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122
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI DIPARTIMENTO DI FISICA ED ASTRONOMIA Master Universitario di II livello in MONITORAGGIO DELLE RADIAZIONI IONIZZANTI E NON IONIZZANTI E RISCHIO AMBIENTALE PROGETTO CIP n. 2007.IT.051.PO.003/IV/12/F/9.2.14/1368 - CUP n. E65C10000850009 Direttore: Prof. Antonio Triglia A.A. 2010-2011 Catania - luglio 2012 PRODUZIONE DI FASCI DI IONI ACCELERATI PRESSO I LABORATORI NAZIONALI DEL SUD ED ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI ANTONELLA ALESSANDRA BLANCATO Dott G.A.P. Cirrone Dott. S. Gammino Dott. D. Rifuggiato Sig. S. Russo Dott. G. Cuttone UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA Unione Europea Fondo Sociale Europeo "Investiamo per il vostro futuro" REGIONE SICILIANA Assessorato Regionale dell'Istruzione e della Formazione Professionale Dipartimento Regionale dell'Istruzione e della Formazione Professionale Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali SICILIA FONDO SOCIALE EUROPEO PROGRAMMA OPERATIVO 2007-2013 Tutor: I.N.F.N. Laboratori Nazionali del Sud Catania

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAFACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

DIPARTIMENTO DI FISICA ED ASTRONOMIA

Master Universitario di II livello inMONITORAGGIO DELLE RADIAZIONI IONIZZANTI E NON IONIZZANTI

E RISCHIO AMBIENTALEPROGETTO CIP n. 2007.IT.051.PO.003/IV/12/F/9.2.14/1368 - CUP n. E65C10000850009

Direttore: Prof. Antonio Triglia

A.A. 2010-2011Catania - luglio 2012

PRODUZIONE DI FASCI DI IONI ACCELERATI PRESSO ILABORATORI NAZIONALI DEL SUD ED ASPETTI

RADIOPROTEZIONISTICI

ANTONELLA ALESSANDRA BLANCATO

Dott G.A.P. CirroneDott. S. GamminoDott. D. RifuggiatoSig. S. Russo

Dott. G. Cuttone

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DICATANIA

Unione EuropeaFondo Sociale Europeo

"Investiamo per il vostro futuro"

REGIONE SICILIANAAssessorato Regionale dell'Istruzione

e della Formazione ProfessionaleDipartimento Regionale dell'Istruzione

e della Formazione Professionale

Ministero del Lavoroe delle Politiche Sociali

SICILIAFONDO SOCIALE EUROPEOPROGRAMMA OPERATIVO 2007-2013

Tutor:

I.N.F.N. Laboratori Nazionali delSud Catania

Il futuro è una palla di cannone acceso

e noi la stiamo quasi raggiungendo.

Francesco De Gregori, I muscoli del Capitano

INDICE

v

INDICE

ELENCO DELLE FIGURE vii

ELENCO DELLE TABELLE X

SOMMARIO xi

1. SORGENTI DI IONI 1

1.1. Introduzione ai processi di produzione ......................................... 1

1.1.1. Definizione di plasma e lunghezza di Debye ........................... 1

1.1.2. Le sorgenti ECR ....................................................................... 4

1.2. La sorgente superconduttiva SERSE ........................................... 7

1.3. La sorgente CAESAR ............................................................... 11

1.4. Produzione di ioni negativi:il processo di Sputtering ................ 13

2. ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS 17

2.1. Gli acceleratori di particelle ..................................................... 17

2.1.1. Acceleratori elettrostatici: il Tandem Van der Graaff ............ 19

2.1.2. Acceleratori circolari: il Ciclotrone Superconduttore K800 .. 25

2.2. La linea di trasporto dei fasci ................................................... 36

2.2.1. I sistemi di deflessione e focalizzazione ............................... 37

2.2.2. Monitoraggio del trasporto .................................................... 40

3. ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI 43

3.1. Interazioni della radiazione con la materia ............................... 43

3.1.1. Interazioni delle particelle cariche con la materia ................. 44

3.1.2. Interazioni dei fotoni con la materia ...................................... 50

3.1.3. Interazioni dei neutroni .......................................................... 54

3.2. Cenni di dosimetria ................................................................... 57

3.2.1. Grandezze fisiche .................................................................. 59

3.2.2. Grandezze dosimetriche ........................................................ 60

3.2.3. Grandezze radioprotezionistiche ........................................... 63

3.2.4. Grandezze operative .............................................................. 64

3.3. Problematiche relative alla radioprotezione ............................. 68

3.3.1. Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti ........................... 69

3.3.2. La radioprotezione nella normativa italiana .......................... 71

INDICE

vi

3.4. Dispositivi di radioprotezione .................................................. 79

3.4.1. Strumenti per la sorveglianza individuale ............................. 79

3.4.2. Strumenti portatili ................................................................. 82

3.4.3. Monitori del livello di irradiazione esterna ........................... 90

3.4.4. Misure di contaminazione: la spettroscopia gamma con HPGe .

................................................................................................. 93

3.5. Rischi di radiazione presso i LNS ............................................ 98

3.5.1. Radiazione pronta e radiazione residua ................................. 98

3.5.2. Schermature ......................................................................... 101

3.5.3. Sistemi di sicurezza, controllo e schermature ..................... 102

4. CONCLUSIONI 105

APPENDICE A ALTRE GRANDEZZE DOSIMETRICHE E

RADIOPROTEZIONISTICHE 107

BIBLIOGRAFIA 109

INDICE

vii

ELENCO DELLE FIGURE

FIGURA 1.1 Schema di una sorgente ECR e forma del plasma al suo

interno…. .......................................................................... 5

FIGURA 1.2 La sorgente superconduttiva SERSE ai LNS .................... 8

FIGURA 1.3 Schema della sorgente SERSE ai LNS-INFN e della

relativa linea di fascio… ................................................. 10

FIGURA 1.4 La sorgente CAESAR ..................................................... 13

FIGURA 1.5 L'iniettore di ioni negativi da 450 kV ai LNS. ................ 15

FIGURA 2.1 Schema di un tipico acceleratore Van der Graaff. .......... 20

FIGURA 2.2 Rappresentazione schematica di un acceleratore Tandem.

........................................................................................ 21

FIGURA 2.3 Stati di carica prodotti dal processo di stripping nel caso

di una sorgente di ioni O-. ............................................... 23

FIGURA 2.4 Acceleratore TANDEM ai LNS. .................................... 25

FIGURA 2.5 Principio di funzionamento di un ciclotrone. .................. 27

FIGURA 2.6 Schema della suddivisione in settori (creste e valli) delle

espansioni polari di un ciclotrone. .................................. 29

FIGURA 2.7 Diagramma della variazione del campo magnetico in

funzione dell'angolo azimutale. ...................................... 30

FIGURA 2.8 Schema di un ciclotrone a tre settori ............................... 31

FIGURA 2.9 Interno del Ciclotrone Superconduttore K800. ............... 32

FIGURA 2.10 Schema dell'estrazione mediante sistemi elettrostatici ... 33

FIGURA 2.11 Immagine completa del Ciclotrone Superconduttore K800

dei LNS e sue principali caratteristiche tecniche ............ 35

FIGURA 2.12 Deflessione da parte di un dipolo magnetico di un fascio

di ioni di tre differenti masse .......................................... 38

INDICE

viii

FIGURA 2.13 Effetto di focalizzazione di due quadrupoli con polarità

invertita posti in successione lungo la linea di fascio ..... 39

FIGURA 2.14 Magneti quadrupolo usati per il sincrotrone SOLEIL a

Saint Aubin vicino Parigi, Francia ................................. 40

FIGURA 2.15 Layout delle varie sale sperimentali presso i LNS di

Catania ............................................................................ 42

FIGURA 3.1 Stopping power dell'acqua per diversi tipi di particelle

cariche pesante e particelle beta ..................................... 48

FIGURA 3.2 Andamento del coefficiente di assorbimento massico in

funzione dell'energia per il Piombo ................................ 54

FIGURA 3.3 Energia persa per unità di percorso in funzione della

profondità in acqua ......................................................... 57

FIGURA 3.4 Fattori peso per radiazione a diverse energie ................. 64

FIGURA 3.5 Fattori peso dei diversi tessuti ed organi ........................ 65

FIGURA 3.6 Schematizzazione di campo reale (a), campo allineato ed

espanso (b) ed espanso (c) .............................................. 67

FIGURA 3.7 Effetto delle radiazioni ionizzanti sulla catena del DNA ...

........................................................................................ 70

FIGURA 3.8 Limiti di dose fissati dal D.Lgs. 230/95 e s.m.i. per la

classificazione dei lavoratori .......................................... 75

FIGURA 3.9 Schema riassuntivo della classificazione dei lavoratori . 76

FIGURA 3.10 Classificazione dei lavoratori esposti nelle categorie A e

B come prevista dall'attuale normativa vigente .............. 77

FIGURA 3.11 Classificazione delle aree ............................................... 78

FIGURA 3.12 Alcuni tipi di dosimetri personali, di tipo passivo,

attualmente in uso presso i LNS ..................................... 81

FIGURA 3.13 Rivelatore Berthold modello TOL/F per la rivelazione di

radiazioni beta, X e gamma ............................................ 84

FIGURA 3.14 Rivelatore di neutroni Berthold modello LB 6411 ......... 85

INDICE

ix

FIGURA 3.15 Confronto tra spettri in energia teorici e spettri come

misurati dal rivelatore BTI Spectroscopic Beta Probe per

tre diverse sorgenti beta .................................................. 86

FIGURA 3.16 Rivelatore per spettroscopia beta BTI Spectroscopic Beta

Probe ............................................................................... 87

FIGURA 3.17 Risposta del rivelatore Ludlum Model 44-9 normalizzata

rispetto alla risposta ad una sorgente di 137

Cs

........................................................................................ 88

FIGURA 3.18 Rivelatore tipo Pan - Cake Ludlum Model 44-9

accoppiato ad un Survey meter sempre della LUDLUM....

........................................................................................ 89

FIGURA 3.19 Layout della disposizione dei monitor fissi presso le sale

sperimentali dei LNS ...................................................... 92

FIGURA 3.20 Esempio di spettro relativo ad una sorgente per la

calibrazione in efficienza e curva di calibrazione ........... 95

FIGURA 3.21 Rivelatore ORTEC Trans SPEC DX 100 per misure di

contaminazione con spettroscopia gamma...................... 96

FIGURA 3.22 Spettro gamma di uno dei collimatori utilizzati nella

protonterapia di CATANA ............................................. 98

INDICE

x

ELENCO DELLE TABELLE

TABELLA 1.1 Tipiche correnti prodotte dalla sorgente CAESAR ... 12

TABELLA 3.1 Descrizione dei parametri presenti nella formula di

Bethe e Bloch ............................................................. 47

TABELLA 3.2 Valori di LET per alcune particelle ......................... 63

TABELLA 3.3 Elenco delle stazioni fisse di monitoraggio ambientale

presso i LNS ............................................................... 90

SOMMARIO

XI

Sommario

Questo project work prende spunto dall’attività di stage svolta dalla

sottoscritta presso i Laboratori Nazionali del Sud di Catania dell’INFN.

In occasione dello stage ho avuto modo di prendere coscienza delle

diverse attività di ricerca che ivi si svolgono e di rendermi conto degli

aspetti radioprotezionistici implicati all’interno di un laboratorio di

ricerca di fisica nucleare. I LNS sono infatti dotati di due acceleratori, un

Tandem Van de Graaff da 15MV ed un Ciclotrone Superconduttore

K800, una macchina molto compatta dotata di bobine superconduttrici in

grado di generare un campo magnetico fino a 4.8 Tesla. I fasci di ioni

iniettati nel Ciclotrone sono prodotti, secondo le esigenze, da due

sorgenti ECR chiamate SERSE e CAESAR.

Le due macchine consentono di produrre ed accelerare fasci di ioni

pesanti in un intervallo di energie molto ampio (1÷80 MeV/A) offrendo la

possibilità di investigare le diverse proprietà della materia nucleare oltre

che sperimentare e mettere a punto svariate applicazioni tecnologiche

che vanno dalla terapia di diversi tipi di melanomi oculari (progetto

CATANA, attivo dal Febbraio 2002), allo sviluppo di strumentazioni e

metodi d’indagine "in situ" per l’analisi chimico-fisica non distruttiva su

manufatti, monumenti ed opere d’arte (laboratorio LANDIS).

I fasci accelerati possono essere inviati nelle diverse sale

sperimentali dei LNS che sono dotate di complessi sistemi di

rivelazione, camere di reazione, sistemi da vuoto e di tutta la

strumentazione necessaria allo studio in questione.

La prima parte del project work tratterà della produzione ed

accelerazione dei fascio di ioni presentando, seppure nelle linee generali,

i principi teorici su cui questi si fondano e le tecnologie sfruttate presso i

LNS.

La seconda parte affronterà invece i rischi in chiave

radioprotezionistica che la presenza e l’utilizzo di questo tipo di

macchine può causare ai lavoratori.

In particolare verranno descritte le principali interazioni della

radiazione con la materia, introdotte le principali grandezze dosimetriche

e radioprotezionistiche, i mezzi normativi che legislazione italiana mette

a disposizione per la tutela dei lavoratori esposti al rischio di radiazioni

ionizzanti e gli effetti che queste possono avere sugli organismi viventi.

SOMMARIO

XII

Verranno altresì descritti i principali rivelatori, tra fissi e mobili,

impiegati dal servizio di radioprotezione dei LNS per la sorveglianza

fisica ed individuale dei lavoratori.

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

1

1. SORGENTI DI IONI

Per sorgente di ioni si intende definire una macchina in grado di

produrre un plasma con particolari caratteristiche, e quindi di estrarre il

contenuto ionico con una determinata distribuzione di carica e corrente.

In particolare, le sorgenti ECR (acronimo che sta per Electron Cyclotron

Resonance) sfruttano la proprietà degli elettroni di dar luogo ad

assorbimento risonante di onde elettromagnetiche in presenza di un

campo magnetico statico.

In generale si può affermare che, attraverso un opportuno sistema di

iniezione di gas e di microonde all’interno di una camera sotto vuoto e

grazie ad un opportuno sistema di confinamento magnetico, è possibile

riscaldare i pochi elettroni liberi presenti nel gas per mezzo dell’ECR e

produrre un plasma grazie agli urti ionizzanti elettrone-ione. Il plasma

sarà quindi formato da elettroni ed ioni con differenti stati di carica, la

cui distribuzione può essere in qualche modo predetta a partire da

considerazioni sulle proprietà fisiche del plasma.

Prima di passare a descrivere le sorgenti di ioni presenti ai LNS è

necessario quindi capire cosa si intenda per plasma, comprenderne le

caratteristiche principali e come sia composta una sorgente ECR. Queste

argomentazioni saranno trattate, sebbene in linee generali, nel seguente

paragrafo.

1.1 Introduzione ai processi di produzione

1.1.1 Definizione di plasma e lunghezza di Debye

Noto come quarto stato della materia, il plasma è lo stato più diffuso

nell’universo, rappresentando circa il 99% della materia che in esso è

contenuta. Si compone essenzialmente di tre tipi di particelle: ioni

positivi, elettroni e molecole neutre. Sulla terra la sua presenza risulta

essere alquanto limitata e, se escludiamo gli impieghi tecnologici e

industriali, lo si trova nell’atmosfera, costituendo lo strato detto

ionosfera che tanta importanza riveste nell’ambito delle

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

2

telecomunicazioni, e nelle cosiddette fasce di Van Allen che fungono da

efficace schermo contro le radiazioni solari. Il motivo di tale rarità lo si

intuisce facilmente osservando l’equazione di Saha [2]:

kT

iU

in

i en

T

n

n

2

3

21102.4= (1.1)

la quale indica che il numero di atomi ionizzati ni rispetto al numero

di atomi neutri nn varia con legge esponenziale in funzione dei parametri

T temperatura del gas, Ui potenziale di ionizzazione, k costante di

Boltzmann. Sostituendo all'equazione (1.1) valori numerici tipicamente

riscontrabili sulla terra, otteniamo:

12210=

n

i

n

n

(1.2)

che giustifica l’impossibilità di osservare plasmi sulla terra in

condizioni normali.

Non un qualunque gas ionizzato può essere definito plasma,

quest’ultimo, infatti è definito come un gas quasi-neutro di particelle

cariche e neutre che esibisce comportamenti collettivi. Per

comportamenti collettivi si intende che il moto delle particelle in una

determinata regione del plasma non dipende solo dalle condizioni locali,

bensì risente dello stato complessivo del sistema anche in regioni remote

rispetto a quella in esame.

Per comprendere il significato di quasi-neutro invece, è necessario

introdurre una nuova grandezza fisica: la lunghezza di Debye.

Una delle caratteristiche fondamentali del plasma è la sua capacità di

neutralizzare eventuali campi elettrici che vengono applicati al suo

interno. Se il plasma fosse freddo, ove per freddo si intende che ioni ed

elettroni non abbiano moto dovuto all’agitazione termica, la presenza di

un eventuale corpo carico al suo interno comporterebbe la formazione di

uno strato di cariche di segno opposto sulla superficie, le quali

neutralizzerebbero in tal modo il sistema. Tuttavia, poiché nella realtà

ioni ed elettroni possiedono un’energia termica, essi hanno la possibilità

di allontanarsi dal corpo carico e formare una sorta di nube attorno a

questo. Una stima delle dimensioni della nuvola può essere effettuata

supponendo che, data l’energia termica kT, nelle regioni in cui eφ≃kT,

con φ potenziale elettrostatico, le particelle del plasma non risentano più

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

3

dell’effetto del campo applicato. Se indichiamo con M la massa degli

ioni e con m quella degli elettroni, risulta:

1m

M (1.3)

si può ritenere che gli ioni non risentano affatto delle interazioni in

questione, almeno per campi non troppo intensi e soprattutto se a

confronto con gli elettroni.

Dato un potenziale applicato all’interno del plasma1, per le regioni

che non vi si trovano immediatamente a ridosso si ha [2]:

D

x

e

||

0= (1.4)

dove, se con n indichiamo la densità del plasma e Te la temperatura

elettronica:

2

1

2

0=

ne

kTeD

(1.5)

è la cosiddetta lunghezza di Debye. ΛD è un parametro che permette

di stimare la distanza oltre la quale eventuali campi elettrostatici

applicati al plasma cessano quasi del tutto di far sentire la loro influenza

e per distanze dell’ordine di 4-5 volte ΛD possiamo considerare nullo il

potenziale elettrostatico φ. Si noti come ΛD decresca al crescere di n; ciò

si spiega facilmente tenendo conto che una maggiore concentrazione di

elettroni è in grado di schermare meglio e su brevi distanze il campo

applicato. Inoltre essa cresce al crescere di Te ed, in particolare, è nulla

per Te = 0, ossia la nuvola di carica si riduce ad uno spessore nullo

quando gli elettroni non hanno moto termico.

È finalmente possibile comprendere il significato di quasi-neutro.

Infatti se L è una grandezza che descrive le dimensioni del plasma,

qualora fosse possibile ottenere:

DL (1.6)

1 Per esempio mediante l’applicazione di una griglia carica.

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

4

per larga parte della sua estensione il plasma non risentirebbe

praticamente di nessun campo elettrico esterno se non per distanze

confrontabili con ΛD. In tal caso è dunque possibile scrivere:

nnn ei (1.7)

Tuttavia, poiché il concetto di lunghezza di Debye è stato ottenuto a

partire da considerazioni statistiche esso è valido solo quando si ha un

numero molto elevato di particelle. Se in queste condizioni

3

3

4= DD nN (1.8)

è il numero totale di particelle all’interno della cosiddetta sfera di

Debye, deve valere: ND≫1.2 Se, ancora, supponiamo che in un plasma il

moto delle particelle sia regolato da interazioni elettromagnetiche

piuttosto che da collisioni interatomiche, otteniamo l’ulteriore

condizione per cui:

1 (1.9)

ove τ è il tempo che intercorre in media tra due collisioni e ω è la

pulsazione delle tipiche oscillazioni del plasma. In definitiva, in virtù di

ciò che è stato appena discusso si può affermare che un plasma è un gas

per il quale valgono le relazioni:

1>

1

D

D

N

L

. (1.10)

1.1.2 Le sorgenti ECR

I costituenti una sorgente ECR possono essere riassunti come segue:

• Cavità risonante: si tratta di una camera da vuoto contenente il

plasma che funge da cavità risonante per le microonde necessarie

affinché si possa avere la risonanza ECR. Essa viene isolata dal

2 La sfera di Debye è la sfera di raggio ΛD.

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

5

sistema magnetico e solitamente caricata positivamente per

consentire l’estrazione degli ioni;

• Sistema di iniezione del gas ed iniezione delle microonde per la

creazione del plasma;

• Sistema di magneti per il confinamento magnetico del plasma: è

formato da due o più solenoidi che generano un campo per il

confinamento assiale e da un multipolo magnetico (solitamente un

esapolo) per migliorare il confinamento radiale del plasma;

• Estrattore dei fasci di ioni con differenti stati di carica presenti

nel plasma.

Figura 1.1: Schema di una sorgente ECR e forma del plasma al suo interno.

La figura 1.1 mostra uno spaccato di una sorgente di ioni di tipo ECR.

Si possono osservare i solenoidi responsabili del confinamento assiale e

parte dell’esapolo per il confinamento radiale. Sono inoltre indicate le

regioni nelle quali avviene l’iniezione delle microonde e l’alimentazione

del gas, e la regione di estrazione degli ioni. É infine interessante notare

la particolare forma assunta dal plasma, strettamente connessa con la

struttura e la forma del campo magnetico di confinamento.

