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I Rassegna Previdenziale n. 2 - maggio-agosto 2007 SOMMARIO L’ARGOMENTO DEL MESE - Il regime contributivo delle somme corrisposte a seguito di rinuncia e transazione e delle altre somme connesse alla cessazione del rapporto di lavoro Pag. III PRASSI AMMINISTRATIVA - Agevolazioni contributive in caso di assunzione di lavoratori disoccupati Attestazione dello status di disoccupazione Pag. XIII - Corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità - Permessi mensili per assistenza a disabile grave - Omessa istituzione e omessa esibizione dei libri paga e matricola - Chiarimenti del Ministero del Lavoro - Permessi per l’assistenza dei familiari a disabili gravi - Nuovi principi in tema di continuità ed esclusività - Incentivo al posticipo al pensionamento e disciplina del cumulo tra pensione e reddito da lavoro - Archiviazione elettronica dei documenti di lavoro Risposta del Ministero del Lavoro a interpello - Iscritti alla gestione separata - Diritto alle cure termali - Diritti previdenziali del cittadino straniero nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno - Contributo per gli apprendisti – Ripartizione tra le varie gestioni della quota a carico dei datori di lavoro FATTI E VICENDE DEGLI ENTI DI PREVIDENZA - INPS- Misure adottate per la tutela dei dati personali Pag. XXVIII - INPS Esercizio di azioni surrogatorie relative alle indennità erogate dall’Istituto per malattia causata da terzi SI RAMMENTA CHE ……… - Ammortizzatori sociali – Cause di decadenza dai trattamenti previdenziali e da altre indennità o sussidi erogati ai lavoratori disoccupati o sospesi dal lavoro Pag. XXXV - Infortuni sul lavoro – Indennità giornaliera per lavoratore con più rapporti di lavoro a part-time - Il massimale contributivo e pensionabile per i “nuovi iscritti” agli Enti di previdenza dopo il 31 dicembre 1995

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Page 1: Rassegna Previdenziale n. 2 - maggio-agosto 2007 SOMMARIO L’ARGOMENTO … · 2012. 2. 13. · Rassegna Previdenziale n. 2 - maggio-agosto 2007 SOMMARIO ... ordinanza n. 190 del

I

Rassegna Previdenziale n. 2 - maggio-agosto 2007

SOMMARIO L’ARGOMENTO DEL MESE

- Il regime contributivo delle somme corrisposte a seguito di rinuncia e transazione e delle altre somme connesse alla cessazione del rapporto di lavoro

Pag. III

PRASSI AMMINISTRATIVA

- Agevolazioni contributive in caso di assunzione di lavoratori disoccupati Attestazione dello status di disoccupazione

Pag. XIII

- Corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità - Permessi mensili per assistenza a disabile grave - Omessa istituzione e omessa esibizione dei libri paga e matricola -

Chiarimenti del Ministero del Lavoro

- Permessi per l’assistenza dei familiari a disabili gravi - Nuovi principi in tema di continuità ed esclusività

- Incentivo al posticipo al pensionamento e disciplina del cumulo tra pensione e reddito da lavoro

- Archiviazione elettronica dei documenti di lavoro Risposta del Ministero del Lavoro a interpello

- Iscritti alla gestione separata - Diritto alle cure termali - Diritti previdenziali del cittadino straniero nelle more del rinnovo del

permesso di soggiorno

- Contributo per gli apprendisti – Ripartizione tra le varie gestioni della quota a carico dei datori di lavoro

FATTI E VICENDE DEGLI ENTI DI PREVIDENZA

- INPS- Misure adottate per la tutela dei dati personali Pag. XXVIII - INPS Esercizio di azioni surrogatorie relative alle indennità erogate

dall’Istituto per malattia causata da terzi

SI RAMMENTA CHE ………

- Ammortizzatori sociali – Cause di decadenza dai trattamenti previdenziali e da altre indennità o sussidi erogati ai lavoratori disoccupati o sospesi dal lavoro

Pag. XXXV

- Infortuni sul lavoro – Indennità giornaliera per lavoratore con più rapporti di lavoro a part-time

- Il massimale contributivo e pensionabile per i “nuovi iscritti” agli Enti di previdenza dopo il 31 dicembre 1995

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II

NORMATIVA COMUNITARIA E CONVENZIONI INTERNAZIONALI

- Lavoratori italiani distaccati in Francia ai sensi dell’art. 17 del Regolamento CEE n. 1408/71 – Nuova modulistica

Pag. XLI

CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO

- Perentorietà del termine per la opposizione contro le cartelle esattoriali - Precisazioni dell’INPS

Pag. XLII

GIURISPRUDENZA

- Assenza del lavoratore alle visite mediche di controllo - Cause di giustificazione: concomitante visita specialistica Corte di Cassazione: sentenza n. 3921 del 20 febbraio 2007

Pag. XLIV

- Integrazioni salariali - Decadenza dal diritto in caso di svolgimento di attività lavorativa – Corte costituzionale: ordinanza n. 190 del 1996 Corte di Cassazione: sentenze 11679 del 2005 e 4004 del 2007

- Congedo straordinario per assistere il disabile - Diritto del coniuge convivente Corte costituzionale: sentenza n. 158 dell’8 maggio 2007

LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

- Previdenza complementare – Destinazione del trattamento di fine rapporto – Casistica varia - Direttive interpretative della COVIP

Pag. L

Coordinatore Editoriale Luigi Bardi Hanno collaborato Francesco Banzatti, Laura Bernini e Federico Binik

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III

L’ARGOMENTO DEL MESE

IL REGIME CONTRIBUTIVO DELLE SOMME CORRISPOSTE A SEGUITO DI RINUNCIA E TRANSAZIONE E DELLE ALTRE SOMME CONNESSE ALLA

CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO In materia di diritto del lavoro, principalmente in occasione della cessazione del rapporto di lavoro subordinato, le vertenze possono trovare soluzione in atti di conciliazione che prevedono un accordo transattivo tra le parti o un atto di rinuncia da parte del lavoratore. Ciò al fine di evitare che le stesse possano sfociare in una lite giudiziaria o che questa, una volta iniziata, possa proseguire. Gli istituti della rinuncia e della transazione, per questo importante ruolo che rivestono all’interno dell’ordinamento giuridico, trovano una specifica disciplina legale nell’art. 2113 del codice civile, il quale sancisce l’invalidità di tutte le rinunzie e di tutte le transazioni che abbiano per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi. Tanto la dottrina1, quanto la giurisprudenza2, sono concordi nel ritenere che l’invalidità sancita dall’articolo in questione sia da includere nella species dell’annullabilità, dal momento che quest’ultima può essere fatta valere soltanto dal lavoratore interessato ed entro il termine di decadenza di sei mesi, trascorso il quale il negozio invalido viene sanato3. Lo stesso articolo 2113 c.c., al quarto comma, comunque precisa che esistono alcune rinunzie e alcune transazioni che non sono impugnabili: si tratta di quelle intervenute nell’ambito di una conciliazione in sede sindacale, presso le Commissioni provinciali di conciliazione o davanti al Giudice del lavoro. Pertanto, qualora datore di lavoro e lavoratore pervengano ad una composizione transattiva di una lite in materia di lavoro, avente ad oggetto diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi, è opportuno che l’accordo sia formalizzato presso una sede idonea a garantire l’inoppugnabilità dell’intesa, nel rispetto delle procedure previste. Tale disposizione non opera, chiaramente, qualora si verta in tema di diritti indisponibili, i quali sono irrinunciabili e intransigibili (in linea di massima si tratta di diritti posti a tutela della personalità morale o dell’integrità fisica del prestatore di lavoro o quelli qualificati come tali da norme di legge di carattere speciale). Esistono in ogni caso dei diritti di cui il lavoratore può liberamente disporre, senza che i relativi negozi dismissivi siano assoggettabili alla disciplina dell’art. 2113 c.c.. In particolare non sono sottoposti a questo regime di invalidità gli atti relativi al recesso del rapporto di lavoro, sia da parte del lavoratore (dimissioni)4, che da parte del datore di lavoro (licenziamento)5, ovvero per mutuo

1 Mazzotta, Diritto del lavoro, Milano, 2002, p. 834 e ss; Ghera, Diritto del lavoro, Bari, 2002, p. 232. 2 Cassazione, sentenza n. 12561 del 26 maggio 2006; sentenza n. 11181 del 14 dicembre 2006 e sentenza n. 10575 del 5 novembre 1990. 3 L’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità (si vedano per tutte: Cassazione sentenza n. 10349 del 5 agosto 2000 e sentenza n. 12548 del 14 dicembre 1998) ritiene che si debba distinguere tra: A) atti che dispongono per il futuro del rapporto, relativamente ad un diritto non ancora acquisito e diretti ad impedire al lavoratore l’acquisto del diritto nel momento cosiddetto genetico di esso (rinunce a diritti futuri), che sono radicalmente nulli ex art. 1418 c.c. per contrarietà a norma imperativa; B) atti dispositivi ormai acquisiti dal lavoratore, cioè entranti a far parte del suo patrimonio, derivanti da norma inderogabile di legge o di contratto o accordo collettivo, che sono soggetti invece all’art. 2113 c.c. e quindi al regime di invalidità previsto da tale disposizione. 4 La Corte di Cassazione (sentenza n. 2716 de 12 marzo 1998) ha osservato che le dimissioni del lavoratore subordinato sono riferibili ad un diritto disponibile dello stesso e quindi sottratte all’ambito di operatività dell’art. 2113 c.c., salvo che siano poste in essere nell’ambito di un atto negoziale complesso, il cui contenuto investa anche altri diritti del prestatore derivanti da disposizioni inderogabili di legge o dall’autonomia collettiva, atto che pertanto risulta soggetto al precetto posto da detta norma in relazione al suo intero contenuto.

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IV

consenso delle parti6, nonché i diritti la cui fonte è il contratto individuale di lavoro (ad esempio i cosiddetti superminimi) e quei diritti che trovano la propria fonte nella contrattazione collettiva in disposizioni “ auto qualificate” come derogabili7. Tuttavia, nella prassi, accade spesso che tali atti (dimissioni, rinuncia all’impugnazione del licenziamento e risoluzione consensuale) siano posti in essere in un contesto più ampio e siano accompagnati da rinunce del lavoratore ad avanzare qualsiasi rivendicazione in ordine a diritti già acquisiti e connessi con il rapporto di lavoro. In questi casi, come precisato dalla Cassazione, l’atto entra a far parte di un negozio transattivo più complesso, che può riferirsi anche a diritti inderogabili della legge e della contrattazione collettiva, con la conseguente ricomprensione del negozio dimissorio nell’ambito di applicabilità dell’art. 2113 c.c.. Ricorrendo tale ipotesi è senz’altro appropriato che l’intesa conciliativa nel suo complesso, che verosimilmente conterrà anche una rinuncia del lavoratore ad avanzare ulteriori pretese comunque connesse con l’intercorso rapporto di lavoro, anche con riferimento a diritti inderogabili, sia formalizzata presso una delle sedi contemplate dal quarto comma dell’art. 2113 c.c.. Ai fini dell’individuazione dei negozi impugnabili, l’art. 2113 c.c. opera soltanto un generico riferimento alle rinunce e alle transazioni. Onde non incorrere in errori interpretativi è pertanto necessario procedere a un’attenta definizione e analisi di tali categorie di atti negoziali. La nozione di rinuncia La rinuncia costituisce un negozio giuridico unilaterale, a forma libera, con il quale la parte dismette un diritto di cui può disporre; la rinuncia è un negozio giuridico non recettizio, dal momento che non deve necessariamente essere portato a conoscenza di terzi perché l’effetto estintivo si produca8. Affinché si possa avere una rinuncia, ai sensi dell’art. 2113 c.c., è necessaria una manifestazione chiara e consapevole di privarsi di specifici e determinati o determinabili diritti. A livello soggettivo l’atto dispositivo o abdicativo deve essere compiuto da chi, avendo la capacità di disporre del diritto, ne abbia anche la titolarità. A livello oggettivo è necessario che la rinuncia riguardi un diritto soggettivo disponibile, determinato o determinabile9. Il lavoratore deve avere l’esatta rappresentazione dei diritti che intende dismettere in favore del datore di lavoro, con la conseguenza che, per i diritti a cui non sia fatto chiaro ed esplicito riferimento, non possa parlarsi di rinuncia, bensì di semplice manifestazione di convincimento soggettivo del lavoratore (dichiarazione di scienza), priva di efficacia negoziale e tale da non precludere l’azione giudiziaria volta al soddisfacimento di quei medesimi diritti10. Pertanto, al fine di evitare lo sviluppo di un eventuale contenzioso è consigliabile che le rinunce predisposte in occasione di conciliazioni tengano conto, con enunciazione dettagliata, di ogni diritto

5 La Corte di Cassazione (sentenza n. 13134 del 3 ottobre 2000) ha precisato che il lavoratore può liberamente disporre del diritto di impugnare il licenziamento, facendone oggetto di rinunce o transazioni che sono sottratte alla disciplina dell’art. 2113 c.c. Secondo la Cassazione, l’interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro rientra infatti nell’area della libera disponibilità, com’è desumibile dalla facoltà di recesso ad nutum di cui il medesimo dispone, dall’ammissibilità di risoluzioni consensuali del contratto di lavoro e dalla possibilità di consolidamento degli effetti di un licenziamento illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione. 6 Alle stesse conclusioni di cui alle note precedenti si giunge con riferimento alla ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto, ipotesi anch’essa ritenuta esclusa dall’ambito di applicazione della norma dell’art. 2113 c.c.(Cassazione, sentenza n. 12745 del 28 novembre 1992 e Tribunale di Milano, sentenza del 31 maggio 1996). 7 Cassazione sentenza n. 10089 del 12 ottobre 1993. 8 Cfr. Ferraro, Rinunzie e transazioni del lavoratore, in Enciclopedia giuridica Treccani, p. 2. 9 Cassazione, sentenza n. 11581 del 20 novembre 1997. 10 Cassazione, sentenza n. 15371 del 14 ottobre 2003.

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V

nascente dal rapporto, che il lavoratore sarebbe in grado di far valere in giudizio nei confronti del datore di lavoro11. La rinuncia può essere espressa dal lavoratore con o senza contropartite specifiche. La nozione di transazione La transazione è un contratto che presuppone una situazione di contrasto tra le parti, tale da aver già originato una lite ovvero da renderne possibile l’insorgenza, e che è diretto a comporre la vertenza mediante reciproche concessioni delle medesime parti. Questo contratto è disciplinato dall’art. 1965 c.c., che prevede al primo comma la fattispecie della transazione semplice e al secondo comma quella della transazione novativa. L’art.1967 c.c., a differenza della rinuncia per la quale è prevista la forma libera, prescrive per la transazione la forma scritta ad probationem. La transazione semplice è «il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già cominciata o prevengono una lite che può sorgere fra loro». Si tratta dunque di un contratto a prestazioni corrispettive, a carattere oneroso, i cui elementi caratteristici sono: - la situazione di incertezza; - la pendenza di una lite o la sua possibile pendenza (res dubia o litigiosa), che si concretizza in

discordi valutazioni in ordine ad una qualsiasi questione giuridicamente rilevante12; - le reciproche concessioni, attraverso le quali le parti prevengono o pongono fine alla lite13. La transazione semplice si realizza pertanto allorché le parti non abbiano inteso sostituire il rapporto obbligatorio originario con un rapporto nuovo e diverso, ma abbiano semplicemente voluto regolare, all’interno del rapporto preesistente, alcuni aspetti fonti di controversia attuale o potenziale14 . La transazione novativa, invece, si realizza quando, dall’esame dell’intento delle parti e dalle clausole contrattuali, risulti che la transazione è incompatibile con ciascuna delle obbligazioni nascenti dal precedente rapporto, sorgendo in tal modo dalla transazione un’obbligazione oggettivamente diversa da quella preesistente15. Il profilo novativo della transazione è rinvenibile nel capoverso dell’art. 1965 c.c., ma, più ancora, nell’art. 1976 c.c. ove è previsto che il rapporto preesistente venga estinto per novazione oggettiva. L’effetto della transazione novativa è, pertanto, quello di sostituire all’obbligazione originaria, che si estingue, un’obbligazione nuova per oggetto o per titolo, laddove la transazione semplice opera solo delle modifiche16. In questo caso il nuovo rapporto si impone come fonte autonoma di nuove obbligazioni, ancorché sia espressamente connesso con il rapporto originario, il quale è quindi semplice “occasione” ma non “causa” in senso tecnico-giuridico dell’accordo transattivo. All’interno dell’accordo novativo

11 A differenza della dottrina la giurisprudenza ammette, almeno in via di principio, la configurabilità della rinuncia tacita, consistente in un comportamento del lavoratore idoneo a manifestare la volontà negoziale di dimettere un proprio diritto (es: riscossione del TFR e rilascio di quietanza liberatoria a saldo) o in un comportamento omissivo del lavoratore, con la precisazione, tuttavia, che tale manifestazione di volontà deve essere accertata con assoluto rigore stante la posizione di contraente debole che assume il lavoratore (in tal senso vedasi: Cassazione sentenza n. 304 del 14 gennaio 1998 e sentenza n. 1735 del 18 febbraio 1998). 12 La Corte di cassazione (sentenza n. 3700 del 23 giugno 1984) ha avuto modo di precisare che se manca una reale lite da transigere non si può parlare di transazione, con la conseguenza che un atto di tal specie, anche se formalizzato in una delle sedi previste dall’art. 2113, comma 4, c.c. è nullo e liberamente impugnabile dal lavoratore che vi ha partecipato. 13 Ancora più in particolare la Suprema Corte (Cassazione sentenza n. 17817 del 7 settembre 2005) ricorda che, al fine di ritenere una transazione validamente perfezionata, è necessario da un lato che essa abbia ad oggetto una res dubia (e cioè che cada su un rapporto giuridico avente, almeno nella opinione delle parti, carattere di certezza) e dall’altro, che, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio, venutasi a creare tra loro, i contraenti si facciano concessioni reciproche. 14 Cassazione, sentenza n. 17817 del 7 settembre 2005 e sentenza n. 6662 del 15 maggio 2001. 15 Cassazione, sentenza n. 710 del 26 gennaio 1999 e sentenza n. 11330 del 15 novembre 1997. 16 F.Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli 2001, p. 1243.

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non può quindi farsi riferimento ai diritti vantati dalle parti; in caso contrario non sarà rilevabile quel titolo autonomo che sia in grado di evidenziare la reale volontà dei contraenti di estinguere le obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. A fronte di un riconoscimento anche solo implicito di diritti derivanti dal contratto di lavoro, un eventuale riferimento al carattere novativo della transazione si ridurrebbe perciò ad una mera clausola di stile. Seppure le distinzioni tra rinuncia e transazione siano peculiari, nell’art. 2113 c.c. si riscontra di fatto una sostanziale assimilazione tra i due negozi giuridici. Questa assimilazione trova giustificazione soprattutto nel fatto che i confini tra la volontà abdicativa e la volontà transattiva si presentano sfumati nelle controversie di lavoro, in cui la transazione, ancor più della rinuncia, si configura come negozio socialmente tipico di composizione della lite17. La conseguenza pratica è la tendenza di fare della transazione il principale strumento di composizione della controversia. Premesso questo doveroso, seppur essenziale, inquadramento giuslavoristico della fattispecie, è ora necessario concentrarsi sulla materia oggetto della trattazione, ossia quella dell’assoggettamento, o meno, a contribuzione delle somme corrisposte a seguito di rinuncia e di transazione, anche se, per le ragioni appena esposte, la trattazione delle somme corrisposte a titolo di rinuncia sarà, nel prosieguo dell’esposizione, concettualmente assorbita dal regime della transazione. Occorre premettere che gli aspetti previdenziali della materia sono da tempo oggetto di dibattito da parte di dottrina e giurisprudenza che, a fasi alterne, si sono pronunciate in un senso piuttosto che nell’altro. Lo scopo di questo studio è, pertanto, quello di fornire un quadro aggiornato di sintesi del regime contributivo delle somme corrisposte per effetto di rinunce e di transazioni, soprattutto a seguito dell’armonizzazione della base imponibile previdenziale con quella fiscale18. Determinazione della base imponibile: la disciplina contributiva ante D.lgs n. 314 del 2 settembre 1997 La questione dell’imponibilità previdenziale delle somme corrisposte nell’ambito di un negozio transattivo si è posta dopo che la nozione di imponibile previdenziale era passata dall’accezione di «tutto ciò che il lavoratore riceve per compenso dell’opera prestata»19, a quella di «tutto ciò che il lavoratore riceve…in dipendenza del rapporto di lavoro»20. Infatti, mentre nel primo caso era fuori di discussione che la somma corrisposta a titolo transattivo potesse essere considerata quale compenso per la prestazione lavorativa, problemi interpretativi sorgevano invece nell’applicazione della nuova formulazione. In dottrina e in giurisprudenza si discuteva se le somme erogate nell’ambito di un accordo transattivo fossero da considerare o meno erogate «in dipendenza del rapporto di lavoro»; ciò al fine di stabilire se dovessero o meno assoggettarsi a contribuzione. In particolare la questione si poneva in relazione alla transazione novativa. In merito, la Corte di cassazione aveva, in un primo tempo, esclusa l’assoggettabilità a contribuzione della somma corrisposta a titolo transattivo (fosse esso novativo o meno), affermando che essa non poteva rientrare nella nozione di retribuzione imponibile perché non derivava dal rapporto di lavoro nel suo reale contenuto, ma dal regolamento di interessi stabilito allo scopo di comporre la lite21. 17 Ghera, op. cit., p. 427. 18 L’armonizzazione della base imponibile previdenziale con quella fiscale è stata disposta dalle norme del Decreto legislativo n. 314 del 2 settembre 1997. 19 Decreto del Presidente della Repubblica n. 797 del 30 maggio 1955, art. 27 nella sua versione originaria (GU n. 206 del 7 settembre 1955). 20 Legge n. 153 del 30 aprile 1969, art. 12 nella sua formulazione originaria, prima dell’armonizzazione della base imponibile fiscale con quella previdenziale (vedasi nota n. 19). 21 Cassazione, sentenza n. 4605 del 13 agosto 1982 e sentenza n. 163 del 19 gennaio 1985.

