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Raccolta articoli del Dr. Franco Berrino Giù le mani dai bambini. Sono un pubblicitario: ebbene sì, io sono quello che vi vende tut- ta quella merda, quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invec- chiare la precedente. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma Frédéric Beigbeder Nella seconda metà del XX secolo improvvisamente il grande mondo degli affari scopre che la verità non è importante, ciò che conta è l’attrazione. Una volta creata l’informazione- attrazione, possiamo vendere questa informazione ovunque. Più è attraente, più denaro possiamo guadagnare ... Il passag- gio dal criterio della verità a quello dell’attrazione è la grande rivoluzione culturale di cui tutti siamo i testimoni, i partecipan- ti e le vittime. Ryszard Kapuscinsky Tratto dal libro: IL CIBO DELL’UOMO - Franco Berrino - Ed. Franco Angeli

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Raccolta articoli del Dr. Franco Berrino

Giù le mani dai bambini. Sono un pubblicitario: ebbene sì, io sono quello che vi vende tut-ta quella merda, quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invec-chiare la precedente. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma Frédéric Beigbeder Nella seconda metà del XX secolo improvvisamente il grande mondo degli affari scopre che la verità non è importante, ciò che conta è l’attrazione. Una volta creata l’informazione-attrazione, possiamo vendere questa informazione ovunque. Più è attraente, più denaro possiamo guadagnare ... Il passag-gio dal criterio della verità a quello dell’attrazione è la grande rivoluzione culturale di cui tutti siamo i testimoni, i partecipan-ti e le vittime. Ryszard Kapuscinsky Tratto dal libro: IL CIBO DELL’UOMO - Franco Berrino - Ed. Franco Angeli

MA SAPPIAMO COSA DIAMO OGGI AI NOSTRI FIGLI?

Con un poco di zucchero … Non c’è bisogno di zucchero per fare ottimi dolci. La ricetta che preferisco e quella di uno speciale bacio di dama: impa-stare la farina di mandorle con un pizzico di sale e con polpa di mela cotta, farne delle palline di 2 cm di diametro e passar-le al forno per 10 minuti. Un’altra ricetta che raccomando per l’estate, e per prevenire il consumo eccessivo di gelati industriali, è la mousse (o il gelato) di frutta preparato facendo bollire per pochi minuti un cucchiaio di agar-agar in polvere (o 2,5 cucchiai di agar-agar in scaglie, il cosiddetto kanten) , sempre con un pizzico di sale, in mezzo litro di succo di mela, poi si versa il tutto sulle fragole (o su altra frutta fresca coltivata senza pesticidi), si lascia raffreddare in modo che si formi una gelatina, si frul-la e si mette in frigo o nella gelatiera. Per preparare dei biscotti rapidissimi è sufficiente mescolare una tazza di farina semi-integrale (e/o fiocchi di avena) con un pizzico di sale, una manciata di mandorle (e/o nocciole o semi di girasole, di zucca, di lino) da macinare nel frullatore di casa, una manciata di uvetta sultanina rinvenuta (e/o due albicocche secche sminuzzate, ma evitare quelle schiarite con lo zolfo), e una taz-za di latte di soia (o di cereali e/o un succo di frutta senza zucchero) in dosi tali da ottenere una pasta morbida da disporre a cucchiaiate sulla teglia da forno. Tempo di preparazione: 5 minuti per mesco-lare gli ingredienti + 20 minuti di cottura, e non ditemi che le mamme che lavorano non possono tro-vare 5 minuti per preparare le merendine. L’ideale, comunque, è prepararle assieme ai bambini, che in genere amano fare i dolci, e quando li fanno loro poi li mangiano più volentieri.