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

6

La radiazione elettromagnetica ha solitamente frequenze

caratteristiche delle microonde, ossia frequenze che possono andare da

qualche GHz (circa 2 GHz) sino a qualche decina di GHz (circa 30 GHz)

per le sorgenti ECR di nuova generazione. Opportuni generatori di

microonde (Magnetron, TWT, Klystron) sono in grado di fornire

microonde a queste frequenze e con potenze che vanno da qualche

decina o centinaia di watt, sino a qualche chilowatt.3

Le microonde sono convogliate nella camera del plasma mediante

guide d’onda circolari o rettangolari. Dal momento che l’Electron

Cyclotron Resonance può verificarsi laddove è soddisfatta la relazione

ωRF= qB/m , con m e q rispettivamente massa e carica dell’elettrone, B

campo magnetico e ωRF frequenza delle microonde, senza la presenza di

un campo magnetostatico non sarebbe dunque possibile ottenere ECR.

Inoltre la forma di tale campo è importante poiché da questa dipende la

capacità di confinare le particelle cariche in una regione ben definita

dello spazio.

Poiché in generale è necessario che la particella si muova all’interno

di una regione di campo debole circondata da una regione di campo più

intenso, ecco che la configurazione magnetica a B-minimo ottenuta con i

magneti elencati in precedenza e mostrati in figura 1.1 è quella che

garantisce un confinamento migliore. Questa condizione è necessaria dal

momento che la qualità di una sorgente si misura soprattutto in funzione

delle densità elettroniche raggiunte e dai tempi di confinamento

ottenibili, senza contare che il libero cammino medio dell’elettrone è

talmente elevato che sarebbe sostanzialmente impossibile ottenere

ionizzazione senza un confinamento opportuno.

Se il campo magnetostatico non fosse più costante spazialmente,

l’elettrone spiraleggerebbe attorno alle linee di forza del campo con

velocità e frequenza di rotazione differente a seconda della regione nella

quale si trova. Ciò significherebbe che l’assorbimento risonante potrebbe

avvenire solo in una determinato punto dello spazio.

Infine per questo tipo di sorgenti è possibile identificare vantaggi e

svantaggi [17] del loro impiego come segue.

3

Le problematiche relative ai sistemi magnetici da utilizzare per una sorgente ECR

sono di non facile risoluzione da un punto di vista tecnologico, poiché i campi

magnetici in gioco, per frequenze superiori a 18GHz, richiedono magneti

superconduttori

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

7

• VANTAGGI: correnti intense anche per alti stati di carica ionica,

lunga vita media, elevata stabilità temporale di funzionamento,

produzione sia di fasci continui che di fasci pulsati.

• SVANTAGGI: elevato consumo di potenza nel caso in cui i

magneti non siano permanenti, tecnologia e progettazione dei

dispositivi per microonde costosa, ripple elevato per i fasci a più

alto stato di carica (anche ∼10%), lunghi tempi di

condizionamento, difficoltà nella produzione di ioni metallici.

1.2 La sorgente superconduttiva SERSE

La sorgente superconduttiva SERSE è una delle sorgenti più

performanti tra quelle in uso attualmente nei diversi laboratori del

mondo. La sorgente è stata costruita per produrre fasci intensi e stabili di

ioni positivi ad alto stato di carica da iniettare nel ciclotrone

superconduttore in funzione presso i LNS. La figura Errore. L'origine

riferimento non è stata trovata. mostra un’immagine della sorgente

SERSE nella sua postazione ai LNS.

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

8

Figura 1.2: La sorgente superconduttiva SERSE ai LNS.

La camera del plasma è costituita da un cilindro d’alluminio lungo

450 mm ed avente un diametro di 130 mm, chiuso dalla flangia di

iniezione e dalla flangia di estrazione alle estremità. Attorno alla camera,

coassialmente, si trovano un esapolo e tre solenoidi superconduttori

costituiti da Nb-Ti.

Il sistema di di raffreddamento dei magneti utilizza un criostato

lungo 1310 mm e con un diametro di 1000 mm contenente elio liquido

(LHe) alla temperatura di 4.5 K. Il campo magnetico in iniezione è più

intenso che in estrazione e, d’altra parte, tale differenza è necessaria

poiché il confinamento deve essere meno forte in estrazione così da

permettere l’estrazione degli ioni.

Il sistema da vuoto è generato per mezzo di due pompe

turbomolecolari poste in iniezione ed estrazione, rispettivamente da 600

e 1000l.s−1.

Il gas da cui generare il plasma viene inserito attraverso due ingressi,

entrambi regolati da valvole che permettono di dosarne la quantità con

precisione.

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

9

Le microonde necessarie alla formazione del plasma per mezzo

dell’ECR sono fornite dai seguenti generatori:

• due Klystron SAIREM capaci di erogare microonde con una

potenza fino a 2kW ad una frequenza, rispettivamente, di 14 e

18GHz;

• un Klystron CPI in grado di erogare microonde con una potenza

fino a 2kW ad un frequenza di 18GHz;

• un TWT (Travelling Wave Tube) in grado di erogare microonde

con potenze fino a 600W e con possibilità di variare con continuità

la frequenza di emissione da 13.75 a 14.25GHz;

• un TWT capace di erogare microonde con una potenza fino a

300W e con la possibilità di variare con continuità la frequenza di

emissione da 8 a 18GHz.

Le microonde sono trasportate fino alla camera per mezzo di guide

d’onda rettangolari di tipo WR 62 che permettono la propagazione

monomodale ad entrambe le frequenze operative.

L’estrazione degli ioni avviene mediante un sistema di elettrodi, con

potenziali che si attestano sui 20 kV, con una tensione massima

applicabile di 25kV. Una volta estratto, il fascio viene focalizzato da un

solenoide verso il magnete di analisi, il quale è in grado di analizzare le

diverse specie ioniche ed i diversi stati di carica in base al rapporto z/m.

Superato il magnete di analisi, la corrente del fascio può essere misurata

mediante una Faraday Cup (maggiori dettagli sul monitoraggio del

trasporto del fascio sono riportati nel paragrafo 2.2.2). La figura 1.3

mostra uno schema dell’intero apparato.

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

10

Figura 1.3: Schema della sorgente SERSE ai LNS-INFN e della relativa linea di

fascio.

Si può osservare il posizionamento delle due Faraday Cup: la FC1

misura la corrente totale, la FC2 la corrente relativa a ciascuno stato di

carica dopo che il fascio è stato selezionato dal magnete di analisi a 90°.

Un opportuno sistema di controllo remoto permette di variare diversi

parametri in tempo reale:

• Profilo del campo magnetico di confinamento;

• Pressione del gas in iniezione;

• Tensione d’estrazione;

• Potenza delle microonde;

• Valore del campo magnetico del magnete di analisi, così da

selezionare lo ione di cui si vuole misurare la corrente estratta.

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

11

1.3 La sorgente CAESAR

La seconda sorgente ECR di cui sono dotati i LNS è CAESAR.

Costruita dalla compagnia francese Pantechnik nel 1988, la sua

installazione presso i Laboratori venne completata nel Marzo 1999. Da

allora opera come iniettore per il Ciclotrone Superconduttore.

Nel 2000 la trasmissione del fascio attraverso la sezione di analisi

della linea di fascio è stata ottimizzata mediante un nuovo sistema di

estrazione. Una ulteriore semplificazione della sezione di iniezione a

microonde ha limitato negli ultimi anni la massima potenza iniettata e di

conseguenza le prestazioni ottenibili in termini di produzione di elevato

stato di carica.

Le sue caratteristiche principali possono essere riassunte come

segue:

• Campo magnetico elevato (fino a 1.58T assiale, 1.1T radiale), per

far funzionare la sorgente a 14GHz in High B Mode e a 18GHz

con B/BECR

prossimo a 2;

• Camera per il plasma in alluminio;

• Sistema di estrazione a tre elettrodi;

• Tensione massima di 30kV.

I risultati in termini di produzione di HCI (High Charge Ions) sono

buoni e sono riassunti in tabella 1.1.

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

12

Ione Corrente

)( Ae

6N

715 N

160

25

6O 7O

720

105

8Ne 9Ne

170

14

11Ar

16Ar

120

2

12Ca

14Ca

52

6

17Ni 18

22Kr

28Kr

10

1

27Ta 10

Tabella 1.1: Tipiche correnti prodotte dalla sorgente CAESAR.

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

13

Figura 1.4: La sorgente CAESAR.

1.4 Produzione di ioni negativi: il processo di

Sputtering

Dal punto di vista della produzione, mentre è sempre possibile trovare

un metodo per togliere elettroni ad un atomo, non è sempre possibile

invece un metodo analogo per aggiungerne. L’aggiunta di un elettrone

infatti comporta l’esistenza di un livello energetico disponibile da parte

dell’atomo, e non sempre ciò si verifica. Questo dipende dalla struttura

elettronica dell’atomo stesso. Inoltre gli ioni negativi hanno la

caratteristica di essere quasi tutti di carica unitaria, uno ione negativo di

carica superiore a uno è difficilmente producibile.

Un parametro molto utile ad esprimere quantitativamente questo

concetto è l’affinità elettronica che esprime numericamente la

disponibilità dell’atomo ad acquistare un elettrone. Quanto più alto è tale

valore tanto più alta è la probabilità di produrre uno ione negativo. Da

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

14

ciò ci si può rendere conto che non tutti gli elementi sono ionizzabili

negativamente.4

Il metodo di Sputtering è quello attualmente usato per produrre i

fasci ionici negativi presso i LNS. Consiste nel bombardamento

mediante ioni pesanti di un opportuno materiale (detto target) che

contiene i componenti del fascio da produrre. In seguito a questo

bombardamento il materiale viene eroso formando nelle immediate

vicinanze un plasma dal quale vengono estratti, mediante un potenziale

elettrico, gli ioni negativi che vi si sono formati. Il materiale usato per il

bombardamento è solitamente Argon, ma in tal caso vengono usati

vapori di Cesio perché, a causa della sua bassa energia di ionizzazione,

favorisce grandemente la formazione di ioni negativi.5 Ovviamente tale

bombardamento implica la preventiva produzione di un altro fascio

ionico, questa volta positivo, accelerato e focalizzato sul target. Nel

nostro caso i vapori di Cesio vengono ionizzati per contatto con un

filamento o una superficie di forma opportuna portati a 1100°C. Altri

metodi possono comunque essere utilizzati.

Le sorgenti Sputtering sono molto usate perché consentono di

ottenere una vastissima gamma di fasci ionici con un’intensità adeguata.

Possono essere prodotti quasi tutti gli elementi, ad eccezione dei gas

nobili, per i quali vi sono notevoli difficoltà nel processo di creazione

dello ione negativo in quanto instabile. Sono particolarmente adatte

all’impiego di target solidi, ma con opportune modifiche possono

utilizzare anche gas. Esistono moltissime varianti, si possono

suddividere fondamentalmente in due classi:

• Sorgenti a sputtering diretto, in cui il fascio di bombardamento

ed il fascio negativo estratto viaggiano nella stessa direzione;

• Sorgenti a sputtering inverso, in cui il fascio di bombardamento

va nella direzione opposta a quello negativo.

Queste ultime costituiscono un’evoluzione delle prime.

Questo tipo di sorgente, progettualmente più semplice rispetto alle

ECRIS è utilizzato negli acceleratori di tipo Tandem (descritti nel

4 Ad esempio, per gli elementi facenti parte del secondo gruppo della tavola

periodica, avendo questi affinità elettronica nulla, la formazione di ioni negativi è

impossibile. 5 Vi sono anche sorgenti che li utilizzano entrambi: Argon per il bombardamento e

Cesio per aumentare la resa del fascio.

CAPITOLO 1 SORGENTI DI IONI

15

dettaglio al paragrafo 2.1.1) poiché questi accettano in ingresso fasci di

particelle con carica −1e. Una volta prodotto il fascio ionico questo

subisce un primo stadio di accelerazione tramite un preiniettore che

assolve il compito di immettere gli ioni negativi direttamente all’interno

del Tandem Van der Graaff. Il preiniettore attualmente in uso presso i

LNS lavora ad una tensione di 450 kV ed ha sostituito il precendente da

150 kV garantendo una migliore trasmissione del fascio.

Figura 1.5: L’iniettore di ioni negativi da 450kV ai LNS.

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

17

2. ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI

DI IONI AI LNS

2.1 Gli acceleratori di particelle

Gli acceleratori dei dispositivi che permettono di fornire energia a

delle particelle, vale a dire di aumentarne la loro velocità. Nei casi di

nostro interesse le particelle da accelerare sono particelle cariche, ovvero

protoni, elettroni, ioni, clusters di ioni.

Nati originariamente nell’ambito della ricerca sulla fisica nucleare,

gli acceleratori di particelle sono oggi utilizzati per un vasto spettro di

applicazioni; se è infatti ancora la ricerca fondamentale che finanzia e

realizza le enormi macchine attive presso i più importanti laboratori del

mondo, un gran numero di acceleratori di tutti i tipi e di tutte le

dimensioni sono oramai realizzati in maniera industriale per soddisfare

le necessità dei più svariati settori: da quello medico a quello

dell’industria alimentare da quello militare a quello dell’elettronica.

Gli acceleratori hanno avuto un impressionante sviluppo durante il

secolo appena trascorso. Dalla loro prima apparizione negli anni 20 ad

oggi si è passati da energie di poche centinaia di keV all’attuale regione

dei TeV.

Esistono diverse tipologie di classificazione degli acceleratori, in

funzione dei principali parametri di funzionamento. Distinguiamo

quindi:

• Classificazione in base al tipo di particelle accelerate. In base a

questa classificazione, gli acceleratori vengono a loro volta

suddivisi in:

1. acceleratori di elettroni-positroni (e+

-e−

);

2. acceleratori di protoni (p);

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

18

3. acceleratori di ioni pesanti (α→U).

Il criterio che sta alla base della soprastante classificazione è stabilito

dal rapporto carica-massa (q/m) della particella da accelerare; gli

acceleratori menzionati sfruttano tutti il principio di accelerazione

dovuto all’azione di un campo elettrico. In realtà, l’accelerazione di

particelle cariche non può che avvenire per mezzo dell’interazione con

un campo elettrico; tuttavia le modalità con cui tali campi possono

essere prodotti variano di volta in volta. É possibile utilizzare

semplicemente un campo elettrostatico, o servirsi di un campo a radio-

frequenza, calcolando opportunamente le traiettorie delle particelle così

che queste possano sempre trovarsi in fase con il campo elettrico

dell’onda, o possono essere prodotti campi elettrici ricorrendo alla legge

dell’induzione magnetica.

Appare evidente che elettroni e positroni presentano il medesimo

valore di rapporto carica-massa e quindi una macchina che accelera

positroni può anche accelerare elettroni. L’enorme differenza in tale

rapporto tra elettroni e protoni rende invece assolutamente incompatibili

gli acceleratori di elettroni con quelli di protoni, mentre questi ultimi

possono in qualche caso accelerare qualche ione composito, per esempio

particelle alfa.

• Classificazione in base alla tipologia del bersaglio.

1. acceleratori a target fisso;

2. acceleratori a collisione (collider).

La principale differenza è dovuta all’interazione tra il fascio

accelerato ed il bersaglio. Nel primo caso, infatti, il bersaglio è un target

fisso, formato da atomi di un determinato materiale con i quali

avvengono le reazioni nucleari che si vogliono studiare. Nel secondo

caso, viceversa, i fasci di particelle vengono accelerati in una struttura a

forma di anello, e collidono l’uno contro l’altro con un netto guadagno

energetico nel centro di massa del sistema rispetto al precedente metodo,

in quanto tutta l’energia delle particelle è spesa nelle reazioni nucleari

che avvengono in virtù del fatto che il centro di massa del sistema resta

in quiete.

• Classificazione riconducibile alle modalità di interazione con il

campo elettrico. Distinguiamo così tra:

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

19

1. acceleratori elettrostatici;

2. acceleratori lineari;

3. acceleratori circolari;

4. storage ring e beam collider.

Presso i Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN sono operativi due

acceleratori di particelle, un Tandem Van der Graaff ed un Ciclotrone, il

primo di tipo elettrostatico, il secondo circolare.

I LNS sono dotati di due acceleratori di particelle, un Tandem Van

De Graaff col quale venne iniziata la sperimentazione nei primi anni 80

ed un Ciclotrone Superconduttore in pieno esercizio dal 1996.

Nei seguenti paragrafi verrà fornita una breve descrizione dei

principi di funzionamento di entrambi i tipi di macchina e delle

caratteristiche specifiche di tali acceleratori, soffermandoci sulle

performance raggiungibili in termini di energia, correnti e qualità del

fascio. Queste informazioni, infatti, sono di fondamentale importanza

per comprendere appieno i rischi da radiazione che possono conseguire

dall’utilizzo di tali macchine radiogene.

2.1.1 Acceleratori elettrostatici: Il Tandem Van der Graaff

Negli acceleratori di tipo Van de Graaff il campo elettrico è generato

tramite un trasporto fisico di carica. Il range energetico raggiunto si

aggira tra i 10 ed i 15MeV, con correnti intorno ai 100μA.6 In figura 2.1 è

mostrata una schematizzazione di questo tipo di macchina che, come si

vede, sfrutta la presenza di un tubo a vuoto all’interno del quale vengono

accelerati le cariche, affiancato da un sistema nel quale le cariche

positive vengono depositate su una cinghia di cuoio che le trasporta

fisicamente fino al terminale superiore. La regolazione della carica

avviene dunque semplicemente modificando la velocità della cinghia.

6 I valori di energia riportati si riferiscono ad un singolo stato di carica.

Naturalmente, l’utilizzo di una sorgente di ioni a stato di carica multiplo

consentirebbe di aumentare considerevolmente tali valori, raggiungendo energie

pari a q-volte, dove q è lo stato di carica ionica, le energie menzionate.

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

20

Figura 2.1: Schema di un tipico acceleratore Van der Graaff.

Il grosso limite di questo tipo di acceleratore consiste

nell’isolamento dell’ambiente all’interno del quale si trova il terminale:

la carcassa del contenitore è infatti collegata a terra e quindi anche tra

questa ed il terminale si forma una differenza di potenziale che porta,

superata una certa soglia, a scariche con effetti potenzialmente distruttivi

oltre che pericolosi.

Data l’impossibilità di aumentare oltre una certa soglia il campo

elettrostatico a causa del rischio delle scariche, intorno al 1960 si pensò

di sfruttare più di una volta un’unica differenza di potenziale; nacque

così l’acceleratore denominato Tandem.

Il Tandem sfrutta il medesimo metodo di creazione del campo

elettrico visto nel caso del Van der Graaff, ovvero il trasporto di cariche,

ma utilizza una configurazione che permette, appunto, di accelerare due

volte le particelle. In figura 2.2 è mostrato lo schema di un acceleratore

di questo tipo.

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

21

Figura 2.2: Rappresentazione schematica di un acceleratore Tandem.

Invece degli ioni positivi, il Tandem utilizza ioni negativi che

vengono accelerati sfruttando un’unica differenza di potenziale per due

volte. La creazione della tensione acceleratrice avviene per mezzo dello

stesso principio utilizzato per l’acceleratore Van De Graaff, ossia

mediante il trasporto di carica.

Un fascio di ioni carichi negativamente viene immesso nel

dispositivo ed ivi accelerato verso la regione mediana dello stesso grazie

alla presenza di un campo elettrico opportunamente orientato, in modo

tale che lo ione negativo veda un campo attrattivo (e quindi un

potenziale positivo) nel punto di mezzo dell’acceleratore. Proprio nella

regione mediana, la presenza di un sottile foglio di materiale solido (ad

esempio carbonio), o la presenza di gas inerte (ad esempio elio),

permettono di togliere allo ione negativo non soltanto l’elettrone che lo

ha reso tale, ma pure un certo numero di altri elettroni delle shells

atomiche, permettendo di ottenere uno ione positivo molteplicemente

carico.

Lo stesso campo elettrico di cui sopra, è quindi in grado di accelerare

nuovamente lo ione che ha invertito il suo stato di carica. Pertanto,

l’energia complessiva acquisita nel doppio processo di accelerazione (da

qui il nome di acceleratore Tandem) sarà data da:

VqE Tandem)(1= (2.1)

mentre, nel caso del Van De Graaff si aveva:

VdGqVE = (2.2)

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

22

A prima vista, il vantaggio che si ha nell’utilizzare l’acceleratore

Tandem sembrerebbe dovuto all’incremento di un solo stato di carica nel

termine moltiplicativo (1+q) nell’equazione (2.1). Al contrario, il netto

incremento in termini di performance è attribuibile al fatto che, grazie al

processo di stripping di un fascio energetico, qTandem

>qVdG

, vale a dire

che con tale sistema si possono ottenere degli stati di carica più elevati e

quindi una maggiore energia complessiva delle particelle.

Un ulteriore vantaggio è la possibilità di utilizzare sorgenti di ioni

esterne alla macchina, che consente una certa rapidità di azione e la

possibilità di cambiare componenti della sorgente senza dover aprire il

Tandem. L’apertura dell’acceleratore è, infatti, un’operazione che

richiede uno o due giorni ed implica l’entrata di lavoratori addetti

all’interno di esso con conseguente esposizione alle radiazioni ed

incremento delle dosi assorbite. Ciò comporta non solo un aumento dei

rischi da esposizione, ma anche un consumo di risorse in termini

economici e di tempo, oltre che l’usura di tutti i dispositivi coinvolti allo

"spegnimento" e riavvio della macchina.

Lo svantaggio principale è dovuto al fatto che lo stripping è un

processo squisitamente statistico, pertanto all’uscita dell’acceleratore si

avrà una certa distribuzione energetica degli ioni in relazione agli stati di

carica ottenuti. A titolo di esempio, si consideri il caso di ioni O−

che

attraversano il filtro con un’energia pari a 15 MeV, la curva relativa allo

stripping sarà quella qualitativamente mostrata in figura 2.3. Se ne

deduce che su 100 ioni di ossigeno che vanno incontro allo stripping, 40

diventeranno O6+

, 20 diventeranno O5+

, 20 diventeranno O7+

, 10

diventeranno O4+

, 5 diventeranno O3+

e 5 diventeranno O8+

.

