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Rapporto Industria 2030Copyright © 2016 Nomisma SpaEdito da A.G.R.A. SrlVia Nomentana 25700161 Romatel +39 0644254205fax +39 0644254239e-mail [email protected]

Stampanel mese di giugno 2016

Realizzazione editoriale A.G.R.A. SrlIllustrazione di copertina: Immaginazione SrlStampa: Tipolitografia CSR - Roma

Nomisma Società di Studi Economici SpaStrada Maggiore 44Palazzo Davia Bargellini40125 Bolognatel +39 0516483111fax +39 051232209www.nomisma.it

Tutti i diritti sono riservati a Nomisma Spa Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o utilizzata in alcun modo, escluse le citazioni giornalistiche, senza l’autorizzazione scritta di Nomisma Spa, né con mezzi elettronici né meccanici, incluse fotocopie, registrazione o riproduzione attraverso qualsiasi sistema di elaborazione dati.

Consiglio di AmministrazionePiero Gnudi – PresidenteAntonio CalabròVittorio CalvanicoGiampiero CalzolariMaurizio CarfagnaCarlo CimbriEmanuele DegennaroLuca Dondi dall’OrologioCarlo GherardiAndrea E. GoldsteinLuca LucaroniGiovanni PecciJuan Enrique Perez CalotGabriele PicciniMosè PietrobelliStefano RossettiGiulio SantagataGiordano VillaFrancesco Cozza – Segretario

Comitato ScientificoGian Maria Gros-Pietro – PresidenteMarco FortisFranco MosconiGiorgio ProdiGianfranco ViestiGiovanni Pecci – Segretario

Questo rapporto è stato redatto da Olana Bojic, Federico Frattini, Boris Popov, Giorgio Prodi e Concetta Rau, con il contributo di Francesco Capobianco, Luca Incipini ed Eulàlia Rifé Soler, e sotto il coordinamento scientifico di Andrea E. Goldstein. In particolare, Federico Frattini e Giorgio Prodi hanno curato il capitolo 4.Ilaria Vesentini ha coordinato il contributo di CRIF al progetto di ricerca. I risultati preliminari di Industria 2030 sono stati discussi dal Comitato Scientifico di Nomisma a Milano il 16 maggio 2016.Segreteria di redazione, cartografia e infografica a cura di Vanessa Albertini, realizzazione editoriale a cura di Patrizia Gozzi.

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Executive Summary

Nomisma, con il Progetto Industria 2030 realizzato in collaborazione con CRIF, ha avviato un percorso pluriennale per riflettere a cadenza periodica sulle dinamiche del sistema industriale italiano, i driver sistemici della compe-titività e la costruzione di strumenti per la politica industriale. Con l’obiettivo ultimo di capire come in Italia si possa vivere un nuovo Rinascimento del manifatturiero che contribuisca all’obiettivo fissato dal programma Europa 2020 di aumentare il contributo del valore aggiunto manifatturiero nel PIL comunitario (che, vale sempre la pena sottolinearlo, è il maggiore al mondo) dall’attuale 15% al 20%.

Il “numero zero” del Progetto Industria 2030 si concentra sul macro-set-tore delle macchine strumentali destinate allo svolgimento di processi mani-fatturieri dell’industria e dell’artigianato, una delle più importanti filiere del Made in Italy. Lo studio ha offerto l’opportunità di ottenere un quadro aggior-nato del settore e di identificare i punti di forza e di debolezza alla luce dei cambiamenti in atto nello scenario competitivo internazionale.

Una prima incoraggiante considerazione è che il settore della meccanica strumentale rappresenta uno dei settori trainanti per l’export italiano, con un ammontare di €30,3 mld nel 2015 - pari al 7,3% del totale delle esportazioni - e un surplus di bilancia commerciale che si attesta a circa €24,2 mld, il 53,5% dell’intero saldo positivo del Paese. In un’ottica di medio periodo, e cioè dal 2007, il risultato è meno incoraggiante: l’export è cresciuto ad un tasso medio annuo dell’1% e il miglioramento dell’avanzo commerciale si spiega innanzi-tutto con il crollo dell’import. Un dato che può implicare per le imprese italia-ne un calo preoccupante nell’ammodernamento del proprio parco macchine.

