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RACCONTO ITALIANO

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Sommario

Il materiale didattico pag. 5

Il metodo e il progetto pag. 6

Il laboratorio di filosofia con i bambini pag. 7

Trama pag. 9

Domande prevalenti pag. 10 Struttura del Racconto I - I DUE FRATELLI E LA NONNA pag. 13

II - IL CAPANNO pag. 15

III - SEPARAZIONE: UN FRATELLO PARTE E L’ALTRO RESTA pag. 17

IV - INCONTRO SCONTRO DEI FRATELLI pag. 19

V - IL TERZO INCOMODO pag. 21

VI - IL VILLAGGIO E L’ACCORDO pag. 23

VII - IL RACCONTO pag. 25

VIII - IL FINALE APERTO pag. 31

La cassetta dei racconti pag. 33

Pensieri d’Italia pag. 34

Appendice di racconti per approfondire pag. 35 Un racconto mediorientale: due fratelli La zuppa di sassi Il cuore canarino Come nasce la bandiera tricolore Un racconto-dilemma africano: I loro occhi uscirono dall’orbita Dizionario pag. 41 Riferimenti Bibliografici pag. 43

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Il materiale didattico.

Il materiale qui riprodotto ripercorre la scia di domande, definizioni, favole e

immagini su cui abbiamo costruito il canovaccio del nostro intervento nelle scuole

e nelle biblioteche intitolato “Racconti Consentiti”. Il “comune ascolto” delle storie

- individuali e familiari - e il “consenso”, riconosciuto ad ognuna di queste storie, a

far parte di un grande racconto comunitario sono stati infatti alla base di ogni

incontro con i ragazzi.

Abbiamo suddiviso il racconto, come nei laboratori, in una struttura di otto

interventi o episodi, e per ciascuno di essi abbiamo selezionato una grande

domanda, qualche gioco sul tema e alcuni racconti dei bambini incontrati nelle

scuole. In appendice al dossier abbiamo riportato dei racconti e un breve

dizionario, utili per approfondire alcuni argomenti.

La bibliografia cerca di ovviare alla parzialità delle selezioni fatte per questo

dossier e vuole facilitare il riconoscimento dei testi che abbiamo tenuto per

riferimento. Molto di quello che non è stato qui riportato, si può trovare sul sito:

www.favolefilosofiche.com

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Il Metodo e il Progetto Unione, Identità e Condivisione è il quarto tema affrontato dal “PROGETTO

FAVOLE FILOSOFICHE” di Pasquale Buonarota e Alessandro Pisci, una

formula dove il teatro è uno strumento per ragionare con i ragazzi, e la filosofia

un metodo perché la riflessione resti aperta al contributo di tutti.

Racconto Italiano è quindi una nuova storia composta di racconti, canzoni,

giochi teatrali, favole, miti, interpretati dagli attori che “costruiscono” con i

bambini e i ragazzi ragionamenti, idee, immagini e pensieri per capire insieme le

forme e la forza dell’unità, i linguaggi, le regole, il consenso e il sentire comune.

Racconto Italiano vuole essere un’occasione per pensare, insieme ai ragazzi e

con l’aiuto del teatro, alle ragioni di unità nel nostro quotidiano a un anno dalle

celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

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Un laboratorio di “filosofia con i bambini” Cos’e la filosofia? La prima domanda con cui giochiamo nei laboratori a cercare delle risposte è

questa: cos’è la Filosofia? Gli adulti pensano di saperlo così bene che, a forza di

non domandarselo, spesso non sanno più rispondere. I bambini invece, con la

loro immaginazione, hanno dato risposte sorprendenti come queste:

• Sono delle ipotesi

• Sono storie un po’ antiche

• Sono racconti fantastici

• È qualcosa che riguarda l’occhio

• La descrizione del mondo

• È un filo cristallino

• Quando uno è preciso, fa della filosofia

• È una roccia con dei segni

• È una cosa che si può fare insieme

• Riguarda l’amicizia

Erano felici di scoprire che nessuno di loro aveva sbagliato: perché in origine la

parola significa amore per il sapere, e ognuna di queste immagini evoca un

modo di avvicinarsi al sapere.

Le Grandi Domande L’altro modo di avvicinarsi al sapere è

quello di divertirsi a domandare.

Interrogare i racconti, se stessi, gli

amici, gli adulti. Scoprire il gusto per la

domanda prima ancora che per la

risposta. Per questo, prima di iniziare il

laboratorio vero e proprio, chiediamo ai

ragazzi di pensare liberamente a grandi

domande cui trovare una risposta:

• Perché si diventa vecchi e si muore?

• Perché ci si stufa della vita?

• Perché ci sono le leggi, e perché

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bisogna seguirle?

• Perché esiste il male?

• Perché noi esistiamo?

• Perché io mi chiamo Marta?

• Ma perché proprio io sono arrivato dai miei genitori?

• Perché invece che camminare non possiamo volare?

• Come iniziano le cose?

• Perché cresciamo?

• Dopo lo spazio cosa c’è?

Senza saperlo, i ragazzi disegnano così in pochi minuti gli orizzonti del nostro

progetto. Solo ora, in coda ai loro interrogativi, ci piace introdurre le domande

della nostra favolosofia:

Che cos’è il gruppo?

Chi è l’estraneo?

Cosa unisce e cosa divide una comunità?

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Racconto Italiano: trama. Due fratelli vivono nella casa di campagna della nonna, lontani dall’unico

villaggio di una piccola isola. Imparano presto ad essere autonomi in tutto e a

non sentire bisogno dell’aiuto e della compagnia di nessuno, anche dopo la

scomparsa della nonna. Il loro legame è molto forte, ma un giorno il fratello

lascia il suo capanno per andare incontro a degli uomini venuti dal mare. La

sorella lo guarda dalla finestra: i due si fanno dei gesti ma non si capiscono: il

fratello parte sulla nave e la sorella rimane sola nella casa. S’incontrano dopo

dieci anni, e pur essendo impazienti di ritrovarsi finiscono subito per litigare e

per rimproverarsi a vicenda fraintendimenti e cambiamenti. Quello più

insopportabile per il fratello è l’amicizia della sorella con un fabbro che in sua

assenza le ha tenuto compagnia, aiutandola nei lavori per la casa e

facendole conoscere il villaggio. Da allora la sorella è diventata importante

per tutti e tutto il villaggio lo è per lei. Ma anche il fabbro non vede di buon

occhio il ritorno improvviso del fratello che se ne è andato dieci anni fa con gli

uomini del mare.

La sorella è presa tra due fuochi – il fratello e l’amico - perché entrambi

pretendono affetto e riconoscenza, e quindi fedeltà alla causa. Sacrificare

l’affetto per il fratello alle ragioni del villaggio o i forti legami stretti in questi

anni con la comunità per l’affetto verso il fratello?

Ogni protagonista racconta la sua differente versione della storia, disposti

anche a farsi la guerra per far prevalere le proprie ragioni.

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Domande prevalenti.

Che cos’è un gruppo?

Gli spazi sono importanti per fare gruppo?

È possibile restare uniti e distanti?

È possibile litigare e restare uniti?

Chi e perché è estraneo al tuo gruppo?

Servono delle regole fare gruppo?

Il gruppo ha bisogno di linguaggi condivisi?

Che cos’ha in comune una comunità?

Conosci i racconti della tua comunità?

Cosa difendere e cosa cambiare della tua comunità?

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Struttura del Racconto

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I

I DUE FRATELLI E LA NONNA

Un fratello e una sorella si sono separati e stanno per ritrovarsi dopo dieci anni.

Sono cresciuti in una cascina con la nonna severa che li ha educati a vivere in

totale autonomia dal vicino villaggio, anche dopo la sua morte. Facevano tutto

insieme: dormivano, si svegliavano, lavoravano la terra, accudivano le galline,

cucinavano, mangiavano, giocavano… insieme. Non hanno mai avuto bisogno

di nessuno finché sono rimasti uniti.

