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Trimestrale di formazione e spiritualità francescana Ottobre Dicembre 2012 20

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Trimestrale di formazione e spiritualità francescana

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Page 1: Messaggero 2012-20 Ott-Dic

Trimestrale di formazionee spiritualitàfrancescana

Ottobren° Dicembre 201220

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20 Ottobren° Dicembre 2012

MESSAGGERORivista fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccinidella Svizzera Italiana - Lugano ISSN 2235-3291

Comitato Editorialefra Callisto Caldelari (dir. responsabile)fra Edy Rossi-Pedruzzifra Michele RavettaMaurizio AgustoniGino DriussiAlberto Lepori

Hanno collaborato a questo numero don Carlo Cattaneo Mario Cortifra Agostino Del-PietroFernando LeporiGabriella Modonesi Cynzia Patriarca Rovellifra Andrea Schnöller don Sandro Vitalini

Redazione e AmministrazioneConvento dei CappucciniSalita dei Frati 4CH - 6900 LuganoTel +41 (91) 922.60.32Fax +41 (91) 922.60.37

Internet www.messaggero.chE-Mail [email protected]

Abbonamenti 2013ordinario CHF 30.-sostenitore da CHF 50.-CCP 65-901-8IBAN CH4109000000650009018

Fotolito, stampa e spedizioneRPrint - Locarno

Non si accettano abbonamenti con destinazione fuori dalla Svizzera[ ]

Dopo due numeri sui passati Concili, abbiamo ini-

ziato – e continueremo nei prossimi numeri – a par-

lare del Concilio Vaticano II a cinquant’anni dalla

sua apertura. Il tema a parecchi lettori piace perché

li aggiorna su un avvenimento di capitale importan-

za per la Chiesa Cattolica, ma non mancano coloro

che obbiettano: perché scrivere di questo Concilio

del quale si stanno facendo i funerali? Non possia-

mo condividere questo attestato di morte, ma non

saremo noi ad elogiare un post-Concilio cinquante-

nario per non aver portato avanti quella riforma della

Chiesa che Papa Giovanni XXIII auspicava nell’in-

dirlo. Parecchie cose sono rimaste ferme; altre, negli

scorsi anni, hanno fatto qualche passo e poi stan-

che si sono fermate sull’orlo della strada del tempo.

Perciò non fa meraviglia che parecchi cristiani adulti

lo ricordino con nostalgia e i giovani non sappiano

nemmeno che cosa sia. Possano queste pagine rin-

frescare la memoria.

Foto di copertina:Roma - 25 gennaio 1959Basilica di San PaoloAnnuncio del Concilio Vaticano II© Archivio fotografico Osservatore Romano

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Editoriale

IIn questi ultimi mesi l’attenzione dei media è concen-trata in modo quasi compulsivo sulla sorte dei bilanci pubblici di molti Stati europei. Si susseguono a ritmo serrato gli incontri tra i capi di governo al fine di trovare una via salvifica che sottragga l’Europa alla dolorosa morsa della crisi. Il tasso di disoccupazione, più di ogni altro indicatore economico, riflette con impietosa durezza la gravità della situazione. In Grecia e Spa-gna la percentuale di disoccupati è superiore al 25% e, quel che più preoccupa, la disoccupazione giovanile è vicina al 55%. Durante i vertici dell’Unione Europea si constata sempre più una frattura tra i cosiddetti Paesi “rigoristi” (Germania e Gran Bretagna in testa, cui si aggiungono alcuni Stati settentrionali) e i Paesi medi-terranei (Francia, Spagna, Italia, ecc.), meno inclini al rigido rispetto di una certa disciplina di bilancio. An-che in Ticino, nel nostro piccolo, l’autunno politico si è consumato nella discussione attorno al Preven-tivo 2013. L’economia – o meglio la finanza statale – sembra essere divenuta la principale, se non l’unica preoccupazione della politica e dell’opinione pubblica. Ora, senza negligere l’importanza dei conti pubblici, questa visione è riduttiva su più piani. Da un lato la politica non può limitarsi alla mera amministrazione della macchina statale (per questo ci sono i funziona-ri), ma deve sviluppare visioni, prospettive, soluzioni di ben maggior respiro sui molti temi che riguardano la società: la sicurezza, l’ambiente, la famiglia, l’integra-zione degli stranieri, i rapporti con l’estero. Dall’altro lato questo approccio riduttivo della politica rischia di ingenerare nel cittadino l’impressione che – nella vita – l’economia, i bilanci, il denaro siano tutto, per lo Stato, come per il cittadino. Ora, è evidente che una situazione finanziaria solida sia spesso una premessa necessaria per gli investimenti più modesti, come per le conquiste sociali più ambiziose. Questo non deve però distogliere lo sguardo dal fine autentico dell’esi-stenza umana, che non può certo ridursi ad avere i conti “in ordine”. Questa visione “economicista” della vita sociale (già vigorosamente criticata nei tempi ad-dietro dal Beato Antonio Rosmini) cozza inoltre con l’enormità delle sfide che ci riserva il futuro, non solo come ticinesi o svizzeri, ma come cittadini del Mon-do. Alla stanchezza, soprattutto morale, dell’opulen-to Occidente si oppone in effetti la straripante fame di sviluppo dei Paesi africani, asiatici e sudamericani,

un tempo assoggettati alle potenze europee. Molti si chiedono se la Terra sarà in grado di reggere, ecologi-camente, l’urto di un’industrializzazione mondiale e di un allineamento dei consumi agli standard occidentali. Non pochi economisti, sociologi e filosofi propongo-no modelli di non-crescita o decrescita (economica), accompagnati da un graduale riequilibrio delle risorse possedute dai popoli. Questi modelli, sovente anima-ti da ottime intenzioni, rischiano tuttavia di costituire la risposta sbagliata ad un giusto interrogativo. Bene-detto XVI, nella sua enciclica Caritas in veritatæ, ha scritto che “l’idea di un mondo senza sviluppo esprime sfiducia nell’uomo e in Dio. È, quindi, un grave errore disprezzare le capacità umane di controllare le distor-sioni dello sviluppo o addirittura ignorare che l’uomo è costitutivamente proteso verso l’«essere di più»” (n. 14). La strada di uno sviluppo ordinato e, soprattutto, giusto è irta di mille insidie, prima fra tutte l’egoismo dell’uomo. Per questo motivo la politica – e così cia-scuno di noi – non può occuparsi unicamente di bi-lanci e conti economici, ma deve recuperare la capacità di infondere nella società messaggi morali e culturali che siano all’altezza delle sfide presenti. Come acca-duto dopo la Seconda Guerra Mondiale – quando Ade-nauer, De Gasperi e Schuman unificarono un’Europa dilaniata dal più atroce conflitto di sempre – toccherà soprattutto ai cristiani riaccendere nei cuori umani la passione di vivere con fiducia la fratellanza universale. Un’altissima responsabilità, che deve impegnare cia-scuno di noi. Mettiamoci d’impegno!

Maurizio Agustoni

Crisi: l’economia non sia tutto

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CCINQUANTA ANNI FA INIZIAVA IL CONCILIO VATICANO II Il Concilio Vaticano II, del quale la Chiesa cattolica ha celebrato il cinquantesimo della sua apertura l’11 otto-bre 1962, si svolse in quattro periodi, dall’11 ottobre all’8 dicembre 1962, dal 29 settembre al 4 dicembre 1963, dal 14 settembre al 21 novembre 1964, dal 14 settembre all’8 dicembre 1965. Fu indetto da Papa Giovanni XXIII e concluso da Paolo VI, ed ebbe quale principale scopo di ridefinire il ruolo della Chiesa nel mondo contemporaneo. Quando venne eletto, a 77 anni, Giuseppe Roncalli quale papa (e prese il nome di Gio vanni XXIII), molti commentatori (e forse anche molti cardinali elettori), giudicarono che sarebbe stato un papa di transizione e di compromesso proprio per la sua età avanzata. In-vece manifestò presto una personalità fuori dell’ordi-nario e sorprese tutto il mondo quando a sorpresa, il 25 gennaio 1959, annunciò di voler con vocare il XXI Concilio ecumenico della Chiesa. Come Giovanni XIII indicò esplicitamente, in diversi atti e discorsi prima della apertura del Concilio, la Chiesa cattolica voleva riprendere dialogo con il mondo contemporaneo, e il Concilio Vaticano II si aprì in un clima di grandi spe-ranze, con la partecipazione di 2540 padri conciliari tutti i continenti (sui 2908 aventi diritto) contando sulla consulenza di 200 tra teolo gi ed esperti o periti, e alla presenza di osservatori di Chiese or todosse e protestanti (all’inizio 35 che aumentarono fino a 93). Nel discorso inaugurale, Giovanni XXIII pose l’accen-to sulla parola “aggiornamento”, per sottolineare che occorreva promuovere un rinnova mento della Chiesa, nella dottrina e nella pastorale, rinunciando a pronun-ciare condanne. Fu il segnale della a pertura della Chiesa al dialogo con altre religioni anche non cristiane, con le diverse culture e i sistemi socio- politici del mondo. Giovanni XXIII morì però il 3 giugno 1963 ed il suo successore Paolo VI prese la decisione di continuare e di condurre a termine la grande assemblea ecclesiale.

