racconti magici n 2

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Edizioni “Associazione Culturale N d B” Edizioni “Associazione Culturale N d B” Edizioni “Associazione Culturale N d B” Edizioni “Associazione Culturale N d B” – Toscana (Italy) Toscana (Italy) Toscana (Italy) Toscana (Italy) Loef Yonel Loef Yonel Loef Yonel Loef Yonel Racconti Magici del Terzo Millennio Racconti Magici del Terzo Millennio Racconti Magici del Terzo Millennio Racconti Magici del Terzo Millennio Parte Seconda Parte Seconda Parte Seconda Parte Seconda “Amore “Amore “Amore “Amore Stregato Stregato Stregato Stregato” Tales from the Heart N° Tales from the Heart N° Tales from the Heart N° Tales from the Heart N° 8 - 2 2 2 2-0-1-4

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Amore Stregato

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Loef YonelLoef YonelLoef YonelLoef Yonel

Racconti Magici del Terzo MillennioRacconti Magici del Terzo MillennioRacconti Magici del Terzo MillennioRacconti Magici del Terzo Millennio

Parte SecondaParte SecondaParte SecondaParte Seconda

“Amore“Amore“Amore“Amore Stregato Stregato Stregato Stregato””””

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Copertina di Jim Flora

Racconti MagiciRacconti MagiciRacconti MagiciRacconti Magici del Terzo Millennio del Terzo Millennio del Terzo Millennio del Terzo Millennio

part.Ipart.Ipart.Ipart.IIIII

“Amore “Amore “Amore “Amore StregatoStregatoStregatoStregato””””

(Tales from fhe heart N°8 - 2-0-1-4)

*

Immagini delle pagine a cura di Loef Yonel PhotosLoef Yonel PhotosLoef Yonel PhotosLoef Yonel Photos & Paraphilia Magazine

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*

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*

Edizioni NettaridiBacco A.C. - Via del Calcinaio 54 – Sant’Angelo in Colle (SI)

© 2014 -Tutti i diritti riservati alla Casa Editrice

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Part. II Part. II Part. II Part. II –––– “Amore Stregato” “Amore Stregato” “Amore Stregato” “Amore Stregato”

In questo Numero:

Plenilunio alla Settima LunaPlenilunio alla Settima LunaPlenilunio alla Settima LunaPlenilunio alla Settima Luna

(incontri ravvicinati del proprio tipo)

* Caccia alla Scopa VolanteCaccia alla Scopa VolanteCaccia alla Scopa VolanteCaccia alla Scopa Volante

(tremate tremate le streghe son tornate)

* ““““HalloweeningHalloweeningHalloweeningHalloweening””””

(dove le streghe cominciano a far danni)

* Doppio EsilioDoppio EsilioDoppio EsilioDoppio Esilio

(quando l’equilibrio delle forze s’infranse)

*

*

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Plenilunio alla settima lunaPlenilunio alla settima lunaPlenilunio alla settima lunaPlenilunio alla settima luna

Poco prima di una vaga mezzanotte estiva avevo già riportato a casa i

ragazzi ma la mattina dopo appena svegli risucchiati nella sfera magica

ed in viaggio, io a far da scorta a questo biondo e alto emissario delle

fate e portarlo a respirare lo spirito del cerchio magico che ci ospitava,

ben al di fuori della zona protetta.

La corona di alberi sacri che formava la cornice della collina che

abitavamo da qualche anno era talmente antica e sufficientemente

larga da garantire una protezione efficace alla chiarezza delle nostre

finalità vitali, in un luogo assorbito dalla vacuità come quello, molto

distante dalle estese e selvagge terre protette orientali, dove si poteva

ancora respirare il senso.

Prima gratificati da un bel bagno purificatore nella pozzanghera

gentilmente messa a nostra disposizione dalle rocce poi il viaggio, di

nuovo coinvolti dall’atmosfera dei luoghi, io e l’emissario delle fate,

passate le invisibili porte che si dice siano state edificate dagli Etruschi,

amanti del mondo degli spiriti. Oltre le vaste e strette colline piene di

bosco colorato dei verdi più cupi e delle ombre grigie d’infinite cortecce

diverse, oltre i torrenti dai toni sfavillanti di blu unito al biancore del

sasso fluviale e all'arancio pallido dei calanchi di sponda, oltre i villaggi

di pietra e le pietre sacre erette a protezione d’illustri antenati in estesi

campi d'erba medica, si giungeva finalmente al nostro dunque.

Il Party. Il Party. Il Party. Il Party.

Alfine arrivati al cospetto di chi evidentemente aspettava i nostri

omaggi: grande seguito di folletti di varia bellezza e di tranquilla

efficienza, grande parata di personaggi notabili che con il sapore della

casualità partecipano alle riunioni informalmente, come usa da queste

parti.

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Da quando è in voga questo modo informale di celebrare avvenimenti

importanti, non si capisce mai quali sono i limiti del proprio ruolo e

bisogna spesso affidarsi all’istinto che se non è ben pettinato qualche

volta ci confonde anche…specialmente al cospetto di personaggi illustri

e potenti dovrebbe scattare quella sublimazione intellettuale che

impedisce l’approccio primitivo e risparmia gli inevitabili scontri che ne

derivano. Come non concentrarsi al massimo per applicare saggezza e

dolcezza alla propria emissione di energia in occasione di un party alla

vigilia del plenilunio, riunione di maghi, fate, folletti ed altri semplici

visitatori, in un luogo di non facile accesso, crocevia di stradette

impossibili, ben protetto oltre che da alberi e siepi anche da mura

solidissime, da sbarre metalliche sempre in procinto di chiudersi e da

recinzioni dissuasive, tutto di grande effetto scenico? Una riunione di

media potenza ma di serena e discreta presenza di tanti, tanti abitatori

della contrada e visitatori esterni, venuti anche da molto lontano. Una

partecipazione nella quale immergersi con i recettori aperti e le difese

abbassate. Carezze invece di urti, preparazione alla vista della vera

essenza, roba per stomaci forti, acque chete.

La sera è appena scesa e ci sediamo ad una tavola dove ci accolgono i

padroni di casa. Tutti gli altri si sono allontanati per non disturbare la

concentrazione rituale; li ritroverò poi, impegnati in incomprese

attività notturne di gruppo. Subito una frugale cena, insieme a riti di

sintonizzazione, e poi una spinta delicata nel reale mondo degli spiriti.

Il viaggio. Il viaggio. Il viaggio. Il viaggio.

Una voce di donna, un po’ chioccia, chiama il mio nome una volta sola, al

buio di un viale illuminato dalla luna. Finita la breve cena mi ero avviato

verso il buio sassoso di un cammino in salita, verso sagome di cipresso e

bastioni murari intorno. Fui portato a credere che la donna con la voce

chioccia non esistesse, almeno nelle sue sembianze umane.

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Mi accorgo, senza portare l'informazione a livelli di coscienza

sufficientemente chiari al pensiero, che è plenilunio.

L'elaborazione dei fatti che accadono non è riconosciuta come propria.

Non è il mio Io che sta dominando, stasera. Sto provando una specie di

connessione con altro da me, o meglio altro dal mio intelletto.

Queste sensazioni sotto forma di lampi di luce cerebrali par che

vengano dall'esterno, dall'ambiente stesso che mi circonda, dai raggi

lunari arrivati ad un quarto del loro percorso celeste, come se io

dovessi limitarmi solo alla loro ricezione.

Il mio sistema nervoso centrale, eliminata l'attività di elaborazione, non

è che uno strumento mediatore dei sensi e come tale è utilizzato.

