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QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO 1 1 Le pagine elaborate dagli studenti sono state corrette e curate da Giovanna Petrocco e Beatrice Leucadito.

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QUESTIONI ERMENEUTICHE

NEL DIRITTO1

1 Le pagine elaborate dagli studenti sono state corrette e curate da Giovanna Petrocco e

Beatrice Leucadito.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

2

SEZIONE I – DIRITTO COSTITUZIONALE

ARILLI ELENA

1. Interpretazione dei messaggi legislativi

L’interpretazione è un metodo attraverso il quale l'uomo avvia un'opera

artistica su una testualità che può appartenere a diverse dimensioni del

vivere: il musicista, per esempio, interpreta uno spartito musicale,

rendendolo ascoltabile, l’attore interpreta un copione, rappresentandolo in

scena, l’interprete della legge invece funge da mediatore tra il diritto scritto

e i membri della società e, lavorando sulla testualità giuridica, realizza

un'interpretazione giuridica, definita anche ermeneutica2.

L’interpretazione del giurista può trovare una forma nella sentenza che

chiude il giudizio: in questo caso viene pronunciata oralmente attraverso la

lettura delle motivazioni che ripercorrono il ragionamento seguito dal

magistrato ai fini dell'applicazione della sanzione. Il legislatore infatti

stabilisce solo in modo generale la pena da applicare al caso concreto,

lasciando la possibilità, a coloro che giudicano, di adattarla alla situazione

particolare in modo giusto, dopo aver ascoltato le parti convenute in

giudizio nel contraddittorio.

L'interprete ha dunque il compito di comprendere la volontà del

legislatore e, tenendo conto di circostanze e condizioni particolari, applicare

la legge al caso concreto, operando come un demiurgo3: il dio che secondo

Platone è capace di trasformare il caos in un cosmo ordinato.

Tutti i membri di una società sono sottoposti al rispetto delle leggi che

garantiscono la civile convivenza, esortando ad agire nel rispetto delle

regole attraverso la minaccia della sanzione. La dimensione giuridica si

manifesta ai soggetti di diritto attraverso i testi e la loro interpretazione da

parte del magistrato e del legislatore che traducono in termini pratici la

2 La parola ermeneutica è di etimo greco e rinvia alla hermeneutiké téchne, termine che

allude a una costellazione di significati legati all'attività del tradurre, dell'interpretare che, a

sua volt,a deriva da hermeneúo, verbo che riecheggia Hermes – il nunzio degli dèi. Vd. M.

HEIDEGGER, Essere e tempo, Milano, 2000, secondo il quale il comprendere rappresenta un

modo di essere dell'Esserci (Dasein), la cui esistenza è influenzata da una comprensione

preliminare del mondo. 3 V. FROSINI, Lezioni di teoria dell’interpretazione giuridica, Roma,1991, p. 19.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

3

lettera della legge, intesa anche come ultima fase del processo legislativo.

Questa è costituita da una formulazione linguistica e una comunicazione

informativa4.

L'attività legislativa è dinamica infatti il suo processo di formazione

prevede un’iniziativa parlamentare e una popolare fino alla redazione di un

testo diviso in articoli, tale da essere comprensibile ai suoi destinatari.

Ai lavori preparatori di un progetto di legge o disegno di legge

partecipano i tecnici del diritto che si presentano come promotori di riforme

legislative, volte a trasformare l’ordinamento giuridico e di conseguenza

l’ordinamento sociale.

Questo è possibile perché si procede all'unione di elementi razionali e

volontaristici: chiarezza e univocità di contenuti5.

Il messaggio legislativo ha come destinatario l'uomo che ha conoscenza

della legge attraverso tre fasi: promulgazione, pubblicazione ed entrata in

vigore, come previsto dall'art 73 della Costituzione.

La legge entra in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione nella

Gazzetta Ufficiale, che conclude l'iter formativo, in modo tale da renderla

conoscibile ai suoi destinatari. Tuttavia, ai fini della sua corretta

applicazione è necessario l'intervento di tecnici esperti di diritto come i

tributaristi in caso di leggi fiscali.

I primi destinatari della legge sono coloro che devono farla rispettare, i

magistrati che l’applicheranno al caso concreto, integrandone i contenuti.

Si riscontrano diverse forme di interpretazione: interpretazione

legislativa, amministrativa, giudiziale e forense. Per interpretare al meglio

un testo di legge non si devono presentare commenti ma attenersi il più

possibile all'interpretazione autentica del legislatore6.

È importante ricordare l’art 12 delle disposizioni sulla legge in generale

secondo il quale bisogna attribuire alla legge il senso voluto dal legislatore7.

4 Ivi, p 44. 5 Ivi, p 50 «un messaggio legislativo dovrebbe percorrere una sola linea direttiva, come una

freccia diretta al suo bersaglio». 6 S. FRANCESCO D’ASSISI, Regulae, 1926 «a tutti i miei frati,chierici e laici,comando per

obbedienza che non aggiungano spiegazioni alla regola». 7 Secondo Betti l’intenzione del legislatore sta ad indicare il problema pratico del quale la

norma da interpretare rappresenta la soluzione.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

4

2. Conclusioni interpretative

Di fronte ad un qualsiasi profilo di giurisprudenza costituzionale, il

problema che sorge è quello di esaminare gli atti costituzionale in virtù della

funzione che assolvono.

Semplicemente volgendo lo sguardo alle sentenze costituzionali si deve

considerare la centralità dell'attività interpretativa, con particolare

riferimento alla Corte Costituzionale.

Nella prassi si distinguono sentenze interpretative di rigetto o di

accoglimento del volere del legislatore, che possono dichiarare illegittimo

un determinato significato o dispositivo in esse contenuto.

Perché si necessita di un’attività di interpreazione? Perché l’attività

giurisdizionale e legislativa devono essere sempre conformi alla

Costituzione in modo tale da applicare al caso concreto la norma più idonea

e adeguata ai principi Costituzionali posti a fondamento di ogni fattispecie.

Sebbene si sia giunti con notevole ritardo alla consapevolezza della

specificità dell’interpretazione costituzionale come l’unica via per conoscere

i contenuti e il senso di una norma giuridica, oggi la Costituzione deve

essere considerata un valido strumento d’interpretazione.

È opportuno ricordare anche l’esigenza, oltre che di un’interpretazione

giurisdizionale,anche di un’informatizzazione della giustizia termine con il

quale si indica non la volontà di sostituire un computer alla mente del

legislatore o del giudice quanto la possibilità di avvalersi di un sistema di

archiviazione delle disposizioni, leggi e sentenze, che vengono raccolte in

un database.

Questo sistema non reca pregiudizio all’attività di giudici e legislatori

che devono sostenere le loro idee, argomentandole, cioè usando argomenti a

fondamento.

Quindi, informatizzazione del diritto come archiviazione di dati e atti

giuridici, perché la legalità non può essere il prodotto di un’intelligenza

artificiale statica in contrapposizione ad un diritto sempre in formazione.

Alla base di una norma deve esserci un principio logico-giuridico che si

esprime in una premessa maggiore, intesa come possibilità di scelta tra ciò

che è giusto e ciò che non è giusto a partire dalla quale opera la norma. Basti

pensare ad una premessa maggiore che punisce il razzismo; in questo caso,

tutto il sistema legislativo andrà in quella direzione.

I testi giuridici sono quindi oggetto di interpretazione e di

argomentazione finalizzata ad una funzione. Potremo parlare di ermeneutica

funzionale, come discussa nelle pagine di Romano, critico di Luhmann.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

5

Come si procede ad interpretazione? L’interprete deve in primis definire

l’oggetto, cioè la nozione di diritto oggettivo, poi procede nell'osservazione

del testo che contiene l’oggetto in esame e ricerca gli argomenti a sostegno

della sua tesi.

Poichè la legge è sottoposta alla Costituzione, regolamenti e direttive

comunitarie, l’ambito di operatività del giudice è molto ampio. Sulla base

dei principi etici e giuridici della Costituzione, il giudice deve dichiarare o

meno l’illegittimità costituzionale di una norma e applicarla al caso

concreto.

Si ricerca il senso della disposizione tenendo conto della relazione delle

parole con la realtà sociale e con il sistema giuridico.

Appare chiaro un richiamo ai principi interpretativi delle preleggi del

codice civile, art 128.

Ma questa interpretazione a gradi (letterale, logica) mal si attaglia al

principio di legalità costituzionale perchè l’interprete ha il compito di

andare oltre questi canoni interpretativi, utilizzando il principio di

ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità che realmente individuano la

norma più adeguata al caso concreto.

VALENTINA CICCARELLI

Tecnicità e burocratizzazione della giustizia

1. L’Io senziente

È possibile avviare un confronto critico tra La dottrina pura del diritto di

Hans Kelsen e il sistema teorizzato da Luhmann nella sua Teoria sistemico

funzionale per sottolinearne le affinità. In entrambi i casi queste costruzioni

teoriche infatti viene messo da parte il logos e dunque l’unicità dell’ Io,

inteso come entità ipotizzante, isolato in una epoché, discussa da Husserl

come una «messa tra parentesi» dell'uomo rispetto alla vita di relazione.

8 Preleggi, libro IV, Titolo VIII, Dell'arbitrato (Artt. 806–840), capo II, Dell'applicazione

della legge in generale. Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che

quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e

dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa

disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se

il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento

giuridico dello Stato.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

6

Ciò che manca nella dottrina pura del diritto è la dimensione concreta,

interpersonale e dialogica che appartiene esclusivamente all’Io rispetto agli

altri esseri viventi per questo Kelsen discute di una purezza, cioè di una

dimensione depurata da tutti quegli aspetti che non si lasciano osservare

concretamente9.

La dottrina pura del diritto consiste in un approccio scientifico al diritto

in quanto tale e questo è possibile solo se si purifica il diritto dagli elementi

che gli sono estranei.

È lo stesso Kelsen, nella prima parte della sua opera Lineamenti di

dottrina pura del diritto, a dire della sua dottrina: «la dottrina pura del

diritto è una teoria del diritto positivo. Del diritto positivo semplicemente,

non di un particolare ordinamento giuridico. È una teoria generale del

diritto, non interpretazione di norme giuridiche particolari, statali o

internazionale. Essa come teoria, vuole conoscere esclusivamente il suo

oggetto. Essa cerca di rispondere alla domanda: che cosa e come è il diritto,

non però alla domanda: come deve essere o deve essere costituito. Essa è

scienza del diritto e non politica del diritto»10

.

Poi Kelsen spiega cosa si intenda per purezza: «se viene indicata come

dottrina pura del diritto, ciò accade perché vorrebbe assicurare una

conoscenza rivolta soltanto al diritto, e perché vorrebbe eliminare da tale

conoscenza tutto ciò che non appartiene al suo oggetto esattamente

determinato come diritto. Essa vuole liberare la scienza del diritto da tutti gli

elementi che le sono estranei. Questo è il principio metodologico

fondamentale e sembra di per se comprensibile a tutti»11

.

Ma passiamo ad analizzare i punti salienti della dottrina pura del diritto

di Kelsen. Egli intende il diritto come un sistema di tipo piramidale nel

quale ogni norma è collegata ad un’altra sulla base di una relazione

gerarchica. Queste si dispongono su diversi livelli gerarchici e al vertice

della piramide che così si viene a costituire, è posta la Grundnorm, la norma

fondamentale, ossia la norma posta a fondamento del rispetto

dell’ordinamento stesso.

La norma fondamentale «Come norma suprema deve essere presupposta,

in quanto non può essere posta da un’autorità, la cui competenza dovrebbe

riposare su una norma ancora più elevata. La sua validità non può essere

9 L. AVITABILE, Lezioni di Teoria dell’interpretazione e informatica giuridica, a.a,

2013\2014. 10 H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Einaudi, Torino 1967, p. 48. 11 Ibidem.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

7

dedotta da una norma superiore, il fondamento della sua validità non può

più essere discusso»12

.

La norma fondamentale è stata interpretata nel senso che bisogna

obbedire ai padri della costituzione, ossia bisogna obbedire a quella che è la

fattualità vincente, inteso come il fatto che si impone rispetto ad altri fatti ad

altri. Dunque bisogna obbedire ai padri della costituzione vuol dire che uno

o alcuni hanno preso il potere e dettano delle regole che chiedono di essere

eseguite ed applicate secondo il principio meccanico «se A allora B», dove

A è il presupposto e B è la coazione della sanzione.

Quello che emerge dalla dottrina pura del diritto è un Io puro, un Io

depurato da tutte le attività che potrebbero contaminarlo che, essendo

svuotato di parte di quella che è la specificità dell’Io, ossia dell’essere

parlante, diventa una sorta di contenitore vuoto all’interno del quale può

transitare qualsiasi tipo di informazione.

La purezza dell’Io ha a che fare con l’anonimia del chiunque, cioè la

purezza dell’Io fa in modo che ciascun io sia uguale all’altro dal momento

che viene messa in una epochè quella che è la sua attività dialogica13

.

La dottrina pura del diritto celebra la dignità delle norme e non la dignità

dell’uomo, dal momento che la dignità dell’uomo riguarda il suo essere

riconosciuto come entità ipotizzante14

.

Anche nel sistema luhmanniano non c’è attività dialogica perché sarebbe

disfunzionale e non consentirebbe al sistema di procedere velocemente.

Nella prospettiva di Luhmann, il soggetto non esiste autonomamente, ma

vive dentro un sistema e si configura come una funzione deputata al

funzionamento del sistema stesso. Luhmann tralascia di scrivere del

soggetto, per lui il diritto non riguarda il soggetto, infatti quando affronta la

questione del giudice lo sostituisce con il termine tribunale per sottolinearne

l’impersonalità ed evitare l’associazione giudice-soggetto. All’interno della

teoria sistemico funzionale dunque, anche il giudice esercita una funzione, è

calato all’interno di un ruolo nel senso che esegue ciò che gli viene imposto

dal sistema di fare. Ad esempio se il sistema dice di assolvere, il giudice

assolve. Ma non perché sia giusto assolvere in quel caso concreto, ma

perché il sistema, per poter sopravvivere e non scadere nell’ambiente

circostante, gli impone di decidere verso l’assoluzione. È una decisione

funzionale che prescinde dal concetto di giusto o ingiusto15

.

12 ID., La dottrina pura del diritto, Torino, 1966, p. 59. 13 Lezioni. 14 Lezioni. 15 Lezioni.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

8

In questa prospettiva, il diritto non trova il proprio referente principale

nell’uomo, inteso come soggetto, ma nelle operazioni sistemiche e

contemporaneamente, si assiste allo spostarsi del sapere dagli uomini stessi

ai sistemi16

.

Tutto questo ha delle conseguenze sull'attività giurisdizionale perché di

fatto il giudice può solo eseguire e applicare il dettato normativo senza

interpretarlo, a prescindere da un giudizio sulla qualità dei contenuti. Si

giunge dunque ad una tecnicità e burocratizzazione della giustizia che non

ha nulla a che fare con il riconoscimento dell’Io come soggetto parlante17

.

2. Il Processo di Franz Kafka

In riferimento a questa tecnicità e burocratizzazione della giustizia, che

non ha nulla a che vedere con il riconoscimento dell’Io come soggetto

parlante è rappresentato dal romanzo di Franz Kafka, Il Processo. Tale opera

vede come protagonista un impiegato di banca, Josef K., che una mattina si

sveglia e riceve la visita di due guardie di Stato che lo dichiarano in arresto,

senza tuttavia porlo in stato di detenzione.

K. scopre così di essere imputato in un processo e pensando ad un errore,

decide di intervenire tempestivamente per risolvere quello che ritiene essere

uno spiacevole ma temporaneo malinteso. Ben presto, Joseph K. si rende

conto che il processo intentato nei suoi confronti è effettivamente in corso,

ma continua a non conoscerne i motivi e di conseguenza neppure il suo

avvocato può difenderlo perché non conosce i capi d’imputazione.

Un giorno ad Joseph K. gli viene chiesto dal suo direttore di banca, di

mostrare ad un corrispondente italiano della banca, le bellezze della città di

Praga, così i due si danno appuntamento davanti alla cattedrale della città. In

attesa del cliente della banca, che non si presenterà mai, K. entra nella

cattedrale e qui viene avvicinato da un sacerdote che dall’alto di un piccolo

pulpito disse Io sono il cappellano delle carceri. Ti ho fatto chiamare qui per

parlarti. Lo sai che il tuo processo va male? Forse il tuo processo non andrà

neppure oltre un tribunale di grado inferiore18

. Il sacerdote si appresta poi a

raccontargli una parabola Davanti alla Legge19

in cui si descrive la triste

16 A. ZACCAGNINI, Antropologia giuridica e antropologia funzionale, in rivista

quadrimestrale on-line: www.i-lex.it., Agosto 2010, numero 9. 17 Lezioni. 18 F. KAFKA, Il processo, F.lli Melita, La Spezia, 1988, pp. 200-201. 19 Ivi, cap. IX.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

9

vicenda di un uomo di campagna che chiede di essere ammesso alla Legge,

ma viene impedito da un guardiano. L’accesso alla Legge è simboleggiato

da una porta. La porta che conduce alla Legge è sempre aperta poiché di

massima, la Legge dovrebbe essere sempre accessibile a tutti, ma davanti

alla porta sta un guardiano che non consente all’uomo di passare dalla porta,

di entrare nella Legge. Il guardiano resta a sorvegliare la porta aperta

durante tutta la vita dell’uomo e, quando questo muore, chiude la porta e

scompare.

Dunque stando al racconto, il destino dell’uomo è di non aver accesso

alla legge, di restare all’oscuro del dettato normativo. Nel testo di Kafka, il

termine legge è scritto con la maiuscola. Sappiamo che in tedesco tutti i

nomi propri vengono scritti con la maiuscola, ma qui ha un valore aggiunto

perché sembrerebbe quasi che il rapporto sia del custode che dell’uomo che

viene dalla campagna, sia con la legge intesa come personalità e quindi in

rapporto con l’amministrazione della giustizia.

Nucleo centrale della parabola è costituito dal rapporto tra chi serve la

Legge, il guardiano, e chi viene a trovarsi davanti alla Legge per cercare di

conoscerla. Il guardiano non è altro che all’interno di un ruolo, come l’uomo

all’interno della teoria sistemico funzionale di Luhmann: sta nel ruolo e non

lo eccede mai, in modo da consentire alla catena di sistemi di poter

continuare a funzionare. Il guardiano di Kafka è uno strumento della

burocrazia ed è chiamato a custodire la legge così com’è, mentre colui che è

di fronte alla legge è chiamato ad interpretarla e dunque a discuterne i

contenuti. Il rapporto dialettico tra apertura della porta e inflessibilità del

guardiano illustra molto bene la natura del testo normativo nella sua

componente linguistica. Da un lato, infatti, la parola destina la legge alla

condivisione, alla comunicazione, in quanto il linguaggio è un vettore di

comunicazione e di informazione. D’altro canto, pur essendo

intrinsecamente aperta, come la porta del racconto kafkiano, la legge pare

inaccessibile, chiusa nel suo codice specialistico fatto di taciti rimandi e

ferree concatenazioni gerarchiche tra i vari atti normativi, che richiamano

appunto lo Stufenbau, costruzione a gradi, di Kelsen. La legge è aperta

perché fatta di parole, ma inevitabilmente chiusa, inaccessibile al profano in

quanto elemento di un sistema autoreferenziale, parte integrante

dell’ordinamento.

La ragione principale di tale ambivalenza della legge risiede

nell’importanza della sua componente formale.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

10

Conclusioni

La dottrina pura del diritto di Kelsen e la Teoria sistemico funzionale di

Luhmann possono dunque essere inquadrate nel filone del formalismo

giuridico, generalmente definito da Romano come atteggiamento dell’uomo

indifferente ai contenuti normativi, quando osserva passivamente il diritto in

funzione della sua struttura formale, prescindendo dal contenuto. Nella

dimensione del formalismo giuridico non si presta attenzione ai contenuti

della legge, a ciò che il testo normativo istituisce, ma conta solo che una

legge sia istituita e rispettata senza che vi sia alcuna forma di contestazione,

di interpretazione. Interessa solo la legalità. Luhmann afferma che ogni

forma argomentativa deve essere utilizzata solo a rafforzare la validità del

diritto e non può modificarlo.

La legalità è enunciato normativo, la giustizia non è enunciato normativo,

o meglio non si esaurisce nell’enunciato normativo ma è ciò che sta dietro e

attende di essere ripreso ogni volta che il terzo, nella figura del legislatore o

del giudice, è chiamato ad istituire o ad applicare la legge. Questo vuol dire

che la legge è giusta se c’è un attività interpretativa su di essa e dunque non

viene applicata in maniera meccanica, se A allora B, come vorrebbe la

dottrina pura del diritto di Kelsen. Per Kelsen e Luhmann dunque, bastano

quelle che sono le aspettative normative così come istituite all’interno dei

codici.

All’interno della dottrina pura del diritto così come nel sistema

luhmanniano, la giustizia non entra, è qualcosa che deve rimane fuori, non

esiste perché non si può tangere con mano. Quanto finora detto, ci consente

di parlare di diritto come oggetto di scienza, una scienza giuridica, applicato

come fosse un teorema. In quanto scienza si basa sulla precalcolabilità e non

c’è spazio per l’attività interpretativa20

.

Si afferma in questo modo una scienza del diritto che tende all’eutanasia

del diritto e alla formazione di un tecnico delle norme21

.

20 Lezioni. 21 A. FIORILLO, Il ʻsistema del fondamentalismo funzionaleʻ: riflessioni critiche, a partire

dall’opera di Bruno Romano.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

11

TERESA DI RIENZO

1. Costituzione e fondazione del costituzionalismo

La parola «Costituzione» indica un insieme di regole fondamentali che

danno identità ad un ordinamento. Esse conferiscono forma ad uno Stato e

infatti si può affermare che ogni ordinamento statuale ha sin dalla sua origi-

ne una Costituzione, così come un qualunque corpo umano vivente gode di

una propria costituzione, cioè quella serie di caratteri genetici o sviluppati

che ne determinano una fisionomia e una potenzialità.

Hobbes nel Leviatano22

, analizzando la condotta umana, scrive: «Il fine

degli uomini (che per natura amano la libertà e il dominio sugli altri)

nell’introdurre sopra di sé le restrizioni, entro cui li vediamo vivere negli

Stati, è la previsione di ottenere in tal modo la propria conservazione, e una

vita più confortevole; cioè, di uscire dalla miserabile condizione di guerra

che è necessaria conseguenza delle passioni naturali degli uomini, quando

manca un potere che li tenga in soggezione, e li vincoli (…) all’osservanza

delle leggi di natura»23

. Dunque Hobbes nel XVII secolo mostra l’origine

pattizia dello Stato derivante dal fatto che l’uomo lascia guidare dalla legge

della natura per uscire dallo stato di «miserabile condizione di guerra». Le

passioni naturali di cui è schiavo mirano all’interesse individuale che genera

guerra autodistruttiva; al contrario, le leggi naturali consentono di uscire

dallo stato di natura, caratterizzato dal prevalere delle passioni naturali24

,

mediante un patto sociale che porta alla nascita di un potere sovrano capace

di costringere ogni individuo ad obbedire alle leggi della natura, garanzia

della sopravvivenza umana. Hobbes, dunque, spiega che la convivenza paci-

fica deriva dalla presenza di un potere forte, stabile, capace di impedire ogni

prevaricazione.

Non la pensa allo stesso modo Locke il quale, pur condividendo i princi-

pi del giusnaturalismo, non approva l’impostazione della teoria hobbesiana

dello stato naturale e la giustificazione dello stato assoluto. Per Locke infatti

22 Leviatano è il nome di una creatura biblica. Si tratta di un terribile mostro marino dalla

leggendaria forza presentato nell'Antico Testamento. Tale essere viene considerato come

nato dal volere di Dio, nonostante sia spesso associato al Diavolo. 23 Cfr. T. HOBBES, Leviatano, a cura di S. Gabbiadini, M. Manzoni, Milano, 1995. 24 La concezione di Hobbes della natura umana esemplificata dalle frasi Bellum omnium

contra omnes ("la guerra di tutti contro tutti"), e Homo homini lupus ("ogni uomo è lupo

per l'altro uomo").

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

12

le leggi naturali coincidono con la ragione; lo stato civile, che garantisce il

rispetto dei principi naturali, non deve sorgere dalla rinuncia degli uomini ai

loro diritti di natura, né la sovranità deve essere concentrata nelle mani di

un’autorità assoluta. Poiché il pieno rispetto dei diritti naturali di ciascuno

non è totalmente garantito ed è sempre possibile qualche violazione, è ne-

cessario che lo stato, nato da un patto consociativo tra i cittadini, tuteli con

la sua legislazione positiva i diritti naturali degli uomini così come ricono-

sca ai cittadini il diritto di partecipare alle diverse funzioni dello stato. Il

modello politico di Locke è quello di uno stato di diritto il cui governo, affi-

dando i differenti poteri a diversi organismi politici, è in grado di preservarsi

da ogni tentazione illiberale; lo stato deve tutelare le libertà e i diritti dei cit-

tadini, pena la perdita della fiducia del popolo e, quindi, del potere e della

pace.

Il modello giusnaturalistico, basato sulla contrapposizione tra uno stato

naturale di conflitti e incertezza e uno stato civile di pace e sicurezza, viene

rovesciato da Jean-Jacques Rousseau che considera il patto stipulato tra gli

uomini per garantirsi reciprocamente diritto e pace, uno strumento di divi-

sione a vantaggio dei ricchi che si riservano in tal modo la direzione del po-

tere economico, politico e sociale. Questo accordo è stato infatti estorto dai

potenti per legittimare subdolamente i loro interessi a danno degli altri citta-

dini che ora sono tornati uguali «perché non sono più nulla». «Non avendo

altra legge che la volontà del padrone (…) le nozioni di bene e giustizia

svaniscono di nuovo: tutto si riporta alla sola legge del più forte e, di conse-

guenza, a un nuovo stato di natura differente da quello da cui abbiamo preso

le mosse, in quanto quello era lo stato di natura nella sua purezza e

quest’ultimo è il prodotto di un eccesso di corruzione»25

.

Secondo Rousseau, l’uomo è innocente (qui si differenzia da Hobbes),

non è egoista e non cerca il proprio utile (qui si differenzia da Locke), dun-

que, non ha bisogno di sottomettersi ad un’autorità estranea ma deve invece

sottomettersi ad una volontà generale ossia aderire a quei principi comuni

che ciascun uomo porta in se stesso. La volontà generale è tale per la sua

qualità, non è la sommatoria di più volontà particolari. Sottomettendosi a

questa volontà, mediante il «contratto sociale» l’uomo realizza la propria li-

bertà26

.

25JEAN-JACQUES ROUSSEAU, Scritti Politici (volume primo: Discorso sulle scienze e sulle

arti, Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza, Discorso sull'economia

politica), Roma-Bari, 1994. 26Cfr. A. BARBERA, Le basi filosofiche del costituzionalismo, Roma-Bari, 2003, p. 18.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

13

Da Locke a Rousseau si delineano due dimensioni del costituzionalismo.

Mentre per il primo è prevalente il momento liberale, della «garanzia delle

libertà», per il secondo è prevalente il momento democratico, la garanzia

della partecipazione alla formazione della volontà comune. Inoltre mentre le

rivoluzioni inglesi e americane hanno cercato di limitare il potere assoluto

con la divisione dei poteri, la garanzia dei diritti e l’autonomia delle corti, le

costituzioni giacobine hanno puntato ad esaltare le assemblee e a costruire

gli strumenti di democrazia diretta.

Con l’Illuminismo e la Rivoluzione francese lo sviluppo del costituziona-

lismo si lega strettamente alla formazione dello Stato nazionale e quindi si

connette strettamente ai concetti di «nazione» e di «cittadinanza» e dei dirit-

ti del cittadino a scapito dei diritti dell'uomo27

.

2. Costituzionalismo e globalizzazione

I nuclei fondamentali attorno ai quali si sviluppano le costituzioni ed il

concetto di democrazia costituzionale sono sostanzialmente tre. Innanzi tut-

to vi è l’affermazione della sovranità popolare o nazionale. L’art 3 della Di-

chiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino28

del 1789 ne sancisce il

principio: «Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazio-

ne. Nessun corpo, nessun individuo può esercitare un’autorità che non ema-

ni espressamente da essa». L’art. 6, che verte sulla formazione della legge,

funge da complemento al precedente: «La legge è l’espressione della volon-

tà generale. Tutti i cittadini hanno diritto a concorrere personalmente o me-

diante i loro rappresentanti alla sua formazione». Il riconoscimento dei dirit-

ti individuali anteriori all’istituzione dei poteri pubblici, la limitazione delle

prerogative decisionali attraverso il meccanismo della divisione dei poteri,

sono gli altri due elementi che determinano la struttura delle nascenti costi-

tuzioni democratiche. L’art. 16 recita: «Qualsiasi società in cui la garanzia

dei diritti non sia assicurata, e la separazione dei poteri non sia determinata,

non possiede una costituzione».

In questo senso evidentemente la costituzione può essere correttamente

intesa non solo nell’accezione di garanzia dei diritti, ma può essere signifi-

cativamente identificata con la struttura organizzativa di ogni forma di Sta-

to, in quanto definisce il fondamento di legittimità costituzionale di un prin-

27 Ivi, p. 23; inoltre «La nazione, da ambito spaziale, si trasforma in un soggetto politico». 28 Primo documento scritto prodotto dalla Rivoluzione francese e funge da preambolo alla

Costituzione monarchica del 1791.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

14

cipio politico.29

La Dichiarazione del 1789 contiene un programma politico

consistente nell’individuare nel legislatore il soggetto che attraverso la legge

sia rivelatore della volontà generale di una nazione ormai sovrana.

Nell’Occidente il costituzionalismo è stato il punto di forza che ha con-

sentito lo sviluppo della democrazia e la vittoria dei totalitarismi che si sono

succeduti nel secolo scorso; ma allo stesso tempo il costituzionalismo tende

a vedere soprattutto nello Stato il nemico delle libertà da tenere sotto con-

trollo e nella società il luogo in cui esse si esercitano. D’altro canto la socie-

tà non è solo il luogo in cui si sviluppano le libertà bensì anche il luogo in

cui – soprattutto quelle economiche – possono tradursi in potere sociale e

opprimere altre libertà. Sulla scia della Costituzione di Weimar del 1919 e

delle anticipazioni della Costituzione giacobina del 1793, accanto alla liber-

tà dallo Stato (diritti civili) e accanto alla libertà nello Stato (i diritti politi-

ci), si sono collocati i diritti sociali (diritto al lavoro, all’istruzione,

all’assistenza) che potremmo parafrasare come libertà attraverso lo Stato.

Essi devono fare i conti con la possibile inerzia dei poteri pubblici, con gli

equilibri finanziari del bilancio pubblico, specialmente in questa fase storica

in cui assistiamo ad una crisi fiscale dello Stato e ad una crisi finanziaria

globale. Se le nuove dimensioni di libertà non affrontate dal costituzionali-

smo classico (dalle cosiddette «libertà informatiche» ai diritti connessi alle

nuove frontiere della biogenetica) possono essere affrontate affinando le

tradizionali tecniche dei diritti di libertà, diversa è invece la dimensione che

riguarda i diritti sociali subordinati alle regole dettate dal sistema economico

e finanziario. Questo fa sì che il diritto che confluisce nel sistema giuridico

è il diritto del più forte. L’economia diventa, dunque, un sistema più com-

plesso e più efficiente e cresce l’influenza che esercita sul diritto e sulla so-

cietà. La particolare rilevanza del mercato e, quindi, il peso dell’economia,

si ripercuote sulla struttura del diritto, interessando in primo luogo la morfo-

logia delle norme giuridiche. In questo senso, si afferma il postulato che de-

finisce le leggi quali beni fungibili prodotti dal sistema e, come tali, valide

solo nel tempo della contingenza. Luhmann definisce il diritto come un

mezzo meccanico posto dai sistemi sociali a garanzia del loro stesso funzio-

namento, rendendo la figura del soggetto irrilevante ai fini della definizione

del concetto di norma, così come del concetto di pretesa giuridica. Scrive

Bruno Romano: «Luhmann descrive i sistemi sociali – dunque anche il dirit-

to – secondo il modello dei sistemi biologici, intesi come sistemi funzionali.

Tratta il funzionamento delle norme; non pensa la questione della giustizia,

29 Cfr. P. GIORDANO, Benjamin Constant. I ‘principi’ del costituzionalismo, Napoli, 2005, p.

28.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

15

che qualifica esclusivamente la storia degli uomini. Nei confini dei sistemi

biologici sono assenti i problemi specifici del concetto di giustizia»30

.

In conclusione possiamo affermare a gran voce che nel postumanesimo,

di pari passo con la perdita della centralità dell’uomo visto come soggetto,

che in Luhmann sfocia nel concetto di osservatore, si affermano le teorie

biologico-macchinali. B. Romano chiarisce che «i diritti fondamentali sono

riferibili alla contingente esteriorità della legge, che appartiene ad un sog-

getto senza io, divenuto un elemento funzionale di una vita sociale imperso-

nale […]. I diritti fondamentali contenuti in una Legge fondamentale, in una

Costituzione, possono violare i diritti dell’uomo»31

. Infatti la Dichiarazione

dei diritti dell’uomo del 1948 in un certo senso si propone come garanzia di

questi diritti al di sopra e anche contro gli Stati.

DONATELLA PETTERUTI

1. Pensiero politico, democrazia, rappresentanza

La parola «politica», deriva dal greco «polis» ossia città e significa

originariamente scienza o arte del governo. Essa è stata sempre oggetto di

interesse non solo della filosofia, ma anche della letteratura, della

storiografia e delle altre scienze, «in connessione o meno con l’etica, il

diritto e il concetto di giustizia, nella sua reale ampiezza»32

. Seneca, nella

sua opera De Clementia si occupa sia dello ius (diritto) che della aequitas

(equità). Egli disegna quella sorta di «virtù ideale che dovrà rendere

l’Imperatore (Nerone) amato dal popolo, per poter anche essere insignito del

nobile titolo di Padre della Patria»33

. Secondo Argiroffi, nel De Clementia,

la giustizia superiore ossia la clemenza moderata del popolo romano,

diviene virtù per eccellenza dell’Imperatore. Inoltre, Argiroffi afferma: «la

virtù ideale del giusto sovrano intesa come mitezza, moderazione, amore per

i sudditi; non potrà mai confliggere con la giustizia, come misura e regola

ponderata ed equilibrata ed in caso contrario diventerebbe: mancanza di

30 B. ROMANO, Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, Torino, 2009, p. 37. 31 ID., Diritti dell’uomo e diritti fondamentali, vie alternative: Buber e Sartre, Torino, 2009,

p. 21. 32

A. ARGIROFFI, La Filosofia di Lucio Anneo Seneca tra Etica, Diritto e Politica, Torino ,

2012, p. 83. 33 Ivi, p. 84.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

16

misura, sregolatezza e odiosa parzialità»34

. Martin Heidegger afferma che:

«un classico come Seneca è contemporaneo ad ogni presente»35

. Seneca ci

accomuna allo stesso «mondo» infatti sostiene che: «tutti sono vincolati alla

medesima sorte: a chi è nato tocca morire. L’intervallo tra l’uno e l’altro ci

distingue, la fine ci mette alla pari»36

. Il concetto che è alla base del

pensiero di Seneca è che tutti gli uomini sono uguali, solo la virtù può

rendere l’uomo nobile e solo con la volontà si può raggiungere tale virtù.

Essa associata ad un rapporto paterno con il popolo, riesce a garantire la

sicurezza dell’impero a differenza di un atteggiamento dispotico, garantendo

al sovrano la fiducia e la dedizione da parte dei suoi sudditi. La politica,

dunque, è l’attività o l’insieme di attività che lo stato ha come fine per la

realizzazione degli scopi comuni alla collettività. Nel Rinascimento il

trattato di politica più importante fu quello di Machiavelli, che con il suo

«Principe» ha segnato l’inizio dell’arte di governo contemporanea. In

Machiavelli, a differenza di Seneca, gli uomini sono incapaci di evoluzioni e

cambiamenti, tuttavia alcuni di essi si distinguono e riescono a plasmare la

massa. Per Machiavelli, tutto ciò che il sovrano fa per rafforzare lo Stato è

lecito, anche se lontano dalla morale secondo l’adagio, «il fine giustifica i

mezzi». La politica è parte integrante di ogni società che sia disciplinata da

regole, da leggi, da canoni di convivenza dettati dalla ragione o dalla

morale. Essendo di notevole importanza nella società, nei regimi

democratici, ogni cittadino dovrebbe essere partecipe, ma ciò non accade in

particolar modo per l’abitudine a delegare ad altri le proprie responsabilità.