L’andamento complessivamente positivo è il risultato di dinamiche artico-late, con differenze sostanziali: da una parte l’ottima performance dei produt-tori di macchine per l’industria alimentare (+37,8% tra il 2007 e il 2015), per il packaging (+29,8%), per l’industria della carta e del cartone (+28,6% anche se in calo rispetto al 2014) e per l’agricoltura (+21,7%); dall’altra le macchine de-stinate al settore metallurgico che registrano un trend di periodo decisamente negativo (-30,2%) e un calo del 7,6% nell’ultimo anno.

L’analisi dei mercati di destinazione certifica la riconfigurazione tenden-ziale tra macro-aree geografiche e la recente flessione nelle economie emer-

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genti, in particolare in Cina. Tra i mercati tradizionali, l’Europa (in cui giocano un ruolo preponderante i Paesi UE) si conferma anche nel 2015 il principale mercato di sbocco delle macchine, mentre si allarga significativamente la quo-ta del Nord America; dall’altro, si contrae dal 17,1% nel 2011 al 12,8% nel 2015 la quota di export verso l’Asia orientale (che rimane tuttavia ancora la seconda area geografica per importanza) e contemporaneamente aumenta in maniera considerevole quella dell’Africa (7% nel 2015 dal 5,8% del 2007), a riprova della natura globale del settore.

L’evoluzione della market share italiana sui mercati internazionali eviden-zia che, seppur tuttora alle prime posizioni delle graduatorie mondiali ed in-vero con una quota che è ben più alta rispetto al peso del nostro Paese nell’e-conomia mondiale, il Made in Italy della meccanica strumentale non sembra pienamente capace di soddisfare la crescente domanda estera. All’interno dei paesi membri del G20, la crescita del valore esportato dal 2007 al 2014 è stata insufficiente per conservare la quota di mercato dell’Italia, che dal 9,3% del commercio totale è scesa all’8,2%. Soltanto nelle macchine automatiche per il confezionamento e l’imballaggio (dove all’incirca un macchinario su quattro venduto nel mondo è tricolore) e nei macchinari destinati all’industria della carta e del cartone il saldo è positivo, mentre gli altri comparti vedono diluirsi la rispettiva quota di mercato.

Nel dettaglio, nell’Unione Europea (primo partner commerciale in termini di macro-area geografica) il valore dell’import dall’Italia si è contratto del 9%, mentre le importazioni totali di beni strumentali sono cresciute del 6%. Ciò ha determinato un forte calo della quota di mercato italiana (da 13,6% nel 2007 a 11,7% nel 2014). Nei paesi extra-europei del G20, la quota di mercato italiana tende a rimanere stabile, oscillando tra 6,4% e 7%. Aumenta solo in Brasile (da 14,4% a 16,4%), è in progressiva discesa in Russia, rimane stabile anche se di dimensioni contenute negli Stati Uniti e in Cina, non supera il 3% in Giappone e Corea.

In sintesi, si denota una perdita di competitività in Europa, e in particolar modo in alcuni mercati strategici per le imprese italiane come Francia e Spa-gna. D’altro canto in paesi più lontani, in cui una sempre maggiore apertura si accompagna a tassi di crescita elevati, i costruttori italiani non riescono ad au-mentare la propria presenza relativa e a cogliere, quindi, tutte le opportunità.

Tra Italia, Germania e Cina si rilevano importanti differenze strutturali nel profilo dell’export di macchine industriali. Il nostro Paese tende a concentrare relativamente meno le proprie esportazioni, anche se la Cina si sta allineando grazie ad una spiccata capacità di penetrazione dei nuovi mercati. Al rischio che risulta dalla concentrazione dei mercati di destinazione si accompagna quello idiosincratico di ciascun mercato, misurato dagli indici di rischiosità dell’OCSE. In questo caso per Italia e Germania le esportazioni verso paesi ad

