quando il tuffo diventa poesia

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1 QUANDO IL TUFFO DIVENTA ... POESIA Una storia vera, vissuta e raccontata da Giorgio Rusconi Premio Letterario Rotary Club Bormio Contea 2016

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QUANDO IL TUFFO

DIVENTA ... POESIA

Una storia vera, vissuta e raccontata da

Giorgio Rusconi

Premio Letterario Rotary Club Bormio Contea 2016

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Premessa

Il racconto si riferisce ad un episodio realmente accaduto il 24 Agosto 2012 a Roca

Vecchia, località nel comune di Melendugno in provincia di Lecce. Veri e reali sono tutti

i nomi delle persone citate, i luoghi o le località descritte.

Al di là della vicenda personale in cui mi sono trovato coinvolto, questo scritto è un

doveroso omaggio alla memoria di mio padre che mi ha insegnato ad amare lo sport e

la correttezza nel lavoro. Di questo come di tante altre cose gliene sono grato. Così

come sono infinitamente grato a mia mamma, anche per le cose che scoprirete

leggendo.

* * * *

QUANDO IL TUFFO DIVENTA …. POESIA

È difficile individuare un momento preciso in cui si manifesta in me la passione per i

tuffi; ricordo molto bene che fin da bambino provavo eccitazione per il salto nel vuoto.

Nella casa di Ballabio, località della Valsassina dove trascorrevo le vacanze estive,

così come nelle frequenti passeggiate in montagna, con i miei fratelli o con gli amici

più spericolati, eravamo soliti arrampicarci su di un muretto di pietra o su qualche

albero per poi lanciarci nel prato sottostante, godendo di quel brivido eccitante che

comprimeva il ventre facendo mancare il respiro. Un po’ come quando si prendono i

dossi stradali con l’auto a tutta velocità o, meglio ancora, facendo un giro sulle

montagne russe.

Mio papà, Millo Rusconi, era appassionato di tuffi; come consigliere della Canottieri

Lecco, responsabile della sezione nuoto negli anni del secondo dopoguerra, fece

costruire dall’Ing. Badoni – Presidente del glorioso sodalizio sportivo e titolare

dell’omonima impresa di costruzioni meccaniche - quella imponente struttura visibile

ancora oggi da Malgrate o entrando a Lecco dal Ponte Kennedy (conosciuto da tutti

come il Ponte Nuovo, in contrapposizione al vicino Ponte Vecchio – o Ponte Azzone

Visconti – costruito nella prima metà del XIV secolo).

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Mare, lago o piscina, qualunque fosse l’ambiente scelto per un bagno rinfrescante o

per una nuotata, non ho mai visto mio padre entrare in acqua con i piedi. Per lui

l’entrata in acqua, che fosse da uno scoglio, dalla spiaggia o da un pontile, doveva

essere fatta rigorosamente di testa, preferibilmente con un carpiato o con un tuffo di

partenza spanciato a seconda della altezza e della profondità dell’acqua.

Credo, ma non ne sono sicuro, che sia stato giudice di gara nei tuffi, da come mi

raccontava l’attribuzione dei punteggi e dei vari coefficienti di difficoltà, e diceva di

aver allenato Wilma Francoletti, Campionessa Italiana nel 1947 a Sanremo,

sicuramente accompagnata da lui in quella vittoriosa trasferta, come ricorda lei stessa

in occasione di un messaggio di cordoglio per la scomparsa del papà, avvenuta il 30

Agosto 2010:

“Nell'estate del 1947 tuo papà, che da grande sportivo si rendeva disponibile per

tutti gli eventi, mi accompagnò a Sanremo dove vinsi i campionati italiani di tuffi nella

categoria allievi, da un metro e da tre metri. Viaggiammo all'andata su un carro-

bestiame. Io ero una bambina e molto emozionata; tuo papà l'ho percepito come un

protettore buono cui potevo affidarmi e che mi incoraggiava. Per dire il prosieguo,

Aronne Anghileri mi vide in acqua e disse: “questa deve nuotare”. Il Millo in seguito

l'ho sempre rivisto nell'ambiente e ne conservo un ricordo di stima e di simpatia.”