E’ anche vero che l’ambiente politico, sempre più degenerato nella

corruzione, non offre una buona immagine al cittadino onesto che non vede

risolti dalla classe dirigente i problemi più comuni. Ne deriva, che i cittadini

guardano alla politica con sospetto e con sfiducia e disapprovazione. La

politica sembra, ai giorni nostri, ridotta prevalentemente ad uno strumento

per arricchimenti illeciti e per l’esercizio del potere usato soprattutto a scopi

personali e non per il bene della nazione. Naturalmente non si può

generalizzare, accusando di corruzione l’intera classe politica, né la politica

stessa che resta un’attività importantissima. Strettamente connesso alla

politica è il concetto di Stato anch’esso nato nell’antica Grecia, ove si

costituirono le cosiddette città-stato. «Lo Stato non è altro che

l’ordinamento giuridico di una società (il dover-essere di un essere) che si

produce in una necessaria costruzione a gradi, di norme sovra e subordinate,

34 Ivi, p. 86. 35

Ivi, p. 109, inoltre vd. M. HEIDEGGER, Essere e Tempo, Halle, 1927, pp. 12, 14. 36

Ivi, p. 111.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

17

la cui più o meno articolata complessità ne testimonia la collocazione

storica»37

. Tuttavia, secondo De Sanctis, non ogni ordinamento giuridico

viene però designato come Stato, ma ciò avviene solo quando

«l’ordinamento giuridico stesso, per la produzione ed esecuzione di norme

giuridiche provvede ad una divisione del lavoro raggiungendo un certo

grado di accentramento»38

. Negli ultimi anni, si è determinata una crisi della

statualità, poiché gli stati, in particolare quelli europei, risultano incapaci di

affrontare e di risolvere i problemi imposti dalla crisi economica. La

globalizzazione e l’introduzione di nuovi interessi e valori, hanno

determinato che la nozione di rappresentanza sorta nello Stato moderno,

risulta inadeguata alla realtà odierna. Come affermato da M. Fracanzani:

«essa mal si concilia in quanto, la struttura dello stato moderno è stata

edificata sull’elemento della sovranità, categoria plasmata sull’unicità, cioè

sull’impossibilità di riconoscere altro da sé»39

. La rappresentanza politica è

in realtà «anti-politica»40

. In quanto sempre più spesso i rappresentanti eletti

dal popolo, finiscono per curare prima i loro interessi privati e non quelli

della collettività, denigrando le attività di governo in mera amministrazione.

Dunque, «ritorna inevitabile il problema dello spazio che la nostra

Costituzione riserva alla sovranità del popolo italiano»41

, o meglio del corpo

elettorale infatti «Kelsen disconosce il significato giuridico del popolo, ma

ne coglie al contempo una manifestazione quando agisce come corpo

elettorale»42

. Tutte le categorie della società, sono colpevoli per la

situazione che si è venuta a creare all’interno dello Stato, perché troppo

spesso si sono adagiate nell’inerzia sociale. Nella società attuale sono

evidenti le diseguaglianze che contrastano con quanto previsto dalle Carte

Costituzionali. E’ pertanto necessario che l’espletamento delle proprie

mansioni professionali si risolvano nell’obbligo di interpretare la legge

secondo lo spirito del dettato costituzionale, in modo da creare un’effettiva

uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, per costruire un sistema

effettivamente democratico, poiché, in realtà «la democrazia è la

37

F. M. DE SANCTIS, Stato dei Luoghi. Per una Topologia del Pensiero Politico, Napoli,

2005, pp.21-22. 38 Ivi, p.22. 39 G. P. CALABRÒ - P. B. HELZEL, Autorità e Rappresentanza, Napoli, 2011, p.17. 40 Ivi, p.83. 41

M. PLUTINO, Democrazia Rappresentativo-Parlamentare e Sviluppi degli Assetti

Istituzionali Italiani, Napoli, 2012, p. 199. 42 Ivi, p. 203.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

18

conseguenza organizzativa della dignità umana, niente di più e niente di

meno»43

.

2. Globalizzazione nel diritto

Nella seconda metà del secolo scorso, gli scambi commerciali nel mondo

sono aumentati in maniera impressionante, dando un impulso incisivo

all’economia mondiale. Oggi possiamo dire che l’intero Pianeta è diventato

un unico grande mercato mondiale. La libertà e l’incremento degli scambi,

hanno enormemente influenzato il mondo in cui viviamo: idee e culture

viaggiano con le merci, e dallo scambio delle idee trae impulso il progresso.

Le moderne tecnologie informatiche e di comunicazione abbattono barriere

ed ostacoli, fino a ieri, insuperabili. Come affermato da N. Irti: «la

tecnologia non si lascia governare, ma governa e configura i rapporti

intersoggettivi»44

. Grazie agli sviluppi tecnologici, «la natura dell’agire

umano è mutata»45

. Inoltre, continua H. Jonas: «tra il naturale e l’artificiale

non esiste più differenza: il naturale viene assorbito nella sfera

dell’artificiale e al tempo stesso la totalità degli artefatti e le opere

dell’uomo che influiscono su di lui, mediante lui, generano una propria

natura, cioè una necessità con cui la libertà umana deve confrontarsi in un

senso completamente nuovo»46

. Un processo che non è solo economico, ma

che investe ogni giorno di più la dimensione sociale, le identità culturali, gli

assetti politici ed istituzionali. «La circolazione dei beni economici si

scioglie a mano a mano da sostegni linguistici; venditore e compratore non

si conoscono: così, i rapporti raggiungono l’estrema funzionalità

dell’anonimia e del silenzio»47

. La società moderna risulta pertanto

condizionata dai meccanismi del mercato, dalle leggi dell’economia, dal

cosiddetto «sistema finanziario». In questo «sistema globalizzato», «il

43

G..P. CALABRÒ - P. B. HELZEL, Autorità e Rappresentanza, Napoli, 2011, p. 220. 44

B. ROMANO, Globalizzazione e Spazio nel Diritto, estratto dalla Rivista Internazionale di

Filosofia del Diritto Anno LXXVIII, Albano Laziale, 2001, p.17. 45

A. ARGIROFFI - L. AVITABILE, Responsabilità Rischio Diritto e Postmoderno, Torino, 2008,

p.108. 46Ivi, pp.110-111, inoltre vd. H. JONAS, Tecnologia e Responsabilità. Riflessioni sui nuovi

compiti dell’Etica, contenuto in Dalla Fede antica all’uomo tecnologico, trad. it. di G.

BETTINI, Bologna 1991, p. 52. 47

B. ROMANO, Globalizzazione e Spazio nel Diritto, estratto dalla Rivista Internazionale di

Filosofia del Diritto anno LXXVIII, Albano Laziale, 2001, p.15.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

19

diritto si trova ad essere una cosa tra le altre»,48

trasformato in un complesso

di operazioni funzionali. Essendo il diritto un’istituzione, esso è

incompatibile con l’intelligenza artificiale, poiché è di «derivazione divina»;

tuttavia c’è un’altra tesi, secondo la quale il diritto ha derivazione

naturalistica, ossia le regole nascono nella natura e sono immodificabili. Ma

l’uomo è stato capace di mettere in parola il diritto, in quanto esso si è

positivizzato attraverso il «dia-logos» ossia il passaggio della parola negli

uomini, esso è il diritto primo dell’uomo ed è diritto alla parola. In N.

Luhmann, invece, non c’è mai il concetto di dialogo, poiché

l’interpretazione è funzionale e ha a che fare con un «io funzione» e

pertanto è spersonalizzato. Nel pensiero «luhmanniano» non c’è la

giuridicità o la giustizia, ma vi è una formula di contingenza: «è giusto ciò

che accade», non c’è ricerca del giusto e del senso. I sistemi giuridici ed

etici precedenti non sono più adeguati a regolarizzare le nuove situazioni e i

nuovi rapporti derivati dalle nuove capacità dell’uomo che connotano il

progresso tecnologico ed economico. La globalizzazione mette in crisi lo

stesso ordinamento costituzionale, poiché soprattutto per quanto concerne

uno degli elementi necessari per l’esercizio della sovranità dello Stato, ossia

il territorio non può essere più individuato secondo i confini dati

dall’ordinamento giuridico, in quanto il mondo globale costituisce la

negazione della delimitazione fisica di un territorio. Oggi con la

globalizzazione il capitale finanziario, le informazioni e le conoscenze

legate ad un territorio si spostano da un luogo ad un altro cercando di

trovare il luogo o meglio lo Stato più conveniente in cui posizionarsi

sfuggendo al controllo dei poteri pubblici. Connesso al territorio è la

nozione di popolo con cui si individua la comunità di tutti coloro ai quali

l’ordinamento giuridico statale assegna la qualità di cittadino che è

condizione per l’esercizio di diritti ma anche di doveri. Con l’integrazione

europea il rapporto tra lo Stato ed i propri cittadini non è più esclusivo,

poiché con il Trattato di Maastricht del 1992 che ha introdotto l’istituto della

cittadinanza dell’Unione Europea il cui presupposto è costituito dalla

cittadinanza di uno stato membro, i cittadini dell’UE possono vantare una

serie di diritti anche nei confronti di tutti gli stati membri dell’Unione. Il

processo di integrazione si è avuto anche riguardo al flusso di stranieri che

dalle comunità dell’Africa Settentrionale e dal Medio Oriente raggiungono i

territori europei, cercando di custodire e di difendere la loro identità

culturale e religiosa garantendogli tutto un complesso di diritti. Oggi la

Costituzione interna allo Stato non è più sufficiente a garantire una tutela dei

48

A. ARGIROFFI - L. AVITABILE, Responsabilità Rischio Diritto e Postmoderno, cit., p.232.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

20

diritti, è necessaria una «internazionalizzazione dei diritti» in particolare

quelli umani attraverso la loro «positivizzazione», in modo da rendere

concreta l’applicazione del principio di legalità che stabilisce che l’azione

dello Stato deve necessariamente avere un fondamento giuridico e che deve

esplicarsi nel rispetto dei limiti formali fissati dalla legge in conformità della

disciplina sostanziale posta in essere dalla stessa. Questo processo di

integrazione a livello giuridico ha già preso avvio con l’emanazione delle

varie Dichiarazioni Internazionali e Carte di Diritti. Tuttavia non è

sufficiente in quanto la società attuale è caratterizzata dalla complessità

dovuta alla velocizzazione dei dati, in contrapposizione alla semplicità. Il

diritto è stabilizzatore della complessità che contraddistingue la società

attuale. Per far sì che cominci a decrescere la complessità, è necessario che

emergano tutti i sistemi fino a raggiungere un livello di adeguamento. Oggi

il sistema giuridico, il sistema etico e il sistema politico «sono esplicitabili

fenomenologicamente come mere sembianze e apparenze dei fenomeni

tradizionali»49

.

È pertanto necessario porre un freno ad una condotta e ad un modo di

pensare che rischiano di stravolgere la morale dell’uomo e quindi dell’intera

società. Occorre che il mondo non sia più caratterizzato dalla complessità e

dall’ accentramento dei poteri nelle mani di pochi, non rendendo trasparente

il concetto delle norme giuste e ponendo alla base del sistema giuridico la

legge del più forte. È opportuno che il fondamento del sistema giuridico

ritorni ad essere il «diritto-giusto».

FEDERICA ROMANAZZI

1. L’idea di uguaglianza nella società complessa

Uno dei principi su cui si fonda lo Stato di diritto è l'uguaglianza, ossia

«si è tutti uguali nella differenza». L’uguaglianza rappresenta un valore, un

ideale, un criterio di giustizia, è un bene, come la libertà, e deve essere

tutelata giuridicamente.

Ciò che differenzia l’uomo da tutti gli altri esseri viventi non umani è

l’uso della parola, ossia la capacità di esprimere il suo pensiero e, quindi, di

istituire, attraverso l'ipotizzare, il diritto e tutte le procedure necessarie a

questo scopo. Tutti gli uomini scelgono e formano la propria identità

esistenziale nell'esercizio del logos, attraverso il quale ciascuno presenta la

49 Ivi, p.182.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

21

propria specificità ed ha la possibilità di rivendicare il diritto primo a

prendere la parola: è questa la genesi fenomenologica del diritto.

L’istituzione del diritto diventa rilevante perché non può essere il

prodotto della forza del più forte; se così fosse non sarebbe necessaria la

parola perché diventerebbe il diritto della forza sociale, economica,

finanziaria di turno.

Il rispetto del principio di uguaglianza nella differenza è custodita

dall'incidere del diritto.

L’uomo in relazione con gli altri istituisce il diritto nella propria

differenza ipotizzante. Ed è proprio lai differenza uno dei cardini della teoria

di John Rawl: nella struttura della società giusta le inuguaglianze nella

distribuzione dei beni primari (diritti, libertà, reddito, etc.) sono giustificate

quando vanno a beneficiare dei soggetti più svantaggiati; si può discutere in

questo caso di «un’uguaglianza che sa porsi autonomamente i suoi limiti».50

Al diritto non si chiede di “eguagliare” le persone, ma di non trattarle con

disparità, di non discriminarle. Il divieto di discriminazione è il criterio di

cui il diritto si avvale per assicurare pieno rispetto ai profili dell’uguaglianza

che accumunano gli esseri umani. Il diritto che muove verso l’uguaglianza

«non insegna solo il fatto, ma prova a cambiarlo, prova a incidere sulle

strutture economiche, sociali, culturali, piuttosto che sulle strutture

giuridico-formali»51

.

Per poter difendere il concetto di uguaglianza non si devono solo

eliminare le disuguaglianze, ma si deve anche cercare di tutelare la diversità

perchè la differenza è un vero e proprio valore da tutelare.

Nel processo di autosservazione del sistema diritto, il principio di

uguaglianza diviene una tecnica di semplificazione nel trattare la

complessità. Questo principio non si concretizza nella direzione di un fine,

ossia accrescere l’uguaglianza facendo decrescere le condizioni

d’ineguaglianza, ma diventa un meccanismo di concretizzazione della

funzione di diritto, nel suo essere il sistema immunitario dei sistemi sociali.

La forma dell’uguaglianza consiste nel suo operare come norma52

, dove

casi uguali sono trattati in modo uguale e casi disuguali in modo diverso. Si

tratta di un’uguaglianza-funzione che, nel diritto come sistema, opera in

modo che «nessun caso può essere costituito da esso in modo che non è né

50 G. ZANETTI, Eguaglianza, in “le basi filosofiche del costituzionalismo”, a cura di A.

Barbera, Roma-Bari, 2000, p. 64. 51A. D’ALOIA, Discriminazioni, eguaglianza e azioni positive: il “diritto diseguale”,

Reggio Emilia, 2008, p. 201. 52B. ROMANO, Terzietà del diritto e società complessa, Roma, 1997-1998, p. 93.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

22

uguale, né non uguale con riferimento ad altri casi. Davanti al principio di

uguaglianza tutti i casi sono uguali».

Nella complessità postmoderna, il principio di uguaglianza viene

considerato come una regole su come trattare i casi giuridici attraverso la

distinzione tra uguale e non uguale, che opera «come forma e come

norma»53

, secondo la logica immunitaria.

Luhmann sostiene che, la questione dell’uguaglianza, nell’attuale società

complessa «non si muove più nella direzione di una maggiore uguaglianza e

di una minore uguaglianza, ma nella direzione di una più alta complessità,

che offre più vedute per l’uguaglianza e per l’ineguaglianza»54

, sempre per

valorizzare il processo di semplificazione.

L’uguaglianza ha la sua unità in ciò che essa marca: la differenza. Si

tratta infatti di una forma a due versanti, l’uguale ed il disuguale, chi dice

uguaglianza dice anche non-uguaglianza.

2. Uguaglianza come ideale di giustizia

Il principio di uguaglianza può essere espresso in varie formule: può

essere di tipo ontologico e di tipo deontologico.

L’uguaglianza assoluta ontologica afferma che 'tutti gli uomini sono

uguali', mentre l’uguaglianza assoluta di tipo deontologico dice, invece,

come devono essere trattati gli uomini.

Il principio di uguaglianza può anche essere formulato come segue «i

casi uguali devono essere trattati in modo uguale (ed i casi diversi in modo

diverso)»55

.

Secondo Perelman l’eguaglianza di trattamento si riallaccia

«semplicemente all’applicazione corretta di una norma»56

, solo in questo

modo si può realizzare l’idea di giustizia.

La norma, determinando sia le condizioni sia le conseguenze in modo

generale, crea una situazione in cui i soggetti, nella loro individualità, sono

irrilevanti e perciò uguali.

La generalità della norma giuridica garantisce l’eguale trattamento di tutti

quelli che appartengono alla stessa classe individuabile attraverso criteri

53ID., Terzietà del diritto e società complessa, cit., p. 96. 54Ivi, p. 445. 55 P. FERRAGAMO, Le formule dell’uguaglianza, Torino, 2004, p. 38. 56 C. PERELMAN, La giustizia, Torino, 1959, p. 73.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

23

stabiliti dalla norma stessa per cui «nessuno, arbitrariamente o senza

ragioni, possa essere sottoposto a un trattamento diverso»57

.

Solo attribuendo un contenuto specifico a ogni norma si può garantire il

principio di uguaglianza affinché gli uomini possano convivere nella

reciprocità e non nell’assoggettamento, evitando così che il diritto divenga

«la legge della forza del più forte»58

.

Tutti gli esseri umani sono uguali perché dotati i pari dignità e uguale

rispetto. Il principio di uguaglianza è strettamente collegato con l’idea di

giustizia; infatti l’uomo ingiusto è colui che vuole più di quanto gli spetta,

quindi è nemico dell’uguaglianza; mentre l’uomo giusto è colui che rispetta

l’uguaglianza. Le norme di giustizia sono generali e prescrivono un certo

trattamento, rappresentando la base di una società giusta.

L’idea di diritto rimane strettamente legata alle leggi scritte con una

propria e autonoma forma, capace di cambiare in modo continuo attraverso

un’attività interpretativa con la quale il giurista cerca di comprendere e

conoscere meglio la portata della disposizione, rispetto a quelli che sono i

principi generali dell’ordinamento. Il giurista, tramite l’interpretazione,

ricerca il giusto, inteso come riconoscimento di uno stato diritto fondato sul

principio di uguaglianza. L'attività interpretativa produce un’attesa o ansia

di giustizia che può essere attesa o disattesa.

Il diritto quindi nasce per garantire a ciascun individuo e alla società

garanzia, stabilità e progresso attraverso l'istituzione di un diritto che rispetti

il principio di uguaglianza nella misura in cui la norma è nel suo contenuto

giustificabile, poiché «una norma, al tempo stesso, stabilisce

un’unificazione e una differenza, giustificare l’unificazione e la differenza è,

in realtà, giustificare la norma medesima»59

.

Oggi, quasi tutte le costituzioni contengono, in uno dei loro primi

articoli, la proposizione secondo cui 'tutti gli uomini sono uguali davanti alla

legge' e anche la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10

dicembre 1948, afferma che «tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali

in dignità e diritti».

L’uguaglianza costituisce, dunque, un principio giuridico di rilevante ed è

tanto più garantita quanto più le leggi sono astratte e generali, cioè rivolte a

tutti senza distinzione di sesso, razza, lingua, condizioni sociali e personali,

opinioni politiche e religiose.

57 A. ROSS, On Law and Justice, Londra, 1958, p. 254. 58 B. ROMANO, Filosofia della forma, relazioni e regole, Torino, 2010, p. 67. 59 P. FERRAGAMO, Le formule dell’uguaglianza, cit., p. 80.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

24

Si può concludere affermando che il rispetto e la realizzazione

dell’uguaglianza sono garanzie del pieno sviluppo della persona umana.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

25

SEZIONE II – DIRITTO PRIVATO

GILDA COSTANTINO

1. Il formalismo giuridico nella genesi del diritto privato

La sostanza del diritto sta nella sua forma, intesa dai romani come

l’espressione dell’aspetto esteriore di una cosa, ma anche come il complesso

degli elementi strutturali specifici di un negozio o di un istituto. È a partire

da ciò che si è giunti a parlare di «formalismo giuridico»60

nell’odierno

diritto privato e non solo, poiché ha invaso le più disparate materie

giuridiche. L’espressione ‘formalismo giuridico’, variamente tecnicizzata,

conferisce rilievo in primis a quei comportamenti umani aventi determinate

forme essenziali affinché producano effetti giuridici. Una parte della

dottrina, infatti, ritiene che qualunque atto, rilevante per l’ordinamento,

necessita di una forma anche se non prescritta. Si possono distinguere atti

formali o solenni, in cui la forma è requisito essenziale a pena di nullità

dell’atto, ed atti non formali nei quali la forma è libera. La forma, dunque, è

il mezzo necessario per esprimere la volontà. In un’accezione più ampia

l’espressione «formalismo giuridico» è talvolta utilizzata per definire un

carattere che sarebbe proprio di ogni concreta manifestazione del diritto e

che ne costituirebbe un elemento imprescindibile, cioè l'insieme dei mezzi

tecnici di cui il diritto avrebbe necessità per porsi e realizzarsi, addirittura

per essere (ad. es. prescrizione, decadenza)61

. Ma la concezione formalista,

muovendosi tra scienza e filosofia giuridica, si divulga anzitutto con Kant, il

quale affronta la distinzione fra materia e forma della conoscenza

affermando che «il diritto sarebbe determinabile a priori, formalmente,

risolvendosi nell’esistenza della libertà, quale forma delle relazione tra gli

arbitrii degli individui». Non meno importante, e su tale scia, è il pensiero

Kelseniano. Kelsen definisce la norma giuridica come un giudizio ipotetico,

una struttura logico-formale, che esprime il rapporto specifico, detto

«imputazione» di un fatto condizionante avente una conseguenza

condizionata. La validità delle norme, differente dalla loro efficacia, dipende

60 Cfr. P. RICOEUR, Studi di fenomenologia, Prefazione di L. Avitabile, Torino,2009. 61 B. ROMANO, Filosofia della forma relazioni e regole, Torino, 2010, p.103.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

26

dalla loro riducibilità, e non dal loro contenuto, ad una «norma

fondamentale», la quale funge da presupposto e costituisce l'unità nella

pluralità di tutte le norme che per essa, appunto, formano un ordinamento.

La visione del positivismo giuridico tradizionale, e cioè che le norme siano

un prodotto della realtà empirica, viene rovesciata dal positivismo

kelseniano, in quanto sarebbero processi di produzione del diritto gli eventi

della realtà empirica elevati a tale funzione da una norma giuridica. L'essere

del diritto viene quindi ridotto a pura forma normativa.

2. Il formalismo giuridico e le sue dimensioni

Il formalismo giuridico trova concreta espressione nelle teorizzazioni di

Kelsen ma anche di Luhmann che oscura la vitalità del diritto rendendolo un

quid lontano dall’io dell’uomo e dalla giustizia. Luhmann infatti si distanzia

dalla posizione in base alla quale le norme acquisiscono un particolare

valore esistenziale, che si esprime nel concetto di validità e che si

differenzia dal mondo fattuale62

. In antitesi a tale formalismo B. Romano

definisce il formalismo giuridico come « l’atteggiamento dell’uomo

indifferente ai contenuti normativi quando osserva passivamente il diritto

unicamente in funzione della sua struttura formale prescindendo dal

contenuto». Con l’espressione «atteggiamento dell’uomo» si fa riferimento

a tre dimensioni: quella della forma formata63

, quella della forma in

formazione64

e quella della differenza nomologica65

. Si registra, dunque, una

differenza formologica66

, nomologica e dialogica. Il formalismo giuridico ha

a che fare solo con la differenza formologica perché nella dimensione

dell’io, che è centrale nell’ordinamento giuridico, rappresenta una forma

formata e una forma in formazione, ossia rispettivamente ciò che possiamo

toccare, osservare, quindi ciò che è oggetto della sperimentazione

scientifica, e ciò che è assente alla vista ma presente allo sguardo, perché

mentre la vista si ferma a ciò che possiamo osservare, esso si lascia cogliere

dell’intelletto, attraverso la dimensione dello spirito67

. In tale dimensione

62 N. LUHMANN, Il diritto della società, Torino, 2012, p. 193. 63 L. AVITABILE, Il diritto tra forma e formalismo, Napoli, 2011. 64 B. ROMANO, Filosofia della forma relazioni e regole, cit., p. 104. 65 ID., Senso e differenza nomologica, Roma, 1993, p. 116. 66 ID., Filosofia della forma relazioni e regole, cit., p. 213. 67 ID., Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, Torino, 2009, p. 52.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

27

l’io68

guarda l’altro e richiama la sua capacità dialogica nell’altro e

attraverso l’altro cogliendo, tutto ciò che non si manifesta all’impatto, ciò

che l’uomo può essere attraverso la costruzione della propria identità

esistenziale, ciò che ha a che fare con le sue idee, le sue ipotesi di senso.

In Luhmann, invece, l’ipotesi di senso ha importanza nella misura in cui ha

importanza l’io nella sua materialità. L’io viene funzionalizzato al servizio

del funzionamento dei diversi sistemi sociali all’interno della teoria

sistemico-sociale di Luhmann. L’attività ipotizzante, l’ordine della

spiritualità dell’io, tutto ciò che è affine alla giustizia, e che quindi non può

essere trascritto nei codici, sta al di sopra della realtà. Ecco perché la legalità

è enunciato normativo, mentre, la giustizia non si esaurisce nell’enunciato

normativo, ma è ciò che sta in alto, che attende di essere ripresa ogni volta

che il terzo, legislatore o giudice, è chiamato ad istituire o ad applicare la

legge69

. La legge, dunque, è applicata nella direzione della giustizia se c’è

un‘attività interpretativa su di essa, ossia se non è applicata in maniera

meccanica come, invece, vorrebbe la dottrina pura di Kelsen o il pensiero

luhmanniano, secondo i quali bastano le aspettativa normative cosi istituite

all’interno dei codici. Per Kelsen la giustizia non è solo una formula di

contingenza: esiste solo la legalità istituita. Per Romano, al contrario, la

relazione qualitativamente giusta è la ripresa dialogica del dettato

normativo. Nel formalismo giuridico ciò non interessa poiché interessa solo

che ci sia una legalità70

. Luhmann afferma che ogni forma argomentativa

deve essere finalizzata a rafforzare la validità del diritto senza modificarlo,

in quanto l’io, anche nell’attività dialogica, interessa solo nella misura del

‘significato’. Ciò che dice il più forte deve essere eseguito, non interpretato,

perché in questi tipi di sistemi domina il più forte, e quindi la differenza

nomologica, costituita da due versanti (significato-significante) si interessa

solo dell’ordine del significato, ossia la legalità. Queste tre dimensioni (l’io

come forma formata, legalità come legge scritta e significato) che sono solo

uno dei versanti delle tre differenze interessano tutte il formalismo giuridico

nella misura in cui questo elimina la specificità del diritto, che trova la sua

esplicazione proprio nella forma in formazione, nel significante che è

attività di ritorno sul diritto, e la giustizia che riguarda le relazioni nel

dettato normativo. Nella prospettiva di Luhmann non importa ciò che la

legge stabilisce, ma che stabilisca e, quindi, garantisca il funzionamento dei

diversi sistemi sociali. In questo senso il diritto è solo la forma stabilita dalle

68 ID., Filosofia della forma relazioni e regole, cit., p.19. 69 Ivi, p.112. 70Lezioni.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

28

procedure. Nell’anti-formalismo si va oltre il dogmatismo e si promuove il

più articolato sistema delle fonti, considerando il diritto come fatto sociale:

il diritto per essere tale è necessario che sia aperto alle istanze sociali. Il

problema del formalismo giuridico è la mancanza di attenzione ai contenuti

della legge, per cui la legge poteva contenere qualsiasi cosa, era «come una

scatola vuota che poteva essere riempita di qualsiasi contenuto»71

, e quindi

anche di contenuti ingiusti. L’ingiusto comporta, inevitabilmente,

l’esclusione dell’altro. Il senso del giusto, mentre, è sovranazionale perché

appartiene all’io dell’uomo di ogni paese, di ogni nazione; è incondizionato

ed universale, è la relazione di riconoscimento dell’io che consente all’uomo

di parlare del giusto e di una selezione qualitativamente giusta dei contenuti

normativi assenti nel formalismo giuridico. Il «giuridico» è qualcosa che

riguarda quotidianamente tutti, e per questo l’opinione dell’uomo comune è

importante tanto quanto quella del giurista, in quanto rinvia ad un

comportamento. L’attenzione così si sposta dalla norma al comportamento,

tendendo ad una teoria dei comportamenti giuridici volta ad individuare la

condotta per eccellenza. Si analizza il rapporto tra diritto e società, o meglio,

il dialogo che costituisce l’oggetto principale di quei sistemi sociali che non

sono «naturali», essendo sistemi biologici, in cui gli esseri viventi si

limitano a reagire istintivamente agli stimoli esterni. È da qui che si muove

la critica di L. Avitabile e di B. Romano, poiché i sistemi giuridici tendono

ad adeguarsi ai sistemi biologici creando degli istinti che attendono delle

risposte. L’istinto cerca di tutelare un certo logos72

, come ad es. un’area

geografica, e non aprendosi agli altri porta all’ingiusto poiché preclude il

dialogo con l’altro io, non c’è un confronto con l’altro. È la parola che

distingue l’uomo dagli animali, che non hanno il diritto, proprio perché il

diritto è un fenomeno dialogico. Con l’io l’uomo ha la capacità di auto

comprendersi73

, ha la capacità di elevarsi dalla fattualità, che nei sistemi

sociali è la pura legalità, ed approdare alla lotta per il giusto. Il diritto è

espressione dialogica che da importanza al contenuto e che va oltre quel

formalismo giuridico secondo cui è tutto già dato. L’io permette una

relazione tra le parti e il diritto è ciò che conferisce una forma specifica a

tale relazione74

. Questa relazione giuridica, che si forma nella differenza

formologica, permette all’io di scegliere e di uscire dall’informe; lascia

all’io la possibilità di decidere se rispettare o violare le norme istituite. Se il

71Ibidem. 72

B. ROMANO, Forma del senso. Legalità e giustizia, cit., p. 197. 73 S. COTTA, Spiegazione e obbligazioni delle norme, Milano, 1981, p. 156. 74 B. ROMANO, Filosofia della forma relazioni e regole, cit., p. 111.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

29

diritto non avesse una forma non si potrebbe parlare di interpretazione del

diritto, una forma non necessariamente scritta, perché essa passa per la

sedimentazione della parola. Ci sono ordinamenti basati su una tradizione

orale (Common Law) e altri dove il diritto ha fonte codicistica (codice di

Hammurabi), ma entrambi sono attraversati dalla parola, una parola che

porta il diritto ovunque e lo rende forma condivisa attraverso

l’interpretazione.

DANIELA DI SOTTO

1. L’individuo, il soggetto, la persona

La figura umana è stata spesso oggetto di interpretazioni75

da parte di

numerosi autori che hanno discusso sulla centralità o meno dell’uomo

all’interno della globalizzazione dei mercati. Il diritto nella sua complessità

viene inteso da Bruno Romano come un fenomeno76

con una molteplicità di

forme, come ad esempio il diritto costituzionale, penale, privato, tributario

etc.

In particolare, il diritto privato è una specifica forma del diritto, che pone

la propria attenzione sul singolo individuo e sulle controversie che nascono

fra i privati. L’individuo ha una propria autonomia contrattuale77

, cioè la

libertà di stipulare o meno un contratto, di stabilirne il contenuto e di

scegliere l’altro contraente; ma questa libertà non è assoluta perché deve

sempre tener conto dei limiti posti dal legislatore.

Questo relazionarsi tra gli uomini, per la soddisfazione dei propri

interessi, si avvicina alla visione dell’io di Bruno Romano secondo il quale

l’io è una soggettività ipotizzante78

quando ha la possibilità di relazionarsi

con gli altri in base al principio di uguaglianza (nomos) e al principio

dialogico (logos)79

. Romano, inoltre, usa il termine io per evitare la

distinzione tra uomo e donna, e lo definisce attraverso tre aggettivi: unitario,

infungibile e non precalcolabile.

75

Lezioni. « É l’attività compiuta dal legislatore e dal giudice che caratterizza fortemente il

sistema sociale e inoltre richiede una certa temporalità e delle risorse sociali. questo

meccanismo si ha solo nel sistema giuridico, perché è l’unico sistema che comunica

attraverso i testi ». 76

Lezioni. 77 Vd. Art. 1322, 2°comma, c.c. 78 B. ROMANO, Filosofia del diritto, Roma-Bari, 2001, p. 40. 79 ID., Filosofia della forma. Relazioni e regole, Torino, 2010, p. 17.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

30

Unitario, vuol dire che l’io non è frammentato sebbene abbia molte

sfaccettature che può esercitare nella sua dimensione sociale ad esempio

può essere allo stesso tempo un uomo economico, un padre di famiglia e

parte di un contratto. È infungibile perchè ciascuno ha una propria

soggettività e non può essere sostituita con quella degli altri. Non

precalcolabile significa che l’uomo è un deinon, cioè è disfunzionale, segue

un iter autonomo che non è preordinato perché le vie da seguire sono

infinite. L’io esercita quindi la propria soggettività in maniera

imprecalcolabile.

Per Romano, dunque, esiste la comunicazione con l’altro in un rapporto

di reciprocità comunicativa80

dove ognuno rappresenta se stesso e riconosce

anche l’altrui soggettività nella doppia contemporaneità, intesa come

capacità di emanciparsi e di distinguersi dalla natura, oltre le operazioni

biologiche81

.

Da questa concezione disfunzionale dell’io di Romano si distingue

nettamente la visione di Luhmann che, nella teoria sistemico-funzionale,

non considera l'individuo, ma i sistemi82

. La complessità della società,

dovuta alla globalizzazione, viene ridotta attraverso i sistemi, che non sono

istituiti ma emergono con l’osservazione di ogni uomo che, in quanto

sistema sociale, partecipa a questa emersione. In ogni sistema ciascuno ha

una propria funzione specifica, «la funzione della funzione è la funzione»83

.

Possiamo distinguerne vari tipi: il sistema di diritto, quello economico,

quello religioso e anche l’uomo è considerato un sistema sociale sotto forma

di ente biologico.

Luhmann non discute di un io, ma di individuo, inteso come ente al pari

degli altri; una materia senza spirito, necessario al mantenimento del

sistema. Si tratta di un sistema autoreferenziale chiuso84

che non necessità

della parola nè del riconoscimento dell'alterità a differenza di Romano per il

quale l’io è un’unità ipotizzante e interpretante aperta ad accogliere la parola

dell’altro in un rapporto di parità.

L’individuo nella teoria sistemico-funzionale è messo da parte, Luhmann

non discute mai di titolarità dei diritti, perché ciò che conta è la riduzione

80 ID., Fiosofia del diritto, cit., p. 110. 81 Ivi, pag. 120. 82

N. LUHMANN, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Bologna, 1984, p. 110. 83

N. LUMANN, Organizzazione e decisione, Milano, 2005. 84 N. LUHMANN, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Bologna, 1984, p. 105.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

31

della complessità e arginare le continue minacce che provengono

dall’ambiente85

. È ambiente tutto ciò che non fa parte del sistema86

.

La teoria sistemico-funzionale si allontani dal nostro sistema civilistico

che si concentra sulla volontà del privato nell’esercizio dei propri diritti,

sulla comunicazione e sulla relazione dalla quale possono scaturire conflitti

di senso: il dialogo, infatti, porta inevitabilmente a confrontare le proprie

idee con quelle altrui.

2. La relazione tra uomo e diritto

L’uomo istituisce il diritto e le procedure necessarie alla sua

applicazione, emancipandosi dal diritto naturale87

al fine di regolare, nel

caso del diritto privato, le controversie che nascono all'interno della

comunità. È proprio questa capacità che lo distingue dagli altri esseri

viventi, come ad esempio gli animali, perché l’uso della parola rappresenta

la massima espressione dell’esercizio della libertà88

nel rispetto del principio

d’uguaglianza, intesa non come uguaglianza seriale, ma come differenza

ipotizzante nel rispetto dell'altro89

.

Il diritto è in continua evoluzione, non è statico ed è supportato dai nuovi

mezzi di comunicazione90

, infatti, anche nel diritto privato, vengono usate

nuove tecnologie, come internet, per la conclusione dei contratti.

La teoria dell'interpretazione, in particolare, si occupa dell'attività

interpretativa del legislatore e del giudice, intesa anche come sintesi di

aspetti tecnici e dello spirito della legge sebbene con la globalizzazione si

lasci sempre meno spazio alla ricerca del senso, privilegiando la funzione

del diritto, così come nella teoria sistemico-funzionale di Luhmann.

