prof.ssa anna ascenzi
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Pino Boero – Carmine De Luca
La letteratura per l'infanzia
Roma-Bari, Laterza, 1995
Letteratura per l’infanzia
Prof.ssa Anna Ascenzi
Università degli Studi di Macerata
Dipartimento di Scienze della formazione, dei beni culturali e del turismo
Classe: LM-85 bis
Anno Accademico 2014/2015
Capitolo VIII
Gli anni Cinquanta e Sessanta
Il decennio del miracolo economico vede l’evolversi di cambiamenti sociali e
culturali di notevole interesse: il fenomeno migratorio interno da Sud a Nord,
l’urbanizzazione, lo sviluppo economico che accresce la ricchezza media e
induce nuovi bisogni di consumo, l’ingresso nelle case degli italiani della
televisione, l’innalzamento dell’obbligo scolastico, lo sviluppo dell’industria
editoriale.
Per quanto riguarda la sensibilità culturale in materia di letteratura giovanile, si
manifesta una crescente valorizzazione del genere, testimoniata dal sorgere della
rivista «Schedario», che analizza i prodotti letterari, teatrali e cinematografici per
bambini, e dall’istituzione di premi letterari per i libri rivolti all’infanzia.
Da segnalare, inoltre, l’attivazione dell’insegnamento di “Storia della Letteratura
per l’Infanzia” nell’Università di Padova, che segna l’ufficiale ingresso della
materia nel mondo accademico, riconoscendole il dovuto valore letterario e
culturale.
Il primo censimento della Repubblica fotografa, nel 1951, un’Italia con ancora
un’alta percentuale di analfabeti o di persone non in possesso del titolo di
studio minimo.
Si istituisce, nel 1962, la Scuola Media unica con l’obbligo di frequenza fino al
quattordicesimo anno di età e si stabilisce un più stretto legame con
l’editoria introducendo, nella II e III classe media, la lettura obbligatoria di
un’opera di narrativa italiana o straniera.
Nel 1955 si redigono i Programmi per la scuola elementare che si basano
su una concezione del bambino “tutto intuizione, sentimento, fantasia” e che
pongono a “fondamento e coronamento della scuola l’insegnamento della
dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica”.
Tali Programmi, trascurando l’aspetto scientifico, si rivolgono ad un bambino
inesistente, in quanto caratteristiche proprie del bambino reale sono anche la
curiosità, l’osservazione, la razionalità.
Parallelamente, i libri scolastici risultano non adeguati all’intelligenza dei bambini
perché forniscono spiegazioni banali e irrazionali su fatti e oggetti della vita
quotidiana; si può dire con Umberto Eco che “attraverso di essi il ragazzo viene
educato a una realtà inesistente”.
Spettò, quindi, alla scuola “militante” il merito di aver saputo, in alcuni pregevoli
casi, dar vita ad un insegnamento più aderente alle caratteristiche vere di fantasia,
di libertà, di razionalità dei bambini reali.
Significative sono le esperienze messe in atto dai ragazzi della Scuola 725 di
Roma e dalla collana di monografie pubblicate dall’editore fiorentino Luciano
Manzuoli nella Biblioteca di Lavoro su iniziativa di Mario Lodi.
Nel primo caso un gruppo di ragazzi di una borgata romana, sotto la guida di don
Roberto Sardelli, dà vita al libro Non tacere nel quale sono tratti temi e argomenti
frutto delle discussioni fatte in aula intorno ad articoli di giornale, libri e Bibbia.
La Biblioteca del Lavoro, invece, avviata nel 1972, si compone di una serie di agili
monografie intorno ai temi più disparati di vita vissuta e dei prodotti del lavoro e
dell’arte; decine di volumi raccolgono così i risultati di attente ricerche nelle
scuole di varie parti d’Italia (Canti del popolo; Chi Siamo; Monterosso, indagine sulla
condizione operaia) e proposte didattiche di numerosi intellettuali di prestigio
(Gianni Rodari, Tullio De Mauro, Francesco Tonucci).
L’Italia del boom economico vuole essere informata, ha bisogno di una cultura di
base e così l’industria editoriale si concentra anche sulla pubblicazione di
enciclopedie (Conoscere, Vita meravigliosa, I Quindici. I libri del Come e del Perché).