Sessioni e documenti promulgati

Il Vaticano II si svolse in quattro periodi (detti anche sessioni): •laprima,dall’11ottobreall’8dicembre1962(nonvi

fu approvato alcun documento);•la seconda, dal 29 settembre al 4 dicembre 1963

(con l’approvazione di due documenti);•laterza,dal14settembreal21novembre1964(con

l’approvazione e promulgazione di tre documenti);•laquarta,dal14settembreall’8dicembre1965(con

l’approvazione e promulgazione di undici documenti)Il Concilio Vaticano II si concluse con una serie di messaggi del Concilio all’umanità (ai governanti, agli uomini di pensiero e di scienza, agli artisti, alle donne, ai lavoratori, ai poveri ammalati e tutti coloro che sof-frono, ai giovani). Tra tutti i documenti conciliari, la costituzione dog-matica Lumen Gen tium, sulla Chiesa, attribuiva un maggior peso ai laici e a tutto il “po polo di Dio” nella vita della Chiesa e approfondiva inoltre il ruolo e la na tura dell’episcopato e del suo rap porto con il pa-pato specificando co me i vescovi dovessero lavorare col legialmente tra loro ed in comunio ne con il Papa, capo del collegio episcopale. La costituzione Sacrosanctum Con cilium, sulla Sacra Liturgia e le ce lebrazioni, ebbe un’amplissima eco, vi-sto il principio fondante della par tecipazione dei fedeli e il conseguen te riconoscimento delle lingue “vol gari” (parlate dal popolo) come adatte per la celebrazione dei Sacra menti, primo fra tutti la Messa. Nella costituzione Gaudium et Spes, sulla Chiesa nel mondo contempo raneo, si pose l’attenzione della Chiesa sulla necessità di aprire un proficuo confron-to con la cultura e con il mondo. Esso infatti è opera di Dio (e perciò fondamentalmente buo no) e quindi luogo in cui Dio manifesta la sua presen za. Compito della Chiesa, dei laici in primo luo go, è quindi quello di allacciare profon di legami con “gli uomini e le donne di buona volontà”. Il decreto Unitatis Redintegratio, sul le confessioni cri-stiane, e la dichiarazione Nostra Aetate, sulle religio-ni non cristiane, riconobbero la presenza di “semi di verità” an che nelle altre Chiese cristiane e nel le altre confessioni religiose e il ripudio dell’antisemitismo te-ologico.

La storia della Chiesa nei Concili ecumenici

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GGIOVANNI XXIII ANNUNCIA L’APERTURA DEL CONCILIO (11 settembre 1962)La grande aspettativa del Concilio Ecumenico, ad un mese di distanza dal suo inizio ufficiale, splende negli occhi e nei cuori di tutti i figli della Chiesa cattolica, santa e benedetta. Nella successione di tre anni di pre-parazione, una schiera di spiriti eletti raccolti da ogni regione e di ogni lingua, in unità di sentimento e di proposito, ha radunato una ricchezza così sovrabbon-dante di elementi di ordine dottrinale e pastorale, da offrire all’episcopato del mondo intero, convenuto sot-to le volte della basilica Vaticana, motivi di sapientis-sima applicazione dell’evangelico magistero di Cristo, da venti secoli luce dell’umanità redenta dal sangue suo. Siamo dunque, con la grazia di Dio, al punto giusto. Le profetiche parole di Gesù, pronunciate in vista del compiersi della finale consumazione dei secoli, inco-raggiano le buone e generose disposizioni degli uo-mini, in modo particolare in alcune ore storiche della Chiesa, aperte ad uno slancio nuovo di elevazione verso le cime più alte: “Levate capita vestra, quoniam appropinquat redemptio vestra” (Sollevate la testa, perché è prossima la vostra liberazione).

A servizio dell’uomoIl mondo infatti ha bisogno di Cristo: ed è la Chiesa che deve portare Cristo al mondo. Il mondo ha i suoi problemi dei quali cerca talora con angoscia una so-luzione. Va da sé che la affannosa preoccupazione di risolverli con tempestività, ma anche con rettitudine, può presentare un ostacolo alla diffusione della verità tutta intera e della grazia che santifica. L’uomo cerca l’amore di una famiglia intorno al foco-lare domestico; il pane quotidiano per sé e per i suoi più intimi, la consorte e i figlioli; egli aspira e sente di dover vivere in pace così all’interno della sua comunità nazionale, come nei rapporti con il resto del mondo; egli è sensibile alle attrazioni dello spirito, che lo porta ad istruirsi e ad elevarsi; geloso della sua libertà, non rifiuta di accettarne le legittime limitazioni, al fine di meglio corrispondere ai suoi doveri sociali. Questi problemi di acutissima gravità stanno da sem-pre sul cuore della Chiesa. Perciò essa li ha fatti oggetto di studio attento, ed il Concilio Ecumenico potrà offri-re, con chiaro linguaggio, soluzioni che sono postulate dalla dignità dell’uomo e dalla sua vocazione cristiana.

Eccone alcuni. L’eguaglianza fondamentale di tutti i popoli nell’esercizio di diritti e doveri al cospetto della intera famiglia delle genti; la strenua difesa del caratte-re sacro del matrimonio, che impone agli sposi amore consapevole e generoso, da cui discende la procrea-zione dei figli, considerata nel suo aspetto religioso e morale, nel quadro delle più vaste responsabilità di natura sociale, nel tempo e per la eternità. Le dottrine fautrici di indifferentismo religioso e ne-gatrici di Dio e dell’ordine soprannaturale, le dottrine che ignorano la Provvidenza nella storia ed esaltano sconsideratamente la persona del singolo uomo, con pericolo di sottrarlo alle responsabilità sociali, è dalla Chiesa che devono risentire la parola coraggiosa e ge- e ge-nerosa, che già fu espressa nell’importante documento “Mater et Magistra”, dove è riassunto il pensiero di due millenni di storia del cristianesimo.

Giustizia e paceAltro punto luminoso. In faccia ai paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri. Ogni offesa e violazione del quinto e del sesto precetto del Decalogo santo; il passar sopra agli impegni che conseguono dal settimo precetto; le miserie della vita sociale che gridano vendetta al cospetto di Dio; tutto deve essere chiaramente richiamato e deplorato. Dove-re di ogni uomo, dovere impellente del cristiano è di considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui, e di ben vigilare perché l’amministrazione e la distribuzione dei beni creati venga posta a vantaggio di tutti. Questa si chiama diffusione del senso sociale e comunitario che è immanente nel cristianesimo au-tentico, e tutto va affermato vigorosamente. Che dire dei rapporti tra Chiesa e società civile? Vivia-mo in faccia ad un mondo politico nuovo. Uno dei diritti fondamentali cui la Chiesa non può rinunciare è quello della libertà religiosa, che non è soltanto libertà di culto. Questa libertà la Chiesa rivendica ed inse-gna, e per essa continua a soffrire in molti paesi pene angosciose. La Chiesa non può rinunciare a questa li-bertà, perché è connaturata con il servizio che essa è tenuta a compiere. Questo servizio non si pone come correttivo e complemento di ciò che altre istituzioni debbono fare, o si sono appropriate, ma è elemento essenziale ed insurrogabile del disegno di Provvidenza, per avviare l’uomo sul cammino della verità. Verità, li-bertà sono le pietre dell’edificio su cui si eleva la civiltà umana.