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

23

Figura 2.3: Stati di carica prodotti dal processo di stripping nel caso di una

sorgente di ioni O−.

La presenza di una distribuzione di probabilità siffatta (il cui picco si

sposta verso l’alto con l’aumentare dell’energia delle particelle) porta

dunque a ben 6 fasci che escono dal filtro centrale, ognuno con

un’energia differente.

Per questo motivo è necessario l’utilizzo di un sistema magnetico

atto a selezionare il fascio con l’energia voluta; ciò comporta che ad un

incremento sostanziale delle energie ioniche, segue un decremento

altrettanto sensibile delle intensità del fascio, in quanto per le particelle

non selezionate dal sistema magnetico si è spesa un’energia che è andata

irrimediabilmente persa.

In sintesi, i valori realisticamente ottenibili per energia e correnti si

attestano rispettivamente a E≃100MeV, I∼1÷100μA.

L’acceleratore Tandem dei LNS era originariamente un HVEC MP

Tandem con una tensione nominale massima di 13MV. Tale acceleratore

divenne operativo nel 1983, ed a partire da quella data numerosi

miglioramenti sono stati apportati così da avere, in questo momento, un

voltaggio operativo massimo di 16MV ed un ottima affidabilità a 15MV.

Trattandosi di un acceleratore elettrostatico il Tandem presenta

anch’esso il problema delle scariche distruttive, difficilmente prevedibili.

Per diminuire la possibilità che tali scariche abbiano luogo, l’interno

della tank è riempito con esafluoruro di zolfo (SF6) alla pressione di

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

24

7bar, un gas che presenta un’alta rigidità dielettrica e che permette di

ridurre il pericolo di scariche, ma che risulta altamente velenoso.

Un’importante caratteristica di tale acceleratore è l’eccellente

trasmissione, che raggiunge valori dell’ordine del 100%; il

raggiungimento di tali prestazioni è stato possibile, come accennato nel

capitolo precedente, grazie all’utilizzo del nuovo preiniettore da 450kV

che ha sostituito il precedente da 150kV.

Uno dei parametri fondamentali che caratterizzano i fasci di

particelle cariche, in particolare modo quelli estratti da sorgenti di ioni, è

la cosiddetta emittanza. Essa rappresenta grossomodo il prodotto tra il

diametro del fascio e l’ampiezza del momento trasverso, si misura in

mm⋅mrad ed è una quantità che deve essere minimizzata. Senza scendere

ulteriormente nel dettaglio, è sufficiente dire che l’emittanza del fascio

accelerato dal Tandem è eccellente e si attesta a 5π mm⋅mrad.

Per quanto riguarda le energie ottenibili, si è visto dalla relazione

(2.1) che esse dipendono dallo stato di carica raggiungibile nello

stripper. Per questo tipo di Tandem, operando alla tensione di 15MV, è

possibile ottenere ioni totalmente strippati per gli elementi leggeri,

mentre per gli elementi più pesanti qTandem

raggiunge il valore di 10−12.

Pertanto la massima energia ottenibile si attesta attorno ai 105MeV per il

carbonio, e 135MeV per l’ossigeno con un valore limite di quasi 200MeV

per gli ioni più pesanti.

Infine la massima corrente ottenibile dipende molto dal tipo di ione

accelerato oltre che dallo stato di carica dello stesso. Pertanto si ha un

ampio range di variazione con valori che vanno da 10 a 100 nA.

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

25

Figura 2.4: Acceleratore TANDEM ai LNS.

2.1.2 Acceleratori circolari: Il Ciclotrone Superconduttore K800

Il principio basilare sul quale si fonda la loro utilizzazione è costituito

dall’utilizzo concomitante di campi magnetici ed elettrici, che permette

di sfruttare un’unica struttura di accelerazione per un numero

imprecisato di volte, ottenendo in questo modo energie elevatissime.

Una particella di carica q può seguire una traiettoria circolare di

raggio r solamente se viene immersa in un campo magnetico B e sfrutta

la ben nota forza di Lorentz

BvqFL

= (2.3)

se la particella mantiene una traiettoria circolare allora sarà sottoposta

ad una forza centripeta di modulo:

r

mvFcp

2

= (2.4)

dove m, v, e r indicano rispettivamente massa e velocità della

particella. Imponendo che tale forza sia dunque dovuta alla presenza del

campo magnetico si ottiene infine:

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

26

qvBr

mv=

2

che può essere riscritta come:

.=q

mvBr (2.5)

Il termine Br prende il nome di Rigidità Magnetica e costituisce un

parametro fondamentale per gli acceleratori circolari in quanto ne fissa i

parametri costitutivi, ossia, sostanzialmente, dimensioni e campo

magnetico di operatività.7

Nel ciclotrone, le particelle cariche sono confinate da magneti e

quindi dalla forza di Lorentz su un unico piano. Si compone

essenzialmente di due semicilindri cavi a forma di D (e per questa

ragione detti dee), distanziati tra loro da un gap nel quale viene creato il

campo elettrico oscillante (la cui frequenza è dell’ordine dei MHz

responsabile dell’accelerazione.

Una schematizzazione del processo di accelerazione è mostrato in

figura 2.5. Una particella carica, iniettata nella regione centrale della

macchina con velocità non nulla, subirà una curvatura della propria

traiettoria ad opera del campo magnetico. L’attraversamento del gap, e la

conseguente interazione col campo elettrico che ivi si trova, incrementa

l’energia della stessa particella e pertanto aumenta il raggio di curvatura

di questa all’interno del campo magnetico. Dopo avere percorso una

semi-circonferenza la particella si troverà nuovamente in prossimità del

gap. Se la relazione tra il tempo impiegato e la variazione del campo

elettromagnetico ha la fase opportuna, il campo elettrico potrà

nuovamente trovarsi in condizione di accelerare la particella.

Il processo si ripeterà ad ogni semi-giro, generando un raggio di

curvatura via via crescente, ed avrà termine nel momento in cui la

particella, per via delle dimensioni della macchina, ne avrà raggiunto i

bordi e dovrà quindi essere estratta. L’energia acquisita durante la fase di

accelerazione sarà pertanto funzione della intensità del campo elettrico

nel gap, del proprio stato di carica e, naturalmente, di quante volte è

avvenuto il transito nel gap.

7 Ad esempio per accelerare protoni fino ad 1TeV con campi magnetici confinanti

di 1 tesla è necessario un acceleratore di circa 3km di raggio!

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

27

Figura 2.5: Principio di funzionamento di un ciclotrone. Un elettromagnete genera

il campo magnetico ortogonale alla direzione di propagazione del fascio; due elettrodi

cavi, detti dee, posti all’interno del magnete generano il campo elettrico usato per

accelerare le particelle cariche; una radiofrequenza genera la tensione alternata

applicata ai dee.

Quest’ultimo aspetto non può che dipendere dall’intensità del campo

magnetico, in quanto campi più intensi riescono a confinare le particelle

energetiche in uno spazio ridotto, e quindi a farle compiere un numero

maggiore di orbite.

La condizione fondamentale per il funzionamento di una macchina di

questo tipo è la sincronizzazione tra la particella che gira e il campo

elettrico che oscilla. L’isocronismo quindi impone che:

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

28

costantem

qBRF ===0 (2.6)

dove ω0 e ω

RF sono le frequenze, rispettivamente di rivoluzione (o di

ciclotrone) della particella e del campo elettrico oscillante.8

All’aumentare dell’energia della particella tale condizione, però, non

è più rispettata poiché l’incremento relativistico della massa oltre un

certo valore di energia per le particelle relativamente pesanti non è più

trascurabile.9 Essendo infatti

,

1

=

2

2

0

c

v

mm

(2.7)

per mantenere il sincronismo tra la RF ed il moto della particella

accelerante si deve variare il campo magnetico in funzione del raggio

dell’orbita. Pertanto pertanto deve essere:

costantem

qB

m

rqBRF ===

)(=

0

00

da cui si ricava:

.

1

=

1

=)(2

0

0

0

2

2

0

cm

rqB

B

c

v

BrB (2.8)

La scelta di variare B con il raggio dell’orbita risulta tecnicamente

semplice e mantiene intatte le caratteristiche peculiari del ciclotrone,

quali l’alta intensità e la continuità del fascio; presenta tuttavia un

8 In genere quest’ultima può essere multiplo intero della prima ωRF=hω ed h

prende il nome di numero armonico. 9 Anche in un piccolo ciclotrone da 18MeV per la produzione di radioisotopi

l’effetto relativistico è importante, infatti per un protone da 18MeV l’aumento

della massa è del 2% circa (la sua velocità è di circa 0.2c, il che comporta una

variazione nel raggio dell’ultima orbita prevista di più di 1 cm).

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

29

problema assolutamente non trascurabile, l’incremento del campo

magnetico col raggio fa perdere, infatti, stabilità verticale al fascio.

Figura 2.6: Schema della suddivisione in settori (creste e valli) delle espansioni

polari di un ciclotrone. L’effetto è di ottenere un campo magnetico variabile lungo la

direzione azimutale.

Il problema è in parte risolto facendo variare il campo magnetico,

oltre che radialmente, anche azimutalmente, cioè lungo la direzione del

fascio. Ciò si ottiene suddividendo le espansioni polari del ciclotrone in

settori in corrispondenza dei quali i campi magnetici presentano dei

valori medi differenti: le creste o hill, in cui il campo è più elevato e le

valli o valley in cui è minore. Il campo magnetico B(r,θ) varia quindi

azimutalmente come mostrato in figura 2.7.

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

30

Figura 2.7: Diagramma della variazione del campo magnetico in funzione

dell’angolo azimutale.

Per aumentare ulteriormente l’effetto focalizzante lungo la direzione

verticale del fascio si sfrutta l’effetto fringing lungo i bordi dei settori in

cui è suddiviso il ciclotrone. In pratica il fascio, nel passaggio da una

valle ad una cresta, subisce un effetto focalizzante (assialmente) in

relazione all’angolo di ingresso nella cresta. Più è grande questo angolo

maggiore è l’effetto focalizzante. Per ragioni di simmetria il passaggio

dalla valle alla cresta ha un effetto defocalizzante che però in coppia con

quello precedente dà un contributo globalmente focalizzante (effetto

doppietto [12]). Dato che si necessita di maggiore focalizzazione verso i

raggi esterni, dove l’energia del fascio è maggiore, il bordo delle creste

viene sagomato come una spirale (si veda la figura 2.8), in modo da

incrementare l’angolo d’incidenza del fascio con l’aumentare del raggio.

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

31

Figura 2.8: Schema di un ciclotrone a tre settori. La forma a spirale di ogni settore

assicura un effetto globalmente focalizzante lungo la direzione verticale.

Il ciclotrone installato ai LNS ed attualmente operativo possiede

magneti superconduttori che lo rendono particolarmente compatto. Si

tratta di una macchina a tre settori del tipo mostrato in figura 2.8 con un

raggio dei poli magnetici di 90cm. A causa dell’ampia varietà di ioni

accelerati le tre cavità operano in un range di frequenze compreso fra i

15 e i 48MHz. L’isocronia tra RF e frequenza di rivoluzione è sempre

garantita entro qualche Gauss.

Il campo magnetico raggiunge valori ragguardevoli che variano tra

2.2 e 4.8T. Campi magnetici di questo tipo sono generati da bobine

superconduttrici di Nb-Ti raffreddate da un bagno di elio liquido alla

temperatura di 4.4K, poste simmetricamente rispetto al piano mediano

ed attraversate da una corrente massima di 6.5MA. Le energie ioniche

raggiungibili possono variare tra 8 e 100 AMeV.

Progettato dal team del Prof. Resmini della sezione INFN di Milano

ed ivi parzialmente assemblato, il ciclotrone superconduttore di Catania

fu trasportato nel 1990 presso i Laboratori Nazionali del Sud dove venne

completato e produsse il primo fascio di 58

Ne a 30AMeV nel Giugno del

1995. La progettazione e la realizzazione dei magneti ha inoltre

permesso di ottenere un ottimo accordo tra i calcoli teorici e i risultati

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

32

ottenuti. Negli anni successivi il funzionamento del ciclotrone si è

caratterizzato per una affidabilità ottimale che ha consentito di perdere

solamente il 5% del tempo programmato nel 1997.

Durante i primi quattro anni di funzionamento il CS era alimentato

da una sorgente esterna ed il fascio arrivava già ionizzato e pre-

accelerato dal Tandem. L’iniezione era dovuta a deflettori elettrostatici

con il compito di guidare il fascio nella zona centrale del ciclotrone.

Figura 2.9: Interno del Ciclotrone Superconduttore K800.

A causa di numerose problematiche operazionali che questa tecnica

comportava, si decise la costruzione della sorgente superconduttiva

SERSE, capace di ottime performance ed in grado di far funzionare il

ciclotrone nella modalità appropriata. Venne quindi deciso di far

funzionare il ciclotrone per mezzo di un’iniezione assiale ottenuta grazie

ad un inflettore elettrostatico elicoidale opportunamente realizzato. Il

disaccoppiamento tra i due acceleratori avvenne nel 1999 e permise il

loro utilizzo separatamente ed in contemporanea.

Per ciò che concerne l’estrazione del fascio accelerato il ciclotrone

utilizza due deflettori elettrostatici, sette canali magnetici e due barre

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

33

compensatrici. Il posizionamento di tali elementi dipende dalle

caratteristiche degli ioni da estrarre oltre che dalle energie degli stessi.

Figura 2.10: Schema dell’estrazione mediante sistemi elettrostatici.

I deflettori costituiscono gli elementi più critici degli acceleratori ad

estrazione elettrostatica. Questi, applicando dei campi via via più deboli,

generano il deconfinamento del fascio e rendono la sua traiettoria

rettilinea favorendone l’estrazione.

Il campo elettrico è applicato tra due elettrodi curvati che formano un

condensatore cilindrico. Il piatto interno, chiamato setto, è a massa,

mentre quello esterno è denominato elettrodo ed è a tensione. Ogni

deflettore è costituito da due setti in tungsteno accoppiati tramite uno

snodo e movimentati da motori per "adattare" ogni deflettore al fascio

utilizzato. Ciò si rende necessario dal momento che il ciclotrone non è

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

34

"monofascio", ma è in grado di accelerare fasci di particelle aventi

rapporto Z/A = 1/2.10

Purtroppo non tutte le particelle accelerate che arrivano al deflettore

vengono estratte, una frazione di esse, infatti, andrà ad urtare il setto ed

andrà irrimediabilmente persa. Oltre a penalizzare l’efficienza del

sistema di estrazione, la perdita di fascio crea problemi di attivazione del

setto e non solo ed è pertanto necessario minimizzarle. Per questo

motivo i deflettori sono gli elementi più pericolosi dal punto di vista

radioprotezionistico, presentando livelli di attivazione molto elevati.

Infine, affinché si abbia una buona efficienza di estrazione le orbite

devono essere ben separate. In alcuni ciclotroni la separazione delle

orbite non è sufficientemente grande da permettere una buona

estrazione, per questo motivo vengono utilizzate le perturbazioni

magnetiche sulla dinamica del fascio (risonanze), per aumentare il gap

radiale fra le orbite. L’efficienza di estrazione si aggira intorno al

40−50%.

Un’immagine di insieme del Ciclotrone Superconduttore K800 è

mostrata in figura 2.11.

10

Questo è il motivo per cui prima del 1999 non era possibile accelerare protoni dal

momento che gli stati di carica prodotti dall’accoppiamento dei due acceleratori

erano in media 3+ e 4+.

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

35

Figura 2.11: A destra è mostrata un’immagine completa del Ciclotrone

Superconduttore K800 dei LNS, mentre a sinitra sono riportati le principali

caratteristiche tecniche del CS.

La macchina ha un’altezza di 2.86m, peso 176ton e diametro

massimo di 4m.

In figura 2.11 sono riportati alcune caratteristiche tecniche del CS.

Tra queste i parametri che definiscono le macchine di questo tipo sono

essenzialmente i primi due, che sono, rispettivamente, il KBending

ed il

KFocusing

. Il primo si ricava dai parametri strutturali della macchina quali

il raggio di estrazione ed il campo magnetico massimo che si ha in

corrispondenza appunto dell’estrazione, da cui dipende la rigidità

magnetica massima raggiungibile per le particelle accelerate. Questo

parametro limita l’energia degli ioni estratti Tmax

nel modo seguente:

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

36

,

2

bendmax K

A

Z

A

T

(2.9)

mentre il KFocusing esprime il limite focalizzante intrinseco della

macchina, anch’esso dipendente da parametri strutturali quali il massimo

angolo di spirale e il flutter, e limita l’energia degli ioni estratti nel modo

seguente:

.focmax K

A

Z

A

T

(2.10)

Quindi ad esempio nel caso in cui si voglia accelerare H2

+

alla

massima energia si deve tenere conto che per Z/A=0.5 (stato di carica

dello ione) il limite di operatività è dato dalle caratteristiche focalizzanti

Kfoc

, che vale 200, e dunque dalla (2.10) si ha:

MeVKA

Tfoc

max 100=2000.5=0.5 (2.11)

ovvero l’energia massima sarà 100MeV. In realtà l’energia è ancora

inferiore poiché vi sono dei limiti tecnici dovuti ad altri componenti che

costituiscono la macchina (come i deflettori elettrostatici) che

impediscono a quest’ultima di raggiungere le massime prestazioni.

L’intensità media varia 0.02 e 0.04nA, che è piuttosto bassa a causa

anche della bassa efficienza di estrazione dovuta ai deflettori. In ogni

caso la grande varietà di ioni accelerati permette la realizzazione di

diversi esperimenti nell’ambito della fisica nucleare e dal Febbraio 2002

anche nell’ambito della protonterapia per la cura di varie forme di

tumore intraoculare (progetto CATANA [3]).

2.2 La linea di trasporto dei fasci

In analogia con i principi dell’ottica fisica, un fascio di particelle è

considerato alla stregua di un fascio di fotoni che interagendo con i

dispositivi ottici (lenti) viene opportunamente focalizzato. Nel caso del

trasporto dei fasci l’interazione, che è di tipo elettromagnetica, avviene

con dispositivi che in genere sono sistemi magnetici, che hanno il

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

37

compito di guidare (dipoli magnetici) e focalizzare (quadrupoli,

sestupoli, ecc.) le particelle cariche.

Lo studio dell’ottica dei fasci si basa sull’approccio matriciale, per

cui ad ogni sistema magnetico è associato una matrice di trasferimento

contenente i parametri fisici e strutturali del sistema stesso come i valori

di campo magnetico, la lunghezza, i gaps, i gradienti, ecc..

Un sistema particolarmente significativo da trattare con il metodo

della matrice di trasferimento è quello delle lenti sottili (thin lens). Nel

caso di lenti convergenti o focalizzanti la relazione che descrive l’azione

della lente è rappresentata nel formalismo matriciale nel modo seguente:

0= RXX

(2.12)

Dove la matrice X0 rappresenta le condizioni iniziali e X quelle finali,

mentre R è la matrice di trasferimento che contiene le informazioni

geometriche della lente in questione.

Si dimostra che una sequenza di lenti divergente e convergente, o

viceversa, ha un effetto comunque focalizzante, purché L>f (effetto di

overfocusing) con L distanza tra le lenti ed f distanza focale.

Ad ogni elemento utilizzato nel trasporto dei fasci è associata una

matrice di trasferimento (MQF

, MQD

, MBend

, ecc.) contenente le

informazione fisiche e geometriche dello stesso. Poiché le linee di

trasporto sono costituite da una successione dei suddetti elementi è

possibile definire una matrice di trasferimento unica (Mtotal

) risultante dal

prodotto delle singole matrici di trasferimento in grado di descrivere così

l’intera linea

.= BendQDQFtotal MMMM (2.13)

2.2.1 I sistemi di deflessione e focalizzazione

Gli elementi preposti alla guida dei fasci accelerati sono i dipoli

magnetici. Questi sono in genere elettromagneti alimentati da una coppia

di bobine, posizionate simmetricamente rispetto al piano mediano su cui

viaggiano le particelle dove è indotto il campo magnetico necessario a

guidarle.

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

38

Sotto l’azione della forza di Lorentz il fascio è così deflesso con un

raggio di curvatura dipendente dal rapporto q

m

dello ione accelerato.

Un esempio di come un ipotetico dipolo magnetico possa deflettere e

selezionare ioni è mostrato in figura 2.12, dove il fascio accelerato è

costituito da ioni di tre differenti masse (M1<M

2<M

3). Il diagramma

mostra la linea focale inclinata. È visibile, inoltre la linea focale ideale

per il corretto posizionamento dei collettori.

Figura 2.12: Deflessione da parte di un dipolo magnetico di un fascio di ioni di tre

differenti masse. Il raggio di curvatura dipende dal rapporto m/q dello ione accelerato.

Lungo la linea di trasporto sono posti anche altri elementi di guida e

deflessione del fascio, gli steerer. Essi vengono utilizzati ogni qual volta

si abbia la necessità di piccole deflessioni lungo una certa direzione

(verticale ad esempio) e sono costituiti da bobine conduttrici che,

percorsi da corrente, generano campi magnetici periferici (non centrati

quindi al centro della bobina) di bassa intensità (dell’ordine di qualche

Gauss).

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

39

Gli steerer giocano un ruolo particolarmente importante durante la

procedura di centraggio del fascio di protoni per le applicazioni cliniche

di CATANA, dove è richiesta un’altissima precisione.

