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Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 1
Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale
Sez. San Tommaso D’Aquino
Q 233 Esegesi del NT/3: Opera Giovannea e Lettere cattoliche.
Prof. Gaetano Castello Anno Acc. 2012-2013 I Semestre: Mercoledì e Giovedì ore 11,05-12,45
Programma: Il corso ha lo scopo di introdurre lo studente alla conoscenza dell’opera giovannea e
delle lettere cattoliche tenendo conto delle principali questioni storico letterarie per una lettura
criticamente fondata. Alle introduzioni letteraria e teologica delle singole opere, in particolare del
IV Vangelo, seguirà l’esegesi di passi scelti che saranno affrontati a partire dal testo greco. Lo
studio esegetico si avvarrà principalmente del metodo storico-critico e dell’analisi narrativa
segnalando altri approcci praticati attualmente dagli studiosi; si intende così offrire un quadro dei
principali approcci metodologici al testo neotestamentario e delle linee teologiche caratteristiche del
messaggio giovanneo. Lo studente verrà inoltre avviato alla consultazione delle principali opere
esegetiche della tradizione cristiana antica e recente fornendo la strumentazione di base per lo
studio teologico
Bibliografia essenziale: GHIBERTI G. e coll., Opera Giovannea, ElleDiCi, Leumann (To) 2003; TUÑÌ J.O. –
ALEGRE X., Scritti giovannei e lettere cattoliche, Paideia, Brescia1997; SANT’AGOSTINO, Commento al
Vangelo e alla prima epistola di San Giovanni, traduzione e note di Gandolfo E. (Nuova Biblioteca
Agostiniana), Città Nuova, Roma 1968; MANNUCCI V., Giovanni il Vangelo narrante. Introduzione all’arte
narrativa del quarto vangelo, Dehoniane, Bologna 1993, ristampa 1997; SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di
Giovanni, 4 voli., Paideia, Brescia 1973-1987; PALINURO M., «Tu chi sei»? Le autorivelazioni di Cristo nel
Vangelo Giovanneo , Città Nuova, Roma 2010; G. BIGUZZI, Apocalisse, Nuova versione introduzione e
commento, Paoline, Milano 2005.
Argomenti Il Corpus Johanneum e le altre lettere “cattoliche” Introduzione generale al IV Vangelo Introduzione storica al IV Vangelo: l’ipotesi di R.E.Brown e ipotesi attuali Formazione e struttura del IV Vangelo Gv 1,1-18 Il Prologo struttura esegesesi e teologia La sezione Gv 2-4 Da Cana a Cana Gv 2,1-11 Cana di Galilea esegesesi e teologia Gv 4: La Samaritana esegesesi e teologia Introduzione ai cpp. 5-12: la tensione con “i giudei”. Antigiudaismo giovanneo? Gv 6: il grande discorso a Cafarnao sul pane di vita Introduzione a Gv 13-17 Gv 10,1-21: esercitazione in aula per l’analisi esegetica del brano del Buon Pastore Gv 13 lettura esegetico-teologica Gv 14 lettura esegetico-teologica Gv 15-16 lettura esegetico-teologica Gv 18-20 Passione morte e risurrezione secondo Giovanni Gv 18, 33-37 Davanti a Pilato; Introd. ai racconti di risurrezione Intoduzione all’Apocalisse di Giovanni
Approfondimenti Legge/Torah nel IV Vangelo “dialogo nel IV Vangelo” linguaggio della salvezza nel IV Vangelo “Vita” nel IV Vangelo
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N.B. Per l’esame, oltre alle lezioni svolte in aula e ai relativi approfondimenti personali (con indicazioni bibliografiche), sarà richiesto lo studio di una introduzione generale all’opera giovannea e alle lettere cattoliche (dalla Bibliografia generale)
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BIBLIOGRAFIA PIÙ CITATA DURANTE LE LEZIONI
indicazioni bibliografiche essenziali di preferenza in traduzione italiana 1. INTRODUZIONI GENERALI (oltre a quelle incluse nei commentari) COTHENET E., «Il quarto Vangelo», in A. GEORGE - P. GRELOT, Introduzione al nuovo Testamento V: La tradizione
Giovannea, Borla, Roma 1978, 85-272 e 276-301 (Bibliografia). COTHENET E., «Il Vangelo secondo San Giovanni», in Gli scritti di San Giovanni e la Lettera agli Ebrei, (Piccola
enciclopedia biblica 10), Borla, Roma 1985, 11-162. MAZZEO M., Vangelo e lettere di Giovanni. Introduzione, esegesi e teologia, Paoline, Milano 2007. PANIMOLLE 5., L 'evangelista Giovanni. Pensiero e opera letteraria del quarto Vangelo, Borla, Roma 1985. SEGALLA G., «Giovanni (Vangelo di)», in Nuovo dizionario di teologia Biblica, Paoline, Milano 1988, 666-673. 2. COMMENTARI ANTICHI CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Giovanni, trad., intr. E note a cura di Luigi Leone, 3 voll., (collana
di Testi patristici diretta da Antonio Quacquarelli) città nuova editrice, Roma 1994 (coll. Capodimonte A.24.111/112/113).
ORIGENE, Commento al Vangelo di Giovanni, UTET, Torino 1968. SAN BONAVENTURA, Commento al vangelo di San Giovanni, (collana Opere di San Bonaventura), 2 voll.,Città Nuova,
Roma 1990. 1991; ( coll. Capodimonte A.20.3. 7/1-2). TEODORO DI MOPSUESTIA, Commentario al Vangelo di Giovanni, Borla, Roma 1991. S. TOMMASO D’AQUINO, Commento al Vangelo di San Giovanni, I-IV, Città Nuova, Roma 1990. 3. COMMENTARI MODERNI BARRET C.K., The Gospel according to St. John, SPCK, London 1985 (I ed. 1955). BEASLEY-MURRAY G.R., John, (Word biblical commentary 36), Word, Dallas 1987. BLANCK J., Das Evangelium nach Johannes, 4 voli. Patmos, Dùsseldorf 1977-1981; versione inglese, The Gospel
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the Gospel of John, 2 voli., Fortress, Philadelphia 1984. LACONI M., Il racconto di Giovanni, Cittadella, Assisi 1989. LÉON-DUFOUR X., Lecture de lÈvangile selon Jean I: Chapitres 1-411: Chapitres 5-12, Du Seuil, Paris 1988-1990; tr.
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BRAUN F.M., Jean le théologien III/1: Le mystère de Jesus Christ, Gabalda, Paris 1966; III/2: Le Christ, notre Seigneur hier, aujourd'hui, toujours, Gabalda, Paris 1972.
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BROWN R.E., La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, Assisi 1982. BULTMANN R., Teologia del Nuovo testamento, Queriniana, Brescia 1985.
CULPEPPER R.A., Anatomy of the Fourth Gospel. A Study in Literary Design, Foortress, Philadelphia (1981) 31989. DE LA POTTERIE I., “Cristologia di Pneumatologia in San Giovanni”, in Bibbia e Cristologia a cura della
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DE LA POTTERIE I., Studi di cristologia giovannea, Marietti, Genova 21986. DODD C.H., L'interpretazione del quarto Vangelo, Paideia, Brescia 1974. FABRIS R., «Messaggio teologico e spirituale del quarto Vangelo», in Giovanni, Borla, Roma 1992, 87-105. GHIBERTI G., Spirito e vita cristiana in Giovanni, (Studi Biblici 84), Paidela, Brescia 1989. GHIBERTI G., Vecchio e nuovo in Giovanni, per una rilettura di Giovanni (Vangelo e Lettere), Riv.Bibl. XLIII(1995)
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Claudiana, Torino 1977 (orig. Tùbingen 1971). LEVIEILS X., Juifs et Grecs dans la communauté johannique, Biblica 82 (1, 2001) 51-78. LOADER W., The Christology of the Fourth Gospel: Structure and Issues, Lang, Frankfurt am Main 1989. MARTYN J.L., History and Theology in the Fourth Gospel (revised and enlarged edition), Abingdon, Nashville
21979. MOLLAT D., Giovanni maestro spirituale, Borla, Roma 1980. MONDATI F., “Struttura letteraria di Gv 1,1-2,12”, Riv.Bibl. XLIX(2001) 43-81. MOODY SMITH D., Johannine Christianity, Clark, Edinburgh 1987. MOODY SMITH D., La teologia del Vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia 1998. MUSSNER F., Il Vangelo di Giovanni e il problema del Gesù storico, Morcelliana, Brescia 1968. PALINURO M., «Tu chi sei»? Le autorivelazioni di Cristo nel Vangelo Giovanneo , Città Nuova, Roma 2010; PANIMOLLE S., L 'evangelista Giovanni (Pensiero e opera letteraria del quarto Vangelo), Borla, Roma 1985. PANIMOLLE S.,Gesù di Nazaret nell'ultimo evangelo e nei primi scritti dei Padri, Paoline, Roma 1990. Parole. De l'Ancien au Nouveau Testament, (Hommage a P. Grelot), Desclée, Paris 1987, 367-380. PASQUETTO V., Da Gesù al Padre. Introduzione alla lettura esegetico-spirituale del vangelo di Giovanni,
Teresianum, Roma 1983. PASQUETTO V., Da Gesù al Padre. Introduzione alla lettura esegetico-spirituale di Giovanni, Teresianum, Roma
1983, Parte prima (“Caratteristiche d'insieme del Vangelo di Giovanni”), 19-109. POPPI A., «Vangelo secondo Giovanni», in Sinossi dei quattro Vangeli Il: Commento, Messaggero, Padova 1987,
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1990. SEGALLA G., «Il discepolo che Gesù amava» e la tradizione giovannea, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991)11-36. SEGALLA G., Il Quarto Vangelo come storia, Dehoniane, Bologna 2012. SPEIR A. VON, San Giovanni. Esposizione contemplativa del suo Vangelo, 2 voli., Jaca Book, Milano 1985-1989. TALBERT C.H., Reading John. A Literary and Theological Commentary of the Fourth Gospel and the Johannine Epistles, Cross-Road, New York 1992. TUROLDO D.M., Il Vangelo di Giovanni. Nessuno ha mai visto Dio, Bompiani, Milano 2012.
Copie anastatiche dei Codici biblici sono reperibili su siti internet. Per il Codex Vaticanus cf.
http://archive.org/stream/CodexVaticanusbFacSimile/Codex-Vaticanus-
NT#page/n114/mode/1up
Gli appunti che seguono sono destinati al solo uso interno. Si tratta degli appunti a partire dai
quali il docente ha sviluppato le lezioni in aula, non riportano perciò l’intero contenuto di quanto
proposto.
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Il titolo e il contenuto del corso NT/3
Prima di entrare nell’argomento del singolo scritto per passare poi all’esegesi di testi scelti,
offriamo un panorama generale dei testi del Nuovo Testamento a cui fa riferimento il titolo del
nostro corso. Si tenga conto che molto è stato già detto sia nel corso di introduzione generale alla
Sacra Scrittura (si pensi alle questioni di critica testuale, canone ecc.), sia nel corso sui sinottici e
sulle lettere paoline.
Secondo quanto previsto dal titolo, il nostro corso si occuperà di introdurre ben nove scritti del NT:
il Vangelo di Giovanni, le tre lettere che portano lo stesso nome e l’Apocalisse, opere note nel loro
insieme come corpus johanneum, e le altre lettere cattoliche cioè le due lettere di Pietro, la lettera di
Giacomo e quella di Giuda, che insieme alle tre lettere di Giovanni formano il gruppo delle
cosiddette “lettere cattoliche”.
La stessa lunghezza degli scritti è molto diversa, come risulta da un confronto dei caratteri greci che
compongono ciascuno scritto (considerati in maniera approssimativa).
Vangelo di Giovanni 76288
Apocalisse 48118
1Giovanni 10000
2Giovanni 1190
3Giovanni 1173
1Pietro 9550
2Pietro 6356
Giacomo 9335
Giuda 2710
Ci occuperemo dunque innanzitutto del Vangelo di Giovanni, il IV Vangelo, per il posto che
occupa tradizionalmente nella lista dei Vangeli canonici. Il Vangelo che manifesta subito la sua
peculiarità nell’insieme degli scritti neotestamentari e in particolare in relazione ai sinottici. Qui
Gesù è presentato come il logos, la Parola incarnata ed eterna, senza origine perché è sin dal
principio. La figura di Gesù è presentata innanzitutto in stretta relazione con il Padre di cui Egli è il
Rivelatore, l’Inviato al mondo. Si presenta con l’espressione IO SONO che richiama il nome divino
del Sinai. I segni che Egli compie sono non dynameis, rivelatori della potenza divina, ma piuttosto
0 10000 20000 30000 40000 50000 60000 70000 80000 90000
Gv
Ap
1Gv
2Gv
3Gv
1Pt
2Pt
Gc
Giuda
numero caratteri
Serie1
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segni rivelativi della rivelazione tra Gesù e il mondo che carattterizzano l’intera prima parte del IV
Vangelo con la scansione dei 7 segni, spesso accompagnati da “discorsi” che riprendono il
significato profondo dei segni e lo esplicitano al di là degli equivoci dell’interpretazione. La
rivelazione di Gesù Cristo, in segni e parole, non rimane però qualcosa che riguarda solo l’intelletto,
chiede la decisione da parte degli uomini, l’adesione a Gesù Cristo. È proprio la relazione con Gesù
che determina già ora il giudizio spostato nel presente e non relativo alla fine dei tempi.
L’escatologia per Giovanni è relativa già al tempo presente per compiersi completamente nel futuro.
La prima lettera di Giovanni può essere letta, come ci insegna l’antica tradizione, in continuità
con il IV Vangelo, con la sua presentazione di Dio come luce (1,5) e come amore (4,16).
L’appartenneza a Dio, che è luce, chiede di abbandonare la via delle tenbre. L’attenzione della
lettera, come poi anche delle successive, sposta gradualmente l’attenzione al percorso dei discepoli
impegnati a vivere dell’amore per il prossimo, momento preciso di verifica rispetto all’amore di Dio
e per Dio. La prima lettera riprende e prolunga anche la riflessione sullo Spirito Santo, dono che
Gesù ha fatto ai suoi dalla croce (Gv 19,30): il sangue e l’acqua effusi sulla croce sono la
testimonianza più vera della morte di Cristo in croce contro ogni pericolo di spiritualizzazione che
dimentichi o ponga tra parentesi l’umanità di Gesù.
Il tema della divisione all’interno delle comunità, già visto nelle lettere paoline, è presente nella
seconda lettera di Giovanni in cui si insiste sulla necessità della testimonianza dell’amore
vicendevole. Qui la comunità è chiamata “Signora”, invitata a vivere il comandamento dell’amore
vicendevole insegnato fin dal principio da intendere non sololo come fatto temporale, ma
soprattutto qualificativo.
1 Io, il presbitero, alla Signora eletta e ai suoi figli che amo nella verità, e non io soltanto, ma tutti
quelli che hanno conosciuto la verità, 2 a causa della verità che dimora in noi e dimorerà con noi
in eterno: 3 grazia, misericordia e pace siano con noi da parte di Dio Padre e da parte di Gesù
Cristo, Figlio del Padre, nella verità e nell'amore.
L’ultima, la terza lettera di Giovanni è indirizzata a Gaio, un testimone della verità che lo rende
noto nella comunità di Giovanni e di cui viene lodata la condotta.
Anche l’Apocalisse, l’ultimo scritto del corpo giovanneo, viene tradizionalmente attribuito a
Giovanni, non senza problemi da parte della critica non solo moderna. Un testo di notevole
successo in diverse epoche della storia, come vedremo, per il suo linguaggio “apocalittico” appunto,
che si presta di per se a diverse interpretazioni. La più comune, almeno nel linguaggio abituale, è
quella che meno rende giustizia a questo testo, volendo individuare in esso soprattutto profezie che
si realizzano misteriosamente nella storia. Si tratta invece di un annuncio profondamente
cristologico ed ecclesiologico che presenta il conflitto degli ultimi tempi in atto tra i cristiani e la
forza del male che con i suoi rigurgiti sembra minacciare irrimediabilmente la vita cristiana nel
mondo. Non sono le previsioni nefaste delle manifestazioni demoniache al centro del nostro testo
ma il mistero pasquale del Cristo morto e risorto, il “Vivente” (Ap 1,17-18). È Gesù Cristo Risorto
che continua a interpellare le chiese (attraverso le sette lettere) incoraggiandole a vivere in pienezza
la testimonianza senza nascondere i tradimenti e le infedeltà che vengono compiute. Egli è
l’Agnello ritto in mezzo al trono e immolato che continua ad offrire la sua vita agli uomini
dimostrandosi il solo degno di “prendere il libro e aprirne i sigilli. È il Cristo Risorto che incoraggia
i suoi, coloro che portano i segni della passione e lo seguono ovunque fino alle nozze nelle quali
l’Agnello sarà definitivamente unito alla sua sposa, la chiesa, lavata da ogni colpa e pronta per il
suo sposo (Ap 19,7-8). L’intero libro dell’Apocalisse si presenta come descrizione di una grande
liturgia celeste scandita da Inni in cui la comunità manifesta la sua fede e canta la signoria
dell’Agnello che si estende non solo sul gruppo dei cristiani ma ha invece una portata cosmica
diffondendosi sul mondo intero (universalismo). Come nel Vangelo, e ancora più decisamente, il
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giudizio è presentato come già in atto contro il mondo e la bestia che lo rappresenta. La Chiesa
dovrà continuare ad annunciare il Cristo morto e Risorto attendendolo come sposo e invocandone il
ritorno “maranatha” vieni Signore Gesù.
Le altre quattro lettere (1-2 Pt; Gc; Giuda) insieme alle tre giovannee sono note come le sette
lettere cattoliche indirizzate cioè all’intero mondo cristiano. Sono accomunate dalla
preoccupazione della testimonianza cristiana di fronte al mondo e alle difficoltà che esso
rappresenta per il discepolo di Gesù. L’attenzione è rivolta così, come si può immaginare anche per
gli inevitabili problemi e nuovi interrogativi che nascono dalla vita cristiana, all’etica ma intesa
come quotidiana, coerente incarnazione del Vangelo.
Alla prima lettera di Pietro è stata dedicata ultimamente molta attenzioni (molte pubblicazioni in
italiano) in occasione del Convegno nazionale sulla Testimonianza. La logica che deve guidare la
vita cristiana deriva direttamente dall’offerta che Cristo ha fatto della sua vita chiamando le chiese
alla testimonianza del Vangelo nella perseveranza e nella vigilanza. In 1Pt troviamo l’immagine
della Chiesa come edificio, i cristiani come pietre vive impiegati per la costruzione dell’edificio
spirtuale (1 Pt 2,4-10), secondo il modello anticotestamentario del “popolo eletto'', per cui tutta la
comunità svolge un servizio sacerdotale di perfetta comunione con Dio (1 Pt 2,9). Nella stessa
sofferenza per le persecuzioni la comunità è invitata a consolidarsi attraverso l'esempio che riceve
dalle altre comunità sparse nel mondo (1 Pt 5,9). L'attesa del Signore diventa annuncio di sicura
speranza per quanti continuano a soffrire, seguendo il modello di Cristo, per il vangelo.
La 2 Pietro, in continuità con la prima lettera, prosegue nelle esortazioni morali, quali incarnazione
del vangelo. Tuttavia, in questa lettera si scorgono due preoccupazioni ecclesiali che stanno
particolarmente a cuore al suo autore: l'autorevolezza del vangelo, presentato come “parola
profetica”, e il calare della tensione escatologica che serpeggia nella comunità. É lo Spirito che ha
ispirato la parola e la comunità invitata a farsi interprete garante della stessa parola (cfr. 2 Pt 1,16-
21) uno dei due riferimenti neotestamentari espliciti alla ispirazione della Sacra Scrittura. La radice
pneumatica del vangelo, presente nella 2Pietro, verrà ripresa soprattutto dalla costituzione
conciliare Dei Verbum (DV 3,12). L'esperienza quotidiana delle persecuzioni per il vangelo
inducono diversi credenti a dubitare della venuta del Signore: a questo decadimento escatologico è
strettamente relazionata la diminuzione nella perseveranza della testimonianza per il vangelo.
L'autore della 2 Pt, riprendendo il codice proprio dell'apocalittica giudaico-cristiana, esorta a una
vigilanza operosa.
Giacomo. In questa tensione tra vangelo e morale si spiega anche la lettera di Giacomo, spesso
considerata, erroneamente, come secondaria rispetto al messaggio teologico del Nuovo Testamento,
soprattutto quando viene presentata in antitesi con il “vangelo paolino”. È entrata tardi nel Canone
del NT, è perciò tra le lettere Deuterocanoniche; utilizzata da Origene (+254) accolta però in
Palestina solo all’inizio del IV secolo (Eusebio la colloca tra gli “antilegomena”). Ai dubbi antichi
ha fatto riscontro l’atteggiamento della Riforma: Lutero la escluse dal Canone, reintrodotta dalle
Chiese riformate nel corso del XVII secolo. Giacomo si pone in una prospettiva diversa da quella di
Paolo: non si preoccupa più di stabilire le condizioni per entrare e rimanere nell'alleanza realizzata
in Cristo, che per Paolo erano rappresentate dalla fede in Cristo, ma delle modalità con cui la stessa
fede deve tradursi e prodursi nella vita cristiana.
Codice ermeneutico che pervade questa lettera è quello “sapienziale” (cf. Sl 1): chi sono il saggio e
lo stolto? Quali sono i criteri che li caratterizzano? Tali questioni, che si trovano alla base della
lettera, vengono risolte richiamando, in primo luogo, l'origine divina della sapienza: viene
“dall'alto'' (Gc 3,17), in quanto causata dalla parola di verità (Gc 1,18).
Tuttavia non può esservi sapienza che non scelga di prodursi nell'operosità dell'amore: è
significativo che la sapienza elogiata da Giacomo segua il canovaccio paolino della carità, delineato
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in 1 Cor 13,1-13 (cfr. Gc 3,13-18). Per questo la stessa fede se non si traduce in opere di amore
vicendevole è destinata a restare vuota, anzi “morta”. La prospettiva escatologica, non rigettata da
Giacomo, viene riletta in prospettiva storica contro ogni forma di attesa inoperosa di chi non
produce frutti nella propria vita cristiana (Gc 5,7-11).
