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R.Capolupo Appunti macro2 1 Capitolo 18 Il processo di integrazione economica e monetaria in Europa

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R.Capolupo Appunti macro2 1

Capitolo 18Il processo di integrazione

economica e monetaria in Europa

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R.Capolupo Appunti macro2 2

Il processo di integrazione economica e monetaria in Europa Sebbene si sia trattato di un processo lento e graduale,

iniziato nel 1958 con il Trattato di Roma i cambiamenti più radicali si sono avuti dopo la sottoscrizione del Trattato di Maastricht (gennaio 1991)

L’introduzione del mercato unico e della moneta unica hanno rappresentato una svolta epocale in cui i paesi operano in un contesto sistemico nuovo non più limitato alla sola dimensione nazionale.

Il processo non è esaurito ma in continua evoluzione e pone nuove sfide con il processo di allargamento ai paesi dell’Europa Centro- Orientale e meridionale

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Dati chiave dell’UE Caratteristica dei paesi dell’UEM è l’alto grado di

apertura Il 60% circa del commercio internazionale è di

tipo intracomunitario Il grado di apertura dell’UE verso il resto del

Mondo è superiore a quello di USA e Giappone Il mercato unico non era in grado di operare in

presenza di una alta volatilità dei tassi di cambio Sono queste le ragioni che hanno spinto i paesi

dell’UEM ad adottare la moneta unica

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Quota sul commercio mondiale (FMI)Esportazioni Importazioni

USA 12% USA 19%

Giappone 7% Giappone 5,8%

UE (15) 37,5% UE (15) 34,8%

Germania 9,5% Germania 7,6%

Francia 4,8% Francia 4,6%

UK 4,4 UK 5,1

Italia 3,7% Italia 3,6%

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Grado di apertura (dati eurostat)paese Esportazioni/PIL Importazioni/PIL

USA 11,2% 12,2%

GIAPPONE 10,8% 8,3%

UE(15) 36,0% 28,7%

Germania 33,7% 33,3%

Francia 28,7% 22,7%

UK 28,1% 29,8%

Italia 28,4% 27,4%

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I fase del processo di integrazione: lo SME Dopo il crollo del sistema di Bretton Woods e dopo i primi tentativi

di riallineamento delle valute internazionali, L’Europa per ridurre la volatilità dei tassi di cambio decise di costituire un’area valutaria con cambi fissi i cui margini di oscillazione rispetto alla parità fossero la metà dei margini previsti tra le valute internazionali e il $.

Questo tentativo è noto nella storia monetaria dell’Europa come serpente monetario europeo e rappresenta la prima fase del processo di integrazione monetaria.

Il mantenimento dei margini di oscillazione ( 1,125% tra le valute europee e 2,25% tra le valute europee e il $) richiedeva un rigoroso coordinamento tra le politiche economiche dei paesi comunitari e aiuti adeguati per consentire il superamento di difficoltà temporanee di BP per i paesi più deboli

Le frequenti crisi valutarie che colpirono i paesi europei durante l’esperienza del serpente monetario fecero sì che nel serpente restassero solo quei paesi con stretti legami di integrazione economica e commerciale con la Germania (Olanda, Benelux) gli altri paesi uscirono dagli accordi di cambio del serpente monetario

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Nascita dello SME Solo dopo gli accordi della Giamaica (1976) e il riconoscimento ai

paesi membri del FMI della libertà di scelta del sistema di fluttuazione preferito cominciò il processo decisivo di integrazione monetaria con la creazione dello SME (creato il 5 dicembre del 1978 entrò in funzione nel marzo 1979).

Aderirono allo SME dapprima 8 paesi della Comunità (Italia, Olanda, Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Irlanda) successivamente entrarono la Spagna nel 1989,La Gran Bretagna nel 1990, e il Portogallo all’inizio del 1992 .

Gli elementi costitutivi del sistema erano: - Creazione dell’unità di conto europea (ECU) formata da un paniere

di valute comunitarie.- Le parità centrali dei tassi di cambio delle valute dovevano essere

espresse in termini di ECU. Il tasso di cambio tra due valute era dato dal rapporto tra le rispettive parità in termini di ECU. I cambi potevano oscillare entro una banda ristretta del 2,25%, salvo per quelle monete in cui i margini erano più ampi (l’Italia 6%)

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Caratteristiche dello SME Quando una valuta raggiungeva i limiti massimo e minimo

consentiti, le Banche Centrali avevano l’obbligo di intervenire per riportare il cambio entro i margini prefissati.