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CHE COS’È UN GRUPPO? Passiamo molto tempo delle nostre giornate in gruppo, spesso anche in gruppi diversi, ma raramente ci chiediamo cosa sia un gruppo. Per esempio: basta essere in due per formare un gruppo? Quali gruppi conosciamo? Se poi pensiamo alla nostra personale esperienza, scopriamo che non è sempre facile stare in gruppo: quando è bello stare in gruppo e quando è difficile? Cosa unisce ciascuno dei gruppi che conosci? In quali è più facile restare uniti? Gioco: Gruppo di Gruppi Provate a comporre un elenco di tutti i gruppi che conoscete e poi fate una classifica di quali, secondo voi, sono i più uniti. Alcune risposte dei bambini. I GRUPPI UMANI CHE CONOSCO: - La famiglia. - Gli amici, la squadra sportiva, la danza.. - La classe, la scuola., il quartiere - La mafia, i ladri… GRUPPI NEI QUALI È PIÚ, O MENO, FACILE RESTARE UNITI - La famiglia è un bel gruppo perché ti puoi nascondere dentro, e perché ci si vuole bene tutti. - Non sempre è facile stare insieme in famiglia: a volte mamma e papà, o i fratelli si lasciano. E’ difficile condividere le cose con gli altri. - Stare con gli amici è facile quando giochi e ti fidi di loro. Ti tengono compagnia…. - Però è difficile quando non ti vogliono più. Può accadere che in alcuni gruppi si rompa la fiducia e si litighi. Alle volte le persone si offendono e poi si lasciano. Gioco: l’orchestra Il tuo gruppo è compatto come un’orchestra? Prova con tuoi amici a vedere se siete capaci di battere le mani una volta sola tutti quanti insieme, nello stesso istante. Se non siete soddisfatti del risultato, provate a seguire la direzione di uno di voi come fosse un vero direttore d’orchestra: troverà una regola per aiutare il gruppo? A proposito: c’è una canzone che conosce tutto il gruppo? Riuscite a cantarla insieme?

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II

IL CAPANNO

Quando non lavoravano, i due fratelli giocavano e si raccontavano storie: al

fiume o nel capanno degli attrezzi. Lì il fratello maggiore teneva il suo

quaderno, dove disegnava storie inventate che poi raccontava alla sorella

finché questa si addormentava. Era bravo a raccontare ma non riusciva a farlo

senza fare almeno un disegno, e nel disegno la sorella voleva sempre figurare.

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DOVE È BELLO INCONTRARE GLI AMICI? Lo spazio è importante sia per stare da soli sia per stare insieme agli altri. Quante volte ci hanno detto che certi giochi non si fanno per strada o ci chiediamo con gli amici dove incontrarci, o dove andare insieme a mangiare o giocare. Dunque abbiamo bisogno di uno spazio adatto per stare con gli altri? Perché? Gioco: Ci vediamo lì… Prova a elencare, e magari a disegnare, i luoghi e gli spazi dove incontri gli amici. Indica quali gruppi si formano nei diversi spazi: famiglia, amici, squadra, danza... Confronta con i tuoi compagni i diversi spazi che avete elencato e provate insieme a decidere quali sono i più importanti per tutti.

Alcune risposte dei bambini. IN QUALI LUOGHI CI PUÓ INCONTRARE PER STARE IN GRUPPO? - In piazza... Al parco... All’oratorio... In cortile... In biblioteca…Al centro commerciale... Costruttori di Piazze! Trasformiamo la nostra stanza o la classe in un nuovo spazio, dove poter giocare e stare insieme. Gioco: Uno contro Tutti, Tutti contro Uno (lo sparviero) Una volta liberato lo spazio da ingombri vari, la prima cosa da fare sarà scegliere a chi toccherà il ruolo dell’Uno. Questo si porrà vicino a una parete della stanza, mentre i Tutti si metteranno vicino alla parete opposta. Al via, il gruppo dei Tutti dovrà correre fino a raggiungere l’altra parete, senza farsi toccare dall’Uno. Chi verrà toccato si aggiungerà all’Uno formando così un nuovo gruppo che, con il passare delle manches, diventerà sempre più numeroso. Di conseguenza, sarà sempre più difficile per i Tutti, che man mano si trasformeranno in Pochi, affrontare le successive traversate. Vince chi resterà per ultimo. Questo gioco ci permette di riflettere su come ci si sente quando si è soli contro tutti e quando, al contrario, si è in tanti contro uno.

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III

SEPARAZIONE: UN FRATELLO PARTE E L’ALTRO RESTA

Un giorno però il fratello lasciò il capanno per andare incontro a degli uomini

venuti dal mare. La sorella lo guardava dalla finestra: i due si fecero dei gesti

ma non si capirono. Così il fratello partì sulla nave e la sorella rimase sola nella

casa.

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È POSSIBILE RESTARE UNITI E LONTANI? Viaggiare piace a tutti ma separarsi dalle persone e dai luoghi a noi cari è invece spesso doloroso e difficile. Ma è difficile per tutti, per chi parte e per chi resta. Ricordi un viaggio dove sia stato difficile partire? Ti senti ancora legato a persone o luoghi oggi lontani? Gioco: Il Ritorno Immaginate che la stanza che avete in precedenza liberato, sia la piazza del vostro villaggio. Immaginate che un vostro concittadino sia dovuto partire per un lungo viaggio, fatelo uscire dalla stanza e bendatelo. A questo punto mettete nella stanza degli ingombri che ostacolino la traversata della piazza. Ora si farà ritornare il viaggiatore bendato e i suoi concittadini dovranno guidarlo nel ripercorrere la strada del ritorno senza farlo inciampare negli ostacoli. Al terzo incidente il concittadino verrà eliminato e non potrà più tornare al suo villaggio. Gioco: Arrivi e Partenze Racconta un viaggio, un arrivo o una partenza, che ti hanno fatto sentire importante un luogo o una persona distanti.

La storia di un bambino: Il viaggio di Leo Quando io ero piccolo e avevo due anni, abitavamo in Perù, mia mamma è dovuta venire in Italia perché in Perù non c’era lavoro. Sono stato molto triste, sono rimasto con mio padre e i miei nonni. Dopo quattro anni e mezzo, cioè nel 2006 a giugno, sono partito, ero molto contento perché venivo in Italia. Sono venuto con l’aereo. Mio padre era triste perché viaggiavo da solo e lui era preoccupato, mi ha affidato al personale dell’aereo. Sono arrivato all’aeroporto di Milano. Quando ho visto mia madre non l’ho riconosciuta, aveva i capelli tinti di un altro colore, stringeva un pupazzo di Stich. Per fortuna con lei c’era mia zia che conoscevo e che mi ha detto: “Lei è tua mamma.” Poi mi è piaciuta. Quando ho visto Milano e Torino mi piacevano tantissimo ma mi mancava mio padre. Devo dire che una cosa che mi ha fatto soffrire un po’ è stato il clima di Torino così diverso da quello a cui ero abituato! Dopo due mesi è arrivato anche lui, le mie zie con mia mamma sono andati a prenderlo a Milano, mia madre non l’ha riconosciuto perché era un po’ grassottello, ma quando si sono visti si sono dati un bacio grande e anche un abbraccio e così si riunì la famiglia. Il 27 settembre del 2008 si sono sposati nella chiesa di Santa Giulia. Mamma mia! C’è stata una festa dalle 3 del pomeriggio fino alle 6 di mattina, non ci credevo, quello che conta è che si sono divertiti. Che festa! [Nota: Huancayo é la città da cui provengono Leonardo e i suoi genitori. La città si trova a 3260 m di altitudine. Ci hanno spiegato che l’acqua lì fa molta fatica a bollire e ci vuole tempo per farla scaldare, la città è molto bella e si trova su un altopiano tra le montagne. C’è un grande mercato. Purtroppo non c’è lavoro, così i genitori di Leonardo sono dovuti emigrare in Italia.]

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IV

INCONTRO SCONTRO DEI FRATELLI

Ora finalmente i due fratelli si incontrano dopo dieci anni, ma pur essendo

impazienti di ritrovarsi finiscono subito per litigare. Uno rimprovera all’altro di

non aver capito i gesti che si erano fatti al momento della separazione e il

fratello non riesce proprio ad accettare che in questi dieci anni ci siano stati dei

cambiamenti sia nel capanno sia nella vita della sorella.

