mai potrebbe cantare con la voce risuonante di Omero i prati marmorei strettamente connessi che si stendono sulle solide pareti del maestoso tempio e sull'ampio pavimento? Poiché lo scalpello dell'artefice scalfì con il suo dente il dorso verdeggiante di Caristo e spaccò il variopinto collo roccioso di Frigia; esso si offre alla vista rosato e frammisto di candidi barbagli, o brilla lussureggiante delle più delicate sfumature purpuree ed argentee. Purpurea e punteggiata di leggiadre stelline risplende l'imponente e svettante massa di blocchi che calcò un giorno una nave da carico fluviale sul Nilo dalle belle braccia. Puoi vedere anche il verde luccichio del marmo laceno ed altre pietre scintillanti di tortuose volute, quali il profondo burrone delle colline di Iasos produce e che presen­tano strisce oblique rosso sangue e bianco perlaceo. Ed altre ancora, quante ne possiede il gomito montuoso di Lidia, fiori serpeggianti, misti di giallo e di rosso. Oppure quel marmo che il sole di Libia, fiammeggiante di dorato splendore, fa lampeggiare di riflessi oro e giallo zafferano sul dorso dai solchi profondi dei monti maurusi. O ancora la pietra scaturita dai monti celti dai profondi ghiacciai, sfavillante nelle sue tinte cupe, ma attraversata da molte venature lattee che si spandono errabonde così come il caso vuole. O anche quanto di più prezioso l'onice corrusco nelle sue cave risplendenti ha porta-

,., Da Ekphrasis di 5. Sofia, vv. 6 17-719, 884-920.

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L'c"f A DI GIUS11NIANO

to alla luce e quanto la terra atracia1 nella sue vaste pianure e non in orgogliosi burroni nasconde, talvolta di un verde intenso, non dissimile dallo smeraldo, talvolta di un verde ancora più scuro che si perde in blu. E vi trovi infine un candore quasi di neve unito al bagliore del nero, sì che la grazia dei marmi viene ulteriormente esaltata dalla mescolanza dei colori.

Prima di arrivare però al fulgore dell'opera musiva, la mano dell'artefice intessé piccole lastrelle di marmo e creò al di sopra delle lastre marmoree nel mezzo delle pareti un fregio continuo di corni traboccanti dei frutti rigogliosi dell'autunno, di cesti e di foglie, e sulle estremità dei rami pose a sedervi uccelli. Sopra questa fascia di corni artisticamente arcuati serpeggia tutt'intorno una vite dai pampini dorati, cui s'intrec­cia un nastro sinuoso di rami ricurvi. Esso s'inclina leggermen­te in avanti, e così ombreggia un poco anche i marmi circostanti con la sua ricurva ghirlanda di foglie. Tutto ciò circonda in tutto il suo perimetro la bella costruzione dell'in­terno. Ma anche al di sopra delle svettanti colonne, e precisa­mente sotto il cornicione di pietra che sporge all'infuori, si avvolge un'artistica corona di foglie d'acanto, che s'incurva flessuosa come un nastro vagante, dorata, leggiadra, con punte aguzze. Essa incornicia lastre marmoree di forma circolare simili a dischi purpurei, che irradiano tutt'intorno la grazia affascinante della pietra. Marmo di Proconneso ricopre l'inte­ro pavimento, che volentieri piega la schiena alla signora dominatrice.2 Con un dolce brivido risaltano su di esso i guizzi di luce del marmo del Bosforo, nereggiante alle estremità su un corpo candido.

La volta è ricoperta di mosaici dorati, da cui si riversa a fiotti un barbaglio aureo, insostenibile all'occhio umano. Sembra quasi di contemplare il sole di mezzogiorno nella stagione primaverile, quando indora ogni vetta. Ed infatti il mio signore, dopo aver unificato tutta quanta la terra ed aver ammassato innumerevoli tesori dei barbari e degli ausoni, non ritenne sufficiente una decorazione marmorea per la sede dell'immortale, divino tempio, in cui Roma aveva posto