Lo SME disponeva di un congegno aggiuntivo rispetto al serpente: indicatore di divergenza che segnalava andamenti difformi del tasso di cambio rispetto alla media comunitaria

quando la moneta stava per avvicinarsi alla soglia massima consentita (pari al 75% del 2,25%) occorreva porre in essere misure correttive e comportava obblighi di consultazione con gli altri membri dello SME

In caso di persistenti squilibri di BP la parità poteva essere modificata di concerto con gli altri paesi dello SME

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Il funzionamento dello SME Gli scettici pensavano che lo SME non avrebbe funzionato meglio

del serpente. I divari tra i tassi di inflazione erano moto alti (Germania2,7% contro il 12% dell’Italia) e si temeva che gli attacchi speculativi avrebbero forzato i paesi deboli ad uscire dal sistema

Nonostante i molti riallineamenti (11) lo SME ha funzionato per una serie di espedienti messi in atto e che consistevano in una combinazione di riallineamenti e di coordinamenti delle politiche economiche.

Alle valute deboli fu concessa una banda di oscillazione più ampia (6% per la lira fino al 1990) la peseta e lo scudo portoghese e la sterlina fino alla crisi del 1992.

Dopo la crisi del 1992 la banda di oscillazione fu ampliata al 15% Estensioni di credito dai paesi a moneta forte a quelli a moneta

debole. In caso di attacchi speculativi le banche centrali intervenivano a sostegno del paese sotto attacco

Mantenimento di controlli valutari per i paesi a moneta debole

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Tassi di inflazione nei principali paesi

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La crisi del 1992 Nei primi anni di operatività dello Sme parecchi membri

(Francia, italia) riducevano la possibilità di attacchi speculativi mantenendo controlli ai movimenti di capitali.

Il processo di integrazione ( l’accelerazione del processo del mercato unico) richiedeva però lo smantellamento di tali vincoli e nel 1990 la maggior parte dei paesi dello SME aveva completamente eliminato i controlli sui movimenti di capitali.

Nel 1992 lo SME subì la pressione dell’unificazione tedesca che portò all’aumento senza precedenti dei tassi di interesse in Germania

Gli operatori dei mercati finanziari erano sempre più convinti che le implicazioni della politica monetaria tedesca avrebbe condotto a un riallineamento delle parità e a una svalutazione delle valute deboli

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Gli attacchi speculativi Le banche centrali dei paesi sotto attacco intervennero con

estenuanti interventi sul mercato dei cambi Le massicce perdite di riserve valutarie che andavano

sempre più riducendosi non avrebbe potuto arginare il forte deflusso di capitali

Italia e Gran Bretagna dopo vari tentativi tendenti a innalzare i tassi di interesse furono costretti a uscire dallo SME

Altri paesi come Spagna e Portogallo svalutarono le loro monete. I margini di oscillazione furono ampliati al 15% fino all’entrata della moneta unica. Questo in pratica significava il crollo del sistema dei cambi fissi.

La politica tedesca può essere illustrata con il modello AD-AS

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L’incremento di G sposta la IS e la AD. Il tasso di interesse aumenta e anche i P. Per evitare spinte inflazionistiche la Bundesbank attua poltiche monetarie restrittive che spostano la LM determinando ulteriori incrementi del tasso di interesse. La AD si sposta verso il basso, i P diminuiscono e anche la LM per effetto del piccoloaumento delle scorte monetarie in termini reali subisce una trasposizione verso il basso non sufficiente ad abbassare i tassi di interesse tedeschi

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Teoria delle AVO I costi e i benefici derivanti a un paese che entra a far parte

di un’area valutaria con cambi fissi dipende da quanto bene siano integrate le economie dei vari partner in termini di commercio internazionale e di movimenti dei fattori.