L'esperienza mi lascia piuttosto intimorito; non ricordo di aver mai

vissuto prima sensazioni simili. Ho paura, ovviamente, ma anch'essa va

e viene, mi prende e mi abbandona, sostituita da richiami e messaggi,

leggeri quanto assolutamente incompresi, ma subito tradotti dalle

insegne lampeggianti che si susseguono nella mia testa, e quindi

riemerge, denunciando la sua presenza di fondo.

Sarebbe sciocco non aver nemmeno un po’ di paura nel mondo dello

spirito, dove evidentemente sono precipitato tramite le frequentazioni

delle ultime ore.

Dove porterà questo viale montante? A volte mi sembra di non saperlo,

subito dopo il muto messaggio del sogno mi proietta l'immagine futura,

come se io mi trovassi contemporaneamente qui, arrancando sul

sentiero, e laggiù, dove il cammino sbocca. Il paesaggio sembra

congelato nella luce lunare. Il posto in cui la strada notturna mi ha

condotto è un villaggio molto affollato in ore estive. Gruppi e individui

che lentamente percorrono la piazza, la larga strada d'accesso, nel

mezzo della quale il piccolo sentiero è sbucato discreto, invisibile al

passeggiatore occasionale.

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Tutti gli occhi sono per me, da figure umane abbigliate in varie fogge,

ma occhi alieni, simili a fari di essenze di percezione animale… laggiù

un gruppo di tassi, due o tre volpettini isolati, ratti, topi e uccelli

notturni.

L’uomoL’uomoL’uomoL’uomo----istrice. istrice. istrice. istrice.

E' il momento di muoversi. Raggiungo il mio mezzo. Affronto la strada.

Una serie di curve di un cammino che discende e risale su collinette

fitte e fittamente boscate, a destra la costa, a sinistra un baratro oscuro

dove le sagome contorte degli alberi affondano lentamente al bagliore

riflesso dei fari e della luna. Difficilissimo inizio: lo stato angoscioso in

cui verso mi impone una velocità ridotta al minimo. Nessuna

spiegazione proviene dalla sfera razionale. Avverto solo onde di greve

portata che mi afferrano il corpo rendendomi ardua la guida.

Saprò che cosa mi terrorizza quasi subito.

E' un istrice che mi si para davanti sulla deserta carreggiata in mezzo ai

fari, e fugge a sinistra, buttandosi a capofitto nella macchia bassa e

rendendosi di nuovo invisibile. Va bene… gli istrici si muovono in

maniera goffa, ma questo qui (considerando che sarà stato un

esemplare di una ventina di chili), oltre ad avere degli aculei parecchio

ordinati, cosa rara, sembrava muoversi come un automa, un giocattolo a

carica, di quelli con la chiave a farfalla con la molla a spirale dentro. La

mia incredulità dura poco: immediatamente il piccolo tecnico delle

insegne che si è installato nel mio pensiero accende la seconda serie di

messaggi: "Il simulacro dell'istrice che ti ha appena incrociato comunica

che incontrerai lo spirito di questa dinastia animale con sembianze

umane, per un breve confronto di opinioni sulla congruità".

Evidentemente i folletti hanno massaggiato bene il mio istinto perché,

con la scusa di riposarmi e rilassarmi, mi fermo automaticamente

nell’ignoto posto dove incontrerò l'uomo istrice e mi concedo qualche

ammirata visione della luna e della valle illuminata, nella cornice di una

lunga fila di cipressi gentili e assai giovani.

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Molti infatti erano gli adolescenti della specie che si ergevano snelli e

leggeri sui viali sterrati delle colline di metallo della zona. Questi miei

alberetti si orientavano perpendicolarmente al punto da dove la luna

nasceva e per lunghe ore ricevevano, ognuno senza subire alcuna

ombra dagli altri, dosi spropositate di raggi brillanti. Un bel sentire per

il mio caro istinto. Nessuna abitazione umana nel raggio di qualche

chilometro. La casa del party sovrannaturale della sera precedente era

il luogo più vicino, oltre le colline e le foreste e le gole e gli scrosci

d'acqua cristallina.

L'uomo-istrice tarda, ma io lo sento che decide, poco lontano, e poi si

ferma, e poi si riavvicina, deve avere anche lui una certa paura, come

me. Mi vede correre al riparo di una siepe.

Arriva, caricando a tutta birra nella sua Fiat 128 bianca, con i fari

spianati.

Dopo un vano tentativo di sfuggire alla sua vista, mi vedo bloccato

contro un filo spinato, tra due dei più slanciati alberi gentili. Il mio

istinto, sempre lui, mi consente dì mantenere un contegno

assolutamente dignitoso quando l'uomo istrice entra nel campo

dell'interferenza spaziale ravvicinata. Per la precisione sono due: uno

anziano ma robustissimo con i capelli a forma di grigi cortissimi aculei

ed uno giovane che sembra sicuro di se e dall'aria ironica e tranquilla,

forse un testimone di altra specie interessata o simbionte.

Ricordo solo che rivolgendomi all'anziano, indiscutibilmente istrice, gli

faccio le mie sentite scuse per l'intrusione e chiedo il suo consenso,

anche se retroattivo, a calpestare il suo territorio. Andandosene senza

alcun apparente commento vocale, riconcede il privilegio.

Subito dopo il mio cervello rifiuta ancora di riconoscerlo come uomo

istrice, quelli erano bracconieri notturni e basta, altro che!

Però sono talmente sereno che nessuna reminiscenza di superstizioni

popolari terrorizzanti è venuta a disturbare la mia esperienza…

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Mentre i miei sensi già si lasciano alle spalle il surreale contatto, provo

a ragionarci sopra con maggiore lucidità: non sarà che, al pari dello

spirito di quella dinastia animale, la mia forma umana non nasconda

altro che lo spirito di chissà quale altra dinastia (tartarughe?

Coccodrilli?) e dunque si sovrapponga all’intelletto durante le

interazioni magiche? O meglio, si sovrapponga alla mia “umanità”,

sostituendola durante gli incontri interspecifici e immediatamente

dopo eclissandosi dal mio agire?

L’uomoL’uomoL’uomoL’uomo----volpe.volpe.volpe.volpe.

Tutto mi comincia ad essere chiaro dopo aver superato qualche altro

chilometro; le curve della strada sembrano non finire mai, e dietro

ognuna di esse cosa mi posso aspettare? Durante il percorso le

sensazioni provate sembrano essere la copia di quelle stesse che mi

raggelavano prima dell'incontro con l'istrice messaggero, ma le

controllo assai meglio e nel frattempo il mio cervello lavora per

riportare alla luce le informazioni fino a lì ricevute, supponendo che

anche l'uomo istrice sia anch’egli impegnato, al pari di me, nelle

interpretazioni da fare.

Devo interrompere le demenziali circonlocuzioni del mio pensare

perché la volpe salta in strada da dietro un cespuglio al lato e si butta

giù di nuovo nella macchia, attraversando da destra a sinistra.

Va bene, le volpi a volte sembrano un po’ arruffate, con il pelo

arancione ispido e macchiato e sbiadito, con code di fogge anche

spelacchiate e strisciate di pelo nero casuale, ma questa era davvero

buffa. Sembrava una peluche fatta molto

bene, imbalsamata da un bravissimo impagliatore, sembrava viva ma si

muoveva a scatti, come faceva l'amica istrice precedentemente.

Subito intuisco che dovrò incontrare anche l'uomo-volpe e la scritta

luminosa mi segnala anche dove.

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Tra le vie del prossimo villaggio, e intanto sono le undici e mezzo

passate.

E se non mi fermassi al prossimo villaggio? E se decidessi ora di

smettere di frequentare questo mondo di magia? Potrei lasciar libero

sfogo al mio malessere e sentirmi male: è un ottimo modo per sfuggire

alla realtà.