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elevata rischiosità sono calate dal 2007, mentre per la Cina sono proprio i paesi a maggior profilo di rischio a fare da traino. Le imprese cinesi hanno insom-ma reagito in maniera completamente diversa rispetto ai concorrenti europei, continuando a crescere sui mercati maturi e più stabili (ed erodendo la market share italiana), ma allo stesso tempo puntando molto sui frontier markets – cer-tamente più rischiosi da un punto di vista macro-economico, sociale e politico, ma con enormi potenzialità in termini prospettici. I dati confermano, inoltre, che la distanza media dei mercati di destinazione è aumentata sugli otto anni di analisi e in modo più significativo per Italia e Germania; dal 2011 però, in maniera quasi contemporanea, si registra un’inversione di tendenza per tutti i paesi – forse una fluttuazione ciclica, anche se non si può escludere che sia il segnale di un aumento dell’instabilità geopolitica e quindi dell’accorciamento delle catene globali del commercio.

La forza competitiva della meccanica strumentale e la sua capacità di inter-nazionalizzarsi sono confermate dall’analisi delle 225 principali aziende del settore con un fatturato superiore a €20 mln nel 2014, realizzata attraverso la banca dati CRIF-Cribis D&B. Sono imprese di medie dimensioni, posizionate per la maggior parte in Lombardia (28,9%), Emilia-Romagna (26,2%) e Veneto (24%) e che sono state fondate prima degli anni Novanta (71%). Poche le im-prese meridionali (1,3%) e quelle del XXI secolo sono 12,9% .

I ricavi aggregati degli Hidden Champions si attestano a €21,7 mld nel 2014, in crescita del 21,3% rispetto al 2007 (€17,9 mld). Una tendenza che si è inter-rotta due volte in un periodo tanto ridotto, in coincidenza dei due shock reces-sivi che hanno condizionato l’intera economia nazionale: una battuta d’arresto pesantissima nel 2009 (-25,1%) e una più moderata nel 2012 (-4,3%). Emerge in maniera netta, però, una forte disomogeneità di performance tra le imprese e tra i diversi comparti del settore: il 20% delle imprese con tassi di variazione più elevati dei ricavi ha visto in media più che raddoppiare il proprio fatturato tra il 2007 e il 2014, mentre per il 20% delle imprese con i tassi di variazione peggiori c’è stata mediamente una contrazione del 35,2%.

Nel dettaglio dei singoli comparti, spiccano le performance delle macchine per il settore metallurgico (+88,1%), del packaging (+38,8%) e delle macchine legate all’agricoltura e silvicoltura (+23,5%). Le macchine per l’industria ali-mentare e quelle per le materie plastiche hanno registrato una performance leggermente al di sotto della media del settore, con una crescita dei ricavi ri-spettivamente del 20,4% e del 18,4%; lieve la crescita per la fabbricazione di macchine per la formatura dei metalli e di altre macchine utensili (+4,7%) e per la carta e cartone (+4,2%). Gli unici due sotto-settori a registrare una dimi-nuzione del giro d’affari sono le macchine per impieghi speciali (-3,7%) e in particolar modo le macchine per le industrie tessili, dell’abbigliamento e del cuoio (-25,3%), un dato che non sorprende alla luce della crisi strutturale che

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ha investito l’intera filiera in Italia. Coscienti sia del loro ruolo nella società e nel territorio in cui operano, sia dell’opportunità di non disperdere un patri-monio di competenze e know-how accumulato nel tempo, le imprese hanno scelto di preservare l’occupazione anche laddove ciò poteva implicare una riduzione dei margini. In ogni caso, nonostante ci sia stato un calo di redditi-vità, gli indicatori di redditività permangono su valori piuttosto elevati.

Il progressivo aumento dell’indice di patrimonializzazione mostra come negli ultimi anni sia tendenzialmente aumentato il ricorso all’autofinanzia-mento, a scapito dei tradizionali canali bancari. Interessante in particolare come siano le imprese più piccole a mostrare i livelli di capitalizzazione più elevati. Se una rinnovata attenzione alla composizione e all’utilizzo delle varie fonti di capitale può essere valutata come un comportamento adeguato, d’al-tra parte la rincorsa a livelli elevati di capitalizzazione potrebbe segnalare la mancanza o l’incapacità di individuare effettive opportunità di investimento. Ancor più alla luce di un miglioramento del grado di liquidità complessivo, con una finestra temporale tra pagamento dei debiti e riscossione dei crediti che è andata progressivamente riducendosi rispetto al 2009.