Ma perché no allo zucchero? E’ una lunga storia. Una volta l’uomo non mangiava zuc-

chero. Era una delle tante spezie preziose che la repubblica di Venezia importava dall’oriente, e veni-va usato prevalentemente in farmacia. Ai tempi di Federico II si cercò di coltivare la canna da zucche-ro in Sicilia, ma con poco successo, perché la canna richiede un clima monsonico. Poi si scoprì che cresceva bene nei caraibi e in Brasile, e fu una tragedia perché mancava la manodo-pera e inglesi, spagnoli, portoghesi e francesi furono costretti (!) a importare schiavi dall’Africa. Nel ‘700 si sviluppò la pasticceria europea a base di zucchero, che rimaneva però un ingrediente caro, non accessibile alla popolazione generale. Intanto però si era scoperto che si poteva estrarre zucche-ro anche dalla barbabietola, pur con procedure assai più complicate, e Napoleone, nella sua guerra commerciale con l’Inghilterra e la Spagna, promosse lo sviluppo degli zuccherifici. In Italia il primo zuccherificio fu fondato alla fine dell’800 e nel corso del secolo scorso lo zucchero divenne progressi-vamente meno caro, fino a diventare un alimento di massa. Oggi il consumo di saccarosio dell’italiano medio è di circa 24 kg all’anno, pari a 65 grammi al giorno, che sommato agli zuccheri semplici natu-ralmente contenuti negli alimenti fa un totale di circa 100 grammi al giorno, pari a 400 chilocalorie, circa il 20 % delle calorie totali consumate da un adulto sedentario. Ebbene nel 2003 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva raccomandato che il consumo di zuccheri semplici fosse inferiore al 10% delle calorie totali della dieta! Ci furono prese di posizioni pesantissime delle multinazionali alimen-tari, specie di quelle delle bevande zuccherate, e pressioni delle lobby politiche degli Stati Uniti per-ché il limite fosse spostato al 25% delle calorie giornaliere raccomandate; il loro problema era che con due lattine di bevande zuccherate si sarebbero ampiamente superati i limiti. Le ragioni dell’OMS erano che un eccessivo consumo di zucchero favorisce l’obesità, il diabete, e le carie dentarie, che l’obesità e il diabete favoriscono il cancro e le malattie cardiovascolari, e che lo zucchero liquido in particolare, quello delle varie coche-fante-pepsi-lemonsomething-estatè e yogurt da bere, è ancora più nocivo perché non aumenta il senso di sazietà (WHO/FAO Diet, Nutrition and the Prevention of Chronic Diseases, 2003).

Successivamente ci furono numerose conferme e studi recenti suggeriscono che anche il quoziente di intelli-genza è compromesso nei bambini che consumano molti dolciumi.