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Secondo altre pronunce, il cui orientamento era divenuto con il tempo prevalente, la non assoggettabilità a contribuzione delle somme erogate nell’ambito di un negozio transattivo, di regola si applicava solo alle ipotesi di transazione novativa22. Ciò in quanto dette somme trovavano mera occasione e non causa nel rapporto di lavoro: non essendovi riconoscimento, neppure parziale, del diritto del lavoratore e non essendovi eliminazione della res dubia oggetto della legge, la giurisprudenza configurava tra il pagamento delle somme e il rapporto di lavoro solo un nesso di “occasionalità” e non di “dipendenza”23. L’occasionalità doveva risultare espressamente, essendo sufficiente che le parti avessero dato atto di aver concluso una transazione con l’unico scopo di evitare i rischi della lite24. In sostanza, occorreva indagare la volontà delle parti per stabilire se le obbligazioni assunte dal datore trovassero causa nel rapporto di lavoro (per esempio quando dall’accordo transattivo risultava il riconoscimento di una parte del credito) oppure trovassero causa nel negozio transattivo diretto ad eliminare la controversia insorta ed al conseguimento di fini che, nell’esaurito rapporto, trovavano soltanto “occasione”25. Determinazione della base imponibile: la disciplina contributiva attuale La questione dell’assoggettamento a contributi delle somme erogate nell’ambito di un negozio transattivo si è posta in modo differente dopo l’entrata in vigore del D.lgs n. 314 del 2 settembre 1997, in materia di armonizzazione delle disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente. L’art. 6 di tale decreto, sostituendo con effetto dal 1° gennaio 1998 l’art. 12 della legge n. 153 del 30 aprile 1969, ha infatti stabilito che costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini contributivi quelli di cui al primo comma dell’art. 46 (ora 49) del Testo unico sulle imposte dirette26 (TUIR), maturati nel periodo di riferimento. Secondo questa norma sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica e alle dipendenze e sotto la direzione di altri. Per il calcolo dei contributi previdenziali e assistenziali, il citato art. 6 del D.lgs 314/97 rinvia alle disposizioni dell’art. 48 (ora 51) dello stesso TUIR, il quale stabilisce che il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, nella cui accezione vanno compresi i beni e i servizi, a qualunque titolo percepiti in relazione al periodo di lavoro nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali. Come si vede, il nuovo concetto di imponibile contributivo va oltre lo stretto rapporto tra prestazione lavorativa e retribuzione e comprende anche erogazioni che non provengono dal datore di lavoro, purché siano in relazione al rapporto di lavoro. Questo concetto (somme e valori percepiti in relazione al periodo di lavoro) è infatti più ampio di quello risalente all’art. 12 della legge 153/1969 citata (somme e valori percepiti in dipendenza del rapporto di lavoro) e si sovrappone in buona parte al concetto di imponibile fiscale. Le voci escluse dalla retribuzione soggetta a contribuzione previdenziale sono previste dall’art. 12 della citata legge 153/1969, così come modificata dall’art. 6 del D.lgs 314/97 e sono tassative27.

22 Cassazione, sentenza n. 709 del 2 febbraio 1985. 23 Cassazione, sentenza n. 4776 del 2 ottobre 1985, sentenza n. 7193 del 4 dicembre 1986, sentenza n. 3809 del 9 maggio 1990, sentenza n. 6434 del 26 giugno 1990, sentenza n. 4999 del 27 aprile 1992. In senso contrario alle decisioni su riportate e quindi nel senso di ritenere assoggettabile a contribuzione la somma erogata al dipendente nell’ambito di un negozio transattivo novativo, che pertanto non costituirebbe titolo autonomo, cfr. Cassazione, sentenza n. 5243 del 2 settembre 1977 e sentenza n. 4809 del 4 ottobre 1985. 24 Cassazione, sentenza n. 709 del 2 febbraio 1985, cit. 25Anche il Ministero del Lavoro, nella circolare n. 39 del 24 aprile 1987, per le stesse ragioni su esposte, aveva affermato la non assoggettabilità a contribuzione delle somme corrisposte a titolo di transattiva novativa. 26 Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 22 dicembre 1986. 27 Il quinto comma dell’art. 12 della legge n. 153/1969, così come riformato dall’art. 6 del D.lgs 314/97, stabilisce che l’elencazione degli elementi esclusi dalla base imponibile è tassativa.

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VIII

L’esclusione riguarda, oltre alle voci comuni all’esenzione fiscale, il trattamento di fine rapporto, le somme corrisposte per incentivare l’esodo dei lavoratori, i proventi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento danni, etc. Fra le voci escluse dall’imponibile previdenziale, oltre alle somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori (somme già escluse in base alla previgente versione dell’art. 12 legge 153/1969) sono state inserite anche “quelle la cui erogazione trae origine dalla predetta cessazione” 28. Pertanto, dal 1° gennaio 1998, sono escluse dall’imponibile ai fini contributivi “tutte quelle forme di erogazione prive di uno specifico titolo retributivo, corrisposte in sede di risoluzione del rapporto di lavoro, anche se non sottoposto a limitazioni sotto il profilo della libera recedibilità da parte del datore di lavoro, e la cui funzione desumibile dalla volontà contrattuale o dall’atteggiarsi delle parti sia riconducibile a quella di agevolare lo scioglimento del rapporto”29. Delineato l’imponibile contributivo alla luce dell’evoluzione normativa, si tratta ora vedere, anche in base ai contributi offerti dalla prassi amministrativa e dalla giurisprudenza, se e in quali casi le somme dedotte nelle controversie di lavoro siano soggette a contribuzione previdenziale. Imponibilità previdenziale delle somme corrisposte a titolo di transazione semplice Accertata la corresponsione della somma a titolo di transazione semplice30, come tale corrisposta “in relazione” al rapporto di lavoro, da un punto di vista contributivo occorre valutare l’oggetto della stessa e verificare se faccia riferimento o meno a voci che non sarebbero soggette a contributi. L’Inps ha infatti precisato che “le somme date per transazioni intervenute in relazione al rapporto di lavoro e nascenti da pretese vertenti su elementi imponibili rientrano nell’imponibile contributivo” 31. Ad esempio, in linea teorica, se la transazione dovesse avere ad oggetto l’importo del TFR, le somme corrisposte dovrebbero essere escluse da contribuzione in quanto, per il TFR, l’art. 12 della legge n. 153/1969 prevede una espressa esenzione. Imponibilità previdenziale delle somme corrisposte a titolo di transazione novativa Più problematico, alla luce della nuova nozione di imponibile previdenziale, è il regime contributivo delle transazioni novative32. Come abbiamo visto, a seguito dell’armonizzazione della base imponibile fiscale con quella previdenziale33, la norma che presiede all’individuazione degli elementi retributivi computabili ai fini previdenziali utilizza un meccanismo per relationem, in base al quale è la norma impositiva ai fini fiscali ad individuare gli elementi assoggettabili a imposizione sia fiscale che contributiva; alla norma strettamente previdenziale spetta invece definire l’ambito delle eccezioni e specificazioni alla regola generale34. Questa nuova formulazione di reddito imponibile è stata interpretata, ai fini fiscali, dal Ministero delle Finanze35 che ha ricondotto al rapporto di lavoro e quindi a un regime di imponibilità sia fiscale che contributiva, “le somme e i valori, comunque percepiti, a seguito di transazioni, anche novative, intervenute in costanza di rapporto di lavoro o alla cessazione dello stesso”. La posizione dell’Inps, in fase di prima interpretazione della normativa, è stata la medesima dell’ente finanziario, cioè quella di applicare, senza alcuna distinzione tra transazione novativa e

28 L’elencazione completa delle esclusioni dalla base imponibile previdenziale è contenuta nel quarto comma dell’art. 12 della legge n. 153/1969, così come riformato dall’art. 6 del D.lgs 314/97. 29 INPS, circolare n. 263 del 24 dicembre 1997. 30 Tale indagine può essere condotta in base ai criteri illustrati nella prima parte di questa trattazione (si veda a tal proposito il paragrafo sulla nozione di transazione). 31 INPS, circolare n. 263 del 24 dicembre 1997. 32 Per l’individuazione degli elementi peculiari della transazione novativa si rinvia al paragrafo sulla nozione di transazione. 33 Vedasi nota n. 18. 34 Vedasi nota n. 28. 35 Circolare Ministero delle Finanze n. 326/E del 23 dicembre 1997.

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transazione semplice, il principio dell’imponibilità contributiva alle somme comunque erogate in sede di transazione relativa a un rapporto di lavoro e collegate a voci retributive imponibili. Questa posizione si collega alla citata disposizione dell’art. 6 del D.lgs n. 314/1997 che, nell’elenco dei casi esclusi dalla imposizione contributiva espressamente definiti come tassativi dalla legge, non ricomprende le somme corrisposte a titolo di transazione, le quali sarebbero pertanto soggette a contribuzione. Tale impostazione tuttavia non è condivisa dalla prevalente giurisprudenza, che propende invece per una soluzione che collega l’imponibilità contributiva, o meno, delle somme relative agli accordi transattivi, alla tipologia e alle finalità dell’intervenuta transazione. Facendo chiarezza sul punto, la Cassazione36 ha precisato che occorre distinguere tra transazione novativa e non novativa, escludendo l’obbligo contributivo solo sulle somme corrisposte nell’ambito di una transazione novativa, in quanto del tutto disancorate dal preesistente rapporto di lavoro che costituisce semplice occasione ma non causa dell’erogazione. La giurisprudenza ha anche escluso l’assoggettamento alla contribuzione previdenziale delle somme corrisposte al lavoratore in relazione ad una transazione finalizzata ad evitare la lite, in quanto ritenute collegate al rapporto di lavoro da un semplice nesso di occasionalità 37. Questo orientamento ha trovato conferma dalla Suprema Corte in un ambito di indagine più ampio38, in base al quale è stato chiarito che, in materia di assoggettabilità a contribuzione delle erogazioni economiche del datore di lavoro previste in occasione di transazioni, vanno coordinati i seguenti principi:

a) quello secondo il quale le erogazioni dipendenti da transazioni aventi la finalità non di eliminare la res dubia, ma di evitare il rischio della lite stessa, e non contenenti un riconoscimento neppure parziale del diritto del lavoratore, debbono considerarsi in nesso non di dipendenza ma di occasionalità con il rapporto di lavoro e quindi non assoggettabili a contribuzione;

b) quello desumibile dall’art. 12 della legge n. 153/1969, secondo cui l’indagine del giudice di merito sulla natura retributiva o meno delle somme erogate al lavoratore dal datore non trova alcun limite nel titolo formale di tali erogazioni;

c) quello che, nell’ampio concetto di retribuzione imponibile ai fini contributivi rientra tutto ciò che in denaro o in natura il lavoratore riceve dal datore in dipendenza e a causa del rapporto di lavoro. Conseguentemente, per escludere la computabilità di un istituto ai fini suddetti non è sufficiente la mancanza di uno stretto nesso di corrispettività, ma occorre che risulti un titolo autonomo, diverso e distinto dal rapporto di lavoro, che ne giustifichi la corresponsione.

Anche se tale orientamento giurisprudenziale si basa su sentenze che fanno riferimento all’art. 12 della legge 153/1969 prima che lo stesso fosse modificato dal D.lgs n. 314/1997, in attesa che la magistratura si pronunci su controversie iniziate dopo la riforma del 1997 (e cioè dopo che la nozione di transazione imponibile è divenuta omnicomprensiva sia dal punto di vista fiscale che previdenziale), è ragionevole ritenere che i principi in esse contenute siano ancora validi e applicabili qualora riguardino somme che si trovino in relazione di pura occasionalità rispetto al rapporto di lavoro, e che, come tali, risultino essere non imponibili ai fini fiscali39. Un’autorevole dottrina40, spingendosi oltre, non ha condiviso l’impostazione della completa assimilazione della base imponibile fiscale con quella previdenziale (al di fuori ovviamente del regime delle eccezioni previdenziali già previste) e ha rilevato che il legislatore del 1997 non ha

36 Cassazione, sentenza n. 4811 del 18 maggio 1999. 37 Cassazione, sentenza n .7552 del 16 luglio 1999. 38 Cassazione, sentenza n. 6663 del 9 maggio 2002. 39 Per un’attenta disamina di tali profili si veda Crovato F., Il reddito di lavoro dipendente nel sistema delle imposte sui redditi, Cedam, 2001. 40 M.Persiani, Diritto della previdenza sociale, Padova, 2003, p. 97.

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inteso introdurre un concetto di retribuzione imponibile diverso da quello già espresso nella previgente versione dell’art. 12 della legge n. 153/1969. Secondo tale tesi, pertanto, non possono essere considerate somme corrisposte “in relazione al rapporto di lavoro” gli importi erogati al dipendente a titolo di transazione novativa, per la ragione che, sulla scia dell’orientamento giurisprudenziale formatosi in vigenza della vecchia normativa, il titolo transattivo è autonomo e crea una frattura con il preesistente rapporto da cui trae origine la controversia. Questa interpretazione dottrinale, peraltro, è stata recentemente avallata dalla nuova posizione dell’INPS41 sull’argomento il quale, in relazione all’assolvimento degli obblighi previdenziali, ha affermato che non tutte le somme erogate in via transattiva sono necessariamente imponibili, ma solamente quelle che, direttamente o indirettamente, sono collegate da un’obbligazione causale al rapporto di lavoro. L’INPS sulla base dell’orientamento giurisprudenziale prevalente, ha quindi modificato la sua impostazione iniziale42 e ha ammesso che le somme corrisposte al lavoratore a titolo di transazione novativa possano essere escluse dalla retribuzione imponibile, ma solo se corrisposte in base ad un titolo autonomo e diverso rispetto al rapporto di lavoro. Sarà pertanto necessario procedere di volta in volta ad un’attenta disamina dei contenuti della specifica transazione, nonché delle originarie pretese oggetto della controversia, al fine di rilevare la riferibilità o meno dell’erogazione di una somma a obbligazioni aventi natura retributiva, con conseguente imponibilità contributiva della stessa. Imponibilità previdenziale delle somme corrisposte a titolo di incentivo all’esodo L’incentivo all’esodo rappresenta la somma che viene corrisposta al lavoratore a seguito di un accordo di volontà tra datore e lavoratore per la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro43. Ai sensi dell’art. 12 della legge n. 153/1969, così come modificato dall’art. 6 del D.lgs. n. 314/97, l’incentivo all’esodo e tutte le somme corrisposte la cui erogazione trae origine dalla risoluzione sono esenti ai fini contributivi. La nuova formulazione di tale norma estende l’esenzione contributiva anche alle somme la cui erogazione trae origine dalla cessazione del rapporto di lavoro. Nella fattispecie degli incentivi rientrano le somme corrisposte nei casi di prepensionamento; quelle erogate in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro a tempo indeterminato laddove la disciplina contrattuale o legale ponga al datore di lavoro limitazioni al potere di recesso individuale del rapporto di lavoro; le somme erogate per cessazione del rapporto di lavoro a termine prima della scadenza di questo e le somme corrisposte allo scopo di attuare riduzioni di personale attraverso licenziamenti collettivi44. Per quanto invece propriamente concerne le altre somme che traggono origine dalla risoluzione del rapporto di lavoro, l’INPS45 ha ricompreso nella norma le somme erogate in occasione della cessazione del rapporto di lavoro in eccedenza alle normali competenze comunque spettanti, e aventi lo scopo di indurre il lavoratore ad anticipare la risoluzione del rapporto di lavoro rispetto alla sua naturale scadenza; rientrano altresì nell’esclusione46 tutte quelle forme di erogazione prive di uno specifico titolo retributivo, corrisposte in sede di risoluzione del rapporto di lavoro – anche se non sottoposto a limitazioni sotto il profilo della libera recedibilità da parte del datore di lavoro – e la cui funzione desumibile dalla volontà contrattuale o dall’atteggiarsi delle parti sia riconducibile a quella di agevolare lo scioglimento del rapporto.

41 INPS, circolare n. 7585 del 9 marzo 2006. 42 Posizione espressa nella citata circolare INPS n. 263/1997. 43 Vedasi la parte della presente trattazione riguardante i diritti disponibili (pagg. 2-3). 44 INPS, circolare n. 263/1997, cit. 45 INPS, circolare n. 170 del 19 luglio 1990. 46 INPS, circolare n. 263/1997, cit.

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Perché l’incentivo e/o le altre somme che traggono origine dalla risoluzione siano escluse da contribuzione non deve esserci alcun collegamento a possibili liti, pretese e/o rivendicazioni in merito all’intercorso rapporto di lavoro e neanche a rinunce riferibili al medesimo. L’esclusione non si estende a premi o gratifiche contrattualmente previsti rispetto ai quali la risoluzione del rapporto si pone solo come momento temporale dell’organizzazione e non come fatto generatore di essa. Un recente orientamento giurisprudenziale47 ha affermato che le somme erogate a titolo di incentivazione all’esodo, per essere esenti da contribuzione, devono essere inserite all’interno di un piano di incentivazione finalizzato all’uscita collettiva dei lavoratori. Secondo un diverso indirizzo48, invece, il fine di incentivare l’esodo può essere indifferentemente conseguito sia con l’uscita simultanea di più lavoratori, sia con l’uscita in tempi diversi di uno o più lavoratori ed è indifferente che la cessazione del rapporto riguardi un singolo dipendente ovvero si configuri come un esodo di massa. Questo secondo tipo di lettura, a nostro avviso, sembra maggiormente aderente al testo normativo in vigore e riteniamo pertanto auspicabile un intervento delle Sezioni Unite sul punto. Imponibilità previdenziale delle somme corrisposte a titolo di risarcimento dei danni Tra le voci escluse dalla base imponibile previdenziale49 vi sono poi i proventi e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento dei danni. L’Inps50 ha fatto rientrare in queste categorie le erogazioni diverse dalla normale retribuzione e rivolte esclusivamente al reintegro patrimoniale di perdite subite dal lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro. L’esenzione non si applica invece a quanto versato al lavoratore per indennizzarlo della mancata percezione di reddito da lavoro dipendente. Rientrano inoltre nell’esenzione contributiva le indennità liquidate dal Giudice a titolo di risarcimento danno in caso di reintegrazione nel posto di lavoro per illegittimo licenziamento51; quelle pari a 15 mensilità spettanti al lavoratore in caso di rinuncia alla reintegrazione nel posto di lavoro disposta dal Giudice; le indennità fino a un massimo di 14 mensilità corrisposte al lavoratore nei casi previsti dall’art. 8 della legge n. 604 del 15 luglio 196652, in cui risulti accertato che non ricorrono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo e non intervenga la riassunzione entro il termine di 3 giorni. Come si evince da queste disposizioni, in ambito contributivo viene proposta la distinzione tra danno emergente e lucro cessante. Pertanto, in merito alla valutazione sulla natura risarcitoria di una determinata erogazione, deve essere sottolineata la difficoltà di valutare la natura delle somme in assenza di una pronuncia del Giudice. Imponibilità previdenziale delle somme corrisposte a titolo di patto di non concorrenza Per definire il corretto regime contributivo applicabile ai patti di non concorrenza, che non rientrano tra le voci espressamente escluse da imposizione contributiva, è necessario verificare il momento della stipula dell’accordo e, soprattutto, il momento di erogazione del corrispettivo. Infatti, le somme erogate in costanza di rapporto costituiscono retribuzione corrente, come tale assoggettata a contribuzione. Le somme erogate invece alla cessazione dello stesso sono imponibili fiscalmente53 ma, secondo un orientamento giurisprudenziale54, non sono soggette a contribuzione. Questa impostazione 47 Cassazione, sentenza n. 6663/2002, cit. 48 Cassazione, sentenza n. 4811 del 18 maggio 1999 e sentenza n. 709 del 2 febbraio 1985. 49 Art. 12, c. 4, lett. c) legge n.153/1969, cit. 50 INPS, circolare n. 263/1997, cit. 51 Legge n.108 dell’11 maggio 1990, art. 1, comma 5. 52 Articolo così come riformulato dalla legge n. 108/1990 citata. 53 Scontano infatti la tassazione separata. 54 Cassazione, sentenza n. 3507/1991.

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giurisprudenziale, peraltro, potrebbe essere rivista alla luce della nuova formulazione dell’art. 12 della Legge 153/1969 che, come più volte menzionato, ha assimilato la basi imponibili fiscali e previdenziali, prevedendo l’assoggettamento a contributi di ciò che è imponibile fiscalmente e non è espressamente esente dal punto di vista previdenziale. Altre indennità Tra le somme che spesso vengono erogate in sede di conciliazione, in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, troviamo il Trattamento di fine rapporto, il quale rappresenta una forma di retribuzione differita erogata in occasione della cessazione del rapporto di lavoro dipendente e che è esente da contributi ai sensi dell’art. 12 legge n. 153/1969 citata. Inoltre, tra le somme in questione rientra anche l’indennità sostitutiva del preavviso, prevista dai Ccnl di riferimento, che la parte che recede dal contratto è tenuta a dare all’altra. Senza entrare nel dettaglio delle tipologie contrattuali, sottolineiamo che questa indennità è soggetta a imponibile contributivo ai sensi della richiamata legge n. 153/196955. Conclusioni Alla luce di quanto finora illustrato si può riassuntivamente argomentare che i maggiori dubbi interpretativi e le maggiori difficoltà applicative della normativa sull’imponibilità contributiva delle somme corrisposte a seguito di rinunce e transazioni, sicuramente riguardano le erogazioni effettuate a titolo di transazione novativa. In assenza di norme precise al riguardo e a fronte delle incertezze interpretative, è opportuno consigliare cautela nel non assoggettare a contributi eventuali transazioni con il lavoratore ricondotte allo schema della transazione novativa. E’ infatti consigliabile, soprattutto nei casi in cui le erogazioni in favore del dipendente siano connesse in vario modo alla risoluzione del rapporto, utilizzare altre formulazioni, più facilmente riconducibili alle fattispecie previste dall’art. 12, comma 4, lett.b) della legge n. 153/1969 (ad esempio: somme corrisposte in relazione alla cessazione del rapporto di lavoro, ecc.). Al riguardo va infine posto in evidenza che, la transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro è estranea al rapporto tra quest’ultimo e gli istituti previdenziali ed assicurativi. Tali Enti, infatti, essendo estranei all’accordo, potrebbero, in virtù di principi generali, affermare la natura retributiva delle erogazioni previste a favore del dipendente, a prescindere dal titolo formale delle erogazioni stesse individuato nel testo, e richiedere il versamento dei contributi relativi56. Di più: potrebbero pretendere il versamento dei contributi su quanto loro dovuto e non sulla somma pattiziamente individuata dalle parti57. Per questa serie di motivi, in sede di conciliazione, è necessario predisporre un verbale il più possibile coerente con il dettato normativo e con il prevalente orientamento giurisprudenziale, il quale, strutturato in maniera opportuna e con le opportune distinzioni tra i titoli delle erogazioni, possa non indurre gli ispettori da eventuali contestazione sulla natura delle erogazioni stesse effettuate.