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È POSSIBILE LITIGARE E RESTARE UNITI? Litigare non piace a nessuno perché significa che non ci si comprende, ma succede proprio a tutti, tra fratelli come tra amici, a casa come a scuola o nel quartiere. Quali linguaggi conosci per comunicare con gli altri? Che cosa aiuta a restare uniti quando non si è d’accordo? Servono delle regole per stare insieme? Gioco: il villaggio Con i tuoi compagni di classe immaginate di essere un villaggio: ognuno di voi deve pensare il lavoro che vuole fare in questo villaggio e mimarlo davanti ai suoi compagni. Chi indovina potrà mimare a sua volta il suo lavoro e così via finché avrete riconosciuto a tutti un mestiere nel vostro villaggio.

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V

IL TERZO INCOMODO

Il cambiamento più insopportabile per il fratello è l’amicizia della sorella con un

fabbro che in assenza del fratello le ha tenuto compagnia, aiutandola nei lavori

per la casa e facendole conoscere il villaggio. Da allora la sorella è diventata

importante per tutti e tutto il villaggio lo è per lei. Ma anche il fabbro non vede di

buon occhio il ritorno improvviso del fratello. Perché se ne è andato dieci anni

fa e adesso che cosa vuole?

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CHI È ESTRANEO AL TUO GRUPPO? Quando si forma un gruppo, chi ne resta fuori è un estraneo fintanto che il gruppo non lo accoglierà al suo interno. Chi è estraneo al tuo gruppo? Quando un estraneo si unisce al tuo gruppo, il tuo gruppo è più forte? Gioco: Lo straniero Lo straniero, scelto a turno dalla classe, dovrà uscire dalla stanza. A quel punto il gruppo sceglierà un oggetto e inventerà per quell’oggetto un nome di fantasia. Ad esempio: il gessetto potrebbe diventare lo Sgnuc. Quando lo straniero rientrerà, il gruppo gli chiederà di prendere in mano lo Sgnuc. Lo straniero potrà fare cinque domande, alle quali il gruppo potrà rispondere solo sì o no. Dopo tre errori toccherà di nuovo a lui uscire e continuare a fare lo straniero. Gioco: Uniti! Tutti i partecipanti dovranno passeggiare liberamente nella stanza. All’improvviso il conduttore griderà: “Uniti!” A quel segnale ognuno dovrà abbracciarsi con i compagni più vicini. E’ vietato passare da un gruppo all’altro. Quanti gruppi si sono formati? Il più numeroso da quanti ragazzi è formato? Il gruppo più piccolo viene eliminato.

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VI

IL VILLAGGIO E L’ACCORDO

In effetti, il fratello è tornato oggi sull’isola con degli amici, i rappresentanti di

altrettanti villaggi vicini e lontani che vogliono allearsi per diventare un solo

grande paese. Ma il villaggio, e il fabbro per primo, diffidano di tutti quelli che

non conoscono e dicono che chi viene da fuori non può fare gli interessi

dell’isola. La sorella è presa tra due fuochi perché i suoi affetti più cari

pretendono che lei scelga da che parte stare: tradire le aspettative del fratello o

quelle del caro amico Terzo?

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CHE COS’HA IN COMUNE UNA COMUNITÀ? In una scuola, come in un quartiere, in un villaggio o in una città il gruppo è diventato così grande che non tutti si conoscono ma tutti sentono di avere qualcosa in comune: per esempio non tutti i torinesi si conoscono ma tutti racconteranno un legame importante con loro città. Questi gruppi sociali si chiamano “comunità”. Ma cosa possono avere in comune persone che non si conoscono? Molti torinesi possono raccontare legami importanti con altre comunità - città, regioni o paesi lontani: se non è la terra o il mare a unire o dividere una comunità, cosa unisce storie tanto diverse? Gioco: Terra-Mare Sapete giocare a Terra-Mare? Si disegna una linea dritta sul pavimento, con del nastro adesivo se si è al chiuso, con uno spago se siamo all'aperto. Tutti i giocatori si dispongono in fila dietro la linea: così sono sulla 'TERRA' e dall'altra parte della linea c'è il 'MARE'. Uno di voi condurrà il gioco: comincerà a gridare 'TERRA'... 'MARE'...'TERRA'... 'MARE'...'MARE'...'TERRA'... alternativamente, velocemente, lentamente... I giocatori dovranno saltare da una parte all'altra della linea rispettando le istruzioni del conduttore, chi sbaglia viene eliminato. Gioco: La mappa Disegnate il vostro villaggio. Dovete far si che abbia tutto quel che occorre per vivere e vivere bene, quindi negozi ma anche strade e piazze e scuole, luoghi dove incontrarsi... Se manca qualcosa nel vostro villaggio e avete bisogno di fare degli scambi, potete trovare altri villaggi come il vostro sul nostro sito e fare amicizia con loro.

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VII

IL RACCONTO

Ogni protagonista ha raccontato la sua versione di questa storia in modo

differente e con diverse conclusioni e per questa ragione sembrano disposti a

farsi la guerra. Non però la sorella che sente come un solo legame unisca tutte

le storie e come ciascuno sia convinto di fare il bene di tutti: decide così di non

partecipare agli scontri ma di attendere che trovino un accordo..

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QUAL’E’ IL RACCONTO DELLA MIA COMUNITÀ?

Come i due fratelli e il fabbro, ognuno di voi ha fin qui raccontato storie simili, e al tempo stesso diverse, del proprio gruppo e della propria comunità. Infatti ogni comunità, come la tua classe, ha una sua storia che unisce storie anche molto diverse fra loro. Sai raccontare questa grande storia del tuo quartiere, della tua città o del tuo Paese che tenga unite tutte le storie che hai sentito fin qui? Gioco: La zattera La vostra nave ha fatto naufragio, e divisi in gruppetti, dovete assolutamente aggrapparvi in qualche modo ai pezzi di legno che vi trascinano tra le onde, per non rischiare di affondare. I giocatori vengono divisi in squadre da quattro o cinque persone. Ogni squadra avrà a disposizione un foglio A4, sul quale tutti i giocatori dovranno disporsi, in un modo o nell'altro, facendo in modo di starci tutti sopra, senza appoggiarsi da null'altra parte che sul foglio! Quali metodi la fantasia dei giocatori suggerirà per raggiungere lo scopo! Vince la squadra che riesce a disporsi sulla zattera. Gioco: Racconti Consentiti Ogni famiglia conserva i ricordi e i racconti di un villaggio vicino o lontano, da cui un giorno si è partiti per arrivare in città. Fatti aiutare dai tuoi familiari a raccontare un ricordo di quella comunità, magari nella lingua o dialetto del posto che tradurrai per i tuoi compagni. Alla fine contate quante comunità si sono unite per formare la vostra classe, il vostro quartiere, la vostra città.

