prove d'europa: a vent'anni dal muro

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ro Badaloni, Giorgio Pressburge ni, Alfonso Di Leva, Andrea Fil ssamai, Michail Gorbachev, Lech áclav Havel, Axel Hartmann, Gi elis, Dimitrij Rupel, Adriano Bi zma, Riccardo Ehrman, Lucio C rcello Veneziani, Gianni Bisiach tvejevic’, Sergio Romano, Toni C ail Gorbachev, Lech Walesa, Vá l Hartmann, Gianni De Micheli el, Adriano Biasutti, Imre Kozma man, Lucio Caracciolo, Marcello anni Bisiach, Predrag Matvejevi ano, Toni Capuozzo, Piero Badal sburger, Roberto Collini, Alfons drea Filippi, Paolo Possamai, Gi usconi, Michail Gorbachev, Lech áclav Havel, Axel Hartmann, Gi elis, Dimitrij Rupel, Adriano Bi zma, Riccardo Ehrman, Lucio C rcello Veneziani, Gianni Bisiach tvejevic’, Sergio Romano, Toni C ro Badaloni, Giorgio Pressburge ni, Alfonso Di Leva, Andrea Fil Possamai, Gian Enrico Rusco

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Libro di presentazione e di riflessione sul ruolo che ha avuto il crollo del Muro di Berlino sulla creazione della nuova Europa. Presentato in occasione del Mittelfest 2009 di Cividale.

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Page 1: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Piero Badaloni, Giorgio Pressburger, Roberto Collini, Alfonso Di Leva, Andrea Filippi, Paolo Possamai, Michail Gorbachev, Lech Walesa, Václav Havel, Axel Hartmann, Gianni De

Michelis, Dimitrij Rupel, Adriano Biasutti, Imre Kozma, Riccardo Ehrman, Lucio Caracciolo, Marcello Veneziani, Gianni Bisiach, Predrag Matvejevic’, Sergio Romano, Toni Capuozzo,

Michail Gorbachev, Lech Walesa, Václav Havel, Axel Hartmann, Gianni De Michelis, Dimitrij

Rupel, Adriano Biasutti, Imre Kozma, Riccardo Ehrman, Lucio Caracciolo, Marcello Veneziani,

Gianni Bisiach, Predrag Matvejevic’, Sergio Romano, Toni Capuozzo, Piero Badaloni, Giorgio Pressburger, Roberto Collini, Alfonso Di Leva, Andrea Filippi, Paolo Possamai, Gian Enrico Rusconi, Michail Gorbachev, Lech Walesa, Václav Havel, Axel Hartmann, Gianni De

Michelis, Dimitrij Rupel, Adriano Biasutti, Imre Kozma, Riccardo Ehrman, Lucio Caracciolo, Marcello Veneziani, Gianni Bisiach, Predrag Matvejevic’, Sergio Romano, Toni Capuozzo, Piero Badaloni, Giorgio Pressburger, Roberto

Collini, Alfonso Di Leva, Andrea Filippi, Paolo Possamai, Gian Enrico Rusconi,

Page 2: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

MITTELFEST, Prove d’Europa1989 - 2009, dalla caduta del Muro alla nuova Europa

A cura di Antonio Devetag, Daniela Volpe, Paola Sain

Progetto graficoPunktone, Gorizia

TraduzioniBusiness Voice

SegreteriaNadia Cijan

Ufficio stampaVolpe&Sain Comunicazione

DistribuzioneMittelFest 2009 edizioni

StampaPoligrafiche San Marco, Cormons

ha collaborato l’Associazione Culturale èStoria di Gorizia

MITTELFEST 2009

CIVIDALE DEL FRIULI 18 / 26 LUGLIO 2009

Direzione ArtisticaFurio Bordon (Prosa)Claudio Mansutti (Musica)Walter Mramor (Danza)

Associazione MittelFestRegione Autonoma Friuli Venezia GiuliaProvincia di UdineComune di Cividale del Friuli

Ente Regionale Teatrale del Friuli-Venezia GiuliaBanca di Cividale S.p.ASocietà Filologica Friulana

Patrocinato daMinistero degli Affari EsteriCEI – Central European Initiative (Albania, Austria, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Macedonia, Moldova, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Ucraina, Ungheria e Italia)

PresidenteAntonio Devetag

Associazione MittelFestTel. +39 0432.730793 | [email protected] | www.mittelfest.org

Page 3: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro
Page 4: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

2008 . Orchestra Sinfonica del Friuli venezia Giulia

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Page 6: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

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2008 . Cantacronache

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2003 . Kagel

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Page 8: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

INDICE

Page 9: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

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La Nuova Europa e l’EuroregioneRenzo Tondo ..................................................................................................

Le chiavi del futuroAntonio Devetag ............................................................................................

Un Saluto al MittelFestMichail Gorbachev ........................................................................................

La lezione di Solidarność Lech Walesa ..................................................................................................

“Responsabilità europea, un progetto comune” Václav Havel .................................................................................................

Dalla caduta del Muro alla Riunificazione della Germania Axel Hartmann .............................................................................................

Il successo del MittelFest Gianni De Michelis ........................................................................................

Vent’anni dopo Dimitrij Rupel ................................................................................................

Da Alpe Adria alla nuova Europa Adriano Biasutti ............................................................................................

La questione ungherese Imre Kozma .............. ....................................................................................

Quel primo annuncio Riccardo Ehrman ..........................................................................................

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Page 10: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

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Quel Muro non dispiaceva agli europei Lucio Caracciolo ........................................................................................... L’ambigua lettura del Muro crollatoMarcello Veneziani ........................................................................................

La svolta di Gorbachev Gianni Bisiach ..............................................................................................

Un mondo “ex” Predrag Matvejevic’ .......................................................................................

Ma il “terremoto” continua Sergio Romano ..............................................................................................

1989, ricomincia la Storia Toni Capuozzo ..............................................................................................

Nostalgia del muro? Piero Badaloni ..............................................................................................

Vent’anni di MittelFest Giorgio Pressburger .......................................................................................

I segnali goriziani Roberto Collini ..............................................................................................

Uno sguardo al futuro Andrea Filippi ...............................................................................................

Nuova Europa, nuove opportunità Paolo Possamai ..........................................................................................

Quando la notizia abbatte il confine Alfonso Di Leva ..........................................................................................

Che cosa c’era dietro il Muro? Gian Enrico Rusconi ...................................................................................

Page 11: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

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2009 . Chiara Muti, Le baccanti

Page 12: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

12MITTELFEST / PROVE D’EUROPA

i sono avvenimenti, dei quali siamo

stati partecipi testimoni, che hanno

inciso una profonda emozione nel

nostro animo diventando parte

della nostra esperienza e della costruzione della

nostra memoria personale e collettiva.

I cittadini del Friuli Venezia Giulia, soprattut-

to se residenti nella parte orientale di questo

territorio, hanno percepito fisicamente e cultu-

ralmente la realtà ed il significato della “Cortina

di ferro” abbassata ai confini dopo la seconda

guerra mondiale. Hanno anche condiviso con

i loro rappresentanti politici ed istituzionali la

scelta di testimoniare la volontà di superare

quella pesante barriera, sia concreta che psicolo-

gica, dalla quale venivano conseguenze pesanti

anche sullo sviluppo economico e sociale.

Regione Ponte, Confini Aperti, erano parole che

hanno cominciato a significare e costruire tra la

gente una realtà nuova e le istituzioni le hanno

sapute tradurre nella concretezza di nuovi rap-

porti transfrontalieri.

Tra le diverse iniziative, spicca la Comunità di

lavoro Alpe Adria fondata nel 1978.

Si decise di definire “Comunità” un’area che

abbracciava territori di quelli che venivano

allora definiti i due blocchi: il mondo libero e il

mondo comunista. In questa regione si è creduto

nella capacità dei popoli di guardare al concre-

to, alle esigenze del vivere quotidiano e quindi

alla necessità di rapporti senza barriere.

Renzo TondoPresidente della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia

LA NUOVA EUROPAE L’EUROREGIONE

Page 13: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

13

Quando cadde il Muro di Berlino, il confine

orientale italiano era già considerato tra i più

aperti ed l’intensificarsi dei rapporti con le

Regioni mitteleuropee portò alla prima edizione

di MittelFest nel 1991, contemporaneamente

frutto, speranza e volontà di una nuova stagione

di convivenza e solidarietà tra popoli di questa

parte d’Europa.

Un nuovo processo di unificazione politica si era

avviato e, ai nostri confini, si è completato nel

2004 con l’ingresso della Slovenia nell’Unione

europea.

Oggi lavoriamo con nuovi strumenti al progetto

di un’Euroregione che trasformi gli ideali e la

cultura della pacifica convivenza nella quotidia-

nità dell’impegno su concreti progetti comuni a

beneficio dei nostri cittadini.

In questi anni abbiamo fatto davvero Prove

d’Europa, ora, dalla cultura alla politica, siamo

pronti a rendere i cittadini veri protagonisti

della nuova Europa.

2008 . The best of Image

Page 14: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

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2004 . Tutyila

Page 15: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

edizione 2009 del MittelFest si

aprirà con Antigone, murata viva

per avere voluto agire secondo

coscienza. Dai tempi del Mito

l’Europa frantuma il muro dell’oscurità con il

martello della Ragione.

E forse è questo incessante superarsi la cifra

più originale, realmente unificante della nostra

civiltà? Soltanto vent’anni fa l’Europa pietri-

ficata del dopoguerra, l’Europa dei confini che

sembravano fissati nell’eternità, ribaltò ancora

una volta il corso della Storia.

I popoli, per una volta alleati alla grande poli-

tica, spezzarono il Muro di Berlino e Cortina di

Ferro.

Si liberarono in un attimo tutti gli spiriti d’Occi-

dente, talvolta con il volto numinoso di Apollo,

spesso intrecciando passato e futuro in macabre

Totentanz.

L’Europa, ovvero il dramma della libertà e le

ragioni della cultura: scegliere tra Bene e Male

significa conoscere.

A Cividale, in straordinaria contemporaneità

con gli eventi e per una singolare convergenza

di ingegni, ragioni politiche e lungimiranza, nel

1991 fu creato MittelFest, che da allora dischiu-

de una finestra verso Est, allargando l’orizzonte

della nostra visuale a tante identità in cerca di

un fil rouge in cui riconoscere quella archetipi-

ca, in cui tutti, da Lisbona a Mosca, vorremmo

riconoscerci.

Tutto ciò che avvenne vent’anni fa attorno al

Muro di Berlino era stato preannunciato da

segnali importanti: le travature dell’Impero

sovietico scricchiolavano da quando Solgenitsin,

la cultura del dissenso, personaggi come Papa

Wojtyła, Lech Walesa, Václav Havel, avevano

intrapreso un’inarrestabile battaglia di verità,

scuotendo coscienze assopite o rassegnate.

Antonio DevetagPresidente di MittelFest

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LE CHIAVI DEL FUTURO

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA

Page 16: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Ma tutto cambiò in pochi mesi e nel 1991 ag-

giornammo le carte geografiche dell’Europa se-

gnando con gioia e curiosità i nomi delle nuove

Nazioni. La terza grande componente culturale

della triade, quella slava, fino ad allora ingrigita

e oppressa dal regime comunista, rientrava al

posto che le spetta da sempre accanto a quelle

latina e germanica. Slovenia, Croazia, Cechia,

Slovacchia, Ucraina... la nuova storia, la Nuova

Europa.

Eppure anche questa Nuova Europa, uscita

dalle macerie del comunismo, è inedita, so-

vrabbondante di energia creativa in quelle sue

propaggini orientali in cui non esiste timore di

confronti - talvolta sfrontati, spavaldamente

impudici, trasgressivi - con l’Altro.

Un’altra Europa ancora poco conosciuta ancora

vergine dai tabù di quel politically correct che

sembra divenuta la cifra noiosa del global way

of life.

I vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, e

gli scenari europei e mondiali che da allora si

sono delineati non potevano essere trascurati da

Mittelfest: il Friuli Venezia Giulia, regione che

ospita e promuove il festival, contribuì in modo

notevole a quella svolta epocale, con iniziative

di rilievo internazionale, come la istituzione

della Comunità Alpe-Adria, concreto apripista

di nuove relazioni Est-Ovest, e una fitta serie di

contatti interregionali e internazionali.

Sul palcoscenico di Mittelfest sono passate in

questi anni le più interessanti voci della musi-

ca, della prosa, della danza di diciotto nazioni:

Slovenia, Albania, Austria, Bielorussia, Bosnia

ed Erzegovina, Bulgaria, Repubblica Ceca,

Croazia, Macedonia, Moldova, Montenegro,

Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Ucraina,

Ungheria.

E per l’edizione 2009 l’area di interesse sarà

estesa in modo specifico alla Russia e alla Ger-

mania.

Attorno al ricordo e alle riflessioni sparse e

autorevoli intorno al ventennale dalla caduta

del Muro, MittelFest 2009 ha incardinato questa

pubblicazione, raccogliendo riflessioni, memo-

rie e contributi su quello storico evento e sulle

conseguenze geopolitiche che, dal 1989 ad oggi,

si sono prodotte.

Personalità culturali, giornalisti impegnati da

tempo su questo terreno di riflessione e diversi

protagonisti di quel cambiamento epocale hanno

concorso a realizzare questa pubblicazione.

Troverete in questo libro, che ci sembra prezio-

so, il ricordo e l’onda lunga di quei giorni nelle

parole di molti protagonisti, così come, nelle

riflessioni di editorialisti e commentatori, le con-

siderazioni e le analisi sul portato della caduta

del Muro in direzione della costruzione di una

“nuova Europa”.

MittelFest quale occasione o tentativo di rianno-

dare i fili sparsi delle varie culture europee, alla

ricerca delle radici del nostro pensiero, che da

Sofocle a oggi sempre ritornano. E si riconosco-

no sorprendenti nella loro inconscia familiarità

nella cornice magica di Cividale.

16MITTELFEST / PROVE D’EUROPA

Page 17: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

17Il Muro di Berlino

Page 18: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

18

2009 . Sutra

Page 19: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro
Page 20: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

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Page 21: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

PROVE D’EUROPAI PROTAGONISTI

Michail GorbachevLech WalesaVáclav Havel

Axel HartmannGianni De Michelis

Dimitrij RupelAdriano Biasutti

Imre KozmaRiccardo Ehrman

Page 22: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

22

2007 . Le ceneri di Gramsci

Page 23: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

23

UN SALUTOAL MITTELFEST

Michail Gorbachev

Michail Gorbachev | «Oggi, l’unico punto fermo è che tutto si muove», amava sostenere Mikhail Gorbachev. E nessuno più di lui contribui’ a sostenere questo emblematico aforisma sin da quando, nel marzo del 1985, fu eletto Segretario Generale del Comitato Centrale del Partito Comunista Sovietico, l’incarico più alto nella gerarchia di partito e nel paese. Fu Gorbachev ad avviare il processo di cambiamento dell’Unione Sovietica che sarà definito “Perestroika”, una radicale trasformazione della società e del paese, che genera un sostanziale mutamento nello scenario internazionale: un nuovo sistema di pensiero associato al nome dello statista, che si rivelò fondamentale nel porre fine alla Guerra Fredda, arrestando la corsa agli armamenti ed eliminando il rischio di un conflitto nucleare. Il 15 marzo 1990 Michail Gorbachev fu eletto Presidente dell’Unione Sovietica. Il 15 ottobre dello stesso anno gli venne assegnato il Premio Nobel per la Pace, a riconoscimento del suo fondamentale ruolo di riformatore e leader politico mondiale. Il 25 dicembre 1991 Gorbachev rassegnò le sue dimissioni da Capo dello Stato. Dal gennaio del 1992 è Presidente della Fondazione Internazionale Non-Governativa per gli Studi Socio-Economici e Politici, the Gorbacev Foundation.

Page 24: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

24

Purtroppo non posso partecipare con voi a

questo evento sempre suggestivo, emozionante

e, cosa più importante, ricco di contenuti.

È ancora più significativo che tale

manifestazione si svolga nelle attuali condizioni

di crisi, che coinvolgono tutti i Paesi. La crisi

economica, però, è solo la punta di un iceberg.

Le sue radici sono insite in quel modello di vita

che alcuni paesi hanno scelto da soli, mentre ad

altri invece è stato imposto.

Il mondo necessita di cambiamenti

radicali, di nuove idee, di amministrazioni che

siano adeguate alle sfide di un mondo globale.

Oggi come non mai è decisivo il ruolo della

cultura e dell’arte per la risoluzione di questi

problemi.

Io approvo pienamente l’iniziativa

dei nostri amici italiani, che hanno fondato e

realizzato il progetto MittelFest.

Particolare importanza a questo progetto è data

dal fatto che ricorre nel 20esimo anniversario

della caduta del Muro di Berlino.

Il Muro che ha significato la scissione della

Germania, che è stato il simbolo dell’Europa e

del mondo divisi. Un muro che è passato alla

storia.

Ma con grande dispiacere ancora oggi persistono

molti muri: della diffidenza, della sfiducia tra i

ricchi e gli svantaggiati, tra l’uomo e la natura.

E più ancora i muri che si frappongono tra la

mente e il cuore delle persone.

I partecipanti a MittelFest, con l’attività

creativa e con il loro impegno civile aiutano le

persone ad infrangere questi muri di diffidenza

e sfiducia.

Michail Gorbachev

Mosca, 11 giugno 2009

Agli organizzatori e ai partecipanti del festivalMittelFest 2009.Innanzitutto vorrei portare i miei saluti agli organizzatori del festival internazionale MittelFest 2009, che si terrà in Friuli Venezia Giulia.

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 25: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

25

2008 . The best of Image

Page 26: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

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LA LEZIONE DI SOLIDARNOŚĆ

Lech Walesa

Lech Walesa | Sindacalista e politico polacco, Lech Walesa iniziò a lavorare nei cantieri navali Lenin nel 1967, per un contrattempo: la sua meta era infatti la città di Gdynia, e solo per un imprevisto contingente si era dovuto fermare a Danzica, dove si impose all’attenzione dei colleghi e dell’intera Polonia fondando il movimento sindacal-politico Solidarność, da allora punta di diamante della rivolta operaia. Nel 1983 gli fu conferito il Premio Nobel per la pace, ma non potè ritirarlo personalmente perchè il Governo non lo avrebbe lasciato rientrare in patria. Sua moglie Danuta lo ritirò al suo posto. Arrestato e poi liberato qualche anno dopo, Walesa continuò ad imprimere una marcia vittoriosa al sindacato, fino a giungere alle libere elezioni nel 1990 nelle quali risultò vincitore. Durante la sua presidenza, fino al 1995, la Polonia cambiò radicalmente: da Paese comunista, oppresso dallo stretto controllo sovietico e con una debole economia, divenne un Paese indipendente e democratico con un’economia di mercato in rapida crescita. Negli anni successivi Walesa si ritirò dalla politica, ma è tuttora un riferimento prezioso, a livello internazionale, con l’attività promossa dalla Fondazione internazionale a lui intitolata.

Page 27: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Per ricordare e valutare gli ultimi 20 anni di libertà e democrazia nella nostra parte d’Europa, bisogna guardare molto indietro e individuare il vero inizio dei cambiamenti. Tutto è cominciato nel 1980 nel cantiere navale di Danzica... Per la prima volta, sotto l’unica bandiera di

Solidarność si incontravano operai, intellettuali,

agricoltori, studenti, giovani, vecchi, credenti e

non credenti. Da quel momento camminavamo

insieme.

Durante le rivoluzioni precedenti in Polonia,

quella del 1956, del 1968, del 1970 e del 1976,

combattevano o gli operai, o gli intellettuali o

gli studenti. Non si è mai riusciti ad unire tutti

per camminare insieme nella stessa direzione.

Questo processo è stato avviato da Solidarność,

che ha cambiato tante altre cose. Era un

movimento che cercava di ottenere cambiamenti

pacifici attraverso il dialogo. Credeva nel

lavoro organico, paziente, e non solo nelle

dimostrazioni di piazza. Dopo le esperienze

dolorose, soprattutto quelle del 1970, quando,

durante le manifestazioni, i comunisti hanno

ucciso decine di operai innocenti, ho capito che

bisognava combattere diversamente, cercando

tattiche e piani diversi; questo approccio ha

dato, dopo diversi anni, i risultati desiderati.

Solidarność è sempre stato dalla parte dei più

deboli, ha combattuto per la dignità umana,

per i diritti delle persone comuni, per il pane,

per il lavoro e per la democrazia. Così abbiamo

superato i difficili anni 80 convivendo con lo

stato maggiore militare, che ha fatto crollare

tanti e ci ha reso più deboli. E’ arrivato

l’anno 1989, Solidarność non era più lo stesso

movimento di massa di dieci milioni di persone

come agli albori degli anni 80 e nonostante ciò,

ancora una volta, siamo riusciti a riscattarci

e a spalancare le porte per la libertà e la

democrazia in Polonia.

Sono trascorsi 20 anni da quegli avvenimenti.

Il 4 giugno del 1989 abbiamo fatto un passo

enorme verso la democrazia e la libertà,

inaspettatamente poi rafforzato attraverso la

creazione della Tavola Rotonda.

Spronati dalla vittoria alle elezioni si

27MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 28: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

28prospettavano altri cambiamenti, sfruttando

la sorpresa dei comunisti. Qualche mese dopo,

nel Parlamento polacco prendeva la parola il

primo premier non comunista ad est del fiume

Laba! Quindi, scardinare la porta socchiusa

della libertà è stata una giusta operazione.

La libertà è diventata contagiosa. I dadi sono

cominciati a cadere. Con la nostra vittoria si è

creato un effetto domino che ha portato radicali

cambiamenti in questa parte dell’Europa e del

mondo, contribuendo alla caduta del Muro di

Berlino. Per Solidarność non c’erano confini.

Questa è stata la sua e la nostra forza.

Solidarność non dovrebbe avere confini

soprattutto oggi, in un periodo totalmente

diverso da allora, che impone nuove grandi

sfide, sconosciute decine di anni prima.

Solidarność, pero, deve rimanere lo stesso, con il

suo motto universalmente riconosciuto. Bisogna

ricordarlo, e far sì che non venga dimenticato.

Soltanto in questo modo possiamo sfruttare

una chance storica per l’Europa e per il mondo.

Una chance che raddoppia la possibilità di

creare un nuovo mondo, dopo la guerra fredda.

Oggi viviamo nell’epoca dei vasi comunicanti,

la fortuna di un Paese dipende dalla fortuna

del Paese vicino, così come le sue disgrazie.

Solo collaborando, possiamo sfruttare questa

possibilità completamente e a lungo termine.

Sarebbero un male per tutti l’egoismo e la

lotta per gli interessi particolari. Oggi notiamo

che l’Unione Europea è spesso distratta dagli

interessi personali dei suoi membri, ci si basa

su tattiche e la burocrazia assume un ruolo

importante. Questo quadro d’insieme può far

perdere di vista gli obiettivi di unità, oscurati

dai problemi quotidiani.

Possono venirci in aiuto le idee e i valori intorno

ai quali ci riunivamo contro il comunismo;

i valori intorno ai quali da decine di anni si

costruisce un’idea per una sicura e proficua

coesistenza dei Paesi e dei popoli. All’epoca

della guerra fredda, si parlava di rivalità

e di confronto: una visione che derivava

dall’opposizione dei due blocchi nemici. Oggi

dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare.

Bisogna credere nello spirito di collaborazione

e di solidarietà. Ogni tanto mi sembra che,

per realizzare tutto questo, ci vogliano nuove

generazioni. Ascoltando i pensieri e le idee dei

nostri figli e nipoti appare chiaro che per loro è

tutto più facile. Partono da un altro porto.

Purtroppo, la maggior parte della nostra

generazione è ferma all’epoca precedente. Si

parla molto di globalizzazione e di integrazione

europea, ma non c’è un pensiero globale né un

programma consequenziale per tutti. Si agisce

sempre seguendo i vecchi metodi, che non

portano da nessuna parte. Questo approccio ci

spinge a galleggiare e non a veleggiare. Ognuno

si occupa solo dei problemi nazionali, la Francia

dei suoi, l’Italia dei suoi, la Polonia allo stesso

modo; così viene a mancare la solidarietà.

Quella solidarietà che grazie all’aiuto degli

amici dell’Europa democratica, ha portato

noi polacchi a conquistare in modo pacifico la

libertà, insieme ad altri popoli oppressi.

Credo che Solidarność potrà unire anche

le future generazioni come una memoria

storica di valore sempre attuale. Solidarność

ci potrà aiutare anche a risolvere i problemi

e i dubbi, che, purtroppo, ritornano sempre

sull’evoluzione dell’Europa e del mondo.

Credo che con Solidarność potremo cambiare e

migliorare il mondo di oggi come abbiamo fatto

20 anni fa. Auguro a tutti noi di avere la forza

per seguire questa strada, sulla quale ci potremo

sempre incontrare. Lo dobbiamo al mondo, a

noi stessi e alle future generazioni.