Come si è già accennato i benefici associati alla costituzione di un’area valutaria sono rappresentati dall’abolizione dei costi di conversione tra differenti valute, dall’eliminazione del rischio di cambio, dalla possibilità di attivazione di un circolo virtuoso tra stabilità dei prezzi, incremento degli scambi commerciali e maggiore crescita economica.

La teoria delle AVO offre uno schema utile per analizzare se un gruppo di paesi avrà vantaggi o svantaggi dall’adesione a una area monetaria sulla base di alcune caratteristiche strutturali dei paesi europei

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Criteri di ottimalità nella teoria delle AVO Le AVO sono gruppi di regioni con economie strettamente

integrate tra loro sia per lo scambio di beni e servizi sia per la mobilità dei fattori. Se ne deduce che un’area a cambi fissi rappresenta un’AVO se volume degli scambi e mobilità dei fattori sono elevati

La teoria delle AVO individua le caratteristiche strutturali che un paese deve possedere se vuole fronteggiare uno shock asimmetrico senza ricorrere a variazioni dei tassi di cambio e alle altre politiche che generalmente vengono utilizzate per mantenere l’equilibrio interno e esterno.

Nell’ambito dei contributi teorici sulle AVO vengono individuati 3 criteri di ottimalità:

- mobilità dei fattori (Mundell)- Grado di apertura (McKinnon)- Grado di diversificazione produttiva (Kenen)

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Mobilità dei fattori Supponiamo che due economie siano colpite da uno shock

asimmetrico La domanda si sposta dai prodotti dell’economia B ai

prodotti dell’economia A L’economia A sperimenterà un aumento dei prezzi (la AD si

sposta) e un avanzo commerciale L’economia B sperimenterà un disavanzo commerciale e un

processo di riduzione dei prezzi, dell’output e della occupazione (AD verso il basso)

Assumiamo inoltre che le due economie siano integrate in un’area valutaria che presenta alta mobilità dei fattori all’interno e immobilità verso l’esterno.

Analizziamo il processo di aggiustamento sotto 3 ipotesi

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Primo caso I paesi A e B dell’area sono caratterizzati da

regime plurivalutario e da tassi di cambio fissi Le autorità monetarie di A attueranno politiche

monetarie restrittive per contrastare l’inflazione. Il meccanismo compensativo dell’ aumento dei

prezzi in A (prezzi delle esportazioni/prezzi delle importazioni) che dovrebbe rendere più costose le importazioni da A non opera e l’onere dell’aggiustamento ricade esclusivamente sul paese B

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Secondo caso Moneta comune e A e B regioni di uno

stesso paese: Se le autorità vogliono ridurre la

disoccupazione in B con una politica monetaria espansiva aggravano la situazione inflazionistica anche in A

Il perseguimento del pieno impiego induce una distorsione inflazionistica nell’economia multiregionale con una valuta comune

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R.Capolupo Appunti macro2 19

Terzo caso Mundell dimostra che anche la soluzione più

plausibile in presenza di uno shock asimmetrico cioè la flessibilità del tasso di cambio non è la politica ottimale

Infatti, teoricamente un deprezzamento del tasso di cambio in B (o un apprezzamento in A) correggerebbe lo squilibrio esterno e migliorerebbe anche l’equilibrio interno (disoccupazione in B inflazione in A)

Nella realtà gli effetti potrebbero essere diversi

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R.Capolupo Appunti macro2 20

Terzo caso (2) Assumiamo che i due paesi A e B contengano al loro interno

2 regioni est e ovest ognuna specializzata in una data produzione

Lo shock asimmetrico si verifica a livello regionale con uno spostamento dei prodotti da Est a Ovest.