Lo zucchero è uno strano alimento: è l’unico cibo costituito da una sostanza chimica pura, il saccarosio, un disaccaride (così detto perché costituito dalla condensazione di due molecole di zuccheri ele-mentari, una di glucosio e una di fruttosio). Glucosio e fruttosio sono entrambi costituiti da sei atomi di car-bonio, sei di ossigeno, e dodici di idrogeno, disposti a formare un anello, ma con configura-zione spaziale e funzioni diverse. Il glucosio è il costituente elementare degli amidi, che sono polimeri di migliaia e migliaia di molecole di glucosio che le piante immagazzinano nei semi o nei tuberi come riserva di ener-gia per il germoglio che deve crescere. Le piante sintetizzano il glucosio a partire dall’acqua che assorbono dalle radici e dall’anidride carbonica dell’atmosfera. L’energia per la reazione chimica è quella del sole, catturata dalla clorofilla delle foglie verdi: 6 H2O + 6 CO2 + energia solare = C6H12O6 + 6 O2 . E’ così che le piante ripuliscono l’atmosfera dall’anidride carbonica e producono l’ossigeno e il glucosio, la base del nutrimento del regno animale. Quando mangiamo pane pasta riso orzo farro polenta, grazie alla saliva e al succo pancreatico, gli amidi vengono smontati e si libera glucosio che viene assorbito dall’intestino, passa nel sangue e va a nutrire tutte le nostre cel-lule. Nelle cellule il glucosio viene bruciato producendo acqua, anidride carbonica e l’energia che ci serve per vivere. Possiamo anche bruciare grassi e proteine, ma il carburante più puli-to è il glucosio. Per questo la glicemia (la concentrazione di glucosio nel sangue) è attenta-mente controllata dal nostro organismo: quando si alza il pancreas produce insulina che ne consente l’ingresso nelle cellule, quando si abbassa subito sentiamo il bisogno di mangiare per ristabilire una concentrazione ottimale. Quando mangiamo troppo zucchero o troppe farine raffinate (pane bianco, dolciumi) la glicemia sale rapidamente, per cui il pancreas pro-duce subito una quantità elevata di insulina che la fa abbassare, con il rischio però di farla abbassare troppo, per cui viene fame di zucchero. E la ragione per cui molti di noi sentono il bisogno di mangiare il cappuccino con la brioche a metà mattina, o una merendina dolce. Più zuccheri si mangiano più si ha fame di zuccheri E’ una delle ragioni del perché gli zuccheri fanno ingrassare. E’ anche la ragione del perché i bambini a fine mattina a scuola sono distratti e nervosi: la colazione troppo ricca di zuccheri li ha mandati in ipoglicemia e il cervello ha bisogno di un apporto costante di glucosio per ben funzionare. Il fruttosio è diverso. Lo assumiamo prevalentemente dalla frutta e dalle verdure dolci, dove

si trova, assieme a varie quantità di glucosio e saccarosio, in forma libera. Non può essere uti-

lizzato come tale dalle nostre cellule, ma deve essere prima trasformato dal fegato in gluco-

sio o in grassi. Non causa iperglicemia ma può aumentare molto il livello di trigliceridi. E’

molto più dolce del glucosio e del saccarosio, ma è sconsigliabile mangiarlo come tale, perché

alte concentrazioni di fruttosio nel sangue sono nocive e favoriscono lo sviluppo di obesità. Il

fruttosio, infatti, ostacola l’azione della leptina, l’ormone prodotto dal tessuto adiposo che

segnala al cervello di ridurre l’appetito quando siamo sovrappeso. E’ bene quindi non dolcifi-

care con il fruttosio ed evitare i dolciumi e le bibite che contengono sciroppo di glucosio e

fruttosio (leggere sempre le etichette!). Lo sciroppo di glucosio e fruttosio è una delle princi-

pali cause dell’epidemia drammatica di obesità nel Nord America, e da qualche anno è com-

parso prepotentemente anche nei nostri supermercati.

Interessa all’industria perché la mi-scela di glucosio e fruttosio che si rica-va dal mais costa meno dello zucche-ro, dolcifica di più, e soprattutto aiuta a dare corpo e mantenere soffici i pro-dotti di pasticceria. Una volta i pastic-ceri usavano talvolta il cosiddetto zuc-chero invertito, cioè una miscela di glucosio e fruttosio ottenuto scinden-do il saccarosio. Se quindi leggete frut-tosio, sciroppo di glucosio e fruttosio, o zucchero invertito sull’etichetta dei dolciumi, dei cereali per la colazione, delle bibite o dello yogurt, è meglio non acquistarli. Anche lo sciroppo d’agave oggi promosso anche in molti

