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RASSEGNA STAMPA di venerdì 11 marzo 2016 SOMMARIO “Se siete stanchi della presunzione dei sedicenti laici - è il consiglio letterario di Antonio Gurrado che emerge dalle pagine odierne del Foglio -, sappiate che le edizioni dehoniane EDB hanno appena stampato il libriccino definitivo contro i vanagloriosi che la trinciano da gran sultani rimproverando limitatezza intellettuale a una chiesa più antica e più saggia di loro, contro i brillantoni da social network che strappano risate acide con mirati paralogismi, contro i sacrileghi insinuatori di colpe generalizzate che spacciano la blasfemia per intelligenza. Finalmente un pamphlet in cui vengono sbertucciati coloro che "con grande impegno e molto sarcasmo si fanno una scorta di battute umoristiche" per esercitare il disprezzo della fede e proclamare la propria superiorità cerebrale a un mondo che altrimenti li ignorerebbe; finalmente lo smascheramento di individui che "parlano in modo scortese e irriverente" per celare di essere "così ottusi da non darci altro che noiose ripetizioni e meschini, volgari luoghi comuni, così triti, così logori, così banali". Di costoro viene denunciata "la rozza, evidente, inescusabile ignoranza degli stessi principii fondamentali della religione", curiosa a trovarsi "in persone che attribuiscono tanto valore alla propria cultura" ma che in realtà "imparano meccanicamente una serie di buffonate che possono essere usate in tutte le occasioni", "hanno un assortimento fisso di sarcasmi e riescono a essere estremamente spiritosi servendosi sempre degli stessi pretesti" per colpire il cristianesimo. Questi sarcastici che si ritengono eccezionali e illuminati dovrebbero apprendere che "chiunque è capace di immaginare un berretto da buffone sulla testa dell'uomo più saggio, per poi ridere della propria stessa trovata". Utilissimo oggi e domani, inevitabilmente un libro così virulento e sfacciato non poteva essere stato scritto ai nostri tempi mosci: la "Predica sul dormire in chiesa" di Jonathan Swift è un gioiellino del 1776, che mantiene molto più di quanto il titolo prometta. Intende mettere a disagio l'uditorio (è un sublime metatesto: una predica rivolta a gente che si sta addormentando, in cui si parla di gente che si addormenta ascoltando una predica) rinfacciandogli che "il rifiuto della predicazione è una delle principali cause della grave decadenza religiosa esistente". L'argomentazione è condotta su tre piani non comprensibili a tutti i lettori. A livello base è solo un appello ai dormiglioni, un'esortazione a svegliarsi per non essere confusi coi "cristiani tiepidi", quelli che secondo l'Apocalisse nel giorno del giudizio verranno vomitati dalla bocca di Dio. Se lo si legge obliquamente diventa una nemmanco velata critica agli ecclesiastici, tipicamente caratterizzati da voce e dizione sgradevoli, espressioni piatte, stile monotono, ragionamenti scorretti e assurdi, argomenti pesanti, banali e insipidi quando non meschini e ridicoli; già all'epoca, ci rivela Swift, c'erano i preti filosofi che abusavano del pulpito per lanciarsi "in congetture incomprensibili, in concetti vuoti e in voli astratti". Infine c'è il livello esoterico, l'attacco alla sbruffoneria degli atei che disinnesca sia lo snobismo di chi ritiene di avere sempre ragione - ma non considera la necessità e la difficoltà di calibrare un sermone adatto a tutti, anche ai semplici - sia la superiorità intellettuale di cui oggi gli esempi sovrabbondano: così che, quando su Twitter o Facebook qualcuno aggredirà il cristianesimo per sentirsi istruito e moderno, potrete rispondergli che è già stato confutato duecentoquarant'anni fa” (a.p.) 3 – VITA DELLA CHIESA WWW.VATICANINSIDER.LASTAMPA.IT Dal Papa una “spending review” sui processi per le cause dei santi di Iacopo Scaramuzzi Con un rescritto Francesco abroga le norme che furono varate da Giovanni Paolo II nel 1983, distingue l’Amministratore dal Postulatore della causa, incrementa le procedure

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RASSEGNA STAMPA di venerdì 11 marzo 2016

SOMMARIO

“Se siete stanchi della presunzione dei sedicenti laici - è il consiglio letterario di Antonio Gurrado che emerge dalle pagine odierne del Foglio -, sappiate che le edizioni dehoniane EDB hanno appena stampato il libriccino definitivo contro i vanagloriosi che la trinciano da gran sultani rimproverando limitatezza intellettuale a una chiesa più antica e più saggia di loro, contro i brillantoni da social network che strappano risate acide con mirati paralogismi, contro i sacrileghi insinuatori di colpe generalizzate che

spacciano la blasfemia per intelligenza. Finalmente un pamphlet in cui vengono sbertucciati coloro che "con grande impegno e molto sarcasmo si fanno una scorta di battute umoristiche" per esercitare il disprezzo della fede e proclamare la propria

superiorità cerebrale a un mondo che altrimenti li ignorerebbe; finalmente lo smascheramento di individui che "parlano in modo scortese e irriverente" per celare di essere "così ottusi da non darci altro che noiose ripetizioni e meschini, volgari luoghi comuni, così triti, così logori, così banali". Di costoro viene denunciata "la rozza, evidente, inescusabile ignoranza degli stessi principii fondamentali della

religione", curiosa a trovarsi "in persone che attribuiscono tanto valore alla propria cultura" ma che in realtà "imparano meccanicamente una serie di buffonate che

possono essere usate in tutte le occasioni", "hanno un assortimento fisso di sarcasmi e riescono a essere estremamente spiritosi servendosi sempre degli stessi pretesti" per colpire il cristianesimo. Questi sarcastici che si ritengono eccezionali e illuminati

dovrebbero apprendere che "chiunque è capace di immaginare un berretto da buffone sulla testa dell'uomo più saggio, per poi ridere della propria stessa trovata". Utilissimo oggi e domani, inevitabilmente un libro così virulento e sfacciato non poteva essere stato scritto ai nostri tempi mosci: la "Predica sul dormire in chiesa" di Jonathan Swift è un gioiellino del 1776, che mantiene molto più di quanto il titolo prometta. Intende mettere a disagio l'uditorio (è un sublime metatesto: una predica rivolta a gente che si sta addormentando, in cui si parla di gente che si addormenta ascoltando una predica)

rinfacciandogli che "il rifiuto della predicazione è una delle principali cause della grave decadenza religiosa esistente". L'argomentazione è condotta su tre piani non

comprensibili a tutti i lettori. A livello base è solo un appello ai dormiglioni, un'esortazione a svegliarsi per non essere confusi coi "cristiani tiepidi", quelli che

secondo l'Apocalisse nel giorno del giudizio verranno vomitati dalla bocca di Dio. Se lo si legge obliquamente diventa una nemmanco velata critica agli ecclesiastici,

tipicamente caratterizzati da voce e dizione sgradevoli, espressioni piatte, stile monotono, ragionamenti scorretti e assurdi, argomenti pesanti, banali e insipidi

quando non meschini e ridicoli; già all'epoca, ci rivela Swift, c'erano i preti filosofi che abusavano del pulpito per lanciarsi "in congetture incomprensibili, in concetti vuoti e in voli astratti". Infine c'è il livello esoterico, l'attacco alla sbruffoneria degli atei che disinnesca sia lo snobismo di chi ritiene di avere sempre ragione - ma non considera la necessità e la difficoltà di calibrare un sermone adatto a tutti, anche ai semplici - sia la superiorità intellettuale di cui oggi gli esempi sovrabbondano: così che, quando su

Twitter o Facebook qualcuno aggredirà il cristianesimo per sentirsi istruito e moderno, potrete rispondergli che è già stato confutato duecentoquarant'anni fa”

(a.p.)

3 – VITA DELLA CHIESA WWW.VATICANINSIDER.LASTAMPA.IT Dal Papa una “spending review” sui processi per le cause dei santi di Iacopo Scaramuzzi Con un rescritto Francesco abroga le norme che furono varate da Giovanni Paolo II nel 1983, distingue l’Amministratore dal Postulatore della causa, incrementa le procedure

contabili e rafforza la vigilanza WWW.CHIESA.ESPRESSONLINE.IT Benvenuti i ricchi. Francesco li accoglie a braccia spalancate di Sandro Magister E ne riceve laute elargizioni. Nome per nome, tutti i magnati della finanza e della tecnocrazia ai quali il papa ha dato udienza quest'anno L’OSSERVATORE ROMANO Pag 7 Le cause dei santi sono un bene pubblico Rescritto “ex audientia santissimi” per lì’approvazione di nuove norme sull’amministrazione Pag 7 Si conosce solo in ginocchio Esercizi spirituali per la Curia romana ad Ariccia AVVENIRE Pag 23 Cause dei santi, più trasparenza di Enrico Lenzi Pubblicato il rescritto del Papa con nuove norme sui fondi LA REPUBBLICA Pag 25 La scure di Papa Francesco sulla fabbrica dei santi: “Basta spese fuori controllo” di Andrea Gualtieri IL FOGLIO Pag 2 Ecco il libro per smontare chi fa sarcasmo su chiesa e cristianesimo di Antonio Gurrado Un attacco alla sbruffoneria degli atei che si sentono snobisticamente superiori. E’ stato scritto 240 anni fa: “Predica sul dormire in chiesa” di Swift 5 – FAMIGLIA, SCUOLA, SOCIETÀ, ECONOMIA E LAVORO CORRIERE DELLA SERA Pag 1 La caduta dei tabù di Federico Fubini La spinta di Draghi all’economia Pag 3 Doppio pressing di Francoforte sui governi e sulle banche di Danilo Taino AVVENIRE Pag 1 Ultimatum ai governi di Massimo Calvi La nuova mossa della Bce Pag 3 Quaresima, tempo di digiuno. Scelta per il corpo e lo spirito di Vittorio A. Sironi Una pratica religiosa ed etica ma anche nutrizionale IL GAZZETTINO Pag 1 Un arrocco per aiutare l’economia di Marco Fortis LA NUOVA Pag 1 Il bazooka stavolta non basta di Andrea Boda 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA LA NUOVA Pag 17 Stop agli aiuti ai “senza fissa dimora” di Mitia Chiarin Contratto scaduto, ieri ultimo giorno per gli operatori delle cooperative Caracol e Gea: cancellati 34 posti letto al Rivolta

Pag 28 Cavallino e Bibione regine, Jesolo resta alle spalle di Giovanni Cagnassi Diffusi i dati sulle presenze turistiche relative agli ultimi tre anni. Le spiagge con 17 milioni di presenze all’anno fanno meglio anche di Venezia Pag 28 Jesolo, crocifisso ritrovato. Appello alle Belle arti di g.ca. … ed inoltre oggi segnaliamo… CORRIERE DELLA SERA Pag 25 Maternità surrogata, dubbi etici di natura economica di Giovanni Belardelli

AVVENIRE Pag 3 Vendere guerra è vendere stragi di Raul Caruso Il massacro di Aden e il mercato di armi nell’area

IL GAZZETTINO Pag 1 Continuare a pretendere la verità di Alessandro Orsini LA NUOVA Pag 1 Il rifiuto dei funerali di Stato di Ferdinando Camon

Torna al sommario 3 – VITA DELLA CHIESA WWW.VATICANINSIDER.LASTAMPA.IT Dal Papa una “spending review” sui processi per le cause dei santi di Iacopo Scaramuzzi Con un rescritto Francesco abroga le norme che furono varate da Giovanni Paolo II nel 1983, distingue l’Amministratore dal Postulatore della causa, incrementa le procedure contabili e rafforza la vigilanza Papa Francesco ha approvato una revisione delle norme «sull’amministrazione dei beni delle Cause di beatificazione e canonizzazione», abrogando quelle che aveva promulgato Giovanni Paolo II, stabilendo, tra l’altro, che la Sede Apostolica «sostiene i costi» della fase romana, con il contributo dei promotori, «e vigila perché gli onorari e le spese siano contenuti e tali da non ostacolarne il proseguimento». Rafforzato il sistema di «check and balance», con la distinzione tra ruolo di «Amministratore» distinto da quello di «Postulatore», incrementate le procedure contabili, rinvigorito il ruolo della congregazione per le Cause dei santi come «alta autorità di vigilanza». Francesco ha approvato le nuove norme, che abrogano quelle vigenti promulgate da Giovanni Paolo II il 20 agosto del 1982 (e non disponibili sul sito internet del Vaticano) nel corso di un’udienza al cardinale Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin venerdì scorso, quattro marzo. Le norme, allegate ad un Rescritto firmato dal prefetto e dal segretario della congregazione per le Cause dei santi, il cardinale Angelo Amato e l’arcivescovo Marcello Bartolucci, vengono pubblicate oggi sull’Osservatore Romano ed entrano in vigore «ad experimentum» per tre anni a partire dalla data di approvazione. Il rescritto, in sei capitoli, parte da una premessa: « Le Cause di beatificazione e canonizzazione, che per la loro complessità richiedono molto lavoro, comportano spese per la divulgazione della conoscenza della figura del Servo di Dio o Beato, per l’inchiesta diocesana o eparchiale, per la fase romana e, infine, per le celebrazioni di beatificazione o canonizzazione. Per quanto riguarda la fase romana, la Sede Apostolica, data la natura peculiare di bene pubblico delle Cause, ne sostiene i costi, a cui gli Attori partecipano tramite un contributo, e vigila perché gli onorari e le spese siano contenuti e tali da non ostacolarne il proseguimento». Il primo capitolo ribadisce la presenza di un Postulatore

