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1 TESI DI DIPLOMA di VELIA M. R. TIGANO corso triennale di formazione in Counseling a indirizzo biogestaltico riconosciuto da AssoCounseling (CERT- 0078-2012) RABBIA, ALCUNI PUNTI FONDAMENTALI relatori Riccardo Sciaky e Alessandra Callegari Milano, 20 dicembre 2014

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TESI DI DIPLOMA

di VELIA M. R. TIGANO

corso triennale di formazione

in Counseling a indirizzo biogestaltico

riconosciuto da AssoCounseling (CERT- 0078-2012)

RABBIA,

ALCUNI PUNTI FONDAMENTALI

relatori

Riccardo Sciaky e Alessandra Callegari

Milano, 20 dicembre 2014

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Sommario

INTRODUZIONE ............................................................................................................................................. 1

1. LA RABBIA ............................................................................................................................................. 3

1.1 - COS’E’ LA RABBIA ............................................................................................................................. 3

1.2 - PERCHE’ CI ARRABBIAMO ................................................................................................................. 4

1.3 - COMPORTAMENTI ARRABBIATI ....................................................................................................... 4

1.4 - LA RABBIA NEL CORPO ..................................................................................................................... 5

1.5 - PROBLEMI LEGATI ALLA RABBIA ....................................................................................................... 8

2. RABBIA E AGGRESSIVITA’ IN BIOENERGETICA E GESTALT .................................................................. 10

2.1 - LA RABBIA IN BIOENERGETICA ....................................................................................................... 10

2.1.1 - LA RABBIA SCHIZOIDE .............................................................................................................. 11

2.1.2 - LA RABBIA ORALE .................................................................................................................... 12

2.1.3 - LA RABBIA MASOCHISTA ......................................................................................................... 13

2.1.4 - LA RABBIA PSICOPATICA .......................................................................................................... 14

2.1.5 - LA RABBIA NEL CARATTERE RIGIDO ........................................................................................ 15

2.2 - L’AGGRESSIVITA’ NELLA GESTALT................................................................................................... 16

3. IL LAVORO DEL COUNSELOR CON LA RABBIA DEL CLIENTE................................................................ 17

3.1 - ALCUNE TECNICHE GESTALTICHE ................................................................................................... 17

3.2 - ALCUNI ESERCIZI BIOENERGETICI ................................................................................................... 18

4. GESTIRE AUTONOMAMENTE LA RABBIA ............................................................................................ 21

4.1 - PRENDERE TEMPO .......................................................................................................................... 21

4.2 - ESSERE ASSERTIVI ........................................................................................................................... 22

4.3 - PROTEGGERE LA PROPRIA SALUTE ................................................................................................. 23

4.4 - CONOSCERE SE STESSI .................................................................................................................... 23

CONSIDERAZIONI FINALI ............................................................................................................................. 25

Bibliografia e Webgrafia ............................................................................................................................. 27

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INTRODUZIONE

Tutti ci sentiamo arrabbiati a volte. Si tratta di una risposta naturale alle minacce, agli

attacchi, alle ingiustizie, alle frustrazioni o alle delusioni.

La rabbia è un’emozione potente e rilasciarne la tensione che si accumula dentro di noi

può essere essenziale per affrontare i problemi e andare oltre.

Ma se la rabbia non è affrontata o espressa in modo sano, può avere un effetto

significativo – e a volte dirompente – sulla nostra vita quotidiana, le relazioni, gli obiettivi

e il nostro benessere psicologico.

L’argomento è perciò di particolare interesse per chi come me intende riuscire nella

professione di counselor, non solo accompagnando i propri clienti verso una sana

realizzazione di sé ma anche vivendo, in prima persona, nella maniera che è più vicina

alla propria verità interiore. Particolarmente importante perché, se è vero che “tutti a

volte ci sentiamo arrabbiati”, ognuno lo fa, lo sente e lo esprime o meno, in un modo

che gli è del tutto proprio, terreno che dovrà probabilmente presto essere battuto nelle

sessioni con i clienti e comunque essere certamente perlustrato nel proprio processo di

crescita personale.

Ho quindi voluto fare un piccolo viaggio esplorativo di questa emozione che,

personalmente, per tanti anni ho sentito spesso estranea o non ho sentito affatto e che

ha preso diverso spazio nelle mie sessioni individuali e di preparazione alla professione,

perché potesse finalmente rivendicare la propria non più celata esistenza e sentirsi

restituita la propria dignità e valenza.

Sono partita quindi col dire che cos’è la rabbia, perché in genere ci arrabbiamo, quali

sono i comportamenti che adottiamo di conseguenza e quali sono le manifestazioni

fisiche e le condizioni mediche e psicologiche a cui questa emozione è legata.

Ho poi dedicato il secondo capitolo per approfondire un po’ il concetto dal punto di vista

gestaltico e bioenergetico, specificandone le particolarità relative ad ogni struttura

caratteriale loweniana.

Mi è sembrato utile indicare successivamente alcune tecniche gestaltiche e degli

esercizi bioenergetici che come counselor possiamo utilizzare per lavorare con la rabbia

dei nostri clienti, per poi terminare con alcune indicazioni che possano aiutare a gestirla

autonomamente.

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Come si può immaginare, l’argomento di ogni capitolo di questo mio breve testo poteva

in teoria costituire una tesi già di per sé. Il materiale a disposizione è esteso e variegato

e l’ampiezza dell’argomento includerebbe inoltre ulteriori temi qui non toccati, come ad

esempio la relazione tra rabbia e tristezza, tra rabbia e stress, la rabbia nel transfert e

nel controtransfert, o all’interno dei meccanismi di proiezione o retroflessione, la rabbia

sportiva o la rabbia tra uomini e donne, e molti altri che ho incontrato in fase di ricerca e

che ho letto o ripercorso con notevole curiosità.

Se data appunto tale vastità, questo progetto non poteva pretendere certo d’esserne

mappa completa e approfondita, ho sentito comunque utile fare una selezione del

materiale esaminato, restringere il “raggio” e predisporre una carta che – dato anche lo

spazio e il tempo a disposizione – permettesse per così dire uno sguardo di insieme. Un

po’ come se per descrivere una città, si decidesse di illustrare una cartina turistica con

lo schizzo di alcuni dei suoi monumenti principali, lasciando al visitatore la decisione di

eventualmente poi appropriarsi di uno stradario e di una guida per osservarli più da

vicino, conoscere meglio una singola zona di interesse o scoprirne ancora delle altre.

Spero che il viaggio, seppur breve e modesto, si riveli interessante al lettore come lo è

stato indubbiamente per me e possa incuriosire, magari quello meno esperto,

accendendo il desiderio di approfondire per affinare i propri strumenti di vita o di lavoro.