I quadrupoli magnetici hanno la funzione di focalizzare il fascio sul

piano trasverso. Anch’essi sono degli elettromagneti il cui campo

magnetico è indotto da due coppie di bobine simmetricamente

posizionate rispetto al centro del sistema.

Figura 2.13: Effetto di focalizzazione di due quadrupoli con polarità invertita posti

in successione lungo la linea di fascio.

Si prenda ad esempio lo schema mostrato in in figura 2.13. Per la sua

configurazione magnetica e nel caso di ioni positivi, il primo quadrupolo

genera una forza focalizzante su una sola direzione (nel caso della

figura, lungo quella orizzontale), mentre il secondo, di polarità invertita,

fa lo stesso lungo la direzione verticale. La successione dei due genera

quindi un effetto generale focalizzante.

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

40

Figura 2.14: Magneti quadrupolo usati per il sincrotrone SOLEIL a Saint Aubin

vicino Parigi, Francia.

2.2.2 Monitoraggio del trasporto

L’intensità di corrente oltre che rappresentare una caratteristica di un

fascio accelerato è anche utile alla conoscenza della sua posizione e

distribuzione nello spazio delle Fasi. Misure di intensità di corrente sono

dunque necessarie per conoscere le caratteristiche spaziali e temporali

del fascio e per poter, eventualmente, intervenire su esso.

A questo scopo esistono svariati sistemi di rivelazione; essi si

distinguono in distruttivi e non a seconda del tipo di interazione che

hanno col fascio [5]. In particolare, si definiscono non distruttivi quei

sistemi che riducono l’intensità del fascio che li attraversa di non oltre il

10%.

Un metodo distruttivo tra i più semplici di utilizzo consiste in un

cristallo di quarzo disposto a 45° rispetto alla direzione di propagazione

del fascio. Se il quarzo viene colpito dal fascio emette una radiazione

elettromagnetica nel visibile che osservabile direttamente dall’utente

tramite telecamera. Questo tipo di dispositivo rientra nella categoria dei

misuratori di intensità nel senso che è in grado di dire se la corrente di

fascio sia uguale o diversa da zero.

Un dispositivo che permette di quantizzare l’intensità di corrente è la

cosiddetta Coppa di Faraday. Nonostante il carattere distruttivo delle

misure, possono fornire informazioni precise sulla corrente del fascio in

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

41

un modo molto semplice: la carica totale trasportata dalle particelle

viene raccolta su un elettrodo collocato lungo il percorso di fascio e

misurata per mezzo di uno amperometro collegato al dispositivo.

Dal momento che i dispositivi appena descritti sono di tipo

distruttivo è necessario che al termine della misura essi possano essere

tolti dalla traiettoria del fascio. Questa operazione si attua facilmente

utilizzando un sistema ad aria compressa comandato da interruttori

elettromagnetici, che assicura la necessaria rapidità di movimento.

Un tipico esperimento di fisica nucleare, in generale, prevede che il

fascio, una volta accelerato da una delle due macchine descritte in questo

capitolo, venga estratto e trasportato al di là delle schermature principali

nelle sale sperimentali dove, dopo aver colpito un bersaglio, "muore" in

un pozzo di spegnimento, un assorbitore, cioè, in grado di assorbirlo

completamente.

Uno schema delle varie sale sperimentali prensenti ai LNS è

mostrato in figura 2.15. Sono visibili le sorgenti ECR, i due acceleratori

(le prime poste ad un piano inferiore rispetto ai secondi) e le linee di

fascio disponibili che conducono ai rivelatori ospitati nelle diverse sale.

È inoltre possibile vedere la sala adibita alla protonterapia.

CAPITOLO 2 ACCELERAZIONE E TRASPORTO DI FASCI DI IONI AI LNS

42

Figura 2.15: Layout delle varie sale sperimentali presso i LNS di Catania.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

43

3. ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

I processi di ionizzazione e di eccitazione degli atomi e delle

molecole associati al passaggio delle radiazioni ionizzanti nella materia,

sono all’origine degli effetti indotti osservati nei mezzi attraversati, in

particolare degli effetti biologici che si manifestano nei tessuti umani

irradiati.

Questo capitolo affronta alcuni degli aspetti radioprotezionistici che

si presentano all’interno dei LNS.

Nella prima parte saranno introdotte, in linee generali, le possibili

interazioni che le radiazioni ionizzanti hanno con la materia, le principali

grandezze utilizzate in questo campo, gli effetti biologici ed i riferimenti

legislativi riportati nella normativa italiana vigente. Queste nozioni

risultano indispensabili per comprendere appieno la pericolosità ed i

rischi derivanti dall’esposizione ai vari tipi di radiazione.

La seconda parte sarà dedicata a descrivere alcuni aspetti del sistema

radioprotezionistico all’interno dei LNS, illustrando i diversi mezzi della

radioprotezione, che includono, tra l’altro, anche i sistemi di dosimetria

personale e quelli di rivelazione ambientale, le schermature ed i sistemi

di controllo.

3.1 Interazione della radiazione con la materia

L’azione lesiva delle radiazioni ionizzanti sull’organismo è una

diretta conseguenza dei processi fisici di eccitazione ed ionizzazione

degli atomi e delle molecole dei tessuti biologici dovuti agli urti delle

particelle, quando hanno un’energia sufficiente a produrre questi

processi.

A seconda che la ionizzazione del mezzo irradiato avvenga per via

diretta o indiretta, si usa distinguere tra radiazioni direttamente

ionizzanti e radiazioni indirettamente ionizzanti. Sono direttamente

ionizzanti le particelle cariche (ad esempio elettroni, protoni, particelle

alfa, eccetera) la cui energia cinetica è sufficiente per produrre

ionizzazione per collisione; sono invece indirettamente ionizzanti le

particelle prive di carica elettrica (neutroni, fotoni, eccetera) che,

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

44

interagendo con la materia, possono cedere tutta o parte della propria

energia a particelle secondarie direttamente ionizzanti.

3.1.1 Interazione delle particelle cariche con la materia

Le particelle cariche costituiscono le radiazioni direttamente

ionizzanti. Le interazioni di queste particelle con la materia sono di

natura elettromagnetica ed il loro passaggio è caratterizzato da due

effetti: una perdita di energia da parte della particella incidente, ed una

deflessione della medesima dalla sua direzione iniziale. Tali effetti sono

fondamentalmente il risultato di collisioni anelastiche con gli elettroni

atomici del mezzo attraversato e di "scattering" elastico dei nuclei.

Nel caso di particelle leggere (elettroni e positroni), tuttavia, le

collisioni anelastiche, eccitazione ed ionizzazione per urto sono le

principali responsabili delle cessioni di energia soltanto ad energie

relativamente modeste. A causa della loro piccola massa, per queste

particelle assumono infatti grande rilevanza, già ad energie dell’ordine di

pochi MeV, anche le perdite di energia per irraggiamento (radiazione di

"bremsstrahlung" o di frenamento), vale a dire l’emissione di radiazioni

elettromagnetiche derivanti dalla diffusione Coulombiana nel campo di

un nucleo atomico. Esistono anche altri processi nei quali le particelle

leggere possono perdere energia, anche se in misura minore. Tra questi

vi sono la diffusione elastica da parte degli atomi, la diffusione multipla,

la polarizzazione, eccetera [14]. Nel caso dei positroni, inoltre, è

importante ricordare l’annichilazione da fermi o in volo, dopo la

formazione di stati legati positrone-elettrone.

Le particelle cariche pesanti dissipano la loro energia nella materia

quasi esclusivamente per collisioni anelastiche con gli atomi o le

molecole del mezzo attraversato (eccitazioni ed ionizzazioni).11

11

Possono presentarsi anche altri tipi di interazione fra gli ioni incidenti e gli atomi

del mezzo come le reazioni nucleari o la diffusione elastica, ma si tratta di

processi di minore importanza se non addirittura irrilevanti come nel caso

dell’eccitazione Coulombiana dei nuclei e l’emissione di radiazione

elettromagnetica. Pur tuttavia le reazioni nucleari non possono essere affatto

trascurate quando si studia l’assorbimento nella materia di fasci costituiti da

questo tipo di particelle ai fini dei progetti di schermature, per via delle radiazioni

secondarie da esse originate.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

45

Le modalità dell’interazione sono determinate dall’energia cinetica

della particella carica incidente e dalla minima distanza a cui essa si

avvicina all’atomo urtato.

Se tale distanza è grande in confronto alle dimensioni dell’atomo,

quest’ultimo reagisce nel suo insieme nel campo elettrico della particella

incidente, che si comporta come una carica puntiforme, rimanendo

eccitato o ionizzato. In tal caso si parla di collisioni "soft" o distanti.12

Se invece tale distanza è piccola, la collisione interessa direttamente

uno degli elettroni periferici, che verrà liberato acquistando una

considerevole energia cinetica, di norma molto maggiore della sua

energia di legame. Questo tipo di collisioni sono note come collisioni

"hard" o prossime.

A seguito del processo di ionizzazione si ha la formazione di coppie

elettrone-ione positivo che, in generale, tende a ricombinarsi, a meno che

l’elettrone strappato non abbia acquisito un’energia cinetica tale da

causare eventi di ionizzazione secondaria.13

Se le tracce di questi

elettroni secondari sono sufficientemente lunghe da potersi distinguere

dalla traccia della particella primaria si usa far riferimento ad essi con il

termine di raggi δ.

Le energie di soglia dei processi di eccitazione ed ionizzazione sono

dell’ordine di alcuni eV nel caso degli elettroni meno legati.

Si definisce stopping power lineare S o potere frenante la perdita di

energia cinetica media che una particella subisce per unità di percorso.

Essa si indica come:

.=dx

dES (3.1)

12

In generale, durante i processi di eccitazione l’atomo o la molecola urtata

vengono portati dal livello fondamentale ad uno eccitato. Il riassestamento degli

atomi interessati avviene tramite l’emissione di fotoni o di elettroni "Auger",

mentre nel caso di molecole hanno luogo processi più complessi che possono

concludersi con la rottura dei legami chimici, spesso chimicamente reattivi. 13

Talvolta si verifica che l’elettrone rimosso "si attacchi" ad una molecola neutra

dando così luogo ad uno ione negativo.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

46

L’espressione del potere frenante fu determinata inizialmente da

Bohr, sfruttando argomentazioni classiche, e successivamente fu

calcolata da Bethe e Bloch sulle basi quantistiche della teoria

perturbativa, ottenendo la relazione [11]:

,222

ln2= 2

2

222

2

222

Z

C

I

Wcmz

A

ZcmrN

dx

dE maxeeeA

(3.2)

comunemente nota come formula di Bethe e Bloch, valida per

particelle cariche, distinte dagli elettroni, ad energie relativistiche

nell’intervallo che va da qualche MeV a qualche GeV ed espressa nel SI

delle unità di misura. Tutti i parametri che intervengono nell’equazione

(3.2) sono definite in tabella 3.1.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

47

Parametro Descrizione

AN numero di Avogadro 123106.022= mol

er raggio classico dell’elettrone cm13102.817= 2cme energia a riposo dell’elettrone MeV0.511=

densità del mezzo

Z numero atomico del mezzo

A massa atomica del mezzo

z carica della particella incidente

v velocità della particella incidente

termine relativistico c

v=

termine relativistico 21

1=

maxW massima energia trasferita

I energia di eccitazione media

termine di correzione per effetto densità

Z

C termine di correzione per shell

Tabella 3.1: Descrizione dei parametri presenti nella formula di Bethe e Bloch.

In particolare Wmax

rappresenta l’energia cinetica massima che può

essere trasferita ad un elettrone libero in un singolo urto col proiettile, I

l’energia di eccitazione media degli atomi del mezzo (potenziale di

ionizzazione), mentre δ e C/Z costituiscono dei termini correttivi,

rispettivamente, nel limite delle alte e delle basse energie.14

14

In altre parole, Wmax rappresenta l’energia massima persa dalla particella in

un’unica collisione anelastica con un elettrone.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

48

Figura 3.1: Stopping power dell’acqua (espresso in MeVcm−1

) per diversi tipi di

particelle cariche pesante e particelle beta.

La correzione δ per effetto della densità è rilevante solo quando

l’energia cinetica del proiettile è confrontabile o maggiore della sua

energia di massa a riposo: in tal caso, il campo elettrico dello ione

incidente tende a polarizzare gli atomi del mezzo in prossimità della sua

traiettoria. A causa della polarizzazione così indotta, gli elettroni lontani

dal cammino della particella verranno schermati dall’intensità totale del

campo di radiazione e, di conseguenza, le collisioni anelastiche con

questi elettroni contribuiranno in misura minore alla perdita di energia

totale rispetto a quanto previsto della formula di Bethe e Bloch. Tale

effetto risulta tanto più rilevante quanto più denso è il materiale

attraversato.15

La correzione C/Z di shell assume importanza nel caso in cui la

velocità del proiettile è confrontabile o minore della velocità orbitale

degli elettroni legati agli atomi del mezzo. In questo intervallo di energie

la (3.2) inizia a perdere di validità in quanto lo ione incidente, carico

15

Gli effetti di polarizzazione sono più significativi, infatti, in sostanze dense

piuttosto che in quelle leggere come i gas [11].

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

49

positivamente, tende ad acquistare elettroni dall’assorbitore riducendo

così il suo stato di carica e, di conseguenza, anche il tasso di perdita di

energia.

Se si considerano particelle cariche di massa m e carica ze ad energie

non relativistiche (v≪c, ma tali da supporre trascurabile la correzione di

shell, la relazione (3.2) è esprimibile più semplicemente come segue

[10]:

,ln= 2

2

1

m

EC

E

mzC

dx

dE

(3.3)

dove C1 e C

2 rappresentano delle costanti.

16 Nell’equazione (3.3)

il termine logaritmico varia lentamente con l’energia per cui lo stopping

power avrà un andamento inversamente proporzionale all’energia

incidente (o, analogamente, 2

1

vS ) e dipenderà essenzialmente dal

prodotto mz2, assolutamente caratteristico del tipo di particella in esame.

Si osservi che, nell’intervallo di energie in cui è da ritenersi valida la

(3.2), lo stopping power tende a decrescere all’aumentare della velocità

incidente finché non presenta un valore minimo, in corrispondenza di

v≅0.96c: in tal caso, le particelle che rallentano entro il mezzo (dette

minimamente ionizzanti), che siano inoltre caratterizzate dallo stesso

valore di z, presentano approssimativamente lo stesso valore della

perdita di energia specifica per cui non risultano più distinguibili.

Dalla dipendenza energetica descritta dalla (3.2) è possibile ricavare,

infine, l’andamento dell’energia depositata in un mezzo in funzione della

profondità di penetrazione. La curva corrispondente è nota come curva

di Bragg ed evidenzia come le particelle cariche pesanti perdano la

maggior parte della loro energia alla fine del loro tragitto e vengano

dunque frenate completamente ad una fissata distanza, dipendente dalla

16

Le costanti presenti nella (3.3) sono date da:

em

NZeC

2

0

4

18

=

e I

mC e4

=2, avendo

posto il numero di atomi o molecole bersaglio per unità di volume A

NN A= .

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

50

loro energia iniziale, che prende il nome di range (si veda la figura 3.3 di

pagina 57).17

L’aumento della ionizzazione nell’ultimo tratto del percorso, vale a

dire il numero di coppie ione-elettrone prodotte dal passaggio della

radiazione, si spiega con la dipendenza del potere frenante dall’inverso

del quadrato della velocità. Quando la particella rallenta, quindi, la

ionizzazione aumenta per poi annullarsi bruscamente allorché la sua

energia è diminuita fino al livello del potenziale di ionizzazione del

mezzo attraversato.

3.1.2 Interazione dei fotoni con la materia

Tra i vari modi in cui i fotoni possono interagire con la materia, solo

tre sono i principali meccanismi che giocano un ruolo importante nelle

misure della radiazione: l’effetto fotoelettrico, che predomina per fotoni

di bassa energia, fino a circa 0.5MeV, l’effetto Compton, per energie

intorno al MeV e la produzione di coppie, che predomina per fotoni di

alta energia, in particolare al di sopra dei 5-10MeV.

Segue una breve descrizione dei processi.

Effetto fotoelettrico: consiste nell’urto tra un fotone ed un atomo

nel suo insieme, con conseguente assorbimento del fotone ed emissione

di un elettrone, generalmente appartenente ad una delle orbite più

interne.18

L’energia cinetica massima eK è data dall’equazione di

Einstein:

beEhK = (3.4)

dove ν rappresenta la frequenza del fotone incidente, mentre Eb

l’energia di legame del fotoelettrone nella sua "shell" di origine.

L’effetto fotoelettrico è tanto più probabile quanto più l’elettrone è

17

A causa della natura statistica dei processi di interazione, questa distanza è

soggetta ad una fluttuazione, che determina il cosiddetto fenomeno del range

straggling. 18

Dato che un elettrone libero non può assorbire un fotone ed anche conservarne

l’impulso, l’effetto fotoelettrico coinvolge sempre e soltanto elettroni legati a

nuclei.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

51

legato all’atomo. Pertanto avviene più frequentemente con gli elettroni

dell’orbita K, che costituiscono circa l’80% di tutti i fotoelettroni emessi.

Inoltre, per ogni orbita, l’emissione fotoelettrica è più probabile quando

il fotone possiede giusto l’energia sufficiente per produrla. La sezione

d’urto, il cui andamento qualitativo può essere osservato in figura 3.2,

decresce con l’energia dei fotoni presentando delle improvvise

discontinuità in corrispondenza delle energie di soglia del processo per

le differenti orbite (K, L, M). Le discontinuità sono più evidenti e

numerose per i materiali di elevato numero atomico. Gli atomi del

mezzo assorbente, espellendo un elettrone, risultano eccitati, quindi, si

diseccitano emettendo raggi X di fluorescenza o elettroni "Auger".

Effetto Compton: consiste nella diffusione di un fotone da parte di

un elettrone atomico. L’interazione avviene quando il fotone possiede

energia sufficientemente elevata (prevalentemente tra 0.8 e 4 MeV circa)

rispetto all’energia di legame dell’elettrone da poter interagire con

quest’ultimo come se fosse libero. Nel processo il fotone è diffuso in

direzione diversa da quella incidente, mentre l’elettrone viene a sua volta

messo in moto con una certa energia cinetica. Poiché tutti gli angoli di

"scattering" sono possibili, l’energia trasferita all’elettrone può variare

da zero ad una larga frazione dell’energia del raggio gamma incidente.19

Produzione di coppie: è un processo in cui il raggio gamma è

assorbito e la sua energia viene trasferita in parte in massa di quiete di

una coppia elettrone-positrone ed in parte in energia cinetica di queste

due particelle. Per i principi di conservazione dell’energia e del

momento si può mostrare che quest’effetto è possibile soltanto nel

campo Coulombiano di un nucleo o di un elettrone. Si tratta, inoltre, di

un "processo a soglia" che può aver luogo soltanto se l’energia minima

del fotone è pari a 2m0c

2

, vale a dire 1.022 MeV, cioè l’energia

corrispondete alla massa a riposo della coppia elettrone-positrone.

L’energia cinetica disponibile non si distribuisce però in parti uguali tra

le due particelle, in quanto il positrone, a causa della repulsione da parte

del nucleo, tende a riceverne un po’ più rispetto all’elettrone. Questa

19

Ad energie inferiori al MeV può avvenire anche diffusione coerente (o di

"Rayleigh"), processo in cui un fotone, interagendo con un atomo, è

esclusivamente deflesso da questo senza alcuna perdita di energia.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

52

differenza finisce tuttavia per scomparire al crescere dell’energia

riferimento [14].

Un materiale attraversato da un fascio di fotoni subisce i processi

fisici fin qui descritti che, sebbene molto differenti tra loro nelle

modalità e negli esiti finali, determinano un’attenuazione dell’intensità

iniziale del fascio incidente. Alla luce della descrizione di questi effetti,

è chiaro che un fotone non può essere "rallentato" dagli atomi del

materiale attraversato. Esso infatti o interagisce con gli atomi tramite

uno dei processi analizzati, così da essere rimosso dal fascio o, in

alternativa, non viene assolutamente disturbato da essi, continuando a

viaggiare lungo la direzione inizialmente posseduta. Se ci si pone in

condizioni di "buona geometria", la frazione di fotoni N

dN

che subisce

interazioni nell’attraversare uno spessore sottile di materiale è regolata

da una precisa legge matematica funzione del numero iniziale di fotoni

incidenti, delle caratteristiche dell’assorbitore considerato e della sezione

d’urto atomica totale tota .20

Quest’ultima è data dalla somma delle

sezioni d’urto atomiche relative a tutte le interazioni che il fotone può

subire nel mezzo poiché tutti gli effetti concorrono insieme

all’attenuazione del fascio.

Integrando l’equazione che esprime il rapporto N

dN si ottiene il

numero di fotoni trasmessi N in funzione dello spessore l attraversato:

,= 0

leNN (3.5)

avendo posto:

totaA

A

N = (3.6)

dove 0N è il numero di fotoni senza assorbitore e A

N A rappresenta

il numero di atomi presenti per cm3 nel materiale [14].

20

Verificate nel caso in cui un rivelatore posto lungo l’asse del fascio, dietro

l’assorbitore, difficilmente possa essere raggiunto da fotoni che hanno subito

interazioni nell’assorbitore stesso: solo i fotoni che non hanno subito alcuna

interazione verranno rivelati da esso.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

53

Il coefficiente μ viene detto coefficiente di attenuazione lineare e

rappresenta la frazione di fotoni che interagisce per unità di spessore del

mezzo attraversato. Si misura in cm−1

ed è pari al reciproco del libero

cammino medio λ.21

Rigorosamente, questo coefficiente si può

considerare costante solo per fasci monoenergetici di fotoni, poiché la

sezione d’urto totale è fortemente correlata all’energia. Ci si aspetta

quindi che all’interno del materiale attraversato, un fascio di fotoni

subisca una continua attenuazione, la cui entità è tanto maggiore quanto

più elevato risulta il numero di atomi per cm3

presenti nell’assorbitore.