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Dalla “Cassetta dei Racconti” di una scuola. Racconto della nonna di Jessica . La Leggenda di Salbanello (dialetto veneto). Me nona materna me ga contà una legenda del so paese, Caltran, en provincia de Vicenda. Questa legenda parla de un ometo tuto vestio de roso con el capello a punta che se divertiva ad andar in volta de note a spaventar la zente. La me nona me ga dito che i tosi se spostava a piè per trovare la morosa, le strade eran tute buie e i tosi ne profitava per far gli scherzi ai amisi e i dava la colpa a Salbanelo. (Traduzione) La nonna mi ha raccontato una leggenda del suo paese, Castrano, in provincia di Vicenza. La leggenda racconta di un omino detto “Salbanello” tutto vestito di rosso con un cappello a punta che sputava fuoco dal naso e andava in giro la notte a spaventare la gente. A quei tempi i ragazzi si spostavano a piedi da un paese all’altro per trovare le fidanzate. Allora le strade erano buie e i giovani ne approfittavano per fare gli scherzi dando poi la colpa a Salbanello. Racconto della nonna di Annachiara. (dialetto napoletano). Quann’ero peccerella nun ce stevano tane pazziarelle e facemmo e ‘e bambole ‘e pezz. Poi tutte ‘e guagliottole ce mettemmo a pazzià. Una faceva ‘a maest e l’ate scrivevan. Ma nun ce steveno ‘e lavagne. ‘Nmezzo a via, pure che era una via principale, a quell’epoca nun ce steveno ‘e machene e pe terra dint’a rena facemmo ‘e lavagne. Ch’e spruccole ‘e legname facemmo ‘o gesso. ‘Ndo Curtle ce mettemmo a fa’ ‘a cucina cu doie prete; ‘goppe ‘e prete mettemmo ‘o tiano e che craste ‘e piatte rutte mangemmo. (Traduzione) Quando ero piccolina non c’erano tanti giocattoli e facevamo le bambole di pezza. Noi ragazze andavamo a giocare: una faceva la maestra e le altre scrivevano. Ma non c’erano le lavagne. In mezzo alla via anche se era una via principale non passavano le macchine e per terra nel terreno facevamo le lavagne. I pezzetti di legno li usavamo come gessi. Nel cortile facevamo la cucina con le pietre; sulle pietre mettevamo una pentola di coccio “’o tiano”, e con i pezzi dei piatti rotti facevamo finta di mangiare. Racconto dei genitori di Erica: le risaie del Vercellese Custa a l’è ‘na storia ca s’ ripet tuc iagn an primavera ntal Varsleis ntlà tèra anté ca l’è nasì me nonu (al pari dmè pari). Calandn giù dal culìni dal Munfrà la campagna la smea in gros lagh artificial divis an retangul e anterumpì sì e là da nà rete d’ersu, stra e casini cà ia smein dal palafitte (dal cà piantaü an t’l’acqua). Cust a l’è al lagh artificial ante che i’omni ai cultivu ormai da singsent agn al ris. Andand a spas an bicicleta par al riseri l’è pusibil védi di bei coch gris ca ia stan ferm an t’l’acqua basa e in speciu la preda Mé pari e mé mari a m’an cuntame che n’zi riseri, tan temp fa, ai travaiavu al mundini ca ia mlivu da tanc pais d’l’ Italia. Tante a ieru masnà: queidûna a l’ava mach dudas, trêdas agn, ai travaiavu quasi quaranta giurnà par ot uri al dì cul al gambi n’t’l’acqua, la schena curva, al man sporchi d’pauta (pacioch). Travaiand gumi a gumi ai cundividivu n’esperiensa tant dura ma grazie al “canson d’là risera” ai riusivu creà un fort sens ad comunità ed solidarietà. (Traduzione) Questo è uno spettacolo che si ripete ogni anno in primavera nel Vercellese, la zona d’origine del mio nonno paterno. Scendendo dalle colline del Monferrato, la pianura sottostante ti appare come un grande lago artificiale suddiviso in rettangoli e interrotto qua e là da una rete di argini, strade e cascine che sembrano palafitte. Questo è il lago artificiale dove gli uomini coltivano ormai da cinque secoli il riso. Passeggiando in bicicletta lungo le risaie è possibile ammirare bellissimi uccelli

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chiamati aironi cenerini che se ne stanno immobili nell’acqua bassa nell’attesa della preda. I miei genitori mi hanno raccontato che in queste risaie tanto tempo fa lavoravano le mondine che provenivano da molti paesi italiani. Tante erano molto giovani: alcune avevano appena dodici, tredici anni, lavoravano per circa quaranta giorni per otto ore al giorno con le gambe nell’acqua, la schiena curva, le mani sporche di fango. Lavorando fianco a fianco condividevano un’esperienza molto dura, ma grazie anche ai “canti di risaia” riuscivano a creare un forte senso di comunità e di solidarietà.

Ashley ci ha portato l’Inno nazionale filippino: LUPANG HINIRANG Bayang magiliw, perlas ng silanganan. Alab ng puso, sa dibdib mo’y buhay. Lupang hinirang, duyan ka ng magiting Sa manlulupig, di ka pasisiil. Sa dagat at bundok, sa simoy at Sa langit mong bughaw, May dilag ang tula at awit Sa paglayang minamahal. Ang kislap ng watawat mo’y Tagumpay na nagniningning. Ang bituin at araw niya Kailan pa may di magdidilim. Lupa ng araw, ng lualhati’t pagsinta, buhay ay langit sa piling mo. Aming ligaya na pag may mang-aapi, Ang mamatay ng dahil sa iyo.

AMATA TERRA (Traduzione dei genitori di Ashley) Amata terra Perla dell’oriente Che brucia nel cuore Sempre acceso nel petto. Terra scelta Culla del prode Ai conquistatori Non si arrenderà mai. Nei mari e sui monti Nell’aria e nel cielo blu C’è splendore nel poema E nella canzone per la libertà Lo scintillio della bandiera È la vittoria che splende Le sue stelle e il suo sole Non si oscureranno mai. Terra del sole, della gloria e dell’amore La vita è cielo nel suo abbraccio Sarà nostra gioia Quando ci saranno gli oppressori Morire per la nostra Terra.

Racconto dei genitori di Milena: Racconto di papà Quando mio papà Jorge si preparava a venire in Italia dal Perù pensava di trovare molte cose moderne. Al suo arrivo si è accorto che anche nei paesini più piccoli la gente sta bene e ha la casa piena di cose comode ma che nelle grandi città non ci sono le cose moderne che si immaginava. Le case piccole, gli ascensori vecchi ... niente a che vedere con i palazzi moderni di Lima. Mio papà ha visto la differenza tra le città piene di storia ma anche un po’ immobili dell'Europa e le città del continente americano, con una storia molto recente e forse per questo più dinamiche. Un'altra differenza era l'umidità dell'aria perché a Lima l'umidità è alta, circa il 90%, mentre a Torino non è molto alta. In inverno i termosifoni delle case rendono l'aria

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ancora più secca e mio papà si svegliava sempre col mal di gola fino a quando non gli hanno detto che doveva mettere l'acqua sui termosifoni. Ora però si trova bene. Racconto della mamma Molto tempo fa, quando la Jugoslavia era ancora unita, mia mamma fece un viaggio da quelle parti. Al momento di ripartire si recò al porto per prendere l’autobus. Ma il tempo passava e l’autobus non arrivava. Passarono molte ore e faceva caldo. Lì vicino c’era un banco che vendeva frutta e verdura e in tutto quel tempo non aveva venduto nulla. Alle due del pomeriggio il ragazzo del banco tirò fuori da una borsa il suo pranzo e chiamò mia madre per dividerlo con le. Tanto insistette che lei accettò. Arrivata dietro al banco si accorse che quella era la sua casa. Lì c’era un piccolo letto e aveva girato una cassetta della frutta per farla diventare un tavolo. Con un sacchetto di carta aveva fatto una tovaglia e con un coltello, sua unica posata, le offrì il cibo. Poco dopo arrivò il pullman e mia madre ripartì ma il ricordo di quel ragazzo albanese in terra jugoslava che, senza parlare, aveva diviso con lei il cibo, è ancora qualcosa di prezioso. Racconto della mamma di Chiara: Torino I viaggi dei miei ricordi sono tutti legati a Torino. Quando avevo un anno e mezzo, mia mamma e mio papà sono partiti da Fasano per venire a Torino e siccome dovevano lavorare tutti e due sono partiti senza di me e mi hanno affidata a Carolina, una cugina di mia mamma. Anche se i miei genitori erano molto lontani non mi sono sentita sola perché la famiglia di Carolina è diventata la mia seconda grande famiglia. Carolina come se fosse mia madre, suo papà mio nonno, sua zia mia nonna, le sue sorelle mie cugine e poi sono arrivate le sue quattro nipoti che sono diventate per me come sorelle. Mia madre e mio padre venivano a Fasano a Natale, a Pasqua e d’estate, sempre con dei regali e per il resto dell’anno aspettavo cartoline e lettere. Ricordo anche che c’era il giorno della telefonata, un giorno prestabilito in cui andavamo a casa di una vicina che aveva il telefono, ad aspettare la telefonata. Quando andavo alla scuola elementare ho iniziato ad andare a Torino anch’io. A giugno, quando chiudeva la scuola, invece di andare in vacanza al mare dai nonni, partivo per andare in città dai genitori. Ero sempre molto emozionata di questo lungo viaggio in treno che mi portava dai miei genitori e da mio fratello. Dei periodi trascorsi a Torino ricordo soprattutto ciò che era diverso da dove vivevo di solito: l’ingresso della casa era dal balcone, il bagno lo ricordo con terrore, era uno stanzino con un buco nel centro, avevo paura di finire lì dentro! Poi c’era la signora Raspino che tutte le volte che passavo dalle scale, usciva per dirmi di fare silenzio, mi sembrava strano il suo modo di parlare (parlava in piemontese), ma soprattutto perché mi chiamava “cita” come la scimmia di Tarzan. Altri ricordi sono: la nonnina dolce che abitava di fianco, i giochi con mio fratello, il rumore della macchina da cucire mentre ero a letto, l’odore dei guanti di pelle che cuciva mia madre, i giochi dei giardinetti, la Tesoriera, le gite in montagna. Una volta camminando in un viale ho visto due funghi su una panchina e mi sono ricordato di Marcovaldo. Ho pensato che Marcovaldo abitava a Torino e che mia madre mi aveva regalato quel libro per raccontarmi la città in cui viveva.