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1. LA RABBIA

Facili all’ira sopra la terra

siamo noi di stirpe umana

(Omero)

1.1 - COS’E’ LA RABBIA

Nonostante esistano diverse teorie e numerosi esperimenti condotti nel “campo” delle

emozioni, è generalmente condivisa l’idea che esistano alcune emozioni fondamentali o

primarie (abitualmente considerate innate, come meccanismi comunicativi e di

sopravvivenza) ed altre più complesse (condizionate per esempio dalla cultura o

dall’apprendimento).

La rabbia è un’emozione primaria, presente sin dalla nascita e centrale alla

sopravvivenza della nostra specie. E’ infatti un meccanismo chiave che, come la paura,

innesca la reazione di fuga o lotta permettendoci di combattere o difenderci quando

siamo attaccati. Sentirsi arrabbiati, in altre parole, è una naturale risposta fisica e

psicologica a determinate esperienze di vita, in particolare quando ci sentiamo sotto

attacco, ingannati, insultati o frustrati.

La rabbia assume molte forme differenti, dall’irritazione all’ira cieca, o al risentimento

che incancrenisce negli anni. Ed è diversa per ciascuno di noi poiché i nostri sentimenti

sono influenzati dai nostri particolari colori emozionali, da come vediamo il mondo, ciò

che accade attorno a noi e le nostre circostanze.

Muovendoci nelle nostre vite, soppesiamo continuamente le situazioni e decidiamo

cosa pensarne: buone o cattive, sicure o pericolose, ecc. Come interpretiamo una

situazione con il significato che le attribuiamo, influenza come ci sentiamo rispetto ad

essa. Se l’avvertiamo come pericolosa, proviamo paura. Se crediamo d’aver subito un

torto, ci sentiamo arrabbiati. La stessa “fisiologia” di questa emozione, come vedremo

più avanti nel paragrafo dedicato alla rabbia nel corpo, fa sì che traduciamo “significati”

in sentimenti molto velocemente, e viceversa, ciò che determinerà come reagiremo alla

situazione.

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1.2 - PERCHE’ CI ARRABBIAMO

Tra i fattori più comuni che generalmente innescano la nostra rabbia possiamo trovare:

• essere di fronte a una minaccia per noi stessi o i nostri cari

• essere verbalmente o fisicamente aggrediti

• subire un colpo alla nostra autostima o al nostro posto all’interno di un gruppo

• essere interrotti nel perseguire un obiettivo

• fallire, magari quando è in gioco del denaro

• trovarsi con qualcuno che agisce contro un principio che riteniamo importante

• essere trattati ingiustamente e sentirsi impotenti per cambiare la situazione

• sentirsi delusi da altri o da noi stessi

• subire un lutto o perdere una persona cara

• subire danni a qualcosa che ci appartiene

ma anche dolore, fame, frustrazione sessuale, invidia, stanchezza, fretta, rumore o

calore possono farci sentire arrabbiati.

Se poi stiamo avendo una brutta giornata e siamo in uno stato di costante tensione,

siamo più propensi a scattare quando qualcosa va storto, anche se è qualcosa che

normalmente non ci disturberebbe.

Ci sono in realtà una varietà di ragioni per cui ci arrabbiamo che differiscono da persona

a persona secondo i bisogni e il carattere individuali e le circostanze personali.

Possiamo inoltre sentirci arrabbiati immediatamente o più tardi nel tempo, tornando

mentalmente a quanto vissuto in precedenza. La rabbia può emergere anche anni dopo

aver messo radici in un abuso o un abbandono, rimanendo bloccata dentro di noi anche

per decenni quando non è stata al momento adeguatamente affrontata.

1.3 - COMPORTAMENTI ARRABBIATI

Può essere facile pensare a rabbia ed aggressività come fossero la stessa cosa, ma

non lo sono. La rabbia è uno stato emotivo mentre l’aggressione è solo uno dei modi

con cui le persone si comportano quando sono arrabbiate.

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L’abuso di alcol può rendere le persone più propense ad agire in maniera più

aggressiva e similarmente l’uso di droghe può abbassare il livello delle nostre inibizioni.

Quando la rabbia è espressa verbalmente le persone possono urlare, minacciare, usare

parole violente o taglienti o bombardare qualcuno con domande ostili.

Altre persone quando sono arrabbiate ottengono la loro rivincita indirettamente, per

esempio facendo sentire gli altri in colpa e giocando su quel senso di colpa.

Altri sviluppano un atteggiamento cinico e criticano tutto costantemente ma senza mai

affrontare i problemi in modo costruttivo.

Altri ancora interiorizzano la propria rabbia, possono ribollire interiormente e fremere

fisicamente, ma non mostrano la propria rabbia nel loro comportamento quando hanno

intorno altre persone. Coloro che interiorizzano la propria rabbia possono soffrire o

avere tratti di autolesionismo, cioè ferire se stesse come modo di far fronte a sentimenti

intensi che non riescono a esprimere in altro modo.

Ma la rabbia può essere anche una forza positiva. L’indignazione morale, che ne è una

forma ad esempio, può guidare le persone in campagne per il cambiamento, per

aggiustare torti o far rispettare le regole che governano la nostra società. E’ la rabbia

che ci spinge a cercare occasioni di riscatto sociale, ed è sempre la rabbia che svolge

un ruolo fondamentale nel momento in cui si vuole modificare […] un equilibrio vigente,

in ambito sociale, politico o culturale. […] La rabbia è la giusta motivazione che ci

conduce a un’azione organizzata volta a neutralizzare un’oppressione o un’ingiustizia

(Sorrentino e Tani, 2009).

La rabbia può quindi essere espressa direttamente e aggressivamente, fisicamente o

verbalmente, con intenzione o per impulsività, o può essere nascosta, repressa o

interiorizzata, difensiva rispetto a una particolare contingenza o abituale, e manifestarsi

anche indirettamente con una aggressività passiva, che ne siamo consapevoli o meno.

1.4 - LA RABBIA NEL CORPO

Uno degli studi più famosi riguardante le espressioni del viso correlate alle emozioni

(che per essere considerate innate devono anche aderire ad un principio di universalità

e invarianza nel ciclo di vita) è lo studio condotto negli anni ’60 da Ekman e Friesen con

metodi cross-culturali: nell’essere stato verificato in diverse nazioni moderne (sia

occidentali che orientali) come anche in tribù isolate non ancora raggiunte da mass-

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media, ha confermato come esistano nell’adulto configurazioni facciali universalmente

riconoscibili, espressioni cioè generate da emozioni comuni all’Umanità intera e a tutta

l’Umanità uniformemente comprensibili.

Ekman ha così definito 6 emozioni primarie: felicità, sorpresa, disgusto, rabbia, paura e

tristezza1.

Quando si è arrabbiati, il viso assume un’espressione caratteristica, con muscoli facciali

che si irrigidiscono, sopracciglia aggrottate unite al centro della fronte, segnata da

profonde rughe, e mascella serrata (Ekman elenca dettagliatamente i muscoli

interessati, tra cui almeno una decina sono i più frequenti).