che promuove la causa ma – a differenza di quanto indicato ad esempio nelle «norme da osservarsi nelle inchieste diocesane nelle cause dei santi» emesse dal dicastero vaticano il 7 febbraio 1983 – distingue la sua figura da quella dell’Amministratore. Questi (secondo capitolo) deve «rispettare scrupolosamente l’intenzione degli offerenti; tenere una contabilità regolarmente aggiornata; redigere annualmente i bilanci, preventivo (entro il 30 settembre) e consuntivo (entro il 31 marzo), da presentare all’Attore per la dovuta approvazione; inviare al Postulatore copia dei bilanci approvati dall’Attore». Le postulazioni generali, si precisa, «tengono distinte le contabilità delle singole Cause» e qualora l’attore intenda utilizzare anche una sola parte dei beni per scopi diversi dalla causa «dovrà ottenere l’autorizzazione della Congregazione delle Cause dei Santi». L’autorità vigilante, vescovo, superiore maggiore o altra autorità ecclesiastica (terzo capitolo) deve controllare «tutti i movimenti inerenti la causa, sia in entrata che in uscita» e «annualmente revisiona, approva i bilanci della Causa e ne invia copia alla Congregazione delle Cause dei Santi». Inoltre la congregazione vaticana svolge anche il ruolo di «alta autorità di vigilanza» su ogni informazione finanziaria, verifica di bilancio, nonché, nella fase romana, «gli onorari e ogni altra spesa in base a quanto stabilito dalla medesima Congregazione» e «in caso di inadempienze o di abusi di natura amministrativo-finanziaria da parte di quanti partecipano allo svolgimento della Causa», essa «interviene disciplinarmente». Il rescritto regolamenta poi (quarto capitolo) il «contributo dell’attore alla sede apostolica» con tanto di dettagli quali la previsione che «i contributi, che non comprendono il costo della stampa della Positio, devono pervenire tramite bonifico bancario sul conto corrente della Congregazione delle Cause dei Santi, alla quale occorre inviare il documento riguardante l’avvenuta operazione» e che «celebrata la beatificazione o la canonizzazione, l’Amministratore del fondo rende conto dell’amministrazione complessiva dei beni per la debita approvazione». Dopo la canonizzazione, infine, la Congregazione delle Cause dei Santi «dispone dell’eventuale rimanenza del fondo, tenendo presenti le richieste di utilizzo da parte dell’Attore e le esigenze del “Fondo di Solidarietà”» al quale l’Attore può chiedere un contributo «nei casi in cui vi sia reale difficoltà a sostenere i costi di una Causa in fase romana». Il tema dei costi e delle procedure contabili delle cause di beatificazione e canonizzazione era da tempo all’attenzione degli uomini del Papa. Vi facevano riferimento, ad esempio, due libri basati su documenti riservati filtrati fuori dal Vaticano (vatileaks), al centro di un processo nello Stato Pontificio: in Avarizia, Emiliano Fittipaldi scriveva che il Papa «deve sapere che per fare un santo, per diventare beati, bisogna pagare. Già, sborsare denaro. I cacciatori di miracoli sono costosi, sono avvocati, vogliono centinaia di migliaia di euro», mentre in Via Crucis Gianluigi Nuzzi affermava che i dati raccolti dalla commissione di istruzione voluta da Papa Francesco (Cosea) «sono allarmanti. Negli uffici dei postulatori risultano arrivare consistenti somme di denaro in contanti e su di esse non viene predisposta un’adeguata contabilità. Da quanto emerge nei primi sei mesi di indagini, rimangono «insufficienti i controlli del denaro liquido per le canonizzazioni». Il tema, in realtà, era già noto. Quella che nell’era di Giovanni Paolo II venne soprannominata «la fabbrica dei santi» necessitava da tempo una revisione, tanto che il cardinale Angelo Amato, prefetto della congregazione per le Cause dei santi, annunciò, a gennaio del 2014 sull’Osservatore Romano, l’entrata in vigore di un «tariffario di riferimento» a cui postulatori e attori delle cause di canonizzazione devono attenersi. L’obiettivo, spiegò, è eliminare «sperequazioni tra le varie cause». Già all’epoca ci pensò il Catholic News Service (Cns), prestigiosa agenzia stampa della conferenza episcopale degli Stati Uniti, a fare un po’ di conti. Una causa di canonizzazione – dai primissimi indizi alla messa a San Pietro – può costare fino a 250mila dollari. Le spese possono includere il viaggio dei testimoni, l’esumazione del candidato, la pubblicazione della «positio», le spese per i consulti teologici, storici, medici, le cerimonie. Duecentocinquantamila dollari, mica bruscolini. Non tutti possono permetterseli. E – ironia della santità – non tutti vogliono. Raccontò al Cns mons. Greg Mustaciuolo, postulatore per la canonizzazione di Dorothy Day, fondatrice del movimento dei lavoratori cattolici, che c’è un problema. Chi vuole Dorothy Day santa, infatti, i soldi che ha preferisce darli ai poveri. WWW.CHIESA.ESPRESSONLINE.IT Benvenuti i ricchi. Francesco li accoglie a braccia spalancate di Sandro Magister

E ne riceve laute elargizioni. Nome per nome, tutti i magnati della finanza e della tecnocrazia ai quali il papa ha dato udienza quest'anno Papa Francesco è implacabile contro i ricchi Epuloni che affamano i poveri Lazzaro, contro quella che chiama "economia che uccide". Eppure gli uomini più ricchi del mondo e i superpotenti della finanza fanno ressa per essere ricevuti da lui. E lui non solo li accoglie a braccia spalancate, ma li ricopre di elogi. L'ultima a beneficiare degli apprezzamenti del papa è stata Christine Lagarde, ricevuta in Vaticano lo scorso 18 gennaio, riconfermata in febbraio alla testa del Fondo Monetario Internazionale, e ai primi di marzo elogiata da Francesco come "una donna intelligente che sostiene che il denaro deve essere al servizio dell'umanità e non il contrario", davanti a un gruppo di allibiti socialisti cattolici francesi. All'inizio del suo pontificato Jorge Mario Bergoglio aveva sorpreso tutti, predicando una Chiesa "povera e per i poveri" e nello stesso tempo chiamando a consulto in Vaticano le più famose e costose fabbriche al mondo di sistemi organizzativi e finanziari, dalla McKinsey alla Ernst & Young, dalla Promontory alla KPMG. Ma ora la musica è cambiata. Non sono più le casse vaticane a pagare i conti di queste imprese, sono i grandi impresari ammessi a colloquio col papa a fargli offerta di laute donazioni. C'è chi non lo dice e chi sì. Lo scorso 22 gennaio Tim Cook, amministratore delegato della Apple, non ha fatto mistero di aver messo nelle mani di Francesco un'elargizione, durante l'udienza avvenuta come le altre del genere non nel prosaico residence di Santa Marta ma nella solenne biblioteca papale del Palazzo Apostolico. E il 28 gennaio Leonardo Di Caprio ha fatto lo stesso. Nel filmato dell'incontro lo si vede consegnare al papa una busta, con un assegno "per opere di carità vicine al suo cuore". Più che come attore di cinema, Di Caprio aveva ottenuto udienza in quanto titolare di una fondazione contro il riscaldamento globale, a nome della quale era intervenuto pochi giorni prima al Forum economico mondiale di Davos, ricevendone un premio. Al Forum di Davos anche papa Francesco aveva fatto sentire la sua voce, con un messaggio in difesa del creato e per uno sviluppo "integrale" dell'uomo. E a Di Caprio, come a tanti altri, ha dato in dono una copia rilegata in rosso della sua enciclica "Laudato si'". Natura e tecnocrazia, è questa l'accoppiata vincente. Sette giorni prima dell'udienza con Tim Cook della Apple, papa Bergoglio ha ricevuto il numero uno di Google, Eric Schmidt, accompagnato dal capo di Google Ideas, Jared Cohen, anch'essi con una loro fondazione impegnata sui fronti della povertà, dell'energia e dell'ambiente, il cui imperativo è "Don't be evil", non essere malvagio. E a fine febbraio ha ricevuto Kevin Systrom, fondatore e amministratore delegato di Instagram, il social network della fotografia con all'attivo 400 milioni di utenti nel mondo. Sempre in febbraio papa Francesco ha anche incontrato una delegazione del World Wildlife Fund for Nature, guidata dalla presidente mondiale Yolanda Kakabadse. Ma in questo ambito il colpo più grosso è stato lo spettacolo "son et lumière" proiettato la sera dell'8 dicembre, giorno d'apertura del Giubileo della misericordia, sulla facciata e la cupola della basilica di San Pietro, spettacolo molto discusso, un inno alla natura senza il minimo cenno al Creatore, e anche molto costoso, ma interamente offerto al papa dalla Banca Mondiale, dalla fondazione Okeanos e dalla Vulcan Inc. del cofondatore di Microsoft Paul Allen. E pochissimo c'è mancato che Francesco ricevesse in udienza lo stesso Bill Gates, che di Microsoft è il numero uno assoluto, oltre che l'uomo più ricco del mondo nella classifica di Forbes. A far cadere il proposito sono stati un paio di cardinali africani, che hanno ricordato al papa che la Bill & Melinda Gates Foundation è attivissima nel promuovere l'aborto nei paesi poveri. Nessuna obiezione invece per il secondo della classifica di Forbes, il messicano Carlos Slim, magnate delle telecomunicazioni. Le spese per le trasmissioni e i centri stampa del viaggio di Francesco in Messico dello scorso febbraio sono state interamente coperte da lui. L’OSSERVATORE ROMANO Pag 7 Le cause dei santi sono un bene pubblico Rescritto “ex audientia santissimi” per lì’approvazione di nuove norme sull’amministrazione Pubblichiamo di seguito il testo del rescritto «ex audientia sanctissimi», firmato dal

cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, relativo all’approvazione da parte di Papa

Francesco delle nuove «Norme sull’amministrazione dei beni delle Cause di

beatificazione e canonizzazione».

Rescriptum ex audientia sanctissimi

Il Sommo Pontefice Francesco, nell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Segretario di Stato, il giorno 4 del mese di marzo dell’anno del Signore 2016, ha approvato le nuove «Norme sull’amministrazione dei beni delle Cause di beatificazione e canonizzazione», abrogando quelle precedentemente approvate da San Giovanni Paolo II, il 20 agosto 1983. Il Sommo Pontefice ha disposto che le suddette Norme, allegate al presente Rescritto, siano promulgate e pubblicate sull’Osservatore Romano, stabilendo che le medesime entrino in vigore ad experimentum per tre anni a partire dalla data di approvazione. Dal Vaticano, 7 marzo 2016 Pietro Card. Parolin Segretario di Stato Norme sull’amministrazione dei beni delle Cause di beatificazione e canonizzazione Premessa Le Cause di beatificazione e canonizzazione, che per la loro complessità richiedono molto lavoro, comportano spese per la divulgazione della conoscenza della figura del Servo di Dio o Beato, per l’inchiesta diocesana o eparchiale, per la fase romana e, infine, per le celebrazioni di beatificazione o canonizzazione. Per quanto riguarda la fase romana, la Sede Apostolica, data la natura peculiare di bene pubblico delle Cause, ne sostiene i costi, a cui gli Attori partecipano tramite un contributo, e vigila perché gli onorari e le spese siano contenuti e tali da non ostacolarne il proseguimento. I. Beni della Causa e designazione dell’Amministratore 1. L’Attore, dopo l’accettazione del supplice libello, costituisce un fondo di beni per le spese della Causa. 2. Il fondo costituito per una Causa di beatificazione e canonizzazione, proveniente da offerte sia di persone fisiche sia di persone giuridiche, viene considerato, a motivo della sua natura particolare, “fondo di Causa pia”. 3. L’Attore, con il consenso del Vescovo o dell’Eparca, nomina l’Amministratore del fondo. Il Postulatore Generale può svolgere l’incarico di Amministratore. 4. Per le Cause in corso nella fase romana, il Postulatore comunica alla Congregazione delle Cause dei Santi la nomina dell’Amministratore. II. L’Amministrazione 5. L’Amministratore è tenuto ad osservare le norme riguardanti l’amministrazione dei beni delle Cause pie1. In particolar modo egli deve: a. rispettare scrupolosamente l’intenzione degli offerenti2; b. tenere una contabilità regolarmente aggiornata; c. redigere annualmente i bilanci, preventivo (entro il 30 settembre) e consuntivo (entro il 31 marzo), da presentare all’Attore per la dovuta approvazione; d. inviare al Postulatore copia dei bilanci approvati dall’Attore. 6. Le Postulazioni Generali tengono distinte le contabilità delle singole Cause. 7. Qualora l’Attore intenda utilizzare anche una sola parte dei beni per scopi diversi dalla Causa dovrà ottenere l’autorizzazione della Congregazione delle Cause dei Santi. 8. L’Attore, ricevuto il bilancio, dopo averlo approvato tempestivamente, ne invia copia all’Autorità competente per la vigilanza di cui al numero 9. III. Vigilanza sull’amministrazione 9. L’autorità competente a vigilare, per la fase diocesana o eparchiale e per quella romana, è: a. il Vescovo diocesano, l’Eparca o chi ad essi è equiparato dal diritto, nell’ambito della sua giurisdizione3; b. il Superiore Maggiore per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, nell’ambito della sua giurisdizione; c. altra autorità ecclesiastica4. 10. La vigilanza viene esercitata su tutti i movimenti inerenti la Causa, sia in entrata che in uscita. 11. L’autorità competente a vigilare annualmente revisiona, approva i bilanci della Causa e ne invia copia alla Congregazione delle Cause dei Santi.