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VIII

IL FINALE APERTO

Il fabbro e il fratello si appellano alla gente del villaggio perché scelga se

difendere con orgoglio la sua storia o allargare con coraggio i propri confini. Ma

quel villaggio ora siete voi e insieme a voi racconteremo come è andata a finire!

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COSA DIFENDERE E COSA CAMBIARE? Nella storia che abbiamo raccontato, come nella storia di ogni gruppo o comunità, si pone il problema di cosa vorremmo cambiare e di cosa vorremmo non cambiasse affatto. A volte non si finisce mai di discutere, ma se vogliamo restare uniti bisogna ascoltare le ragioni di tutti e trovare il consenso a una storia condivisa. Gioco: L’assemblea Immaginate di essere voi il villaggio cui si rivolgono il fabbro e il fratello: preferite difendere la vostra autonomia o desiderate unirvi agli altri villaggi? Il finale di questa storia è aperto alle vostre scelte, ma prima di scegliere provate a discutere insieme dei vantaggi e degli svantaggi che ogni decisione comporta per tutti. Gioco: La nostra storia Provate a raccontare il seguito di questa storia immaginando che siano passati dieci anni dal conflitto dei protagonisti. Com’è andata a finire la loro storia e la storia del vostro villaggio?

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La Cassetta dei Racconti alla Casa del Teatro Abbiamo messo una “Cassetta dei Racconti” presso la Casa del Teatro

Ragazzi di Torino, dove per tutto il 2011 sarà possibile continuare a raccogliere

le storie delle nostre famiglie e dei nostri villaggi. Tutti i racconti verranno così a

comporre il grande racconto della nostra città e verranno pubblicati sul nostro

sito: www.favolefilosofiche.it.

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Pensieri d’Italia

COSA UNISCE NOI ITALIANI? Perché? Come?

COSA DIVIDE NOI ITALIANI?

Siamo andati in tutta Italia a portare i nostri racconti e abbiamo chiesto ai

ragazzi e alle loro famiglie che abbiamo incontrato un pensiero sulla comunità

che tutti li unisce: l’Italia. Cosa ci unisce e cosa ci divide fra italiani?

Abbiamo raccolto e pubblicato tutte le risposte sul nostro sito internet nella

apposita pagina ”Pensieri d’Italia”. Prova anche tu ad aggiungere un tuo

pensiero rispondendo a questa domanda e inviaci la tua risposta sul nostro sito:

www.favolefilosofiche.com .

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Racconti in appendice per approfondimenti

Un racconto mediorientale: due fratelli.

da “Storie per apprendisti saggi” di Michel Piquemal

C’erano una volta due fratelli che coltivavano insieme un pezzo di terra e si dividevano il raccolto. Una notte, dopo aver riposto ognuno la propria parte, uno dei due si svegliò e pensò: “Mio fratello è sposato e ha due figli: preoccupazioni e spese che a me sono risparmiate. Dunque ha bisogno del grano più di me. Gli porterò qualche sacco di nascosto perché sono sicuro che se glielo proponessi lo rifiuterebbe”. Si alzò, portò qualche sacco nel fienile di suo fratello e tornò a dormire. Ma poco più tardi l’altro fratello si svegliò e disse tra sé: “Non è giusto che io abbia la metà del grano del nostro campo. Mio fratello non conosce le gioie della vita famigliare. Ha bisogno di uscire e divertirsi, tutte cose che costano molto. Gli porterò una poterò una parte del mio grano”. E si alzò per portare qualche sacco nel fienile del fratello. L’indomani mattina, entrambi i fratelli restarono stupefatti: in tutti e due i fienili c’era lo stesso numero di sacchi del giorno precedente. E ogni anno, al momento del raccolto, ricominciavano da capo, senza mai capire per quale sortilegio il numero dei rispettivi sacchi restava sempre identico.

La zuppa di sassi.

C'era una volta un giramondo che un giorno arrivò in un paese e, avendo fame, bussò alla prima porta che vide per chiedere cortesemente qualcosa da mangiare. Un uomo aprì la porta e, vedendo uno straniero, gli rispose bruscamente e lo cacciò via. Il giramondo bussò allora ad un'altra porta, ma anche questa volta venne allontanato. Ricevette la stessa risposta in tutte le case del paese. Per niente scoraggiato, andò nella piazza e accese un fuoco, prese una pentola, la riempì d'acqua e vi gettò dentro un grosso sasso. Cominciò quindi a cucinare. Da lì a poco, incuriositi da questa cosa strana, uno dopo l'altro, gli abitanti del paese si avvicinarono al giramondo. Ad un certo punto qualcuno gli chiese cosa stesse facendo. Lo straniero, assaggiando l'acqua, rispose: "Sto preparando una squisita zuppa di sasso, una mia specialità!". Un altro curioso, vedendolo assaggiare la zuppa, gli chiese come stava venendo. Il giovane rispose che era molto buona, ma che lo sarebbe stata ancora di più se avesse avuto qualche carota e un po' di sale. Non fece in tempo a finire la frase che qualcuno gli offrì carote e sale. Assaggiò di nuovo la zuppa e disse: "Andiamo bene, ma se ci fosse un po' di carne e qualche patata sarebbe ancora meglio!". E così gli fu offerto anche questo. La cosa si ripeté per molti altri ingredienti e il giramondo dopo poco poté gustarsi finalmente la sua zuppa. Cucchiaio dopo cucchiaio, se la mangiò tutta e rimase dentro alla pentola solo il sasso. A quel punto la gente che lo osservava disse in coro: "E il sasso?". Il giramondo, sorridendo, si mise in tasca il sasso e rispose: "Lo porto con me, perché se incontrerò nuovamente gente così generosa come lo siete stati voi, mi potrà servire ancora!".

Il cuore canarino

(di Giovanni Arpino)

Un giorno, in una grande città, arrivò un ragazzetto, ma così diverso da tutta l’altra gente da fare impressione. Gli abitanti di quella grande città, con palazzi che toccavano le nuvole e i giardini striminziti dove non sostava più neanche un passero,