Nelle manifestazioni più evidenti il colorito della carnagione si muta in rosso acceso, le

pupille si dilatano e gli occhi protrudono dalle orbite, i denti appaiono dalla bocca

spalancata che normalmente urla (con impulso a mordere gli altri o anche se stessi).

La voce aumenta di volume e di intensità, si fa a volte stridula, altre volte baritonale.

Sempre si notano marcate irregolarità, sia nell’emissione dei suoni sia nel tipo di

linguaggio, che può essere nello stesso tempo torrentizio e balbettante. Il respiro è

affannoso, irregolare, tumultuoso e con dei vuoti che fanno pensare all’apnea. La voce

talvolta si rompe per lo sforzo e per l’ingorgo di energia, talvolta sembra soffocata dalla

stessa forza che vuole esprimere. Tutto il quadro è segnato da un’enorme energia […].

(D’Urso, 2001).

1 Altri autori incorporano tra le emozioni di base anche interesse, disprezzo e vergogna.

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Un altro segno corporeo associato alla rabbia è l’agitare o anche soltanto lo stringere i

pugni in un gesto di minaccia. Questi gesti sono così legati all’emozione di rabbia che

sono stati spesso osservati in persone arrabbiate che si trovano da sole (D’Urso, 2001).

La rabbia, come la paura, ha origine nell’amigdala – specializzata in questioni istintivo-

emotive – e rende la mente e il corpo pronti all’azione, comportando cambiamenti

fisiologici e chimici nel nostro corpo e sollecitando il sistema nervoso con un aumento di

frequenza cardiaca, pressione sanguigna, flusso di sangue ai muscoli, livello di

zucchero nel sangue e sudorazione. Essa acuisce anche i sensi e aumenta la

produzione di adrenalina, ormone prodotto in momenti di stress e primariamente

coinvolto nella reazione “combatti o fuggi” (fight or flight).

Può essere quindi un segnale di allarme che ci avverte che qualcosa ci minaccia

dall’esterno, ma anche che qualcosa in quel momento sta prendendo il sopravvento

dentro di noi (Sorrentino e Tani, 2009). Questi cambiamenti fisici infatti influenzano a

loro volta il nostro modo di pensare. Quando ci troviamo improvvisamente di fronte a

una minaccia, la rabbia aiuta a tradurre rapidamente informazioni complesse in termini

semplici, come ad esempio “giusto” o “sbagliato”, e ciò può essere utile in situazioni di

emergenza poiché non sprechiamo tempo prezioso a soppesare informazioni

immediatamente ininfluenti sulla nostra sicurezza o il nostro benessere. Ma può anche

significare che si agisca prima d’aver considerato cos’altro è importante e preso una

decisione ponderata su come comportarsi. Potrebbe succedere d’aver bisogno di più

tempo per esaminare la situazione ed affrontarla in modo diverso. Quando la rabbia si

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scontra col pensiero razionale che proviene dalla corteccia prefrontale, la parte del

cervello dove risiedono la nostra capacità di discernimento e la nostra saggezza, si può

cedere alla tentazione di “aggredire”, spinti dall’istinto di sopravvivenza o di protezione

da una minaccia, vera o presunta.

Altro organo, insieme ad amigdala e corteccia prefrontale, coinvolto nelle reazioni di

rabbia e di odio, è l’ippocampo, quella parte del nostro cervello in cui sono archiviati i

ricordi e le emozioni negative che una persona o una situazione hanno suscitato in

passato e che lì restano depositati condizionando anch’essi emozioni e sentimenti

attuali.

Abbiamo detto che di fronte a una minaccia le reazioni dell’uomo sono due: l’attacco o

la fuga. Ma esiste anche una terza possibilità: il cosiddetto “freezing”, cioè l’immobilità,

la paralisi. Se il nostro cervello sceglie questa opzione, alcune reazioni fisiologiche

come l’aumento della sudorazione, della pressione e della frequenza cardiaca, possono

avvenire comunque, ma la rabbia non viene utilizzata e rimane congelata dentro di noi.

1.5 - PROBLEMI LEGATI ALLA RABBIA

La rabbia di per sé non è né buona né cattiva, ma diventa un problema quando

danneggia noi stessi o gli altri. Le persone con un trascurato problema di rabbia – che

sia espressa o meno – tendono a prendere decisioni inadatte o inefficaci e maggiori

rischi rispetto ad altri ed hanno maggiori probabilità di cadere nell’abuso di sostanze.

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La rabbia intensa e di lunga durata sarebbe stata da diversi studi collegata a problemi di

salute psicologica2, tra cui:

• bassa autostima

• depressione

• ansia

• disordini alimentari

• autolesionismo

Ma la rabbia non trattata / prolungata sembrerebbe anche legata a una scarsa salute

fisica in generale e potrebbe portare a manifestazioni psicosomatiche quali:

• mal di testa

• mal di schiena

• vulnerabilità a raffreddori e influenze (abbassamento delle difese immunitarie

causato dalla continua e così eccessiva produzione di cortisolo, altro ormone –

insieme ad adrenalina e noradrenalina – coinvolto nelle reazioni di rabbia)

• disturbi del sonno e insonnia

• disturbi della pelle (la psoriasi e numerose dermatiti e allergie sono spesso

scatenate anche da uno stress prolungato)

• problemi gastro-intestinali, irritabilità del colon

• problemi al fegato, travasi di bile (popolare è l’espressione “rodersi il fegato”; la

rabbia e lo stress lo affaticano, ostacolando il suo lavoro di depurazione dalle

sostanze nocive)

• pressione alta, problemi al sistema cardiovascolare (poiché il cuore deve far

fronte al maggior impegno di rifornire di energia tutti gli altri apparati, soprattutto i

muscoli, attraverso un aumento della pressione arteriosa e del ritmo cardiaco) e

malattie coronariche (dovute al brusco restringimento dei vasi sanguigni, che

riduce l’afflusso di sangue e ossigeno al cuore)

• ictus

• cancro 2 si tratta di concetti che ho trovato largamente condivisi, sui testi consultati e numerosi siti web; uso il

condizionale, nel legare la rabbia a condizioni mediche e psicologiche, unicamente perché non sono in

grado di citare le fonti degli studi che dimostrano tale coinvolgimento.

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2. RABBIA E AGGRESSIVITA’ IN BIOENERGETICA E GESTALT

Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile;

ma arrabbiarsi con la persona giusta, e nel

grado giusto, e al momento giusto, e per lo

scopo giusto, e nel modo giusto: questo non è

nelle possibilità di chiunque e non è facile.

(Aristotele)

2.1 - LA RABBIA IN BIOENERGETICA

La rabbia è per Lowen un'emozione guaritrice poiché è funzionale al movimento

necessario a ristabilire una relazione positiva, sia essa con l’ambiente, un’altra persona

o noi stessi.