12. La Congregazione delle Cause dei Santi come alta autorità di vigilanza: a. può richiedere in qualsiasi momento all’Amministratore, come anche al Postulatore e all’Attore della Causa, ogni informazione finanziaria e relativa documentazione a supporto; b. verifica i bilanci pervenuti dalle autorità competenti di cui al numero 9; c. controlla, durante la fase romana, gli onorari e ogni altra spesa in base a quanto stabilito dalla medesima Congregazione. 13. L’Amministratore è tenuto a seguire in modo diligente tutte le norme emesse dalla Congregazione delle Cause dei Santi riguardanti l’attività amministrativo-finanziaria di una Causa. 14. In caso di inadempienze o di abusi di natura amministrativo-finanziaria da parte di quanti partecipano allo svolgimento della Causa, la Congregazione delle Cause dei Santi interviene disciplinarmente5. IV. Contributo dell’Attore alla Sede Apostolica 15. Per la fase romana, all’Attore è richiesto un contributo stabilito dalla Congregazione delle Cause dei Santi e comunicato tramite il Postulatore, da corrispondere in diversi tempi, come specificato nei numeri 16-17. Qualora si rendesse necessario, possono essere richiesti eventuali contributi straordinari. 16. In vista del riconoscimento del martirio o dell’eroicità delle virtù o del dottorato, il contributo è ripartito in quattro tempi: a. alla consegna degli Atti dell’Inchiesta diocesana o eparchiale; b. alla richiesta della nomina del Relatore; c. alla consegna della Positio; d. prima del Congresso Peculiare dei Teologi. 17. In vista del riconoscimento del presunto miracolo, il contributo è ripartito in tre tempi: a. alla consegna degli Atti dell’Inchiesta diocesana o eparchiale; b. prima della Consulta Medica; c. prima del Congresso Peculiare dei Teologi. 18. I contributi, che non comprendono il costo della stampa della Positio, devono pervenire tramite bonifico bancario sul conto corrente della Congregazione delle Cause dei Santi, alla quale occorre inviare il documento riguardante l’avvenuta operazione. 19. Celebrata la beatificazione o la canonizzazione, l’Amministratore del fondo rende conto dell’amministrazione complessiva dei beni per la debita approvazione (cfr. numeri 8-12). 20. Dopo la canonizzazione: a. la Congregazione delle Cause dei Santi, a nome della Sede Apostolica, dispone dell’eventuale rimanenza del fondo, tenendo presenti le richieste di utilizzo da parte dell’Attore e le esigenze del “Fondo di Solidarietà”; b. adempiuto quanto prescritto dal n. 20 a, il fondo della Causa e la Postulazione cessano di esistere. V. Fondo di Solidarietà 21. Presso la Congregazione delle Cause dei Santi è costituito un “Fondo di Solidarietà” che viene alimentato con offerte libere degli Attori o di qualsiasi altra fonte, oltre a quanto può provenire dal disposto del n. 20 a. 22. Nei casi in cui vi sia reale difficoltà a sostenere i costi di una Causa in fase romana, l’Attore può chiedere un contributo alla Congregazione delle Cause dei Santi per il tramite dell’Ordinario competente. Questi, prima di inviare l’eventuale richiesta, verifichi la posizione economico-finanziaria del fondo e l’impossibilità di alimentarlo con il reperimento di ulteriori sussidi. La Congregazione delle Cause dei Santi valuterà caso per caso. VI. Entrata in vigore delle Norme 23. Le presenti Norme entrano in vigore ad experimentum per tre anni a partire dalla data dell’approvazione da parte dell’Autorità competente, abrogata ogni altra norma contraria. Angelo Card. Amato, sdb Prefetto Marcello Bartolucci Segretario ___________

1) Cfr. CIC cc. 1282; 1284-1289; 1299-1310; CCEO cc. 1020 §§1-2; 1028-1033; 1043-1054. 2) Cfr. CIC cc. 1267 §3 e 1300; CCEO cc. 1016 e 1044. 3) Cfr. CIC c. 1276: CCEO c. 1022. 4) Per quanti non soggetti alla giurisdizione di cui al n. 9 a-b, quali per esempio gli Enti o Organismi direttamente collegati alla Sede Apostolica, alle Conferenze Episcopali... 5) Cfr. CIC cc. 1377, 1386, 1399; CCEO cc. 1449-1463. Pag 7 Si conosce solo in ginocchio Esercizi spirituali per la Curia romana ad Ariccia Se non varco la porta del povero e del sofferente, o se non faccio varcare la porta di casa a chi è nel dolore per asciugare le sue lacrime, attraversare la porta santa può diventare persino espressione di «una falsa religione» A tal punto che «lo slogan per le opere di misericordia e per arginare la cultura dello scarto potrebbe trasformarsi in: sii egoista, fai del bene!». È andato dritto all’essenza dell’anno santo - che «se non tocca la vita non è giubileo» - padre Ermes Ronchi giovedì mattina, 10 marzo, nell’ottava meditazione degli esercizi quaresimali predicati al Papa e alla Curia romana nella Casa Divin Maestro di Ariccia. Per la riflessione il religioso è partito dalla domanda di Gesù a Maria di Magdala, quel «perché piangi?» che si legge nel Vangelo di Giovanni (20, 15). Se esiste «un dolore senza perché», ha osservato, ce n’è «tanto altro che ha una genealogia delle lacrime, progenitori che sono corruzione, avvelenamenti, ingiustizie; quasi un albero genealogico delle lacrime del mondo con cui si risale all’origine: la fame ha un perché, i migranti hanno dietro montagne di perché, i tumori della terra dei fuochi hanno un perché». E «interrogarsi sulle cause» del dolore degli uomini «per porvi rimedio», è il comportamento dei discepoli di Gesù: si tratta di «vedere, fermarsi, toccare». «Le prime parole del risorto nel giardino di Pasqua - ha spiegato - sono di una tenerezza straordinaria: dimmi delle tue lacrime, m’importano più di tutto». Del resto è proprio «per quelle lacrime che è venuto». E il Signore non dice alla donna: «non piangere più, non chiede una spiegazione», ma «si piega su di lei per abbracciarla e partecipare». Gesù, ha fatto notare padre Ronchi, «non cerca mai il peccato di una persona, ma si posa sempre sulla sofferenza e sul bisogno. Nell’ultima ora del venerdì, sulla croce, si era occupato del dolore e dell’angoscia di un ladro; nella prima ora della Pasqua si occupa del dolore e dell’amore di Maria». È eloquente, ha affermato il predicatore, che «la prima cosa che gli occhi nuovi del Risorto vedono è la più antica faccia della storia; un volto in pianto». E oggi «il mondo è ancora un immenso pianto, lo vediamo attorno a noi, dentro di noi; ma il mondo è anche un immenso parto, dove Dio presiede a ogni nascita, a ogni rinascita». «Gli archivi di Dio, la sua memoria, non sono pieni dei peccati dell’uomo ma delle lacrime» ha spiegato il religioso. E così «una volta perdonato, il peccato non esiste più: annullato, azzerato, non conservato da parte». Padre Ronchi ha voluto condividere la propria esperienza di accompagnamento di un gruppo di genitori che hanno perso in modo drammatico un figlio giovane per suicidio, incidente, malattia, droga. «Non sappiamo il perché di tanto patire: la Bibbia non offre nessuna spiegazione del male e neppure Gesù ha mai detto dove hanno origine e come si spengono le sorgenti del pianto. Sappiamo però la sua prima reazione davanti alla sofferenza: Gesù prova compassione». E allora il segreto è fare come lui, imparando il suo sguardo e i suoi gesti che «sono quelli del buon samaritano: vedere, fermarsi, toccare, tre verbi da non dimenticare mai». «Troppo facile - ha rilanciato padre Ronchi - chiudere gli occhi, adducendo a pretesto il grigiore della città e dei volti: c’è un solo modo per conoscere un povero, Dio, una città, una ferita, un fiore: inginocchiarsi e guardare da vicino». In buona sostanza, si tratta di «fermarsi e non passare oltre perché tanto oltre non c’è niente, tantomeno Dio». E così «la vera differenza non è tra cristiani, musulmani o ebrei, credenti o non credenti, ma tra chi si ferma e chi non si ferma e tira dritto». Non basta: c’è anche il gesto del toccare, «parola dura che ci mette alla prova», perché «non è spontaneo toccare la mano del mendicante» e così la tentazione è «lasciar cadere la moneta, attento a non toccarlo». Gesù davanti al dolore si commuove, ha insistito padre Ronchi: «Che bello il nostro Dio, per usare un ossimoro l’abbiamo scelto per la sua umanità». Egli «tocca, viola la legge, fa ciò che non si può: prende il ragazzo morto, lo rialza e lo dà a sua madre, in un atto di nascita. Gesù partorisce

perché la misericordia è tutto ciò che è essenziale alla vita. La misericordia è un fatto di grembo e di mani». Il predicatore ha ripetuto che «Dio perdona non con un decreto, ma con una carezza». Invece «secoli di moralismo hanno fatto delle opere di misericordia dei doveri controvoglia, come un prezzo da pagare per la salvezza, mentre sono la fioritura di rapporti sociali nuovi e anche di se stessi, perché fare il bene fa star bene». Alle prese con le nostre «velocità» finiamo per essere ciechi e duri di cuore: un atteggiamento che «crea tanti invisibili delle nostre città, a cui passiamo accanto e che neppure vediamo». Così finiamo persino per trasformare «in colpevoli» proprio «le vittime: i profughi, i migranti, i poveri», cioè «persone declassate a problema, anziché diventare fessure di infinito». Dunque attenti all’indifferenza, che «è il contrario dell’amore». Sulla stessa linea anche la meditazione di mercoledì sera. Il perdono di Dio, ha spiegato padre Ronchi, è «amore autentico» che incalza l’uomo a divenire «il meglio di ciò che può diventare». Una riflessione scaturita dalla domanda di Gesù all’adultera perdonata, riferita ancora da Giovanni (8, 10): «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». «Chi ama accusare, inebriandosi dei difetti altrui - ha affermato il religioso - crede di salvare la verità lapidando coloro che sbagliano. Ma così nascono le guerre. Si generano conflitti tra nazioni, ma anche nelle istituzioni ecclesiastiche, nei conventi, negli uffici dove regole, costituzioni, decreti diventano sassi per lapidare qualcuno». Non è un caso, ha fatto presente, che «il brano dell’adultera per secoli è stato ignorato dalle comunità cristiane, perché scandalizzava la misericordia di Dio». A tal punto che «il nome della donna adultera non è rivelato». Ma quella persona «ci rappresenta tutti: lei è schiacciata da poteri di morte che esprimono l’oppressione degli uomini sulle donne». Mentre «i farisei di ogni epoca mettono il peccato al centro del rapporto con Dio», la Bibbia «non è un feticcio o un totem: esige intelligenza e cuore». Invece «i poteri, che non esitano a usare una vita umana e la religione, mettono Dio contro l’uomo: è questa la tragedia del fondamentalismo religioso». «Il Signore - ha affermato padre Ronchi - non sopporta gli ipocriti, quelli dalle maschere, dal cuore doppio, i commedianti della fede e non sopporta accusatori e giudici». Invece «il genio del cristianesimo è nell’abbraccio tra Dio e l’uomo». Ecco allora che «il giudizio contro l’adultera è diventato un boomerang contro l’ipocrisia dei giudici: nessuno può gettare la pietra perché la scaglierebbe contro se stesso». Sant’Ambrogio diceva che «dove c’è misericordia c’è Dio; dove c’è rigore e severità forse ci sono i ministri di Dio ma non Dio». È significativo, poi, che «Gesù si alzi davanti all’adultera, «come ci si alza davanti a una persona attesa e importante». Egli coglie l’intimo di quell’anima: «È la cura dei fragili, degli ultimi, dei portatori di handicap e l’attenzione alle pietre scartate che indica il grado di civiltà di un popolo, non le gesta dei forti e dei potenti». A Gesù, inoltre, «non interessa il rimorso ma la sincerità del cuore. Il suo perdono è senza condizioni, senza clausole, senza contropartite». «Il cuore del racconto - ha proseguito il religioso - non è il peccato da condannare o da perdonare. Al centro non c’è il male ma un Dio che non banalizza la colpa ma fa ripartire l’uomo da dove si è fermato». Gesù compie «una rivoluzione radicale». E così «un Dio nudo, in croce, che perdona, sarà il gesto sconvolgente e necessario per disinnescare la miccia delle infinite bombe sulle quali è seduta l’umanità». Insomma, a prevalere «non più il dito puntato, ma quello che scrive sulla pietra del cuore: io ti amo». «Va’ e d’ora in poi non peccare più» dice Gesù all’adultera. E queste «sono le sei parole che bastano a cambiare una vita. Ciò che sta dietro non importa più. È il futuro ora a contare: il perdono non è buonismo, ma rimettere in cammino una vita». Tante persone, ha concluso padre Ronchi, vivono «come in un ergastolo interiore, schiacciate dai sensi di colpa a causa di errori passati». Ma «Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui spesso trasciniamo noi stessi e gli altri». Le parole di Gesù e i suoi gesti «spezzano lo schema buoni-cattivi, colpevoli-innocenti. Gesù, con la misericordia ci conduce oltre gli steccati dell’etica». AVVENIRE Pag 23 Cause dei santi, più trasparenza di Enrico Lenzi Pubblicato il rescritto del Papa con nuove norme sui fondi Vigilanza e trasparenza nei costi e nei fondi per le cause di beatificazione e di canonizzazione in tutte le sue fasi. È quanto prevede il Rescritto «Ex audientia Sanctissimi» per le «norme sull’amministrazione dei beni delle cause» approvato da