Giuda. Il messaggio apocalittico del Nuovo Testamento giunge al suo stadio conclusivo con la
lettera di Giuda: ricalcando il filone apocalittico della condanna per coloro che si oppongono al
disegno divino, propria della tradizioni “Enochica” (cfr. Gd 14-15), l'autore invita la comunità a non
porsi in loro ascolto, dietro la loro sequela. Al contrario, mediante il codice dell'amore vicendevole,
che si verifica soprattutto nell'aiuto per i deboli e per i vacillanti (cfr. Gd 20-23), la comunità viene
consolidata nella sua unità e nell'attesa del Signore che viene.
INTRODUZIONE AL IV VANGELO (E CORPO GIOVANNEO)
«Un metodo complessivo, perfetto, soddisfacente sotto ogni punto
di vista, per dominare i problemi complessi dell’interpretazione del
testo, della storia letteraria della sua formazione, delle questioni
storiche implicite e della comprensione odierna, non è ancora stato
trovato e resta anzi un obiettivo irraggiungibile dell’esegesi
neotestamentaria» (SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni,
IV, Paideia, Brescia 1987, 11)
Il titolo del corso ed il suo programma, prevede lo studio della cosiddetta “opera giovannea”
comprendente sia il IV evangelo, che le tre lettere di Giovanni che l’Apocalisse di Giovanni. Testi
accomunati, nella tradizione, dallo stesso “autore”, Giovanni appunto, cosa tuttavia messa in dubbio
sin dai tempi antichi, almeno per quanto riguarda l’Apocalisse, dubbio esteso poi alle tre lettere
giovannee.
Il rapporto IV Vangelo (e lettere) – Apocalisse:
affinità osservata dalla tradizione
genere letterario molto diverso; anche nelle espressioni e nelle immagini in comune…
stile diverso: Vang. e lettere greco semplice ma corretto… Apocalisse: errori?
differenze nell’uso dell’AT
diverso rilievo della “storia”
Rapporto IV Vangelo lettere molto diverso da quello con l’Apocalisse
anche qui differenze di genere letterario
lessico, stile teologia mostrano affinità
ordine cronologico nello sviluppo delle situazioni contestuali
senza il Vangelo le lettere sarebbero di difficile comprensione
Un posto a parte occupa la secolare questione dell’autore del IV Vangelo con riferimento
particolare alle sue diverse identificazioni. Oltre a ciò che si può leggere in tutte le introduzioni
al IV Vangelo, in un recente studio Maria Luisa Rigato prima di esporre le sue posizioni,
tratteggia brevemente la storia della questione. Per l’autrice, Giovanni è “l’altro discepolo”, il
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“discepolo che Gesù amava”, non è da identificare con il figlio di Zebedeo, non è dunque uno
dei dodici; autore testimone oculare narrante del IV Vangelo, incluso il cap. 21, levita di stirpe
sacerdotale (come dimostra dall’interesse del suo vangelo per la situazione e le istituzioni di
Gerusalemme…)1. Una tesi originale che mostra tuttavia, anche sulla base di osservazioni
critiche spesso condivisibili, che la discussione rimane aperta.
È evidente che per un corso che non voglia essere solo di generica introduzione ma che si presenta
come corso esegetico, bisognerà operare delle scelte relativamente al materiale da trattare, troppo
per le ore a disposizione. Per il senso del corso nel quadro di questi nostri studi teologici, sarà dato
particolare risalto e proporzionato numero di ore al vangelo di Giovanni.
La prima domanda è relativa al “come”: come affronteremo lo studio del Vangelo? Una domanda
tutt’altro che secondaria.
Due sono le possibilità che fondamentalmente intravedo, tralasciando altre possibilità che esulano
però dal nostro tipo di corso (per esempio letture patristiche, ermeneutica medievale, storia delle
conseguenze, dell’uso nella teologia….) e saranno invece oggetto di altri corsi specifici.
- Prima prospettiva: Il Vangelo di Giovanni come opera essenzialmente letteraria. Modello di
studio a specchio (cf. Murray Krieger: il significato del testo è tutto da questa parte, tra specchio e
osservatore, testo e lettore. Il testo, con i suoi richiami, il progressivo coinvolgimento del lettore…
il suo mondo narrativo, rivela qualcosa di più profondo al lettore circa il mondo reale in cui egli
stesso, il lettore, vive).
Beneficio di questa lettura è l’immediato incontro con il testo, l’acquisizione di familiarità con esso,
a cominciare dalla questione sul suo significato di insieme nel quale collocare le singole parti…
Domande guida sarebbero in tal caso: qual è la trama del testo? Qual è lo sviluppo della narrazione,
i suoi personaggi principali, la loro relazione reciproca (oggetto di analisi narratologica) la sua
struttura retorica… In questo senso saremmo più vicini alla maniera patristica di leggere il testo e
confrontarsi con esso. Sparisce qui ogni altra preoccupazione di tipo stratigrafico, storico
ambientale, di storia della formazione… di contesto socio religioso… tutti contesti e relative
questioni poste invece dai sostenitori dello studio storico-critico con tutte le sue varianti…
- Seconda prospettiva: modello di studio a finestra (cf. Murray Krieger: Approccio al testo come
a una “finestra” attraverso cui poter osservare la comunità primitiva in cui fu composto, spingendo
lo sguardo fino a Gesù).
Beneficio di questo secondo tipo di lettura è soprattutto la verifica della relazione del testo con gli
avvenimenti che riguardarono effettivamente Gesù e la sua storia, da una parte, e Giovanni e la sua
comunità dall’altra… Qui il testo è effettivamente considerato come un tell e lo studioso come un
archeologo: si cerca di stabilire gli strati redazionali, quelli tradizionali, il loro ambiente di
formazione, gli influssi dei problemi e dei linguaggi contemporanei all’autore e la loro traccia nel
testo… sussidi verranno allora dalla geografia, dalla storia del mondo giudaico di fine I sec.d.C.,
dalla sociologia… ecc. ecc.
Mi pare un peccato dover scegliere se seguire solo l’una o l’altra di queste vie che presentano in
verità aspetti interessanti e non eludibili.
1 Cf. RIGATO M.L., «L’apostolo ed evangelista Giovanni», «sacerdote» levitico in Riv.Bibl. XXXVIII(1990) 207-
215. RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna 2007.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 10
Per esempio nello studio dei classici commentari di tipo storico-critico (Schnackenburg, Gnilka…)
pur potendo ottenere continue informazioni e suggestive “ipotesi” sull’ambiente di composizione, la
storia della formazione del vangelo, il suo riferimento alle condizioni storiche della vita di Gesù…
si sente immediatamente la mancanza di un riferimento ordinato e significativo al Vangelo in
quanto tale. Ma lo stesso si può dire circa l’insoddisfazione conclusiva a cui si giunge con l’altro
tipo di approccio, quello a specchio: insomma alla fine quelle cose dette, raccontate dal narratore al
lettore e che producono effetti così intensi da cambiare la vita, sono radicati storicamente nella
vicenda di Gesù? Quanto di tali elementi derivano dall’apporto della comunità cristiana, quanto
dalla tradizione “autentica” su ciò che Gesù ha fatto e ha detto?…
Intanto… osservazioni generali:
Greco semplice (Koinè popolare, parlata, più che letteraria cfr. Luca). Linguaggio semplice
e sostanzialmente corretto, povero sul piano letterario (circa 1000 parole diverse)
Stile diretto e sintassi elementare. Presente storico, uso frequente del Kai. Eppure lo stile è
intenso, meditativo.
Universo concettuale e linguistico uniforme (non vi sono differenze sostanziali tra il modo
di parlare del narratore e quello di Gesù…)
Già una statistica del vocabolario teologico più frequente mostra la distanza tra Gv e i
sinottici.
Osservando con attenzione la struttura del Vangelo di Giovanni, attraverso fattori di tipo
geografico e cronologico, si coglie la sua originalità rispetto ai sinottici, anche se per molti aspetti si
avvicina ad essi (l’attività galilaica, il viaggio/viaggi a Gerusalemme, l’ultima cena, la passione
morte, la risurrezione). È tuttavia evidente che tali indicazioni, ancorché diversamente raggruppate
e interpretate dagli studiosi, hanno un ruolo funzionale alla cristologia dell’evangelista, o se si vuole
dal punto di vista narrativo, alla presentazione del personaggio principale della narrazione.
In Giovanni i miracoli diventano “segni”, con la funzione di indicare simbolicamente
qualcosa della persona di Gesù e della Vita che è venuta a portare «Molti altri segni fece Gesù in
presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché
crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome»
(20,30-31).
Qui, a differenza dei sinottici è decisiva non solo la fiducia nell’azione salvifica di Dio
attraverso Gesù, ma la fede in Gesù, via al Padre.
Bisogna naturalmente partire dalla contestualizzazione: chi è Giovanni? per chi scrive? in
quali condizioni? Domande che nel tempo non hanno ottenuto risposte univoche, anche se un certo
accordo tra gli studiosi è possibile riscontrarlo, almeno su questioni ampie:
- Possiamo innanzitutto raccogliere l’indicazione pressoché unanime tra gli studiosi, che il IV
Vangelo si è costituito, così come oggi si presenta a noi, solo alla fine del I secolo.
- Molto più frastagliata è la gamma di posizioni circa il processo di formazione più o meno
lungo. Ma anche a tale proposito, domina comunque l’idea di una formazione avvenuta in diverse
fasi.
- Anche rispetto alla cristologia, evidentemente, le fasi di formazione hanno determinato un
accrescimento che solo gradualmente ha raggiunto la forma finale che a noi si presenta nell’opera
così come la possediamo.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 11
- Pure discusso è il luogo di origine del IV Vangelo2, di cui si dirà qualcosa più avanti, che
varia nelle opinioni degli studiosi tra la Siria (Antiochia), l’Asia Minore (Efeso), l’Egitto
(Alessandria), o il territorio del re Agrippa II (vedi sotto).
- Altra idea alquanto diffusa, ferme restando notevoli differenze, è il collegamento ai fatti
della vita di Gesù attraverso un testimone oculare, da molti identificato con il “discepolo che Gesù
amava”, il garante che avrebbe scritto il vangelo e conservato il ricordo delle vicende di Gesù: “Si
diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva
detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a
te?».Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che
la sua testimonianza è vera” (21,23-24).
- Il linguaggio usato da Giovanni, proprio la sua approfondita riflessione su Gesù, fa pensare
che il IV Vangelo sia destinato a cristiani che, non è difficile desumerlo dal vangelo stesso, sono sia
giudei che gentili: si pensi a 4,42, l’importante episodio dell’incontro di Gesù con la Samaritana,
che si conclude con la confessione di fede dei samaritani: «Non è più per la tua parola che noi
crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del
mondo». Qui è utilizzato un “titolo” cristologico, che oltrepassa la religiosità e l’espressione
giudaica dell’attesa messianica. Ma non mancano altre testimonianze, come l’accenno alla fortunata
evangelizzazione del mondo greco in 12,20 ss.: «Tra quelli che erano saliti per il culto durante la
festa, c’erano anche alcuni Greci....».
- Benché ampiamente ridimensionata, non va dimenticata la tesi resa famosa da Bultmann
circa l’influenza fondamentale che il mito gnostico del redentore avrebbe esercitato nel pensiero
giovanneo e nella composizione del Vangelo. Una questione certamente ridimensionata, almeno per
l’importanza riconosciutale dai suoi sostenitori, ma che non può essere del tutto dimenticata.
Qual’è l’immagine di Cristo che viene fuori dalla lettura del suo Vangelo?
Innanzitutto è il Rivelatore del Padre (già Bultmann). E su questo non c’è dubbio. La sua
missione è permetterci di conoscere il Padre. Contemporaneamente, altro messaggio fondamentale,
di sperimentare-avere la vita aderendo a Gesù Cristo (credendo non solo a lui, ma in lui...).
Qui emerge una prima linea di approfondimento in una lettura attenta del Vangelo: la
relazione tra Gesù e il Padre. Di che tipo è, come la presenta Gesù stesso?
Ma sorgono subito altre questioni che chiamano nuovamente in causa il contesto storico e gli
influssi letterari (o anche tradizionali) che Giovanni ha ricevuto: perché inizia con l’idea di Logos,
da dove viene tale concetto?
Alla fine Gesù è soprattutto un personaggio “alto”, presentato teologicamente, presupposto
del docetismo? Che già dall’inizio Giovanni parli del Cristo risorto, ripensato e descritto alla luce
della risurrezione non è una novità, del resto anche per i sinottici si può dire la stessa cosa. Ma certo
in Giovanni appare immediatamente e totalmente vero a partire dai primi versetti, dalla concezione
dell’incarnazione del Verbo eterno del Padre...
Le stesse parole che Gesù pronuncia, secondo Giovanni, appaiono le parole di colui che è non
solo disceso dal cielo, ma che già vi è nuovamente asceso... E tutta la sua opera terrena si presenta
come manifestazione del suo “essere presso Dio”, della sua scandalosa pretesa di un rapporto unico,
appunto da Unigenito del Padre... Ci spingiamo fino alla divinità di Gesù.
Eppure il IV Vangelo conserva la sua dimensione scandalosamente storica... (Cfr. tra gli altri
Dodd, La tradizione storica del IV Vangelo) è un Vangelo, storia di Gesù Cristo... è difficile, certo,
risalire al singolo episodio nella sua dimensione storica, stando a quanto ha descritto la critica
storica degli ultimi decenni, tuttavia lo sfondo storico può essere colto dietro alle descrizioni
giovannee della vita di Gesù e in certi particolari (si pensi al processo) sembra effettivamente di
poterlo cogliere con chiarezza.
2 Sulle diverse ipotesi circa il luogo di composizione cf. M. RODRIGUES-RUIZ, El lugar de composiciòn del cuarto
evangelio. Exposiciòn y valoraciòn de las diversas opiniones, in EstB 57(1999)613-641.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 12
Che tali questioni non siano peregrine lo si può desumere anche da quella che definiamo la storia
degli effetti della cristologia Giovannea (Wirkungsgeschichte)3.
L’orizzonte storico
Un presupposto importante per comprendere l’opera giovannea, è l’orizzonte storico in cui
collocarla. Evidentemente per il nostro scopo diventa necessario, almeno come ipotesi per poi
operare con lo studio più approfondito del Vangelo, una verifica (per quanto limitata) del
presupposto.
Questo punto è di estrema importanza dal punto di vista ermeneutico. La domanda iniziale:
perché la cristologia giovannea nel suo insieme è così particolare, perché presenta un’immagine di
Gesù Cristo così vicina eppure tanto differente dai sinottici... non può trovare realisticamente
risposta, se non a partire dallo studio del contesto storico nel quale il Vangelo nacque, anzi la stessa
riflessione intorno a Gesù che poi entrerà a far parte del Vangelo... e, non meno importante, il
contesto al quale esso era indirizzato nella mente del suo autore/autori. Quello che spesso
attribuiamo genericamente ad uno stile particolare, la maniera particolare di Giovanni di presentare
Gesù, in realtà deriva dalla formazione dell’autore, dalla sua cultura, dal contesto storico, filosofico,
culturale in cui l’autore si è formato, in cui scrive, e dal contesto al quale lo scritto è destinato. Tutto
ciò non esclude il genio creativo dell’autore, anzi è solo grazie ad esso che alcuni autori hanno
potuto parlare della sua opera come della “tunica senza cuciture”, opera unitaria.
È necessario, inoltre, postulare sin dall’inizio che Giovanni scrivesse per essere compreso da
qualcuno... una affermazione così ovvia in realtà lo è meno di quanto si immagini. Se infatti
decidiamo di partire dal contesto storico al quale il Vangelo è destinato, stiamo operando una scelta
importante per la stessa comprensione dello sviluppo dell’opera giovannea: è il contesto di vita che
ha stimolato un certo modo di descrivere Gesù, la sua opera, la sua novità. Quello scritto, poi, è
diventato esso stesso stimolo per i cristiani a cui giunse (e poi per tutti i cristiani fino a noi oggi).
Se insomma è vero che la domanda ermeneutica nel nostro presente ci spinge dalla vita al
testo e da questo alla vita, dobbiamo pensare che tale dinamica fu già all’origine, determinante per
lo sviluppo della stessa cristologia successiva, se non si parte dall’idea di un autore ispirato fuori dal
tempo, dalla storia, o da un assorto teologo, genio creativo, che costituisce in se stesso un mondo a
parte... Lo studio dei vangeli, fedelmente agli insegnamenti magisteriali, ci ha invece abituati a
pensare gli scritti in un contesto preciso da conoscere al meglio per poterne comprendere il senso
(cfr Dei Verbum.... Documento della Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della
Bibbia nella Chiesa, 1993).
È proprio nel lavoro dei primi testimoni e degli evangelisti che comincia l’inculturazione della
Buona Novella, nel processo che determina il ripensamento della vicenda di Gesù nella mente e nel
cuore dell’autore del IV Vangelo. Giovanni non stava pensando, molto probabilmente, a scrivere in
astratto un’opera teologica valida per tutti i tempi e per tutti i luoghi. Egli stava ripensando la
vicenda di Cristo e della fede in lui, a partire dalle categorie del suo tempo, dalle immagini, dai
titoli, dai predicati, che di più avrebbero reso il senso di quell’esperienza unica della fede agli occhi
( o meglio alle orecchie), di coloro che avrebbero udito il “suo” Vangelo.
J.L.Martyn4 parte dal cap. 9 di Giovanni:
3 Cfr SCHNACKENBURG R., Das Johannesevangelium I, Freiburg-Basel-Wien 31972, 171-196: «Il Vangelo di Giovanni
nella storia», in Il Vangelo di Giovanni, vol I, Paideia, Brescia 1973, 239-272. BRAUN F.M., Jean le Théologien et son
évangile dans l’église ancienne, Paris 1959; WILES M.-F., The Spiritual Gospel: The Interpretation of the Fourth
Gospel in the Early Church, Cambridge 1960; POLLARD T.E., Johannine Christology and the Early Church (MSSNTS
13), Cambridge 1970; Per singoli autori cristiani antichi e interpreti recenti cfr. l’elenco in BELLE G. VAN, Johannine
Bibliography 1966-1985, Louvain 1988, 413-430.
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tau/ta ei=pan oi gonei/j auvtou/ o[ti evfobou/nto tou.j VIoudai,ouj\ h;dh ga.r sunete,qeinto oi VIoudai/oi i[na eva,n tij auvto.n o`mologh,sh| Cristo,n( avposuna,gwgoj ge,nhtaiÅ Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che se uno avesse
riconosciuto Gesù come il Cristo, sarebbe stato espulso dalla sinagoga.
Lo studioso sostiene che si tratta di un evento reale ma della vita della comunità o chiesa giovannea,
tale che può essere raccontato come la ricostruzione di un episodio accaduto nel ministero di Gesù.
Il IV Vangelo non è un opuscolo missionario inviato a giudei o gentili, né un’opera teologica intesa
come “patrimonio per sempre”; venne invece scritto per l’incoraggiamento di un gruppo di cristiani
“giudei” che avevano bisogno di affermare la loro identità contro la sinagoga del luogo, che fu
l’ambito da cui il gruppo cristiano aveva preso le sue origini. Così il Martyn ha mostrato come il
quarto evangelo non solo riporti gli eventi relativi alla vita di Gesù, ma descriva in realtà le
situazioni della chiesa al tempo dell’evangelista: la storia della comunità giovannea verrebbe in tal
modo proiettata all’indietro nella vita stessa di Gesù. Il quarto Vangelo chiede dunque di essere
letto e interpretato ad un duplice livello, quello del Cristo storico e quello della chiesa giovannea in
cui il Vangelo stesso si è formato5.
Prosper Grech, proprio riconoscendo la centralità dei capitoli 7 e 8 di Giovanni per l’alta
cristologia che essi presentano, prolunga il metodo di Martyn (che si era occupato in particolare dei
capitoli 3 e 9) applicandolo a tali capitoli seguendo lo stesso metodo dello studioso americano,
distinguendo tuttavia tra il livello del Gesù storico e quello del Cristo Risorto, prima ancora del
terzo livello, quello della chiesa giovannea. Sostiene, in particolare, che è difficile distinguere nella
polemica giovannea tra le posizioni e le perplessità o il rifiuto de “i giudei” o dei “giudeo-cristiani:
la linea di demarcazione non è sempre chiara.6
Alle intuizioni di Martyn (e altri), si riferisce anche J. Ashton
Nel suo lavoro Comprendere il Quarto Vangelo, John Ashton affronta tale questione (come
del resto tutti coloro che si occupano della questione giovannea cfr. Hengel). Riferendosi allo
stimato lavoro di Bultmann, Ashton si chiede se noi cerchiamo di individuare le fonti, le influenze o
semplicemente l’ambiente del Vangelo di Giovanni. Sulle FONTI, a cui tanto si è dedicato
Bultmann, al di là del prologo e dei racconti della passione (possiamo includere forse la cosiddetta
fonte dei segni), le conclusioni di Bultmann non hanno trovato un consenso largo. Ma cosa dire dei
discorsi di rivelazione? Nessuna risposta convincente sulle eventuali “fonti”.
Per quanto riguarda le “influenze” dobbiamo includere naturalmente la predicazione,
l’ambiente di Gesù, la sua opera, la sua sorte... le stesse influenze che modellarono i sinottici in
maniera così diversa dal IV Vangelo. Si può spingere lo sguardo a periodi più ampi della storia
israelitica (sia civile che religiosa...) includendo il periodo del II tempio, trovando le tracce di
pensieri che hanno influito sui pensatori cristiani del I secolo. L’influenza più ovvia a tale proposito
è quella della Bibbia Ebraica (LXX). Se bastassero fonti e influenze penseremmo, sbagliando, che il
compito per spiegare la genesi del IV Vangelo sia quello di spiegare l’assemblaggio delle fonti e
delle influenze... (il contesto religioso e culturaale di cui abbiamo in parte già parlato).