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DDAL DISCORSO DI APERTURA DEL CONCILIO (Papa Giovanni XXIII)

La Santa Madre Chiesa gioisce poiché, per singolare dono di Provvidenza Divina, è sorto il giorno tanto desiderato in cui il Concilio Ecumenico Vaticano II qui, presso il sepolcro di S. Pietro, solennemente si inizia con la protezione della Vergine Santissima, nel giorno stesso in cui si celebra la sua divina Maternità. La successione dei vari Concili, celebrati nella storia - sia i venti Concili Ecumenici, sia gli innumerevoli Provinciali e Regionali, pur essi importanti - attestano chiaramente la vitalità della Chiesa Cattolica e segnano come i punti luminosi della sua storia. Il gesto del più recente e umile successore di San Pietro, che vi parla, di indire questa solennissima assise, si è proposto di affermare, ancora una volta, la continuità del Magiste-ro Ecclesiastico, per presentarlo in forma eccezionale a tutti gli uomini del nostro tempo, tenendo conto delle deviazioni, delle esigenze, delle opportunità della età contemporanea. (…)

“Un grande fervore destatosi improvviso in tutto il mondo, in attesa della celebrazione del Concilio”Per quanto riguarda l’iniziativa del grande avvenimento che qui ci aduna, basti a semplice titolo di documenta-zione storica riaffermare la nostra umile ma personale testimonianza del primo ed improvviso fiorire nel no-stro cuore e dalle nostre labbra della semplice parola di Concilio Ecumenico. Parola pronunciata innanzi al Sacro Collegio dei Cardinali in quel faustissimo 25 gennaio 1959, festa della conversione di San Paolo, nella basilica sua. Fu un tocco inatteso, uno sprazzo di suprema luce, una grande soavità negli occhi e nel cuore. E insieme un fervore, un grande fervore desta-tosi improvviso in tutto il mondo, in attesa della cele-brazione del Concilio. Diventa chiaro quanto si attende dal Concilio riguar-do alla dottrina. Cioè il Concilio ecumenico – che si avvarrà dell’efficace ed importante esperienze giuridi-che, liturgiche, apostoliche e amministrative – vuole trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenua-zioni o travisamenti, che lungo i secoli, nonostante difficoltà e contrasti è divenuta patrimonio comune

degli uomini. Patrimonio non da tutti accolto, ma pur sempre ricchezza aperta agli uomini di buona volontà. Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo te-soro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamen-te dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera, che la nostra età esige pro-seguendo così il cammino, che la Chiesa compie da quasi venti secoli.

“La dottrina certa e immutabile presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo”Lo scopo principale di questo Concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina fon-damentale della Chiesa, in ripetizione diffusa dell’in-segnamento dei Padri e dei Teologi antichi e moder-ni quale si suppone sempre ben presente e familiare allo spirito. Per questo non occorreva un Concilio. Ma dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa, nella sua interezza e pre-cisione, quale ancora splende negli atti conciliari da Trento al Vaticano I, lo spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze. E’ necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità conte-nute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata. Bisognerà attribuire molta importanza a questa forma e, se sarà necessario, bisognerà insistere con pazienza nella sua elaborazione: e si dovrà ricorrere ad un modo di pre-sentare le cose, che più corrisponda al magistero, il cui carattere è preminentemente pastorale.

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DSSEMPRE ATTUALI GLI INSEGNAMENTIAppello dei Vescovi svizzeri per il 50mo del Vaticano II (11 ottobre 2012)

Vanno qui ricordati – sia pure in modo incompleto – alcuni punti importanti e sempre attuali:•Laliturgiadeveessererinnovata,perchélaParoladi

Dio sia annunciata meglio e più abbondantemente. Le celebrazioni devono essere semplificate e devono parlare la lingua della gente, con la partecipazione attiva di tutti i fedeli.

•LaChiesavapercepitamegliocomeilPopolodiDio,nel quale Cristo Redentore incontra gli uomini e li vuole riconciliati con Dio e tra di loro. Tutti sono chiamati alla santità: in virtù di tale comune voca-zione chi ha ricevuto un ordine sacro non deve do-minare bensì servire il Popolo di Dio, nel quale deve attivarsi una comunità viva e fraterna.

•Diosi rivelanonsolonellaCreazioneecon la suaParola, ma soprattutto nella persona di Cristo Gesù. La testimonianza di chi lo ha conosciuto si è riversata nelle Sacre Scritture e nella tradizione della Chiesa.

•LaChiesasiaprealmondomoderno,senzaadeguar-visi ma rendendovi presente il messaggio salvifico di Gesù Cristo.

•LaChiesaapprezzaognibontàegrandezzapresentenelle religioni non cristiane. Essa annuncia loro Gesù Cristo che, in quanto vero uomo e vero Dio, ama e salva tutti gli uomini. Ma ciò avviene nel rispetto della libertà di ognuno: a nessuno è lecito imporre una religione.

•Noi cristiani dobbiamo sentirci particolarmente vi-cini agli Ebrei, che sono i nostri fratelli maggiori e ci hanno donato la speranza nel Messia redentore.

•Il Decreto sull’ecumenismo afferma che la ricercadell’unità di tutti i cristiani nell’unica Chiesa visibile è compito di ogni cristiano. Ne sono parte costituti-va la conversione, il dialogo e la preghiera, perché in ultima analisi non possiamo crearla da noi stessi ma la riceviamo come dono di Dio.

•Il Battesimo fonda il sacerdozio comune di tutti icristiani. Tra le persone ordinate (vescovi, presbiteri, diaconi) e i laici la differenza non è di grado ontolo-gico. Alle persone ordinate spetta in modo proprio l’avvicinare ogni persona al Cristo Redentore.

DOCUMENTI DEL VATICANO II

In totale i Padri conciliari discussero ed approvarono durante il Concilio sedici documenti: quattro costitu-zioni (testi teologicamente più importanti: contenuti dogmatici, pastorali e disciplinari), nove decreti (af-frontano e configurano in maniera nuova un ambito della vita della Chiesa) e tre dichiarazioni (testi su que-stioni che non riguardano soltanto la Chiesa, ma anche il rapporto della stessa con l’esterno). Eccone l’elenco:

Costituzioni•SacrosantumConcilium,costituzionesullasacraLi-

turgia, approvata il 4 dicembre 1963;•LumenGentium,costituzionedogmaticasullaChie-

sa, approvata il 16 novembre 1964;•DeiVerbum,costituzionedogmaticasulladivinaRi-

velazione, approvata il 18 novembre 1965;•GaudiumetSpes,costituzionepastoralesullaChie-

sa nel mondo contemporaneo, approvata il 7 dicem-bre 1965;

Decreti •InterMirifica,decretosuimezzidellacomunicazio-

ne sociale, approvato il 4 dicembre 1963;•OrientaliumEcclesiarum,decretosulleChieseorien-

tali cattoliche, approvato il 21 novembre 1964; •UnitatisRedintegratio,decretosull’ecumenismo,ap-

provato il 21 novembre 1964; •ChristusDominus,decretosull’ufficiopastoraledei

vescovi, approvato il 28 ottobre 1965;•Perfectae Caritatis, decreto sul rinnovamento della

vita religiosa, approvato il 28 ottobre 1965;•OptatamTotius,decretosullaformazionesacerdota-

le, approvato il 28 ottobre 1965; •ApostolicamActuositatem,decretosull’apostolato

dei laici, approvato il 18 novembre 1965;•Ad Gentes, decreto sull’attività missionaria della

Chiesa, approvato il 7 dicembre 1965; •PresbyterorumOrdinis,decretosulministeroelavita

dei presbiteri, approvato il 7 dicembre 1965;

Dichiarazioni•GravissimumEducationis,dichiarazione sull’educa-

zione cristiana, approvata il 28 ottobre 1965;•Nostra Aetate, dichiarazione sulle relazioni della

Chiesa con le religioni non cristiane, approvata il 28 ottobre 1965;

•DignitatisHumanae,dichiarazionesulla libertàreli-giosa, approvata il 7 dicembre 1965;

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Quali sono a suo giudizio i tre principali insegnamenti del Concilio Vaticano II per la Chiesa che è nel Ticino?