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 29: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

2006 . Femmine

29

Page 30: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

“RESPONSABILITÀ EUROPEA, UN PROGETTO COMUNE”

Václav Havel

Václav Havel | Scrittore, drammaturgo e politico ceco, è stato l’ultimo presidente della Cecoslovacchia ed il primo presidente della Repubblica Ceca. Sull’onda della repressione seguita alla fine della Primavera di Praga nel 1968 fu bandito dal teatro e iniziò un’intensa attività politica, culminata con la pubblicazione del manifesto Charta 77. Dopo la creazione della Repubblica Ceca, Havel si candidò alla presidenza nelle elezioni del 26 gennaio 1993, risultando eletto. Nonostante le precarie condizioni di salute e tre interventi chirurgici è stato rieletto nel 1998. La sua presidenza fu caratterizzata da un orientamento politico anti-comunista di destra moderata e liberale, favorevole ad un’economia di mercato e filo-americano. Havel fu, infatti, il principale sostenitore dell’entrata della Repubblica Ceca nella NATO, avvenuta il 12 marzo del 1999, nonché dell’intervento dell’Alleanza nella guerra del Kosovo del 1999. Havel lasciò la carica dopo il secondo mandato come presidente della Repubblica Ceca, il 2 febbraio 2003

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Page 31: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

31Ci sono persone a Lipsia, Dresda e Berlino che hanno pregato per me quando ero in prigione e gliene sarò per sempre grato. Sapevamo tutti, o perlomeno lo sentivamo, che se la Cortina di Ferro fosse un giorno caduta sarebbe caduto anche il Muro di Berlino e viceversa: se il Muro cadeva, cadeva anche la Cortina. Ed è proprio quanto è accaduto: non

dimenticherò mai il modo in cui la gente

di Praga portava il tè ai cittadini dell’ex

Repubblica Democratica Tedesca, accampandosi

a centinaia nel giardino dell’ambasciata

praghese della Repubblica Federale di

Germania, ed anche il modo entusiasta in cui

salutavano quando gli autobus riportavano quei

tedeschi nella Germania dell’Ovest. Quando

vidi tutto ciò, mi fu chiaro, e lo fu anche al mio

Paese, che non avremmo dovuto attendere molto

tempo per vedere altri cambiamenti.

E infatti è immediatamente seguita la

rivoluzione di novembre. Arrivò all’incirca

nello stesso momento in cui cadeva il muro

tra i tedeschi, e le piazze grandi e piccole delle

città della Repubblica Democratica Tedesca si

riempivano di gente. Gli ideali che i cittadini

Sassoni e quelli Cechi sottoscrissero quei

giorni, nelle loro piazze, erano gli stessi: libertà,

democrazia, legalità e coesistenza civile. Anche

l’atmosfera delle nostre piazze era simile:

condividevamo lo stesso tipo di speranza, la

stessa prontezza a farsi avanti in nome di una

causa comune, abbiamo condiviso la solidarietà

ed il desiderio di capirsi reciprocamente. Come

conseguenza, le autorità della Repubblica post-

novembre sono state tra le prime in Europa

a sostenere l’idea della riunificazione della

Germania.

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 32: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

32

Credo che molti semplici, ma meritori

esempi di cooperazione tra Cechi e Sassoni,

inclusa l’intensa collaborazione delle

comunità accademiche, abbiano le loro radici

parzialmente, o forse prevalentemente, nella

reciproca comprensione che scaturisce da una

condivisa esperienza storica.

Spesso mi chiedo perché una persona

aiuta un’altra persona, un Paese aiuta un

altro Paese, un continente aiuta un altro

continente. La spinta emozionale, un moto

di compassione o solidarietà non offrono una

spiegazione compiuta. C’è molto di più. Forse

è la responsabilità che rende davvero umano

un essere umano. La coscienza, il senso di

responsabilità per ciò che è oltre me stesso, oltre

il mio mondo e non mi lascia affatto indifferente

sono direttamente correlati all’animo umano ed

alla consapevolezza di sé. La moderna filosofia

ha espresso questo legame molte volte ed in

molti modi, tuttavia è importante ribadirlo.

Non possiamo essere indifferenti agli

avvenimenti che accadono ad altre latitudini del

pianeta e, per capirli, dobbiamo considerarne

le diverse dimensioni: quella morale, spirituale,

filosofica, nonché quella meramente pratica.

Il lavoro di sviluppo che permette ai Paesi

di acquisire e consolidare consapevolezza e

identità nel lungo termine, è difficile, ingrato e

a volte apparentemente infinito. Ma per l’UE, la

Cooperazione allo Sviluppo è una competenza

unica, che può avere effetti di vasta portata

e attraverso la quale possiamo dimostrare di

voler utilizzare la nostra influenza in maniera

Dall’intervento per Project Voice e dalla conferenza tenuta all’Università di Dresda

responsabile. Per questo abbiamo davanti a

noi un’occasione rara, dentro e fuori dai nostri

confini.

L’influenza dell’Europa, passata e presente, sui

cittadini e le società di tutto il mondo è stata

profonda. Nonostante l’ambiguità di molti suoi

valori, per secoli e in modi diversi, l’Europa ha

promosso valori culturali e sistemi di governo

oltre i propri confini. Per questa ragione, se non

per altre, deve agire con responsabilità quando

guarda al futuro; deve unificare, rafforzare e

sviluppare, in modo che la società globale ne

risulti arricchita.

Sono certo che l’Europa abbia una

responsabilità sempre più rilevante e che

questa responsabilità vada assunta anche dai

nuovi Stati membri, Paesi che hanno lottato

a lungo per essere parte dell’Unione europea,

partner legittimi a pieno titolo di coloro che

godono della democrazia da tempi più remoti;

questi Paesi non devono dimenticare che con

la loro appartenenza non hanno accettato solo

diritti e privilegi, ma altresì una parte della

responsabilità dell’Europa.

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 33: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

33

Axel Hartmann | Console Generale della Repubblica Federale di Germania a Milano da luglio 2006, con ufficio di competenza per il Nord Italia, ha compiuto gli studi accademici presso la facoltà di giurisprudenza delle Università di Gottinga e Würzburg. Già assistente scientifico e docente incaricato di diritto internazionale presso l’Università di Würzburg, nel 1978 diventa relatore di politica tedesca e di sicurezza presso la centrale federale della CDU a Bonn; collaboratore di Manfred Wörner. Nel 1980 entra in servizio per il Ministero Federale degli Affari Esteri della Germania Ovest; nel 1989 è capo aggiunto presso l’Ufficio Ministeriale del Capo della Cancelleria, il Ministro Federale Rudolf Seiters; in questo ruolo, nei mesi che segnano il crollo della DDR e l’avvio dell’unità tedesca, prende attivamente parte alle questioni tecniche e di coordinamento dei dipartimenti federali e della pianificazione politica. Successivamente prosegue i suoi incarichi di rilievo diplomatico nazionale, fino alla nomina a Console Generale per il Nord Italia.

DALLA CADUTA DEL MURO ALLA RIUNIFICAZIONE DELLA GERMANIA

Axel Hartmann

Page 34: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Il 9 novembre 1989 cadde, in maniera del tutto inattesa, il Muro di Berlino. Negli anni precedenti si era verificato un lento

processo di declino dell’assetto stabilito dal

Patto di Varsavia, che aveva preso avvio in

Polonia nel 1980 con il movimento Sindacalista

Solidarność, moralmente appoggiato da Papa

Giovanni Paolo II. In seguito, la stagione di

rinnovamento inaugurata in Ungheria ed

Unione Sovietica – che Michail Gorbachev si

impegnò a riformare dal 1985 – sfociò nella

DDR nelle cosiddette “Dimostrazioni del

lunedì”, con le quali centinaia di migliaia di

cittadini, nell’autunno del 1989, reclamarono

libertà, diritti umani e democrazia, riuscendo

infine a prevalere sul regime comunista.

In seguito all’apertura dei confini ungheresi per

i cittadini provenienti dalla DDR, avvenuta il

10 settembre 1989, il Muro aveva perduto sia

a Berlino che lungo il confine tedesco la sua

funzione di separazione, in quanto la Cortina

di Ferro – definizione con la quale Churchill

aveva indicato la divisione dell’Europa già nel

1946—era in fase di smantellamento. Ma anche

l’assetto stabilito negli anni del dopoguerra,

il sistema di Jalta e Postdam e la situazione

di conflittualità tra Est ed Ovest, che aveva

contraddistinto la politica europea, svanirono

improvvisamente, quasi da un giorno all’altro.

Una grande tensione regnava in Europa quelle

settimane: il vecchio sistema di coordinate

politiche si era dissolto, e nessuno sapeva

cosa sarebbe accaduto in seguito. Non

mancarono tentativi di infiammare il dibattito

sulla riunificazione tedesca: da Israele, Gran

Bretagna, Francia, Paesi Bassi e anche Italia

giungevano commenti critici. Fu l’allora

Presidente degli Stati Uniti George H. W.

Bush a dichiarare ufficialmente per primo

che spettava unicamente al popolo tedesco

la decisione di un’eventuale riunificazione,

non appena fosse stata chiarita la situazione

internazionale. Con sorpresa di molti, il Primo

Ministro spagnolo Felipe Gonzales, all’inizio

del dicembre 1989, appoggiò al Consiglio

Europeo di Strasburgo il Cancelliere Kohl con le

medesime argomentazioni, schierandosi contro

gli oppositori alla riunificazione.

Nei mesi seguenti, i cittadini della DDR si resero

protagonisti di avvenimenti ormai irreversibili:

ottennero libere elezioni, che portarono, il 14

marzo 1990, all’insediamento del primo regime

democratico nel paese, mentre il 23 agosto

34

Page 35: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

1990 il Parlamento votò a grande maggioranza

l’adesione alla Repubblica Federale Tedesca.

Tutto ciò avvenne senza violenza: si trattava

della prima rivoluzione pacifica della storia della

Germania.

In pochi mesi furono stipulati diversi

accordi finalizzati all’unificazione economica

e monetaria, e si procedette inoltre

all’implementazione di un procedimento di

allineamento legislativo. Il sistema di economia

pianificata, finanziariamente dissestato e

moralmente compromesso, venne smantellato, e

la DDR, governata da una libera Costituzione,

fu inserita in un contesto di economia sociale di

mercato. Un processo che non ha eguali nella

storia moderna.

Per stabilizzare la situazione di fluttuazione

internazionale, il Cancelliere Kohl garantì ai

partner europei che la Germania non avrebbe

mai più intrapreso un percorso indipendente,

ma sarebbe rimasta integrata nel contesto

dell’Unione. Tale rafforzamento dell’unità

europea trovò espressione nella configurazione

introdotta dal trattato di Maastricht del

1992. Anche l’avvento dell’Euro può pertanto

essere considerato come una conseguenza

dell’unificazione tedesca: la riunificazione delle

due Germanie e l’Unione Europea sono due

facce della stessa medaglia o, per meglio dire,

moneta.

In sedici anni di riunificazione, la parte orientale

del nostro paese ha compiuto notevoli progressi.

Più di 250 miliardi di euro sono stati convogliati

verso la Germania Est, che dispone oggi di

moderne infrastrutture, nuove autostrade

e numerose imprese altamente produttive;

ciò è stato possibile grazie all’iniziativa

della popolazione, ma anche in seguito agli

investimenti effettuati da grossi gruppi

industriali, provenienti anche dall’Italia.

Tuttavia, in seguito all’espansione verso est

dell’Unione Europea e agli effetti dei processi

di globalizzazione in atto, anche la Germania

orientale ha dovuto fronteggiare una situazione

di forte competizione, che può essere superata

solo grazie all’elevata qualità dei suoi prodotti.

Nonostante il tessuto economico di alcune

aree dei nuovi Länder sia caratterizzato da

problematiche come la disoccupazione e

l’emigrazione dei giovani, il bilancio della

riunificazione rimane comunque positivo, grazie

agli indubbi benefici apportati ai cittadini della

ex-DDR.

35MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 36: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

36

2008 . Test / Danza verticale

Page 37: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

37

Gianni De Michelis | Esponente di spicco del Psi ai tempi di Craxi, è stato più volte ministro: delle Partecipazioni statali (dal 1980 al 1983), del Lavoro (nel 1986), degli Affari Esteri (dal 1989 al 1992), nonché vicepresidente del Consiglio dei Ministri (1988-1989). Segretario nazionale del Nuovo PSI (2001-2007), alle elezioni europee del 2004, è stato eletto deputato del Parlamento europeo. Nel 2007 ha aderito alla Costituente del Partito Socialista. Quale Ministro degli Esteri, si trovò ad affrontare l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq il 2 agosto 1990. Fu uno dei fondatori dell’iniziativa Pentagonale, all’origine dello stesso MittelFest. Nell’aprile 1991 Andreotti, alla guida del suo VII Governo, riconfermò De Michelis al Ministero degli Affari Esteri. E’ stato Parlamentare europeo dal 2004 al 2009.

IL SUCCESSODEL MITTELFEST

Gianni De Michelis

Page 38: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Il MittelFest rappresenta il risultato migliore e più duraturo dell’iniziativa diplomatica che l’Italia svolse negli anni tumultuosi e drammatici che segnarono la fine della Guerra Fredda. Nel corso del 1989 infatti, mentre dalla Polonia

all’Ungheria si moltiplicavano i segni della

disgregazione dell’Impero Sovietico e dei regimi

che nel secondo dopoguerra avevano imposto

la dittatura comunista nei Paesi dell’Europa

Orientale, l’Italia, assieme all’Austria, ma con

un ruolo prevalente, che derivava dalla duplice

appartenenza alla NATO e alla Comunità

Europea, moltiplicò gli sforzi volti ad offrire

una sponda formale ai Paesi, che stavano

modificando la loro situazione interna, anche al

fine di cominciare a creare le premesse affinché

la logica dell’integrazione potesse prevalere su

quella della disintegrazione.

Il primo Paese dell’Europa Orientale, a

cui ci rivolgemmo, fu l’Ungheria, ma,

devo ammetterlo, eravamo convinti che le

soddisfazioni maggiori ci sarebbero venute dalla

Jugoslavia, che, in quel momento, sembrava

presentare il vantaggio del sistema politico

sociale più vicino a quello occidentale e che con

il governo Markovic-Loncar sembrava parlare il

nostro medesimo linguaggio politico.

E fu così che con una tempestività che ebbe del

miracoloso, fummo in grado, già nel corso del

1989, e più precisamente il 10 novembre, di

arrivare a porre la firma a Budapest sul trattato

che istituiva un accordo di cooperazione e di

integrazione, che passò alla storia sotto il nome

di Quadrangolare.

La tempestività fu tale che la firma dell’accordo

coincise con la caduta del Muro di Berlino (per

la precisione la cerimonia ebbe luogo il giorno

dopo ed io stesso ricevetti la notizia dal mio

collega tedesco Ministro Genscher subito dopo il

mio arrivo a Budapest) e anticipò addirittura la

fine del comunismo in Bulgaria, Cecoslovacchia

e Romania.

Ci mettemmo subito al lavoro con il duplice

obiettivo di allargare la partecipazione al resto

dell’Europa Orientale e di rendere possibile

delle attività concrete da attuare in comune,

al fine di suturare la ferita semisecolare

38

Page 39: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

rappresentata dalla Cortina di Ferro.

Ricordo che fin dall’ora ebbi a definire la

Quadrangolare (che l’anno dopo si trasformò

in Pentagonale e nel 1991 in Esagonale

con l’adesione di Cecoslovacchia e Polonia)

come una struttura provvisoria (una sorta di

impalcatura da smontare una volta completata

la costruzione) destinata a scomparire via via

che i suoi membri orientali sarebbero stati

annessi in quella che era destinata a diventare

(proprio in quegli anni con il trattato di

Maastricht) l’Unione Europea.

In un certo senso anticipammo tutti nella

direzione di quello che poi chiamammo

l’allargamento, precedendo addirittura il

primo passo concreto in quella direzione e cioè

l’Unificazione Tedesca, che avvenne solo un

anno dopo.

Certo, ci furono anche gli incidenti di percorso

e il dramma juogoslavo ne fu l’esempio più

drammatico.

Questo non ci distolse dall’intensifìcare gli

sforzi nella direzione di azioni integrative e ciò

ci spinse anche e soprattutto nella direzione del

dialogo tra le culture e per questa ragione tra

le iniziative che prendemmo in considerazione,

grazie anche al contributo di molti intellettuali

del Nord-Est, ci fu l’idea di organizzare un vero

e proprio festival culturale della Mitteleuropa,

cioè qualcosa che sottolineasse il recupero di una

dimensione culturale (corrispondente all’area

adriatico-danubiana o, se vogliamo, all’impero

asburgico), che era stata distrutta dalle vicende

politiche della seconda metà del 900.

E fu così che, se non ricordo male, nel luglio

del 1991, a Cividale venne inaugurata la

prima edizione del MittelFest, alla presenza,

non a caso, del Presidente della Repubblica

Italiana Francesco Cossiga e di quella del

Primo presidente espressione della ritrovata

democrazia Ungherese Árpád Göncz, tra l’altro

intellettuale ed autore di teatro.

Sono passati diciotto anni e il MittelFest

è più vivo che mai ed è diventato a buon

diritto un protagonista della vita culturale

europea; nel frattempo l’Unione è passata

da 12 a 27 membri e ciò nonostante anche

la Quadrangolare continua a svolgere le sue

funzioni, pur sempre provvisorie, essendosi

trasformata in Iniziativa Centro Europea

(con 18 Paesi Membri) essendosi dotata di

una dimensione parlamentare, nonché di un

Segretariato Permanente significativamente

collocato a Trieste.

Per fortuna la ricucitura delle cicatrici del XX

secolo è cominciata dalla cultura!

39MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 40: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

VENT’ANNI DOPO

40Dimitrij Rupel

Dimitrij Rupel | Dimitrij Rupel è nato nel 1946 a Lubiana. Nel 1976 si è laureato in sociologia alla Brandeis University di Boston (USA) nel 1980 è diventato docente, nel 1990 Professore Ordinario presso la Facoltà di sociologia all’Università di Ljubljana (FSPN). E’ cofondatore e coeditore della rivista Nova revija, uscita per la prima volta nel 1982, in cui nel 1987 uscì – nel famoso numero »57« - Prispevki za slovenski nacionalni program. L’uscita di questo numero significò un confronto con l’organizzazione politica e nazionale jugoslava. Le autorità comuniste rimossero Rupel dal suo incarico, ma non poterono arrestare il movimento democratico. All’inizio del 1989 Rupel istituì il partito Slovenska demokratična zveza che vinse le elezioni del 1990 assieme agli altri partiti non comunisti della coalizione (Demos), mentre nel 1991 raggiunse l’indipendenza della Slovenia. Dimitrij Rupel fu Ministro degli Esteri per i primi due governi democratici (1990-1993), deputato all’ Assemblea nazionale (1992-1994), sindaco di Lubiana (1994-1997), ambasciatore a Washington (1997-2000), dopodiché fino al 2008 – tranne alcune brevi interruzioni – ricoprì l’incarico di Ministro degli Esteri nei governi di J. Drnovšek, A. Rop e J. Janša. Nel 2005 Rupel fu a capo della Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), nel primo semestre del 2008 fu invece presidente del Consiglio dell’UE. Rupel ha pubblicato oltre a centinaia di articoli 36 libri, tra cui 16 opere letterarie. Ha da poco terminato il romanzo Predsednik ali Tako, kot je bilo.

Page 41: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

L’anno 1989 ha avuto inizio - se non erro - già nel 1975 con l’Atto conclusivo di Helsinki ovvero con l’inizio della Conferenza sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa (CSCE), evolutasi in seguito nell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). L’Atto di Helsinki, nonostante avesse limitato

il concetto dell’autodeterminazione dei popoli,

lo attualizzò, risvegliando così l’interesse per i

diritti umani e scatenando gli sconvolgimenti

politici nell’ Europa centrale e orientale,

compresa la Jugoslavia e l’Unione Sovietica.

Nel 1975 è uscito, in seguito a diverse serie

complicazioni, anche il mio romanzo Hi

kvadrat, che trattava la polemica con il regime

e soprattutto con l’Armata popolare jugoslava,

la quale - com’è ben noto – svolse il ruolo

principale nell’ultimo tragico atto del dramma

jugoslavo iniziato con la caduta del Muro di

Berlino e protrattosi per un intero decennio.

La Jugoslavia celava molto bene i propri difetti

negli anni settanta e - similmente agli altri Paesi

Ex-Comunisti - investì molto in un’immagine

Lubiana, 4 giugno 2009

forte e tenace. Quegli anni venivano chiamati

anni di ferro e addirittura periodo della

restalinizzazione. Negli anni Ottanta la

disciplina finì col cedere, mentre i comunisti

lentamente si scoraggiarono.

Il nove novembre (09/11) 1989 è caduto il

Muro di Berlino, l’undici settembre (11/09)

2001 invece sono crollate le Torri Gemelle

del WTC. Nel 1990 si riunirono la Germania

dell’Est e la Germania dell’Ovest, il 1991

è segnato dallo sfascio della Jugoslavia e

dell’Unione Sovietica. In seguito a questi

eventi rivoluzionari, denominati come la

fine della guerra fredda o addirittura »la

fine della storia«, l’inizio »del conflitto delle

civiltà« ... il mondo è comunque diverso. Nasce

spontanea la domanda se l’attacco terroristico

41MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 42: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

42(2001) sia stato una risposta all’assalto degli

attivisti (1989). Il significato della rivoluzione

dipende dall’ampiezza della visione: per

alcuni, in Occidente, il mondo della stabilità

e della sicurezza è crollato, mentre per altri,

in Oriente, è arrivata la liberazione. In ogni

caso si tratta di un periodo di disfacimento,

di sfascio (Unione Sovietica, Jugoslavia) e di

riorganizzazione del mondo costruito dopo il

secondo conflitto mondiale. La NATO e l’UE

si sono ampliate, ha avuto inizio il dibattito

sulla riforma dell’ONU. Gli eventi rivoluzionari

hanno favorito ovunque lo sviluppo economico e

culturale, la crescita del benessere e l’affermarsi

di grandi aspettative. Questa ascesa dura quasi

da vent’anni. La NATO ha 26 Stati membri,

l’UE ne ha 27, l’ OSCE invece 56. L’ONU

sta affrontando le tematiche del dibattito

sulla riforma del Consiglio di sicurezza, che è

ancora oggi l’espressione dell’equilibrio delle

forze dominanti del 1945. Quali progetti non

sono ancora realizzati? I Balcani, il Caucaso,

l’Ucraina?

Da un lato ci sono gli oppositori ultra-

conservativi della civiltà moderna, tra cui anche

i terroristi. A questi seguono i nazionalisti

comunisti estremi, come lo fu Milošević. Tra

i nemici dei cambiamenti rientrano anche

i nazionalisti »mainstream« nonchè altri

conservatori ancora, tra cui rivestono un ruolo

di grande influenza gli ex comunisti. Oggi il

disfacimento/lo sfacelo sembrano arginati,

le crisi stanno giungendo alla fine. La crisi

jugoslava è praticamente conclusa, in Russia si

adoperano ancora in nome della vecchia gloria.

L’UE non si riesce ad adottare il trattato per

la costituzione. L’allargamento della NATO e

dell’UE stanno frenando. L’Occidente è sempre

più indulgente verso la Russia. La crescita

economica, legata alla conquista dei mercati

dell’Est, è in calo. Dopo la stasi subentra la crisi,

che si dice simile a quella del 1929.

La Slovenia, rispetto agli altri paesi dell’Europa

centrale e orientale, aveva un compito

notevolmente più arduo. Mentre gli Ungheresi,i

Polacchi, i Rumeni ecc. lottavano per la

democrazia, noi Sloveni dovevamo innanzitutto

creare una nazione nostra per così discostarci

ovvero scioglierci dalla Jugoslavia. Possiamo

notare come per diversi popoli dell’ex Jugoslavia

il tempo si sia arrestato, mentre per altri scorre

più lentamente rispetto al resto del mondo.

Anche noi Sloveni abbiamo perso un po’ di

tempo, il che è naturale. Potremmo avere un

vantaggio di qualche anno se a causa di ritardi

storci non avessimo dovuto creare uno stato

indipendente nonchè lottare per un’adeguata

collocazione a livello internazionale. L’impegno

investito nella creazione di uno stato

indipendente ci ha tolto molte forze e attenzioni

che altrimenti avremmo potuto destinare alla

crescita delle istituzioni democratiche. A causa

degli »interessi nazionali« nel 1991 abbiamo

raggiunto un’alleanza tra tutti i partiti politici,

il che ad alcuni fece sorgere il dubbio che le cose

sarebbero andate avanti come sempre.

All’estero molti osservatori benintenzionati

sostenevano Belgrado, soprattutto Ante

Marković, convinti che si adoperasse per

conservare la Jugoslavia. La sovranità

nazionale e l’inviolabilità dei confini sono da

sempre stati principi di estremo rilievo nei

rapporti internazionali, sebbene venissero

sempre più sovente »minacciati« da un nuovo

principio democratico, il diritto dei popoli

all’autodeterminazione. Alcuni videro nello

sfacelo della Jugoslavia - legittimamente - il

preannuncio dello sfacelo dell’Unione Sovietica.

Pertanto temevano lo scoppio di guerre civili e

di un’instabilità su larga scala. Altri tifavano

per la Serbia. Altri ancora rimpiangevano

la fine del monopartitismo e del socialismo

Page 43: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

temendo per prima cosa le sue (ma soprattutto

le proprie) »conquiste«. Questi timori hanno

offuscato la vista a più di qualcuno, facendo sì

che non intuisse la necessità e la fermezza degli

avvenimenti storici e soprattutto dei progetti

criminosi del regime di Milošević. Milioni di

persone sono stati vittime di una politica errata

e di una vista offuscata. Conflitti storici e non

si sono protratti per molti anni dagli inizi fino

ai giorni nostri e, in qualche modo, continuano

ancora oggi: fatto questo testimoniato da

conflitti tra popoli e gruppi etnici nei territori

dell’ex Unione Sovietica, dalle difficoltà

della Grusia e dell’Ucraina e dall’instabilità

in Kosovo. Nonostante un ottimale sviluppo

economico e i risultati conseguiti nella

politica estera da parte dell’ONU, dell’OSCE,

dell’Unione Europea e della NATO, la Slovenia

non è uscita del tutto indenne da tali conflitti.