…Devo esser pazzo a non voler incontrare l'uomo volpe e tutto per la

paura che ho. Poi chissà cosa mi succederebbe se non lo incontrassi,

allora sì che ci sarebbe d'aver paura e pensa a cosa ti perderesti,

l'occasione é veramente unica e tra miliardi di umani è capitata proprio

a te.

Poi mi fermo, ovviamente, nel borgo indicato, che in ore diurne si

poteva vedere inserito su diversi piani in una valletta orientata a ovest,

molto antico, molto piccolo, piazza di pietra, case di pietra tetti d'argilla

scurita dal tempo, proprio sulla lunga strada verso casa.

Lui mi aspetta sopra un balcone pubblico, una via sopraelevata che

traversa la via a mo’ di ponte. Lo scorgo subito, dalla portiera della

macchina che apro per scendere. La mia strategia di avvicinamento è

molto più consapevole che quella adottata con l'uomo istrice, e

trattandosi di una volpe mi presto ad operare un piccolo agguato. Dal

basso, indirizzandomi verso la figura china sul balcone direttamente

sopra di me, domando se in paese c'è una fontanella pubblica per

ristorarmi un poco.

Te la do io l'acqua - mi risponde Lei - vieni pure su. Nel frattempo noto

che un'altra figura dalle sembianze umane s'interpone e cerca di

attirare l’attenzione su di sé, distogliendomi dal contatto in essere. Una

guardia del corpo? Certo, non dev'essere facile avere accesso al

cospetto dell'uomo volpe. Lo raggiungo. Ce l'ho vicinissimo, é lui.

E' fantasticamente rosso, è sospettoso, è assolutamente a suo agio

anche se fa finta di non esserlo.

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Caspita che forza: è davvero un’esperienza favolosa. Riempio la fiasca

per metà nella fonte che lui mi indica.

Lo stuzzico, facendogli capire che so benissimo cosa si nasconde dietro

le sue sembianze umane ma sembra che l'innocente provocazione lo

infastidisca. Non volendo che la cosa travalichi completamente i confini

tenuissimi della normalità mi defilo ed entro nella locanda all'angolo

con una banale scusa, interagisco con i simpatici avventori e riprendo

la strada. Il saluto che ci scambiamo, io e l'uomo volpe, è raschiante.

Silenziosamente lo ringrazio, chissà mai perché.

L’uomoL’uomoL’uomoL’uomo----topo.topo.topo.topo.

Rieccomi in macchina, lucido e soddisfatto, e subito dopo ancora

confuso ed incerto. La mezzanotte era stata appena annunciata dalle

campane della piccola chiesa romanica del villaggio. Sarà finita la serie

d'incontri magici? Abbiamo superato la china?

Altra insegna luminosa che mi dice "per saperlo, mio caro, non ti resta

che aprire il finestrino alla prossima discesa, quella che percorre i

campi d'erba, attutire il rumore del motore ed ascoltare cosa ne

pensano i grilli".

All'omino delle scritte mentali non si può dire di No.

Accetto il consiglio e socchiudo il finestrino, e nella macchina al silenzio

ronzante del motore si sostituisce piano piano il canto di migliaia di

grilli. E' come una catena: ogni volta che il campo sonoro di una famiglia

di grilli si esaurisce, tu entri subito in un altro che parte piano, arriva

gradatamente al massimo livello d'intensità sonora e si smorza a sua

volta, così via fino a che la sequenza di canti s'interrompe

improvvisamente, forse perché ancora una volta hai avuto un pensiero

di timore, o forse solamente perché altri rumori hanno prevalso.

Oppure perché il messaggio che mi avevano annunciato è

semplicemente finito. La notte si é fatta piú serena che mai.

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Abbandonando le colline boschive piene di vita e vuote di umanità,

annebbiate dagli sbuffi di vapore che escono dalle profondità di quella

terra, rientro nel mondo che credevo consueto esteso e immutabile

della valle, con le sue strade trafficate e la sua sequenza di bar e

agriturismi ben affollati i primi e ben desolati i secondi, e soprattutto

con l'ampiezza del panorama, non più serrato da pareti vegetali e

minerali a picco.

Sono già da tempo nella zona aperta, vicino a casa. I campi coltivi si

susseguono in ogni direzione, inframmezzati da alberate di varia

natura e luci tremolanti di poderi isolati. Puntuale, un topo si infila tra il

buio e la strada illuminata dai miei fari, rischiando di essere investito.

Direzione, andamento, postura del piccolo animale sono gli stessi che

ho già visto due volte, poco prima adottate dagli altri messaggeri

animali.

Orca miseria, mi vien subito da esclamare, proprio l'uomo-topo. Tra gli

incontri a cui sono stato destinato in questa straordinaria notte di

plenilunio, questo mi appare il più impegnativo.

Non vado d'accordo con i topi, al contrario di quel che succede tra me e

gli istrici e le volpi.

Li uccido anche, specialmente nella loro forma di ratto, con le trappole

e a volte anche a ramazzate, ovviamente solo quando superano soglie di

danno domestico grave. Ed il sangue non facilita certo le pubbliche

relazioni.

L'ultima guerra con i topi non era poi finita da molto tempo. Mi bruciava

ancora il ricordo dei 50 litri di buon olio extravergine d'oliva, frutto di

settimane di brucatura sugli alberi della zona, contaminati dal cadavere

di un ratto che, dopo aver rosicchiato il tappo di plastica della

damigiana, ci si era affogato dentro per ritorsione alle ultime uccisioni

dei suoi simili da parte mia.

No, non ci vado, e questo ritrito pensiero confermava che la mia prima

reazione ai messaggi di quella notte è stata sempre di paura.

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Ad accettare anche questo terzo incontro mi convince l'esperienza

diretta; questi animali hanno un carattere furtivo, sfuggente e a volte

vendicativo, ma sostanzialmente sono dei bonaccioni, accettano le

regole (anche se solo dopo cruenti scontri) e sono ammirabili per le loro

grandi doti di sopravvivenza…

Il parcheggio del "Big Roof" è pieno di vetture conosciute. Sembra che

tutti gli abitanti della mia valle si siano dati appuntamento nelle sale di

questo enorme autogrill campagnolo dall'improbabile nome western,

allo stesso tempo locanda, ristorante, spaccio di alimentari ed ufficio

postale. Tutti loro non hanno voluto o forse potuto mancare all'incontro

clou della speciale nottata.

Arrestatomi con la vettura nell'abituale parcheggio, mi avvio all'entrata

dalle enormi vetrate che non lasciano niente di nascosto all'interno

della grande sala.

Non sono particolarmente sorpreso di trovarmi di fronte una persona

che già conosco, seppur avendoci scambiato si e no poche battute nelle

quasi quotidiane volte che l'ho incontrato.

E' il gestore del bar in persona, a mia memoria sempre defilato, sempre

mescolato alla maggioranza presente al bancone, anche se non

condivide nel suo intimo le sue tensioni. Cacciatore (lui che invece è

preda) tra i cacciatori; agnello, tra agnelli. Al servizio di tutti, anche dei

suoi peggiori nemici, schernito dagli uomini-gatto, ignorato dagli

uomini-lupo, bramato dagli uomini-falco. Ma é suo dovere intrattenersi

con tutti, al riparo della sua azione e della sua corporalità che lo fanno

apparire simile agli altri. Non riesce però a mimetizzarsi

completamente, la sua voglia di rintanarsi nel primo buchetto

disponibile è sempre ben evidente nel suo sguardo e nella direzione del

suo corpo, contraria a quella che è costretto ad assumere per

accontentare i clienti.

Scintillante il nostro contatto.