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erano uomini e donne svelti. Lavoravano sodo, pensavano poco, erano allegri, ma senza vere risate, erano in pace, ma si affannavano nei loro infiniti commerci. Quando videro quel ragazzetto sconosciuto, dissero: - Ecco uno diverso da noi, vuol dire che ci divertirà con le sue confidenze, e noi gli saremo amici, gli insegneremo a diventare ottimo cittadino della nostra grande metropoli. Ma il ragazzetto era un po’ troppo diverso. Per esempio, non aveva il cuore. Al posto del cuore aveva un canarino. Lui viveva benissimo con quel canarino che gli batteva in petto: oltretutto funzionava a perfezione, con vene e arterie era sempre andato d’accordo come se fosse stato un cuore vero. Il canarino al sangue era simpatico, e così ai polmoni, che si divertivano a sentirsi solleticare da quelle ali leggere. Ma gli abitanti della grande città certe cose proprio non riuscivano a capirle. Prima si stupirono, poi cominciarono ad irritarsi. Sì, quel ragazzo senza cuore era troppo diverso, più diverso di tutte le diversità possibili, ammesse, accettabili. E cominciarono gli incidenti. Un giorno il ragazzetto vide per strada un’anziana signora, scivolata sul marciapiedi. - Cosa stai lì a guardarmi con quella faccia imbambolata! Tirami su! - strillò la signora. - Mi scusi tanto, - rispose il Ragazzo. - Io non so aiutare. Però, se vuole, posso cantarle una canzoncina. La signora, arrabbiatissima, chiamò una guardia, la guardia arrestò il ragazzetto e lo portò in questura. La sera stessa, su tutti i giornali, uscirono articoli con titoli grossi così, punti esclamativi e segnacci rossi per avvertire i cittadini dell’abominevole fatto: il ragazzetto venuto da fuori e ben accolto da tutti era in verità un cattivissimo individuo, non sapeva compiere neppure una buona azione quotidiana, era un senza cuore. La cittadinanza veniva invitata a tenersi in guardia. Il ragazzetto senza cuore era triste. Il canarino, battendogli in petto, gli suggeriva cose strane, ma lui non osava più dargli retta: temeva di sbagliare ancora di più. Come lo avrebbero giudicato gli altri, vedendolo ridere sul muso della gente mentre ascoltava i loro discorsi in piazza, o vedendolo correre, inseguire colombi, fischiare di notte, o battere le mani davanti a un’ automobile schiacciatasi contro il muro? Minacciato d’arresto e sorvegliato di continuo da poliziotti, guardie notturne, fannulloni maligni, giornalisti sempre pronti a pescarlo in fallo, il ragazzetto dal canarino, a furia di tristezza, s’accorse di cominciare a invecchiare. Il canarino, dentro di lui, cantava ancora, ma con un po’ di raucedine. E successe un altro incidente. Un giorno, nel gigantesco traffico di una strada centrale, si formò un ingorgo, tutto per colpa di un carro di carbone tirato da un cavallo. Strombettavano i clacson delle auto, scampanellavano i tram, la guardia civica si torceva le braccia in mille inutili segnalazioni. I buoni cittadini, via via più nervosi, si sporgevano dai vetri delle macchine, impazienti di recuperare i minuti persi in quella sosta forzata. E tutti gridavano: - Non ho tempo da perdere, io! - E’ un’indecenza! - A morte i cavalli! Anche dai marciapiedi la gente guardava, dando torto al carrettiere e squadrando con disprezzo il cavallo che, indifferente, batteva il suo zoccolo in santa pazienza. In un angolo c’era pure il ragazzo dal cuore canarino. Rideva, lui, e qualcuno già lo guardava storto. Ridi e ridi, mentre è a bocca aperta al colmo di una risata più larga e lunga delle altre, ecco che gli scappa una voce, un cinguettare, un fraseggio come di musica, di acqua fresca… Di colpo il cavallo ha un balzo, sbatte gli orecchi, erge la criniera, si libera di briglie e stanghe e fortemente nitrendo, come spronato da uno squillo di tromba, corre via, scompare al galoppo come un puledro selvaggio delle praterie. - E’ stato lui con quei suoi versacci a farlo scappare! - gridò subito la gente additandosi il ragazzo. - Sì, sì, è stato lui, - si unì al coro anche il carrettiere, furibondo.

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Inutilmente il ragazzetto cercò di difendersi, di dire che il canarino in petto aveva strillato per conto proprio, con un linguaggio incomprensibile che solo il cavallo aveva potuto capire. La gente lo coprì di rimproveri, e il ragazzo fu allontanato infine dalle guardie. Così continuava una volta di più a rattristarsi, dubitando di sé e dell’antica felicità, che ormai non riusciva quasi più a ricordare. Sempre più raramente, alla mattina, si svegliava sentendo lo strillo lieto del canarino farsi largo nei polmoni, sempre più di rado, alla sera, sentiva scrollare le piume vive nell’intrico di vene che facevano il nido caldo attorno al corpo del canarino. E sempre più spesso, invece, il canarino da dentro gli mandava alla gola sonori sbadigli, come oppresso da un sonno che non riusciva a consumarsi. - Va’ a dormire, - pareva dirgli il canarino dal profondo delle vene e del sangue. - Va’ a dormire, tanto qui è inutile cercare di stare allegri e divertirsi… Dormi, dimentica tutto, e non pensarci più… Così il ragazzo invecchiava. Anche i suoi sogni non erano più colorati, nella notte, come un tempo. Non riusciva più a sognare foreste, leoni, pirati, streghe dalla lunga veste, guerrieri e cavalli in corsa su per verdi groppe di colline. Ormai sognava le strade deserte della città di notte, le rotaie vuote dei tram, i vicoli bui con gatti striminziti, gli alti palazzi dai profili segnati in luccicante e freddo alluminio. Alla mattina, sveglio, guardandosi nello specchio, il ragazzo si vedeva sempre più tetro, come se il canarino, arrabbiato stanco deluso vergognoso, stesse cambiando anche lui. Sta’ a vedere, pensava il ragazzo, che tra poco al posto del canarino avrò una cornacchia, un merlo, persino una vecchia civetta… Non che mi spiaccia, ma insomma un canarino è ancora il meglio, anche se ormai mi serve così poco… Nella grande città, la diffidenza seguitava ad aumentare. - Ma cosa s’è messo in testa costui? Ma chi crede di essere, - dicevano i più indulgenti, - solo perché ha un canarino in corpo? E io, allora, che ho un ginocchio d’argento? E io, che ho il naso di plastica? E io, che ho un elettrodo nel cervello? E io, che ho ben tre portafogli al posto del cuore? E io, che ho la parrucca più costosa del mondo? E io, che ho un occhio di vetro? Dei meno indulgenti, meglio non parlare! Dicevano cose velenosissime, proponevano riunioni di potenti personaggi, in municipio o in questura o nelle università, per mettere urgentemente rimedio a quell’offensivo problema e costringere il ragazzo dal canarino a emigrare, o a ritirarsi in una clinica, o almeno a sottoporsi a seri esami medici. L’associazione per la protezione degli animali protestava, voleva che il ragazzo fosse ricoverato in una speciale gabbia allo zoo, i chirurghi si dicevano prontissimi a sostituire il cuore - canarino con un apparecchio smontabile e tutto cromato, perfettissimo di valvole, tubi, minuscole turbine, i poeti proponevano che il ragazzo fosse dipinto in tanti colori e tenuto su un piedistallo in piazza, come statua vivente. E il ragazzo, avvilito, continuava nelle sue giornate sempre più grigie, andando a spasso con precauzione nelle ore desolate della sera, rifiutando inviti, evitando di attraversare le piazze. Mangiava poco, perché la tristezza del sangue aveva coinvolto ormai anche lo stomaco. Aveva paura della gente. Aveva paura di parlare, e che gli scappasse un altro “no” con qualche anziana signora, o guardia civica, o fannullone provocatore. Vorrei solo cantare, vorrei rallegrarvi, vorrei celebrare col canto le vostre grazie, gridava dentro di sé, a bocca chiusa, rivolgendosi a tutta la città, ma come posso fare? Se canto, non mi capite. Fare, non son buono. Se mi metto da parte, mi giudicate un’insidia, un pericolo, un mostro. Cercate di capire: io sono nato così, non per creare delle cose, ma per goderne. Siate buoni: sopportatemi, come una volta, tanto tempo fa, sopportavate i passeri sui fili della luce. Tanto, sto invecchiando: e tra un minuto non vi accorgerete più di me… Tutti pensieri inutili, fatti e rifatti mille volte, che non aveva mai avuto il coraggio e la