Il Vaticano II ha insegnato anche a noi ticinesi a vivere una liturgia attiva, a sentirci attivi nella Chiesa ed a vivere lo spirito ecumenico.In questi tre campi il Concilio ha certamente prodotto frutti: la liturgia è diventata più partecipata; si sono creati i consigli diocesani presbiterale e pastorale non-chè taluni consigli pastorali a livello parrocchiale ed inter-parrocchiale; il dialogo ecumenico ha aperto pro-spettive nuove, nella linea del Vangelo.

Quali sono le prospettive per sviluppare gli insegnamenti del Concilio per quanto riguarda la liturgia nelle nostre parrocchie?

La Diocesi di Lugano è stata all’avanguardia nel mon-do nel promuovere le celebrazioni ed i canti in lingua italiana.Il numero dei presbiteri provenienti da tutti i continenti si è però progressivamente accresciuto e il culto per una liturgia viva allentato.E’ importante che i laici attivi in parrocchia, sfruttan-do i corsi di formazione offerti dal Centro di Liturgia, si impegnino per dare ad ogni Eucaristia un’impron-ta marcata. Il nostro libro diocesano è ancora troppo poco sfruttato. Per Messe di gruppi giovanili, di bam-bini, di famiglie si può certo ricorrere a repertori diver-si, che siano però in sintonia col momento liturgico che si sta vivendo. Là dove non si fa differenza tra canti introduttivi, offertoriali, di ringraziamento, né si tien conto dei vari aspetti dell’anno liturgico, si è pro-priamente nella notte.Bisogna ammettere che un’Eucaristia ben preparata, durasse anche un’ora, non stanca, perché tutti si sen-tono coinvolti nei canti, nei gesti, nei movimenti. Non esiste una liturgia “prestampata” buona per ogni oc-casione. L’Eucaristia domenicale costituisce sempre un avvenimento unico e nuovo, che coinvolge e “sorpren-de”. Importante è il suo prolungamento in un aperi-tivo o in un pasto semplice offerto a tutti. La liturgia è vissuta se ci porta a spezzarci gli uni a favore degli altri. Essa ci apre a vivere la diaconìa. Il simbolo della raccolta dell’offerta in danaro può essere variato (rac-colta di giocattoli, libri, vestiti per particolari situazioni o quando si spedisce un container alle missioni). Più la comunità è generosa verso l’esterno e più è in grado di rispondere alle necessità interne.

Una liturgia viva non si limita alla Messa, ma dà spazio alla liturgia delle ore, all’adorazione, a processioni, tri-dui e novene (si pensi a quella di Natale!). La Messa è il culmine dell’azione liturgica, che non viene dunque con essa esaurita.La solennità della celebrazione implica anche la sem-plicità. I tempi dei pizzi, dei merletti, delle code, del-le cappe, dovrebbero essere tramontati. La sobrietà è evangelica, mentre ogni sfarzo è non solo ridicolo, ma anche tragico perché espressione di una ricchezza che va sempre e solo devoluta al Cristo presente in ogni povero del mondo.Senza Eucaristia la comunità non sussiste. Bisogna riconoscere che l’ordinazione presbiterale di uomini sposati di fede provata è per intanto ancora una ne-cessità. Tra qualche decennio le comunità denutrite scompariranno e non si avvertirà più il bisogno di ministri, perché la Chiesa sarà scomparsa. Anche co-munità di modeste proporzioni hanno diritto di vivere grazie all’Eucarestia. La tradizione orientale ci presenta preti-contadini che vivono del loro lavoro manuale ed assicurano nel loro villaggio la celebrazione della divi-na liturgia. Si ricordi come la Grecia è rimasta cristiana (e si potrebbero anche evocare i Paesi slavi e l’Unione sovietica) pur soffrendo per più di tre secoli la persecu-zione islamica. Comunità guidate da presbiteri celibi si sono invece dissolte nel nulla (come le chiese d’Africa dopo sant’Agostino). Le lezioni della storia dovrebbero pure insegnare qualcosa.

Domande a don Sandro Vitalini

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99tutti i campi. Egli è consacrato per animare la preghiera e nutrire la comunità con la Parola di Dio. L’antica tra-dizione della predicazione quotidiana dovrebbe essere dunque reintrodotta. Ma le responsabilità vanno con-divise. I laici vanno riconosciuti nelle loro specifiche competenze (contabili, gestionali, amministrative), ma anche in servizi a favore dei bambini, dei giovani, dei malati, degli anziani. Si riesce a costituire un tes-suto sociale cristiano là dove il singolo battezzato si sente chiamare per nome. Un individuo può allacciare rapporti intensi con un massimo di cento persone. Là dove la parrocchia è più vasta, per non cadere nell’ano-nimato, il singolo sarà raggiunto da altri membri attivi della parrocchia. Chi si sente solo, abbandonato, non è membro di una comunità cristiana degna di questo nome.Se il laicato si fa attivo, è giusto che sia coinvolto nella scelta del parroco (questo, anche se solo con un gesto formale, esiste da noi) e del vescovo diocesano. Colui che è preposto al servizio di tutti va scelto da tutti. Bisognerebbe almeno che tutti i membri del popolo di Dio si potessero esprimere al proposito. Forse che le Chiese dell’antichità conoscevano una vitalità ed un’irradiazione superiori per la stretta vita di famiglia vissuta da ogni comunità - di proporzioni certo ridotte – in comunione con i suoi presbiteri e il suo vescovo?

CCome si può sempre meglio vivere la collegialità (partecipazione) a livello parrocchiale e diocesano?

Se verrà attuata maggiormente a livello diocesano, zonale, parrocchiale, si potrà forse influire sul tessuto ecclesiale globale, dove la comunione di servizio tra il vescovo di Roma e gli altri vescovi del mondo, mani-festatasi nel Vaticano II, è scomparsa. La Chiesa non è monarchia, a nessun livello, non è nemmeno demo-crazia, ma famiglia, comunione di battezzati, dove cia-scuno è attivo con il suo carisma specifico.La Diocesi di Lugano ha vissuto da molto tempo un embrione di collegialità tra laici e parroco con l’assem-blea e il consiglio parrocchiale. Ci si rende conto della loro importanza in quei paesi dove il parroco si consi-dera l’unica autorità e compra e vende come gli pare e piace.Accanto a queste istituzioni, volute dalla Legge, van-no creati consiglio ed assemblea pastorale, almeno a livello di zona pastorale. Il parroco non è il factotum, ma il coordinatore di un’attività pastorale diversificata e capillare. Bisogna riconoscere che, oltre al volontaria-to, si dovrebbero prevedere anche incarichi remunerati là dove l’impegno è esteso alla giornata intera. Una specifica formazione è auspicabile per persone che si dedicassero all’istruzione religiosa, alla visita ai mala-ti e agli anziani, alla animazione degli oratori. Non è giusto chiedere al presbitero di servire la comunità in

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padre Giovanni Pozzi

CCome si può contribuire a sviluppare maggiormente ed in modo pratico l’ecumenismo tra i cristiani e quali sono le prospettive augurabili?