Spesso, in luogo di μ si preferisce utilizzare il coefficiente di

attenuazione massico

, dato dal rapporto tra il coefficiente di

attenuazione lineare e la densità del materiale attraversato. Questo

coefficiente ha la proprietà di essere indipendente dalla densità del

mezzo assorbitore.

La discussione appena affrontata fa comprendere quindi le due

caratteristiche principali dei fotoni: penetrano la materia molto più delle

particelle cariche e non subiscono degradazione in energia dentro la

materia, ma solo un’attenuazione in intensità [11].

21

Definito come lo spessore di assorbitore dopo il quale l’intensità del fascio si

riduce a

e

1 del suo valore iniziale.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

54

Figura 3.2: Andamento del coefficiente di assorbimento massico μ/ϱ per il

Piombo in funzione dell’energia.

3.1.3 Interazione dei neutroni

Le interazioni dei neutroni con la materia sono fondamentalmente

diverse da quelle precedentemente descritte a proposito delle particelle

cariche e dei fotoni a causa della facilità con la quale queste particelle

possono raggiungere i nuclei degli atomi, dando luogo così a reazioni

nucleari. Essi, infatti, non possedendo carica elettrica, non sono soggetti

ad interazioni coulombiane con gli elettroni ed i nuclei della materia che

attraversano.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

55

Non è oggetto di questo lavoro descrivere nel dettaglio le diverse

interazioni cui i neutroni sono soggetti nell’attraversare la materia.

Basterà in questa sede sapere che queste possono essere spiegate in

termini di formazione di un nucleo composto in uno stato eccitato, dove

l’energia di eccitazione, che comprende l’energia cinetica e di legame

del neutrone (7−8MeV), è rapidamente suddivisa tra tutti i nucleoni [14].

A seconda della loro energia i neutroni possono dare luogo ad una

vasta gamma di reazioni nucleari, le più importanti delle quali sono qui

di seguito brevemente illustrate.

Per energie inferiori a 0.1 MeV si parla di neutroni termici. Questi

interagiscono con i nuclei atomici dai quali vengono "catturati"; il

nucleo poi si diseccita emettendo un fotone. La probabilità di cattura

neutronica o radiativa aumenta al diminuire della energia del neutrone

e varia considerevolmente a seconda del materiale assorbente. La

sezione d’urto é grande per elementi quali l’idrogeno, il boro ed il litio.

Per MeVEMeV 150<<1 si hanno neutroni veloci. Il principale

meccanismo con cui questi perdono energia è la diffusione elastica con

i nuclei, nella quale tutta l’energia persa dal neutrone é trasformata in

energia cinetica del nucleo urtato. Il neutrone urta il nucleo e viene

diffuso secondo le leggi della dinamica dell’urto.22

Si parla in tal caso di

moderazione dei neutroni.

Il massimo trasferimento di energia si ha quando l’urto é frontale ed

il nucleo ha più o meno la stessa massa del neutrone, cioè quando il

bersaglio é un protone. Per questo motivo l’idrogeno costituisce il più

prezioso degli elementi per il rallentamento dei neutroni veloci. Si noti

che essendo il tessuto biologico ricco di idrogeno, il passaggio di

neutroni veloci in esso é caratterizzato in grandissima parte da questo

tipo di interazione che produce protoni di rimbalzo di energia uguale a

quella del neutrone incidente, i quali causano ionizzazione ed

eccitazione negli atomi e nelle molecole del mezzo. Altri danni al tessuto

vivente, sebbene in misura minore, sono causati dalle collisioni dei

neutroni con i nuclei di carbonio, ossigeno ed azoto (considerati nuclei

leggeri).

22

Nella trattazione non relativistica dell’urto tra neutrone e nucleo, considerati un

sistema isolato, si conservano quantità di moto ed energia cinetica. Il neutrone non

eccita il nucleo, che generalmente era e rimane nel suo stato fondamentale.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

56

Neutroni di energia intermedia interagiscono mediante entrambi i

processi appena descritti di cattura e di diffusione elastica.

Altre due interazioni da ricordare sono gli urti anelastici e le

reazioni con emissione di particelle cariche.

Nei primi il neutrone viene catturato dal nucleo ed in seguito

riemesso con energia minore e la produzione di un fotone. Questo

processo si verifica solo se il neutrone ha un’energia almeno di 1 MeV,

necessaria ad eccitare il nucleo.

Nelle seconde, invece, il neutrone viene assorbito e come risultato

possono essere emessi protoni, particelle alfa, eccetera. Queste collisioni

hanno luogo per energie superiori a 5 MeV e la loro probabilità di

verificarsi cresce all’aumentare dell’energia.

Infine, per neutroni di energia intorno ai 100 MeV o superiore, si può

avere spallazione, cioè la cattura del neutrone da parte di un nucleo con

la conseguente emissione di vari tipi di particelle e frammenti.

La legge di attenuazione di un fascio sottile di neutroni

monoenergetici é simile a quella dei fotoni nel senso che vengono

anch’essi attenuati esponenzialmente tramite un coefficiente di

attenuazione lineare.

La figura 3.3 riassume quanto detto finora sui diversi meccanismi di

rilascio di energia nella materia da parte delle varie radiazioni. Dal

grafico emerge che mentre fotoni e neutroni sono radiazioni molto

penetranti e sparsamente ionizzanti, le particelle cariche hanno range

limitato e sono estremamente ionizzanti.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

57

Figura 3.3: Energia persa per unità di percorso in funzione della profondità

in acqua. Il confronto è eseguito tra diversi tipi di radiazioni quali: protoni da

200 MeV, elettroni da 20 MeV, raggi X, fotoni emessi da 60

Co e neutroni.

3.2 Cenni di dosimetria

Il problema fondamentale della dosimetria è quello di mettere in

relazione gli effetti osservati con le caratteristiche fisiche del campo di

radiazione.

Poiché tutte gli effetti (biologici, fisici, chimici) indotti dalle

radiazioni ionizzanti si manifestano solo quando avviene una cessione di

energia alla materia, si è tentato di risolvere il problema mediante

l’introduzione di una grandezza strettamente legata a tale cessione, la

dose assorbita (che sarà definita più avanti). La misura o il calcolo della

dose assorbita costituiscono il principale obiettivo della dosimetria. In

pratica, però, tale quantità, pur giocando un ruolo di fondamentale

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

58

importanza nell’interpretazione degli effetti biologici, non è in grado di

darne una spiegazione completa.

Nel 1990 l’ICRP (International Commission on Radiological

Protection, si veda il paragrafo 3.3.2) ha approvato le nuove

raccomandazioni fondamentali, che hanno sostituito quelle dell’ICRP

Pubblication 26 [7] ed i supplementi successivi.23

Queste sono state

pubblicate nel 1991 nella ICRP Pubblication 60, ed includono

l’introduzione di nuove grandezze per la radioprotezione [8]. Queste

ultime hanno richiesto una revisione di molti dei dati di base usati nella

protezione contro le sorgenti di radiazione ionizzanti, sia interne sia

esterne al corpo.

Tre tipi di grandezze sono definite specificamente per l’utilizzo in

radioprotezione:

• Grandezze fisiche. Caratterizzano il campo di radiazione, sono

direttamente misurabili e danno un’indicazione della dose

assorbita. Questi concetti sono definiti più avanti;

• Grandezze radioprotezionistiche. Sono definite dall’ICRP, non

sono direttamente misurabili, ma riferibili a calcoli se le

condizioni di irradiazione sono note. Queste grandezze servono a

tener conto dei diversi tipi di radiazione in termini di effetti su un

medesimo tessuto biologico, e delle diverse risposte degli organi

su cui incide la radiazione;

• Grandezze operative. Definite dall’ICRU (International

Commission on Radiation Units and Measurements, si veda il

paragrafo 3.3.2), sono utilizzate per il monitoraggio di aree ed

individui esposti alle radiazioni. Servono a fornire una stima delle

quantità dosimetriche, e come quantità di calibrazione dei

dosimetri utilizzati.

Sia le grandezze radioprotezionistiche che quelle operative possono

essere correlate alle grandezze fisiche. Le grandezze fisiche e quelle

operative sono fondamentali per misurare la radiazione esterna. I

coefficienti di conversione, che collegano grandezze operative e

radioprotezionistiche a grandezze fisiche, sono calcolati utilizzando

codici di trasporto della radiazione e modelli matematici appropriati.

23

ICRP 1978, 1980, 1985.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

59

3.2.1 Grandezze fisiche

Quando in una certa regione dello spazio si propagano radiazioni di

qualsiasi genere, si dice che essa è sede di un campo di radiazione. Tale

campo è di natura intrinsecamente statistica; quindi le grandezze fisiche

atte a descriverlo, brevemente introdotte qui di seguito, sono sempre di

tipo stocastico.

Si definisce Fluenza di particelle Φ in un certo punto in un mezzo

irradiato:

.=da

dN (3.7)

dove dN rappresenta il numero medio atteso delle particelle incidenti

su una sfera di sezione massima da, pensata perpendicolare alla

radiazione incidente, avente centro nel punto considerato; l’unità di

misura è m−2

nel SI, o cm−2

secondo le unità pratiche, spesso utilizzate.

La fluenza di particelle concerne il trasporto di particelle; è possibile,

e spesso risulta comodo, definirne altre analoghe, che descrivano il

trasporto di energia. Detta R l’energia radiante, cioè la somma delle

energie delle particelle (esclusa quella di quiete) emessa, trasferita o

ricevuta, espressa in joule nel SI, è intuitivo considerare la quantità

Fluenza di energia delle particelle Ψ, definita come:

.=da

dR (3.8)

espressa in J⋅m−2

nel SI.

Per il seguito, risulta importante definire il concetto di equilibrio di

radiazione: si dice che in un certo punto in un mezzo vi è equilibrio di

radiazione quando il valore atteso dell’energia radiante R che entra in un

volume infinitesimo attorno a quel punto è uguale a quello dell’energia

radiante che ne esce.

Quando tali condizioni si verificano soltanto per le particelle cariche,

si parla di equilibrio di particelle cariche.

L’equilibrio di particelle cariche sussiste certamente quando

l’elemento di volume d’interesse si trova immerso in una porzione di

materia di dimensioni non inferiori al percorso massimo dei secondari

carichi messi in moto e purché la fluenza d’energia della radiazione

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

60

primaria non vari apprezzabilmente su distanze dell’ordine di tale

percorso.

Al contrario tale equilibrio viene a mancare in prossimità di una

sorgente puntiforme, a causa della variazione del campo di radiazione

con la distanza; all’interfaccia tra due mezzi diversi; e, più in generale,

in presenza di radiazioni indirettamente ionizzanti di energia

sufficientemente elevata cosicché il percorso dei secondari carichi

originati non sia affatto trascurabile rispetto al libero cammino medio

della radiazione primaria [1].

3.2.2 Grandezze dosimetriche

Poiché tutti gli effetti indotti dalle radiazioni ionizzanti si manifestano

quando avviene una cessione di energia alla materia, è chiaro che le

valutazioni di tipo dosimetrico implicano una conoscenza delle

caratteristiche sia del campo di radiazione che dei mezzi materiali

irradiati.

Le grandezze dosimetriche godono della proprietà di potersi

esprimere come prodotto di una grandezza di campo per una costante

caratteristica del mezzo coinvolto (coefficiente d’interazione).

Per descrivere la capacità dei raggi X di produrre ionizzazione in

aria, storicamente è stata introdotta la grandezza Esposizione X, definita

come:

.=dm

dQX (3.9)

dove dQ è il valore assoluto della carica totale degli ioni di un segno,

prodotti in aria quando tutti gli elettroni liberati dai fotoni nell’elemento

di massa dm sono completamente fermati; l’unità di misura è il 1kgC

nel SI, o il roenteger R ( 14102.58=1 CkgR ), più frequentemente usato

nella pratica.

Il limite maggiore di questa grandezza è la ristrettezza dell’ambito di

validità: solo per fotoni e solo in condizioni di equilibrio di particelle

cariche quindi (per questioni di tecnica attuale) solo per energie dei

fotoni non superiori ai 3 MeV. Nonostante questi pesanti limiti, tale

unità è ancora oggi utilizzata per la semplicità concettuale della

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

61

strumentazione con cui si effettua la misura (come nel caso delle camere

ad ionizzazione ad aria libera).

Fondamentale ai fini dosimetrici è la grandezza chiamata Energia

impartita ε dalla radiazione ionizzante in un certo volume:

QRR outin= (3.10)

dove Rin

è l’energia radiante incidente sul volume, cioè la somma

delle energie delle particelle ionizzanti (esclusa quella di quiete), cariche

o meno, che entrano nel volume; Rout

è l’energia radiante uscente dal

volume, cioè la somma delle energie delle particelle ionizzanti (esclusa

quella di quiete), cariche o meno, che lasciano il volume; Q infine è la

somma di tutti i cambiamenti nelle energie di massa di riposo dei nuclei

e delle particelle elementari in tutte le reazioni che avvengono nel

volume; nella somma, gli aumenti di energia di massa sono denotati con

(+) e le diminuzioni con (−).

L’unità di misura è il Joule. Si tratta di una grandezza stocastica, il

cui valore atteso ε, detto energia media impartita, è collegato alla più

importante delle grandezze dosimetriche, la dose assorbita come segue.

Si definisce Dose assorbita e si indica con D, la quantità:

dm

dD

= (3.11)

come anticipato, è l’energia media impartita nel volume

elementare di massa dm; l’unità di misura nel SI è il Gray (Gy)

( 11=1 kgJGy ), ma è in uso anche l’unità convenzionale rad, essendo

radGy 100=1 .

La valutazione di ε richiede, in linea di principio, ripetute esposizioni

di elementi finiti di massa nel campo di radiazione interessato, con

relativa operazione di media dei valori di ε misurati. Per questo motivo il

calcolo della dose assorbita è teoricamente possibile a prescindere della

presenza di condizioni di equilibrio di radiazione, ma risulta

notevolmente semplificato nel caso della loro sussistenza [14].

Il Kerma K (Kinetic Energy Released to the Matter), risulta definito

come:

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

62

dm

dEK tr= (3.12)

dove dEtr è la somma delle energie cinetiche iniziali di tutte le

particelle ionizzanti cariche, liberate dalle particelle ionizzanti neutre in

un elemento di volume di massa dm; l’unità di misura è nuovamente il

Gray.24

Ogni qual volta si è interessati a conoscere l’energia depositata in

una certa regione intorno alla traccia delle particelle incidenti si fa

ricorso ad una grandezza chiamata LET (Linear Energy Transfer)

definita come:

dl

dEL = (3.13)

dove dE rappresenta l’energia ceduta localmente per collisioni da una

particella carica lungo un segmento di traccia dl, considerando

esclusivamente le collisioni che comportano un trasferimento di energia

minore di Δ (solitamente espresso in eV).

L’unità di misura del LET è solitamente keV⋅μm−1

.

Considerando tutte le perdite di energia si ottiene per il LET, che in

questo caso indicheremo con L∞, lo stesso valore numerico del potere

frenante.

Quando ci si riferisce al L∞ si distinguono particelle ad alto LET e

particelle a basso LET, il confine fra le due si colloca in genere fra 30 e

50 keV⋅μm−1

.

Gli elettroni sono solitamente considerati particelle a basso LET,

mentre protoni, particelle alfa ed i nuclei di rinculo sono ad alto LET. I

dettagli sono mostrati in tabella 3.2.

24

Nel termine dEtr è anche inclusa l’energia che le particelle secondarie cariche

irradiano sotto forma di radiazione di frenamento, o le energie delle particelle

cariche prodotte in processi secondari (per esempio elettroni Auger) nell’elemento

di volume considerato.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

63

Particella LET ][ 1 mkeV

Elettroni 0.2 ÷ 30

Protoni 50 ÷ 100

Particelle

alfa

40 ÷ 250

Ioni pesanti 100 ÷ 400

Tabella 3.2: Valori di LET∞ per alcune particelle [14].

3.2.3 Grandezze radioprotezionistiche

Nessuna delle grandezze dosimetriche presentate (esposizione, dose

assorbita, kerma ecc.) è per sua natura idonea ad interpretare in modo

completo gli effetti provocati dal trasferimento di energia dalle

radiazioni ionizzanti alla materia vivente. La dose assorbita, ad esempio,

non consente di tenere conto della diversità degli effetti biologici indotti

da radiazioni di diversa qualità. Infatti, a parità di dose assorbita, in un

medesimo tessuto biologico possono manifestarsi effetti diversi, a

seconda dei diversi tipi di radiazione incidente. Viceversa, a parità di

dose assorbita e di qualità di radiazione incidente, il danno biologico può

essere ben diverso a seconda del tipo di tessuto irradiato. Quindi in

qualche modo, ciascun tipo di radiazione è caratterizzato da una propria

"pericolosità" biologica, ed inversamente, ciascun tessuto (o organo

umano) da una propria "suscettibilità" alle radiazioni.

Le grandezze radioprotezionistiche possono essere intese come

quantità dosimetriche specificate nel corpo umano dall’ICRP, nel

tentativo di quantificare attraverso opportuni coefficienti, seppure in

modo empirico, i rischi di esposizione ai diversi tipi di radiazioni

ionizzanti.

In questo ambito l’ICRP, ancora con la Pubblicazione 60, ha

suggerito l’uso di fattori di peso della radiazione wR, i cui valori sono

specificati in base alle caratteristiche della radiazione esterna incidente o

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

64

del radionuclide internamente depositato. Allo scopo di distinguere la

ponderazione della dose assorbita con i fattori di peso introdotti, ha così

definito una nuova grandezza, la dose equivalente, espressa da:

,= ,RTR

R

T DwH (3.14)

dove DT,R

è la dose assorbita da ciascun tipo di radiazione. L’unità di

misura è il Sievert nel SI oppure il rem, essendo 1Sv=100 rem. HT è

definita relativamente ad un tessuto od organo T irradiato con vari tipi di

radiazione, cui corrispondono i diversi fattori di peso wR i cui valori sono

dedotti dalle rassegne di informazione biologica. In figura 3.4 sono

riportati i valori numerici di wR in termini di tipo ed energia della

maggioranza delle radiazioni ionizzanti [8]. Si noti come le particelle

alfa, i frammenti di fissione e gli ioni pesanti presentino, in qualunque

intervallo di energia, il valore più elevato.

Figura 3.4: Fattori peso per radiazione a diverse energie.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

65

Note le dosi equivalenti relative a tutti gli organi o tessuti del corpo è

possibile determinare la dose efficace, data dall’espressione:

,= TT

T

HwE (3.15)

dove HT è la dose equivalente al tessuto o organo T e w

T è il fattore

peso per il tessuto T. Il fattore peso rende conto delle diversità del danno

stocastico relativo, risultante dall’esposizione di differenti tessuti o

organi ad una identica dose equivalente.

Si può così pensare che mentre la dose equivalente dia una misura

del danno biologico al tessuto o organo irradiato, la dose efficace

fornisca una misura del danno biologico all’individuo esposto. In figura

3.5 sono presentati i valori numerici di wT per i diversi organi o tessuti.

Figura 3.5: Fattori peso dei diversi tessuti ed organi.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

66

3.2.4 Grandezze operative

In generale la dose assorbita agli organi non può essere valutata

sperimentalmente in quanto ciò richiederebbe l’acquisizione di un gran

numero di parametri. Basti pensare che per effettuare la misura sarebbe

necessario praticare una cavità intorno al punto d’interesse ed introdurre

in essa un materiale C sensibile alla dose, vale a dire un "dosimetro".

Adesso, se il materiale C fosse della stessa natura del materiale

costituente il mezzo irradiato, la procedura descritta non perturberebbe il

campo preesistente ed il valore della dose assorbita così determinato non

risulterebbe diverso dal quello cercato.

In genere però il mezzo ed il rivelatore non sono affatto omogenei

per cui l’energia assorbita sarà diseguale nei diversi materiali. Per

risalire dalla dose misurata DC alla dose nel mezzo imperturbato (cioè il

valore a cui si è effettivamente interessati) si dovrà pertanto moltiplicare

la prima per un opportuno fattore di correzione.

La determinazione di tale fattore non è affatto banale e costituisce

l’obiettivo fondamentale della cosiddetta teoria della cavità, non

affrontata in questa sede. Ulteriori dettagli sono riportati in letteratura

[14]

Da quanto detto emerge pertanto che anche le quantità HT ed E non

possono essere direttamente misurate. Per questo motivo l’ICRU ha

definito un’altra serie di grandezze, dette operative, che si distinguono

per le seguenti caratteristiche [6]:

• possibilità di essere misurate direttamente, o di essere ricavate

dalle risposte degli strumenti;

• a partire dalla loro misura, possibilità di ottenere una stima

conservativa di quantità radioprotezionistiche e/o fisiche, ossia

una stima che non sottovaluti in nessun caso l’entità reale della

quantità radioprotezionistica o fisica;

• contemporaneamente, capacità di evitare un’eccessiva sovrastima

delle grandezze radioprotezionistiche e fisiche.

Le quantità operative sono inoltre classificate in due categorie: quelle

per il monitoraggio ambientale e quelle per il monitoraggio personale.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

67

La definizione delle grandezze per il monitoraggio ambientale

richiede qualche precisazione preliminare a proposito del significato di

alcuni termini.

Con il termine campo espanso ci si riferisce ad un campo di

radiazione avente per tutto il volume di interesse la stessa fluenza di

particelle, la stessa distribuzione angolare e lo stesso spettro in energia

del campo che è effettivamente presente nel punto a cui ci si riferisce.