55 Per un approfondimento sul tema della imponibilità della indennità sostitutiva del preavviso, si veda in questa Rassegna n. 2/2005. 56 Cassazione, sentenza n. 2122/2003. 57 Cassazione, sentenza n. 3122 del 3 marzo 2003 e sentenza n. 6607 del 3 aprile 2004.

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XIII

PRASSI AMMINISTRATIVA

AGEVOLAZIONI CONTRIBUTIVE IN CASO DI ASSUNZIONE DI LAVORATORI DISOCCUPATI – ATTESTAZIONE DELLO STATUS DI DISOCCUPAZIONE

I datori di lavoro, in caso di assunzioni con contratto a tempo indeterminato di lavoratori disoccupati o sospesi dal lavoro e beneficiari di trattamento straordinario di integrazione salariale da almeno 24 mesi, possono godere di una riduzione contributiva previdenziale pari al 50%, per la quota a loro carico, per un periodo di 36 mesi. Nel caso di assunzioni effettuate nelle aree del Mezzogiorno la riduzione è elevata al 100%, sempre per un periodo di 36 mesi58. La contribuzione a carico del lavoratore resta invece ferma nella misura prevista per la generalità dei lavoratori. Perché il datore di lavoro possa fruire di dette agevolazioni è però necessario che le assunzioni non siano effettuate in sostituzione di lavoratori dipendenti dalle stesse imprese, per qualsiasi causa licenziati o sospesi. L’INPS, inoltre, ha precisato che l’agevolazione opera anche in caso di assunzione con contratto a tempo parziale, purché sia a tempo indeterminato59. Ciò premesso, con interpello al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale è stato chiesto se, per accedere ai benefici contributivi in caso di assunzione di disoccupati da almeno 24 mesi, sia necessaria la certificazione del Centro per l’impiego che attesti lo “status di disoccupazione” e se sia sufficiente la sola dichiarazione del soggetto inoccupato. A tal proposito il Ministero ha fatto presente che la normativa in vigore definisce lo “stato di disoccupazione” come la condizione del soggetto privo di lavoro, che sia immediatamente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di una attività lavorativa 60. Tale disponibilità deve essere formalizzata e comprovata da una dichiarazione da presentare al Centro per l’impiego nel cui ambito territoriale si trova il domicilio del lavoratore interessato. Del resto, per l’attestazione dello stato di disoccupato, relativa all’eventuale attività lavorativa precedentemente svolta nonché all’immediata disponibilità allo svolgimento di lavoro, è possibile utilizzare lo strumento dell’autocertificazione per mezzo della dichiarazione sostitutiva di certificazione61. L’INPS62, a sua volta, dopo aver ricordato quali sono le condizioni necessarie per poter fruire dei benefici contributivi in caso di assunzione di soggetti disoccupati/inoccupati dopo l’entrata in vigore della riforma del collocamento ha precisato che a tal fine è possibile considerare utile la dichiarazione di responsabilità prodotta dal lavoratore al competente Centro per l’impiego63, accompagnata da una certificazione del Centro stesso che attesti l’assenza di comunicazioni di assunzione relative al lavoratore interessato dal beneficio contributivo e quindi il suo stato di disoccupato. Con l’occasione ricordiamo che la perdita o il mantenimento dello stato di disoccupato dipende da diversi fattori. Ad esempio, permane lo stato di disoccupazione per quei soggetti che svolgono, durante l’anno di disoccupazione, un’attività lavorativa tale da assicurare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione sulla base dei parametri fissati dalle vigenti norme fiscali. La perdita dello stato di disoccupato si può, invece, avere in caso di:

58 Art. 8, comma 9, legge n. 407 del 12 dicembre 1990. INPS, circolare n. 25 del 31 gennaio 2001. 59 INPS, circolare n. 121 del 28 maggio 1993. 60 Art.1, D.lgs. n. 297 del 19 dicembre 2002. 61 D.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000. 62 INPS, circolare n. 117 del 30 giugno 2003. 63 Art. 3, D.lgs. n. 297 del 19 dicembre 2002.

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XIV

• mancata presentazione, senza giustificato motivo, alla convocazione pervenuta al lavoratore da parte del Centro per l'impiego per lo sviluppo delle misure di prevenzione;

• rifiuto da parte del lavoratore, e senza giustificato motivo, di una congrua offerta di lavoro a tempo pieno, determinato o indeterminato, o di lavoro temporaneo superiore agli otto mesi;

• ingiustificato rifiuto di formazione o di orientamento; • superamento dei limiti di reddito da lavoro previsti dalle disposizioni vigenti.

La semplice sospensione dello stato di disoccupato deriva invece dall’accettazione di un’offerta di lavoro a tempo determinato o di lavoro temporaneo di durata non superiore a 8 mesi (4 mesi nel caso di giovani fino a 25 anni o 29 se laureati). In base alla normativa vigente64, rimane comunque in capo ai Centri per l’impiego l’onere di controllare e verificare l’effettiva permanenza del soggetto interessato nello stato di disoccupazione.

CORRESPONSIONE ANTICIPATA DELL’INDENNITA’ DI MOBILITA’ L’indennità di mobilità è una prestazione che viene riconosciuta ai lavoratori che abbiano perduto il posto di lavoro, a seguito di licenziamento al termine della procedura di mobilità, e che risultino iscritti nelle liste di mobilità. Ha una durata variabile in relazione all’età anagrafica (da 12 a 36 mesi, e fino a 48 nelle aree meridionali) e all’anzianità aziendale del lavoratore e prevede alcuni benefici contributivi in favore delle aziende che assumano i lavoratori iscritti alle liste di mobilità. La legge 23 luglio 1991, n. 22365, ha stabilito disposizioni specifiche circa i requisiti66 soggettivi ed oggettivi che i lavoratori debbono possedere per accedere a tale prestazione e una procedura particolare che l’azienda deve eseguire prima di procedere ai licenziamenti di tutti o parte dei propri dipendenti. Per tutto ciò che non è disciplinato dalla legge n. 223/1991, l’articolo 7, comma 12,

64 Art. 8, comma 3, D.lgs. n. 276 del 10 settembre 2003 “Per le informazioni che facciano riferimento a dati amministrativi in possesso dei servizi per l'impiego, con particolare riferimento alla presenza in capo al lavoratore di particolari benefìci contributivi e fiscali, gli elementi contenuti nella scheda anagrafico-professionale prevista dal decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, hanno valore certificativo delle stesse”. 65 Legge n. 223 del 23 luglio 1991 “Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro”. 66 Art. 16, legge n. 223 del 23 luglio 1991. Indennità di mobilità per i lavoratori disoccupati in conseguenza di licenziamento per riduzione di personale. 1. Nel caso di disoccupazione derivante da licenziamento per riduzione di personale ai sensi dell'articolo 24 da parte delle imprese, diverse da quelle edili, rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell'intervento straordinario di integrazione salariale il lavoratore, operaio, impiegato o quadro, qualora possa far valere una anzianità aziendale di almeno dodici mesi, di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione del lavoro derivanti da ferie, festività e infortuni, con un rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non a termine, ha diritto alla indennità di mobilità ai sensi dell'articolo 7. 2. Per le finalità del presente articolo i datori di lavoro di cui al comma 1 sono tenuti: a) al versamento di un contributo nella misura dello 0,30 per cento delle retribuzioni assoggettate al contributo integrativo per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria; b) al versamento della somma di cui all'articolo 5, comma 4. 3. Alla corresponsione ai giornalisti dell'indennità di cui al comma 1 provvede l'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani, al quale sono dovuti il contributo e la somma di cui al comma 2, lettere a) e b). 4. Sono abrogati l'articolo 8 e il secondo e terzo comma dell'articolo 9 della legge 5 novembre 1968, n. 1115 . Tali disposizioni continuano ad applicarsi in via transitoria ai lavoratori il cui licenziamento sia stato intimato prima della data di entrata in vigore della presente legge.

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XV

rinvia alla normativa generale dell’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria67. Inoltre, l’indennità di mobilità è prestazione che spetta soltanto ai lavoratori - operai, impiegati o quadri - licenziati da aziende rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale e appartenenti a particolari settori dell’attività produttiva. In generale si può affermare che l'indennità di mobilità è finalizzata ad assicurare per qualche tempo una forma di assistenza ai lavoratori che, per effetto della cessazione del rapporto, non possono fare ricorso a forme alternative di reddito per assicurare la soddisfazione di esigenze primarie. Pertanto, risponde alla stessa "ratio" di tale indennità l'incompatibilità prevista tra la stessa e la pensione di vecchiaia, con la conseguenza che essa non spetta ai lavoratori che abbiano già maturato i requisiti per il riconoscimento della pensione di vecchiaia. Essa costituisce in sostanza un trattamento di disoccupazione, che ha la sua fonte nella legge, ma non sorge nel lavoratore in via automatica, presupponendo, come tutti i trattamenti previdenziali, la presentazione da parte dell’interessato di una domanda all'INPS. – Istituto che non potrebbe altrimenti attivarsi non conoscendo le relative condizioni - entro i termini di decadenza stabiliti dalla normativa68 in materia di disoccupazione involontaria. Tale normativa si rende applicabile per l'indennità di mobilità in virtù dello specifico richiamo operato nel predetto comma 12 dell’art. 7 e quindi a condizione che venga richiesta entro sessantotto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro (infatti la legge indica che il termine di sessanta giorni dall'inizio della disoccupazione, ai fini del diritto all’indennità, decorre dall'ottavo giorno successivo a quello della cessazione del lavoro). L’articolo 7, comma 5, della legge n. 223/1991, ha altresì disposto che i lavoratori in mobilità, che ne facciano richiesta per intraprendere un’attività autonoma o per associarsi in cooperativa, possono ottenere la corresponsione anticipata in unica soluzione dell’indennità nella misura stabilita dai commi 1 e 2 69, con la detrazione delle mensilità già godute. Le modalità per la corresponsione dell’indennità di mobilità anticipata sono state stabilite con decreto interministeriale n. 142 del 17 febbraio 1993 e successivamente commentate in una circolare INPS 70. In base ad esse il lavoratore deve presentare all’INPS, tramite i Centri per l’Impiego, una apposita domanda corredata dalla documentazione necessaria per attestare l’attività lavorativa autonoma, intrapresa o che intende intraprendere, ovvero l’associazione ad una cooperativa.

67 Art 7, c. 12, legge n. 223 del 23 luglio 1991. c. 12 L'indennità prevista dal presente articolo è regolata dalla normativa che disciplina l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, in quanto applicabile, nonché dalle disposizioni di cui all'art. 37, legge n. 88 del 9 marzi 1989. 68 Artt. 73, 77 e 129 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 ,convertito nella legge 6 aprile 1936, n. 1155. 69 Art 7, cc.1, 2, legge n. 223 del 23 luglio 1991 “Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro”. c. 1 I lavoratori collocati in mobilità ai sensi dell'articolo 4, che siano in possesso dei requisiti di cui all'articolo 16, comma 1, hanno diritto ad una indennità per un periodo massimo di dodici mesi, elevato a ventiquattro per i lavoratori che hanno compiuto i quaranta anni e a trentasei per i lavoratori che hanno compiuto i cinquanta anni. L'indennità spetta nella misura percentuale, di seguito indicata, del trattamento straordinario di integrazione salariale che hanno percepito ovvero che sarebbe loro spettato nel periodo immediatamente precedente la risoluzione del rapporto di lavoro: a) per i primi dodici mesi: cento per cento; b) dal tredicesimo al trentaseiesimo mese: ottanta per cento. c. 2 Nelle aree di cui al testo unico approvato con D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 , la indennità di mobilità è corrisposta per un periodo massimo di ventiquattro mesi, elevato a trentasei per i lavoratori che hanno compiuto i quaranta anni e a quarantotto per i lavoratori che hanno compiuto i cinquanta anni. Essa spetta nella seguente misura: a) per i primi dodici mesi: cento per cento; b) dal tredicesimo al quarantottesimo mese: ottanta per cento. 70 INPS, circolare n. 124 del 31 maggio 1993.

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XVI

I Centri per l’impiego accertano e attestano l’avvenuta iscrizione dei richiedenti nelle liste di mobilità e l’idoneità della documentazione prodotta, esprimendo specifico parere sulla regolarità della documentazione. L’anticipazione spetta sia ai lavoratori che hanno titolo alla concessione dell’indennità di mobilità e che intendano intraprendere un’attività autonoma per la quale è richiesta l’iscrizione alla Camera di commercio sia a coloro che sono iscritti in Albi professionali o di categoria. Qualora per l’attività autonoma intrapresa non sia prevista l’iscrizione in appositi Albi professionali e/o elenchi di categoria, possono ottenere l’anticipazione anche i lavoratori che documentino di aver assunto le iniziative necessarie per l’avvio di un’attività con caratteristiche di continuità (apertura di partita IVA, acquisizione locali, utenze elettriche e telefoniche, fatture di acquisto di attrezzature necessarie per lo svolgimento dell’attività stessa, ecc.)71. L’anticipazione viene riconosciuta anche ai lavoratori che intendano svolgere un’attività autonoma all’estero in uno degli Stati convenzionati, semprechè posseggano i requisiti e le condizioni stabilite dall’articolo 7, comma 572. I lavoratori che, nei ventiquattro mesi successivi alla data di erogazione dell’anticipazione, si rioccupino in qualità di lavoratori dipendenti nel settore privato o in quello pubblico devono però restituire la somma percepita. Poiché il Ministero del Lavoro, con decreto n. 142/199373, non aveva previsto alcun termine per la presentazione delle domande di anticipazione, il Comitato Amministratore della gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali ha deciso74 che devono essere considerate validamente presentate le domande pervenute entro il termine di 60 giorni dalla data di inizio dell’attività autonoma o dell’associazione in cooperativa, applicando così all’anticipazione il termine stabilito dall’articolo 129 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, per la presentazione delle domande di disoccupazione. L’anticipazione spetta anche ai lavoratori che, alla data in cui vengono collocati in mobilità, svolgono già un’attività autonoma. Infatti, la Corte di Cassazione ha stabilito75 che il termine “intraprendere” contenuto nell’articolo 7, comma 5, deve essere inteso non solo nel senso letterale di “iniziare” una nuova attività ma anche nel senso di applicarsi con maggiori energie e per un maggiore tempo che per il passato in tale attività, e l’INPS ha recepito tale indicazione. L’INPS ha inoltre recentemente ampliato i contenuti della circolare n. 70 del 1996. In essa aveva precisato che nei casi di costituzione di società potevano aver diritto all’anticipazione dell’indennità di mobilità solo i lavoratori con la qualifica di “socio d’opera” o di “socio d’opera e di capitale”, ora invece riconosce il diritto all’anticipazione dell’indennità di mobilità anche in favore degli imprenditori.

71 INPS, circolare n. 70 del 30 marzo 1996. 72 Art 7, c. 5, legge 23 luglio 1991, n. 223 “I lavoratori in mobilità che ne facciano richiesta per intraprendere un'attività autonoma o per associarsi in cooperativa in conformità alle norme vigenti possono ottenere la corresponsione anticipata dell'indennità nelle misure indicate nei commi 1 e 2, detraendone il numero di mensilità già godute. Fino al 31 dicembre 1992, per i lavoratori in mobilità delle aree di cui al comma 2 che abbiano compiuto i cinquanta anni di età, questa somma è aumentata di un importo pari a quindici mensilità dell'indennità iniziale di mobilità e comunque non superiore al numero dei mesi mancanti al compimento dei sessanta anni di età. Per questi ultimi lavoratori il requisito di anzianità aziendale di cui all'art. 16, comma 1, è elevato in misura pari al periodo trascorso tra la data di entrata in vigore della presente legge e quella del loro collocamento in mobilità. Le somme corrisposte a titolo di anticipazione dell'indennità di mobilità sono cumulabili con il beneficio di cui all'art. 17, legge 27 febbraio 1985, n. 49. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, sono determinate le modalità e le condizioni per la corresponsione anticipata dell'indennità di mobilità, le modalità per la restituzione nel caso in cui il lavoratore, nei ventiquattro mesi successivi a quello della corresponsione, assuma una occupazione alle altrui dipendenze nel settore privato o in quello pubblico, nonché le modalità per la riscossione delle somme di cui all'articolo 5, commi 4 e 6”. 73 D.M. 17.2.1993, n. 142 Regolamento di attuazione dell'art. 7, comma 5, della legge 23 luglio 1991, n. 223, in materia di corresponsione anticipata dell'indennità di mobilità. 74 INPS, circolare n. 174 del 28 novembre 2002. 75 Corte di Cassazione, sentenza 21 febbraio 15 maggio 2001, n. 6679.

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XVII

Ciò in quanto la Corte di Cassazione76 ha fornito un’interpretazione della espressione “attività autonoma” - contenuta nell’articolo 7, comma 5, della legge n. 223/1991 - più ampia di quella che qualifica il “lavoro autonomo”, comprendendovi anche le ipotesi in cui il lavoratore collocato in mobilità dia inizio ad un’attività imprenditoriale senza concorrervi con lavoro prevalentemente proprio77. Ne deriva quindi – sotto questo profilo - un mutamento della natura dell'indennità, la quale, nel caso di specie, non è più funzionale al sostegno dello stato di bisogno che nasce dalla disoccupazione, ma assume la natura di contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese iniziali di un'attività che il lavoratore in mobilità svolge in proprio. Infine l’INPS ha fornito chiarimenti78 in merito al diritto all’anticipazione dell’indennità di mobilità, da parte dei beneficiari di trattamenti in deroga e per i lavoratori licenziati da imprese commerciali con più di 50 dipendenti, da agenzie di viaggio e turismo con più di 50 dipendenti e da imprese di vigilanza con più di 15 dipendenti. Nello specifico, l’Istituto ha ricordato l’estensione79 delle norme relative al trattamento straordinario di integrazione salariale, le quali ricomprendono anche quelle sul trattamento di mobilità, alle imprese predette. Anche per l’anno 2007 infatti sono stati prorogati80 i trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria e di mobilità in favore di tali imprese. Anche i lavoratori di queste aziende possono dunque godere delle anticipazioni del trattamento di mobilità. L’anticipazione non può, in questi casi, essere concessa oltre l’anno finanziario, dato che il finanziamento viene deciso e programmato di anno in anno. Nel caso quindi di eventuali proroghe dei trattamenti o di rifinanziamenti per le suddette imprese, al lavoratore che abbia già chiesto l’anticipazione non possono essere riconosciuti ulteriori benefici.

* * * E’ bene infine ricordare che la concessione dell’anticipazione dell’indennità di mobilità comporta la cancellazione dalle liste e la perdita di ulteriori benefici relativi. E’ opportuno quindi che i lavoratori siano informati di quanto sopra e del fatto che per il periodo in relazione al quale viene concesso il trattamento anticipato non spettano le prestazioni accessorie e cioè l’assegno per il nucleo familiare e la contribuzione figurativa.

PERMESSI MENSILI PER ASSISTENZA A DISABILE GRAVE La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità, successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, nonché i parenti o affini che assistono una persona con handicap grave, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile retribuiti a carico dell’INPS81. Posto che, se il portatore di handicap grave è un maggiorenne, il diritto è subordinato alla convivenza o, in assenza di tale requisito, alla continuità ed esclusività dell’assistenza82, l’INPS ha precisato che, in caso di assistenza a un portatore di handicap per periodi inferiori a un mese vanno proporzionalmente ridimensionati i tre giorni di permesso spettanti al richiedente83 ai sensi della legge n. 104/92.

76 Corte di Cassazione, sentenza n. 9007, pubblicata il 20 giugno 2002. 77 INPS, circolare n. 174 del 28 novembre 2002. 78 INPS, messaggio n. 33100 del 13 dicembre 2006. 79 Art. 7, c. 7, D.L. 20 maggio 1993, n. 148 convertito nella legge 19 luglio 1993, n. 236. 80 Art. 1, c. 1156, legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (Finanziaria 2007). 81 Art. 33, commi 3, 4, 7, legge n. 104 del 5 febbraio 1992. 82 Art. 20, legge. n. 53 dell’8 marzo 2000 che inserisce il requisito dell’esclusività e continuità dell’assistenza, in alternativa a quello della convivenza, così come previsto dall’art. 33 della legge n. 104/1992. 83 INPS, circolare n. 128 dell’11 luglio 2003.

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XVIII

Quando l’assistenza alla persona handicappata non viene prestata abitualmente, puntualizza l’Istituto, per ogni dieci giorni di assistenza continuativa, spetta al richiedente un solo giorno di permesso; pertanto, quando l’assistenza risulti inferiori a dieci giorni continuativi non vi è diritto a nessuna giornata, né frazione di essa; allo stesso modo, per i periodi superiori a dieci giorni, ma inferiori a venti, spetterà un solo giorno di permesso. Con l’occasione l’Istituto precisa che il ridimensionamento della tutela in argomento non opera invece nel caso della fruizione di permessi ad ore che, come è noto, spettano sia quando del diritto sono titolari i genitori di portatori di handicap con età inferiore ai tre anni, sia quando si è in presenza di richiesta di fruizione di permessi orari giornalieri da parte del lavoratore handicappato. Con riferimento al ridimensionamento previsto, con riguardo alla fruizione di permessi mensili, nel caso in cui non vengano prestati almeno dieci giorni di assistenza continua, da parte di coloro che assistono il portatore di handicap grave, sono sorti alcuni dubbi interpretativi. Per questo l’Istituto ha ritenuto necessario fornire ulteriori chiarimenti in merito alla corretta identificazione del requisito dei dieci giorni continuativi, precisando che esso si riferisce esclusivamente alle persone che non assistono abitualmente il disabile, e cioè a quei casi particolari in cui l’assistenza viene prestata sporadicamente o solo per alcuni periodi, in sostituzione del normale fruitore dei permessi, da parte di un altro familiare84. In tali casi eccezionali il richiedente deve presentare all’INPS e al proprio datore di lavoro una richiesta scritta contenente una dichiarazione di responsabilità riguardo all’assistenza prestata al disabile, al rapporto di parentela con lo stesso, ai periodi durante i quali è prestata l’assistenza, ai motivi che hanno imposto la sostituzione del soggetto che la presta abitualmente. Inoltre, l’abituale fruitore dei permessi dovrà comunicare alla Sede INPS di appartenenza e al proprio datore di lavoro la temporanea sospensione dell’assistenza. Il requisito dei dieci giorni di assistenza continuativa non riguarda quindi coloro che assistono abitualmente il portatore di handicap grave; ad essi spettano infatti i tre giorni di permesso previsti ordinariamente, senza alcun ridimensionamento, nella loro interezza. Quest’ultima, inoltre, viene mantenuta anche nel caso in cui la relativa richiesta di fruizione venga presentata non all’inizio del mese, ma nel corso del mese in cui la stessa è prevista.