E’ opportuno fornire al riguardo un chiarimento per evitare di cadere in facili

fraintendimenti. Come ben spiegato sul sito internet “Bioenergetica e Società”, la rabbia,

così come intesa in bioenergetica, è una risposta salutare ed organismica di protezione

dell'integrità del Sé. Non è collera, né ira, né un sentimento che viene espresso fuori

luogo o senza padronanza. E' piuttosto la risposta fisiologica ad un ambiente che dà un

riscontro ostile. Se tale risposta fisiologica viene rispettata, una volta passato il pericolo

non rimangono cicatrici e la nostra naturale tendenza a protenderci verso l'esterno

viene ripristinata. Altrimenti assistiamo allo strutturarsi di una difesa che può essere

iper-reattiva o ipo-reattiva ma che comunque fa sì che le nostre reazioni non siano

adeguate al momento presente ma adeguate alla nostra storia personale

(http://www.bioenergeticaesocieta.it)

Conoscere le diverse strutture caratteriali e le loro particolari risposte all’emergere delle

emozioni, sia dal punto di vista della consapevolezza corporea che della capacità

espressiva e della padronanza, fornisce uno strumento molto utile nelle nostre relazioni

interpersonali e di buon sostegno delle nostre ipotesi di lavoro con i clienti del

counseling.

Dirò però soltanto due parole circa le diverse strutture in generale poiché non può

essere questa la sede per gli approfondimenti necessari (relativamente ai quali peraltro

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esistono in commercio numerosi e autorevoli volumi tra cui diversi indicati in

bibliografia), ma cercherò invece di soffermarmi in particolare sull’emozione che è

l’argomento centrale di questo progetto.

2.1.1 - LA RABBIA SCHIZOIDE

(il bambino odiato/rifiutato nella sua esistenza)

Il diritto negato alla struttura schizoide o “frammentata”, è quello di esistere sul piano

materiale.

Si tratta della ferita più precoce, dovuta a trauma, violenza, ostilità o freddezza

sperimentati come pericolo di vita o rifiuto, in periodo pre-natale o nei primi sei mesi

dopo la nascita.

La reazione organismica è quindi di rabbia primitiva e distruttiva che accompagna il

terrore per la minaccia alla propria esistenza, cui segue una risposta di sopravvivenza e

di negazione del sé costituita dalla disconnessione dal proprio corpo, dalla propria

vitalità e dalla propria realtà, percepiti come pericolosi, nell’illusione di poter vivere la

propria vita esclusivamente attraverso la propria mente e i propri pensieri.

Gli individui in cui questa struttura è primaria presentano la tendenza quasi automatica

a dissociarsi, […] a isolare i sentimenti dai pensieri. Credono che questa tendenza a

separarsi dalla propria esperienza li tenga al sicuro dagli intensi livelli di terrore che

potrebbero emergere con l’abbandono di questa strategia difensiva (Johnson, 2004).

Il bambino che reprime la propria rabbia per paura che possa distruggere chi si prende

cura di lui o provocare ritorsioni che distruggano lui stesso, diventa un adulto che non è

più capace di arrabbiarsi o di fronteggiare la rabbia altrui. Piuttosto si ritira,

abbandonando la partita piuttosto che giocarla.

La sua rabbia, eventualmente, è una rabbia “come se”, quasi a interpretare un ruolo che

da lui ci si aspetta, ma non è parte integrante dell’essere reale; l’aggressività non crolla

come per l’orale, ne si impantana come nella struttura masochista, ma svanisce, è una

rabbia “pensata”.

Quando gli individui con struttura schizoide abbandonano la propria strategia difensiva,

sono colti da una furiosa rabbia di ritorsione, che prima riuscivano a tenere a freno con

il distacco dall’esperienza ((Johnson, 2004).

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Obiettivo di crescita e maturazione, in relazione allo specifico argomento che stiamo

trattando, sarà quello di affrontare questa rabbia rendendosi conto che non produce,

oggi, né annichilimento né disintegrazione, ed è anzi una fonte di forza e di capacità di

affermarsi. Non prima però, data la particolare vulnerabilità di questa struttura, di aver

recuperato il rapporto fisico con la realtà, imparato a tollerare le sensazioni e la vitalità

del corpo ed affrontato il tema della fiducia – in se stessi, negli altri e nella vita stessa.

2.1.2 - LA RABBIA ORALE

(il bambino abbandonato)

Il diritto negato alla struttura orale o “sottocaricata”, è quello di avere bisogno e di

ricevere cure materiali.

Il bambino sperimenta – generalmente tra i 6 mesi e i due anni vita – una forma di

abbandono, di assenza o di insufficiente nutrimento, anche solo emotivo, da parte della

madre.

La reazione organismica è di rabbia vorace che accompagna un profondo desiderio di

contatto, cui segue una risposta di sopravvivenza e di negazione del sé costituita dal

soffocamento o minimizzazione dei propri impulsi al nutrimento, letterale o metaforico, e

dei propri bisogni profondi cronicamente insoddisfatti, in una sorta di impotenza

appresa.

Il bambino, così, cresce prematuramente per ottenere un adattamento adulto e

“completare” lo stato illusorio di non aver bisogno, ma l’indebolita pulsione aggressiva

impedisce il movimento necessario al soddisfacimento autonomo delle sue necessità

con continua trasformazione della rabbia in sensazione "di non farcela".

Spesso l’aggressività e l’ostilità si presentano come residuali in una sorta di irritabilità

cronica, […] valvola di sfogo per la rabbia provata a causa del perdurare della delusione

e per il profondo rancore originato dal dover essere da subito autosufficiente e di

sostegno agli altri (Johnson, 2004).

L’adulto con questo genere di struttura prevalente avrà bisogno, rispetto alla propria

rabbia, di riconoscerne l’intensità e imparare a sostenerla, senza farla collassare in

sentimenti depressivi o di resa, per poi trarne la forza necessaria allo schiudersi delle

sensazioni di bisogno e al protendersi nella vita per cercarne soddisfazione da una

posizione adulta, senza il timore di non sopravvivere restando da solo.

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2.1.3 - LA RABBIA MASOCHISTA

(il bambino invaso/umiliato)

Il diritto negato alla struttura masochista o “sovraccaricata”, è quello dell’autoafferma-

zione, di essere libero e indipendente.

Il bambino – generalmente tra i due e i quattro anni vita – sperimenta una persistente

invasione e umiliazione profonda e la sua volontà viene piegata e schiacciata.

La reazione organismica è di rabbia sfidante, cui segue una risposta di sopravvivenza e

di negazione del sé costituita da sottomissione ed iper-accondiscendenza che

nascondono estremo rancore e ostilità.

La rabbia diventa aggressività celata da atteggiamenti di autosvalutazione ed

autosabotaggio, con l’assunzione di un comportamento dubbioso, esitante,

ambivalente, spesso volto a provocare l’altro così da ottenerne una risposta che “dia

permesso”, giustifichi una sua reazione altrimenti “inaccettabile”, necessaria

all’alleggerimento della tensione che invece tende ad accumulare fino all’estremo.

