questione di cultura: alda merini lettrice di dante...alda merini lettrice di dante serena testa si...

8
LETTERATURA Questione di cultura: Alda Merini lettrice di Dante Serena Testa si dice che la leeratura non dà il pane. a questa saggezza popolare si dovee rifare nel 1950 nemo Merini, per meere in guardia la figlia diciannovenne sulla precarietà e instabilità economica della condizione di poeta. Malgrado l’avviso, l’assicuratore senza una salda cultura alle spalle fu il primo istitutore della figlia e l’unico a comprenderne veramente la vocazione leeraria. sulle sue ginocchia alda, destinata in effei a quella precarietà, imparò a leggere e a scrivere, a mandare a memoria ogni giorno dieci nuovi lemmi. nonostante quel tirocinio, inclusivo di preparazione musicale, a colei che verrà poi defi- nita una delle più grandi voci poetiche del novecento non fu permesso di ac- cedere al Liceo Manzoni di Milano. Come per ogni genio incompreso, infai, fu respinta proprio all’esame di italiano. L’interruzione degli studi, se da una parte contribuì alla futura mitizzazione mediatica di un’autodidaa, poi candidata al premio nobel per la leeratura, dall’altra segnò profondamente la valutazione prevalente nel mondo della critica sul suo conto: poesia spontanea e narrativa, di certo non colta. tra gli altri, Pier Paolo Pasolini, recensendo il primo volume della poetessa, si era dichiarato disarmato di fronte all’età prepuberale nella quale la poesia si era rivelata ad alda Merini; quella «mostruosa intuizione», però, non era suffra- gata da fonti, tantomeno da una sapiente metrica, che anzi era considerata «informe, negli endecasillabi alquanto anonimi» 1 . anni dopo, nel 1998, la fi- lologa Maria Corti, introducendo la raccolta meriniana, da lei curata, Fiore di poesia, offrirà un parere simile a quello pasoliniano: «non è naturalmente poe- sia colta quella della giovane Merini, c’è uno stato di rapimento e di oscuro interrogarsi, sincero e violento, un tuo che è apparso subito alla sua uscita 49 1 P. P. Pasolini, Una linea orfica, «Paragone», 60, 1954, pp. 82-87. Ora in Saggi sulla leeratura e sull’arte, Milano, Mondadori, 1999, pp. 572-81.

Upload: others

Post on 26-Jun-2020

18 views

Category:

Documents


1 download

TRANSCRIPT

LETTERATURA

Questione di cultura: Alda Merini lettrice di DanteSerena Testa

si dice che la letteratura non dà il pane. a questa saggezza popolare si dovetterifare nel 1950 nemo merini, per mettere in guardia la figlia diciannovennesulla precarietà e instabilità economica della condizione di poeta. malgradol’avviso, l’assicuratore senza una salda cultura alle spalle fu il primo istitutoredella figlia e l’unico a comprenderne veramente la vocazione letteraria. sullesue ginocchia alda, destinata in effetti a quella precarietà, imparò a leggeree a scrivere, a mandare a memoria ogni giorno dieci nuovi lemmi. nonostantequel tirocinio, inclusivo di preparazione musicale, a colei che verrà poi defi-nita una delle più grandi voci poetiche del novecento non fu permesso di ac-cedere al Liceo manzoni di milano. Come per ogni genio incompreso, infatti,fu respinta proprio all’esame di italiano.L’interruzione degli studi, se da una parte contribuì alla futura mitizzazionemediatica di un’autodidatta, poi candidata al premio nobel per la letteratura,dall’altra segnò profondamente la valutazione prevalente nel mondo dellacritica sul suo conto: poesia spontanea e narrativa, di certo non colta. tra glialtri, Pier Paolo Pasolini, recensendo il primo volume della poetessa, si eradichiarato disarmato di fronte all’età prepuberale nella quale la poesia si erarivelata ad alda merini; quella «mostruosa intuizione», però, non era suffra-gata da fonti, tantomeno da una sapiente metrica, che anzi era considerata«informe, negli endecasillabi alquanto anonimi»1. anni dopo, nel 1998, la fi-lologa maria Corti, introducendo la raccolta meriniana, da lei curata, Fiore dipoesia, offrirà un parere simile a quello pasoliniano: «non è naturalmente poe-sia colta quella della giovane merini, c’è uno stato di rapimento e di oscurointerrogarsi, sincero e violento, un tutto che è apparso subito alla sua uscita

49

1 P. P. Pasolini, Una linea orfica, «Paragone», 60, 1954, pp. 82-87. Ora in Saggi sullaletteratura e sull’arte, milano, mondadori, 1999, pp. 572-81.