Si verificherà inflazione e avanzo a Ovest e disoccupazione e disavanzo a Est

la flessibilità del tasso di cambio non sarà in grado di risolvere lo squilibrio regionale

Se le monete fossero definite su base regionale allora si verificherebbe un aggiustamento interno ed esterno attraverso la flessibilità del cambio

Ciò significa che la flessibilità del cambio si rivela efficace solo se l’area valutaria corrisponde a una regione omogenea

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R.Capolupo Appunti macro2 21

AVO L’area valutaria dunque per essere ottimale secondo Mundell deve

possedere un’alta mobilità dei fattori al suo interno e immobilità all’sterno

Questo si verifica per regioni economiche omogenee D’altra parte la divisione delle monete su base regionale non

sarebbe solo improponibile dal punto di vista politico ma farebbe perdere tutti i benefici derivanti dall’ utilizzo di un’ unica moneta

Come risolvere il problema? Attraverso un’alta mobilità dei fattori produttivi . Flussi migratori da est che sperimenta disoccupazione a Ovest dovrebbe migliorare l’equilibrio interno nelle due regioni e risolvere lo squilibrio esterno

Quest’ultimo si fonda sul fatto che la domanda dei lavoratori dell’Est emigrati all’Ovest si tramuterebbe in parte in esportazioni dei prodotti dell’Est verso l’Ovest e viceversa la domanda dell’Est si ridurrebbe per effetto dell’emigrazione

Solo se esiste mobilità dei fattori le due regioni potranno mantenere cambi fissi e costituire un’AVO

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R.Capolupo Appunti macro2 22

Integrazione economica e curva dei benefici

Grado di integrazione economica

Guadagno di

Efficienza monetaria

L’inclinazione positiva

della curva indicaChe il guadagno

Di efficienza cresce Al crescere del

Grado di integrazione

G

G

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R.Capolupo Appunti macro2 23

Curva delle perdite

Grado di integrazione economica

Perdita di stabilità economica

per il paese aderente

P

P

La perdita in terminiDi rinuncia all’utilizzo dellePolitiche di stabilizzazioneDiminuisce all’aumentareDel grado di integrazione

economica

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R.Capolupo Appunti macro2 24

Mettiamo insieme le due curve

P

G

Perdite

> guadagni

Guadagni> perdite

Grado di integrazione

L’intersezione delle curve determina un punto critico di integrazione economica

Solo alla destra di i guadagni superano le perdite per il paese che decide di aderire all’AVO

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R.Capolupo Appunti macro2 25

Spostamenti della PP Se il paese è soggetto a shock asimmetrici

o a variabilità nel mercato dei prodotti la curva PP si sposta verso destra

Questo implica che il livello critico di integrazione al quale è vantaggioso aderire all’Avo aumenta

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R.Capolupo Appunti macro2 26

MC KINNON e grado di apertura La sua teoria è molto simile a quella di

Mundell: individuazione delle condizioni che rendono ottimale un’AVO

Per le economie con un alto grado di apertura sarebbe ottimale aderire a un’AVO perché verrebbero minimizzati i costi dell’aggiustamento esterno

Il grado di apertura è definito come rapporto tra beni commerciabili beni non commerciabili

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R.Capolupo Appunti macro2 27

alto grado di apertura Supponiamo di avere un’economia in cui i beni tradable abbiano un grosso peso

percentuale rispetto ai beni consumati all’interno . Si assuma inoltre che i prezzi dei beni non commerciabili sia tenuto costante e che il

tasso di cambio sia utilizzato per ottenere l’equilibrio esterno Se la valuta interna si svaluta del 10% anche i prezzi dei beni commerciabili

aumenteranno del 10% relativamente ai prezzi dei beni non commerciabili (costanti). Ciò indurrà una maggiore produzione di beni commerciabili rispetto a quelli non commerciabili e una riduzione del consumo interno

L’incremento delle esportazioni e la riduzione delle importazioni migliorerà il saldo della BC

Ciò sarà vero solo se la variazione del tasso di cambio (svalutazione) non si riflette sul livello dei prezzi interni.

Nel caso in cui tutti i beni prodotti nell’economia sono commerciabili,il livello generale dei prezzi interni aumenta del 10% e non si avrà alcun effetto positivo sulla bilancia commerciale

Più elevato è il grado di apertura (tutti beni commerciabili) meno conveniente è un regime di tassi di cambio flessibili . L’adesione a un’AVO (cambi fissi) è pertanto profittevole

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R.Capolupo Appunti macro2 28

Grado di diversificazione produttiva ( terzo criterio: KENEN) Le economie con maggiore diversificazione

produttiva sono quelle maggiormente indicate per ottenere vantaggi dall’adesione a un’AVO (cambi fissi e valuta comune)

I motivi sono:1. La diversificazione è un fattore di stabilizzazione

ex ante delle esportazioni. L’idea sottostante è che una maggiore diversificazione significa esportazioni differenziate e qualsiasi shock (microeconomico) che colpisca un settore (o un prodotto) sarà compensato dalla performance positiva degli altri settori di beni esportati

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R.Capolupo Appunti macro2 29

Effetti della diversificazione produttiva1. Attenua gli effetti di shock esogeni sull’occupazione.