Anche se taluni spiriti aperti preparavano il Concilio pure sul problema ecumenico, esso non era sentito dalla gente. Non evochiamo i tristi fantasmi del passa-to, ma riconosciamo che il Vaticano II e anche il do-cumento “BEM” del Consiglio ecumenico delle Chiese ci hanno fatto fare passi giganti. In un suo discorso Paolo VI ipotizzava la ritrovata unità tra tutte le Chiese cristiane come il più grande avvenimento del ventesi-mo secolo.Il grande teologo Max Thurian riconosceva che il Va-ticano II aveva risposto alle istanze del calvinismo e pertanto si era convertito alla Chiesa di Roma.Purtroppo lo slancio del Concilio ha conosciuto bru-sche frenate, che hanno di nuovo allontanato le Chie-se tra loro (al punto che noi cattolici non dovremmo nemmeno più chiamarle “chiese”).Se è vero che la nostra langue, e là dove non c’è più l’Eucarestia muore, è pure vero che le altre Chiese cri-stiane conoscono notevoli flessioni. Se l’unione fa la forza, la disunione crea debolezze mortali.Dato che non ci è possibile reagire se non dal bas-so, è necessario allacciare colloqui e collaborazioni già a livello di famiglie. Soprattutto le coppie miste do-vrebbero avvertire la loro missione profetica in quanto pre-realizzano l’unità. La regolare frequentazione della Messa e della Santa Cena come pure la partecipazione alla vita diaconale delle due comunità fa delle coppie miste un segno di speranza e un lievito per il futuro. Anche i gruppi ecumenici vanno visti in questa linea. Si dovrà finalmente capire che un progressivo avvicina-mento non può essere bloccato per decenni. Dal pun-to di vista teologico si giustifica una parziale “com-municatio in sacris”. Se il coniuge cattolico partecipa pienamente alla Santa Cena non riceve solo del pane, ma la grazia del Cristo. In termini tecnici si direbbe che “recipit rem”. Anche se nella cena protestante ci fos-se un “defectus”, non c’è un’“absentia” dell’ordine. Il “BEM” riconosceva la necessità dell’imposizione delle mani per i ministri e dell’episcopato per le Chiese so-relle. Rifiutando il “BEM” e allontanandoci dalle Chie-se sorelle, abbiamo favorito l’insorgere di una corrente anarchica (la cena è presieduta da qualsiasi persona e non è necessario essere battezzati per comunicarsi) che annienta la struttura organica (di servizio, non di dominio) ecclesiale.

Certo dobbiamo ammettere di essere tutti “fratelli se-parati”, disobbedienti all’ordine del Cristo (Giovanni 17,21), di essere dei bestemmiatori (quando diciamo che l’unità si farà “quando Dio vorrà”); dobbiamo dar-ci la mano a partire dal momento in cui ci siamo sepa-rati (più per ragioni di prestigio e politiche che teolo-giche), non imponendo agli altri ciò che le tradizioni divise hanno elaborato nei secoli, e attingendo a piene mani nella Bibbia, nel credo comune, capaci di pro-clamare l’unica fede nel rispetto delle tradizioni diver-se che nei secoli si sono sviluppate. O l’ecumenismo distruggerà la nostra divisione o questa annienterà le Chiese. Quando i cristiani si sono sentiti minacciati, si sono stretti maggiormente tra loro, capaci di aiu-tarsi, di capirsi, di perdonarsi. Ora la minaccia di un diffuso indifferentismo è tale da mettere in pericolo la sopravvivenza stessa delle nostre Chiese. L’annienta-mento delle Chiese dell’Apocalisse, delle Chiese degli Apostoli, dei primi Concili, potrebbe oggi ripetersi per le Chiese della nostra Europa. Sapremo aprire occhi e cuore per tempo?

don Sandro Vitalini

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FRicordo di padre Giovanni Pozzi

Fu davvero un piacere e un privilegio poter far parte del-la redazione di Messaggero (allora ancora “Messaggero serafico”) in un momento in cui tra i collaboratori piu o meno regolari della rivista c’erano diverse delle gran-di personalità, umane e intellettuali, espresse dall’Or-dine dei Cappuccini in Ticino negli ultimi decenni. La riunione mensile della Redazione di cui facevano parte Mauro Jöhri , Andrea Schnöller, Riccardo Quadri, e la possibilità di cenare con loro in convento, diventava ogni volta un momento imperdibile di discussione, di arricchimento e di crescita. In quella piccola redazione confluivano le esperienze di questi frati che, in campi diversi e (spesso) con grande libertà, avevano avuto la possibilità di percorrere ognuno la propria strada, pur condividendo tutti un ideale francescano, che negli anni successivi al Concilio aveva cercato di rinnovarsi e di riproporsi nella sua freschezza originale.Al Messaggero di quegli anni collaborava in modo sal-tuario anche padre Giovanni Pozzi. L’aveva già fatto negli anni in cui ancora viveva a Friborgo, ma dopo il ritorno a Lugano i suoi scritti comparivano in modo meno episodico sulla rivista. Pozzi stava riordinando e pubblicando alcuni dei lavori di ricerca che aveva cominciato a Friborgo e volentieri passava alla rivista articoli e approfondimenti nei campi di interesse che più aveva frequentato, come ricercatore e studioso: la mistica femminile, la religiosità popolare, il rapporto tra spiritualità e architettura. Si tratta di contributi che non hanno perso nulla del proprio valore, spesso sin-tesi di decenni di studio e che ancora oggi si leggono con piacere e con frutto.Ma Giovanni Pozzi, rientrato a Lugano nel 1987, arric-chiva la nostra redazione non solo coi suoi scritti, ben-si anche solo con la sua presenza, discreta, rispettosa, umile benché molto colta. Frequentare il convento di Lugano per la rivista voleva dire incontrarlo spesso, condividere la tavola per la cena con lui e con la comu-nità dei frati. Quando divenne guardiano della piccola comunità, si notava l’impegno che metteva nell’acco-gliere chiunque entrasse convento. Finito il mandato di guardiano, tornato poi frate tra i frati, mi colpì la disponibilità con la quale, per i tanti piccoli aspetti di vita quotidiana del convento, si sottometteva all’auto-rità di chi, ben più giovane, aveva preso il suo posto.Tra i contributi più significativi di padre Pozzi a Mes-saggero bisogna almeno ricordare un numero inte-ro della rivista dedicato a L’Oggetto devozionale e il suo impiego, i cosiddetti santini (nn. 7/8, 1984); due numeri su L’itinerario mistico della donna (nn. 3/4, 1992); l’introduzione allo studio di Elena Malinverno

L’immaginetta mortuaria, immagine di vita e immagi-ne della morte (n. 5, 1992); Parole sul silenzio, aspetti letterali, filosofici e teologici (n. 1, 1997); La santità ri-flessa di santa Teresa, nel numero dedicato a S.Teresa di Lisieux (n. 5, 1997); L’ex voto dipinto; Il dialogo con i santi tradotto in pittura, nel numero sugli ex-voto per Grazia Ricevuta (n. 6, 2000); Chiesa mistica e chiesa di pietra, nel numero sull’architettura sacra (n. 4, 2001); Sulla religione popolare: esemplificazio-ni tra arte visiva e preghiera (n. 5, 2003), contributo apparso postumo.Il filo conduttore rintracciabile rileggendo questi diver-si contributi mi sembra si possa cogliere nella preoc-cupazione di affermare il valore delle pratiche di vita interiore. Una pratica còlta nei margini e negli spazi lasciati liberi dalla teologia piu ufficiale. La religiosità popolare, quindi, quale ambito particolare dove il po-polo, nella sua semplicità e immediatezza, ha saputo trovare forme e strumenti “fortemente pedagogici” per costruire e allenare una sana interiorità, teologicamen-te corretta, anche se riconducibile più alla teologia dei santi, che non a quella dei teologi. Oppure la mistica femminile, che nel medioevo risponde all’esclusione della donna dai ruoli dirigenziali nella Chiesa, contri-buendo in modo determinante al “diffondersi della co-scienza che l’uomo puo indiarsi (…) e che un pezzetto di Dio sta in ciascuno di noi”.Dagli scritti pubblicati sul Messaggero emerge un padre Pozzi che accompagna le sintesi dei suoi lavori piu im-portanti e corposi con giudizi che hanno contribuito, da allora ad oggi, a valorizzare pratiche e atteggiamen-ti spesso svalutati o colti solo nei suoi aspetti meno significativi: “L’immaginetta sacra è guardata troppo spesso con occhio di sufficienza dal cristiano consa-pevole (…). Piaccia o non piaccia ai dotti, si deve rico-noscere come un documento cosi modesto e fragile sia portatore di significati densi e si nutra di pensieri alti”. Il silenzio del convento di Lugano dove ci riunivamo la sera custodiva anche queste ricchezze.