Sul tema dell’internazionalizzazione, un numero crescente dei campioni della meccanica strumentale dispone di filiali estere, passate nel complesso da 337 a 531 (di 194 nuove filiali 37 sono in Europa, 8 negli USA e 149 nel resto del mondo). Gli investimenti diretti consentono di radicarsi sul mercato globale per rinsaldare i rapporti con i clienti, accedere a input specifici, migliorare la capacità d’innovare e fare ricerca. Risalta però anche il numero ancora molto consistente di imprese (127 nel 2007 e 122 nel 2014 per l’esattezza) che non hanno nessuna presenza all’estero.

I modelli di proprietà e controllo sono in linea con quelli caratteristici del capitalismo italiano, che è notoriamente a controllo e gestione familiare. Po-chissime sono le quotate (Danieli, CNH Industrial, IMA, Prima Industrie, Biesse e Fidia) e in generale predomina la proprietà italiana (82,7%), anche se ci sono state varie acquisizioni estere. Per quanto riguarda la gestione, nel 2014 per metà delle imprese è familiare (50%), nel 22% dei casi le responsabi-lità apicali fanno capo a manager esterni alla famiglia e nel 28% la proprietà è nelle mani di investitori finanziari. Scarsa la diversità nei consigli d’ammi-nistrazione e tra le figure apicali: le amministratrici sono poche (16%), anche se la loro quota sta progressivamente aumentando, e le donne al vertice sono rara avis (appena 27). L’età media del top management tende ad aumentare, malgrado un progressivo ringiovanimento nelle imprese con un fatturato su-periore a €250 mln. Fattori tutti di preoccupazione perché al consiglio servono competenze complementari per svolgere le tre funzioni di controllo del mana-gement, di leadership strategica e di supporto.

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Cosa pensano le imprese di se stesse? Una serie di interviste in profondità, ma anche una lettura “in diagonale” delle descrizioni sui siti web, trasmettono un’immagine di forte consapevolezza della propria forza. La competitività si fonda su competenze ingegneristico-tecnologiche all’avanguardia, creatività nella fase di concezione e ideazione, flessibilità nell’adattare il prodotto alle esigenze del cliente e fornitura di servizi personalizzati di assistenza tecnica post-vendita. Tutti aspetti competitivi difficilmente replicabili dai concorrenti esteri, a fronte dei quali le imprese italiane ritengono invece giochi a sfavore la ridotta dimensione aziendale e la mancanza di un adeguato sostegno da parte delle istituzione pubbliche, soprattutto rispetto ai tedeschi.

In un orizzonte di medio periodo, agganciare il treno di Industria 4.0 ri-chiede diffusione tecnologica, sforzo innovativo e adattamento organizzativo. L’analisi dei percorsi d’innovazione e apprendimento tecnologico, realizzata sempre sul campione delle 225 aziende, si è concentrata sulle domande di brevetto depositate presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM), l’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO) e l’Ufficio Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO) tra il 2007 e il 2014. La maggioranza delle imprese (75%) ha realiz-zato attività brevettuale, anche se competono su scala diversa. Tra questi 168 technology leader, 49 (29%) competono prevalentemente su scala nazionale, 55 (33%) prevalentemente europea e le restanti 64 (38%) prevalentemente mon-diale. L’attività di sviluppo tecnologico è più intensa nei comparti delle mac-chine per l’industria alimentare e per il packaging, dove risalta il ruolo di singole imprese capaci di trainare, per intensità e specializzazione, i compor-tamenti dei loro comparti di riferimento. A loro volta, comparti come quel-lo delle macchine utensili e delle macchine per il packaging rappresentano il maggiore bacino di sviluppo tecnologico della meccanica strumentale italia-na con, rispettivamente, 25% e 24% dell’output tecnologico del settore. Resta un quarto delle imprese che invece assumono le caratteristiche di technology follower.