papa Francesco lo scorso 4 marzo, data dell’entrata in vigore ad experimentum per tre anni del rescritto stesso. Viene così abolito quello precedente approvato da Giovanni Paolo II e risalente al 20 agosto 1983. Nella sostanza il documento vaticano vuole fare maggiore chiarezza sulla gestione e le responsabilità nella gestione dei fondi che vengono costituiti per dare vita alle cause di beatificazione e canonizzazione. Nella sua premessa, del resto, il testo precisa che «per quanto riguarda la fase romana, la Sede Apostolica, data la natura peculiare di bene pubblico della causa, ne sostiene i costi, a cui gli attori partecipano tramite un contributo, e vigila perché gli onorari e le spese siano contenuti e tali da non ostacolarne il proseguimento». Ma anche nella fase diocesana della causa di beatificazione il rescritto fissa criteri nuovi e chiari sul come procedere circa l’aspetto economico della causa stessa. Infatti, dopo aver ottenuto il via libera dell’autorità ecclesiastica ad aprire la fase diocesana della causa va costituito un fondo «proveniente da offerte sia di persone fisiche sia di persone giuridiche» e che viene considerato «fondo di causa pia». Per questo fondo l’attore (cioè colui che promuove la causa di beatificazione) deve nominare «l’amministrazione del fondo» stesso, che può essere anche il postulatore generale. Il rescritto fissa con chiarezza gli obblighi a cui gli amministratori non possono derogare: rispettare scrupolosamente l’intenzione degli offerenti; tenere una contabilità regolarmente aggiornata: redigere annualmente i bilanci (preventivo e consuntivo) da presentare all’attore per la dovuta approvazione; inviare al postulatore copia dei bilanci approvati dall’attore. E proprio per garantire trasparenza, la norma approvata da papa Francesco, stabilisce che le postulazioni generali devono tenere «distinte le contabilità delle singole cause». Non solo. Sono anche indicate alcune autorità preposte a «vigilare per la fase diocesana e per quella romana»: il ve- scovo diocesano; il superiore maggiore per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica; e altre autorità ecclesiastiche. Una vigilanza che «viene esercitata su tutti i movimenti inerenti la causa, sia in entrata sia in uscita». Una vigilanza, dunque, completa, di cui l’autorità in questione deve rendere conto allo stesso dicastero delle cause dei santi, il quale, prevede ancora il rescritto, «può chiedere in qualsiasi momento all’amministratore, come anche al postulatore e all’attore della causa, ogni informazione finanziaria e relativa documentazione a supporto» e «controlla, durante la fase romana, gli onorari e ogni altra spesa in base a quanto stabilito dalla medesima Congregazione». A fronte di inadempienza la nuova normativa prevede l’intervento disciplinare da parte dello stesso dicastero vaticano nei confronti di chi non ha seguito le procedure fissate. La nuova norma, parla anche del contributo che il promotore di una causa di beatificazione è chiamato a «corrispondere in diversi tempi» durante l’iter processuale. Infatti, chiusa la fase diocesana di raccolta della documentazione sulla figura, l’opera e la vita della persona che si spera di vedere elevata agli onori degli altari, la causa passa a Roma dove la documentazione viene esaminata. In vista del riconoscimento del martirio o dell’eroicità delle virtù o del dottorato, il rescritto prevede una ripartizione del contributo in quattro tempi: alla consegna degli atti dell’inchiesta diocesana; alla richiesta della nomina del relatore; alla consegna della positio; e prima del Congresso peculiare dei teologi. Un ulteriore contributo viene chiesto nella fase del riconoscimento di un miracolo per intercessione del futuro beato o santo, anch’esso suddiviso in tre momenti: consegna degli atti dell’inchiesta diocesana; prima della consulta medica; e prima del Congresso peculiare dei teologici. Tutti i versamenti «devono pervenire tramite bonifico bancario sul conto corrente della Congregazione delle cause dei santi, Anche questo passaggio vuole essere un ulteriore elemento verso la trasparenza della gestione dei fondi, creandone una tracciabilità. L’ultimo passaggio affrontato dal rescritto è il destino del fondo una volta celebrata la beatificazione o la canonizzazione: la Congregazione «dispone dell’eventuale rimanenza del fondo, tenendo presenti le richieste di utilizzo da parte dell’attore e le esigenze del fondo di solidarietà». Quest’ultimo, di fatto, servirà a sostenere finanziariamente quelle cause, di cui verrà accertata l’impossibilità di reperire autonomamente ulteriori fondi. L’intervento e la valutazione della Congregazione avverrà soltanto su richiesta dell’attore della causa, attraverso l’ordinario diocesano competente. Dunque trasparenza, competenze e responsabilità chiare all’interno di un percorso importante come quello dell’accertamento della santità di uomini e donne che con la loro vita hanno testimoniato la totale fedeltà alla sequela di Gesù.

LA REPUBBLICA Pag 25 La scure di Papa Francesco sulla fabbrica dei santi: “Basta spese fuori controllo” di Andrea Gualtieri Città del Vaticano. François Nguyen Van Thuan, che ha trascorso 13 anni nelle prigioni dei Viet Cong, non avrebbe immaginato che per fargli conquistare la gloria degli altari avrebbero speso 10mila euro solo per un catering. E Isabel Cristina Campos, che si è fatta uccidere mentre sgranava il rosario pur di non cedere ad un uomo che voleva approfittare di lei, non poteva supporre che i conti bancari utilizzati per la sua causa di beatificazione sarebbero finiti in un fascicolo sulla scrivania di papa Francesco per "le eccessive movimentazioni in denaro contante". Le loro storie, emerse grazie alla fuga di documenti del secondo Vatileaks, sono i casi più emblematici delle anomalie che si verificavano nella "fabbrica dei santi" della Chiesa cattolica. E sono state forse l'ultimo sintomo di cancrena che ha indotto il Papa a intervenire. Con un documento reso noto ieri dal segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, Francesco ha infatti approvato le nuove "Norme sull'amministrazione dei beni delle cause di beatificazione e canonizzazione", abrogando quelle precedenti approvate da Giovanni Paolo II il 20 agosto 1983. Si tratta di una riforma completa dell'iter per riconoscere la santità, sul quale la Santa Sede si impegna ora a vigilare "perché gli onorari e le spese siano contenuti e tali da non ostacolarne il proseguimento". Un obiettivo impegnativo, se si considera che, nel suo libro "Avarizia", il giornalista dell'Espresso Emiliano Fittipaldi riferisce ad esempio come tra onorario del postulatore, traduzione di documenti, viaggi, consulenze e stampe in tipografia, l'apertura della causa di beatificazione del predicatore statunitense Fulton John Sheen è costata in cinque anni oltre 332mila euro. E Gianluigi Nuzzi, nel volume "Via crucis", stila una classifica delle procedure più gravose per le casse dei fedeli rivelando che il sacerdote e filosofo italiano Antonio Rosmini, fondatore della congregazione dei rosminiani e morto nel 1855, è diventato beato nel 2007 dopo un investimento complessivo di circa 750mila euro. Si tratta di soldi in gran parte raccolti tra i fedeli o messi a disposizione da diocesi e congregazioni religiose che li sottraggono a finalità pastorali o caritative per investirli nell'incremento del martirologio, l'elenco delle figure che la Chiesa ritiene testimoni estreme del Vangelo, che durante i 27 anni di pontificato di Giovanni Paolo II ha visto aggiungere la cifra record di 1.338 nuovi beati e 482 santi, ai quali si sommano 45 santi negli otto anni di Benedetto XVI e altri 26 proclamati dopo il conclave del 2013. È per questo che Bergoglio ha deciso di imporre trasparenza e rigore nei conti, pur riconoscendo nel suo documento che le procedure "per la loro complessità richiedono molto lavoro, comportano spese per la divulgazione della conoscenza della figura del servo di Dio o beato, per l'inchiesta diocesana o eparchiale, per la fase romana e, infine, per le celebrazioni di beatificazione o canonizzazione". La nuova norma istituisce regole ferree e due livelli di controllo su tutti i flussi di denaro che, secondo la prassi attuale, devono transitare sul conto Ior aperto a nome di ogni postulatore dopo la conclusione della fase diocesana, quella in cui il candidato alla santità, se supera le verifiche, viene proclamato "servo di Dio". La riforma prevede la nomina di un amministratore che dovrà registrare una "contabilità regolarmente aggiornata" e dovrà redigere "annualmente i bilanci preventivo e consuntivo". Sui conti vigilerà poi un vescovo, il superiore di un ordine religioso o un'altra personalità ecclesiastica, ma tutto il fascicolo dovrà essere sottoposto alle verifiche della Congregazione delle cause dei santi. Altra novità: un "fondo di solidarietà" sul quale finiranno eventuali somme in esubero e altre offerte libere. Serviranno per sostenere le cause di coloro che non hanno devoti facoltosi a spingerli verso la gloria celeste. IL FOGLIO Pag 2 Ecco il libro per smontare chi fa sarcasmo su chiesa e cristianesimo di Antonio Gurrado Un attacco alla sbruffoneria degli atei che si sentono snobisticamente superiori. E’ stato scritto 240 anni fa: “Predica sul dormire in chiesa” di Swift Se siete stanchi della presunzione dei sedicenti laici, sappiate che le edizioni dehoniane EDB hanno appena stampato il libriccino definitivo contro i vanagloriosi che la trinciano

da gran sultani rimproverando limitatezza intellettuale a una chiesa più antica e più saggia di loro, contro i brillantoni da social network che strappano risate acide con mirati paralogismi, contro i sacrileghi insinuatori di colpe generalizzate che spacciano la blasfemia per intelligenza. Finalmente un pamphlet in cui vengono sbertucciati coloro che "con grande impegno e molto sarcasmo si fanno una scorta di battute umoristiche" per esercitare il disprezzo della fede e proclamare la propria superiorità cerebrale a un mondo che altrimenti li ignorerebbe; finalmente lo smascheramento di individui che "parlano in modo scortese e irriverente" per celare di essere "così ottusi da non darci altro che noiose ripetizioni e meschini, volgari luoghi comuni, così triti, così logori, così banali". Di costoro viene denunciata "la rozza, evidente, inescusabile ignoranza degli stessi principii fondamentali della religione", curiosa a trovarsi "in persone che attribuiscono tanto valore alla propria cultura" ma che in realtà "imparano meccanicamente una serie di buffonate che possono essere usate in tutte le occasioni", "hanno un assortimento fisso di sarcasmi e riescono a essere estremamente spiritosi servendosi sempre degli stessi pretesti" per colpire il cristianesimo. Questi sarcastici che si ritengono eccezionali e illuminati dovrebbero apprendere che "chiunque è capace di immaginare un berretto da buffone sulla testa dell'uomo più saggio, per poi ridere della propria stessa trovata". Utilissimo oggi e domani, inevitabilmente un libro così virulento e sfacciato non poteva essere stato scritto ai nostri tempi mosci: la "Predica sul dormire in chiesa" di Jonathan Swift è un gioiellino del 1776, che mantiene molto più di quanto il titolo prometta. Intende mettere a disagio l'uditorio (è un sublime metatesto: una predica rivolta a gente che si sta addormentando, in cui si parla di gente che si addormenta ascoltando una predica) rinfacciandogli che "il rifiuto della predicazione è una delle principali cause della grave decadenza religiosa esistente". L'argomentazione è condotta su tre piani non comprensibili a tutti i lettori. A livello base è solo un appello ai dormiglioni, un'esortazione a svegliarsi per non essere confusi coi "cristiani tiepidi", quelli che secondo l'Apocalisse nel giorno del giudizio verranno vomitati dalla bocca di Dio. Se lo si legge obliquamente diventa una nemmanco velata critica agli ecclesiastici, tipicamente caratterizzati da voce e dizione sgradevoli, espressioni piatte, stile monotono, ragionamenti scorretti e assurdi, argomenti pesanti, banali e insipidi quando non meschini e ridicoli; già all'epoca, ci rivela Swift, c'erano i preti filosofi che abusavano del pulpito per lanciarsi "in congetture incomprensibili, in concetti vuoti e in voli astratti". Infine c'è il livello esoterico, l'attacco alla sbruffoneria degli atei che disinnesca sia lo snobismo di chi ritiene di avere sempre ragione - ma non considera la necessità e la difficoltà di calibrare un sermone adatto a tutti, anche ai semplici - sia la superiorità intellettuale di cui oggi gli esempi sovrabbondano: così che, quando su Twitter o Facebook qualcuno aggredirà il cristianesimo per sentirsi istruito e moderno, potrete rispondergli che è già stato confutato duecentoquarant'anni fa. Torna al sommario 5 – FAMIGLIA, SCUOLA, SOCIETÀ, ECONOMIA E LAVORO CORRIERE DELLA SERA Pag 1 La caduta dei tabù di Federico Fubini La spinta di Draghi all’economia Quanti cavalli bisogna avere nel motore per risalire rapide sempre più violente? Tutto si può sostenere salvo che ieri Mario Draghi non ne abbia aggiunti per quanto tecnicamente (e politicamente) poteva. Pur di ridare vita agli investimenti privati e ricacciare indietro la minaccia della deflazione, in pochi mesi la Banca centrale europea ha innovato così tanto da entrare in una sorta di universo convesso. Come se si riflettesse in uno specchio, il sistema finanziario dell’area euro ha preso le forme di un mondo al contrario che nessuna teoria economica aveva contemplato. Sembrava impensabile solo pochi anni fa. Invece i tassi negativi - si paga per tenere fermo il proprio denaro - sono diventati realtà da un pezzo e da ieri nell’area euro sono ancora più alti. Adesso la Banca centrale è persino disposta a pagare essa stessa gli istituti, se solo questi accettano di prendere la sua liquidità e di prestarla alle famiglie e alle imprese. Le banche potrebbero persino farlo gratis, senza chiedere interessi alla