Bisogna aggiungere, sostiene Ashton, un terzo elemento, meno universalmente riconosciuto
che consiste precisamente nell’ambiente di formazione del Vangelo di Gv che egli indica
nell’ambiente delle sette giudaiche, in quell’ambiente giudaico, cioè, così estremamente variegato
che non può essere affatto ricondotto al giudaismo successivo, il cosiddetto giudaismo rabbinico, il
quale ha fornito il modello per parlare di un “giudaismo normale” rispetto al quale considerare tutti
gli altri tipi di giudaismo. Si pensi che nella discussione attuale (cfr. Boccaccini), si evita persino di
parlare di “giudaismo”, alcuni preferiscono parlare di “giudaismi” al plurale. In questo caso la
formazione dell’evangelo di Giovanni sarebbe da vedere esattamente come formazione di uno dei
4 MARTYN J.L.,The Gospel of John in Christian History, New York 1979
5 Cfr. MARTYN J.L., History and Theology in the Fourth Gospel, New York 1968, 3ss.
6 GRECH P., La comunità giovanea nei cc. 7 e 8 del Vangelo di Giovanni, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991) 59-68.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 14
rivoli giudaici, eterodossi... Non è una tesi condivisa da tutti. Anzi, in generale si tiene presente un
altro punto di osservazione che è quello di fine di I secolo, quando ormai la separazione chiesa-
sinagoga poteva consentire di parlare di un cristianesimo e di un giudaismo, in conflitto ormai tra
loro...
Assumiamo dunque un punto di partenza che poi potrà essere esso stesso sottoposto a verifica
critica nel corso dello studio.
Bisogna essere chiari in tale proposito.
Innanzitutto il Vangelo di Giovanni, opera che giunge alla sua fase conclusiva passando
attraverso più mani, nasce in un contesto di polemica con i giudei. Se i sinottici rappresentano molto
meglio la situazione storica creata dalla nuova realtà del gideo-cristianesimo (da una parte nel
rapporto con gli altri giudei, dall’altra con l’apertura ai gentili), e se i conflitti possono essere con
relativa semplicità ricondotti a tale contesto, l’impostazione di Giovanni appare già alquanto
differente: si distingue qui nettamente tra i cristiani (giudeo-cristiani ed etnico-cristiani) e “i
giudei”.
Un problema storico si presenta allorché si tenta un approfondimento del peso della presenza
dei giudeo-cristiani e della problematica del loro rapporto con gli etnico-cristiani, il grande
problema della chiesa delle origini, come testimoniato dal libro degli Atti e come è peraltro facile
immaginare (anche dalle lettere paoline, come dalla lettera di Giacomo ecc.).
Partiamo dal dato piuttosto comune secondo cui il Vangelo di Giovanni, nella sua forma
attuale si è formato intorno alla fine del I secolo7. Questo, peraltro, non esclude che siano esistiti
stadi precedenti e fonti di data anteriore8. In accordo con Schnackenburg diciamo pure chiaramente
che la cristologia principale e dominante del Vangelo è da considerarsi come forma finale di una
riflessione che è ormai storicamente lontana dai fatti storici della vita-morte(-risurrezione) di Gesù.
Le origini del Vangelo di Gv vanno ricercate nell’ambito del cosiddetto giudaismo
eterodosso. In questo contesto (peraltro problematico per la definizione di ortodosso-eterosso),
l’espressione giovannea oi ‘Ioudaioi è il nome dato al potente partito che trasse vantaggio dal
disordine successivo alla caduta di Gerusalemme nel 70 d.C. e che gradualmente assunse il potere
sulla popolazione ebraica. Questo partito, che non può essere assolutamente identificato con i
farisei, pose le fondamenta di ciò che noi conosciamo come giudaismo. Se i Farisei ebbero un ruolo
in ciò, come sicuramente accadde, saranno stati preoccupati di liberarsi dalle posizioni isolazioniste
e certamente settarie del loro nome: quale migliore opportunità avrebbero mai avuto per avanzare la
loro pretesa di essere i veri discendenti di Abramo? Si sarebbe verificata, dopo la distruzione del
tempio del 70, un’alleanza tra farisei e sommi sacerdoti per stabilire la loro autorità sul popolo e
trarre il maggior vantaggio possibile dalla frammentazione della popolazione che deve aver seguito
il trionfo romano. Nel tentativo di reprimere opinioni che ritenevano sovversive sarebbero entrati in
conflitto con il gruppo giovanneo: insomma, né tutti né alcuni dei molti dissidenti giudei, ma coloro
che ancora una volta, dopo il 70 riunivano le fila del potere nelle loro mani. Bornhauser li descrisse
nel 1929, come “i fanatici della Torah”. L’unico chiaro sinonimo di oi ‘Ioudaioi nel IV Vangelo è “i
sommi sacerdoti e i farisei”, non solamente “i farisei”. Le loro tradizioni, nel tardo I sec. d.C.
saranno alla base di un nuovo giudaismo.
Alle stesse ragioni conflittuali, si riferisce Smith Dwight Moody9, (debitore anch’egli di
Bultmann, Martyn, R.Brown, ...): nel vangelo di Gv assistiamo ad una fase critica nei rapporti tra
giudaismo e cristianesimo. Effettivamente possiamo individuare qui un punto in cui quelle che ora
consideriamo come due religioni distinte cominciarono a costituirsi, proprio a proposito del
7 Cfr. HENGEL, La questione giovannea.......
8 Cfr. SCHANCKENBURG, La persona di Gesù Cristo... p.316.
9 MOODY SMITH D., La teologia del Vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia 1998.
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problema del ruolo assegnato o negato a Gesù e delle conseguenze implicate da diverse
dichiarazioni di fedeltà a Gesù per la vecchia comunità e per quella nuova che proprio ora si va
formando (p. 25)... Questa scissione che si trova alla radice del cristianesimo per sé, o molto vicino
ad essa, ha avuto importanti conseguenze per la teologia cristiana, rappresentata dal IV Vangelo in
modo più chiaro di qualsiasi altro scritto neotestamentario.
Uno degli studiosi che hanno contribuito significativamente agli studi giovannei negli ultimi
anni è Martin Hengel. Si ricorderà il suo studio su “Figlio di Dio” che ha contestato in maniera
chiara ed efficace la derivazione del titolo da un contesto ellenistico, all’interno di quelle concezioni
sincretistiche del cristianesimo delle origini, riconducendo invece il titolo al contesto giudaico.
Un’altra fondamentale opera di quest’autore, oggi disponibile anche in italiano, è “Giudaismo ed
ellenismo”.
Lo sfondo del quarto vangelo è molto più variegato di quanto si pensasse. In generale gli
studiosi concordano nel vedere la comunità giovannea impegnata in un’aspra controversia con “i
giudei”, i veri nemici della comunità (Thyen; Martyn; Von Walde; Triling; Ashton). Per questo
motivo Klaus Wengst poneva la comunità giovannea e il quarto vangelo, nella comunità della
Traconitide e della Batanea, territorio governato dal re Agrippa II qualche anno prima del 90,
poiché in quella regione, negli anni dopo il 70, il giudaismo, ripresosi e rafforzatosi sotto la spinta
dei farisei, avrebbe avuto la possibilità di giustiziare dei cristiani (si basa su Gv 16, 2:
aposynagogos, + 9,22 +12,41, e in connessione con la maledizione degli “eretici” nella preghiera
delle “diciotto benedizioni” Shemoneh Esreh)10
Ma l’espulsione iniziò già prima di Paolo, con il martirio di S.Stefano (At 6-8), come un
lungo processo; gli ellenisti di At 6-8 sono stati espulsi da Gerusalemme (aposynagogoi) dai
membri delle sinagoghe locali di lingua greca
At 8,[1]Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta
persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli apostoli, furono dispersi
nelle regioni della Giudea e della Samarìa. [2]Persone pie seppellirono Stefano e fecero un grande
lutto per lui. [3]Saulo intanto infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e
donne e li faceva mettere in prigione. [4]Quelli però che erano stati dispersi andavano per il paese
e diffondevano la parola di Dio.
Cfr. la fondazione delle comunità missionarie di Paolo; la flagellazione inferta a Pietro 5
volte; le violente controversie 2Cor 11,24; inoltre già Erode aveva provocato lesioni fisiche a molti
cristiani intorno al 43 d.C. At 12,1. E 1Tess 2,14 parla di persecuzioni ricorrenti.
Forse la situazione migliorò tra il 43 e il 48 quando la leadership fu assunta da Giacomo,
fratello del Signore. Tuttavia egli stesso fu lapidato nel 62 d.C. insieme ad altri capi giudei con
l’accusa di avere infranto la legge...cfr Gv 16,2. Il fatto fu poi seguito dalla fuga della comunità a
Pella.
La Birkat hamminim, di cui non conosciamo la data esatta, è stato dunque solo l’ultimo atto di
questo lungo processo. Si rivolgeva non solo contro i giudeo-cristiani, ma contro tutte le eresie
giudaiche. Secondo il testo ritrovato nella geniza del Cairo, la dodicesima preghiera direbbe: «... e i
nazareni (= i cristiani) e gli eretici (minim) periscano in un attimo e siano cancellati dal libro della
vita, e non siano iscritti con i giusti...»11
.
L’aggiunta dei nosrim tuttavia sembra essere tardiva. Per i Cristiani provenienti dal
paganesimo, naturalmente la maledizione non aveva alcun significato.
Conclude dunque M.Hengel (p.279):
«Che il Quarto Vangelo abbia avuto origine nell’ambito territoriale di Agrippa II e che la
scuola giovannea abbia svolto lì la sua attività è del tutto improbabile. Non vi è traccia di tale
10
WENGST K., Bedrängte Gemeinde und verherrlichter Christus. Der historiche Ort des Johannesevangeliums als
Schlüssel zu seiner Interpretation, Neukirchen 1981, nuova edizione 1990. 11
Cfr SCHAGE, GLNT XIII, 141 s.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 16
contesto nel IV Vangelo. Invece i giudei dell’Asia minore rimasero relativamente immuni dalle
conseguenze negative della guerra giudaica ed esercitarono una grande influenza in particolari
città. Si tratta di una Diaspora risalente al periodo persiano, che conservò particolari privilegi
concessi dai romani. Per esempio Sardi: una grande sinagoga al centro della città e i suoi membri
partecipavano al consiglio cittadino... In questo contesto si capisce molto bene come ci fossero
lamentele da parte giudaica contro i cristiani che dovevano costituire un gruppo missionario molto
attivo; i giudei dovettero vedere nel loro spirito missionario entusiastico e nella loro dottrina
escatologica, un pericoloso concorrente che avrebbe potuto, tra l’altro, screditarli agli occhi degli
organi statali».
Cfr. Il Martirio di Policarpo: persecuzione contro i Cristiani in Asia minore alla quale
parteciparono, secondo un comportamento abituale, anche i giudei: essi sono i più attivi nell’aizzare
la popolazione di Smirne contro i cristiani; Tertulliano definisce le sinagoghe come “fonti di
persecuzione” (Scorp. 10,10); il Martirio di Pionio testimonia un grande odio, insulti e attacchi;
tra la fine del I e l’inizio del II secolo i giudei appaiono in condizioni più favorevoli rispetto ai
cristiani, fino al IV secolo.
JOSSA12
sostiene che «È difficile tuttavia valutare il peso che hanno avuto i giudei nelle
persecuzioni contro i cristiani». Jossa parla piuttosto, senza arrivare alle posizioni più radicali di
Harnak, di un odio teologico che alimenta, più della realtà storica, le contrapposizioni e le
persecuzioni di cui ci danno testimonianza Giustino, Melitone e altri scrittori cristiani antichi...).
Questi giudei dell’Asia minore, secondo Hengel, a differenza di quelli di Siria, Palestina,
Egitto, non avevano subìto limitazioni dalla catastrofe della prima guerra giudaica del 66-70. Così
Gv 16,2 «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di
rendere culto a Dio» non necessariamente si riferisce a una violenta e sanguinaria persecuzione da
parte dell’autorità giudaica dell’epoca dell’evangelista, ma intende descrivere la situazione della
comunità post-pasquale in generale: nell’ottica dell’evangelista le persecuzioni da parte dei giudei
furono “fin dall’inizio” in Giudea e nella provincia dell’Asia.
Al tempo stesso, tuttavia, non è da dimenticare che l’aspra controversia fra Gesù e i Giudei
nel IV Vangelo non può essere ridotta ad un semplice riflesso degli attacchi degli oppositori giudei
del tempo ai cristiani delle comunità giovannee.
La comunità giovannea e lo sviluppo del IV Vangelo (e dell’opera giovannea)
Un pioniere nel lavoro di descrizione della comunità giovannea e delle sue diverse fasi di
sviluppo, è lo studioso americano J.Louis Martyn, già citato. Accennando sinteticamente alla sua
ricostruzione, si può distinguere:
primo periodo, prima del fatidico anno 70, in cui i cristiani della comunità giovannea sono
in effetti giudeocristiani, giudei che hanno accolto Gesù come l’atteso Messia (1,35-49; 2,11; 4,53);
secondo periodo: anni 80-90 caratterizzato dall’allontanamento dalle sinagoghe e dalle
persecuzioni proprio da parte dei giudei (9; 5,18; 10,28s.; 15,18);
terzo periodo: dopo il 90, in seguito al Sinodo di Jamnia, in cui la comunità giovannea
assume la sua peculiare identità non solo nei confronti del giudaismo farisaico, ma anche nei
confronti degli altri gruppi cristiani e nei confronti della loro cristologia più bassa.
A questo punto sembra opportuno dedicare la giusta attenzione alla ricostruzione della
comunità giovannea fatta dal noto esegeta cattolico R.E.BROWN13
, autore, tra l’altro, di un notevole
commentario al IV Vangelo. Non tutto ciò che dice è da condividere, ma certo fornisce un quadro
interessante, diciamo pure un’ipotesi affascinante su come si sia sviluppato il Vangelo di Giovanni
12
JOSSA G., Il cristianesimo Antico. Dalle origini al Concilio di Nicea, Carocci, Roma 21998, 143.
13 BROWN R.E., La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, Assisi 1982 (orig. New York 1979).
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 17
e le lettere, in connessione con le fasi storiche della comunità giovannea dalle sue origini alle sue
divisioni fino alla sua “normalizzazione”.
Egli divide il tempo di formazione degli scritti giovannei in quattro fasi. Qui ci limiteremo a
parlare un po’ più diffusamente della prima fase, che l’autore definisce “delle origini”, affidando la
parte restante alla Tavola descrittiva che Brown stesso fornisce a p. 196s. del testo citato.
Per la prima fase si distingue in un primo e secondo periodo. La comunità giovannea nasce
come comunità di giudei la cui fede comporta una cristologia relativamente bassa. Per cristologia
relativamente bassa si intende qui la cristologia che nasce dall’applicazione a Gesù dei titoli derivati
dall’AT o da quelli che derivano dalle attese intertestamentarie14
, titoli che non implicano di per sé
la nozione cristiana di figliolanza divina (= divinità di Gesù). Così quando troveremo alcune
espressioni che si riferiscono a una cristologia “alta”, della preesistenza, della divinità ecc. potremo
presumere che essi fanno già parte di una riflessione più avanzata in cui Gv interpreta alcune
espressioni precedenti in un senso più alto. Così accade per la testimonianza del Battista:
[1.15] Giovanni gli rende testimonianza
e grida: «Ecco l’uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me».
[1.30] Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era
prima di me.
testimonianza non “inventata” da Gv, ma riportata già con l’ interpretazione giovannea di
quanto Giovanni Bt aveva detto di Gesù, alla luce di una più alta cristologia (II fase).
Nella prima parte del Vangelo, i miracoli non sono così diversi dalle descrizioni sinottiche di
miracoli. È chiaro che già nei racconti apostolici all’indomani della risurrezione, dunque già nei
vangeli sinottici, le testimonianze e i ricordi sulle azioni e le parole di Gesù vengono riletti alla luce
dell’evento della risurrezione e della fede dei testimoni. Tale interpretazione continua nella vita
cristiana e Giovanni ne testimonia lo sviluppo originale già a partire da quella che Brown chiama la
prima fase. Ciò che veramente rende diversi gli stessi racconti di miracolo, in Giovanni, sono le
interpretazioni, le parti teologico - interpretative che conferiscono al vangelo quella sua peculiare
cristologia alta. Insomma per l’evangelista, la cristologia più alta che si è sviluppata in seno alla
sua comunità è nient’altro che l’interpretazione corretta di quanto già dicevano le originarie
confessioni su Gesù come Messia... «L’autore della prima lettera sottolineerà che quello che egli sta
proclamando al tempo suo è ciò che era “fin dal principio” (1Gv 1, 1-2)»15
.
Tra l’altro proprio a Giovanni Battista e ai suoi discepoli, che risulta frequentassero la zona
dove sorgeva la comunità di Qumran, Brown attribuisce l’introduzione di idee tipiche della
comunità essena che si trovano anche in Giovanni (il dualismo luce/tenebra, verità/falsità; ...), e non
invece a un contatto diretto tra l’evangelista e Qumran.
La figura del Discepolo prediletto, certamente idealizzata, ma non inventata, è quella che
servirà da autenticazione alle idee giovannee (in particolare cristologia ed ecclesiologia) di fronte
alle altre comunità cristiane (per questo si sottolinea che il Discepolo prediletto arrivò per primo
alla tomba vuota). Il Discepolo prediletto, che fonda autoritativamente la testimonianza del IV
Vangelo come testimonianza di tipo apostolico, è l’innominato discepolo di 1,35-40: «[35] Il giorno
dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli ...[40] Uno dei due che avevano udito le
parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro» il secondo, sarebbe
appunto il discepolo prediletto, con Gesù fin dal principio, ma non ancora definito come “il
discepolo che Gesù amava” (13,23-27; 19,25-27; 20,2-10; 21,1-14.20-24) poiché non è ancora
14
Cfr. BROWN, La comunità... p. 24. 15
Cfr. BROWN, La comunità... p. 29 nota 38.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 18
giunto a comprendere pienamente Gesù (13,1). Concordano, grosso modo, Culpepper16
e
Schnackenburg17
. Sulla domanda se sia storicamente plausibile che il discepolo che Gesù amava sia
il “garante” della tradizione giovannea,18
mi limito ad osservare, sinteticamente, che la risposta
dell’autore è positiva. Dunque un discepolo di Gesù sin dal principio, benché non appartenesse al
gruppo dei dodici. La tradizione cristiana successiva tende a identificarlo con Giovanni figlio di
Zebedeo, proprio per assegnare al discepolo prediletto il ruolo di testimone e semplificare la
concezione delle origini riportandolo nel numero dei dodici. Per Brown, diversamente da Cullmann,
non si identifica, tuttavia, con l’evangelista (cfr. p. 36, nota 49).19
Il secondo periodo della comunità giovannea è caratterizzato, dal punto di vista storico,
dall’ingresso di un gruppo di samaritani che determina l’acutizzarsi delle difficoltà con “i giudei”,
fino alla vera e propria rottura. È in questa fase che le affermazioni cristologiche vanno decisamente
oltre quanto si poteva attendere un giudeo che giungesse a riconoscere Gesù come il messia atteso.
È pure a questa fase che dobbiamo attribuire l’accentuazione della distanza di Gesù dalle istituzioni
giudaiche, fino a giungere a una vera e propria “sostituzione” del nuovo rispetto a ciò che viene ora
giudicato come “vecchio”.
Tutto ciò tocca diverse prospettive, non ultima quella della cosiddetta teologia della
sostituzione che si svilupperà poi nella teologia cristiana rispetto alla sua origine ebraica. In
Giovanni la prospettiva più antica, vicina a quella sinottica, di un compimento delle attese in Gesù
in linea con una fondamentale continuità tra giudaismo e cristianesimo, coesiste talvolta con la
prospettiva nuova, frutto dei cambiamenti originati dalla condizione storica della comunità.
Provando ad andare con ordine, e rinviando al volume di Brown più volte citato, bisogna
considerare innanzitutto il fatto storico, contestuale, che fu all’origine di uno sviluppo originale
della cristologia “alta” del IV Vangelo. Dall’ipotesi storica si potrà passare, come verifica, alle
questioni rappresentate dai testi giovannei.
Il Brown osserva che i capitoli 2-3, benché portatori già della “reinterpretazione” giovannea
dei fatti (basti pensare, tra l’altro, al fatto che l’episodio della purificazione del tempio viene
anticipato da Gv nel capitolo 2 rispetto alla più verosimile collocazione sinottica) benché già
manifestino una interpretazione a partire dalla cristologia giovannea “alta”, non si discostano
tuttavia da un tipo di narrazione sinottica. Brown riconduce, in particolare, gli episodi narrati da
Giovanni a “paralleli” sinottici, benché non corrispondenti nel dettaglio. Ma ciò che veramente
interessa e pone una quantità di questioni è il capitolo IV, l’incontro con la donna samaritana e la
conversione di samaritani. E l’osservazione che subito dopo questo capitolo IV ci si trovi davanti
all’esplosione della più alta cristologia giovannea in aperto e pieno conflitto con “i giudei” che gli
rivolgono l’accusa di farsi uguale a Dio (5,16-18). Il Brown vede qui il chiaro riflesso dell’ingresso,
in seno alla comunità giovannea, di un secondo gruppo di cristiani. Il primo, il nucleo più antico dei
discepoli di Gesù è rimasto, fino al cap. IV, quello di cui si parla in 1,35-51, i discepoli di Giovanni
Battista: [1.35] Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli [1.36] e, fissando
lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». [1.37] E i due discepoli,
sentendolo parlare così, seguirono Gesù.....
Il secondo gruppo, invece, è composto giudei con una posizione particolare contro il tempio i
quali, «dopo aver convertito dei samaritani, fecero propri alcuni elementi del pensiero samaritano,
compresa una cristologia che non era imperniata sul Messia davidico» 20
. È questo secondo gruppo
16
CULPEPPER , Johannine School, 265, nota 9 17
SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, III, 449ss. 18
Cfr. SEGALLA G., «Il discepolo che Gesù amava» e la tradizione giovannea, in Ricerche Storico Bibliche 2(1991)11-
36. 19
È diffusa oggi l’opinione che l’identificazione dell’autore del IV Vangelo con Giovanni figlio di Zebedeo, derivi
dallo scambio di persone con il “presbitero Giovanni” di cui parla Papia (Eusebio, Hist. eccl. 3,39,3 s. ovvero si tratti di
un offuscamento della tradizione che rimandava al presbitero Giovanni. Sulla questione cfr. SCHNACKENBURG, Il
Vangelo di Giovanni, I, 72-92. 20
cf. BROWN, La comunità... p. 40.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 19
che farà da catalizzatore nello sviluppo della teologia ed in particolare della cristologia giovannea.