Ruben Rossello

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I Cappuccini ticinesi su internet

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Bibbia e letteratura alla Biblioteca Salita dei Frati

L’L’Associazione Biblioteca Salita dei Frati ha proposto quest’anno, nei mesi di ottobre e novembre, un ciclo di incontri biblici su un tema di grande rilevanza storica: l’influsso costantemente esercitato dalla Bibbia nel cor-so dei secoli sulle letterature europee. La Scrittura infatti, indipendentemente da come la si ritenga ispirata, si può definire il «grande codice» della letteratura occidentale, per citare un celebre titolo di Northrop Frye. Gli esempi di “ri-scritture” (espressione usata per indicare un’opera letteraria che rielabora un testo biblico) sono moltissimi. Ci sono opere che si ispirano in modo molto scoperto e fedele a una fonte biblica, secondo uno stretto rappor-to di intertestualità: non dimentichiamo che la poesia italiana nasce con il Cantico di frate sole di Francesco d’Assisi, che segue da vicino il Benedicite di Daniele (3, 26ss). Ci sono poi testi paragonabili ai moderni midrash, che riprendono cioè fonti bibliche reinterpretandole alla luce di un dato contesto, come certi passi biblici inseriti da Dostoevskij nei suoi romanzi (ad es. Cana di Gali-lea nei Fratelli Karamazov). Ci sono infine casi in cui il riferimento ad un tema biblico viene inserito in un con-testo nuovo (come ancora nei Karamazov la Leggenda del grande Inquisitore, con riferimento alle tentazioni di Gesù dei Vangeli di Luca e Matteo).Gli incontri della Biblioteca dei Frati hanno avuto inizio con una lezione introduttiva di Piero Stefani (docente presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano), proposta col titolo Scriptura crescit cum scri-bente, con allusione alla frase di Gregorio Magno «Scrip-tura crescit cum legente», secondo la quale l’intelligenza spirituale è un arricchimento del testo biblico. Stefani ha illustrato le caratteristiche delle innumerevoli ri-scritture della Bibbia, per mostrare in particolare come i tratti pro-pri dell’arte narrativa biblica abbiano inciso a fondo sui modi, peraltro molto vari, in cui le storie bibliche sono state riscritte. Ma si è anche chiesto se la Scrittura sia sempre ri-scrivibile, se è vero che ci sono pagine della Bibbia così ‘eccedenti’ da renderne impossibile una ri-scrittura.Le lezioni successive hanno preso in esame opere e pas-si di tre grandi scrittori dell’Ottocento e del Novecento, rappresentativi di culture diverse ed anche di un diver-so modo di porsi di fronte alla Scrittura. Piero Boitani (docente alla “Sapienza” di Roma e all’Università della Svizzera italiana) ha presentato la tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli (1933-1943) di Thomas Mann, nella quale è stato rielaborato e amplificato il racconto biblico della Genesi. Malgrado il titolo, Mann (che scrive sollecitato da Goethe) rielabora non soltanto la storia di Giuseppe, ma anche la storia dei patriarchi da Abramo a Giacobbe,

sicché la sua tetralogia è la ri-scrittura di tutta la seconda parte della Genesi (i capitoli 12-50 dedicati alla storia pa-triarcale). Il tema centrale è il riconoscimento di Dio o, come scrive Boitani, «la scoperta del Dio unico e solo». Mann mette molta enfasi sul ri-conoscere (l’agnizione, l’anagnórisis) come forma privilegiata di conoscenza: è l’esperienza di Giuseppe e dei suoi fratelli, è l’esperienza di Abramo che scopre Dio riconoscendolo. Non dimen-tichiamo che, secondo Freud, la gioia del riconoscimen-to è una delle pulsioni centrali dell’uomo.La terza lezione è stata magistralmente tenuta da Adal-berto Mainardi (monaco della Comunità di Bose e stu-dioso della spiritualità ortodossa) che ha ripercorso al-cuni momenti dei grandi romanzi di Fedor Dostoevskij: L’Idiota (1868), I demoni (1871), I fratelli Karamazov (1880), dove lo scrittore non si limita ad evocare molti passi evangelici tra le righe del racconto, ma ne fa il vero e proprio nucleo generativo della narrazione. Almeno a partire da Delitto e castigo (1866) si può dire che la Bibbia, ed il Vangelo soprattutto, nutra costantemente l’opera di Dostoevskij. Una singolare opera di Jean-Paul Sartre è stata l’oggetto dell’ultima lezione. Gabriella Farina (dell’Università di Roma Tre) ha presentato Bariona o il figlio del tuono, opera scritta dal filosofo francese, esponente di un esi-stenzialismo ateo (ma c’è chi preferisce parlare di esi-stenzialismo non-cristiano), quando nel dicembre del 1940, prigioniero di guerra a Treviri, assecondò il de-siderio di due sacerdoti compagni di prigionia che gli proposero di scrivere un dramma sul mistero del Natale. Con la sua opera, che fu rappresentata nel campo di pri-gionia, Sartre mise in scena il racconto biblico dell’An-nunciazione ispirandosi ai Vangeli di Luca e Matteo per realizzare in quella notte di Natale l’unione più vasta di cristiani e non credenti. Non c’è dubbio che Bariona sia una delle più significative interpretazioni del Natale della letteratura del Novecento. Straordinaria, per limi-tarci ad un esempio, la scena del Presepe e l’intensità con cui Sartre descrive la maternità di Maria. Val la pena riportare questo passo: «La Vergine è pallida e guarda il bambino (…). Lo guarda e pensa: ‘Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la for-ma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive’».

Fernando Lepori

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Francescanesimo secolare

AAnche quest’anno le iscrizioni al nostro pellegrinaggio erano già al completo a fine gennaio: questo denota quanto sia ambita e desiderata questa proposta che ci porta a riflettere nella terra dei Santi Francesco e Chiara.Come tema di studio e di approfondimento, fra Miche-le Ravetta ci ha suggerito “Lo Spirito Santo nella vita francescana”.Di anno in anno, il nostro assistente ci offre via via temi sempre più impegnativi ma riesce sempre a dipa-nare la matassa ed a renderci comprensibile ed attua-bile nella vita privata qualsiasi argomento che a noi, di primo acchito, sembrerebbe insormontabile.Su cinquanta partecipanti, circa la metà erano alla pri-ma esperienza: dalle loro espressioni abbiamo compre-so quanto abbiano apprezzato la perfetta organizza-zione di suor Carla Pia Rossi, l’accoglienza nel gruppo, lo studio dell’argomento e la grande complicità e cor-dialità che si è creata tra di noi.Artefici di tutto ciò sono l’inossidabile coppia suor Carla Pia (organizzatrice) e fra Michele (assistente spirituale).Tra i due religiosi corre una generazione ma proprio tutti sono concordi nell’affermare il connubio speciale che essi formano e il grande messaggio di spiritualità che sanno trasmettere.

Un cordiale arrivederci all’anno prossimo!

Cynzia Patriarca Rovelli

Viaggio ad AssisiPROGRAMMA:

Mercoledì 16 maggio

Viaggio di andata e S. Messa alla Domus Laetitiae

Giovedì 17 maggio

S. Messa nella Basilica di S. Francesco ad Assisi

Visita accompagnata alle Basiliche di S. Francesco

Visita alla Basilica di S. Maria degli Angeli (Porziuncola)