In questa architettura, la società è strutturata come un insieme di sistemi

tra cui quello economico e giuridico che con le relative norme, leggi e

contratti, assolve una funzione immunitaria91

, cioè di difesa della

85 L. AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto, Torino, 2012, p. 150. 86 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., pp. 73-74. 87 Lezioni. «La comunità è l’insieme di soggetti che si comprendono e sanno di aver

bisogno l’uno dell’altro per dialogare, perché ognuno è portavoce di un sapere parziale. I

saperi sono trasmessi e circolano». 88

L. AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto, cit., p. 140. 89 ID., I doveri del giurista, le critiche della filosofia del diritto, p. 10. 90

Lezioni: «Informatizzare significa che i dati giuridici diventano degli algoritmi, e la

connessione tra questi dati è più veloce, reale ed efficiente». 91 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 69.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

32

costellazione dei sistemi sociali. Infatti, sotto il profilo dell’efficienza, della

funzionalità e della celerità, il sistema giuridico è considerato il significante

principale, cioè il sistema che incide maggiormente su ogni altro ed opera

attraverso il codice binario diritto/ non diritto.

Dal sistema giuridico poi, si distingue il sistema economico92

con il

codice binario capacità di pagare/di non pagare che assolve alla funzione dei

pagamenti per ricevere qualcosa in cambio attraverso il linguaggio numerico

del denaro, che al contrario della parola, non esige interpretazione.

L’interpretazione del diritto, invece, viene compiuta dal legislatore e dal

giudice attraverso tre operazioni: osservazione, designazione e distinzione

dell’oggetto da analizzare.

Il legislatore è un osservatore di primo grado93

e osserva tutto il materiale

che proviene dagli altri sistemi sociali, ordinando il materiale osservato in

base al codice binario.

Il giudice, invece, è un osservatore di secondo grado94

e interpreta

nuovamente il materiale già osservato e trattato dal legislatore, producendo

le sentenze.

Romano critica Luhmann quando sostiene che il sistema economico è

superiore agli altri grazie alla forza del denaro e al linguaggio dei numeri

che non esige di essere interpretato95

. Tuttavia, tutta la realtà non può essere

ridotta ad un conteggio numerico, come vorrebbe Luhmann, perché l’io non

è solo materia ma anche spirito.

Ed è proprio nella dimensione dello spirito che si avvia l'opera

interpretativa che consiste nell’utilizzo di argomenti e motivazioni a

sostegno di una determinata tesi, un esempio è la motivazione della sentenza

in un processo civile. L’argomentazione giuridica è composta dalla

premessa maggiore, dalla premessa minore e dalla conclusione: la premessa

maggiore è istituita dal legislatore e dal giudice che sono le istituzioni,

disciplinate a loro volta dalle norme, essi creano il testo della legge che poi

viene interpretato. Il legislatore dovrà tenere conto della premessa maggiore

perché è una scelta della comunità per la collettività stessa.

Gli uomini, infatti, secondo Luhmann, hanno proprie aspettative96

cognitive che nascono dal vissuto di ognuno e arrivano al legislatore che,

92 L. AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto, Torino, cit., p. 145. 93 Ivi, p. 158. 94 Ibidem. 95 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 18. 96 Lezioni: «L’aspettativa è l’attesa di una decisione da parte dell’individuo, che da

comune (cognitiva) può diventare specifica (normativa)».

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

33

dopo aver valutato secondo cognizione, cioè guardando sia i vantaggi che

gli svantaggi che ne derivano, la trasforma in aspettativa normativa, cioè in

una norma, strutturata giuridicamente sulla base di una pretesa giuridica. In

questa struttura le aspettative che riescono ad affermarsi sono quelle più

forti mentre secondo Romano le aspettative cognitive per essere trasformate

dal legislatore in normative devono essere valutate con coscienza, cioè con

riferimento al giusto e al principio d’uguaglianza.

Luhmann non discute mai di giustizia, perché è giusto ciò che accade, è

una formula di contingenza97

che non ha nulla a che vedere con la relazione

di riconoscimento nè con l'ortonomia98

che evoca il movimento circolare

della parola e dell'ascolto nella relazione tra due o più dialoganti. Nella

teoria sistemico funzionale si oscura la genesi fenomenologica del diritto e

si apre una prospettiva meramente fattuale99

dove l’io è solo un anello della

procedimentalizzazione del sistema che soprattutto nel diritto privato ha

ache fare con decadenze e prescrizioni.

Si può concludere affermando che quella di Luhmann non è

un'impostazione lontana dalla teoria di Hans Kelsen, che si è occupato del

diritto come una specifica tecnica sociale100

, elaborando la Teoria pura del

diritto: «la dottrina pura del diritto è una teoria del diritto positivo. Del

diritto positivo semplicemente, non di un particolare ordinamento giuridico.

È teoria generale del diritto, non interpretazione di norme giuridiche

particolari, statali o internazionali. Essa, come teoria, vuole conoscere

esclusivamente e unicamente il suo oggetto. Essa cerca di rispondere alla

domanda: che cosa e come è il diritto, non però alla domanda: come esso

deve essere o deve essere costituito. Essa è scienza del diritto, non già

politica del diritto»101

. Kelsen costruisce un ordinamento giuridico a gradi,

ponendo al vertice la Grundnorm, o norma fondamentale alla quale deve

essere conforme ogni altra norma.

AGNESE FLORA

1. Aspettative cognitive e normative nei sistemi sociali e l’importanza

della logica

97 N. LUHMANN, Stato di diritto e sistema sociale, cit., 1971. 98 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 43. 99 Ivi, p. 30. 100 Cfr. H. KELSEN, Teoria generale del diritto e dello stato, Milano, 2000. 101 ID.. Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 48.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

34

Le aspettative sono attese che nascono nel momento in cui ci si pone di

fronte al decisore, cioè il soggetto si pone in uno «status attendista»102

.

Nell’ambito delle aspettative è possibile distinguere tra le aspettative

normative e le aspettative cognitive. Le aspettative normative sono delle

attese particolari che non significa eccentriche ma piuttosto si può discutere

di una ‘specificità’ dell’aspettativa che si definisce normativa103

. Le

aspettative del vissuto quotidiano, e anche di quello non immediatamente

abitudinario, vengono definite invece aspettative cognitive perché fanno

parte della cognizione, a volte superficiale, a volte approfondita, che ha il

soggetto. L’aspettativa cognitiva nonostante sia così facilmente,

abitudinariamente calcolabile, può andare in contro ad una delusione.

Nell’ambito cognitivo (quindi della conoscenza, non della coscienza)

l’essere delusi significa che durante l'attesa, quindi l’evento, non concretizza

il desiderio dell’individuo ma si scontra con esso deludendo l’aspettativa.

L’aspettativa ancora cognitiva diventa normativa quando il legislatore

trasforma l’attesa in un’aspettativa normativa cioè la normativizza come

attesa104

. L’individuo si aspetta cognitivamente che il legislatore legiferi e,

una volta legiferato, si aspetta normativamente che venga applicata la legge

quindi, esce da un’attesa cognitiva per entrare in un attesa normativa. Ma

qual è la differenza tra l’aspettativa cognitiva e l’aspettativa normativa? La

differenza è essenziale perché si tratta della vita stessa del diritto in quanto

l’aspettativa cognitiva è strutturata secondo la pretesa giuridica (si può

pretendere giuridicamente quindi non soltanto cognitivamente). Al di là

dell’ermeneutica meramente funzionale la pretesa giuridica è ciò che

permette al soggetto di diritto di rivolgersi al terzo giudice e di pretendere

giuridicamente, sotto il profilo di una ermeneutica non funzionale, il

riconoscimento dei propri diritti; sotto il profilo dell’ermeneutica funzionale

è una di quelle tante attività che emergono dall’ordinamento. La pretesa

giuridica è una delle operazioni del sistema giuridico ed è il soggetto che

l’attiva. Se per alcune ragioni le aspettative normative vengono disturbate o

poste in dubbio, sempre tutto secondo il lessico e il comportamento

normativo, perché all’interno del sistema giuridico ogni attore ha un

comportamento solo normativo, allora la logica indica ciò che nel caso di

una sua modifica dovrebbe essere ancora modificato. La trasformazione

102Lezioni. 103 J. HABERMAS, Fatti e norme, Milano, 1996, p. 26. 104 Ivi, «Normativizzare significa che c’è una copertura ossia c’è una norma per quanto

riguarda quell’attesa».

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

35

dell’aspettative da aspettative cognitive ad aspettative normative non si può

costringere in modo logico, non c’è nulla di logico nel trasformare

un’aspettativa cognitiva in normativa, cioè emergono queste aspettative,

fanno pressione sul legislatore ed è il legislatore che le pone in essere, ad

esempio la legge sull’aborto, sul divorzio, la legge contro l’omofobia. Se

fosse tutto logico secondo una logica di stampo o esistenziale o di stampo

purista (quindi strettamente logico)alcune cose non dovrebbero accadere e

quindi alcune aspettative non dovrebbero diventare mai aspettative

normative eppure lo diventano105

. Dai fatti puri non si possono dedurre le

norme, i fatti devono essere sollecitati e devono avere sempre la mediazione

del legislatore altrimenti, si ha la negazione della mediazione del legislatore.

Se i fatti sono sollecitati, allora, si può riconoscere attraverso l’applicazione

della logica quali sono le conseguenze delle modificazioni normative. «La

logica mette a disposizione una rete di connessioni date alcune premesse».

La logica è a favore di una modifica normativa ma ci fa vedere anche quali

sono le conseguenze quando si modifica una legge106

. Con l’aiuto della

logica si può vedere sia ciò che è influenzato da essa ma anche ciò che non è

influenzato da essa; può anche essere che attraverso la logica si accettino,

date le premesse sistemico funzionali,delle condizioni di ingiustizia. In

Luhamann questo muoversi logicamente fa si che ci sia una affermazione,

attraverso la logica, dell’ingiustizia; date alcune premesse ci si muove

logicamente attraverso delle motivazioni c.d. logiche che si danno. Non si

guarda, dunque alla svolta antropologica, cioè al risvolto antropologico.

L’argomentazione che utilizza il legislatore per fare questo, quindi, la

trasformazione delle aspettative cognitive in aspettative normative, è

strettamente logica perché per discriminare è necessario applicare la

logica107

. La logica pura permette all’uomo di applicare il principio

discriminatore per eccellenza. Con ciò non significa che la logica è il

nemico ma che il diritto non si fonda soltanto su di essa, è chiaro però che il

diritto ha bisogno della logica; il primo movimento logico del diritto si ha

nel momento in cui il diritto viene scritto, viene pensato e in questo

passaggio è tutta logica ma questa logica non può essere una logica ingiusta

perché la forma del diritto deve tener conto dei contenuti del diritto. Mentre

per l’aspettativa normativa è centrale il comportamento conforme quindi, le

operazioni funzionali degli individui o sono conformi al diritto o non lo

105 N. LUHMANN, Il diritto della società, Torino, 2012, p. 162. 106 Lezioni. « Il cambiamento normativo è una forma a due versanti cioè da una parte il

cambiamento normativo, la possibilità di modificare, e dall’altro la non modificabilità». 107 N. LUHMANN, Il diritto della società, cit., p. 167.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

36

sono, dunque non c’è una terza via, cioè o si commette un reato e si ha una

condotta difforme dal diritto oppure no, nell’aspettativa cognitiva è centrale

l’apprendimento, che non è una decisione ma un automatismo per attivare

l’appagamento dei contenuti. L’aspettativa cognitiva non è generalizzata, è

una norma astratta invece, quella normativa è generale e astratta, allora la

funzione del diritto è quella di stabilizzare le aspettative normative,

esattamente come tutto il diritto si erge a stabilizzare la complessità e tutto

questo va oltre il diritto e regola il conflitto. Per Luhmann troppe aspettative

generano un’intromissione della complessità, quindi il legislatore stabilizza

le aspettative normative, le trasforma da cognitive a normative però già

nelle normative non entrano tutte, e allora solo il diritto differenzia tra

aspettative cognitive e normative, non c’è un altro meccanismo108

.

2. La formulazione dei concetti e le aspettative normative.

Nella teoria generale dei sistemi emerge la questione dei principi

generali, il rinvio ai quali non è altro che il consolidamento della propria

auto-commutazione in quanto gli argomenti si rafforzano, si consolidano

attraverso appunto il rinvio ad essi. Fondamento di ogni argomento è il

concetto che deve avere in sè una precisa direzione di senso che, nel caso

dell’ermeneutica funzionale, deve essere logica109

.

I concetti che il legislatore propone nell’argomentare non sono ancora

istruzioni e Luhmann le definisce «pietre di paragone»110

per le costruzioni

giuridiche inserite nei programmi condizionali di ciascun sistema e quindi

anche del sistema giuridico. I programmi condizionali sono flussi di

operazioni che entrano in un sistema perché provengono da un altro sistema,

entrano ed escono, sono flussi di operazioni, attraversando i sistemi111

. I

concetti insieme agli argomenti sono inseriti nel flusso dei programmi

condizionali e sono l’oggetto della comunicazione. Nel diritto

l’arricchimento illecito è un concetto perché rinvia immediatamente a

qualcosa di non tangibile o concretizzabile come il concetto di

responsabilità patrimoniale112

. L’indebito arricchimento, la responsabilità

patrimoniale, l’azione indebita, sono pietre di paragone perché il legislatore

differenzia l’ingiustificato arricchimento e ciò che non è illecito pur

108Lezioni. 109

B. ROMANO, Senso e differenza nomologica, Roma, 1993, p. 220. 110 N. LUHMANN, Il diritto della società, cit., p. 360. 111 ID., Sistemi sociali, Bologna,1991, p.198. 112 Art. 2041 c.c.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

37

costituendo un arricchimento. L’andare oltre questo dipende dalle condizioni

che regolano la posizione del concetto cioè se l’illecito arricchimento

costituisce l’a priori di una società e allora, come concetto ha una posizione

all’interno dei sistemi sociali113

. La decisione non è solo in capo al giudice

ma anche in capo al legislatore che deve decidere se un’aspettativa cognitiva

deve essere trasformata in aspettativa normativa. Al legislatore spetta però

anche il potere di decidere quali sono le sorti della costellazione dei sistemi

sociali e il potere di decidere se un inadempimento, quindi qualcosa che non

ha nulla a che vedere con il giusto e la questione della ricerca del giusto,

può trasformarsi in norma114

. Il legislatore, dunque, non si trova ad essere

semplicemente una camera di commutazione delle aspettative da cognitive

in normative: le aspettative che hanno possibilità di ingresso nei parlamenti

e che poi usciranno dai parlamenti sotto forma di aspettativa normativa sono

quelle che, secondo una selezione, emergono in maniera più forte. Basti

pensare alle lobby ossia gruppi di pressione che spingono il legislatore a

legiferare in una direzione piuttosto che in un'altra. Il legislatore, in questa

prospettiva, non seleziona con coscienza ma semplicemente cognitivamente

quindi con cognizione che significa selezionare apprendendo, attraverso la

tecnicità normativa, quali sono i vantaggi e gli svantaggi nel trasformare

un'aspettativa cognitiva in aspettativa cognitiva; selezionare con coscienza,

invece, significa mettere in primo piano la ricerca del giusto in quella

aspettativa cognitiva attraverso il principio dell’uguaglianza nella

differenza115

. Dunque si può affermare che la contingenza spinge il

legislatore ad adattarsi alle esigenze della c.d. elite finanziaria, sebbene nel

nord Europa ci siano dei Parlamenti che hanno particolare consapevolezza

della possibilità che il diritto diventi un’arma distruttiva ad esempio di posti

di lavoro, dei tessuti sociali, se non è in grado di istituire un’alternativa al

potere della finanza che tutto pervade. Nel momento in cui queste

aspettative diventano normative acquistano un potere che modifica le

condotte degli individui perchè performativizza le condotte degli individui.

113 Lezioni. 114 N. LUHMANN, Il diritto della società, cit., p.242. 115Lezioni.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

38

MARIKA DOMENICA MASTRANGELO

1. Cosa si intende per rischio

Sono questioni ermeneutiche quelle che implicano la comprensione del

testo, in quanto la parola ermeneutica deriva dal greco ρμηνευτική, che

significa comprendere e rinvia a due dimensioni: i saperi tecnici, che si

avvalgono di una conoscenza linguistica e una comprensione dello spirito

del testo che, nella dimensione giuridica, si traduce nella questione del senso

del diritto.

Il diritto nasce al fine di garantire certezza alle relazioni intersoggettive,

ma se due individui affermano entrambi di avere ragione, ecco che la

certezza è violata; in altri termini lo scopo del processo è quello di

ripristinare la certezza giuridica. Se il giudice fosse uno dei soggetti

protagonisti dell’incertezza, il processo di composizione della certezza non

potrebbe mai realizzarsi. Il giudice è pertanto un soggetto terzo, nel senso

che è estraneo all’incertezza e alla causa, e non deve trovarsi in situazione di

amicizia o di grave inimicizia con una delle parti. Un giudice, nel momento

in cui interpreta, si relaziona con l’oggetto dell’interpretazione, con il fatto

umano che si è verificato, con la norma che va a regolare quel fatto, e

partecipando con la soggettività all’interpretazione di quell’oggetto, incide

profondamente sulla vita del soggetto su cui la decisione ricade.

L’interpretazione delle norme è sicuramente alla base del diritto, in

quanto, cerca di andare oltre il significato letterale delle parole della noma

per poterla applicare alle diverse situazioni concrete per cui è stata creata.

Perchhè ciò accada applicare, secondo l’art. 12 delle preleggi, è necessario

individuare il senso palese del testo e, attraverso l’interpretazione letterale,

ricercare l’intenzione del legislatore ovvero effettuare una interpretazione

logica. Il diritto, rispetto agli altri oggetti che possono essere interpretati, ha

una particolarità assoluta: la sua interpretazione comporta una decisione che

trasforma la vita dell’uomo.

Il giudice decide chi ha torto o ragione e diventa colui che formalmente si

assume il rischio di decidere in una direzione piuttosto che in un’altra. Ma

cosa si deve intendere con il concetto di rischio?

L’etimo della parola rischio è incerto, è un termine nautico che emerge

nel tardo Medioevo che deriva dall’antico italiano risicare che significa

‘osare’. «Le culture antiche avevano sviluppato tecniche di elaborazione del

tutto differenti e non avevano necessità di un termine per ciò che noi oggi

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

39

chiamiamo rischio. Certamente il problema dell’incertezza del futuro esiste

da sempre, ma allora ci si affidava prevalentemente alla prassi della

divinizzazione che, se non poteva garantire una certezza affidabile, poteva

comunque garantire che la propria decisione non suscitasse l’ira degli dei o

di altre potenze divine e fosse invece protetta dal contatto con le misteriose

forze del destino»116

.

La consapevolezza del rischio permette all’uomo di liberarsi dalla figura

degli dei e di gestire l’incidente, ovvero il rischio diventa realtà. L’uomo

sembra chiedersi quale sia la soluzione al pericolo ed è importante

considerare il rischio come elemento usuale dell’esistenza umana, che deve

essere sottoposto ad un monitoraggio costante, che lo rende gestibile. Il

rischio è imprevedibile ma se non possiamo prevedere i rischi possiamo

almeno cercare di proteggerci dai loro effetti.

In genere ogni società ha un proprio corredo di misure che consente ai

suoi membri di far fronte all’imprevisto. Ci sono comunque due modi di

difendersi dal rischio: cercare di prevenirlo oppure ripararne i danni117

. La

prima forma di difesa è non intendere il rischio solo come incertezza

drammatica derivante dal futuro, in quanto non necessariamente rischio

significa distruzione, ma bensì possibilità di distruzione e quindi bisogna

arginare il rischio con valutazione, calcolo, considerazione, monitorazione

di esso in modo attento e non necessariamente bisogna guardare ad un

tempo futuro con sfiducia. Quello del rischio è un concetto connesso con le

aspettative umane e la loro capacità di predizione e intervento in situazioni

non note ed incerte. Indica un potenziale effetto su un bene che può derivare

da determinati processi in corso o da determinati eventi futuri. Per Luhmann

«il rischio è riferito a decisioni che accettano la possibilità che si abbiano

conseguenze negative»118

, le conseguenze si presentano sotto forma di danni

che non coinvolgono solo chi ha preso la decisione ma anche chi sopporta

gli effetti della decisione presa. «La tesi di Luhmann ruota intorno ad una

domanda essenziale: quali sono le istituzioni in grado di poter risolvere il

problema del rischio?»119

Di chi sono le responsabilità della risoluzione di

esso? Qualsiasi intervento di stampo giuridico, sociale, politico può influire

solo sulla decisione non su tutti i soggetti coinvolti in essa; colui che decide

116 N. LUHMANN, Sociologia del rischio, Milano, 1996, pp. 16-20. 117 C. PASQUINELLI, Riti purezza e sistemi di caste, Roma, 2000, p. 99. 118 N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, Frankfurt am Main, 1993, Capitolo 3. Vd.

anche A. ARGIROFFI - L. AVITABILE, Responsabilità, rischio, diritto e postmoderno, cit., p.

229. 119 Ivi, p. 233.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

40

è padrone della situazione mentre colui che è coinvolto si trova in una

situazione di dipendenza. È necessario tener presente che, nel momento in

cui il rischio diventa reale, incide sulle future decisioni giuridiche e

politiche, per cui il diritto deve continuamente confrontarsi con il rischio

stesso per migliorare le future condizioni di vita degli uomini.

Per discutere del rischio in chiave post-moderna bisogna considerare la

prospettiva costruita da Luhmann secondo il quale tutti i sistemi sociali,

emergenti con il solo scopo di sopravvivere e destinati ad una continua

concatenazione meccanica120

, sono tanto più in grado di stabilizzarsi, quanto

più sono capaci di replicare in modo pertinente alle sfide provenienti

dall’ambiente. Inoltre un sistema è in grado di resistere alla pressione

dell’ambiente, in stretto rapporto all’indice della sua complessità interna:

quanto più la propria

organizzazione interna è complessa, tanto più essa è in grado di tenere testa

alla crescente complessità e mobilità ambientale. Tutti i sistemi sociali si

situano in un ambiente (Umwelt) complesso e multidimensionale, con il

quale devono fare i conti per sopravvivere, infatti l’ambiente è decisamente

più complesso del sistema, ha variabili imprevedibili; in definitiva è

ambiente tutto ciò che non fa parte del sistema. Quest’ultimo per poter

sopravvivere, deve sviluppare una complessità sua al fine di ridurre quella

dell’ambiente; l’ambiente impone esigenze e il sistema deve sviluppare

strategie per far fronte ad esse.

I sistemi non vengono costruiti ma emergono per osservazione da parte di

coloro che partecipano al sistema, l’osservazione è un’operazione che

implica altri momenti, si osserva ma allo stesso tempo si distingue e si

designa l’oggetto da osservare. L’osservazione deve essere bidirezionale,

mai univoca, poiché nell’assunzione di un unico punto di vista si attribuisce

al sistema una capacità, uno scopo, che il sistema non ha, in quanto non è

dotato di un volere, ma produce ogni singolo elemento in connessione con

gli altri sistemi e con l’ambiente121

.

Ogni sistema inoltre funziona con un codice binario ed è appunto questa

binarietà a rompere il paradosso: una questione diventa paradossale quando

si immobilizza, quando non c’è più la bipolarità, quando non c’è il polo

opposto; così il sistema giuridico funziona con dicotomia giusto/ingiusto, il

sistema scientifico con la dicotomia vero/falso, quello politico con la

dicotomia potere/non potere. È necessario che ci sia contrapposto al diritto il

non diritto, solo in questo modo possiamo avere il sistema giuridico.

120 Ivi, p. 234. 121

L. AVITABILE, Sistemi e diritto, p. 19. [http: //www.docente.unicas.it].

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

41

Luhmann sostiene che ognuno di noi è un sistema autopoietico, cioè che

ridefinisce continuamente se stesso ed al proprio interno si sostiene e si

riproduce, che non entra in riferimento con altri sistemi. «Le operazioni del

sistema comunicazione, sono come tutte le operazioni di tutti i sistemi,

operazioni cieche, perché permangono nel continuare la differenziazione

funzionale del loro sistema, non ricevendo alcuna luce di unità/verità nel

loro scorrere, né avendo un fine»122

. Ma se ognuno di noi è un sistema

chiuso in se stesso come è possibile la comunicazione? Secondo Luhmann

perché ciò sia possibile è necessario che ci sia un collegamento tra i sistemi;

l’individuo è discusso come ente differenziario, che ha il compito di operare

delle differenziazioni e operazioni e appunto, operazione principale affinché

i sistemi possano sussistere è la comunicazione.

2. Sistema diritto – sistema economia

Il sistema diritto emerge con una sua funzione immunologica ed è

garante dell’immunità dei sistemi sociali: il diritto tenderà a rendere immuni

i sistemi sociali da quella forza distruttiva dei sistemi stessi. Nella

costruzione di Luhmann, il diritto non ha alcuna connessione con la verità di

agire, non assolve alla custodia del giusto e del vero ma svolge la sua

funzione di sistema immunitario123

. Il diritto in qualità di sistema basa la sua

esistenza sulle aspettative che si trasformano da cognitive in normative, in

virtù dell’operato del legislatore che funge da selettore e decisore, quindi da

produttore di rischi124

. Il legislatore è quindi chiamato a convertire alcune

aspettative che arrivano dai vari sistemi sociali in norme e a rispondere alle

esigenze immediate, attuali e contingenti dei sistemi. Come ogni altro

sistema, anche quello giuridico concretizza il suo codice binario in

diritto/non diritto e tutti i materiali che provengono dagli altri sistemi sociali

vanno a posizionarsi nel diritto o nel non diritto.

Luhmann afferma che tutti i sistemi sociali vengono collocati sullo stesso

piano, posti l’uno verso l’altro in un rapporto di simmetria, mentre per

Romano il sistema economico è gerarchicamente sovraordinato a qualsiasi

altro ed è facilitato in questa sovraordinazione dal linguaggio dei numeri che

chiede solo di essere eseguito, è veloce, è celere, è immediato e non ha

bisogno di nessuna interpretazione a differenza del linguaggio degli uomini

122

B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, Roma, 1996, p. 256. 123 Ivi, p.168. 124

A. ARGIROFFI - L. AVITABILE, Responsabilità, rischio, diritto e postmoderno, cit., p. 242.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

42

che è cifrato che esige di essere interpretato, lasciando spazio ad un dire che

è sempre anche un dirsi.

Ambiente interno al sistema giuridico sono i parlamenti e i tribunali,

mentre quello interno al sistema economico sono i mercati: «ambiente

economico interno dei sistemi partecipanti al sistema economico, che per

ciascuno è un altro e nello stesso tempo è per tutti lo stesso»125

emerge per

differenziazione, come tutti gli altri sistemi; il sistema economia osserva se

stesso, differenzia il mercato come proprio ambiente e l’osservazione del

mercato è resa possibile soltanto dal medium prezzo. Il denaro è il medium

simbolicamente generalizzato, è il mezzo di comunicazione e l’economia fa

si che sia il mezzo

prioritario: infatti prima della parola viene il denaro. Nel diritto la parola

non è il corrispettivo di denaro quanto della scrittura. Il denaro viene

definito medium generalizzato poiché è immediato, invasivo, rapido, ogni

soggetto ne è in possesso; la parola è data, il denaro no, bisogna entrarne in

possesso. Non c’è un sistema che non subisca la passività del medium

simbolicamente generalizzato, è il mezzo di comunicazione che collega tutti

esattamente come la parola. Il denaro, non soltanto è un medium

simbolicamente generalizzato ma ha anche un ambiente sistemico interno

differenziato attraverso l’istituzione dei mercati (le borse, il mercato del

denaro).

Per Luhmann il denaro è un’autoreferenza istituita126

.

L’atto costitutivo del sistema economia è dato dall’atto del pagare

(Zahlung)127

, che si concretizza in uno schema a due versanti

pagamento/non pagamento ognuno dei quali ha bisogno del denaro come

valore di scambio: per questo ogni operazione economica è connessa al

denaro in quanto mezzo di pagamento128

. Nel mercato, il prezzo rappresenta

il corrispettivo pagabile in un determinato momento, in un determinato

mercato, per un tale bene; un prezzo riferito al passato o al futuro non trova

validità nel mercato: il futuro non può essere pagato nel presente della

contingenza e il passato, in quanto tale, non produce più i suoi effetti. Il

diritto invece non si riconosce in una misura temporale, una norma è valida

125 N. LUHMANN, Die Wirtschaft der Gesellschaft, cit., p. 95. 126 Ivi, p. 16. Vd. anche A. ARGIROFFI - L. AVITABILE, Responsabilità, rischio, diritto e

postmoderno, cit., p. 248. 127 N. LUHMANN, Die Wirtschaft der Gesellschaft, cit., p. 52. 128 Ivi, p. 18.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

43

per ogni epoca futura, essa non muta mai; se il diritto muta, significa che

una norma viene sostituita con un’altra129

.

Nonostante Luhmann descriva tanti sistemi eterarchici, posti tutti sullo

stesso piano, oggi si tende a collocare quello economico su un piano più

alto. L’eterarchia dei sistemi fa si che l’uomo abbia una funzione secondaria,

fa solo funzionare ciò che il sistema esige; il sistema è un complesso di

volontà dettate da chi è più forte, ed oggi è il sistema economico ad avere

più forza e detta le regole per tutti gli altri sistemi.

Programmazione e codificazione sono le due attività svolte

rispettivamente dal sistema economico e dal sistema giuridico; in sostanza il

sistema economia detta i contenuti delle norme al legislatore, detta la

modalità di decisione al giudice stesso: si subisce all’interno di un sistema

così strutturato un vero e proprio snaturamento della terzietà giuridica. In

questo modo il sistema diritto viene privato della sua funzione principale:

spetta al diritto decidere quali sono le aspettative sociali che meritano di

essere trasformate in normative e quali devono restare cognitive, spetta al

legislatore selezionare le aspettative130

.

A causa dell’influenza che esercita il mercato sul diritto si può discutere

di una funzione del mercato nel diritto, ovvero è il mercato ad incidere sui

contenuti di quelle aspettative cognitive divenute poi normative131

.

CLAUDIA MAZZAROPPI

1. In claris non fit interpretatio

Da quando si inizia a discutere di diritto ci si rende conto che si tratta di

una dimensione particolarmente legata all’uomo e alla ricerca del giusto132

.

Cosa significa riconoscere i propri diritti? Nell’eterna lotta tra schiavi e pa-

droni, lo schiavo rivendica il diritto di essere uomo, il passo della libertà è

un passo successivo, perché riconoscere l’altro, in quanto uomo, implica ri-

conoscerne anche la libertà; lo schiavo vuole il disconoscimento della sua

cosalità cioè non vuole essere più una cosa, non vuole più essere assoggetta-

129 A. KOJEVE, Linee di una fenomenologia del diritto, Milano, 1989, p. 102. 130 A. ARGIROFFI - L. AVITABILE, Responsabilità, rischio, diritto e postmoderno, cit., p. 244-

245. 131

L. AVITABILE, Sistemi e diritto, cit., p. 26. 132 Lezioni.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

44

to: «l’animale non ha un sé, non può dire ‘io’»133

. Questo tuttavia non signi-

fica che non ci siano dei diritti attribuibili agli animali: l’animale ha comun-

que dei diritti ma non ha la capacità né di istituire delle leggi né di istituire

un tribunale che gli garantisca diritti. L’uomo, invece, è libero di scegliere,

anche di scegliere il male, nel suo proiettarsi nel futuro, mantenendosi però

sempre nella possibilità di costruire un avvenire in cui redimersi, scegliendo

il bene. Questo fa dell’uomo un soggetto imputabile, perché dotato di volon-

tà ed intenzioni, non semplicemente soggiogato dai propri istinti. È l’uomo

in quanto uomo a sentire il bisogno di istituire e costituire un testo che duri,

che permanga nel tempo, contenente le leggi da se stesso e per se stesso

prodotte nell’incontro con l’altro e nell’apertura al terzo giudice, attraverso

la trialità del logos e la terzietà del nomos134

, nel riconoscimento che non

esclude. Se il diritto non è riproducibile in laboratorio significa che il pen-

siero che istituisce il diritto, cioè l’uomo, nella complessità delle sue caratte-

ristiche extrabiologiche, non è una macchina riproducibile dalla scienza in

laboratorio135

. Così Kierkegaard sostiene che «l’uomo non è ‘soggetto-

oggetto’, non è un io oggettivabile in un me»136

. La parola che non è sem-

plicemente un suono, è più del verso degli animali, nasce con lo spirito

dell’uomo. Perciò, Romano, rielaborando il pensiero di Heidegger, giunge

alla conclusione: «la domanda sul linguaggio è la domanda sull’uomo, come

la domanda sull’uomo è la domanda sul linguaggio»137

. Il diritto si occupa

della libertà che non può essere riprodotta in laboratorio, si occupa

dell’imputabilità che non è semplicemente il nesso causa-effetto, il nesso di

imputabilità non è come il nesso di imputazione. La nostra idea di diritto è

fortemente legata al diritto positivo, in quanto rappresentazione di uno ius

positum138

, un diritto in continua formazione che deve essere sempre ag-

giornato e positivizzato, configurando un fenomeno giuridico che deve esse-

re inteso come ciò che appare e si manifesta in società. Il diritto implica

l’uomo e l’uomo implica il diritto139

, non esiste diritto senza interpretazione,

così come molto probabilmente non c’è interpretazione senza ricerca del

giusto, intesa quale riconoscimento di una legalità e di uno Stato di diritto

133

M. HEIDEGGER, Introduzione all’estetica, Roma, 2008, p. 49. 134

B. ROMANO, La legge del testo. Coalescenza di logos e nomos, Torino, 1999, p.19 ss. 135

Ibidem. 136

S. KIERKEGAARD, Briciole di filosofia e Postilla non scientifica, Bologna, 1962, pp. 309-

316. 137

B. ROMANO, La legge del testo. Coalescenza di logos e nomos, cit., p. 9. 138Lezioni. 139 L. DI SANTO, Diritto e tempo nella riflessione filosofico-giuridica di Bruno Romano, i-

lex, 9, 2010.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

45

fondato sul principio di uguaglianza. Si può affermare che «in claris non fit

interpretatio»140

(nelle questioni chiare non si faccia luogo a interpretazio-

ne). Il diritto deve avere e mantenere una propria e autonoma forma che

grazie all’attività interpretativa è in grado di cambiare continuamente; una

forma che non deve essere intesa quale «macchina automatica self-service:

si inserisce un testo e se ne ottiene una interpretazione»141

, ma come un’arte

nella quale il giurista cerca di comprendere e conoscere meglio la portata

della disposizione, secondo i principi generali dell’ordinamento.