C’è chi contesta tali prodotti per l’impostazione schematica e perché accusati di
fornire un “sapere in pillole”, ma è pur vero che a rendere positivo o negativo un
medium informativo è l’uso che se ne fa; è attuale un discorso simile riguardo la
Tv e Internet e forse si può sostenere che tali strumenti forniscono stimoli la
cui connessione, elaborazione ed organizzazione spettano, poi, alla criticità della
mente di chi ne fruisce.
Il 1958, in particolare, può essere preso quale data esemplare per identificare
due linee di tendenza destinate e incidere sugli sviluppi dell’editoria.
In quell’anno, infatti, la casa editrice fiorentina Marzocco Bemporad (figlia della
Paggi) pubblica un Catalogo generale che coniuga novità e tradizione
circoscrivendo la pubblicazione di alcuni autori nuovi all’interno di una più vasta
e tranquillizzante cornice letteraria classica.
La casa editrice Vallecchi, invece, si rende protagonista – con la collana Il Martin
Pescatore diretta da Donatella Zoliotto – di una produzione nuova e vivace di
cui può essere rappresentativa l’autonoma ed indipendente Pippi del romanzo
Pippi Calzelunghe. Alla scoperta di un mondo nuovo e fantastico si accompagna
l’apertura verso l’Europa e il mondo.
A partire dagli anni Cinquanta anche la casa editrice Einaudi comincia a pensare
in modo organico alla letteratura per l’infanzia dando vita alla collana Libri per
ragazzi destinata a lasciare un segno profondo nella storia della letteratura
italiana per l’infanzia.
In trent’anni, infatti, la collana presenterà i testi e gli autori più significativi del
periodo pubblicano non solo le opere dei classici (Capuana, Salgari, Collodi,
Fucini), ma anche e soprattutto le opere dei contemporanei (Antonicelli,
Calvino, Malerba, Milani, Rodari).
I testi pubblicati in “Libri per ragazzi” non sono rivoluzionari o scandalosi, ma
semplicemente coerenti con l’impegno di sottrarre le vicende narrate al
patetismo, alla nostalgia e al ricatto pedagogico.
Sono le Fiabe italiane di Italo Calvino, pubblicate nel 1956, che segnano però,
per la Einaudi, l’inizio di tale organica produzione di letteratura per l’infanzia. Il
profondo interesse di Calvino per il mondo fiabesco è testimoniato già dal suo
primo romanzo Il sentiero dei nidi di ragno.
Fiabe italiane ribadisce la posizione dell’autore che vede in tali racconti un
importante deposito della cultura italiana. La premessa analizza la relazione tra
la fiaba e la letteratura per l’infanzia.
Innanzitutto ricorda che la fiaba nasce per rivolgersi ad ascoltatori prima e a
lettori poi di tutte le età; in secondo luogo individua le caratteristiche
fondamentali della fiaba per l’infanzia: il carattere pauroso, il prosimetro
tendente alla filastrocca, i particolari scatologici, elementi estranei ai buoni
sentimenti e al tono consolatorio ed edificante della letteratura per l’infanzia
del suo tempo; infine indica, non nel contenuto ma nella narrazione e
nell’ascolto, le finalità educative di tale genere.
Un contributo di eccezionale portata alla letteratura per l’infanzia della
seconda metà del Novecento viene anche dall’opera e dalla riflessione di
Gianni Rodari, scrittore e giornalista di alti ideali democratici, che dal 1967 al
1971 assume la direzione de «Il Pioniere».
A Rodari va riconosciuto innanzitutto il merito di aver introdotto molti temi
inediti nella produzione per ragazzi, spesso strettamente legati all’impegno
politico che ne contraddistingue l’attività a partire dall’immediato dopoguerra,
portando in primo piano questioni connesse alle differenze sociali, allo
sfruttamento del lavoro, all’antimilitarismo e alla solidarietà tra gli oppressi.
Sin dai primi Il romanzo di Cipollino (1951) e Gelsomino nel paese dei bugiardi
(1959), l’attenzione per le problematiche del reale convive intimamente con un
forte interesse verso gli elementi più tipici della tradizione popolare,
accompagnato dal gusto per la parodia e per la rappresentazione di mondi
utopici dove ogni consuetudine si rovescia nel suo contrario.