prodotti biologici è ricchissimo di fruttosio libero, per cui è meglio non farne uso abituale. La cosa migliore è dolcificare con la frutta, che contiene, si, fruttosio, glucosio, e saccarosio, ma assieme a tante altre sostanze che li diluiscono, ne rallentano l’assorbimento, e ne facilitano il meta-bolismo. Altri dolcificanti commerciali sono i malti di cereali, in cui la fermentazione degli amidi ha prodotto maltosio e malto destrine, molecole dolci costituite da due o più molecole di glucosio, lo sciroppo d’acero, costituito in gran parte da saccarosio, e lo zucchero di canna integrale grezzo, che si presenta come un materiale bruno scuro non cristallino. Sono meglio dello zucchero bianco perché contengono anche altre sostanze che ne diluiscono la nocività, ma si tratta sempre di zuccheri. Lo stesso vale per il miele, che contiene glucosio e fruttosio liberi. Una parola per i dolcificanti artificiali: saccarina, aspartame, acesulfame, o il più nuovo sucralosio, sostanze non o poco caloriche fino a mille volte più dolci dello zucchero. Sono state consigliate ai dia-betici e alle persone sovrappeso, ma è meglio non usarle perché c’è il forte sospetto che facciano in-grassare. Nel nostro intestino, infatti, ci sono dei sensori per il gusto dolce; quando arrivano sostanze molto dolci viene potenziato l’assorbimento del glucosio. E’ la ragione per cui l’aspartame viene som-ministrato ai maialini quando vengono svezzati prematuramente per consentire di ingravidare nuo-vamente la scrofa. Senza lo stimolo del gusto fortemente dolce l’intestino immaturo dei maialini non sarebbe in grado di utilizzare efficientemente il cibo. E quando beviamo un caffè con un dolcificante artificiale senza mangiare niente si ipotizza che l’organismo reagisca aumentando l’appetito e ridu-cendo il consumo di energia. Quindi, prudentemente, è meglio non utilizzare questi prodotti, ancor più se si desidera dimagrire. Sorbitolo, Maltitolo, Mannitolo sono invece sostanze un po’ meno dolci dello zucchero, presenti naturalmente in alcuni vegetali ma per lo più prodotte industrialmente. Sono pubblicizzate in caramelle e gomme da masticare perché non aumentano il rischio di carie dentarie. Aumentano la glicemia meno dello zucchero, ma a parità di potere dolcificante non sono meno calori-che. Possono causare diarrea e in alcuni paesi il loro uso è proibito negli alimenti per l’infanzia. In conclusione che fare per i nostri bambini plagiati dalla cattiva maestra televisione? E per noi stessi? Si tratta di abituarsi progressivamente a un gusto meno dolce; fare i dolci in casa senza utiliz-zare dolcificanti; chiedere che l’industria riduca il contenuto di zucchero dei suoi prodotti; leggere le etichette e se lo zucchero è il primo o il secondo ingrediente non comprare; se c’è sciroppo di glucosio-fruttosio non comprare; se c’è zucchero in cibi che non dovrebbero contenerne, come pane, fette bi-scottate, piselli in scatola, maionese, senape, sughi pronti, pesce in scatola, ecc., non comprare.

Prof. Franco Berrino già Direttore del Dipartimento di medicina preventiva e predittiva,

dell’Istituto Nazionale dei tumori di Milano.

PROTEINE NOBILI? Si sa che se non ci sono abbastanza proteine da mangiare i bambini non crescono. Tutti abbia-mo davanti agli occhi le immagini drammatiche dei bimbi africani, grandi occhi disperati e ventre gonfio. Si stima che nel mondo ogni sei secondi un bambino muoia di fame. Anche da noi c’era la fame nella prima metà del secolo scorso, e i medici sapevano quanto fosse importante il brodo di pollo per aumentare le difese immunitarie, ed era la prima medicina per guarire un bambino denutrito. Si met-teva la carne quando l’acqua era ancora fredda, senza sale, in modo che il brodo ne uscisse più ricco. Oggi le cose stanno diversamente e i nostri bambini sono fin troppo nutriti (e anche noi genitori e nonni). Quando si ammalano è consigliabile tenerli un giorno leggeri piuttosto che arricchirne la die-ta. Ma di quante proteine hanno bisogno i nostri bambini? Ce lo dicono gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e degli Istituti Nazionali della Nutrizione: per un bimbo delle elementari circa 40 grammi al giorno. In realtà basterebbero meno, ma per essere sicuri che non ci siano carenze gli scienziati dei LARN (livelli raccomandati di nutrienti) abbondano sempre un pò. E quante proteine mangiano effettivamente i nostri bambini? Esaminiamo un menu abituale:

colazione con 250gr di latte e biscotti (10 gr di proteine) a metà mattina uno yogurt (4gr) pranzo con pasta al pomodoro (8gr) e parmigiano grattugiato (5gr), 50 gr di pane (5gr), 100 gr di pollo (20gr), insalata e frutta (1gr) merenda con una merendina (5gr) cena con pasta in brodo o riso (5gr) e un bel cucchiaio di parmigiano (7gr), 50 gr di pro-

sciutto o di formaggio, o un uovo (10 gr) In tutto 80 grammi, il doppio del fabbisogno consigliato Con pochissime eccezioni (in pratica solo il sale, lo zucchero, e le bevande alcoliche) le proteine sono presenti in tutti gli alimenti, ma in diversa quantità: ce ne sono tante nei formaggi stagionati e negli affettati magri (fino al 40% del peso) e in certi legumi (30%), un po’ meno nelle carni e formaggi fre-schi, nel pesce e in noci nocciole e mandorle (15-25%), nei cereali (10%), molto meno nelle verdure (1-5%). Le proteine di origine animale sono più “ricche” delle proteine di origine vegetale, perché contengono tutti gli aminoacidi essenziali (cioè gli aminoacidi che non sappiamo sintetizzare e che quindi dobbiamo prendere dagli alimenti). Per questo sono state chiamate proteine “nobili” e per questo i medici le apprezzano di più. Inoltre le carni rosse sono ricche di ferro, e i formaggi sono ric-chi di calcio. Le fonti principali di proteine vegetali sono inve-ce i legumi (fagioli, piselli, lenticchie, ceci, prodotti di soia), poveri di un aminoacido chiamato metionina, e i cereali, che hanno poca lisina. Per questo quasi ovunque nel mondo (fanno eccezione gli eschimesi!) la dieta base era costituita da cereali e legumi: la nostra pasta e fagioli, il cus-cus con i ceci del Nord Africa, il riso con la soia dell’estremo oriente, la tor-tilla di mais con i fagioli neri del Messico. Perché mangiando cereali con legumi otteniamo tutti gli aminoacidi di cui abbia-mo bisogno. Ci saziano senza darci una dose eccessiva di pro-teine, e se ci aggiungiamo un pò di verdure di stagione, e oc-casionalmente un prodotto animale (un pesce, un uovo, un pezzo di formaggio), avremo tutte le sostanze necessarie a proteggere la nostra salute. Era la nostra vecchia dieta medi-terranea. Orazio la pregustava, tornando a casa la sera “ad ciceri et porri laganique catinum” . Anche se talvolta troppo povera, troppo poco varia, e accompagnata da carestie e fame, è stata la nostra alimentazione per migliaia di anni,. Solo nell’ultimo mezzo secolo il cibo vegetale è stato in gran parte soppiantato dal cibo animale, e il consumo quotidiano di carni e latticini ha fatto aumentare smisuratamente la nostra dose di proteine.

Farà male ai nostri bambini l’eccesso di proteine e di cibo animale tipico della nostra dieta? Forse non immediatamente, ma alla lunga sì, farà male. I grassi animali che si trovano nei salumi, nei latticini e nei formaggi favoriscono il diabete e le malattie circo-latorie, perché ostacolano il buon funzionamento dell’insulina e fanno aumentare il colesterolo e la pressione arteriosa. Le carni rosse, e soprattutto le carni conservate, sono una delle cause dell’aumento drammatico dei tumori dell’intestino, soprattutto perché sono ricche di ferro, che favorisce la formazio-ne di sostanze cancerogene nel nostro tubo digerente. L’eccesso di proteine, inoltre, fa perdere calcio dalle ossa. Se mangiamo 40 gr al giorno di proteine (sarebbe sufficiente anche per gli adulti) ci bastereb-be mezzo grammo di calcio al giorno, facilmente otte-nibile anche dal cibo vegetale. Se invece ne mangiamo 80 grammi ci occorre un grammo al giorno di calcio, perché le proteine, e an-cor più quelle di origine animale, tendono ad acidifi-