OMESSA ISTITUZIONE E OMESSA ESIBIZIONE DEI LIBRI PAGA E MATRICOLA

CHIARIMENTI DEL MINISTERO DEL LAVORO

Il Legislatore, con la legge Finanziaria 200785, ha inasprito le sanzioni previste per le condotte di omessa istituzione e di omessa esibizione dei libri matricola e paga86, e ciò al fine di ridurre significativamente il fenomeno del lavoro sommerso e irregolare. Il Ministero del Lavoro87, in sede di prime indicazioni, ha chiarito alcuni aspetti riguardanti l’applicazione di queste sanzioni, soffermandosi, da un lato, sulle nozioni di omessa istituzione, irregolare tenuta, omessa esibizione e rimozione dei libri obbligatori e, dall'altro, sulla possibilità di adempiere agli obblighi di legge mediante esibizione di copia dei libri obbligatori. Il Ministero del Lavoro ha anche affrontato gli aspetti delle sanzioni che riguardano la pluralità di violazioni e i provvedimenti sanzionatori già adottati in difformità rispetto alle nuove indicazioni. Successivamente, lo stesso Ministero, è intervenuto nuovamente sulla tenuta dei libri paga e matricola, fornendo ulteriori precisazioni circa l’illecito di omessa istituzione dei libri88.

84 INPS, messaggio n. 4416 del 16 febbraio 2007. 85 Art. 1178, Legge 27 dicembre 2006, n. 296. 86 Queste fattispecie sono disciplinate dagli artt. 20 e 21 del DPR 30 giugno 1965 n. 1124. 87 Ministero del lavoro, lettera circolare del 29 marzo 2007 n. 4024. 88 Ministero del lavoro, lettera circolare del 22 maggio 2007 n. 6366.

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XIX

Pertanto, secondo la ricostruzione ministeriale, per omessa istituzione deve intendersi l'ipotesi in cui il datore di lavoro - in violazione di quanto previsto dall'art. 20 del D.P.R. n. 1124/1965 - sia del tutto sprovvisto dei libri paga e matricola per non averli mai istituiti o per non averli fatti vidimare dagli Istituti previdenziali, ovvero per non averli dichiarati conformi all'originale (o fatti dichiarare tali dal consulente del lavoro o altro professionista autorizzato). Questo illecito, precisa il Ministero, si configura in relazione all’originale del libro matricola e paga. Infatti, la mancanza di libri vidimati in azienda non comporta l’illecito di omessa istituzione tutte le volte che il libro originale, correttamente vidimato, sia disponibile presso altre sedi dell’impresa o presso il professionista di cui si avvale il datore di lavoro. In questi casi, l’assenza dei libri potrà integrare l’illecito di omessa esibizione o di rimozione dei libri e non già quello di omessa istituzione. Quindi, la presenza in azienda di libri non dichiarati conformi all’originale non legittima la sanzione per omessa istituzione, in quanto occorre prima verificare l’eventuale presenza, in altro luogo, di documenti vidimati. Se, invece, sul luogo di lavoro, sono presenti in copia libri dichiarati conformi all’originale, alla eventuale verifica della assenza dei relativi libri originali conseguono sia la contestazione della omessa istituzione dei libri, sia la denuncia all’Autorità giudiziaria per falsa dichiarazione di conformità. L’illecito di omessa istituzione dei libri è da considerarsi come illecito istantaneo, in quanto l’obbligo di istituire i libri obbligatori insorge immediatamente prima della messa in uso degli stessi89, che coincide con la data di inizio delle prestazioni lavorative da parte del personale. Di conseguenza, l'omessa istituzione dei libri paga e matricola è punita con la sanzione amministrativa in vigore al momento della commissione dell’illecito; la sanzione da 4.000 euro a 12.000 euro si applica quindi soltanto se l’obbligo della messa in uso decorre dal 1° gennaio 2007. Diversa fattispecie è quella in cui il datore di lavoro abbia istituito regolarmente i libri paga e matricola ma li abbia vidimati o certificati tardivamente rispetto alla data di prima assunzione, il che comporta la meno grave ipotesi di irregolare tenuta90. L’irregolare tenuta della documentazione obbligatoria è punita con la sanzione amministrativa da 125 euro a 770 euro per i soggetti assicurati INAIL e da 25 euro a 150 euro per i soggetti non assicurati INAIL. Il Ministero del lavoro ritiene inoltre necessario distinguere l’omessa esibizione dalla rimozione dei libri paga e matricola. L’ipotesi di omessa esibizione si configura nel caso in cui il datore di lavoro abbia istituito regolarmente i libri paga e matricola, ma non li abbia tenuti nel luogo di lavoro ed esibiti al personale ispettivo e non sia stato neppure in grado di dimostrare, attraverso altra documentazione presente sul luogo di lavoro (come, ad esempio, la comunicazione preventiva di assunzione, la denuncia nominativa degli assicurati, l’indicazione degli estremi di registrazione sul libro matricola nella lettera di assunzione) la regolare costituzione del rapporto di lavoro. L'omessa esibizione dei libri paga e matricola è punita con la sanzione amministrativa da 4.000 euro a 12.000 euro. Quando invece il datore di lavoro abbia istituito regolarmente i libri paga e matricola e, pur non adempiendo all'obbligo di esibizione, abbia potuto dimostrare in modo tempestivo e assolutamente certo la regolare costituzione del rapporto di lavoro attraverso altra documentazione presente sul luogo di lavoro, diversa dai libri matricola e paga, si configurerebbe la diversa e meno grave ipotesi di rimozione dei libri obbligatori, che è punita con la sanzione amministrativa da 125 euro a 770 euro per i soggetti assicurati INAIL e da 25 euro a 150 euro per i soggetti non assicurati INAIL. Sotto il profilo di pluralità di violazioni, inoltre, lo stesso Ministero precisa che sussistono gli illeciti di omessa istituzione o di rimozione dei libri paga e matricola con riferimento a ciascuno dei libri distintamente considerati, con possibilità quindi di duplicazione della sanzione. L’omessa esibizione dei libri da invece luogo ad una sola sanzione.

89 Fattispecie prevista dall’art. 20 del DPR 30 giugno 1965 n. 1124. 90 Fattispecie prevista dall’art. 26 del DPR 30 giugno 1965 n .1124.

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XX

Il Ministero del lavoro coglie anche l’occasione per sottolineare alcuni aspetti connessi al principio di unicità dei libri paga e matricola, nel caso in cui l’azienda abbia più sedi operative prive di qualsiasi idonea organizzazione amministrativa (o nei cantieri edili o nelle sedi operative degli impiantisti e installatori, di carattere temporaneo o comunque di breve durata). In questo caso, secondo le dettagliate istruzioni ministeriali, il datore di lavoro può legittimamente fare ricorso ad una copia conforme del libri originali tenuti presso la sede legale della ditta. La dichiarazione di conformità è effettuata dal datore di lavoro mediante apposizione di data, timbro e firma autografa del datore di lavoro stesso o del responsabile legale su ogni pagina della copia e non deve essere ripetuta ogni volta che siano effettuati aggiornamenti dei libri derivanti da successive assunzioni e cessazioni dei rapporti di lavoro, aggiornamenti che potranno essere effettuati direttamente sulle copie e contestualmente riportati sugli originali. Detta prerogativa è concessa anche nel caso in cui il datore di lavoro medesimo conservi egli stesso gli originali dei libri regolamentari, pur affidandosi ad un professionista abilitato per tutti o per alcuni adempimenti legati alla gestione del rapporto di lavoro. Le eventuali difformità che dovessero riscontrarsi tra la copia e la documentazione originale, successive alla dichiarazione di conformità, integrerebbero solo l’illecito di irregolare tenuta dei libri regolamentari. Sulla dichiarazione di conformità all’originale relativa al libro paga, il Ministero chiarisce che la copia conforme del libro paga è riferita soltanto al registro delle presenze, e non anche al prospetto di paga (c.d. cedolino), atteso che gli adempimenti legati allo sviluppo della paga sono effettuati quasi sempre separatamente attraverso il prospetto di paga medesimo. Inoltre, questa dichiarazione di conformità, che può farsi anche per estratto, può limitarsi anche alla sola indicazione dei lavoratori effettivamente impiegati nello specifico luogo di lavoro. Pertanto, alla luce delle suddette interpretazioni ministeriali e a rettifica delle precedenti istruzioni impartite dall’Inail sull’argomento91, per i datori di lavoro titolari di più PAT, in quanto svolgono l’attività in più luoghi di lavoro, anche il libro paga, unico per azienda, è istituito con riferimento ad una delle PAT che l’azienda assicurante ha in corso con l’istituto ed è vidimato con riferimento a detta PAT92. L’eventuale accertamento circa l’assenza della documentazione obbligatoria, nonché di ogni altra documentazione utile ai fini della verifica della regolarità dei rapporti di lavoro, deve tener conto dei tempi tecnici strettamente necessari perché tale documentazione possa essere portata in visione al personale ispettivo sul luogo di lavoro, tempi che non possono protrarsi oltre il tempo di permanenza del personale di vigilanza in azienda93. Le circolari ministeriali invitano, infine, i competenti uffici a valutare l’opportunità di archiviare eventuali atti, riferiti a condotte successive al 1° gennaio 2007, redatti sulla base di interpretazioni non conformi alle indicazioni operative diramate, al fine di evitare disparità di trattamento e contenzioso amministrativo e giudiziario. Circolare Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 4024 del 29 marzo 2007. Circolare Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 6366 del 22 maggio 2007. Lettera circolare INAIL dell’8 giugno 2007.

91 INAIL, nota del 16 dicembre 2004:”Modalità per la tenuta dei libri paga e matricola”, paragrafo 3. 92 INAIL, lettera circolare dell’8 giugno 2007. 93 Ministero del lavoro, lettera circolare del 22 maggio 2007 n. 6366, punti 3) e 4).

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XXI

PERMESSI PER L’ASSISTENZA DEI FAMILIARI A DISABILI GRAVI NUOVI PRINCIPI IN TEMA DI CONTINUITA’ ED ESCLUSIVITA’

L’INPS nell’interpretare le disposizioni legislative94 in tema di permessi mensili per assistere i disabili gravi ha sempre escluso dalla loro concessione i familiari che prestino attività lavorativa, se la famiglia del disabile comprende altra persona che sia tenuta o possa provvedere alla sua assistenza. Tali permessi, stabiliti nella misura di tre giorni al mese, spettano sia ai genitori di disabili gravi di età compresa tra i 3 e 18 anni, sia ai genitori di disabili maggiorenni, sia ai parenti o affini - naturalmente compresi i coniugi - di disabili gravi maggiori di tre anni. L’INPS ha precisato, con particolare riferimento alla seconda fattispecie, che se il disabile è convivente con il genitore richiedente, i permessi spettano anche se in famiglia sono presenti altri soggetti non lavoratori in grado di dare assistenza. Se invece non vi è la convivenza, i permessi spettano, in via generale, solo se il genitore/parente richiedente presti l’assistenza in modo continuativo ed esclusivo. Il primo di tali requisiti non si realizza in presenza di oggettiva lontananza tra le abitazioni e il secondo se nel nucleo familiare sono presenti altri soggetti non lavoratori in grado di dare assistenza. L’Istituto ha infatti costantemente individuato nella nozione di esclusività dell’assistenza, così come contenuta nella legge, il principio secondo cui il lavoratore richiedente i 3 giorni di permesso mensile deve essere l’unico soggetto che può prestare assistenza al disabile grave. Condizione che non si realizza se il soggetto disabile non convivente con il richiedente lavoratore può essere assistito da altro familiare non lavoratore, o eventualmente da altri lavoratori che beneficiano dei permessi per il disabile stesso, facenti parte del medesimo nucleo familiare95. Tuttavia questa interpretazione dell’Istituto è contraddetta da un orientamento giurisprudenziale che si è venuto consolidando nel tempo. Infatti la Corte di Cassazione, sez. lavoro, nel 2003 ha identificato la “ratio” delle disposizioni legislative a tutela dei disabili gravi, soprattutto se minorenni, nello scopo di evitare che essi siano lasciati, seppur momentaneamente “in balia di se stessi e privi di affetto ad opera di chi li possa assistere convenientemente, anche dal punto di vista materiale”. La Corte considera non realizzata questa convenienza nel caso in cui “il congiunto non lavoratore” debba provvedere da solo all’incombenza, e ritiene quindi che un’interpretazione conforme alla ratio della legge richieda “che un’altra persona possa sostituire, almeno momentaneamente, l’avente diritto originario”, e se questa seconda persona si identifica con un lavoratore “appare ovvio e necessario che costui possa godere di brevi permessi retribuiti”96. La stessa Corte ha poi confermato, con sentenza di poco successiva, il proprio orientamento, ulteriormente specificando che, premesso che presupposto del diritto ai permessi è la circostanza che il portatore di handicap non sia ricoverato a tempo pieno97, è presumibile che durante l’orario di lavoro di chi assiste il disabile, all’assistenza provveda altra persona presente in famiglia. Ed è

94 L’ art. 20, Legge n. 53 dell’8 marzo 2000 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città” ha inserito il requisito della continuità ed esclusività dell’assistenza prestata al disabile grave come alternativi alla convivenza con lo stesso in modifica all’art. 33, comma 3, Legge n. 104 del 5 febbraio 1992 “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”. 95 INPS, circolare n. 133 del 17 luglio 2000, così come modificata dalla circolare INPS n. 138 del 10 luglio 2001. 96 Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, sentenza n. 7701 del 16 maggio 2003. 97 In un parere emesso in data 28 gennaio 2003, l’INPS ha precisato che per ricovero a tempo pieno si intende quello in una struttura adibita al ricovero degli handicappati in cui il disabile trascorre tutta la giornata o gran parte di essa. Il rientro a casa del disabile, seppur nelle ore serali, non esclude il concetto di ricovero a tempo pieno. Il parere ha poi ulteriormente precisato che il ricovero presso una qualunque struttura ospedaliera (anche se non legato, direttamente o indirettamente all’handicap) è da intendersi effettuato presso “istituti specializzati”.

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altrettanto comprensibile che questa seconda persona possa godere di tre giorni di libertà coincidenti con la fruizione dei permessi retribuiti da parte del lavoratore. A conclusione di queste considerazione la Corte ribadisce che: “né la lettera, né la ratio della legge escludono il diritto ai permessi retribuiti in caso di presenza in famiglia di persona che possa provvedere all’assistenza”98. Anche la giustizia amministrativa era pervenuta ad analoghe conclusioni; in particolare il Consiglio di Stato ha affermato che il diritto ai permessi non è subordinato alla mancanza di altri familiari in grado di assistere il portatore di handicap99. Del resto anche la Corte Costituzionale ha sottolineato come la “ratio” della normativa in esame sia quella di contribuire a far superare i molteplici ostacoli che il disabile incontra quotidianamente nelle attività sociali e lavorative, e che non è pertanto immaginabile che l’assistenza ai disabili si fondi solo su quella familiare100. Conseguentemente, di fronte a siffatti orientamenti giurisprudenziali, l’INPS ha recentemente ritenuto opportuno rivedere la propria interpretazione in merito al requisito dell’esclusività dell’assistenza ai fini della concessione dei permessi mensili per assistere il disabile grave101. In particolare l’Istituto ha delineato i seguenti nuovi criteri interpretativi:

• non rileva il fatto che nell’ambito del nucleo familiare della persona con disabilità in situazione di gravità si trovino conviventi familiari non lavoratori idonei a fornire l’aiuto necessario;

• la persona con disabilità in situazione di gravità - ovvero il suo amministratore di sostegno ovvero il suo tutore legale – può liberamente effettuare la scelta su chi, all’interno della stessa famiglia, debba prestare l’assistenza prevista dalla legge;

• l’assistenza non deve essere necessariamente quotidiana, purché assuma i caratteri della sistematicità e dell’adeguatezza rispetto alle concrete esigenze della persona con disabilità in situazione di gravità;

• i permessi mensili di tre giorni vanno riconosciuti altresì a quei lavoratori che – pur risiedendo o lavorando in luoghi anche distanti da quello in cui risiede di fatto la persona con disabilità in situazione di gravità (anche nel caso del personale di volo delle linee aeree, del personale viaggiante delle ferrovie o dei marittimi) – offrano allo stesso un’assistenza sistematica ed adeguata, pur restando impregiudicato il potere organizzativo del datore di lavoro, non attenendo la fruizione dei permessi all’esercizio di un diritto potestativo del lavoratore. Coerentemente, in sede di richiesta dei benefici in oggetto, dovrà essere prodotto un “Programma di assistenza” a firma congiunta del lavoratore richiedente e della persona con disabilità in situazione di gravità - ovvero del suo amministratore di sostegno ovvero del suo tutore legale – sulla cui eventuale valutazione di congruità medico legale si esprimerà il dirigente responsabile del Centro medico legale della sede INPS competente. Sul punto l’INPS ha ulteriormente specificato che il Programma di assistenza consiste in una sostanziale pianificazione motivata delle modalità con cui il lavoratore intende assistere il disabile in situazione di gravità che verrà richiesta allorché il tempo necessario per coprire la distanza tra il luogo in cui vive/lavora il richiedente i permessi e la residenza del disabile superi i 60 minuti102. Si tratta quindi di una dichiarazione congiunta del lavoratore e del portatore di handicap – rinnovata annualmente in occasione della richiesta dei permessi – dalla quale si evincano sia le motivazioni della richiesta (visite mediche programmate in Italia e all’Estero,

98 Corte di Cassazione, sez. lavoro , sentenza n. 13481 del 20 luglio 2004. 99 Consiglio di Stato, sez. terza, sentenza n. 394/97. 100 Corte Costituzionale n. 325/1996. 101 INPS, circolare n. 90 del 23 maggio 2007. 102 INPS, messaggio n. 15021 del 7 giugno 2006.

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sostituzione di personale badante, di altro familiare nell’assistenza, etc.) sia il piano mensile di utilizzo dei permessi;

• il requisito dell’esclusività dell’assistenza non coincide con l’assenza di qualsiasi altra forma di assistenza pubblica o privata, essendo compatibile con la fruizione dei benefici in questione il ricorso alle strutture pubbliche, al cosiddetto “non profit” ed a personale badante;

• per esplicita previsione legislativa, non dà titolo ai benefici in esame il solo caso del ricovero a tempo pieno, inteso come il ricovero per le intere ventiquattro ore. Fa eccezione il caso del ricovero a tempo pieno, finalizzato ad un intervento chirurgico oppure a scopo riabilitativo, di un bambino di età inferiore ai tre anni con disabilità in situazione di gravità, per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura ospedaliera il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare (parente o affine entro il 3° grado) nonché, su valutazione del dirigente responsabile del Centro medico legale della Sede INPS, quello della persona con disabilità in situazione di gravità in coma vigile e/o in situazione terminale103;

• l’accettazione da parte del portatore di handicap in situazione di gravità dell’assistenza continuativa ed esclusiva offerta dal familiare può rientrare tra le fattispecie previste dal T.U. n. 445/2000 sulla documentazione amministrativa per la cui prova è ammessa dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

Ovviamente resta impregiudicato il diritto/dovere della Pubblica Amministrazione di verificare sia la veridicità della dichiarazione di cui sopra e di quanto dichiarato dal lavoratore nel modello di domanda sia, in caso di disabilità in situazione di gravità temporaneamente concesso (nelle more del giudizio definitivo così come espresso dalla Commissione medica di verifica) dalla Commissione medica ex art. 4 della Legge 104/92, il permanere del diritto a fruire i suddetti benefici in capo al lavoratore che ne abbia richiesto l’attribuzione.

INCENTIVO AL POSTICIPO AL PENSIONAMENTO E DISCIPLINA DEL CUMULO TRA PENSIONE E REDDITO DA LAVORO

L’INPS è recentemente intervenuto in ordine all’applicazione della disciplina del cumulo tra pensione e redditi da lavoro per coloro che hanno esercitato l’opzione per il “bonus” o incentivo al posticipo del pensionamento104. Come è noto possono avvalersi del bonus105 – fino al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia e in ogni caso non oltre il 31 dicembre 2007 – coloro che, maturati i requisiti anagrafici e contributivi per la pensione di anzianità, scelgono di rimanere al lavoro e rinunciano all'accredito dei contributi IVS ottenendo un aumento in busta paga pari alla contribuzione previdenziale (circa il 33% dello stipendio lordo per la quasi generalità dei lavoratori), per di più esentasse. In primo luogo, l’Istituto ricorda come l'importo della pensione che spetterà dopo aver usufruito del bonus resti "cristallizzato", sia cioè calcolato al momento della prima “finestra” utile per il pensionamento, successiva alla decorrenza dell'incentivo - sulla base dei contributi versati fino a quella data - e maggiorato degli aumenti del costo della vita (“perequazione automatica”) che sono intervenuti nel frattempo106.

103 Cfr. messaggi INPS n. 228 e n. 256 del 4 gennaio 2006. 104 INPS, messaggio n. 10578 del 26 aprile 2007. 105 Art. 1, c. 12, legge 23 agosto 2004, .n. 243. 106 INPS, circolare n. 149 dell’11 novembre 2004.

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Eventuali periodi di contribuzione accreditati nel periodo intercorrente tra la decorrenza del bonus e quella della prestazione pensionistica danno origine ad un’ulteriore quota di pensione, calcolata secondo le regole con cui viene liquidato il “supplemento di pensione”, la quale diviene parte integrante della pensione stessa. Per quanto riguarda il regime del cumulo, la normativa vigente prevede che le pensioni di anzianità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria (e forme di previdenza esonerative, esclusive, sostitutive della stessa) sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente, a condizione che alla data di decorrenza della pensione il lavoratore faccia valere un’anzianità contributiva pari o superiore a 37 anni e abbia compiuto 58 anni di età107. Parimenti, non vi è alcuna trattenuta sulla pensione se essa è liquidata ad assicurato con 40 anni di contributi, a qualsiasi età108. Per ciò che concerne la prima ipotesi, i requisiti devono sussistere al momento della decorrenza della pensione, conseguente all’effettiva cessazione dell’attività lavorativa; ciò vale anche nei confronti dei lavoratori che hanno esercitato l’opzione per il bonus. Questo implica che, per quanto riguarda il requisito dell’età anagrafica, si terrà conto di quella raggiunta al momento del conseguimento della pensione, momento differente, e ovviamente successivo, rispetto a quello di decorrenza del bonus. L’anzianità contributiva sarà invece quella maturata fino al momento dell’opzione per il bonus, cui andrà sommata quella figurativa o effettiva che sia eventualmente maturata in periodi successivi alla fruizione dello stesso, quindi al 31 dicembre 2007, e in ogni caso al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia. Questi principi valgono naturalmente anche nel caso dell’anzianità contributiva pari a 40 anni, come unico requisito necessario e sufficiente ai fini della totale cumulabilità tra pensione e reddito da lavoro109. In sintesi, dunque, la regola è nel senso che, per l’applicazione del regime di cumulabilità tra pensione e reddito da lavoro, si deve tenere conto dell’età anagrafica del soggetto al momento in cui richiede ed ottiene la pensione, più elevata di quella che il soggetto stesso possedeva al momento della decorrenza del bonus.