Perché questo accada alla diversificazione produttiva occorre aggiungere una sufficiente mobilità occupazionale tra i settori dell’economia

2. Stabilizza la formazione di capitale. Un incremento delle esportazioni in un qualche settore produttivo generalmente aumenta gli investimenti in quel settore e può indurre tensioni inflazionistiche. Nelle economie in cui la diversificazione è elevata l’esposizione a questo tipo di instabilità è più ridotta perché l’incremento delle esportazioni non si riverserà su tutti i prodotti ma solo su alcuni

3. In conclusione le economie maggiormente diversificate possono aderire a un’AVO perché sopportano meglio la rinuncia alla manovra del tasso di cambio per realizzare l’equilibrio esterno

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L’UEM è un’AVO?Sulla base dei criteri sino ad ora esposti si

può affermare che:1. Il grado di apertura non è un criterio

sufficiente. Sulla base di tale criterio solo alcuni paesi avrebbero dovuto aderire all’UEM (Belgio, Lussemburgo, Irlanda, Olanda) ma non Germania, Francia , Italia etc. che presentano un grado di apertura misurato dall’export/PIL intorno al 10%

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Grado di apertura intra UE

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R.Capolupo Appunti macro2 32

Criteri 2. sulla base del criterio della mobilità fattoriale l’UEM non è

un’AVO 3. sulla base della natura e della dimensione degli shock,

generalmente di tipo asimmetrico, l’UEM non è un’area valutaria ottimale. Quanto più gli shock sono asimmetrici tanto più costosa (rinuncia all’utilizzo della politica valutaria) è l’adesione a un’AVO

4. diversificazione produttiva. E’ l’unico criterio che permette di valutare positivamente l’adesione a un’AVO. Le strutture industriali dei paesi europei sarebbero meno concentrate e più diversificate rispetto agli USA e questa circostanza renderebbe meno probabile l’insorgere di shock asimmetrici

In conclusione , dal punto di vista statico, l’UEM non risponde ai requisiti dell’ottimalità. Considerata in una prospettiva dinamica l’UEM potrebbe soddisfare i requisiti prima richiamati

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R.Capolupo Appunti macro2 33

Relazione tra convergenza reale e flessibilità

I paesi al di sopra della retta CF possono far parte di un’AVO perché in grado di fronteggiare gli shock asimmetrici

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R.Capolupo Appunti macro2 34

UEM e politica fiscale Qual è il ruolo della politica fiscale nelle

UM? Supponiamo che si verifichi uno shock asimmetrico di domanda che riduca la domanda di beni italiani e aumenti quella di beni tedeschi.

La ADit si sposta verso il basso mentre la ADge si sposta verso l’alto.

Si genera inflazione+ surplus BC in Germania e deficit +recessione in Italia

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R.Capolupo Appunti macro2 35

Cosa accadrebbe in presenza di flessibilità salariale e di mobilità del lavoro? Riequilibrio automatico in presenza di flessibilità

di prezzi e salari e di mobilità del lavoro Un innalzamento del salario in Germania

(abbassamento in Italia) renderebbe le merci italiane più competitive contribuendo a sanare il deficit commerciale e a ridurre la disoccupazione. Il contrario avverrebbe in Germania

La AS in Italia si sposterebbe verso il basso in Germania verso l’alto e si ritornerebbe all’equilibrio iniziale

Alternativamente, lo spostamento dei lavoratori italiani in Germania come previsto dalla teoria di Mundell contribuirebbe a riportare le BC dei due paesi in pareggio

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R.Capolupo Appunti macro2 36

Shock asimmetrico e modello AD-AS

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R.Capolupo Appunti macro2 37