Le raccolte Filastrocche in cielo e in terra e Favole al telefono (1960) si collocano
così pienamente nel solco della grande tradizione romantica e della raccolta alla
Grimm, con intrecci e situazioni che affermano l’importanza e la positività
dell’esperienza nell’universo fatato delle fiabe, mentre il romanzo La torta in
cielo (1966), nato dagli incontri tra lo scrittore e i bambini della scuola romana
Collodi, sceglie come soggetto principale la distanza che intercorre tra la
solidarietà infantile e il pericoloso individualismo del mondo adulto.
Accanto ai testi che si rivolgono ai più piccoli, convive una produzione più adatta
ai ragazzi della scuola media, come le Novelle fatte a macchina (1973), che
guardano con disincantata ironia alle assurdità del nostro tempo, o C’era due volte
il barone Lamberto (1978) che, riprendendo l’espediente narrativo dell’adulto che
cresce a ritroso di Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino di Giulio Gianelli,
rappresenta un invito a costruire con autonomia e intelligenza la propria vicenda
personale.
L’arte di inventare storie di Rodari si fa anche riflessione teorica nel testo
Grammatica della fantasia del 1973, che precede i postumi Esercizi di fantasia, con
una serie di preziosissime indicazioni che svelano il procedimento inventivo,
l’itinerario culturale e i presupposti pedagogici dei suoi racconti a genitori e
insegnanti, per dare loro la possibilità di farsi essi stessi narratori per i piccoli.
Nella situazione ancora culturalmente arretrata in cui versa l’Italia del
dopoguerra, dove la lingua nazionale resta ancora patrimonio per pochi e il libro
per l’infanzia che non appartiene strettamente all’ambito scolastico è
generalmente destinato a una fruizione limitata, l’opera di Rodari appare quindi
decisamente inconsueta, sia nei contenuti, che per il pubblico a cui si riferisce,
quello delle classi subalterne, attraverso precise scelte linguistiche e stilistiche,
che tendono all’abbandono dell’italiano astratto e artificioso della tradizione per
adottare una lingua più immediata, recuperata in parte dalla lunga esperienza
giornalistica e in parte da una spinta educativa ed utopica che crede nell’azione
della parola sull’inconscio e sulla fantasia.
Tra gli altri autori significativi degli anni Cinquanta e Sessanta vanno ricordati
Giana Anguissola, che esordisce al «Corriere dei Piccoli» e dal dopoguerra
lavora per radio e televisione dedicandosi alla scrittura di romanzi per ragazzine
pieni di umorismo, dove dà vita a originali personaggi come Violetta e Priscilla, e
di testi come Eredi del circo Alicante, Seguendo una lira e Signor Serafino, che vanno
dal genere favolistico a quello realistico, e Tommaso Landolfi, che nella pur
esigua opera per l’infanzia mantiene tutta l’atipicità, la stravaganza e la
dimensione fantastica che caratterizzano i suoi scritti per adulti, sia nelle
filastrocche Sale e pepe, Ta, Tarà, Tatà e Grande filastrocca negativa con tocco finale,
che nei racconti fiabeschi Il Principe infelice e La raganella d’oro.
Va ricordato, anche, Marcello Argilli, collaboratore del «Pioniere» diretto da
Gianni Rodari: la sua militanza nel Partito Comunista lo porta a cercare nuove
strade all’interno della produzione per i bambini per allontanarla dal moralismo e
dal clericalismo. Non è, quindi, un caso che proprio nell’anno di emanazione dei
programmi scolastici del 1955 (di forte impronta cattolica) Argilli pubblichi Le
avventure di Chiodino in cui rappresenta un bambino di ferro dal cuore d’oro il
quale intraprende un percorso di crescita che lo porta a scoprire la negatività del
mondo ma anche i valori della solidarietà e dell’amicizia; accusato dai benpensanti
di portare il “bolscevismo” nella letteratura per l’infanzia, Chiodino si colloca in
quella linea educativa che non trascura di inserire nel mondo della fiaba i
problemi reali della società.
Altro noto personaggio di Argilli è Atomino, un atomo pacifista e dotato di un
cuore che si muove ingenuamente in un mondo egoista dominato dalla logica
economica.
Successivamente Argilli si distinguerà anche per la sua produzione rivolta
all’adolescenza.