ARCHIVIAZIONE ELETTRONICA DEI DOCUMENTI DI LAVORO RISPOSTA DEL MINISTERO DEL LAVORO A INTERPELLO

Il Ministero del lavoro, in risposta ad un interpello110, ha fornito chiarimenti sulla possibilità di effettuare l’archiviazione elettronica e la conseguente materializzazione della documentazione di lavoro. Il Ministero, dopo aver rilevato che la normativa vigente (D.P.R. 20 aprile 1994, n. 350; D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445) consente ai datori di lavoro di tenere i libri paga e matricola mediante sistemi elettronici, magnetici o informatici che ne garantiscano l’inalterabilità e la consultabilità, ricorda che l’Autorità per l’informatica nella Pubblica amministrazione ha , a suo tempo, indicato le regole tecniche per la riproduzione e conservazione di documenti su supporto ottico idoneo a garantirne la conformità agli originali.

107Art. 44, c. 1, legge 27 dicembre 2002, n. 28. 108 Art. 72 legge 23 dicembre 2000, n. 388. 109 Ai fini del calcolo dei 40 anni di contributi, si tiene conto di tutta la contribuzione (obbligatoria, da riscatto, volontaria, figurativa) anche se successiva alla decorrenza della pensione, purché utilizzata nella liquidazione di supplementi di pensione. 110 Ministero del lavoro, nota n. 25/1/1742 dell’8 febbraio 2007.

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Tale procedura , che si articola nelle fasi di registrazione, di apposizione della firma digitale e di una marca temporale, di autenticazione da parte di un organo certificatore e di controllo da parte degli organi di verifica , in quanto soddisfa il requisito della forma scritta, consente di omettere il trasferimento dei dati su supporto cartaceo. Inoltre il Ministero ribadisce che fino alla predisposizione degli strumenti tecnico informatici necessari per l’attivazione del predetto meccanismo, i soggetti che effettuano la tenuta dei libri mediante strumenti informatici secondo quanto previsto dall’art. 2 del D.P.R. n. 350/1994, garantendo l’inalterabilità (impossibilità di manomissione e di cancellazione accidentale, inattaccabilità da virus e da usura) e la consultabilità in ogni momento, potranno continuare ad utilizzare validamente tale sistema di tenuta, continuando tuttavia a trasferire i dati con cadenza mensile su supporto cartaceo.

ISCRITTI ALLA GESTIONE SEPARATA - DIRITTO ALLE CURE TERMALI La “Direzione centrale prestazioni a sostegno del reddito” dell’Inps, rispondendo ad un quesito , con il quale si chiedeva di sapere se sia possibile concedere le cure termali agli iscritti alla “gestione separata”, ha precisato che poiché tali lavoratori sono assicurati per l’invalidità ed hanno pieno diritto ai trattamenti pensionistici di invalidità/inabilità, alla cui prevenzione sono dirette le cure termali, hanno diritto alle cure anzidette. Ovviamente l’iscritto deve essere in possesso del requisito minimo previsto dalla legge, vale a dire cinque anni di assicurazione e tre anni di contribuzione nel quinquennio precedente la domanda, non avere compiuto l’età pensionabile, e non essere titolare di pensione di anzianità o di trattamento anticipato. Inps, messaggio n. 7478 del 20 marzo 2007.

DIRITTI PREVIDENZIALI DEL CITTADINO STRANIERO NELLE MORE DEL RINNOVO DEL PERMESSO DI SOGGIORNO

L’INPS, risolvendo alcune perplessità originate dall’interpretazione della sua precedente circolare n. 122/2003, e tenendo conto delle direttive del Ministero dell’interno, ha precisato che , nelle more della concessione del rinnovo del permesso di soggiorno, il lavoratore straniero va considerato in possesso di tutti i diritti acquisiti e maturati nell’ambito del rapporto di lavoro instaurato, anche ai fini previdenziali. Perciò, ai fini dell’iscrizione assicurativa, le Sedi dell’Istituto vi devono provvedere previa presentazione da parte del lavoratore straniero del cedolino attestante l’avvenuta richiesta di rinnovo. Qui di seguito pubblichiamo il messaggio n. 27641 del 16 ottobre 2006. “Oggetto: Direttiva del Ministero dell’Interno n. 11050/(8) del 5/8/06 su “Diritti dello straniero nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno”. Adempimenti relativi. Il 5 agosto 2006 il Ministero dell'Interno ha emanato una Direttiva “sui diritti dello straniero nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno”, nella quale venivano chiarite, ai sensi dell'art.2 del

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“Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", tutte le situazioni relative ai “diritti di soggiorno” riconosciuti al cittadino straniero che si trova regolarmente sul territorio nazionale, fra i quali, oltre alle facoltà previste espressamente dal citato T.U. n. 286/1998, ..'lo svolgimento di regolare attività lavorativa..'. Secondo quanto indicato espressamente nella Direttiva ,” il cittadino straniero che ha chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno, ha il diritto, in attesa della definizione del relativo procedimento di rinnovo, di continuare a permanere sul territorio nazionale conservando pienezza delle situazioni giuridicamente rilevanti, quali l'attività lavorativa, a condizione di essere in possesso della documentazione rilasciata dall'ufficio competente, attestante l'avvenuta richiesta di rinnovo del predetto permesso di soggiorno”. In particolare, vengono precisati i requisiti richiesti per la conservazione dei diritti acquisiti: 1. la domanda di rinnovo deve essere presentata prima della scadenza del permesso di soggiorno, o entro sessanta giorni dalla scadenza dello stesso; 2. la verifica della completezza della documentazione prescritta; 3. la ricevuta attestante l'avvenuta presentazione della richiesta di rinnovo. Anche il Ministero del Lavoro si era a suo tempo espresso al riguardo, mediante l'emanazione della Circolare n. 67 del 29.9.2000, nella quale veniva chiarito che la fase di attesa del rinnovo del permesso di soggiorno non incideva sulla regolare esecuzione del rapporto di lavoro in corso con il cittadino straniero, anche per non penalizzare lo stesso dei tempi spesso lunghi ma necessari alla definizione delle pratiche in argomento. In tale contesto, l'art 22 c. 12 del D.Lgs n. 286/1998 prevede espressamente che si possa proseguire un rapporto di lavoro durante la fase di rinnovo del permesso di soggiorno e non esclude che se ne possa instaurare uno nuovo. L'Inps a sua volta, con Circolare n. 122 dell’8 luglio 2003, aveva fornito alcune indicazioni sui riflessi in materia previdenziale della fase transitoria di attesa del rinnovo del permesso di soggiorno. Considerato quanto precede, al fine di chiarire alcune perplessità originate dall’interpretazione esposta nella Circolare Inps 122/2003 (sospensione del rapporto di lavoro, ecc.), anche alla luce delle intervenute disposizioni emanate dal Ministero dell'Interno si ritiene che, nelle more della concessione del rinnovo del permesso di soggiorno, il lavoratore straniero debba essere considerato in possesso di tutti i diritti acquisiti e maturati nell'ambito del rapporto di lavoro instaurato, anche ai fini previdenziali. La citata Direttiva del Ministero dell'Interno, inoltre, intende salvaguardare i diritti del lavoratore straniero anche nel caso in cui lo stesso, nelle more della concessione del rinnovo, si trovi a dover instaurare un rapporto di lavoro dipendente con un nuovo datore di lavoro. Al riguardo, ai fini dell'iscrizione assicurativa prevista dalla normativa vigente, le Sedi provvederanno a tale adempimento previa presentazione da parte del lavoratore straniero del cedolino attestante l'avvenuta richiesta di rinnovo. Per quanto riguarda le denunce di rapporto di lavoro domestico si precisa – anche al fine della semplificazione delle procedure amministrative - che la segnalazione alla Questura competente – di cui al msg n. 034093 del 25/10/2004 – non deve essere effettuata in caso di presentazione del cedolino relativo alla richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno”.

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CONTRIBUTO PER GLI APPRENDISTI – RIPARTIZIONE TRA LE VARIE GESTIONI DELLA QUOTA A CARICO DEI DATORI DI LAVORO

Il Ministero del Lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha definito con decreto la ripartizione tra le gestioni previdenziali interessate, della contribuzione dovuta dai datori di lavoro per gli apprendisti, nonché la determinazione della contribuzione relativa alla indennità giornaliera di malattia per i lavoratori assunti con contratto di apprendistato. Tale decreto – emanato in attuazione dell’art. 1, comma 773, della legge n. 296 del 2006 – dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2007, la contribuzione dovuta dai datori di lavoro per gli apprendisti (pari al 10% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali) è ripartita tra le gestioni previdenziali interessate nei seguenti punti percentuali: INPS: Fondo pensioni: 9,01; CUAF 0,11; Malattia 0,53; Maternità 0,05 INAIL: 0,30

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FATTI E VICENDE DEGLI ENTI DI PREVIDENZA

INPS - MISURE ADOTTATE PER LA TUTELA DEI DATI PERSONALI

Il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, ha raccolto in un “testo unico”tutta la normativa in materia di tutela dei dati personali, tenendo conto altresì del quadro normativo comunitario e di quello internazionale. Tale decreto ha sancito (art.1) - in attuazione dell’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000 - il diritto per chiunque alla protezione dei dati personali, autonomo e distinto rispetto al diritto alla riservatezza. Esso consente al suo titolare di conoscere le informazioni che lo riguardano. Altra prescrizione della norma, riguarda il principio secondo cui i sistemi informativi e i programmi informatici devono comportare l’utilizzo minimo di dati personali e identificativi (art.3), ovvero solo quando ve ne sia la necessità. Tale principio di “necessità” del trattamento dei dati personali deve orientare l’azione amministrativa. L’INPS è – ovviamente - un soggetto pubblico particolarmente coinvolto nell’applicazione di tali norme, dal momento che , per adempiere ai suoi compiti, tratta dati personali e sensibili. Pertanto ha adottato una serie di misure idonee a rendere garantite e riservate le informazioni di tale natura in suo possesso, modificando opportunamente la propria organizzazione e creando al proprio interno un organismo denominato “coordinamento privacy”, con compiti di indirizzo, pianificazione e promozione delle attività in materia di produzione dei dati personali. Riportiamo un estratto della circolare n. 50/2007, con la quale l’Istituto dà notizia delle iniziative assunte per adeguare la propria organizzazione alla vigente normativa. Oggetto: Misure finalizzate a dare attuazione alle disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali (Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196)| omissis “Soggetti preposti al trattamento dei dati Analogamente a quanto previsto dalla preesistente normativa, il Codice individua nel “titolare” nel “responsabile” e nell’incaricato” i soggetti cui fa capo il trattamento dei dati; ad essi si fa specifico riferimento rispettivamente negli articoli 28, 29 e 30. • Titolare del trattamento è l’INPS nel suo complesso. L'articolo 28 chiarisce infatti che, quando il trattamento è effettuato da una persona giuridica, da una pubblica amministrazione o da qualsiasi altro ente, associazione od organismo, il titolare coincide con l'entità giuridica nel suo complesso ovvero con l'unità o l'organismo periferico che esercita un potere decisionale del tutto autonomo sulle finalità e sulle modalità del trattamento, ivi compreso il profilo della sicurezza. • Responsabile del trattamento è il soggetto che, nominato per iscritto dal titolare, sovraintende all’intero processo del trattamento dei dati, dalla iniziale acquisizione fino alla eventuale cessazione o distruzione, sulla base delle istruzioni impartitegli. • Incaricato del trattamento è qualsiasi soggetto che esegue materialmente sotto la diretta autorità del Titolare o del Responsabile il trattamento dei dati sia con l’ausilio di strumenti informatici che mediante supporti cartacei. Modello organizzativo privacy L’entrata in vigore del Codice ha comportato per le pubbliche amministrazioni la necessità di riconsiderare le proprie attività e la propria organizzazione al fine di consentire una piena ed

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effettiva garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali dell’interessato in esso affermati. Le tematiche relative alla privacy investono infatti, le amministrazioni nella quasi totalità delle proprie attività, assumendo significativo rilievo nello svolgimento di molti dei compiti istituzionali loro affidati dall’ordinamento. Pertanto, in armonia con quanto previsto dal Codice, il Consiglio di Amministrazione dell’Istituto, con deliberazione n. 251 del 21 dicembre 2004, ha adottato un nuovo modello organizzativo sulla privacy, che prevede un organismo denominato “coordinamento privacy” con compiti di indirizzo, pianificazione e promozione delle attività in materia di protezione dei dati personali, e la nomina dei responsabili interni del trattamento. Responsabili del trattamento Ai sensi dell’articolo 29 del Codice i responsabili sono designati dal titolare tra soggetti che per esperienza, capacità ed affidabilità forniscono idonea garanzia del pieno rispetto delle disposizioni in materia di trattamento compreso il profilo relativo alla sicurezza. Per esigenze organizzative l’INPS, con deliberazione del Consiglio di Amministrazione n. 251 del 21 dicembre 2004 ha nominato responsabili del trattamento dei dati personali: • Il Direttore centrale organizzazione • Il Direttore centrale sviluppo e gestione risorse umane • Il Direttore centrale sistemi informativi e telecomunicazioni • Il Direttore centrale approvvigionamenti, logistica e gestione patrimonio • Il Coordinatore generale medico – legale • I Direttori regionali • I Direttori provinciali In considerazione di quanto stabilito dal Consiglio di Amministrazione con la deliberazione n. 251 del 21 dicembre 2004 e tenuto conto che nell’organizzazione dell’Istituto le stesse funzioni esercitate dai Direttori provinciali sono conferite anche ai Direttori subprovinciali (articolo 20 del Regolamento di organizzazione) e che in tal senso il Consiglio di Amministrazione, con deliberazione n. 174 del 7 giugno 2006, ha individuato le Direzioni provinciali e le Direzioni subprovinciali quali centri di responsabilità di secondo livello, sono parimenti designati responsabili del trattamento anche i Direttori subprovinciali. I responsabili designati devono attenersi a quanto prescritto dalla legge e alle istruzioni specificate dal titolare nell’Allegato 1 alla presente circolare. Incaricati del trattamento Sono i dipendenti che possono materialmente effettuare le operazioni di trattamento dei dati personali. Ai sensi dell’articolo 30 del Codice gli incaricati debbono essere individualmente designati per iscritto. Tuttavia, il Codice prevede anche modalità semplificate di designazione – valide soprattutto all’interno delle pubbliche amministrazioni in considerazione dell’avvicendamento cui è soggetto in genere il personale – che permettono di procedere alla nomina degli incaricati attraverso la documentata preposizione delle persone fisiche ad unità organizzative per le quali è stato individuato, per iscritto, l’ambito del trattamento consentito agli addetti. Considerato il sistema organizzativo dell’Istituto basato sulla metodologia di lavoro per processi e tenuto conto della mobilità del personale all’interno delle strutture dell’Istituto stesso, le nomine ad incaricato sono poste in relazione ai compiti ed alle funzioni svolte nell’ambito di ciascun processo. Ciascun dipendente viene nominato, con la notifica della presente circolare a cura del responsabile, ai sensi e per gli effetti dell'art. 30 del Codice, incaricato del trattamento dei dati che inseriscono il processo o l’unità organizzativa nell’ambito della quale presta la propria attività, tenendo conto dei mezzi richiesti dalla natura delle funzioni svolte. L’ambito del trattamento consentito a ciascun incaricato, specificato a cura del responsabile, è pertanto costituito dall’insieme delle attività attraverso le quali all’interno di ciascuna unità organizzativa (UdP, processi abilitanti, Agenzie, team,) si realizza il compimento sia delle richieste di servizio che delle richieste di consulenza.

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Ciascuno degli incaricati deve puntualmente attenersi alle istruzioni impartite dal responsabile del trattamento nonché alle più generali istruzioni e linee guida, valide per tutti gli incaricati del trattamento, indicate in allegato alla presente circolare (Allegato 2). La presente circolare, completa degli allegati, deve essere pertanto consegnata, secondo le consuete modalità, a cura di ciascun responsabile, a tutti i dipendenti i quali sono tenuti a fornire attestazione di ricezione e presa visione degli adempimenti nella stessa contenuti con specifico riferimento alle istruzioni che, in quanto incaricati del trattamento, direttamente li riguardano. Si fa ancora presente che ai criteri e alle modalità di trattamento dei dati, secondo le istruzioni di cui all’Allegato 2, debbono attenersi anche quei soggetti che, pur non essendo dipendenti dell'Istituto, svolgono funzionalmente operazioni di trattamento su dati di cui l'Istituto ha la titolarità. Vanno annoverati tra costoro: i medici specialistici convenzionati, i medici della ASL che effettuano visite di controllo per conto dell'Istituto, i medici competenti convenzionati (art. 17 D.Lgs. n. 626/94), i consulenti – limitatamente al periodo di collaborazione -, gli addetti alla manutenzione, gli stagisti. Per la nomina a Responsabile del trattamento o Incaricato di tutti i sopraindicati soggetti esterni all’Istituto seguiranno apposite istruzioni. Si raccomanda particolare attenzione nel trattamento dei dati sensibili e giudiziari in considerazione della loro delicatezza e si rinvia al riguardo alle modalità operative del trattamento descritte nella circolare n. 145 del 25 agosto 2003. Massima attenzione si richiama, altresì, in merito alla circolazione dei dati sensibili e giudiziari all’interno dell’Istituto. In tal senso dovranno essere adottate soluzioni che permettano di svolgere le funzioni istituzionali eliminando ogni occasione di superflua conoscibilità dei dati sensibili e giudiziari, anche da parte degli incaricati del trattamento. Anche in questo caso si fa riferimento a quanto già previsto nella già citata circolare 145 del 25 agosto 2003 sul principio di separatezza, di cui all’art. 3, comma 5 del decreto legislativo 135/99, che è stato ribadito ed ulteriormente precisato dal Garante per la tutela dei dati. Si rammenta che l'Istituto - in quanto titolare - in esecuzione degli obblighi derivanti dal Codice, può disporre verifiche periodiche sull'osservanza delle disposizioni di cui alle istruzioni impartite. Misure di sicurezza Le misure di sicurezza richieste dal Codice e adottate dall’Istituto sono articolate in due gruppi: • misure “minime”, la cui mancata adozione comporta sanzioni penali per chiunque, pur

essendovi tenuto, ometta di adottarle; • misure più ampie o “idonee”, decise in autonomia dal titolare in relazione alle specificità della

propria attività e che, se non adottate, in caso di danno concorreranno all’individuazione delle responsabilità e del conseguente risarcimento economico. In questo ambito restano da attivare la classificazione dei dati ed il sistema di monitoraggio che , a compimento, andranno a rafforzare le misure già esistenti”.

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XXXI

INPS – ESERCIZIO DI AZIONI SURROGATORIE RELATIVE ALLE INDENNITA’ EROGATE DALL’ISTITUTO PER MALATTIA CAUSATA DA TERZI

Può accadere – soprattutto con riferimento al caso degli incidenti stradali - che l’evento “malattia”, assicurato dall’INPS, derivi da un fatto colposo commesso da un “terzo” estraneo al rapporto assicurativo lavoratore/INPS. In tal caso, in base al diritto comune, il terzo è responsabile, e l’INPS ha diritto alla “surroga”, cioè alla possibilità di ottenere da quest’ultimo il rimborso della indennità di malattia pagata al lavoratore danneggiato. Stabilisce infatti l’art. 1916 del codice civile che “l’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato fino alla concorrenza di essa nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili”. Inoltre l’art. 28, comma 2, della legge 24 dicembre 1969 stabilisce che tale rimborso può essere ottenuto anche dall’assicuratore del responsabile nel caso di responsabilità civile derivante da circolazione di veicoli a motori e di natanti. E’ quindi consentito all’INPS di promuovere l’azione di surroga direttamente nei confronti dell’assicuratore del terzo responsabile di un incidente stradale, con ovvie maggiori possibilità di buon fine dell’azione stessa. Ciò premesso, è evidente come l’Istituto annetta particolare rilievo a tale attività, che senza dubbio costituisce - insieme al recupero della contribuzione omessa – un aspetto non secondario della sua complessa attività di recupero dei crediti. L’INPS torna quindi in argomento111 per porre rimedio, con l’istituzione di nuove procedure, alle “inadeguatezze delle attuali modalità operative a fronteggiare il rischio che vadano prescritte, per mera decorrenza dei termini di legge, moltissime azioni surrogatorie, attivabili a seguito di sinistro stradale, qualificabile come evento sicuramente preponderante e sul quale occorre focalizzare tutta l’attenzione quale fonte di recupero delle somme indennizzate”. Tali procedure passano attraverso l’invio di questionari che gli uffici dell’Istituto devono inviare a tutti i soggetti coinvolti, alle visite mediche e di controllo in tutti i casi in cui la prognosi superi i sette giorni di malattia, e all’eventuale invio (nel caso in cui emerga la responsabilità di un terzo) di una apposita modulistica; in particolare:

- al terzo responsabile del danno ed alla sua compagnia assicuratrice, all’assicurato (lavoratore infortunato) ed alla sua compagnia assicuratrice, la lettera di richiesta della sospensione (preavviso) della liquidazione (mod. A 52);

- al comando dell’Autorità che ha effettuato gli accertamenti (Polizia municipale, Carabinieri, Polizia di Stato) la lettera di richiesta dei rapporti e dei rilevamenti (mod. A 54);

- al datore di lavoro, la lettera di richiesta e i dati di calcolo dell’indennità di malattia. Tutti tali moduli vengono inviati anche nel caso in cui gli eventi possano essere considerati “infortuni in itinere”, in attesa che l’Inail si pronunci un merito. Per opportuna conoscenza, pubblichiamo un estratto della circolare INPS n. 69/07. “Oggetto: Azioni surrogatorie relative alle indennità erogate dall’Istituto per malattia causata da terzi. Istruzioni contabili. Variazioni al piano dei conti. Omissis 3.2. Invio immediato dei modelli AS 2 , AS 3 ed AS 4 Il rispetto delle disposizioni sopra descritte porrà l’Unità di Processo prestazioni a sostegno del reddito nella condizione di attivare tutti gli atti cautelativi e propedeutici alla liquidazione del credito dell’Istituto, semplificando la corrispondenza con i lavoratori interessati e riducendo i 111 INPS, circ 30 marzo 2007, n. 69; in precedenza, sullo stesso tema, aveva sollecitato i propri uffici ad “una vigile ed efficace azione volta alla capillare individuazione… delle fattispecie che possono dar luogo ad azioni di surroga” e ad agire “con la massima tempestività, avuto riguardo anche ai termini prescrizionali” (circ. n. 331/94).