Per quanto riguarda l’impiego delle Key Enabling Technologies (KET) – mul-tidisciplinari, trasversali a numerosi ambiti tecnologici e con una valenza sistemica nello stimolare percorsi di convergenza e integrazione – le appli-cazioni sono per il 70% riconducibili alla robotica e all’automazione, ambiti caratterizzati da una più stretta prossimità tecnologica con i processi che ca-ratterizzano il settore della meccanica strumentale. La diversificazione nelle applicazioni delle tecnologie afferenti ai domini delle KET è maggiormente connessa, invece, ad ambiti produttivi emergenti o dai contorni meno definiti. Ciò è coerente con il processo di contaminazione e convergenza tecnologica stimolato dalle stesse KET. Ciononostante suscita preoccupazione il fatto che, secondo il 90% delle aziende leader, sia scarsa la diffusione nelle filiere di pratiche ormai standard come RFID (identificazione e memorizzazione auto-

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matica di informazioni) e l’e-commerce – senza le quali la quarta Rivoluzione industriale è una semplice formula.

In definitiva, il quadro che emerge dalle statistiche globali riguardanti il commercio e dall’analisi dell’attività brevettuale, dai dati e dalle informazioni estrapolate dai documenti contabili, nonché da una ricca attività di ascolto degli operatori del settore è quello di un comparto che compete con successo, ma anche di una competizione sempre più agguerrita. Anche se la dimensione d’impresa costituisce tuttora un freno alla crescita, si assiste a un progressivo irrobustimento e sofisticazione degli assetti proprietari, dei meccanismi di fi-nanziamento, delle strategie d’innovazione e internazionalizzazione. Ci sono molti punti di forza, alcuni non facilmente replicabili dai competitor, ma anche incertezze e fragilità sistemiche, condizioni che potrebbero far perdere oppor-tunità o addirittura trasformarsi in criticità in una prospettiva di più lungo periodo.

La percezione delle imprese è di un debole e non adeguato sostegno dal-le istituzioni pubbliche, anche se non è sempre precisa l’identificazione degli ambiti in cui l’azione pubblica italiana è più carente. Ciò si riflette nella neces-sità di disegnare una politica industriale in grado di accelerare le dinamiche innovative delle imprese, ma con coscienza che non sono pochi i tentativi at-tuati in passato che sono serviti a poco, soprattutto perché hanno eccessiva-mente disperso l’intervento, sottovalutato l’importanza di disporre di istitu-zioni adeguate per implementarlo e omesso di investire nella cultura e pratica della sua valutazione.

La lettura dei documenti con cui i nostri principali partner e concorrenti si preparano al nuovo paradigma di Industria 4.0 offre spunti interessanti. Per ripartire con una politica industriale capace di essere ancora attuale in un orizzonte che arrivi al 2030 ed oltre si dovrebbe agire in diverse direzioni. In particolare, passando da considerazioni più generali, ma non per questo meno importanti, a forme d’intervento più specifiche l’indagine ha permesso di indentificare queste priorità:

• rinforzare la capacità d’indirizzo generale della politica economica per costruire uno Stato che si dedichi a migliorare la qualità dell’offerta e che, in un’ottica di merito, dedichi particolare attenzione alla riduzione delle disparità territoriali, particolarmente evidenti nel manifatturiero;

• approfondire la concorrenza, strumento particolarmente efficace nel permettere la diffusione delle tecnologie più innovative, che è il vero driver dell’aumento delle produttività, della competitività e pertanto della crescita economica;

• migliorare la dotazione di infrastrutture fisiche e di comunicazione, consentendo così alle imprese di accedere alle global value chains e rea-lizzare il potenziale di Industria 4.0 e della convergenza tra manifattura

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e mondo digitale;• individuare le istituzioni per un ecosistema industriale moderno e com-

petitivo, privilegiando quelle che – attraverso la produzione di una se-rie di beni pubblici come convocazione, coordinamento, condivisione e riduzione dei rischi – generano interdipendenze sul territorio tra attivi-tà diverse ma complementari;