E’ come se l’intensa rabbia provocata dall’intrusione si ritorcesse contro il sé e ne

bloccasse l’espressione. […] C’è in questi infelici una spiccata tendenza a lamentarsi,

una cronica mancanza di gioia, una sorta di eterna stasi del comportamento e degli

atteggiamenti che Reich ha definito la “palude masochista”. Questa immobilità disperata

è profondamente frustrante per chiunque cerchi di aiutarli […] sconfitti dalla persona

che non può essere aiutata e di cui avvertono l’aggressività passiva di fondo (Johnson,

2004).

Obiettivo di questa struttura, rispetto alla rabbia, sarà quello di imparare a esprimerla

direttamente senza bisogno di arrivare al limite di provocare e di essere quindi

provocato a sua volta e che può essere amato ugualmente, anche quando dice di no.

Senza dimenticare di non escludere da sé quelle parti della propria aggressività che

reputa in contrasto con le aspettative delle figure importanti della sua vita (siano esse i

genitori, il partner, il terapeuta, ecc.). L’espressione spontanea dell’aggressività non può

tuttavia essere considerata un punto d’arrivo, quanto piuttosto un tramite per arrivare

all’esperienza del piacere nella vita quotidiana (Marchino e Mizrahil, 2007)

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2.1.4 - LA RABBIA PSICOPATICA

(il bambino manipolato)

Il diritto negato alla struttura psicopatica o “spiazzata verso l’alto” (nelle donne più

frequentemente verso il basso), è quello di essere se stesso.

Il bambino – nella stessa fase evolutiva della struttura precedente, tra i due e i 4 anni di

vita – sperimenta una risposta ambientale di idealizzazione, viene tradito nella fiducia e

“usato” per soddisfare le immagini e i bisogni genitoriali.

La reazione organismica è di rabbia impotente, cui segue una risposta di sopravvivenza

e di negazione del sé costituita dalla negazione della propria vulnerabilità e del proprio

bisogno di supporto a favore di un ego che dovrà sentirsi forte, coraggioso e dominante.

La rabbia dell’individuo con questo forte tratto si materializzerà quindi in situazioni che

gli impediscono di fare qualcosa, o che le cose siano fatte da altri, a modo suo e

secondo le sue aspettative, ma prenderà molto spesso la forma dell’impazienza e

dell’intolleranza, secondo lui ha semplicemente “ragione”.

Se lo schizoide si dissocia dalle sue emozioni, quindi anche dalla rabbia, lo psicopatico

la nega. […] la sua rabbia è a favore dell'immagine dell'io e […] a questo elemento si

accompagna un desiderio di potere, dominio e controllo. La rabbia è utilizzata a questo

scopo e può essere agita come comportamento prepotente o seduttivo. Per dominare

l'altro bisogna ergersi al di sopra dell'altro e dei propri reali bisogni. Ogni volta che il

bisogno di dominio è soddisfatta c'è un placarsi della rabbia ma continua la

preoccupazione sul modo di conquistare il controllo e il dominio.

(http://www.bioenergeticaesocieta.it)

L’obiettivo di questa struttura caratteriale sarà, rispetto alla rabbia, quello di

riconoscerne le caratteristiche (onnipotenza, desiderio di “vincere”), per connettersi alla

più profonda paura di cedere, arrendersi e perdere il controllo e da lì sviluppare la

fiducia che ciò è possibile incontrando nell’altro un’accettazione che non strumentalizza

e non manipola. Così da soddisfare il suo profondo desiderio di essere davvero in un

contatto con le persone e di sentirsi umano anziché invincibile.

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2.1.5 - LA RABBIA NEL CARATTERE RIGIDO

(il bambino rifiutato nella sua sessualità)

Il diritto negato alla struttura rigida è quello di amare e desiderare sessualmente.

Il bambino – generalmente in fase edipica tra i quattro e i sei anni di vita – sperimenta

una risposta ambientale castrante e moralista.

All’età in cui tale ferita viene inferta, il bambino entra in contatto con la propria carica

sessuale ma l’amore che offre la integra nelle idee e nei sentimenti senza distinguere il

sesso dal cuore. La reazione organismica all’atteggiamento colpevolizzante o di rifiuto

del genitore è di profonda sofferenza, cui segue una risposta di sopravvivenza e di

negazione del sé costituita da inibizione della sessualità o dalla sua scissione dai

sentimenti d’amore.

Il bambino si identifica con il genitore, ne introietta i modelli e i valori, […] e cerca di

usare la propria forza di volontà per adeguarsi a quei modelli introiettati ed essere

all’altezza di quei valori insolitamente rigidi, negatori della vitalità ed estranei al corpo.

(Johnson, 2004).

L’individuo che presenta primariamente questa struttura ha rinunciato ad ottenere

amore sostituendolo con la stima e l’ammirazione. L'aggressività viene utilizzata ai fini

dell’ambizione e della competizione permettendogli un'efficace interazione con il mondo

ma una negazione del suo vero sentire. La rabbia essenzialmente è controllata senza

che ve ne sia una vera padronanza.

Dato il forte sviluppo dell'io, in genere il carattere rigido ha una buona consapevolezza

personale e una buona padronanza di sé ma limitando le sue capacità espressive

convive in lui la paura che l'intimità diventi un freno alla sua libertà.

La necessità per chi presenta un carattere con questo tipo di struttura prevalente, sarà

quella di reintegrare le funzioni del cuore, le funzioni del bacino e le funzioni della testa,

in modo che la persona possa ritornare nella sua vita con questo potenziale

armonicamente bilanciato (Marchino e Mizrahil, 2011) e l’aggressività possa essere

utilizzata non al solo scopo di successo ma per trovare nella vita un coinvolgimento

emozionale profondo ed accedervi nuovamente, per poi riuscire a ritrovare una gioia

reale e completa.

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2.2 - L’AGGRESSIVITA’ NELLA GESTALT

Come già precedentemente accennato, l’aggressività è facilmente associata al concetto

di rabbia ed insieme evocano immagini di violenza, attacco od ostilità.

In gestalt tuttavia la parola aggressività è utilizzata in un significato più ampio, che

include tutto ciò che un organismo fa per intraprendere un contatto con il proprio

ambiente. Attraverso una sana aggressività, cioè, noi ci mobilitiamo ed organizziamo la

nostra energia per soddisfare il nostro bisogno emergente. Abbiamo bisogno

dell’aggressività per “prendere” dall’ambiente ciò che ci è necessario o per tutelarci

quando le condizioni indicano una necessità di autoprotezione. Ed anche evitare ciò

che è tossico, malsano o sgradito nell’ambiente stesso, richiede spesso un atto

“aggressivo”.

Quando una sana risposta aggressiva non è supportata dall’ambiente, la nostra creativa

abilità adattiva potrebbe indurci a rendere i nostri confini di contatto3 meno permeabili o

potrebbe portare a un accomodamento che eviti il conflitto tramite confluenza4.