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XXXII

tempi dell’istruttoria. L’unità di processo , nei casi in cui il Dirigente medico, sulla base della certificazione sanitaria e del modello AS1 compilato dall’assicurato, validi l’ipotesi di responsabilità di terzi, provvederà ad inviare immediatamente quanto segue: • al terzo responsabile del danno ed alla sua compagnia assicuratrice, all’assicurato

(infortunato) ed alla sua compagnia assicuratrice, la lettera di richiesta della sospensione (preavviso) della liquidazione ( modello AS2),

• al datore di lavoro la lettera di richiesta dei dati di calcolo dell’indennità di malattia ( modello AS3),

• al comando dell’autorità che ha effettuato gli accertamenti (Polizia Municipale, Carabinieri, Polizia di Stato) la lettera di richiesta dei rapporti e dei rilevamenti (modello AS4 ).

Anche il modello AS2 è stato opportunamente modificato nell’ottica di una più efficace comunicazione ed il nuovo testo ( allegato 3 ), sarà quanto prima disponibile anche nel sistema di posta ibrida. Per quanto attiene agli eventi ipotizzabili come infortunio in itinere1, in attesa delle determinazioni dell’INAIL in merito alla configurazione o meno come infortunio sul lavoro, onde evitare che nell’incertezza sulla competenza istituzionale all’erogazione dell’indennità giornaliera possano compiersi i termini di prescrizione o di decadenza, le Sedi daranno corso comunque all’invio dei modelli come sopra indicato. Occorre ricordare che il D.P.R. n. 254/2006, prevede, sempre in ambito di incidenti provocati dalla circolazioni di autoveicoli, i casi in cui può avvenire la liquidazione diretta del danno a cura della compagnia assicurativa del soggetto che lo abbia subito per responsabilità totalmente o parzialmente ascrivibile all’altrui comportamento. 1 Particolare fattispecie di infortunio indennizzabile a carico dell’INAIL che occorre alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti, salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate. L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. (art. 12 del D. Lgs. 23 Febbraio 2000, n. 38). 3.3. Invio del sollecito al datore di lavoro della restituzione del modello AS3 La lettera di trasmissione al datore di lavoro del modello AS3 (allegato n. 4) è stata modificata inserendo l’invito alla restituzione dello stesso modello, debitamente compilato e sottoscritto, entro quindici giorni dal ricevimento. Laddove entro tale termine il modello AS3 non sia stato restituito alla Sede mittente, questa dovrà provvedere repentinamente all’invio di un sollecito all’azienda, diffidando la stessa ad adempiere entro i successivi dieci giorni. 3.4. Ricorso ad E-MENS per l’individuazione dei dati retributivi in mancanza del modello AS3 Laddove il modello AS3 non venga restituito compilato neppure dopo il sollecito di cui al punto precedente, l’Unità di processo prestazioni a sostegno del reddito provvederà a quantificare la retribuzione di riferimento per il calcolo dell’indennità di malattia prelevando i dati necessari dalla denuncia E-MENS relativa al lavoratore infortunato inviata dal datore di lavoro per il periodo di paga del mese antecedente l’evento infortunistico, verificando preventivamente, attraverso il confronto con le denunce mensili precedenti, che non vi siano scostamenti tali da lasciare supporre che nella retribuzione complessiva siano compresi emolumenti arretrati o premi di produzione annuali o riferiti a più mesi. Quanto detto sopra vale, ovviamente, per i lavoratori dipendenti ed i lavoratori a progetto i cui datori di lavoro e committenti siano soggetti all’obbligo della denuncia E-MENS. Per tutte le altre categorie, secondo la stessa logica, si dovrà procedere al reperimento dei dati retributivi attraverso la ricerca nelle specifiche banche dati dell’Istituto. Per gli operai agricoli a tempo indeterminato ( OTI ), ad esempio, i dati saranno prelevati dalla denuncia trimestrale DMAG che comprende il

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XXXIII

mese precedente l’evento . Per gli operai agricoli a tempo determinato (OTD) si farà, di norma, riferimento ai dati contenuti negli elenchi annuali dell’anno precedente l’evento. 3.5. Attivazione tempestiva dell’azione amministrativa di surroga Una volta quantificata l’indennità di malattia erogata a seguito dell’infortunio determinato dal fatto illecito del terzo, l’Unità di processo, nella cui disponibilità si trovano già le informazioni relative al terzo responsabile ed alla sua compagnia assicurativa ed a quella dell’assicurato danneggiato, è in condizioni di procedere speditamente all’invio della richiesta di rimborso. A tal proposito va specificato che, a seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 254/2006, che prevede, sempre in ambito di incidenti provocati dalla circolazione di autoveicoli, la liquidazione diretta del danno a cura della compagnia assicurativa del soggetto che lo abbia subito per responsabilità totalmente o parzialmente ascrivibile all’altrui comportamento, la richiesta in tali casi dovrà essere indirizzata, oltre che al terzo ed alla sua compagnia di assicurazione, anche a quella dell’assicurato. Infine, nel sottolineare che, come sopra indicato, tra gli obiettivi gestionali previsti per il 2007 per le prestazioni a sostegno del reddito è compreso anche il raggiungimento di una percentuale non inferiore al 75% di azioni di surroga attivate entro novanta giorni dal ricevimento del certificato medico rispetto al totale di quelle attivate, si raccomanda alle Sedi di adempiere anche a tale incombenza con la massima rapidità e di predisporre uno specifico piano per l’abbattimento di eventuali sacche di arretrato. Si fa, infine, presente che anche il modello AS5 è stato modificato ( vedi allegato 5), prevedendo la possibilità del versamento da parte del terzo o della compagnia assicuratrice mediante bonifico bancario o postale. 4. ADEMPIMENTI DEGLI UFFICI LEGALI Una volta determinato l’importo delle prestazioni erogate a favore del lavoratore e dopo l’invio della richiesta di rimborso ai soggetti indicati al punto 3.5 della presente circolare, l’Unità di processo prestazioni a sostegno del reddito, decorsi almeno 120 giorni ma non oltre il 150°, in ipotesi di mancato riscontro, di inadempimento ovvero di adempimento parziale, dovrà trasmettere, per il seguito di specifica competenza, la pratica all’ufficio legale sia in cartaceo -con apposita lettera di accompagno da inviare per conoscenza anche alle Compagnie Assicuratrici- che in via telematica. L’Ufficio legale, provvederà all’acquisizione della pratica di surroga e, con tempestività, invierà una diffida legale al pagamento della somma ancora dovuta oltre agli accessori di legge (interessi e rivalutazione monetaria) aggiornati alla data di spedizione della nota. Successivamente, sulla base degli elementi di prova acquisiti in fase amministrativa (rapporto dell’Autorità intervenuta, indicazione di testi utili nel verbale delle dichiarazioni rese nel mod. AS1, riconoscimento della propria responsabilità nella causazione dell’evento lesivo da parte del terzo responsabile) l’ufficio legale darà corso all’azione giudiziaria diretta a far valere il diritto di surroga ovvero proporrà l’eliminazione del credito per inesigibilità o antieconomicità. Agli uffici legali dovranno essere trasmessi i documenti in originale e, tra questi, in particolare, il mod. AS3 debitamente compilato dal datore di lavoro con l’indicazione delle retribuzioni corrisposte all’infortunato durante il periodo di malattia nonché le lettere di preavviso e di estratto conto munite degli avvisi di ricevimento necessari a comprovare la rituale interruzione dei termini prescrizionali. Si rivela, ovviamente, del tutto inutile trasmettere all’ufficio legale avvisi di ricevimento il cui destinatario risulti “sconosciuto” o “trasferito per ignota destinazione” senza che, da parte dell’ufficio amministrativo, sia stata effettuata la relativa ricerca anagrafica. Si osserva che, in ipotesi di pagamenti a saldo o parziali pervenuti agli uffici amministrativi dopo il passaggio della pratica alla fase legale, di tale circostanza l’ufficio legale dovrà essere tempestivamente informato anche tramite invio del mod. IP 518/M attestante l’incasso delle somme. Nell’ipotesi in cui, dopo l’invio dell’estratto conto, il terzo responsabile o la Compagnia assicuratrice che lo garantisce, contesti la durata della malattia dell’assicurato, l’Unità di processo prestazioni a sostegno del reddito prima di trasmettere la pratica all’ufficio legale, dovrà

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XXXIV

richiedere al medico dell’Istituto una relazione sanitaria che attesti la corretta durata dell’inabilità. Per quanto non espressamente disciplinato dalla presente circolare, si fa rinvio alle disposizioni contenute nella circolare n. 331 del 20 dicembre 1994”. Omissis

* * * Per completezza di argomento, val la pena di ricordare che con una recente sentenza112 la Corte di cassazione, accogliendo un ricorso dell’INPS, ha confermato il proprio orientamento in merito all’inopponibilità all’Istituto stesso che agisce in via surrogatoria, del concorso di colpa del terzo responsabile e dell’infortunato danneggiato nel sinistro, a seguito del quale siano state erogate prestazioni previdenziali. Tale sentenza dunque, a distanza di anni, ribadisce in sede di legittimità l’orientamento in base al quale, nel limiti di quanto effettivamente dovuto e liquidato a favore del danneggiato, l’Ente previdenziale ha diritto di integrale rimborso.

112 Corte di Cassazione, terza sezione civile, sentenza n. 10834/07 del 16 marzo 2007, depositata l’11 maggio 2007, che conferma l’orientamento già espresso con sentenza n. 12686/1999.

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XXXV

SI RAMMENTA CHE

AMMORTIZZATORI SOCIALI – CAUSE DI DECADENZA DAI TRATTAMENTI PREVIDENZIALI E DA ALTRE INDENNITÀ O SUSSIDI EROGATI AI LAVORATORI

DISOCCUPATI O SOSPESI DAL LAVORO Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha commentato e analizzato, all’inizio del 2006, la normativa113 relativa alla decadenza dai trattamenti previsti come ammortizzatori sociali per i lavoratori che rifiutino percorsi di reinserimento nel mercato del lavoro o di formazione o riqualificazione professionale loro proposti114. Tale normativa manifesta l’esigenza di una connessione tra l’erogazione delle prestazioni a sostegno del reddito e la concreta presenza delle condizioni soggettive necessarie per poterne godere. Si persegue, in tal modo, una politica che porti ad un risultato concreto dei progetti nell’ambito della tutela del lavoratore pro-attivo, volto alla ricerca di una nuova attività. All’illustrazione del Ministero ha fatto seguito l’INPS115, che in una propria circolare ha tenuto presenti anche le norme116 emanate successivamente alla circolare ministeriale. Ciò premesso, si ritiene fare cosa utile riepilogando le principali indicazioni attuative della vigente normativa fornite dai due Enti. La circolare ministeriale, sull’art.1 quinquies della legge n. 291/2004, precisa gli obblighi dei lavoratori beneficiari di interventi per il sostegno al reddito sancendo la perdita dei trattamenti previdenziali qualora gli obblighi stessi non vengano assolti; nello specifico:

1. l’obbligo di aderire ad un’offerta di un corso formativo o di riqualificazione e di frequentarlo. L’INPS ha specificato che la frequenza al corso deve essere nella misura minima dell’80% della durata complessiva, salvo i casi di forza maggiore (che deve essere adeguatamente documentata) o di assenza per congedi parentali o di maternità. Tale obbligo vincola tutte le categorie di lavoratori in cassa integrazione, a qualsiasi titolo concessa, in mobilità, in disoccupazione speciale o percettori di un sussidio legato allo stato di disoccupazione ed in occupazione;

2. l’obbligo di accettare un’offerta di lavoro con un inquadramento che da diritto ad una retribuzione non inferiore del 20% rispetto a quella di provenienza (salvo il caso non sia possibile fare riferimento ad un livello retributivo precedente);

113 Art. 1 quinquies del D.L. 5 ottobre 2004, n. 249 convertito dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291. 114 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare n. 5 del 22 febbraio 2006. 115 INPS, circolare n. 39 del 15 febbraio 2007. 116 Art. 1 quinquies del D.L. 5 ottobre 2004, n. 249 convertito dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291 e integrato dall’art. 1 c. 7 del D.L. 6 marzo 2006, n. 68 convertito dalla legge 24marzo 2006, n. 127; c. 7 all'articolo 1-quinquies del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291: “dopo il comma 1 sono aggiunti i seguenti: «1-bis. Nei casi di cui al comma 1, i responsabili della attività formativa, le agenzie per il lavoro ovvero i datori di lavoro comunicano direttamente all'INPS e, in caso di mobilità, al servizio per l'impiego territorialmente competente ai fini della cancellazione dalle liste, i nominativi dei soggetti che possono essere ritenuti decaduti dai trattamenti previdenziali. A seguito di detta comunicazione l'INPS dichiara la decadenza dai medesimi, dandone comunicazione agli interessati. 1-ter. Avverso gli atti di cui al comma 1-bis è ammesso ricorso entro quaranta giorni alle direzioni provinciali del lavoro territorialmente competenti che decidono, in via definitiva, nei trenta giorni successivi alla data di presentazione del ricorso. La decisione del ricorso è comunicata all’INPS e, nel caso di mobilità, al competente servizio per l'impiego. 1-quater. La mancata comunicazione di cui al comma 1-bis è valutata ai fini della verifica del corretto andamento dell'attività svolta da parte delle agenzie per il lavoro ai sensi dell'articolo 4, comma 5, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

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XXXVI

3. l’obbligo di avviamento ad un percorso di reinserimento o inserimento nel mercato del lavoro117.

Gli obblighi di cui ai punti 2 e 3 vincolano:

• i lavoratori destinatari del trattamento di mobilità, la cui iscrizione nelle liste sia finalizzata esclusivamente al reimpiego;

• i lavoratori destinatari del trattamento di disoccupazione speciale propria del settore edile, di indennità o sussidi collegati allo stato di disoccupazione o inoccupazione;

• i lavoratori sospesi in cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione di attività dell’impresa, o concessa in deroga alla normativa vigente qualora non sia previsto il loro rientro in azienda.

Nel momento in cui questi lavoratori dovessero quindi rifiutarsi di essere avviati ad un progetto individuale di inserimento nel mercato del lavoro, ovvero ad un corso di formazione o di riqualificazione o non lo frequentino regolarmente, perderebbero il trattamento previdenziale e le indennità relative. Così pure tale sanzione colpisce chi non accetta l’offerta di un lavoro che risponde alle caratteristiche suddette, o che si dimette – non per giusta causa – durante il periodo di prova. La circolare ministeriale in esame, come ribadisce l’INPS, evidenzia poi che i vincoli cui devono sottostare i lavoratori si applicano quando le attività lavorative o di formazione ovvero di riqualificazione si svolgono in un luogo che non dista più di 50 km dalla residenza del lavoratore o comunque raggiungibile mediamente in 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblici. Il Ministero ha inoltre precisato che il rifiuto all’offerta di lavoro deve riferirsi ad una proposta formale e documentabile, contenente gli elementi essenziali, formulata da un datore di lavoro privato, da un’agenzia di somministrazione o da un ente pubblico, nonché ad azioni complessive di ricollocamento lavorativo del soggetto. In caso di rifiuto del lavoratore, i soggetti obbligati alle segnalazioni all’INPS dei possibili casi di decadenza dai trattamenti in argomento (organismi di formazione accreditati, agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro, datori di lavoro pubblici e privati, enti pubblici) sono tenuti a comunicare all’INPS il nominativo del lavoratore, ad allegare l’eventuale utile documentazione e ad informare nel contempo anche il lavoratore per consentirgli di preparare immediatamente le proprie deduzioni difensive. La comunicazione all’INPS va effettuata per iscritto e deve contenere tutti gli elementi essenziali necessari all’Istituto per la valutazione delle proposte inviate ai lavoratori e del loro comportamento rispetto alle stesse. L’Istituto, riprendendo la circolare ministeriale, ricorda la necessità di una leale collaborazione dei ricordati soggetti affinché comunichino all’INPS stesso e al servizio per l’impiego territorialmente competente (per i lavoratori in mobilità) i casi in cui i lavoratori abbiano rifiutato una offerta formativa, di lavoro o un percorso di reinserimento nel mercato del lavoro. In seguito alla predetta comunicazione, l’INPS pronuncia la decadenza dai trattamenti previdenziali in esame se risulta una responsabilità del lavoratore in merito al rifiuto della convocazione. La comunicazione del provvedimento di decadenza deve essere fatta al lavoratore in mani proprie o tramite raccomandata A/R. Qualora, invece, l’INPS accerti che manchino i presupposti per provvedimenti di decadenza già erroneamente disposti ha il dovere di agire in sede di autotutela118, annullando le precedenti erronee decisioni con la contemporanea erogazione quindi delle prestazioni già sospese indebitamente.

117 Art. 13 del d.lgs n. 276/2003. 118 Art. 21-nonies, legge n. 241 del 7 agosto 1990.

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XXXVII

In tali casi l’annullamento d’ufficio è obbligatorio poiché prevale l’interesse pubblico ed è preordinato ad assicurare a favore dei lavoratori i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di disoccupazione involontaria119. Non va dimenticato infine che la normativa vigente continua a prevedere l’obbligo per i lavoratori che prestino lavoro in costanza di periodo di integrazione salariale120, di comunicarlo all’Istituto, salvo subire la sanzione della perdita dell’indennità relativa121. Il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Circolare n. 5 del 22/02/2006 OGGETTO: Decadenza dai trattamenti nelle ipotesi di cui all' articolo 1-quinquies del decreto legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291. I. Premessa L'articolo 1-quinquies, del decreto legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291, nel dettare disposizioni in materia di decadenza dai trattamenti previdenziali e da altre indennità o sussidi, stabilisce obblighi nei confronti dei lavoratori beneficiari di interventi per il sostegno al reddito, sancendo la perdita dei trattamenti nei casi in cui i lavoratori medesimi rifiutino il percorso di reinserimento nel mercato del lavoro o di adeguamento formativo. E' evidente che l'obbligo lavorativo, come descritto nel paragrafo successivo, alla lettera B), è stato sancito dalla norma per tutte quelle ipotesi in cui la condizione giuridica è quella di lavoratore disoccupato o inoccupato beneficiario di sussidi o trattamenti previdenziali, ovvero quella di lavoratore sospeso in CIGS derivante da cessazione di attività o da provvedimenti in deroga alla vigente normativa. In buona sostanza l'obbligo lavorativo per i lavoratori in CIGS è contemplato quando la sospensione del lavoratore deriva da uno stato particolare dell'impresa di appartenenza tale da non consentire più alcuna stabile ripresa dell'attività lavorativa, ma solo l'accompagnamento ad un percorso di ricollocazione. II. Disposizioni Sostanziali Gli obblighi previsti dal sopra citato articolo 1-quinquies sono quelli di seguito indicati. A. obbligo di adesione ad un'offerta formativa o di riqualificazione. Tale obbligo vincola tutte le categorie di lavoratori in cassa integrazione, a qualsiasi titolo concessa, in mobilità, in disoccupazione speciale o percettori di un sussidio legato allo stato di disoccupazione ed inoccupazione. Si precisa che il lavoratore è tenuto alla frequenza del corso nella misura minima dell'80% della durata complessiva, salvo i casi di documentata forza maggiore o di assenza in funzione dell'applicazione di normative nazionali in materia di congedi parentali o maternità; B. obbligo di accettazione di un'offerta di lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore del 20% rispetto a quello di provenienza. Nei casi in cui non sia possibile fare riferimento ad un livello retributivo precedente, non si applica il limite del 20%. Si fa presente che detto rifiuto deve riferirsi ad una proposta formale e documentabile formulata da un datore di lavoro privato, da un'agenzia di somministrazione o da un ente pubblico, ed ovviamente anche nei casi azioni di complessive di ricollocamento lavorativo del soggetto. A tale obbligo sono sottoposte le seguenti categorie di personale dipendente: - i lavoratori in mobilità - anche concessa ai sensi di normative speciali in deroga alla vigente

legislazione - la cui iscrizione nelle relative liste sia finalizzata esclusivamente al reimpiego; - i lavoratori destinatari di sussidio connesso allo stato di disoccupazione o inoccupazione;

119Art. 38, comma 2, Cost. 120 Art. 8, c. 4 e 5, del D.L. 86/1988 convertito con la legge n. 160/1988; INPS, circolare n. 39 del 15 febbraio 2007. 121 Per le più recenti interpretazioni giurisprudenziali su quest’ultimo tema, si vedano in questo numero della Rassegna, nella rubrica “Giurisprudenza”, le sentenze della Corte di Cassazione n. 11679/05 e 4004/07, nonché il relativo commento.

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XXXVIII

- i lavoratori destinatari della disoccupazione speciale, anche concessa ai sensi di normative speciali in deroga alla vigente legislazione;

- i lavoratori sospesi in cassa integrazione guadagni straordinaria concessa ai sensi dell'art. 1, comma 1, del decreto legge 5.10.2004, n. 249, convertito con modificazioni dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291 per cessazione di attività dell'impresa di appartenenza;

- i lavoratori sospesi in cassa integrazione guadagni straordinaria concessa ai sensi di normative speciali in deroga alla vigente legislazione.