La Slovenia ha proclamato la propria

indipendenza il 25 giugno 1991. L’Unione

Europea - su iniziativa della Germania - l’ha di

fatto riconosciuta già alla fine di quello stesso

anno. Gli sforzi necessari per il raggiungimento

del riconoscimento internazionale durarono

per un periodo relativamente breve e riscossero

un gran successo. Paragonando lo stato delle

cose e gli avvenimenti che caratterizzarono la

vita degli Sloveni prima dell’indipendenza,

il lasso di tempo tra il 1989 e il 2009 è un

periodo alquanto breve, che però fu denso di

avvenimenti e cambiamenti notevoli. Alcuni

avvenimenti e cambiamenti sono il frutto degli

sforzi a livello nazionale nonché dei sacrifici e

delle soluzioni immediate e ingegnose di singoli

individui; comunque sia,abbiamo partecipato

al corso della storia ottenendo così benefici

e ricompense, proprio come gli altri popoli

dell’Europa centrale e orientale.

Alcuni nostri cronisti non hanno fino ad oggi

accettato la compagnia con cui la Slovenia

entrava a far parte dell’UE e soprattutto

nella NATO. Com’è noto, in entrambi i casi si

trattava di »una grande esplosione«, di un gran

ampliamento con dieci1 ovvero sette2 nuovi Stati

membri. L’idea fondamentale dell’allargamento

era quella di spingere i confini orientali

dell’Occidente sempre più verso l’Est, così

come anche attribuire un riconoscimento per la

sofferenza sotto il regime comunista sovietico:

da qui «l’errore« che ai nostri cronisti non è

sfuggito. Al momento dell’allargamento dell’UE

e della NATO i media stranieri spiegavano

– in base all’opinione dei nostri cronisti

erroneamente, in realtà però correttamente

– che si trattava dei Paesi del Patto di

Varsavia, infatti l’ampliamento era destinato

principalmente a loro. I cronisti vogliono dire

che alla Jugoslavia ovvero alla Slovenia l’entrata

nella NATO non era necessaria in quanto da

noi vigeva »il socialismo umano« ed il non

allineamento; e da noi – di certo anche negli

anni Ottanta – si stava bene!

Da un lato è chiaro che il 1989 e il 2009

siano due anni diversi come il giorno e

la notte. Dall’altro invece non posso non

stupirmi di fronte all’atteggiamento negativo,

a volte addirittura sprezzante, nei confronti

dei cambiamenti cruciali in Europa, della

proclamazione di indipendenza della Slovenia

e di altre conquiste raggiunte negli ultimi

vent’anni. Questi commenti negativi e

sprezzanti si stanno moltiplicando - soprattutto

qui da noi in Slovenia - diventando sempre

più intolleranti. Sono convinto che col tempo

43

1 Nel 2004 all’UE aderiscono 10 nuovi Stati membri: Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia. “Le ritardatarie” Bulgaria e Romania dovrebbero entrare nell’ UE nel 2007 o nel 2008.

2 Nel 1999 la NATO si allarga a tre nuovi paesi: Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, nel 2004, due mesi prima dell’UE, a sette paesi: Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia.

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 44: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

44questo fervore antidemocratico andrà scemando.

Eppure, quando leggo o sento tali osservazioni,

mi rendo conto che sorprendentemente sono

molto simili alle voci che furono oggetto del mio

turbamento nonché delle mie preoccupazioni

negli anni Ottanta.

Sono passati diversi anni, trenta o più, da

quando mi sono impegnato, venendo così

considerato un critico degli atteggiamenti

antinato e antiamericani jugoslavi. I dibattiti

relativi all’entrata della Slovenia nella NATO

agli inizi di questo secolo hanno causato

notevole agitazione di una parte della

realtà politica slovena e di gran parte dei

media. Pertanto i fautori della particolarità

slovena (che si chiamano anche sostenitori

dell’interesse nazionale sloveno) sono ancora

oggi in stato di choc o di rifiuto. Gli oppositori

della NATO erano, prima di ciò, oppositori

dell’indipendenza, del sistema pluripartitico

e dell’ economia di mercato; quando invece

subentrarono dei cambiamenti, tentarono

di rappresentarli come degli strascichi del

precedente sistema attribuendoli alla politica

slovena autogestita e non allineata che di fondo

sarebbe dovuta essere democratica e che si

sarebbe preparata all’indipendenza ancora

prima del 1990. Questa rappresentazione

mitologica della Slovenia si poteva mantenere

solamente con la negazione della propria

partecipazione al sistema monopartitico

comunista e della somiglianza di fondo con

l’Unione Sovietica e il Patto di Varsavia. Inoltre

all’occorrenza hanno ripudiato la Jugoslavia non

volendo però ammettere che il potere comunista

fosse amorale e sorpassato.

Nei diciassette anni dopo l’indipendenza la

Slovenia si trasformò da repubblica socialista

jugoslava in una nazione europea alquanto

moderna e rispettabile, a cui si può affidare la

direzione di grandi organizzazioni internazionali

e addirittura dell’Unione Europea. In meno di

venti anni la Slovenia ha dovuto discostarsi

e differenziarsi dalla Jugoslavia, creare le

necessarie istituzioni nazionali, come anche

l’esercito e la diplomazia, raggiungere il

riconoscimento internazionale, inserirsi nei

rapporti internazionali cercando di ottenere una

posizione degna di fiducia ovvero di uno stato

affidabile e credibile.

Né la Romania né la Bulgaria dovettero

cimentarsi nella creazione di uno stato nuovo.

Nemmeno i Polacchi e gli Ungheresi dovettero

istituire l’esercito e il corpo diplomatico.

Addirittura l’Estonia, la Lettonia, la Lituania,

la Slovacchia, la Serbia e la Croazia furono in

passato stati autonomi. Perfino il Montenegro fu

un tempo uno stato indipendente.

Alla fine del XX. secolo è emerso che la

Jugoslavia non soddisfa più le necessità dei

propri popoli. I motivi di tale inadeguatezza

sono molteplici: uno di questi è indubbiamente

il fatto che l’unione degli Slavi meridionali

nel corso dei processi di allargamento dell’UE

e della comunità euro-atlantica si è rivelata

insufficiente. Venti milioni di persone e una

Jugoslavia arretrata non potevano tenere

il passo con i grandi processi globali di

integrazione.

Dopo la caduta del Muro di Berlino si sono

mossi solo due dei popoli jugoslavi: quello

sloveno e quello croato. Quando l’Europa

cominciò ad allargarsi con vigore, solamente

la Repubblica Ceca, la Lettonia, la Lituania,

l’Ungheria, la Polonia, la Slovacchia e la

Slovenia riuscirono a reggere i ritmi repentini

dei cambiamenti. In seguito anche la Bulgaria

e la Romania. La maggior parte dei popoli

slavi meridionali – nonostante ci fossimo spesso

lodati per il nostro progressismo e la nostra

vicinanza all’Occidente – è rimasta indietro.

Page 45: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

L’Armata Popolare Jugoslava rappresentava

l’esercito di questa arretratezza.

Non molto tempo fa mi hanno proposto

di ristampare il mio romanzo Hi kvadrat

uscito per la prima volta nel 1975. Il libro è

da un certo punto di vista la testimonianza

di garbugli culturali e politici del passato.

Trentatré anni addietro si dovevano misurare

le parole. Pertanto si doveva descrivere i guai

con le autorità becere,la povertà culturale,le

umiliazioni meschine,le paure e ogni sorta di

incresciosi inconvenienti con parole diverse.

In veste di autore di queste righe, una volta,

diciamo dal 1968 in poi, in Jugoslavia venivo

considerato come un intellettuale problematico,

un avanguardista, un sessantottino, un

rappresentante della destra borghese; dal 1989

in poi mi sono immedesimato completamente

con il movimento democratico sloveno e la

nazione slovena, che ho servito impegnandomi

con tutte le forze come deputato, sindaco,

ambasciatore e Ministro degli esteri. Hi

kvadrat è, come ho già detto, la storia di una

tappa del percorso tortuoso che porta dal

socialismo jugoslavo all’indipendenza nonché

ad una Slovenia democratica. Parla inoltre

dell’inflessibilità di una mentalità e di una

generazione che in Slovenia, dopo il secondo

conflitto mondiale, ha preso possesso di ogni

cosa. Questa mentalità – nonostante diversi

miglioramenti e agevolazioni avvenuti dopo il

1975, ma soprattutto dopo l’indipendenza – è

viva e attiva ancora oggi.

Penso che il problema fondamentale si celi nel

fatto che molti cittadini sloveni hanno ancora

oggi qualche difficoltà nell’identificarsi con

la propria nazione e non hanno un sufficiente

riflesso democratico. Solo in quest’ottica è

possibile capire l’apartheid dei funzionari

statali che predicano il rispetto dei diritti umani

dietro ai recinti doppi e alle mura alte delle

loro residenze e – ovviamente non ammettono

alcuna domanda.

Ad alcuni eventi e grovigli, che ho appena

esposto per sommi capi, ho dedicato il mio

ultimo romanzo, che sto portando a termine in

questi giorni. Solo ora che il libro praticamente

è praticamente finito e posso scorgere il

susseguirsi dei singoli episodi racchiusi in

capitoli, mi chiedo dove e fino a che punto

siamo giunti in tutti questi anni. E’ vero quello

che il primo presidente sloveno ha detto alla

vigilia della proclamazione dell’indipendenza,

ovvero che nulla sarà più uguale a prima? Forse

aveva ragione il secondo presidente sloveno,

oggi defunto, quando una volta disse che oggi le

cose vanno peggio rispetto agli anni ottanta? O

forse, proprio come dice il titolo del mio ultimo

romanzo, le cose sono così com’erano?

45MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 46: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

46

DA ALPE ADRIA ALLA NUOVA EUROPA

Adriano Biasutti

Adriano Biasutti | Eletto consigliere regionale nella terza legislatura della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, dal 1973 al 1978 ha ricoperto la carica di Presidente del Gruppo della Dc. Successivamente, nella quarta legislatura dal 1978 al 1983, è stato nominato Assessore alla Ricostruzione ed ai Lavori Pubblici. E’ diventato presidente della Giunta regionale nel 1985 e ha guidato la Regione Friuli Venezia Giulia fino al 1991. La sua carriera politica è caratterizzata anche dai mandati parlamentari nelle file della Democrazia Cristiana. Adriano Biasutti ha infatti iniziato la sua attività politica nel movimento giovanile della Dc, di cui è stato delegato regionale, ricoprendo importanti incarichi nel Comitato provinciale del partito.

Page 47: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Nel febbraio del 1985, al termine del biennio di presidenza della Comunità di lavoro AlpeAdria da parte della regione Friuli Venezia Giulia, informai il consiglio regionale sulla attività svolta e sulle prospettive future. A quel tempo la Comunità, nata a Venezia nel

novembre del 1978, era composta da dieci

regioni di quattro Paesi appartenenti a tre

sistemi politico istituzionali diversi, Unione

Europea, Neutrali, Non Allineati, con quattro

lingue ma con un obiettivo unico: l’affermazione

della pace attraverso l’approfondimento della

reciproca conoscenza, lo scambio di esperienze,

l’avvio di una organica collaborazione nei varie

settori di interesse comune, la ricerca degli

elementi unificanti al di là delle differenziazioni

storicopolitiche. Gli anni Settanta erano stati

caratterizzati da grosse crisi economiche,

legate soprattutto alle vicende petrolifere,

da drammatiche crisi civili, dal dilagare del

terrorismo, con uno smarrimento delle coscienze

che si interrogavano con angoscia sul futuro.

Era diffuso un profondo bisogno di pace, di

collaborazione operosa, di una nuova solidarietà

umana, all’interno delle nazioni e nei rapporti

con i popoli vicini.

Le regioni partecipanti si sono ritrovate su

alcune caratteristiche ricorrenti in tutte:

un comune passato storico, una comune

civiltà, comuni problemi di emarginazione

nei confronti dei rispettivi centri decisionali

politico amministrativi, comune necessità di

integrazione delle rispettive vie di collegamento,

comuni situazioni geoeconomiche, comuni

esigenze di difesa dell’ambiente naturale e di

sviluppo di quelle umano. Non veniva detto

apertamente, ma l’obiettivo vero era quello

di superare l’ormai anacronistica e dannosa

barriera costituita dalla “Cortina di Ferro”.

E il cerchio si chiuse con l’adesione di altre

regioni e in particolare delle “contee” ungheresi

che fecero salire a quattro i sistemi politici

istituzionali. Cioè il “Blocco Sovietico” che

significava, con tutte le sue implicanze politiche,

anche COMECON e Patto di Varsavia.

47MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 48: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

48Chi partecipava aveva la consapevolezza di aver

contribuito a far nascere un nuovo livello di

politica estera che suscitava grande apprensione

nelle vaste “cancellerie”. Comprendemmo

appieno di aver contribuito al processo di

disintegrazione dei vecchi stati dell’Europa

Orientale, con una contemporanea tendenza

alla riaggregazione verso l’Unione europea, nel

tormentato viaggio verso Lubiana per sostenere

le ragioni della Slovenia che si era staccata

dalla Federazione Jugoslava e che era attaccata

militarmente.

Il MittelFest fu così la prosecuzione naturale di

quella politica nella convinzione che la cultura,

in tutte le sue espressioni, avrebbe rinsaldato

legami e fatto crescere nuove prospettive.

Non fu casuale nemmeno la scelta di Cividale

del Friuli per il suo passato storico e la sua

collocazione geografica. Alla sua apertura

arrivarono cinque presidenti di repubblica

con Francesco Cossiga che fece gli onori di

casa mentre il ministro degli esteri Gianni

De Michelis riunì proprio a Cividale i suoi

colleghi della “Pentagonale”, l’organismo di

cooperazione che nacque sulle ceneri del vecchio

blocco comunista.

Il MittelFest, con luci e ombre, è sopravvissuto

alle vicende tumultuose di questi ultimi anni

e oggi inizia una nuova stagione che lo riporta

alle radici, una vera e propria ripartenza nel

ricordo sempre attuale della caduta del Muro di

Berlino. Non è una divagazione ma una urgente

necessità riesaminare anche con i protagonisti

di quel tempo, accanto alle manifestazioni

culturali, avvenimenti che hanno lasciato un

segno indelebile. Hanno cambiato il mondo o

sicuramente l’Europa ma alcuni processi restano

ancora aperti.

Ed è importante, pur restando solidamente

ancorata a Cividale, che la manifestazione si

propaghi sul territorio perché la condivisione dei

mutamenti e delle iniziative fu comune a gran

parte della regione. Basti pensare all’invenzione

di far riconoscere empiricamente la Slovenia, gli

consentì di non entrare nel tunnel drammatico

del successivo disfacimento della Jugoslavia,

con la visita del presidente della repubblica

Cossiga a Gorizia. Formalmente fu una visita al

comune ma passò il confine a piedi, non c’era

nessun rappresentante del governo italiano

che sull’argomento aveva opinioni diverse, e

incontrò i nuovi presidenti della repubblica e del

consiglio sloveni Milan Kucan e Lojze Peterle.

Per la comunità internazionale l’Italia aveva

riconosciuto la Slovenia mettendola al riparto

da altre ritorsioni e, probabilmente, un fatto del

genere non sarebbe stato possibile in un luogo

diverso da Gorizia.

Le cose da fare, per concretizzare

definitivamente la lungimiranza dei padri di

AlpeAdria, sono ancora tante e i tempi sono

di nuovo difficili. Un MittelFest che riscopre

le motivazioni iniziali può ancora essere un

indispensabile punto di riferimento, può

fare da battistrada ad una nuova stagione di

cooperazione e solidarietà.

Anche perché dalle ceneri di AlpeAdria sta

nascendo “l’Euroregione” nuovo strumento

politico-istituzionale, e il suo messaggio

culturale può alimentare scelta e programmi.

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 49: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

49

Imre Kozma | Padre Imre Kozma è il religioso ungherese che, nell”estate del 1989, raccolse, alloggiò e sfamò oltre 50.000 profughi che, dalla Germania dell”Est, attraverso l”Ungheria fuggivano in Austria e Germania. Compiuti gli studi superiori con la maturità classica, mentre sembrava destinato ad una brillante carriera calcistica, Imre scelse la strada del sacerdozio e del servizio a Dio ed all’uomo. A lui, in qualità di presidente del Servizio Caritativo dell’Ordine di Malta, si rivolse il 13 agosto 1989 un funzionario dell’ambasciata dell’allora Germania Ovest, per chiedergli di “fornire assistenza ai profughi che arrivavano in massa dalla Germania Orientale”.”Sì, certo” rispose Imre ed in breve si trovò a dare ospitalità a quasi 50.000 tedeschi dell’Est. In occasione di un suo viaggio a Budapest, il ministro degli Esteri tedesco ha consegnato a padre Imre la Gran Croce al merito della Repubblica Federale,la più alta onorificenza che uno straniero possa ricevere dal governo tedesco: “è stato Lei a divellere il primo mattone dal Muro di Berlino” gli ha detto il ministro. Nonostante la sua Presidenza del Servizio caritativo dell’Ordine di Malta, con un esercito di 40.000 volontari e 89 dipendenti, padre Imre rimane ancora un semplice prete di quartiere, che ogni giorno celebra la messa e tiene lezioni di catechismo.

LA QUESTIONEUNGHERESE

Imre Kozma

Page 50: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

1989: la nazione ungherese accoglie i tedeschi dell’Est e apre le frontiere.Nel 2009 noi membri del Servizio di Carità Maltese in Ungheria commemoriamo l’accoglienza dei cittadini della Germania Est ed insieme a tutta la nazione ungherese ricordiamo l’apertura delle frontiere. Dobbiamo affermare, con dovuta umiltà, che

nella storia del XX secolo, dopo il 1956, il

ruolo svolto dagli ungheresi nel 1989 è stato in

grado di influenzare la storia di tutta l’Europa e

indirettamente quella di tutto il mondo.

Potrei anche apprezzare quell’atteggiamento che

suggerisce di non tener conto delle nostre azioni

positive e ritiene sia più nobile aspettare che

siano le altre nazioni europee ad intraprendere

ed organizzare manifestazioni commemorative.

Dovremmo forse sfogliare più spesso le pagine

del libro della nostra storia e soffermarci sulla

pagina dove viene ricordato quest’evento.

Il presidente Romano Prodi disse: “Nel caso

della Germania divisa non potremmo parlare

di Europa unita. La caduta del Muro di Berlino

segnò una nuova prospettiva dell’Europa.”

Hans Dietrich Genscher, ministro degli Esteri,

nell’ottobre 1989, durante una messa solenne

tenuta nella chiesa di Zugliget a Budapest

(presso la quale, il 14 agosto 1989, venne

aperto il primo campo d’accoglienza ) ha

menzionato una verità che ci ha scaldato il

cuore: “Il primo mattone del Muro di Berlino è

stato tolto qui, a Zugliget, da padre Kozma, dai

membri del Servizio di Carità Maltese, da Voi

ungheresi.” A questo proposito mi permetto di

50

Page 51: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

ricordare il ventesimo anniversario della caduta

del Muro.

Cos’è successo a Zugliget, una parrocchia alla

periferia di Budapest, in una comunità cristiana

pronta a rischiare? Per alcuni mesi si poteva

osservare l’eredità di Cristo tante volte richiesta

ai cristiani, l’amore verso il prossimo, che

secondo me è sempre presente nella società, ma

non in modo così tanto tangibile come in quelle

circostanze. Non si poteva non notare il “ruolo”

della comunità cristiana della parrocchia. I

politici ne hanno tenuto conto, ci contavano,

senza mai parlare di politica, parlando solo

di cose quotidiane da fare. Abbiamo visto un

miracolo: la pace è scesa sulla terra, perché la

politica non ha voluto utilizzare noi, cristiani,

ma ha semplicemente riconosciuto ed accettato

l’importanza del servizio disinteressato da noi

svolto.

Quello che è accaduto nell’estate 1989 è noto

in tutto il mondo. I cittadini della Germania

Est sono arrivati in Ungheria con un progetto

e un obiettivo molto specifico. Negli anni

precedenti l’Ungheria è sempre stato il punto

d’incontro tra i cittadini della Germania dell’Est

e dell’Ovest, di solito nel periodo delle vacanze

estive. Quell’anno molti di loro sono arrivati

con l’intenzione di non tornare più nel proprio

Paese, ma di ripartire per una casa nuova, verso

la parte libera della Germania. Quest’intenzione

è stata bene espressa nel film di Ferenc Tolvaly,

che titolae: “Da casa a casa!”.

A Budapest c’erano circa 30.000 cittadini della

Germania Est. Con le loro tende hanno invaso

i parchi pubblici, hanno occupato le strade con

i camper. Hanno occupato l’Ambasciata ed il

Consolato della Germania Ovest di Budapest.

Noi, membri del Servizio di Carità Maltese

in Ungheria, su richiesta dell’ambasciata e

collaborando con la comunità parrocchiale di

Zugliget, di cui all’epoca ero parroco, abbiamo

aperto le porte per accogliere i profughi. Sopra

la nostra porta ho scritto un messaggio in latino,

inciso sulla porta di un monastero medievale:

“Ianua patet, cor magis!”.

La mia intenzione era quella di incitare tutti a

chiedermi cosa volesse dire questa scritta per

poter esporre la sostanza del nostro messaggio.

Il significato di questa frase latina è: “La nostra

porta è aperta, il nostro cuore lo è ancor di

più!”. Pensavamo così ed abbiamo agito di

conseguenza.

Il ruolo da noi svolto aveva dei precedenti.

La Comunità Parrocchiale di Zugliget era

preparata a questo compito. Questa comunità,

nel decennio precedente, nell’Ungheria

governata dai comunisti, nel territorio

appartenente alla parrocchia – che dal punto di

vista amministrativo coincideva quasi del tutto

col municipio XII di Budapest – ha organizzato

la prima rete sociale realizzata da persone

civili, la cui importanza è stata riconosciuta

e appoggiata dal presidente del consiglio

municipale e dal segretario del partito del

quartiere.

Conoscendo quei tempi è difficile trovare una

spiegazione plausibile per questo atteggiamento,

se non quella che la vita prevale sul potere

umano. Io sono stato spostato a Zugliget, alla

periferia della città, in un posto remoto, per

punizione da parte dell’Ufficio Ecclesiastico

Statale, come si diceva allora. Ero sotto costante

sorveglianza, anche durante gli interrogatori

facevano tutto il possibile per impaurirmi.

Adesso abbiamo smantellato le frontiere,

abbiamo eliminato le barriere che possono

dividere le persone l’una dall’altra, e come per

magia, ci siamo liberati dei pregiudizi politici e

dalle catene dell’onnipotenza della politica.

51MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 52: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

52

2009 . Stelle della Nuova Europa

Page 53: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

L’utilità di tutto ciò si è rivelata nel nostro

rapporto con gli abitanti dei campi, i quali

si sono rinchiusi in se stessi, avendo paura

perfino uno dell’altro, e non riuscendo a

spiegarsi la nostra mentalità aperta. Portavano

in sé il tremendo peso della diffidenza e della

paura. Hanno iniziato ad aprirsi solo quando

hanno capito che li stavamo proteggendo e

non eravamo lì per tradirli e preparare la loro

“consegna”.

La richiesta d’aiuto è arrivata dall’Ambasciata

della Germania Ovest la sera del 13 agosto

1989. In parrocchia ho ricevuto la visita del

console, mentre il segretario del consolato era

all’aeroporto per accogliere la signora Csilla

(Csilla von Boeselager, da nubile Csilla Fényes)

in arrivo a Budapest.

Il primo campo è stato aperto il 14 agosto 1989.

Da allora ogni anno, questa giornata viene

ricordata come “il Giorno dell’Accoglienza”.

Nel periodo dal 14 agosto al 14 novembre

abbiamo accolto 48.600 persone in quattro

campi. Hanno contribuito alla loro assistenza

quotidiana 6-700 volontari.

Nel 1989, grazie al primo ministro Miklós

Németh, l’Ungheria aveva un governo, erede

spirituale del 1956, stanco della chiusura e

pronto ad aprire le frontiere.

La tanto attesa notizia dell’apertura delle

frontiere è stata annunciata dal ministro

degli Esteri, Gyula Horn, nell’edizione

serale del telegiornale il 10 settembre. Il suo

annuncio, a detta di tanti profughi tedeschi,

ha aperto la strada verso una nuova vita.

Per noi era la conseguenza naturale dello

smantellamento della tanto odiata Cortina di

Ferro. Quest’evento di importanza mondiale

ebbe luogo il 4 maggio 1989 alla presenza del

Cancelliere austriaco Alois Mock e del Ministro

degli Esteri ungherese Gyula Horn. La loro

foto con le forbici da tagliafilo in mano ha

fatto il giro di tutto il mondo. L’abbattimento

del vergognoso Muro di Berlino è stata una

conseguenza necessaria dello smantellamento

della Cortina di Ferro, il Muro è stato spazzato

via dalla rabbia del popolo e non poteva più

ostacolare l’unificazione tedesca.

Vorrei confidare alle generazioni future tre dei

numerosissimi ricordi, custoditi nel mio cuore.

Alcuni giorni dopo l’apertura del primo campo

l’ambasciatore della Germania Ovest, Alexander

Arno, mi chiese di permettere all’ambasciata di

spostare la sua sede presso la nostra parrocchia,

oppure, in mancanza di spazio, sul corridoio

della chiesa. Poiché l’idea iniziale era quella

di svolgere un servizio umanitario e avendo

questa richiesta un espresso significato politico,

ho cominciato a vacillare. Allo stesso tempo,

visto l’effetto travolgente degli eventi, era

impossibile tirarsi indietro. Per tranquillizzarmi

ho telefonato al cancelliere Helmuth Kohl per

esprimergli la mia preoccupazione. Dopo alcune

ore il cancelliere mi ha richiamato, dicendomi

di aver parlato col Segretario Gorbachev che gli

aveva detto che gli ungheresi sono persone per

bene. Helmut Kohl mi disse che questo per lui

era sufficiente. E aggiunse: sia sufficiente anche

per lei, padre Kozma.

È successo prima dell’apertura delle frontiere.