Wilma Francoletti, come ricorda lei stessa, abbandonò presto i tuffi per dedicarsi al

nuoto, in competizione con Nucci Solari e portando in alto il prestigio della Canottieri

Lecco. In seguito, sposandosi con Ferruccio Anghileri si imparentò con una dinastia di

nuotatori e pallanuotisti che fecero grande il sodalizio blu-celeste. Tra questi il caro

amico Aronne Anghileri, grande firma della Gazzetta dello Sport, che per oltre 40 anni

ha raccontato agli appassionati di nuoto, tuffi e pallanuoto le imprese olimpiche e

mondiali degli azzurri. Avendo perso la testimonianza di mio padre, mi sono rivolto ad

Aronne per conoscere qualcosa di più sul rapporto che legava Millo Rusconi ai tuffi.

Con la sua immancabile vena polemica, tipica di ogni grande giornalista, alla mia

domanda sui titoli italiani vinti a Sanremo nel 1947 da sua cognata Wilma,

accompagnata da mio padre, rispose lapidario: “Bella forza, era da sola a gareggiare

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nel trampolino da 3 metri e forse erano in due in quello da 1 metro!”; dimenticando lo

spirito e la filosofia del Barone De Coubertin, “inventore” delle moderne olimpiadi, che

riteneva la partecipazione alle manifestazioni agonistiche come aspetto supremo della

pratica sportiva.

Quando venni al mondo nel 1955, mio papà Millo era ancora consigliere della

canottieri Lecco, ma nel frattempo si dedicava alla vela – gareggiava nella classe Star

con Walter Ruffini – e fondò lo Sci Nautico con suo fratello Carlo, Ferruccio Gilera

(della famosa industria motociclistica) e con Giovanni Comi, poi diventato vice

presidente della FISN (l’allora Federazione Italiana Sci Nautico).

Con la stessa passione e incoraggiamento dedicato a Wilma Francoletti negli anni 40,

ha insegnato i tuffi ai suoi figli, trovando luoghi congeniali nelle scogliere dell’Isola

d’Elba, in particolare a Marciana Marina, dove dall’estate del 1963, per quasi

vent’anni, abbiamo trascorso ininterrottamente le nostre vacanze estive.

Nei primi anni ’60, l’attività sportiva prediletta della famiglia era lo sci. Il giovedì

pomeriggio partenza in pullman da piazza della Stazione per gli allenamenti con lo Sci

Club Lecco ai Piani Resinelli o in Artavaggio, al sabato allenamento con il Maestro

Rinaldo Tagliaferri e la domenica c’era sempre qualche gara cui partecipare. Per la

verità, nonostante la mia innata passione agonistica, non ero molto entusiasta delle

levatacce che si facevano allora per poter gareggiare: il freddo, l’attesa del proprio

turno per la gara, i risultati modesti che ottenevo, mi facevano rimpiangere il

calduccio del mio letto. Allora non passava neppure per la mente di discutere una

decisione paterna, se il papà diceva che si andava a fare una gara a Bobbio o

Caspoggio o da qualsiasi altra parte era così, punto!

Un anno ci qualificammo per la fase regionale del “Corriere dei Piccoli”, prova del

Campionato Italiano “Juvenes”, con destinazione Bormio. Considerata la distanza da

Lecco, decisero di portarci in Alta Valtellina il sabato pomeriggio per pernottare

all’Hotel Rezia. Quello che ricordo ancora con molta lucidità, a distanza di

cinquant’anni, sono la grande stanza dove dormimmo in 6, sistemati in qualche

maniera in un lettone ed una cuccetta, e l’apparizione al ristorante di una comitiva di

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giganti che ci incutirono timore e rispetto. Dopo qualche bisbiglio per lo stupore,

venimmo a sapere che erano i giocatori di Pallacanestro dell’Oransoda di Cantù, allora

sponsorizzati dalla Società dell’acqua minerale Levissima.

Ma il ricordo più bello, e la vera ragione per la quale accettai volentieri quella lunga

trasferta, fu la promessa di un bagno nella piscina delle vecchie terme di Bormio.

Anche in quell’occasione il divertimento più bello era salire su una specie di seggiolone

tipo quelli usati dagli arbitri del tennis, o dai bagnini (oggi ribattezzati assistenti

bagnanti), per poi saltare in acqua e scomparire sotto di essa per qualche secondo.