2. Reine Rechtslehre

«La dottrina pura del diritto è una teoria del diritto positivo. Del diritto

positivo semplicemente, non di un particolare ordinamento giuridico. È

teoria generale del diritto, non interpretazione di norme giuridiche

particolari, statali o internazionali. Essa, come teoria, vuole conoscere

esclusivamente e unicamente il suo oggetto. Essa cerca di rispondere alla

domanda: che cosa e come è il diritto; non però alla domanda: come esso

deve essere o deve essere costituito. Essa è scienza del diritto, non già

politica del diritto»142

. Nell’ambito della teoria generale, Kelsen afferma che

il diritto deve essere considerato un sistema di norme che, come ogni

sistema normativo può essere dinamico, statico o misto; il sistema

normativo statico è quello in cui una norma è collegata ad ogni altra

secondo un rapporto di derivazione statico, di deducibilità logica, come ad

esempio le norme di diritto naturale; nel sistema normativo dinamico vi

sono una pluralità di catene di norme che fanno capo alla norma

fondamentale. Un esempio di sistema normativo misto, discusso da Kelsen,

sono i Dieci Comandamenti, che fanno parte di un sistema statico in quanto

dalle norme generali dei Dieci Comandamenti possono essere inferite altre

norme più particolari, dinamico in quanto una norma dei Dieci

Comandamenti conferisce ai genitori un potere sui figli e in quanto la

validità dipende dalla validità della norma secondo cui si deve obbedire a

Dio143

. Il diritto è un ordinamento che assegna ad ogni membro i suoi doveri

140 Le Interpretazioni nel (del) diritto, Atti della Giornata di studi , 30 ottobre 2013,

Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale. 10M.L. DE RISI, Principi generali e argomentazione giuridica in Interpretazioni del

funzionalismo giuridico (a cura di L. Avitabile), Napoli, 2010, p. 103. 142 H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 48. 143 Ivi, p. 222.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

46

e quindi la sua posizione nella comunità per mezzo di una tecnica specifica,

e cioè disponendo un atto coercitivo, una sanzione diretta contro quel

membro della comunità che non adempia al suo dovere: «Se ignoriamo

questo elemento non siamo in grado di differenziare l’ordinamento giuridico

da altri ordinamenti sociali»144

. Il giurista-filosofo intende il diritto come un

sistema di tipo piramidale nel quale ogni norma è collegata ad un’altra

secondo una relazione gerarchica. Queste norme vengono disposte su

diversi piani, gradi o livelli gerarchici e, al vertice della piramide, c'è la

Grundnorm che «come norma suprema deve essere presupposta, in quanto

non può essere posta da un’autorità, la cui competenza dovrebbe riposare su

una norma ancora più elevata. La sua validità non può essere dedotta da una

norma superiore, il fondamento della sua validità non può più essere

discusso»145

. Si può considerare la norma fondamentale come suprema,

dunque, solo definendola come presupposta e non posta; infatti se fosse

stata posta da un’autorità questa sarebbe dovuta essere legittimata da

un’altra norma andando a creare un regresso ad infinitum146

. Kelsen afferma

che una norma esiste in quanto è valida, conseguentemente assume carattere

vincolante e deve essere osservata. Rientrano nel sistema giuridico, ai fini

dei criteri di individuazione delle norme, quelle prodotte nel rispetto del

diritto formale e del diritto positivo, sia le norme che conferiscono il potere,

indicando i modi attraverso i quali può essere esercitato. Kelsen elabora una

«dottrina pura del diritto» (Reine Rechtslehre), cioè libera da ogni

commistione con nozioni morali, politiche o sociologiche, cercando di

garantire il carattere obiettivo della scienza del diritto. La teoria pura del

diritto è una teoria formale che identifica il diritto con le norme, intese come

strutture qualificative dei comportamenti, e fonda l'autonomia del giuridico

su un sistema normativo che spiega se stesso in quanto regola la sua propria

creazione147

«... l'ordinamento giuridico è un sistema di norme generali ed

individuali, collegate le une con le altre dal fatto che la produzione di ogni

norma appartenente a questo sistema è determinata da un'altra norma del

sistema e, in ultima analisi, dalla sua norma fondamentale»148

. Perché

questo sia possibile, è sufficiente che le norme superiori del sistema

determinino gli organi autorizzati ad applicarle, anche se possono lasciare

indeterminato il contenuto della norma da produrre. La teoria generale del

144

ID., Teoria generale del diritto e dello stato, cit., p. 28. 145 ID., La dottrina pura del diritto, Torino, 1966, p. 59. 146 Ivi, p. 218-219. 147 ID., Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit. 148

Ibidem.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

47

diritto non dice quindi cosa bisogna statuire, ma come bisogna farlo,

affinché la norma prodotta appartenga ad un dato ordinamento giuridico e

quindi sia giuridica. Per Kelsen, la norma è dover essere, è necessità

contrapposta all'essere, è esistente in quanto valida e, in quanto tale,

vincolante. Inoltre separa il mondo dell’essere (Sein) dal mondo del dover

essere (Sollen)149

: la validità e quindi l’esistenza delle norme, appartiene

alla categoria del dover essere perchè solo in questo modo è possibile

evitare una catena normativa infinita e ancorare alla norma fondamentale la

validità di tutte le altre. La norma fondamentale, discussa da Kelsen, diventa

nella critica di Romano un «motore immobile di ogni movimento

normativo, una norma che non esige alcun ulteriore fondamento»150

. «Il

fatto che una norma sia valida vuol dire qualche cosa di diverso dall’essere

effettivamente applicata ed osservata, sebbene vi possa essere un certo

rapporto tra validità ed efficacia»151

. Per Kelsen validità ed efficacia si

riferiscono a fenomeni del tutto diversi: «la validità è una qualità del diritto;

la cosiddetta efficacia è una qualità del comportamento effettivo degli

uomini e non del diritto stesso»152

. Validità del diritto significa che gli

uomini devono comportarsi secondo quanto prescrivono le norme

giuridiche: obbedire e applicare le norme giuridiche. L'efficacia del diritto

invece ha a che fare con l'atteggiamento dovuto secondo diritto. In altri

termini, la norma è valida ed esistente se appartiene ad un dato ordinamento

giuridico; tale norma è giuridica però solo ed esclusivamente se mira a

regolare il comportamento umano attraverso l’esercizio di un atto

coercitivo, applicando cioè le sanzioni.

149 ID., Teoria generale del diritto e dello Stato, cit. 150 A. FIORILLO, Il diritto tra forma e formalismo attraverso la lettura del normativismo

giuridico in Hans Kelsen in Il diritto tra forma e formalismo, a cura di L. Avitabile, Napoli,

2011. 151 H. KELSEN, Teoria generale del Diritto e dello Stato, cit., p.39. 152Ivi, p. 40.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

48

ROBERTA ROCCIA

1. Sistemi, fenomenologia e società complessa nell’ermeneutica

funzionale di Luhmann

Nell’interpretazione funzionale di Luhmann ovvero nell’ermeneutica

funzionale si riscontrano almeno tre concetti che è opportuno ricordare: il

sistema, la fenomenologia e la società complessa. Per sistema s’intende un

sistema sociale come il sistema giuridico, religioso e politico, mentre

quando si discute di società complessa si intende quella in cui la

disorganizzazione apparente è tale che per arrivare da un punto all’altro

sono necessari più passaggi intermedi153

; la fenomenologia invece è lo

studio di fenomeni e trova la sua radice in Husserl che discute del diritto

come fenomeno istituito dall'uomo. La fenomenologia formale mette tra

parentesi, cioè sospende, il giudizio ovvero mette in epokè154

il mondo della

vita di relazione come nella teoria sistemico-funzionale di Luhmann che

archivia il logos sebbene Luhmann non cancelli il concetto di uomo perché

è necessario al funzionamento della catena di sistemi sociali: si può

affermare che venga appresentato e non rappresentato. Rappresentato

significa che si ha un’idea e questa viene rappresentata, appresentare155

vuol

dire appresentare un simbolo, quindi utilizzarlo simbolicamente e

logicamente. Rispetto alla prevalente sociologia contemporanea che pone

l’individuo al centro del problema sociologico, Luhmann riporta

l’attenzione e focalizza la sua teoria attorno al sistema sociale, partendo

dalla premessa che gli elementi primari ed unici di un qualsiasi sistema

sociale non sono gli agenti principali, ovvero gli uomini, ma gli effetti della

comunicazione, ovvero comunicazioni che producono altra comunicazione.

Senza comunicazione non esiste nessuna forma di sistema sociale, anzi la

chiusura operativa del sistema sociale è operata proprio sul concetto di

comunicazione. Un sistema sociale (sistema chiuso) è in grado di costituirsi,

ricostituirsi, ma soprattutto di autogestirsi mediante una perenne

comunicazione.

L’idea di comunicazione di Luhmann differisce dalla concezione

tradizionale di comunicazione per due motivi principali: il primo è quello

secondo cui la comunicazione deve essere intesa come un tipo di azione,

153Lezioni. 154

E. HUSSERL, Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, (a cura di

Enrico Filippini), tr. Giulio Alliney, Torino: Einaudi, 1950. 155

ID., Meditazioni Cartesiane, tr. Filippo Costa, Milano, 1970.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

49

come un discorso che presuppone un atto o un sistema che comunica ma

non dà alcuna informazione su ciò che viene comunicato e su chi

comprende, accetta o rifiuta il contenuto della comunicazione. Volendo

formare un concetto di comunicazione che includa colui che comprende,

anzi che in effetti parta proprio da colui che comprende, quest’ultimo dovrà

avere la possibilità di distinguere chi comunica e cosa viene comunicato,

colui che comprende deve poter distinguere l’intenzione e il contenuto della

comunicazione. Quindi la comunicazione incomincia da colui che

comprende e non da colui che agisce. La seconda modificazione rispetto al

concetto tradizionale di comunicazione riguarda l’esigenza di non

interpretare la comunicazione come un trasferimento del sapere, delle

informazioni da una posizione all’altra perché questo passaggio presuppone

sempre una comunanza; essa non è solo una comunanza del codice, ma è

anche una comunanza dell’ambito selettivo da cui la comunicazione muove

per scegliere e selezionare l’informazione. In conclusione i due presupposti

strettamente connessi al concetto tradizionale della comunicazione che

Luhmann intende superare sono la teoria dell’azione e la teoria del

passaggio dell’informazione e al loro posto introduce un piano di realtà

emergente, nuovo, in cui ci sono operazioni che continuamente combinano

informazioni, che sollevano la domanda se il soggetto debba accettare o

rifiutare le offerte di senso che ne derivano. La teoria della comunicazione è

collegata alla teoria della complessità, ma mentre la complessità è legata

alla struttura, la comunicazione è legata alle operazioni. Per la teoria della

complessità è decisiva l’impossibilità di collegare ogni operazione a tutte le

altre, anche se si procede con un ordine di grandezza piccolo; non è mai

possibile collegare contemporaneamente tutto con tutto e questo implica che

ogni relazione deriva da una selezione. Quando si dice qualcosa a qualcuno

viene selezionato “qualcosa” e “qualcuno” e si seleziona anche colui che è

interessato a dire quel qualcosa, quindi il concetto di comunicazione

soddisfa e attua un criterio selettivo ineludibile nei sistemi complessi, sia

sociali che di altro tipo. La società è diventata complessa con l’avvento della

globalizzazione a causa della velocizzazione dei dati. La complessità è

aumentata perche è aumentata la velocità data dalla globalizzazione

informatica in quanto l’informatizzazione ha permesso che un dato arrivasse

da un punto all’altro in tempo reale. Altro fattore che ha determinato

l’aumento della complessità è l’accentramento di alcuni poteri nelle mani di

pochi che rendono complessa la questione del diritto e della giustizia in

quanto il fatto che alcuni poteri siano accentrati nelle mani di pochi non

rende trasparente il concetto delle cosiddette norme giuste. La società

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

50

complessa è caratterizzata dall’avere i tempi lunghi, infatti questi ultimi

sono tipici della complessità perché c’è un margine di azioni che necessita

di essi per attraversare il mondo labirintico della società complessa, quindi

per esercitare la burocrazia c’è bisogno di non trasparenza, i dati ci sono

però non c’è trasparenza sulle procedure, quindi la poca chiarezza di ciò che

si fa nella società complessa diventa un alimentatore della complessità. Il

diritto è uno stabilizzatore della complessità. Il diritto non è che serve ad

eliminare la complessità ma emerge il sistema, i sistemi emergono per far

decrescere la complessità. La funzione dei sistemi è di far decrescere la

complessità però è con la proliferazione dei sistemi che la complessità stessa

aumenta, quindi la complessità decresce e accresce, accresce fino al

cosiddetto livello di adeguamento. I compiti della complessità sono due

ovvero adeguamento e stabilizzazione, cioè si deve stabilizzare questa

complessità e si stabilizza fino a un certo punto. La complessità non può

essere annullata altrimenti non ci sarebbe nessun sistema, ma nemmeno può

esserci un livello troppo elevato di complessità in quanto esso sarebbe

talmente alto da implodere e non sarebbero più raggiungibili alcuni

elementi. Visto che l’uomo ha bisogno di ragionare su questi elementi

perché si trova nel flusso delle operazioni allora è necessario che l’uomo

abbia un livello di complessità stabile ovvero che si può definire

sopportabile per qualsiasi società. La complessità è fuori dal calcolo, essa

non è oggetto di una logica formale, essa è agli antipodi della capacità

tecnica. Secondo Luhmann la logica da applicare alla complessità è la logica

funzionale perché la società complessa ha una sua funzione che è quella di

sopravvivere, come tutti i sistemi sociali, quindi la funzione della funzione è

funzionare156

. Due sono i momenti che ogni giorno rendono recuperabile

questa tesi: la funzione e la contingenza. Non bisogna guardare al passato e

al futuro ma solo al presente, è il presente che è qui ed ora, noi possiamo

parlare del futuro ma non c’è, l’unico futuro è il presente quindi abbiamo un

presente del futuro e un presente del passato perché neppure il passato

esiste, perché il passato è presente nella nostra memoria ma Luhmann

afferma che siamo qui ed ora quindi qui ed ora è la contingenza. Per la

fenomenologia funzionale il sistema è un fenomeno formale sistematico che

riduce la complessità; diceva Heidegger157

che il fenomeno è un qualcosa

che appare, che ha un senso e un fondamento, ma in questo caso è un

fenomeno che si dà, che non ha un senso in quanto esso nasce per far

decrescere la complessità. Esso sistematizza la complessità, la riduce ad un

156

Lezioni. 157 M. HEIDEGGER, Essere e tempo, cit., § 31.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

51

livello e poi pian piano la incrementa per poi ridurla di nuovo, è questo il

gioco funzionale. Il senso dei sistemi non è un senso che ha al centro l’uomo

ovvero non si cerca il senso, per esempio per quanto riguarda il diritto non

c’è la ricerca del giusto e della verità. La ricerca della verità inizia

nell’istituzione del diritto, il giudice si trova ad applicare le norme del

legislatore però è dotato di quella parte discrezionale che gli permette di

esprimere il proprio giudizio negativo su una qualsiasi norma che è stato

costretto ad applicare. Tutto questo nella teoria di Luhmann viene cancellato

in quanto il giudice è un esecutore ma non è un esecutore del legislatore, è

l’esecutore di un funzionamento generale del fondamentalismo funzionale158

perché il giudice di secondo grado interpreterà la norma soltanto

funzionalmente alla costellazione dei sistemi sociali. I diritti fondamentali

sono per Luhmann istituzioni, cioè un complesso di reali aspettative di

comportamento attualizzate nel contesto di un ruolo sociale e che contano

sul consenso sociale. I diritti fondamentali non possono essere considerati

come diritti umani eterni, validi in qualsiasi luogo e tempo ma sono

Istituzioni Sociali che si affermano e si sviluppano in una specifica fase

dell’evoluzione sociale e affrontano esigenze e problematiche che si

presentano in questa o altre fasi. I diritti sono una realtà complessa nella

quale confluiscono questioni vitali poste all’esterno del sistema, sono

istituzioni perché hanno origine nell’ambiente dei sistemi sociali; nei diritti

si realizza una sorta di equilibrio tra tecnica di controllo, prestazioni

funzionali, forme giuridiche, fatti sociali, consenso morale ed aspettative

delle aree primarie vitali per quelle che Luhmann chiama persone. Ipotesi

principale della ricerca di Luhmann è che i diritti fondamentali si siano

affermati nelle società più complesse e basate su una differenziazione di tipo

funzionale. Secondo Luhmann, il diritto nell'età moderna si è reso

normativamente autonomo, acquisendo in tal modo una capacità di

cambiamento prima sconosciuta. Tuttavia Luhmann trascura il concetto di

giustizia come fonte di definizione del diritto, concetto vero in generale,

anche nell'età moderna, e che egli stesso riconosce nel momento in cui lega

la validità del diritto al consenso, e quindi, almeno indirettamente, a un

vantaggio distributivo159

. A ciò si aggiunge il fatto che proprio lo sviluppo

del diritto, nell'età moderna, è caratterizzato dal crescente riconoscimento

dei principi di giustizia, come la democrazia, i diritti di libertà, la

dimensione sociale dello Stato e la difesa dell'ambiente. La capacità di

trasformazione, riconosciuta al diritto, non è assoluta, ma va a collocarsi

158Lezioni. 159

Cfr. N. LUHMANN, Procedimenti giuridici e legittimazione sociale, Milano, 1995.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

52

entro l'ambito circoscritto dai suddetti principi di giustizia.

Successivamente, infatti, Luhmann ha riconosciuto che nei sistemi giuridici

della società moderna esiste uno spazio per la giustizia; se, da un lato, egli

congeda il concetto tradizionale di giustizia, dall'altro, però, lo sostituisce

con una concezione teorico-sistemica160

. Di fronte all'estrema complessità

della società moderna, il sistema giuridico, per essere ancora efficiente,

dovrebbe aumentare anche la propria complessità, ad esempio la sua

articolazione interna e la capacità di elaborare informazioni; l'aumento della

complessità troverebbe, tuttavia, il proprio limite nelle esigenze di

funzionalità interne al diritto. Secondo Luhmann si può discutere di giustizia

solo nel senso di una “complessità adeguata” e afferma che nei sistemi la

giustizia è una formula di contingenza che può essere definita anche formula

di adeguamento. Nella società complessa ogni operatore decide partendo da

premesse decisionali, però questa riduzione a formula di adeguamento della

giustizia emerge dalla relazione del sistema giuridico con gli altri sistemi

sociali, allora la società complessa è formata da questi sistemi sociali.

Essendo la giustizia una formula di adeguamento, secondo Luhmann le

norme devono essere viste come una forma di funzione stabilizzatrice che

perciò guadagna una specifica qualità giuridica, cioè viene differenziata

come sistema giuridico. Da Socrate in poi la verità è la ricerca del giusto ma

in Luhmann questi concetti non trovano spazio sia perché essi fanno parte

del capitale simbolico, ovvero sono delegati ad un archivio simbolico, sia

perché il concetto di giustizia cosi come inteso da Luhmann è unità e per

quest’ultimo è rilevante che la forma abbia due versanti, ovvero se si parla

di giustizia si deve anche parlare del suo opposto quindi giustizia-non

giustizia però quando dici giustizia-non giustizia hai contingenzato questa

definizione di giustizia. “Giustizia” e “non giustizia” sono i due poli del

codice penale che vengono trasformati in “diritto” e “non diritto”, “legale” e

“non legale”, e questo semplifica molto la complessità perché significa che

tutti i materiali vengono dalla costellazione dei sistemi e una volta immessi

nel sistema diritto è facile ascriverli o a un polo o a un altro, cioè tutto ciò

che è diritto viene ascritto al polo diritto e tutto ciò che non è diritto al polo

non diritto. Il sistema giuridico acquista le forme dell’adeguamento

funzionale, non da solo ma attraverso le operazioni di tutti gli altri sistemi. Il

sistema giuridico non nasce, già esiste, si accomuna con qualunque sistema,

elementi più o meno similari che vanno a colmare quel sistema.

Nell’osservazione manca la vecchia ragione giuridica, la quale viene

archiviata, non è più l’humanitas ad assumere su di se decisioni pubbliche

160 N. LUHMANN, Ausdifferenzierung des Rechts, Francoforte, 1981.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

53

ma si assiste ad un umanizzazione biologica in quanto Luhmann ritiene che

l’uomo non è un’entità biologica: l’uomo esiste e come tutti gli esseri

biologici adotta formule di adeguamento, tutti gli esseri biologici si

adeguano con una serie di evoluzioni e cosi il diritto subisce la sua

evoluzione sotto forma di adeguamento. Non è necessaria la ragione

giuridica, l’humanitas e nemmeno la critica che si potrebbe fare ad alcune

procedure giuridiche ma sono importanti lo sfruttamento e la costruzione di

alcuni semplici elementi funzionali. Luhmann non prende l’apparato

strutturale di tutto il funzionalismo classico ma piccoli elementi funzionali

che in accordo tra loro non devono tralasciare nel sistema giuridico alcuni

elementi essenziali quali la temporalità, la possibilità e la varietà. Luhmann

è un attento osservatore della società complessa e i sistemi che emergono

dalla società complessa hanno delle condotte che s’identificano con il suo

pensiero nel senso che quest’ultimo analizza queste condotte dall’interno e

afferma che le condotte degli uomini sono non condotte e sono delle

operazioni funzionali. Nel sistema diritto la complessità si ha con il

passaggio da aspettative cognitive ad aspettative normative.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

54

VANESSA TISEO

1. Cosa si intende per interpretazione e in cosa consiste teoria

dell’interpretazione?

La teoria dell’interpretazione è necessaria ai fini della comprensione del

diritto ed è il metodo d’indagine161

che dovrebbe persuadere il giurista, «le

domande che guidano il cammino filosofico-giuridico sono: qual è

l’attenzione che rivolge il giurista alla complessa dimensione

dell’interpretazione che non può esaurirsi nelle tipologie interpretative?

Qual è il dovere del giurista oggi? Riesce a mantenere la sua imparzialità di

fronte alle declinazioni del formalismo giuridico che, da ultimo, si è raffor-

zato in formalismo finanziario?»162

; queste alcune delle domande fonda-

mentali per capire in cosa consista la teoria dell’interpretazione, ovvero il

giurista deve porsi domande sempre continue sul significato delle disposi-

zioni codicistiche, non affidandosi soltanto ai classici e ben conosciuti me-

todi interpretativi, ma andando oltre ciò che nella nostra società complessa,

o per meglio dire post complessa, governa tutto, ovvero il «formalismo fi-

nanziario»163

.

Il nostro ordinamento rivolge attenzione a questo argomento al punto tale

da inserire una norma specifica all’interno delle preleggi del codice civile;

l’articolo 12 recita: «nell’applicare a legge non si può ad essa attribuire altro

senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la

connessione di esse e dalla intenzione del legislatore».

In questa prospettiva, l’unica via per comprendere «il significato proprio

delle parole» è interpretare e non soltanto utilizzando modalità tecniche che

rinviano ai concetti di interpretazione letterale, autentica, giudiziale, dottri-

nale, e via dicendo, ma anche e soprattutto quella sistematica o logica che

rinvia «all’interpretazione del legislatore», il quale utilizza il cosiddetto

«linguaggio interpretante», ovvero quell’attività ermeneutica che muove da

161 M. FRACANZANI, Adolfo Ravà. Fra tecnica del diritto ed etica dello Stato, Napoli, 1998,

p. 13 e ss. 162 L. AVITABILE, Perché la filosofia del diritto oggi, Napoli, 2011, p. 38. 163 B. ROMANO, Filosofia della forma relazioni e regole, cit., p. 193 e ss.; inoltre «Il danaro

manifesta la più alta capacità sformante; riduce ogni forma in un numero, esprimente un

prezzo, che indifferentemente può numerare tutto, privando anche l’uomo della peculiarità

della sua forma. Nel mercato è reso vendibile ed acquistabile tutto». Ivi, p. 194; inoltre «La

privatizzazione del diritto si chiarisce riferendola al formalismo finanziario, costruito con il

trasmutare in modo estremo la forma del diritto nel formalismo giuridico». Ivi, p. 200.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

55

sistema normativo vigente e arriva a cristallizzare164

la finalità della norma

giuridica e che infine non può e non deve essere assolutamente associato a

quello utilizzato dalle «intelligenze artificiali»165

.

Queste ultime sono le protagoniste indiscusse del nostro odierno mondo,

caratterizzato dalla globalizzazione, ovviamente producendo e risvolti posi-

tivi e risvolti negativi. L’interpretazione degli operatori del diritto è dinami-

ca, mutevole, sempre diversa, mentre quella delle intelligenze artificiali è

statica, seriale, ripetitiva. Interpretare è un termine di derivazione latina, in-

terpretatio, e significa capire, decifrare ciò che non è chiaro, giudicare, va-

lutare, attribuire un particolare significato a qualcosa e più tecnicamente

stabilire il significato delle disposizioni codicistiche e applicare il tutto al

caso concreto.

Emilio Betti, uno dei teorici dell’ermeneutica, afferma che il diritto civile

è il punto di partenza per arrivare ad affermare quei canoni ermeneutici fon-

damentali166

che sono stati poi resi idonei a fondare l’interpretazione anche

in altri rami del diritto; in conclusione quindi tali canoni sarebbero entrati a

far parte della teoria generale dell’interpretazione.

Betti definisce il cosiddetto stare dinamico167

intendendolo come quel

rapporto che intercorre tra l’oggetto della conoscenza e l’interprete; infatti

Carla Danani, in un volume che ha pubblica riguardo al pensiero di Betti,

afferma: «L’alterità da conoscere, pur non essendo per l’interprete una e-

straneità, non gli appartiene, essa gode di una propria relativa autonomia che

si dà in una distanza rispetto a tutte le altre realtà del mondo: conoscere è,

allora, cercare di percorrere questa distanza.». Oltre all’osservazione e alla

conoscenza del dato oggettivo e quindi nel caso del diritto privato, del dato

tecnico (che può essere inteso come testo giuridico o caso concreto da risol-

vere e via dicendo), è necessario esaminare anche, e non secondariamente,

lo spirito delle leggi, inteso come tutto ciò che non è immediatamente com-

merciabile, immediatamente materializzabile168

, immediatamente consuma-

bile.

164 Termine utilizzato in senso lao e a-tecnico, ivi p. 58. «La forma delle norme giuridiche

non è la forma delle leggi dei sistemi biologici; non è una forma già data, ma è una forma in

formazione, istituita dal pensiero e dalla volontà degli uomini, che nell’attività legislativa

selezionano dei contenuti e li fissano nella forma definita di un enunciato normativo». 165 Ivi, p. 51. 166 E. BETTI, Le categorie civilistiche dell’interpretazione, Milano, 1948, p. 13. 167 C. DANANI, La questione dell’oggettività nell’ermeneutica di Emilio Betti, Milano, 1998,

p. 132. 168 B. ROMANO, Filosofia della forma relazioni e regole, cit., p. 29 «La forma del senso ha

la qualità immateriale dello spirito, non è la forma di una realtà materiale».

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

56

Inevitabilmente la questione dello spirito è strettamente legata alla que-

stione del senso, che nel nostro mondo post complesso169

sta sempre più

perdendo il suo grande significato; nell’epoca del post- si preferisce soffer-

marsi sulla funzione del diritto.

Bruno Romano, professore ordinario di filosofia del diritto, ha pubblicato

molte opere nelle quali tratta approfonditamente il legame tra diritto, senso

e διά-λογος; l’io del singolo è una parte che nella sua individualità incontra

altre parti, ogni io ha una forma differente ed è per questo che Romano parla

di uguaglianza nella differenza; le parti si relazionano attraverso il linguag-

gio, e ogni volta che si relazionano si arricchiscono di concetti sempre nuo-

vi, così si crea il διά-λογος che consiste in un « reciproco rinviarsi»170

, che

non è certamente scevro di incomprensioni, disaccordi, malintesi e via di-

cendo. Spiega Bruno Romano: «Le parti formano la relazione, che, a sua

volta, incide sul formarsi delle parti. Le parti e la relazione sono in un rinvio

di reciproca formazione della differenza delle loro forme»171

.

L’uomo inteso come detentore del diritto primo alla parola e quindi sog-

getto del dire è titolare dell’opera interpretativa; il diritto, a sua volta è testo

della società, perché si forma anch’esso attraverso il dialogo172

- il diritto è

strutturato come linguaggio173

. Quindi cosa si intende per interpretazione?

Ci risponde in maniera concreta ed efficace Bruno Romano: «Una interpre-

tazione non è né arbitraria, né necessaria è rischiata dalla libertà ed è riferita

al diritto se rispetta il principio dialogico (logos) legato al principio di ugua-

glianza (nomos)».

2. Ermeneutica funzionale: protagonista indiscussa della nostra società

post – complessa

169 L. AVITABILE, Perché la filosofia del diritto oggi, cit., p. 36 « Questo non significa che la

ricerca del senso della ragione giuridica abbia imboccato l’era del declino, al contrario,

proprio dove appare sempre più manifesta l’inutilità della ricerca del giusto e dunque della

misura della legalità e del diritto positivo, si concretizza la conquista della ragione giuridica

su eventuali istanze di follia che hanno come segno la prevaricazione. Non è esistita, per

altro un epoca storica in cui la ricerca del senso del diritto sia scomparsa del tutto». 170 B. ROMANO, Filosofia della forma relazione e regole, cit., p. 19 « L’io delle parti e le

relazioni interpersonali costituiscono il loro reciproco rinviarsi e dunque si sottraggono ad

una conoscenza che possa isolare, purificare, il versante delle parti, confinandolo da quello

delle relazioni». 171 Ivi, p. 19. 172 L. AVITABILE, Perché la filosofia del diritto oggi, cit., p. 44. 173 B. ROMANO, Il diritto strutturato come il discorso, cit. p. 27 e ss.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

57

Il termine ermeneutica deriva dal greco έρμηνευτική τέχνη, ovvero arte

dell’interpretazione che, affiancato alla parola funzionale acquisisce un si-

gnificato ulteriore, indicando ciò che meglio si riassume nella teoria siste-

mico – funzionale di Luhmann.

Quella in cui viviamo è un società articolata e globalizzata che si proietta

in un reticolato labirintico composto da altrettante società, il minimo comu-

ne denominatore che accomuna tutte queste società è proprio il diritto. Ogni

società è organizzata per sistemi, nei quali confluiscono tutti gli elementi

che li caratterizzano, ad esempio nella nostra società avremo il sistema dirit-

to (al cui interno troveremo tutto ciò che riguarda le leggi, i contratti, e via

dicendo), il sistema religione, il sistema economico, ecc. La sistematizza-

zione di cui poc’anzi discusso è figlia della complessità, un complessità tale

da sentire la necessità di una «semplificazione»; il diritto è uno stabilizzato-

re della complessità.

Gli elementi principali di un qualsiasi sistema non sono gli agenti e cioè

gli uomini, ma sono gli effetti derivanti dalla comunicazione174

; l’uomo in-

fatti per Luhmann viene «archiviato», perché questo non può essere consi-

derato come un sistema autoreferenziale ed autopoieutico ma piuttosto come

un sistema psicologico175

, molto più complesso degli altri e quindi non co-

me i sistemi sociali che devono soltanto agire nei limiti delle funzioni per

cui sono stati creati.

Ogni sistema sociale emerge grazie ad una sorta di «selezione naturale»,

infatti si rimanda al concetto di contingenza, della forza più potente in quel

momento preciso: la contingenza emerge di volta in volta ed è una forza del

più forte che emerge e si differenzia da tutti gli altri; la contingenza si im-

pone con la sua forza ed è proprio la contingenza che «colora» i vari siste-

mi176

. Ogni sistema è quindi in grado di costituirsi ed autogestirsi attraverso

l’autoreferenzialità e l’autopoiesi177

; con tali termini si intende la capacità di

ogni sistema di costituire da se gli elementi di cui è composto e che tali ele-

menti comunichino in continuazione tra di loro, avendo così la possibilità di

ridefinirsi e riprodursi continuamente per assolvere la funzione a cui è desti-

nato ogni sistema. Infine è importante, ma non meno interessante precisare

che ogni sistema effettua una duplice attività: autosservazione ed eterosser-

174 Vd paragrafo 1. 175 Principio di inclusione teorizzato da Habermas e Luhmann. 176 Lezioni. 177 G. TEUBNER, Recht als autopoietisches System, Francoforte, 1989, p. 89-90.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

58

vazione che gli permettono di sopravvivere e di con – vivere accanto agli al-

tri sistemi.

Detto ciò è più facile comprendere come l’interpretazione di cui si è di-

squisito nel precedente paragrafo (interpretazione giuridica), non ha nulla a

che vedere con l’interpretazione funzionale; quest’ultima infatti, vede ad e-

sempio, in ruolo del giudice quale quello, unico ed inequivocabile, di agire

in base a ciò che la legge gli prescrive178

. Ciò che accade per

l’interpretazione giuridica è differente, questa ha a che fare con a relazione

di riconoscimento che è costituita dall’esserci di un io e di un tu che istaura-

no un dialogo, e quindi nel caso del giudice, questi ha il compito di partire

dai fatti accaduti e di arrivare ad una sentenza in cui motivi le proprie scelte

fatte in base ad un ragionamento, ovviamente attenendosi alla legge, ma

comunicando contestualmente con i soggetti del processo.

Ciò ovviamente non è tanto diverso da quello che accade nel diritto pri-

vato, se si pensa che alla base ci sono una serie di norme che puntano al ri-

conoscimento di rapporti giuridici che inevitabilmente intercorrono tra due o

più soggetti; basti ricordare la norma che disciplina il contratto nel codice

civile: «Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o

estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.179

». Si intuisce im-

mediatamente che deve esistere un rapporto necessariamente plurilaterale o

quantomeno bilaterale affinché possa sorgere un contratto, anche se rara-

mente troviamo contratti considerati unilaterali (ad esempio il contratto con

obbligazioni a carico del solo proponente) che potrebbero facilmente contra-

stare la tesi appena affermata; così non dovrebbe essere se si pensa che esi-

stono ampie dispute a riguardo, e quindi più voci in dottrina li considerano

addirittura non esistenti poiché in contrasto con l’articolo 1321 c.c.

È chiaro quindi che anche se immersi in una società complessa non pos-

sono mancare elementi che ricordano l'idea di un io ipotizzante, interpretan-

te, che si relaziona con altri io, tramite il dialogo; non si può pensare che

l’uomo «serve solo a far funzionare», si avrebbe la morte intellettuale e il

fallimento di tanti secoli di lotte per la libertà (di parola, di riconoscimento

degli uomini in quanto tali e via discorrendo).

È sempre essenziale ricordare che «il discorso giuridico ha come trama

essenziale le leggi del linguaggio mediante la coesistenza sociale, che è in-

nanzitutto relazione interpersonale, dimensionata secondo l’originalità del

singolo uomo che ritrova se stesso nella responsabilità della scelta compiuta

178 Lezioni.« Il giudice è un terzo incluso ed escluso». 179 Art. 1321 c.c.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

59

e nella preparazione attuale avviata alla scelta che si concretizzerà nel futu-

ro»180

.

180 L. AVITABILE, Perché la filosofia del diritto oggi, cit., p. 41.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

60

SEZIONE III – DIRITTO ECCLESIASTICO

G. CAMPOPIANO

1. L’interpretazione giuridica e le norme nel diritto della Chiesa

La promulgazione del codice di diritto canonico del 1917 e in seguito

quella del 1983 hanno portato ad «una visione tendenzialmente statica

dell’ordinamento giuridico della Chiesa»181

, quindi «non più per la via e la

ricerca e dell’individuazione del giusto nel caso concreto […], ricerca nella

quale resta massimamente esaltata l’opera dell’interprete e della

giurisprudenza; ma per determinazione autoritativa e con provvedimento

astratto di ciò che è giusto»182

. Il giudice diviene così un esecutore del

legislatore con la conseguenza «dell’appiattimento della ricerca del

giusto»183

che priva la giuridicità della sua specificità primaria: la terzietà,

che ha la finalità di garantire il compimento del diritto proprio attraverso

l’attività interpretativa e creativa del ‘terzo giudice’.

«Il diritto non è pertanto l’insieme delle norme, vigenti in un luogo e

poste in un tempo, né l’unità di tutte le norme di tutti i tempi e di tutti i

luoghi, ma opera secondo la struttura del linguaggio, quindi nell’esistere del

parlante che si compie come il trascendimento delle singole forme storiche

degli enunciati istituiti, esigendo la ripresa continua ‘del che si istituisca’

differenziato dall’istituito»184

. Invece così come previsto nel canone 17185

, il

significato testuale è la regola ermeneutica principale agli altri criteri

considerati sussidiari solo nel caso in cui il testo non sia chiaro, pertanto

181 G. LO CASTRO, L’interpretazione del diritto e il diritto della Chiesa, Stato, Chiesa e

pluralismo confessionale, Rivista telematica, giugno 2010. 182 Ibidem. 183 N. LUHMANN, Il diritto della società, a cura di L. Avitabile, cit., p.XXI. 184 B. ROMANO, Filosofia del diritto, Bari, 2002, p. 158. 185 Canone 17: «Le leggi ecclesiastiche sono da intendersi secondo il significato proprio

delle parole considerato nel testo e nel contesto; che se rimanessero dubbie e oscure si deve

ricorrere ai luoghi paralleli, se ce ne sono, al fine e alle circostanze della legge e

all’intendimento del legislatore».

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

61

l’attività interpretativa viene ad essere una mera comprensione del testo186

.

Non è facile però dare piena applicazione al canone 17, quando ci troviamo

di fronte ai problemi sorti per effetto del fenomeno del multiculturalismo,

che hanno evidenziato la necessità di ripensare e riformulare le singole

norme, ispirate da quei principi supremi dell’ordinamento, in modo che

siano più vicine a quella che è la realtà storica187

.

Il papa Benedetto XVI nel discorso alla Rota romana del 21 gennaio

2012, afferma che «la legge umana viene valorizzata in quanto espressione

di giustizia, anzitutto per quanto essa dichiara come diritto divino, ma anche

per quello che essa introduce come legittima determinazione del diritto

umano»188

. Il legiferare dell’autorità ecclesiastica non proviene, quindi,

dalla volontà arbitraria del legislatore, ma dall’«opera di riconoscimento di

una più elevata ed effettiva dimensione giuridica operante nella storia»189

. «Per la interpretazione del codex del 1917 con il motu proprio Cum iuris

canonici del 15 settembre 1917 fu istituita una commissione col compito di

rispondere ai dubbi che si presentassero nell’applicazione del codice, con

valore di interpretazione autentica e con la facoltà, di cui mai si è avvalsa, di

inserire nuovi canoni o mutare quelli esistenti ogni qualvolta le Sagre

Congregazioni emanassero nuove disposizioni difformi da quelle del vigente

codice. Per quel che riguarda il nuovo codice del 2 gennaio 1984, è stata

istituita la Pontificia commissione per l’interpretazione autentica del codice

di diritto canonico».

La norma così individuata non ha una funzione stabilizzatrice, come nella

teoria sistemico funzionale di Luhmann, dove una delle funzioni primarie

del diritto è quella di stabilizzare le aspettative normative e le complessità,

come avviene quando il sistema diritto si basa sulla logica immunitaria, per

cui l’ermeneutica è finalizzata alla conservazione; ma la ricerca del bene

comune deve essere manifestata dal «desiderio di giustizia» (iussum quia

iustum) con la «partecipazione all’attività creativa delle possibili norme da

istituire […]. Nel bene comune e nella solidarietà trovano la genesi del loro

186 E. BAURA, La realtà disciplinata quale criterio interpretativo giuridico della legge.

Il discorso di Benedetto XVI alla Rota romana, 21 gennaio

2012,http://bibliotecaeconomica.net, 23/12/2013. 187 E. ANCONA, Via Iudici. Contributi tomistici alla metodologia del diritto, Terni, 2012,

p.43. 188 E. BAURA, La realtà disciplinata quale criterio interpretativo giuridico della legge.