Si definisce campo allineato ed espanso un campo di radiazione in

cui si mantengono inalterate le precedenti quantità, fatta eccezione per la

distribuzione angolare del campo di radiazione che viene assunta

unidirezionale (figura 3.6).

Figura 3.6: Schematizzazzione di campo reale (a), campo allineato ed espanso (b)

ed espanso.

Ora è possibile definire l’Equivalente di dose ambientale )(* dH ,

in un certo punto immerso in un campo di radiazione. Essa è

l’equivalente di dose che sarebbe prodotto dal corrispondente campo

allineato ed espanso nella sfera ICRU centrata nel punto di interesse, a

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

68

una profondità d lungo il raggio opposto alla radiazione del campo

allineato.25

Si definisce, inoltre, Equivalente di dose direzionale ),( dH in

un certo punto di un campo di radiazione l’equivalente di dose prodotto

dal corrispondente campo espanso nella sfera ICRU ad una profondità d

lungo un raggio in una specificata direzione .

Per quanto riguarda, invece, il monitoraggio personale, si

definiscono Equivalente di dose individuale penetrante )(dHP e

Equivalente di dose individuale superficiale )(dHS gli equivalenti di

dose in tessuto molle a specificate profondità d del corpo umano.

Per le grandezze H*(d) e HP(d) il valore raccomandato per la

profondità d è 10 mm (H* (10) e HP(10)), mentre per il monitoraggio in

termini di )(dH e HS(d) la distanza raccomandata è 0.07 mm (H'(0.07) e

HS(0.07)). La loro unità di misura nel SI è, infine, il sievert.

Da quanto detto finora appare dunque evidente che i valori di dose

efficace sono valutati a partire dalle misure di grandezze operative. Le

espressioni analitiche da utilizzare per il calcolo sono state recentemente

ridefinite nella Pubblicazione 103 dell’ICRP [9].

3.3 Problematiche relative alla radioprotezione

La protezione dagli effetti delle radiazioni si fonda a livello generale

sull’isolamento delle sorgenti radioattive dall’ambiente e dal contatto

con l’uomo, ed a livello particolare sull’adozione di soluzioni

progettuali, costruttive e tecnologiche, nonché sull’individuazione di

comportamenti e prescrizioni atte a ridurre l’esposizione individuale e

collettiva della popolazione in misura appropriata.

25 Con il termine sfera ICRU si intende una sfera di tessuto molle di diametro 30cm ,

densità 1gcm-3 e la cui composizione è data dal 76,2 di Ossigeno, 11,1 Carbonio,

10,1 Idrogeno e 2,6 Azoto. Essa quindi non è altro che un particolare fantoccio di

riferimento.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

69

3.3.1 Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti

Gli effetti indotti dalle radiazioni ionizzanti si distinguono, dal punto

di vista della possibilità di accadimento, in [8]:

• Effetti non stocastici o deterministici, la cui gravità è in stretta

relazione alla "qualità di radiazione" ricevuta nell’organo o tessuto

d’interesse, che successivamente sarà definita in modo più preciso

come "dose assorbita", e per ciascuno di essi, esiste un valore di

soglia soltanto superato il quale, l’effetto stesso si manifesta. I

valori delle dosi corrispondenti alle varie soglie sono, inoltre,

sempre piuttosto elevati e conosciuti in genere con accettabile

accuratezza.

• Effetti stocastici, caratterizzati, invece, da una probabilità di

accadimento in funzione della dose ricevuta, e dall’assenza di un

valore di soglia, al di sotto del quale con certezza l’effetto non si

manifesti.

Dal punto di vista biologico invece, gli effetti indotti si distinguono

in somatici e genetici, a seconda che si manifestino sull’individuo

esposto o sui suoi discendenti. Gran parte degli effetti somatici sono di

tipo non stocastico, mentre tutti gli effetti genetici ed una fetta

comunque importante dei somatici (leucemia, carcinogenesi) hanno

carattere stocastico.

Quando le radiazioni ionizzanti arrivano su di un organismo vivente

cedono in parte la loro energia alle cellule che lo compongono. Tale

apporto di energia, negli organismi viventi, produce una ionizzazione

delle molecole: da qui la definizione di radiazioni ionizzanti. Si possono

distinguere in generale in questo processo due fasi: una "fase iniziale" e

la fase del "danno biologico".

Nella fase iniziale le radiazioni ionizzanti producono nella materia

vivente alterazioni fisiche e fisico-chimiche, le quali, proprio perché si

verificano in strutture biologiche, sono all’origine della successiva fase

del danno biologico, che si manifesterà prima nei costituenti

fondamentali della materia vivente, le cellule, poi nei tessuti e negli

organi, ed infine nell’organismo considerato nel suo insieme.

Si può affermare che i danni biologici, a livello cellulare e tessutale,

vengono generati mediante un duplice meccanismo:

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

70

• Diretto, in cui le macromolecole cellulari e tessutali, essendo esse

stesse bersaglio delle radiazioni, ne subiscono gli effetti ionizzanti

ed eccitanti;

• Indiretto, in cui le alterazioni a carico di queste macromolecole

sono dovute ai radicali liberi prodotti dall’azione delle radiazioni

sulla componente molecolare maggiormente rappresentata

nell’organismo, cioè l’acqua.26

È dunque il DNA il bersaglio principale delle radiazioni: molti degli

effetti acuti osservati negli organismi sono dovuti alla morte delle cellule

quando cercano di riprodursi (morte riproduttiva della cellula). Non

appena si ha un anomalia del DNA, vengono messi in moto meccanismi

per la sua riparazione; nel caso in cui essa sia effettuata in maniera errata

il DNA si modifica, con conseguenti danni biologici di varia entità.

Figura 3.7: Effetto delle radiazioni ionizzanti sulla catena del DNA.

Tipicamente nel caso di dosi molto elevate, con conseguenti effetti

deterministici sull’organismo (per via di incidenti o di esposizioni dei

26

I radicali liberi sono atomi o raggruppamenti di atomi aventi in uno degli orbitali

esterni delle specie che li costituiscono uno o più elettroni spaiati,

indipendentemente dalla carica espressa. Responsabili, tra l’altro, di alterazioni

aspecifiche della permeabilità delle membrane plasmatiche, possono reagire con le

proteine denaturandole ed intercalarsi con gli acidi nucleici.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

71

tessuti sani in caso di radioterapia), si assiste ad una diminuzione rapida

della popolazione di cellule, nel giro di poche ore o giorni

dall’esposizione.

Tuttavia in popolazioni cellulari con ciclo riproduttivo lento, la

morte non avviene per mesi o anche per anni. Il grado di uccisione delle

cellule in una popolazione, nonché la gravità del detrimento complessivo

all’organismo, aumentano con la dose, purché sia superata una certa

soglia minima, come già spiegato sopra: se un numero sufficiente di

cellule vengono uccise in un organo o tessuto si compromette la sua

funzionalità ed, in casi estremi, l’organismo può morire.

Invece nel caso di basse dosi, e quindi di effetti stocastici

sull’organismo, si hanno variazioni nelle cellule normali, come

presumibile risultato di mutamenti specifici al DNA, i quali avvengono

in base ad un processo noto come "trasformazione neoplasica". Un

risultato caratteristico è la capacità potenziale da parte di una cellula

neoplasica di riproduzione illimitata. La presenza di tali cellule non

determina necessariamente la comparsa di un cancro, il quale tuttavia

può insorgere sotto l’azione concomitante di altri agenti, dopo un

periodo di latenza. La probabilità di avere una neoplasia dopo

esposizione alle radiazioni cresce all’aumentare della dose, tuttavia la

sua gravità non è influenzata dalla dose stessa.

3.3.2 La radioprotezione nella normativa italiana

La radioprotezione ha lo scopo di assicurare la protezione degli

individui (e della loro progenie) e dell’ambiente dai rischi connessi

all’esposizione a radiazioni ionizzanti. Essa si estrinseca in una serie di

principi, raccomandazioni, requisiti, prescrizioni, tecnologie e modalità

operative, e verifiche volte a proteggere la popolazione (intesa come

individui in generale, lavoratori, soggetti sottoposti a pratiche mediche

di diagnosi e cura facenti uso delle radiazioni ionizzanti). Il compito di

fornire informazioni su questo tema è svolto dai due organismi

internazionali:

• l’ICRP (International Commission on Radiological Protection),

nata nel 1928, formula i principi generali su cui s’ispira la

radioprotezione, i quali sono poi recepiti dalle legislazioni dei vari

Paesi;

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

72

• l’ICRU (International Commission on Radiation Units and

Measurements), fondata nel 1925 dall’International Congress of

Radiology, ha l’obiettivo di sviluppare raccomandazioni per le

qualità e le unità di misura operazionali della radioprotezione,

caratterizzandole in relazione agli aspetti fisici del campo di

radiazione.

Le raccomandazioni delle due commissioni vengono poi pubblicate

sotto forma di documenti ICRP e ICRU.

Da un punto di vista operativo, l’obiettivo più importante della

radioprotezione è la limitazione degli effetti stocastici, la cui probabilità

di accadimento dipende, come già detto, dalla dose ricevuta in maniera

non ben chiara nell’intervallo delle basse dosi.

L’ICRP costruisce il suo edificio protezionistico sull’ipotesi di una

relazione probabilmente cautelativa, almeno in alcuni casi di tipo lineare,

senza soglia fra effetti stocastici e dose ricevuta. Accettato questo

principio, nessuna esposizione alle radiazioni, per quanto modesta, può

pertanto considerarsi completamente sicura. Questo spiega

l’introduzione dei seguenti tre principi fondamentali [7]:

1. Principio di giustificazione dell’attività. Nessuna attività umana

deve essere accolta, a meno che la sua introduzione non produca

un beneficio netto e dimostrabile;

2. Principio di ottimizzazione della radioprotezione o principio

ALARA. Ogni esposizione alle radiazioni deve essere tenuta tanto

bassa quanto è ragionevolmente ottenibile, facendo luogo a

considerazioni economiche e sociali (As Low As Reasonable

Achievable, da cui la denominazione ALARA);

3. Principio di limitazione delle dosi individuali. Le dosi ai singoli

individui non devono superare i limiti raccomandati per le varie

circostanze.

Questi principi devono essere applicati in sequenza.27

Da quanto detto

ed in accordo ai tre principi, emerge quindi chiaro che scopo della

27

Non sempre le attività con rischio da radiazione richiedono l’applicazione di tutte

e tre i principi. Ad esempio, nel caso delle esposizioni mediche basterà

considerare i primi due, non avendo alcun senso imporre limiti di dose al paziente,

beneficiario della pratica, oltre a quelli che scaturiscono da una corretta

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

73

radioprotezione è eliminare i danni non stocastici o deterministici e

ridurre a livelli accettabili il rischio relativo all’insorgenza di danni

stocastici.

Le disposizioni ICRP, recepite come Direttive Comunitarie, sono

state accolte in Italia dai seguenti Decreti Legge:

• D.Lgs. 230/95, D.Lgs. 241/00, D.Lgs. 257/01 per quanto riguarda

la radioprotezione del lavoratore;

• D.Lgs. 187/00 riguardo la radioprotezione del paziente.

Il D.Lgs. 230/95 e s.m.i. stabilisce il rispetto, nella disciplina delle

attività lavorative e del pubblico con rischio da radiazioni ionizzanti, dei

tre principi su enunciati e costituisce pertanto la normativa di riferimento

relativamente all’oggetto di questo lavoro di tesi.28

Al suo interno, all’articolo 61, sono stabili gli obblighi del Datore di

Lavoro (DDL), dei dirigenti e dei preposti riassunti come segue:

• Devono attuare le cautele di protezione e di sicurezza previste dal

D.Lgs. 230/95 e sue applicazioni;

• I DDL prima dell’inizio dell’attività debbono acquisire da un

Esperto Qualificato (EQ) una relazione scritta contenente le

valutazioni e le indicazioni di radioprotezione inerenti alle attività

stesse;

• Devono provvedere affinché gli ambienti di lavoro in cui sussista

un rischio da radiazioni vengano individuati, delimitati, segnalati,

classificati in zone e che l’acceso sia regolamentato;

• Provvedere affinché i lavoratori interessati siano classificati

dall’EQ;

• Predisporre norme interne di protezione e sicurezza adeguate al

rischio e curare che siano consultabili nei luoghi frequentati dai

lavoratori ed in particolare nelle zone controllate;

applicazione del principio di ottimizzazione. L’insieme dei tre principi andrà

invece assicurato per i lavoratori addetti. 28 La normativa vigente costituisce un’attuazione delle direttive del Consiglio

89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 92/3/Euratom e 96/29/Euratom in materia di

radiazioni ionizzanti.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

74

• Fornire ai lavoratori, ove necessari, i mezzi di sorveglianza

dosimetrica e di protezione in relazione ai rischi a cui sono

esposti;

• Rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici, delle nome di

protezione, delle conseguenze derivanti dalla mancata osservanza

delle prescrizioni, delle modalità di esecuzione del lavoro e delle

norme interne;

• Provvedere affinché i singoli lavoratori osservino le norme

interne, usino i mezzi di cui sopra ed osservino le modalità di

esecuzione del lavoro;

• Provvedere affinché siano apposte segnalazioni che indicano il

tipo di zona, la natura delle sorgenti e siano indicate, mediante

appositi contrassegni, le sorgenti;

• Fornire al lavoratore esposto i risultati relativi alla sorveglianza

dosimetrica che lo riguardano direttamente;

• Per gli obblighi di cui sopra, escluso quelli relativi al

comportamento degli operatori, i DDL, i dirigenti e i preposti

devono avvalersi delle figure dell’Esperto Qualificato e dei

Medici Autorizzati e Competenti.

All’articolo 68 sono stabiliti gli obblighi dei lavoratori, riassunti

come segue:

• Osservare le disposizioni impartite dal DDL o dai suoi incaricati,

ai fini della protezione individuale e collettiva della sicurezza;

• Usare secondo le specifiche istruzioni i dispositivi di sicurezza, i

mezzi di protezione e di sorveglianza dosimetrica predisposti o

forniti dal DDL;

• Segnalare immediatamente al DDL, al dirigente o al preposto le

deficienze dei dispositivi e dei mezzi di sicurezza, di protezione e

di sorveglianza dosimetrica, nonché le eventuali situazioni di

pericolo di cui vengono a conoscenza;

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

75

• Non rimuovere né modificare, senza averne ottenuto

l’autorizzazione, i dispositivi e gli altri mezzi di sicurezza, di

segnalazione, di protezione e di misurazione;

• Non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che

possano compromettere la protezione e la sicurezza

• I lavoratori che svolgono, per più DDL, attività che li espongono

al rischio da radiazioni ionizzanti, devono rendere edotto ciascun

DDL delle attività svolte presso gli altri.

Ai fini pratici la normativa prevede dunque la classificazione dei

lavoratori le cui pratiche, obbedendo al principio di limitazione, non

devono comportare il superamento di uno o più dei limiti di dose

riassunti schematicamente in figura 3.8 (Articolo 82: Modalità di

classificazione dei lavoratori ai fini della radioprotezione e della

sorveglianza fisica, Allegato III).29

Figura 3.8: Limiti di dose fissati dal D.Lgs. 230/95 e s.m.i. per la classificazione dei

lavoratori.

Come si nota i limiti sono espressi in termini di dose efficace annua

(quindi per esposizione globale) e di dose equivalente annua per il

cristallino o per la pelle o per le mani (per esposizioni parziali).

I lavoratori classificati esposti sono a loro volta classificati in due

categorie come segue:

• Categoria A, lavoratori esposti suscettibili di un’esposizione

superiore, in un anno solare, ad uno dei seguenti valori

- 6 mSv di dose efficace;

29

I limiti sono complessivi, si riferiscono alla somma delle dosi derivanti da

esposizione interna ed esterna ed a tutte le esposizioni professionali svolte

nell’anno solare.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

76

- I 3/10

di uno qualsiasi dei limiti di dose equivalente

fissati per il cristallino (150 mSv), per la pelle (500 mSv),

per mani, avambracci, caviglie e piedi (500 mSv).

• Categoria B, lavoratori esposti non classificati in categoria A.

La figura 3.9 mostra uno schema riassuntivo della classificazione dei

lavoratori.30

È importante notare che in generale sia i lavoratori classificati

esposti che quelli non esposti possono praticare attività soggette ad

esposizioni da radiazioni ionizzanti, ma, ovviamente, in quantità, per

tempi e/o modi diversi.

Figura 3.9: Schema riassuntivo della classificazione dei lavoratori.

Il datore di lavoro ha l’obbligo di provvedere ad assicurare, mediante

uno o più medici, la sorveglianza medica dei lavoratori esposti, in

conformità alle norme ed alle disposizioni contenute nel decreto, tramite

visite mediche periodiche.31

Più in dettaglio, per i lavoratori di categoria

30

Il D. Lgs. 230/95 ha inoltre introdotto la categoria degli apprendisti e studenti

esposti al rischio da radiazioni ionizzanti, che devono essere suddivisi in relazione

all’età ed al tipo di attività lavorativa o di studio. 31

La sorveglianza medica è l’insieme delle visite mediche, delle indagini

specialistiche e di laboratorio, dei provvedimenti sanitari adottati dal medico

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

77

A sono previste la sorveglianza fisica individuale e la sorveglianza

medica, con frequenza semestrale dei controlli.32

Per i lavoratori di

categoria B, la sorveglianza fisica individuale può essere sostituita con

quella ambientale ed i controlli medici hanno frequenza annuale.

La classificazione dei lavoratori esposti nelle Categorie A e B con i

corrispondenti limiti di dose è schematizzata in figura 3.10. La tabella

riporta anche i limiti di esposizione per i lavoratori non esposti e gli

eventuali obblighi di sorveglianza media e fisica con le loro periodicità.

Figura 3.10: Classificazione dei lavoratori esposti nelle categorie A e B come

prevista dall’attuale normativa vigente.

Il decreto prevede inoltre la classificazione delle aree lavorative

come segue (Allegato III paragrafo 4):

• Zone Sorvegliate, quelle aree in cui sussiste per i lavoratori in

esse operanti il rischio di superamento di uno dei limiti di dose

fissati per le persone del pubblico, sempre riferiti ad un anno

solare:

- 1 mSv di dose efficace;

autorizzato e dal medico competente, al fine di garantire la protezione sanitaria dei

lavoratori esposti. 32

La sorveglianza fisica della radioprotezione viene definita come l’insieme dei

dispositivi adottati, delle valutazioni, delle misure e degli esami effettuati, delle

indicazioni fornite e dei provvedimenti formulati dall’EQ al fine di garantire la

protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione in tutte le pratiche che

implicano il rischio dovuto all’esposizione a radiazioni ionizzanti provenienti da

sorgenti naturali o artificiali, come indicato nel D.Lgs 230/95 e s.m.i..

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

78

- 1/10 di uno qualsiasi dei limiti di dose equivalente (per

esposizione parziale), fissati per il cristallino (15 mSv),

per la pelle (50 mSv), per mani, avambracci, caviglie e

piedi (50 mSv).

• Zone Controllate, quelle aree in cui sussiste per i lavoratori in

esse operanti il rischio di superamento di uno dei seguenti valori,

riferiti ad un anno solare:

- 6 mSv di dose efficace;

- I 3/10 di uno qualsiasi dei limiti di dose equivalente (per

esposizione parziale), fissati per il cristallino (150 mSv),

per la pelle (500 mSv), per mani, avambracci, caviglie, e

piedi (500 mSv).

Le Zone Controllate e le Zone Sorvegliate devono essere

opportunamente segnalate in maniera visibile e comprensibile. Le Zone

Controllate sono delimitate e le modalità di accesso ad esse sono

regolamentate secondo procedure scritte indicate dall’EQ al DDL (ai

sensi dell’articolo 61, comma 2, e dell’articolo 80).

Le attività all’interno di queste zone sono, infine, regolamentate da

norme di protezione e sicurezza specifiche, vale a dire adeguate al

rischio derivante da esse.

Il quadro riassuntivo della classificazione delle aree è mostrato in

figura 3.11.

Figura 3.11: Classificazione delle aree.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

79

3.4 Dispositivi di radioprotezione

Lo scopo degli strumenti di radioprotezione è di fornire dati per

aiutare il personale a proteggersi contro le irradiazioni esterne ed interne,

per limitare la diffusione di contaminazioni radioattive negli ambienti di

lavoro e dare informazioni utili per prevenire il rilascio di materiali

radioattivi in concentrazioni superiori alle massime permesse nelle aree

interne ed esterne dei laboratori.

Nella pratica essi indicano oltre la presenza di radiazioni, il tipo di

radiazione, il rateo di dose e la dose integrata in un tempo definito. Si

possono distinguere:

• Strumenti per la sorveglianza individuale, utilizzati dai

lavoratori nelle zone con radiazioni e/o contaminazione, per

indicare la dose accumulata in un certo intervallo di tempo e dare

un allarme quando vengono superati livelli di dose prefissati;

• Strumenti portatili, usati nella normale sorveglianza, per la

misura delle contaminazioni superficiali e nella determinazione

dei livelli di dose.

• Monitori del livello di irradiazione esterna e della radioattività

nell’ambiente di lavoro, normalmente fissi, la cui funzione è di

fornire informazioni e una registrazione dei livelli di irradiazione e

contaminazione ed un allarme al superamento di limiti prefissati.

3.4.1 Strumenti per la sorveglianza individuale

Come previsto dalla normativa vigente l’Esperto Qualificato, negli

ambiti lavorativi in cui è presente personale classificato esposto, ha il

dovere di espletare il servizio di dosimetria personale ed ambientale.