Purtroppo Lecco allora non aveva una piscina coperta, e neppure una scoperta: ci

bastava il lago, ovviamente nei soli mesi estivi! Quando nel 1979 fu inaugurata la

piscina al Centro del Bione, l’impianto mancava del necessario per i tuffi: trampolino e

profondità della vasca! Ero allora Consigliere Comunale a Lecco, dove venni eletto

nella lista del PLI a soli 21 anni e ricordo che contestai il lavoro dell’Architetto Pino

Zoppini, che aveva progettato una piscina finalizzata alla sola pratica del nuoto.

Proprio perché era la prima e unica piscina a Lecco, mancava di una polivalenza nel

suo utilizzo che avrebbe consentito anche la pratica dei tuffi, della pallanuoto e delle

attività subacquee.

Tornando agli anni ’60 e ’70, ricordo che spesso il pomeriggio delle domeniche

invernali, quando non andavamo a sciare, lo trascorrevamo al Centro Sportivo

Italcementi di Bergamo, in quella bellissima piscina con trampolini da 1, 3 e 5 metri

dove ho cominciato a sperimentare qualche uno e mezzo (salto mortale), il tuffo

ritornato e quello rovesciato.

Tutto questo da autodidatta, con il papà che si prodigava in consigli e giudizi sulla

verticalità dell’entrata in acqua e la giusta posizione dei piedi (quasi sempre, i miei,

erroneamente a martello!).

All’Elba, tra fratelli o con gi amici, ma soprattutto verso me stesso, la sfida diventava

quella dell’altezza; ci si arrampicava sempre più in alto per “voli d’angelo” da posizioni

sempre più elevate. Mitici saranno per sempre, nella mia memoria, gli scogli della

Fenicetta, di Cavoli e dell’Enfola, con altezze ben superiori ai 10 metri.

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Le uniche competizioni erano quelle tra fratelli e qualche amico, con il papà giudice

imparziale nel valutare le nostre prestazioni. Finché, nel Luglio del 1975, sempre

all’Isola d’Elba e ancora a Marciana Marina, non accadde un evento che rimarrà per

sempre tra i ricordi più belli della mia vita. Una vera gara di tuffi.

La Pro Loco di Marciana Marina allestì un ponteggio alto circa 3 metri sul “moletto

dei pesci” perpendicolare al lungomare e il sabato pomeriggio si disputarono le

qualificazioni. Tra i giudici di gara spiccava il giornalista sportivo Nino Oppio, redattore

del Corriere della Sera, abituato a trascorrere le ferie all’Hotel Marinella. Mi qualificai

per la finale del giorno dopo con il secondo posto in classifica, dopo aver effettuato un

carpiato in avanti, un carpiato ritornato e un 1 e mezzo in avanti raggruppato.

La domenica pomeriggio appuntamento alle 18:30 per la finale. Poco dopo l’inizio

della gara, che aveva visto dapprima l’esibizione degli juniores, una grande folla –

reduce dalla Messa domenicale - si radunò intorno al teatro della gara, rendendo la

competizione ancora più emozionante. La presenza del pubblico a una manifestazione

sportiva è per l’atleta come un doping, benefico ovviamente, perché riesce a

trasmettere una carica notevole di adrenalina e fornire delle energie inimmaginabili.

Iniziai la gara con il solito uno e mezzo raggruppato in avanti per poi tentare un

inedito ordinario indietro (partenza dal trampolino con le spalle al mare ed entrata

all’indietro) che non mi riuscì molto bene, tant’è che dopo due tuffi ero al terzo posto.

Mi giocai tutto con l’ultimo tuffo, banale come difficoltà ma molto spettacolare nella

preparazione: una verticale.

In quegli anni la mia vera passione era il Salto con l’Asta, l’anno prima mi qualificai

con 4,10m per la finale degli Italiani Juniores a Torino, con i colori della Atletica ICAM

di Lecco. Per allenarmi al volteggio finale del salto cercavo di reggermi in verticale

sulle mani come un ginnasta.

Prolungai quella posizione il più a lungo possibile per attirare l’attenzione del

pubblico e dei giudici, per poi lasciarmi cadere in acqua con un’esecuzione che non

avrebbe potuto essere più perfetta. Applausi scroscianti, 15 punti, il massimo! (5 da

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ognuno dei 3 giudici!), vittoria nel 1° Meeting di Tuffi di Marciana Marina e l’onore di

un articolo sull’edizione Elbana de “Il Tirreno”.