Visita a Spello

Venerdì 18 maggio

Trasferta all’Isola Maggiore sul lago Trasimeno

S. Messa nella chiesa di San Michele sulla sommità dell’isola

Preghiera a San Damiano

Serata in allegria

Sabato 19 maggio

Visita all’Eremo delle Carceri

S. Messa nel bosco dell’Eremo

Domenica 20 maggio

S. Messa alla Domus Laetitiae

Rientro in Ticino

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LLa sottoscritta e il segretario regionale hanno viaggiato in Val Poschiavo: una meraviglia di viaggio per la via Svizzera in una giornata ricca di sole e di foglie autun-nali di ogni colore con le cime dei diversi passi spruz-zate da una coltre leggera di neve che sfarfallava al sole. Direi senza enfasi che era una giornata ideale per prepararsi ad un incontro con la nostre fraternità della valle di Poschiavo. Il silenzio voluto dalla guida dell’au-to nelle strade delle montagne ha suggellato il tutto.Abbiamo avuto un primo incontro con le/i responsabi-li delle fraternità: il prendere coscienza per tutti dell’in-vecchiamento di sorelle e fratelli, il pensiero rivolto al futuro per garantire un’adeguata continuazione della testimonianza in valle dello spirito francescano, pi-mentato dalla presenza dell’orso M13 che proprio il giorno prima aveva fatto una scorribanda nella scuo-la di Poschiavo.Le fraternità in valle non vivono grandi sconvolgimen-ti ma necessitano comunque di nuovi stimoli perchè l’identità e la “vita” francescana si mantenga tra colo-ro che l’hanno abbracciata in gioventù e ne siano fieri.Il messaggio di avere un’unica grande fraternità (con l’età nessuno vuole assumersi cariche) sembra sia pas-sato con un consiglio regionale unico. Dobbiamo ri-pensare come concretizzare quest’idea.La notte nel silenzio ha portato consiglio e già nella mattinata ai due assistenti di fraternità, don Pietro e don Davide, abbiamo proposto un aiuto concreto di formazione prevedendo un viaggetto dell’assistente re-gionale fra Ugo Orelli in quel di Poschiavo. Attendiamo risposte effettive di accoglienza e di collaborazione.Nel primo pomeriggio della domenica ci siamo ri-trovati con le fraternità, quasi al completo. Dopo le preghiere a cui sono avvezze le nostre fraternità della montagna è seguito un saluto rivolto a tutti, pensato e soppesato, che qui schematicamente trascrivo.Oggi ci è data un’opportunità: il fatto di ritrovarci per riflettere sullo stato delle fraternità in questa valle.Essere francescani secondo gli Statuti equivale a “te-stimoniare il vangelo con lo spirito di San Francesco nella famiglia e nella realtà della Chiesa locale, radicata nel territorio in cui viviamo, nel rispetto di tutte le cul-ture, nella promozione della giustizia e della pace, nel rispetto dell’ambiente in cui viviamo, invitando a stili di vita più sobri”.In un epoca nella quale i paesi del mondo intero sen-tono il peso della crisi finanziaria e della carenza dei

Val Poschiavo

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Messaggio dall’O.F.S.

valori etici che sostengono le nostre democrazie, an-che le nostre fraternità devono, con ottimismo intel-ligente, trovare altre vie e rivivere la fraternità che ci ha uniti. Che ci porta ad essere fratelli e sorelle: ogni crisi genera e stimola inventive, creatività, la voglia di scrollarsi di dosso quel peso angoscioso del domani. E nella crisi dobbiamo diventare nuovi, pronti al cam-biamento, seguaci di Francesco umile ma determinato nelle sue scelte.Dobbiamo riscoprire, indipendentemente dall’età, la gioia di vivere la letizia francescana fatta di cose pic-cole ma importanti per riscoprire quella vitalità che ha animato la nostra giovinezza dove scalare le monta-gne ci sembrava una cosa meravigliosa. Dobbiamo te-stimoniare alla società attuale i valori di solidarietà, di attenzione agli ultimi e ai bisognosi. Come francescani dobbiamo pensare ad un mondo umanamente più per-fetto, secondo l’idea di umanità che impregna il Vange-lo: a Cana la proposta per la mancanza di vino; al figliol prodigo il padre offre una festa; davanti alla peccatrice il Cristo domanda: “Chi di voi non ha mai peccato…”.Ogni fraternità deve strutturarsi secondo le sue dispo-nibilità e le sue capacità. Non ci sono fraternità stan-dard, tutte uguali, perché le le condizioni di vita dei suoi membri, dell’ambiente in cui vivono, dell’aria che si respira sono diverse. E dobbiamo avere la capacità di entrare nella realtà della vita odierna, di vedere e sentire, non con le orecchie, ma con il cuore, i nostri nipoti che crescono, che sposano altri ideali, forse non comprensibili a prima vista ma reali. Gli immigrati, dai colori arcobaleno, ci portano il sa-pore e la visione di altri mondi e diventano un appello forte di Cristo che ci chiede di rimanere accanto a loro per far crescere il seme della speranza, la loro voglia di una vita migliore.E per venire alla pratica come facciamo con questa co-stellazione di fraternità sparse? Ne siete contenti? Cosa vorreste?Sentendovi parlare di voi stesse, delle vostre attività mi sono resa conto che moltissime di voi ‘spazzano’ le chiese, si preoccupano della loro bellezza che perdura nel tempo mantenendole nitide e fiorite. E allora vi dico “beate voi” che come Francesco nella sua umiltà si pre-occupava delle chiese di allora. Vai Francesco e pulisci la mia chiesa: pulizia metafora di un’altra pulizia…Voglia il Signore, voglia Francesco nostro padre aiu-tarci e portarci a dire in questi tempi difficili: la piu’ grande follia della terra è la speranza!

Gabriella Modonesi

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CCristiani nel mondo

Chiesa evangelica in festaIl 15-16 settembre la Chiesa evangelica riformata di Ascona ha festeggiato i 50 anni dalla inaugurazione, avvenuta nell’autunno del 1962. La più giovane e la più numerosa comunità protestante in Ticino è forse l’unica a non soffrire di un’emorragia di fedeli, essendo negli anni diventata la parrocchia riformata germano-fona per eccellenza in Ticino. Se infatti un po’ ovun-que nel cantone i riformati di lingua tedesca stanno scomparendo (con il ricambio generazionale il tedesco lascia spazio all’italiano) ad Ascona la comunità ger-manofona resiste, con una presenza costante ai culti di 150-200 persone, grazie ai molti svizzero-tedeschi e germanici che raggiunta una certa età, decidono di tra-sferirsi nel Locarnese, dove trovano persone che con-dividono le medesime tradizioni e la stessa lingua con i propri canti, le proprie preghiere e abitudini religiose. Questa particolarità linguistica è una ricchezza, con due tradizioni e due culture religiose che convivono, e la possibilità, soprattutto per gli anziani, di trovare nel-la Chiesa quel senso di appartenenza, quella vita co-munitaria, indispensabili per evitare l’isolamento che tocca sempre più persone nella terza età. Una comu-nità evangelica nel Locarnese è attiva dal 1887 (primo culto in tedesco), mentre al 1889 risalgono gli statuti e nel 1901 viene inaugurata la chiesa di Muralto; nel 1948 una piccola cappella a Locarno-Monti e nel 1962 la chiesa di Ascona. Nel 1973 ad Ascona è rialzato il campanile, con due campane (una terza si aggiunge nel 1982); nel 1983 viene costruito un Centro evange-lico ad Ascona, mentre esiste a Muralto dal 1976. (da VOCE EVANGELICA, settembre 2012).

Superare la divisione tra protestanti e cattolici«Ecumenismo adesso! Un solo Dio, una sola fede, una sola Chiesa»: questo è il titolo di un appello lanciato lo scorso 5 settembre a Berlino da numerosi esponenti, protestanti e cattolici, del mondo della politica, della cultura, dello spettacolo e dello sport in Germania. Per i promotori dell’iniziativa, oggi lo scisma tra le Chiese non è più né voluto, né giustificato. E si fa riferimento sia al cinquantesimo anniversario dell’inizio del Con-cilio Vaticano Il, sia al cinquecentenario della Riforma protestante che cadrà nel 2017. L’appello «Ökumene Jetzt» vuole essere «un documen-to dell’impazienza», e parte dall’affermazione che “È evidente che è molto di più quello che ci unisce, che

quello che ci divide», anche se «esistono posizioni dif-ferenti nella concezione dell’eucarestia, del ministero e della Chiesa», ma, per i firmatari dell’appello «que-ste differenze non giustificano il perdurare di questa separazione». Tiepidi per ora i vertici sia della Chiesa evangelica di Germania (EKD), sia della Conferenza episcopale tedesca (DBK), il testo a fine ottobre era già stato firmato da oltre 4.000 persone.