clientela, eppure guadagnarci. Gli acquisti di titoli di Stato aumentano al punto che le Banche centrali nazionali, su mandato della Bce, ne compreranno per circa 80 miliardi al mese. È una colossale operazione di creazione di moneta da 1.750 miliardi di euro. Al termine la Banca d’Italia avrà comprato oltre 200 miliardi in titoli del Tesoro, il quale verserà le cedole alla stessa Banca d’Italia, la quale a sua volta renderà parte di quelle risorse al Tesoro. È come se il debito pubblico diventasse più piccolo, più sopportabile, più spalmato nel tempo, grazie alle decisioni che ieri la Bce ha rafforzato. Non è tutto. Per la prima volta, Francoforte ha deciso che inizierà a comprare anche titoli di debito delle imprese. Basta che non siano emessi dalle banche e che siano accettabilmente solidi, ma anche questo tabù è caduto. Difficile pensare che Draghi avrebbe potuto fare di più. Ha letto la psicologia dei mercati, ha capito che la Bce doveva sorprenderli per eccesso e ci è riuscito. Ciò che forse avrà sorpreso anche lui, assieme a chiunque altro, è che i mercati stessi hanno reagito in modo diverso da come sarebbe successo anche solo poco tempo fa. Nel 2012 o persino nel 2015 gli investitori avrebbero accolto gli annunci della Bce con un pomeriggio di pura e semplice euforia, seguita da mesi di rialzi. Vedremo cosa accadrà in primavera, ma ieri non è andata così. Un iniziale, violento balzo delle Borse è stato seguito da un ripensamento e alla fine da una caduta. L’euro si è prima svalutato, poi è risalito. Volumi colossali di denaro sono passati freneticamente di mano, diretti da nessuna parte. Le spiegazioni possibili per tanta incertezza si sprecano: dalla annunciata riluttanza della Bce a tagliare i tassi ancora più in negativo, a misure che secondo alcuni non aiutano abbastanza le banche in difficoltà (ma non è questo il mestiere della Bce, ad oggi), al fatto che migliaia di miliardi ormai vengono spostati sui mercati ogni ora da algoritmi ciechi alle logiche umane. Tutto questo sarà vero in parte, ma le spaventose oscillazioni di ieri danno soprattutto la misura di quanto violente siano le rapide che la Bce deve risalire. La pressione verso la deflazione resta fortissima: l’economia internazionale frena, l’Europa rimane debole e il futuro finanziario della Cina ricorda la Russia secondo Churchill: un indovinello, avvolto in un mistero, all’interno di un enigma. I prossimi giorni mostreranno se i mercati sono in grado di stabilizzarsi, o se il resto dell’anno sarà caotico come il suo inizio. Ieri però la Bce ha dimostrato che non è disposta a subire gli eventi senza reagire, e qualcosa ci dice che non sarà l’ultima volta. Pag 3 Doppio pressing di Francoforte sui governi e sulle banche di Danilo Taino Mario Draghi ha travolto ieri buona parte dei paletti che sembravano limitare la sua politica monetaria. Con una certa facilità, si direbbe: l’ampio ventaglio di misure prese dal Consiglio dei Governatori ieri è stato votato da «una maggioranza schiacciante», ha detto il presidente della Bce. Anche il dibattito sarebbe stato meno teso che durante riunioni passate, sostanzialmente senza opposizioni sulla questione chiave dei tassi d’interesse negativi. Ora, abbiamo la prova che la Banca centrale europea è indipendente, che non si fa condizionare dall’esterno nemmeno quando i critici sono potenti come il mondo dell’economia tedesco; che non è timida e osa sperimentare su territori vergini; che sa sorprendere. In effetti, ieri ha sorpreso. Innanzitutto, la portata delle misure decise è quasi a 360 gradi, non è cioè limitata a uno strumento ma riguarda tassi d’interesse, acquisto dei titoli sui mercati, finanziamento estremamente favorevole alle banche affinché prestino all’economia, assicurazione ai mercati che lo stimolo monetario andrà avanti a lungo. In secondo luogo, le misure sono massicce, ad esempio l’avere portato da 60 e 80 miliardi gli acquisti di titoli mensili (Quantitative Easing, QE). Infine, alcune decisioni non erano per nulla previste dagli osservatori. Un complesso di scelte che dà due segnali: la Bce non ha intenzione di compromettere la sua credibilità con passi indecisi; e i mercati possono sapere che, quando le condizioni dell’economia dell’Eurozona e globali cambiano, reagisce di conseguenza. Gli effetti si vedranno nel futuro non lontano. E non è scontato che raggiungano tutti gli obiettivi: durante la conferenza stampa, Draghi ha insistito più del solito sulla necessità che i governi facciano le riforme a favore della produttività e delle imprese e che cambino la composizione dei bilanci pubblici per migliorare la competitività. Ma allo stesso tempo ha chiarito nei fatti che la Bce non sta ad aspettare. La decisione più sorprendente è il lancio di una nuova fase di finanziamento alle banche a tassi a zero o addirittura negativi, chiamata Tltro II. Vuole dire che la Bce organizzerà prestiti ogni trimestre per

un anno al tasso di rifinanziamento, che oggi è zero; se però un istituto andrà oltre una certa cifra al fine di prestare alle imprese e alle famiglie, il tasso scenderà fino al livello di quello applicato ai depositi che gli istituti effettuano presso la banca centrale, che ieri è stato deciso essere negativo per lo 0,40% (era allo 0,30%). Significa che in quel caso sarà la Bce a pagare un interesse alla banca a cui presta denaro. Un istituto che presta molto all’economia - ha detto Draghi - potrà essere finanziato dalla Bce più degli altri e a condizioni più che favorevoli. La cosa interessante è che la Bce continua sulla strada di premiare le banche che sostengono l’attività economica e di penalizzare le altre, anche se protestano. La decisione di portare il tasso sui depositi che le banche tengono presso l’istituzione di Francoforte da meno 0,30% a meno 0,40% (devono cioè pagare) va in questo senso: spingere a fare circolare la liquidità. Draghi ha parlato di istituti di credito che hanno un modello di business che li penalizza in presenza di tassi negativi e di altri che soffrono meno (e che dal Tltro II possono anzi guadagnare). Sui tassi d’interesse negativi, questione importante per le banche, ha detto che la Bce si aspetta «che i tassi d’interesse rimangano ai livelli attuali o inferiori per un periodo di tempo esteso e ben dopo l’orizzonte del nostro acquisto di asset», cioè anche dopo la fine del QE. Ma ha anche lasciato intendere che siamo praticamente al limite minimo raggiungibile: d’ora in poi, gli strumenti aggiuntivi di stimolo, se dovranno esserci, saranno di altro genere. Le altre misure decise, soprattutto l’aumento da 60 a 80 miliardi degli acquisti mensili di titoli, si qualificano per la loro consistenza. AVVENIRE Pag 1 Ultimatum ai governi di Massimo Calvi La nuova mossa della Bce L’anniversario non poteva essere celebrato in modo più solenne. A un anno dall’avvio del piano di acquisto di titoli di Stato e di iniezione di moneta sui mercati, il cosiddetto quantitative easing, nello sforzo di rianimare l’inflazione e la crescita la Banca centrale europea guidata da Mario Draghi ha deciso di alzare ancora la posta. Molti, per rendere l’idea di cosa è stato messo sul tavolo, parlano di bazooka, di bomba nucleare, ma il gergo bellico in questa fase non è né felice né azzeccato. Forse è più corretto parlare di maxi stimoli, super vitamine, se non di 'doping' monetario. Non perché l’intervento in sé non sia necessario, anzi, ma perché i suoi effetti non sono scontati e in ogni caso possono produrre conseguenze imprevedibili su un organismo fragile e debilitato come è in questo momento l’economia europea. Per capire cosa c’è in gioco occorre fare una premessa: per quanto ne dicano i banchieri tedeschi, se l’euro oggi è ancora in piedi lo si deve essenzialmente al coraggio e alla decisione di Draghi. Il quantitative easing ha risolto la crisi degli spread ed evitato che la bomba dei debiti sovrani, esplodendo, mandasse a gambe all’aria i Paesi con i conti pubblici meno virtuosi e facesse crollare l’intero edificio dell’Eurozona. Quello che invece il qe non è riuscito a fare è dare un po’ di fiato all’inflazione, in modo da rendere più sostenibili i debiti e incentivare i consumi, e far ripartire l’economia. Questo fallimento, tuttavia, non è imputabile alla Bce e a Draghi, quanto a due fattori: il contesto internazionale problematico e la fragilità delle politiche economiche dei governi. Le nuove misure messe in campo ieri sono oggettivamente potenti. Il tasso di interesse base è stato azzerato, rendendo ancora meno costoso prendere soldi in prestito; i tassi sui depositi delle banche presso la Bce sono stati tagliati a -0,4%, così da rendere ancora più oneroso lasciare i soldi sotto il materasso a Francoforte; con il nuovo piano di rifinanziamento 'Tltro' a tassi negativi, poi, la Banca centrale di fatto pagherà gli istituti per concedere credito; la Bce, inoltre, acquisterà ancora più titoli di Stato, 80 miliardi di euro al mese, e persino obbligazioni di aziende meritorie. Draghi è stato chiaro: lo choc deve servire a spingere i prestiti e quindi a sostenere la ripresa, durerà quanto serve, ma non in eterno. Tutto bene, dunque? Dipende. Il piano è stato annunciato nel giorno in cui Francoforte ha tagliato dall’1,7% all’1,4% le previsioni di crescita per l’Europa nel 2016, e dall’1% allo 0,1% le attese di inflazione. Non è un caso che le Borse, dopo una prima fiammata euforica, abbiano ripiegato chiudendo in territorio negativo. Quello con cui ci stiamo confrontando è uno scenario inedito, nel quale per usare le parole di Draghi di un mese fa, ci sono «forze dell’economia globale che concorrono a tenere bassa l’inflazione» e di fatto a rendere meno efficace la politica monetaria, anche in termini di impatto sulla crescita.

Una di queste forze, sicuramente la più influente in questa fase storica, prima della contrazione dei prezzi delle materie prime, è la questione demografica. Pochi giorni fa la numero uno del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, ha lanciato un vero e proprio allarme riferendosi al calo delle nascite e all’invecchiamento della popolazione nelle maggiori economie avanzate europee e in parte di quelle emergenti. Un cambiamento epocale, capace di incidere sull’inflazione, comprimere la crescita e che, in assenza di interventi decisi da parte dei governi, potrà avere «un pesante impatto sui bilanci sia del settore pubblico che di quello privato, minando la stabilità finanziaria». Sempre in questi giorni un rapporto dell’agenzia di rating Standard& Poor’s ha messo in guardia gli Stati Uniti stimando che proprio l’invecchiamento della popolazione americana unito alla natalità contenuta ridurrà il Pil dello 0,8% l’anno nei prossimi otto anni. Ma la cosa più preoccupante è che, come si legge nel documento, grazie alla più consistente generazione dei Millennials e al contributo dell’immigrazione, gli Usa si trovano in condizioni assai migliori di Paesi come Giappone, Cina, Corea del Sud, Germania, Russia, Italia e Spagna. La Banca centrale europea, in buona sostanza, sta facendo tutto quello che è nelle sue possibilità, e anche di più, ma la dinamica della popolazione insieme ad altri fattori di base rischiano di rendere le sue armi spuntate. È per questo che il vero senso della mossa di Draghi di ieri è una chiamata, quasi un ultimatum, all’assunzione di responsabilità da parte dei governi europei. Ciò che sembra mancare del tutto, in questa fase, è una visione che trasmetta alle imprese e soprattutto alle famiglie la sensazione che le riforme e gli interventi a loro favore siano inseriti in una prospettiva stabile, coerente e di lungo periodo, capace di creare un contesto di fiducia strutturale nel futuro, e non rispondano invece a uno sterile e limitato calcolo di convenienza elettorale. Un messaggio che in italiano suona ancora più squillante. In assenza di una svolta netta in questa direzione allora sì che lo choc proposto da Draghi rischierebbe di ridursi a una inefficace e pericolosa forma di 'doping' monetario. Pag 3 Quaresima, tempo di digiuno. Scelta per il corpo e lo spirito di Vittorio A. Sironi Una pratica religiosa ed etica ma anche nutrizionale Il digiuno leva il medico di torno, si potrebbe dire parafrasando un noto proverbio. È quanto emerge dagli ultimi studi in proposito. Insieme a una dieta corretta ed equilibrata astenersi completamente dall’assunzione di cibo un giorno alla settimana o una volta ogni 10-15 giorni può avere effetti notevolmente positivi sulla salute del corpo e della mente. Se i dati della ricerca scientifica confermano sempre di più gli stretti legami esistenti fra cibo e salute, esistono oggi anche evidenze mediche che mostrano come un regolare saltuario digiuno aiuta il corpo a 'depurarsi', proteggendolo dalle malattie, e tonifica lo spirito, agendo come un fattore importante di igiene mentale. Un digiuno salutare dunque, anche se tutto deve passare attraverso uno stile di vita globalmente equilibrato, evitando gli eccessi: fare attività fisica, evitare di fumare, mangiare bene. Nella nostra società opulenta il problema della sovralimentazione è spesso sottovalutato o affrontato solo da un punto di vista estetico – perché 'bello è magro' –, dimenticando che l’eccesso di cibo e le troppe calorie introdotte nell’organismo sono i principali responsabili del diabete, delle malattie cardiovascolari, dei tumori e possono anche essere causa di una mortalità precoce. Mangiare poco e in modo equilibrato favorisce la salute: un regime alimentare variato, moderando i grassi e i dolci, non trascurando l’assunzione giornaliera di frutta e verdura, optando per l’eliminazione o la restrizione del consumo di carne in favore del pesce, ma anche riducendo progressivamente le porzioni e le calorie quotidiane – sino appunto al digiuno abituale –, rappresenta un elemento importante della nostra esistenza, che non solo ci aiuta a eliminare i chili di troppo e a mantenere un giusto peso-forma, ma determina anche un rapporto intelligente fra benessere corporeo e gratificazione psicologica. Oltre che una scelta alimentare in favore della salute, il digiuno può essere anche una scelta etica di rispetto per chi soffre e spesso muore fame. Senza dimenticare che la rinuncia consapevole al cibo come pratica ascetica, per temprare e migliorare l’anima, per facilitare, insieme alla preghiera, il processo di avvicinamento al Dio in cui si crede, è una pratica consigliata (talvolta addirittura resa obbligatoria) da diverse religioni in determinati giorni della settimana o in certi periodi dell’anno. Non come imposizione vessatoria, ma come