Cristallo_02_2018_Layout 1 31.10.2018 10:21 Seite 49

molto originale»2. sulle mancanze culturali meriniane si era già espresso perprimo, e senza mezzi termini, giacinto spagnoletti, considerato il suo veroscopritore:

La difficoltà di presentare un poeta al suo primo apparire, è certamentenon piccola, quando all’ambito della pura cortesia o della benevolenza let-teraria si voglia sostituire qualcosa di più preciso e rigorosamente critico.Bisogna affidarsi, ecco, all’arte dei rabdomanti. Per fortuna, però, quasisempre il critico si aiuta con le immagini di un clima letterario, si rifà agliechi e alle consonanze che scopre nelle pagine: esse gli parlano abbastanzadella poesia che ha cominciato il suo fortunoso cammino. a quest’aiutoconsueto noi non possiamo rivolgerci parlando per la prima volta di aldamerini. ella non è nata su nessun terreno di cultura, non ha mai frequen-tato ambienti letterari, ha letto finora pochi e non sempre buoni libri, eignora del tutto, per esempio, la divina Commedia3.

La sua poesia non viene dunque considerata, sin dagli esordi, un prodotto dicultura. Le ragioni addotte sono facili a dirsi: mancanza – appunto – di studiliceali, di frequentazioni colte, di letture fondamentali per ogni letterato, spe-cie quello occidentale, che si rispetti. se sul primo punto, la frequentazionedei tre anni di avviamento al lavoro presso l’istituto solera mantegazza dimilano testimonia l’oggettività del dato fornito dal critico, sul secondo biso-gna dissentire. a soli quindici anni la merini era stata ammessa agli incontriletterari della milanese via del torchio in cui si riunivano manganelli, erba,Pasolini, Quasimodo, Corti. Ben presto aveva frequentato anche montale e lasua ’volpe’ spaziani, schwarz, turoldo. in quella che, come ella vorrà rino-minarla in modo istituzionale, poteva dirsi una ’società poetica’, il sedere go-mito a gomito con i grandi del novecento placava la sua ingordigia diconoscenza e istruzione. i suoi veri maestri e, per dovere di cronaca, i suoiprimi amanti, furono però manganelli e Quasimodo: il primo, fornendole set-timanalmente alcuni libri e la loro attenta spiegazione, la avvicinò alla lette-ratura anglosassone e in particolare a shakespeare; il secondo, per cui fudattilografa, la fece innamorare dei lirici greci e soprattutto di saffo.La maggiore deficienza sopra la quale spagnoletti, e dietro di lui molta altracritica, non poteva in alcun modo transigere era legata alla conoscenza del

50

2 m. Corti, introduzione a a. merini, Fiore di poesia. 1951-1997, torino, einaudi, 1998,p. vii.

3 g. spagnoletti (a cura di), Antologia della poesia italiana (1909-1949), Bologna, guanda,1950, pp. 409-410.

Cristallo_02_2018_Layout 1 31.10.2018 10:21 Seite 50

capolavoro dantesco. Quasi a riecheggiare i toni di sorpresa con cui Boccaccioaveva richiesto all’amico Petrarca il perché non si fosse impegnato nella let-tura dell’alighieri, anche ad alda merini la presunta ignoranza sulla DivinaCommedia – certamente non giustificata da ’angoscia dell’influenza’ o pro-blemi di immagine – costò la reputazione. Come per il cantore di Laura, tutta-via, anche le accuse contro la poetessa milanese sono da smentire. sel’autobiografia non ci inganna, se essa − come garantiva alfieri nella sua Vita− viene scritta per raccontare il vero di fronte alla parzialità di giudizio dicontemporanei e posteri, per confessione stessa della merini sappiamo cheella non solo possedeva il volume della Divina Commedia, ma lo conosceva amemoria:

a otto anni avevo mandato a memoria l’intera Divina Commedia e studiavolunghe ore al giorno, ma soprattutto sognavo e sognavo l’inferno. Lagrande Commedia illustrata dal dorè, di cui avevamo in casa diverse ver-sioni, mi aveva un poco traumatizzata. si trattava di un librone enormesopra il quale io mi attardavo fino a notte inoltrata. soprattutto mi ango-sciavano quelle figure nude eternamente castigate, eternamente piene difreddo e solitudine. […] a otto anni avevo già il mio impero culturale4.