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possibilità di esprimere. Avesse parlato a voce alta, apriti cielo!, in un attimo lo avrebbero preso e schiaffato in prigione! In quella città, così onesta e indaffarata, certi discorsi potevano essere giudicati un vero delitto… Ormai, decisamente, ogni giorno conduceva il ragazzo verso una strana vecchiaia. Alla mattina, notava con soddisfazione una ruga in più, un capello bianco, una grinza sotto gli occhi. Invece di preoccuparsi, respirava di sollievo. - Finalmente! - poteva esclamare davanti allo specchio, esaminandosi centimetro per centimetro. - Tra un paio di settimane ci sono! Il canarino diventa gufo o barbagianni o falco, e nessuno si accorgerà più di me, mi lasceranno in pace, nessuno si sentirà ancora disturbato e offeso… Sapeva che a ogni ruga, a ogni capello bianco, a ogni grinza, corrispondeva un invecchiamento del canarino in petto. Lo sentiva, nel buoi delle vene, rattristarsi, farsi più raccolto, meno frequentemente, intimidito e come freddoloso. - Bravo! - gli sussurrava allora. - Aiutami tu. Fa’ presto, perdi le penne, cambia, perdi colore, rattristati… Sì, così, grazie mille, fa’ presto… E il canarino, seccato da tanta confusione, obbediva. Senza capire, ma obbediva, e s’affrettava, ingegnandosi a suo modo, per rendersi sempre più assonnato, striminzito, spelacchiato e torpido. Finché una mattina, svegliandosi, il ragazzo non sentì più alcun fremito in petto. Ebbe solo voglia di sbadigliare. Prestò ascolto, e poi ancora, e ancora, ma soltanto uno strano battito, sordo e meccanico, riuscì a percepire. Preoccupato, corse da un medico, che con molta diffidenza lo visitò. Il canarino se n’era andato davvero, e non per lasciare il posto a un gufo o a un pipistrello, ma a un cuore vero, normale, placido, rosso, molliccio. Il ragazzo, alla notizia, pianse. Ed era la prima volta in vita sua. I giornali uscirono in edizione straordinaria, coi commenti e le disquisizioni dei più noti scienziati. Politici, commercianti, poeti, vecchie signore dei circoli di beneficenza rilasciarono dichiarazioni compiaciute. Ancora una volta la città aveva vinto, aveva persuaso, aveva modificato. Le prime lacrime del ragazzo, riportate in fotografia da tutti i giornali, furono salutate trionfalmente come un ritorno alla normalità, alla ragione. Diversi commendatori offrirono subito un posto di fiducia al ragazzo tornato di cuore. Il ragazzo, timido e convinto, salutando e inchinandosi, finì per accettare una delle tante proposte. Ora fa l’autista per un grande magnate e abita nella soffitta di un grattacielo. Quando guida per le strade l’enorme automobile del padrone, sta attento, è gentile, obbedisce ai semafori, fa cenni cortesi alle anziane signore incerte sugli angoli, e se la prende solamente coi rari cavalli rimasti, che ritardano la corsa delle auto e fanno perdere tempo. Ogni giorno, egli commette la sua buona azione. Naturalmente, non ride. E non sa cantare.

Un racconto italiano: come nasce la bandiera tricolore.

La bandiera italiana è una variante della bandiera della rivoluzione francese, nella quale fu sostituito l'azzurro con il verde che, secondo il simbolismo massonico, significava la natura ed i diritti naturali (uguaglianza e libertà). In realtà i primi a ideare la bandiera italiana sono stati due patrioti e studenti dell'Università di Bologna, Luigi Zamboni, natio del capoluogo emiliano, e Giambattista De Rolandis, originario di Castell'Alfero (Asti), che nell'autunno del 1794 unirono il bianco e il rosso delle rispettive città al verde, colore della speranza. Si erano prefissi di organizzare una rivoluzione per ridare al Comune di Bologna l'antica indipendenza perduta con la

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sudditanza agli Stati della Chiesa. La sommossa, nella notte del 13 dicembre, fallì e i due studenti furono scoperti e catturati dalla polizia pontificia, insieme ad altri cittadini. Avviato il processo, il 19 agosto 1795, Luigi Zamboni fu trovato morto nella cella denominata "Inferno" dove era rinchiuso insieme con due criminali, che lo avrebbero strangolato per ordine espresso della polizia. L'altro studente Giovanni Battista De Rolandis fu condannato a morte ed impiccato il 23 aprile 1796. Napoleone la adottò il 15 maggio 1796 per le Legioni lombarde e italiane. Nell'ottobre dello stesso anno il tricolore assunse il titolo di bandiera rivoluzionaria italiana ed il suo verde, proclamato colore nazionale, divenne per i patrioti simbolo di speranza per un migliore avvenire: con questo valore fu adottato dalla Repubblica Cispadana il 7 gennaio 1797, qualche mese dopo da Bergamo e Brescia e poi dalla Repubblica Cisalpina. In quell’epoca le sue bande erano disposte talvolta verticalmente all'asta con quella verde in primo luogo, talvolta orizzontalmente con la verde in alto; a cominciare dal 1° maggio 1798 soltanto verticalmente, con asta tricolorata a spirale, terminante con punta bianca. Nella metà del 1802 la forma diviene quadrata, con tre quadrati degli stessi colori racchiusi l'uno nell'altro; questo cambiamento fu voluto dal Melzi (vice presidente della Repubblica Italiana) per cancellare ogni vincolo rivoluzionario legato alla bandiera. Abolito alla caduta del Regno Italico, il tricolore fu ripreso, nella sua variante rettangolare, dai patrioti dei moti del 1821 e del 1831. Mazzini la scelse come bandiera per la sua Giovine Italia, e fu subito adottata anche dalle truppe garibaldine. Durante i moti del '48/'49, sventola in tutti gli Stati italiani nei quali sorsero governi costituzionali: Regno di Napoli, Sicilia, Stato Pontificio, Granducato di Toscana, Ducato di Parma, Ducato di Modena, Milano, Venezia e Piemonte. In quest'ultimo caso alla bandiera fu aggiunto nel centro lo stemma sabaudo (uno scudo con croce bianca su sfondo rosso, orlato d’azzurro). La variante sabauda divenne bandiera del Regno d'Italia fino al referendum istituzionale del 2 giugno 1946, quando l'Italia divenne Repubblica e lo scudo dei Savoia fu tolto.

Un racconto-dilemma africano: I loro occhi uscirono dall’orbita.

da "Leggende della madre Africa" di R. D. Abrahams

(Questo famoso dilemma africano viene da noi raccontato interrompendolo là dove i protagonisti sono tutti vittime per non aver avvertito gli altri del pericolo. Il tema del racconto diventa così “soccorso, regole e informazioni all’interno di una comunità”) Una volta un uomo viaggiava per affari con la propria madre, la sorella minore, la moglie e la madre di sua moglie. Viaggiavano già da qualche ora e il calore del sole diede loro una gran sete. Arrivati ai piedi di un albero, sedettero all’ombra. Il marito si guardò intorno e vide quel che pareva un pozzo e disse alla sorella: “Va’ a vedere se c’è acqua in quel pozzo. Se ce n’è, attingine un poco e portala”. La fanciulla andò e si sporse sull’orlo del pozzo e uno dei suoi occhi cadde sul fondo. Subito si coprì l’occhio rimastole con la mano e si inginocchiò sul luogo, disperata. Passò un po’ di tempo e poiché non tornava, la moglie disse: “Vado a vedere cos’è capitato alla ragazza”. Andò e la trovò seduta accanto al pozzo. E dice: “Cos’è successo che sei qui seduta senza attingere un po’ d’acqua da bere per noi? Non c’è acqua nel pozzo?” e andò e si sporse sull’orlo del pozzo e guardò giù - e uno dei suoi occhi cadde sul fondo. E anch’essa sedette là, chiedendosi che cosa dovesse fare. Poi la madre della moglie disse: “Cos’è che le trattiene tanto a lungo?” e andò a cercarle. Quando arrivò, domandò perché se ne stessero là sedute. “Non c’è acqua nel pozzo?” domandò. E anch’essa si sporse a guardare il pozzo. E anche uno dei suoi occhi cadde e sparì giù in fondo. Allora in fretta si coprì con una mano l’altro occhio. E anch’essa sedette là con le altre. Poi la madre dell’uomo disse: “Cos’è che le trattiene tanto a lungo?” e andò a cercarle. Quando arrivò, domandò perché se ne stessero là sedute. “Non c’è acqua nel pozzo?”