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La luna piena di questa notte rende impotente l'artificio conosciuto

sotto il nome di normalità. Ci si guarda e ci si vede, così come in

sostanza siamo: spiriti complessi e integrati con la manifestazione

vitale del pianeta, con tutte le cose che ci sono, ognuna in un granello di

noi, ognuna in grado di risvegliare la sua individualità e imporla alla

forma codificata…

Una qualsiasi interazione per rendere valido il riconoscimento si basta

da sola alla fretta di entrambi; la voglia di separarsi, ora che tutto è

chiaro, prende il sopravvento ed è la reciproca fuga. Qualche

chilometro dopo, eccomi a casa, dopo aver avuto il mio difficile incontro

anche con l'uomo-topo, dimostratosi sfuggente e un po’ curioso, oltre

che, io credo, molto impaurito.

Tra le comode feste dei miei cani ho tempo di pensare: ma che animale o

cosa sarò stato io questa notte di plenilunio? Chissà se un giorno lo

scoprirò.

*

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Caccia alla scopa volanteCaccia alla scopa volanteCaccia alla scopa volanteCaccia alla scopa volante

“La strega, tutta nuda, si spalmava l’unguento sulle mani, le tempie, la

faccia, i capezzoli, le zone genitali e la pianta dei piedi mormorando: “Io

son demonio, devo essere demonio, non devo aver nulla a che fare con

Dio”

Non mi resta che sperare che la mia scopa sia ancora al suo posto.

Lo so, non dovrei dire "mia", in quanto l'ho recuperata dal mezzo d’una

strada senza domandarmi se ci fosse stato qualcuno che avrebbe potuto

rivendicarla mentre la raccoglievo. Nel mezzo della strada - mi sono

detto - di chi vuoi che sia? Sarà caduta da un carro, o dal cielo piuttosto,

in quanto non ho mai dubitato, fin dal primo istante che l'ho vista, che

trattavasi di scopa volante, di pura appartenenza stregonesca.

Già mi immagino la scena che avrebbe potuto verificarsi: inchiodo la

macchina davanti alla scopa stesa per lungo in mezzo alla strada di quel

magico paese che ha dato i natali a Pinocchio. Scendo al volo lasciando

la portiera aperta, mi chino a raccogliere l’oggetto ed una mano nodosa

mi stringe una spalla mentre mi risollevo. Di fronte a me una signora di

mezza età con gli occhiali a goccia e la permanente che mi dice grazie

giovanotto questa scopa è mia e se ne va camminando tranquillamente

verso un angolo della piazza, sparendo alla vista… Ma non è andata così.

Nessuno mi ha bloccato mentre la raccoglievo.

In effetti, devo ancora capire se la scopa mi è stata affidata

volontariamente o se invece l'ho rubata ad un parcheggio apposito. Ci

sta anche che in-mezzo-alla-strada sia in effetti lo spazio di parcheggio

destinato alle scope volanti, invisibili e immateriali ai sensi dei comuni

mortali, ma casualmente apparsa a me per una qualsiasi interferenza

percettiva imprevista.

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Ci si può chiedere se sia giusto rubare quella scopa; sicuramente per il

nostro eccellentissimo rappresentante a Roma rubare alle streghe non

è reato, a patto che si consegni la refurtiva alle guardie svizzere, ma io?

Io subisco l'influenza dei miei geni mercuriali. Io mela tengo,

figuriamoci farla ammuffire negli archivi segreti del Vaticano! Sì, ci

sono un sacco di rischi, ma ne vale la pena. Con le proprietà

energetiche di quella scopa per esempio potrei muovermi per lunghe

distanze spazio-temporali a velocità impressionanti. Del resto, in poco

tempo da quando la rubai, mi è già servita assai. Per esempio proprio

qualche settimana fa…

Quella stagione di affari era stata davvero impegnativa. Già da

quel territorio lontano, intriso di sangue religioso, bisognava esercitare

un controllo integrale su tutte le varie fasi della preparazione degli

eventi fatali, e su tutte le persone coinvolte, alcune delle quali alle

prese con crisi esistenziali o blues più o meno marcati. Senza calcolare

poi l'impatto degli innamoramenti, che dominavano il futuro. Amore

non va molto d'accordo con Lavoro, in quanto alle notti sconvolte dalla

veglia appassionata dovevano succedere i giorni dell'impegno, dove

tutte le percezioni a disposizione sono obbligate, per mera

sopravvivenza, ad esaminare e decifrare correttamente le informazioni

fisiche e psichiche che emanano da quell'amalgama di personaggi

eccitati partecipanti al business. Tempi duri. Molti di questi personaggi,

alle prese con la spaventosa potenza delle premonizioni entropiche,

erano incapaci di trattenere le loro anime, che ti vagavano addosso, se

non ti scostavi in tempo, impigliandoti nei loro fumi figurati.

Lo sentivo, ero braccato. Sapevo bene da chi. Questa e solo questa era la

conseguenza del furto della scopa volante di qualche tempo prima. Per

quell'attimo, quel non lontano giorno a Collodi, avevo incarnato il re dei

ladri, Lug, Hermes, Mercurio, Dioniso, ed oggi le derubate avevano

individuato la mia forma umana.

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Tutti i miei amuleti erano attivati al massimo, ogni movimento doveva

essere quello giusto se no mi sarei trovato in loro balia. Da alcune

informazioni giunte direttamente da Georgetown, sede della

congregazione internazionale fattucchiere volanti, avevo potuto

ricostruire gli aspetti determinanti della strategia usata dalle streghe

per individuarmi. Esse, non immaginando ancora le potenzialità di fuga

offertemi dalla biosfera grazie alla metamorfosi sciamanica effetto

dell’ingestione di frutti cari alle volpi, avevano incaricato della caccia

alcune figure di secondo piano, i soldatini per così dire, dalla visione

limitata e dall'ambizione repressa dalla brama di carriera e stupidità

derivata. Facilmente eludibili dunque, con un po' di attenzione. E se

proprio fossero riuscite finalmente a beccarmi, vabbè, non avrebbero

potuto fare altro che levarmi un po' d’energia. La scopa volante era già

infatti al sicuro di solidissime mura millenarie, all'interno di una chiesa

gallo-romanica della Francia occidentale…

Tutto sembrava tranquillo, il giorno dopo. Programma sostanzialmente

rispettato ma subito comincia male. Il vino, assaggiato per gusto e

mestiere, non esprime quelle cose che ti aspetteresti. Sei già in guerra,

anche se indulgi nella finta ignoranza. Questo ti porta a fidarti troppo di

te stesso, dopo che non hai voluto ammettere di aver fatto un grosso

sbaglio, quello di distrarti nella scelta del posto giusto a cui sederti.