51

4 a. merini, Reato di vita. Autobiografia e poesia, milano, melusine, 2009 (i ed. 1999), p. 13.

ada merini in uno scatto di uliano Lucas negli anni ’60

Cristallo_02_2018_Layout 1 31.10.2018 10:21 Seite 51

Le illustrazioni del dorè che tanto l’avevano rapita e spaventata ritornerannoindelebili alla mente nel momento in cui, non senza un fine terapeutico, aldamerini trasporterà, prima in poesia (La terra santa, milano, all’insegna delPesce d’oro, 1984) e poi in prosa (L’altra verità. Diario di una diversa, milano,scheiwiller, 1986), l’esperienza ventennale in manicomio. in entrambe le oc-casioni la poetessa associa le proprie sofferenze a quelle dei dannati infernali:a differenza dei personaggi danteschi, tuttavia, i matti dell’ospedale psichia-trico di affori sono del tutto innocenti. Quella reclusione forzata, in cui ilcorpo perde consistenza fino a diventare mera ombra e la luce sparisce dietroai cancelli, non è determinata dalla colpa ma dalla malignità gratuita con cuil’uomo diventa aguzzino e soffoca la libertà del suo prossimo.il paragone forse più adatto allora è non quello con le anime infernali ma conlo stesso autore della Commedia: come lui, anche alda merini aveva vissuto isuoi vent’anni d’esilio, lontana da casa e dagli affetti. La sentenza si trova in unpoemetto intitolato Quasimodo: «e così chiamai il mio poema “La terra santa”,perché accettai, come dante, il mio vero esilio. essere scacciata dalla mia terra,essere un’emarginata»5. L’associazione con il dante personaggio sembra con-fermata anche dal suo ingresso in manicomio: come nel primo canto dell’In-ferno, ad accoglierla nella struttura vi sono gli «occhi duri impazziti» (4) delletre fiere, donne malate come lei che le fanno perdere i sensi6. nessun virgilio,invece, a cui rivolgersi invocando pietà, nessun salvataggio miracoloso da partedi chi tanto l’amasse da risollevarla dal pozzo acquitrinoso in cui era scivolata.eppure, il cammino della merini segue lo stesso iter dell’alighieri: solo almomento della caduta nella più oscura delle selve la donna prende consape-volezza della propria integrità morale (o mentale?) compromessa e decide diindossare il saio del pentimento. La trasposizione letteraria del viaggio inte-riore intrapreso si tramuta, tanto nel trecento quanto nel novecento, in oc-casione didattica, in rappresentazione dell’universale ricerca di felicità daparte dell’uomo. alle due opere post-manicomiali, la Terra Santa e il Diario,può essere infatti applicata la stessa definizione che la merini formulò nel suocommento al canto secondo dell’Inferno: «un libro di fede che torna alla sem-plicità dell’uomo, quella che attraverso il passaggio della vita viene atroce-mente corrotta»7.

52

5 a. merini, Quasimodo, Bari, acquaviva, 2007, p. 15.6 a. merini, “Quando sono entrata”, La terra santa, in Il suono dell’ombra. Poesie e prose

1953-2009, a cura di a. Borsani, milano, mondadori, 2010, p. 220.7 a. merini, Canto II, in La bella scola. I primi sette canti dell’Inferno letti dai poeti, a cura di

m. munaro, rovigo, il ponte del sale, 2003, p. 21.