Non entra in conflitto con il primo gruppo ma si aggiunge ad esso e genera l’ostilità accesa dei capi
della Sinagoga. Il riflesso della situazione che riguarda la comunità giovannea, si ha nella
narrazione dell’incontro con la Samaritana. In particolare Brown osserva che
- dopo tale narrazione il Vangelo concentra la sua attenzione sul rifiuto di Gesù da parte dei
“Giudei”;
- Gesù afferma sì la sua identità giudaica (4,42), ma predice che Dio sarà adorato né sul
Garizim né sul Sion (4,21) contrariamente a quanto ci dicono gli Atti 2,46 e 3,1;
- prova ne è che Atti 8,1 parla dell’ostilità contro gli “ellenisti” mentre si è ancora tolleranti
verso gli apostoli;
- Il Messia a cui si riferisce la donna samaritana sarebbe da identificare con il Taheb
dell’attesa samaritana (un Messia - profeta, in quanto i samaritani sono esattamente contro l’attesa
di un Messia davidico secondo l’attesa giudaica)
- i samaritani dichiareranno alla fine che [4.42] .... «Non è più per la tua parola che noi
crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del
mondo».
- il titolo “salvatore del mondo” rimane un riflesso di questa fede non più espressa con le
categorie giudaiche.
I cristiani della comunità giovannea, espulsi dalle loro sinagoghe, non vollero più considerarsi
“giudei”; è per questo che se ne parla spesso nel IV Vangelo, già sulla bocca di Gesù, come di
avversari, come di un’altra religione, anticipando ciò che in realtà accadrà più tardi. Un segnale
importante di questa separazione che lascia una forte impronta nel IV Vangelo, mi pare sia l’uso di
“legge” nelle dispute giovannee tra Gesù e i giudei. Nelle parole di Gesù troviamo l’espressione “la
vostra Legge”, un fatto che segnala, senza dubbio, visto che si è ampiamento riconosciuta l’origine
giudaica di Gesù, una contrapposizione che vede ormai nei “giudei” gli altri, e nella Legge mosaica
“la loro o vostra Legge”.
Ancora alla fase pre-evangelica, prima fase, secondo la ricostruzione proposta da R.E.Brown,
viene ricondotto l’ingresso di Gentili nella comunità. Ciò si evince dal fatto che Giovanni si
soffermi a spiegare termini come “Messia” e “Rabbi”, che non avrebbe dovuto certamente spiegare
ad ascoltatori ebrei. L’apertura ai gentili va ricondotta al tempo in cui i cristiani giovannei, di
provenienza giudaica, furono estromessi dalle sinagoghe, non furono ritenuti né si ritennero più
giudei. Avendo già compiuto un passo decisivo fuori dal giudaismo, con l’accoglienza dei
samaritani, l’entrata di Gentili non comportò il “conflitto” che alcuni ipotizzano nell’eventualità che
tale ingresso si fosse realmente verificato. Brown sostiene, dunque, che durante tutta la storia
preevangelica, si sono combinate diverse “anime”, quella giudaica, quella samaritana e quella
pagana, senza suscitare realmente conflitti all’interno della comunità giovannea, cosa che invece si
verificherà dopo, come registrano le lettere. Il “Noi” del IV Vangelo, rappresenta invece l’unità che
caratterizzò la comunità giovannea della prima fase.
Per completezza riporto lo schema complessivo sulla storia della comunità giovannea secondo
Brown (in realtà ci interessano particolarmente le prime due fasi):
Prima Fase: le origini (dalla metà degli anni 50 agli anni 80 avanzati)
Gruppo d’origine: In Palestina o vicino alla Palestina, ebrei dalle attese relativamente diffuse,
comprendenti seguaci di GBat., accettarono senza difficoltà Gesù come il Messia davidico, il
realizzatore delle profezie, colui che i miracoli confermavano. In seno a questo gruppo c’era un
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 20
uomo che aveva conosciuto Gesù durante il ministero e che sarebbe divenuto il Disceplolo
prediletto.
Secondo Gruppo: Ebrei con tendenze contrarie al Tempio che credevano in Gesù e fecero
proseliti in Samaria. Essi interpretarono Gesù più su uno sfondo culturale mosaico che davidico.
Egli era stato con Dio, Lo aveva visto, e aveva recato sulla terra se Sue parole al popolo.
L’accettazione del secondo Gruppo fece da catalizzatore allo sviluppo di una cristologia alta,
della preesistenza, la quale portò a dei dibattiti con gli ebrei che pensavano che la comunità
giovannea stesse abbandonando il monoteismo giudaico facendo di Gesù un secondo Dio. alla fine i
capi di questi ebrei fecero espellere i cristiani giovannei dalle sinagoghe. Questi ultimi, separati dai
loro, videro «i giudei» come i figli del demonio. Essi accentuarono la realizzazione in Gesù delle
promesse escatologiche per controbilanciare quello che avevano perduto nel giudaismo. Il
Discepolo operò questa transizione e aiutò gli altri a compierla, divenendo così il Discepolo
prediletto.
Seconda fase: il vangelo (90 circa)
Convertiti Gentili: Siccome «i giudei» furono resi ciechi, la venuta dei greci costituiva il
piano di realizzazione di Dio. Può darsi che la comunità dalla Palestina sia passata nella diaspora a
insegnare ai greci. Questo contatto sprigionò le possibilità universalistiche insite nel pensiero
giovanneo. Però, il rifiuto di altri e la persecuzione da parte de «i giudei» persuasero i cristiani
giovannei che il mondo era contrario a Gesù, e che essi non dovevano appartenere a questo mondo
che era sotto il potere di satana. Il rifiuto della cristologia alta giovannea da parte dei giudeocristiani
fu visto come una mancanza di fede e portò alla rottura della comunione (Koinonia). Le relazioni
rimasero aperte con i cristiani apostolici con speranze di unità, malgrado le differenze di cristologia
e di struttura ecclesiale.
Il fatto di concentrare tutta l’attenzione sulla difesa della cristologia di fronte a «i giudei» e ai
giudeocristiani condusse a una divisione in seno alla comunità giovannea.
Terza fase: le lettere (100 circa)
I seguaci dell’autore delle lettere: per
essere figlio di Dio bisognava confessare
Gesù venuto nella carne e osservare i suoi
comandamenti. I secessionisti sono i figli
del diavolo e gli anticristi. L’unzione con lo
Spirito rimedia alla necessità dei maestri
umani; esaminare chiunque affermi di avere
lo Spirito.
I secessionisti: Colui che è disceso
dall’alto è così divino da non essere
pienamente umano; egli non appartiene al
mondo. Né la sua vita sulla terra né quella
del credente hanno un’importanza salvifica.
Quello che solo importa è conoscere che il
Figlio di Dio è venuto nel mondo, e coloro
che credono in ciò sono già salvi.
Quarta fase: dopo le lettere (2° secolo)
Unione con la grande chiesa: incapaci
di combattere i secessionisti appellandosi
semplicemente alla tradizione, e perdendo
terreno di fronte ai propri avversari, alcuni
tra i seguaci dell’autore riconobbero la
necessità di maestri ufficialmi rivestiti di
autorità (presbiteri-vescovi). Allo stesso
tempo «la chiesa cattolica» si dimostrò
aperta alla cristologia alta giovannea. Ci fu
Verso lo gnosticismo: la maggior parte della
comunità giovannea sembra che accettasse
la teologia secessionista la quale, separata a
causa dello scisma dal pensiero moderato,
avanzerà verso un vero e proprio docetismo
(da un Gesù pienamente umano a una pura
apparenza di umanità), verso lo gnosticismo
(da un preesistente Gesù a dei preesistenti
credenti i quali discendono anch’essi dalle
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 21
un graduale amalgama con la grande chiesa
che, però, andò piano ad accettare il quarto
Vangelo dal momento che gli gnostici
facevano di esso un cattivo uso.
regioni celesti), e verso il montanismo (dal
possedere il Paraclito all’incarnare il
Paraclito). Essi portarono con sé il quarto
Vangelo che fu presto accettato dagli
gnostici che lo commentarono.
Non si nasconde che il quadro complessivo che emerge dalla ricostruzione di Brown è
affascinante, convincente, eppure dà molto il senso di una situazione da manuale: nel primo tempo
si crea comunione tra gruppi estremamente eterogenei, nel secondo la frattura, le lettere (terzo
periodo) rispondono ai problemi...
Aggiungiamo che anche per il noto esegeta tedesco Oscar Cullmann il gruppo giovanneo si
sarebbe ampliato “in seguito all’ammissione di samaritani convertiti”.21
Sulla questione dei “giudei” nel IV Vangelo e della separazione della comunità cristiana
giovannea dalla sinagoga si è espresso indirettamente G.JOSSA, Giudei o cristiani?, Paideia Brescia
2004. Lo storico del cristianesimo antico, docente presso l’università federiciana di Napoli, sostiene
non senza qualche punta polemica contro gli esegeti neotestamentari che darebbero troppa
importanza alla birkat ha-minim e al sinodo di Jamnia, che una coscienza della separazione del
cristianesimo del giudaismo, la nascita del cristianesimo come nuova identità religiosa non deve
essere spinta troppo in avanti, e polemizza proprio con posizioni come quella di Martyn e di Brown.
Le sue considerazioni su Giovanni seguono le precisazioni su Paolo e sulla situazione della
Grecia e dell’Asia minore dove già dagli anni 50 le comunità cristiane dovevano apparire come
distinte dalle comunità giudaiche e il cristianesimo non si presentava più come una setta interna al
giudaismo. A Davies, che si schiera a favore di una tardiva coscienza identitaria cristiana a partire
da Mt, corrisponde Martyn per il vangelo di Gv: Gv 9,22 con la decisione di cacciare i cristiani
dalle sinagoghe testimonia un accordo formale o una decisione raggiunta da un gruppo giudaico
autoritativo in un momento precedente la redazione giovannea e intesa alla separazione. Nei giudei
di 9,22 sono ravvisabili i saggi di Jamnia che avrebbero deciso di espellere i giudeocristiani dalla
sinagoga (verso l’85) mentre la redazione finale di Gv è della fine del I sec. e presenta una
contrapposizione ormai netta tra giudei e cristiani. Nella presentazione dei tre periodi di Martyn il
cristianesimo si presenta a lungo come “giudeocristianesimo” se non addirittura come giudaismo
cristiano. A tale proposito Jossa precisa l’uso linguistico per evitare confusioni: i cristiani che
provengono dal giudaismo rappresentano il cristianesimo giudaico, come quelli che provengono dal
paganesimo sono il cristianesimo gentile (è bene per tali gruppi non utilizzare le espressioni
equivoche di giudeocristiani e paganocristiani) cf. p. 153.
Giudeocristiani sono invece coloro che hanno riconosciuto in Gesù il Signore e Messia ma
vogliono conservare la propria identità giudaica e continuano in particolare ad osservare la legge
(Paolo perciò era un giudeo cristiano ma non un giudeocristiano).
Dagli anni 40 è giudeocristiano il gruppo di Giacomo (non necessariamente tutta la chiesa di
Gerusalemme) e a partire dal 50 la parte più significativa della chiesa di Gerusalemme. Dopo il 70 è
giudeocristiano anche il gruppo dei nazorei. I Vangeli di Mt e di Gv testimoniano una rottura con il
giudeocristianesimo avvenuta da poco, cosa che dimostrerebbe che fino alla redazione dei due
Vangeli le loro comunità non sarebbero state altro se non gruppi all’interno del giudaismo. Per
Jossa è difficile accogliere questa posizione: «… checché ne pensi Martyn la minaccia di esclusione
dalla sinagoga della comunità di Gv, motivata com’è con il riconoscimento di Gesù di Nazareth
come Messia, risale più probabilmente ad un momento precedente la guerra del 70, quando il
21
CULLMANN O., Origine e ambiente dell’evangelo secondo Giovanni, Marietti, Torino 1976, 77.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 22
problema era ceramente acuto, che non all’introduzione della birkat ha-minim verso l’85, quando i
problemi principali erano problemi di disciplina» p. 163.
Qui Jossa condivide Senberger: certo Jamnia c’entra, ma non è il problema principale né si
può ricondurre alla birkat ha-minim il momento della rottura fra giudei e cristiani. Gli eventi
importanti a cui Jossa riconduce l’attenzione sono la condanna del fratello di Gesù, Giacomo, nel 62
e lo scoppio della guerra giudaica nel 66. Al primo episodio è Giuseppe Flavio ad attribuirvi molta
importanza ed è comprensibile: i giudeocristiani osservano la legge, sono per l’elezione di Israele,
non possono fare a meno della propria identità giudaica. La condanna di Giacomo rappresenta
perciò un fatto di grande rilievo: in un mondo minacciato da una guerra contro i romani per
l’esistenza di fermenti di tipo messianico si cerca di eliminare qualunque fermento dalla nazione,
perciò sin da ora, e non con il 135, la comunità cristiana verrà isolata. Naturalmente si ipotizza
l’origine palestinese di Mt e Gv. È probabile che entrambe le comunità, dopo aver costituito per un
certo tempo un orientamento nuovo all’interno del giudaismo palestinese, dopo la condanna di
Giacomo e lo scoppio della rivolta si siano staccate dalla comunità palestinese e abbandonato la
terra di Israele. Quindi la coscienza di formare un gruppo distinto, anzi una entità religiosa a se
stante rispetto al giudaismo è più antica di quanto facciano pensare le scansioni di Martyn, Brown e,
soprattutto, Pesce.
Formazione e struttura del IV Vangelo
Le introduzioni ambientali sulla storia, la geografia, condizionamenti culturali dell’ambiente
giovanneo, insieme alle ipotesi sul tipo di comunità che sottostà al IV Vangelo, servono ovviamente
come ipotesi di lavoro. Una visione di insieme, sistematica e completa sarebbe possibile solo
assumendo una di quelle ipotesi precedentemente illustrate come vera. Nel nostro corso le
consideriamo, appunto, ipotesi di lavoro che dovranno essere verificate nel corso dello studio
esegetico del Vangelo. Si crea una sorta di circolo poiché se è vero che sull’ipotesi di un
determinato sfondo storico e comunitario le pericopi giovannee vengono interpretate in un certo
modo, è anche vero che per una loro comprensione iniziale bisogna partire da un quadro di
riferimento…
Prima però di passare allo studio della singola pericope bisogna dare uno sguardo di insieme al
Vangelo in quanto opera che si presenta a noi, al di là della sua origine, come opera completa che
come tale chiede di essere letta e interpretata.
Proprio in relazione al Vangelo di Giovanni è noto come da parte di tanti studiosi, fino ai nostri
giorni, siano state proposte diverse ipotesi di composizione attraverso diverse fasi, per dar ragione
dell’attuale opera che, evidentemente, appare non geneticamente unitaria, ma frutto di un lavoro di
successivi inserimenti e ritocchi. È possibile allora parlare di una struttura dell’opera così come
oggi ci perviene? Per molti il problema non si pone poiché è a partire dalla sua redazione finale che
inizia il nostro compito, quello cioè di comprenderla nel suo insieme.
Vengono così avanzate diverse proposte di strutturazione del Vangelo nella sua sistemazione finale,
a seconda che si assuma un criterio (per esempio spazio-temporale) piuttosto che un altro (per
esempio tematico).
A queste proposte se ne affianca recentemente un’altra che esamina il Vangelo come narrazione e la
analizza con il sistema proprio dell’analisi narrativa, rispondendo alle domande di quale sia il filo
narrativo, l’intreccio, lo sviluppo del dramma, attraverso quali parametri stilistici… quali siano i
“personaggi” e la loro funzione nell’insieme narrativo… insomma né più né meno che quanto si fa
per un romanzo o per un film analizzato con la stessa metodologia narrativa.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 23
Sia l’osservazione della struttura letteraria del Vangelo, che l’analisi narrativa, si propongono
comunque come strumenti per una visione d’insieme del vangelo che aiuti a dare senso alle sue
diverse parti considerate non come giustapposte l’una all’altra ma, come sono, parti di un insieme
che si presenta oggi a noi (ma già da diversi secoli!) come un unico racconto.
LA FORMAZIONE LETTERARIA DEL IV VANGELO
Un Vangelo composito
L’osservazione comune del IV Vangelo porta a pensare ad una composizione complessa:
20,30-31 epilogo del capitolo 20° originariamente conclusivo; il cap. 21, in cui la prima
persona plurale (comunità?) si alterna alla prima singolare (redattore?) presenta un nuovo
epilogo (21,24-25)
14,30-31 sembra la conclusione del discorso di Gesù in occasione dell’ultima cena ma il
discorso si prolunga per altri tre capitoli; solo in 18,1 si da seguito all’espressione di Gesù
“andiamo via di qui”… Inoltre in 16,5 Gesù fa notare che non gli hanno chiesto dove sta per
andare, mentre in 13,36 glielo aveva già chiesto Pietro! Nei capitoli 15 e 16 vengono ripresi
alcuni brani sulla diaconia dello Spirito Santo di cui si era già parlato in 14. Qualcuno ha
ipotizzato che i capitoli 15 e 16 (ma anche il 17) siano stati aggiunti in un secondo momento
dal redattore (forse lo stesso del cap. 21)
nella successione dei capitoli 4-7 vi è qualche incongruenza: 6,1 suppone Gesù in Galilea
mentre in 5 era a Gerusalemme. Allo stesso modo incongruente sembra il riferimento di 7,1
di Gesù che se ne andava per la Galilea, dove in realtà già si trovava secondo il cap. 6. Così
alcuni propongono lo spostamento dei capitoli nella successione 4-6-5-7-8 (cfr.
Wickenhauser, Shnackemburg…..). Scambio di fogli? Inserimento del cap. 6 da parte del
redattore del cap. 21?
Il problema del prologo: alcuni termini (lògos, chàris, pleroma) compaiono solo qui; appare
già composito al suo stesso interno (Gv Battista vv. 6-8 e 15, anch’esso inserito dal redattore
finale?
12, 44-50 un “sommario” redazionale sull’insegnamento di Gesù? Anche 3,31-36 sembra
essere una raccolta di detti inseriti da un redattore.
L’episodio della donna adultera 7,53-8,11: assente nei manoscritti più antichi! In alcuni
manoscritti si trova in Luca…
Parentesi che appaiono come aggiunte: per eseòpio 4,2 in riferimento a 3,22
Alcune disarmonie teologiche: l’escatologia presente di Giovanni convive con brani di
natura escatologica 5,28-29; 6,39-40.54… i “segni” da una parte sottolineati (2,11; 20,30-
31) dall’altra relativizzati (2,23; 4,48)
Per questo motivo di solito gli studiosi che seguono la metodologia storico-critica parlano di più
fonti e diverse fasi redazionali (cfr. Brown, Schnackenburg…)
Fonti
Bultmann parla di di tre fonti
1. Fonte dei segni o miracoli, parallela alla tradizione sinottica (dalle nozze di Cana
all’epilogo di 20,30s.); greco semplice e molti semitismi
2. Racconto della passione: analogo ma non identico con quello sinottico, con aggiunte
proprie di Giovanni
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 24
3. Fonte dei discorsi: di stampo gnostico precristiano, proveniente dalla Siria, riletta e
adattata da Giovanni
Il redattore, secondo Bultmann avrebbe armonizzato e intrecciato le tre fonti assumendo la fonte dei
segni come intelaiatura del Vangelo. Un redattore ecclesiastico avrebbe invece aggiunto il cap. 21, i
racconti escatologici (5,24-25; 6,39-40) e i sacramenti ( 3,5; 6,51c-58) per assimilare il IV vangelo
alla fede ecclesiastica comune.
Molte critiche a Bultmann; in particolare C.H. DODD (La tradizione storica del IV Vangelo):
nonostante le differenze di superficie bisogna osservare la forte unità letteraria e tematica; il IV
Vangelo come testimone di un’antica tradizione presinottica di origine palestinese. Gv non è
semplicemente il grande teologo ma testimone storico.
Molti studiosi più recenti riprendono parete delle osservazioni degli studiosi precedenti con alcune
risistemazioni personali. Interessanti LINDARS secondo il quale Gv avrebbe lavorato su omelie
fatte da Gv stesso alla sua comunità in diverse situazioni (litugiche, catechetiche)…
Fasi redazionali
Sempre per spiegare l’aspetto composito del IV Vangelo alcuni studiosi si sono impegnati nel
descriverne le fasi redazionali:
R. Schnackenburg: tre stadi
4. «tradizione giovannea» risalente allo stesso apostolo Giovanni, autonoma e indipendente
dalla tradizione sinottica (ha sostenuto successivamente la paternità non di Giovanni figlio
di Zebedeo ma del “discepolo prediletto”, di Gerusalemme, non facente parte della cerchia
dei dodici
5. Vangelo scritto opera di un discepolo appartenente alla comunità giovannea che dà alla
tradizione precedente la forma di unità letteraria
6. Redazione finale: inserimento di altro materiale giovanneo (cap. 21; 3,13-21; 3,31-36;
capitoli 15-17 e altre aggiunte minori)
R.E.Brown: cinque stadi
7. tradizione orale di ambiente palestinese prima del 70 d.C., simile alla sinottica ma
indipendente.
8. sviluppo della tradizione in senso giovanneo, sotto la direzione dell’apostolo Giovanni e
altri discepoli (come Schnackenburg ritratterà questa identificazione). Nascono le strutture
drammatiche dei racconti e alcuni discorsi
9. Primo Vangelo scritto: per un pubblico di lingua greca, con conclusione al cap. 20; autore ne
fu Giovanni stesso o un suo discepolo.
10. Seconda edizione greca del Vangelo: inserimento di aggiunte e ritocchi come risposte a
sette battiste e giudeo cristiane
11. Edizione definitiva da parte di un autore forse discepolo del primo. Aggiunta del cap. 21;
dei capp. 15-17 e di 3,31-36; 6,51-58; 12,44-50
M.E. Boismard: quattro stadi; ricostruzione letteraria insieme alla ricostruzione del contesto
storico della comunità giovannea
12. Giovanni I (Documento C): prima redazione completa del vangelo dal Battista alla
Risurrezione. Conteneva 5 “segni”. Scritto in Aramaico palestinese (anni ’50) dal “discepolo
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 25
prediletto” (Giovanni di Zebedeo o Lazzaro). Cristologia bassa (Gesù “profeta”, o come
Mosè o, ancora, come il “Figlio dell’uomo” danielico)
13. Giovanni II/A: Giovanni il Presbitero (probabilmente) cura una edizione nel 60-65 in
Palestina aggiungendo nuovo materiale e parlando del “mondo” in maniera negativa. Al
cambiamento di condizione nella comunità giovannea corrisponde una certa opposizione nei
confronti de “i giudei”.