1 La Tessaglia. 2 Santa Sofia.

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PAOLO SILENZIARlO

l'orgogliosa gioia di ogni speranza e non si risparmiò perciò una ricca decorazione d'argento: la catena montuosa del Pangea ed il promontorio del Sunion dovettero aprire tutte le loro vene argentifere e similmente si spalancarono i tesori delle nostre maestà. Difatti, tutto lo spazio dalla parte dell'ar­co orientale, che essi riservarono al sacrificio incruento sepa­randolo dal resto del grande tempio,3 non è delimitato né da avorio, né da lastre di marmo tagliate, né da bronzo. L'impera­tore recinse invece tutto lo spazio del presbiterio con lastre d'argento. E non soltanto alle pareti che separano il sacerdote dalla folla dei cantori coristi fece applicare tavole di argento fine, ma ricoprì di questo metallo anche tutte le colonne; dodici esse sono e rifulgono così a distanza nel loro splendore. Sul fusto di esse lo scalpello di una mano d'artista formò in armoniosa successione una serie di dischi ovali ed incise nel mezzo di ciascuno di essi l ' immagine del purissimo Iddio, che, non generato, rivestì l 'aspetto della forma mortale. Qui l'arti­sta creò anche una schiera di angeli alati che piegano umil­mente il collo al suolo - essi infatti non sopportano la vista della maestà divina, anche se celata in spoglie umane; perché Dio resta sempre Dio, anche se si è fatto carne per liberarci dai nostri peccati -. Qui il dente del ferro riprodusse anche i primi araldi del Signore, la cui voce profetica, ancor prima dell'Incarnazione, annunciò ovunque la venuta del Cristo. L'artista inoltre non tralasciò di raffigurare coloro a cui appartengono la nassa dei pesci e le reti< ma che, lasciandosi indietro le umili occupazioni della vita e le peccaminose cure, seguirono il comando del re celeste; essi divennero pescatori di uomini e adesso, al posto del mestiere del pescatore, tendono la bella rete della vita eterna. Dall'altro lato l'artefice rappresentò la madre di Cristo, vaso di luce sempiterna, il cui ventre portò nella sua sacra cavità il creatore del ventre stesso. Nel centro delle lastre del sacro recinto, che costituiscono una barriera tutt'intorno alla schiera dei sacerdoti, lo scalpello incise un segno molto significativo : esso contiene i nomi dell'imperatrice e dell'imperatore; parimenti, effigiò nel cen­tro degli scudi ovali la croce. Il recinto si apre tutto quanto ai

3 Il presbiterio. 4 Gli apostoli.

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L'ETÀ DI GIUS11NIANO

sacerdoti attraverso tre porte; su ciascuno dei due lati obli­qui però la mano dell' artefice aprì soltanto una stretta porti­cina.

L'illuminazione di Santa Sofia Migliaia di altre lampade contiene il variopinto edificio,

appese in alto a catene ricurve; illuminano i vestiboli, il corpo centrale, le parti laterali che guardano a oriente e a occidente, riversano sulle cupole un bagliore come di fiamma. Anche la notte qui risplende e come il giorno sorride e ha i piedi di rosa. Ed uno spettatore rallegra l'animo privo di ogni dolore contemplando le lampade del cerchio luminoso del coro o gli alberi risplendenti dell'iconostasi, un altro osservando una navata inondata di luce, un terzo s'incanta nel contemplare un'unica lampada isolata; un quarto, infine, si allieta nel cuore privo di ogni preoccupazione di fronte al simbolo celeste del Cristo. Come i viaggiatori, quando il cielo è sereno, guardano le stelle affacciarsi in vari punti, e chi osserva il dolce astro della sera, chi concentra l'attenzione sulla costellazione del Toro, un altro gode di Boote ed un altro ancora rivolge lo sguardo ad Orione e all'orbita sempre asciutta del carro; ricolmo di miriadi di stelle, l'etere spalanca i suoi sentieri e fa sorridere la stessa notte. Così, nel mezzo del vasto tempio illuminato a giorno, s 'incanta ciascuno ora a questo ora a quel raggio risplendente di luce. Per tutti si diffonde il chiaro sereno della gioia che scaccia dall'animo l'oscura nebbia del lutto. Per tutti risplende il sacro raggio; anche il navigante che comanda al timone che solca il mare - sia che egli lasci le ostili onde del Ponto infuriato e volga il corso attraverso i cozzanti gomiti delle due opposte rupi,5 pieno di terrore notturno per i serpeggianti sentieri, sia che, abbandonato l'Egeo, drizzi la nave costeggiando l'Ellesponto contro i vortici della corrente, a vele tese sotto la pressione del vento libico -non guarda ad Elice ed alla dolce luce dell'orsa cinosiride6 mentre pilota la nave dispensatrice di vita, ma allo splendore celeste del tuo tempio; esso è guida all'audace nave non

5 Le Simplegadi. 6 Cinosiride ( = coda di cane) è l'epiteto dato all'Orsa minore. Cfr. Arato, Phaen., v, 36.

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PAOLO SILENZIARIO

soltanto per il suo raggio notturno - lo stesso infatti fanno anche le coste di Proteo con il faro situato ai piedi della terra libica - ma anche con il benefico aiuto del Dio vivente.

Traduzione di Carolina Cupane Kislinger Note dei curatori

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