Il discorso di Benedetto XVI alla Rota romana del 21 gennaio

2012,http://bibliotecaeconomica.net, 23/12/2013. 189 G. LO CASTRO, L’interpretazione del diritto e il diritto della Chiesa, Stato, Chiesa e

pluralismo confessionale, Rivista telematica, www.statoechiese.it, giugno 2010.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

62

senso i contenuti delle norme istituite, che pertanto appartengono alla

legalità giusta se non costituiscono una violazione del bene comune e della

solidarietà».

I fenomeni evolutivi che si manifestano nella società difficilmente

troveranno legittimità al di fuori del diritto codificato se esso rimarrà chiuso

nei suoi atti normativi, né sarà il rispetto delle norme a garantire la

correttezza giuridica, ma si potrà affermare il Diritto e la Giustizia solo

attraverso l’interpretazione,

che non può prescindere dal preparare

un’argomentazione, orientata verso la comunicazione, per mezzo

dell’attività dialogica.

Pertanto, l’ermeneutica raccoglie in sé sia il concetto di interpretazione

sia quello di argomentazione, che consentono di comprendere lo ‘spirito

delle leggi’. Si ha così l’affermazione della ‘legge del testo’ contraria a

quello che nella dottrina pura del diritto di Kelsen con il ‘testo della legge’,

pone al centro la dignità delle norme e non l’uomo quale soggetto

ipotizzante. Il ‘testo della legge’ quando rimane privo della ‘legge del testo’

( che ha a che fare con la comunicazione intersoggettiva e con i conflitti di

senso) diventa un mero messaggio informazionale, che chiede di essere

eseguito; dunque, il linguaggio del diritto deve svolgersi sempre

nell’attraversarsi reciproco della ‘legge del testo’, cioè dal dialogo, e del

‘testo della legge’, cioè dalla legge scritta190

.

2. L’interpretazione della legge nel diritto ecclesiastico e la libertà

religiosa

Con la stipulazione dei Patti lateranensi, il diritto ecclesiastico è venuto a

delinearsi come sistema chiuso, caratterizzato dalla laicità dell’oggetto,

anche se risulta dipendente «dall’evolversi delle concezioni generali del

190 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 177: « Nella genesi del testo, dunque nella

legge del testo (‘logos’), l’altro viene pertanto incontrato come ‘chi’ di una condizione

comunicativa perché triale, nella reciprocità del prendere e destinare la parola,

mantenendosi in un luogo terzo, che costituisce lo spazio dove ogni parlante può esercitare

il diritto primo: riprendere una sua parola iniziante garantita dal testo della legge

(‘nomos’)».

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

63

diritto legate al fluire delle situazioni ideologiche e politiche»191

per cui oggi

è necessario che sia interpretato secondo i principi di libertà religiosa. I papi

Gregorio XVI e Pio IX consideravano il diritto alla libertà di religione come

la negazione della vera religione, poiché essi non potevano immaginare una

vera Chiesa che non fosse sostenuta dallo Stato e dalla politica; invece la

Chiesa del XIX secolo ritiene che lo Stato non abbia la competenza di

farsi garante del valore sociale della vera religione e non può non

riconoscere alle altre religioni il diritto di esistere.

Il primo Concilio che si sia espresso sulla questione della libertà di

religione è stato il Concilio Vaticano II, che come precisato da Benedetto

XVI «con il decreto sulla libertà religiosa ha riconosciuto e fatto suo un

principio essenziale dello stato moderno». Una Chiesa, quindi che non

pretende più di voler imporre Cristo per mezzo del potere temporale e che

per questo riconosce allo Stato moderno la sua laicità politica. L’apertura del

diritto ecclesiastico all’evolversi delle situazioni storico-evolutive pone però

il problema dei vincoli a cui l’interprete deve attenersi data la natura delle

norme, che hanno il loro presupposto nel diritto divino o nel diritto naturale.

Le controversie in materia religiosa rientrano tra quei casi difficili a cui il

giudice deve dare una giusta soluzione, quando i principi supremi

dell’ordinamento vengono messi in discussione per effetto del

multiculturalismo. Per risolvere questi casi non ci si può attenere solo al

diritto interno altrimenti si impedirebbe di riconoscere quelle tradizioni e

culture che meritano di essere rispettate. Con l’argomentazione, proposta da

Tommaso d’Aquino, si possono però trovare dialetticamente le soluzioni

compatibili ai principi comuni. Anche secondo il papa Benedetto XVI il

procedimento argomentativo deve essere quella risorsa che ci permette di

conoscere «la verità intera che consente sia l’esame critico dell’esistente sia

l’apertura alla diversità» per risolvere «il problema della soluzione giusta».

L’argomentazione deve essere però un «esercizio interpretativo sui

materiali culturali dell’istituire ipotesi di senso», cioè «un dire

creativamente ciò che non può essere anticipato» e che non sa dove ci porta.

L’interpretazione, quindi, avviene attraverso l’attività dialogica, che

appartiene esclusivamente all’Io in quanto entità parlante, e non in maniera

meccanica, come vorrebbe la dottrina pura del diritto di Kelsen, o Luhmann.

La giustizia non può essere contenuta all’interno di un codice, perché essa

191 E. VITALI, «Legislatio libertatis» e prospettazioni sociologiche nella recente dottrina

ecclesiastica; in DE, 1980, I, p.30.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

64

viene ripresa ogni qualvolta si istituisce o si interpreta il dettato normativo.

L’uguaglianza che è alla base dell’attività dialogica consente che nessuno

prevarichi l’altro, che l’Io e il tu abbiano la stessa possibilità di prendere la

parola, in una relazione di riconoscimento, che è intersoggettiva, dove cioè

l’Io e il tu si riconoscano uguali nella loro differenza ipotizzante. Un diritto

fenomenologicamente inteso è quello basato sul riconoscimento del rispetto

dell’altro che fonda una relazione giusta, quindi un’interpretazione giusta,

un’ermeneutica non funzionale capace di astrarre dall’uomo.

Nell’ermeneutica non funzionale si chiariscono i testi giuridici alla luce di

ciò che è sotteso alla formazione, quindi alla genesi fenomenologica del

diritto.

Al contrario l’ermeneutica funzionale di Luhmann è già predeterminata

nell’interpretazione, dovendo il sistema giuridico difendere gli altri sistemi;

pertanto, essendo basata sulla logica immunitaria, è finalizzata alla sua

conservazione. Essa esprime la contingenza più forte in quel momento,

dunque l’argomentazione viene utilizzata per una comprensione

ermeneutica funzionale dei testi, per cui la giustizia diviene una formula di

adeguamento dell’attività decisionale e la questione del senso non è più

legata al principio di uguaglianza nella differenza, quindi casi uguali

verranno trattati in modo uguale e casi diseguali in modo diseguale ( è fatto

salvo il principio dell’uguaglianza formale, che è una formula a due

versanti: uguale e non uguale).

Affinché si possa applicare il principio di uguaglianza nella differenza è

necessario che la premessa maggiore, messa a fondamento dello Stato di

diritto, dalla quale far partire l’istituzione delle norme, non sia

discriminatoria o discriminante, come pure che il giurista sappia esercitare

la tecnica giuridica normativa ponendola sempre a supporto di

un’ermeneutica non funzionale, fatta di ricerca delle intenzioni e delle

motivazioni, come dice Heidegger di «ciò che per lo più non si manifesta e

che rispetto a ciò che per lo più si manifesta ne rappresenta il senso e il

fondamento».

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

65

CONTE CLEMENTE

1. La concezione religiosa nel pensiero filosofico

Da millenni filosofia e religione sono in rapporto di reciproca alleanza e

di ostile opposizione. Molti filosofi si sono interrogati sulla natura e

sull’essenza di questo connubio. Filosofia e religione non possono essere

confrontate tra loro come due punti fissi in quanto si trovano in un continuo

processo di trasformazione storica e acquistano in ogni tempo il loro

significato solo in relazione a una verità eterna che la rispettiva veste storica

a un tempo occulta e le trasmette; vi sono – quindi – alcuni tratti che

caratterizzano la differenza tra filosofia e religione: la religione è il culto che

lega una particolare comunità di uomini che la praticano; è strettamente

connessa a un mito; la sua essenza appartiene al rapporto che si instaura tra

gli uomini e la Trascendenza: questo rapporto si presenta nel mondo nella

forma del sacro, completamente separato da ogni realtà profana. Di

conseguenza, se il sacro non esiste o viene rifiutato, svanisce il tratto

caratteristico della religione. La filosofia, invece, non conosce alcun culto,

alcuna comunità diretta da preti, alcuna santità che nel mondo sia in grado

di distinguersi da ogni altra realtà del mondo. La filosofia ha presente

ovunque e in ogni tempo ciò che la religione localizza in qualche luogo. Nel

singolo essa si sviluppa in singole relazioni umane, che non sono

sociologicamente condizionate e non necessitano della garanzia di una

comunità. La filosofia non ha riti e non dispone di miti intesi come

originariamente reali. A trasmetterla, onde consentirne l’appropriazione, è

una libera tradizione che di volta in volta si trasforma. Anche se appartiene

all’uomo in quanto uomo, essa si rivolge solo al singolo. Possiamo, a questo

punto, affermare che la religione tende ad incarnarsi mentre la filosofia

tende solo ad una certezza efficace.

2. La teoria di Niklas Luhmann

Uno dei massimi rappresentanti che ha analizzato la funzione della

religione nella struttura sociale è Niklas Luhmann. Secondo il pensiero di

Luhmann, i vari sottosistemi sociali come l’economia, la politica, l’arte, la

scienza, la morale, la famiglia e la stessa religione, si rendono sempre più

autonomi gli uni dagli altri, sviluppando dinamiche di funzionamento

autoreferenziali, con propri codici simbolici non più dipendenti dalla

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

66

legittimazione religiosa. La religione, quindi, non è più il fulcro

dell’integrazione sociale, ma molto più semplicemente uno dei fattori che,

insieme ad altri, interagisce in una rete complessa di relazioni la quale non

riconosce più autorità superiori ad altre, ma solamente funzioni più o meno

efficaci al fine dell’integrazione. Tuttavia non va dimenticato che accanto

alla più o meno marcata marginalizzazione della religione, l’esito della

differenziazione funzionale è anche la specializzazione della religione

all’interno della sfera propriamente religiosa: abbandonando

progressivamente, volente o nolente, tutte quelle funzioni non propriamente

religiose che nel corso dei secoli aveva accumulato, essa si concentra sugli

aspetti che più le sono propri. A strutturare la società, in definitiva, non è più

la religione: a contendersi il suo posto sono lo Stato e il mercato e

all’interno di queste due nuove realtà la religione deve ricomprendersi

partendo da posizioni non più di monopolio o di privilegio. Il diritto, per

Luhmann, si inserisce in questo frangente come un sistema sociale nel quale

si realizza la generalizzazione congruente delle aspettative normative di

comportamento. La congruenza garantisce la funzionalità del diritto sul

piano sociale, temporale, materiale. La generalizzazione immunizza il diritto

dai rischi di continua problematizzazione. Strutturato nella forma di

programma condizionale, il diritto assicura solo la certezza che si avrà una

decisione: resta incerto quale. La possibilità del diritto legalizza la

possibilità di trasformazione delle norme, stabilizza, cioè, la capacità di

apprendimento da parte del sistema. La norma però viene intesa come

indisponibile all’apprendimento. Luhmann colloca l’analisi della funzione

del diritto ad un livello d’ordine superiore rispetto a quello al quale quella

funzione era collocata nel pensiero sociologico classico. La differenziazione

funzionale non significa dunque scomparsa della religione ma una sua

profonda e radicale ridefinizione.

Per Luhmann l’uomo c’è ma viene considerato come un’entità biologica

e adotta formule di adeguamento. In questo modo il diritto subisce

l’evoluzione con appunto l’adeguamento, lo sfruttamento e la costruzione di

piccoli elementi funzionali che, in accordo con il sistema giuridico, non

devono tralasciare elementi essenziali come la temporalità, la possibilità e la

varietà (della complessità). I sistemi, per Luhmann, riducono la

complessità; difatti, il giudice per Luhmann è l’esecutore del

fondamentalismo funzionale: interpreta la norma solo alla luce della

costellazione dei sistemi sociali.

Tornando al punto di vista religioso, secondo Luhmann, la religione,

come sopra enunciato, deve essere inserita nell’ambito di un sistema

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

67

parziale avente la funzione di raffigurare l’indeterminabile; più nello

specifico il fenomeno religioso viene inserito nell’ambito del rapporto

sistema-ambiente, in quanto egli sostiene che: «la religione prende ciò che è

sovrannaturale dall’esterno trasformando la complessità indeterminata in

complessità determinata»192

. L’approccio alla religione nella società

moderna per Luhmann è prettamente sociologico e il lavoro è da lui svolto

in una prospettiva evolutiva in base al principio della differenziazione che,

lungo un processo storico, da segmentaria o stratificata diventa

primariamente funzionale. In forza di tale differenziazione ogni ambito

funzionale acquista una maggiore stabilità propria e una maggiore

autonomia.

Luhmann, sostiene,inoltre, che nelle società moderne, caratterizzate da

una separazione tra chiesa e Stato, il ruolo della religione civile è svolto

dalla credenza in valori fondamentali (Grundwerte) che si collocano in una

sfera trascendente rispetto al sistema politico: la religione secondo Luhmann

non va confusa con una “religione civile” intesa come una sorta di

tabuizzazione dei valori fondamentali della cultura liberale. Quest’ultima

non è assolutamente idonea ad esprimere un’autentica coscienza religiosa,

poiché, in quanto tale, non è in grado di esprimere il soprannaturale, ossia

ciò che soltanto la religione, in quanto teologia della rivelazione, può

esprimere.

Il codice del sistema religioso, dal punto di vista sistemico luhmanniano

è trascendenza/immanenza. La religione manifesta in questo senso la non

esaustività e la contingenza del mondo, rappresenta l’irrappresentabile, il

trascendente, attraverso determinate formule di contingenza, la più

importante delle quali è Dio. In Luhmann la religione svolge la sua

funzione sociale tenendo vivo in primo luogo non il senso della solidarietà,

dell’accoglienza o dei valori civili bensì il senso di Dio, della trascendenza e

della chiesa, ma senza tener conto di quella «genesi della vita interiore che

sollecita l’uomo a prendere posizione, a interrogarsi nella continua

ristrutturazione della sua identità esistenziale»193

. Per Luhmann la funzione

della religione è quella di essere un medium della comunicazione che come

gli altri media, semplifica, ovvero costringe in un senso determinato un

senso indeterminato, riducendo così la contingenza e aiutando gli individui a

rendere più tollerabile il mondo. In questo la religione funziona come gli

altri media della comunicazione, ovvero la sua capacità di riduzione della

192 N. LUHMANN, Funktion der Religion, Frankfurt, 1977. 193 B. ROMANO, Sistemi biologici e giustizia.Vita animus anima, cit. p. 103.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

68

complessità e conseguentemente di tranquillizzare, non sono specifiche

della religione; ciò che è specifico è il dominio della sua semplificazione.

Quando tra gli spazi dell’interpretazione religiosa soggettiva e gli spazi

dell’interpretazione religiosa ufficiale, gestiti da chiese o sette, si raggiunge

un punto di equilibrio che permette di mantenere sotto controllo la sfera di

determinate emozioni, allora il sistema della religione riesce a svolgere

quella sua funzione di riduzione della complessità riducendo il disordine

delle pulsioni individuali attratte dal sacro entro l’ordine di una credenza

stabilita e razionalizzata194

.

La religione, in conclusione, risponde - dunque - a domande di senso

soggettivo a cui nessun altro sistema può rispondere; essa nella fattispecie,

secondo Acquaviva e Pace, elaborando un complesso sistema di segni,

permette di pensare che la società sia fondata su un sistema di valori, che la

vita abbia una specifica direzione, che il mondo abbia un’armonia

intrinseca, riconducendo tutto questo alla nozione unica di Dio. La religione

permette, in altri termini, di ricondurre ad unità il mondo diviso e

ultracomplesso e la società differenziata.

CLAUDIA PANTANO

Questioni ermeneutiche nel diritto ecclesiastico

1. Attività interpretativa e ricerca del giusto

Il problema dell’interpretazione del diritto si presenta come uno dei più

complessi fra quelli con i quali la scienza giuridica contemporanea e lo

stesso uomo devono confrontarsi.

Interpretare significa in primo luogo comprendere il testo, capirne il

significato e rispetto al testo legislativo l’interpretazione si propone come

conoscenza tecnica, linguistica delle norme, ma non può essere limitata alla

sola testualità in quanto deve tendere alla ricerca dello spirito della norma,

della ratio legis, che può essere ricostruito solo attraverso l’interpretazione.

L’attività interpretativa contribuisce alla formazione del diritto vivente: così

se l’attività legislativa è fondamentale, essenziale per la creazione della

norma, all’attività interpretativa se pur in modo differente, non può essere

194 ACQUAVIVA-PACE, Sociologia delle religioni, Roma,1998 p. 48.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

69

riconosciuta un’importanza minore. I due momenti sono quindi fortemente

legati e collegati tra loro, in un rapporto di cooperazione tra il legislatore e

l’interprete195

.

Hans-Georg Gadamer, che può essere considerato uno dei fondatori

dell’ermeneutica contemporanea grazie alla sua opera più significativa,

Verità e metodo, afferma che chi si pone davanti ad un testo cercando di

comprenderlo entra nel circolo ermeneutico ed entra nel movimento storico

della comprensione che egli chiama “fusione di orizzonti”: l’orizzonte dello

studioso, formatosi entro la tradizione e la pre-comprensione del presente, e

l’orizzonte del testo da comprendere che porta con sé tutte le comprensioni

e tradizioni che ha vissuto. Per Gadamer l’ermeneutica contemporanea non

consiste solo nella comprensione del testo, ma esso deve essere arricchito

con le problematiche trascurate dall’autore stesso del testo, che vengono

portate alla luce grazie al lavoro continuo dei diversi interpreti, che sempre

aggiungono quesiti e risposte diverse ai diversi significati che scaturiscono

dal testo in relazione al presente. Il testo deve essere considerato come un

“recipiente” di significati che dialogano continuamente con il presente

rappresentato dall’interprete e quindi non può mai presentare una sola verità

oggettiva196

.

È interessante evidenziare come rispetto a queste due figure, la visione

gadameriana sia distante dalle posizioni di Luhmann. Nel sistema diritto

Luhmann definisce il legislatore osservatore di primo grado; ha il compito

di selezionare e scegliere le aspettative cognitive meritevoli di tutela, cioè le

aspettative che provengono dalla collettività (valori, pretese, bisogni della

società, interessi della società), e trasformarle in aspettative normative,

sintetizzandole quindi in norme. A questo punto interviene l’interprete, il

giudice definito osservatore di secondo grado: osserva il prodotto del

legislatore cioè la norma, e adatta la fattispecie astratta a quella concreta197

.

Mentre per Gadamer l’interprete-giudice è fortemente legato alla propria

realtà perché considera l’avventura del capire un processo ininterrotto, una

linea continua di effetti che la tradizione tramanda all’interprete e quando

giunge a lui, la tradizione incontra anche i suoi impegni culturali, storici ed

esistenziali e si traduce nel suo proprio orizzonte di senso198

, per Luhmann

invece il giudice è un mero tecnico delle norme, il cui compito è osservare i

195 G. LO CASTRO, Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, Rivista telematica, Giugno

2010. 196 http://www.padrebergamaschi.com/Filosofia/gadamer.html 197 Lezioni. 198 G. PALOMBELLA, Conoscenza del diritto e democrazia, II parte.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

70

testi e interpretarli, non vi è un rapporto diretto con la realtà perché questa è

già stata osservata dall’osservatore di primo grado.

L’ermeneutica contemporanea può essere suddivisa in: teoria

ermeneutica-esegetica ovvero ermeneutica intesa come interpretazione del

testo, interpretazione testuale; filosofia ermeneutica che non tende alla

conoscenza e ricognizione oggettiva del significato inteso dall’autore, ma

alla spiegazione dell’esserci dell’uomo nella sua determinazione temporale

e storica; l’ermeneutica critica nella quale la critica è guidata dal principio

della ragione.

Interessante è il pensiero di Emilio Betti che riconosce nel processo

interpretativo quattro momenti: il momento filologico (linguistico)

riguardante cioè la grammatica e il testo; il momento critico; il momento

psicologico che è volto a svolgere un’indagine sulla posizione dell’autore

nel testo; il momento tecnico.

Betti inoltre tra i vari tipi di interpretazione pone la cosiddetta

interpretazione in funzione normativa nella quale include non solo il diritto,

ma anche la teologia. Mentre però, il diritto seguirebbe le regole della

hermeneutica iuris, la teologia e il diritto canonico seguirebbero quelle della

hermeneutica fidei.

Sia il diritto che la teologia si trovano dinanzi a testi vincolanti che

devono essere interpretati tenendo conto non solo del problema

dell’intendere, ma anche del problema dell’intendere per l’agire ovvero

dell’esigenza pratica di essere osservati. Betti quindi evidenzia l’importanza

di uno spirito contemplativo legato ad uno spirito pratico. Inoltre non esiste

più contrapposizione per Betti tra soggetto che comprende e l’oggetto

compreso, in quanto entrambi fanno parte dell’unico processo storico in cui

l’uomo è destinato a comprendere se stesso199

.

L’interpretazione deve essere volta a mettere in relazione la scienza

ecclesiastica con tutti gli altri settori della scienza giuridica e delle scienze

umane, evitando di porsi su posizioni dogmatiche, assolute e cristallizzate

che finiscono per sottrarsi a qualsiasi analisi storico-evolutiva, quasi fossero

da ritenersi immutabili200

.

La norma stessa non deve essere concepita come qualcosa di assoluto,

perché il diritto vigente è qualcosa di provvisorio legato ad una realtà

sempre in evoluzione e ciò giustifica, garantisce e esige il divenire del

199 MONS. ANTONI STANKIEWICZ, L’ermeneutica del diritto canonico e la creatività

giuridica nell’interpretazione giudiziale. 200 M. TEDESCHI, Sulla scienza del diritto ecclesiastico, Milano, 2007, p. 144.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

71

diritto che mira al giusto, senza che però possa mai pretendere di averlo

raggiunto201

.

Il vero diritto è inseparabile dalla giustizia. Il principio vale ovviamente

anche per la legge canonica, nel senso che essa non può essere rinchiusa in

un sistema normativo meramente umano, ma deve essere collegata a un

ordine giusto della Chiesa, in cui vige una legge superiore.

Solo attraverso l’attività interpretativa è possibile individuare le iniquità e

evidenziare ciò che in una legge non viene riconosciuto come giusto.

Nella Teoria sistemico-funzionale di Luhmann non c’è alcuna ricerca del

giusto, non c’è alcuna ricerca del senso, tutto è funzione, lo stesso

interprete, il giudice è chiamato ad agire funzionalmente, svolge solo un

ruolo. La giustizia è una forma di contingenza, tutto viaggia sull’onda della

contingenza cioè “è giusto ciò che accade”; non c’è buono o non buono,

giusto o non giusto. La comprensione del testo è finalizzata alla funzione202

.

Bruno Romano critica le posizioni che negano l’esistenza del male, nella

prospettiva che il male è negazione della dimensione giuridica.

Egli ritiene che «il male comincia a formarsi quando si nega all’altro

l’ascolto, ascolto che libera l’io e il tu dalla chiusura e rende possibile la

costituzione-affermazione della propria identità esistenziale». Proprio

dall’apertura verso l’altro, dal dialogo nasce il diritto, diritto che coincide

con «il bene nel senso che il bene è sempre nella sua interpretazione, non a

partire dalla norma preordinata, ma come risposta, ripresa e conferma di

una tendenzialità costitutiva della coesistenza inter-umana».

La giustizia è collocata sul piano della possibilità dell’uomo di dialogare

con l’altro, l’Io mette in gioco se stesso nella relazione di riconoscimento.

Il giusto è il riconoscimento dell’altro, al contrario l’esclusione, cioè il

“negare il riconoscimento dell’altro come soggetto del domandare e del

rispondere” è il non giusto203

.

2. Attività dell’interprete come attività creativa

Quando si pone in evidenza che l’apertura del diritto ecclesiastico alle

altre scienze si attua attraverso il momento interpretativo, e ci interroga su

201 G. LO CASTRO, Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, Rivista telematica, Giugno

2010. 202 L. AVITABILE, Lezione di teoria dell’interpretazione e informatica giuridica, 28/10/2013

e 04/11/2013. 203 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 117.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

72

quali siano i limiti dell’interprete rispetto alle norma di diritto ecclesiastico

sorge il problema se l’attività interpretativa possa essere considerata e

definita attività creativa.

È opportuno partire dal presupposto che ritenere l’atto interpretativo

come avente natura creativa rischia di rendere impossibile conciliare la

storicità dei valori e la pretesa assolutezza che può essere difesa solo se i

valori sono indipendenti dal soggetto che li afferma.

Un primo limite posto alla discrezionalità dell’interprete è sicuramente

dato dalla continuità rispetto al testo normativo interpretato, ma questo

limite comunque non impedirebbe di pensare tale attività come creativa

anche perché l’interpretazione non può ridursi ad una mera proclamazione

del diritto che deve essere spiegato dall’interprete204

. In particolar modo le

norme di diritto ecclesiastico offrono all’interprete una varietà di modelli e

rendono quindi necessario modi diversi di intendere il diritto e di

interpretare le sue norme; si «richiede all’interprete una sensibilità e duttilità

particolare frutto di una formazione e di un’esperienza composita ma anche

della tensione ideale che la sorregge». L’interpretazione non può essere

considerata una mera operazione tecnica, anche perché l’ecclesiasticista non

ha in genere una formazione esclusivamente tecnico-giuridica, ma anche

storica e comparatistica, volta in direzione sia statuale che confessionale e di

conseguenza qualora si trovasse di fronte ad interpretazioni provenienti da

altri settori, potrebbe ritenerle parziali, insufficienti, tali da non cogliere il

significato intrinseco delle norme. Quindi «quest’esperienza particolare può

costituire un arricchimento per il teorico generale».

Si sono confrontati diversi orientamenti sul tema del riconoscere o meno

natura creativa al momento interpretativo.

C’è chi ha parlato di ‘atto inventivo’ dell’interprete come vera e propria

espressione di arte, l’arte del diritto, che non può sottostare a rigide regole

tecniche e nella quale si manifesta la creatività dell’interprete. Altri, invece

sono più vicini al dato oggettivo, cioè pur riconoscendo all’interprete

un’attività creativa, la riconducono alla proposizione normativa così

considerata:

«per il suo carattere precettivo, deve poter contare sul potere suggestivo

della parola, cioè sul suo contenuto irrazionale, che conserva il riflesso della

sua storicità, e nel tempo stesso lascia un alone indefinito, che consente

l’esplicarsi della libertà di apprezzamento dell’interprete».

Un’altra corrente di pensiero distingue nel diritto ‘il dato’ (complesso di

rapporti, fatti materiali, economici, politici, religiosi e il ‘costruito’

204 G. LO CASTRO, Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, cit.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

73

(complesso di regole e norme), il primo oggetto della scienza, l’altro della

tecnica ritenendo che l’interprete aggiungerebbe qualcosa al “costruito”

andando oltre la legge per guardare alle esigenze obiettive e soggettive205

.

Vi è chi infine concepisce l’interpretazione «come costante momento di

mediazione tra il corpus iuris dato e la mutevole realtà»206

e ribadisce che la

legge non è mai qualcosa di dato, ma sempre qualcosa che deve essere

interpretato e applicato; l’interpretazione non è mai una dichiarazione o

riconoscimento, ma atto costitutivo di decisione e di creazione del diritto

che non significa arbitrio dell’interprete, ma commisurazione e

conformazione della normatività del testo legislativo alla intrinseca e

originaria prescrittibilità di vita da regolare207

. L’interprete in questa

ricostruzione fa sicuramente valere le sue convinzioni, tradizioni, ma

l’arbitrarietà della sua opera trova un limite nel criterio di continuità che

lega con la norma il risultato dell’interpretazione e sull’osservanza di tal

criterio veglia la communis opinio.

Tutti questi orientamenti hanno in comune la preoccupazione di

salvaguardare la realtà e l’autonomia oggettiva del diritto che non esclude

però il riconoscimento dei fattori innovativi dell’interpretazione in

ricostruzioni che mirano all’equilibrio tra oggettività del diritto e

soggettività della sua interpretazione.

A tutte questi tesi si contrappone quella della preminenza dell’oggettività

della norma secondo la quale avrebbe maggiore importanza il carattere

dichiarativo o meramente esplicativo dell’interpretazione, idea che ha dato

vita al positivismo dottrinario. Se le precedenti concezioni l’interpretazione

è concepita come storia, il positivismo dottrinario agisce e si muove per

mettere al riparo il diritto dalla storia; il positivismo dottrinario è sinonimo

di conservazione del dato, non riesce a spiegare e convogliare nella storia il

divenire della società giuridica, è quindi espressione si antistoricismo208

.

205 Ibidem. 206 T. ASCARELLI, Problemi, cit., p. 71. 207 V. SCALISI, Fonti, teoria, metodo. Alla ricerca della “regola giuridica”nell’epoca della

postmodernità, Milano, p. 132. 208 G. LO CASTRO, Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, cit.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

74

SEZIONE IV – DIRITTO PENALE

ANTONIO D’ANNOLFO

1. La scuola ermeneutica e la sua influenza nel Diritto penale

L'ermeneutica giuridica, o anche interpretativismo giuridico209

, è una

scuola di pensiero della filosofia del diritto manifestatasi in modo influente

nel XX secolo. Originariamente tale concetto, ripreso dal termine

«hermeneuein», riconduceva ad una riflessione sulla metodologia

dell'interpretazione della norma giuridica; con l’evolversi poi della società e

delle condizioni socio-culturali e socio-economiche, essa ha ampliato il

proprio campo di interesse, diventando una corrente filosofica di margine

più generale, comprendente ogni ambito giuridico «dalla sfera civile a

quella penale». L'attenzione, dunque , non è più posta sulla legge in sé, ma

sulla giurisprudenza , ossia sulla concreta applicazione delle norme e sulla

loro interpretazione; quindi «sulla conoscenza dello spirito del testo e sulla

conoscenza tecnica della norma». In tal modo si pongono le basi per il

superamento della struttura tradizionale dell'interpretazione statica ed

obbiettiva tesa a ripercorrere il procedimento mentale che il legislatore

realizza in fase di delegificazione. Si necessita, pertanto, di un nuovo

metodo di lavoro attraverso il quale si sposti l’attenzione sull'attività

interpretativa e applicativa; il compito di tale processo è chiarire e stabilire

il significato delle disposizioni e degli enunciati nei quali si articola il testo

di un atto normativo in virtù della loro applicazione in casi concreti. Una

ulteriore considerazione è che, il metodo teleologico o finalistico,

nonostante gli indubbi traguardi e vantaggi a cui ha portato la sua

applicazione, solleva non poche perplessità se si considera che la c.d. ratio

legis (o scopo della norma di volta in volta interpretata) non è un dogma,

come risulta dal testo redatto dal legislatore, ma necessita di continue

reinterpretazioni. La conseguenza è che i risultati progressivi o

attualizzatori, a cui tale procedimento può pervenire, rischiano di far filtrare

le preferenze ideologiche dell'interprete della norma più di altri criteri

interpretativi, aprendo così la strada all'inclusione di nuovi e diversi fatti

tipici non previsti, di per sé, dal legislatore, né tantomeno considerati, tali da

indurre una interpretazione distante dalle reali intenzioni dello stesso.

209 H. G. GADAMER, L’ universalità del problema ermeneutico, Bologna, 1968, p. 15.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

75

Occorre, dunque, circoscrivere un’area di interesse entro cui attuare il

procedimento sopra descritto e fissare dei punti, ovvero delle regole entro le

quali stabilizzare il processo ermeneutico dell’interprete nei confronti della

legge, evitando così che la disposizione emanata dal legislatore venga

«ampliata» dal «di più» proprio di chi applica la norma. L'interpretazione

assume un ruolo delicato nel diritto penale, in vista delle possibili ricadute

sul principio di legalità. A tal proposito diversi sono i criteri elaborati dalla

dottrina per soccorrere all'incertezza che deriva dalla formulazione dell'art.

12 delle preleggi; questo , infatti , non stabilisce se debba prevalere il

significato stesso delle parole adottate dal legislatore o la sua intenzione

quando i risultati siano contrastanti.

2. La terzietà giuridica nel diritto penale

Riprendendo il discorso sul diritto penale e sulle questioni ermeneutiche

ad esso correlate, bisogna porre l’accento sul discorso inerente la terzietà

giuridica e la sua importanza nell’ ambito di questo studio, andando , quindi,

ad elaborare il discorso strutturandolo in base ai punti di vista presi in

osservazione: ermeneutico-filosofico, dottrinale-penalistico e ermeneutico-

penalistico210

. A tale scopo è doveroso definire cosa si intende parlando di

terzietà giuridica211

e come essa si componga: «la terzietà» rappresenta il

luogo del reciproco riconoscersi nell’ambito della formazione dell’ identità

esistenziale mediante l’alterità. Essa si esplica, infatti, nelle tre figure che la

compongono come unità: quella del «terzo-legislatore» ; quella del «terzo-

giudice» e quella del «terzo-polizia». Questi tre personaggi emblematici

della terzietà hanno una loro specificazione temporale; il venir meno di una

di tali figure causa il venir meno dell’incidere giuridico ed ortonomo delle

altre due; quindi la terzietà giuridica nella sua unità è condizione e misura

del relazionarsi giuridico in quanto tale” 212

. “Tali soggetti risultano, o

meglio «devono» risultare come delle «figure imparziali e disinteressate» e

dunque non monetizzabili nel mercato del «self-service normativo»213

.

210 B.ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il Nichilismo « perfetto», Torino 2006, p.

188. 211 (ID.), Ragione giuridica e Terzietà nella relazione. Una introduzione alla filosofia del

diritto, Roma, 1998, p. 86. 212B.ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il Nichilismo « perfetto», Torino 2006, p.

191. 213 P. LEGENDRE, Sur la question dogmatique en Occident, Parigi 1999, p. 67.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

76

Viene, pertanto, descritta la terzietà giuridica come una caratteristica

peculiare e caratterizzante del legislatore, del giudice e di tutto l’organo

giudiziario comprensivo dell’intero apparato-tribunale e della polizia-

giudiziaria. Diviene opportuno ricordare come la Costituzione, ovvero la

fonte primaria, risulti essere il primo testo ad esplicitare i principi inerenti la

terzietà giuridica e la sua «giustezza» in tema di processi. Nel suo art. 111 ,

infatti, vengono introdotti i suoi principi cardine:

- la giurisdizione si applica mediante il giusto processo regolato dalla

legge;

- la locuzione «giusto processo» si riferisce ad un concetto ideale di

Giustizia, che preesiste rispetto alla legge e che è direttamente collegato a

quei diritti inviolabili di tutte le persone coinvolte nel processo, che lo Stato

in base all’art. 2 Cost. si impegna a riconoscere;

- il soggetto ,che subirà gli effetti di un provvedimento giurisdizionale,

deve essere messo in grado di esporre le sue difese prima che il provvedi-

mento sia emanato;

- si sancisce inoltre la «parità delle parti»;

- il processo deve svolgersi davanti ad un giudice «terzo e imparzia-

le». L’imparzialità concerne la funzione esercitata nel processo ed impone

che non vi siano legami tra il giudice e le parti. La terzietà invece concerne

lo status del giudicante stesso. Questo , infatti, non deve cumulare altre

funzioni ne ricoprire altri ruoli all’interno del medesimo procedimento, cosi

da non far scaturire in se un «pregiudizio» tale da non permettere una corret-

ta ed equa interpretazione e applicazione della norma redatta dal legislatore.

La fondamentale importanza rivestita dalla imparzialità del giudice

nell’ambito della tutela giurisdizionale dell’individuo è contrassegnata

dall’esplicito riconoscimento contenuto negli strumenti normativi più signi-

ficativi in tema di salvaguardia dei diritti naturali dell’uomo: e cioè negli

artt. 6, numero 1, 14 e 10, rispettivamente, della Convenzione europea dei di

diritti dell’uomo, del Patto internazionale sui diritti civili e politici e della

Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. In tutte e tre le norme con

identiche parole si afferma che: «Toute personne a droit à ce que sa cause

soit entendue [...] par un tribunal indépendent et impartial».