Questo comprende il calcolo della dose, le valutazioni dosimetriche e

l’aggiornamento delle schede dosimetriche per i lavoratori esposti. La

conoscenza del dato dosimetrico consente inoltre di programmare

opportunamente le successive esposizioni in modo da mantenere la dose

ricevuta da ciascun lavoratore quanto più bassa possibile e comunque

sempre al di sotto dei limiti di legge. Questo tipo di controllo viene

esercitato tramite diverse tipologie di dosimetri:

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

80

• Dosimetri personali (a bracciale, al petto e total body). Vengono

indossati dai lavoratori radioprotetti ed indicano la dose assorbita

dalla persona che li indossa;

• Dosimetri ambientali. Indicano le radiazioni emesse

nell’ambiente nel dato periodo. Devono essere opportunamente

disposti nei pressi dei punti di frazionamento o delle macchine

radiogene, a seconda della natura delle sorgenti;

• Dosimetri di controllo o Testimoni. Indicano la dose assorbita da

tutto il set dei dosimetri a cui fanno riferimento per cause non

dipendenti dal loro utilizzo, prima fra tutte la radioattività

naturale, che varia da luogo a luogo in dipendenza da vari fattori.

Lo scopo della dosimetria personale è quello di garantire a coloro i

quali sono esposti a radiazioni ionizzanti, la determinazione della dose

assorbita nell’espletamento delle funzioni loro deputate, attraverso la

lettura periodica dei dosimetri. Questi devono essere sempre indossati da

chi manipola materiali radioattivi, all’interno delle camere calde e nelle

zone controllate, ma conservati all’esterno di esse quando non sono

adoperati.33

La dosimetria ambientale (mappatura ambientale), invece, ha lo

scopo di monitorare le esposizioni dei lavoratori e delle persone del

pubblico in ambienti soggetti a rischio da radiazioni ionizzanti.

Un discorso a parte va fatto per i dosimetri di controllo i quali

devono essere tenuti insieme ai personali ed agli ambientali durante la

conservazione ed il trasporto, ma custoditi all’esterno della camera calda

o laboratorio, in luoghi sicuramente non soggetti a radiazioni ionizzanti

di "lavoro" (amministrazione, direzione, aula, ecc.). Il loro compito è di

misurare il fondo ambientale che sarà poi sottratto dalla lettura degli altri

dosimetri.

Per la misura della dose al corpo intero, usualmente, ai LNS si

utilizzano due tipi di dosimetri personali che rivelano, rispettivamente, le

radiazioni X+gamma (sensibili in parte anche ai beta) ed i neutroni.

Essi sono di tipo passivo devono, cioè, essere sottoposti ad un

particolare trattamento chimico - fisico per risalire alla dose che hanno

assorbito. Tra questi i più utilizzati sono i dosimetri a

33

I dosimetri sono assegnati dal Servizio di Radioprotezione al quale devono essere

richiesti e sono etichettati con il nome dell’utilizzatore.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

81

termoluminescenza (TLD), che consistono essenzialmente in cristalli di

fluoruro di litio (particolarmente adatto, per la sua elevata sensibilità alle

basse energie, per il controllo dosimetrico nella manipolazione di

radioisotopi allo stato sigillato e non), oppure film badge.

Tra le caratteristiche principali di questi sistemi dosimetrici vi è la

facilità di utilizzo, la praticità e la leggerezza nell’indossarli. Possono

essere inoltre forniti in misure e dimensioni di diverso taglio.

Per alcune attività vengono assegnati anche dosimetri a bracciale o

ad anello per X + gamma e beta che registrano la dose assorbita alle

estremità del corpo (mani o dita).

Per casi particolari vengono assegnati anche dosimetri per

X + gamma e beta di tipo attivo, realizzati con un rivelatore ed una

elettronica che forniscono la lettura della dose istantaneamente e sui

quali è possibile anche impostare delle soglie di allarme.

Un esempio di dosimetri personali a corpo intero ed a bracciale è

mostrato in figura 3.12.

Figura 3.12: Alcuni tipi di dosimetri personali, di tipo passivo, attualmente in uso

presso i LNS per la misura della dose al corpo intero, a sinistra, ed a bracciale, a destra.

Infine tra i dispositivi utilizzati per la sorveglianza individuale

ricordiamo i contaminametri mani-piedi. Sono di tipo fisso e sono

progettati per la rilevazione di contaminazione di mani, piedi, vesti,

guanti e calzature. Per questo motivo essi trovano solitamente posto

(questo è il caso dei LNS) subito fuori dalle camere con rischio di

contaminazione esterna, come ad esempio quelle al cui interno è previsto

l’uso di sorgenti non sigillate.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

82

3.4.2 Strumenti portatili

Per strumenti portatili si intendono i rivelatori non fissi atti a misurare

i rate di dose o l’attività di un determinato campione.

Il rivelatore è uno strumento fondamentale alla base di tutte le

pratiche che coinvolgono le radiazioni ionizzanti. La conoscenza delle

potenzialità dello strumento oltre che dei suoi limiti è essenziale per

interpretare propriamente ed al meglio le misure.

Distinguiamo i principali tipi di rivelatori:

• Rivelatori a gas (tra i quali, a seconda della tensione di lavoro vi

sono le camere a ionizzazione, i contatori proporzionali ed i

contatori Geiger-Muller);

• Rivelatori a scintillazione (che utilizzano cristalli organici ed

inorganici);

• Rivelatori a stato solido (che utilizzano semiconduttori drogati).

La varietà degli strumenti a disposizione, unita alle loro

caratteristiche di rivelazione fa comprendere che la scelta del dispositivo

non può essere casuale nè affrettata. Essa infatti dipende da molti fattori,

quali:

• Scopo della misura;

• Tipo di radiazione da rivelare ed il suo range di energia;

• Grandezza da misurare (attività o dose equivalente, ad esempio);

• Intervallo di misura (gli strumenti hanno in generale range di

misura differenti);

• Esigenze di efficienza e risoluzione (ad esempio nel caso di misure

di spettroscopia);

• Altre considerazioni (ad esempio, velocità di conteggio, ambiente

di misurazione, disponibilità per lunghi tempi, trasportabilità,

costi, eccetera).

Infine, a seconda dell’informazione fornita, i rivelatori posso essere

classificati in:

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

83

• Contatori. Indicano il numero di interazione che avvengono al

loro interno;

• Spettrometri. Forniscono informazioni sulla distribuzione in

energia della radiazione incidente;

• Dosimetri. Indicano la quantità netta di energia depositata nel

rivelatore per interazioni multiple.

Per comprendere meglio come possono variare le caratteristiche di

misura da strumento a strumento, di seguito saranno descritti alcuni tipi

di rivelatori impiegati per misure di radioprotezione presso i LNS.

TOL/F Berthold.

Spesso per misure dirette sul fascio di radiazione di dose ambientale e

rateo di dose viene utilizzata una camera ad ionizzazione di piccolo

volume di tipo Berthold modello TOL/F. Questo rivelatore è sensibile ai

beta ed ai raggi X e gamma, nel range che va dai 10 keV fino a 7 MeV.

In dotazione con lo strumento vi è un cappuccio in plexiglass che,

una volta inserito, estende il range di energia fino a 10 MeV.

Funziona sia a regime di ionizzazione (per basse dosi), che a regime

proporzionale (per avere una sensibilità maggiore in dose).

Al suo interno è alloggiata una sorgente radioattiva di 90

Sr

(emettitore beta) che, al momento dell’accensione o quando si passa da

una modalità di misura all’altra, serve per la calibrazione automatica del

rivelatore.

Esegue le misure in termini di (10)*H nel range di misura che

va dai h

Sv0.01 ai

h

mSv10 .

Come tutti gli strumenti di misura è dotato del proprio certificato di

taratura rilasciato da un ente accreditato di taratura delle radiazioni

ionizzanti (ACCREDIA).34

34

La taratura dello strumento avviene impiegando i fasci di riferimento X e gamma

specificati nella apposita norma [ISO 4037-1]. Il laboratorio garantisce la

riferibilità ai campioni nazionali per le grandezze accreditate impiegando, in tal

caso, come campioni di prima linea camere ad ionizzazione a cavità di grafite.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

84

Figura 3.13: Rivelatore Berthold modello TOL/F per la rivelazione di radiazioni

beta, X e gamma.

LB 6411 Berthold.

Questo rivelatore è costituito da una sonda (LB 6411 PROBE),

capace di rivelare neutroni, alla quale è accoppiata un’unità elettronica

digitale multifunzione dotata di monitor (LB 123 UMo.), per la

trattazione dei segnali.

La sonda è costituita da una sfera moderatrice in polietilene (che

degrada in energia i neutroni incidenti) contenente un contatore

proporzionale riempito di gas Trizio (3

H).

Fornisce informazione in termini rateo di dose equivalente

ambientale H*(10) in accordo con l’ICRP Pubblication 60 [8].

Rivela neutroni da termici fino a 20 MeV in un range di misura che

va dai h

nSv30 ai

h

mSv100 .

35

L’utilizzo di un contatore proporzionale come strumento di misura

migliora la sensibilità dello strumento fino a 3 conteggi per nSV nel

range di energia 1÷10 MeV.

35

Per estendere il range di energia a valori più elevati esistono delle coperture (in

Piombo, dello spessore di un 1 cm) con le quali ricoprire il rivelatore. Queste

vengono usate per la rivelazione di neutroni di alta energia (superiore ai 100 MeV,

ad esempio all’interno delle sale dove vi è il fascio di radiazioni.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

85

Un rivelatore portatile di neutroni come questo viene impiegato,

presso i LNS, ogniqualvolta vi è un nuovo esperimento o un nuovo tipo

di fascio di ioni accelerati o ancora per testare le schermature nella varie

sale sperimentali (si veda in merito il paragrafo 3.5.2).

Figura 3.14: Rivelatore di neutroni Berthold modello LB 6411.

BTI MICROSPEC Spectroscopic Beta Probe.

Si tratta di un rivelatore per spettroscopia beta portatile (BTI

Spectroscopic Beta Probe) associato ad un analizzatore (BTI

MICROSPEC) in grado di fornire informazioni su rateo di dose ed

identità del radionuclide emettitore beta.

La sonda beta è costituita da uno scintillatore a configurazione

phoswich che, oltre a restituire informazioni spettrali, ha un’efficienza

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

86

indipendente dall’energia della radiazione beta e riesce a discriminare i

fotoni di bassa energia.36

Le misure sono espresse in termini di rateo di HS(0.07) in un range di

energia che va dai 10 keV fino a 7 MeV.

Come si vede dalla figura 3.15 gli spettri misurati con il Beta Probe

mostrano un ottimo accordo con gli spettri beta e le dosi calcolate

teoricamente entro il 5%.

Figura 3.15: Confronto tra spettri in energia teorici e spettri come misurati dal

rivelatore BTI Spectroscopic Beta Probe per tre diverse sorgenti beta.

Previo utilizzo, è necessario effettuare una calibrazione con una

sorgente nota multi picco emettitrice beta. Nel momento in cui la sonda

36

Con il termine phoswich, provienete dalle parole inglesi PHOSphor e sandWICH,

si indica l’accoppiamento di due scintillatori, con tempi di decadimento della

scintillazione diversi.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

87

riconosce i picchi di energia della sorgente esegue automaticamente la

calibrazione. La sorgente non è fornita dalla casa costruttrice e va posta

esternamente al dispositivo.

Figura 3.16: Rivelatore per spettroscopia beta BTI Spectroscopic Beta Probe.

Ludlum Model 44-9 GM Detector.

É tra i più popolari rivelatori di radiazione al mondo. Sensibile a

radiazioni alfa, beta e gamma, possiede dimensioni e geometria (si tratta

di un rivelatore di tipo Pan-Cake) che lo rendono estremamente

maneggevole.

Il rivelatore consiste di un tubo contatore Geiger-Muller operante tra

850 e 1000 Volt. La sua risposta dipende dall’energia, con una

sovrastima di fattore circa 6 nell’intervallo 60÷100 keV normalizzando

rispetto alla risposta ad una sorgente di 137

Cs, come è mostrato in figura

3.17.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

88

Figura 3.17: Risposta del rivelatore Ludlum Model 44-9 normalizzata rispetto alla

risposta ad una sorgente di 137

Cs.

Trattandosi di un contatore Geiger-Muller naturalmente non

consente di eseguire analisi spettroscopiche, non riuscendo a

discriminare diversi tipi di radiazioni in ingresso, spesso viene impiegato

come misuratore di contaminazione superficiale, rivelando la presenza di

sostanze radioattive su superfici accessibili.

Il contatore opera accoppiato ad un’appropriata unità di

alimentazione che, oltre che fornire una tensione di 900 V dc, effettua la

digitalizzazione dei segnali. L’insieme dei due dispositivi può

funzionare sia da scaler (per il semplice conteggio degli eventi) o da

ratemeter (per il conteggio degli impulsi al secondo) o da survey meter

(per la misura, dopo opportuna calibrazione, di rateo di dose) a seconda

dell’unità accoppiata.

Per misure di contaminazione superficiale i dati forniti in cps (count

per second) o in s−1

dovranno poi essere convertiti in Bq cm−2

. La sua

efficienza di rivelazione dipende dal radionuclide rivelato variando da 0

fino a poco più 30% (questo è il caso del 32

P).

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

89

Figura 3.18: Rivelatore tipo Pan - Cake Ludlum Model 44-9 accoppiato ad un

Survey meter sempre della LUDLUM.

In generale i contatori Geiger-Muller per raggi beta devono poter

offrire un piccolissimo assorbimento agli elettroni e per tale motivo una

parte del tubo viene provvista di una finestra ricoperta da un materiale

(solitamente mica) di spessore molto sottile, di bassa densità e di

resistenza meccanica sufficiente a sopportare la differenza tra la

pressione interna e quella esterna.

Nel caso del LUDLUM 44-9 tale finestra ha uno spessore di

20.31.7

cm

mg e permette la rivelazione di beta di bassa energia nel range

MeVkeV 210 .

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

90

3.4.3 Monitori del livello di irradiazione esterna

Ai LNS è operante un sistema fisso di monitoraggio che misura le

dosi ambientali da radiazioni ionizzanti. Le stazioni funzionanti,

installate nelle rispettive aree, sono riportate in tabella 3.3 con la loro

numerazione.

1. Iniettore 2. Sala Tandem 3. Sala CS

4. Sala 60°/70° 5. Sala 40° 6. Sala 20°

7. Sala 0° 8. Sala Ciclope 9. Sala Medea

10. Sala Catana 11. Sala Magnex 12. Sala Chimera

13. Sala Controllo

acceleratori

14. Locali impianti

tecnologici 15. Sala alimentat. CS

16. Sala Radiofrequenza 17. Locali Excyt 18. Attivazione CS

19. Sala ECR 20. Scarico aria Excyt 21. Contaminazione aria

LabAlfa

Tabella 3.3: Elenco delle stazioni fisse di monitoraggio ambientale presso i LNS.

In ciascuna delle stazioni da 1 a 16 sono installati un monitor per

neutroni ed uno per radiazioni gamma, nelle stazioni 17 e 18 sono

installati solo monitor per gamma e nella stazione 19 sono installati

monitor per X e gamma. Le stazioni 20 e 21 misurano l’eventuale

presenza di contaminazione nell’aria dei relativi locali.

Il posizionamento delle stazioni è effettuato dal Servizio di

Radioprotezione ed è vietato a chiunque di coprirli, ingombrarli o

spostarli.

Le letture dei rivelatori sono visualizzate in sala Controllo e

registrate in un PC.

In alcune stazioni la condizione di buon funzionamento, conseguente

alla corretta misura del fondo naturale ed all’assenza di allarmi, è

segnalata da una luce verde.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

91

Ogni stazione di monitoraggio è dotata di segnalatori di allarme

acustici e luminosi che si attivano quando uno dei rivelatori montati

sulla stazione misura una dose superiore a quella impostata nelle

rispettive soglie. Le soglie di allarme, e le relative segnalazioni, sono tre:

preallarme, I allarme e II allarme. I valori di soglia sono fissati per le

singole classi di esperimenti e per le singole aree dal personale del

Servizio di Radioprotezione, su direttive stabilite dall’EQ.

L’attivazione di un allarme non indica che il personale

eventualmente presente nella sala interessata sia stato esposto ad alti

valori di dose, ma solamente che il rivelatore sta misurando, in quel

momento, un valore superiore alla soglia stabilita dall’EQ al fine di

attivare le segnalazioni acustiche e luminose e cambiare gli stati

operativi del sistema di sicurezza. Le soglie sono sufficientemente basse

da garantire ai lavoratori che si trovassero ad operare in sala, tenuto

conto della classificazione della stessa, la certezza del rispetto dei limiti

di dose stabiliti dalla legge e dalle norme di sicurezza.

In figura 3.19 è mostrata una pianta dei Laboratori con la

disposizione delle stazioni. Sono mostrate le sale così come denominate

in tabella 3.3 ed in ciascuna di queste vi sono, a titolo di esempio, due

valori misurati di rateo di dose ambientale, evidenziati in verde per la

rivelazione dei gamma, in bianco per quella neutronica. Le misure sono

riportate in h

Sv.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

92

Figura 3.19: Layout della disposizione dei monitor fissi presso le sale sperimentali

dei LNS. Sono evidenziate in verde le misure di rivelazione gamma, in bianco quelle

neutroniche.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

93

3.4.4 Misure di contaminazione: la spettroscopia gamma con

HPGe

Per concludere questa carrellata (non in grado comunque di esaurire

l’argomento estremamente vasto e vario) sui vari dispositivi per le

misure di radiazione si vuole illustrare una tecnica per misure di

spettroscopia gamma.

La spettrometria gamma è un metodo di analisi che consente la

determinazione qualitativa e quantitativa di nuclidi radioattivi gamma -

emittenti in un materiale. Usata in tutti quei casi in cui vi è bisogno di

misure di contaminazione, consente di:

• Identificare i radionuclidi emettitori gamma presenti in un dato

campione (liquido, solido, biologico, inorganico);

• Determinare l’attività dovuta a ciascun radionuclide presente nel

campione.

Schematicamente un sistema per spettrometria gamma è composto da

un sistema di rivelazione, comprendente rivelatore e schermatura, un

circuito elettronico associato che elabora il segnale proveniente dal

rivelatore, un sistema di analisi degli impulsi ed un sistema di

registrazione, visualizzazione ed analisi dei dati raccolti. I rivelatori

utilizzati sono rivelatori a scintillazione tipicamente cristalli inorganici,

Ioduro di Sodio attivato al Tallio NaI(Tl), e semiconduttori al Germanio

iperpuro, HPGe. Questi ultimi sono molto usati a causa della loro elevata

risoluzione energetica per questo motivo meritano un discorso un po’ più

ampio per comprenderne appieno i principi di base e le grandi

potenzialità.

Dopo opportuna taratura il sistema spettrometrico fornisce il valore

dell’attività di ciascun radionuclide presente nel campione.

Il circuito di misura ha la funzione di trasformare il segnale generato

nel rivelatore da parte delle singole particelle in impulsi di tensione di

cui si misura il numero e l’ampiezza. L’ampiezza di ogni impulso è

correlata all’energia del fotone che lo ha generato tramite una taratura

del sistema di misura. La distribuzione del numero di impulsi in

funzione della loro ampiezza (comunemente chiamato spettro) è una

funzione svolta dall’analizzatore multicanale (MCA).

In sostanza l’MCA "classifica" gli impulsi provenienti

dall’amplificatore in predeterminati intervalli di energia in funzione

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

94

della loro ampiezza. Lo spettro delle ampiezze degli impulsi così

ottenuto può venire registrato per poter essere richiamato,visualizzato

sullo schermo di un computer ed analizzato tramite un software

opportuno.

Di fondamentale importanza per la corretta esecuzione delle analisi

sono le procedure di taratura a cui è necessario sottoporre i rivelatori al

germanio. Occorre in particolare eseguire:

1. Calibrazione in energia;

2. Calibrazione in efficienza;

3. Calcolo della FWHM (Full Width Half Maximum).

La calibrazione in energia è fondamentale, in quanto da essa dipende

la capacità del sistema spettrometrico di identificare correttamente i

radionuclidi eventualmente presenti nei campioni sottoposti a misura.

Consiste nella determinazione di una relazione (lineare) tra i canali di cui

dispone l’analizzatore multicanale (MCA) dello spettrometro e l’energia

dei fotoni incidenti sul rivelatore.

Per l’esecuzione delle procedure di taratura si fa uso di solito di

sorgenti multi picco, in modo tale da avere a disposizione più punti con i

quali determinare la retta di calibrazione ed il cui contenuto in

radioattività sia noto a priori (certificato da un istituto metrologico).

L’operazione di calibrazione in efficienza permette di eseguire anche

analisi quantitative, e quindi di risalire alla quantità di radioattività, in

termini di attività e/o di concentrazione, di ciascuno dei radionuclidi

identificati nel campione o nell’oggetto analizzato.

Si definiscono due tipi di efficienza:

• Efficienza assoluta di rivelazione (o di conteggio), la frazione di

eventi emessi dalla sorgente che si dirigono al rivelatore. È

funzione della geometria rivelatore-sorgente (angolo solido sotteso

dal rivelatore) e della probabilità di interazione della radiazione

nel volume sensibile;

• Efficienza intrinseca, il rapporto tra gli eventi incidenti nel

rivelatore e quelli effettivamente rivelati. È il valore che si trova

nelle specifiche dei rivelatori ed è funzione del tipo di radiazione,

della sua energia e del tipo di materiale di cui è composto il

rivelatore.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

95

L’efficienza non ha un valore unico per tutte le energie, ma esiste una

curva di calibrazione in funzione dell’energia. É necessario disporre di

sorgenti di taratura il cui contenuto di radioattività sia accuratamente

certificato (incertezza tipica attorno all’1−1.5%) e determinare tale curva

per tutte le geometrie di misura impiegate.