Posta la borsa piena di formule utili sopra una sedia, che ti sembrava la

tua, girovaghi tra i sorrisi falsi e i cerchietti pavidi di due, tre notabili

virtuali. Quando ritorni al tuo tavolo ti accorgi che le persone che ti

aspettavi non sono arrivate. Al loro posto due sconosciuti,

apparentemente solo maritati ma nella sostanza unificati. I tuoi amici,

involontariamente, fanno da sponda alla tua imprudenza: “ma lo sapete

cosa mi è successo l’altroieri a Collodi ?” esplodi col dire tra un vino e

l’altro. Impercettibilmente l’atmosfera attorno al tavolo si cristallizza,

ma cosi piano che non te ne accorgi subito e continui…

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“insomma, andavo con la macchina quando, nel bel mezzo della strada

cosa ti vedo ... ?” Al cosa ti vedo la percezione della concentrazione di

cristalli ha superato la soglia d’allarme per giungere alfine alla portata

di un tintinnio acuto e persistente. Ti volti di scatto verso i due

sconosciuti commensali e li scopri a fissarti a bocca aperta con

interesse quasi ipnotico. Ti rivolgi d’amblè alla donna,

ultracinquantenne sfiorita di tipo slavo: “...Era forse sua ?” domandi in

stato di trance attivo. Il suo “ni” ti stimola a fare la domanda chiave: “Ma

Lei è qui in missione ?” Un “può darsi” è la risposta, un “mi sto facendo

beccare” è la conseguente tua riflessione. Laurie mi tira fuori di peso da

quella situazione imbarazzante inventando e suggerendo a mio

beneficio un finale alternativo, essendosi accorta dei miei

boccheggiamenti. Sei scivolato su un tappeto di chiocciole? Prendo al

volo con gratitudine eterna quell’inaspettato soccorso e riesco a

terminare il pasto in parità. Poi decido di evitare i due in tutte le

maniere che ho a disposizione…

Alla fine del gran pranzo il giro continua con mezze ore di pulmann e

visite ad antiche cantine e manieri restaurati. Il panorama sarebbe

davvero fruibile se non ci fossero quei due menagrami, ma loro, se non

altro per il forte sospetto suscitato dalle mie spericolate esternazioni

dell’ora di pranzo, mi stanno addosso, non osando però intervenire per

quel minimo margine d’insicurezza causatogli dal provvidenziale

intervento di Laurie. Nel lussuoso torpedone che ci porta a spasso,

striscio a testa bassa tra i sedili e schizzo fuori al minimo accenno di

apertura porte. A spasso tra le vigne mi abbasso dietro gli ultimi filari,

sto malissimo, piagnucolo protezione, una vera frana psicologica. Poi,

più rinfrancato dal fatto di essermeli tenuti lontani abbastanza,

riprendo un frammento di dignità concedendomi pure degli

accademismi formali nel gioco in atto tra me, topo, e quelle vecchie

pellacce di gattacci magici che mi danno la caccia…

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Furono poi i miei amici che mi portarono fuori di lì, dall’ultimo castello,

non prima però che mi fossi lasciato tentare dal profumo e dalle forme

asciutte e sensuali di una streghetta poco più che ventenne che mi si

offriva candidamente sbucando da un cespuglio di bosso, incarnazione

affascinante del diversivo operato dal pool di stregoni incaricato del

recupero della scopa volante. E la serata era appena cominciata.

L’arrivo e la presenza al mio fianco di uno scudo importante come

Ludwig non poteva che confermare i sospetti dei due streghi nei miei

confronti. Ebbi la netta sensazione che ormai avessero acquisito la

certezza del riconoscimento. Cosa avrebbero inventato d’ora in poi?

Più tardi, sciacquato e condito d’adrenalina in una mezza ora di relax

solitario tra le fide mura del mio hotel cinquestelle, mi aspettava la

serata, ma soprattutto la cena; il momento in cui sarei stato più

vulnerabile. Nei sotterranei dell’imponente fortezza, tra la gente

neutrale, solo leggermente spettatrice dello scontro, ci si disponeva ai

tavoli in un ordine casuale: seguivo con gli occhi i miei due aspiranti

carnefici cercare di prevedere i miei movimenti per cogliere al balzo

l’opportunità offerta da due posti liberi al mio stesso tavolo e

squagliarmi d’ira e vendetta. Si comportavano con troppa baldanza;

grave errore. Potevo leggerli come un libro aperto. Ovviamente io ero

sempre l’ultimo a scegliere il posto al quale sedermi, così li fregai,

lasciandoli ad una distanza di tre tavoli. Mi rilassai sulla sedia appena

occupata, offrendo le spalle al nemico, ma poi, preoccupato, confidai a

Karl, che aveva deciso di accompagnarmi alla cena al posto di Ludwig, i

miei timori, e subito Karl si offerse come scudo, dicendosi

perfettamente in grado di assorbire qualsiasi assalto. Sapendolo assai

meno informato di Ludwig sulle cose che accadevano, lo sconsigliai

vivamente, ma lui niente, e, scostandomi discretamente, prese il mio

posto.

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I due aguzzini nel frattempo, approfittando di un brusco movimento di

riflusso dal tavolo direttamente alle nostre spalle, vi ci s’installarono

comodamente, fissando con occhi brillanti la schiena della loro preda

finalmente raggiunta... scambiando Karl per me. Povero Karl ! La cena

comunque andò liscia, e la tranquillità sembrava regnare. Tutti al

riparo infine, tra solide mura private; per quel giorno era finita, i due

sarebbero certamente spariti l’indomani nelle pieghe del loro tessuto

spaziotemporale parallelo, certi di avermi colpito abbastanza

duramente coi loro sguardi di bitume da mettermi fuori gioco per

qualche settimana. Infatti andò proprio così ; il giorno dopo, di prima

mattina li incrociai sulla piazza : sorridenti, non parvero nemmeno

avermi notato. Pensavano di aver concluso con pieno successo la loro

missione spalmandomi di catrame magico. Ma Karl, pietrificato al mio

posto, stette tra la vita e la morte per una settimana, in preda ad una

dissenteria che non gli lasciava umore in corpo. Poi per fortuna è

guarito ma io non ho mai avuto sensi di colpa; non avevo avuto ragione

a sconsigliargli vivamente di prendere il mio posto? Magari lui si

credeva di essere ad una vera festa. Comunque intendo approfittare di

questa occasione per ringraziarlo ancora una volta vivamente.

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““““HalloweenHalloweenHalloweenHalloweening” ing” ing” ing”

“Quando il sole scalda i corpi, le anime sono pudiche e si crogiolano

silenziose accumulando calore, quando la notte abbassa la temperatura

della gente, le anime allora, come le piante, ridiffondono il calore

diurno, e le personalità infine si manifestano al meglio."

Il giorno precedente, quello delle streghe, aveva visto alcuni ospiti

fabbricare un feticcio, con una lattina di cola, a mo’ di zucca vuota.

Durante l'operazione essi non smisero di giocare con il fuoco che

riscaldava l'ambiente. In serata, appesero il feticcio fuor di finestra,

dotandolo di un cero all'interno. Quel feticcio funzionò; nessuna strega

venne a creare disturbo quella notte di Halloween. Da quel che ne so,

alle streghe il fuoco va lasciato dentro. In quel fuoco c'è la conoscenza.

Essa deve venire svelata attraverso procedure complesse, rituali

semicoscenti, interazioni precise. Per emergere essa deve avere una

guida sicura. Bruciare una strega significa essere mossi dall'invidia e

dalla bramosia di conoscere quanto non ci è dato in quel posto, in quella

maniera, in quel tempo. Significa violentare la conoscenza, significa

volerla dissipare, data l'impossibilità di condividerla con la forza. Ma si

raggiunge l'effetto contrario. Si rafforza l'evidenza della separazione, si

amplifica la potenza del messaggio.

L'errore fu tutto mio. Distratto dalle apparenze, gettai quella lattina nel

fuoco del grande camino dimenticandomi della sua funzione di feticcio,

per ricordarmene con un certo terrore qualche ora dopo, quando gli

eventi mi erano già sfuggiti di mano. Avevo inconsciamente riesumato

un rito oscuro: avevo bruciato l'immagine di una strega! Quanti errori si

compiono quando ci si distacca dalla sacralità delle azioni quotidiane,

quando, presi dall'impulso di travolgere la lepre che ci corre davanti, ci

lasciamo andare ad esso, senza domandarsi il perché. Sono spesso le

azioni più insignificanti, quelle più pericolose.

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Di fronte ad un atto importante, la coscienza risponde alle domande,

siamo protetti, sia che essa decida poi di tradurle al pensiero, sia che

essa le lasci riposare nel cuore. Ma un semplice gesto automatico

motivato da ipotesi di ordine spaziale può provocare danni irreparabili.