Immagini del 1° Meeting Elbano di Tuffi – Marciana Marina

\

*****

La mia “carriera” di tuffatore è proseguita negli anni a seguire con qualche esibizione

alla Canottieri, facendo infuriare il signor Peverelli, l’ubbidiente segretario del sodalizio

che aveva ordine dal consiglio di non far salire nessuno sul trampolino. Oggi

l’imponente struttura di ferro e cemento, simbolo di una Lecco sportiva d’altri tempi è

stata mutilata delle scalette e vergognosamente ingabbiata per impedire a chiunque di

salire, facendo così morire per sempre una bella tradizione sportiva.

Quando mi capitava di trascorrere un weekend a Livigno, sia in estate che in

inverno, ero solito fermarmi nelle piscine Pontresina o di Saint Moritz, oppure in quella

termale di Bormio, a seconda del percorso del Maloja o del Passo del Foscagno. Sia

Saint Moritz che Bormio avevano bellissimi impianti per i tuffi ed in particolare anche il

trampolino per tuffi da 3 metri.

Proprio nella piscina di Bormio ho eseguito il mio tuffo più difficile di sempre dal

trampolino dei 3 metri: un doppio salto mortale e mezzo raggruppato. Purtroppo poco

tempo dopo hanno smantellato quel bellissimo trampolino lasciando solamente quello

da 1 metro, che anch’esso scompariva qualche anno dopo con la ristrutturazione

dell’impianto.

Il 3° tuffo della finale che mi ha consentito di vincere il 1° meeting di Marciana Marina, il 26 luglio 1975 (a Sin.); Il Podio con i vincitori (sopra); l’articolo de Il Tirreno (a destra)

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Le stagioni all’Elba si diradavano sempre più, nelle piscine dei villaggi turistici il

trampolino e i tuffi erano banditi, così come nella piscina di Bormio, e per le mie

esibizioni dovevo accontentarmi del piccolo trampolino (neanche 1 metro!) della

piscina in una splendida villa di amici ad Abbadia Lariana.

Il desiderio di tuffi emozionanti è sempre arso in me come il fuoco di un vulcano, ed

è esploso nell’estate del 2012 durante una breve vacanza in Salento programmata

dalla mia compagna Giusy. Le scogliere intorno a Otranto sono qualcosa di

spettacolare per la loro verticalità, la facilità di accesso e la profondità del mare, di un

colore blu intenso e limpido. Controllando prudentemente il fondale ho cominciato con

tuffi da 3 poi 5 metri per arrivare fino a 7/8 metri, prima nel golfo di Otranto e poi a

Santa Cesarea Terme. Un piacere immenso, come solo un certo rischio e la

spericolatezza riescono ad offrire.

La vacanza prevedeva uno spostamento da sud verso nord, per arrivare a Ostuni

lungo una strada molto panoramica tra scogliere e faraglioni mozzafiato.

Il desiderio di scattare qualche fotografia a quelle bellezze naturali ci ha fatto

scoprire un luogo molto pittoresco che sia le informazioni turistiche che i consigli di

amici, ci avevano nascosto: la grotta della Poesia a Roca Vecchia.

Era Venerdì 24 Agosto, intorno alle 15:00, quando ci siamo addentrati in un

promontorio molto affollato di bagnanti, per fermarci dinanzi una grotta a cielo aperto

con un’acqua dai colori meravigliosi.

Imprudentemente, fidandomi della trasparenza dell’acqua e dei tuffi di altri ragazzi,

e peccando di presunzione eccitato com’ero dalla quantità di gente presente, ho

trascurato la buona abitudine di controllare il fondale e mi sono concesso un tuffo di

testa carpiato.

Solamente dopo quel tuffo mi sono accorto di un particolare al quale non avevo mai

fatto caso prima: durante i miei tuffi, da qualsiasi altezza essi avvengano, tengo gli

occhi aperti fino all’impatto con l’acqua per poi chiuderli fin quando termino la

parabola discendente e riaprirli quando riprendo a salire verso la superficie dell’acqua.

Mi sono accorto di questo fatto perché, malauguratamente, la corsa verso il fondo ha

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subito un brusco impatto, prima con le mani protese a proteggermi la testa e poi con

la testa stessa, contro una roccia sul fondo!