14. Giovanni II/B: lo stesso editore di IIA si trasferisce ad Efeso e cura una nuova edizione, in
greco, intorno agli anni 90. Si acuisce l’ostilità giudaica sottolineata nel vangelo attraverso
la posizione avversa de “i giudei”. Gesù è presentato come figura preesistente, superiore a
Mosè (cristologia alta). In risalto i sacramenti.
15. Giovanni III: riedizione a cura di un giudeocristiano sconosciuto della scuola giovannea di
Efeso; inizio del II secolo d.C.
G. Segalla: tre stadi di sviluppo conseguenti alla migrazione della comunità giovannea da un
ambiente giudeo-cristiano (Palestina prima del 66) ad un ambiente ellenistico (Antiochia e poi
Efeso). Cf. aggiornamento in SEGALLA G., Il Quarto Vangelo come storia, Dehoniane,
Bologna 2012.
16. tradizione orale di tipo sinottico, messa per iscritto come promemoria; all’origine di essa è
Giovanni figlio di Zebedeo, il discepolo prediletto.
17. Probabilmente lo stesso apostolo rivede la tradizione e l’approfondisce in senso cristologico
e soteriologico (cristologia alta): prima edizione del Vangelo.
18. Un discepolo del “prediletto” stende una seconda edizione fino a 20,31.
Molte altre proposte sono state formulate (cfr. bibliografia), tuttavia si rilevano alcuni elementi
comuni di non secondaria importanza:
- non si segue una teoria delle fonti di tipo sinottico
- viene sempre identificata una personalità particolare (Giovanni figlio di Zebedeo o altri…)
alla base della tradizione giovannea
- vengono sempre descritte diverse fasi di redazione che spiegano le fratture interne
- si afferma nel contempo la sostanziale unità del IV Vangelo
- connessione stretta con la comunità giovannea e con gli sviluppi della sua storia
Le questioni di tipo storico si moltiplicano nella misura in cui si osserva con maggiore attenzione il
testo (dall’autore, al significato del “noi”, alla predicazione in Samaria…); potranno essere
affrontate ricorrendo ai commentari citati; in parte saranno discusse durante lo studio esegetico.
STRUTTURA LETTERARIA e NARRATIVA
Dall’excursus precedente risultano interessanti ipotesi circa le fasi redazionali dell’opera, che a
parere di tutti ha subito una elaborazione più o meno lunga e più o meno complessa. Tuttavia il IV
Vangelo nella sua redazione canonica, così come in realtà lo possediamo, chiede di essere letto
come opera unitaria e, si è già detto, i motivi per parlare di opera unitaria non mancano secondo il
parere di quegli stessi autori che propongono la distinzione in fasi di composizioni.
Qual è il suo messaggio? Come possiamo accostarlo in quanto opera letteraria? Qual è il rapporto
tra le parti? C’è un disegno unitario?…
Come per la formazione, così per la struttura sono molte e diversificate le proposte.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 26
Ne propongo una recente che, tuttavia, con qualche variazione, è possibile riscontrare in diversi altri
autori moderni e contemporanei: R. FABRIS, Giovanni, Borla 1992.
L’autore passa in rassegna diversi punti di vista precedenti:
- Wellhausen (1908): un caos senza forme. È possibile tuttavia riconoscere il Grundschrift
(scritto base)
- Bauer (1912) condivide lo scetticismo sull’unità letteraria del Vangelo di Giovanni
- Bernard (1928) allo stesso modo ipotizza lo spostamento casuale di capitoli e sezioni
- Bultmann (1941), Schulz (1974), Becker (1979), Haenchen (1980) ricorrono alla teoria delle
diverse fonti di origine…
- Loisy (1903), Lagrange (1925), Hoskyns (1940)… si limitano a suddividere il testo in
sezioni semplicemente accostate le une alle altre
Le diverse strutturazioni proposte dagli autori contemporanei possono essere raggruppate a
seconda del modello che guida le osservazioni:
1. Narrativo-cherigmatico; sviluppo drammatico (Sanders; Kemper) o stilizzazione
kerygmatica (Strathmann) o catechistica che corrisponde alla forma letteraria del vangelo
predicato (Lindars)
2. Simbolico-tipologico: si fa leva sull’interpretazione simbolica del tempo: giorni e settimane
(Boismard); istituzioni e feste (Mollat); oppure alle prefigurazioni veterotestamentarie di
creazione, esodo (Girard M., Mateos – Barreto); o ai segni in rapporto alla sapienza (Clark).
Alcune osservazioni comuni ai diversi studiosi anche di diversa tendenza:
Distinzione tra libro dei segni e libro dell’ora o della gloria (a sua volta suddiviso in discorsi,
passione, risurrezione)
L’osservazione sulla numerazione dei segni: il settenario poi diversamente commentato (per
esempio la risurrezione è l’ottavo e più grande dei segni per introdurre il giorno della nuova
creazione…; oppure l’ottavo è la nuova creazione…
Fabris si chiede se esista un criterio unico e decisivo per la strutturazione o se, almeno, è possibile
riscontrare qualche indicazione esplicita da parte dell’autore.
La più importante è in 20,30-31, insieme a quella posta a conclusione del libro dei segni en 12,37.
Insomma il ruolo dei segni in rapporto alla fede; il tema ricorre anche in 2,11 (Cana) e ripreso in
2,23.
Tra le altre osservazioni, Fabris aggiunge l’unità tra la narrazione dei discorsi e quella della
risurrezione di Gesù, in cui domina il tema del compimento telèin e teleiousthai dell’ora; nella
seconda parte del Vamgelo, insieme all’insistenza sul tema della gloria, presente tuttavia anche
nella prima, si rileva il vocabolario dell’amore: agape e agapan. L’ultimo capitolo riprende, come
conclusione, ambedue le parti: Gesù compie un segno, la pesca miracolosa e trasmette l’icarico
pastorale a Pietro dopo averlo ristabilito nell’amore.
Così Fabris propone la seguente struttura:
Introduzione
- poetica generale (1,1-18)
- testimonianza di Gv Battista e presentazione dei discepoli (1,19-51)
I Libro dei segni di Gesù, il Cristo e Figlio di Dio (Gv 2,1-12,36)
Prima unità:
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 27
Da Cana a Cana: inclusione 2,11//4,54. Le tre regioni della Palestina (Galilea, Giudea e Samaria);
incontro con figure rappresentative dell’ambiente etnico e socioculturale…
3. Le nozze di Cana 2,1-11.12
4. Gesù a Gerusalemme 2,13-25
5. Incontro e dialogo con Nicodemo 3,1-21
6. Gesù e Giovanni: confronto e ultima testimonianza 3,22-36
7. Incontro con la Samaritana 4,1-42
8. Guarigione della figlia di un funzionario regale 4,43-54
Seconda unità:
sei sezioni caratterizzate dalla combinazione tra momento narrativo e momento discorsivo. La
rivelazione di Gesù e importanza dell’IO SONO
9. Guarigione dell’infermo a Gerusalemme e dibattito sulle opere e la test. di Gesù 5,1-47
10. Segno del pane e dibattito con la folla, i giudei, i discepoli 6,1-71
11. Dibattito sull’identità di Gesù nella festa delle capanne 7,1-8,59
12. Guarigione del cieco nato e dibattito sull’identità di Gesù 9,1-41; 10,1-42
13. Risurrezione di Lazzaro e condanna a morte di Gesù 11,11-54
14. Gesù a Gerusalemme per l’ultima Pasqua 11,55-12,50
- attese e minacce a Gerusalemme 11,55-57
- unzione di Gesù a Betania 12,1-11
- accoglienza di Gesù a Gerusalemme 12,12-19
- ricerca dei greci e “l’ora” di Gesù 12,20-36
- bilancio teologico e appello finale 12,37-43.44-50
II Il «compimento» e l’ora della glorificazione di Gesù, il Cristo e Figlio di Dio (13,1-20,29)
1. Cena e lavanda dei piedi 13,1-20.21-30
2. Discorso di addio 13,31-17,26
- Partenza di Gesù e promessa del Consolatore 13,31-14,31
- Partenza di Gesù e comunità dei discepoli nel mondo 15,1-16,33
- Preghiera finale di Gesù 17,1-26
3. Passione, morte e risurrezione 18,1- 21,25
- Arresto e condanna di Gesù 18,1-19,16a
- Morte e sepoltura 19,16b-42
- Risurrezione 20,1-29.30-31
- Manifestazione di Gesù risorto, incarico a Pietro e discepolo testimone 21,1-23.24-25
*****
Per quanto riguarda lo studio sincronico, alcuni studiosi privilegiano la dimensione
narratologica. Panimolle S., nel suo Commento pastorale in tre volumi offre una struttura che è utile
anche per un approccio narrativo. Un commento sincronico – narrativo è quello di C.H. TALBERT,
Reading John. A Literary and Theological Commentary of the Fourth Gospel and the Johannine
Epistels, Cross-Road, New York 1992. Ma per l’impostazione generale è utile il testo di Culpepper
citato in bibliografia di cui riportiamo la proposta di lettura unitaria di Giovanni:
R.ALAN CULPEPPER, Cfr. Sopra, Schede bibliografiche
Ogni episodio ripresenta il messaggio dell’insieme. Il Prologo conferisce a ciascuno di questi
episodi uno sfondo ironico in quanto il lettore è già stato ammesso alla confidenza del narratore e sa
chi è Gesù. Perciò il lettore ha una conoscenza superiore al singolo personaggio dei racconti che si
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 28
confrontano con Gesù perché in contrasto con loro riconosciamo che Gesù è il logos incarnato,
rivelatore del Padre. Questa dinamica letteraria spinge il lettore ad abbracciare il punto di vista
ideologico dell’autore, cioè la confessione di fede di Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio (20,30).
L’ignoranza del cieco, dei giudei… dà alla storia una forza drammatica continua, così come l’uso
delle metafore innalza la lettura tenendo sempre sveglio l’interesse del lettore.
LO SVILUPPO DEL PLOT IN GV
Il prologo introduce Gesù come il logos attivo già alla creazione.
La sua missione è rivelare il Padre
La prima sez. del Vangelo in 2,22 introduce drammaticamente Gesù e il suo lavoro
Acclamato da Gv Battista e da alcuni suoi discepoli, rivela la sua gloria a Cana.
Il primo capitolo è ottimistico… molti lo riconoscono
Con il secondo la narrazione si complica. L’opposizione di Gesù all’abuso nel tempio. 2,22
«Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e
credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» è la prima indicazione per il lettore non
iniziato del destino di morte e risurrezione di Gesù. Ma si pone anche un’altra grossa questione: la
differenza tra coloro che credono e i discepoli: 2,11: «Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in
Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui»… il capitolo 2 si
conclude dunque meno ottimisticamente del primo: il destino di sofferenza… e alcuni che pur
credendo nel suo nome non avranno parte con lui.
Cap. 3: non c’è ancora vera opposizione con Gesù; ma vengono chiariti alcuni aspetti
dell’opposizione: non tra Gesù e Giudei ma tra Gesù e quelli che rifiutano di accogliere la sua
rivelazione. Il non credere è la reale opposizione L’influsso di Gesù cresce come pure il suo seguito.
Gv 4 ancora piccola opposizione a Gesù: allusione ai farisei ( 4,1.3) Riferimento prolettico al rifiuto
4,44: « Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria.» ma il
resto del capitolo è positivo… Dunque c’è poca opposizione in Gv 1-4… hanno l’effetto di dare al
lettore una prima impressione dell’identità e della missione di Gesù.
Gv 5 prende un nuovo sviluppo. Si intensifica il conflitto sull’identità di Gesù. I “Giudei” diventano
per la prima volta importanti e viene spiegata la base del conflitto. Il problema è il locus della
rivelazione: la Legge o Gesù? Gesù ha violato il sabato commettendo blasfemia e l’evangelista lo
sottolinea in 5,18: « Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose
di sabato…. [18]Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto
violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio». Gesù stesso parlerà di se
come del Figlio dell’uomo (5,25-47).
Il potere drammatico del vangelo si costruisce intorno a questo conflitto!
Il conflitto con l’incredulità cresce nel capitolo 6: notare che non ci sono altri conflitti significativi:
né con la natura né con i demoni, né con se stesso… lo stesso camminare sulle acque ha a che fare
piuttosto con la simbologia dell’esodo e ha il carattere di una epifania. Anche il conflitto con i
discepoli dipende piuttosto dal fatto che la loro conoscenza resterà incompleta fino all’ora della
morte-risurrezione. Il rifiuto dei giudei di credere in Gesù dipende dalla non comprensione della
Torah, di Mosè e dell’esodo.22
In Gv 7 l’opposizione a Gesù si mobilita: decidono di ucciderlo, e tentano di arrestarlo. Gesù
dichiara che andrà da colui che lo ha mandato: elemento di “dramma” per chi non conosce la
soluzione, o di ironia per il lettore informato.
22
CASTELLO G., La Legge nel IV Vangelo, in G.CASTELLO (a cura di), Le Sacre Scritture di Israele per ebrei, cristiani e
musulmani, ECS, Napoli 2008, 141-167;
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 29
Gv 8 il conflitto con i Giudei diventa più stridente. Punto centrale è la paternità che acuisce il
conflitto. Gesù è più vecchio dello stesso Abramo. Gesù viene definito spregiativamente come
Samaritano e demoniaco…
Il capitolo 9 e parte del 10 costituiscono un “interludio”. La guarigione del cieco è occasione per
sottolineare l’ostilità dei giudei e la loro cecità. Il capitolo 10 rappresenta le posizioni popolo
“giudei” Gesù nelle parole sul buon pastore… La crescente opposizione degli ultimi cinque capitoli
si conclude con le parole di Gesù sulla sua capacità di lasciare la vita e riprenderla di nuovo, cosa
che accresce l’intrigo. Il rapporto vita-morte viene focalizzato particolarmente nel capitolo 11.
Il capitolo 12 è di transizione in diversi sensi. Crea un legame tra 11 e 13. Già si prefigura lo
scenario della morte (l’unzione). Si manifesta il senso della sua morte. Si interpreta anche il motivo
dell’incredulità.
Con il cap. 13 si sottolinea che Gesù conosce l’ora della sua morte. Il suo valore purificatore viene
indicato con la lavanda dei piedi. Il traditore è inviato alle tenebre e alla loro forza che,
paradossalmente, porteranno alla sua glorificazione. I discepoli, che non saranno in grado di
seguirlo, sono invitati ad amarsi reciprocamente. Si delinea il destino dei discepoli… per i quali
Gesù prega… capitoli 16-17.
Con il capitolo 18 inizia la sequenza rapida degli ultimi eventi. La posizione di Pilato tra Gesù e i
suoi accusatori è drammatizzata poiché questi restano fuori. In realtà il giudicato, una volta che
Pilato esce fuori, è proprio lui, più che Gesù. Nel dialogo Gesù-Pilato viene chiarita la natura
dell’autorità di Gesù e la sua regalità. Pilato lo dichiara tre volte innocente, e con la scritta sulla
croce ne riconosce, in realtà, la vera identità. Mentre i giudei dichiarano la loro bestemmia “non
abbiamo altro re se non Cesare” Pilato si decide a consegnarlo a loro. Gesù viene ucciso alla vigilia
di Pasqua, quando si immolava l’agnello nel tempio. Gesù è sepolto in una sepoltura regale.
Nel primo giorno della settimana Maria Maddalena scopre la tomba vuota… Tommaso, con la sua
esigenza di constatare fisicamente la risurrezione, fa la confessione di fede più alta e completa verso
Gesù. Al termine del capitolo 20 l’intera narrazione viene conclusa con la motivazione della
scrittura evangelica: per condurre i lettori, o ascoltatori, a credere.
Il cap. 21 è un epilogo apparentemente aggiunto al vangelo una volta che esso era già concluso.
Risolve alcuni dei conflitti minori (Il discepolo prediletto e Pietro; Pietro e Gesù). Il vangelo di Gv
si conclude senza riferimento all’ascensione, compresa nella “esaltazione” di Gesù. Alla fine Gesù è
con i discepoli; il Paraclito rimarrà con essi. Alludendo al futuro dei discepoli e alla scrittura del
vangelo, si crea un gancio tra la storia ed il lettore. La storia può dipingere il passato ideale ma il
presente è in relazione al passato in maniera tale che la storia diventa determinante per il lettore
presente.
L’intreccio, il PLOT, è alimentato dal conflitto tra credere e non credere come risposta a Gesù. Ciò
è confermato dal fatto che circa metà delle ricorrenze di “credere” nel NT si trovano in Gv (98 su
239). Il suo intreccio è episodico e perciò difettivo. Ma l’autore usa i vari episodi per arricchire la
tessitura del tutto. L’integrazione tematica pervasiva tra i diversi episodi, fa si che il lettore possa
scorgere la sua fine e i suoi significati, in ciascuno degli episodi familiari.
Il vangelo è la testimonianza di uno che parla per tutti quelli che riconoscono la Parola in Gesù. Il
“Noi” può perciò essere compreso come atto ad includere tutti i caratteri nel vangelo che alla fine
hanno creduto e sono diventati testimoni: Gv Batt., i discepoli, la Samaritana, il cieco… gli altri.
Gli effetti di questa struttura narrativa con il suo prologo seguito dall’episodica ripetizione del
conflitto tra fede e non-fede, serve ad includere il lettore nella compagnia della fede. L’intreccio
evangelico è controllato da uno sviluppo tematico e una strategia che tende al corteggiamento del
lettore perché accetti la sua interpretazione di Gesù.
Un breve presentazione dell’intreccio (the plot) narrativo nel Vangelo di Giovanni la troviamo
anche nel volumetto di V.Mannucci, Giovanni. Il Vangelo per ogni uomo, LoB 2.4, Queriniana,
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 30
Brescia 1995, 29-39. Tra le tante possibilità, Mannucci, a partire dal saggio di Segovia, predilige la
scelta del “viaggio della Parola” come motivo conduttore dell’intera narrazione giovannea.
Propone perciò il seguente schema:
1. PRIMA PARTE: 1,1-18
Il viaggio cosmico mitico della Parola nel mondo degli uomini
2. SECONDA PARTE: 1,19-17,26
Il ministero di Gesù e i suoi viaggi ministeriali
3. TERZA PARTE: 18,1-21,25
La morte in croce, Risurrezione e significato permanente della sua missione
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 31
IL PROLOGO GIOVANNEO (1,1-18)
Per la struttura letteraria cf lezione prof. Santopaolo
«Videte ergo, fratres, ne forte de ipsis montibus est
Iohannes, de quibus paulo ante cantavimus: Levavi
oculos meos in montes, unde venit auxilim mihi (Ps
120,1). Ergo, fratres mei, si vultis intellegere, levate
oculos vestros in montem istum; id est, erigite vos ad
evangelistam, erigite vos ad eius sensum»
S.Agostino, In Iohannis Evangelium Tractatus 1,6
Il PROLOGO Gv. 1,1-18 1 VEn avrch/| h=n o` lo,goj(
kai. o` lo,goj h=n pro.j to.n qeo,n( kai. qeo.j h=n o` lo,gojÅ
2 ou-toj h=n evn avrch/| pro.j to.n qeo,nÅ 3 pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[nÅ o] ge,gonen 4 evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\ 5 kai. to. fw/j evn th/| skoti,a| fai,nei( kai. h` skoti,a auvto. ouv kate,labenÅ 6 VEge,neto a;nqrwpoj( avpestalme,noj para. qeou/( o;noma auvtw/| VIwa,nnhj\ 7 ou-toj h=lqen eivj marturi,an i[na marturh,sh| peri. tou/ fwto,j( i[na pa,ntej pisteu,swsin diV auvtou/Å 8 ouvk h=n evkei/noj to. fw/j( avllV i[na marturh,sh| peri. tou/ fwto,jÅ 9 +Hn to. fw/j to. avlhqino,n( o] fwti,zei pa,nta a;nqrwpon( evrco,menon eivj to.n ko,smonÅ 10 evn tw/| ko,smw| h=n( kai. o` ko,smoj diV auvtou/ evge,neto( kai. o` ko,smoj auvto.n ouvk e;gnwÅ 11 eivj ta. i;dia h=lqen( kai. oi` i;dioi auvto.n ouv pare,labonÅ 12 o[soi de. e;labon auvto,n( e;dwken auvtoi/j evxousi,an te,kna qeou/ gene,sqai( toi/j pisteu,ousin eivj to. o;noma auvtou/( 13 oi] ouvk evx ai`ma,twn ouvde. evk qelh,matoj sarko.j ouvde. evk qelh,matoj avndro.j avllV evk qeou/ evgennh,qhsanÅ 14 Kai. o` lo,goj sa.rx evge,neto kai. evskh,nwsen evn h`mi/n(
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 32
kai. evqeasa,meqa th.n do,xan auvtou/( do,xan w`j monogenou/j para. patro,j( plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ 15 VIwa,nnhj marturei/ peri. auvtou/ kai. ke,kragen le,gwn( Ou-toj h=n o]n ei=pon( ~O ovpi,sw mou evrco,menoj e;mprosqe,n mou ge,gonen( o[ti prw/to,j mou h=nÅ 16 o[ti evk tou/ plhrw,matoj auvtou/ h`mei/j pa,ntej evla,bomen kai. ca,rin avnti. ca,ritoj\ 17 o[ti o no,moj dia. Mwu?se,wj evdo,qh( h` ca,rij kai. h` avlh,qeia dia. VIhsou/ Cristou/ evge,netoÅ 18 qeo.n ouvdei.j e`w,raken pw,pote\ monogenh.j qeo.j o` w'n eivj to.n ko,lpon tou/ patro.j evkei/noj evxhgh,satoÅ
OSSERVAZIONI
Problemi :
Come va interpretato il pros del v. 1? Stato in luogo o moto a luogo?
Come leggere il theos a conclusione del v. 1? Dio oppure “un Dio” o “divino”?
Ho gegonen va a fine del v. 3 oppure a inizio del v. 4 come indicano anche molti padri?
Tre possibili divisioni del testo 1,3-4 nella tradizione antica (nei papiri e nei codici non vi
sono segni di interpunzione):
A.
Versioni e antichi scrittori
Scrittori ortodossi ed eretici
prima del concilio di Nicea
(325)
B.
Presente in versioni e scrittori
latini
C.
Forma rara.