Quella notte stessa fummo svegliati da pressanti invocazioni d’aiuto.

All'inizio, pensai fosse lo strascico di qualche bagarre festaiola, e mi

girai dall'altra parte.

Fu Mattew che riuscii a buttarmi giù dalla branda urlando che c'era

qualcuno che voleva ammazzare Karl. Erano le cinque del mattino. Mi

infilai precipitosamente i jeans e il maglione rosso. Scesi le scale e

compresi che Stone, l'irlandese, personaggio temuto e malinteso,

inseguiva il nostro amico fin nella sua casa a ragione di una donna: la

solita Jolanda. Eccola che portava tra noi la sua vendetta per il mio

gesto sconsiderato. La trattai male, era in uno stato d’eccitazione

pericoloso. Mattew, contagiato dal panico, reagiva agli urli dei

contendenti cercando di starmi il più vicino possibile. Fui costretto a

spingerlo decisamente da parte, ordinandogli di non entrare nel mio

raggio d'azione. La cosa funzionò, Mattew riprese un certo controllo. Poi

feci il giro della casa, spalancando tutte le porte comprese le tre che si

aprivano sull'esterno, dove erano impegnati i duellanti. La situazione

non mi appariva etologicamente drammatica, nonostante la tensione

palpabile. Non c'era violenza plateale, c'erano aggressioni verbali e gesti

reciproci di minaccia. Karl era deciso a cacciare dal suo territorio

l'antagonista, il quale era invece doppiamente deciso a non farsi

cacciare. L'epilogo dello scontro avvenne quando il mio amico tradusse

fisicamente il suo rifiuto, spostando via l'irlandese con poderose spinte

accompagnate da urli esasperati.

La tattica funzionò per qualche metro, ma fu vanificata dal calo

improvviso della furia che Karl, impaurito forse dalle conseguenze,

aveva smesso d'imprimere ai suoi spintoni. Ci fu il contrattacco, basato

più sulla minaccia che sull'azione.

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L'irlandese ricacciò Karl all'interno di casa e si fissò sull’uscio, con aria

omicida. Lidia, fino a quel punto quasi invisibile, si interpose tra i due.

Fu allora che Karl comprese che non c'erano in lotta solo due volontà

individuali, ma qualcosa di più. La sua voce era distesa quando invitò

all'interno il suo antagonista, a bere un goccio. Nel frattempo, io avevo

provveduto a mascherare di disgusto il vino domestico, in modo che non

potesse esser bevuto, e preparare una fumante tazza di caffè, simbolo

di lucidità, che schiaffai davanti al naso dell'aggressore, piazzatosi a

capo tavola con aria estremamente incerta ed impaurita, anche se

nascosta di baldanza guerriera. All'interno della casa che aveva

conquistato, egli si vedeva circondato da forze tranquille ma decise che

chiedevano silenziosamente una spiegazione a quella esplosione di

furia cieca, senza che nessuno, tantomeno lui, potesse fornirla. Il

"nemico" era a quel punto depotenziato. Non gli restava altro da fare

che partire, e così egli fece, scaricando la sua frustrazione sulle cose:

con un coltello affilato, squarciò due pneumatici della macchina di Karl,

poi, richiamato il suo cane che saltellava felice per il giardino in

compagnia di Argo, nostro compagno quadrupede, sparì nella bruma

dell'oscura alba che si preparava. Una calma irreale era scesa sul luogo.

Il timore di nuovi attacchi non riusciva a vincere una certa euforia,

anche se la disapprovazione aleggiava tra coloro che così bruscamente

erano stati buttati giù dal letto. Si attendevano spiegazioni. E si ebbero.

Karl ci raccontò, pressato da precisissime domande, come si fossero

svolti i fatti, dall'inizio alla fine. Nel suo girovagare notturno, era

piombato di nuovo su Jolanda, apparentemente ansiosa di gestire al

massimo la sua evidente conquista. Il piacere di trovarsi non poteva

essere celato, ma invece che consumare la raggiunta intimità i due

decidevano di conclamare la loro attrazione visitando i luoghi

d'incontro rituali. Fu in uno di questi luoghi che si imbatterono

nell'irlandese.

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Jolanda si palesò con lui, lo mise a parte dei suoi intenti eccitati, lo

intrattenne fisicamente, strusciandogli contro il proprio desiderio,

battendogli i pugni chiusi sul cuore, invocazione o richiamo per

qualcosa che si sarebbe poi inevitabilmente verificato. La collera

esplose con motivazioni razionalmente puntellate. Non potendo sfogare

la sua collera sulla donna, l'irlandese se la rifece sul suo

accompagnatore, inseguendolo, strattonandolo, umiliandolo. La

macchina era lo strumento che consentiva ai due di involarsi? Egli

strappò le chiavi dal cruscotto e le gettò nel buio. Ma c'era un duplicato

e le ruote potevano ancora girare. E man mano che l'intento dei due

amanti si rafforzava, cresceva la furia dell'escluso, fino al punto di

suggerirgli di occupare la casa stessa ove erano diretti, per impedirne

la frequentazione pacifica. Il seguito lo conoscevamo bene. "Pazzo,

pazzo furioso e pericoloso, bisogna interdirlo", i due amanti

improvvisati erano d'accordo; noialtri testimoni, non del tutto.

Confinare la portata degli eventi nelle mura di paglia di un colpo di

follia ci era insufficiente. Nessun danno corporale era stato inflitto, se si

eccettua qualche lieve escoriazione, e l'irlandese, data la sua stazza,

avrebbe potuto facilmente massacrare i due. Quando 1a follia è il solo

movente, di solito ci scappa il morto o quasi. No, c'era qualcos'altro, c'era

una spiegazione che non si poteva limitare all'apparenza. Decisi allora

di scoprire quale effettivamente fosse. Mi accorsi del feticcio che

ancora si mischiava alle braci del fuoco. Esso non era mutato, se non

per un deposito di fuliggine sul rosso della lattina. Mi affrettai a

prelevarlo, con le pinze di ferro, e lo rimisi al suo posto originario, fuori

dalle grate della finestra della sala, sperando che così quello spirito

smorzasse infine la sua collera…

Ritornai con la mente allo ieri.

L’appuntamento era al ponte del diavolo. Lì si sarebbe svolto il sabba,

ma quale? Quello di regime, con le simpatiche finte streghe vestite a

festa che applaudivano il rogo della loro immagine?

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In vista, legato al tema stregonesco della serata, non sembrava esserci

altro. Ma l'aria era densa di premonizioni. Continuava, malgrado tutto, il

diffuso tran tran notturno, esploratori del buio pieno di vita meno

metallica. Una festa, poi un appuntamento obbligato, ma non previsto, la

frittata era fatta: eravamo capitati su Jolanda, prima festeggiata in

persona. Vai, la volevi? Simpatica, sensuale, strusciante come una

gatta, fisic du ròle. Affilata, nera, occhi da civetta, naso adunco, unghie

estroflesse e dipinte a pois rosarossi. Prima tappa: un capanno, officina

musicale dall'aria sfigato-malfamata. Il boss, sorta di mujaidin

fiancheggiatore, per ragioni di marketing tendeva a confermare l'aura

malfamata ed ammortizzare quella sfigata, ma non ci riusciva molto.

Salami, simulacri di potere, nullità contingenti, musicaccia, birraccia,

palle grosse come meloni. Cercavamo altre streghe del calibro della

nostra accompagnatrice, ed in quel posto non le potevamo certo

trovare.