3 Il confine di contatto è il punto (non fisso ma fluido e in continua evoluzione) in cui entriamo in

relazione con il nostro ambiente o ci ritiriamo da esso (possono esserne esempi la nostra pelle o i nostri

sensi, ma anche la nostra intuizione) e per essere sano dev’essere abbastanza permeabile da

permetterci nutrimento e intimità, ma sufficientemente impermeabile da consentirci il mantenimento

della nostra autonomia e resistere a ciò che è tossico o sgradito nell’ambiente stesso.

4 Come il modo in cui due fiumi si uniscono e diventano uno solo, confluenza è in gestalt l’unione o la

dissoluzione del confine di contatto che porta a una mancata o carente differenziazione dall’altro. Ciò

può avere una connotazione positiva e risultare in esperienze meravigliose e arricchenti, come quando

facciamo l’amore col partner che amiamo o ci sentiamo una cosa sola col coro in cui stiamo cantando o

l’oggetto che stiamo creando. Ma differente è per esempio la confluenza che ci porta a negare tutte le

differenze che minaccino un rapporto (sia esso con una persona, un gruppo o un sistema),

allontanandoci dalla nostra individualità e autonomia.

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3. IL LAVORO DEL COUNSELOR CON LA RABBIA DEL CLIENTE

Ero arrabbiato con il mio amico. Glielo dissi e

la rabbia finì. Ero arrabbiato con il nemico. Non

ne parlai e la rabbia aumentò.

(William Blake)

3.1 - ALCUNE TECNICHE GESTALTICHE

Perché la rabbia possa essere espressa e gestita in modo sano, può essere necessario

che il cliente abbia bisogno inizialmente di identificarla e riconoscerla in sé. Possiamo a

questo scopo adottare innanzitutto le tecniche gestaltiche “repressive” che mirano

appunto a “reprimere” determinati comportamenti, affinché sia possibile scoprire e

superare i meccanismi di auto-sottrazione dall’esperienza e dalla consapevolezza che il

cliente mette in atto. Sosterremo quindi la relazione con lui limitandone “spiegazioni” e

“interpretazioni” e prestando attenzione alla gamma dei “giochi” atti ad evitare il

presente e il contatto profondo con se stesso. Possiamo ad esempio invitarlo a parlare

“a…” invece che a parlare “di” e non prestare il fianco a speculazioni di tipo filosofico o

domande manipolatorie che mirano unicamente a rimanere nel campo dell’intelletto e/o

aggirare la difficoltà dell’autoespressione e dell’assunzione di responsabilità. Oppure,

una volta identificato il “gioco” (del sordo, della vittima, del giudice, ecc.), possiamo

invitarlo a esagerarne le affermazioni per aiutarlo a rendersi conto di come lo fa e che

sceglie di farlo.

E’ possibile poi utilizzare tecniche “espressive”, che quindi facilitano e amplificano

l’espressione di un impulso, incoraggiando l’autenticità e una maggiore consapevolezza

di se stessi. Parlando di una situazione, di un avvenimento o di una persona, il cliente

potrebbe per esempio inconsciamente dare segni di intolleranza, stringere i pugni,

muovere un piede come a “calciare”, assottigliare gli occhi in segno di odio, anche se il

parlato appare tranquillo e la bocca sta magari sorridendo. Potremmo allora per

esempio chiedergli il completamento del gesto notato, la sua ripetizione o la sua

esagerazione.

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Anche le tecniche gestaltiche che utilizzano le sedie possono essere d’aiuto, in quanto

si propongono di incrementare nel cliente la consapevolezza delle immagini

interiorizzate, dei sentimenti e delle emozioni, promuovendo anche nuove possibilità

relazionali, con sé o con altri, e un tipo di comunicazione sana e funzionale, poiché

diretta, responsabile ed esplicita.

Il lavoro con la sedia vuota (ma può essere anche un cuscino) posta di fronte al cliente,

può essere utilizzato tutte le volte che notiamo un “non detto” nei confronti di una

qualche figura significativa per il cliente. Lo si può allora invitare a proiettarvi la persona

“x” da lui ricordata o nominata – e già rilevarne la reazione nell’immaginarla lì seduta –

e a dirle ciò che ha da dire, o che di solito non riesce a dire (“sento che c’è della rabbia

verso “x”… vuoi provare a dire ora a “x”… ?”).

Quando la rabbia del cliente è rivolta verso sé stesso ed identifichiamo un Super-Io

persecutore, può essere utile lavorare con due sedie per l’esercizio Persecutore-

Vittima. Si chiederà allora al cliente di identificare la sedia di ciascuna parte e sedervisi

alternativamente per farle parlare con noi (non tra loro, così da alleggerire il conflitto).

Una volta espresso ciò che ciascuna sente e vuole, si può favorire un patteggiamento

tra le parti in questione affinché il cliente, tornato infine sulla propria sedia, possa

lavorare sulla loro integrazione.

3.2 - ALCUNI ESERCIZI BIOENERGETICI

Abbiamo visto come ogni struttura caratteriale si origini dal processo di negazione del

sé, creativamente messo in atto dal bambino come risposta alla situazione relazionale

in cui si trova. Tale negazione si rende necessaria in funzione di una rabbia sempre

organismicamente presente per tale situazione, che il bambino non può sostenere

all’infinito e che dunque si cronicizza nel corpo contemporaneamente al processo di

negazione stessa.

Secondo Lowen, ogni muscolo cronicamente teso è un muscolo arrabbiato, dato che la

rabbia è la reazione naturale alla restrizione coatta e alla perdita della libertà (Lowen

1994). Tutti gli esercizi bioenergetici sono volti a trattare queste tensioni croniche

(specifiche per ciascuna struttura caratteriale), a ripristinare il naturale flusso di energia

nel corpo e attraverso il corpo e a favorire una sempre maggiore autoespressione, con

vitalità e spontaneità, oltre ad una sensazione di unità e di integrità.

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L’analisi dei conflitti rimossi, la liberazione delle emozioni represse e lo scioglimento

delle tensioni e dei blocchi muscolari cronici hanno lo scopo di aumentare la capacità di

provare piacere (Lowen, 1979), il piacere di essere pienamente vivi e disporre

dell’energia sufficiente per affrontare la vita con efficacia.

Nel suo libro “Espansione e integrazione del corpo in bioenergetica”, Lowen indica

diversi esercizi mirati a facilitare l’autoespressione ed in particolare la rabbia.

“La scenata infantile di collera”, ad esempio, serve ad aiutare il cliente a lasciarsi

andare e consiste nel far sdraiare il cliente su un materassino per terra, con gambe

piegate e piante dei piedi aderenti al materassino stesso, e domandargli di pestare

alternativamente i piedi e poi anche i pugni e poi aggiungendo il movimento

destra/sinistra della testa e gridando “no!” – “non voglio!” – “non lo faccio!”

Altro esercizio per esprimere la rabbia, consiste nel chiedere al cliente di stare in

posizione eretta di grounding (piedi paralleli e gambe piegate) davanti al cubo di

gommapiuma (ma anche un letto o dei cuscini fermamente impilati possono fare al

caso) e colpirlo con una racchetta o anche solo con entrambi i pugni, pronunciando

qualsiasi parola che esprima uno stato d’animo di rabbia come “no!” – “lasciami in

pace!” – “va’ al diavolo!” – “ti odio!”.