Esempio di coerenza è anche la letteratura di Giuseppe Bufalari, maestro
elementare e appassionato esploratore delle profondità marine, che associa ai
due filoni principali in cui si suddividono i suoi grandi romanzi, quello
dell’impegno civile, in opere come La masseria, Pezzo da novanta e Voscenza
benedica, e quello dell’avventura in mare, con La barca gialla, Scellamozza,
Quando passarono le anatre, La nave dei guerrieri e Il ragazzo dell’Orsa maggiore,
anche una produzione più legata all’attualità e alle tematiche che coinvolgono
la scuola.
Eroe malinconico e vicino ai tipi salgariani è il cow-boy Tommy River, personaggio di
Mino Milani comparso sul «Corriere dei Piccoli» nel 1958 e trasferito in volume
ne Le avventure di Tommy River che, come i successivi Il fiume non si ferma, Romanzo
militare, Efrem, soldato di ventura e I quattro di Candia si allontana dalle consuete
verità educative per allinearsi alla dimensione crepuscolare della moderna
narrativa novecentesca.
Più ancorate alla realtà contemporanea sono le scrittrici Renée Reggiani, che in
Il treno del sole descrive le vicende di una famiglia siciliana trapiantata a Torino, le
cui difficoltà di inserimento nel contesto sociale totalmente estraneo divengono
occasione per mostrare il lato meno gradevole e mistificante del boom economico;
Luciana Martini, autrice di Non deve accadere, Ragazzi come siamo e Colore del
vento, dove le brutture del reale e le responsabilità adulte sono presentate senza
schermi consolatori, e Lucia Tumiati, che in Saltafrontiera, Cara, piccola Huè e Una
cartella di sogni riesce a rappresentare il mondo attraverso lo sguardo dei bambini.
Tra i giornali, in quegli anni concorrono «Il Vittorioso», di matrice cattolica e «Il
Pioniere», di ispirazione laico-comunista; oltre che nelle edicole, il primo trova
diffusione nelle parrocchie e tramite l’Associazione Cattolica, il secondo nelle case
del popolo, nelle sezioni del partito comunista e tramite l’Associazione dei
Pionieri d’Italia.
«Il Vittorioso» nasce nel 1937 e ha il merito di essersi realizzato come giornale
di fumetti totalmente italiani; i fumetti americani (avversati in quegli anni dal
fascismo) non si ritengono adatti alle caratteristiche dei ragazzi italiani, per cui si
elaborano proprie creazioni, sia nelle storie, sia nelle illustrazioni.
Il tema fondamentale è la lotta tra il bene il male con il bene che, infine, riesce
sempre a vincere; esso si esprime come storie avventurose-patriottiche e,
talvolta, in vicende di ambientazione medievale.
Benché l’impostazione cattolica sia chiara ed esplicita, «Il Vittorioso» raggiunge
anche il pubblico laico, grazie al tono umoristico di molte storie, soprattutto
quelle firmate da Benito Jacovitti; la componente conservatrice riemerge più
accentuata negli anni ’50, in clima di guerra fredda.
Nel 1950 nasce «Il Pioniere», che trae dalle esperienze del «Corriere dei
Piccoli» e de « Il Vittorioso» l’impostazione sequenziale di pagine illustrate e parti
scritte, e dal «Giornalino della Domenica» l’interazione con i propri lettori,
coinvolti in iniziative sociali e politiche.
Ne è un esempio il concorso “Narriamo le gesta dei Partigiani Italiani”,
organizzato nel 1955 per il decennale della Resistenza e che termina devolvendo
ad un collegio genovese per gli orfani dei Partigiani il ricavato della vendita degli
elaborati. La Resistenza e l’antifascismo sono infatti, i temi centrali del periodico,
trattati per i primi due anni, con tono grave.
In seguito il giornale acquista maggiore leggerezza e umorismo; tra i fumetti due
personaggi diventano molto noti tra i bambini e i ragazzi: Cipollino di Rodari e
Chiodino di Marcello Argilli
Sia «Il Pioniere» che «Il Vittorioso» chiuderanno in seguito alla crisi della stampa
periodica causata dal proliferare di nuovi prodotti editoriali (Tex , Sciuscià, Il piccolo
sceriffo, Forza John) che riscuotono sempre crescente successo di pubblico.