Eppure nella nostra Carta costituzionale l'indagine in ordine ai riscontri

normativi del principio del "giusto processo" appare non molto agevole. Ciò

spiega perché la Corte abbia considerato validamente evocati vari parametri

costituzionali (e tra questi principalmente gli artt. 3 e 24 della Costituzione,

congiuntamente richiamati, ma anche l’art. 101, comma 2, e l’art. 25, com-

ma 1) per definire tale principio, il quale comporta che «il giudizio si formi

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

77

in base al razionale apprezzamento delle prove raccolte ed acquisite e non

debba subire l'influenza di valutazioni sul merito dell'imputazione già in

precedenza espresse dal medesimo giudice». Nella giurisprudenza comuni-

taria risulta, invece, costantemente affermato che se da un lato l'imparzialità

del giudice si presume fino a prova contraria, dall'altro deve tenersi conto, in

relazione all'aspetto oggettivo, anche della semplice "apparenza" di parziali-

tà, in quanto il giudice, oltre ad essere imparziale, deve anche apparire tale.

In definitiva, l'art. 34 del codice di procedura penale deve essere visto come

una norma di salvaguardia per il giudice, che non è costretto a far violenza a

sé stesso ed a comprimere i condizionamenti dovuti alla sua pregressa parte-

cipazione al procedimento, essendo in tal caso legittimato a sottrarsi al pro-

prio dovere di giudicare. L'istituto della incompatibilità è dunque preordina-

to alla garanzia di un giudizio imparziale, che non sia né possa apparire

condizionato da precedenti valutazioni sulla responsabilità penale dell'impu-

tato manifestate dallo stesso giudice in altre fasi dello stesso processo tali da

poter pregiudicare la neutralità del suo giudizio.

È questo il fulcro attorno al quale ruota il presente elaborato: si intende,

perlopiù, criticare il lavoro interpretativo ( ritenuto a tratti erroneo ) attuato

da chi è preposto a tale scopo,. Molto spesso, infatti, ci si imbatte in casi in

cui non avrebbe senso il «giudizio giuridico» ; il quale viene derubato della

sua terzietà e quindi contaminato dalla pregiudizio che non rende obbiettivo

colui che è chiamato a comprendere e ad attuare la norma. Si svuota ,

pertanto , il diritto della sua essenzialità ,della sua base garantistica; lo si

renderebbe vuoto e si priverebbe il contraddittorio della sua funzione-

cardine: auspicare e garantire l’eguaglianza delle parti in dibattimento. Si ha

quindi, come precedentemente specificato, il bisogna di delimitare un

«campo di intervento» entro il quale possa attuarsi l’interpretazione

ermeneutica-giuridica.

3. L’ interpretazione ermeneutica della terzietà giuridica giustificata

dalla tesi di Pareyson

In una successiva sentenza 1996 la Corte costituzionale, al fine di evitare

«straripamenti ermeneutici», ha delimitato i confini entro i quali può

rilevare la forza della interpretazione e determinarsi l’incompatibilità per il

giudice. Questo procedimento si attua mediante una «quadruplice

precisazione»:

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

78

- deve trattarsi di una pluralità di interventi valutativi che abbiano ad

oggetto la medesima res iudicanda;

- deve trattarsi non di una semplice «conoscenza» di atti anteriormente

compiuti e riguardanti il processo, ma di valutazione di essi al fine di una

decisione;

- deve trattarsi di un valutazione degli atti compiuta dal giudice allo

specifico fine di un giudizio, e cioè di decisioni sul merito della causa, com-

portanti apprezzamenti non formali ma contenutistici degli elementi di accu-

sa;

- tali valutazioni devono essere riferite a fasi diverse del processo.

Delimitati i limiti entro i quali poter attuare una corretta e proficua inter-

pretazione ermeneutica, allora si potrà giustificare tale azione e quindi ac-

cettare tutti i benefici che può arrecare nell’ambito giuridico. A tal proposito

si cita la tesi seguita da Pareyson. esso paragona il diritto ad un’opera d’arte:

«l’opera non vive che nelle sue proprie esecuzioni»214

; l’autore afferma cer-

tamente che «la vita delle norme ( terzo-legislatore ) è nella loro interpreta-

zione (terzo-giudice) e nel conseguente concretizzarsi (terzo-polizia)». Co-

me l’opera d’arte , dunque, anche la norma del legislatore risulterà essere

«congenitamente incompiuta» cosi da richiamare continuamente molteplici

interpretazioni215

; così da rendere l’inesauribilità del diritto che ne regola il

singolo caso. Secondo Pareyson , infatti, « l’opera d’arte suscita, desta, sti-

mola infinite interpretazioni»; allo stesso modo ogni singolo caso esaminato

dal giurista comporta una interpretazione diversa della norma.

La legge, infatti, deve sempre attenersi alla ratio con la quale è stata ideata,

al suo fine ultimo; è opportuno, dunque, tenere sempre in considerazione le

caratteristiche peculiari della terzietà giuridica che devono essere proprie di

chiunque sia chiamato a giudicare, a «dibattere in aula» o semplicemente a

far «rispettare la legge» cercando di non escludere l’ inevitabilità della de-

cisione e la certezza del diritto che deve essere perseguita mediante la ricer-

ca «del giusto nel legale»216

.

GIANLUCA LO GIUDICE

214 L. PAREYSON, Estetica. Teoria della formatività, Milano 1988, p. 234. 215 Ivi, p. 235. 216 B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il Nichilismo «Perfetto », Torino 2006, p.

212.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

79

1. La concezione dell’uomo nell’interpretazione del diritto penale

Nella teoria sistemico-funzionale di Niklas Luhmann, l’uomo inteso

come io pensante, capace di scelte, pensate, volute, decise è relegato ad un

simbolo, viene messo in «epoque» direbbe Kelsen217

.

Per Luhmann l’uomo è una bandiera al servizio del sistema, non importa

quale sistema, che sia giuridico, economico, sociale, l’importante è che il

sistema globalmente inteso funzioni, ed è essenziale che l’uomo sia

funzionale ad esso. Viene ipotizzato un io «frammentato».

In Romano l’io è inteso come un soggetto ipotizzante, ha una soggettività

piena. L’essere io è cosi quando può confrontarsi con gli altri su un piano di

uguaglianza, senza prevaricazioni, con gli altri dialoganti. È infungibile e

non è «precalcolabile» nell’anticipazione. È appunto disfunzionale. Nella

teoria sistemico funzionale invece, l’uomo è tutt’altro: è un individuo inteso

come ente, non è un io pieno, è soltanto materia senza spirito. L’uomo è un

individuo, è uno nessuno e centomila, come lo descriverebbe Pirandello. È

un uomo topologico: egli è il risultato del luogo dove abita, frutto della

contingenza, della legge del più forte. Poiché c’è contingenza c’è la

negazione della possibilità, della libera scelta. Non potendo liberamente

scegliere l’uomo può compiere solo quelle scelte che il sistema gli permette,

quelle che sono funzionali al sistema.

In questa visione del mondo, e del diritto, non c’è bisogno di

interpretazione. Nella concezione luhmaniana il diritto non è dato dal «dia-

logos» con gli altri, non c’è interpretatio perché non serve;

nell’interpretazione funzionale è necessario che l’io non interpreti, o meglio,

che interpreti oggettivamente. Anche la giustizia è una forma di

contingenza. Ma può l’uomo permettere che la sua essenza sia rinchiusa in

uno schema? L’uomo è altro. Non è un algoritmo matematico, è

imprevedibile. Per quanto possano essere fatte delle medie, economiche,

statistiche, egli si rifiuta di rientrare in delle categorie.

L’uomo è l’«io patico»218

, si lascia attraversare dal pathos delle emozioni

e decide con volontà. Questo decidere con volontà fa si che l’uomo sia

217 Kelsen fautore della Teoria pura del diritto, nei suoi studi è molto vicino a Luhmann.

Nella sua teoria viene messo da parte il logos, l’io è confinato come tra due parentesi nel

mondo delle relazioni interpersonali. In Kelsen la dimensione dialogica manca; viene

depurata da tutte quelle dimensioni che non si lasciano osservare. L’io puro è colui che

essendo svuotato di quello che è proprio dell’io diviene un ente senziente, una scatola

vuota. 218B. ROMANO, Due studi su forma e purezza del diritto, Torino, 2008, p. 63.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

80

imputabile giuridicamente. Come potrebbero spiegarsi secondo la teoria di

Luhmann gli elementi psicologici del reato? Non si potrebbe perché si parla

di intenzioni, previsioni, di qualcosa di incalcolabile; di qualcosa che sfugge

agli schemi del sistema. Dice Romano che «il pathos si manifesta nello

scegliere, dunque nel volere imprimere una specifica direzione di senso

all’esistere…l’atto del volere non è determinato dalla conoscenza, ma nasce

con l’esercizio della libertà, dunque con l’io patico e non con l’io

gnosico»219

. Volendo fare un esempio nella teoria sistemico funzionale

l’omicidio verrebbe punito nella misura in cui il sistema decide che deve

essere punito, in quanto reca danno al sistema. Ma l’interpretazione, nel

senso nobile del termine è qualcosa di molto più profondo: è andare dietro i

fatti ictu oculi. E’ ricercare le motivazioni, le ragioni, lo stato psicologico

che ha portato a quell’azione. Sono presenti nei vari paesi cosiddetti

civilizzati vari gradi di giudizio proprio perché è permesso agli operatori del

diritto di interpretare.

Nel diritto penale acquista quindi, grande importanza la figura dell’io. Di

quell’io capace di scelte consapevoli, di essere imputabile agli occhi della

giustizia. Si è imputabili perché capaci di discernimento, di decidere, di

valutare, e quindi poi compiere atti che possono transitare nell’esistenza

degli altri220

procurando delle volte danni. La colpa, intesa come elemento

psicologico del reato, è ascrivibile solo all’uomo; solo un io pensante,

ipotizzante è imputabile221

. Imputabile perché libero di determinarsi e

quindi di compiere scelte consapevoli. Si potrebbe rimproverare che delle

volte non tutte le scelte sono consapevoli, in quanto frutto di una

contingenza dei fatti, degli accadimenti che privano l’io del libero arbitrio.

Ma comunque si può ritenere che siano sempre le scelte che l’uomo ha

compiuto, scelte libere ed autonome, che lo hanno portato, se del caso, al

posto sbagliato al momento sbagliato. E se comunque così dovesse essere,

se dovesse essere che l’uomo, privato in quel momento specifico della

facoltà, della possibilità di una scelta diversa, viene investito della «colpa»

di un atto sicuramente illecito, ma inevitabile o essenziale ai fini della

salvezza, ecco che vengono introdotte nel quadro del diritto penale le

«scriminanti», particolari situazioni in presenza delle quali, un fatto, che

altrimenti sarebbe reato, tale non è perché la legge lo impone o lo

consente222

. Ed è il giudice, terzo ed imparziale a dover interpretare per il

219 Ivi, p. 98. 220 ID., Filosofia della forma relazioni e regole, Torino, 2010, p. 88 ss. 221 ID., Diritti dell’uomo e diritti fondamentali, Torino, 2009, p. 154 ss. 222F. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2009, p. 235.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

81

caso concreto la legge astratta, a dover sentenziare, per mezzo

dell’interpretazione, su ciò che è giusto ancor prima che legale223

. Scrive

Romano che solo l’«io persona» risponde davanti al terzo giudice. L’«io

puro» teorizzato da Kelsen non risponde di nulla perché non ha un io

incarnato, rimane sempre innocente, come le cose, i vegetale, gli animali e

le macchine224

. Per «io persona» non si intende l’uomo italiano, l’uomo

caucasico, l’occidentale o l’orientale, ma l’uomo globalmente inteso. Ogni

essere umano è umano in quanto io. Ciò che è privo di io appartiene al non

umano. Proprio questa uniformità dell’io fa si che all’essere umano siano

imputabili dei diritti universali valevoli per chiunque e per tutti. Siano

creati, o meglio ritrovati dei diritti dell’uomo. Dico ritrovati perché si crea

qualcosa che non esiste e a mio avviso ogni uomo in quanto tale è titolare di

diritti strettamente collegati al suo essere uomo, alla sua dignità di essere

umano. Proprio per questo Romano scrive che i diritti dell’uomo, universali

ed incondizionati, mai si lasciano enunciare compiutamente in un definito

sistema giudiziario225

. Per Luhmann «i diritti fondamentali non garantiscono

ne libertà ne dignità»226

e forse non ha tutti i torti; non ha tutti i torti perché

sono i diritti dell’uomo ad essere consacrati come baluardo dalle

prevaricazioni di un tu tirannico, disprezzante di una relazione di

riconoscimento reciproca, e non i diritti fondamentali, enunciati,

positivizzati in una Legge fondamentale227

, che per quanto solenne è pur

sempre frutto dell’attività umana.

2. Il diritto dopo l’uomo

Quanto si è voluto dimostrare nel paragrafo precedente, è la visione, si

potrebbe dire antropocentrica nell’interpretazione del diritto penale. Un

diritto attraversato in tutte le sue sfaccettature da un io quasi ingombrante

che veste e riveste, in modi differenti le norme penalistiche. L’uomo, difeso

o incolpato dalla giurisdizione penale è il sole attorno al quale ruotano le

varie disposizioni del diritto.

Con l’evoluzione dell’uomo stiamo assistendo anche ad un’evoluzione

del diritto: un’evoluzione che ha portato, secondo molti, ad un

223B. ROMANO, RIFD, Note sulla terzietà giuridica, 2006, p. 5. 224

ID., Diritti dell’uomo e diritti fondamentali, Torino, 2009, p. 180. 225Ivi, p. 23. 226 N. LUHMANN, i diritti fondamentali come istituzione, Bari, 2002, p. 124. 227B. ROMANO, Diritti dell’uomo e diritti fondamentali, cit., p. 20 ss.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

82

accrescimento oltre misura delle norme che compongono il diritto penale,

alla cosiddetta ipertrofia normativa.

La valanga di leggi che investe un po’ tutti i paesi tecnologicamente

avanzati ha un unico comun denominatore: l’intelligenza artificiale. È infatti

con il progresso tecnologico che il legislatore è riuscito a moltiplicare in

maniera esponenziale il volume di leggi e leggine. E questo, si potrebbe

dire, è un risultato scontato: un conto è affidare a qualche oscuro scriba il

compito di scrivere e trascrivere, cancellare e correggere un testo normativo;

un conto è poter modificare con un click una legge e aggiungere mille

emendamenti.

La globalizzazione dei mercati ha portato e continua a portare verso una

globalizzazione sempre più accentuata di tutti i sistemi di cui l’uomo fa

parte, spostando l’accento dall’uomo ai sistemi.

Scrive Romano che « nella direzione ove il postumanesimo qualifica con

coerenza la globalizzazione, viene meno la misura antropocentrica dei diritti

dell’uomo, radicata nell’umanesimo, perché si persegue invece l’univocità

del fondamentalismo funzionale…»228

.

Vengono quindi meno nel cyber spazio, le due dimensioni dove l’io e il

tu si incontrano per la loro relazione di riconoscimento, c’è una

trasformazione dello spazio e del tempo. « Lo spazio cessa di essere il

medio-terzo ove i parlanti si incontrano e comunicano nel luogo del

coesistere secondo l’ordine giuridico, che proprio nella trialità-terzietà ha la

sua genesi ed il suo operare; i messaggi vengono ora scambiati in un non-

luogo, nel luogo dei dati digitalizzati.»229

Da un lato quindi, l’evoluzione ci potrebbe portare ad un annullamento

dell’identità, tramutando la humanitas in una massa indistinta di individui,

ma da un altro lato, ed esattamente agli antipodi, la fame di giustizia non

sempre giusta, ci può portare ad una esaltazione di qualche individuo

singolarmente inteso. Si può fare riferimento, perché motivo di acceso

dibattito, all’idea di introdurre nel codice penale il reato di femminicidio. E

bene si, di una norma che colpisca e punisca in modo diverso l’uccisione di

una donna. Ma non è pur sempre un omicidio? Non c’è ugualmente la stessa

lesione personale che l’attuale reato di omicidio prevede indistintamente per

tutti? Sicuramente nella società odierna c’è bisogno di un mezzo di tutela

più forte per i più deboli; ma per i più deboli, senza distinzione di sesso,

razza, ideologia politica o professione religiosa. Dico questo per sfatare

228

ID., Diritto dell’uomo e diritti della senzienza. Postumanesimo e globalizzazione, Roma,

2002-2003, p. 63. 229Ivi, p. 64 ss.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

83

l’idea di incorrere nella creazione di un «diritto parallelo»230

, come

teorizzava Jakobs, dato dal deprecabile sistema della legislazione

dell’emergenza, ove sotto la spinta emotiva della pubblica opinione, il

legislatore interviene per correre al riparo da determinate fattispecie

delittuose, non sempre giuste, non sempre in armonia con le altre norme,

non sempre costituzionalmente legittime.

Concludendo, nonostante l ‘evoluzione ci porti a distogliere lo sguardo

dalle questioni davvero importanti, non dovremmo dimenticare il punto

cardinale intorno al quale abbiamo creato il nostro mondo e il nostro diritto:

l’uomo!

LONGO FRANCESCO

1. La pena tra società e giustizia

L’opera teorica del sociologo Niklas Luhmann (Luneburg, 8 dicembre

1927 – Oerlinghausen, 6 novembre 1998) s’inserisce sul tema della

complessità che ha coinvolto diverse discipline e ancora oggi rappresenta

un fertile campo interdisciplinare di ricerche231

. Nello specifico Luhmann,

in Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, definisce la

complessità come «un insieme di elementi tra loro connessi che, a causa di

230 La «teoria del diritto penale del nemico» ipotizzata da Jakobs, prende vita nel contesto

della guerra al terrorismo di matrice islamico-fondamentalista. Guardando alle misure con

cui gli Stati Uniti interrogavano coloro che sospettavano essere terroristi, con metodi che

prevedevano una deprivazione totale dei diritti, Jakobs, non vide una violazione del diritto

stesso, ma la creazione di un altro diritto penale: il diritto penale del nemico. Un diritto che,

sul piano dei diritti, esibisce un livello di garanzia diverso dal diritto «normale», poiché

rivolto ad una categoria diversa di soggetti: coloro che, di volta in volta, vengono

identificati come nemici all’interno di una società. 231 T. TINTI, La “sfida della complessità” verso il Duemila, in Rivista Novecento n.12,

1998, pp. 7-12: «Sono stati gli studiosi di cibernetica (Wiener, Weaver, Ashby, von

Foerster) e di teoria dell’informazione (von Neumann, Shannon, Marcus, Simon) i primi ad

occuparsi di complessità; ad essi poi si sono aggiunti, nel corso degli anni, pensatori

provenienti da tutte le discipline, tanto che possiamo definire la teoria della complessità

come lo studio interdisciplinare dei sistemi complessi e dei fenomeni emergenti ad essi

associati. Infatti, all’elaborazione della teoria della complessità stanno

contribuendo, in egual misura, filosofi e scienziati che celebrano il riavvicinamento delle

rispettive forme di sapere: qualcuno (Brickmann) parla della nascita di una “ terza

cultura ”, alternativa tanto alla cultura strettamente umanistica quanto a quella

scientifico-tecnologica».

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

84

limitazioni intrinseche nella capacità di collegamento tra gli elementi, risulta

impossibile collegare ogni elemento in qualsiasi momento con ciascuno

degli altri elementi»232

. Quindi un sistema può essere definito complesso se

è formato da così tanti elementi che è possibile ricostruire le loro relazioni

reciproche solo selettivamente attraverso un processo di riduzione.

L’ambiente per le sue innumerevoli variabili rappresenta la forma di

maggior complessità. Al suo interno si possono distinguere altri sistemi

complessi, tra cui il sistema sociale: «si può parlare di sistema sociale

soltanto quando e nella misura in cui è possibile distinguere il sistema dal

suo ambiente […]. Ciò che opera o vale nell’ambiente del sistema, cessa di

operare o di valere automaticamente anche entro il sistema»233

. La maggior

complessità dell’ambiente impone al sistema sociale la necessità di

sviluppare adeguate strategie per ridurre la complessità ambientale. Ecco

perché il sistema sociale nel suo sforzo di adattamento alle variabili

ambientali è in un continuo evolversi. I vari stadi evolutivi sono

caratterizzati da crescenti forme di complessità pertanto la società stessa è

obbligata a sviluppare forme sempre più complesse, pensiamo a riguardo

allo sviluppo tecnologico nei diversi ambiti della vita sociale: economia,

comunicazione, diritto. Il sistema giuridico rappresenta un sottosistema di

quello sociale e si differenzia dagli altri sotto-sistemi per le seguenti

caratteristiche:

- Differenziazione: la costituzione avviene seguendo l’opposizione dei

valori del proprio codice specifico (diritto non diritto)

- Schematizzazione binaria: il codice specifico esclude una terza non

possibilità

- Normatività: capacità di stabilizzazione contro fattuale

dell’aspettative di comportamento

- Prassi decisionale universalistica: i conflitti vengono risolti median-

te argomentazioni coerenti rispetto alle classificazioni concettuali del siste-

ma stesso.

Seguendo l’impostazione teorica di Luhmann è evidente che il sistema

giuridico sia sottoposto anch’esso a un processo evolutivo a iniziare dalla

comunicazione: «per ‘sistema del diritto’ non intendiamo solo l’insieme

delle norme giuridiche (e tanto meno: solo le conoscenze sulle norme

giuridiche), ma il sistema sociale dell’esperienza interna e dell’agire, che si

orienta consapevolmente al diritto e si differenzia così dalla consueta vita

232 N. Luhmann, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Bologna, 2001, p. 33. 233 ID., Illuminismo sociologico, cit., p. 180.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

85

sociale quotidiana»234

. Luhmann attribuisce alla comunicazione un ruolo

decisivo, infatti è solo attraverso essa che un sistema riesce a selezionare le

informazioni disponibili e ad attuare un processo di riduzione della

complessità. Comunicare implica il profilarsi di un circuito informativo

inter-personale che combina ed opera un insieme di processi interpretativi

finalizzati alla produzione di senso. Il sociologo arriva pertanto ad affermare

che «la società consiste solo di comunicazione e non di uomini235

perché gli

agenti principali del sistema sono gli effetti della comunicazione, ovvero

comunicazioni che producono a sua volta altra comunicazione in un

continuo processo ricorsivo»236

. I sottosistemi funzionali tra cui il diritto

stesso (accanto all’economia, scienza, arte e politica, non sono altro che

forme di comunicazione che si differenziano l’uno dall’altro). Ecco quindi

che il diritto si apre in modo completo alla dimensione ermeneutica perché

essendo comunicazione è suscettibile di fraintendimenti e interpretazione:

«certo la manifestazione formale della norma, il diritto inteso come diritto

posto – positivo – non può escludere la struttura del linguaggio e di

conseguenza quella dell’interpretazione che, a sua volta, implica la dinamica

relazionale e razionale […] ogni chiarimento presenta la sua plurivocità

direzionale che impegna l’argomentazione giuridica nel suo muovere

dall’uomo in quanto soggetto e dunque dall’istituzione della parola»237

.

L’ermeneutica agisce all’interno del sistema giuridico come strumento di

correzione nella misura in cui è offerta al giurista la possibilità di correggere

ciò che veniva precedentemente affermato sul piano normativo pertanto è

centrale la distinzione teorica tra fatti e norme: «i primi, espressione di

esigenze sociali assimilate dal sistema nella fase dell’apertura informativa,

vengono trattati dal sistema giuridico come fattispecie normative nello

stadio di chiusura operativa, mediante ulteriori, preesistenti norme»238

.

Pertanto anche la giustizia e il ruolo da essa svolto nel contesto del sistema

sociale, sono pervasi dall’approccio funzionalistico su cui si basa la teoria

dei sistemi; quindi la teoria di Luhmann è esente da concezioni gerarchiche

o norme superiori che stabiliscono in modo universale il concetto di

234 ID., La differenziazione del diritto, Bologna, 1990, p. 330. 235 ID., Teoria della società, Milano, 1992, p. 61. 236 Il diritto non vale per il fatto che, nell’esperienza interna del diritto, vi sia la coscienza di

una fondazione storica del diritto, di un atto passato di produzione del diritto, ma solo per il

fatto che il diritto venga esperito come valido in base a questa decisione, come scelto

rispetto ad altre possibilità e quindi come trasformabile. ID., La positività del diritto, in: La

differenziazione del diritto, Bologna, 1990, p. 103. 237 L. AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto, Torino, pp. 254-255. 238 B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, Roma, 1996, pp. 177-78.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

86

giustizia. Di conseguenza la giustizia non si basa su fondamenti metafisici

di carattere morale ma trae al sua essenza nella relazione con la società.

A questo punto occorre definire quali sono le modalità con cui il diritto

penale può essere articolato all’interno del sistema sociale.

Il diritto penale rappresenta il fulcro del sistema giuridico, infatti esso

deve punire comportamenti illeciti e allo stesso tempo prevenire la

possibilità di reati futuri. Quindi esso è scaturito da un’esigenza funzionale,

infatti mira alla riduzione della complessità delle aspettative: «il diritto

interviene nel conflitto considerando prospettive di produzione e riduzione

della complessità non praticabili dai soggetti coinvolti e conduce alla

generalizzazione delle aspettative tramite la coerenza delle statuizioni. La

generalizzazione e l’istituzionalizzazione delle aspettative, come processo di

formazione, riguardano l’aspetto più antico e comune a tutti i sistemi

decisionali, ossia la generalità delle azioni e degli attori sociali rappresentati

come collettività»239

. Il sistema giuridico nella teoria di Luhmann ha come

principale finalità quella di immunizzare il sistema sociale da

comportamenti che ne possano intaccare le relazioni. Se ne deduce che il

diritto penale rappresenta il nucleo fondante del sistema giuridico. Seguendo

questa logica funzionale e allo stesso tempo immunitaria, il diritto penale

punisce alcuni reati come l’omicidio o il furto non perché siano la negazione

di diritti universali degli uomini ma perché intaccano gli uomini nel loro

essere portatori di funzioni sociali minacciando quindi la realizzazione di

procedure di differenziazione e quindi deragliando il sistema sociale verso il

non essere: l’ambiente.

Oltre a punire il diritto penale deve mirare alla generalizzazione e

stabilizzazione delle aspettative, in questo senso esso acquista la forma di un

anticipazione di eventuali decisioni di conflitti che, come possibilità

vengono tenute presenti e nel caso di conflitto sono applicate con certezza.

Quindi il diritto penale, nella teoria dei sistemi si pone in un rapporto di

relazione con la libertà di manifestazione di un conflitto, anzi esso non solo

legifera sui possibili conflitti ma allo stesso tempo riproduce traendone

nuovi stimoli evolutivi. Attraverso l’attività giuridica si riduce la possibilità

di errore nella definizione delle aspettative concrete cosicché il riscontro di

difformità tra il comportamento e l’aspettativa sono da attribuirsi

esclusivamente all’individuo che ha violato le relative norme. Le norme

penali tendono a stabilizzare alcune aspettative di comportamento mirando a

prevenire forme di agire deviante. Ecco che quindi uno degli aspetti

239 A. MACERATINI, Procedura come norma, Riflessioni filosofico - giuridiche su Niklas

Luhmann, Torino, p.112.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

87

principali che denotano il diritto penale è la sua struttura articolata sia in una

dimensione materiale che temporale: rispetto alla dimensione materiale la

formazione mira alla sicurezza degli effetti: «si vogliono cambiare

probabilità reali di un comportamento e per questo si utilizza il diritto, più

che altro nel senso di un meccanismo sanzionatorio»240

. Sul piano temporale

invece il diritto penale oltre a sanzionare atti accaduti nel tempo si rivolge

anche al futuro guidando il comportamento prima che si concretizzino atti

illegittimi: «si promulgano leggi o si concludono contratti al fine di

influenzare il comportamento di determinate persone e di dare ad esso

un’altra direzione»241

.

È innegabile che aldilà dei suoi limiti242

la teoria sistemico funzionale del

diritto di Luhmann sia un importante strumento di analisi delle dinamiche

sociali e giuridiche del nostro sistema della società contemporanea. In

particolare l’analisi di Luhmann risulta essere molto fertile nell’individuare

le dinamiche tra il sistema giuridico e quello economico capitalistico: «il

mercato, il denaro, l’economia monetaria, trasferendosi, sotto forma di

aspettative economiche cognitive, nel diritto, rendono evanescente, fino a

farlo scomparire, l’istituire connesso alla questione della legittimazione»243

.

Diventa cosi indispensabile lo studio e l’approfondimento della relazione tra

l’universo sociale e la pratica legislativa affinché il diritto non venga

assorbito completamente dal sistema economico. La filosofia del diritto

acquisisce un ruolo sempre più centrale per la tutela delle libertà individuali

e sociali.

240 N. LUHMANN, La differenziazione del diritto, cit., p. 82. 241 Ibidem, p. 81. 242 Il filosofo del diritto Bruno Romano ha mostrato il limite della visione del diritto come

sistema sociale autopoietico ispirata dal parallelismo con i sistemi biologici. In particolare

Romano nota che Luhmann: “restringe la discussione sull’esser – soggetto, fin dal suo

presentarsi, in quella dell’aver-competenza, ovvero del funzionamento delle

differenziazioni, cancellando la questione della soggettività in quanto disassoggettamento

formazione di un’ipotesi di un mondo in una creazione di senso […] la storia delle

istituzioni giuridiche non si confonde con l’evoluzione dei sistemi biologici, perché non

attiene alle fasi impersonali dei processi vitali, ma riguarda la formazione senso di

un’epoca”. B. Romano, Sistemi biologici e giustizia, cit., p. 42. 243 L. AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto, cit., p. 125.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

88

ANNALISA MEROLLE

1. Metodologia argomentativa, dal sillogismo di Aristotele alla teoria

sitemico-funzionale di Luhmann: differenze

L’argomentazione giuridica è un concetto molto vasto ma anche

complesso, oggetto di studi e di discussioni giuridico-filosofiche con

risultati diversi e a volte, contrapposti. Argomentare significa compiere una

scelta che però bisogna sempre e comunque motivare ed è nella natura

dell’uomo renderla plausibile. L’argomento non può essere banalmente

ripartito in buono o cattivo, convincente o meno convincente ma solo come

funzionale o non funzionale così com’è affermato da Luhmann (sociologo e

filosofo tedesco fautore della teoria sistemico-funzionale); anche gli

argomenti meno convincenti sono pur sempre argomenti. L’argomentazione

giuridica è relazionata al diritto e pone in essere la validità di quest’ultimo,

ora nessuna argomentazione può modificare il diritto vigente. L’argomento

non può modificare la legge, è un non potere e costituisce l’esecuzione che

si dirige nel non modificare gli argomenti. Validità ed argomentazione

dunque sono strettamente connesse poiché sono operazioni di uno stesso

destino, comunicano tra loro mediante ciò che Luhmann definisce

“accoppiamenti strutturali” ossia abbinamenti di struttura, necessari per

semplificare la complessità del sistema giuridico formato da una pluralità di

strutture che comunicano mediante testi244

. I testi sono mezzi di

comunicazione, “nascono” ma il destino non è immediatamente

determinabile. Solo in questo modo, non conoscendo il destino, può essere

sostituita l’esigenza ideale che casi uguali siano trattati in modo uguale, il

cosiddetto astrattismo puro. I testi di legge interferiscono quando rinviano

alla validità e hanno un significato particolare, inoltre sono capaci di auto-

osservazione245

. Quando si parla di argomentazione si pensa

immediatamente alla matrice logica di aristotelica memoria. Aristotele nella

sua celebre opera Organon, elabora il sillogismo (dal greco syllogismos,

formato da syn insieme e logismos calcolo quindi ragionamento

concatenato),246

una sorta di argomentazione logica in cui, poste due

premesse, ne consegue una conclusione, diversa dalle premesse e

necessaria. In sintesi il sillogismo è basato su una triplice terminologia:

premessa maggiore, premessa minore e conclusione (es. premessa

244

ID., Interpretazioni del funzionalismo giuridico, Napoli, 2010, p.118. 245 Lezione. 246 Enciclopedia Universo, Novara, 1974, p. 229.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

89

maggiore: tutti gli uomini sono mortali, premessa minore: tutti i greci sono

uomini, conclusione: dunque tutti i greci sono mortali). Il sillogismo è

considerato valido se questo è logicamente valido, tale validità non dipende

da ciò che è stato affermato bensì dalla sua composizione, di conseguenza il

sillogismo è valido, anche se le frasi che lo compongono non si dimostrano

veritiere (es. premessa maggiore: ogni animale vola, premessa minore:

l’asino è un animale, conclusione: dunque l’asino vola). In età romana,

l’oratore ed eclettico filosofo Cicerone, figura politica di spicco di

quell’epoca e Quintiliano, oratore e maestro di retorica, nella costruzione

del loro pensiero ripresero il sistema aristotelico, sviluppandolo

ulteriormente senza però modificarlo. In particolare per Cicerone

l’argomentazione era legata all’arte dell’oratoria intesa in senso deduttivo e

non considerava rilevante l’interpretazione. Per Luhmann invece,

nell’argomentazione non si applica il sillogismo ma ‹‹tutto viene

concentrato dall’interprete negli exempla a partire dai quali la norma appare

come il prodotto finale di una serie di argomenti, un’adeguatio priva del

momento interpretativo-qualitativo che comporterebbe tempo e costi

sociali››247

. L’argomentazione giuridica, secondo la teoria sistemico-

funzionale, va spiegata dunque mediante concetti, è intesa a statuto

funzionale e si basa essenzialmente sulla combinazione di una serie di

concetti contrapposti: operazione/osservazione, auto-osservazione/etero-

osservazione e infine controverso/incontroverso. L’argomentazione

giuridica è dunque una combinazione di due versanti di quella forma, è

un’operazione e ha a che fare con l’osservazione. Riguardo all’osservazione

apprezzabile è la diversa posizione del legislatore e del giudice nella

ricostruzione del pensiero luhmanniano. Il giudice è considerato da

Luhmann osservatore di secondo grado, mentre il legislatore osservatore di

primo grado poiché si muove osservando tutto ciò che gli deriva da altri

sistemi, tratta i materiali e in seguito li seleziona. Il giudice opera in un

secondo momento in conformità al materiale elaborato in precedenza dal

legislatore (per questo è definito osservatore di secondo grado). Le fasi del

suo lavoro possono essere riassunte nel seguente modo: osserva e seleziona

qual è l’articolo da trattare, distingue il materiale e infine designa (attività

svolte in ogni momento), procedimenti questi previsti nell’osservazione

stessa. Il giudice quindi non può modificare la legge, ma si limita ad

applicarla248

. Da tale analisi si evince che vi è un diverso approccio

all’argomentazione tra Aristotele e Luhmann. Mentre nel primo rilevante è il

247 Ivi, p.135. 248 Lezioni.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

90

sillogismo, nel secondo l’argomentazione si basa su concetti che definisce

pietre di paragone per le costruzioni giuridiche diventando oggetti di

comunicazione (es. illecito, responsabilità penale, non sono istruzioni per il

legislatore bensì pietre di paragone). Ovviamente, anche se

l’argomentazione luhmanniana non si fonda sulla combinazione di una

premessa maggiore, una premessa minore e una conclusione secondo i

criteri dell’argomentazione logica aristotelica, la logica per Luhmann è

importante perché ogni elemento può trovare la catalogazione in una delle

due alternative, quindi la logica ha bisogno di premesse come ad esempio il

dato A segue il dato B. Riprendendo l’illustrazione del concetto di

argomentazione in Luhmann, (argomentare significa scegliere e la scelta

deve essere motivata), si deduce che questa visione è chiaramente legata

all’attività giurisdizionale poiché il giudice è costituzionalmente obbligato a

motivare le proprie decisioni249

, a differenza invece del legislatore che non è

tenuto a dare nessuna motivazione alla legge da lui elaborata. Le decisioni

del giudice, infatti, devono essere motivate in modo adeguato, con

argomenti attinenti al caso concreto ed effettivi; il giudice inoltre deve

cercare, secondo le sue competenze, di spiegare quali sono le “buone

ragioni” su cui si fonda la decisione e queste, com’è giusto che sia, devono

essere “buone” non solo agli occhi del giudice ma anche a quelli che si

trovino a valutare ex post il fondamento. Infine per una completezza di

analisi, bisogna esaminare la diversa finalità delle decisioni giudiziali nel

sistema di civil law e nel sistema di common law250

. Nel primo i giudici

applicano la legge attraverso la sua corretta interpretazione, pronunciano

sentenze vincolanti tra le parti in causa con efficacia limitata sia dal punto di

vista soggettivo che oggettivo. I limiti soggettivi sono legati al fatto che la

sentenza non è valida nei confronti dei soggetti che sono rimasti estranei al

processo, dal punto di vista oggettivo invece la sentenza definisce solo

quella determinata lite e non altre. Nel secondo invece il diritto è creato

dallo stesso giudice mediante l’emanazione di sentenze. Negli ordinamenti

di common law, quindi, la sentenza crea il diritto, poiché la regola dettata

dal giudice in un caso concreto deve poi valere per tutte le successive

controversie aventi lo stesso ambito oggettivo (principio dello stare decisis

o del precedente giurisprudenziale), anche se con soggetti diversi. La

decisione del giudice quindi, assume per i giudici cui saranno sottoposti casi

analoghi, lo stesso valore di una norma generale e astratta. Nei paesi di

249 Costituzione italiana, articolo 111 comma 6 , “Tutti i provvedimenti giurisdizionali

devono essere motivati”. 250 V. VARANO – V. BARSOTTI, La tradizione giuridica occidentale, Torino, 2010.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

91

common law dunque il precedente giurisprudenziale è la principale fonte

normativa, mentre la legge, con le sue norme precostituite ed astratte ricopre

un ruolo eccezionale.