esercizio materiale e spirituale di un percorso individuale per aiutare il credente nella propria crescita mistica. Tali sono il digiuno quaresimale (mortificazione del corpo come segno della conversione dello spirito) del Cristianesimo, il digiuno dello Yom Kippur (Giorno dell’Espiazione) e gli altri digiuni obbligatori – oltre a quelli tradizionali facoltativi – della religione ebraica, il digiuno del mese di Ramadan (per purificare il corpo e lo spirito) per i fedeli islamici. Oggi però si è persa l’abitudine del digiuno come astensione volontaria dal cibo, sia come prassi rituale in ambito religioso, sia come pratica sociale in ambito laico. Nella nostra ricca 'società dei consumi' sembra un controsenso rinunciare al cibo e alle bevande che abbiamo abbondantemente a disposizione. Anzi il digiuno è percepito come una situazione dannosa per l’organismo, retaggio di una condizione obbligata dei secoli scorsi, quando la penuria alimentare era alla base del triste binomio carestia-malattia. La medicina ci dice però esattamente il contrario. La presa di coscienza del parallelismo nutrizione-salute ha portato a comprendere meglio il concetto dieta-prevenzione attualmente abituale, ma pure con questa nuova consapevolezza alimentare tendiamo a mangiare troppo e male. Sovente attribuiamo al cibo significati che non dovrebbe avere: fonte di piacere assoluto e indiscriminato, sfogo alle nostre frustrazioni, compensazione per la nostra tristezza, la nostra ansia o la nostra rabbia, surrogato del desiderio sessuale. Questo porta a nutrirci in eccesso rispetto alle nostre reali esigenze caloriche, senza controllo, senza freni inibitori, facendo di fatto del cibo una specie di 'droga'. Senza accorgercene, quasi senza volerlo. Creando così gravi danni alla salute. Come la carenza cronica di cibo, la denutrizione, anche l’esagerazione abituale, la sovralimentazione, è fonte di seri guai sanitari. Sul piano epidemiologico dalle malattie della povertà (malaria, tubercolosi, pellagra, scorbuto) dell’antica società tradizionale si è passati in pochi decenni alle malattie del benessere (diabete, obesità, dislipidemie, ipertensione arteriosa, cardiopatie, cerebropatie, neoplasie) della moderna società dei consumi, dovute in gran parte, come s’è detto, alle nuove modalità alimentari. Ecco perché il ritorno alla pratica del digiuno può svolgere un importante ruolo compensatorio. Il corpo non risente negativamente dell’astensione limitata di cibo. Anzi trae beneficio perché mette in moto tutta una serie di meccanismi di 'autotrofismo' (termine difficile per dire che è in grado di generare al suo interno le sostanze chimiche di cui ha bisogno) mobilizzando riserve che si sono accumulate in eccesso, accelerando la generazione di nuove cellule in sostituzione di quelle invecchiate che vengono eliminate, metabolizzando molecole diverse dalle proteine per produrre l’energia necessaria. Si determina in tal modo un salutare riequilibrio di molte funzioni biologiche dell’organismo che porta a un perfetto adattamento fisiologico del corpo. Il digiuno è anche benefico sul piano psicologico perché mette la mente in condizione di poter tenere sotto controllo le proprie pulsioni, fortificando la volontà dell’individuo e allenandolo a superare le difficoltà esistenziali della propria vita. Umberto Veronesi, medico di fama internazionale, non ha esitato a dichiarare in proposito come 'dedicare un giorno ogni settimana alla totale astensione dal cibo non solo non faccia male, ma aiuti a formare il carattere, a manifestare una scelta etica e a proteggere la propria salute', perché 'un’alimentazione corretta secondo i dettami della scienza e almeno un giorno di digiuno ogni settimana possono rappresentare un nuovo e stimolante stile di vita'. Affermazioni pienamente condivisibili. Accanto al piacere di una abituale sana e gustosa alimentazione è importante allora imparare ad apprezzare anche il gusto di un altrettanto sano e positivo digiuno. Una scelta culinaria ed etica che protegge la salute e tonifica lo spirito. IL GAZZETTINO Pag 1 Un arrocco per aiutare l’economia di Marco Fortis Nel gioco degli scacchi c’è un'unica mossa in cui un giocatore può muovere due suoi propri pezzi in un colpo solo: è l’arrocco. Una mossa con cui il Re si muove di due case verso la Torre e questa gli si mette a fianco dall’altra parte. In questo modo il Re va a cercare migliore protezione dietro una fila ancora ben guarnita di pedoni . E’ una mossa a sorpresa che può essere interpretata in chiave prevalentemente difensiva ma che può anche dare una svolta in chiave offensiva alla partita. E in questo caso la sorpresa per l’avversario è doppia. Ieri, pur con regole un po’ diverse da quelle degli scacchi, Draghi ha fatto il “suo” arrocco. Ha mosso contemporaneamente due pezzi chiave sulla

scacchiera dell’economia dell’Eurozona: ha aumentato il volume di fuoco dell’acquisto di titoli da parte della Bce (portandolo da 60 a 80 miliardi di euro mensili) ma ha anche messo le banche, attraverso le nuove decisioni sulle aste T-Ltro, nella condizione di essere addirittura “remunerate” dalla Bce stessa se utilizzeranno efficacemente i prestiti loro concessi impiegandoli a sostegno dell’economia reale. Alla vigilia molti immaginavano un Draghi in difficoltà, in difesa e a corto di mosse. Invece l’arrocco del Presidente della Bce ha sorpreso gli scettici anche se non ha convertito i critici e non ha convinto completamente i mercati. I primi, gli scettici, sono stati spiazzati dall’ampiezza delle decisioni annunciate ieri, che hanno riguardato, oltre a tassi, aste e potenziamento del Qe, anche l’estensione degli acquisti ai titoli di aziende non finanziarie. I secondi, i critici, sono invece di due tipi: quelli tradizionalmente ostili al Qe (come i “falchi” tedeschi) che non si convertiranno mai, e quelli che invece cominciano a pensare che la politica della Bce stia fallendo l’obiettivo ed osando troppo, spingendosi in ambiti inesplorati. Ad entrambi in conferenza stampa Draghi ha risposto che senza il Qe oggi ci troveremmo già nel pieno di una deflazione paurosa anziché in un pur lento ritorno verso una inflazione fisiologica. Infine i terzi, cioè i mercati, hanno reagito in modo assai contraddittorio. Nella prima parte del pomeriggio, cioè, i listini hanno messo a segno vigorosi incrementi, specie i titoli bancari, con la piazza di Milano ed in particolare le azioni delle nostre banche protagoniste di vere e proprie impennate, mentre lo spread tra Btp e Bund si riduceva. Poi il quadro è cambiato. Forse c’è chi ha approfittato di incrementi di valore così inaspettati, rapidi e consistenti per vendere e realizzare immediatamente comode prese di beneficio. O forse qualcuno ha anche cominciato a interpretare le decisioni della BCE sotto un’altra luce, completamente opposta e negativa. Supponendo, cioè, che se Draghi ha deciso di mettere in campo così tante munizioni forse è perché la crisi dell’Eurozona è veramente grave. I mercati, si sa, sono realtà strane. Sta di fatto che in poco tempo il vento è cambiato e nella seconda parte del pomeriggio le borse hanno virato decisamente in territorio negativo, con Milano che ha chiuso a -0,50%, Francoforte a -2,31% e Parigi a -1,70%. Le banche italiane, almeno loro, hanno invece portato a casa una giornata complessivamente positiva, anche se hanno dovuto limare in misura rilevante gli iniziali guadagni. Tuttavia, non sarà certamente una singola seduta di borsa - per di più caotica e confusa come quella di ieri - a stabilire se l’arrocco di Draghi funzionerà. Di sicuro la misura del successo della politica della Bce non sarà data soltanto dai benefici – pur graditi ed importanti - del più intenso Qe che favorirà i titoli di Stato italiani e quelli delle imprese francesi e tedesche. L’arrocco di Draghi funzionerà pienamente soprattutto nella misura in cui si verificherà un aumento del volume di prestiti delle banche alle imprese. Lì si misurerà la vera svolta. E’ evidente, peraltro, che sulla scacchiera dell’Eurozona non può essere il solo Draghi a muovere i pezzi. C’è un altro attore importante che è chiamato anch’esso a fare la sua parte: è l’Europa stessa, sono i governi e Bruxelles che devono finalmente decidere di puntare di più su investimenti e crescita e non soltanto sul rigore. LA NUOVA Pag 1 Il bazooka stavolta non basta di Andrea Boda Come al solito c’era grande attesa per l’intervento di Mario Draghi ieri, abituale seguito della riunione della Banca centrale per le decisioni di politica monetaria. In molti aspettavano di vedere se da Francoforte, ancora una volta, sarebbe stato potenziato il “bazooka” e -su questo fronte- Draghi non ha affatto deluso le aspettative, anzi. È stato stanziato un pacchetto variegato di interventi che, in breve, prevede una ulteriore riduzione dei tassi di deposito (da -0,3% a -0,4%) una estensione del programma di acquisto titoli (il quantitative easing) che passa da 60 a 80 miliardi di euro al mese, un allargamento dell’orizzonte dei titoli che la Bce è pronta a comprare, includendo le obbligazioni emesse dalle imprese non finanziarie di miglior qualità. In aggiunta a tutto questo, viene varata una nuova edizione del Tltro(Targeted long term refinincing operations): il piano che consente alle banche di finanziarsi a condizioni favorevoli purché utilizzino il capitale per erogare finanziamenti. La reazione del mercato è stata inizialmente entusiastica, la Borsa di Milano ha iniziato a strappare al rialzo come uno scalatore in una tappa del Giro d’Italia, segnando dopo poco tempo un rotondo +4%. Poi qualcosa ha iniziato a girare male: il primo segnale che qualcosa si stava incrinando è