care il sangue e l’osso cede sali di calcio quando occorre tamponare l’acidità. Il cibo animale, inoltre, con l’eccezione del pesce, favorisce gli stati infiammatori ed è probabile che l’eccessivo consumo di carni e formaggi contribuisca a causare le faringiti, tonsilliti, bronchiti, otiti, così frequenti nei nostri bambini (un’altra causa importante sono le sigarette dei genitori, e l’inquinamento delle città). Quan-do non c’erano gli antibiotici i medici curavano queste condizioni somministrando una purghetta. Ci-barsi prevalentemente di prodotti animali, infatti, favorisce la stitichezza e le infiammazioni intesti-nali, e se i bambini non fanno bene la cacca sono più suscettibili alle infezioni respiratorie. Che fare dunque? Ridurre le proteine animali! A scuola sarebbe sufficiente introdurle solo due gior-ni su cinque, una volta il pesce, una volta un formaggio di buona qualità, ad esempio sulla pizza, e ma-gari la settimana dopo una volta una frittata e una volta una carne, ma senza dare carni conservate (prosciutti, insaccati, bresaola, wurstel). E gli altri giorni creare dei piatti a base di cereali, verdure e un po’ di legumi che piacciano ai bambini, ad esempio vellutata di verdure e lenticchie rosse e polpet-te vegetariane. Se i genitori lo desiderano potranno dare un cibo animale la sera, facendo attenzione che non se ne mangi più di una volta al giorno. Ma come potremo far mangiare ai bambini dei semplici cibi vegetali quando sono abituati a mangiare quasi solo cibo animale? Il problema è serio, ed io ho solo tre ricette: la prima è che lo mangino quotidianamente anche i genitori, e che lo mangino con piacere perché i figli non mangeran-no volentieri cibo che non piace ai genitori; la seconda è che sia buono, cioè di buona qualità e cucina-to a regola d’arte, per consentire a grandi e bambini di riscoprire i gusti semplici del cibo sano; la ter-za è che siano introdotti con attenta gradualità, per evitare che un tubo digerente diseducato lo rifiuti. Si potrebbe provare? Franco Berrino, già direttore del Dipartimento di medicina preventiva e predittiva, dell’Istituto nazio-nale dei tumori di Milano.

BEVETE PIÙ LATTE… Drink more milk…

Epidemiol Prev 2013; 37 (4-5), Periodo: luglio-ottobre, pagine: 340-341 Di Franco Berrino - Dipartimento di medicina preventiva e per la prevenzione, Istituto nazionale dei Tumori, Milano

«Il latte fa bene, il latte conviene, a tutte le età». Così si cantava negli anni Sessanta, e i medici ci credono

ancora. Se la sono bevuta, come si sono bevuta quella che il formaggio fa bene alle ossa, che lo zucchero fa

bene al cervello, che la carne dà energia, che la pasta fa ingrassare, che le proteine fanno dimagrire, che

bisogna dare la vitamina D ai neonati e la carne ai divezzi perché nel latte materno c’è poca vitamina D e

poco ferro (possibile che il padre eterno non ci abbia pensato?). I medici non studiano quasi niente sul

cibo nel corso di laurea (forse ancora qualcosa per l’esame di biochimica?), persino i gastroenterologi non

hanno lezioni di alimentazione nel corso della loro specialità (cosa c’entra il cibo con il tubo digerente?).

Ho visto in unità coronariche arrivare pasti di formaggio, salumi e uova (qualcosa di leggero per chi ha

avuto un infarto?) e in diabetologia pane bianco e purea di patate (non basta forse calibrare l’insulina?).