Cristallo_02_2018_Layout 1 31.10.2018 10:21 Seite 52

ancora più interessante dell’identi-ficazione meriniana nella vicendapersonale e autoriale del viatordante, è la rivendicazione per sé delruolo della protagonista femminiledella Commedia. in una pagina delDiario, parlando di una degente in-demoniata, la poetessa dichiara:«Ognuno di noi poteva ribattezzarsicon un nome diverso. Oggi io michiamo Beatrice»8. attraverso la ri-determinazione del nome, la poe-tessa esplicita il proprio desiderio dimostrarsi come detentrice e maestradi verità e luce, d’essere finalmentebeata e non più dannata. È chiaroche risulta impossibile una pienaidentificazione tra alda e la donna-angelo di dante: la poetessa difattisi propone come la «sofferta Beatricedelle ombre»9, come colei che dàbeatitudine, senza a sua volta poter-sene concedere un po’ per sé.Peraltro, nel caso merini la singo-larità di un unico e fedele amante si frantuma in una pluralità di uomini edi amori negati, il casto affetto della donna salutifera si trasforma nelle pec-caminose accensioni delle carne della poetessa. non Beatrice allora, semmaiFrancesca da rimini. nonostante l’ospedalizzazione e il divieto per ogni de-gente di amare, come racconta nel Delirio Amoroso (genova, il melangolo,1989), alda intreccia una storia passionale con il malato Pierre: come duenovelli Paolo e Francesca, galeotto fu il libro Romeo e Giulietta e tragico il fi-nale. alla drammatica uccisione si sostituisce una dolorosa separazione det-tata dal trasferimento del paziente in un altro manicomio: in un successivoincontro, però, l’infedeltà coniugale di alda verso suo marito ettore è per

53

8 a. merini, L’altra verità. Il diario di una diversa, cit. Ora in Il suono dell’ombra, cit., p. 773.9 a. merini, “manganelli”, in Il tormento delle figure, genova, il melangolo, 1990. Ora in

Il suono dell’ombra, cit., p. 892.

gustave doré, Paolo e Francesca (inferno, canto v)

Cristallo_02_2018_Layout 1 31.10.2018 10:21 Seite 53

Pierre a tal punto riprovevole che egli decide di troncare il rapporto. nono-stante ciò, identificando e proiettando la propria relazione su quella dei duecognati del canto v dell’Inferno, con un meccanismo di difesa la poetessaesalta il proprio sentimento, pur non considerandolo immortale (ne scrivein Lettere a un racconto):

Proprio stamani parlavo con serantes del fattaccio di Paolo e Francesca,dove il libro galeotto funzionò da accendino. anche per te, giuliano, è statala stessa cosa. Oppure pensavi che il libro non avrebbe potuto essere gale-otto? invece lo è: le poesie d’amore incendiano il cuore, perché si vorrebbeprovare, conoscere quel tipo d’amore, non quello che ci viene elargito dallepareti domestiche ormai stanche di tirare a campare con la sola bella figura.[…] Lascia allora che ti spieghi la differenza che c’è tra amore comune eamore immortale. L’amore immortale è quello di cui ha avuto pietà anchedante. Più feroce del peccato è infatti colui che uccide i due amanti, perchéil peccato non va solo compiuto, va compreso; perché un libro non va sololetto, va compreso; e perché quando un libro non è capito e un amore nonè concluso, si ha il più grande tradimento della storia10.

non comune, invece, sarà l’amore per il suo secondo marito, il medico e poetatarantino michele Pierri: come scrive in una lettera, datata al 23 marzo 1983,questo sentimento la dannerà proprio come successo a Francesca, facendolemeritare, a suo giudizio, una condanna eterna. infatti, ancora vivente il primomarito, seppure gravemente malato, alda si innamora dell’ottantenne e ve-dovo michele tra contatti telefonici e invio di dattiloscritti. Prima del matri-monio, resosi necessario per salvare la poetessa dalla sua solitudine e dalledifficoltà economiche, la merini gli dedicò una raccolta di poesia intitolataRime petrose (milano, ed. privata, 1983). il titolo, la ripresa della terza rima,l’utilizzo di un lessico arcaico e soprattutto la presenza del correlativo ogget-tivo della pietra rendono esplicito il richiamo al dante lirico, autore di quattrorime petrose. si legga, tra i diciotto componimenti di cui è composta l’opera,“non ti dispiaccia”:

non ti dispiaccia che parli in tuo nome;non ti dispiaccia che io porti pietrae che con essa tutta mi ragioni,io sono nell’inferno e ora faretra

54

10 a. merini, Lettere a un racconto. Prose lunghe e brevi, a cura di B. Pedretti, milano,rizzoli, 1998, p. 32.