Gianni Rodari, La torta in cielo (1966)
Vi racconto della volta in cui, in un certo posto in una certa mattina, tanta gente col naso per aria vide nel
cielo un enorme oggetto circolare che stazionava sui tetti. Tutti gridavano spaventati correndo di qua e di là
che erano arrivati "i marziani" … "no l'eclisse"…la fine del mondo. Chiamarono la polizia, i carabinieri, i
vigili urbani. Arrivarono anche i pompieri, un'autoblindo, un carro armato, i cannoni, persino i missili. Fu pure
decretato lo stato d'allarme. Intanto in cielo si svolgevano pericolose manovre d'ispezione intorno
all'oggetto volante misterioso. Un ufficiale pilota, -nome in codice Dedalo,- riferiva così al comando:
"Secondo i miei calcoli la sua circonferenza misura metri tremilacentoquaranta. Per trovare il diametro,
basta dividere per tre e quattordici….. La superficie laterale appare dipinta a fasce di diversi colori. Dal
basso in alto, eccone la disposizione: bruno, verde pistacchio, giallo, rosa, bruno di nuovo. La superficie
laterale appare compatta… L'altezza laterale è venticinque metri circa… per calcolare il volume………"
Il prof. Terenzio, il prof Rossi, il generale Decannoni: "Conosciamo la geometria, vada avanti !!"
"Signorsì, ...la superficie superiore dell'UFO presenta un meraviglioso color bianco panna e…vedo delle
sfere rosse inserite a regolare distanza nella superficie bianca. Sono diverse centinaia somigliano a grosse
ciliegie candite!
"Non dite sciocchezze" Tuonarono gli illustri scienziati, le cui teorie erano per l'appunto in completo
disaccordo. Il generale, avendo avuto notizia di un aquilone nei pressi dell'UFO, pensò subito a qualche spia
terrestre che voleva contattare i marziani.
UN GROSSO, GROSSO GUAIO ………. secondo loro.
Capitò, invece, a due bambini scoprire per caso la soluzione al dilemma. Attirati da tanta confusione sul
terrazzo di casa, anche Rita e Paolo, figli del vigile Meletti, ebbero la loro esperienza con la "COSA".
Un pezzo dell' oggetto cadde nell'angolo destro del balcone, cadde ma non scoppiò. Emise solo un morbido
"plaff" e rimase lì, fra due vasi di gerani.
"Ma non senti un profumino? Vuoi che tocchi io la cosa?"
"Stupida, credi che abbia paura?" (ne aveva tantissima)
"E' che prima voglio studiarci sopra un momento".
Fu Rita, però, che passò ai fatti e, toccando la cosa lanciò un grido di trionfo:
"Cioccolato!"
Gianni Rodari, La torta in cielo (1966)
Roba di marca a giudicare dal profumo, dal sapore, dalla lunga delizia che lasciava in bocca.
Tutto quanto l'oggetto misterioso cominciò ad atterrare alle tre del pomeriggio su una collinetta dove
andavano a brucare le pecore. La collinetta fu, naturalmente, circondata in forze, ma ci si astenne da
qualsiasi iniziativa per non far fallire il primo incontro umani-marziani. Il generale avrebbe preferito
cannoneggiare tutto subito.
"Addio torta" disse Rita.
"Guarda è tutta di cioccolato e di sopra è rosa, gialla,verde: una torta millegusti."
"Sono i colori della bandiera marziana quella torta è un'astronave" diceva il fratello. Fu così che andarono a
vedere muniti di palette da spiaggia; si intrufolarono carponi nel gregge di pecore, che, da brave pecore, non
ne volevano sapere di assedio e tornavano pacifiche al loro recinto notturno sulla collina, nascondendoli.
C'era davvero una torta.
"Sei convinto, adesso?" Domandò Rita con la bocca già piena di pasta-frolla.
"Non sono venuto qui per mangiare, io, ma per esplorare la torta marziana…."
Sentieri di pasta mandorlata, ruscelli di zabaione, enormi ciliegie candite sbarravano il loro passo. Pioveva
marsala, c'era un freschetto delizioso, erano pareti di gelato al pistacchio refrigeranti, sotto i loro piedi una
pavimentazione di savoiardi imbevuti di cioccolato fondente; un certo punto i due bimbi si trovarono
davanti ad una parete di marzapane in cui scavando un buco videro una grotta e là, in mezzo, seduto un
uomo che scriveva come un matto su un blocco pieno di appunti.