Per l'anno 2006 la possibilità di concedere trattamenti di CIGS, di mobilità e di disoccupazione speciale in deroga alla vigente legislazione, è prevista dall'art. 1, comma 410, della legge 23 dicembre 2005, n. 266. C. obbligo di avviamento ad un percorso di reinserimento o inserimento nel mercato del lavoro, anche ai sensi dell'art. 13, del decreto legislativo 276/2003, e successive modificazioni. Il vincolo della congruità, presente nel disposto normativo dell'art. 13 del decreto legislativo n. 276/03, anche se non espressamente richiamato nell'art. 1-quinquies, può ritenersi applicabile anche alle fattispecie richiamate dall'ultima norma. Pertanto l'obbligo di accettare un'offerta di lavoro si applica nei casi in cui la medesima sia congrua con le competenze e le qualifiche possedute dal lavoratore. Gli obblighi di cui alle lettere A), B) e C) sussistono nel momento in cui l'attività formativa o lavorativa si svolga in un luogo mediamente raggiungibile in 80 minuti con i mezzi pubblici e/o distante non più di 50 km dal luogo di residenza del lavoratore. Con riguardo al conteggio delle distanze e degli orari dei mezzi di trasporto pubblici potranno essere assunti, quali attendibili parametri di riferimento, i dati disponili presso i servizi pubblici di linea e le ferrovie dello Stato. Si specifica inoltre che gli obblighi di cui sopra vengono meno nei casi di impossibilità derivante da documentata forza maggiore, congedi parentali, maternità. Resta fermo quanto previsto dall'art. 8, commi 4 e 5, del decreto legge n. 86/1988, convertito con la legge n. 160/1988 in materia di obbligo di comunicazione all'INPS da parte dei lavoratori in caso di prestazione di lavoro in costanza di periodo di integrazione salariale. E' necessario, inoltre, sottolineare che, da un punto di vista sostanziale, l'art. 13 del citato d.lgs. n. 276/2003 si applica alle ipotesi di attuazione di misure volte a garantire l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori svantaggiati da parte delle agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro, mentre l'art. 1-quinquies detta una disciplina generale che si applica in tutte le ipotesi in cui il lavoratore destinatario di trattamenti previdenziali o di sussidi legati allo stato di disoccupazione o inoccupazione venga coinvolto in un percorso lavorativo o di formazione o riqualificazione. Inoltre, l'art. 1-quinquies dispone espressamente che le norme in esso contenute si applicano anche nelle ipotesi in cui il lavoratore sia stato ammesso al trattamento con decorrenza anteriore all'entrata in vigore del decreto-legge n. 249/2004. Al fine di evitare possibili danni erariali e per un corretto utilizzo delle risorse pubbliche, si richiama la necessità di una leale collaborazione delle Pubbliche Amministrazioni e degli Enti affinché vengano comunicati all'INPS e – per i lavoratori in mobilità – al servizio per l'impiego territorialmente competente i casi in cui i lavoratori abbiano rifiutato un'offerta formativa, di lavoro o un percorso di reinserimento nel mercato del lavoro. Su tale dovere di leale cooperazione si richiama, in particolare, l'attenzione delle agenzie accreditate o comunque autorizzate allo svolgimento dell'attività di somministrazione, proprio in ragione del particolare regime di vigilanza cui sono soggette e tenuto conto del principio generale desumibile dall'art. 13 del d.lgs. n. 276/2003. Norma che, nel disciplinare fattispecie analoghe, espressamente prevede un obbligo di comunicazione all'INPS per i responsabili dell'attività formativa e per le agenzie accreditate. Infine, si evidenzia che – ove si verifichino le ipotesi di decadenza dai trattamenti previste dalla disposizione in oggetto – l'INPS, cui compete la funzione di ente erogatore dei trattamenti e sussidi soggetti al regime di decadenza, valutate le necessarie comunicazioni da parte dei soggetti pubblici e privati sopra richiamati, sospende l'erogazione del trattamento, dandone comunicazione agli interessati.

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XXXIX

INFORTUNI SUL LAVORO – INDENNITA’ GIORNALIERA PER LAVORATORE CON PIU’ RAPPORTI DI LAVORO A PART-TIME

Circa i criteri di calcolo della indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta da corrispondere, in caso di infortunio, ad un lavoratore titolare di più rapporti di lavoro “part-time”, nonchè la qualificazione giuridica della assenza di tale lavoratore nei confronti dell’azienda diversa da quella presso la quale si è verificato l’infortunio, ricordiamo che a suo tempo122 si espresse il Ministero del Lavoro. Il Ministero, nel ricordare che l’indennità per infortunio ha natura sostitutiva della retribuzione ed ha, inoltre, lo scopo di risarcire il lavoratore dal mancato guadagno conseguente all’evento, manifestò l’avviso che il relativo importo vada commisurato alla somma delle retribuzioni percepite dal soggetto e non alla sola retribuzione erogata dall’azienda presso la quale si è verificato l’infortunio. Circa la qualificazione giuridica del periodo di assenza dal lavoro presso il secondo datore di lavoro, il Ministero – basandosi sulla “specialità” della tutela garantita dal nostro ordinamento al lavoratore infortunato e della sua prevalenza su quella spettante per malattia comune - ha precisato che l’indennità giornaliera erogata dall’Inail per inabilità temporanea assoluta è incumulabile con l’indennità di malattia a carico dell’Inps, fino a concorrenza del suo ammontare. Ha inoltre precisato che l’assenza del lavoratore titolare di più rapporti part-time va perciò considerata come assenza per infortunio nei confronti di tutti i datori di lavoro, compresa perciò anche l’azienda diversa da quella presso la quale si è verificato l’infortunio. IL MASSIMALE CONTRIBUTIVO E PENSIONABILE PER I “NUOVI ISCRITTI” AGLI

ENTI DI PREVIDENZA DOPO IL 31 DICEMBRE 1995 L’articolo 2, comma 18, della legge 17 agosto 1995, n. 335 ha stabilito un massimale annuo per la base contributiva e pensionabile dei lavoratori iscritti per la prima volta dopo il 31.12.1995 a forme pensionistiche obbligatorie, nonché per coloro che optano per il calcolo della pensione con il sistema contributivo123. Tale massimale viene rivalutato ogni anno in base all'indice dei prezzi al consumo calcolato dall’ISTAT. Per l'anno 2007 esso è pari a € 87.187,00. Il massimale riguarda la sola aliquota di contribuzione ai fini pensionistici (IVS), ivi compresa l'aliquota aggiuntiva dell'1% per la parte della retribuzione che eccede, per il corrente anno, il limite di euro 40.083,00. In base alle istruzioni dell’Inps i datori di lavoro devono sottoporre a tutte le contribuzioni, mese per mese, l'intera retribuzione sino al raggiungimento del massimale annuo. Raggiunto il massimale, sulla parte eccedente, saranno versate solo le contribuzioni minori124. E’ opportuno tenere presente che: - il massimale non è frazionabile a mese e ad esso occorre fare riferimento anche se l'anno solare

è retribuito solo in parte; - nel caso di rapporti di lavoro successivi, le retribuzioni percepite nel corso dei vari rapporti si

cumulano ai fini della applicazione del massimale. Perciò il dipendente deve esibire ai datori di

122 INPS, circolare n. 2 del 29 gennaio 2003. 123 Art. 1, comma 23 della legge n.335/95, così come interpretato dall’art. 2 del decreto legge 28 settembre 2001, n. 355, convertito con legge 27/11/2001, n. 417; vedasi altresì circolare Inps n. 181 dell’11 ottobre 2001. 124 Esposte con il codice tipo contribuzione "98".

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XL

lavoro successivi al primo la certificazione CUD rilasciata dal precedente datore di lavoro ovvero presentare una dichiarazione sostitutiva;

- in caso di rapporti di lavoro contemporanei le retribuzioni derivanti dai due rapporti si cumulano agli effetti del massimale. Ciascun datore di lavoro, sulla base degli elementi che il lavoratore è tenuto a fornire, assoggetta a contribuzione la retribuzione corrisposta mensilmente, sino a quando, tenuto conto del cumulo, venga raggiunto il massimale. Nel corso del mese in cui si verifica il superamento del tetto, la quota di retribuzione imponibile ai fini pensionistici sarà calcolata per i due rapporti di lavoro in misura proporzionalmente ridotta;

- nel caso di coesistenza nel corso dell’anno di rapporti di lavoro subordinato e di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, ai fini dell’applicazione del massimale, le retribuzioni derivanti da rapporti di lavoro subordinato non si cumulano con i compensi percepiti a titolo di collaborazione coordinata e continuativa.

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XLI

NORMATIVA COMUNITARIA E CONVENZIONI INTERNAZIONALI

LAVORATORI ITALIANI DISTACCATI IN FRANCIA AI SENSI DELL’ART. 17 DEL REGOLAMENTO CEE N. 1408/71 – NUOVA MODULISTICA

La Direzione Regionale Piemonte ha fatto presente che il Centro dei Rapporti Europei e Internazionali di Sicurezza Sociale/Centre des Liaisons Européennes et Internationales de Sécurité Sociale (CLEISS), al fine di rilasciare le previste autorizzazioni per il distacco in Francia di lavoratori italiani ai sensi dell’art. 17 del regolamento CEE n. 1408/71, richiede un questionario, compilato dai datori di lavoro interessati, che contiene informazioni aggiuntive rispetto a quelle normalmente previste in analoghe fattispecie. Secondo la competente Direzione Centrale dell’INPS, tale prassi, in considerazione della natura delle informazioni richieste, non può considerarsi in contrasto con la normativa comunitaria. Pertanto, invita i datori di lavoro che inviano all’Istituto una richiesta di applicazione dell’art. 17 del regolamento CEE n. 1408/71, al fine di evitare ritardi nel rilascio delle relative autorizzazioni da parte del CLEISS, a compilare il questionario riportato in allegato al messaggio 17564 del 5 luglio 2007, reperibile sul sito dell’INPS. Analogo questionario dovrà essere compilato dai lavoratori autonomi che intendano svolgere temporaneamente, ai sensi dell’art. 17, attività lavorativa in Francia.

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XLII

CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO

PERENTORIETA’ DEL TERMINE PER LA OPPOSIZIONE CONTRO LE CARTELLE ESATTORIALI - PRECISAZIONI DELL’INPS.

In base alla normativa vigente125, i contributi ed i premi dovuti agli Enti di previdenza, che non siano stati pagati dal debitore nei termini previsti dalla legge, o che risultino dovuti in seguito ad accertamenti effettuati dagli uffici, vengono iscritti a ruolo unitamente alle sanzioni ed alle somme aggiuntive calcolate sino alla data di consegna del ruolo al concessionario, al netto dei pagamenti eseguiti spontaneamente dal debitore. Contro l’iscrizione a ruolo, il debitore può proporre opposizione innanzi all’autorità giudiziaria. Tale opposizione, che va notificata all’Ente impositore, deve essere esperita nel termine perentorio di 40 giorni. In questo senso si è espresso l'Istituto126 in seguito all’ultima pronuncia in merito della Corte di Cassazione127. La Corte ha infatti statuito che il termine di quaranta giorni128 ha natura perentoria, “perché diretto a rendere non più contestabile dal debitore il credito contributivo dell’Ente previdenziale in caso di omessa tempestiva impugnazione ed a consentire così una rapida riscossione del credito medesimo”. Questa decisione è il frutto di un contenzioso risolto inizialmente dal Tribunale di Modena che il 13 giugno 2001 si esprimeva per l’inammissibilità di un ricorso contro una cartella relativa ad un credito dell’INPS perché presentato oltre il termine di 40 giorni. Successivamente, però, la Corte d’ appello di Bologna riformò tale decisione considerando detto termine non perentorio, per la mancanza di una esplicita previsione normativa in tal senso. L’INPS, in sede di ricorso contro la sentenza di appello, ha sostenuto che la mancanza nella norma di una indicazione espressa circa la perentorietà, non la esclude. E’ il giudice, infatti, che deve precisare la natura del termine in relazione al fine cui il termine stesso è preposto.

125 D.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46. 126 INPS, messaggio n. 5717 del 3 marzo 2007. 127 Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, sentenza n. 4506 del 27 febbraio 2007. 128 D.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24 “Iscrizioni a ruolo dei crediti degli enti previdenziali. 1. I contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali non versati dal debitore nei termini previsti da disposizioni di legge o dovuti in forza di accertamenti effettuati dagli uffici sono iscritti a ruolo, unitamente alle sanzioni ed alle somme aggiuntive calcolate fino alla data di consegna del ruolo al concessionario, al netto dei pagamenti effettuati spontaneamente dal debitore. 2. L'ente ha facoltà di richiedere il pagamento mediante avviso bonario al debitore. L'iscrizione a ruolo non è eseguita, in tutto o in parte, se il debitore provvede a pagare le somme dovute entro trenta giorni dalla data di ricezione del predetto avviso. Se, a seguito della ricezione di tale avviso, il contribuente presenta domanda di rateazione, questa viene definita secondo la normativa in vigore e si procede all'iscrizione a ruolo delle rate dovute. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 25, l'iscrizione a ruolo è eseguita nei sei mesi successivi alla data prevista per il versamento. 3. Se l'accertamento effettuato dall'ufficio è impugnato davanti all'autorità giudiziaria, l'iscrizione a ruolo è eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice. 4. In caso di gravame amministrativo contro l'accertamento effettuato dall'ufficio, l'iscrizione a ruolo è eseguita dopo la decisione del competente organo amministrativo e comunque entro i termini di decadenza previsti dall'articolo 25. 5. Contro l'iscrizione a ruolo il contribuente può proporre opposizione al giudice del lavoro entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento. Il ricorso va notificato all'ente impositore. 6. Il giudizio di opposizione contro il ruolo per motivi inerenti il merito della pretesa contributiva è regolato dagli articoli 442 e seguenti del codice di procedura civile. Nel corso del giudizio di primo grado il giudice del lavoro può sospendere l'esecuzione del ruolo per gravi motivi. 7. Il ricorrente deve notificare il provvedimento di sospensione al concessionario. 8. Resta salvo quanto previsto dal decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462”.

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XLIII

La Corte di Cassazione ha accolto la tesi dell’Istituto ribadendo il carattere perentorio del termine in oggetto; già in passato, infatti, la Corte si era espressa129 nel senso di considerare tardivo il ricorso proposto oltre il termine di quaranta giorni. Con il messaggio che riproduciamo in calce, l’INPS – sulla base del principio enunciato dalla Corte - ha ricordato che il debitore non può più contestare il credito contributivo dell’ente previdenziale in caso di omessa tempestiva impugnazione. L’Istituto ha invitato, quindi, le proprie sedi territoriali ad eccepire l’eventuale tardiva opposizione. “Messaggio n. 5717 del 3 marzo 2007 OGGETTO: Natura decadenziale del termine di quaranta giorni per la proposizione dell’opposizione a cartella esattoriale fissato dall’art. 24 del d.lgs. 26.2.1999, n. 46 – Sentenza Corte di Cassazione, 27 febbraio 2007, n. 4506 La Corte di Cassazione con la sentenza indicata in oggetto, in accoglimento della tesi difensiva dell’Istituto, ha statuito che il termine di quaranta giorni di cui all’art. 24, comma quinto, del decreto legislativo n. 46/1999, entro il quale il contribuente può proporre opposizione contro l’iscrizione a ruolo, ha natura perentoria, “perché diretto a rendere non più contestabile dal debitore il credito contributivo dell’ente previdenziale in caso di omessa tempestiva impugnazione ed a consentire così una rapida riscossione del credito medesimo”. Con la citata sentenza è stata respinta la tesi avversaria secondo cui tale termine fosse diretto a regolamentare la sola azione esecutiva, atteso che i termini entro i quali il debitore può proporre le opposizioni relative al procedimento di esecuzione sono espressamente disciplinati dal successivo art. 29, secondo comma, del d.lgs. n. 46/1999 con il quale si dispone che “le opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi si propongono nelle forme ordinarie” (e quindi nei termini e con le modalità previsti dagli artt. 615 e 617 c.p.c.). Si richiama, quindi, l’attenzione dei Direttori di Sede circa la necessità di attivarsi presso i Concessionari affinché trasmettano agli Uffici legali le cartelle esattoriali corredate della relata di notifica, onde consentire di eccepire in giudizio l’eventuale tardività delle relative opposizioni. Il testo integrale delle sentenze è in corso di pubblicazione sul sito dell’Avvocatura”.

129 Cassazione Civile, sentenza n. 21863 del 18 novembre 2004.

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XLIV

GIURISPRUDENZA

ASSENZA DEL LAVORATORE ALLE VISITE MEDICHE DI CONTROLLO CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE: CONCOMITANTE VISITA SPECIALISTICA

CORTE DI CASSAZIONE: SENTENZA N. 3921 DEL 20 FEBBRAIO 2007 “Il lavoratore in malattia, assente alla visita di controllo dell’INPS, non può addurre a mera giustificazione il fatto di essersi recato da uno specialista, dovendo altresì dimostrare di essere stato nell’impossibilità di recarsi presso lo stesso al di fuori delle fasce di reperibilità”. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Cassazione si è recentemente espressa, ancora una volta, sul tema della irreperibilità del lavoratore in malattia alle visite di controllo e sulla validità dei motivi di giustificazione dell’assenza addotti. In particolare, il lavoratore trovato assente, secondo la Corte, non può portare a giustificazione il semplice fatto di aver dovuto raggiungere un medico specialista, ma deve altresì dimostrare di essere stato nell’impossibilità di recarsi presso lo studio del suddetto medico al di fuori delle fasce di reperibilità. La Cassazione ha dunque confermato le ragioni dell’INPS che aveva impugnato la sentenza del giudice di appello che considerava giustificato un lavoratore il quale aveva semplicemente documentato, per giustificare la propria assenza, di essersi sottoposto a visita medica specialistica al momento della visita fiscale. La sentenza infatti, afferma l’INPS, non si era soffermata sul fatto che il lavoratore in malattia nulla aveva dichiarato in merito alla indifferibilità della visita medica specialistica ad altro orario. Requisito giustificativo, questo ultimo, ritenuto indispensabile da un consolidato orientamento giurisprudenziale. La Corte, dopo aver ribadito principi fondamentali come il diritto alla salute protetto dall’articolo 32 della Costituzione, e il fatto che l’ordinamento statuale garantisce la libertà di scelta del medico130, afferma come, nello stesso tempo, l’ordinamento prevede controlli per verificare l’effettività della malattia e sanzioni che penalizzino le assenze non giustificate. Infatti la normativa dispone che qualora il lavoratore risulti assente alle visite di controllo senza giustificato motivo, decade dal trattamento economico per i primi dieci giorni e nella misura della metà per l’ulteriore periodo131. Del resto, già in passato, la Suprema Corte aveva indicato i casi in cui l’assenza del lavoratore dal proprio domicilio durante le fasce di reperibilità può essere giustificata da motivi attinenti la malattia stessa, sia sotto il profilo dei controlli diagnostici, in specie da parte del medico curante, sia in caso di terapie da effettuare. In sintesi, il pensiero della Corte è che l’assenza alla visita di controllo, per non essere sanzionata dalla perdita del trattamento economico di malattia, può essere giustificata oltre che dal caso di forza maggiore, da ogni situazione la quale - ancorché non insuperabile, e nemmeno tale da determinare, ove non osservata, la lesione di beni primari - abbia reso indifferibile altrove la presenza personale dell’assicurato, come avviene in caso di concomitanza di visite mediche, prestazioni sanitarie o accertamenti specialistici, purché il lavoratore dimostri l’impossibilità di effettuare tali visite in orario diverso da quello corrispondente alle fasce orarie di reperibilità132.

130 L. 23 dicembre 1978 n. 833. 131 D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 5, comma 14 convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 1983 n. 638. 132 Cfr. Cass. 26 maggio 1999 n. 5150, Cass. 22 giugno 2001, n. 8544; Cass. 29 novembre 2002 n. 16996; Cass. 23 novembre 2004, n. 22065.

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XLV

E poiché l’accertamento della impossibilità di effettuare le visite in orario non coincidente con le fasce di reperibilità non è stato elemento di valutazione nell’emissione della sentenza dei giudici d’appello, così come impugnata dall’INPS, la Cassazione, con la pronuncia in esame, pienamente accoglie il ricorso dell’Istituto e crea un ulteriore precedente a suffragare la ormai costante giurisprudenza sul tema.

INTEGRAZIONI SALARIALI - DECADENZA DAL DIRITTO IN CASO DI SVOLGIMENTO DI ATTIVITA’ LAVORATIVA

CORTE DI CASSAZIONE: SENTENZE 11679 DEL 2005 E 4004 DEL 2007 Corte di Cassazione: sentenza 11679 del 1° giugno 2005 In tema di trattamento di cassa integrazione guadagni, dalla "ratio" dell'art. 8, commi quarto e quinto, del d.l. n. 86 del 1988, convertito nella legge n. 160 del 1988, si desume l'incompatibilità del trattamento di integrazione salariale con qualunque attività di lavoro autonomo (oltre che subordinato), ancorchè non rientrante nello schema "contrattuale" di cui agli artt. 2222 e ss. e 2230 e ss. cod. civ. e ancorchè tale attività di lavoro autonomo non comporti una contestuale tutela previdenziale di natura obbligatoria; ne consegue che l'erogazione dell'indennità di integrazione salariale è sospesa nei confronti del lavoratore che svolga attività di lavoro subordinato o autonomo durante il periodo di integrazione in corrispondenza delle giornate di lavoro effettuate, mentre il lavoratore che non abbia adempiuto all'obbligo di dare preventiva comunicazione dello svolgimento della predetta attività alla sede provinciale dell'INPS decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale. Corte di Cassazione: sentenza 4004 del 21 febbraio 2007 Il lavoratore collocato in cassa integrazione straordinaria, ove reperisca un’occupazione, deve darne comunicazione all’INPS. Il mancato adempimento a tale obbligo comporta, in base all’art. 8, comma quinto, D.L. 21 marzo 1988 n. 86, la perdita dell’integrazione salariale non solo per il periodo successivo all’inadempimento, ma anche per quello precedente. La tesi, secondo la quale l’inadempimento all’obbligo di comunicazione da parte del cassaintegrato comporta la perdita della integrazione salariale solo per il periodo successivo a detto inadempimento e non per il periodo anteriore, attenua la portata applicativa della norma in esame, volta ad assicurare la massima efficacia ai controlli dell’Istituto, funzionalizzati, da un lato, a ridurre l’area del c.d. “lavoro nero” ed a garantire, dall’altro che, nel rispetto del precetto dell’art. 38 Cost., “le risorse disponibili per gli interventi di integrazione salariale siano effettivamente destinate al sostegno dei disoccupati”. Si traduce in un totale disconoscimento del carattere sanzionatorio della disposizione in esame e della sua ratio l’assunto che, patrocinando una decadenza parziale dal trattamento salariale, attribuisca ad un istituto – quale quello della cassa integrazione – sorto per finalità sociali a presidio costituzionale, una ingiusta, seppure parziale, operatività per tutti quei cassaintegrati che dette finalità sociali hanno mostrato con la loro condotta di volere disattendere”. Il lavoratore che svolge attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di ammissione alla cassa integrazione non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate133.

133 Decreto legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito in legge 20 marzo 1988, n. 160, art. 8, commi 4 e 5: “Il lavoratore che svolga attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate. Il lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale nel caso in cui non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla sede provinciale dell’INPS dello svolgimento della predetta attività”.