(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n (4) o] ge,gonen evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\
(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n o] ge,gonen
(4) evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\
(3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n o] ge,gonen evn auvtw/| (4) zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\
3….e senza di lui non avvenne
nulla
4. Ciò che avvenne in lui, era
vita
oppure
Ciò che avvenne, in lui era vita
3….e senza di lui non avvenne
nulla di ciò che avvenne
4. In lui, era vita…
3….e senza di lui non avvenne
nulla di ciò che avvenne in lui.
4 Era vita
A favore:
struttura, parallelismo antitetico
nel v. 3:
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 33
«tutto per mezzo di lui…
nulla senza di lui».
Al v. 5 si passa dal passato al presente: si tratta di una digressione dell’evangelista (che si
vede anche nella preferenza di Gv per skotia anzicchè skotos)
Katalambanein: discusso fin dall’antichità: Padri+ alcuni esegeti moderni= sopraffare; per
Schnackemburg è da cogliere analogamente a paralambanein: accogliere qualcosa che arriva;
perciò = afferrare qualcosa che è presente.
Erchomenon al v. 9 va riferito al en iniziale in funzione perifrastica oppure all’anthropon che
precede (Vg)? Una terza posizione è quella di considerare l’intera ultima proposizione, da
erchomenon in avanti come un’aggiunta a to phos nel senso di di una relativa abbreviata ma ci si
attenderebbe un articolo davanti a erchomenon.
Schnackemburg sembra condividere l’idea secondo cui l’inno originario fino al v. 14, usando
il passato en, si riferisce al mondo della creazione e prima della venuta di Cristo. L’idea che fa
parlare Giustino del Logos spermatikos. Solo con il 14 si inizia a parlarne a partire
dall’incarnazione. Ma, osserva l’autore, l’evangelelista sembra insinuare già alla fine del 9
l’esperienza storica del Verbo.
v.11: eis ta idia: nella sua patria? Tra i suoi? Nella sua proprietà? Meglio “sua proprietà”. Sua
patria infatti sarebbe il mondo intero. Idioi tuttavia non va inteso come gli israeliti, ma potrebbe
intendere in generale gli uomini che si opposero e continuano ad opporsi all’accoglienza del Logos.
v.13 La grande maggioranza dei manoscritti, versioni e scrittori, a partire dal IV secolo riporta
il testo nella forma plurale «i quali furono generati». Ireneo e Tertulliano in testi antignostici riporta
il singolare conformemente ad altri scrittori più antichi. Si tratta di un appoggio alla concezione
verginale?
v.18 Alcuni manoscritti riportano non l’Unigenito Figlio di Dio ma l’Unigenito Dio (papiri
Bodamer IIIsec. Cod. Sinaitico, Vaticano, versioni e scrittori antichi.
INTRODUZIONE
1. Guardando complessivamente i 4 evangeli nella loro forma attuale, si percepisce il
crescente interesse, nel cristianesimo primitivo, per l’origine di Gesù. Non tanto dal
punto di vista storico bensì come risposta a questioni di tipo cristologico che a mano a
mano dovettero emergere in relazione alla determinazione stessa della natura
messianica e soprattutto in relazione alla figliolanza divina di Gesù.
- Marco, il più antico dei Vangeli, inizia fa iniziare il suo racconto con la figura
di Giovanni il Battista e con il racconto fondamentale del battesimo di Gesù. È
tuttavia interessante notare già la preoccupazione di presentare Gesù come il
Figlio di Dio (l’evangelista o la tradizione immediatamente successiva?) 1:1 VArch. tou/ euvaggeli,ou VIhsou/ Cristou/ Îuiou/ qeou/ÐÅ
- Matteo e Luca iniziano invece con un inquadramento certamente più ampio
riscontrabile in particolare nelle genealogie (Mt a partire da Abramo, Luca a
partire da Adamo) con uno sguardo retrospettivo che si concretizza nei racconti
dell’infanzia e con le descrizioni altamente teologizzate degli eventi della
nascita, come compimento delle attese e soprattutto con la manifestazione della
natura di Gesù Cristo già al momento della nascita.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 34
- Giovanni spinge questa riflessione ancora più ardita, giungendo sino al
“principio” collegandosi in tal modo con lo stesso progetto creativo e parlando
esplicitamente non tanto del Gesù Messia ma del Logos che dall’inizio era già
presso il Padre….
(per la descrizione grafica della situazione cfr. pagina finale).
Giovanni dunque ha voluto premettere al suo Vangelo una introduzione in forma poetica in cui
presentare già la sua sintesi teologica su Gesù? E come: attingendo dalla tradizione precedente ed
utilizzando già un inno preesistente, o componendolo del tutto di sua mano? Come si spiegherebbe
in questa ipotesi il fatto che esista tra il prologo e il resto del vangelo un legame “tenue” per
linguaggio e stile? Sembrerebbe trattarsi di qualcosa di più di una semplice sintesi poetica composta
dall’autore e premessa alla sua opera.
Probabilmente utilizzò in parte un inno preesistente e lo agganciò al vangelo con alcuni incisi.
L’attenzione va, naturalmente ai due passi che trattano di Giovanni il Battista (6-8 e 15) e che
vengono ripresi a partire dal v. 19. Sono state compiute analisi ritmiche, stilistiche ed anche
esegetiche al fine di determinare quale dovesse essere l’inno originario e quale l’elaborazione
dell’evangelista.
Tra le varie e diverse interpretazioni, rifiutando il criterio di riunire le varie conclusioni in un
risultato frutto di molteplici approcci, Schnackenburg propone il seguente testo:
1.
(1) VEn avrch/| h=n o` lo,goj( kai. o` lo,goj h=n pro.j to.n qeo,n( kai. qeo.j h=n o` lo,gojÅ (3) pa,nta diV auvtou/ evge,neto( kai. cwri.j auvtou/ evge,neto ouvde. e[n o] ge,gonen 2.
(4) evn auvtw/| zwh. h=n( kai. h` zwh. h=n to. fw/j tw/n avnqrw,pwn\ (9) +Hn to. fw/j to. avlhqino,n( o] fwti,zei pa,nta a;nqrwpon( 3.
(10) evn tw/| ko,smw| h=n( kai. o` ko,smoj auvto.n ouvk e;gnwÅ (11) eivj ta. i;dia h=lqen( kai. oi` i;dioi auvto.n ouv pare,labonÅ 4.
(14) Kai. o` lo,goj sa.rx evge,neto kai. evskh,nwsen evn h`mi/n( plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ (16) o[ti evk tou/ plhrw,matoj auvtou/ h`mei/j pa,ntej evla,bomen kai. ca,rin avnti. ca,ritoj\
Si ipotizza dunque la successione di quattro strofe : 1. primordiale e divino essere del Logos e la
sua funzione nella creazione; 2. importanza per il mondo degli uomini (vita e luce); 3. rifiuto
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 35
della sua opera da parte dell’umanità prima dell’incarnazione; 4. l’evento dell’incarnazione fonte
di letizia e apportatore di salvezza.
Un inno tradizionale dunque, in cui si accentuava il periodo precedente all’incarnazione;
qualche minima traccia del genere c’è solo in 1Cor 10,4. Diverso dunque dagli altri inni tramandati
(1Tim 3,16; Fil 2,6-11; Col 1,15-20; Eb 1,2s.) anche perché nell’inno giovanneo non si fa
riferimento all’esaltazione di Cristo. In nessun altro inno si fa riferimento al rifiuto del Redentore.
Concepito in relazione alla speculazione sapienziale?
Quanto alla provenienza?
1923 Bultmann: inno gnostico sorto nell’ambiente del Battista;
Schaeder: inno gnostico su modello aramaico costituito da un inno a Enosh (il Dio uomo);
posizione elaborata sulla base della retroversione dell’inno in aramaico dove il v.6° suona: «Enosh
fu mandato da Dio…» e diventa chiave di comprensione. Con Bultmann e accogliendo
l’identificazione gnostica dell’ambiente di origine si sono schierati diversi studiosi.
Ma, osserva Schnackenburg: come spiegare l’idea dell’incarnazione in 1,14, autentica professione
di fede cristiana?
Dunque proviene da circoli cristiani, certamente ellenistici (per l’uso di Logos)… giudeo
ellenisti convertiti (presenza di riminiscenze dell’AT soprattutto sapienza e torah).
Struttura Letteraria del Prologo nella sua forma attuale
1. tre parti corrispondenti alla storia della salvezza:
1-5 creazione
6-13 storia universale e Israele
14-18 incarnazione e comunità cristiana
2. Schema tematico chiasmatico o parabolico (un po’ rigido)
A. 1-2 A1. 18
B. 3 B1. 17
C. 4-5 C1. 16
D. 6-8 D1. 15
E. 9 E1. 14
F. 10-11 F1. 12-13
OSSERVAZIONI ESEGETICHE
VEn avrch/| nel IV vangelo solo qui. Ap’arches 8 volte in 1Gv ma con il valore di inizio storico…
Richiama Gn 1,1 e Pr 8,23 in un contesto creazionale, specficata in Pr: prima di fare il la terra
Riferimento al ruolo della Sapienza, figura personalizzata e attiva accanto al creatore cfr. Sir 24,9.
In Gv risalta l’espressione assoluta, l’indicazione di una relazione permanente e dinamica del logos
con Dio: era… pros “con” o piuttosto “rivolta verso”? Cfr. De La Potterie.
Le prime frasi si concentrano sul Logos che a pieno titolo è nell’ambito di Dio.
Con l’egeneto del v.3 si passa a considerare il rapporto con il creato (cfr. Gn 1,3 con il verbo
ebraico hayàh a cui corrisponde nei LXX egèneto.
Al panta iniziale corrisponde l’ oudè hen secondo lo stile biblico e giudaico.
Si riprende l’idea giudaica della creazione attraverso la Parola (cfr. Sl 33; Sir 43,26)
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 36
Ho gegonen, ciò che avvenne, sembra andare meglio all’inizio del v. 4: ciò che avvenne in lui era la
vita… anche se crea qualche difficoltà interpretativa: ciò che era in lui era “vita”
v.4 “Vita” ben 36 volte nel vangelo (su 133 nel NT) è associato a luce termine che definisce il
rapporto di Cristo con gli uomini: Io sono la luce del mondo (8,12) si veda il Sl 36,10: Dio come
sorgente perenne di vita piena e sicura. Del resto il motivo della vita, che ha la priorità su quello
della luce ricorre alla fine stesso del Vangelo come motivazione dell’annuncio della buona notizia:
31 Questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, credendo,
abbiate la vita nel suo nome. È da notare che la tradizione sapienziale prima, e il giudaismo successivamente, porrà in risalto la
corrispondenza Legge-Vita; Legge-Luce cfr. Baruch 4,1.
La riflessione sapienziale opera già l’unione profonda tra ciò che la luce ha significato nel mondo
cosmico a ciò che essa significa nel mondo antropologico.
Le tenebre, skotia non vanno semplicemente identificate con il mondo umano. Il prologo è
attraversato comunque da un senso positivo nel confronto, in cui le tenebre non riescono a
sopraffare la luce. Qui viene in mente il dualismo di Qumran che tuttavia è ben più radicale e separa
nettamente le due realtà…
Ma a quale contrapposizione specifica si riferisce Giovanni: l’ambito della creazione? Quello del
popolo di Dio? Al contrasto di Gesù Cristo con il mondo del peccato? In realtà il testo non lo indica,
resta da determinare… Il tema della luce continua nei versetti seguenti in cui si introduce la figura
di Giovanni Battista che non era la luce.
L’introduzione “Vi fu un uomo inviato da Dio” riecheggia il linguaggio biblico cfr. 1Sam 1,1
LXX… ma anche, nei libri profetici “giunse la parola di Dio a… (nome del profeta)”. Giovanni
viene introdotto con il suo ruolo funzionale di “Inviato” rispetto alla Parola – Vita – Luce di cui si
sta parlando. Si accentua il ruolo testimoniale che continuerà a caratterizzare in Gv la figura del
Battista. Procedendo col v. 7 si insiste in positivo e in negativo sulla differenza tra il suo ruolo e
quello del Verbo-Luce. (cfr. 1,20-31; 3,28.30). Mi pare difficile pensare, come Fabris, che non vi
sia dietro alla ripetuta puntualizzazione, il problema storico del discepolato di Giovanni che
interpreta il proprio maestro come la Luce e come il Cristo…
In questo senso di puntualizzazione mi pare vada intesa anche la specificazione seguente “veniva
nel mondo la luce, quella vera…”. Va segnalata l’originale tesi che vuole riferire il primo inciso del
prologo, solitamente inteso come primo riferimento ala missione del Battista, come un riferimento
all’evangelista Giovanni: l’unica dichiarazione esplicita del Vangelo circa la missione
dell’evangelista come testimone della luce perché tutti credessero per mezzo di lui.23
Dal termine del v.9 e nel v.10 si ripete quattro volte il vocabolo kosmos. Lo scenario resta ampio,
cosmico e antropologico.
v. 11 “I suoi” non va interpretato in senso restrittivo (i giudei), piuttosto “i suoi” sembra riprendere
quanto si diceva del mondo che fu fatto per mezzo di lui.
v.12 “Quelli che lo accolsero” verranno specificati alla fine del 12 e nel 13: i credenti nel suo nome,
i quali…. Credere nel suo nome appare 2 volte in Gv su 96 ricorrenze del verbo credere.
Exousia “diritto-potere” ma anche “dare la facoltà… rendere capaci” dice il compito che il Figlio ha
avuto dal Padre che gli ha dato potere su ogni uomo (5,27; 17,3).
v.13 L’accento cade sull’ultima dichiarazione che esplicita quanto affermato nel 12: la capacità di
diventare figli di Dio. Essa rimane dono di Dio da accogliere nella fede. Alla generazione dalla
carne si oppone la generazione dallo Spirito (cfr Gv 3,3-8 Nicodemo).
Ireneo e Tertulliano pongono il pronome al singolare: il quale è stato generato…è nell’ambito,
probabilmente, della controversia antignostica… La scelta del singolare accentua la concentrazione
cristologica e lega strettamente il v.13 al 14a in cui “E il verbo divenne carne” metterebbe l’accento
23
RIGATO M.L., Giovanni: l’enigma, il Presbitero, il culto, il tempio, la cristologia, Dehoniane, Bologna 2007, 23s.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 37
non tanto sulla modalità quanto piuttosto sull’origine divina. Possibilità da considerare con
attenzione non facendosi semplicemente distrarre dalla prospettiva della concezione verginale che
associerebbe questo testo a quelli di Lc e Mt.
14. versetto centrale. Riappare il LOGOS che ora è soggetto del verbo divenire, associato alla sarx.
Polemica antidocetista? Reminiscenza di una formula tradizionale di fede? L’affermazione “e abitò
fra noi” dà al versetto un’ambientazione biblica. Il verbo utilizzato richiama al simbolo della tenda
skene, dimora di Dio prolungata nel tempio (Es 40,34-35; 2Sm 7,6; 1Re 8,10-11) Qui prende
dimora la Sapienza per ordine di Dio (Sir 24,8-12) così come i profeti promettono che Dio dimorerà
in mezzo al suo popolo (Ez 43,7; Gl 4,17.21; Zc 2,14; 8,3).
E abbiamo contemplato (il verbo si ritrova in 1Gv1,1) alla prima plurale. Gruppo di cui
l’evangelista si fa portavoce.
Elemento chiave della contemplazione è la doxa, associata nella Bibbia alla presenza di Dio in
mezzo al popolo e al contesto dell’alleanza. Per “vedere la gloria” cfr. Es 33,18; Is 6,3.5.
L’esperienza di Isaia è attualizzata da Gv a proposito dell’incapacità dei Giudei a credere in Gesù
nonostante i segni (Gv 12,37-41).
È quella “gloria” che i discepoli credenti sono chiamati a “vedere” per dono di Dio (17,24). Nella
parola divenuta carne, nei segni e nella morte di Gesù si rende presente l’azione benefica e salvifica
di Dio attesa per il tempo finale.
v. 14… plh,rhj ca,ritoj kai. avlhqei,ajÅ
cfr. Es 34.6: ḥ esed we’emet, nei LXX polyèleos kai alethinos (cfr. Es 33,18-23)
Per Fabris Giovanni rinvia alla nota coppia di termini Ḥesed we’emet dell’AT. Mi pare che proprio
accettando questa indicazione esegetica, la traduzione che renderebbe maggiormente la sottostante
espressione semitica sia “grazia (amore) fedele”: ciò che il Verbo comunica è quell’amore
misericordioso di Dio che è “vero” (radice ’mn), cioè stabile per sempre. Si tratta dunque della
presenza salvifica del Logos diventato carne. I temi della rivelazione biblica vengono riletti e
rimeditati da Giovanni in prospettiva cristologica.
v.16 dalla sua pienezza evk tou/ plhrw,matoj auvtou/ si riprende l’espressione pleres di 1,14 apax
legomenon nel IV evangelo mentre è presente 12 volte nei LXX e 17 volte nel NT. Indica la totalità
e l’ampiezza dell’azione divina (cfr. Sl 24,1 e 1Cor 10,26… Ef 1,10,23; 3,19…)
Nel logos incarnato si incontrano, o è possibile incontrare i beni salvifici, la loro “pienezza”.
kai. ca,rin avnti. ca,ritoj si indica l’ininterrotto flusso di grazia. Come va tradotta la preposizione?
Grazia “su” grazia?
v. 17: Mosè e Gesù Cristo. Si osservi la struttura simmetrica della frase:
Dio – per mezzo di Mosè – ha donato la Legge
Dio – per mezzo di Gesù Cristo rende presente il suo amore fedele.
Vanno lette in un crescendo positivo o come opposizione …. Invece…. ?
Ambedue le letture sembrano consentite dal testo, anche guardando agli usi antecedenti dei termini.
La Legge è rivelazione storica di Dio e rende testimonianza a Gesù (Gv 1,45; 5,39; 10,34; 15,25)
Ma è vero anche che “i giudei” si appellano alla Legge contro Gesù (Gv 18,31; 19,7);
analogamente per Mosè: cfr 1,45;7,39; 7,45.47 e, per contro, 9,28s.
La lettura dunque può essere fatta in progressione, non come semplice parallelismo né come
opposizione di negativo a positivo, bensì come sviluppo.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 38
v. 18 riprende e conclude quanto già affermato: il versetto si ricongiunge al v.1, osservazione
particolarmente importante per chi rappresenta la struttura del prologo come parabola che discende
dal v.1 (Verbo presso Dio) al 14 (diventa carne) per riapparire presso il Padre come unigenito
(v.18). Tutto ciò attraverso una indubitabile progressione: adesso infatti si tratta del Logos
incarnato.
Osservare l’interessante uso del verbo exegeo: evkei/noj evxhgh,satoÅ che troviamo 6 volte in Luca con
il significato di narrare, raccontare; derivante dall’uso dell’AT soprattutto nei testi sapienziali: Gb
28,27; Sir 43,31.
APPROFONDIMENTO sul v. 1,17:
o[ti o no,moj dia. Mwu?se,wj evdo,qh( h` ca,rij kai. h` avlh,qeia dia. VIhsou/ Cristou/ evge,netoÅ
LA TORAH NEL IV VANGELO
… kai. ouv du,natai luqh/nai h grafh, «... e la Scrittura non può essere annullata» (Gv 10,35) L’affermazione di Gesù, riportata da Giovanni nella risposta ai “Giudei” per la sua pretesa di
essersi fatto Dio (10,33), richiama l’autorità della Scrittura, le Sacre Scritture di Israele, come fonte
comune di riferimento per lui come per i suoi interlocutori perché considerata rivelazione di Dio.
Qui usa il termine singolare “la Scrittura” hē graphē, ma l’evangelista utilizza anche, molto più che
nei sinottici, il termine nomos (Legge). Partiamo da questo riferimento giovanneo che farà da
sfondo alle nostre considerazioni, poichè riporta un dato comune nella testimonianza
neotestamentaria su Gesù e la chiesa delle origini, il fatto cioè che a partire da Gesù e senza
discontinuità in tutta la letteratura neotestamentaria, la progressiva presa di coscienza circa la
nascita di una nuova comunità al seguito del maestro di Galilea, morto e risorto, radichi con
insistenza sulle Sacre Scritture di Israele, considerate come il punto di riferimento autorevole per la
fede della chiesa.24
1. Il IV Vangelo e l’AT
Gli studiosi che si sono occupati della specifica questione delle citazioni dell’AT in Giovanni
concordano nell’osservare il minor numero di citazioni esplicite dell’AT da parte del IV evangelista
rispetto ai sinottici: Nestle (26a ed.) ne indica 19, tutte da libri del Canone Palestinese.