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domandò. E anch’essa si sporse a guardare nel pozzo. E anche uno dei suoi occhi cadde e sparì giù in fondo. Allora in fretta si coprì con una mano l’altro occhio. E anch’essa sedette là con le altre. Passò altro tempo, e l’uomo disse: “Be’, che succede là? Penso che dovrò proprio andare a cercarle e vedere che cosa accade”. Così fece, e giunto vicino al pozzo disse: “Cosa succede a tutte voi, che ve ne state là sedute?”. La moglie cercò di fargli un cenno perché tornasse indietro, ma lui non ci fece caso e si sporse sull’orlo del pozzo, e anche uno dei suoi occhi cadde nel fondo. Tenendosi l’altro occhio, anch’egli sedette. E là stavano tutti e cinque, gemendo, ciascuno con un occhio solo. (... così continua il racconto-dilemma: Infine un soldato che usciva dalla boscaglia venne verso di loro e l’uomo lo vide. Il soldato pure li vide e si avvicinò. “Fermati là, amico, finché arrivo vicino a te” disse l’uomo. Quello obbedì, e l’uomo gli si avvicinò, sempre tenendosi l’occhio. E disse: “Ti ho fermato per evitare che ti accosti a quel pozzo. Io, mia madre, mia suocera, mia moglie e mia sorella minore, tutti ora abbiamo un occhio solo per aver guardato giù nel pozzo”. “Davvero?” fece il soldato. “Allora non sapevate nulla del pozzo. C’è un demone là in fondo”. “Io non lo sapevo” disse l’uomo. Il soldato domandò: “Se scendo nel pozzo e vi riporto i vostri occhi, posso prenderne uno?”. “Sì” rispose l’uomo. Il soldato scese nel pozzo, che era profondo più di cinquanta metri. E rapidamente tornò su con tutti e cinque gli occhi. Ne diede quattro all’uomo e se ne mise uno in tasca e se ne andò. Il marito ne prese uno e lo rimise a posto. Ne rimanevano tre. Bene, a quale delle donne avreste dato quei tre occhi? E a quale non lo avreste dato?)

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Dizionario

COMUNITA’ (vc. Dotta, lat. COMMUNITĀTE(M), da COMMŪNIS “comune”). Gruppo sociale la cui caratteristica fondamentale è un grado medio di coesione realizzata in base alle comuni origini, interessi pratici e idee dei componimenti. Pluralità di persone unite da relazioni e vincoli comuni di varia natura, in modo da costituire un organismo unico. Insieme di soggetti di diritto internazionale uniti da particolari accordi o trattati. Comune. Municipio. Comunanza. Comunità locale, unità sociale, a base locale, i cui componenti cooperano per soddisfare i bisogni della vita economica, sociale e culturale. Comunità linguistica, i cui membri usano lo stesso sistema di segni linguistici. CONDIVIDERE (comp. di CON - e DIVIDERE). Raro lett. Spartire, dividere con altri. Aderire, partecipare a idee, sentimenti e sim., altrui. CONFLITTO (vc. Dotta, lat. CONFLĪCTU(M), da CONFLĪGERE “combattere”. Scontro di armati, combattimento. Contrasto, scontro, urto, spec. Aspro e prolungato di idee, opinioni e sim. Attività simultanea di impulsi, desideri e tendenze opposte, che si escludono a vicenda. CONSENSO (vc. Dotta, lat CONSĒNSU(M), da CONSENTĪRE “consentire”) Incontro di volontà.Conformità, concordia di volontà, giudizi, opinioni, sentimenti e sim., o accordo su un punto specifico, fra due o più persone. Assenso. DEMOCRAZIA (fr. DÉMOCRATIE, dal gr. DĒMOKRATIA, comp. di DÊMOS “popolo” e KRÁTOS “ potere”) Forma di governo in cui la sovranità risiede nel popolo che la esercita per mezzo delle persone e degli organi che elegge a rappresentarlo. (est.) Paese retto secondo tale forma di governo. DIRITTO (vc. Dotta, lat. tardo DIRĒCTU(M), “diritto”, agg. Sost. Come opposto a TŌRTU(M), “storto, torto”). Complesso di norme legislative o consuetudinarie che disciplinano i rapporti sociali. Scienza giuridica. Interesse tutelato dalla legge mediante la garanzia di una diretta utilità sostanziale. (est. gener.) Potere, facoltà che deriva da una consuetudine o da una norma morale. Ragione, giustizia. DISSENTIRE (vc dotta, lat. DISSENTĪRE “sentire diversamente”. Essere di parere diverso o contrario rispetto ad altri. Discordare. Essere in disaccordo, essere diverso. DITTATURA (vc. Dotta, lat. DICTATŪRA(M), da DICTĀTOR “dittatore”) Oggi, forma di governo autoritario che accentra tutto il potere in un solo organo collegiale o nella sola persona di un dittatore. GRUPPO (lat. tardo CRUPPA(M), “grosso cavo”, che riproduce un germ. KRUPPA) Insieme di cose o di persone riunite, accostate l’una all’altra. Insieme di persone unite fra loro da vincoli naturali, da rapporti di interessi, da scopi o idee comuni e sim. IDENTITA’ (vc dotta, lat. Tardo IDENTITĀTE(M), da IDEM “(proprio quello) stesso”) Uguaglianza completa e assoluta. Principio logico in base al quale ogni concetto risulta essere identico a se stesso. Coincidenza. Contr. Differenza, diversità. Qualificazione di una persona, di

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un luogo, di una cosa per cui essa è tale e non altra. Uguaglianza contenente delle variabili, verificata per ogni valore attribuibile ad essa. In sociologia, nelle etnoantropologiche e nelle altre scienze sociali il concetto di IDENTITA’ riguarda, per un verso, il modo in cui l'individuo considera e costruisce se stesso come membro di determinati gruppi sociali: nazione, classe sociale, livello culturale, etnia, genere, professione e così via; e, per l'altro, il modo in cui le norme di quei gruppi consentono a ciascun individuo di pensarsi, muoversi, collocarsi e relazionarsi rispetto a sé stesso, agli altri, al gruppo a cui afferisce ed ai gruppi esterni intesi, percepiti e classificati come alterità. NEMICO (lat. (I)NIMĪC(M), comp. di IN- neg. e AMĪCUS “amico”) Che nutre sentimenti di avversione, odio, rancore contro qualcuno, ne desidera il male, e cerca di farglielo. Ostile.Che detesta qualcuno. Avverso, contrario. Che appartiene, si riferisce al nemico con il quale si è in guerra. Dannoso, nocivo. REGOLA (vc. Dotta, lat. RĒGULA(M) “asticella, squadra”, poi “regola, norma”, da REGERE “dirigere”. v. reggere) Andamento più o meno costante di un complesso di eventi. (estensivo) Precetto, norma indicativa di ciò che si deve fare in certe circostanze. Metodo che permette la risoluzione di problemi o l’applicazione di determinati assunti. Misura, modo. Il complesso delle norme con le quali generalmente il fondatore disciplina la vita comunitaria e gli obblighi degli appartenenti a un ordine religioso o ad una congregazione. Libro o testo scritto contenente tali norme RELAZIONE (vc. Dotta, lat. RELATIŌNE(M), da RELĀTUS, part. Pass. Di REFERRE “riferire”). Modo, qualità del rapporto fra due cose, due o più fenomeni, e sim. Stretto nesso esistente tra due o più concetti, fatti, fenomeni ognuno dei quali richiama direttamente e immediatamente l’altro.Dipendenza, rapporto.Legame o rapporto esistente tra due o più grandezze. Rapporto o legame di natura economica, affettiva e sim. Tra persone. Rapporto orale o scritto svolto su un incarico o un dato argomento. SOLO (lat. SŌLUM, dalla radice indoeurope *SĒ- a che indica “separazione”. v. severo, sobrio) Chi è senza compagnia, che non ha nessuno accanto, vicino, o insieme. Nella locuzione DA SOLO, senza aiuto, intervento, unito o no a un pronome personale. Specialmente al plurale, che è in compagnia unicamente della persona di cui si parla, escludendo chiunque altro. Quando ha valore restrittivo, significa “unico, singolo”; oppure significa “solamente, nessun altro che”. Detto di cosa semplice, senza altre aggiunte.Che risulta dall’unione di più cose uguali tra loro. Detto di composizioni riservate ad un unico interprete. Solitario, deserto, detto di luogo. STRANIERO (dall’antico fr. ESTRANGIER, da ESTRANGE “estraneo”. v. strangio) Relativo ad altro soggetto di diritto internazionale.Di persona avente la cittadinanza di uno stato estero. Che è proprio di un paese, di una nazione, e sim. Diversa dalla propria. Che si riferisce a un popolo nemico e invasore. Estraneo. Strano. Alieno. UNIONE (vc dotta, lat.UNIŌNE(M), da ŪNUS “uno solo”, ma tardo nel senso attuale). Atto, effetto dell’unire o dell’unirsi. Contr. Separazione. Ciò che risulta dall’unione di due o più elementi, spec. Associazione di persone munite o meno di personalità giuridica. Armonica intesa, accordo, concordia.

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Un progetto di e con

Alessandro Pisci e Pasquale Buonarota Materiale didattico e documentazione a cura di

Monica Delmonte