venuto dal cambio tra euro e dollaro. Quando la conferenza stampa era ancora alle fasi iniziali l’euro ha iniziato inaspettatamente a rafforzarsi, probabilmente sulla scorta di una riflessione: la prossima settimana la Federal Reserve dovrà rispondere ad un intervento ultra accomodante come quello presentato ieri rimangiandosi in parte il suo progetto di rialzo tassi lungamente preannunciato. Ma poi anche le Borse hanno iniziato a flettere. L’effetto delle medicine, in effetti, è variabile a seconda della malattia di cui si soffre: quando la malattia era il debito e la scarsità di liquidità gli interventi di allentamento monetario della Banca centrale erano una vera manna, acqua fresca per gli assetati. Il problema di cui soffriamo sono i crediti (specie quelli deteriorati), l’inflazione zero e la mancanza di crescita. E su questi fronti la Banca centrale può fare molto poco. Anzi, Draghi ha illustrato chiaramente come sia le stime di crescita che quelle di inflazione vanno riviste a ribasso, più di quanto il mercato già non scontasse, e che i rischi di ulteriori peggioramenti del quadro sono ancora ben presenti. In un certo senso è un’ammissione: quanto fatto finora ha ottenuto poco, molto poco, per crescita inflazione e qualità dei crediti, pertanto il fatto che la Banca centrale conceda “di più” di una cosa che non serve ha portato gli operatori, ancora straniti dall’entusiasmo iniziale a dire “Embé?”. Gli accenni di Draghi sono stati chiari anche sul lato dei tassi: «abbiamo violato la soglia dello zero per smontare un tabù, la convinzione che giunti a zero i tassi non potessero che salire è stata smontata. Ora il focus deve spostarsi sugli strumenti non convenzionali. Quando questo sarà avvenuto potremo serenamente normalizzare i tassi». È la prima volta che viene fatto cenno alla normalizzazione dei tassi, così come per la prima volta - più volte - il governatore della Bce ha chiesto alla platea «immaginate se non avessimo fatto quello che abbiamo fatto». È una dialettica che trasmette la consapevolezza di essere imprescindibile, ma al tempo stesso la garanzia che in qualunque caso la Bce sarà sempre lì a dare sostegno, le riforme impopolari verranno protratte e rimandate per quanto trincerandosi dietro il continuo soccorso della Bce? Siamo giunti al punto che le banche potranno finanziarsi a tasso negativo, essere pagate per indebitarsi, non so cosa possa esserci di più impopolare agli occhi di cittadini che faticano ogni mese a pagare gli interessi del proprio mutuo. Continuando così, la luce in fondo al tunnel ci sarà pure, ma quel tunnel non fa che allungarsi anno dopo anno, fino a non ricordarci nemmeno più che colori abbia il mondo. Torna al sommario 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA LA NUOVA Pag 17 Stop agli aiuti ai “senza fissa dimora” di Mitia Chiarin Contratto scaduto, ieri ultimo giorno per gli operatori delle cooperative Caracol e Gea: cancellati 34 posti letto al Rivolta Ultimo giorno di lavoro ieri per il progetto “Senza dimora” degli operatori delle cooperative Caracol e Gea. Ieri sera una quindicina di operatori della Caracol sono andati per l’ultima volta in strada tra i senza fissa dimora della stazione di Mestre. Hanno distribuito bevande e coperte e salutato tutte le persone che hanno collaborato in questi anni per l’emergenza “inverno”. Sono scaduti i cento giorni, previsti da contratto e il futuro servizio sarà affidato con un bando pubblico, promette la giunta Brugnaro. Nel frattempo al posto delle cooperative si utilizzeranno i comunali. Ultimo giorno ieri anche per la cooperativa Gea al centro diurno alla mensa di Ca’ Letizia, in via Querini «dove il servizio viene dimezzato», denuncia il consigliere comunale Nicola Pellicani (Lista Casson)che ha portato la questione in discussione in commissione con un’interpellanza: «Anche il servizio di assistenza legale, assicurato dagli avvocati volontari che si appoggiavano a Gea ora rischia di scomparire», spiega. Tra i primi contraccolpi di questa riorganizzazione c’è la riduzione del servizio docce. Il servizio veniva garantito ai clochard cittadini al Drop-In di via Giustizia due giorni la settimana, il mercoledì mattina e il venerdì pomeriggio. Ora un cartello avvisa che le docce sono aperte solo il mercoledì mattina, il giorno meno utilizzato dai clochard cittadini. A qualcuno può sembrare un problema di poco conto ma garantire una vita decorosa a chi vive in strada è il primo passo per evitare situazioni di degrado ben peggiori. «È scaduto il contratto ma i senza

fissa dimora hanno il diritto di lavarsi, che costituisce il minimo di solidarietà che un Comune deve saper garantire», avverte Pellicani. «Un servizio di assistenza tra l'altro che se non assicurato finirà per alzare i costi sociali del problema. «L'assessore alle politiche sociali aveva garantito che gli stessi servizi sarebbero stati assicurati dal personale interno del Comune, ma come volevasi dimostrare ciò non è avvenuto. Iniziamo così tristemente a vedere gli effetti dei tagli al sociale applicati dalla giunta Brugnaro». Simone Venturini non ci sta a passare per un politico “senza cuore”. E rigetta ogni critica: «Sarà finalmente il Comune a gestire i servizi programmando attività di riscatto sociale e di uscita dalla strada», dice, prevedendo «collaborazioni con altri servizi dell’inclusione sociale. L’attività sulla strada sarà potenziata per far emergere dalla strada la gente e ci sarà anche un occhio di riguardo per gli abitanti delle zone che vivono situazioni di degrado. Il nuovo bando pubblico verrà pubblicato nel giro di due mesi». Ma le Politiche sociali del Comune sono in subbuglio: ci sono altri tagli in corso, come quelli ai mediatori linguistici e culturali. «Nessun contraccolpo significativo ma piccoli risparmi sugli appalti in essere per evitare di intaccare sensibilmente i servizi», tranquillizza Venturini. Il Comune resta senza i 34 posti letto dell’accoglienza attivati dalla Caracol al centro Rivolta di Marghera e messi a disposizione in questi anni del Comune. E la Riduzione del danno, che si occupa di tossicodipendenza, ha ridotto le uscite degli operatori in strada. Pag 28 Cavallino e Bibione regine, Jesolo resta alle spalle di Giovanni Cagnassi Diffusi i dati sulle presenze turistiche relative agli ultimi tre anni. Le spiagge con 17 milioni di presenze all’anno fanno meglio anche di Venezia Jesolo. Costa veneziana in pole position tra le località turistiche del Veneto secondo i dati statistici diffusi dalla Regione. Sul numero di presenze il primo posto incontrastato resta ovviamente a Venezia, facendo una media tra il 2013, 2014 e 2015, che tocca quota 9 milioni 981.490. Segue Cavallino Treporti 6.117.248, prima tra le spiagge, quindi San Michele al Tagliamento-Bibione con 5.573.968. poi Jesolo a 5.270.179, e fuori dal podio. Seguono Caorle, Lazise fino a diverse località del Garda per arrivare alla più piccola Eraclea Mare, al 19esimo posto penultima e prima solo di Vicenza, mentre Chioggia si ferma al 12esimo posto seguita da Rosolina al 13esimo. La costa veneziana rappresenta dunque il cuore pulsante del turismo veneto, con i numeri più elevati se si esclude Venezia. Un distretto turistico di tutto rispetto con i suoi cento chilometri di costa e ben oltre 30 milioni di presenze. La sorpresa è che, per l’ennesima volta Jesolo, la capitale in pectore sul litorale, sia stata sorpassata da Cavallino Treporti e Bibione, che sono le spiagge da anni emergenti e più popolari. «Stiamo valutando le presenze», spiega il presidente dell’associazione jesolana albergatori, Massimiliano Schiavon, «che comprendono anche le notti in cui gli ospiti si fermano. Nel dato sugli arrivi, maggiormente collegato all’appeal che ha una località turistica, noi siamo subito dopo Venezia e prima di Verona, quindi la classifica cambia notevolmente perché ci porta notevolmente più in alto». Ormai questo sorpasso, anni fa giudicato clamoroso, non desta più neanche troppi commenti e invidie anche se la discussione serpeggia tra gli operatori turistici. Dal Consiglio comunale di Jesolo le forze di opposizione però sembrano irritate da questi dati, che vedono soccombere la spiaggia di Jesolo rispetto alle vicine concorrenti. «Eravamo posizionati come una eccellenza turistica», dice Mirco Crosera, «eravamo un marchio d’area che dava garanzie di qualità e differenziazione dell’offerta. Avevamo un marketing turistico che non era secondo a nessuno. Adesso tutte le politiche sbagliate, ad esempio quelle rivolte al divertimento giovanile e agli eventi flop stanno portando risultati catastrofici. Ringrazio gli imprenditori che nonostante le imposte locali alle stelle credono ancora nella nostra località e l’unica speranza è quella che il vento cambi presto». Pag 28 Jesolo, crocifisso ritrovato. Appello alle Belle arti di g.ca. Jesolo. Il ritratto dell’antichissimo crocifisso del 1.300 è un sogno per tutta la comunità jesolana. Tutto nasce da una citazione nel libro “Jesolo. Arte, territorio e storia della gente dal settecento a oggi” della Gaspari Editore di Giuseppe Artesi, jesolano, grande appassionato di storia locale. Qui la notizia che nei cataloghi dei musei e delle gallerie

d’Italia redatti nel 1955 da Sandra Moschini Marconi c’è un crocefisso, tavola di 2,10x1,51 metri di scuola veneta della fine del secolo XIV. Provenienza ignota, forse dalla parrocchiale di Cavazuccherina che fu sottoposto a fermo nel 1889 per vendita abusiva. «Il crocifisso è stato restaurato nel 1953», spiega Giampaolo Rossi dell’associazione Monsignor Giovanni Marcato. «Artesi scopre ancora che nel volume 1° edito dall’Enciclopedia italiana nel 1995, lo studio di Rodolfo Palluchini mette in relazione il Crocefisso di Nicolò Semitecolo con la versione mutila già nella parrocchiale di Cavazuccherina, oggi nelle gallerie veneziane». L’associazione culturale monsignor Giovanni Marcato da tempo lavora per la valorizzazione delle radici del territorio jesolano e della sua storia. «Ci siamo chiesti», continua Rossi, «perché quel crocifisso non possa tornare a Jesolo. Sarebbe un fatto di grande significato storico, culturale ed artistico; ma lo sarebbe anche da un punto di vista identitario. Conoscendo ed apprezzando le comuni radici, una comunità riesce a rinnovare le ragioni che la tengono insieme e ha una spinta a fare squadra, come si dice oggi. Il ritorno del crocifisso non sarebbe un evento che interessa solo i cattolici, ma l’intera comunità jesolana». La Sovrintendenza non sarebbe contraria a restituire a Jesolo per un tempo limitato il Crocifisso e la speranza, assieme al Comune, sarebbe di riaverlo per la festa di San Giovanni Battista. Torna al sommario … ed inoltre oggi segnaliamo… CORRIERE DELLA SERA Pag 25 Maternità surrogata, dubbi etici di natura economica di Giovanni Belardelli

Due mesi fa il manifesto-appello di un gruppo di femministe contro la maternità surrogata non fu sufficiente ad avviare una vera discussione sul tema, forse per il timore - almeno a sinistra - che essa potesse essere d’intralcio all’approvazione della cosiddetta stepchild adoption. Fatto sta che, una volta eliminata la possibilità di adottare il figlio del partner dalla legge sulle unioni civili, proprio da sinistra sono venute serie critiche alla pratica dell’«utero in affitto». Indirettamente un ruolo importante l’ha giocato il caso Vendola, accompagnato da una diffusa sensazione che il ricorso alla maternità surrogata non possa essere ridotto a un «atto d’amore», come semplicisticamente sostenuto dal leader di Sel. Dalla presidente della Camera Laura Boldrini all’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani si sono dunque moltiplicate le critiche a una pratica che è accusata di ridurre a merce il corpo femminile. La senatrice Finocchiaro l’ha definita «inconcepibile», perché implica «la produzione di corpi destinati allo scambio, assai spesso economico». Parole che si configurano come un modo lessicalmente elegante per sostenere che, con essa, si finisce con l’acquistare un bambino. Per l’ex pd Stefano Fassina il ricorso alla maternità surrogata va rifiutato poiché i diritti individuali debbono incontrare un limite e quello di avere un figlio non è un diritto. Su quest’ultimo punto - l’insussistenza del diritto ad avere un figlio - gli fa eco sull’ultimo Venerdì di Repubblica anche un’accorta interprete del mainstream progressista come Natalia Aspesi. Insomma, si va affermando l’opinione che essere a favore del progresso non vuol dire accettare tutto quello che la scienza consente di fare, che dobbiamo dunque interrogarci sui limiti che separano ciò che è eticamente consentito da ciò che non lo è. Si tratta di interrogativi non semplici per la difficoltà, di fronte alle prospettive straordinarie ma a volte inquietanti aperte dalle tecnoscienze, di ricorrere al vecchio armamentario concettuale basato sulla distinzione tra conservatori e progressisti, tra destra e sinistra. Un tempo questa distinzione consentiva a ciascuno, con poco sforzo, di sapere sempre cosa pensare in quasi ogni campo. Oggi dobbiamo fare a meno di quella rassicurante coperta di Linus e dobbiamo imparare a discutere nel merito di certe questioni e di certe pratiche impensabili fino a pochi anni fa. Come sta emergendo dalle non poche critiche rivolte alla maternità surrogata, il concetto chiave da cui partire è quello di denaro. Chi intraprende questa via per avere un figlio sfoglia cataloghi di «donatrici» di ovociti o di «madri per altri» (le donne che conducono la gravidanza) che ricevono un compenso, anche se spesso mascherato da rimborso spese. Nel caso della donna che si presta alla maternità surrogata gli impegni sottoscritti in un apposito contratto con i futuri genitori sono tali - dalla dieta all’aborto nel caso di malformazioni o di gravidanza gemellare -