E in presenza di scarsa flessibilità? Bilancio dell’UEM centralizzato a livello europeo. In altri

termini un’autorità fiscale sovranazionale conduce la politica fiscale (prelievo spesa pubblica)

La centralizzazione del bilancio funzionerebbe come stabilizzatore automatico e assicurerebbe il riequilibrio dopo lo shock asimmetrico tramite un processo di redistribuzione del reddito (lo stesso di quello che avverrebbe tra le varie regioni italiane)

Se la centralizzazione di bilanci non è praticabile perché cambierebbe l’assetto delle sovranità nazionali la teoria dell’AVO prevede una flessibilità nella conduzione della politica fiscale

Tale flessibilità non è consentita dagli accordi di Maastricht e dal patto di stabilità

Perché ci si allontana dalla logica e dalle teorie dell’AVO?

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R.Capolupo Appunti macro2 38

Ragioni alla base delle restrizioni fiscali in Europa Rapporto debito/PIl elevato per molti paesi Timore che un’ulteriore crescita del rapporto

possa minare la stabilità dell’UEM Timore che si determinino processi inflazionistici

attraverso pressioni sulla BCE Ciò potrebbe ridurre il grado di indipendenza

della BCE Tuttavia data la situazione di bassa crescita in

Europa i vincoli alla politica fiscale sembrano eccessivi e contrastano con la teoria dell’ Avo che prevede una maggiore flessibilità per questo strumento in assenza di bilanci centralizzati

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R.Capolupo Appunti macro2 39

Il problema del debito pubblico

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R.Capolupo Appunti macro2 40

La politica monetaria La BCE sin dalla sua costituzione ha

annunciato che il suo principale obiettivo è quello di mantenere la stabilità dei prezzi

Più specificatamente l’obiettivo nel medio termine è di far sì che l’incremento dell’IAPC su 12 mesi si mantenga inferiore al 2%

Tale obiettivo è realizzato attraverso il controllo dell’aggregato M3

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R.Capolupo Appunti macro2 41

I 2 pilastri della politica monetaria Crescita annunciata della quantità di

moneta Valutazione del target di inflazione avendo

riguardo non soltanto all’IAPC e al suo tasso di variazione ma anche a un’intera serie di indicatori macroeconomici

Questo significa che la BCE non aderirà strettamente né all’approccio conosciuto come monetary targeting né all’approccio dell’inflation targeting

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R.Capolupo Appunti macro2 42

Regola di Taylor anche per la BCE Tuttavia non si può nascondere che la sua strategia si

avvicina maggiormente all’inflation targeting. Poiché deciderà la sua politica avendo riguardo anche ad altri indici macroeconomici si può presumere che la sua condotta non sarà molto diversa da quella seguita dalla FED

Con riferimento a questi obiettivi assumendo che il target di inflazione sia pari a ’ e che il tasso di interesse di lungo periodo sia pari a r*, riscriviamo la regola di Taylor:

)'(''* rr

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R.Capolupo Appunti macro2 43

Prospettive dell’UEM Con il termine allargamento si designa oggi l’accesso dei

paesi dell’Europa centro Orientale nell’UE Dei 13 paesi che hanno avanzato la richiesta , 10 di essi

(Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia , Malta, Polonia, Ungheria) hanno aderito dal maggio 2004

I paesi che aderiranno devono soddisfare i criteri stabiliti a Copenaghen :

1. Essere una democrazia stabile2. Adottare un’economia di mercato funzionante3. Adottare regole e norme e le politiche comuni dell’UE

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R.Capolupo Appunti macro2 44

Problemi dell’allargamento Divergenze e difformità nelle strutture produttive,

livelli di reddito e tassi di crescita Con l’attuale meccanismo di distribuzione dei

fondi comunitari i benefici per i nuovi entranti vengono percepiti come costi dai paesi dell’UE

I fondi elargiti per la PAC e per i fondi strutturali che costituiscono l’85% del bilancio comunitario sarebbero incanalati soprattutto verso i nuovi paesi

movimenti migratori che potrebbero aggravare i problemi sul mercato del lavoro

Concorrenza con alcuni paesi dell’UE che hanno specializzazioni produttive similari a quelle dei paesi dell’allargamento

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R.Capolupo Appunti macro2 45

allargamento