Ripartimmo, con gli occhi luccicanti di Jolanda, la nostra super-strega,

che guizzavano felici alla proposta di arrivare in altro luogo di danze e

sguardi indagatori. Trovammo l'altra iniziata, come previsto, mia

incongrua preda precedente, di certo anche quella sera cacciatrice

occasionale: trance evidente, percezione a centomila, breve sua

sessione con la nostra regina, dialogo fitto fitto, mistero assoluto sul

contenuto della comunicazione, scarpe?

Poi, sfarfallando, la mia muova amica decide di vagare da sola, sparisce,

la inseguo, la fermo, mi sfugge. È attesa. Che devo fare? Stanotte, io

sono un semplice spettatore. Peccato! Si rientra. Ma prima devo

recuperare qualcosa nell'ambiente fumoso del pub. Casco proprio su

Sonia, briaca tegola, che ruota attorno a Manfred, nascosto sotto le

sembianze di un vecchio orso anche lui briaco. La musica è tardo-

liberty; un cesso. Mi piglia il furore: acchiappo la sciarpa nera che mi

sventola sul naso e gli do uno strattone deciso. Ho la faccia di Sonia a

due centimetri dalla mia.

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I suoi occhi mi fulminano roteanti mentre gli dico di smettere di ballare

questa musicaccia insulsa. Mi morde il naso. Gli faccio i miei

complimenti: è la prima volta che qualcuno osa mordermi il naso. Fuori,

al posteggio; bacini a Jolanda ed alla sua segretaria. Ci si rivede. Quella

si è innamorata del mio amico. Mah, in fondo, cazzi suoi.

C'è tempo per una breve leticata, poi a letto. Sono le cinque del giorno

dopo. Halloween è alle nostre spalle e già ci lascia indifferenti.

*

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Doppio EsilioDoppio EsilioDoppio EsilioDoppio Esilio

La fase buddista aveva caratterizzato tutto il quindicennio precedente

grazie ad una vastissima schiera d’intellettuali apolidi, molti dotati di

cospicue ricchezze familiari, che ne avevano abbracciato i principi

morali dirottandoli poi in pratiche sia monastiche che magico-spirituali,

per poi essere risucchiati nel mero business dell’agriturismo e

frantumarsi in nuclei più o meno familiari, dopo una grande stagione di

vita comunitaria in mezzo a panorami mirabolanti…

Un posto strano questo paese arroccato in cima ad un alpe atipica

dell’Italia centrale, al sommo di un bastione che montava a nord con

una pendenza vertiginosa e degradava a sud in morbidissime discese

circondate da boschi e pascoli con vista sulle valli limitrofe fino ad una

stretta via di cartiere, che infine sboccava sulla pianura fluviale

dell’Arno.

In fondo al precipizio settentrionale si trova un centro termale di una

certa importanza passata, frequentato ancora alla fine degli anni

novanta da parenti di attori holliwodiani in fase post-buddista dotati di

ville in loco.

Non era strano, questo posto, solo per la sua collocazione geografica.

Anche all’interno delle sue vie (che vie non erano se si eccettua una

rampa sterrata d’accesso a una piazzetta stretta e lunga e pure bassa

dalla quale si diramavano poche traverse dispari che brevemente

sfociavano in campetti o dirupi), si respirava aria greve…

Molte case, simili, larghe e quadrate, esponevano sulla facciata antichi

contrassegni ecclesiali incisi in pietra serena o in stipiti di marmo.

L’agglomerato di case, inframmezzato da pini enormi e abeti altissimi e

magri che proseguivano verso l’alto della rupe, non era giunto al

culmine del monte. Ancora qualche centinaio di metri di ripida salita

selvatica portava in cima, dove in mezzo ad una spianata rettangolare

di un centinaio di metri quadri si adagiava la pieve antica,

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un capannone lungo e stretto di pietre e lastre lavagnine per tetto,

completamente spoglio, con innumerevoli targhette di via crucis

cementate lungo tutto il perimetro interno.

Ci misi qualche visita a capire che cosa esattamente fosse quella pieve.

Mi arrampicavo lassù ogni tanto partendo dalla casa che avevo affittato

in loco dopo esser sfuggito al paese delle meraviglie; una strana

abitazione con innumerevoli stanze e angusti locali su due piani con le

insegne di antichi arcivescovi piantate all’ingresso.

Nel grande salone con camino del primo piano avevo montato lo studio

dal quale seguivo le vicende mondane. Era la prima casa “mia” che

avevo dopo molti anni passati in giro e l’ultimo speso in Italia in varie

case di amici e amiche, sia all’interno che nei dintorni di xxxx, che

considero una delle città più magiche del mondo. Gli eccessi perpetrati

a livello di relazioni sociali in quella piccola metropoli mi avevano

convinto a ritirarmi in un posto più tranquillo dal quale però

continuare a mantenere l’attenzione su quella zona molto elettrica.

Lassù, da solo, avevo un po’ di timore. Le notti invernali erano sinistre,

come sinistra era la casa stessa, le amiche che invitavo con la speranza

che mi tenessero compagnia notturna fuggivano terrorizzate lontano

dalle smorte pareti dell’abitazione e dalle innumerevoli porte

scricchiolanti e mi toccavano due ore di macchina per accompagnarle a

casa in città e rientrare nottetempo nella casa sulla vetta, dove

controllavo allarmato gli usci oscuri.

Decisi di fuggire anche da lì dopo qualche mese a causa di un episodio

atmosferico che non potrò mai dimenticare: una tromba d’aria di

potenza ciclonica che investì il paese con epicentro la casa dove

abitavo. Di colpo mi resi conto che quel posto non era compatibile con la

mia energia, anzi gli era addirittura molto antagonista e in quattro e

quattr’otto mi trasferii a un paio di centinaia di chilometri a sud...

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Qualche tempo prima, durante quella che fu la mia ultima passeggiata

alla pieve sulla vetta, ero venuto a conoscenza della natura di quella

costruzione bizzarra: esaminando meglio le targhette a via crucis

cementate nei suoi muri scoprivo nomi di famiglie, sterminate da una

peste tardo medievale. Era il cimitero degli appestati della zona, che

dovevano essere stati tanti; quella peste aveva condannato il paese alla

desertificazione già qualche centinaio di anni addietro. Rabbrividendo

scendevo da quel monte e rimuovevo le memorie del percorso per

arrivare alla sua cima così piena di umori ancestrali di morte penosa.

Ma che avevo fatto per essere stato confinato in un posto simile?

Bisogna sempre interrogarsi sulle proprie responsabilità energetiche

quando si affronta consapevolmente la sfera sociale. Le cose non

accadono mai per caso. Ero capitato lì a causa di precisi accadimenti

che riguardavano l’intervento diretto e volontario della mia energia per

mutare complicatissime impasse spirituali altrui. A quel tempo mi

sentivo guidato in percorsi fatalistici che mi facevano sentire

strumento di alte trascendenti potenze alle quali non poter opporre,

piuttosto non voler opporre, resistenza, e ciò mi appariva ampiamente

dimostrato dalla ricezione di tutta una serie di impulsi energetici capaci

di mutare con facilità la realtà di piccole e grandi cose attraverso un

semplice desiderio. Una potenza che inquietava gli altri e proponeva la

semina di conoscenze spirituali pericolose perché utili ad altro

massacro nel nome di dio. Non è facile spiegare quel che realmente

accadeva intorno a me: era come se le interazioni si svolgessero senza

la mediazione dell’intelletto, basate solo su flussi e scambi di energia

invisibile ma avvertibile come massa in quanto colpiva e attivava sensi

biologici non consueti e dunque mutava equilibri. Un po’ come

l’attrazione sessuale, sensazione estesa in questo caso a tutta una serie

di altri stimoli non corporali ma piuttosto cellulari, innescanti le

potenzialità reali del nostro essere e permettenti le applicazioni

pratiche di queste funzionalità, desuete solo da poche centinaia di anni

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e solamente perché represse nel più torrido spargimento di sangue

innocente.