Figura 3.20: Esempio di spettro relativo ad una sorgente per la calibrazione in

efficienza e curva di calibrazione.

La larghezza a metà altezza FWHM del full-energy peak esprime la

risoluzione energetica del rivelatore, ovvero la capacità che esso ha di

distinguere tra valori di energia prossimi tra loro. Se le due energie sono

troppo vicine rispetto alla risoluzione dello strumento, questo non è in

grado di separarle.

Presso i LNS vi è un rivelatore per spettroscopia gamma al

Germanio iper puro della ORTEC modello Trans SPEC DX 100. È di

tipo portatile, alimentato a batteria e per questo motivo può essere dotato

di carrello per facilitarne il trasporto. Al suo interno è alloggiato il

cristallo di Germanio di tipo p di 65 mm di diametro e 50 mm di

lunghezza, avente un’efficienza relativa maggiore del 40%. La sua

geometria cilindrica coassiale consente di ottenere un volume attivo

maggiore migliorandone l’efficienza. Questo tipo di tecnica di

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

96

rivelazione prevede il raffreddamento del cristallo per questo motivo lo

strumento è provvisto di criostato che raffredda il Germanio alla

temperatura di 100K.

Il dispositivo prevede anche che al suo interno possa essere

alloggiato anche un pozzetto per contenere sia il campione da analizzare

che il cristallo. Nel caso in cui il campione dovesse risultare troppo

grande per essere contenuto nel pozzetto si provvederà ad eseguire

l’irraggiare all’esterno del rivelatore.

Figura 3.21: Rivelatore ORTEC Trans SPEC DX 100 per misure di

contaminazione con spettroscopia gamma.

Tra i software più utilizzati vi è il Gamma Vision della ORTEC (in

uso anche presso i LNS) che permette, oltre all’acquisizione degli

spettri, l’analisi quantitativa dei radionuclidi eventualmente rivelati. È,

infatti, possibile creare e salvare al suo interno diverse librerie di

elementi radioattivi catalogati per famiglie, origine ed energia in modo

che esso sia in grado di identificarli, una volta selezionata accuratamente

la ROI (Region Of Interest) sullo spettro, a partire dall’energia rivelata.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

97

Inoltre, fornisce il valore della quantità di radioattività del radionuclide

in esame presente nel campione analizzato e presenta vari tools utili, in

generale, ai fini di analisi quantitative di spettrometria gamma.

Eseguite le procedure di calibrazione in energia ed in efficienza, è

necessario acquisire uno spettro relativo al rumore di fondo ambientale

che dovrà essere sottratto allo spettro del campione da analizzare al fine

di eliminare il contributo dovuto alla radiazione normalmente presente

nell’ambiente del laboratorio, che non contribuisce utilmente all’analisi.

L’operazione di sottrazione degli spettri viene effettuata ancora dal

software tenendo conto, mediante un fattore correttivo, degli

eventualmente diversi tempi di acquisizione. Questi ultimi, infatti,

possono variare a seconda della concentrazione di attività nel campione

e dal livello di sensibilità che si vuole ottenere. In genere sono compresi

tra una e alcune ore, ma possono arrivare ad un giorno, specie se

l’attività presente del particolare radionuclide ricercato è particolarmente

bassa.

L’analisi degli spettri non è semplice: anche nel caso di fotoni di una

sola energia lo spettro si compone di un fondo continuo dovuto

all’effetto Compton e di un picco in cui tutta l’energia dei gamma è

assorbita nel cristallo (fotoelettrico, coppie). La sottrazione del fondo

Compton è effettuata automaticamente dal software di analisi secondo

un algoritmo che ne stima il contributo sotto il fotopicco, basandosi sul

valore del fondo Compton nei canali che si trovano a destra e a sinistra

della ROI scelta.

Un esempio di spettro gamma eseguito con questa strumentazione,

dopo aver eseguito le procedure di calibrazione e di sottrazione del

fondo è mostrata in figura 3.22. L’oggetto in esame è un collimatore in

ottone utilizzato nella protonterapia di CATANA. A termine del

trattamento del paziente il campione (ovviamente attivato) è stato

prelevato ed analizzato con lo spettrometro.

Sono stati identificati diversi isotopi del Rame, Zinco, Gallio e

Bismuto. Quest’ultimo è il più pesante avente numero di massa A=204.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

98

Figura 3.22: Spettro gamma di uno dei collimatori utilizzati nella

protonterapia di CATANA.

3.5 Rischi da radiazione presso i LNS

3.5.1 Radiazione pronta e radiazione residua

Le principali sorgenti di radiazioni presenti presso i LNS sono

costituite dalle macchine radiogene, le più importanti delle quali sono gli

acceleratori di particelle, e dalle sorgenti radioattive.

Per quanto concerne gli acceleratori, i campi di radiazione presenti

attorno ad essi possono variare fortemente nel tempo e nello spazio in

relazione al tipo di macchina acceleratrice ed alle schermature messe in

opera. È possibile distinguere tra radiazione pronta e radiazione

residua.

La prima è quella prodotta direttamente dagli ioni accelerati al

momento del loro passaggio nella materia. Le interazioni producono una

radiazione che persiste fintanto che l’acceleratore è in funzione e

costituiscono il principale rischio radiologico causato dagli acceleratori.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

99

La seconda invece consiste nella radioattività indotta generata

anch’essa dal passaggio del fascio nella materia, ma che persiste anche

dopo lo spegnimento delle macchine.

Una descrizione dettagliata del campo di radiazione pronta è

piuttosto complessa e richiederebbe la conoscenza dei vari meccanismi

di reazioni nucleari che entrano in gioco nel range di energia considerato

[13]. Tutto questo ovviamente va oltre gli scopi di questo lavoro,

pertanto ci limiteremo a sottolineare che la radiazione nelle sale dove

sono presenti gli acceleratori o le linee di fascio o i rivelatori viene

prodotta quando gli ioni accelerati interagiscono con i nuclei degli atomi

di qualsiasi materiale che circonda il fascio come collimatori fascio

schermi, magneti, cavi, criostati o il dump del fascio (perdite punto), ma

anche elementi degli acceleratori stessi (come i deflettori nel caso del CS

o il magnete di selezione posto all’uscita del Tandem). Il campo di

radiazione pertanto è una mistura di particelle cariche e neutre oltre che

di fotoni.

In realtà tutti i materiali presenti, solidi (fra i quali vi è plastica,

cemento, alluminio, acciaio, ferro, rame, ecc.), liquidi (come l’acqua di

raffreddamento), gassosi (per esempio l’aria) in prossimità del fascio

diventano radioattivi così come anche le sale sperimentali diventeranno

attivate [15].

In presenza di fasci accelerati vi è sempre una piccola perdita di ioni,

ma continua lungo la linea. Questi ioni perduti interagiscono con il

materiale che si trova in prossimità producendo particelle secondarie,

come neutroni, gamma, X, protoni ed altro.

Nel caso di energie elevate (al di sopra dei AGeV) alcune di queste

particelle secondarie possono avere energia sufficiente per interagire

nuovamente e causare la produzione di particelle terziarie e così via, si

parla in tal caso di cascata adronica.

I frammenti dei nuclei colpiti sono radioattivi e decadono su una

scala temporale molto ampia che va dalla frazione di secondo, ai molti

giorni se non addirittura anni. L’acceleratore continua così a produrre

radioattività, anche se il fascio non è più in circolazione.37

37

É anche importante notare che nel caso degli acceleratori dei LNS non sono

presenti schermature poste alla loro sommità e questo potrebbe implicare che un

contributo importante ai livelli di radiazione nelle zone circostanti sia attribuibile

alla diffusione verso il basso da parte dell’aria di radiazioni secondarie

inizialmente dirette verso l’alto, il cosiddetto effetto cielo (skyshine).

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

100

Il livello di attivazione dipende da molti fattori quali la quantità di

radiazione ricevuta, l’esatta composizione del materiale colpito, la

posizione di questo rispetto al fascio ed il tempo trascorso

dall’irradiazione.

Esistono diversi codici di simulazione che, considerando i diversi

meccanismi di reazione, permettono di stimare i diversi campi di

radiazione prodotta [4].

Di seguito sono riportati,a titolo di esempio, alcuni dei radionuclidi

più facilmente riscontrabili nelle strutture d’acciaio degli acceleratori

con il corrispondente periodo di dimezzamento:

7

Be (53.6 giorni); 11

C (20.4 minuti); 18

F (110 minuti); 22

Na (2.6 anni);

42

K (12.5 ore); 48

V (16 giorni); 51

Cr (27.8 giorni); 54

Mn (300 giorni);

55

Fe (2,94 anni);56

Co (77 giorni); 57

Co (270 giorni); 60

Co (5.27 anni).

Non appena cessato il funzionamento dell’acceleratore la radioattività

indotta diminuisce rapidamente a causa del decadimento dei nuclidi a

tempo di dimezzamento rapido, mentre successivamente il processo

diventa molto più lento [16]. Per questo motivo prima di qualunque

intervento è sempre buona norma attendere almeno il decadimento dei

prodotti di attivazione di breve vita media.

Per quanto concerne l’attivazione dell’aria questa comporta, in

generale, la produzione di gas radioattivi, quali

11

C (20.4 minuti);13

N (10 minuti);15

O (2.1 minuti).

Si tratta quindi di radionuclidi aventi tempi di dimezzamento

abbastanza brevi e che consentono, pertanto, un accesso alle sale

interessate con brevi tempi di attesa. All’irradiazione dell’aria può essere

associata anche la produzione di gas tossici, il pù importante dei quali è

l’ozono. La concentrazione di gas radioattivi e tossici in aria dipenda da

diversi fattoti quali l’intensità ed energia del fascio, il suo percorso, la

natura dei bersagli il volume degli ambienti, ala rapidità del ricambio

dell’aria, eccetera. Di norma questi problemi possono essere trascurati

nel caso di acceleratori di particelle cariche pesanti (protoni ed ioni

pesanti) di bassa energia.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

101

Oltre agli acceleratori presso i LNS vengono usati anche altri tipi di

macchine radiogene (valvole di potenza, difrattometri, tubi a raggi X ad

esempio) intorno alle quali i rischi di esposizione sono prevalentemente

dovuti ai raggi X emessi. Naturalmente si ha l’emissione di radiazione X

ogniqualvolta si applichi un’alta tensione sottovuoto (come nel caso, ad

esempio, delle cavità a radiofrequenza).

In questa categoria rientrano anche i raggi X di frenamento emessi

durante la produzione di plasma e la messa in funzione delle sorgenti

ECR. I raggi X prodotti in questi casi hanno picchi di energia che varia

da alcuni keV fino a 50−60 keV con code che raggiungono 600−700 keV.

I valori di energia dipendono dalla strutture magnetiche e dalla potenza

impiegate dalle macchine. In quest’ottica i raggi X più energetici sono

certamente quelli prodotti dalla sorgente superconduttrice SERSE.

Altra causa di esposizione a radiazioni ionizzanti è ovviamente

l’utilizzo di sorgenti radioattive. Queste sono usate principalmente nella

calibrazione dei rivelatori e degli strumenti di misura. Ve ne sono di vari

tipi ed i relativi problemi di radioprotezione sono diversi a seconda delle

sorgenti impiegate. Sono sempre custodite in appositi contenitori di

sicurezza, manipolate con pinzette appropriate (mai a mani nude) e la

loro presenza deve essere sempre segnalata con gli appositi cartelli di

irradiazione.

3.5.2 Schermature

È noto che i fattori principali sui quali si può agire per la protezione

dall’irradiazione esterna sono la distanza dalla sorgente, il tempo di

esposizione e la presenza di schermature interposte.

Per schermature si intendono dispositivi che vengono difficilmente

attraversati dalle radiazioni.

Da quanto detto emerge chiaro come sia di fondamentale importanza

per una struttura come quella dei LNS la presenza e la composizione

delle schermature fissi o mobili che siano. Queste sono state progettate

in stretta collaborazione dell’EQ cercando ove possibile, di utilizzare

nella costruzione delle linee di fascio materiali più puri possibili e con

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

102

piccola probabilità di dar luogo a produzione di radioisotopi con elevati

tempi di dimezzamento.38

I neutroni costituiscono il principale rischio da radiazione pronta

all’esterno di schermature sottili [13].39

La schermatura per neutroni deve soddisfare due criteri:

• Interporre una massa sufficiente tra la sorgente ed il punto di

interesse;

• Attenuare efficacemente i neutroni di tutte le energie.

Il primo criterio viene soddisfatto facilmente utilizzando materiali

densi con elevato numero di massa, mentre si adempie al secondo con

l’impiego di idrogeno che, come visto al paragrafo 3.1.3, tramite

scattering elastico, garantisce un’efficace attenuazione dei neutroni.

Questi due criteri insieme alla necessità di avere delle schermature

quanto più stabili possibili, oltre che dai costi economicamente

contenuti, trovano il migliore accordo nell’utilizzo del cemento come

principale materiale da utilizzare nelle schermature delle sale

sperimentali. Questo avviene a causa dell’elevata concentrazione di

idrogeno contenuto nell’acqua necessaria per la formazione della

sostanza.40

Solitamente in tutte quelle sale poste in prossimità di uffici o aule,

vale a dire, vicino a luoghi di stazionamento di personale di servizio, le

schermature sono costituite da un’unica colata di cemento al fine di

impedire anche una minima fuga di radiazione. In tutti gli altri casi,

invece, si utilizzano dei blocchi di cemento sovrapposti in modo da

formare la parete schermante.

3.5.3 Sistemi di sicurezza, controllo ed allarmi

Presso i LNS, in tutte le aree in cui può essere presente il fascio di

ioni accelerato o in altre che comunque possono essere classificate con

38

Occorre ricordare che esistono inoltre una grande varietà di schermature di varie

forme e dimensioni utili al personale che lavora con le radiazioni. Esempi di

queste sono i grembiuli ed i guanti in materiale piombifero. 39

Il problema di attivazione neutronica secondaria sorgono nel caso di esperimenti

con elevati rate di fascio oppure nel caso di acquisizioni estremamente lunghe. 40

Nei casi in cui è richiesta una densità più elevata, spesso vengono poste delle

schermature in alluminio in prossimità al punto sorgente.

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

103

rischio da radiazioni ionizzanti sono operanti dei sistemi di sicurezza e

controllo accessi per la radioprotezione che provvedono a:

• Predisporre le sale, tramite l’esecuzione di un giro ronda, all’invio

del fascio;

• Effettuare lo stop degli acceleratori, del fascio o di altri dispositivi

radiogeni, se le sicurezze nelle sale non sono attuate o in caso di

apertura accidentale di una porta o per un’ emergenza;

• Controllare permanentemente tutti gli ingressi in ciascuna area e

consentire l’accesso solo al personale autorizzato, permettendo

una ricostruzione storica di tutte le operazioni o transiti del

personale nelle zone controllate;

• Effettuare le segnalazioni acustiche e luminose.

I componenti di campo principali sono i fine corsa sulle porte, le

elettro-serrature, i lettori di scheda per l’accesso del personale alle sale, i

segnalatori acustici e luminosi, i pulsanti di ronda e quelli di emergenza,

gli elementi che bloccano il fascio, eccetera.

La verifiche periodiche e la manutenzione dei sistemi sono affidate

all’Esperto Qualificato ed al Servizio di Radioprotezione.

Prima di inserire uno stato di controllo o chiuso è sempre necessario

effettuare un giro di ronda al fine di verificare l’assenza di persone.

L’operatore incaricato effettua il giro ronda ed ispeziona visivamente

tutti i locali della sala interessata, percorrendo l’area e premendo degli

appositi pulsanti nella giusta sequenza e nel tempo prestabilito. Durante

il giro le porte sono bloccate per impedire ulteriori accessi, solo la porta

principale può essere aperta nella fase iniziale e finale per consentire il

transito. Se nel corso della ronda l’operatore trova un altro lavoratore

all’interno della sala egli deve accompagnarlo fuori ed eseguire la ronda

partendo nuovamente dal primo pulsante. L’apertura di una porta fuori

sequenza genera un allarme ed obbliga a rieseguire la ronda.

A ronda conclusa correttamente il sistema inserisce lo stato richiesto

e genera i segnali di consenso agli acceleratori o agli elementi di linea.

Gli allarmi generati dal sistema avvengono solo negli stati di

controllo e di chiuso o durante le ronde all’interno delle sale

sperimentali, essi possono essere di tre tipi:

CAPITOLO 3 ASPETTI RADIOPROTEZIONISTICI

104

• Forzatura, che si verifica quando viene aperta manualmente una

porta sprovvista di lettori di schede o viene aperta una porta

provvista di lettori senza aver presentato una scheda abilitata.

Questo allarme può avere luogo anche quando viene aperta

manualmente una porta fuori sequenza durante l’esecuzione di una

ronda;

• Timeout, che si verifica quando viene tenuta aperta troppo a

lungo una porta che è stata aperta dopo la presentazione di una

scheda abilitata;

• Pressione emergenza, che si verifica quando è premuto un

pulsante di emergenza nello stato di chiuso.

Tutti gli allarmi comportano sempre il blocco del fascio prima

dell’ingresso nella sala interessata dall’allarme, inoltre vengono accese

le sirene ed i lampeggiatori rossi in sala e la segnalazione viene ripetuta

in sala controllo. Lo stato di allarme rimane attivo fino a quando

l’operatore non interviene. Lo spegnimento delle sirene può essere

effettuato immediatamente da consolle, con una operazione di "reset",

solo se la causa che ha prodotto l’allarme è stata rimossa (porta richiusa

o pulsante di emergenza ripristinato), mentre la cancellazione dello stato

di allarme avviene solo dopo aver rieseguito la ronda nell’area

interessata. Solo la cancellazione dell’allarme ed il reinserimento dello

stato di chiuso dopo la nuova ronda abilitano nuovamente l’invio del

fascio.

CAPITOLO 4 CONCLUSIONI

105

4. CONCLUSIONI

Questo project work ha preso spunto dalla personale esperienza di

stage svolta dalla sottoscritta presso i Laboratori Nazionali del Sud

dell’INFN di Catania.

Scopo dello stage era di prendere visione dei meccanismi di

produzione ed accelerazione di fasci di ioni e comprendere quale impatto

possano avere questi sulla radioprotezione dei lavoratori coinvolti.

Dalla complessità di tutti i processi in gioco e delle macchine

presenti, dal numero elevato di elementi che compongono le diverse

linee di trasporto, dalla varietà di radiazioni ionizzanti producibili e delle

loro energie e dalle molteplici applicazioni che queste hanno nelle varie

attività di ricerca, ci si rende conto che l’organizzazione ed il

mantenimento dell’efficienza del Servizio di Radioprotezione è

un’attività estremamente articolata, non banale e che affronta molteplici

aspetti. Questi vanno dalla dosimetria personale a quella ambientale, alla

progettazione e realizzazione delle diverse sale e sperimentali,

implicando la realizzazione delle appropriate schermature, la messa a

punto delle diverse procedure di controllo e degli allarmi.

Naturalmente questo project work non riesce ad esaurire le varie

problematiche di ambito radioprotezionistico che un laboratorio di

ricerca di fisica nucleare di livello internazionale come i LNS deve

affrontare, ma vuole semplicemente dare conoscenza dei rischi reali,

dovuti all’esposizione a radiazioni ionizzanti, e di alcuni dei mezzi

tecnologici e normativi che chi si occupa della radioprotezione dei

lavoratori ha a disposizione nello svolgere il suo compito.

APPENDICE A ALTRE GRANDEZZE DOSIMETRICHE E RADIOPROTEZIONISTICHE

107

APPENDICE A ALTRE GRANDEZZE

DOSIMETRICHE E RADIOPROTEZIONISTICHE

Grandezze derivate dalla fluenza di particelle :

• Intensità o rateo di fluenza di particelle :

,==2

dtda

Nd

dt

d

(A.1)

dove dt rappresenta l’intervallo di tempo in cui si effettua la misura;

l’unità di misura è 12 sm (S.I.) o 12 scm (unità pratiche).

• Radianza di particelle p :

,==3

dtdad

Nd

d

dp

(A.2)

dove d rappresenta l’angolo solido considerato; l’unità di misura è

ancora 12 sm (S.I.) o 12 scm (unità pratiche).

In perfetta analogia si definiscono:

• Intensità o rateo di fluenza di energia :

,==2

dtda

Rd

dt

d (A.3)

• Radianza di energia r :

,==3

dtdad

Rd

d

dr

(A.4)

con ovvio significato dei simboli.

Strettamente correlata all’esposizione, si definisce il Rateo di

esposizione o Intensità di esposizione X come:

APPENDICE A ALTRE GRANDEZZE DOSIMETRICHE E RADIOPROTEZIONISTICHE

108

,=dt

dXX (A.5)

dove dt è l’intervallo di tempo considerato, l’unità di misura è 1kgA

nel S.I., o 1 sR nelle unità pratiche.

In maniera del tutto analoga si definiscono

• Rateo di dose o intensità di dose assorbita X :

,=dt

dDD (A.6)

dove dt è l’intervallo di tempo considerato;

• Rateo o intensità di kerma K :

,=dt

dKK (A.7)

entrambe misurate in 1 sGy nel SI.

BIBLIOGRAFIA

109

BIBLIOGRAFIA

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in Radiaton Dosimetry. International Journal of Applied of Radiation

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Fusion: Plasma Physics. London Press, second edition, 1986.

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Valastro, G. Cuttone, et al. A 62-MeV Proton Beam for the Treatment of

Ocular Melanoma at Laboratori Nazionali del Sud-INFN. IEEE

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[4] A. Fasso, A. Ferrari, J. Ranft, and P. Sala. New Developments in

FLUKA Modeling Hadronic and EM Interactions. In 3rd Workshop on

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[5] John Galayda. Beam profile measurement. In AIP Conference,

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