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XLVI

Tale lavoratore decade dal diritto all’integrazione salariale per l’intera durata della concessione, se non ha dato preventiva comunicazione dello svolgimento di tale attività alla competente sede dell’INPS. Tali disposizioni hanno portata generale, e perciò valgono sia per la cassa integrazione ordinaria che per quella straordinaria134. Ciò premesso, si è posto il problema della individuazione del termine iniziale da cui decorre la decadenza. A suo tempo la Corte costituzionale (ordinanza n. 190 del 7/6/96) affermò, per un verso, che l’art. 8, c. 5 della legge n. 160/88, si propone di garantire che le risorse disponibili per gli interventi di integrazione siano effettivamente destinate al sostegno dei disoccupati; per altro verso, che la natura della sanzione e del fatto sanzionato escludono la possibilità di graduazione secondo un criterio di proporzione. Tale criterio, infatti, non potrebbe essere attuato “se non limitando contraddittoriamente la decadenza alle giornate effettuate , cioè sopprimendo in realtà la sanzione ed equiparando i cassaintegrati che svolgono un lavoro retribuito senza informarne l’INPS e quelli che correttamente assolvono l’obbligo di comunicazione”. La Corte di cassazione ha fatto proprio tale orientamento e con la sentenza 1 giugno 2005, n. 11679 ha affermato a sua volta che l’eventuale decadenza limitata al periodo concomitante all’attività lavorativa svolta condurrebbe alla “sostanziale e irragionevole equiparazione del lavoratore osservante l’obbligo di comunicazione al lavoratore inadempiente”. Più recentemente la stessa Corte ha ulteriormente sviluppato il proprio ragionamento esaminando il caso di un lavoratore che aveva percepito la cigs per più periodi consecutivi di concessione,

134“Incompatibilità fra integrazione salariale e lavoro. Il lavoratore che svolge attività autonoma o subordinata durante il periodo di ammissione all'integrazione salariale non ha diritto alle integrazioni salariali per le giornate di lavoro effettuate. La disposizione, dettata dal 4' comma dell'articolo 8, conferma la interpretazione finora data dall'istituto all'articolo 3 del d.l. lgt. n. 788/1945, secondo cui l'incompatibilità fra integrazione salariale e attività lavorativa sussiste sia per l'attività prestata in forma subordinata che per quelle svolta in forma autonoma. la disposizione del 4° comma dell'articolo 8 ha portata generale e trova, quindi,applicazione sia per le integrazioni salariali ordinarie che per i trattamenti straordinari. Decadenza dal diritto alle integrazioni salariali Il 5° comma dell'articolo 8 commina la decadenza dal diritto alla prestazione nel caso in cui il lavoratore non abbia data preventiva comunicazione alla sede provinciale dell'istituto in merito allo svolgimento di attività lavorativa in concomitanza con il trattamento di integrazione salariale. Si ritiene di dover sottolineare in proposito l'opportunità che il lavoratore, prima di intraprendere attività autonoma o alle dipendenze di terzi, ottenga il preventivo consenso del proprio datore di lavoro in relazione alla permanenza del vincolo connesso al rapporto di lavoro in atto. E' appena il caso di precisare che dalla data iniziale dell'attività denunciata deve essere sospeso il pagamento delle integrazioni salariali e questo potrà essere ripristinato soltanto al termine dell'attività stessa ove non ne ricorrano le condizioni. In effetti, la comunicazione prevista dal 5° comma è finalizzata unicamente ad evitare la decadenza (perdita del diritto alle prestazioni per tutto il periodo della concessione) di cui alla norma in esame, oltre naturalmente a promuovere l'assolvimento degli obblighi contributivi ove ne ricorrano i presupposti. è quindi da escludere tassativamente che l'istituto, a seguito della comunicazione, possa rilasciare una qualsiasi autorizzazione acchè il lavoratore possa cumulare il reddito da lavoro autonomo o dipendente con le integrazioni salariali. naturalmente l'ipotesi in cui il lavoratore beneficiario di trattamento di integrazione salariale abbia omesso di comunicare preventivamente alla competente sede dell'istituto l'inizio dell'esercizio di attività lavorativa può riscontrarsi in occasione di accertamento ispettivo, ma anche "a posteriori", in sede di accreditamento della contribuzione figurativa per periodi di cassa integrazione od in altra utile occasione. Anche la disposizione del 5° comma dell'articolo 8 ha portata generale e trova quindi applicazione sia per le integrazioni salariali ordinarie che per i trattamenti straordinari. Data la rilevanza degli effetti che derivano dalla prestazione di attività lavorativa senza la preventiva comunicazione alla sede competente dell'istituto (perdita del diritto alle integrazioni salariali per l'intera durata della concessione indipendentemente dalla natura e durata dell'attività svolta) appare quanto mai opportuna un'azione di sensibilizzazione verso i datori di lavoro affinchè, in occasione della messa in cassa integrazione guadagni dei propri dipendenti, li rendano edotti della normativa in parola”.

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derivanti da altrettanti decreti, affermando che il lavoratore il quale non ha adempiuto all’obbligo di comunicazione decade dall’intero periodo di cigs, anche se questo deriva da più di un provvedimento di concessione. La Corte fonda il proprio ragionamento sul principio di unicità del trattamento straordinario, che costituisce una prestazione assistenziale unitaria, discendente da un unico decreto di concessione, la cui efficacia temporale quantunque prorogata perdura ininterrotta per l’intero periodo in cui si estende il beneficio. In ambito amministrativo, va segnalato che l’Inps ha adeguato il proprio comportamento alle indicazioni della Corte sopra riportate, ed ha dato ai propri uffici conformi indicazioni con circolare n. 75 del 12 aprile 2007.

CONGEDO STRAORDINARIO PER ASSISTERE IL DISABILE DIRITTO DEL CONIUGE CONVIVENTE

CORTE COSTITUZIONALE: SENTENZA N. 158 DELL’8 MAGGIO 2007 “E' costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 3, 29 e 32 Cost., l'art. 42, comma 5, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'art. 15 L. 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non prevede, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti indicati dalla norma, anche per il coniuge convivente con «soggetto con handicap in situazione di gravità», il diritto a fruire del congedo ivi indicato, pur essendo questi, sulla base del vincolo matrimoniale ed in conformità dell'ordinamento giuridico vigente, tenuto al primo posto (art. 433 c.c.) all'adempimento degli obblighi di assistenza morale e materiale del proprio consorte, obblighi che l'ordinamento fa derivare dal matrimonio”. La Corte Costituzionale con la decisione sopra riportata ha sancito l’illegittimità del comma 5 dell’articolo 42 del Testo Unico sulla tutela della paternità e della maternità135, nella parte in cui non prevede in via prioritaria rispetto agli altri congiunti indicati dalla norma il diritto del coniuge convivente con soggetto con handicap in situazione di gravità a fruire del congedo biennale indennizzato per l’assistenza del soggetto disabile. Infatti detta norma riconosce soltanto ai genitori di disabili gravi, e in caso di morte o inabilità degli stessi, a fratelli e sorelle136, il diritto a fruire di un congedo straordinario per assistere il disabile stesso, retribuito dall’INPS per un periodo massimo di due anni nella vita lavorativa. La Corte rileva come essa sia contraria alla norma costituzionale, in specifica relazione alla tutela della famiglia e al diritto alla salute, nella parte in cui non contempla analogo diritto anche a favore del coniuge. L’esclusione del coniuge – afferma la Corte - determina una ingiustificata minore tutela del nucleo familiare proprio quando questo ne avrebbe più necessità, essendo verosimile che il coniuge abile sia il soggetto maggiormente coinvolto nell’assistenza, se non l’unico nei casi in cui non vi siano presenti altri familiari e sia conseguentemente colui che necessita di conservare la propria retribuzione nel periodo destinato all’assistenza del consorte. La norma censurata, escludendolo dal novero dei beneficiari del congedo straordinario retribuito, riserva al coniuge un trattamento deteriore rispetto ai componenti della famiglia d’origine, pur

135 Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151. 136 Cfr. Sentenza Corte Cost. n. 233 del 2005 con la quale la Consulta ha dichiarato illegittimo l’art. 42, comma 5 del D.Lgs n. 151 del 2001 nella parte in cui non prevede il diritto di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con soggetto con handicap in situazione di gravità a fruire del congedo straordinario, nell’ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio in situazione di handicap grave perché totalmente inabili. Cfr anche circolare INPS n. 107 de 29 settembre 2005.

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essendo, sulla base del vincolo matrimoniale, tenuto per primo, ex art. 433 c.c., all’adempimento degli obblighi di assistenza morale e materiale del proprio consorte. Per effetto dunque della sentenza della Corte, il diritto a fruire del congedo in questione spetta anche al coniuge convivente. Sul punto l’Inps ha dato le indicazioni seguenti137: “SOGGETTI AVENTI DIRITTO Alla luce di quanto esposto, hanno titolo a fruire dei benefici in argomento i lavoratori dipendenti secondo il seguente ordine di priorità: a) coniuge della persona gravemente disabile qualora convivente con la stessa, b) genitori, naturali o adottivi e affidatari, del portatore di handicap grave nel caso in cui si verifichi una delle seguenti condizioni: • il figlio non sia coniugato o non conviva con il coniuge, • il coniuge del figlio non presti attività lavorativa o sia lavoratore autonomo, •il coniuge del figlio abbia espressamente rinunciato a godere per lo stesso soggetto e nei medesimi periodi del congedo in esame. In caso di figli minorenni la fruizione del beneficio in questione spetta anche in assenza di convivenza. In caso di figli maggiorenni il congedo in esame spetta anche in assenza di convivenza, ma a condizione che l’assistenza sia prestata con continuità ed esclusività. Si ribadisce che il congedo in questione spetta in via alternativa alla madre o al padre (o ad uno degli affidatari in caso di affidamento contemporaneo a due persone della stessa famiglia); non può quindi essere utilizzato contemporaneamente da entrambi. c) Fratelli o sorelle – alternativamente- conviventi con il soggetto portatore di handicap grave, in caso si verifichino le seguenti due condizioni: 1. entrambi i genitori siano deceduti o totalmente inabili, 2. il fratello portatore di handicap grave non sia coniugato o non conviva col coniuge, oppure, laddove sia coniugato e convivente col coniuge, ricorra una delle seguenti situazioni: • il coniuge non presti attività lavorativa o sia lavoratore autonomo, • il coniuge abbia espressamente rinunciato a godere per lo stesso soggetto e nei medesimi periodi del congedo in esame. CHIARIMENTI Si coglie l’occasione per evidenziare che, conformemente alle linee generali della normativa vigente, alle pronunce giurisprudenziali e ai conseguenti indirizzi interpretativi del Ministero della Solidarietà Sociale, anche per il diritto alla fruizione del congedo straordinario, conformemente a quanto precisato per i permessi ex lege 104/92 con circolare n.90/2007, non è più necessario dimostrare l’impossibilità di prestare assistenza da parte di altri familiari conviventi, stante l’esclusiva riconducibilità all’autonomia privata e familiare della scelta su chi, all’interno della famiglia del portatore di handicap, debba prestargli assistenza. Per assistenza continuativa ed esclusiva al disabile, inoltre, non deve intendersi necessariamente la cura giornaliera, purché essa sia prestata con i caratteri della sistematicità e dell’adeguatezza rispetto alle concrete esigenze del portatore di handicap, secondo quanto indicato con la circolare suddetta. MODULISTICA Sono in corso di aggiornamento e verranno a breve inseriti su “modulistica on line” i nuovi modelli di domanda che terranno conto delle innovazioni introdotte dalla sentenza della Corte Costituzionale n.158/2007, e dei nuovi indirizzi programmatici del Ministero della Solidarietà Sociale. In particolare, i modelli hand 4 e hand 5 verranno rivisitati tenendo conto del diritto prioritario del coniuge alla fruizione del congedo, dei criteri di sistematicità e adeguatezza nell’assistenza al 137 INPS, circolare 3 agosto 2007, n. 112.

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portatore di handicap e di autonomia privata e familiare nella scelta del soggetto che la presta. E’,inoltre, in corso di predisposizione un nuovo modello, denominato hand 6, per la richiesta del congedo straordinario da parte del coniuge. AMBITO DI APPLICAZIONE Le sedi potranno riesaminare le richieste già pervenute relativamente ai rapporti non esauriti, intendendosi come tali quelle situazioni giuridiche per le quali non sia intervenuta sentenza passata in giudicato o estinzione del diritto per prescrizione”.

* * *

Sempre nell’ambito dell’ampliamento delle tutele riservate all’assistenza dei soggetti in condizione di grave disabilità e proprio in tema di congedo straordinario, la Consulta era già intervenuta nel 2005 per includere tra gli eventi che consentono a fratelli a sorelle di disabili gravi di chiedere il congedo, in aggiunta al caso del decesso dei genitori, anche l’ipotesi di inabilità e infermità dei genitori stessi138. Questo susseguirsi di pronunce ha l’evidente fine di assicurare continuità nelle cure e nell’assistenza ed evitare vuoti pregiudizievoli alla salute psicofisica del portatore di handicap. Infatti, ad avviso della Corte, la ratio legis del congedo straordinario retribuito non risiede nella sola tutela della maternità e della paternità perseguita dal Testo Unico, ove è materialmente contenuta anche la norma sul congedo, ma si iscrive nel più ampio disegno di tutela della salute psico fisica del disabile.

138 Cfr. nota precedente.

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LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

PREVIDENZA COMPLEMENTARE

DESTINAZIONE DEL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO – CASISTICA VARIA DIRETTIVE INTERPRETATIVE DELLA COVIP

La legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (Finanziaria per il 2007) ha anticipato al 1° gennaio 2007 – come è noto - l’entrata in vigore della riforma della previdenza complementare, prevista dal D.lgs. n. 252/2005139 e ha quindi reso necessaria l’immediata emanazione di decreti attuativi e interpretativi della riforma stessa. Si tratta dei decreti ministeriali del 30 gennaio 2007140volti a chiarire alcuni aspetti della riforma, come il funzionamento del meccanismo del silenzio assenso, o manifestazione tacita di adesione ai Fondi di previdenza complementare, e la natura del Fondo di Tesoreria di Stato cui affluiscono le quote di Tfr non destinate, né espressamente, né tacitamente ai Fondi Pensione, nelle realtà aziendali con almeno 50 dipendenti. Tuttavia, per la corretta interpretazione dei suddetti provvedimenti, nonché, per la soluzione di alcune questioni pratiche che si sono presentate o si prospetteranno in tutti i casi in cui i lavoratori sono chiamati ad operare una scelta in ordine al conferimento del Tfr, la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (COVIP) acquisito il parere del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, ha ulteriormente fornito alcune opportune precisazioni141. Premesso che tutti i nuovi assunti dal 1 gennaio 2007 in poi, hanno a disposizione sei mesi dal momento dell’assunzione per esprimersi in ordine al conferimento del Tfr, tra le questioni analizzate dalla COVIP, è opportuno richiamare i principi che saranno utili per i corretti adempimenti datoriali, in conseguenza alle decisioni dei lavoratori, assunti in azienda a partire da tale data. In particolare la COVIP si è occupata di chiarire chi siano i lavoratori tenuti alla compilazione dei modello ufficiale di espressione della volontà: il TFR2, creato, appunto per i neo-assunti dal 1 gennaio 2007, e quale sia la decorrenza degli effetti delle scelte effettuate, nonché la possibilità o meno di ripetere e modificare le stesse, attraverso l’opzione del riscatto. Inoltre, sono state analizzate le situazioni che si prospettano in caso di sospensione dell’attività lavorativa durante il semestre di scelta e in caso di silenzio assenso. Lavoratori tenuti ad esprimere la manifestazione di volontà circa la destinazione del TFR maturando e riscatto totale della posizione maturata presso un Fondo Pensione Sono tutti i lavoratori dipendenti del settore privato che, alla data del 31 dicembre 2006, non erano ancora iscritti a una forma di previdenza complementare con destinazione integrale del trattamento di fine rapporto.

139 Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 “Disciplina delle forme pensionistiche complementari”. 140 Decreto 30 gennaio 2007 “Attuazione dell’art. 1, comma 765 della Legge 27 dicembre 2006, n. 296. Procedure di espressione della volontà del lavoratore circa la destinazione del TFR maturando e disciplina della forma pensionistica complementare residuale presso l’INPS (FONDINPS)”. Decreto 30 gennaio 2007 “Modalità di attuazione delle disposizioni di cui all’art. 1, commi 755 e 756 della Legge 27 dicembre 2006, n. 296, relative al Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato del trattamento di fine rapporto, di cui all’articolo 2120 del codice civile (Fondo di Tesoreria)”. 141 Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione. Deliberazione del 21 marzo 2007. “Direttive recanti chiarimenti operativi circa l’applicazione del decreto ministeriale del 30 gennaio 2007, adottato ai sensi dell’articolo 1, comma 765, della legge 27 dicembre 2006, n. 296”.

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I Decreti attuativi del 30 gennaio 2007 hanno predisposto due modelli ufficiali per l’effettuazione della scelta in merito al conferimento del Tfr: il modello TFR1 per i lavoratori già in forza al 31 dicembre 2006 e il modello TFR2 per i lavoratori assunti dal1° gennaio 2007. Gli stessi Decreti escludono, tuttavia, dalla compilazione del modello TFR2 i lavoratori che, in relazione ai precedenti rapporti di lavoro, abbiano già conferito in maniera tacita o esplicita il proprio TFR a un fondo pensione. Tuttavia la COVIP ritiene che questi lavoratori abbiano comunque sei mesi di tempo dalla data di assunzione per esprimere la propria decisione in merito al fondo di previdenza complementare cui intendono aderire o meno in relazione alla nuova attività e alla quota di TFR da conferirvi. In particolare, se essi non hanno riscattato la posizione individuale maturata presso la forma pensionistica di precedente iscrizione, si tratterà di valutare la possibilità di trasferirla ad altro Fondo Pensione - che potrà essere sia quello negoziale di riferimento del nuovo settore di attività, sia un Fondo aperto - e la possibilità di mantenere la posizione precedentemente maturata nel Fondo Pensione di provenienza e, nel contempo, conferire il Tfr maturando in relazione al rapporto di lavoro instauratosi (ed eventuali contributi) ad altra Forma pensionistica complementare. Le predette valutazioni e scelte vanno comunicate al datore di lavoro senza l'utilizzo del modello TFR2, ma con una semplice comunicazione preceduta dall’adesione alla forma pensionistica complementare prescelta, di cui sarà rilasciata al lavoratore copia controfirmata per ricevuta. Peraltro, in caso di mancata adesione esplicita nel semestre che decorre dall’assunzione, si attiverà anche per questi lavoratori il meccanismo del conferimento tacito. I lavoratori che invece avessero riscattato la precedente posizione di previdenza complementare potranno effettuare una nuova scelta in ordine al conferimento del Tfr, anche nel senso del mantenimento dello stesso come retribuzione differita ex art. 2120 c.c.; in questo ultimo caso si ritiene che essi debbano compilare il modello TFR2. E' infatti precisato che la scelta della previdenza complementare è irrevocabile finché, sussistendone le condizioni, non si esercita il riscatto integrale della posizione maturata presso il fondo pensione a cui si è iscritti. Modalità di scelta e decorrenza degli effetti La scelta sulla destinazione del TFR maturando deve essere effettuata utilizzando esclusivamente i moduli ufficiali di espressione della volontà allegati ai decreti ministeriali del 30 gennaio 2007; il TFR2 è il modello utilizzato per tutti i lavoratori assunti a partire dal 1° gennaio 2007 (ad eccezione della fattispecie sopra indicata) dalla cui sottoscrizione decorrono gli effetti delle scelte. Quindi, premesso che con riguardo alla decorrenza dell’obbligo contributivo, il datore di lavoro avrà iniziato i versamenti ai Fondi Pensione non prima di luglio 2007 e, successivamente, nell’esclusivo rispetto delle scadenze indicate dagli Statuti dei Fondi, quanto invece alla quota di Tfr da destinarsi, essa sarà quella maturata dal mese in cui il lavoratore ha manifestato la propria scelta attraverso la compilazione del TFR2. Mentre il TFR relativo ai mesi che precedono la scelta per un Fondo Pensione, sarà destinato al Fondo di Tesoreria gestito dall’INPS. Effetti della sospensione dell’attività lavorativa Viene precisato che il semestre per la scelta in ordine al conferimento del Tfr resta “congelato” nel caso di sospensione dell’attività lavorativa del dipendente che comporti anche la sospensione dell’accantonamento delle quote di TFR ex art. 2120 c.c.. Questa ipotesi ricorre nei casi di aspettativa e/o congedo non retribuiti. In tutte le altre ipotesi di sospensione dell’attività lavorativa previste dall’art. 2110 c.c. (malattia, cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, astensione per maternità, aspettativa retribuita etc.) in cui non si sospende anche l’accantonamento del TFR, il semestre per la scelta decorre normalmente senza alcuna sospensione.

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Cessazione del rapporto di lavoro prima della scadenza del semestre di silenzio-assenso Ogni volta in cui il rapporto di lavoro cessi, per dimissioni o licenziamento, prima della scadenza del semestre necessaria al perfezionamento del meccanismo del silenzio assenso, e il lavoratore non abbia ancora compiuto una scelta in ordine al conferimento del Tfr, esso sarà integralmente liquidato al lavoratore ai sensi dell’art. 2120 c.c., sia in caso di risoluzione di un contratto a tempo indeterminato, sia di un rapporto a termine. Revoca della scelta di mantenere il TFR in azienda Il lavoratore può modificare in ogni tempo la scelta di mantenere il TFR in azienda (Fondo Tesoreria nel caso di organico dimensionale di ameno 50 addetti) a favore della previdenza complementare. La revoca, già introdotta dal D.lgs. n. 252/2005 e confermata nei decreti attuativi del 30 gennaio, deve essere realizzata dal lavoratore in forma scritta e il datore di lavoro dovrà provvedere alla conservazione della documentazione ricevuta. Portabilità della posizione individuale costituita presso FONDINPS Come è noto, FONDINPS è il Fondo di Previdenza complementare cui affluisce il Tfr dei lavoratori silenti che non hanno forme pensionistiche collettive di riferimento. La COVIP afferma che, nel caso questo presupposto venga meno e cioè sia costituito successivamente un fondo pensione di riferimento, l'aderente a Fondinps potrà aderire al predetto fondo anche prima della scadenza del termine minimo di un anno di permanenza a Fondinps. In ogni caso, però, il trasferimento della posizione individuale maturata presso Fondinps, verso il fondo prescelto potrà essere effettuato solo dopo lo scadere dell’anno di iscrizione.