2. Metodologie argomentative nel diritto penale, ragionamento logico-

deduttivo aristotelico applicato alle controversie giudiziarie

«L’ermeneutica nel diritto penale è intesa come operazione mentale con

la quale si ricerca e si spiega il significato della legge»251

. Senza questo

processo di chiarificazione ovviamente non è possibile applicare la norma al

caso concreto, discorso questo generale e legato all’interpretazione in senso

tecnico. I metodi d’interpretazione sono sostanzialmente due: il metodo

logico-costruttivo e il metodo finalistico (il primo attribuisce alla lettera

della legge un valore preponderante in confronto alla ratio, il secondo, al

contrario, pur riconoscendo che la lettera della legge costituisce un limite

che l’interprete non può in nessun caso superare, attribuisce un peso

prevalente allo scopo della norma)252

. Tornando al tema centrale, in altre

parole all’argomentazione giuridica, bisogna chiedersi se possa esistere

un’argomentazione meramente tecnica nell’ambito penale. Ovviamente per

un’interpretazione globale e univoca il giurista, oltre ad avere una

conoscenza tecnica propria della sua formazione, deve avere anche quella

spirituale. La tecnica, infatti, è si necessaria per la comprensione, è da

supporto all’ermeneutica del testo per la comprensione della premessa

maggiore, ma non è sufficiente. Il sillogismo, nodo centrale della

speculazione logica aristotelica può essere applicato anche alle decisioni

giudiziali in quanto la premessa maggiore si identifica nella premessa

giudiziaria frutto dell’interpretazione normativa, la premessa minore nella

premessa fattuale consistente in un’opera di ricostruzione del fatto storico

compiuta dal giudice ed infine la conclusione che è data dalla sentenza

corrispondente alla norma con cui l’organo decisionale pone fine alla

controversia. L’argomentazione quindi, in questo contesto, è intesa come

fase del confronto o della contrapposizione e, ovviamente, la fase centrale e

fondante è la conclusione nella quale vengono stabiliti i risultati della

discussione. La controversia dunque si conclude, come si evince dall’analisi

precedente, con un atto meglio definito sentenza, del quale si può predicare

la validità, se il procedimento si è svolto in modo giusto, ma non la verità

assoluta. La conclusione giudiziale quindi è frutto della combinazione di

251 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Milano, 2003, p. 88. 252 Ivi, p .91.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

92

premesse che a volte sono più complesse del semplice esempio di Kelsen:

tutti i ladri devono essere puniti, Schulze è un ladro quindi la conclusione è

che Schulze debba essere punito253

. Si riscontrano quindi problemi di

diversa natura nell’applicazione del sillogismo giudiziale dovuti alla

complessità degli elementi che, ad esempio, vanno a confluire nella

premessa minore o nella premessa maggiore perché non sono operazioni

meramente meccaniche o univoche. Sostanzialmente nella logica giuridica,

due ostacoli si frappongono a questo fine: la presenza di casi oggettivamente

difficoltosi e il fatto evidente che qualunque ragionamento rifletta

necessariamente un intervento interiore dell’anima, poiché la definizione

delle premesse non è oggetto di semplice rilevazione di dati esistenti siano

essi fatti o norme, ma è il risultato di un complicato ragionamento sulle fonti

del diritto e sulle fattispecie concrete, ragionamento che necessariamente

coinvolge la personalità del giudice. Per questo motivo è di rilevante e ovvia

importanza non solo il dato logico ma anche quello legato strettamente alla

personalità del giudice. Il sillogismo pertanto, può essere applicato per la

risoluzione di un processo dimostrando in tal caso che quest’ultimo ha una

logica, sebbene non sia la logica della verità, perché riferendosi alle norme e

ai doveri giuridici non si può parlare di verità bensì di validità e di esigenza

specifica nell’ordinamento. Il nucleo centrale del procedimento logico-

deduttivo (sillogismo giudiziario) dunque è la ricerca del giusto, il processo

penale svolgendosi nel tempo elemento questo di rilevante importanza, è

destinato a concludersi cercando di raggiungere il fine ultimo: la giustizia.

«La giustizia è una virtù reattiva e secondaria perché ha bisogno

dell’ineguaglianza eccitante per scatenarsi; è cosi che il reato mette in

movimento la macchina giudiziaria»254

espressione questa significativa e

attinente che ritroviamo nel pensiero di Jankélévitch. Si va dunque alla

ricerca del giusto, ma per Luhmann la giustizia non esiste perché non la si

può toccare, per lo stesso infatti i valori sono sempre contingenti, hanno a

che vedere con ciò che appare ovvero è giusto ciò che appare ciò che si

vede255

. Il diritto per Luhmann è un fatto, per questo ritiene che sussista

solo il piano della legalità e non quello della giustizia, infatti concepisce il

diritto come un sistema autopoietico, ossia un sistema autoreferenziale e

autonomo che resta normativamente chiuso. Rifacendosi al concetto di

autopoiesi elaborato nell’ambito della biologia, Luhmann definisce il diritto

come un sistema di comunicazione basato sul codice binario legale/illegale

253 H. KELSEN, Teoria generale delle norme, Torino, 1985. 254 L. AVITABILE , Il terzo giudice tra gratuità e funzione, Torino 1999, p.55. 255 Lezioni.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

93

e in grado di elaborare segnali provenienti dall’ambiente esterno nei termini

del proprio modello normativo autonomo restando immune da qualsiasi

influenza normativa esterna. Il sistema giuridico è dunque in grado di

elaborare elementi provenienti dai sistemi della morale, della politica e

dell’economia, selezionandoli nei termini del proprio codice legale/illegale e

in tal modo restando indipendente da essi. In conclusione il concetto di

giustizia in Luhmann diventa una serie di enunciati simili all’articolazione

logica dei numeri e nel sistema da lui concepito la sfera del legale è separata

dal giusto.

FEDERICA MORGILLO

1. Efficacia della forza nel diritto e le sue manifestazioni

La disputa sul rapporto tra diritto e forza è uno dei temi maggiormente

discussi e spinosi della riflessione filosofico-giuridica. Nella relazione giu-

ridica, ogni qualvolta si riconosce una decisione come diritto, riscontriamo

l’elemento della forza, necessaria per garantire l’effettività di pretese che

tale relazione di volta in volta impone, esprimendo il condizionamento che

qualcuno subisce contro la sua volontà. «Il diritto, quale fondamentale stru-

mento di convivenza tra gli uomini, si pone, per meglio raggiungere lo sco-

po, al di fuori e al di sopra degli stessi, al fine di potere, per un verso, indi-

care il corretto comportamento da assumere, e per altro verso, far passare la

condotta così prescritta come obbligatoria, come vincolante. È attraverso tali

imperativi che il diritto si propone di influenzare la volontà umana, di con-

dizionare, in un certo senso, le valutazioni degli individui spingendoli nella

direzione da esso stesso prescritta e voluta»256

. E sembra necessario aggiun-

gere che il concetto di forza di cui si parla, non fa riferimento solo alla forza

fisica, ma rinvia a un’idea di forza intesa come capacità di condizionamento

e in alcuni casi di impedimento, della libera autodeterminazione del sogget-

to. Tuttavia uno dei primi autori che evidenzia un fondamentale punto di

contatto tra la forza e il diritto è Kelsen, il quale pone l’accento sulle norme

sanzionatorie, considerandole primarie in quanto mettono in luce

l’organizzazione, la regolazione giuridica della forza dello Stato o

dell’ordinamento giuridico, e, sulla scia di tale considerazioni, afferma che

l’ordinamento è effettivo in quanto la sua normatività è sanzionata dalla for-

256 M. D’EPISCOPO- E. RUSSO, Forme della violenza, violenza della forma, Napoli, 2007, p

.330.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

94

za. Kelsen definisce il diritto come «la tecnica sociale che consiste

nell’ottenere la desiderata condotta sociale degli uomini mediante la minac-

cia di una misura coercitiva da applicare in caso di condotta contraria» 257

.

In Kelsen dunque, la coazione diventa l’oggetto specifico del diritto, il dirit-

to è razionalizzazione del potere coattivo, finendo con il considerare prima-

rie le norme giuridiche che attribuiscono agli organi supremi il potere coat-

tivo. In base al normativismo di Kelsen, che analizza il sistema giuridico

come ordinamento di norme, la cui validità è riconducibile a un’unica nor-

ma fondamentale, presupposta da un atto di volontà, che conferisce unità al-

la pluralità di norme poste ed esistenti nell’ordinamento, sarebbe proprio la

norma fondamentale, la Grundnorm, , quella che unicamente regola la san-

zione e che conferisce poteri coattivi necessari per il funzionamento

dell’ordinamento giuridico. La forza dunque, è elemento fondamentale del

fenomeno giuridico, in quanto è ad essa che il diritto si indirizza. «Kelsen

legge la forza come momento strutturale importante per la configurazione

del giuridico ed opera una vera e propria rivoluzione copernicana in merito,

che culmina e si chiarisce nell’affermazione che il diritto è organizzazione

della forza» 258

. Sembrerebbe, quindi, che la forza abbia bisogno del diritto

per regolamentarsi e di conseguenza, affinchè una norma possa definirsi

giuridica, deve regolare i comportamenti degli uomini, prescrivendo delle

sanzioni che è necessario attivare nei casi in cui essi trasgrediscano le regole

predisposte. Sul concetto di forza tuttavia, si è a lungo dibattuto. Tradizio-

nalmente la scienza giuridica assegna alla forza un ruolo strumentale, se-

condario rispetto al diritto: il diritto va attuato in primis dai consociati spon-

taneamente e, solo quando ciò non si verificasse, sarebbe necessario ricorre-

re all’elemento coercitivo della forza per ottenere il comportamento, lo stes-

so risultato richiesto dalla norma violata. Una impostazione simile è condi-

visa da Jhering, secondo cui «il diritto non è quanto di più elevato esista al

mondo, non è fine a se stesso, ma è soltanto un mezzo diretto a un fine, e il

suo fine ultimo è l’esistenza della società»259

. Jhering accoglie l’idea della

estraneità della forza rispetto all’ambito prettamente giuridico, pensando ad

essa come strumento necessario per l’attuazione del diritto, privilegiando il

momento sanzionatorio della norma giuridica. Sul versante del realismo giu-

ridico emergono autori come Alf Ross e Karl Olivecrona che, se in un primo

tempo si pongono parzialmente a sostegno delle teorie di Kelsen, relativa-

257 F. VIOLA- G. ZACCARIA, Le ragioni del diritto, Bologna, 2003, p. 25. 258 M. D’EPISCOPO- E. RUSSO, Forme della violenza, violenza della forma, Napoli, 2007,

p. 332. 259 R. V. JHERING, Lo scopo nel diritto, Torino, 1972, cap. VIII.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

95

mente all’influenza della forza sul diritto, poco più tardi se ne distaccano,

impostando una indagine di carattere introspettivo- psicologica: l’effettività

dei comportamenti ˗ dei giudici, nella prospettiva di Alf Ross ʻ e

l’obbedienza al diritto, troverebbero fondamento in ragioni morali e in un

sentimento di obbligatorietà dei consociati nei confronti delle istituzioni e

delle regole da esse poste, derivante dalla pressione psicologica esercitata

dalla macchina del diritto per mezzo della coercizione. In ogni caso il dirit-

to non sembra poter prescindere dall’elemento della forza, essa è pur sempre

strumentale alla organizzazione e alla sopravvivenza della società, in quanto

il diritto è strumento di controllo sociale. Tale concezione si rinviene in N.

Bobbio che adotta una visione più distaccata, sostenendo che le conclusioni

a cui i filosofi menzionati giungono sarebbero troppo condizionate da una

eccessiva dipendenza del diritto alla forza, e, per usare una sua espressione,

«il diritto è un insieme di norme ad efficacia rafforzata: pur non essendo

mera coercizione, regolamenta il potere coattivo, specificando non soltanto

le condizioni del suo esercizio e le autorità competenti ad applicarlo, ma

anche le procedure di accertamento della violazione e di esecuzione della

sanzione, nonché la natura della sanzione e la sua entità»260

. Operando inve-

ce una trasposizione del diritto sul piano della modernità, notiamo

l’emergere di nuove trasformazioni del diritto e di nuove dimensioni di ef-

fettività e di forza. Oggi sembra che la forza innervi le stesse norme di con-

dotta, le norme regolamentative della convivenza sociale, divenendo una in-

fluenza orientativa nella vita delle persone, influendo sulle stesse, restrin-

gendo la spontaneità delle scelte umane, manifestandosi quindi, più che nel

momento sanzionatorio, nel disciplinamento più o meno consensuale dei

comportamenti. In questa prospettiva emergono forme di influenza molte-

plici e differenziate. Nell’ epoca moderna , in una società oramai globalizza-

ta e post-complessa, l’indebolimento della sovranità dello Stato, inteso come

potere sovrano tra sovrani, dove si delineava una forma di potere che ricor-

reva sempre meno alla forza, sviluppando modelli di gestione che coinvol-

gevano i poteri dei consociati, apre la strada ad oggi a relazioni di potere a-

simmetriche, caratterizzate da diseguaglianze di posizione e di forza, e ad

una effettività basata sul calcolo della convenienza. Nascono così gruppi so-

ciali attivi di potere, che accentuano sempre di più uno spaccato sociale e

che, avanzando pretese, pongono il diritto al servizio di una tecnica giuridi-

ca. Si delinea così una forma contrattuale , che pone il diritto «al servizio di

poteri attivi, suggerendo forme di accordi, di arbitrati, di autoobligazioni, e

così via, dunque, un diritto come strumento tecnico nel senso più radicale

260 N. BOBBIO, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino, 1993, pp. 166-169.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

96

del termine»261

. La forza della forma contrattuale che viene assunta nelle

transazioni giuridiche si manifesta solo nella capacità di aggregarsi con altre

forze aventi interessi simili, per divenire a una condizione di maggior forza

contrattuale. Con il delinearsi di tali rapporti, si delineano così «sanzioni di

nuovo tipo, in una costellazione giuridica in cui si entra volontariamen-

te»262

, per ragioni di convenienza, in cui si valorizza la trattativa, rendendo

poco significativo l’uso manifesto della forza e della coercizione fisica, e il

rischio è quello di essere esclusi dai vantaggi economici e non, dell’accordo.

Tuttavia non è affatto tramontata la concezione della forza come «potere di

influire sulle vite delle persone al punto di schiacciarne l’esistenza, di pie-

garne la fisicità, di scatenarne la sofferenza» 263

, in quanto soltanto in parte

avviene nella forma esclusivamente fisica, repressiva e sanzionatoria.

2. Il concetto di giustizia nel diritto

Nel dibattito filosofico- giuridico, tuttavia, nonostante i vari tentativi, non

si riscontra una voce unanime riguardo la capacità di comprendere fino in

fondo il rapporto tra diritto e forza. Tali tentativi hanno messo tuttavia in

luce una duplice natura del diritto, un diritto certamente legato al concetto di

forza e di autorità, necessarie per instaurare un mondo sociale ordinato, in

cui vengono stabilizzate le aspettative dei singoli e siano individuate proce-

dure uniformi per conseguire tali obiettivi comuni, ma nello stesso tempo un

diritto che non può non presentare come morali le ragioni a cui le azioni

dell’uomo devono tendere e che giustificano l’esistenza del diritto stesso in

tutte le società umane. Tale considerazione non deve erroneamente portare

alla conclusione che diritto e morale siano necessariamente connessi, ma

che morali sono le ragioni per cui il diritto esiste. La principale di queste , è

senz’altro la giustizia. «Si presume e si pretende che l’ordine giuridico sia e

debba essere giusto»264

. Lo scopo del diritto è quello di coordinare le azioni

dell’uomo non in qualsiasi modo, ma nel modo della giustizia. Ciò che im-

porta per il diritto è che le singole azioni sociali siano giuste , il diritto mira

a far sì che il giusto si faccia in modo giusto. Per questo la giustizia va di-

stinta dalla giustezza che indica la conformità di un’azione alla sua regola

interna e di conseguenza, se da un lato vi possono essere azioni corrette ma

261 A. CATANIA, Forme della violenza , violenza della forma, Napoli, 2007, p. 17. 262 Ivi, p. 19. 263 Ivi, p. 20. 264 F. VIOLA- G. ZACCARIA, Le ragioni del diritto, BOLOGNA, 2003, p. 65.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

97

ingiuste, la giustizia non può mai rinviare alla giustezza quindi alla mera

conformità ad una regola, in quanto essa è il fine dell’agire. «Ogni azione

deve essere ben fatta(giustezza) e deve essere bene che sia fatta(giustizia)

»265

. Il concetto di giustizia in primis, rinvia al concetto di alterità: essa ri-

guarda le relazioni che intratteniamo con l’altro, inteso nel senso di separato

ed estraneo da me, ma come me, ha diritto al riconoscimento. La giustizia

consiste nel vivere l’uno con l’altro, il cui compito principale è quello di or-

dinare l’uomo nei suoi rapporti con gli altri. Tommaso D’Aquino a tal pro-

posito, sosteneva Iustitia in communicatione consistit. In secondo luogo la

giustizia va rapportata al principio di uguaglianza che può essere considera-

ta la regola generale della stessa, ma spesso l’applicazione di tal principio

comporta una serie di difficoltà connesse ai criteri in base ai quali giustifica-

re un trattamento simile per gli eguali, e un trattamento diseguale per i di-

versi. C’è un problema di giustizia nella determinazione e nell’applicazione

stessa di tale regola, in base alla quale giustificare questo trattamento diffe-

rente, racchiuso nel principio di uguaglianza in senso formale. Bisogna con-

siderare innanzitutto, che «l’eguaglianza, prima di essere una regola, è un

valore, e un fine da raggiungere, perché di fatto gli uomini non sono egua-

li»266

. E allora appare giusto che tutti gli uomini abbiano una eguaglianza

nelle opportunità iniziali e nei punti di partenza, che può essere realizzata

attraverso interventi sociali a sostegno dei più deboli. Quando poi si richiede

non soltanto l’uguaglianza nei punti di partenza, ma anche quella finale, ne-

cessaria perché tutti conseguano i beni essenziali della vita, allora l’aspetto

sostanziale dell’eguaglianza è ancor più evidente. La giustizia riguarda en-

trambi gli aspetti dell’eguaglianza, sia quella formale che sostanziale, non

potendosi ridurre a una mera dimensione formale. In terzo luogo la giustizia

dell’azione va commisurata col criterio della ragionevolezza, l’azione quan-

do è compiuta, va giustificata, in base a ragioni valide per tutti, nei confronti

di coloro che sono coinvolti dalla stessa e dalle sue conseguenze. Potremmo

definire giusta un’azione quando sia accettata o disapprovata dagli altri che

ne sono toccati, quando sia rispettosa dell’altro, riconoscendogli ciò che gli

spetta alla luce di un’eguaglianza proporzionale, diventando in tal modo, ra-

gionevole. Inoltre si è ritenuto che la giustizia sia innanzitutto un sentimen-

to, che manchi di una qualsiasi base oggettiva, data l’impossibilità di una

condivisione universale dei suoi contenuti. Lo stesso Kelsen accoglie tale

concezione, definendo la giustizia un ideale irrazionale. Nella sua opera La

dottrina pura del diritto, dove tende di purificare il diritto da qualsiasi ele-

265 Ivi, p. 66. 266 Ivi, p. 68.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

98

mento empirico e concetto, quale la morale, la politica, la sociologia, la psi-

cologia, asservendolo dunque, ad una funzione tendenzialmente scientifica,

Kelsen ritiene che la giustizia sia un aspetto fondamentale dell’ordinamento

giuridico, che essa esprima un valore assoluto, il cui concetto non può de-

terminarsi dall’esame della dottrina pura del diritto, e nemmeno dalla cono-

scenza razionale. Egli definisce la giustizia come la dimensione morale del

diritto, e la rappresenta come un ordinamento superiore e diverso dal diritto

positivo che va al di là della realtà, incapace di essere afferrata concettual-

mente dall’uomo. Egli si rende conto tuttavia, di non aver fornito una rispo-

sta esaustiva, è per questo motivo che ritiene che definire la giustizia in sen-

so assoluto sarebbe pretenzioso, irrazionale e questo rimane a suo dire, un

sogno, e ciò è dimostrato dalla storia dello spirito umano che da millenni,

cerca inutilmente di risolvere tale problema. L’assoluto è al di là della ra-

gione umana, soltanto la religione o la metafisica possono fornirci questa

giustificazione, perché soltanto queste sono capaci di trascendere la realtà e

l’esperienza sensibile, cogliendone gli aspetti più autentici e fondamentali.

Coloro che non accettano una soluzione metafisica al problema della giusti-

zia e sperano di poterla ricavare in via scientifico-razionale si «illudono» so-

stiene Kelsen. Ed è per questo motivo che propone un concetto di giustizia

in senso relativo, l’unica possibile, cioè «quella sotto la cui tutela può pro-

sperare la scienza, e con la scienza, la verità e la sincerità. E’ la giustizia

della libertà, la giustizia della pace, la giustizia della democrazia, la giustizia

della tolleranza»267

. Le difficoltà che si incontrano nel tentativo di oggetti-

vizzare i criteri di giustizia, spiega l’evoluzione dell’idea di giustizia nelle

società umane, si passa da una dimensione privata come quella della vendet-

ta a quella pubblica della giustizia. Nei popoli primitivi il dovere di vendetta

era sacro e diveniva un vero e proprio rito, la cui omissione diventava più

grave dell’ingiustizia subita, e consisteva dunque, nell’opporsi e nel combat-

tere la violenza che distruggeva la possibilità della convivenza sociale. La

vendetta vede in ogni offesa questo male generale e per questo è spropor-

zionata nella reazione e finisce per opporre violenza a violenza, innescando

ritorsioni infinite. Nel passaggio dal carattere privato della vendetta a quello

pubblico della giustizia, vi è un diverso modo di intendere il dovere di giu-

stizia, affidando a soggetti pubblici l’incarico di punire l’offensore per la vi-

olazione del diritto, riparare l’offeso per il torto subito, restaurando il pacifi-

co rapporto di convivenza sociale. Questo nuovo tipo di intendere la giusti-

zia deve svolgersi, per raggiungere i fini appena citati, nel necessario con-

267 H. KELSEN, Che cos’è la giustizia? in Problemi sulla giustizia, a cura di A. Catania,

Salerno , 1997.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

99

traddittorio delle parti, alla presenza di un giudice terzo e imparziale. Men-

tre la giustizia è una difesa del singolo, la vendetta è funzionale al gruppo

sociale nel suo complesso, è una «selvaggia reazione contro il male

dell’ingiustizia» 268

. Bruno Romano sostiene che «chi avverte una lesione

del suo desiderio di giustizia può pervenire al convincimento di farsi giusti-

zia da solo»269

, che è quel che accade quando si mette in atto una vendetta.

Secondo Bruno Romano «la vendetta può essere veloce, non ha i tempi del

processo giuridico; è qualificata da una dimensione che rimane nel privato

delle intenzioni e degli atti di una persona o di un gruppo di persone. Non

avvia il confronto pubblico per la ricerca della giustizia nella legalità; non è

concepita come un bene comune, ma come un affare privato, disponibile da

un singolo o da un gruppo» 270

. La vendetta porterebbe a una rimozione del

dialogo, ed a un’affermazione del monologo, poiché la verità diventerebbe

in possesso di una persona o di un gruppo di persone e non si formerebbe

nella ricerca dei dialoganti. Essa imprigionerebbe l’Io nella possibilità di

interrogarsi sul futuro, ogni persona parlerebbe rimanendo chiusa

nell’autosufficienza del suo linguaggio, inaccessibile agli altri. Il dialogo in-

vece è tendenzialmente senza confini, ha una dimensione non privatizzante,

e consente alle persone che dialogano di esteriorizzare la propria interiorità,

riconoscendo anche quella dell’altro dialogante, senza perdere la propria.

Una relazione giusta, una legalità giusta ha una struttura ortonoma, e non

autonoma ed eteronoma. L’ortonomia per Bruno Romano, «è radicata nel

logos, che si svolge nella relazionalità del dialogo; non attiene alla presunta

autosufficienza dell’ Io o del Tu, ma alla loro condizione coesistenzia-

le…»271

, essa è una dimensione specifica dell’Io nel suo relazionarsi con il

Tu, nel rispetto del principio di eguaglianza, che alimenta il desiderio di

giustizia e la continua ricerca di senso. Emerge ancora in Romano, una dif-

ferenza tra la giustizia e legalità, prendendo atto che ogni sistema legale che

succede nel tempo, è frutto delle scelte e della responsabilità delle persone

che, in un dato momento storico, esercitano il potere legislativo. «La giusti-

zia non è confinabile negli enunciati del legislatore, e nella cronologia delle

epoche, come sapere parziale, necessita di essere definito nella forme defini-

te di una legalità»272

, ma non si esaurisce in un determinato sistema legale,

lo eccede, con l’inesauribile desiderio di giustizia. La giustizia non confina

268 F. VIOLA- G. ZACCARIA, Le ragioni del diritto, BOLOGNA, 2003, p. 71. 269 B.ROMANO, Forma del senso. Legalità e giustizia, TORINO, 2012, p. 171. 270 Ibidem. 271Ivi, p. 191. 272 Ivi, p. 20.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

100

nella legalità, ma si impegna nella ricerca del giusto nel legale. La legalità è

legittimata dalla giustizia; la giustizia non è prodotta dalla legalità, che può

essere lo strumento anche delle violenze esercitate sui diritti incondizionati

delle donne e degli uomini. Il diritto non si può fissare in un tempo, in un

determinato presente, in quanto riguarda l’Io che dialoga con il Tu in una

condizione temporale che non è solo quella di un presente, ma anche quella

di un impegno per il futuro. L’homo legalis dunque, è colui che con o senza

dialogo, istituisce una forma che potrebbe essere riempita di qualsiasi con-

tenuto, e non si preoccupa di trovare il senso. L’homo justus invece, è colui

che ricerca la giustizia in una legalità giusta, è colui che dialoga con il Tu,

nell’interminabile desiderio di giustizia, e nel rispetto del principio di ugua-

glianza. Per giungere al termine di questi dibattiti dunque, dall’esame com-

plessivo delle teorie incentrate sulla questione della giustizia nel diritto, ri-

sulta con chiarezza come Kelsen, nell’esame del suo sistema giuridico quale

ordinamento di norme a struttura piramidale, si sia soffermato sul problema

della validità e dell’efficacia delle norme sotto il profilo formale, trascuran-

do il problema della giustizia, considerandola un ideale irrazionale, non giu-

stificabile sul piano della scienza, sul quale invece, al contrario, Bruno Ro-

mano ha riposto la sua attenzione. Come si è avuto già modo di constatare,

per Kelsen è la norma fondamentale che conferisce validità ed unità alla

pluralità di norme esistenti nell’ordinamento, la cui validità è riconducibile

ad essa in modo autoreferenziale, secondo una coerenza logico-formale.

Bruno Romano sostiene che la norma fondamentale di Kelsen sia «una sorta

di motore immobile di ogni movimento normativo, una norma che non esige

alcun ulteriore fondamento. E’ la norma iniziante gli indizi di tutti gli altri

percorsi normativi. Non ha in quanto tale contenuti specifici, ma costituisce

un modello vuoto, che essendo il prodotto del fatto vincente, conferisce qua-

lificazione giuridica ad ogni direzione di un qualsiasi processo normativo

che presuppone e produce altre norme»273

. In questo modo si omette la con-

sapevolezza che «le norme non sono istituite da norme per servire altre

norme, nella loro funzionalità sistematica, ma sono istituite da uomini

nell’esercitare la qualità dialogica del relazionarsi»274

. Il diritto quindi, non

può essere ridotto ad un insieme di norme gerarchizzate e aventi qualsiasi

contenuto, come esplicitato da Kelsen, poiché la specificità della forma del

diritto deve essere in grado di garantire la reciprocità del riconoscimento tra

gli uomini. «Il diritto diviene la legge della forza del più forte se non rispetta

la genesi di quella forma in formazione delle condotte che nasce dall’attività

273 B. ROMANO, Due studi su forma e purezza del diritto, Torino, 2008, pp. 93-94. 274 Ivi, p. 94-95.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

101

relazionale di ricerca della forma immateriale del senso»275

. Pertanto,

l’essere imputabili di diritti universali e incondizionati non è «oggetto di una

coscienza pura, perché non si tratta di una forma logico-cognitiva, che

nell’essere già data, spegne il darsi originale dell’esistenza. Si tratta di una

forma in formazione secondo scelte che non consistono nell’eseguire la

forma della scelta, ma nel rischiare personalmente e nella storia i contenuti

di uno scegliere vissuto come scegliersi e solo in quanto tale giuridicamente

imputabile»276

. L’imputabilità è pertanto, riconducibile alle singole volontà,

non è oggetto di una conoscenza pura.

3. Libertà, imputabilità e responsabilità in diritto penale

Nel diritto penale l’imputabilità è una condizione personale del reo e

costituisce il presupposto per l’applicazione all’autore del fatto, della

pena. L’imputabilità sussiste quando il soggetto, al momento della

commissione del fatto, possieda sia la capacità di intendere, ossia rendersi

conto della realtà e delle sue azioni, sia la capacità di volere, intesa come

capacità di autodeterminarsi sulla base di dati presupposti percettivi. Esiste

quindi un legame tra imputabilità e capacità di autodeterminazione

dell’uomo, intesa come libertà di volere, come capacità di operare delle

scelte assolute e libere. L'imputabilità costituisce la prima condizione per

esprimere la disapprovazione soggettiva del fatto tipico ed antigiuridico

commesso dall'agente, e solo riguardo ad un soggetto dotato di capacità di

autodeterminazione può parlarsi di riprovevolezza o disapprovazione, in

quanto disapprovazione e rimprovero non avrebbero senso se rivolti a

soggetti del tutto privi della possibilità di agire. Se l’imputabilità trova

fondamento nel principio della libertà dell’uomo, ci si è domandato quale

sia il contenuto di tale libertà. Attualmente il paradigma che ha preso il

sopravvento è quello definito di relativo indeterminismo, secondo questo

orientamento ciò che rileva sono i processi psicologici di motivazione alla

condotta, indipendentemente da un giudizio di responsabilità eticamente

fondata sulla capacità di distinguere il bene dal male. L'imputabilità penale

deve essere intesa come «attitudine del soggetto a valutare il significato e gli

effetti della propria condotta, ad autodeterminarsi nella selezione dei

molteplici motivi»277. È questo l'orientamento suggerito dallo stesso codice

275 ID, Filosofia della forma. Relazioni e regole, Torino, 2010, p. 67. 276

ID, Due studi su forma e purezza del diritto, Torino, 2008, p. 75. 277 Cass. 11 febbraio 1982, in Riv. Pen., 1983, p. 338.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

102

Rocco per il quale, perché sussista la imputabilità morale, occorre la facoltà

di scelta. In tal senso il libero arbitrio inteso quale capacità di discernere, di

selezionare i motivi e di inibirsi, acquista un significato più vivo. Mentre

nella imputabilità la volontà è considerata al momento della possibilità,

nella effettiva responsabilità penale la volontà è considerata al momento

della sua attuazione. Per individuare la differenza tra imputabilità e

responsabilità occorre far riferimento al concetto di sanzione: la

responsabilità è la sanzione conseguente all’illecito commesso e la sua

funzione è quella di risarcire il danno o di riparare il torto recato ad altri.

Risulta chiaro che l'imputabilità sia il presupposto logico e giuridico della

responsabilità penale, e che l'espressione capacità di intendere e di volere

rappresenta il fondamento, sotto il profilo psicologico, della responsabilità

penale. Il principio di responsabilità ha come premessa la libertà dell’autore

del fatto delittuoso, di "volere" ciò che l'intelletto ha reputato doversi fare,

di comportarsi coerentemente con tale scelta, di optare per la condotta che

pare più ragionevole, e se non ci fosse tale principio non avrebbe senso la

sanzione, la riprovazione sociale, l’idea di colpa, il concetto di devianza,

quello di giustizia e di diritto. L’individuo è libero, quindi è responsabile e

deve rispondere dei propri atti, ne consegue la responsabilità morale e

ovviamente quella giuridica. Il principio della personalità della

responsabilità penale, sancito nell’articolo 27 della Costituzione italiana, va

inteso nel senso che «l’applicazione della pena presuppone l’attribuibilità

psicologica del singolo fatto di reato alla volontà antidoverosa del

soggetto»278. Il principio di colpevolezza è uno dei principi cardine del

nostro sistema penale, esso rappresenta il terzo elemento costitutivo

fondamentale del reato insieme alla antigiuridicità ed alla tipicità, ossia è

necessario che il soggetto, non solo abbia commesso con dolo o colpa il

fatto lesivo di un interesse protetto, e che la sua azione risulti non

giustificata da alcuna esimente, ma è necessario che tutto il comportamento

significhi una ribellione contro la forza imperativa della norma. E’ possibile

individuare un concetto dommatico unitario di colpevolezza, perché in ogni

caso l’agente agisce in modo diverso da come l’ordinamento voleva che

agisse, ed è in tale atteggiamento antidoveroso che si individua l’elemento

comune al dolo e alla colpa. Tale concezione è definibile normativa, che

tiene conto e dia rilevanza, non solo al dolo o alla colpa, ma anche alle

circostanze che accompagnano l’azione, ai motivi che spingono al reato e,

infine, all’imputabilità. A tale concezione si contrappone un’altra, definibile

psicologica, per la quale la colpevolezza, quale rapporto tra autore ed evento

278 G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 1989, p. 268.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

103

criminoso, si risolve nell’elemento psicologico del reato, dolo o colpa,

presentandosi come due entità diverse, per la diversità della relazione

psichica tra l’agente e il fatto: nel dolo si vuole la conseguenza lesiva

dell’azione od omissione, nella colpa, no. Sul rapporto tra imputabilità e

colpevolezza la giurisprudenza è stata oscillante. In un primo tempo la Corte

Suprema ha affermato che l’imputabilità sia un presupposto della

colpevolezza, in quanto solo chi è capace di intendere e di volere può porre

in essere una condotta penalmente rilevante, in mancanza non si può

procedere al giudizio di colpevolezza. Successivamente la posizione della

Suprema Corte è andata nella direzione opposta, affermando che

l’imputabilità non è presupposto della colpevolezza, occorrendo accertare,

anche in caso di imputato infermo di mente, se il fatto commesso sia doloso,

colposo, o preterintenzionale, sempre riguardo allo stato di mente

dell’agente. Concludendo , il giudizio di imputabilità riguarda l’irrogazione

della pena, mentre la colpevolezza si riassume in due passaggi

fondamentali: l'attribuibilità del fatto-reato e la riprovazione che ne deriva,

la quale legittima la soggezione a pena. Infatti fra quelle azioni che, in

quanto coscienti e volontarie, sono attribuibili all'agente, potranno essergli

imputate solo quelle commesse in uno stato di capacità di intendere e di

volere, derivando quindi, la non punibilità del soggetto insano e non maturo,

in quanto non rimproverabile.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

104

SEZIONE V – DIRITTO TRIBUTARIO

ANTONIETTA COPPOLA

Analisi sull’interpretazione nella visione di Bruno Romano, Nicklas

Luhmann e nel diritto tributario

1. L’interpretazione del diritto

Nel diritto l’interpretazione è l’attività volta a chiarire e stabilire il

significato delle disposizioni, ossia degli enunciati nei quali si articola il

testo di una norma, in vista della loro applicazione nei casi concreti. L’opera

interpretativa è essenziale alla vita stessa della norma giuridica poiché essa

esiste attraverso la sua interpretazione, tuttavia occorre previamente

soffermarsi sul presupposto della interpretazione stessa, quale il fenomeno

del diritto. Il diritto può essere inteso come il complesso sistematico delle

norme giuridiche che regolano la vita dei membri di una collettività in un

determinato momento storico. Esso è un fenomeno umano che si estranea

dai sistemi biologici dei soggetti non umani la cui vita è basata sulla mera

esecuzione di un programma già dato, di un codice biologico.