Cristallo_02_2018_Layout 1 31.10.2018 10:21 Seite 54

reggo d’amore ed ora sinfonia;fa’ che io per te nel canto non m’arretrama colpirmi di sì dolce armoniache al sol si sciolga questa triste pietrache alla morte mi porta e mi ci avvia11.

Pur ricorrendo alla stessa famiglia rimica in –etra di “Così nel mio parlarvogli’esser aspro”, nelle Rime petrose meriniane non il destinatario è parago-nato a un minerale, quanto l’io lirico stesso. autoritraendosi come triste pietra,come donna ghiacciata rassomigliante alla neve all’ombra, la poetessa am-mette una involontaria insensibilità all’amore, una prevaricazione della ra-gione sul sentimento, forse dettata da quella diffusa melanconia susseguenteall’inferno manicomiale. a differenza dell’indole selvaggia della Petra dan-tesca e della sua inamovibile refrattarietà, alda si lascia però sciogliere dalcalore di questo nuovo e inaspettato affetto. L’apparizione salvifica di que-st’uomo del sud è infatti un ritorno alla primavera e al suo sereno, è la sco-perta dolcissima dei dardi d’amore.Ben presto, però, i ruoli si invertono e tornano quelli consuetudinari nellalirica petrosa dantesca: chi scrive impallidisce e si abbandona al naufragiodel dolore, trema nella paura del rifiuto, invoca la benevolenza dell’altro. ildesiderio inappagato è di natura squisitamente carnale, proprio come nellepetrose dantesche: la donna richiede tenerezze e baci, giace abbandonata alvolere dell’amato. nessuno, però, coglie il suo fiore; non riconoscendone labellezza, infatti, in un’altra delle sue Rime petrose, “resta pur sempre a me”,alda assimila sé stessa a una «morta viola» (7). La mancata corresponsioned’amore provoca, in conclusione, un doloroso ritorno all’inverno, stagioneche come ebbe a dire dante in “io son venuto” «c’ha morti li fioretti per lepiagge» (47). in ogni caso, nonostante la glacialità dei rispettivi prediletti,entrambi i poeti continuano ad amare con la stessa intenzione futura: quelladi tenere sempre «fermo questo cuore/ che (ben sapevo) amava una chi-mera»12.allora: per pochi che siano i riferimenti a dante (e con echi, con paralleli-smi) nell’opera meriniana qui fattibili, appare possibile confutare l’afferma-zione di spagnoletti secondo il quale la scrittrice milanese «ignorava del

55

11 a. merini, “non ti dispiaccia”, Le rime petrose, in Il suono dell’ombra, cit., p. 175.12 a. merini, “Ho conosciuto in te le meraviglie”, Le rime petrose, in Il suono dell’ombra,

cit., p. 169.

Cristallo_02_2018_Layout 1 31.10.2018 10:21 Seite 55

tutto, ad esempio, la divina Commedia» e chi la scrisse. Piuttosto, la signoradei navigli riadatta alle proprie esigenze emozionali e poetiche l’opera dan-tesca, sia allegorico-didascalica sia lirica, proiettando su di sé e sul propriocanto soltanto quelle esperienze di vita e di versi che ella sente più vicinealla propria storia personale. Così d’altronde fa anche in occasione del ri-trovamento delle ’ceneri’ di dante presso la Biblioteca nazionale di Firenzenel 1999: pubblicando uno dei suoi tanti aforismi per la Pulcinoelefante13,tra ironia e amarezza, commentò quella bufala legando imprescindibil-mente la sorte dantesca alla propria. L’aforisma infatti recita: «Potessi an-dare in cenere anch’io/ o padre della lingua italiana/ mentre i bagnantiallegri/ sfidano il mare. / Credevo che il mondo/ fosse più serio,/ invece ri-dono sulle tue ceneri/ e sulle mie».

56

13 a. merini, Le ceneri di Dante: con una bugia sulle ceneri, Osnago (Lc), Pulcinoelefante,1999.

Cristallo_02_2018_Layout 1 31.10.2018 10:21 Seite 56