25 In realtà,
come già metteva in rilievo Barret (con molti altri), il numero di citazioni esplicite è ingannevole
per affrontare l’argomento.26
Molti temi dei testimonia sinottici sono inglobati nel Vangelo senza
24
Sull’argomento si veda il documento a cura della PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Documento Il popolo ebraico e le sue Scritture nella Bibbia cristiana (24-5-2001): EV 20, 733-1150. 25
Il parere, anche sul numero, non è unanime: EVANS C.A., On the Quotation Formulas in the Fourth Gospel, in Biblische Zeitschrift 26(1982) 79-83, parla di quindici citazioni dirette; FREED E.D., Old Testament Quotations in the Gospel of John, Novum Testamentum 6, E.J. Brill, Leiden 1965, ne conta diciassette. 26
Cf. BARRETTC.K., The Old Testament in the Fourth Gospel, in Journal of Theological Studies 48(1947) 155-169.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 39
esplicite citazioni.27
Inoltre Giovanni riflette anche più chiaramente dei sinottici le grandi correnti
del pensiero dell’AT, per esempio nel rappresentare Gesù con una serie di titoli che lo pongono in
relazione con le aspettative diversificate dei differenti gruppi: Gesù come Messia, ma anche Profeta;
Re di Israele, Servo di Yahwe.28
A ciò vanno aggiunti i riferimenti attraverso allusioni che richiamano intere tradizioni dell’AT e
del mondo giudaico: dalla crezione (1,1-2,10) ad Abramo, Mosè, Giacobbe.29
Spesso, nel lavoro di
molti studiosi del IV Vangelo, si è posto in rilievo il richiamo di fondo alle grandi tematiche
anticotestamentarie, come quella dell’Esodo che per qualcuno presiede all’organizzazione stessa del
Vangelo.30
Ma anche al di là delle tesi circa una organizzazione del IV Vangelo basata proprio sul
racconto dell’Esodo, sono indubitabili i molteplici riferimenti alle vicende esodiche.31
Le citazioni esplicite giovannee dell’AT sono tratte spesso dai profeti (5 da Isaia; 2 da
Zaccaria), e non manca chi vede in Giovanni una vero e proprio prolungamento dello stile del
Deutero-Isaia, per il modo di porsi in rapporto alle tradizioni precedenti. In particolare sull’uso
dell’espressione ego-eimi «io sono», collegata al nome divino per la traduzione dei LXX
dell’ebraico ’ani YHWH, e nello stesso gnosticismo, che ricorre sei volte nel DtIsaia.32
Sempre al
DtIsaia può essere collegato il riferimento giovanneo all’universalità della missione di Gesù. Anche
il libro dei Salmi è una fonte per Giovanni. Ultimamante poi si è sottolineato sempre più che la
forma dei discorsi giovannei abbia a che fare strettamente con i discorsi della Sapienza divina come
nel libro dei Proverbi, nel Siracide, o nel libro della Sapienza.33
Per quanto riguarda il testo dell’AT a cui Giovanni (indichiamo qui genericamente il redattore
del IV Vangelo) ha fatto riferimento, si può pensare ad una citazione libera della traduzione greca
dei LXX34
o, talvolta, a citazioni mnemoniche dall’ebraico.35
2. Il IV Vangelo e i Giudei
Un argomento non secondario per l’approfondimento che intendiamo compiere è il rapporto tra
il Gesù del IV evangelo e i Giudei. È noto che proprio nel Vangelo spirituale si incontrano le
espressioni più esplicite di “lontananza” da “i Giudei”, come in 8,44: «voi che avete per padre il
diavolo...»; o anche in 8,55: mio Padre, Dio, «non lo conoscete....»; ma non possono sfuggire
espressioni di radicamento giudaico particolari, come nelle parole di Gesù alla Samaritana in 4,22
«...la salvezza viene dai Giudei». Di questo argomento, che non ci è possibile trattare nel presente
27
Cf. BROWN R.E., Introduzione al Vangelo di Giovanni (Edito, aggiornato, introdotto e concluso da Moloney F.J.), Queriniana, Brescia2007, 150. 28
Cf. BRAUN F.M., Jean le théologien, vol. 2 : Le Grandes traditions d’Israël et l’accord des Écritures d’après le quatrième Évangile, Gabalda, Paris 1964. 29
HOSKYNS E.C., Genesis 1-3 and the St. John’s Gospel, in Journal of Theological Studies 21(1920) 210-218. 30
Cf. GLASSON T.F., Moses in the Fourth Gospel, SCM Press, London 1963; per una corrispondenza anche nella struttura di Gv in relazione all’Esodo cf. ENZ J.J., The Book of Exodus as a Literary Type for the Gospel of John, in Journal of Biblical Literature 76(1957) 208-215. 31
Mosè è citato esplicitamente 13 volte, più che negli altri evangeli; ma si fa riferimento anche alla manna (6,31-58), all’acqua dalla roccia (7,38), al serpente di bronzo (3,14), al tabernacolo (1,14). I discorsi di Gesù riportati nel IV Vangelo sembrano inoltre suggerire una relazione ai discordi di addio di Mosè nel libro del Deteuronomio. 32
Sulla questione cf. BROWN R.E., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, vol II, Cittadella, Assisi 1979, 1482-1489. 33
Sui temi sapienziali dell’AT nel IV Vangelo cf. BROWN, Introduzione al Vangelo di Giovanni, 276-282. 34
Cf. MENKEN M.J.J., Old Testament Quotations in the Fourth Gospel. Studies on Textual Form, Kok Pharos, Kampen 1996. 35
Cf. BRAUN, Jean le théologien, vol. 2, 20-21. Non mancano però proposte che fanno riferimento piuttosto ai Targumim palestinesi.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 40
intervento, oltre al noto studio di Barret del 197036
, si è occupato in parte il documento della
Pontificia Commissione Biblica del 2001 “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia
cristiana”. Un paragrafo di tale documento è dedicato in particolare all’evangelo di Giovanni
(nn.76-78) con un’approfondita riflessione sull’uso singolare del termine “Giudei” nel IV Vangelo.
A proposito di questo tema va ricordato come lo studio critico del IV Vangelo da un po’ di anni
sia impegnato, sulla scia di Martyn37
, di Brown e tanti altri,38
a mostrare come il Vangelo di
Giovanni rifletta innanzitutto i rapporti tra la comunità giovannea, o se si vuole l’autore del IV
Vangelo di fine primo secolo, e la comunità giudaica di quel tempo. Il Vangelo mostra, in tale
condizione, non tanto (o comunque non in prima istanza) il rapporto tra Gesù e il giudaismo, quanto
piuttosto il rapporto tra chiesa e sinagoga che si è trasformato ormai in un rapporto teso, di
esclusione e quindi di accusa reciproca, il che non è senza conseguenze per l’approfondimento del
nostro tema.
3. Scrittura/Scritture nel IV Vangelo
Per entrare più direttamente nel tema di questo intervento, va osservato che il termine “scrittura”
grafh/ anche al plurale è usato nel IV Vangelo per un totale 13 volte, impiegato normalmente in
testi che si riferiscono al compimento delle Scritture sacre di Israele nella persona di Gesù o negli
eventi che lo riguardano. In generale i passi a cui ci si riferisce appartengono alla Torah, ma ma
anche a testi profetici o ai Salmi. Proponiamo di seguito un raggruppamento schematico per passare
rapidamente all’argomento specifico della nostra indagine. Viene utilizzato
- 6 volte dall’evangelista: in 2,22 a proposito della purificazione del tempio e del fatto che i suoi
discepoli avrebbero poi creduto alla sua parola e alla Scrittura. 4 volte nel capitolo della passione,
Gv 19, dove è utilizzato per illustrare la corrispondenza tra ciò che accadde a Gesù e quanto la
Scrittura prevedeva (19,24; 28; 37). 1 volta nel c. 20, la risurrezione, a proposito di Pietro e
Giovanni al sepolcro vuoto.
- 1 volta dalla folla (7,42) a proposito della domanda se egli potesse essere il Cristo, e della
constazione della difficoltà dell’identificazione per quello che la Scrittura dice a proposito della
provenienza del Messia.
- 6 volte da Gesù, due volte al plurale in 5, 39.47. In 5,39 Gesù parla a “I Giudei”, da quanto si può
dedurre dal brano precedente che si conclude con la citazione dei Giudei che “cercavano di
ucciderlo” (5,13). Rivolge loro l’accusa “e non avete la sua parola che dimora in voi” (38) a cui
segue il versetto che ci interessa: «Voi scrutate le scritture credendo di avere in esse la vita eterna;
ebbene sono proprio esse che mi rendono testimonianza...». L’argomentazione di Gesù prosegue sul
tema della non accoglienza della sua persona come rivelatore, da parte dei Giudei e giunge al
riferimento a Mosè: «E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate
la gloria che viene da Dio solo? Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c'è gia chi vi
accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza. Se credeste infatti a Mosè, credereste
anche a me; perché di me egli ha scritto. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle
mie parole?» (5:44-47). Quindi le Scritture di cui qui si parla si attribuiscono a Mosè (la Torah) in
cui si è già parlato di Gesù.
In 7,38 Gesù cita la Scrittura: «chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva
sgorgheranno dal suo seno». Qui si riferisce piuttosto a testi profetici (Is 4,3; 55,1; 58,11; Ez
47,1.12; Gl 3,18). È interessante perché l’uso di Scrittura-Scritture si dimostra ampio, indicando
talvolta la Torah, talaltra i libri profetici. Il riferimento di Gesù alla Scrittura precede di poco il
36
BARRET Ch.K., Il Vangelo di Giovanni e il giudaismo, Paideia, Brescia 1980. 37
MARTYN J.L., History and Theology in the Fourth Gospel, New York 1968; The Gospel of John in Christian History, New York 1979. 38
BROWN R.E., La comunità del discepolo prediletto, Cittadella, Assisi 1982.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 41
riferimento della folla alle scritture in 7,42 dove la lettera della stessa Scrittura, a proposito della
provenienza del Messia, sembra contraddire la pretesa messianica di Gesù.
Un altro interessante riferimento alle Scritture viene fatto in 10,35, nel contesto della festa della
dedicazione (10,22) ancora una volta a confronto con i Giudei che lo interrogano se egli sia
veramente il Messia e ricevono da Gesù la risposta circa il suo compiere le opere del “Padre mio”
(25) con la conclusione che essi non gli crederanno perché non sono sue pecore... I Giudei (v. 31)
portarono pietre per lapidarlo opponendo alla domanda di Gesù «per quale di esse (opere) mi volete
lapidare?» l’accusa di bestemmia «perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» (33). È a questo punto che
Gesù risponde «Non è forse scritto nella vostra Legge (evn tw/| no,mw| u`mw/n): Io ho detto: voi siete
dei? Ora, se essa ha chiamato dei coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura h` grafh, non può essere annullata), a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu
bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?» (10,34-36).
Qui il termine Legge e il termine Scrittura appaiono come equivalenti, o comunque la Torah è
conisderata parte autorevole delle Scritture di Israele.
Ancora una volta Gesù conferma la validità della Legge-Scrittura e ne fa fondamento di ciò che egli
stesso sostiene, con un tipico ragionamento rabbinico.
Il riferimento alle Scritture di Israele si trova ancora in 13,18 «Non parlo di tutti voi; io conosco
quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: Colui che mangia il pane con me, ha levato
contro di me il suo calcagno». Ancora una volta un riferimento al “compimento” delle Scritture
nella vicenda di Gesù. Qui Gesù parla ai discepoli. Alla stessa questione del compimento si riferisce
la citzione in 17,12 «Quand'ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho
custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la
Scrittura h` grafh. ».
4. La Torah nel IV Vangelo
Il panorama sopra appena delineato offre naturalmente molti spunti per avviare ricerche
specifiche sul tema generale che affrontiamo: la Legge nel IV Vangelo. Si sceglie perciò di
restringere il campo delle osservazioni all’uso giovanneo di nomos (Legge), studiato nei diversi
contesti in cui il termine viene citato. Le osservazioni schematiche iniziali saranno seguite
dal’approfondimento della singola ricorrenza.
Il termine Legge appare per la prima volta nel Prologo (1,17), versetto spesso considerato dai critici
come non facente parte dell’originale inno e ritenuto, con il successivo, un’aggiunta
dell’evangelista.39
Qui inoltre appare nella peculiare espressione (semitica più che greca) come
Legge “data” da Mosè. Il termine greco o` no,moj traduce comunemente nell’uso neotestamentario,
derivato dalla LXX, il termine ebraico hr"äAT (Torah) che, come è noto, andrebbe piuttosto tradotto
con “insegnamento” nel senso di direzione, indicazione per la vita.
In Gv il termine o` no,moj, diversamente declinato, ricorre 15 volte in 13 versetti, su un totale di 233
ricorrenze neotestamentarie.40
Per analizzare l’uso giovanneo del termine classificaremo le ricorrenze a partire dal soggetto che lo
impiega e dalle specificazioni che lo seguono:
Chi ne parla? Come viene specificata?
1.17 Evangelista Per mezzo di Mosè
39
SCHNACKENBURG R., Il Vangelo di Giovanni, vol I, Paideia, Brescia 1973, 350. 40
Gv 1,17.45; 7,19(2).23.49.51; 8,5.17; 10,34; 12,34; 15,25; 18,31; 19,7(2). In particolare il termine è ricorrente in Luca
(32 volte nel vangelo e 21 in Atti) mentre è assente in Marco e ricorre 10 volte in Matteo.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 42
1.45 Filippo L’ha scritta Mosè
7.19 Gesù L’ha data Mosè
7.19 Gesù Nessuno di voi la mette in pratica
7.23 Gesù Di Mosè
7.49 - Giudei Chi non la conosce è maledetto
7.51 Nicodemo Non giudica senza avere ascoltato
8.5 - Scribi e Farisei Nostra Legge ci ha comandato di lapidare
8.17 Gesù Vostra Legge (di scribi e farisei)
10.34 Gesù Vostra Legge
12.34 Gente Sentito dalla Legge
15.25 Gesù Loro Legge
18.31 Pilato Vostra Legge
19.7 - Giudei Abbiamo una Legge
19,7 - Giudei secondo la Legge deve morire
L’analisi che segue affronta le singole citazioni a partire dai raggruppamenti per soggetto e per
specificazioni.
4.1. Legge nelle parole di Gesù
La Legge di Mosè
Ci interessano, a proposito del riferimento alla Legge da parte di Gesù, innanzitutto i vv. 7.19(2x) e
7,23. Tre citazioni che fanno parte dello stesso brano. Il contesto è quello della Rivelazione
messianica durante la festa delle capanne (7,2), a cui Gesù partecipa “di nascosto” (7,10) dopo aver
rifiutato di parteciparvi su invito dei “fratelli” (7,3) poiché, chiarisce l’evangelista: «Neppure i suoi
fratelli, infatti, credevano in lui» (7,5). Il contesto si presenta, sempre nella descrizione che ne fa
l’evangelista, come problematico: Gesù è cercato dai Giudei (7,11), su di lui la folla discute (7,12).
Qui si distingue l’intento dei “Giudei” da quello della “folla”, il primo già determinato (questo è il
senso del cercarlo, come del resto si diceva già poco prima in 7,1 e dopo 7,30), il secondo, l’intento
della folla, orientato invece al chiarimento (7,23s.). È interessante osservare l’alternarsi dei pareri e
delle intenzioni dei “Giudei” e della “folla” cosa già di per sé molto significativa, dal momento che
evidentemente “Giudei”, almeno qui, non si può riferire alla nazionalità o all’appartenenza
religiosa. Il fatto è confermato nei vv. 12-13 che presentano la chiara distinzione tra il parlare
ancora aperto, interrogativo della gente, la folla «polu.j evn toi/j o;cloij», e il timore di questa stessa
gente di essere sentita dai Giudei «dia. to.n fo,bon tw/n VIoudai,wn»! Almeno qui, certamente, i
Giudei non rapresentano il popolo della Giudea ma una parte in causa decisamente “contro” Gesù,
rispetto alla folla con la quale Gesù parla e argomenta. Qui la folla ha paura di porre pubblicamente
la questione dell’identità di Gesù, ha paura dei “Giudei”. Effettivamente, nonostante i tanti
chiarimenti venuti in particolare da Bultmann ed accettati poi da molti, la categorizzazione de “i
Giudei” come esponenti di una religiosità diversa e contraria a Gesù è da rivedere almeno in questo
contesto. Nel funzionamento del racconto non vi è dubbio che la religione giudaica è quella dei
Giudei ma è anche quella della folla (e dello stesso Gesù). Ciò che distingue le due parti di fronte a
Gesù è la decisione ormai presa di eliminare Gesù, da parte de “i Giudei”, e la problematicità, la
discussione interna al popolo, alla folla giudaica, su chi sia realmente Gesù. L’equivoco sta nell’uso
del termine “Giudei” che, come ha proposto qualcuno, almeno in questi passi andrebbe più
chiaramente reso da “i capi giudei”.41
A trarre in inganno può essere il fatto che gli stessi “Giudei”
in 7,15 si dice che «erano stupiti e dicevano: “Come mai costui conosce le Scritture senza avere
studiato?”». Lo stupore di cui si parla (evqau,mazon ou=n oi` VIoudai/oi), può essere spiegato come
41
Per una esposizione ragionata delle diverse opinioni cf. ASHTON J., Comprendere il Quarto Vangelo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, 134-136.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 43
meraviglia di fronte alla conoscenza di Gesù che si dimostra un esperto della Legge. Ma lo stupore
è ciò che in questo caso muove l’invidia e il timore dei capi che lo considerano per questo
pericoloso, indicando dunque qualcosa di diverso dalla “meraviglia” come spesso è tradotto lo
stesso termine in senso decisamente positivo. Erano stupiti ma anche inquietati dalla conoscenza
che Gesù mostrava e che rappresentava una prerogativa de “i Giudei”, come verrà esplicitato in
7,49. Proprio in quest’ultima occasione, in cui viene rimproverato alla folla semplice di non
conoscere la Legge, ed anzi di essere addirittura “maledetta” per questa ignoranza, “i Giudei”
vengono esplicitati come “i capi e i farisei”, le categorie che effettivamente si trovano schierate, a
parte eccezioni (Nicodemo in 7,51), contro Gesù.
Questo quadro di riferimento è utile a spiegare quanto segue a proposito della Legge. La domanda
retorica di Gesù in 7,19 è diretta proprio alla categoria dei capi e dei farisei, di coloro che cioè
cercano di ucciderlo. Osserviamo più da vicino il v.19:
ouv Mwu?sh/j de,dwken u`mi/n to.n no,mon( kai. ouvdei.j evx umw/n poiei/ to.n no,monÈ ti, me zhtei/te avpoktei/naiÈ
Gesù parte da una duplice constatazione che si conclude in forma interrogativa. Punto di partenza è
la credibilità e la dignità della Legge ricevuta da Mosè. L’autorità mosaica è qui un segno
dell’autorità della Legge ricevuta dai Giudei. La domanda che segue e che nell’intento evidente di
Gesù viene presentata come una contraddizione è che nonostante la coscienza dell’importanza della
Legge proveniente da Mosè, in ultima istanza da Dio, essi non la “fanno” (ouvdei.j evx u`mw/n poiei/), non la mettono in pratica proprio perché cercano di ucciderlo. Chi legge sa che quanto dichiara
Gesù è vero, poiché l’evangelista ha già esplicitato più volte l’intenzione da parte dei Giudei. Ma si
tratta di un intento non esplicitato alla gente, alla folla che proprio per questo rivolge l’accusa
contro Gesù: «Tu hai un demonio!» motivandola con la domanda «chi cerca di ucciderti?». Qui non
sono i Giudei a rispondere, ma la folla stessa che reagisce rifiutando l’accusa di Gesù che in realtà è
indirizzata ai Giudei. A questo punto Gesù indirizza a tutti le sue parole, ai Giudei e alla folla,
presentando l’argomentazione della circoncisione di sabato «Mosè vi ha dato la circoncisione - non
che essa venga da Mosè, ma dai patriarchi - e voi circoncidete un uomo anche di sabato». Un’opera
compiuta dunque nel giorno di astensione dal lavoro che però è consentita poiché lo esige la stessa
Legge. Argomentando secondo la dialettica rabbinica a minor ad maius, dimostra dunque che la
guarigione di sabato non può essere considerata una trasgressione alla Legge, fino ad aprire il caso
al più ampio rimprovero: «Non giudicate secondo le apparenze, ma giudicate con giusto giudizio».
Gesù dunque si riferisce a quella stessa Legge dalla quale i Giudei traggono il motivo delle accuse
contro di Lui per mostrare la contraddizione nell’interpretazione dei capi, orientata dallo sdegno
contro Gesù piuttosto che dalla “giustizia”, dal “giusto giudizio” (7,24). Qui non si tratta né di
contrapposizione alla Legge di Mosè, né di pretesa di interpretarla in una maniera nuova, fondata
sull’autorità di colui che parla (interpretazione cristologica), ma dell’invocazione del “giusto
giudizio” che tenga presente le motivazioni profonde e non pregiudiziali nell’interpretazione della
Torah. L’accusa finale è coerente con la precedente accusa di non operare secondo la Legge nel
senso più profondo e semplicemente umano, cioè con giusto giudizio, riconoscendo che operare di
sabato a favore dell’uomo, come nel caso della circoncisione, non contrasta con i principi della
Torah a cui Gesù stesso si riferisce come autorità indiscussa. Si osservi inoltre che la discussione
giudaica attraverso la ricerca di significati del testo che possono presentarsi anche in
contraddizione, fa parte della tradizione giudaica sin dal tempo di Gesù.
La vostra Legge
L’espressione “la vostra Legge” usata due volte da Gesù e una da Pilato (18.31) sembra essere
tipicamente giovannea; in Mt si parla della “vostra tradizione” non della “vostra Legge”, così in Mc
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 44
e Lc. Non risulta nell’epistolario paolino nè altrove nel NT tranne At cf 18,15 no,mou tou/ kaqV u`ma/j. L’espressione la “loro Legge” è usata solo il questo testo. In At 23,29 si riferisce alle accuse contro
Paolo e a pronunciare l’espressione è Claudio Lisia a Festo.
Si tratta dunque di un’espressione tipicamente giovannea solitamente ricondotta alla distanza tra
chiesa e sinagoga posteriore a Gesù e alla sua morte risurrezione.
1. Gv 8,17 « Nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera». Il versetto
presenta una variante testuale a proposito dell’espressione “sta scritto” gegramme,non evstin ovvero
ge,graptai.42
Il riferimento indiretto è a Dt 17,6 «Un condannato sarà messo a morte sulla parola di due o di tre
testimoni; non sarà messo a morte sulla parola di un testimone solo». E a Dt 19,15: «Non si leverà
un testimonio solo contro un uomo per una qualsiasi colpa e per un qualsiasi peccato; qualsiasi
peccato uno abbia commesso, il fatto sarà stabilito sulla parola di due o di tre testimoni».
Indicazioni riprese e sviluppate nella Mishna.43
Commentando il versetto, Brown chiarisce la sua posizione, del resto nota, nella linea di Martyn
secondo la quale emerge dal Vangelo un antagonismo, una opposizione che va spiegata a partire dal
contesto di fine I sec. allorquando la rottura tra il cristianesimo nascente e il giudaismo è già
avvenuta.44
Non condivide perciò le posizioni di chi cerca di rendere ragione dell’espressione a
partire dal senso che essa può avere avuto sulla bocca di Gesù, non necessariamente di presa di
distanza ma piuttosto di riferimento ad un fondamento comune e di valore assoluto.45
L’autore
richiama quanto ha affermato a proposito di 17,19 («Non è stato forse Mosè a darvi la Legge?»)
dove chiarisce che a differenza dei sinottici, dove Gesù si dissociava dall’interpretazione della
Legge data dai farisei che secondo Gesù nullificava la Legge (Mt 23,23), questi attacchi in
Giovanni si sono colorati della disputa tra la sinagoga e la chiesa e la dissociazione più assoluta tra
loro. Aggiunge inoltre alle sue argomentazioni l’uso della contrapposizione da parte degli scrittori
cristiani antichi, come Giustino nel dialogo con Trifone dove lo stesso “voi” è usato dagli
apologisti cristiani per rivolgersi agli ebrei.46
Ciò che rimane da chiedersi è se i due significati siano
alternativi o se non possano rivelare una maniera di interpretare nel senso della contrapposizione le
parole di Gesù da parte della tradizione cristiana, interpretazione forse insinuata nel lettore da parte
dello stesso evangelista.