Ho visto l’annuncio del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca scientifica (MIUR) che dele-

ga all’industria l’educazione alimentare nelle scuole.1 Ho visto programmi ministeriali per la ristorazione

scolastica con prodotti animali tutti i giorni, e con dosi di proteine tali che se i bambini mangiassero effet-

tivamente quanto prescritto avrebbero nel pasto di mezzogiorno già tutte le proteine di cui hanno biso-

gno. L’eccesso di proteine è verosimilmente una delle principali cause dell’epidemia di obesità, assieme

alle bevande zuccherate, alle patatine e alle farine raffinate. I grandi studi prospettici europei e americani

mostrano coerentemente che chi mangia più proteine ingrassa. Le diete esageratamente iperproteiche

fanno dimagrire, perché intossicano il centro dell’appetito, ma chi le fa inevitabilmente ingrassa di nuovo,

spesso più di prima, verosimilmente perché tende a mantenere un consumo elevato di proteine.

In questi tempi di crisi l’industria alimentare difficilmente potrà crescere (nessuno riuscirebbe a mangiare

più di quello che già mangia e là dove c’è la fame il mercato non tira), ma contribuisce egualmente alla cre-

scita del PIL aumentando il mercato della “più grande industria nazionale”, la sanità (così definita dal pro-

fessor Monti), nonché dei settori produttivi in più rapida crescita: i rifiuti, l’inquinamento, e il business dei

centri benessere per dimagrire (con diete iperproteiche!). Ci sono due tipi d’ignoranza sul cibo: l’ignoranza per mancanza (di formazione e informazione) e l’ignoranza per presunzione. Che il latte e i formaggi facciano bene alle ossa fa parte di quest’ultima (altrimenti dove prendiamo il calcio?). Effettivamente è difficile comporre un menù che comprenda un grammo di calcio al giorno, addirittura 1,5 grammi al giorno per le donne in menopausa, come raccoman-da la Società italiana di nutrizione umana (SINU) e molti “osteoporosologi”, senza metterci i formaggi. I Livelli di assunzione raccomandati di nutrienti (LARN) per il calcio sono progressivamente aumentati dai 400-500 mg degli anni Cinquanta, facilmente raggiungibili con le foglie verdi, i legumi e i semi oleaginosi della dieta mediterranea, fino ai 1.000-1.500mg di oggi, impossibili senza formaggi; e paradossalmente più aumentano i LARN più aumenta l’osteoporosi. Nello studio EPIC, che segue 500.000 europei che hanno fornito informazioni dettagliate sulla loro alimentazione nella prima metà degli anni Novanta, l’incidenza delle fratture dell’anca aumenta linearmente con il consumo di carne (la carne sottrae calcio alle ossa per tamponare l’acidità causata dall’eccesso di proteine, e le proteine animali acidificano più di quelle vegeta-li), diminuisce linearmente con il consumo di verdure (che apportano Ca, Mg, K, e soprattutto vitamina K, ritenuti indispensabili per la buona salute delle ossa), e non cambia con il consumo di latte e formaggi (che apportano molto calcio, ma anche molte proteine). Nessuno studio prospettico ha mai documentato una benché minima riduzione del rischio di fratture ossee con il consumo di latte e formaggi (alcuni hanno anzi suggerito un aumento di rischio), ma i risultati degli studi scientifici non sono sufficienti a far crollare i pregiudizi. Il latte è una buona fonte di potassio e il suo consumo riduce un po’ la pressione arteriosa, ma è ricco di grassi saturi e peggiora il quadro lipidico. Gli effetti sulla patologia coronarica sono controversi: alcuni studi suggeriscono che sarebbe benefico solo il latte di vacche che pascolano, ma oggi generalmente le vacche da latte l’erba non la vedono neanche (essendo selezionate per produrre molto latte hanno biso-gno di un cibo più proteico, anzi non riuscendo a mangiare abbastanza proteine consumano le proprie e dopo due o tre anni di attività vengono rottamate).