Altra possibilità potrebbe essere l’esercizio con cui si chiede al cliente di torcere con la

massima energia un asciugamano arrotolato, anche qui urlando e pronunciando parole

di rabbia.

Trovo qui importante fare una precisazione. Nel corso della mia ricerca per questo

lavoro mi sono imbattuta in diversi autori di libri e siti web, tra cui anche Ellis e Tafrate

citati in bibliografia, che – pur esprimendo diversi concetti che ho trovato apprezzabili e

interessanti – sostengono anche la validità del proprio orientamento terapeutico

(generalmente cognitivo-comportamentale) criticando aspramente gli approcci che

incoraggiano l’espressione attiva della rabbia.

E’ evidente (e anche un po’ sconcertante a dire il vero) l’ignoranza sull’argomento di chi

per esempio – etichettando il modello reichiano (da cui la bioenergetica deriva) sotto

uno dei “falsi miti” sulla rabbia – dice che gli aderenti a tale modello ti incoraggiano a

sfogare i sentimenti di rabbia costringendoti a rispondere a chi ti offende o a eseguire

altri atti catartici per svuotare il serbatoio di tensione repressa e impedire all’energia

negativa di accumularsi (Ellis e Tafrate, 2013).

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A parte l’elemento un po’ ridicolo della “costrizione”, il semplice “sfogo” della rabbia non

è mai lo scopo ultimo della sua espressione attiva, in bioenergetica come in gestalt,

espressione che per altro non è incoraggiata – e ciò è ben chiarito al cliente – che

all’interno del setting di counseling o di terapia, almeno sinché non sia accompagnata

da sistemi adulti di mediazione.

Dare semplicemente una racchetta in mano a un cliente incapace di esprimere la

propria rabbia ed insegnargli soltanto a battere violentemente sul cubo dicendo

parolacce, non fa che trasformare un bambino inibito in un bambino infuriato. Lo stesso

dicasi per tutti gli altri possibili esercizi, se meramente eseguiti, come può essere quello

di percuotere con un bastone un sacco di iuta metaforicamente riempito con tutto ciò

abbiamo dovuto “ingoiare”, ripetendo alla “mamma cattiva”: “sei una strega!”.

Il vero lavoro e la vera crescita avvengono quando il counselor o il terapeuta

accompagnano il cliente attraverso e dopo l’esercizio, aiutandolo con specifiche

tecniche nel processo di acquisizione della capacità di sostenere l’energia della rabbia

nel corpo, di assunzione della responsabilità personale (per esempio facendolo passare

dal “tu” all’ “io”) e di integrazione nella coscienza di quanto avvenuto e delle emozioni e

delle immagini sottostanti.

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4. GESTIRE AUTONOMAMENTE LA RABBIA

Ho imparato che quando sono arrabbiato ho il

diritto di essere arrabbiato, ma non ho il diritto

di essere cattivo.

(Octavian Paler)

La maggior parte delle persone si arrabbia abbastanza spesso ma la loro rabbia rimane

all’interno di un range sano e normale, o quanto meno socialmente accettabile.

Altre persone sperimentano la rabbia tanto spesso e intensamente che interferisce con

la loro vita di tutti i giorni, portando ad azioni e perfino a violenza di cui poi si pente.

Altre ancora imbottigliano la rabbia per lungo tempo, mentre è importante affrontarla e

andare oltre senza lasciarla indurire o inasprire dentro di noi.

Può essere di grande beneficio imparare a trattare la propria rabbia in maniera efficace.

Moltissimi studi suggeriscono che una sana gestione della rabbia aiuta le persone a

prendersi cura della propria salute psicologica e fisica, raggiungere i propri obiettivi,

risolvere i problemi e godere dei rapporti con le persone che hanno intorno.

4.1 - PRENDERE TEMPO

Quando sentiamo la prima ondata di rabbia ribollire dentro di noi, facciamo una pausa

per un momento. Anche nel bel mezzo di una discussione, non è troppo tardi per fare

un respiro profondo e scegliere di esprimere i propri sentimenti in modo differente.

Diamo tempo al pensiero razionale di comparire.

• rilasciamo le spalle e respiriamo profondamente per aiutarci a rilassarci; il nostro

istinto potrebbe star dicendo al nostro corpo di prepararsi a combattere ma il

nostro sé razionale, quando ne ha il tempo, può invertire questo messaggio

dicendo al nostro corpo di rilassarsi

• se sentiamo l’impulso di colpire o tirare qualcosa, rimuoviamo noi stessi dalla

situazione e proviamo a prendercela con qualcosa di morbido come un cuscino,

con cui non possiamo farci male e che non farà danni

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• proviamo ad urlare se ciò non disturba chi abbiamo vicino o urliamo in un

cuscino per liberare la nostra tensione

• distraiamoci o togliamoci dalla situazione che ci ha fatto arrabbiare,

allontaniamoci o andiamo a fare una camminata

• riversiamo tutto ciò che sentiamo in forma scritta o reindirizziamo la nostra

energia in un’altra attività creativa

• sfoghiamoci con un amico che ci aiuterà ad ottenere prospettiva sulla situazione.

Ci sono altre attività che possono aiutarci quasi immediatamente o più tardi nella stessa

giornata o se le rendiamo parte del nostro stile di vita a lungo termine.

• lavorare sulla rabbia attraverso l’esercizio; canalizzare l’energia nell’esercizio

aumenta il rilascio di sostanze chimiche nel cervello chiamate endorfine che ci

fanno sentire bene e aiutano a rilassarsi

• utilizzare tecniche di rilassamento come lo yoga o la meditazione; tecniche come

queste sfidano gli aspetti fisici della rabbia, come le sostanze chimiche del

cervello che preparano al combattimento, prima che tali sostanze portino ad

agire impulsivamente

4.2 - ESSERE ASSERTIVI

Essere assertivi appropriandoci dei nostri sentimenti è un modo sano di esprimere la

rabbia:

• dire all’altro che ci si sente arrabbiati e perché

• parlare lentamente e chiaramente

• usare la parola “io” perché la questione riguardi noi e non l’altro

• fare richieste piuttosto che domande, accuse o minacce

• dire posso/potrei invece di devo/dovrei

Buone capacità di comunicazione, che si possono sempre acquisire, possono aiutare a

trasmettere il messaggio. Manteniamo aperta la comunicazione e ascoltiamo il punto di

vista dell’altro: presumere di conoscere la sua posizione può creare un problema dove

non ce n’è e far degenerare di male in peggio una situazione.