È venuto a trovarmi il console della Germania

Est. Mi ha chiesto di assicurargli un incontro

con gli abitanti del campo. Nel frattempo

ha detto: “Lei perché preferisce i tedeschi

della Germania Ovest a quelli dell’Est?” Ho

vivamente protestato la sua presupposizione,

trovandola offensiva. Naturalmente ho

promesso di soddisfare la sua richiesta,

promessa accompagnata dall’espressione

disapprovante dei tedeschi dell’Ovest presenti,

i quali avrebbero preferito che io rifiutassi la

53MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 54: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

54

richiesta. Quando ci salutammo non ho resistito

a commentare l’affermazione. Signor console,

dissi, devo ammettere che preferisco i tedeschi

dell’Est perché in questo momento sono loro ad

avere maggior bisogno di accoglienza e amore.

In occasione del quinto anniversario

dell’apertura delle frontiere abbiamo posto

una targa commemorativa sul muro della

chiesa di Zugliget. L’ambasciatore tedesco di

allora, il signor Otto Raban Heinichen, nel

discorso tenuto durante la manifestazione, ha

pronunciato delle parole da tenere a mente. Il

suo discorso era composto da due sole frasi:

“Vorrei sapere se è mai esistita nella storia una

nazione che abbia aiutato in modo altruista una

nazione più grande e più prosperosa, assumendo

nello stesso tempo un serio rischio. L’unica

spiegazione plausibile è che gli ungheresi hanno

un cuore enorme.”

In occasione del ventesimo anniversario

dell’apertura delle frontiere e della fondazione

del Servizio di Carità Maltese in Ungheria il

messaggio della ventenne “Malta” è: il cuore più

grande ce l’ha l’Ungheria!

I nostri programmi, i nostri interventi di

soccorso per aiutare le vittime di catastrofi

nazionali ed internazionali, hanno incontrato

l’accordo e l’appoggio degli ungheresi (persone

private, imprese, enti). Abbiamo constatato che

le persone sono sensibili ai messaggi sociali,

sono aperte ad aiutare i bisognosi e sono

disposte a collaborare per risolvere i problemi

sociali.

Nel ventesimo secolo l’umanità è stata colpita

da eventi senza precedenti, che hanno avuto

un effetto distruttivo incommensurabile. Dopo

questi avvenimenti la nostra sembianza umana

è come distorta, ma, per fortuna, in fondo

alla nostra anima spaventata si è risvegliata la

sensibilità verso diverse forme di miseria.

Oggi, forse per dono di Dio, questa nuova forma

di sensibilità è divenuta il criterio e la misura

delle persone mature. Oggi ogni lotta contro la

miseria ed il bisogno è supportata dall’accordo

pubblico, con l’intervento dei membri del

servizio di carità maltese, secondo il nostro

credo.

In occasione del ventesimo anniversario

dell’apertura delle frontiere saluto tutti con

immenso affetto.

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 55: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Riccardo Ehrman | Corrispondente per anni dalla sede dell’Agenzia Ansa di Berlino, il giornalista italiano Riccardo Ehrman è a buon titolo uno dei protagonisti dello sgretolamento definitivo del Muro, tanto che nell’ottobre 2008 la Repubblica Federale Tedesca lo ha insignito con la “Croce al merito” per il ruolo determinante nel processo di riunificazione tedesca: nella storica conferenza stampa del 9 novembre 1989 fu infatti Ehrman a porre la domanda che portò il mondo alla conoscenza della caduta del Muro. Un’ ora prima della conferenza stampa con il Ministro della Propaganda Günter Schabowski, il telefono squillò nell’ufficio di Riccardo Ehrman. Il giornalista riconobbe la voce all’altro capo del telefono: si trattava di Günter Pötschke, membro del Comitato Centrale della Sed. Fu proprio lui a consigliare ad Ehrman di porre a Schabowski una domanda sulla libertà di viaggio. Così, verso la fine della conferenza stampa, il giornalista italiano chiese al Ministro della Propaganda quando le restrizioni di viaggio sarebbero state tolte. «Anche subito», fu la risposta di Schabowski, che Ehrman rilanciò immediatamente via Ansa: «Un annuncio che equivale alla caduta del Muro di Berlino è stato dato questa sera dal governo». Pochi minuti dopo il Muro cominciava a sbriciolarsi ...

QUEL PRIMO ANNUNCIO

Riccardo Ehrman

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Page 56: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Io sono quel giornalista italiano - per la precisione fiorentino - corrispondente da Berlino dell’agenzia Ansa, che alla famosa conferenza stampa del 9 novembre 1989, che ebbe luogo nel centro stampa di Berlino Est, formulò la domanda in risposta alla quale il portavoce del politburo della RDT, Guenther Schabowski, annunciò la caduta del Muro. Sia ben chiaro che l’annuncio venne formulato

nel modo oscuro e complicato caro ai portavoce

delle dittature comunista e che il romanziere

inglese George Orwell nel suo profetico “1984”

(scritto nel ’49) definiva “newspeak” cioè un

linguaggio aperto a più interpretazioni.

Schabowski disse più tardi che la mia

era stata una domanda “estremamente

provocatoria, che l’aveva innervosito e spinto

e costretto” ad annunciare le nuove “regole

di viaggio”, il cui testo aveva già in tasca.

Queste “reiseregelungen” (detto in tedesco)

equivalevano all’annuncio della caduta del

Muro. In sostanza egli aveva detto che qualsiasi

cittadino tedesco orientale poteva da quel

momento varcare i confini della RDT, compreso

- si noti bene - quelli di Berlino Ovest, per

poter andare all’estero. Unico requisito: un

documento d’identità valido.

Un annuncio rivoluzionario, fantastico: fino

a quel momento qualsiasi espatrio, anche

nei paesi comunisti, era soggetto non solo al

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Page 57: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

complicato rilascio di un passaporto, ma anche

a quello - assai più difficile - di un visto di

uscita sempre emesso con durata molto limitata.

Se si ricorda che il Muro di Berlino fu costruito

nel 1961, con il preciso scopo di impedire

agli sfortunati tedeschi orientali di passare ad

Ovest, era evidente che l’apertura delle frontiere

equivaleva all’annuncio della caduta dello

stesso Muro. In quel momento era cambiato il

mondo, ma ingannati dal tono frettolosamente

burocratico di Schabowski quasi nessuno lo

comprese.

Il fatto incredibilmente sorprendente fu

che, dopo le parole di Schabowski, solo due

persone - io e il diplomatico tedesco occidentale

Eberhard Grasshoff - abbandonarono la sala

per precipitarsi a telefonare. Questo fece sì

che l’ANSA ebbe un incredibile vantaggio di

37 minuti sulle altre agenzie. Solo trascorso

quel tempo - e vedendo le notizie dell’agenzia

italiana - nelle redazioni di tutto il mondo si

cominciò seriamente a sospettare che qualcosa

di grosso stava succedendo a Berlino. Solo il

cancelliere tedesco Helmut Kohl, che si trovava

in visita ufficiale a Varsavia, fu informato

tempestivamente e piantò tutto per tornare a

casa.

Schabowski, lui stesso un buon giornalista

prima di trasformarsi in un arrogante e

onnipotente leader tedesco orientale, certo

sapeva perfettamente il significato estremo

del suo annuncio e, proprio per questo, aveva

tergiversato fino alla fine della conferenza

stampa prima di leggerlo. C’è da chiedersi se

poi l’avrebbe fatto se non ci fosse stata la mia

domanda…

Se non l’avesse fatto, la RDT, e il Muro,

avrebbero potuto durare qualche giorno o

settimana in più. Questo grande capo tedesco

orientale avrebbe dovuto essere il successore di

Erich Honecker che da poco era stato destituito,

ma alla fine aveva prevalso Egon Krenz, capo

delle gioventù comunista, per il solo fatto che

aveva maggiore anzianità nel politburo. Sono

convinto che con Schabowski al vertice, lo

stato tedesco orientale non si sarebbe disciolto

tanto pacificamente, con l’inevitabile risultato

di procrastinare la trionfale riunificazione della

Germania. So per certo, infatti, che egli era

del tutto contrario alla “unione monetaria”

tra il debolissimo marco tedesco orientale

e il formidabile “Deutschemark”, sigillata

poche settimane dopo la conferenza stampa

e che significò la effettiva fine della seconda

Germania.

Oscar Wilde diceva che la vita è un brutto

quarto d’ora con pochi buoni momenti. Ebbene,

per quanto mi riguarda, posso dire che la

conferenza stampa del 9 novembre 1989 e

subito dopo la caduta del Muro, sono stati i

migliori momenti - i più emozionanti in assoluto

- della mia vita.

57MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / I PROTAGONISTI

Page 58: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

2008 . Non essere, progetto Hamlet’s Portraits

58

Page 59: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro
Page 60: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

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Page 61: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Lucio CaraccioloMarcello Veneziani

Gianni BisiachPredrag Matvejevic’

Sergio RomanoToni CapuozzoPiero Badaloni

Giorgio PressburgerRoberto ColliniAndrea Filippi

Paolo PossamaiAlfonso Di Leva

PROVE D’EUROPALE RIFLESSIONI

Page 62: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

QUEL MURO NON DISPIACEVA AGLI EUROPEI

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Lucio Caracciolo | Giornalista, dirige la rivista italiana di geopolitica “Limes”. Scrive editoriali e commenti di politica estera per il Gruppo Editoriale L’Espresso ed ha pubblicato vari saggi di storia contemporanea, tra i quali ricordiamo “Terra incognita. Le radici geopolitiche della crisi italiana” (Laterza 2001); “Dialogo intorno all’Europa” (Laterza 2002); “Il resto è politologia“ (con Marco Alloni, ADV Advertising Company, 2009).

Lucio Caracciolo

Page 63: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

63

Il giorno dopo la caduta del Muro, mi trovavo a partecipare a Roma a un convegno di germanisti italiani e tedeschi. L’impressione, l’emozione erano enormi. Ma quasi tutti i convegnisti dettero di quell’evento un’interpretazione presto smentita dalla storia. Si trattava – secondo costoro – di una geniale

mossa del governo di Berlino Est, destinata

ad allentare la pressione popolare sul regime

e a ristabilizzare la Repubblica Democratica

Tedesca.

Non si trattava di un semplice per quanto

clamoroso errore di valutazione. Molto di

più, esso esprimeva l’aria del tempo, almeno

fra gli intellettuali europei, alcuni tedeschi

inclusi. Per i quali l’impero sovietico, e quindi

il suo avamposto occidentale, non era ancora

al capolinea. Anzi. Disponeva di risorse tali

da consentirgli un orizzonte di speranza, di

riforma. Idea condivisa anche da buona parte

dei dissidenti tedesco-orientali alla fine degli

anni Ottanta, nell’atmosfera della perestrojka e

della Gorbymania. Ancora pochi giorni prima

dell’apertura delle frontiere, questa tesi era

risuonata in grandi manifestazioni di massa

che avevano agitato le piazze della Germania

comunista.

Anche in Europa occidentale l’idea che il tempo

della divisione della Germania fosse scaduto

appariva minoritaria. E lo restò ancora per

qualche mese, dopo quella fatidica notte di

novembre. In diversi casi, più che di un’analisi

si trattava di una speranza. Specie nel campo

della socialdemocrazia e della sinistra europea

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 64: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

in genere, che interpretava la sempre più visibile

disintegrazione dei regimi satelliti di Mosca

in Europa centrale e orientale come premessa

di un nuovo riformismo, non certo del trionfo

del capitalismo e della liberaldemocrazia

senza aggettivi. Persino alla vigilia delle

elezioni tedesche che l’anno successivo per la

prima volta coinvolsero i cittadini originari

della Repubblica Federale e quelli appena

integrati in quanto ex sudditi della Rdt, alcuni

analisti scommettevano sull’affermazione della

socialdemocrazia. Tanto più, si ricordava, che

la SPD aveva storicamente le sue roccaforti

nell’ex Germania orientale (o meglio centrale,

visto che quella geograficamente orientale era

stata spartita nel 1945 tra Polonia e Unione

Sovietica). Invece vinse Kohl, confermato alla

cancelleria in quanto protagonista coraggioso

della riunificazione nazionale.

Più in generale, quella rimozione iniziale del

significato del crollo del Muro esprimeva la

riluttanza, quando non l’avversione, degli

europei occidentali alla fine della divisione

della Germania. L’ipotesi dell’integrazione

immediata dei sedici milioni di tedeschi dell’Est

nel corpo della Repubblica Federale era vista

come il prodromo della Grande Germania. Ossia

della rinascita di una potenza visceralmente

imperialista e militarista nel centro del nostro

continente. Dunque, l’annuncio di una nuova

guerra mondiale. Alcuni, fra i quali un ministro

britannico costretto alle dimissioni, parlavano di

“Quarto Reich” alle porte. Altri lo pensavano o

lo suggerivano in privato.

Fra gli avversari della riunificazione tedesca

c’erano - al momento in cui la frontiera fra le

due Berlino s’apriva, in un’orgia di tedeschi

festanti - tutti i leader delle principali potenze

europee. François Mitterrand era più che

preoccupato, tanto da compiere in dicembre la

prima e unica visita di Stato di un presidente

francese nella Repubblica Democratica Tedesca,

tanto per chiarire che per Parigi quello restava

uno Stato sovrano a tutti gli effetti. A Londra,

Margaret Thatcher riscopriva la paura degli

“unni” e convocava nella sua residenza di

campagna di Chequers un seminario di

augusti storici ed esperti della Germania,

cui chiese inquieta se vi fosse da temere il

revanscismo della nuova leadership pantedesca

in gestazione. Fra parentesi, molti di quegli

intellettuali non esclusero affatto tale ipotesi,

connessa a un’interpretazione stereotipata

dell’immutabilità del “carattere nazionale”

germanico. A Roma, Giulio Andreotti aveva

già pubblicamente comunicato, durante un

Festival dell’Unità del settembre 1984, che

lui amava tanto la Germania da auspicare che

ce ne fossero sempre due (ciò che suscitò la

dura reazione diplomatica di Bonn e l’estasi

dei capi della Rdt). Non diverse le sensazioni

di Felipe Gonzalez, a Madrid, e di altri leader

euroccidentali.

Insomma, il braccio europeo della Nato non

voleva la riunificazione della Germania. E fece

di tutto, finché possibile, per ritardarla se non

rinviarla alle calende greche. Opinione peraltro

condivisa da un numero non indifferente di

64

Page 65: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

tedeschi, e non solo da dirigenti e funzionari

della nomenklatura comunista che aveva

gestito la Repubblica Democratica Tedesca per

quarant’anni. Molti socialdemocratici e alcuni

democristiani tedesco-occidentali, tra cui lo

stesso cancelliere Kohl, pensavano inizialmente,

almeno nelle prime settimane successive alla

caduta del Muro, a una sorta di confederazione

fra le due Germanie. La Rdt avrebbe conservato

ancora per molti anni la propria sovranità,

finché non fossero maturate le condizioni esterne

e interne per riportare tutti i tedeschi sotto lo

stesso tetto.

L’unico fra i grandi leader occidentali a capire

che il tempo era scaduto e che nessuno avrebbe

mai potuto rivitalizzare il regime di Berlino Est

fu George Bush. Il quale, contro il parere di

alcuni consiglieri e del suo principale alleato – il

premier britannico – volle giocare subito la carta

delle riunificazione tedesca. La sua idea era che

la breccia non del tutto consapevolmente aperta

da Gorbaciov nel Patto di Varsavia e nella stessa

Urss andava allargata e sfruttata per consentire

all’Europa succube di Mosca di emanciparsi

dai russi prima che questi cambiassero registro

e decidessero di azzardare una controffensiva

(effettivamente tentata, con esiti disastrosi, da

alcuni dirigenti sovietici nell’estate 1991). Su

tale linea si schierò, dal dicembre 1989, anche

Kohl. E siccome Gorbaciov non aveva né i

mezzi né la fantasia per reagire, e i dirigenti

della Rdt erano impegnati a salvar se stessi e

le proprie famiglie, il processo di disgregazione

della Germania comunista divenne presto

inarrestabile. Nel giro di pochi mesi quel regime

si avvitava su se stesso e la Rdt era di fatto

annessa dalla Bundesrepublik.

Poteva essere arrestato, o almeno ritardato, quel

processo? La questione è ovviamente oziosa. Ma

evocarla serve a ricordarci che la riunificazione

tedesca, celebrata nemmeno un anno dopo

il crollo del Muro, fu subìta dall’Europa

occidentale, e dalla grande maggioranza dei

paesi dell’Alleanza atlantica. Per i quali,

evidentemente, il pareggio (lo status quo) era

meglio della vittoria (la scomparsa del Nemico).

65MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 66: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

66

L’AMBIGUA LETTURADEL MURO CROLLATO

Marcello Veneziani | Marcello Veneziani è giornalista, scrittore, studioso di filosofia. Come giornalista ha iniziato nella redazione barese del quotidiano Il Tempo, per poi passare a Il Giornale d’Italia. È stato fondatore dei settimanali L’Italia settimanale e Lo Stato, direttore editoriale della rivista Il Borghese, editorialista per Il Messaggero, Il Giornale e Libero. E’ autore di numerosi saggi e pubblicazioni: fra le sue ultime opere “Sud. Un viaggio civile e sentimentale” (Mondadori, 2009) e “Rovesciare il ’68. Pensieri contromano su quarant’anni di conformismo di massa” (Mondadori, 2008).

Marcello Veneziani

Page 67: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

67Il Muro ha due versanti, due punti di osservazione, uno al di qua e l’altro al di là. Un Muro abbattuto dovrebbe al contrario unificare le vedute, sgombrate le macerie. La caduta del Muro di Berlino ha invece generato, al di là del senso comune, due punti di osservazione divergenti. Quando è crollato è stato possibile affermare

due cose opposte: non ci sono più barriere, si

va verso la società globale e l’ordine mondiale

a una dimensione. Ma si è detto anche il suo

contrario: rinasce la Germania, riprendono

quota le identità nazionali e territoriali,

finiscono i blocchi ideologici e artificiali e

risorgono gli stati nazionali, figli della storia,

della lingua, delle tradizioni. La caduta del

Muro ha avviato o galvanizzato ambo i processi.

Da allora in poi si è parlato di globalizzazione.

In quei giorni pubblicai un libro, Processo

all’Occidente, dedicato –come scrivevo nel

sottotitolo – alla società globale e i suoi nemici.

Che prendeva le mosse proprio dalla caduta

del Muro. Negli anni Novanta la parola globale

diventò ossessiva, e si coniugava sempre alla

caduta del Muro e di conseguenza del regime

sovietico. Ma da allora in poi si parlò pure di

leadership europea della Germania, si parlò di

nuovi nazionalismi rinati all’est sulle rovine del

comunismo, risorsero le piccole patrie; perfino

da noi, il patriottismo locale trovò nella Lega il

suo vettore.

Su quell’ambiguità fu fondato il processo di

unificazione europea che prese le mosse proprio

dalla caduta del Muro. Infatti l’Europa unita

conserva alle sue origini due letture opposte:

può essere intesa come la dis-integrazione

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 68: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

degli stati nazionali e il gradino verso la società

globale e lo stato mondiale. E può essere intesa

all’opposto come Europa delle patrie, come

la concepì De Gaulle, ovvero come argine e

risposta alla globalizzazione e come rinascita

della civiltà europea e della geopolitica.

Dagli Stati Uniti giunsero due teorici a

legittimare entrambi i processi. Francis

Fukuyama parlò di fine della storia con

la caduta del Muro di Berlino e Samuel

Hungtinton al contrario vide rinascere sulla

caduta dei due blocchi contrapposti, le differenti

civiltà e il loro scontro.

Di quel Muro caduto conservo un’immagine

riflessa: quella di Ernst Junger, il grande

scrittore tedesco quasi centenario, grande

soldato che aveva vissuto e descritto nei suoi

diari il crollo della Germania, che riceve

in diretta una telefonata dei suoi pronipoti

mentre danzano sulle rovine del Muro. Il suo

fiero carattere di antico prussiano non seppe

trattenere in quell’occasione una pur composta

emozione ed una sofferta euforia perché

una tragedia finiva e la linea finalmente era

attraversata, per dirla col suo linguaggio di

militare e sismografo del nichilismo. Del resto,

Junger aveva scritto “Al muro del tempo”

(uscito in Italia pochi anni dopo l’edificazione

del Muro, tradotto da Evola per le edizioni

Volpe) in cui mostrava che non solo i muri

spaziali ma anche i muri temporali possono

essere abbattuti e varcati. In effetti unificandosi,

le due Germanie abbatterono anche il muro del

tempo, perché il tempo vissuto nella Germania

est non ero lo stesso della sorella occidentale.

La Germania Orientale era anacronistica

rispetto a quella Occidentale, il comunismo

aveva come imbalsamato tracce di Prussia e

persino di Terzo Reich, mentre la Germania

Ovest si era americanizzata e modernizzata più

velocemente.

La caduta del Muro di Berlino fu comunque

un crollo salutare per l’umanità, a differenza

dell’altro crollo di dodici anni dopo, le due

torri a New York. Il terzo millennio non è nato

su atti di fondazione ma su due distruzioni.

Poi ci chiediamo perché prevale la tentazione

dissolutiva…

68MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 69: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

69

2008 . Three Duets

Page 70: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

70

LA SVOLTA DI GORBACHEV

Gianni Bisiach | Giornalista e regista, ha vinto il premio Mondiale della Televisione (Londra 1963) con l’inchiesta sulla mafia Rapporto da Corleone. Ha ottenuto, insieme a Federico Fellini e Luchino Visconti, il premio internazionale Spoleto Cinema 1970 con il film I due Kennedy, nel quale ha indicato i nomi dei responsabili dell’assassinio di Dallas, confermati nel 1979 dalla Commissione Speciale della Camera dei Rappresentanti di Washington. Nel 1979 divenne capostruttura di Radio Uno, e ideò il fortunato programma Radio anch’io, che raggiunse 4 milioni di ascoltatori e da allora si è succeduto attraverso numerose edizioni. Da molti anni conduce per la RAI il programma Un minuto di storia, in cui racconta ogni giorno un evento accaduto proprio in quella data.

Gianni Bisiach

Page 71: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

71Ho un ricordo “forte” sulla caduta del Muro di Berlino, legato a Michail Gorbachev, che ho conosciuto in quegli anni, nel corso della registrazione di un mio programma televisivo sull’assedio di Leningrado.A Gorbachev dobbiamo molto per l’opera che ha svolta in favore della pace nel mondo. Segretario del PCUS dal 1985, ha avviato

l’uscita dal lungo periodo della guerra fredda (e

dell’equilibrio del terrore) stabilendo rapporti

di personale amicizia con Margareth Thatcher

in Inghilterra, ma soprattutto col presidente

americano Ronald Reagan. Con Reagan,

firmò, nel 1987 a Washington, l’accordo

sugli euromissili, che poi portò alla riduzione

bilanciata degli arsenali nucleari mondiali.

Nel 1988 Gorbachev abolì la “dottrina

Breznev” sulla sovranità limitata, decise

l’uscita dall’Afghanistan e il ritiro delle truppe

sovietiche dall’Ungheria e dalla Germania

Orientale che, nel 1989 porterà alla caduta

del governo Honecker e, il 9 novembre, alla

riapertura delle frontiere con la RFT e quindi

alla caduta del Muro.

Per questo, nel 1990, Michail Gorbachev

ottenne il Nobel per la pace. Ma dopo il golpe

del 1991 dovette lasciare il potere. L’assedio

di Leningrado, che io ricordai in una puntata

della mia serie “Grandi battaglie”, è un

episodio particolarmente drammatico della

Seconda Guerra Mondiale, perché coinvolse

tutta la popolazione civile di quella città

e produsse oltre settecentomila morti. Nel

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 72: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

ricordare quell’episodio Gorbachev si commosse

in modo particolare. Naturalmente, per

quanto riguarda l’Unione Sovietica bisogna

considerare separatamente il periodo della

guerra, da un lato, e dall’altro quello del

dopoguerra con la cosiddetta ‘Guerra fredda’.

Da questo punto di vista i due personaggi che

più contribuirono a superare lo scontro fra

Unione Sovietica e mondo occidentale sono stati

sicuramente Krusciov e Gorbachev. Fu proprio

quest’ultimo, in particolare, a rendersi conto

che era necessario superare la contrapposizione

strategica dei due emisferi che per tanti anni ha

mantenuto il mondo sull’orlo della terza Guerra

mondiale.

Da questo punto di vista dobbiamo ricordare

che in America e in Russia stavano governando,

in quel periodo, uomini che avevano vissuto

la tragica esperienza della seconda Guerra

Mondiale e soprattutto il trauma di Hiroshima

e Nagasaki, le due città giapponesi che furono

spazzate via dalle bombe atomiche: il mondo

intero comprese da quegli eventi che una terza

guerra mondiale con l’uso della armi nucleari

sarebbe stata l’ultima guerra, perché avrebbe

portato alla distruzione dell’intera umanità.

Negli anni successivi la costruzione delle bombe

all’idrogeno, mille volte più potenti di quelle

usate sul Giappone, e l’immagazzinamento di

ventiquattromila testate nucleari in America

contro le ventiquattromila sovietiche, resero

potenzialmente possibile la distruzione

dell’intera superficie del pianeta, e quindi la

scomparsa del genere umano.

Oggi la generazione che detiene il potere nel

mondo non è forse altrettanto sensibile a questi

problemi perché la seconda Guerra mondiale

è ormai lontana nel nostro ricordo. E qui,

tornando alla caduta del Muro di Berlino e

successivamente alla salita al potere di una

nuova generazione, osservo che certamente

Gorbachev avrebbe portato avanti una politica

di amicizia con gli Stati Uniti, mentre i suoi

successori sono progressivamente tornati

alla precedente politica di scontro fra le due

superpotenze che oggi sembra un po’ oscurare il

ventesimo anniversario della caduta del Muro di

Berlino.

Di questo Gorbachev mi ha parlato con

preoccupazione sino da allora.

72MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 73: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

73

2001 . Marionette di Podrecca

Page 74: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

UN MONDO “EX”

74

Predrag Matvejevic’ | Scrittore e saggista, è nato a Mostar nel 1932 da padre russo e madre croata della Bosnia-Erzegovina. Professore all’Università di Zagabria e poi alla Sorbona a Parigi, insegna attualmente letterature slave all’Università La Sapienza di Roma. Dopo la “caduta del Muro”, si è opposto a tutti le moderne “democrature”, ossia, come egli stesso li definisce, i nuovi regimi instauratisi in alcuni paesi dell’Est. Tra le sue opere Breviario mediterraneo (Garzanti, Milano 1991); Epistolario dell’altra Europa (Garzanti, Milano 1992); Ex Jugoslavia. Diario di una guerra (Magma, Milano 1995); Il Mediterraneo e l’Europa (Garzanti, Milano 1998); I signori della guerra (Garzanti, Milano 1999); Un’Europa maledetta (Baldini e Castoldi, Milano 2005).

Predrag Matvejevic’

Page 75: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Fino a qualche tempo fa osservavamo in primo luogo l’EST europeo e un sistema sociale che crollava in questa parte della pianeta. Da meno di un anno fa, nel 2008 - 2009, non guardiamo solo in questa direzione.I nostri sguardi s’incrociano e si perdono in lontananza, creando una paura quasi universale. Essa sembra unirci più di una globalizzazione

che cercava, a modo suo, di “avvicinarci” gli uni

agli altri. Oggi, quasi tutto il mondo diventa più

o meno “ex”. L’unisce la nostra inquietudine.

La caduta del Muro di Berlino e la fine della

guerra fredda hanno visto una parte del mondo

vivere un’esistenza in qualche modo postuma:

un ex-impero, numerosi ex-stati ed ex-patti

tra stati, tante ex-società ed ex-ideologie,

ex-cittadinanze ed ex-appartenenze, e anche

ex-dissidenze ed ex-opposizioni. Era legittimo

domandarsi cosa significasse, in realtà, essere o

dirsi «ex».

Essere stato cittadino di un’ex-Europa

più o meno affrancata, di una ex-Unione

Sovietica disgregata, di una ex-Iugoslavia

distrutta? Essere diventato un ex-socialista

o ex-comunista, ex-tedesco dell’Est, ex-

cecoslovacco - ciò è solo ceco o solo slovacco,

membro di un ex-partito o partigiano di un

ex-movimento?

75MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 76: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

76

L’Est non aveva diritto esclusivo sullo statuto

di «ex». In Occidente e altrove, si conoscono

bene degli ex-stalinisti, degli ex-colonialisti,

degli ex- sessantottini (tanti, dappertutto), tutta

una ex-sinistra diventata nuova destra, una

vecchia destra convertita al «neo liberalismo»,

una ex-democrazia cristiana suddivisa tra

destra e sinistra, che ha talvolta impoverito

il cristianesimo senza arricchire per contro

la democrazia; una ex-socialdemocrazia

imbastardita sulla quale si sono innestati

alcuni ex-progressisti pentiti; un ex-socialismo

occidentale che si è tagliato via dalle sue stesse

radici, un ex-franchismo o un ex salazarismo

diventati “europeisti”. Probabilmente, domani

si parlerà di una ex Unione Europea che

avrebbe rinnegato un vecchio continente inerte

ed indeciso, colpevole per molti motivi. C’è un

odore di ancien régime attorno a noi, odore

d’infezione o di avaria. La morale sembra

si adatti alle mille e una maniera di voltare

gabbana, pronta a considerare qualsiasi rigore

come una sopravvivenza.

Siamo anche testimoni di tante cose inattese

e sorprendenti: quasi nessuno pensava che il

“capitalismo finanziario” potesse fare tanto

male al capitalismo stesso, metterlo in questione

in questo modo. Si pensava - e si prevedeva

una volta - che la lotta di classe facesse questo

lavoro, radicalmente. Tanti di noi erano ingenui.

La “crisi” che stiamo vivendo non permette

più ipotesi scolastiche o riferimenti partitici.

Dobbiamo viverla, non tutti nello stesso modo,

ma coinvolti spesso malgrado noi stessi.

Dalla nostra esperienza precedente (penso a noi

che abbiamo vissuto nell’ ex Europa dell’Est),

sappiamo che lo statuto di «ex» è più grave di

quanto non sembri a tutta prima: quell’«ex» è

visto e vissuto come un marchio, talvolta come

delle stimmate. E’ di volta in volta un legame,

involontario, o una rottura, voluta. Può trattarsi

di un rapporto ambiguo, quanto di una qualità

ambivalente. Essere «ex» è, da una parte,

avere uno statuto mal determinato e, dall’altra,

provare un sentimento di disagio.

Tutto ciò concerne tanto gli individui che la

collettività, tanto la loro identità quanto le

modalità della loro esistenza: una specie di

ex-istanza, a un tempo retroattiva e attuale.

Il fenomeno è nello stesso tempo politico (o

geopolitico se si preferisce), sociale, spaziale,

psicologico. Pone più di una questione morale e

mette in causa una morale precedente.

Non si nasce «ex», lo si diventa. Tanti

rinnegamenti, rimaneggiamenti del passato o

del presente sono in atto, auto-giustificazioni

o aggiustamenti di percorso, fughe in avanti o

all’indietro, modi di rifare o di disfare, se non la

propria vita, almeno il nostro sguardo sulla vita.

Lo choc per quanto è accaduto e sta accadendo

sembra tanto violento quanto imprevisto.

Le transizioni, per quanto male assicurate

all’Est, prevalgono ancora sulle trasformazioni.

L’Occidente guarda innanzi tutto affari suoi.

La democrazia proclamata in vari Paesi del

mondo appare più spesso con le caratteristiche

di una democratura (ho coniato questo termine

all’inizio degli anni 90 del secolo scorso per

definire un ibrido tra democrazia e dittatura,

non solo nei paesi detti dell’Est). Un populismo

Page 77: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

penoso è sempre stato pronto a sostenere quasi

tutti i regimi dubbiosi. La laicità è stata poco

popolare in gran parte dell’Est e dell’Occidente,

senza parlare del cosiddetto “Terzo mondo”.

Il «giocattolo nazionale» non ha mai perso

la sua attrattiva. La cultura nazionale si

converte facilmente in ideologia della nazione

e sbocca spesso su progetti nazionalisti. L’idea

di emancipazione scompare dall’orizzonte,

“invecchiata” o “utopica”. I nostri discorsi sono

quasi inevitabilmente sfasati, il loro centro di

gravità sembra spostato.

Il mondo «ex» è pieno di eredi senza eredità,

di svariate mitologie che si escludono

reciprocamente: riedizioni del passato e del

presente, immagini disparate e rimesse insieme

alla leggera, schermi frapposti in fretta o griglie

di lettura mal applicate, paradigmi messi in

questione dalla loro stessa defi izione.

Le utopie e i messianesimi si vedono sistemati

tra gli accessori di un passato irrecuperabile.

Un aggiornamento della fede e della morale

non sembra essere perseguito che in ambienti

limitati ed occasionalmente. Fino a poco tempo

fa un post-modernismo cercava, senza troppa

fortuna, di imporsi sull’arte e sul pensiero

per rimpiazzare ciò che nell’epoca precedente

era stato acclamato come «moderno»: un

ex-modernismo criticabile, certamente, ma non

insignificante.

Le avanguardie, che hanno proclamato e

svolto i loro ruoli sono ormai «classificate».

Le fonti della grande letteratura, generatrice

di simboli, sembrano esaurite. Forme di

decostruzione tendevano a sostituirsi a sintesi

poco soddisfacenti. Una nuova storia rifiutava

di sottoporre la lunga durata, come faceva la

precedente, al vaglio degli avvenimenti. La

vecchia università non è riuscita a riformarsi.

L’invocazione dell’«immaginazione al potere» è

già da tempo dimenticata. Tutta una ex-cultura

non riusciva, se non con gravi difficoltà, a

impadronirsi in un modo giusto e utile di quelle

innovazioni che erano offerte o richieste non

solo dalla tecnologia.

Le alternative non sono state create ne’ dalla

destra ne’ - ahimè! - dalla sinistra. Cerchiamo

almeno di superare la paura. So che questo

slogan sembra troppo modesto, ma non ne vedo

un altro più affidabile.

77MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 78: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

78

MA IL “TERREMOTO” CONTINUA

Sergio Romano | Editorialista del Corriere della Sera, ha lavorato come giornalista a Milano, Parigi, Londra e Vienna e ha iniziato la carriera diplomatica nel 1954. È stato direttore generale degli Affari Culturali del Ministero degli Esteri (1977-1983), rappresentante alla NATO (1983-85); dal settembre 1985 è stato ambasciatore a Mosca, durante i cruciali anni della perestrojka, fino al momento in cui si è dimesso dalla carriera diplomatica, nel marzo 1989. Ha insegnato nelle università di Firenze, Sassari, Pavia, Berkeley e Harvard. Dal 1992 al 1998 è stato professore di Storia delle relazioni internazionali alla Bocconi di Milano. I suoi ultimi libri sono: “Con gli occhi dell’Islam (Longanesi 2007)  e “Storia di Francia dalla Comune a Sarkozy” (Longanesi 2009).

Sergio Romano

Page 79: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Il Terzo dopoguerra, come fu chiamato il periodo aperto dal crollo del Muro di Berlino e dal collasso dell’Urss, può essere diviso in due fasi di lunghezza pressoché eguale. La prima fu quella che i geologi definiscono

la fase delle scosse di assestamento: una lunga

serie di crisi statuali, guerre civili e guerre di

secessione che agitarono sino alla fine degli anni

Novanta tutti i paesi del comunismo europeo.

La Cecoslovacchia si ruppe dolcemente,

come se il confine tra le terre dell’impero

d’Austria e quelle del regno d’Ungheria fosse

soltanto una fragile cucitura, mal imbastita

dai sarti di Versailles. La Jugoslavia si ruppe

sanguinosamente, in parte lungo i confini

tracciati dal maresciallo Tito alla fine della

Seconda guerra mondiale, in parte lungo quelli

etnico-religiosi che attraversavano la Bosnia e la

Serbia.

Le scosse più lunghe e i traumi maggiori

sconvolsero l’Unione Sovietica. L’opinione

pubblica occidentale ebbe qualche notizia di

prima mano sulla guerra cecena del 1994-1996,

ma quasi non si accorse di ciò che accadde nei

territori al di là del Dnienster tra Moldavia

l’Ucraina, nel Nagorno-Karabach, nell’Ossezia

del Sud, in Abkhazia e in alcune repubbliche

dell’Asia Centrale. Non capì, ad esempio, che il

collasso dello Stato sovietico stava provocando

un fenomeno non troppo diverso, sul piano

quantitativo, da quello che si era prodotto

alla fine della Seconda guerra mondiale

quando dodici milioni di tedeschi fuggirono o

furono cacciati dai territori orientali del Terzo

Reich, dalla Polonia, dal Sudenland, dalla

Transilvania. Ma i “flüchtlinge”, in questo caso,

erano soprattutto russi, spinti dalle circostanze

ad abbandonare il Baltico, il Caucaso, il Caspio

e l’Asia centrale.

Il processo d’assestamento terminò alla fine

degli anni Novanta quando la terra si stancò

di tremare. Ma era cominciato nel frattempo

un altro terremoto: la distruzione dei pilastri

dell’economia dirigista in tutti i paesi del

blocco comunista. Mentre l’Europa occidentale

avanzava verso l’integrazione economica con la

creazione di un mercato unico e di una moneta

comune, l’Europa centro-orientale smantellava

i gosplan, i kombinat, i kolchoz, i sovchoz e il

gigantesco arsenale dell’economia di comando.

Malauguratamente la ricostruzione avvenne con

le ricette altrettanto ideologiche del teologi del

79MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 80: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

liberismo e del Fondo monetario internazionale.

Il risultato delle privatizzazioni a passo di carica

fu la nascita in pochi anni di una oligarchia

economica che si appropriò delle risorse naturali

del proprio paese e fece un uso banditesco della

sua colossale ricchezza.

La seconda fase cominciò agli inizi del nuovo

secolo. Dopo la presidenza sostanzialmente

cauta e temporeggiatrice di Bill Clinton, la

Casa Bianca di George W. Bush decise che

era arrivato il momento di rifare il mondo

a immagine e somiglianza degli Stati Uniti.

L’islamismo radicale (un fenomeno che era

andato progressivamente crescendo negli

anni precedenti) offrì l’occasione che i neo-

conservatori avevano atteso e preparato.

L’assalto alle torri gemelle ebbe la funzione del

colpo di pistola di Sarajevo: la miccia necessaria

al lavoro degli incendiari.

Dopo la guerra afghana (una sorta di ouverture

o prologo) il primo atto andò in scena in

Iraq perché Saddam Hussein era il più

congeniale dei “bad guys” offerti dal mercato

internazionale. Ma la strategia di Bush aveva

obiettivi più ambiziosi fra cui il rovesciamento

del regime iraniano, la trasformazione politica

dell’intera area medio-orientale, la riduzione

all’obbedienza della Corea del Nord. La

macchina s’inceppò a Baghdad, ma questo non

impedì Bush di spostare l’azione in Europa

dove la Nato partì alla conquista dell’Europa

centro-orientale e di alcune fra le più importanti

repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Il risultato

fu il conflitto georgiano e quella che qualcuno,

con un po’ di retorica, ha definito una nuova

guerra fredda fra la Russia e l’Occidente

Mentre Bush tentava la creazione di un nuovo

ordine mondiale guidato da Washington, la

Federal Reserve di Alan Greenspan concepiva

ed esportava nel mondo il modello finanziario

che avrebbe permesso agli americani di

consumare ricchezza non ancora prodotta

e di scaricare i propri debiti sulle spalle di

risparmiatori e investitori stranieri, soprattutto

cinesi. Come tutte le piramidi anche questa

era visibilmente destinata a crollare. Ma dalla

bolla olandese dei papaveri ai nostri giorni,

l’ingordigia prevale spesso sulla saggezza.

Il secondo decennio dopo la caduta del Muro

termina così con nuovi terremoti. L’edificio

investito dalle scosse, in questo caso, è quello

dell’autorità e del prestigio degli Stati Uniti nel

mondo. E anche in questo caso, come dopo il

crollo dell’Urss, vi saranno ricadute politiche

incalcolabili e imprevedibili. Speriamo che

il nuovo inquilino della Casa Bianca ne sia

consapevole.

80MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 81: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

81

2003 . Per la dolce memoria di quel giorno

2009 . Nervi - Il corpo eroico

Page 82: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

82

1989, RICOMINCIA LA STORIA

Toni Capuozzo | Vicedirettore del TG5, dal 2001 cura e conduce Terra!, il settimanale della testata. Negli anni ’80 ha scrtto per Reporter, Panorama Mese ed Epoca. E’ approdato alla tv con inchieste e approfondimenti su un tema spinoso come quello della mafia, di cui si è occupato per Mixer di Giovanni Minoli. Il suo approdo finale è stato la tv, nelle testate di Mediaset (TG4, TG5, Studio Aperto e L’istruttoria), per le quali ha lavorato come inviato di guerra. Ha scritto diversi libri, e ha vinto il Premio Ilaria Alpi come inviato di guerra, il Saint Vincent per il servizio dedicato al dramma delle foibe, l’Ernest Hemingway e il premio “Cinque stelle per il giornalismo”.

Toni Capuozzo

Page 83: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

A me successe con la caduta del Muro di

Berlino. Ero trattenuto in Italia da una colla-

borazione editoriale: mi ero assunto il compito

di “revisionare” alcuni testi di geografia per un

editore di libri scolastici. La revisione di un testo

che manterrà i nomi degli autori è un’operazio-

ne complessa, qualcosa di più di un semplice

aggiornamento. Nel mio caso lo era ancora di

più, perché l’editore aveva assegnato il compito

a me, che non sono un docente o un geografo di

professione, per sveltire quel testo, per renderlo

di più agevole e curiosa lettura per i ragaz-

zi. Terminai nell’estate il volume riguardante

l’Italia, e incominciai un po’ a ritroso quello

riguardante l’Europa e i continenti extraeuropei,

completando Asia e Oceania, Africa e Americhe

prima di chiudere con il mio proprio continente.

E il destino volle che lo affrontassi proprio nei

mesi e perfino nei giorni in cui l’Est europeo era

come un domino impazzito. Scrivevo e riscrive-

vo, inviavo bozze e subito dopo telefonavo di-

cendo di considerarle decadute, e di aspettarse-

ne di nuove. E così assistevo a quello che stava

succedendo con un sentimento misto di gioia - il

mondo cambiava in meglio - e di disappun-

to, perché sapevo che avrei dovuto riscrivere

qualche capitolo un’altra volta. Ma per il resto,

fui uno spettatore normale: come non si poteva

essere felici, ed essere consapevoli della portata

di quanto stava avvenendo, davanti a un’Eu-

ropa finalmente non più spezzata, davanti al

ritorno della democrazia per popoli che a lungo

avevano vissuto in un mondo a parte, davanti

allo sgretolarsi inesorabile del “nemico” – certo,

non lo era per tutti, neanche e forse soprattutto

nell’Europa libera – che aveva condizionato la

83

A volte la Storia, e le emozioni che solleva, è contraddetta da piccole vicende personali, che insidiano il senso di essere parte di un grande avvenimento, sia pure come testimone distante, e macchiano di meschinità le frasi di rito: “io c’ero..”, “mi ricordo bene …”

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 84: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

2009 . Sutra

84

Page 85: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

85nostra vita, che aveva dettato le trame di mezzo

secolo di conflitti combattuti nel terzo mondo, e

determinato il clima di una guerra senza sangue

che avevamo finito per chiamare, appunto,

guerra fredda ? Qualche osservatore più entu-

siasta di altri parlò addirittura di “fine della

storia”. Se la storia era stata il duello tra due

blocchi, la scomparsa di uno dei due non poteva

voler dire che l’umanità, infine, avrebbe potuto

dedicarsi, come un tutt’uno, allo sviluppo, alla

ricerca scientifica, al debellare miseria e malat-

tie, alle scoperte spaziali e a tutto ciò che era

stato finora segnato da ostilità destinate a svuo-

tarsi, a comparire. Ci sbagliavamo, e abbiamo

impiegato qualche anno ad accorgercene. Non

ci bastò il sanguinoso decennio di dissoluzione

della Jugoslavia a farci capire che il conflitto tra

due superpotenze che tutto sommato condivide-

vano una razionalità fatta di buon senso - io non

ti attaccherò perché se lo facessi ci distrugge-

remmo a vicenda - lasciava il posto a guerre più

disordinate, più folli, segnate dai rancori etnici

e religiosi, alla resa dei conti più indelebili degli

odi ideologici. Forse è stato solo l’11 settembre

delle due Torri a disilluderci definitivamente, a

farci capire che il vecchio equilibrio del terrore,

che in fondo aveva assicurato al mondo quasi

cinquant’anni di pace, era sostituito da un più

tenebroso terrorismo senza bandiere ideologiche,

senza leader che sbattessero le scarpe sui seggi

delle Nazioni Unite, senza eserciti di professione

contrapposti, senza progetti di società contrap-

posti. A riguardare adesso quei giorni, e le feste

e i violini ai piedi del Muro, e gli amici che te

ne portavano in regalo un frammento colorato,

sarebbe ingiusto rimproverarci quella gioia.

Finiva una vergogna, e un’epoca cupa. Finiva

quella che per noi era un curiosità, un viaggio

in una metropolitana che si affacciava su un

mondo altro, di Trabant e marchi che sembra-

vano banconote da gioco Monopoli, e atlete

mascoline e agenti segreti temibili. Finiva la

solitudine della vetrina dell’Occidente, soccorsa

da un ponte aereo, e confortata da quel discorso

incancellabile di John Fitzgerald Kennedy: “Io

sono un berlinese”. Finivano le fughe riuscite e

quelle fallite, e sapeva di morte più inutilmente

tragica la fine, sull’asfalto, dell’ultimo fuggiti-

vo, appena la primavera precedente. Avevamo

ragione di gioire. Eravamo illusi nel pensare che

il fatto di voltare pagina ci aprisse un futuro

di ottimismo e serenità. Il mondo si è fatto più

complicato, e quegli arsenali da guerra fredda

hanno lasciato il posto a guerre asimmetriche,

e ben più sporche e imprevedibili, e ai vecchi

nemici di un tempo, impegnati in un duello con

regole condivise, tra contendenti che si temono

e si rispettano, si è sostituito uno scontro che

non sappiamo bene come chiamare, che non

abbiamo voluto e ci ritroviamo addosso così

indecifrabile che termini come “guerra fredda”

o “Cortina di Ferro” mattono quasi tenerezza,

adesso, come iniquità di un tempo più facile.

Non c’è da averne nostalgia, ma da avere la

consapevolezza amara che, finita una Storia, ne

cominciava un’altra, come una sfida alla nostra

festa, giusta e ingenua, ai piedi del Muro che si

sbriciolava.

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 86: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

86

NOSTALGIADEL MURO?

Piero Badaloni | Giornalista, scrittore e politico italiano, dal dicembre 2006 è direttore di Rai International. Ha iniziato la sua carriera giornalistica nel 1971 in Rai, occupandosi di reportage e di inchieste. Per i servizi sul terremoto in Irpinia divenne nel 1980 “Cronista dell’anno” dall’Unione nazionale cronisti italiani. In seguito si è proposto come autore e conduttore di molti programmi giornalistici, come Droga che fare, Italia Sera, Unomattina. Dal 1989 al 1991 ha condotto Piacere Rai Uno, affiancato da Simona Marchini e Toto Cutugno. Nel 1991 è diventato responsabile di Linea Notte. Tornato in Rai dopo alcuni anni di impegno politico ed istituzionale, è diventato corrispondente dapprima dalla sede di Parigi, poi di Bruxelles, infine di Berlino.

Piero Badaloni

Page 87: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Il cemento armato è coperto da decine di

affreschi allegorici dipinti dai giovani arrivati da

tutto il mondo, quando il 9 novembre di venti

anni fà il muro crollò sotto i colpi di piccone

dei berlinesi, che non ne potevano più di quella

barriera della vergogna.

Nel frattempo erano morte 230 persone

nel tentativo di scavalcarlo, eludendo la

sorveglianza dei micidiali “vopos”, le guardie di

frontiera della ex Germania comunista.

Quella notte fu un susseguirsi di canti e balli:

attraverso la televisione, il mondo intero

assistette a scene che fino a qualche giorno

prima era impensabile solo immaginare.

Appena undici mesi dopo, i due tronconi della

Germania divisa dopo la guerra, si riunirono in

un nuovo Stato: la capitale ritornò a Berlino.

Il 9 novembre del 1989 rappresenta una data

importante per la libertà e la democrazia

tedesca, ma per molti cittadini della ex DDR fu

anche l’inizio di una grande illusione: quella di

poter diventare finalmente, anche loro, cittadini

di serie A.

Un obiettivo che è stato realizzato solo in parte,

come ha sottolineato anche Gunter Grass, il

premio Nobel della letteratura, nonostante

da allora siano stati versati dalle casse dello

Stato federale a quelle dei Lander orientali

più di 1500 miliardi di euro per ricostruire

infrastrutture cadenti e rilanciare una economia

in dissesto.

Il divario fra Est ed Ovest resta ancora, nella

testa e nelle tasche dei tedeschi orientali. A

est, la gente lavora di più e guadagna di meno,

mentre la disoccupazione è a un livello due volte

superiore a quella dell’Ovest.

Anche dall’altra parte del paese i cittadini si

lamentano, ma per motivi opposti, cioè per lo

scarso spirito di iniziativa dei loro connazionali

orientali, per la loro mentalità giudicata troppo

87Era lungo 106 chilometri quel muro eretto nell’agosto del 1961 a Berlino, per fermare l’esodo incessante di tedeschi dall’est all’ovest. Ora ne è rimasto in piedi solo uno spezzone, poco più di mille metri, davanti al fiume che traversa la città, la Sprea.

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 88: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

88piagnucolosa e per la mancanza di gratitudine.

Un sondaggio pubblicato qualche tempo fa

ha lanciato l’allarme: il 21% dei tedeschi

occidentali vorrebbe di nuovo il Muro. A Est

invece, cresce una nostalgia sempre più forte

per il vecchio regime, che soffocava le libertà

individuali, ma assicurava a tutti il minimo

indispensabile per vivere.

Una nostalgia che si manifesta attraverso

la difesa a oltranza dei simboli della DDR,

a partire dal palazzo della Repubblica, uno

sgraziato blocco di cemento armato costruito

accanto al Duomo, in fondo al viale dei tigli.

Era la sede del parlamento della Germania

orientale e dell’assemblea del Sed, il partito

socialista unificato.

Ora il comune lo vuole abbattere, per

rimettere al suo posto il vecchio castello degli

Hohenzollern, raso al suolo dalle autorità

comuniste: è già pronto il progetto ma un

comitato di cittadini si oppone.

Altro simbolo al centro di un duro scontro

giudiziario, il logo della vecchia bandiera

della DDR, un martello con il compasso in

una corona di spighe. Un imprenditore lo

ha registrato come marchio: i fabbricanti di

magliette con quel disegno ora dovranno pagare

per venderle.

L’ideatore del logo, un anziano editore dell’est,

ha fatto ricorso in tribunale per far valere la sua

primogenitura artistica, ma ha perso la causa.

Le ragioni del commercio sono state più forti di

quelle legali.

Anche perché la “ostalgie”, la nostalgia dell’est,

tira sul mercato: sono riapparse le vecchie

sigarette, la zuppa di lenticchie e le salsicce al

fegato, piatti tradizionali al tempo della DDR.

Persino l’ometto con il cappello, che nei

semafori della Berlino Est indica quando

passare e quando fermarsi, è preferito dai turisti

al pedone stilizzato che nella parte Ovest della

capitale svolge la stessa funzione.

Il comune vorrebbe dappertutto lo stesso

segnale, naturalmente quello dell’Ovest, ma

è nato un movimento spontaneo per salvare

l’ometto con il cappello: ne hanno fatto persino

un gadget, che nei negozi di souvenir va a ruba.