PAROLA D’ORDINE: RIDIMENSIONARE I PREGIUDIZI MEDICI

La Scuola di sanità pubblica di Harvard ha recentemente pubblicato una nota sul latte che ridimensiona la pub-

blicità e i pregiudizi medici:2 «Those advertisements pushing milk as the answer to strong bones are almost ine-

scapable. But does “got milk?” really translate into “got strong bones?”». La conclusione è no, è che la raccoman-

dazione standard di almeno tre porzioni al giorno del Ministero americano dell’agricoltura (USDA) non è indi-

pendente da pressioni industriali e non ha basi scientifiche. Anche gli integratori di calcio non riducono il ri-

schio di fratture, anzi forse lo aumentano (a meno che siano associati a vitamina D) e anzi aumenterebbero il

rischio di infarto e di cancro della prostata. Il documento di Harvard contiene le citazioni pertinenti. Che rischio

ci può essere a bere abitualmente latte? Il latte è un alimento per far crescere. Chi beve latte ha nel sangue con-

centrazioni più alte di fattori di crescita, in particolare di Insulin-like growth factor di tipo uno (IGF-I), e chi ha

più alti i fattori di crescita nel sangue si ammala di più di vari tipi di tumori, in particolare di tumori della mam-

mella, dell’ovaio, dell’intestino e della prostata. Le cose sono complicate, perché se da un lato il latte è con tutta

probabilità associato ai tumori della prostata, e c’è il sospetto che faccia aumentare anche i tumori dell’ovaio,

dall’altro pare associato a un minor rischio di tumori dell’intestino, e gran parte degli studi sui tumori della

mammella non trovano associazioni (noi troviamo un’associazione solo per le donne con una predisposizione

familiare). Per questa ragione i ricercatori del Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (WCRF),3 che hanno

esaminato tutti gli studi su dieta e cancro pubblicati fino al 2006, hanno deciso di non dare alcuna raccomanda-

zione sul latte. Recentemente uno studio ha riscontrato che le donne che hanno avuto un tumore al seno e che

consumano latticini grassi hanno più recidive. Si sospetta che ciò dipenda dal fatto che il latte che si produce

oggi è molto diverso da quello di 50-100 anni fa. Mentre allora le vacche mangiavano erba, venivano munte solo

dopo che avevano partorito, davano 5-7 litri di latte al giorno e non producevano più latte durante la gravidan-

za successiva, oggi con la selezione genetica e con una dieta innaturale iperproteica si riescono a ottenere oltre

30 litri di latte al giorno anche durante la gravidanza, e il latte munto nella seconda parte della gravidanza è

molto più ricco di estrogeni, gli ormoni che stimolano la proliferazione delle cellule tumorali della mammella.

In conclusione, latte e latticini possono forse ridurre i tumori dell’intestino (ma potrebbero aumentare quelli

della prostata, e il latte quelli dell’ovaio e, nelle donne con predisposizione genetica, della mammella), paiono

associati a un rischio lievemente più basso di ipertensione (ma non di infarto) e non sono associati al rischio di

fratture. I nutrizionisti di Harvard, che dichiarano di non avere conflitti di interesse, suggeriscono di consumar-

ne una porzione al giorno, che potrebbe ridurre un po’ il cancro dell’intestino senza aumentare troppo gli altri

tumori e il rischio cardiovascolare, ma non ci sono ragioni scientifiche per promuoverne il consumo, neanche di

una porzione al giorno. Ci sono ragioni invece di diffidare delle informazioni commerciali e degli studi sponso-

rizzati dall’industria. La prima regola alimentare per prevenire le fratture osteoporotiche è ridurre la carne e

aumentare le verdure, non aumentare latte e formaggi.

BIBLIOGRAFIA

www.ilgustofascuola.it

www.hsph.harvard.edu /nutrition source/ calcium-full-story/

www.dietandcancer report.org