Del resto, quella particolare zona dell’Italia centrale è ancor oggi nota

per la presenza di fenomeni paranormali fin dalla notte dei tempi.

La festa di Halloween più interessante e reale del mondo si svolge tutti

gli anni proprio intorno ad un ponte famoso di quei paraggi: il ponte del

diavolo. Partecipandovi potrete incontrare soggetti umani di cui vi sarà

davvero difficile individuare la vera natura: angeli? Demoni?

Extraterrestri? Tutto è possibile al Ponte del Diavolo…

Era proprio l’indeterminatezza della vera natura di tutti i soggetti

umani impegnati nell’interazione che dava a quella città nei cui

dintorni si collocavano i luoghi e i paesi magici di questa storia il senso

di straordinario che gli attribuisco. Per tutto il periodo che ho trascorso

da quelle parti mi accompagnava la sensazione di trovarmi al posto

giusto nel momento giusto, abbinata alla percezione acuta di ritrovarmi

soggetto importante di un conflitto sostanziale cruento quanto

totalmente occulto: la lotta infinita tra Bene e Male.

Ero un guerriero dello spirito dichiarato ed operante. Il mio IO non

aveva più spazio di manovra.

Obbedivo alle potenze reali del mondo, che mi indirizzavano

quotidianamente verso questo o quel comportamento, verso questa o

quella azione. Meravigliosamente esaltante per la connessione

energetica globale che ne derivava, ma anche terrifico per chiunque lo

vivesse.

La mia fortuna era la serie di iniziazioni spirituali alle quali avevo

partecipato in passato: una full-immersion nell’universo della

simbologia tibetana e una serie successiva d’incontri ravvicinati del

terzo tipo, non certo interspaziali ma ben terrestri nel senso più vero

del termine.

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Nella nostra sfera vivente coabitano ancora varie specie energetiche

differenti, che ogni tanto si manifestano a soggetti umani specifici,

promossi dopo esami accurati, facendoli comunque sempre impaurire

assai.

Ma io cosa ero tenuto a difendere, il Bene o il Male?

Una domanda che proprio a seguito dello spaventoso tornado che si era

abbattuto sulla mia casa era ritornata attuale.

All’inizio stesso della perturbazione capii che non si trattava di un

semplice temporale estivo. La violenza degli scrosci sui vetri e delle

ventate non lo faceva passare come un evento moderato. Mi stesi sul

letto nella spoglia stanza del secondo piano nella quale riposavo la

notte, direttamente sotto l’alto tetto privo di solaio della casa. Alle

quattro del pomeriggio la violenza del temporale era diventata

parossistica: gli ululati del vento che si precipitava contro il villaggio

insinuandosi nelle fessure delle case impediva l’ascolto della propria

stessa voce. I vetri delle finestre si tendevano e vibravano

pericolosamente in continuazione. Ad un certo punto le due finestre

della camera dove mi trovavo cedettero e si spalancarono

violentemente, mentre un boato sordo squassava la casa, come se un

pugno di immaginabile violenza si fosse abbattuto su di essa; il muro

portante centrale, opposto alle finestre, si crepò all’altezza del tetto

verso il basso, spostando una sezione di muro larga circa un metro di

almeno 2 centimetri dalla sua posizione originaria. Restai attonito

mentre il ciclone si smorzava sembrando soddisfatto di quell’ultimo

colpo finale.

Lasciai la casa e mi aggirai per il paese, dal quale emergevano poche

persone dall’aria allibita.

La mia macchina, una station wagon tedesca denominata “l’aereo” per

il rumore di ferraglia che faceva, era al suo posto nel parcheggio a

qualche centinaio di metri dalla casa, esattamente tra due pini enormi e

centenari,

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alti almeno una ventina di metri, abbattutisi uno davanti ed uno dietro

alla vettura, senza minimamente averla interessata al loro crollo. Il

giornale quotidiano locale riportava il giorno dopo la notizia del tornado

che aveva colpito la zona e la foto che descriveva l’evento ritraeva

proprio la mia macchina in mezzo ai pini abbattuti…

Tre quindi i fatti che potevo interpretare mi riguardassero

direttamente. Il pugno divino che mi aveva portato fuori assetto una

parte del tetto della casa e i pini che erano crollati attorno all’”aereo”, a

bloccare la sua possibilità di movimento, ma senza provocare il minimo

danno, e la foto sul giornale del giorno dopo.

Oltre all’ “aereo”, anch’io ero incolume perché la casa non mi era

crollata addosso, come gli alberi avevano risparmiato il mezzo; un

avvertimento dunque, a me e al mondo attraverso la foto sul giornale.

Qualcuno certamente era stato informato della cosa a mezzo stampa, e

sapeva che per qualche giorno sarei stato molto scosso e spaventato, e

bloccato nei movimenti di media e lunga percorrenza. Ma chi? E perché

era importante che lo si sapesse? Posso solo fare congetture su questi

due ultimi punti…

La Festa nella Casa del gran maestro locale si sarebbe svolta proprio la

sera del tornado. Proprio della festa non aveva i connotati, piuttosto di

una riunione ai massimi livelli delle energie che avevano partecipato

agli ultimi avvenimenti della componente magica di quella regione

sociale. Maghi, maestri spirituali, fate e streghe, angioletti e diavoletti,

spiritelli e folletti, tutto confuso in un incontro-scontro tra forze

diverse, benefiche e non; incerto era il ruolo di ognuno. Nessuno sapeva

per che cosa combattesse e addirittura nessuno portava a coscienza

quello che realmente stava facendo la sua forma energetica nascosta

dalle sembianza di tutti i giorni.

Mai l’inconsapevolezza è più pericolosa che non in questo tipo di

riunioni. C’è da restarci secchi facilmente.

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Io comunque non ero stato invitato a causa del giudizio negativo sulle

mie azioni decretato dall’ospite della serata. Probabilmente sarei andato

comunque, considerandomi in toto parte in causa in tutte le ultime

vicende ed in rapporto diretto o indiretto con tutti gli altri invitati,

nessuno escluso. A seguito di quel che mi impedii di andare posso solo

pensare che se fossi stato lì non ne sarei uscito vivo, e purtroppo seppi

che qualcuno ci rimise la pelle. Il giornale dell’indomani riportò la

notizia di un grave incidente stradale che coinvolse due giovani che

avevano partecipato alla festa mentre a notte fonda rientravano in

città: morti entrambi in un precipizio. Agghiacciante.

Cosa accadde in quella festa nessuno ebbe l’opportunità di saperlo con

esattezza. Cosa venne messo in atto e come per cambiare quale realtà

non si potrà mai sapere con certezza. Un velo di ombra è calato su ogni

cosa dopo quella giornata furiosa e quella notte esasperata. Ma con

buona convinzione si può dire che l’impatto è stato travolgente per tutti

i coinvolti. Forse tra qualche secolo si potrà capire ogni cosa; allo stato

si poteva solo accettare il cambio di energia provocato nelle vite di

ognuno, e muoversi alla svelta per seguirne il corso migliore. Cercai

disperatamente un appiglio sacro e mi affidai infine ad una ninfa delle

acque dall’aspetto sexi che mi traghettò nottetempo in un vecchio e

abbandonato monastero fortificato della campagna fiorentina, dove

restai a riflettere sulla vicenda per quattro lunghi anni.

*

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homage à Niky de Saint Phalle

Roberto Caradonna

L.Y. “Totem”

Kandinsky

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