Non è chiaro se si tratta di una vittoria del

capitalismo o di una beffa postuma del

socialismo reale. Nel dubbio proclamiamo la

nostra predilezione per l’ometto dell’Est: è più

simpatico e, soprattutto, originale.

In realtà, a parte le battute, il rischio che il

muro risorga davvero è molto concreto. Magari

non più come quello di venti anni fa, di cemento

armato e ben visibile, ma ancora più pericoloso

perché radicato nel terreno viscido della grande

finanza internazionale, che sta alzando una

barriera di veti davanti alle richieste di aiuto dei

paesi della ex Unione Sovietica, appena entrati

nell’orbita dell’Europa democratica, e in grande

affanno per la crisi economica.

Crisi economica, lo ricordiamo a chi ha la

memoria corta, provocata dal comportamento

irresponsabile di alcune banche americane ma

anche e sopratutto dalla politica guerrafondaia

di Bush padre e figlio, che ora messi da parte

in patria, presentano il conto a chi ha cercato

invano di opporsi a quella politica.

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 89: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

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2004 . One hundred minutes

Page 90: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

90

VENT’ANNIDI MITTELFEST

Giorgio Pressburger | Regista, scrittore e drammaturgo italiano, è nato a Budapest ed è arrivato in Italia nel 1956, a seguito dell’invasione sovietica dell’Ungheria. E’ una delle figure più rappresentative del panorama culturale italiano e internazionale: attivo in molteplici campi, dal teatro alla lirica, dalla narrativa alla saggistica, ha svolto anche attività istituzionale come Assessore alla Cultura del Comune di Spoleto e direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Budapest. E’ stato direttore artistico di MittelFest dal 1991 al 2003. Fra le sue più recenti pubblicazioni “Nel regno oscuro” (Bompiani, 2008), “Sulla fede” (Einaudi, 2004) e “L’orologio di Monaco” (Einaudi, 2003).

Giorgio Pressburger

Page 91: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

91

I preparativi per dar vita a MittelFest sono cominciati vent’anni fa. Il primo festival ha avuto luogo nel luglio del 1991, a Cividale del Friuli, dove tuttora, anno dopo anno continua a svolgersi.Per tredici anni ne sono stato il Direttore

artistico e tra mutamenti politici, guerre nei

paesi partecipanti, bombardamenti, battaglie,

nascite di nuovi Stati, l’ho portato avanti, nello

stesso spirito con cui era cominciato.

Lo spirito di ricomposizione di un’unità

culturale che pareva essere scomparsa nelle

suddivisioni artificiali avvenute dopo la Seconda

Guerra Mondiale. Occorreva una nuova Europa

perché quell’unità ritornasse visibile. Nel 1989,

con l’avvenimento chiamato tutt’oggi “la caduta

del muro” (di Berlino) quella nuova Europa

poteva iniziare la sua vita.

L’atmosfera festosa con la quale era stata

celebrata la nascita dell’organismo che

idealmente riuniva invece cinque paesi

dell’Europa centrale (Austria, Cecoslovacchia,

Ungheria, Yugoslavia, Italia) tutt’oggi è viva

nel ricordo di coloro che assistettero al primo

Festival, alla prima iniziativa in assoluto della

Pentagonale. Con la scissione della Yugoslavia e

della Cecoslovacchia, e con l’entrata successiva

di nuovi Paesi nella Pentagonale, i membri

sono diventati diciassette. E quell’organismo

continua a vivere con il nome di Iniziativa

Centrouropea.

Quindici anni più tardi, dieci Paesi fino ad

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 92: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

92

allora separati entrarono a far parte dell’Unione

Europea, una delle creazioni politiche più

importanti degli ultimi due millenni della nostra

civiltà.

Sono questi gli eventi ai quali appartiene un

semplice incontro tra compositori, musicisti,

gente di teatro, di cinema, letterati di cinque

Paesi. Quelle persone non avevano mai smesso

di essere in contatto tra loro, a volte correndo

pericoli, non avevano mai smesso di sperare in

un futuro incontro amichevole.

Quando le strade di Cividale si riempirono di

volti mai visti, di parole e lingue mai sentite

prima pareva che tutto dovesse aggiustarsi nel

modo migliore, per sempre. Seguirono invece

giorni sanguinosi, i bombardieri sfrecciavano

sopra le nostre teste giorno e notte. A poche

decine di chilometri dalle nostre case iniziò un

nuovo spargimento di sangue. Poi è passato

anche quello, ma le conseguenze di quei conflitti

tra Paesi un tempo federati e ora desiderosi di

dividersi sono ancora lì, come slavine che non

vogliono sciogliersi.

Intanto MittelFest ha continuato la sua vita.

Tranne un anno, il 1993, quando non ebbe i

finanziamenti da parte della Regione Friuli-

Venezia Giulia, e dei Ministeri, per sopravvivere.

Sembrava che l’inverno fosse ritornato per

sempre.

Nel nostro Paese partiti politici un tempo

egemoni, crollarono, si disfecero in poche

settimane.

Quel periodo si chiama ancora oggi l’epoca di

“mani pulite”. Quell’organismo che abbiamo

chiamato MittelFest, nato con sacrifici ed

entusiasmo, pareva dover scomparire insieme ai

quarant’anni di vita politica che oggi in Italia si

ricordano come la Prima Repubblica.

Seguirono mesi di inutili anticamere, telefonate,

lettere, incontri, trattative. Tutto importava

in quel momento tranne che quella fonte

della convivenza civile che spesso, abusando,

menzioniamo con la parola “cultura”. Allora

questa era passata in secondo ordine a nome

della politica da ristrutturare, oggi succede lo

stesso a nome del mercato, e, ultimamente della

crisi del mercato mondiale.

Ma per volontà di un nuovo Assessore Regionale

alla Cultura il festival inopinatamente rinacque

nel 1993. Quell’assessore aveva capito che

per una collettività (come la Regione) era

indispensabile quella “cosa” che si chiama arte

e cultura, così come lo è l’assistenza medica, il

lavoro,la libertà.

Tuttavia per undici dei tredici anni ogni volta

abbiamo dovuto ricominciare da zero. Il festival

non aveva uno statuto, un finanziamento sicuro,

un organigramma. Lottava per la sopravvivenza

anno dopo anno.

Poi, nel 2001 lo statuto arrivò.

Page 93: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

93

E arrivò il periodo in cui quel festival, ormai

noto in Italia e nel mondo, divenne terreno

di appetiti e contese. Così, dopo averlo

traghettato attraverso calamità d’ogni tipo,

lasciai quel luogo di incontri, scambi, amicizie e

avvenimenti con la coscienza d’aver contribuito

a qualche cosa di cui il mondo, ma sicuramente

l’Europa aveva bisogno. Alcuni avvenimenti

di quei tredici anni, sono tutt’ora vivi nella

memoria, nostra e in quella degli abitanti di

Cividale, ma anche nella mente di uomini di

teatro e di musica di mezza Europa.

Spettacoli come “La Medea magiara” recitata

in cinque lingue contemporaneamente in

piazza Paolo Diacono, o La Divina Commedia

il cui percorso si snodava nelle vie della città,

o “Danubio” di Magris, in cui il pubblico

si identificava con il fiume e i personaggi,

come sulle sponde del grande corso d’acqua,

apparivano nelle finestre e sui balconi,

l’esecuzione di “Planctus Marie” dei Codici

Cividalesi, “Brundibar” l’operina scritta per

i bambini di Teresienstadt, nel lager nazista,

“Praga Magica” che si svolgeva nella nella città

a luci spente, “America” di Kafka e alcuni altri

ancora.

Gli spettacoli, i concerti, gli incontri avvengono

nell’effimero eppure a volte lasciano segni che

restano nella memoria collettiva.

Le famose tragedie e commedie che si

recitavano nell’Atene antica durante i giochi

olimpici, dopo la “prima”, magari per

cinquecento anni non venivano ripresi.

Eppure sono parte irrinunciabile della nostra

civiltà.

Faust, il famoso dramma di Goethe, finisce con

sette versi, nei quali il coro dei santi eremtiti

afferma che “l’effimero qui/ diventa eterno”.

Noi certo non aspiriamo a nulla di simile, ma

a compiere il nostro dovere nell’ambito di una

delle civiltà più feconde della terra, questo sì.

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 94: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

94

I SEGNALI GORIZIANI

Roberto Collini | Dal 1999 è il direttore della Sede Regionale della Rai del Friuli Venezia Giulia. Giornalista professionista, laurea in scienze della comunicazione, è stato responsabile della redazione goriziana del Messaggero Veneto e inviato speciale per le testate nazionali del Giornale Radio. Con le sue radiocronache ha raccontato cinque edizioni delle Olimpiadi, undici del Giro d’Italia e dieci del Tour de France. E’ stato consigliere nazionale dell’Ussi, segretario regionale della Federazione della stampa, responsabile delle sedi regionali nell’esecutivo deli giornalisti Rai, direttore della rivista La Provincia Isontina. E’  consigliere di annibistrazione della Fondazione ente lirico Teatro Verdi di Trieste e del Consiglio di Indirizzo della Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia nonchè rappresentante Rai nella Comunità italofona e del Circom, organismo europeo che raggruppa  le televisioni regionali. 

Roberto Collini

Page 95: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

95MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Diventando un senso, un sentimento, una

percezione intensissima ogni qualvolta si passi

attraverso quei valichi che un tempo divideva-

no – ed ora congiungono- le nostre terre e quelle

della verde Slovenia.

La storia, anche da queste parti, ha fatto il suo

cammino, curando le grandi ferite, ricucendo

gli strappi della violenza e della follia, facendo

maturare, giorno dopo giorno, il seme della

ragione,

del dialogo, della convivenza.

Riportando l’orologio del tempo ai giorni in

cui goriziani e giuliani, sloveni e friulani, si

sentivano figli della stessa terra e agivano, pur

nel rispetto delle orgogliose diversità, per un

interesse comune.

Il “secolo breve” ha segnato profondamente le

vicende di questo lembo orientale della Pa-

tria, di questo angolo d’Italia che fa da cornice

all’Isonzo e alla sua campagna, che si fa acca-

rezzare dal dondolare del Carso, protetto dalle

ultimi balconi delle Giulie e che si affaccia

sull’Adriatico.

La Grande Guerra qui ha seminato croci e

distruzioni; l’Ultima il dolore e la rabbia, il

dramma dei deportati, la disperazione degli

esuli, e si è lasciata alle spalle una linea bianca

di calce spenta sulla quale le diplomazie hanno

costruito, con il filo spinato,una inaccettabile

barriera.

Le stagioni della violenza fascista e dell’odio

titino hanno lasciato così passo al gelo della

“guerra fredda”, alla contrapposizione feroce,

all’accentuazione degli steccati, ad una frattura

sempre più aspra.

Ci sono voluti più di vent’anni perché matu-

rasse, nelle coscienze delle genti, prima ancora

che in quelle degli amministratori, il senso del

recupero di un dialogo, di un confronto civile.

di un nuovo sentire comune dei problemi che

il confine – o linea di demarcazione che dir si

voglia – avevano creato. E proprio partendo dai

Libertà! L’urlo lanciato dai giovani tedeschi dell’Est assiepati sul muro della Porta di Brandeburgo la sera del 9 novembre di vent’anni fa, sospinto dal vento della democrazia, ha contaminato anche le nostre terre.

Page 96: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

96minuscoli temi di interesse condiviso ( come

nella stessa logica che ha animato poi la politica

dei “piccoli passi”) si sono creati i presupposti

per la costruzione di un percorso sul terreno del

confronto.

Gorizia, con la sua vocazione naturale ad essere

città del dialogo, della tolleranza, del rispetto

delle diversità, ha saputo così con intelligenza

realizzare un ponte- non soltanto ideale- attra-

verso il quale far passare pensieri e progetti per

la costruzione della nuova Europa.

Gli Incontri Culturali Mitteleuropei, il concorso

di canto corale Seghizzi, il Festival internazio-

nale del Folclore, sono stati, a cavallo degli anni

Sessanta e Settanta, formidabili strumenti in

grado di favorire lo sviluppo di grandi fermenti

culturali, di avvicinare nuovamente le genti del

Centro-Europa, di decodificare messaggi di pace

e convivenza da trasmettere poi ai rispettivi

governanti.

Il Trattato di Osimo, pur con le sue contraddi-

zioni fatte di concessioni soprattutto sul terreno

della speranza per migliaia e migliaia di esuli

cotretti ad abbandonare ogni avere in Istria e

Dalmazia pur di poter riaffermare la loro or-

gogliosa appartenenza all’Italia, ha segnato – a

metà degli anni Settanta – un ulteriore momen-

to di dialogo e ha reso un po’ più permeabile il

confine.

Quello stesso confine che occhi lungimiranti

hanno iniziato a guardare non più solo come

una profonda ferita, ma come una opportunità,

da cogliere senza forzature, passo dopo passo,

facendo germogliare il frutto della ragione e del

vivere civile.

Il maresciallo Tito è stato per quasi quarant’an-

ni il “collante” della ex Jugoslavia e la sua

scomparsa, nel 1980, ha segnato l’avvio del

drammatico processo di disgregazione della

Repubblica Federativa. Alle pretese egemoni

hanno risposto, via via, il Kosovo, la Bosnia, la

Croazia e la Slovenia. L’indipendenza di Lu-

biana, raggiunta nel 1991, ha determinato una

svolta nelle vicende storiche di queste terre e

nella realizzazione del progetto di ampliamento

dell’Europa Comunitaria.

Il 30 aprile del 2004, al Piazzale della Transal-

pina di Gorizia, un tempo simbolo del “muro”

che divideva l’Europa Occidentale dall’Est, una

grande festa di popolo ha salutato la caduta

dell’ultimo, anacronistico, diaframma, che divi-

deva le nostre genti.

Ma dovevano passare altri tre anni prima che,

alla vigilia del 2008, fossero cancellati anche

fisicamente i confini e la gente potesse tran-

quillamente muoversi in questi territori senza

“barriere psicologiche”.

Lo scenario creato dalla Storia propone ora una

nuova sfida alla nostra realtà. Si rende neces-

saria una attenta operazione di lettura delle

opportunità che sono state aperte dalla caduta

degli steccati.

Agli storici viene affidato il difficile compito di

ricercare momenti di sintesi sul terreno della

memoria condivisa nel tentativo di cancellare

anche gli ultimi retaggi del passato.

Agli amministratori si chiede di applicare in

modo intelligente il concetto di città ponte

(estendibile, peraltro, alla regione) superando

divisioni interne e contrapposizioni in modo da

far riaffiorare tutta la ricchezza delle diversità,

ritenute da sempre un patrimonio inalienabile

delle nostre genti.

Perché solo così avrà un senso compiuto quel

concetto di “libertà” che ognuno di noi sente

esplodere nell’animo ogni volta che attraversa il

“vecchio confine”.

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Page 97: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

97

2008 . Lo sfarzo nella tempesta

Page 98: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

98

UNO SGUARDO AL FUTURO

Andrea Filippi | Direttore del quotidiano Messaggero Veneto di Udine, Andrea Filippi diventa giornalista professionista nel 1989 alla Gazzetta di Mantova, quotidiano facente parte della Finegil che fa capo all’Editoriale l’Espresso. Inizialmente si occupa di cronaca nazionale ed estera e di sport, per poi assumere l’incarico di caposervizio del settore attualità, quindi quello di capocronista e infine di caporedattore centrale. Nell’aprile 2003 si trasferisce al Messaggero Veneto Udine con l’incarico di vicedirettore e nel maggio 2005 viene nominato direttore responsabile del quotidiano friulano.

Andrea Filippi

Page 99: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

99MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

I vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino sono una data particolarmente importante per il Friuli Venezia Giulia. Non sono solo l’anniversario della fine del regi-

me comunista per l’Europa divisa per 28 anni

fra Est e Ovest da una barriera in cemento alta

tre metri e mezzo, ma qualcosa di più profondo.

Questa regione, dopo l’89, ha rappresentato

infatti lo snodo fondamentale fra due pezzi di

Europa rimasti lontani per decenni e di nuovo

vicini sia culturalmente sia economicamente.

Come territorio baricentrico rispetto all’Italia, ai

Paesi dell’Est entrati nell’UE e a quelli di immi-

nente ingresso come le repubbliche dei Balcani,

il Friuli Venezia Giulia è stato anticipatore del

processo di avvicinamento, sia come piattafor-

ma logistica al centro di tutti i commerci della

produzione tra Est e Ovest, sia come ponte cul-

turale fra nazioni e popoli che si incontravano

dopo troppo tempo. Attraverso il Friuli, infatti,

non è transitato e transita solo gran parte del

mercato che dall’Oriente è diretto in Italia, ma

anche gran parte del prodotto culturale diretto

al mondo intero. E di cui il MittelFest è una

delle voci più alte.

Possiamo affermare che la specialità della no-

stra regione, nata nel 1964 ma figlia del trattato

di Parigi, sia stata la testa d’ariete dell’Occi-

dente per poter sfondare quel muro, quella

barriera prima che fisica culturale che ha tenuto

distanti due mondi. Termini come cooperazione

trasnfrontaliera, come Alpe Adria sono stati i

tentativi – quasi sempre riusciti – di anticipare

un processo di avvicinamento che già negli anni

Settanta era percepito come indispensabile. La

stessa nascita di Autovie venete e molti dei pro-

getti che hanno visto la nostra concessionaria

muoversi fuori dei confini regionali e nazionali

indicano che la vocazione a fare da snodo fra

Est e Ovest è connaturata nel nostro territorio e

nel nostro sistema socio-economico.

A vent’anni da quella data storica, dunque, la

riflessione deve riguardare il futuro del Friu-

li Venezia Giulia e non il passato. La nostra

autonomia e il nostro statuto, fondato su ragioni

storiche e culturali, devono oggi essere non sol-

tanto salvaguardati, ma se possibile addirittura

rafforzati, perché non costituiscono un privile-

gio, ma la vera e propria assunzione di respon-

sabilità di un territorio nei confronti di un Paese

Page 100: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

2009 . Chopin - Vukan: visual notes

Page 101: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

101e dell’intera Unione Europea. Oltre che la prova

di capacità di gestione diretta delle proprie

risorse, ricavate dalla compartecipazione dei

tributi riscossi nel territorio della regione.

Questa responsabilità, che poi è la matrice

intima di qualsiasi riforma federale, fu chiara

anche subito dopo il terremoto, quando questa

Regione ha anticipato i principi stessi del Fede-

ralismo di cui ancora oggi in Italia, proprio in

questi mesi, si discute in Parlamento. Più tardi,

nel 1996, dopo il Muro, ottenendo che il settore

della Sanità fosse gestito in piena autonomia

dal Friuli Venezia Giulia e non più dallo Stato,

fu messo un ulteriore tassello nel disegno di un

grande federalismo europeo, che vedesse macro-

aree cooperare al di là del confini di stato.

Un ulteriore passo avanti è – e sarà sempre

di più – l’Euroregione fra con il Veneto e la

Carinzia, oltre che la Slovenia e parte della

Croazia, che altro non è che lo sbocco finale di

quell’idea dell’Alpe Adria di cui già il presiden-

te Antonio Comelli pose le basi, in tempi non

sospetti, quando cioè immaginare una Slovenia

in Europa e senza più confini era poco più che

un sogno.

Ma oggi, proprio perchè questo disegno non

perda valore, a vent’anni dalla caduta del Muro

serve che la condizione geopolitica della nostra

regione ottenga ulteriori strumenti specifici di

intervento. Le imprese del Friuli subiscono la

concorrenza dei Paesi vicini con cui un tempo

lavoravano in simbiosi, dove sono in vigore più

favorevoli regimi di tassazione a cui si aggiunge

il più alto livello di aiuti comunitari consen-

tito negli Stati del Centro e dell’Est Europa

di recente ingresso nell’Unione Europea. Per

questo è stato importante avere ottenuto nel

percorso di attuazione del federalismo fiscale,

la possibilità di concedere a questa Regione una

“Fiscalità di sviluppo”. La vicinanza con altri

Paesi, con regimi fiscali più favorevoli, può far

sorgere la tentazione alle imprese, soprattutto

dopo l’abolizione delle barriere fisiche dei confi-

ni con la Slovenia, di spostare le proprie attività

produttive in quelle terre, per ottenere vantaggi

in termini di fisco e di costo del lavoro ed anche

di costi di energia.

Ma la specialità non trova la sua ragione solo

nei rapporti economici. Si afferma anche nel

plurilinguismo e nella presenza delle minoranze

con le quali la regione ha costruito da sempre

ottimi rapporti di collaborazione. In questo

senso, ciò che dà unità a questi popoli è l’idea

comune che l’area di confine – così come la si

intende oggi – costituisca volano per accrescere

l’importanza di questo territorio e non già per

mortificarlo.

Page 102: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

102

NUOVA EUROPA, NUOVE OPPORTUNITÀ

Paolo Possamai | Direttore del quotidiano Il Piccolo di Trieste da novembre 2008, inizia la carriera al settimanale locale Nuova Vicenza, al quale collaboravano tra gli altri Ilvo Diamanti, Paolo Madron e Gian Antonio Stella. Dal 1989 diventa cronista politico e dal 1998 inviato del Mattino di Padova, e dallo stesso anno collabora alle pagine economiche di Repubblica. Direttore della Nuova Venezia e Mestre dal giugno 2005, è collaboratore della Fondazione Nord Est guidata da Innocenzo Cipolletta. Ha pubblicato il “Rapporto sulla società e l’economia del Nordest”, nelle edizioni dal 200 ad oggi, e nel 2008 ha firmato per Marsilio “Il nordest sono io”, libro-intervista a Giancarlo Galan.

Paolo Possamai

Page 103: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

103MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

Un muro è uno strumento di difesa. Un muro implica separazione. Un muro aiuta a occultare. Un muro potrebbe raccontare tanti segreti, ascoltando chi abita da un parte e dall’altra. Ma un muro può contenere anche la propria alterità, la propria negazione: può essere forato da una porta. Ebbene, del muro che percorreva fino a ieri e

ha per secoli attraversato il cuore dell’Europa,

sia pure in modo discontinuo e cangiante, la

città di Trieste è stata porta tra le rare, tra le più

sorprendenti per capacità di attrazione.

A vent’anni dalla caduta del Muro per antono-

masia, da quando Berlino è ritornata capitale

e non più città simbolo sbranata dagli opposti

in politica, è bene interrogarsi su quel che è

avvenuto in questo tempo e su quel che sta

avvenendo nelle città affacciate a quel che fu un

vero confine. Che sta avvenendo a Trieste o a

Gorizia, per esempio? Se badiamo all’etimologia

di “confine”, che contiene appunto la parola

“fine”, ci sovviene che il mondo occidentale

terminava dinanzi agli occhi di chi aveva casa

a Gorizia e a Trieste. Il triestino e il goriziano

avevano di fronte la frontiera, l’estremo lembo

della terra del loro Paese e l’inizio del territorio

di un altro Stato.

Ma che succede quando la fine non esiste più,

quando là dove c’era il confine inizia la possibi-

lità di nuove relazioni, di nuove avventure? Che

succede quando cade il Muro e si aprono spazi

nuovi, chances di incontri, di scambi, di legami?

Possono essere colte, queste opportunità, o può

Page 104: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

sopravvivere il ricordo del Muro e – per una

sorta di riflesso condizionato – chi abita quei

luoghi può muoversi in un ambiente mentale

che mantiene i confini e le frontiere.

Il rischio esiste tutto, se Trieste in particolare

non farà memoria e coscienza del suo ruolo di

storica porta con l’Est europeo, con la Balcania

soprattutto ma non solo. Ne è testimonianza

il sorprendente impasto di etnie e razze che

appaiono semplicemente scorrendo l’elenco del

telefono, traccia evidente del ruolo di incrocio

commerciale e di magnete culturale esercita-

to da Trieste. Da questo impasto va tratta la

lezione più vera della storia di Trieste, che è una

straordinaria capacità di integrazione e assimi-

lazione. L’inverso dell’azione di un muro. Ma

esiste pure la possibilità di esaltare le differenze,

le contrapposizioni storiche, le colorazioni poli-

tiche e di nazionalità d’origine. In questo bivio è

contenuto un pezzo essenziale della sfida: aprire

o chiudere la porta, rispetto all”altro” che abita

in città, ma non di meno rispetto ai paesi che

stanno di là dall’ex confine.

A quest’ultimo proposito, occorre capire per

esempio sul pratico terreno delle infrastrutture e

degli scambi commerciali come Trieste intende

porsi con il suo porto. Porto che fu, per decreto

dell’imperatrice Maria Teresa datato 1719, il

porto dell’impero. Mutatis mutandis, Trieste po-

trebbe profittare della caduta del muro e ambire

a riscoprire il suo antico ruolo di porto al servi-

zio della mittel-Europa, ma anche a divenire la

testata portuale del “terzo mare” russo (che è la

pianura liquida chiamata Adriatico).

Del resto, che la caduta del muro abbia implica-

to formidabili chances di sviluppo lo dimostrano

con inequivoca evidenza i dati statistici, secondo

cui di gran parte dei paesi balcanici l’Italia – e

in particolare il Nordest – è primo o secondo

partner commerciale. In queste dinamiche, Trie-

ste è chiamata a giocare un pezzo fondamentale

del proprio destino, imprigionato negli ultimi 70

anni nella dimensione della nostalgia.

Nostalgia che può essere letta con la valenza

dei due termini presenti nel vocabolario tede-

sco: nostalgia di un bene perduto, nostalgia di

un’esperienza sempre agognata e mai raggiun-

ta. Tra una realtà passata e un desiderio mai

tramutato in fatto.

Ma il muro è caduto, la “fine” della terra è stata

cancellata e nuove avventure chiamano chi

voglia uscire dalla propria casa.