I non umani sono soggetti esclusivamente a leggi trovate che derivano

dalla natura e non da leggi istituite, l’essere umano invece dotato della

libertà, del « libero arbitrio» , adotta delle condotte che sono vere e proprie

affermazioni di volontà che non dipendono da un mero istinto animale. Il

diritto istituito regola la coesistenza tra soggetti disciplinando eventuali

conflitti, in modo da non abbandonare le relazioni alla violenza della legge

del più forte, proprio come avviene nel mondo animale279

.

Secondo l’impostazione di Bruno Romano l’opera dell’interpretazione

non è data da una seria di automatismi, poiché vi è presente la personalità

dell’interprete, «nell’opera dell’interprete vi è il momento essenziale della

decisone, l’interpretazione non avviene a sua insaputa,non è un evento che

gli accade, così come invece si può dire per tutti gli eventi riferibili alle cose

e agli animali, dotati di conoscenza ma privi degli atti della coscienza», la

decisione è un atto della coscienza, è manifestazione di volontà non un fatto

biologico280

. Importante è soffermarsi su tre figure fondamentali del

279 Lezioni.

280 B. ROMANO, Nichilismo finanziario e nichilismo giuridico. Conoscenza e coscienza,

Torino, 2012, p. 82.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

105

fenomeno diritto, relativamente alla terzietà abbiamo il terzo-legislatore che

istituisce le norme; il terzo-giudice che le concretizza del giudizio e il terzo-

polizia. Una norma posta dal legislatore viene applicata a una situazione

concreta proprio attraverso l’interpretazione che si pone all’origine

dell’attività giudiziaria del terzo-giudice281

.

Tra l’attività del legislatore e quella del giudice vi è una differenza di

qualificazioni temporali, la prima è già avvenuta (nel passato), la seconda

riprende l’attività del legislatore, l’interprete retrocede ma allo stesso tempo

avanza poiché guarda al futuro attraverso una nuova formazione del senso.

In tal modo si ha una creazione di senso nel passaggio dalla generalità e

astrattezza delle norme, alla particolarità e concretezza del caso concreto

trattato e deciso dal giudice. Dalla conoscenza della norma il giurista passa

ad interpretarla con un atto di coscienza che è ricerca di senso e solo tramite

l’atto di coscienza riesce ad applicare la norma al caso concreto

oltrepassando la conoscenza e comprendendo la condotta umana,che nasce

da un’ipotesi maturata dal pensiero dell’io, con volontà e libertà282

.

L’interpretazione si costituisce quando la persona, impegnando la

formazione della sua personalità, rischia un’ipotesi, che non è una

ripetizione esecutiva di un programma,ma si annuncia come una creazione

ed un avanzare, esercitati nella simultaneità del retroagire di un io in dialogo

con un tu283

. Proprio perché la condotta umana è pensata e voluta con libertà

dall’io, quest’ultimo è imputabile e responsabile per la sua condotta. Le

cose,gli animali e le macchine non rischiano poiché non si fanno domande

sul senso, ma ‘funzionano’ secondo le loro specifiche modalità di essere,

non sono capaci di avviare delle ipotesi, comparate dai dialoganti nelle loro

relazioni comunicative, ambientate nel contesto polisenso delle parole. In

definitiva possiamo dire che appartiene all’opera dell’interprete il rischio di

un’ipotesi di senso, mentre alla conoscenza scientificamente acquisita e

verificata, non è riferibile alcun rischio e però neppure alcun senso

esistenziale.

Secondo l’impostazione di Nicklas Luhmann, l’interpretazione è la

preparazione di un’argomentazione dopo l’osservazione. Infatti in un primo

momento, il giurista si limita ad un’interpretazione fatta di lettura e

attribuzione di senso, per poi esternarla ad opera di un’argomentazione

preparata e comunicata in modo articolato e convincente, in modo da

281 Lezioni. 282 B. ROMANO, Nichilismo finanziario e nichilismo giuridico. Conoscenza e coscienza,

Torino, 2012, p.86 283 Ivi. p. 92.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

106

determinare che l’argomento supportato sia valido. L’interpretazione può

essere letterale o logica.

Si ha la prima quando alla lettura della norma si attribuisce a ogni parola

il significato preciso che scaturisce dalla presenza di quella parola in tale

contesto, giungendo alla comprensione letterale della norma giuridica. Si ha

invece, interpretazione logica con l’analisi della disposizione in base alla

ratio da cui tale norma è scaturita,guardando al risultato pratico della norma.

L’interpretazione si distingue anche in base a chi la compie

in:autentica,compiuta dal potere legislativo;giudiziale, posta in essere dal

giudice in un caso concreto; dottrinale, propria dei giuristi284

.

In conclusione l’interpretazione consente di addentrarsi e ragionare sul

testo, viene considerata da Luhmann come una lettura propria della realtà

ed è propria di chiunque285

. Per quanto riguarda l’informatica giuridica,

ossia l’informatica applicata al diritto, questa non è solo un mezzo a

disposizione degli operatori ma è un fenomeno che incide profondamente

nel diritto stesso. A differenza di quanto si potrebbe pensare l’informatica

giuridica non è la scienza che studia i problemi giuridici legati

all’informatica e le applicazioni informatiche per il diritto:in questo caso si

parla di diritto dell’informatica.

L’informatica giuridica invece può essere intesa come la disciplina che

utilizza i calcolatori elettronici nel campo del diritto, è l’informat izzazione

dei dati giuridici. I primi studiosi della materia hanno distinto tra

informatica giuridica documentale (o documentaria) e informatica giuridica

metadocumentale (o intelligenza artificiale nel diritto)286

,in particolare con il

termine intelligenza artificiale si intende l’abilità di un computer di svolgere

funzioni e ragionamenti tipici della mente umana.

Ritornando ai tre elementi principali dello stato di diritto quali il

legislatore,il giudice,la polizia ci si pone il quesito se essi possano essere

sostituiti da un’intelligenza che non sia umana e che sia quindi artificiale,la

risposta da dare a questo quesito è sicuramente negativa. Caratteristiche

essenziali di un’intelligenza artificiale sono la serialità e ripetitività, proprio

per questi caratteri essa non può sostituire il linguaggio del legislatore che è

un linguaggio interpretante.

Il legislatore si trova a lavorare con parametri interpretativi che devono

essere argomentati e trattati ogni volta in modo diverso; l’intelligenza

umana non può essere sostituita, per quanto riguarda il diritto,

284 Lezioni. 285 Lezioni. 286 http://it.wikipedia.org/wiki/informatica_giuridica

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

107

dall’intelligenza artificiale perché i caratteri interpretativi relativi alla

libertà, alla responsabilità, all’imputabilità variano di volta in volta in

relazione al caso concreto. In definitiva l’informatica giuridica è funzionale

soltanto per quanto riguarda l’archiviazione della documentazione e può

servire anche per quanto riguarda il collegamento veloce attraverso le

banche dati, attraverso le strade informatiche287

.

2. L’interpretazione delle leggi tributarie

Non esistono criteri interpretativi peculiari al diritto tributario, esso ha

bisogno continuamente di essere interpretato e di essere creato. Il diritto

tributario per la sua dimensione è in continuo confronto con altri settori

dell’ordinamento, nell’esigenza di assicurare la coerenza dell’ordinamento

laddove non esiste una nozione ad hoc per il diritto tributario,il tributarista

attinge a nozioni di altro settore dell’ordinamento. Si è sempre sostenuto in

passato che le norme tributarie siano norme eccezionali e che ad esse si

potrebbe applicare un canone interpretativo che è quello che ritroviamo

nell’articolo 14 delle Preleggi; Le norme tributarie, essendo norme

eccezionali al pari delle norme penali, non possono essere oggetto di

interpretazione di carattere analogico. Anche le norme tributarie si prestano

ad essere interpretate secondo i comuni canoni,i comuni criteri

dell’ermeneutica giuridica. Nel diritto tributario abbiamo anche dei criteri

che lo stesso legislatore affida all’interprete per interpretare le norme

tributarie. In questo settore l’interpretazione può essere fatta dal legislatore

dal giudice e dall’amministrazione finanziaria cioè dell’agenzia delle

entrate,quindi abbiamo anche interpretazioni della pubblica

amministrazione.

Il legislatore tributario è attento a fornire all’interprete dei canoni

interpretativi che troviamo in una legge generale dell’ordinamento tributario

che è la legge del 2000 n 212 meglio nota come lo Statuto dei diritti del

contribuente, l’art.1 autoqualifica le norme di questa legge a dettare principi

generali in attuazione di norme costituzionali, quale articolo 3, principio di

uguaglianza, articolo 53, principio di capacità contributiva e articolo 97,

principio di imparzialità dell’amministrazione. Nello statuto troviamo

nell’articolo 1 (secondo comma) la dispone che l’adozione di norme

interpretative in materia tributaria, può essere disposta soltanto in

circostanze straordinarie, la ratio di questa norma è che il legislatore

287 Lezioni.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

108

tributario è titolare del potere impositivo. Questo viene affermato dalla

giurisprudenza della Corte di Cassazione in una sentenza che è divenuta

storica nel panorama del diritto vivente, la suprema corte ha stigmatizzato il

ruolo bifronte della amministrazione che da una parte è titolare del potere

impositivo di accertare e riscuotere e dall’altra parte assume i panni del

legislatore spacciando delle norme d’interpretazione che hanno il solo scopo

di avvantaggiare l’amministrazione finanziaria (Cassazione. 2006. 25506

tributaria in materia fiscale gli interventi interpretativi sono sempre pro fisco

in quanto dettati da ragioni di cassa nell’intendo di realizzare maggiori

entrate,non sono ispirati all’esigenza di realizzare la certezza del diritto ma

soltanto attenti a uno degli interessi delle parti in causa)288

. Data la

complessità ed estensione della legislazione tributaria quando vengono

emanate nuove norme, queste si inseriscono con aggiunte, sostituzioni a

testi normativi preesistenti: l’interprete deve dunque mettere a confronto più

testi, per verificare quale sia quello finale.

CORTELLESSA DOMENICO

1. Trattazione di alcuni aspetti relativi all’interpretazione giuridica

Viviamo in una società fortemente caratterizzata, almeno per quella c.d.

occidentale, da quello che viene definito stato di diritto. Ma il nostro studio

non si può circoscrivere, relegare solo ed esclusivamente ad una sola parte

della società esso infatti, per una trattazione completa, obbligatoriamente

deve riguardare ed essere diretto all’intero genere umano poiché gli

argomenti che andrò a trattare non riguardano solo un certo numero di

individui ma l’individuo per così come noi lo caratterizziamo e lo

consideriamo a qualsiasi latitudine o longitudine. Vedete già in questa breve

introduzione io ho usato alcuni termini che , più avanti meritano di essere

trattati e più approfonditi poichè essi saranno proprio l’oggetto del presente

lavoro. Temi come il diritto, la società, l’organizzazione politica,territorio

sono argomenti che vanno trattati, argomentati nell’intento di dare una veste

di discussione e di conoscenza dello studio che fino ad ora ci ha impegnato,

come studenti, in un corso di laurea in giurisprudenza. In un corso di studio

relativo alla giurisprudenza risulta quanto mai indispensabile parlare sì

diritto dato che è proprio lo studio di questo e la sua applicazione alla vita

288 Giornata di studi del 30 ottobre 2013. Le interpretazioni del (nel) diritto. Intervento di

G.Cipolla

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

109

pratica quotidiana, nello scorrere del tempo con tutte le sue problematiche

nel suo evolversi e nel suo divenire ma non basta esso, infatti va inquadrato

totalmente nel suo essere come viene concepito e caratterizzato dagli

studiosi di esso che, nel tempo, hanno dedicato gran parte della loro

applicazione allo studio di questo ideale. Allora possiamo vedere, come per

il sociologo, filosofo tedesco, Niklas Luhmann esso è solo un sistema, il

sistema diritto in cui sono le norme e lo stretto collegamento fra di esse che

fanno funzionare il sistema. Ad ogni buon conto, partendo dagli elementi

acquisiti e se teniamo conto del brocardo latino “ Ubi societas ibi ius “

possiamo dire che il collante che tiene l’organizzazione sociale in equilibrio,

secondo una forza stabilizzatrice nel senso che tiene stabili, nella

contingenza la qualità dei rapporti fra gli individui è proprio il diritto. Una

forza immunitaria, secondo la teoria sistemico-funzionale, di N. Luhmann,

che tiene i sistemi in perfetto equilibrio fra di loro. Ma questo diritto come

viene declinato, chi lo ha istituito,è venuto per forza naturale o è stata una

scelta più o meno consapevole dell’uomo che, come essere sociale, nel suo

aggregarsi si è dato delle regole di vita comportamentali? E

l’argomentazione giuridica, l’interpretazione, l’ermeneutica cosa c’entrano?

Come si è detto, nel corso delle lezioni è un concetto molto vasto, se ne è

occupato, già nel passato, lo stesso Cicerone che vedeva questa non in una

formulazione esclusivamente tecnica.

2. Argomentazione giuridica e interpretazione

Argomentare significa supportare delle tesi, si motivano delle tesi per

arrivare a delle conclusioni sulla base di una premessa che noi definiamo

maggiore. Abbiamo quindi una premessa maggiore, una premessa minore e

delle conclusioni. Tra premessa maggiore, premessa minora e conclusioni

scorre un filo logico. Secondo una visione di Kelsen filosofo tedesco, sono

proprio questi presupposti per la realizzazione del così detto, stato di diritto.

Una legge fondamentale che costituisce la premessa maggiore,cui far

riferimento, in tutte le altre premesse, che noi definiamo , minori e le

conclusioni cui si arriva dopo un’attenta interpretazione della norma che noi

definiamo legge fondamentale, stato di diritto, carta costituzionale od altro.

Tutte le norme, cui il legislatore attiene, vanno limate,conformate alla norma

fondamentale. L’argomentazione muove il simbolo del diritto, ci dice se

esso è ancora valido , se è attuale, se risponde alle aspettative. Ma

l’argomentazione non può in alcun modo modificare il diritto, non ha questo

potere. Il potere di modificare il diritto ce l’ha solo il legislatore che opera

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

110

attraverso le procedure. Ma, attenzione,e qui sta l’azione ermeneutica del

legislatore nel senso che egli si fa carico di interpretare e quindi attraverso

un’azione di pura ermeneutica, delle istanze che emergono in quella precisa

contingenza e quindi andando più in là della mera lettura di un testo

tecnicamente interpretato, di una premessa maggiore , poiché se è vero che

una lettura tecnica è indispensabile per una comprensione sufficiente, non lo

è per una comprensione piena. Ermeneutica è un termine che deriva dalla

parola greca, ermeneuin, che significa conoscere. Il legislatore, che è anche

un osservatore, nella sua azione deve andare oltre nella sua attività

interpretativa e cercare di andare quanto più a fondo possibile, per far si che

la norma, che si accinge a predisporre si sposi perfettamente con lo spirito

della legge cui il testo è rimandato. Il legislatore o il padre costituzionalista

nelle previsioni normative fondamentali, ha tenuto conto della realtà

contingente,è andato alla ricerca del giusto, nel senso di prevedere norme

che fossero rispondenti alle esigenze della popolazione che egli

rappresentava, che si fondassero precipuamente su valori ineludibili, che

rientrassero nelle aspettative emergenti da una certa situazione, che fosse di

tipo ideologico, religioso,liberista ecc.. Una premessa maggiore su cui si

fonda un ordinamento giuridico che assume su di sé la responsabilità della

qualità relazionale tra gli individui. A questo punto è altresì necessario fare

un’altra considerazione, Per primo non dobbiamo confondere il termine

costituzionalismo con il termine statalismo visto che siamo abituati a

pensare che alla Costituzione sono interessati solo ed esclusivamente

individui stanziali su di un territorio, dimenticandoci degli apolidi o delle

popolazioni nomadi, Significa che questi non abitando un territorio sono

fuori dal diritto? Il diritto è una cosa nobile che investe ed afferisce tutte gli

individui nella loro integrità ed interezza indipendentemente da qualsiasi

condizione. Resta solo da vedere che quando diciamo che il legislatore è

sempre alla ricerca del giusto,in quale contesto egli si trova ad operare e qui

entra in ballo la legalità. Il frutto del legislatore, la norma, rappresenta la

legalità, ma non sempre questa si identifica con il giusto. E poi quello che

può essere giusto per l’uno , può non essere giusto per un altro. E’ giusta

una condanna a morte? E’ giusta la sciarìa?Se ad un certo momento, le

esigenze contingentali dovessero prevedere l’istituzione di una norma che

urta violentemente con alcuni valori, che noi definiamo essenziali,

ineludibili, quella norma si approva ed è tutto legale, legittimo.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

111

3. Ruolo del legislatore,ruolo del giudice

Il ruolo del legislatore, che noi abbiamo definito di primo livello ,

congiuntamente al ruolo del giudice, di secondo livello, si sostanziano dal

fatto, almeno per il primo, che essi sono degli osservatori. Al legislatore si

presentano fatti che emergono dalla contingenza, che è intesa come una

forma di palude stagnante, piatta, ma che all’occorrenza si trasforma in una

base da cui emergono delle aspettative, dette cognitive,e di cui si fa carico

per trasformarle in aspettative normative, cioè in norme. E, come

emergono? Da una forza. Tanto sono più forti tanto più si impongono

all’attenzione del legislatore, che non può fare a meno di provvedere

normativamente. Hobbes diceva dalla violenza, ma possiamo parlare di

violenza? Allora diciamo emerge per una sorte di selezione

naturale,quell’aspettativa che riesce a catalizzare di più l’attenzione del

legislatore che, ricordiamo è sempre alla ricerca di ciò che è più giusto per

risolvere il problema che gli si è presentato, nell’unico ed esclusivo

interesse per la popolazione che rappresenta. Il legislatore quindi si fa

interprete, interprete a due versanti, da un lato ha la Carta Costituzionale, sui

cui principi non si può derogare, dall’atro interpreta le istanze che gli

pervengono dalla contingenza. ma a questo punto resta da chiederci che

cos’è la contingenza o meglio come viene concepita da più correnti di

pensiero tra cui, quella fattuale che considera la contingenza come il

concorrere, caratterizzandola, dei fatti che accadono e che sono presenti nel

quotidiano. Quelli cioè, che appaiono, che si vedono ,che si possono

toccare. Quella fenomenologica che non si limita solo a vedere ma anche ad

osservare. C’è differenza tra il vedere e l’osservare, da ciò che appare e ciò

che non appare ma che egualmente c’è. E’ quello che non si vede, che non si

tocca ma se ne colgono egualmente i messaggi come flussi di senso. In

questi casi parliamo di doppia contingenza tra ciò che si vede e ciò che non

si vede ma che possiamo egualmente toccare con il tatto del nostro spirito.

In questa scuola di pensiero,che tra l’altro, io sposo pienamente, troviamo

anche la prof. ssa Luisa Avitabile che condivide il pensiero del filosofo prof.

Bruno Romano dell’Università della Sapienza di Roma. Dicevo mi trova

pienamente d’accordo in quanto io stesso sostengo che ciò che appare

davanti a noi, non è tutta la realtà, E’ come sue noi ci trovassimo di fronte ad

una grande scena teatrale, tutto ciò che si rappresenta non è proprio tutto,

ma esiste un’altra realtà a noi all’apparenza nascosta e sta a noi carpirla,

analizzarla,studiarla. E come? Attraverso la relazione, il dialogo. Ciascuno

si pone nei confronti dell’altro e, attraverso un flusso di senso,attività

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

112

dialogante, di sensazioni, di momenti che si colgono, si concretizza il

risultato e quello che si ottiene non è una norma fredda e sciatta, non è una

sentenza che è semplicemente il frutto di un calcolo matematico, ma è il

risultato di una combinazione tra lo stretto dettato e il condensato spirituale

della norma, che pure esprime passando attraverso l’io di chi è chiamato ad

interpretarla ed ad applicarla. Quindi Il giudice si fa interprete della

testualità giuridica nell’applicazione di questa nel caso concreto. Come si

vede tutti questi passaggi sono collegati da un filo logico. E questo

collegamento come avviene? Avviene attraverso la comunicazione. La

comunicazione in questione si concretizza attraverso i testi. La norma è un

testo,anche il legislatore è un testo,non la persona fisica, ma la testualità

giuridica che rappresenta. Ancora la sentenza è un testo che si completa

attraverso le motivazioni, la Carta fondamentale è un testo, qualsiasi atto

pubblico o privato è un testo ma che abbia rilevanza giuridica. Una semplice

lettera di auguri è si un testo ma, non avendo rilevanza giuridica, non è

presa in considerazione dall’ordinamento giuridico.

4. Terzietà, imparzialità,giustiziabilità

Nel nostro ordinamento giuridico, così come per altri sistemi giuridici

sviluppatesi in momenti temporali e spaziali diversi, ma con minimi comuni

denominatori uguali, condivisi e rappresentati da quei valori,

universalmente riconosciuti, che afferiscono la persona umana e che non

possono essere in alcun modo intaccati, messi in discussione. trova

collocazione il diritto. Per questo alto valore, che non è rappresentato solo

da norme scritte, va considerato il principio di terzietà ed imparzialità da

parte di chi è chiamato a legiferare in prima istanza ed giudicare in seconda

istanza, secondo il principio della separazione dei poteri di montesquieana

memoria. Terzietà si riferisce ad una persona che viene dopo una prima ed

un seconda e che, rispetto a queste è terza, equidistante tra di loro ma poste

su un medesimo piano. Abbiamo visto per questo il ruolo e la funzione che

investe il legislatore ma, una domanda: il legislatore è sempre terzo ed

imparziale? Non accade che dall’alto del suo potere finisce, a volte, a cedere

alle pressioni di tipo economico-finanziario ed alle pressioni che gli

pervengono da questo mondo in nome di una contingenza in cui i valori che

egli dovrebbe rappresentare,tutelare e difendere, vengono sacrificati

sull’altare di un potere economico finanziario che,per sua stessa natura, data

la globalalità del o dei sistemi, investe tutti gli individui che, non per loro

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

113

libera scelta, sono obbligati, più o meno consapevolmente, a compiere delle

scelte che essi credono autonome ma che, in effetti sono pilotate da queste

grandi forze prepotentemente invalse al non dialogo, in barba a quell’io che

è proprio di ognuno di noi e che proprio con la formula del dialogo, si

relaziona con gli altri sopra un piano di uguaglianza nella differenza. L’io

ipotizzante in tutto questo non trova spazio. La nostra scuola, che fa capo a

quella del filosofo, prof. Bruno Romano ed altri tra cui la prof.ssa Luisa

Avitabile è nettamente contraria a ciò, poichè le decisioni che vengono prese

risultano essere a vantaggio di pochi ed a svantaggio di molti. Che sia il

mondo della finanza, il mondo del consumismo il mondo dello status simbol

(Vedi oggi l’uso smodato del telefonino e tutte le sue varianti, non fai in

tempo ad aggiornarti con un modello che questo è già soppiantato da un

altro più bello, con altre caratteristiche che invogliano a comprare, ad

operare scelte indotte per stare al passo con i tempi). L’io, unità ipotizzante

di ciascuno di noi, non si è relazionato con altri io e nemmeno quello del

legislatore per cui la scelta di quest’ultimo risulta essere una scelta non

ponderata o ponderata male non essendo stata questa una scelta condivisa in

cui ciascuno avrebbe messo del suo. Tutto questo avviene secondo una

parvenza di giustizia in nome, e questa è la giustificazione,motivazione, di

più generali interessi diffusi. Per questo il nostro ordinamento, nell’intento

di dare garanzia del diritto a tutti, prevede anche la giustiziabilità delle

leggi. La Corte Costituzionale organo indipendente, a ciò deputato, che

opera svolgendo un ruolo ed una funzione garantista attraverso un’azione di

interpretazione, di ermeneutica. La Corte scava, penetra, vaglia, studia il

testo dall’alto della sua competenza oltremodo tecnica. I giudici

costituzionali sono professionisti capaci, preparati, sono giuristi che hanno

speso la loro vita per lo studio e l’applicazione del diritto. E qui sta la

tecnicalità dell’interprete del diritto che, congiuntamente alle sue

conoscenze ed alla sua formazione individuale, nella sua coscienza,del suo

io, tenuto conto di quella premessa maggiore, è chiamato a pronunciarsi. Ed

è così anche per il giudice interprete di secondo livello. Egli, allo stesso

modo è chiamato ad applicare il diritto ma non lo fa secondo la luhmanniana

maniera o secondo la teoria di Kelsen, altro filosofo tedesco, a questi molto

affine, egli diventa interprete di una norma che sta lì ma che gli serve come

base,come paradigma, ma da questa si eleva mettendo in discussione il

proprio io, unicamente inteso, non frazionabile, non frammentabile,non solo

funzionale come un contenitore vuoto che si lascia riempire di norme che

poi applica in maniera fredda e distaccata, ma disposto ad ascoltare l’altro,a

coglierne gli spunti più intimi e reconditi per giungere ad una decisione la

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

114

più giusta possibile e la più soddisfacente nel plurimo interesse delle parti

coinvolte. Egli è visto non come un ente biologico funzionale,topologico,

non attiene freddamente alla sua funzione, perché egli ha comunque una

funzione visto che alla fine è chiamato a pronunciarsi, a decidere, ma questo

lo fa mettendo in discussione il proprio io ipotizzante con altri io, comparsi

sulla scena del dibattimento. Il giudice svolge un’attività ermeneutica pura,

classicamente intesa, in cui nel relazionarsi con gli altri,vede il caso

concreto non da un puro fatto, fenomeno della contingenza, ma da un punto

di vista fenomenologico. In cosa consiste questa differenzazione lo abbiamo

già visto. Tutto questo non è previsto nella concezione del diritto, nel

pensiero, nell’analisi di Niklas Luhmann, filosofo, sociologo tedesco. che si

avvicina molto alla teoria pura del diritto (positivismo giuridico) di Kelsen.

Egli infatti vede il ruolo del giudice relegato alla sua funzione. Tutto è

funzione, tutto è funzionalizzato,i sistemi devono funzionare,nell’intricata

struttura organizzativa dello Stato e della società. L’individuo è una persona

topologica, svolge la sua funzione occupando un ruolo che magari non ha

scelto ma che comunque da esso non può distaccarsi. Ruolo e funzione

fanno parte di un grande sistema che è la società. La società complessa che

in ragione dei ruoli, funzionali e collegamenti strutturali, si regge e che, per

questi è resa meno complessa. Ciascuno è chiamato a svolgere la sua

funzione senza tanti come e perché; non gli è concesso di derogare perché,

se lo facesse, diventerebbe disfunzionale. Non esistono secondo questa

concezione, i tre gradi di giudizio, non se ne ravvisa la necessità in quanto è

tutto precalcolato. Questo non è condiviso, secondo il nostro modo di vedere

e di concepire il diritto in quanto l’io, unità ipotizzante non è, né può essere

precalcolato, egli si pone sullo stesso piano del tu con cui intraprende

un’attività dialogica il cui risultato sarà un testo giusto che, nella sua

applicazione successiva darà frutti indirizzati al giusto. Il giudice, così come

nella precedente visione, è semplicemente un funzionario applicatore di cui,

francamente, se ne potrebbe fare a meno,basta applicare la norma. Nel

nostro caso, secondo il nostro modo di concepire il diritto, non solo il

giudice, ma lo stesso vale anche per il legislatore, non è un freddo

calcolatore ma, esistendo tre gradi di giudizio, si è inteso, con questi, dare al

cittadino la massima garanzia di giustizia, del diritto, affidando a tre

specifiche valutazioni, il medesimo caso. In ultimo grado quindi la Suprema

Corte di Cassazione, attraverso la sua azione nomofilattica, decide e nel

decidere interpreta, se il caso concreto è stato deciso secondo giustizia e non

inficiato da elementi che attengono alla irragionevolezza,alla illogicità, nel

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

115

qual caso rinvia ad altro giudice non entrando essa, se non in rari casi, nel

merito delle questioni.

.

KATHARINE ANN ROLLO

Brevi riflessioni su Niklas Luhmann e Bruno Romano

1. Complessità e diritto

Nickas Luhmann argomenta di una riduzione a statuto sistemico

funzionale in cui l'uomo scompare invaso dal fondamentalismo

funzionale289

.

Per Luhmann far parlare la cosa stessa significa in realtà osservare il

sistema, di conseguenza far parlare al solo scopo descrittivo, il sistema

giuridico lungo la selezione delle complessità che si palesa nell'emersione di

funzioni, di equivalenti funzionali; 'far parlare la cosa stessa' equivale in

Luhmann porre in primo piano la rilevanza della Sache, laddove il termine

cosa indica la purezza di una programmazione epurata dal chi.

Nella riflessione sistemico-funzionale della società complessa il diritto si

trova ad essere una cosa tra le altre, trasformato secondo la declinazione

della «Sache in System»290

, in un complesso circolare di operazioni

funzionali, dove il funzionalismo è sinonimo di efficiency.

Ogni singolo sistema è interconnesso con la globalità degli altri sistemi

esercitando anche delle pulsioni su se stesso; ciascun sistema costituisce la

ratio di ogni altro sistema, perché funge «contemporaneamente da specchio

nel senso che ogni sistema si riflette specularmente nell'altro.

[…] ed anche da polo contrapposto»291

poiché possiede e si evolve

secondo caratteristiche che sono proprie e che si riferiscono agli altri sistemi

solo come procedura organizzativa complementare, ma non come funzione.

Bisogna operare una «osservazione bidirezionale»292

non univoca perché

osservando il sistema dall'interno, la visibilità dei meccanismi permette di

giustificare le reazioni esterne; osservando, inoltre, il sistema dall'esterno è

289 L'espressione è di B. ROMANO, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico,

Torino, 2004. 290A. AGIROFFI – L. AVITABILE, Responsabilità, Rischio, Diritto e Postmoderno, Torino,

2007, cit., p.232. 291Ivi, p.236. 292

ID, Responsabilità, Rischio, Diritto e Postmoderno, Torino, 2007, cit., p.237.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

116

possibile soffermarsi soprattutto sui meccanismi intercorrenti tra sistema ed

ambiente, dimensioni rilevanti e reciprocamente dipendenti. Luhmann

infatti definisce il sistema come «un modo ben determinato di risolvere il

problema dell'identità, ricorrendo ad una distinzione tra un dentro e un

fuori».

Il singolo sistema emerge con l'atto cognitivo «costituito

dall'osservazione messa in atto da un osservatore che osserva se stesso e

attiva una differenziazione emergente secondo un a procedura sistemica che

si ramifica in designazione e distinzione»293

.

Nel sistema-diritto la dinamica delle osservazioni è rappresentata dal

giudice, osservatore dei materiali gia osservati dal legislatore (osservatore di

primo grado); entrambi si assumono la responsabilità delle decisioni che

comportano un determinato numero di rischi considerato che vanno ad

incidere sul futuro.

Il tempo è, infatti, alla base della costruzione del sistema-diritto.

Luhmann affermando la standardizzazione del sistema pone al centro del

suo pensiero la funzione della società che si estende fino ad essere parte

dell'aspettativa, la quale rivela la questione temporale propria del senso delle

comunicazioni, e quindi elemento dell'aspetto temporale del diritto.

Da ciò discende che la funzione della funzione è la funzione, non l'uomo.

In conclusione quindi la peculiarità del diritto è che esso rende certa

l'aspettativa per evitare rischi, fungendo da sistema immunitario del

complesso dei sistemi sociali, trasformando in normative le aspettative

cognitive.

In questo contesto la «meccanizzazione della società»294

rimanda alla

centralizzazione dell'umanità, dove, oggi, «ognuno riceve comandi che

provengono da i non luoghi della finanza che alleva ed addestra ogni altra

entità umana attraverso l'introduzione a comportamenti che degenerano

nell'automatismo morale»295

. Gli spazi della finanza si sostituiscono

all'agorà, per antonomasia luogo di scambio comunicativo-relazionale. In

questa condizione la spiritualità dell'uomo rimane oscurata dietro

l'apparenza della corporeità e gli atti della coscienza diventano meri

fenomeni organici al servizio del corpo. In questa dimensione compare solo

il 'Sé'296

che mai accede alla questione del senso intraprendendo così la

293A. AGIROFFI – L. AVITABILE, Responsabilità, Rischio, Diritto e Postmoderno, cit., p. 236. 294 Cfr. F. NIETZSCHE, Umano troppo umano, Torino, 2006. 295

B. ROMANO, Nichilismo finanziario e nichilismo giuridico. Conoscenza e coscienza,

Torino, 2012, p.10. 296F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, Milano, 1993, p. 25.

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

117

strada del nichilismo giuridico, perché non accetta mai che l'uomo abbia a

che fare con il linguaggio e lo declina in una funzione. Nel contesto del

nichilismo finanziario l'uomo si profila come un post-uomo/consumatore. Si

assiste così alla trasformazione del mondo umano in un mercato

globalizzato, che registra il potere della finanza, prototipo di super-uomo297

,

ove «la persona è consumata come una funzione come un elemento

depersonalizzato dalla complessa architettura tecno-finanziaria»298

L’analisi rivela una contraddizione interna al pensiero luhmanniano

sopratutto per il sistema-diritto interpretato come sistema sociale

autopoietico299

. In tale contesto, diviene centrale il senso della critica di

Romano alla qualificazione del diritto come sistema autopoietico, per la

ragione che, con i tratti in cui si presenta, essa reagisce ad un configurazione

del diritto che annienta la natura dell’uomo stesso. Secondo Romano,

Luhmann «restringe la discussione sull’esser – soggetto, fin dal suo

presentarsi, in quella dell’aver-competenza, ovvero del funzionamento delle

differenziazioni, cancellando la questione della soggettività in quanto

disassoggettamento formazione di un’ipotesi di mondo in una creazione di

senso»300

. «La storia delle istituzioni giuridiche non si confonde con

l’evoluzione dei sistemi biologici, perché non attiene alle fasi impersonali

dei processi vitali, ma riguarda la formazione senso di un’epoca»301

– si

dirige inarrestabile verso la negazione della possibilità stessa di declinare il

diritto secondo le leggi della biologia. A differenza di quanto implicato dalla

visione sistemica di Luhmann, dunque, l’uomo non può essere considerato

come mera informazione sistemica. È a questa strada che si rivolge l’invito

di Romano al giurista di accogliere le riflessioni di una filosofia della forma,

idonea a superare il 'formalismo giuridico'302

L’uomo, infatti, della regola

297ID., La volontà di potenza, Milano, 2006. 298B. ROMANO, Nichilismo finanziario e nichilismo giuridico. Conoscenza e

coscienza,Torino, 2012, cit., p.1. 299http://it.wikipedia.org/wiki/Autopoiesi, «un sistema autopoietico è un sistema che

ridefinisce continuamente se stesso ed al proprio interno si sostiene e si riproduce. Un

sistema autopoietico può quindi essere rappresentato come una rete di processi di creazione,

trasformazione e distruzione di componenti che, interagendo fra loro, sostengono e

rigenerano in continuazione lo stesso sistema. Inoltre il sistema si autodefinisce, di fatto,

ovvero il dominio di esistenza di un sistema autopoietico coincide con il dominio

topologico delle sue componenti». 300B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, Roma, 1996, p. 84. 301ID., Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, Torino, 2009, cit., p. 42. 302B. ROMANO Filosofia della forma. Relazioni e regole, Torino, 2010, p.203 « Le due

direzioni del formalismo, quello giuridico (norme non misurate dall'io, forma già formata e

forma in formazione) e quello finanziario (operazioni non misurate dall'economia reale,

QUESTIONI ERMENEUTICHE NEL DIRITTO

118

«non ne ha una disponibilità integrale, non la conosce come già data, ma ne

rischia la formulazione nella ricerca della verità intesa come qualità della

relazione – inter – personale, che si svolge nel domandare e nel rispondere,

pronunciando parole che ricevono una interpretazione ed avviano significati

rivolti alla formazione del futuro scelto nella comunicazione»303

. Le sfide

che la complessità pone al diritto, dunque, nella prospettiva di Romano, non

possono essere risolte nel senso della costruzione di un sistema giuridico

biologicamente orientato. Al contrario, il diritto si trova radicato nelle

operazioni dell’uomo e della sua dimensione oltre che biologica, anche

costituita dall’io, dal se stesso. Perché, «l’uomo si presenta con una

responsabilità che lo rende giuridicamente imputabile nell’essere, sia pure

nell’ordine della finitudine, la libera causa della sua identità esistenziale,

ricercata dialogicamente nella personale creazione di senso»304

.

nascente dal lavoro), entrano nel mondo mediante l'esercizio del linguaggio degli uomini;

circolano e si concretizzano come contenuti della comunicazione interpersonale. Ogni

forma dell'opera comunicativa è creata da un singolo io per essere destinata

all'interpretazione dell'io di altri singoli. Si conferma che anche io formalismo giuridico ed

il formalismo finanziario operano, certo negativamente, nella pluralità essenziale dei singoli

autori della parola: si possono concretizzare solo mediante un linguaggio dialogico». 303 B. ROMANO, Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima., cit., p.143. 304Ivi, p.46.