“Che pirla!” mi sono detto dopo l’improvviso e violento impatto, “come ho fatto a

non accorgermi che il fondale era così basso?” senza immaginare le drammatiche

conseguenze che avrei accertato poco dopo, avvertendo solo il dolore per la botta

rimediata sul cranio e ai polsi.

Risalgo stordito verso superficie e non appena esco dall’acqua mi rendo conto della

gravità della situazione sia per le urla delle persone presenti, che a squarciagola

richiedevano un medico, l’ambulanza, o più in generale soccorsi, sia per il colore

dell’acqua che da turchese era diventata rossa come le acque d’Egitto, nella prima

delle dieci bibliche piaghe.

Risalgo a fatica i gradini intagliati nella roccia e grazie all’aiuto di tante persone

gentili che si prodigavano per assistermi, mi adagio sugli scogli in attesa dei soccorsi:

c’è chi adagia il proprio telo da spiaggia noncurante dell’abbondante perdita di sangue,

chi mi procura un ombrellone…una vera gara di solidarietà.

Dopo circa venti minuti, per me interminabili, arrivano medici e infermieri del pronto

soccorso che, in seguito alle testimonianze sulla dinamica dell’infortunio, temevano

una lesione cervicale. Come da protocollo, mi hanno immobilizzato il rachide,

sistemato il collarino, inserito una flebo e infine “ragnato” (termine tecnico per definire

le modalità di immobilizzo) su una barella spinale, sulla quale, con un dolore non

indifferente per la sua scomodità, ho percorso il tragitto di 30 Km fino al reparto di

Neurochirurgia dell’Ospedale Vito Fazzi di Lecce.

Il viaggio è stato a dir poco allucinante: sirene spiegate, l’autista che comunicava

con il Pronto Soccorso le sue valutazioni del “Triage” alternando una duplice situazione

di gravità (un codice rosso: molto critico, pericolo di vita, priorità massima, accesso

immediato alle cure; e codice giallo: mediamente critico, presenza di rischio evolutivo,

possibile pericolo di vita); un altro infermiere, Salvatore, mi teneva premuto il cranio

con le sue mani, dandomi l’impressione che potesse esserci fuoriuscita di materia

cerebrale. Ho imparato in seguito, entrando come volontario in Croce Rossa, che

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l’immobilizzazione della testa rientra nel protocollo per qualsiasi tipo di evento

traumatico. Singolare e commovente la solidarietà di Salvatore che dopo aver

trascorso la mattinata in servizio al Pronto Soccorso di Lecce, e approfittando del

turno di riposo pomeridiano, aveva portato il figlioletto a tuffarsi nella Grotta della

Poesia.

Come hanno chiuso i portelloni dell’ambulanza, ho cominciato a pregare, a recitare

una serie infinita di Ave Maria, cercando di ricordare la sequenza del Santo Rosario,

mentre vedevo alternarsi, in una situazione di confusione e di appannamento, da un

lato l’immagine di mio padre che mi incoraggiava “forza Giorgio, tuffati” come ripeteva

impaziente un sabato pomeriggio di tanti anni fa quando non trovavo il coraggio di

fare il mio primo tuffo dalla piattaforma dei 10 metri in Canottieri a Lecco; dall’altro

lato l’immagine della mamma che, come sempre, cercava di richiamarmi alla prudenza

e a evitare inutili pericoli. E’ stato in quel momento che ho promesso alla mamma che

se mi avesse aiutato a rimanere vivo, il tuffo successivo l’avrei fatto nella piscina di

Lourdes, dove sarei andato a ringraziare lei e la Madonna per la protezione che

desideravo ricevere.

Arrivato in Ospedale, in uno stato totalmente confusionale, rivedevo alcuni episodi di

E.R. o di Grey’s Anatomy (lo stridolio delle ruote della barella, lo sbattere delle porte,

il vociare incomprensibile del personale medico, ecc.) e intanto cercavo di ascoltare le

parole di medici e infermieri tra le quali spiccava il nome “…Eh, la Poesia; …anche

questo si è tuffato alla Poesia”. La TAC e i Raggi X escludevano fortunatamente ogni

tipo di lesione, quindi il neurochirurgo procedeva alla lunga e dolorosa fase di sutura

dell’ampia ferita sulla testa, che ha richiesto ben 21 punti.