• favorire la crescita dimensionale e il ricambio generazionale delle im-prese, irrobustendone le fondamenta finanziario-patrimoniali e le com-petenze tecno-organizzative, valutando anche l’opportunità di misu-re specifiche per alleggerire il carico tributario sulle plusvalenze delle eventuali cessioni, ove reinvestite;

• rendere la fiscalità più semplice e meno onerosa, nel quadro di una ri-forma complessiva che riduca le distorsioni, incentivi l’assunzione di rischi imprenditoriali, anche attraverso l’estensione dei crediti d’impo-sta automatici, e garantisca gli equilibri macroeconomici;

• rafforzare il sistema di supporto finalizzato a favorire la presenza sui mercati esteri, continuando negli sforzi degli ultimi anni che hanno vi-sto la leadership politica spendersi e mostrarsi anche a fianco di settori del Made in Italy che sono meno glamour che la moda o il cibo;

• prendere coscienza del ruolo dello Stato stratega nell’aiutare imprese e individui ad investire nel capitale umano e nell’affrontare le crisi con un welfare che riduca le alee dei percorsi professionali, in particolare attraverso la scuola superiore professionale e tecnica;

• allargare l’offerta di formazione ingegneristica e scientifica per raf-forzare le competenze richieste da nuove tecnologie come l’additive manufacturing o la realtà aumentata;

• rendere la qualità degli inventori accademici più visibile e comprensi-bile al mondo delle imprese per favorire le collaborazioni, soprattutto nelle regioni più avanzate;

• indirizzare la programmazione 2014-20, appena avviata, verso azioni a favore della ricerca e dell’innovazione e di sostegno alla competitività delle imprese, per sfruttare le opportunità consentite dai fondi struttu-rali.

Non va infine dimenticato che le politiche industriali devono rimanere co-erenti con l’obiettivo di garantire la coesione sociale e la crescita sostenibile. Una preoccupazione che deve rimanere centrale di fronte alla possibilità che il progresso tecnico e l’automazione dei processi di produzione e commercializ-zazione siano all’origine di un vero e proprio tsunami occupazionale.

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NOMISMA realizza att ività indipendenti di ricerca e consulenza economica per im-prese, associazioni di categoria e istituzioni pubbliche, a livello nazionale e interna-zionale.Competenze specialistiche, metodi qualitativi e quantitativi di analisi, capacità di in-terpretazione, innovazione nella comunicazione dei risultati: su queste basi Nomisma off re da più di 30 anni un prodott o di integrato a sostegno dei processi decisionali dei propri clienti.Nomisma presidia oggi molti ambiti dell’economia - sett ore immobiliare, industria, agroalimentare, territorio, terzo sett ore - off rendo servizi di monitoraggio, analisi e assistenza tecnica in molteplici forme, dalla valutazione immobiliare al monitoraggio dei mercati internazionali del Made in Italy, da progett i di rigenerazione urbana a studi d’impatt o. Grazie alla forte esperienza nello sviluppo e gestione di osservatori permanenti, No-misma rappresenta un punto di riferimento per la produzione di dati originali con cui leggere i fenomeni economici in chiave att uale e prospett ica.

CRIF è un’azienda globale specializzata in sistemi di informazioni creditizie (SIC) e di business information, servizi di outsourcing e processing e soluzioni per il credito.La mission che guida le persone di CRIF è creare valore, supportando le aziende nel miglioramento delle performance e i consumatori nella gestione consapevole del pro-prio credito att raverso una gamma completa di soluzioni e competenze professionali. CRIF supporta banche, istituti fi nanziari, confi di, assicurazioni, società di telecomu-nicazioni e media, utilities e società energetiche, e imprese in oltre 50 paesi in ogni fase della relazione con il cliente.CRIF att ualmente è il primo gruppo nell’Europa continentale nel sett ore delle cre-dit information bancarie e uno dei principali operatori del mercato internazionale dei servizi integrati di business & commercial information e di credit & marketing ma-nagement. Oggi 3.300 banche e società fi nanziarie e oltre 44.000 imprese utilizzano dirett amente i servizi CRIF in 50 Paesi. Inoltre, come Agenzia di Credit Rating registrata in UE, prima società in Italia, CRIF fornisce valutazioni sul merito creditizio di grandi e medie imprese italiane.

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