104

Page 105: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

105

2003 . Lindsay Kemp, Per la dolce memoria di quel giorno

Page 106: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

106

QUANDO LA NOTIZIA ABBATTE IL CONFINECrossborder news, per costruire l’Europa e gli Europei

Alfonso Di Leva | Giornalista, dal 1997 e’ responsabile della sede regionale dell’ Ansa per il Friuli Venezia Giulia. E’ nato a Potenza, ha 52 anni, vive e lavora a Trieste. Laureato in Sociologia, ha lavorato per la rai e per i quotidiani Il Sole 24 Ore, Il Mattino, Gazzetta del Mezzogiorno, Avvenire, Corriere del Giorno e Giornale del Sud. Ha diretto la rivista del Mediocredito del Sud; è stato vicepresidente dell’ Associazione della Stampa di Puglia e Basilicata e Segretario dell’ Ordine dei Giornalisti della Basilicata.

Alfonso Di Leva

Page 107: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

107MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

E non è solo quella locale e neanche quella “glo-

cal”, la dimensione virtuale nella quale le tec-

nologie fanno vivere e viaggiare le notizie locali

rendendole fruibili in tempo reale da qualunque

angolo del mondo, purché ci sia un collegamen-

to Internet e qualcosa che somigli anche solo

vagamente a un computer.

C’e’ una terza dimensione che, per una par-

te dell’Europa, è nata la sera del 9 novembre

1989, proprio nel momento in cui e’ cominciato

a cadere il Muro di Berlino: è quella, per gran-

dissima parte ancora da esplorare, delle noti-

zie che non si fermano alla frontiera, che anzi

abbattono i confini, che non muoiono davanti ai

Muri, siano essi di mattoni o di qualunque altra

cosa, Storia e Pregiudizi compresi.

Crossborder news; informazione transfronta-

liera; notizie senza confini: chiamatela come

volete, purché sia un’informazione che parli

del territorio e degli uomini e delle donne che

lo abitano, delle persone che a quel territorio

danno cuore e cervello e che ne costruiscono la

Storia e la Cronaca.

Se quel Muro non fosse caduto, forse oggi non

sarebbe nemmeno immaginabile parlare di

questi racconti, di queste notizie per le quali il

sistema dell’informazione è in ritardo di de-

cenni, almeno un paio di decenni, quelli che ci

separano, appunto, dall’autunno del 1989.

Per giornali, radio e televisioni, quel Muro, a

Berlino, non sembra ancora definitivamente

crollato. Sicuramente si è sgretolato in qualche

parte, anche importante. Sono comparse delle

crepe, si e’ aperto qualche varco, talvolta anche

di grande valore: si pensi ad Arte, la televisio-

ne culturale europea che trasmette sul digitale

terrestre francese e tedesco, o alle pagine che

qualche quotidiano e diverse riviste dedicano

La domanda è: fra nazionale e globale, c’è una terza dimensione nell’informazione?La risposta è: sì.

Page 108: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

108MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / LE RIFLESSIONI

all’informazione d’oltre confine.

Ma nell’insieme, le “prove d’Europa” nel si-

stema dell’informazione non sembrano ancora

uscite dai laboratori, dalla sperimentazione, dai

tentativi di costruire ponti piuttosto che abbat-

tere Muri e confini che, invece, dopo Berlino

sono stati progressivamente spazzati via.

Ritardi? Non solo. La strada delle news senza

confini sembra lastricata delle stesse buone

intenzioni che hanno imbrigliato il grande sogno

europeo nelle gabbie delle Politiche Centrali,

della Burocrazia, delle Circolari, dei Regola-

menti, dei Fondi e dei Programmi.

Mi piace, invece, pensare alle notizie che vivono

sui “confini che non ci sono più”; che passano

da una parte all’altra delle vecchie frontiere; che

aiutano a conoscere e far conoscere le comunità

che su quelle terre vivono; che contribuiscono,

in questo modo, a far cadere pregiudizi e ipocri-

sie; che dopo le frontiere fra gli Stati, danno una

mano ad abbattere i confini fra le persone e le

comunità.

Notizie che non raccontano di burocrazia,

trattati, leggi e regolamenti, ma di vita vissu-

ta. Notizie che attraversano le frontiere come

nei decenni scorsi hanno saputo fare strade e

ferrovie; come hanno sempre fatto l’economia

e la cultura; come in alcuni casi riesce a fare la

sanità e la protezione civile. Notizie che parlano

delle comunità e della loro vita; delle loro risorse

e dei loro problemi; delle loro proposte, dei loro

progetti e delle loro passioni, fino ad annullare

il confine e farne un ricordo del passato, proprio

come un ricordo è ormai il Muro di Berlino.

Notizie che siano “prove d’Europa” per far

crescere gli Europei e costruire l’Europa dal

basso. Una sfida, sicuramente; un sogno, forse;

un progetto, sneza ombra di dubbio, già nero

su bianco, anche su uno dei confini più tormen-

tati del Continente, quello dell’estremo Nordest

d’Italia, dove l’ANSA e l’agenzia slovena STA,

la Rai e Radiotelevisione Slovenia di Capodi-

stria, insieme a Informest e ad altri partner,

hanno deciso di mettersi insieme dar vita a una

piattaforma multimediale e multicanale d’infor-

mazione locale transfrontaliera.

Quando mi chiedono che cos’è per me l’Europa,

rispondo sempre che l’Europa è quel Miracolo

della Storia che, dopo la caduta del Muro, dopo

l’abbattimento di quei confini sui quali i miei

nonni hanno combattuto a mille chilometri

dalla loro casa (senza conoscerne il motivo), sta

facendo della mia generazione la prima che non

ha conosciuto la guerra. Quei confini non pos-

sono tornare e non possono più esistere neanche

per le notizie.

Page 109: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

109

Gian Enrico Rusconi

PROVE D’EUROPAL’ANALISI

Page 110: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Il saggio che segue è un’anticipazione della pubblicazione Berlino. La reinvenzione della Germania, di prossima uscita per edizioni Laterza dai temi della Lectio Magistralis tenuta al V Festival èStoria di Gorizia

110

CHE COSA C’ERADIETROIL MURO?

Gian Enrico Rusconi | Germanista, storico e politologo, collabora con il Dipartimento di Studi Politici dell’Università di Torino. Ha fatto frequenti soggiorni di studio negli Stati Uniti e soprattutto in Germania. Vincitore della Goethe-Medaille (1997), assegnata dai Goethe-Institute tedeschi agli studiosi stranieri che hanno contribuito all’arricchimento dei rapporti tra la cultura tedesca e le altre culture è anche editorialista de “La Stampa” di Torino e collabora regolarmente alla rivista il Mulino. Tra i suoi scritti più recenti: Non abusare di Dio (Rizzoli, 2007); L’azzardo del 1915. Come l’Italia decide la sua guerra (Il Mulino, 2005); Cefalonia. Quando gli italiani si battono (Einaudi, 2004); Germania Italia Europa. Dallo stato di potenza alla “potenza civile” (Einaudi, 2003); Come se Dio non ci fosse. I laici, i cattolici e la democrazia (Einaudi, 2000).

Gian Enrico Rusconi

Page 111: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

1. “Caduta del Muro di Berlino” è di-

ventata espressione idiomatica nel linguag-

gio politico e pubblicistico. E’ luogo comune

definire epocale ciò che è accaduto la notte del

9 novembre 1989. Un evento, cioè, che segna in

modo irreversibile un passaggio tra due epoche

storiche. Così in effetti è stato - per la Germania

innanzitutto.

In effetti l’incredulità diffusa quella sera e quel-

la notte (“wahnsinnig/pazzesco” era la parola

più frequentemente pronunciata) segnalava

qualcosa di più dello stupore per l’inattesa aper-

tura dei varchi di controllo del Muro (innalzato

nel lontano 1961), consentita da un’autorità

politica ormai in stato confusionale. Era l’oscura

intuizione che stava accadendo qualcosa di mol-

to più grande. Ma l’alto funzionario che annun-

ciava ai cittadini della Repubblica democratica

tedesca (DDR1) la possibilità di attraversare da

subito – senza particolari restrizioni - i posti di

blocco che separavano Berlino Est da Berlino

Ovest, non sospettava lontanamente che stesse

decretando la fine della DDR, tra un’inconteni-

bile emozione collettiva e un paralizzante caos

burocratico.

Accanto alla rivisitazione di alcuni momenti di

quella vicenda, passata alla storia con il nome di

Wende/svolta, oltre che di “rivoluzione pacifi-

ca”, ci preme qui ricordare il contesto geopoliti-

co internazione e globale in cui essa si colloca e

da cui riceve il suo pieno significato. Ci interessa

capire il lascito morale, culturale e politico

dell’esperienza della ex-DDR e quindi il pro-

blema della ricostruzione di una storia comune

delle due Germanie.

Diciamo subito che il giudizio politico nega-

tivo senza reticenze nei confronti del regime

SED (il “Partito socialista unitario” chiamato

correntemente “comunista”) non giustifica la

riduzione di quarant’anni di esistenza politica e

sociale della popolazione orientale ad una “nota

a pie’ di pagina della storia mondiale”, di cui

avrebbe parlato amaramente Stefan Heym. Le

informazioni che oggi abbiamo sull’apparato

di sorveglianza poliziesca della sfera privata

dei cittadini (la Stasi2), macchina di sofisticata

intelligence ma nel contempo di assoluta impo-

tenza (dunque di non-intelligenza) politica, non

lasciano spazio ad alcuna indulgenza verso chi

si è fatto volontariamente coinvolgere. Ma non

si può e non si deve ridurre la DDR al “paese

della Stasi”.

Ma il lavoro di elaborazione (ancora una volta

la Aufarbeitung che è stata praticata per il

nazionalsocialismo) delle esperienze sociali,

umane, culturali in essa vissute risulta assai più

difficile del previsto.

2. L’ apertura dei varchi di passaggio del

Muro, seguita nei giorni successivi dallo spon-

taneo suo smantellamento materiale, conserva

nell’immaginario collettivo una forza simbolica

straordinaria, icona di un “evento inaudito” per

i tedeschi e per gli europei e tutto il mondo che

ne fu testimone attraverso una partecipazione

mediatica, televisiva live, senza precedenti.

Ma è sorprendente la rapidità e la naturalezza

con cui nella narrazione oggi corrente la conse-

guenza politica di quel evento – la riunificazione

- sia considerata retrospettivamente come ovvia,

mentre non lo era affatto nelle prospettive e

nelle attese internazionali di allora.

Anzi, proprio questo è stato il passaggio cru-

ciale della vicenda che ha paralizzato e diviso il

movimento di protesta di massa, il Bürgerbewe-

gung, che tra l’ottobre e il novembre era stato il

soggetto collettivo trainante e dirompente, con

111MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / L’ANALISI

Page 112: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

conseguenze politiche decisive.

Nel novembre 1989 e per alcune settimane

successive la politica (la grande politica interna-

zionale, le intenzioni politiche degli oppositori/

riformatori che volevano una DDR riformata in

senso socialista) esclude il nesso necessario tra

la caduta del Muro e la riunificazione delle due

Germanie. Oggi, con il senno di poi, si attribu-

isce questo atteggiamento alla miopia di non

aver capito che il baricentro della crisi non era

Berlino est ma Mosca, in preda ad una implosio-

ne politica senza precedenti. Il motore originario

della dinamica del 1989/90 va ricercata nella

crisi irreversibile del sistema sovietico, prigionie-

ro delle sue contraddizioni interne,aggravate dal

fatto d’avere conseguenze dirette sugli equilibri

geopolitici mondiali. In quel contesto è cruciale

il fallimento della strategia “riformatrice” di

Gorbachev che, anziché rinnovare il sistema co-

munista, lo porta al collasso manifesto del 1991.

La DDR anticipa questo risultato, anche se la

soluzione “nazionale” mimetizza la vera sostan-

za di quanto sta accadendo: il tracollo del siste-

ma economico-sociale socialista come tale. Esso

si colloca in un orizzonte geopolitico e cronolo-

gico ancora più ampio: tra la ritirata militare

sovietica dall’Afghanistan e la (prima) guerra

contro l´Iraq di Saddam che segna il passaggio

all’età che la pubblicistica ama spesso a definire

– a torto o a ragione – di “scontro di civiltà”.

3. In un primo tempo la caduta del Muro,

la pressione popolare a favore della riunifica-

zione, la possibilità concreta di un nuovo Stato

nazionale unitario sono uno choc per gli intel-

lettuali di sinistra (ma non solo), che riattivano

con toni ansioni i temi post-nazionali, i motivi

del patriottismo costituzionale e della memoria

dell’Olocausto per mettere in guardia da una

restaurazione della Grande Germania. Alla testa

di questo movimento di protesta ci sono autori

del calibro di Jürgen Habermas e Günter Grass.

Il primo parla con enfasi polemica di “naziona-

lismo del marco”, il secondo della minacciosa

ricostituzione di un Großdeutschland e Quarto

Reich.

Intanto però, impercettibilmente, avviene un

fatto curioso: a sinistra vengono messe in sordi-

na le consuete polemiche contro la vecchia Bun-

desrepublik, il suo potenziale autoritario, i suoi

(veri o presunti) deficit di legittimazione che

erano stati i cavalli di battaglia polemica degli

anni Settanta. La democrazia di Bonn acquista

tacitamente - agli occhi dei suoi critici di ieri - i

tratti di un buon governo liberaldemocratico

che potrebbe essere ora messo in pericolo dalle

ambizioni di una nuova Machtpolitik di una

restaurata Grande Germania.

Anche qui si tratta di un equivoco. Per gran

parte della popolazione orientale la riunificazio-

ne è semplicemente la scorciatoia per ottenere

democrazia e benessere, sanzionando il falli-

mento definitivo del sistema economico socia-

lista che aveva promesso benessere e sicurezza

socio-economica, senza adottare alcuna logica

di mercato e soprattutto senza creare meccani-

smi democratici. L’esistenza di un buono Stato

sociale non poteva surrogare l’inesistenza di

istituzioni democratiche. La proposta di una

nuova DDR democratica e socialista, avanzata

dai rappresentanti dell’opposizione interna al

regime, usciti allo scoperto o fattisi coraggiosi

all’improvviso, è percepita da gran parte della

popolazione come non credibile e fuori tempo

massimo.

Di fatto la riunificazione non porta a nessun

revival di nazionalismo, a nessuna rinascita di

una prepotente identità nazionale tradizionale –

temuta da molte parti, apparentemente confer-

112

Page 113: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

mata da alcuni episodi di xenofobia dei primi

anni Novanta.

Con il passare del tempo si troverà tacitamen-

te anche un equilibrio tra i paradigmi sino ad

allora polemicamente contrapposti di “identità

storica nazionale” e di “patriottismo costituzio-

nale”. Quello che mancherà in questo processo

sarà un significativo contributo da parte dei rap-

presentanti intellettuali orientali, molti dei quali

sono tutti presi dai problemi della loro liquida-

zione/sistemazione (Abwicklung ).

Anticipando quanto cercheremo di sviluppare in

seguito, possiamo dire che la fine della DDR e

la dissoluzione della sua entità/identità politica

nella Bundesrepublik è imputabile a quattro

fattori: la definitiva sottrazione di legittimità

al sistema socialista da parte della stragrande

maggioranza della popolazione; l’insuperabi-

lità dei suoi problemi strutturali economici; la

complessa interazione di dipendenza materiale,

mediale e culturale ( in atto da decenni) dalla

Germania federale; il venir meno del sostegno

sovietico.

Di fronte a questo nodo complesso, continuare a

parlare di annessione (Anschluss) o di coloniz-

zazione della DDR è superficiale e demagogico.

Centrale per noi rimane – come vedremo - il

tema della legittimazione, importante ancora

oggi nella sua forma retrospettiva, per così dire,

nella ricostruzione della memoria e della storia

comune tra i due Stati tedeschi.

Detto questo, che milioni di uomini e di donne

abbiano accettato passivamente, con maggiore

o minore rassegnazione e adattamento, oppure

con convinzione più o meno intensa il sistema

socialista non è un dettaglio che si possa bana-

lizzare, se si vogliono costruire rapporti autentici

di cittadinanza. Le strategie di adattamento o

di sopravvivenza non devono essere riservate a

terapie psicologiche o ad analisi di antropologi.

Rimangono un dato storico e politico da studia-

re.

4. Facciamo un passo indietro nel tempo.

All’inizio del 1989 ( l’anno in cui si celebra il

quarantennale della Costituzione della Re-

pubblica democratica tedesca) appare come

l’ultimo territorio-riserva del socialismo reale

in un’Europa orientale in marcia verso l’eco-

nomia di mercato, la democratizzazione e

l’occidentalizzazione, con la ricerca di nuovi

punti di riferimento politico internazionale. Poi

quasi all’improvviso nell’estate dalla „riserva

socialista” DDR incomincia la fuga in massa di

cittadini – soprattutto giovani e giovani famiglie

– che cercano asilo nelle ambasciate tedesco-oc-

cidentali di Praga e di Budapest. E’ importante

sottolineare che senza questo contesto geo-poli-

tico esterno sarebbero difficili se non impossibili

le fughe con il loro contraccolpo delle manife-

stazioni di protesta di massa di Lipsia, Dresda

e Berlino che si moltiplicano per settimane nel

settembre/ ottobre.

La questione della libertà di viaggiare è un

fattore di protesta particolarmente insidioso per

l’autorità della DDR perché apparentemente

legittimo, se non mette in discussione il sistema.

Ma proprio l’incapacità di reazione da parte del

governo fa sì che il movimento per la libertà

di viaggiare diventi l’elemento catalizzatore e

scatenante del più vasto movimento per gli altri

diritti di cittadinanza. Inaspettatamente una

grande massa i cittadini della DDR esce dalla

sua “normale” passività. I termini per defini-

re questa mobilitazione sono diversi e fluidi:

protesta di massa, movimento di cittadini, vero

113MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / L’ANALISI

Page 114: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

e proprio movimento per i diritti civili e politici

(Bürgerrechtsbewegung ). Per qualche settima-

na sembrano coesistere e coincidere. Le parole

d’ordine stesse sono fluide ma dirompenti e

paralizzanti per un regime che aveva il monopo-

lio della parola.

La messa in crisi manifesta del sistema non è la

conseguenza di una resistenza tenace e aperta

di un sindacato interno sostenuto dagli intel-

lettuali come in Polonia; non è l’esito finale di

una lunga attività di opposizione sotterranea

quale è stata praticata a Praga; non è neppure il

risultato di una scaltra politica di riforme messa

in atto tempestivamente in Ungheria dalla

segreta complicità tra partito e popolazione. Le

autorità della DDR sono prese in contropiede da

un inatteso movimento di protesta di massa che

non osano contrastare con le maniere forti anche

perché non hanno più il sostegno di Mosca. La

popolarità e le attese di molti cittadini verso la

strategia riformatrice di Gorbachev, che pure

era detestata dalla nomenklatura della SED,

funzionano come fattori paralizzanti del gover-

no di Berlino-Est. Anche se verosimilmente da

tempo era in atto un sottile processo di erosione

del consenso all’interno delle strutture partitico-

politiche.

Si arriva così alla grande manifestazione del

4 novembre. Nella Alexanderplatz di Berlino

ha luogo una imponentissima dimostrazione di

massa. Si rendono visibili alcuni intellettuali –

oppositori “frondisti” del regime ma anche altri

che sino a quel momento erano ben collocati

nelle sue pieghe. Questi intellettuali si sentono

interpreti anzi virtuali artefici di una politica

rinnovatrice – ma sempre socialista. Sono affa-

scinati dall’idea di una rivoluzione senza terrore.

In realtà commettono l’errore di esaltare come

“rivoluzione non-violenta” attiva quella che è

l’implosione di una struttura di potere, improv-

visamente rivelatasi fragile sovrastruttura.

Un documento del gruppo “Demokratie Jetzt”

descrive entusiasticamente quanto è accaduto:

il Palazzo della Repubblica “era traboccante di

quei 500.000 che, per sempre, considereranno

questo giorno di novembre come il giorno della

sovranità del popolo; senza violenza infatti loro,

i cittadini e le cittadine di questo paese, hanno

preso possesso di questa casa insieme con i loro

bambini, hanno guardato raggianti di felici-

tà dalla terrazza verso la folla in movimento,

consapevoli del potere del popolo presente nella

parola pacifica ‘noi siamo il popolo’ “.

In realtà questo entusiasmo durerà poco. “Nei

‘brevi cinque giorni gloriosi’ dopo il 4 novembre

a Berlino il movimento dei cittadini sembrò il

vincitore del rivolgimento. Successo insperato e

sconfitta inattesa stavano una appresso all’altra.

In quel momento, infatti, si annunciava una

nuova e non meno drammatica svolta. Punto

d’avvio era un episodio non programmato, che

alla fine sarebbe diventato il simbolo vero e pro-

prio dell’autunno tedesco: la caduta del Muro”

Questo evento, se da un lato toglie allo Stato

della SED l’ultimo strumento per discipli-

nare i suoi cittadini, dall’altro mette in linea

di collisione l’opposizione e i suoi progetti di

riforma interna ( per altro, sostenuti da appel-

li irrealistici3) con la volontà della massa dei

cittadini che sono decisi a coniugare benessere

e democrazia attraverso la strada più breve:

riunificando il loro Stato con quello occidentale.

Naturalmente non si preoccupano per niente

né delle procedure dell’operazione né delle sue

implicazioni internazionali. Non nascondono

affatto la volontà di delegare ogni responsabilità

al governo e alla politica del governo di Bonn.

114MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / L’ANALISI

Page 115: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

2009 . Giuseppe Battiston, Orson Welles’ Roast

115

Page 116: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Le elezioni del 18 marzo 1990 sanzioneranno

di fatto questo atteggiamento. Dopo di che il

movimento di massa si ritirerà nella passività.

E’ l’ultimo atto dell’ ”evento inaudito”.

5. Ma tra il novembre e il dicembre nes-

suno sa esattamente quale direzione si possa o

si debba prendere. Neppure il cancelliere della

Bundesrepublik di Bonn Helmut Kohl, che

passerà alla storia come il “cancelliere della

riunificazione”.

Procede con grande circospezione e tatticismo.

Davanti alla caduta del Muro non pensa affatto

alla riunificazione, ma ad un avvicinamento

progressivo tra i due Stati in una Confedera-

zione. Non disponendo in realtà di un piano

strategico, Kohl si fa guidare da un intuito

spregiudicato. Dapprima cerca rapporti pari-

tari con la controparte statale della DDR, poi,

davanti alle difficoltà di procedere speditamente

sulla strada dell’intesa intergovernativa, mentre

cresce l’irrequietezza della popolazione punta

senz’altro sull’entrata delle “regioni orientali”

nello Stato federale tedesco nei termini previsti

dalla “Legge fondamentale”.

Per questa operazione il suo unico forte pun-

to di appoggio internazionale è il presidente

degli Stati Uniti George W. Bush (senior), ma

può contare anche sulla remissività del leader

sovietico Michail Gorbachev. Kohl gode anche

del cauto consenso della Comunità europea,

nonostante alcuni rappresentanti degli Stati-

membri più importanti non nascondano le loro

perplessità e timori..

In questo contesto non è fuori luogo ricordare

che si rivelerà fallace l’illusione (e la giustifica-

zione espressa più volte soprattutto dal ministro

degli esteri Hans–Dietrich Genscher ) che la

riunificazione tedesca accelerasse e perfezionas-

se il processo di democratizzazione dell’intera

Europa orientale, in particolare sud-orientale, e

facilitasse la riforma interna dell’Unione sovie-

tica. Lo scoppio della guerra jugoslava, involon-

tariamente accelerato dal governo tedesco, ma

condiviso dagli altri governi europei, favorevole

alla tempestiva separazione delle repubbliche

slovena e croata dalla Federazione jugoslava,

sarebbe stata una brutale smentita della aspet-

tativa che la riunificazione tedesca avesse dato

inizio ad un nuovo ordine democratico nell’inte-

ra Europa orientale.

Alla fine il fattore tempo gioca un ruolo deter-

minante, costringendo a prendere le decisioni in

poche settimane.

Dal punto di vista giuridico-costituzionale la

riunificazione si istituzuonalizza applicando

l’art. 23 della Legge fondamentale del 1949,

che aveva previsto per l’allora ancora “prov-

visoria” Bundesrepublik l’accesso (Beitritt) da

parte delle regioni orientali. In questo modo nel

1990 si è voluto evitare ogni forma di rifonda-

zione costituzionale della democrazia tedesca

tramite la consultazione dei cittadini o anche

tramite una risoluzione paritetica tra le rappre-

sentanze parlamentari della DDR e della BRD

che confermasse solennemente la legittimità

della Germania unita. La decisione di affidarsi

esclusivamente all’art 23 allora sembrò fun-

zionale ad un rapido processo integrativo. In

realtà questo atteggiamento era (consciamente

o inconsciamente) il segno della negazione o

rimozione della specifica realtà storica della

DDR e dell’esperienza vissuta dalla sua popo-

lazione dalla storia tedesca complessiva. Come

se quarant’anni di storia di milioni di tedeschi

potesse essere ridotta al tempo di attesa della

riunificazione.

116

Page 117: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

6. A questo punto è opportuna qualche

considerazione retrospettiva sulle forme di legit-

timazione politica dei due Stati tedeschi. Comin-

ciamo dalle dichiarazioni ufficiali. Il fondamento

della legittimazione della Repubblica democra-

tica tedesca era l’antifascismo, l’anticapitalismo

e il connesso progetto socialista. L’antifascismo

forniva gli argomenti alla decisione politica (alla

“narrazione legittimante” o al “ mito fondati-

vo” – come si dice oggi) della socializzazione

dell’industria e dell’abolizione del latifondo

all’est dell’Elba – dal momento che industriali e

latifondisti erano dichiarati senz’altro responsa-

bili dell’ascesa di Hitler e della attuazione della

sua politica. In questo modo la DDR traeva la

propria legittimazione da un rapporto diretto sia

pure critico e punitivo (tramite espropriazioni e

statalizzazioni) con la storia tedesca, mentre la

BRD doveva ricercare le sue ragioni legittimanti

(o “miti fondanti”) nel presente, nelle presta-

zioni collettive della ricostruzione e del miracolo

economico, rimuovendo in qualche modo il

passato. Solo gradualmente, con il passare degli

anni tra gli elementi fondativi del nuovo Stato

occidentale si è menzionata anche l’opposizio-

ne anti-hitleriana, identificata innanzitutto nel

tentato attentato del 20 luglio 1944.