che è inverosimile pensare possano essere accettati senza un corrispettivo economico. L’obiezione formulata da Michela Marzano, in uscita dal Pd proprio per un dissenso su questa materia, secondo la quale una donna deve esser lasciata libera di guadagnare soldi anche in questo modo, stupisce per l’inconsistenza. Per la stessa ragione si dovrebbe lasciar libero un uomo, che magari ha dei figli da mantenere, di vendere un rene; o anche un operaio di lavorare 15 ore al giorno, come avveniva un paio di secoli fa in Inghilterra. Come è evidente, è la condizione di necessità (economica) non di libertà che generalmente sta dietro la disponibilità di condurre in porto la gravidanza per conto di altri. Da questo punto di vista, il progetto di legge dell’Associazione Luca Coscioni, che propone di autorizzare la gestazione per altri solo a titolo gratuito, convince poco. Non soltanto perché, col ricorso al rimborso spese, rende possibile aggirare il vincolo della gratuità. Ma soprattutto perché affida quest’ultima a una scrittura privata tra le parti - la gestante e i futuri genitori - che ognuno comprende quale scarso valore possa avere. L’unico caso in cui è lecito supporre, senza bisogno di poco verificabili autocertificazioni, che una donna si presti alla gestazione per altri mossa da motivi non venali è quello di colei che lo fa per una sorella o una figlia. Forse prevedere di autorizzare la maternità surrogata solo in casi del genere potrebbe essere un modo per trovare un ragionevole punto di incontro, al di là della ormai evanescente distinzione tra i sostenitori del progresso e i difensori della tradizione. AVVENIRE Pag 3 Vendere guerra è vendere stragi di Raul Caruso Il massacro di Aden e il mercato di armi nell’area Nelle guerre chi lavora per la pace è più pericoloso dei nemici. Questo ha segnato il destino delle suore missionarie della Carità trucidate in Yemen. Le religiose, servendo i più poveri tra i poveri, operano in un territorio dilaniato da una guerra civile atroce e che è stata quasi totalmente dimenticata pur avendo finora causato diverse migliaia di vittime. Una coalizione di Paesi arabi guidata dall’Arabia Saudita sta conducendo una serrata campagna di bombardamenti per sostenere il governo di Abdrabbuh Mansour Hadi contro le forze ribelli Houthi. Nel contempo, milizie e formazioni jihadiste hanno preso il controllo di alcune aree complicando ulteriormente lo scenario. Nell’ultimo anno, quindi, il conflitto per il controllo del Paese si è purtroppo tramutato in emergenza umanitaria. La guerra, infatti, secondo l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati ha già generato due milioni e mezzo di profughi e circa l’80% della popolazione necessita oramai di assistenza umanitaria. La recrudescenza del conflitto è inevitabilmente associata anche alla aumentata capacità militare dei Paesi del Golfo e di altri Stati della regione mediorientale. Paese guida in questo senso è stata l’Arabia Saudita. Negli ultimi anni è divenuta il quarto Paese al mondo per spesa militare in termini assoluti dopo Stati Uniti, Cina e Russia e primo al mondo sia per spesa militare procapite (quasi tremila dollari a persona nel 2014) sia per la quota percentuale rispetto al totale delle uscite governative (oltre un quarto). Se unitamente all’Arabia Saudita consideriamo anche altri Paesi a essa vicini, e più precisamente Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait e Qatar, allora nel periodo 2010-2015 le importazioni di armi convenzionali nell’area sono state pari a poco più di 21 miliardi di dollari. I produttori di armi di diverse nazioni si sono seduti al pantagruelico banchetto della spesa militare dei Paesi dell’area del Golfo. Alla domanda di forniture militari hanno risposto in maniera pressoché dominante i produttori statunitensi con una quota percentuale pari a circa il 55%, seguiti da britannici (17%), francesi (6,2%), spagnoli (4,2%), italiani e tedeschi (2,4%) e turchi (2%). Alla luce della recrudescenza della campagna militare guidata dai sauditi, nelle scorse settimane il Parlamento europeo ha votato per richiedere l’imposizione di un embargo alla vendita di armi all’Arabia Saudita. Tale mozione è in linea con le regole di condotta della Ue che dovrebbero prevenire l’esportazione da parte dei produttori europei verso aree di conflitto in cui vi siano palesi emergenze di natura umanitaria. La richiesta, d’altro canto, potrebbe apparire anche pleonastica se consideriamo che i Paesi europei esportatori di armamenti hanno ratificato nell’aprile del 2014 il trattato Onu sul commercio di armi che tra i suoi principi ispiratori include il fatto che gli Stati dovrebbero limitare se non proibire esportazioni di armamenti verso quei governi che si macchiano di violazioni dei diritti umani e di crimini di guerra. A dispetto delle norme internazionali,

invece, i flussi di armamenti verso il Golfo e altre aree di conflitto, non avevano subito interruzioni. Solo tra il 2014 e il 2015, infatti, l’Arabia Saudita aveva aumentato le importazioni di armi di quasi il 15%, gli Emirati Arabi Uniti del 76% e il Qatar del 1000%! Il conflitto, peraltro, non sembra avere al momento una via d’uscita. In questo contesto, il martirio delle quattro missionarie della Carità non è altro che un’ulteriore conferma del fatto che la guerra distrugge qualsivoglia rispetto per la vita e la dignità umana e che a farne le spese sono in primo luogo gli innocenti e i costruttori della pace. Quello che è accaduto in Yemen alle religiose è purtroppo ricorrente in quei Paesi in cui la guerra e la violenza divengono le uniche regole che governano la vita delle persone. È però necessario ribadire che i Paesi occidentali, offrendo gli strumenti per la guerra, hanno la loro parte di responsabilità in tutto questo, e negarlo ulteriormente impoverisce le nostre istituzioni democratiche le cui norme sono calpestate e manipolate in nome di una ricerca ossessiva di profitti senza limiti. IL GAZZETTINO Pag 1 Continuare a pretendere la verità di Alessandro Orsini Che l’Italia sia un Paese poco importante, che tutti possono offendere, è favola antica. Tutti i Paesi più potenti dell’Occidente subiscono grandi umiliazioni. Il 4 novembre 1979 cinquantadue diplomatici americani furono sequestrati nella loro ambasciata a Teheran e, quando i soldati americani tentarono una missione speciale per liberarli, il 24 aprile 1980, furono uccisi, e il prestigio del presidente Carter fu distrutto. Grande fu l’umiliazione dell’Inghilterra quando, nel novembre 2006, le spie russe, aggirandosi nei locali più lussuosi di Londra, avvelenarono il tè del loro ex collega, Alexander Litvinenko, dopo che era divenuto un dissidente di Putin. Violando la sovranità nazionale degli inglesi, i russi realizzavano uno degli omicidi più orrendamente spettacolari della storia mondiale dei servizi segreti, in casa altrui. Eppure, Stati Uniti e Inghilterra, sono paesi fortissimi. Ne ricavo che il fatto di subire un’umiliazione non implica, di necessità, il fatto di essere deboli, e il caso di Giulio Regeni ne è la prova, perché ciò che l’Italia ha ottenuto finora esprime forza, non debolezza. In primo luogo, il cadavere di Giulio Regeni sarebbe scomparso, per sempre, se l’Italia fosse stato un paese poco importante. Ciò che è accaduto è semplice da comprendere: l’Italia ha letteralmente imposto all’Egitto di consegnare il cadavere di Giulio Regeni. Punto. E nessuno pensi che, nella politica internazionale, che è il regno del disumano, questo fatto sia scontato. L’Egitto aveva un interesse enorme a far sparire quel corpo martoriato e la sua consegna è stata una dichiarazione di subalternità politica verso il nostro paese. Se un governo agisce contro il proprio interesse nazionale, per assecondare la volontà di un governo straniero, è a questo subalterno. L’Iran non lo era nei confronti degli Stati Uniti e non rilasciò gli ostaggi, se non dopo un accordo diplomatico che richiese la mediazione dell’Algeria. La Russia non lo era nei confronti dell’Inghilterra e difese i suoi uomini, gonfiando il petto. Dopo avere ottenuto la salma, l’Italia ha dato vita a uno “spettacolo diplomatico” che consiste nel domandare con le buone e pretendere con le cattive ovvero chiedere qualcosa sotto la minaccia di conseguenze politiche. E così l’Egitto ha dovuto accettare una “sospensione” della propria sovranità nazionale, accogliendo una squadra di investigatori italiani che, incredibile a dirsi, si è mossa in Egitto per raccogliere prove contro l’Egitto. Non sono privilegi che vengano accordati ai paesi deboli. Poi l’Italia ha respinto tutti i tentativi provenienti dagli ambienti egiziani di chiudere la vicenda attraverso una serie di ricostruzioni incredibili che si chiamano “depistaggi”. Prima è stata avanzata l’ipotesi di un incidente stradale; poi una rapina da parte di piccoli delinquenti; poi una vendetta privata; poi un delitto a sfondo omosessuale; infine è stata tirata in ballo la Fratellanza Musulmana. Dopo avere ottenuto il corpo di Regeni, condotto le indagini al Cairo, e respinti i tentativi di depistaggio, l’Italia ha iniziato a chiedere il sostegno di tutti i paesi dell’Unione Europea, trovando ascolto, sostegno e solidarietà. Gli italiani ricevono oggi la notizia che il Parlamento Europeo ha approvato, con grandissima maggioranza (588 sì, 10 no) una risoluzione che – così è scritto – «condanna con forza la tortura e l’assassinio del cittadino europeo Giulio Regeni» in Egitto. Il Parlamento Europeo chiede al Cairo di fornire alle autorità italiane tutti i documenti e le informazioni necessarie per l’inchiesta, e sottolinea che il caso Regeni «non è un incidente isolato». Come nasca questa risoluzione è presto detto. L’Italia ha

bussato alle porte di tutte le diplomazie europee, ha chiesto aiuto e l’ha ottenuto. Al Sisi avrà un gran da fare per comprendere chi abbia voluto metterlo in così grande difficoltà, uccidendo, brutalmente, il giovane cittadino di un paese molto amico. Anche gli italiani avranno un bel da fare per comprendere perché gli altri ci trattano da grandi mentre noi ci immaginiamo piccoli. LA NUOVA Pag 1 Il rifiuto dei funerali di Stato di Ferdinando Camon La moglie di uno dei lavoratori italiani uccisi in Libia rifiuta le condoglianze dello Stato e la partecipazione dello Stato al suo lutto: evidentemente ritiene che lo Stato italiano abbia fatto poco o nulla in difesa di suo marito, che era andato all’estero per lavorare ed era stato catturato come ostaggio. Una vicenda triste, che si chiude in maniera tristissima. Quando lo Stato offre la sua vicinanza, esprime il suo dolore o il suo orgoglio a un cittadino, e il cittadino lo rifiuta, vuol dire che s’è rotto il legame senza il quale la patria di quel cittadino non è più la sua patria. Pochi giorni fa una laureata italiana, che voleva proseguire gli studi e fare ricerche, e aveva partecipato ad appositi concorsi in Inghilterra, vincendoli e ricevendo ricche borse di studio, si vide arrivare i complimenti dalla ministra italiana della cultura e della ricerca: complimenti pubblici, e lei pubblicamente li respinse. La ministra la salutava suppergiù così: «L’Italia è orgogliosa che i suoi figli si facciano onore con lo studio e la cultura anche all’estero». Le parola con cui la ricercatrice italiana respingeva quei complimenti suonavano suppergiù così: «Signora Ministra, non accetto l’elogio di un funzionario italiano che dirige una struttura la quale mi ha bocciato e non mi ha permesso di fare le mie ricerche in patria, obbligandomi ad andare all’estero». Quando leggiamo notizie come questa (la nostra patria che dà, il cittadino che rifiuta), ci viene spontaneo l’istinto di schierarci. Con chi? Con la patria che tributa un onore, o col cittadino che lo rifiuta? Vediamo i due casi. Prima la ricercatrice. Dalla patria ha ricevuto solo danni, perché la patria aveva bocciato lei (portatrice di un progetto apprezzato in Europa) e aveva assunto al suo posto qualcun altro, portatore di niente. È la mafia, l’immortale mafia che in Italia domina dappertutto, non solo nelle aste e negli appalti, dove la conosciamo bene, ma anche nelle cattedre, nei primariati, nelle presidenze, nelle borse di studio, nei concorsi a procuratore, nei fondi per le ricerche… La studiosa italiana che ha vinto un finanziamento a Londra, fa parte di quel fenomeno che si chiama “fuga dei cervelli”. Ossia, emigrazione delle intelligenze. Noi siamo messi male, dobbiamo tirarci su. Ma chi ci tirerà su, se i migliori li mandiamo via? Perché ci teniamo i peggiori o i meno bravi? Delle due l’una: o perché sono più raccomandati, o perché non siamo capaci di capire chi sono i bravi. Nell’un caso come nell’altro, ha fatto bene la ricercatrice italiana, a rifiutare i complimenti della ministra italiana? Ha fatto benissimo. La ministra italiana non doveva inviare i complimenti, ma le scuse. Il caso delle condoglianze per la morte del lavoratore italiano ucciso in Libia respinte dalla vedova, è più spinoso. Lo Stato non ha fatto niente per scoprire il rifugio del sequestro, per trattare il riscatto, per tentare un blitz. Ha sempre e soltanto subìto. «Sono solo – si lamentava il sequestrato per telefono, con la moglie -, aiutami». La signora s’è attaccata a tutti, ma nessuno l’ha aiutata. Gli americani sapevano che lì era pieno di jihadisti e di banditi, e hanno bombardato. Ma l’Italia non ha fatto niente. A quanto pare ha pagato una somma, ma alla persona sbagliata. «Partecipiamo al vostro lutto» dicono adesso ai famigliari del morto le autorità statali. Sarebbe più giusto dire non che si sentono partecipi del lutto, ma che si sentono con-causa. Anche i famigliari di Regeni, torturato e ucciso in Egitto, han rifiutato il funerale di Stato. Si aspettavano dallo Stato protezione per il loro figlio, e non l’hanno avuta. Giustizia, e non l’hanno avuta. Verità, e ormai non l’avranno più, anche l’autopsia è compromessa. A conclusione di tutto questo, farsi avanti per offrire i funerali richiede, da parte dello Stato, una grave mancanza di sensibilità. Torna al sommario