2. Gv 10,34 Troviamo ancora l’espressione “la vostra Legge” nella seconda parte del capitolo
decimo, nel contesto della festa della dedicazione, allorchè al tentativo di lapidare Gesù da parte de
“I Giudei”, l’accusato risponde con un ragionamento di tipo rabbinico a sostegno della sua
42
gegramme,non evstin: così Tischendorf, che preferisce la lettura del Cod. Sinaiticus; L’altra lettura più difficile perché
solo qui è ge,graptai al perfetto preferita da Aland (Sinopsis), da Merk, dal The Greek New Testament e Nestle Aland.
La forma al perfetto si trova solo qui (e in Gv 20,31) in luogo di quella più consueta (Gv 2,17;6,31.45; 10,34; 12,14;
19,19.20) . Non sembra tuttavia che da ciò si possano trarre particolari conclusioni cf. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di
Giovanni, vol II, Paideia, Brescia 1977, 331 n. 20; FREED, Old Testament Quotations, 126s. 43 Cfr Mishna, Sanh.5, BILLERBECK I,1002s. 44
Cf. BROWN, Giovanni, vol I, 443. 45
Cf. IVI: «Charlier (...) insiste nel dire che la vera funzione del «vostra» non è di esprimere ostilità o superiorità nei confronti della Legge, ma di dire ai «Giudei»: «Questa è la Legge che voi stessi accettate». Gesù vuole rendere inconfutabile il suo argomento e perciò mette i Giudei in condizione di contraddire se stessi. L’interpretazione di Charlier ha una notevole validità per espressioni come queste quando le si considerano nello scenario storico della vita di Gesù. Ma quando tali espressioni appaiono in un vangelo del tardo I secolo, su uno sfondo di ostilità giudaico cristiana, «la vostra Legge» ha una connotazione ostile». Cf. CHARLIER J.P., L’exégèse johannique d’un précepte legal: Jean VIII,17, in Revue Biblique 67 (1960), 503-515. 46
BROWN, Giovanni, vol I, 402.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 45
affermazione “Io sono figlio di Dio” (10,22-39). L’espressione utilizzata da Gesù evn tw/| no,mw u`mw/n (nella vostra Legge) presenta una variante testuale di non grande portata.
47
Il riferimento non ha paralleli nel NT. L’argomento è portato con una dimostrazione rabbinica del
tipo a minori ad maius. Bultmann, coerentemente al suo pensiero circa l’atteggiamento di Gesù
rispetto al giudaismo del suo tempo, richiama esplicitamente 8,17 considerandolo un motteggio
della Legge giudaica.48
Non la pensa così Schnackenburg che propende invece per una prova
scritturale cristiana: il ragionamento può essere sia stato sviluppato da Gv stesso o dalla sua scuola,
comunque interessati ad una vera giustificazione fondata sulle Scritture.49
La citazione è dal Sl 82(81),6: evgw. ei=pa qeoi, evste «Io ho detto: “Voi siete dei, / siete tutti figli
dell’Altissimo”» versetto che, citato per intero, avrebbe potuto prestarsi ancor meglio
all’argomentazione di Gesù. Alcuni osservano che probabilmente la conoscenza del versetto per
intero è supposta da parte degli ascoltatori, secondo l’uso rabbinico.50
È questo, inoltre, uno dei casi
in cui si riassume tutta la Scrittura (anche i Salmi) sotto il termine di Legge, cosa che corrisponde
all’uso rabbinico, provato anche dalle citazioni paoline.51
Il ragionamento di Gesù, dunque, parte dal fatto che se coloro che hanno ricevuto la Legge al Sinai
sono chiamati “figli di Dio”, con quanto maggior diritto dirà di se stesso “figlio di Dio” l’inviato
dello stesso Dio che ha come missione di completare la sua rivelazione (3,34). La missione
escatologica del Figlio è compimento della rivelazione fatta nell’AT, con la conclusione coerente
dei versetti successivi. La Scrittura non può essere abrogata... dunque... argomentazione qal
wachomer. Anche con Gesù la Scrittura trova il suo compimento. Sembra da escludere il senso
della contrapposizione tra coloro a cui era rivolta la parola di Dio e la Parola di Dio per eccellenza,
il Logos incarnato come viene suggerito in certe letture proprio per l’uso dell’aggettivo la “vostra”
Legge. Qui però non avrebbe più senso il tipo di argomentazione a minori ad maius. Sembra abbia
ragione Schnackenburg che sostiene invece che nel ragionamento vi è un crescendo (non una
contrapposizione): l’inviato di Dio nel mondo è in un rapporto più stretto con Dio di quanto non lo
fossero gli stessi destinatari della Legge chiamati “dei” nel Salmo. Proprio per questo egli può
chiamarsi “figlio di Dio” senza bestemmiare.52
La loro Legge
L’espressione ricorre una sola volta sulla bocca di Gesù, nel v. 15,25: avllV i[na plhrwqh/| o` lo,goj o` evn tw/| no,mw| auvtw/n( gegramme,noj o[ti VEmi,shsa,n me dwrea,nÅ Il contesto è quello del discorso di Gesù ai discepoli, successivo alle parole iniziali del capitolo
sulla vite e i tralci. Alla rappresentazione della comunità dei discepoli di Gesù sulla base della
metafora della vite, seguono nei vv 15,18-16,4 le parole di Gesù sul rapporto dei discepoli con il
“mondo”. Nei vv. 18-19 soggetto dell’odio contro i discepoli, e prima ancora contro Gesù, è il
“mondo”. Dal v. 20 il soggetto della persecuzione non è più “mondo” ma il soggetto indeterminato
plurale espresso con la terza persona del verbo perseguitare: “hanno perseguitato”. La
determinazione di tale soggetto è data alla fine dei vv. 20-25 dove si dice appunto “la loro Legge”.
Dunque il soggetto fino alla fine indeterminato, è determinato dal possedere la Legge, con il
riferimento all’espressione “mi hanno odiato senza ragione” evmi,shsa,n me dwrea,n. Quest’ultima
espressione ricorre nel Sl 39,19 mh. evpicarei,hsa,n moi oi evcqrai,nonte,j moi avdi,kwj oi misou/nte,j me
47
nel P45
troviamo en th grafh mentre omettono l’aggettivo umw/n sia il citato Chester Beatty, sia il Sinaitico prima
mano, il D, q , pc, it, sys; Eus. Per una lista più completa cf The Greek New Testament. I testi critici minori riportano
tutti la lezione con umw/n.
48
BULTMANN R., Die Drei Johannesbriefe, Göttingen 1967, 227. 49
SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, II, 516. 50
Ivi, 517. 51
cf Rm 3,19; 1Cor 14,21. 52
SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, II, 519.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 46
dwrea.n kai. dianeu,ontej ovfqalmoi/j e nel Sl 68,5 evplhqu,nqhsan u`pe.r ta.j tri,caj th/j kefalh/j mou oi misou/nte,j me dwrea,n evkrataiw,qhsan oi` evcqroi, mou oi evkdiw,konte,j me avdi,kwj a] ouvc h[rpasa to,te avpeti,nnuon.
In realtà sono molti di più i testi che si riferiscono all’odio ingiusto e alla punizione che riceverà da
Dio, cf. per es. Lamentazioni 3,52 “Mi hanno dato la caccia come a un uccello, quelli che mi odiano
senza motivo” e Sl 109,3, anche se la citazione precisa sembra avere a che fare con i due salmi
citati, in particolare per la presenza dell’avverbio dwrea,n.
Il riferimento di Gesù potrebbe essere ai giudei in quanto tali, coloro che hanno la Legge, anche se,
per quanto visto sopra, sembra naturale riferirsi a coloro che lo hanno rifiutato e odiato, cioè quei
“Giudei”, veri responsabili del rifiuto e della condanna, di cui si diceva.
4.2. Legge nelle parole dei Giudei:
1. Gv 7,49 «Ma i farisei replicarono loro: (...)Ma questa gente, che non conosce la Legge, è
maledetta!» (47-49). Il versetto è già stato preso in considerazione parlando del termine nomos nel
cap. 7. Qui, in particolare, viene chiarita la distanza tra i Giudei che cercano di uccidere Gesù
(contro i quali egli parla, qui in particolare specificato da “i farisei”, con l’aggiunta del riferimento
ai “capi” nelle parole degli stessi farisei al v. 48), e la gente, la folla che ha dubbi e si interroga su
chi sia veramente Gesù. L’accusa rivolta dai farisei, anzi la meledizione, motivata dalla non
conoscenza della Legge, si riferisce perciò a quel popolo dei giudei che non appartiene alla classe
dei leaders (capi e farisei) e che vive il dubio davanti alle parole e alle opere di Gesù, manifestando,
a parere dei farisei, di non conoscere la Legge. La questione specifica è la provenienza di Gesù
(dalla Galilea) e quella del Cristo (il Messia) che secondo le aspettative giudaiche verrà dalla stirpe
di Davide e dalla Giudea (cf. v. 7,42; 2Sam 7,12+). Il dubbio viene ripreso dalle guardie nel
momento in cui sono interrogate dai “sommi sacerdoti e dai farisei” opponendo alla domanda di
questi il fatto che “mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo” 7,46.
La maledizione viene richiamata, come espressamente ricordata dalla Scrittura, in Gal 3,10 «Infatti
quanti si basano sulle opere della Legge, sono soggetti a una maledizione, poiché è scritto:
Maledetto chiunque non persevera nel fare tutte le cose scritte nel libro della legge», con
riferimento al testo di Dt 27,26 «Maledetto colui che non si attiene a tutte le parole di questa legge
per metterle in pratica» (...).53
2. Gv 19,7 «Gli risposero i Giudei: “Noi abbiamo una legge ~Hmei/j no,mon e;comen e secondo questa
legge kai. kata. to.n no,mon deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio”».
Il contesto è quello dell’articolato processo romano, con la rappresentazione della successione
scenica tra l’entrare e l’uscire di Pilato dal pretorio per parlare con l’imputato (all’interno) e con i
suoi accusatori (all’esterno). In particolare è il momento in cui Pilato ammette di non aver trovato in
lui nessuna colpa e propone ai “Giudei” prima specificati come Sommi Sacerdoti e guardie (v. 6) di
eseguire esssi stessi la condanna alla crocifissione, da essi invocata. Si tratta dunque della risposta
dei Giudei alla proposta di Pilato, che, come è noto, fa riferimento allo jus gladii, alla legge romana
che riserva al rappresentante ufficiale di Roma il potere di emettere e far eseguire condanne a
morte. L’argomento portato da “I Giudei” fa appella proprio alla Legge secondo la quale Gesù deve
morire perché si è fatto “Figlio di Dio”. Non entriamo qui nella specifica questione della pretesa
figliolanza divina e di cosa potesse storicamente significare una simile accusa. Tuttavia è chiaro che
53
Cfr anche Dt 11,28 e il testo di Ger 11,3 dove piuttosto che a Legge si parla “parole dell’Alleanza”: «Così dice il
Signore, Dio d' Israele: Maledetto colui che non ascolta le parole di quest' alleanza».
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 47
i Giudei, secondo la testimonianza del IV Vangelo, fondano proprio sulla Legge l’accusa e la
richiesta di condanna a morte di Gesù.
3. 7,51 «Disse allora Nicodèmo, uno di loro, che era venuto precedentemente da Gesù: “La nostra
Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?”. Gli risposero: “Sei
forse anche tu della Galilea? Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea”»
Si distacca dal tipo di riferimento alla Legge sopra considerato, il giudeo Nicodemo indicato
dall’evangelista come “uno di loro”, cioè uno dei farisei citati prima. Il suo riferimento alla Legge
entra immediatamente in conflitto con quanto affermato dai fariei precedentemente che lo
rimproverano ancora una volta facendo riferimento alla stessa Legge. Ci troviamo di fronte alla
tipica dialettica giudaica fondata sulla ricerca del significato attraverso il collegamento a diversi
riferimenti scritturistici.
4. 8,5 : «Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?».
Qui il soggetto esplicito non è “i Giudei” ma “scribi e farisei” come viene specificato al v.3. E’ noto
come l’intera pericope della donna adultera 7,53-8,11 presenti problemi di critica testuale per il
fatto che è assente in molti manoscritti antichi tanto che molti autori moderni preferiscono
ometterla. Tuttavia è interessante osservare come, anche in questo caso, il riferimento alla Legge da
parte dei Giudei prima, e adesso di scribi e farisei, sia funzionale ad una maledizione o condanna.
Nei riferimenti alla Legge da parte dei Giudei, emerge quindi la vera questione che riguarda anche
la relazione tra Gesù e i Giudei: l’interpretazione della Torah. Nicodemo diventa il caso più
evidente della varietà di interpretazioni che possono coesistere riferendosi ad un passo della Torah
piuttosto che ad un altro.
Non vi è quindi un giudizio negativo della Legge in quanto tale ma piuttosto una modalità diversa
di leggerla che probabilmente è sottesa anche alla frase del v. 17 del Prologo. Fin qui abbiamo
infatti osservato come l’espressione del diverso parere interpretativo degli eventi venga collegato al
riferimento ad un passo della Torah. Gesù entra perfettamente, con i suoi ragionamenti, in questo
tipo di dialettica rabbinica. Non si pone cioè in contrapposizione con la Legge ma piuttosto si
distingue per un’interpretazione certamente diversa da quella praticata dalla classe dei capi e dei
farisei. Questa considerazione è fondamentale per una più profonda comprensione di 1,17, il
versetto citato all’inizio e da noi considerato fondamentale ma che a sua volta dipende
dall’interpretazione che se ne darà, come vedremo più avanti.
4.3. Legge nelle parole dei discepoli
Gv 1,45: Filippo annuncia a Natanaele l’incontro con Gesù «Colui del quale hanno scritto Mosè
nella Legge e i profeti, l’abbiamo trovato…». Manifesta la convinzione comune al NT che Gesù, il
figlio di Giuseppe, di Nazareth, sia colui che è stato annunciato dalle Scritture di Israele. Natanaele
rappresenta la cerchia degli ebrei in attesa di colui che le Scritture avevano annunciato.
L’indicazione di Gesù come “figlio di Giuseppe” è usuale tra il popolo. Qui si manifesta la
perplessità dello studioso delle Scritture che non trova collegamento alcuno con Nazareth,
problematica che del resto ritornerà più avanti nel Vangelo (6,42 dicevano: «Non è costui Gesù il
figlio di Giuseppe, di cui conosciamo il padre e la madre? Come può ora dire: "Sono disceso dal
cielo"?»). Il dubbio di Natanaele dovrà essere sciolto nell’esperienza, dall’incontro con Gesù.
4.3.Legge nelle parole dell’Evangelista
Gv 1,17: «Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di
Gesù Cristo».
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 48
Al termine del breve excursus sull’uso di nomos – Legge nel IV Vangelo, torniamo alla sua prima
ricorrenza, al termine del prologo (1,1-18). Infatti proprio l’interpretazione di questo versetto
sembra impostare proletticamente la questione del rapporto tra Gesù Cristo e la Legge mosaica
secondo l’evangelista. Molto dipende, evidentemente, da come si interpreta il parallelismo stabilito
dal versetto giovanneo tra la Legge (data da Mosè) e la grazia-verità (venute per mezzo di Gesù
Cristo). Si tratta di opposizione o di continuità?
La costruzione parallela del versetto è ben visibile soprattutto nel greco:
o[ti o` no,moj dia. Mwu?se,wj evdo,qh( h` ca,rij kai. h` avlh,qeia dia. VIhsou/ Cristou/ evge,netoÅ
Osserviamo innanzitutto come l’ o[ti iniziale collega il versetto al precedente di cui vuole essere
una spiegazione collegandosi all’affermazione: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e
grazia su grazia». L’espressione finale del versetto 16, di cui il 17 riprende il termine charis, risulta
di non immediata comprensione anche per la congiunzione che suona male nel periodo “e grazia su
grazia”. Bisognerà stabilire, per la nostra ricerca, come va tradotta la preposizione anti che ricorre
solo qui negli scritti giovannei: kai. ca,rin avnti. ca,ritoj\ “una grazia che risponde alla grazia”
ovvero “grazia su grazia”, oppure “grazia per grazia”? la spiegazione del succesivo v.17 infatti
dipenderà anche dalla comprensione che si ha dell’espressione di cui parliamo e a cui i termini del
nostro versetto, posti in parallelo, sembrano riferirsi. Schnackenburg rende l’espressione con
“grazia per grazia”: il kai iniziale non viene tradotto avendo valore esplicativo e non di
congiunzione, per cui sparisce la problematica espressione (almeno per la traduzione “e grazia su
grazia”)54
. Cita l’opinione di diversi studiosi contemporanei secondo i quali “i momenti della grazia
si susseguono senza interrompersi mai”.55
Sembra escludere che la frase intenda indicare una
maggiore abbondanza di grazia rispetto all’Antica Alleanza. Brown traduce l’espressione che ci
interessa con “amore in luogo di amore” dandole piuttosto un significato sostitutivo. Raggruppa i
diversi significati che le sono stati attribuiti nel corso dei secoli: sostituzione (la grazia/ di una
alleanza nuova in luogo dello del Sinai)56
; accumulazione (fondata su un uso filoniano della
preposizione anti che va appunto in tal senso)57
; corrispondenza (qui la traduzione sarebbe del tipo
“grazia per grazia” sulla base dell’interessante paragone tra la preposizione anti e l’espressione
ebraica kenegd - di fronte a - come si trova in Gn 2,28.30)
58.
La lettura sostitutiva di questa citazione della charis divina (corrispondente allo come
amore-misericordia dell’AT) non può non condizionare l’interpretazione del versetto successivo,
come si può leggere in alcuni commentari sopra citati o anche in Panimolle: l’hoti causale del v.17
richiama evidentemente l’effermazione del v. 16 sulla grazia ricevuta dai discepoli in sostituzione
del dono concesso precedentemente a Israele. L’autore in questione chiarisce tuttavia più avanti che
non si tratterà di un “superamento” in senso bruto, quanto piuttosto di un completamento e
perfezionamento.59
La costruzione parallela del v. 17 e le precedenti considerazioni sull’uso di nomos nel IV
Vangelo sembrano invece orientare nel senso del completamento piuttosto che della sostituzione o
addirittura dell’opposizione. Si osserva innanzitutto il parallelo creato tra i diversi membri delle due
54
Cf. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol I, 348 e la nota 178. 55
Ivi, 348s. 56
Così Origene, Cirillo di Alessandria, Crisostomo. 57
Cf. PHILO, De Posteritate Caini, 145; Il senso dell’accumulazione è inteso da diversi studiosi: Lagrange, Hoskyns, Bultmann, Barret, e in maniera particolare C.SPICQ, Dieu et l’homme, Paris, Cerf 1961,30-31. 58
Per la vicinanza all’espressione ebraica keneged cita P. Joüon e diversi studiosi che comunque
sostengono il senso della corrispondenza. Cf. BROWN, Giovanni, vol I, 23. 59
Cf. PANIMOLLE S., Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, vol. I, Dehoniane, Bologna 1999, 52s.
Appunti “Opera giovannea e lettere cattoliche” 2012-2013 p. 49
frasi. Al termine o` no,moj in 17a corrisponde la coppia di sostantivi h ca,rij kai. h avlh,qeia in 17b.
Abbiamo sopra osservato come o` no,moj venga usato per indicare la Scrittura di Israele come fonte
di rivelazione (1,45; 8,17; 10,34; 12,34; 15,25) e Mosè come l’autorità di riferimento. In particolare
la coppia di sostantivi “grazia e verità” vengono solitamente riportati all’espressione semitica
we’emet, il primo termine indica nell’AT l’amore-benevolenza di Dio che ha scelto gratuitamente
Israele eleggendolo come popolo dell’Alleanza, il secondo con fedeltà, possono essere ricondotti
all’espressione unitaria di “amore fedele” o di “benevolenza amorevole” e altre espresisoni simili. È
stato anche fatto osservare che in generale la traduzione dei LXX traduce con eleos ma già
si è ricordato sopra che non sempre Giovanni segue quella traduzione. La citazione della Legge è
unita al nome del legislatore di Israele che, con espressione semitica è colui che “ha dato” la Torah
(ebr. natan torah) a Israele da parte di Dio; a tale precisazione corrisponde la prima citazione
completa in Giovanni di Gesù – Cristo come colui per mezzo del quale è venuto l’amore e la verità.
Si pone in evidenza non tanto l’aver dato qualcosa da parte di Dio, ma un avvenimento, anzi
l’avvenimento salvifico definitivo che ha come mediatore il Gesù-Messia. È difficile sostenere sulla
base di queste osservazioni una lettura nel senso della sostituzione o anche della contrapposizione
se non partendo da un contesto di contrapposizione, come poteva avvenire effettivamente nello
scontro chiesa sinagoga alla fine del I sec. o in letture tradizionali nel solco della teologia della
sostituzione.
Il fatto che il versetto venga spesso considerato un’aggiunta dell’evangelista all’inno
pregiovanneo gli conferisce maggiore interesse ai fini della nostra indagine. Il IV evangelista ha
usato il termine “Legge” per indicare le Scritture come fonte di rivelazione, e Mosè rappresenta
l’autorità di riferimento per i giudei come per Giovanni. Mosè per incarico di Dio ha dato la Legge
e ha annunciato la venuta di un profeta. Gesù Cristo ne rappresenta il compimento. La realtà portata
da Cristo, la grazia e la verità, rappresentano la novità che proietta la sua luce anche sulla
interpretazione di quella stessa Legge mosaica, la “misericordia e verità” spesso citata nelle
Scritture di Israele. L’avvenimento di Gesù Cristo non è contestazione della Torah in quanto tale ma
della sua interpretazione nomistica da parte dell’autorità giudaica. L’intero vangelo mostrerà infatti
come a tale interpretazione Gesù è venuto ad opporsi portando nuova luce, non rigettando la Torah
e nemmeno nel rifiuto complessivo della tradizione giudaica ai cui canoni del resto si adegua
discutendo da buon maestro giudeo. In tal senso mi pare particolarmente significativo proprio la
pericope dell’adultera, nonstante i problemi di tipo testuale di cui si è detto.
Il versetto intende piuttosto mettere in evidenza il nuovo ed originale apporto di Gesù-Cristo per
la comprensione stessa della Legge data da Mosè.