La costituzione nel 1949 di due Stati tedeschi

ideologicamente e politicamente separati e ostili

non elimina il riferimento ad una comune “na-

zione tedesca”, sia pure diversamente giudicata.

Il primo testo costituzionale della DDR parla in-

fatti di “Stato socialista della nazione tedesca”.

Questa dizione viene cancellata anni più tardi,

nel 1974 ( tredici anni dopo l’erezione del Muro

di Berlino), tramite una riforma costituzionale

che parla di “Stato socialista degli operai e dei

contadini”. Contemporaneamente tuttavia il go-

verno della SED inaugura una politica culturale

di ricupero delle grandi tradizioni nazionali,

dichiarando di incarnare la vera e migliore tra-

dizione storica della Germania.

La BRD, da parte sua, ha rivendicato sin

dall’inizio la rappresentanza della nazione tede-

sca nella sua interezza come tale. Nel Preambolo

del Grundgesetz si legge che il popolo tedesco di

tutti i Länder (di cui segue l’elenco) riafferma

l’unità statale e nazionale. E conclude solenne-

mente: „Il popolo tedesco intero si impegna a

completare l’unità e la libertà della Germania in

libera autodeterminazione”. Nella Repubblica

di Bonn il principio dell’unità della nazione non

è mai stato cancellato come traguardo finale

ideale - basti ricordare le irritazioni sollevate in

Germania a metà degli anni Ottanta dall’allora

ministro degli esteri italiano Giulio Andreotti,

che si augurava il permanere di due Germanie.

Ma la riunificazione era di fatto tacitamente

rimandata sine die, in un futuro che la quasi

totalità dei politici e della popolazione tede-

sca considerava irraggiungibile. Di qua e di

là del Muro era ormai radicata la convinzione

che l’esistenza dei due Stati tedeschi fosse una

soluzione storica e politica accettabile. Non era

soltanto l’opinione di pubblicisti e di polemisti

ma di tutti gli storici e scienziati politici più

influenti. Ritenevano definitivamente risolta

la questione nazionale tedesca con la “doppia

statualità” BRD e DDR e ancora alla fine degli

anni Ottanta avrebbero vivacemente contestato

chi avesse sostenuto che era ancora aperta una

“questione tedesca”, intesa come vulnus del di-

ritto dei tedeschi di vivere in una unica nazione.

E’ vero che le massime autorità istituzionali

della Repubblica federale avevano continuato

a ripetere ritualmente l’assioma dell`unità della

nazione tedesca, ma nessuno pensava seriamen-

117MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / L’ANALISI

Page 118: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

te che si sarebbe realizzata – tanto meno nei

modi in cui sarebbe effettivamente accaduto tra

il novembre 1989 e l’ottobre 1990.

7.Torniamo nella Repubblica democratica

tedesca. Dopo gli anni Settanta, anche sotto la

pressione mediatica dei modelli di benessere

occidentali, invano contrastati e diffamati con

appelli moralistici, il governo della DDR punta

sulla promessa di benessere - o quantomeno sui

valori della sicurezza economico-sociale - come

nuove elemento di legittimazione. Con la parola

d’ordine dell’unità tra politica sociale e politica

economica lo Stato socialista si presenta come

istituzione che si prende cura dei suoi cittadini

(Versorgungs- und Betreuungsstaat), rispar-

miando loro tutti i problemi esistenziali di un

decoroso corso della vita, problemi cui invece

sono esposti i cittadini di un sistema capitalisti-

co.

C’è anche un sottile cambiamento culturale

non privo di contraddizioni. Infatti, dall’alto, la

generazione dei „patriarchi“ antifascisti storici

tiene ferma e immobile l’ideologia e la prassi

politica del socialismo di stampo marx-leninista,

mentre nei quadri intermedi direttivi avanza

una nuova generazione pragmatica e tecno-

cratica. Ma la combinazione tra una ideologia

socialista ormai sclerotizzata e una pratica

tecnocratica alla lunga non regge.

Dalla metà degli anni Settanta e negli Ottanta

le società industriale avanzate (tra cui si può in

qualche modo includere anche la DDR) si impo-

ne drammaticamente la necessità del passaggio

verso l’età cosiddetta post-industriale, l’era

delle nuove tecnologie, della società dei servizi e

della comunicazione. La DDR si scopre priva di

capacità innovative: la produzione industriale,

la produttività del lavoro e la politica dei redditi

entrano in una fase di paralisi. La politiciz-

zazione del consumo promossa dal regime,

accompagnata dall’evidente insufficienza dei

beni di consumo rispetto agli standard tedesco-

occidentali, diventa un boomerang, un potente

fattore di delegittimazione del sistema.

In questo prospettiva diventa chiaro perché

la voglia di democratizzazione del 1989/90 è

associata alle aspettative di benessere di stile

“occidentale”, ed è naturale che si guardi ad

una rapida riunificazione come soluzione a por-

tata di mano – senza aver bisogno di retoriche

nazionali/nazionaliste. L’onere di rispondere alle

attese politiche, sociali, economiche, culturali

connesse all’abbandono del modello socialista

è riposto nell’adesione ad una nazione unita

garantita da un solido Stato sociale.

8. Dopo la Wende - termine che con il

tempo si è affermato per designare “la svolta”

per antonomasia del 1989/90 - è constatazio-

ne diffusa che la divisione statuale tra le due

Germanie abbia ceduto il posto ad una divisione

spirituale, culturale e sociale più sottile, non mi-

surabile soltanto con indicatori economici o con

il mancato abbattimento dei dislivelli economici

e sociali tra le regioni occidentali e orientali. Si

è denunciata l’assenza di una autentica solida-

le comunità politica nazionale. Mentre gli uni

(prevalentemente occidentali) imputano i costi

esorbitanti della riunificazione all’eredità pesan-

te del passato DDR, altri (soprattutto orientali)

la imputano alcune decisioni sbagliate prese

dopo la Wende.

Sebbene sia praticamente unanime l’opinione

che non ci fosse alcuna realistica alternativa al

trasferimento nelle regioni orientali dell’ordine

sociale occidentale, oggi si deplora che in tema

118

Page 119: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

119MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / L’ANALISI

di politica sanitaria, familiare e di cura infantile

si siano lasciate cadere norme e istituzionali che

godevano di ampio consenso nella popolazione

della DDR e che comunque avrebbero consentito

una vita migliore. La convinzione diffusa che la

sperequazione nello stato di benessere materiale

sia un “deficit di equità” tra Occidente e Oriente

avvelena i rapporti e i ricordi.

Non c’ è dubbio che larghi strati di popolazione

hanno sofferto assai più di quanto loro stessi

non sospettassero al momento della riunifica-

zione nell’impatto brutale con cambiamento di

sistema – nelle campagne come nelle aree urba-

ne esposte alla speculazione edilizia. Accanto e

più efficacemente delle analisi di economisti e

sociologi, tutto questo è stato raccontato dagli

scrittori (da Günter Grass a Rolf Hochhuth, per

ricordare i più noti a livello internazionale). A

scanso di fraintendimenti, va notato per altro

che in queste impietose narrazioni, quasi nulla

si salva del sistema socialista precedente con

i suoi ottusi uomini di partito e incompetenti

burocrati.

Naturalmente non manca chi afferma che si

esagera nel denunciare il trauma e quindi la

miseria materiale delle regioni orientali, anche

se rimane vero che non si è visto quello svilup-

po fiorente incautamente promesso da Kohl nel

1990. Soprattutto, non hanno ancora conquista-

to autonomia economica sufficiente per reggere

il confronto con le regioni occidentali, salvo che

in aree privilegiate (Rostock, Dresda o Erfurt).

Alcuni ottimisti infine asseriscono che ci si è

sbagliati nel timing della rinascita delle aree

orientali, non nel trend del loro sviluppo. E’

vero che la pura trasposizione del sistema occi-

dentale nelle regioni orientali ha accentuato la

crisi dello Stato sociale in tutte le regioni, ma,

economicamente e socialmente parlando, l’Est

tedesco non ha e non avrà il destino del Mezzo-

giorno italiano – se si vuole usare un confronto

che spesso viene fatto.

Oggi la storiografia è concorde nel riconoscere

che la politica di Kohl – al di là delle buone

intenzioni - era guidata da una mentalità e da

un assunto sbagliati, legati al vecchio model-

lo di sviluppo che aveva portato al successo

la Bundesrepublik postbellica. Era un doppio

errore: innanzitutto la situazione della DDR

dei primi anni Novanta era inconfrontabile con

quella della Germania occidentale dei primi

anni Cinquanta, quanto a risorse materiali, a

strutture e infrastrutture tecniche e a fattori

umani; in secondo luogo il Modell Deutschland

aveva mostrato proprio nei decenni successivi –

e segnatamente negli anni Ottanta - i suoi limiti

insuperabili ed era stato un grave errore di Kohl

non aver introdotto tempestivamente i necessari

correttivi.

Pensare poi che la riunificazione potesse addirit-

tura offrire una chance di rilancio dell’economia

nazionale, senza richiedere alcun nuovo impe-

gno finanziario ad hoc è stato un altro errore

di valutazione. Verosimilmente, per calcolo

elettorale Kohl ha assicurato i tedeschi che non

ci sarebbero stati costi e sacrifici aggiuntivi per

la riunificazione, mentre in realtà ci sarebbero

state forme di finanziamento camuffate e rela-

tivi aggravi tramite il credito e la politica della

sicurezza sociale. E’ stato un difetto di capacità

e di guida politica.

Di fatto la terapia d’urto dell’economia di

mercato, sostenuta da massicci strumenti statali

di sostegno e la politica attiva di sostegno del

lavoro, non ha raggiunto nelle regioni orientali

l’obiettivo di una rapida e ed energia creazione

di strutture economiche capaci di autosostener-

Page 120: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

2008 . Legno, diavoli e vecchiette... Storie di marionette

120

Page 121: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

121MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / L’ANALISI

si. Il segnale più drammatico è stata l’altissima

disoccupazione e le sue conseguenze sociali.

Tutto questo ha acuito il dilemma cui la popola-

zione orientale era particolarmente esposta e in-

difesa, per la passata esperienza – il dilemma tra

l’affidarsi alle misure di protezione e di assisten-

za di Stato e l’ attivarsi per raggiungere capacità

di iniziativa e di responsabilità autonoma.

Limitarsi a denunciare tutto questo come ef-

fetto di liberalismo selvaggio o di colonialismo

tedesco occidentale è troppo facile. Certo, ci

sono (stati) innumerevoli esempi di arroganza

e di insensibilità da parte di individui e gruppi

(spesso neppure molto qualificati) arrivati dalla

Germania occidentale. Ma c’erano situazioni

oggettive disastrose, caratterizzate da mancan-

za di competenze locali e assenza di personale

qualificato autoctono ( magari trasferitosi nelle

regioni occidentali dopo la unificazione).

9. Di fronte a quanto è accaduto nell’au-

tunno/inverno 1989, ci si è resi conto tardiva-

mente di quanto insufficienti, se non addirittura

fuorvianti, fossero le informazioni a disposizio-

ne nella Repubblica federale sulle condizioni

materiali e culturali reali della DDR. Oggi si

riconosce che c’è stato un deficit di conoscenza

scientifica oltre che un atteggiamento politico

inadeguato, cui non è più possibile rimediare,

se non con una più attenta ricostruzione ex-post.

Per la conoscenza della società della DDR e

soprattutto per capire l’atteggiamento della

popolazione ancora oggi, è essenziale l’analisi

delle narrazioni retrospettive e delle connesse

memorie, che si sono lentamente palesate o sono

state finalmente messe a fuoco dagli osservatori.

Ad esse si collegano le narrazioni postume, per

così dire, sulla legittimazione di cui godeva la

DDR e quindi i giudizi sul passaggio alla nuova

realtà politica.

Accanto al discorso ufficiale dominante che

giustifica la “rivoluzione democratica” del

1989 con la delegittimazione senza riserve del

precedente regime dittatoriale della SED, si

fanno sempre più frequenti contro-narrazioni

che in qualche modo rilegittimano il passato,

denunciando nel contempo “la colonizzazione”

sociale, materiale e culturale delle regioni orien-

tali a seguito dell’Anschluß da parte del sistema

capitalistico occidentale. Questa visione è diven-

tata parte integrante della cultura politica della

PDS (il partito successore della SED ed ora

confluito nella Linke nazionale), a prescindere

dalla tattica delle alleanze politiche che questa

formazione mette in atto a livello nazionale e

regionale

Ma c’è una terza posizione, per certi aspetti più

interessante e verosimilmente più condivisa. Si

basa sulla diffusione (ormai non più subcultu-

rale) di narrazioni biografiche e operazioni di

memoria presuntivamente comune che pongono

al centro la rivalutazione di storie di vita o bio-

grafie, presentate come situazioni di costrizione

oggettiva, anche se sottratte ad una azione poli-

tica diretta. E’ un atteggiamento caratterizzato

da sottili tratti impolitici.

Per parecchio tempo la maggioranza della po-

polazione tedesco-orientale dopo la caduta del

Muro non parve interessata a mettere a fuoco

il proprio passato: doveva fare i conti con un

presente imperscrutabile e con le illusioni e le

paure di un futuro incerto. La cronaca in com-

penso era piena delle malefatte della Stasi.

Con il passare degli anni si è rafforzata l’imma-

gine di una esistenza condotta e vissuta in con-

dizioni oggettive di “dominio”, talora evidenti

talaltra impalpabili. In verità, questa imma-

Page 122: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

122gine è accolta volentieri soltanto da chi aveva

effettivamente avuto esperienze di persecuzione.

L´idea di essere stati “dominati” è bene accetta

anche da chi vuole rendere credibile la sua “col-

laborazione” e quindi il suo incolpevole – perché

coatto - coinvolgimento nell`apparato di potere.

La DDR come “storia di dominio” tout court

incontra invece resistenza in chi ha creduto nel

regime o ha cercato di conviverci, di scendere a

patti con esso.

Ma il quadro è molto variegato, scalato anche

generazionalmente. La prima generazione che,

dopo un’esperienza giovanile hitleriana, si era

convertita con convinzione al comunismo e vi

aveva investito identità ed energie, con la fine

della DDR si ritrova con un itinerario biografico

devastato. Ma dappresso segue una generazione,

che, pur essendosi integrata in qualche modo

nel sistema sinceramente, volontaristicamente

o per assenza di alternative, aveva sperato sino

alla vigilia del tracollo in un suo mutamento

migliorativo. In questa generazione si trova sia

chi si riconverte rapidamente al nuovo sistema

liberal-democratico, sia chi rimane ne presto

deluso secondo un ampio spettro di gradi di

rassegnazione e adattamento. C’è infine chi

aveva vissuto nella nicchia della vita artistica,

delle forme subculturali giovanili creando o

credendo di godere di forme di vita alternative.

Paradossalmente, con la scomparsa della DDR,

lungi dall’aprirsi finalmente spazi di libertà, per

questi ultimi viene meno per essi il quadro di

riferimento polemico del loro stile di vita alter-

nativo; sentendosi ora esposti senza difese alla

logica della competizione e del mercato.

Sullo sfondo, c’è il basso continuo della no-

stalgia verso uno Stato sentito come garante

di assistenza sociale e verso una società di

solidarietà, dove la vita non era commercializ-

zata e l`atteggiamento dominante era (almeno

ideologicamente) di tipo egualitario. “Quella

che viene difesa è una esperienza di sicurezza

non soltanto nell`ambito materiale e sociale,

ma anche nell`ottica della pianificabilità della

vita, la tenuta dei rapporti, la calcolabilità dei

cambiamenti. In breve, un senso di controllo

(passivo) sul futuro, che garantisce tranquillità

e certezza”.

Ciò che spesso accomuna queste reazioni è un

atteggiamento sostanzialmente depoliticizzato,

se non impolitico. Il sistema DDR nella sua spe-

cificità partitico-politica viene rimosso o igno-

rato – forse come risposta anche ad una lettura

iper-ideologica troppo frequentemente offerta

dagli storici e dagli analisti politici occidentali,

concentrati sulle posizioni del partito e delle

istituzioni ufficiali. Trascurando o sottovalutan-

do la rilevanza delle strategie della contratta-

zione quotidiana della gente comune, le analisi

storico-politiche correnti non colgono i pesanti

limiti del potere della SED, pur molto penetran-

te con i suoi capillari apparati di controllo, sulla

vita normale e quotidiana. E quindi non hanno

comprensione per l’ostinazione che si è espres-

sa negli spazi nascosti e difesi della società del

socialismo reale. Con il risultato che questi spazi

permangono – a loro modo – ancora oggi dopo

due decenni di unità tedesca come luoghi di

resistenza contro altre forme invasive, o vice-

versa come reazione alla indifferenza sociale del

capitalismo trionfante.

Da qui la domanda che attende ancora una

risposta esauriente: che cosa c’era davvero

all’ombra del dominio/potere della SED ?

Com’era l’esistenza quotidiana dietro al Muro?

Solo paura e oppressione? Solo opportunismo

e manipolazione ? Il quotidiano era il luogo

che alimentava l’impotenza degli impotenti

e la potenza dei potenti – come continuano

Page 123: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

123ad affermare gli esponenti dei movimenti dei

diritti civili e politici, custodi intransigenti della

illegittimità senza attenuanti della DDR? O ci

si poteva considerare “cittadini” senza far parte

della nomenklatura e senza per questo sentirsi

prigionieri,“residenti coatti nello Stato” ?

Nel caso della DDR, spostare lo sforzo cono-

scitivo sul quotidiano non significa allargare

genericamente l’ambito della conoscenza - come

avviene solitamente nello studio delle società

occidentali. Quello spostamento contiene infatti

uno specifico giudizio politico. Diventa mol-

to istruttivo anche per capire e spiegare altre

esperienze del socialismo reale nei paesi dell’Est

Europa - e più in generale le società governate

da una dittatura.

In primo piano si pone la questione della diffe-

renza tra privato e pubblico. Da un lato sareb-

be assurdo negare una “felicità privata” o la

legittimità di una “nicchia in cui si è felici” (di

cui conservare memoria positiva) separata dalla

“infelicità pubblica”. Dall’altro, però – proprio

in Germania – vale il verdetto (adorniano) della

impossibilità di una vita privata “vera” in una

vita collettiva “falsa”. Ovvero, per dirla nel

linguaggio di alcuni esponenti della “politica

della memoria” ufficiale, coltivare ricordi pia-

cevoli (che non siano quelli privatissimi) della

vita nella DDR mette in pericolo il “consenso

antitotalitario”contro il regime.

In contrasto con questa posizione si è obiettato

(giustamente, a mio avviso) che continuare a

sostenere che la vita nella DDR fosse inautentica

e moralmente compromessa rischia di estraniare

molti tedeschi orientali dalla nuova Germania

democratica unita.

Alla luce di questa problematica vale l’invito,

avanzato da alcuni studiosi, ad un mutamento

di paradigma nella lettura del passato della

DDR, passando dalla semplice de-legittimazione

del sistema socialista alla sua storicizzazione.

Questo mutamento non significa affatto una ri-

abilitazione dello Stato della SED, ma un passo

importante verso la riappropriazione critica del

passato tedesco nel suo insieme.

10. Una annotazione finale. Per definire

tutto quanto è successo e sopra sinteticamente

descritto è giusto parlare di „rivoluzione“ ? An-

che se il concetto più diffuso è quello di Wende/

svolta? Nella letteratura e nella pubblicistica

ci sono altri termini ancora: Umbruch / rivol-

gimento, Zusammenbruch /crollo, Implosion /

implosione. Ognuno di essi ha una sua giusti-

ficazione, una sua storia; risponde soprattutto

a sensibilità soggettive diverse o ad occasioni

particolari, oltre che a veri o presunti indicatori

oggettivi.

Naturalmente, il concetto più forte è quello di

“rivoluzione” quasi sempre accompagnata, oltre

che dall’aggettivo “democratica”, anche da “pa-

cifica”, “non violenta”. Ma non mancano quali-

ficativi riduttivi o negativi: rivoluzione mancata,

fallita, tradita (secondo una vecchia tradizione

tedesca). E’ chiaro che queste aggettivazioni

indicano attese o speranze andare deluse.

Ma se ci atteniamo ad una definizione politica

tecnica, per cosi dire, che indica un mutamento

radicale dell’ordine socio-politico – mutamento

di Costituzione, sistema politico e strutture so-

ciali – non c’è dubbio che quella del 1989/90 è

stata una “rivoluzione” – che ha avuto successo

a confronto di quella del 1848 o, se vogliamo,

quella del 1918/19, per rimanere nella storia te-

desca. Rivoluzione in senso democratico, anche

se sappiamo per esperienza che la democrazia

non risolve affatto tutti i problemi che promette

di risolvere …

MITTELFEST / PROVE D’EUROPA / L’ANALISI

Page 124: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Il Mittelfest si svolge a Cividale del Friuli, l’anti-

ca Forum Julii romana, città dalla storia remota

e affascinante.

Nell’Alto Medioevo i Longobardi vi lasciarono

eccezionali testimonianze d’arte.

Un’ideale città-festival, con le incantevoli stradi-

ne medievali, i caffè dall’eleganza mitteleuro-

pea, i locali che offrono il meglio della gustosis-

sima cucina friulana.

Cividale è anche il capoluogo di una zona Doc,

i Colli Orientali del Friuli, dove si producono

vini i qualità ineguagliabile, con tesori autocto-

ni come il rosso Pignolo, o i bianchi Verduzzo

e Picolit, al top dell’enologia italiana. Attorno

a Cividale si aprono a ventaglio le Valli del

Natisone, estremo lembo nordorientale d’Italia,

disseminate di paesi caratteristici immersi in fitti

boschi di faggi, querce, castagni in un ambiente

sorprendentemente intatto.

Il MittelFest e Cividale: un’occasione unica per

vivere lo spettacolo dal vivo e lasciarsi affasci-

nare da una tradizione culturale e storica che

affonda le sue radici nel cuore dell’Europa.

Cividale del Friuli,città del MittelFest

124

Page 125: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro
Page 126: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

126

Fotografie di:Luca d’Agostino | pagg. 4, 6, 7, 13, 14, 22, 25, 29, 36, 58, 69, 73, 81(in alto), 89, 97, 105, 120Hugo Glendinning | pagg. 18, 84Antonio Agostini | pag. 52MittelFest | pag. 17Comune di Cividale | pagg.124, 125Ensemble Micha van Hoecke | pag. 11Compagnia Arearea | pag. 81(in basso)Budapest Dance Theatre | pag.100 Fondazione Teatro Piemonte Europa | pag.115

Mittelfest ringrazia, per l’apporto offerto alla presente pubblicazione:

Vladimir Polyakov, the Gorbachev Foundation

Piotr Gulczinsky, presidente Fondazione Lech WalesaAndrzej Gulczinsky, Fondazione Lech Walesa

Sabina Tancevova, Václav Havel’s staff

Giulia Del Fabbro, Ministero per gli Affari Esteri

Ambasciate Italiane a Mosca, Varsavia, Lubiana

Adriano Ossola e Dalia Vodice, Associazione Culturale èStoria - Gorizia

Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia

© 2009 Associazione MittelfestTutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata.Finito di stampare nel luglio 2009.

I Presidenti di MittelFest dal 1991 ad oggi

Mario PuiattiAlessandra GuerraGiovanni Pelizzo Marino PlazzottaPaolo MaurensigDemetrio VolcicLorenzo PelizzoFurio HonsellAntonio Devetag

I Direttori Artistici di MittelFest dal 1991 ad oggi

Giorgio PressburgerTamas AscherJovan CirilovJiri MenzelGeorge TaboriCarlo de IncontreraCesare TomasetigMimma Gallina Daniele AbbadoOreste BossiniGiorgio BattistelliMoni OvadiaFurio BordonClaudio MansuttiWalter Mramor

Page 127: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro
Page 128: Prove d'Europa: a vent'anni dal Muro

Piero Badaloni, Giorgio Pressburger, Roberto Collini, Alfonso Di Leva, Andrea Filippi, Paolo Possamai, Michail Gorbachev, Lech Walesa, Václav Havel, Axel Hartmann, Gianni De

Michelis, Dimitrij Rupel, Adriano Biasutti, Imre Kozma, Riccardo Ehrman, Lucio Caracciolo, Marcello Veneziani, Gianni Bisiach, Predrag Matvejevic’, Sergio Romano, Toni Capuozzo,

Michail Gorbachev, Lech Walesa, Václav Havel, Axel Hartmann, Gianni De Michelis, Dimitrij

Rupel, Adriano Biasutti, Imre Kozma, Riccardo Ehrman, Lucio Caracciolo, Marcello Veneziani,

Gianni Bisiach, Predrag Matvejevic’, Sergio Romano, Toni Capuozzo, Piero Badaloni, Giorgio Pressburger, Roberto Collini, Alfonso Di Leva, Andrea Filippi, Paolo Possamai, Gian Enrico Rusconi, Michail Gorbachev, Lech Walesa, Václav Havel, Axel Hartmann, Gianni De

Michelis, Dimitrij Rupel, Adriano Biasutti, Imre Kozma, Riccardo Ehrman, Lucio Caracciolo, Marcello Veneziani, Gianni Bisiach, Predrag Matvejevic’, Sergio Romano, Toni Capuozzo, Piero Badaloni, Giorgio Pressburger, Roberto

Collini, Alfonso Di Leva, Andrea Filippi, Paolo Possamai, Gian Enrico Rusconi,