L’assistenza ricevuta in ospedale è stata eccellente, ciò mi ha convinto che in Italia

non ci sono strutture sanitarie buone o meno buone; ovunque ci sono persone, medici

e infermieri, molti dei quali operano costantemente con professionalità competenza e

soprattutto altruismo, così come, purtroppo, si incontrano anche persone scortesi e

poco sensibili. Questo, immagino, in ogni ospedale del sud Italia come del nord.

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Dopo quattro giorni di degenza, lunedì 27 Agosto, da Bari abbiamo ripreso l’aereo

per tornare a casa, accompagnati con una ambulanza messa a disposizione da

Europe-Assistance. Di quella breve vacanza, sfortunatamente ci siamo persi le visite

di: Ostuni, Fasano, Polignano, Alberobello e Locorotondo. Località che meritavano

senz’altro di essere visitate, ben più che il Vito Fazzi di Lecce!

Tuttavia ho imparato la storia de La Grotta della Poesia, di un autore sconosciuto:

"Si narra che una bellissima principessa amasse fare il bagno nelle acque salutifere

della grotta; la sua bellezza era così folgorante che ben presto la notizia si diffuse in

tutta la Puglia. Fu così che schiere di poeti provenienti da tutto il Sud dell'Italia si

riunivano in quel luogo per comporre versi ispirati alla sua bellezza: chi scrisse delle

ninfe, chi delle principesse orientali, chi delle regine del nord, e la fama durò tanto a

lungo che ancora oggi questo luogo è conosciuto come la Grotta della Poesia".

La convalescenza è stata lunga: man mano che migliorava la ferita alla testa e

scomparivano gli ematomi, nuovi dolori si presentavano alla cervicale, alle spalle, alle

braccia e soprattutto ai polsi.

Quasi ossessionato per l’episodio, cercavo continuamente su internet informazioni,

immagini e notizie sulla “Grotta della Poesia”.

Su Youtube ho trovato un filmato che mi ha

fatto molto meditare: una statua della

Madonna, messa a protezione dei migranti

che un tempo arrivavano numerosi

dall’Albania, si erge proprio sopra lo scoglio

teatro della mia disavventura. Un altro segno

della protezione ricevuta dall’alto!

Dopo alcuni mesi di cure e di convalescenza, la prima domenica di Dicembre con

l’amico e guida alpina Enzo Nogara, ho voluto collaudare le mie forze salendo una

difficile parete di roccia: la “R2” al Pizzo Boga, nel gruppo del Corno Medale sopra

Lecco, da me già salita negli anni ’80 quando ero sicuramente molto più giovane, più

allenato e con qualche chilo di meno. Ho trovato alcuni passaggi di 5+ (ora 5b/c)

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meno impegnativi della scalata fatta molti anni prima, segno evidente del buon livello

di recupero raggiunto.

Come promesso alla mamma durante il mio viaggio della disperazione in ambulanza

verso Lecce, l’8 Dicembre, per la prima volta, sono stato in pellegrinaggio a Lourdes,

un’esperienza coinvolgente e degna di essere vissuta, nel rapporto quasi imbarazzante

tra chi ha ricevuto una Grazia e chi la chiedeva e la cercava con fede convinta.

Mentre ero ricoverato in Neurochirurgia all’ospedale a Lecce, mi hanno raccontato di

pazienti arrivati al loro reparto dopo essersi tuffati alla Grotta della Poesia e dimessi in

carrozzella o di alcuni che purtroppo non ce l’anno fatta!

Oggi i miei ringraziamenti per questa esperienza indimenticabile vanno a coloro che

mi hanno aiutato a superare nel migliore dei modi una avventura che, per colpa della

superficialità, dell’imprudenza ed anche per un po’ di esibizionismo, avrebbe potuto

concludersi in tutt’altra maniera.

Estate 1975. Un plastico “Volo d’Angelo” dagli scogli della Fenicetta a Marciana Marina (Isola d’Elba). La dimensione del pattino rende bene l’idea dell’altezza del tuffo

Il tuffo “carpiato” con il quale mi sono schiantato sul fondo della “Grotta della Poesia”. Era il 24 agosto 2012.