Rita bisbigliò "Quello è Geppetto !” e Paolo: "E tu sei la Fata Turchina".
Era il professor Zeta: un omino quasi vecchio, quasi calvo, quasi curvo con gli occhiali molto, ma molto
spessi, anzi, spessi del tutto. Aveva un lungo camice grigio che sembrava il grembiule di un droghiere, un
grosso naso a patata rosso e un colletto tutto ciancicato. Lo scienziato, spaventato, gridò alla loro vista:
"Squak, squok, karapak, pik!" pensando di essere di fronte a due alieni; i bambini a loro volta gridavano:
"Aiuto!“. Scapparono a gambe levate. Successe, però, che il cane Zorro tornasse indietro a fiutare il nuovo
venuto. "Fermo Zorro, sta buono!" ordinò Paolo, intuendo che poteva fidarsi di quell'ometto dall’aria
buona.
Giana Anguissola, Violetta la timida (1963)
- E in casa tua, che altro fai oltre studiare, ascoltare la radio o leggere un libro?
- Ma… niente. Faccio quel che mi dice la mamma.
- Sempre?
- Quasi.
- E di tua iniziativa non trovi, non vedi, non ti proponi nulla da fare?
- Ah, no! – Ci mancherebbe altro che facessi qualcosa di mia iniziativa oltre che dare una mano alla mamma
quando me lo chiede!
- Tutto sbagliato!
- Cosa?
- Tutto sbagliato il tuo modo di vivere in famiglia.
- Perché? – Nessuno s’è mai lamentato di me, in casa, sta a vedere che ora se ne lamenta la signora A.,
un’estranea!
- Perché ci vivi come un’ospite, una pensionante, non come «facente parte».
- Ma ho tredici anni!
- Ecco l’errore! Perché hai tredici anni pensi di non avere nessun dovere verso la tua casa e i tuoi genitori,
oltre lo studio e l’obbedienza, ma solo dei diritti!
Rimango a bocca aperta. Senza nemmeno una parola dentro. Più che studiare e distrarsi un poco, cosa deve
fare una ragazza di tredici anni? Annoiarsi, ed è quel che mi capita spesso. Ma mi par che questo sia meglio
non dirlo alla signora A. Così, per prudenza. Con lei non si sa mai. Vana precauzione: lo indovina.
-Scommetto che ti annoi.
Poiché tacere si può ma mentire non si deve, confesso: - Sissignora.
-Che rimedio trovi o vorresti trovare per la tua noia?
- Vorrei farmi un’amica a cui poter telefonare, da cui andare o chiamarla da me. Ma chi ne ha il coraggio?
- Solo per questo dovrai sceglierti e conquistarti un’amica. Ma non è di ciò che si tratta al presente, bensì
della tua vita in famiglia. Così, quando in casa ti annoi, ti limiti ad annoiarti.
- Eh…sì… che altro potrei fare?
Giana Anguissola, Violetta la timida (1963)
- Dedicare il tempo vuoto che la noia invade (la noia invade solo il tempo vuoto, ricordalo; è una saggia spia
la quale avverte che c’è del tempo disponibile per bene occuparlo) alla tua casa, ai tuoi.
- Alla mia casa? Ai miei? – Parola, non ci avevo mai pensato.
- Perché è un errore, - continua la signora A., - da parte dei ragazzi, pensare che non debbono far nulla in
casa, ma lasciarsi manovrare, guidare o comandare come sacchi di patate solo perché sono ragazzi. I ragazzi
sono membri della famiglia né più né meno che i grandi.
- E che cosa debbono fare più che lasciarsi comandare e obbedire?
- Il contrario di farsi comandare.
- E cioè?
- Avere dell’iniziativa, secondo le loro possibilità, s’intende.
- Non è lo stesso lasciarsi comandare?
- No. Prima di tutto perché per gli adulti comandare è fatica e preferiscono sentirsi indovinati, prevenuti nei
loro desideri. Poi perché, se no, non si sviluppa, appunto, il senso d’iniziativa. Infine, e questo è il più
importante, perché il ragazzo si riduce, mantenendosi chiuso, appartato, a una cellula morta, fredda, del
nucleo familiare, il quale, invece, deve essere tutto un alveare caldo, vivo. Capito?
- Certo! – E, francamente, detto così, mi pare una cosa bellissima.