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4.3 - PROTEGGERE LA PROPRIA SALUTE

Le persone in buona salute psicologica sono normalmente in grado di gestire le

situazioni quando le cose vanno male. Sentirsi stressati rende più difficile affrontare i

problemi. Ecco alcune delle cose note per essere buone per la nostra salute

psicologica:

• mantenersi fisicamente attivi

• seguire una dieta equilibrata; alcuni alimenti sono più efficaci di altri per ottenere

il flusso di “carburante” costante che ci aiuta a funzionare bene, mentre nutrienti

presenti in alcuni alimenti possono influenzare l’umore in diversi modi; diete

drastiche e improvvisate possono per esempio privarci di aminoacidi essenziali

alla produzione di serotonina, sostanza che si “oppone” ad altre sostanze come

la noradrenalina e il testosterone che invece favoriscono comportamenti impulsivi

• evitare di diventare dipendenti da sostanze o alterare il nostro rapporto con il

cibo; si può essere tentati di risollevare l’umore con un drink, l’uso di droghe, o

un’abbuffata poco sana, ma ciò ovviamente non è una soluzione specialmente a

lungo termine

• mantenere i contatti con gli amici e le persone care, parlare dei propri sentimenti

con loro e chiedere aiuto quando se ne ha bisogno

• riservare parte del proprio tempo al rilassamento e al divertimento

• accettarsi e fare qualcosa che ci dà soddisfazione

• prendersi cura di altri

4.4 - CONOSCERE SE STESSI

Nel lungo termine può essere davvero utile capire cosa ci fa arrabbiare e come di

conseguenza ci comportiamo. Pensiamoci quando non siamo arrabbiati. Parliamone

con qualcuno di cui ci fidiamo e che ci conosce bene.

• cosa innesca la nostra rabbia?

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• quali segnali ci dicono che siamo sull’orlo di una rabbia incontrollata?

• ci siamo ritrovati in schemi di comportamento inutili?

• quali sono state le conseguenze?

• cos’è che funziona per calmarci?

• ci sono fattori scatenanti nella nostra routine quotidiana o nel nostro ambiente

che potremmo cambiare?

“Sapere” cosa è successo nella nostra infanzia attraverso un’analisi che potrebbe

anche durare anni, non è davvero utile se non ad informarci delle situazioni che hanno

creato e mantenuto la nostra rabbia e ce la fanno proiettare oggi nevroticamente sugli

altri, o ritorcere contro noi stessi, o semplicemente mantenere presente, senza poterla

affrontare in modo sano e costruttivo. E’ invece importante utilizzare queste

informazioni e le risposte che vengono dalle domande che ci poniamo oggi, per arrivare

a comprendere come ci siamo arrabbiati inizialmente e come ci arrabbiamo adesso.

Coinvolgere il nostro corpo in questo processo, se necessario con l’aiuto di un

professionista che lo includa nelle sue tecniche, può essere di fondamentale importanza

per scoprire le immagini infantili, i sentimenti negativi e le doverizzazioni irrazionali che

ancora “lavorano” nel nostro presente e ci impediscono di assumere piena e profonda

responsabilità della nostra vita qui e ora.

E ciò perché la rabbia, come le altre nostre emozioni, ha origine proprio nel nostro

corpo che, come abbiamo visto, ha un funzionamento complesso che va al di là dei

nostri “ragionamenti” ed ha una “sua” memoria. Questa può interferire coi nostri

processi razionali e annullare tutti i nostri “buoni propositi”, tra l’altro generando sensi di

colpa e autocritiche distruttive che possono vanificare o rallentare i nostri progressi.

Procedere lentamente, riflettere, esaminare, mordersi la lingua, contare in silenzio fino a

dieci … Certamente non mancano i consigli da dare per trovare un rimedio

momentaneo alla rabbia. [..] Tuttavia, se si desiderano risultati positivi e duraturi, [..] la

questione più importante è se, con il passare del tempo, siamo in grado di utilizzare la

rabbia come incentivo per ottenere una maggiore chiarezza di noi stessi e per scoprire

modi diversi di vivere i rapporti (Lerner, 1998)

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CONSIDERAZIONI FINALI

Niente di ciò che è umano mi è estraneo.

(Terenzio)

La rabbia, come la colpa e la vergogna, può svolgere funzioni positive che sono spesso

ignorate a causa di pregiudizi ed altri assunti dati per scontati, di cui godono le emozioni

cosiddette “negative”. Nonostante le persone “sappiano” che esse possono avere un

ruolo sia positivo che negativo, tendono comunque a mantenerne un certo giudizio che,

nel caso della rabbia, continua a confonderla nel proprio immaginario con l’aggressione,

la brutalità e il sopruso.

Certo, difficilmente non ci si troverà un po’ tutti d’accordo se diciamo che la rabbia può

per esempio essere la forza che porta una squadra perdente al proprio riscatto in una

partita di calcio, o che può aiutare una nazione a difendersi da un attacco di guerra o

spingere un’intera cultura a cambiare per il meglio (come ho letto da qualche parte,

immaginiamo come sarebbe stato il movimento delle donne per il diritto al voto, se

avessero semplicemente detto: “ragazzi, è davvero così ingiusto, siamo esseri umani

anche noi: non vorreste ascoltarci e darci il voto?”).

Eppure, coinvolti come siamo in una cultura che ancora massimizza l’importanza della

razionalità, semplicemente e di proposito ignorando tutto quanto non vi rientri a pieno

titolo (e spesso finché in realtà non vi rientri), magari cattolicamente educati col principio

incompleto del “porgi l’altra guancia” (come che la scena di Gesù nel Tempio fosse

stata un “incidente”), e ancora subissati di notizie e scene di inaudita violenza da tutti i

mass-media, può essere davvero molto difficile avere un “buon rapporto” con

un’emozione come la rabbia.

E soprattutto con la “nostra”, quando in definitiva si è spesso inopportunamente

presentata al momento “sbagliato” o ci ha magari piantato in asso proprio quando

avremmo avuto bisogno di reagire.

Se è vero che la rabbia ha quindi in genere una cattiva “reputazione”, potremmo però –

già da un punto di vista razionale – cominciare a fare un po’ di “pulizia” nel nostro

lessico ed imparare a distinguerla dalla collera, dall’ira e dal furore omicida, che pure

non ci sono così estranei.

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Trovando poi il coraggio di entrare in contatto profondo con la nostra rabbia e di

guarirne pian piano tutti quegli aspetti che con l’”oggi” non hanno nulla a che fare,

rinunciando al presunto vantaggio di tenerla il più possibile da parte, salvo poi agirla

così come “capita” a danno nostro e altrui, abbiamo il modo di scoprire quali sono i

nostri veri bisogni sottostanti, spesso molto lontani dal semplice giudicare o incolpare

qualcosa o qualcuno, e di ridirigere la nostra preziosa energia verso il loro

soddisfacimento, il piacere e l’appagamento.

In questo modo, se poi proprio non vogliamo considerare la rabbia come il meraviglioso

e potente dono cosmico che arricchisce e dà potere alle nostre vite, possiamo sempre

imparare a farci amicizia e renderla nuovamente un campanello d’allarme prezioso e

affidabile.

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