Una inchiesta sui preti lombardiL’invecchiamento del clero è fenomeno noto nella Chiesa cattolica; i Vescovi lombardi hanno incaricato l’Università Cattolica di Milano di condurre un’indagi-ne, per conoscere realtà ed esigenze del clero anziano. Ne ha riferito con un ampio servizio la rivista bolo-gnese IL REGNO, dal quale sono tratti i dati seguen-ti. L’intenso processo di invecchiamento demografico della popolazione sacerdotale diocesana lombarda è stato descritto come il prodotto di due tendenze con-trastanti: la presenza sempre più diffusa dei cosiddetti “grandi vecchi”, ovvero di sacerdoti molto anziani, e i ritmi insoddisfacenti del ricambio tra le generazioni. La quota di sacerdoti “grandi vecchi” è mediamente pari al 12% e l’età media è molto vicina ai 60 anni (58,48), a fronte di valori ben più bassi entro la po-polazione maschile della Lombardia. I preti anziani occupano le loro giornate con le attività ministeriali (69%); un tempo più importante è occupato dalla pre-ghiera (76%), seguono la lettura (50% giornali e 49% libri), lo studio ed altri interessi (37%), la televisione (28%). Il 72% dichiara che esce di casa ogni giorno, il 40% dichiara di incontrare qualche persona ogni due ore, per cui molti preti anziani si sentono ancora inseriti nella comunità in cui vivono. La casa parroc-chiale è la dimora privilegiata dalla maggior parte dei sacerdoti. Tuttavia, circa la sistemazione dei sacerdoti più anziani, le percentuali sono molto simili tra chi vive in casa parrocchiale (37,2%) e chi in casa privata (35,1%). Quando non è solo, e sono la maggioranza (59,4% !!!), il prete convive con un parente (solo nel 13% dei casi: la madre, una sorella, un fratello, altri parenti), oppure con un confratello o una domestica. Circa chi si occupa delle faccende domestiche, il dato varia secondo l’età: i preti che se ne occupano perso-nalmente sono il 17,2% fino a 60 anni, il 13,6% dai 61 ai 74 anni; utilizzano una domestica ad ore il 30,1% dei preti fino a 60 anni, il 41,4% dai 61 ai 74 anni, il 34,1% oltre i 75 anni; hanno una domestica fissa solo il 15% dai 61 ai 74 anni, e il 16,5% oltre i 75 anni. L’ar-

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ticolo descrive altri aspetti della vita dei preti anziani, come le loro relazioni con confratelli o parrocchiani, le attività che svolgono, le loro preferenze, le aspettative e i loro desideri e bisogni. Una indagine da segnalare alla Curia diocesana e anche al Consiglio pastorale, per un giusto e adeguato trattamento del clero ticinese.

Evangelici in BrasileLa popolazione evangelica in Brasile è cresciuta di 16 milioni di persone tra il 2000 e il 2010 raggiungendo i 42,3 milioni. È quanto rivela un censimento condotto dall’Istituto brasiliano di geografia e statistica. Negli ultimi trent’anni la percentuale di evangelici è balzata dal 6,6% al 22,2% dell’intera popolazione, facendone il segmento religioso del Brasile caratterizzato dal più alto tasso di crescita. Mentre la popolazione evange-

lica è cresciuta, quella cattolica ha subito un calo dal 73,6% (2000) al 64,6% (2010). Il declino del cattolice-simo ha interessato ogni regione del paese, con punte massime nella regione settentrionale, dove la popola-zione cattolica è scesa dal 71,3% nel 2000 al 60,6% nel 2010. Nella stessa regione e nello stesso periodo la po-polazione evangelica è cresciuta dal 19,8% al 28,5%. Lo Stato di Rondonia, nella parte nord-occidentale del Paese, vanta la maggiore concentrazione di evangelici con il 33,8%, mentre nel nordest si registra la percen-tuale più bassa con appena il 9,7%. Lo Stato di Rio de Janeiro ha la minore percentuale di cattolici, appena il 45,8%. Anche il numero di coloro che si dichiarano senza religione è leggermente cresciuto, passando dal 7,3% del 2000 all’8% del 2010.

Alberto Lepori

Unica Pasqua per cattolici ed ortodossi

I cattolici del Patriarcato latino di Gerusalemme festeggeranno la Pasqua del 2013 la stessa domenica che le Chiese ortodosse; la decisione sarà estesa nel 2015 probabilmente a tutti i cattolici della Terra Santa. Si tratterà di un segno concreto di ecumenismo che risponde al desiderio dei fedeli, in particolare dei cristia-ni che appartengono a famiglie con membri di rito diverso. Così i cristiani vivranno nello stesso giorno in tutto il Medio Oriente la festa più importante del calendario liturgico. Il tema è stato affrontato nell’ultima sessione di lavoro tra il Patriarca cattolico latino e il Custode di Terra Santa, e i vescovi melchiti, maro-niti, armeni, assiri e caldei che hanno giurisdizione sulle comunità che vivono in Israele, in Palestina, in Giordania e a Cipro. Come è noto, le Chiese ortodosse seguono tuttora il calendario giuliano, cioè quello precedente alla riforma gregoriana, introdotta da papa Gregorio XIII nel 1582. La differenza più marcata si nota proprio nel fatto che la Pasqua viene celebrata il più delle volte in domeniche diverse. Ci sono anni in cui la distanza tra le due date arriva addirittura a cinque settimane. Tutto questo rappresenta un problema in Medio Oriente, dove i cristiani sono una piccola comunità accanto ad ebrei e musulmani: in un conte-sto del genere, le divisioni pesano evidentemente ancora di più, specie tra persone della stessa famiglia. Nel 2013 a Gerusalemme per i cattolici di rito latino la Pasqua slitterà dal 31 marzo al 5 maggio. Non si tratta di una novità assoluta: in Giordania dal 1979, i cristiani di ogni confessione celebrano le principali feste lo stesso giorno: così si è scelto per il Natale il 25 dicembre, cioè la data del calendario gregoriano, e per la Pasqua la domenica fissata dal calendario giuliano. Lo stesso sistema è stato poi adottato in alcune città della Palestina. Con la celebrazione secondo il calendario ortodosso, le comunità latine della Terra Santa si troveranno a celebrare la Pasqua in un giorno diverso rispetto ai cattolici del resto del mondo, e ciò creerà qualche “sconcerto” tra i pellegrini occidentali. Inoltre, già nel passato, quando per la coinci-denza di calendari le due Pasque, ortodossa e latina, cadevano nello stesso giorno, non è sempre stato facile conciliare il via vai dei diversi riti in quel “condominio” complesso e a volte un po’ burrascoso che è la basilica del Santo Sepolcro (o della Risurrezione) costruita intorno alla tomba di Gesù. E’ da augurarsi che i progressi dell’ecumenismo, dopo il Concilio Vaticano II, facciano superare gli ostacoli derivanti da secoli di divisioni ormai incomprensibili.

Gerusalemme: Basilica del

Santo Sepolcro

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L

Chiesa d’Inghilterra: nuovo primate e no alle donne vescovo

Lo scorso novembre è stato un mese importantissimo per il futuro della Chiesa d’Inghilterra: è stato nominato il nuovo arcivescovo di Canterbury e il Sinodo si è pronunciato contro l’ammissione delle donne all’episcopato.

Procediamo cronologicamente. Più che la sorpresa è stato l’entusiasmo ad avere accompagnato, il 9 no-vembre, l’annuncio della nomina di Justin Welby (nel-la foto insieme con la moglie Caroline), attuale vesco-vo di Durham, quale 105.o arcivescovo di Canterbury e primate della Chiesa anglicana. A sceglierlo, è stata un’apposita commissione, la “Crown Nominations Commission”, formata da 16 membri, ecclesiastici e laici. Quest’ultima ha fornito il nome al primo ministro David Cameron, il quale lo ha sottoposto alla Regina Elisabetta per approvazione, la Chiesa d’Inghilterra es-sendo Chiesa di Stato.

Welby ha 56 anni, è sposato e padre di cinque figli e la sua è stata una vocazione tardiva. La sua carriera professionale lo ha portato ad essere per 11 anni, dal 1978, manager nell’industria petrolifera dapprima a Pa-rigi, poi a Londra. Ma nel 1983 la sua vita cambia per una tragedia famigliare: la figlia di sette mesi muore in un incidente stradale in Francia. Sei anni dopo, Welby abbandona la sua attività e decide di diventare sacer-dote. Viene ordinato nel 1992 a 36 anni ed è attivo per 15 anni nella diocesi di Coventry. Dal 2007 al 2011 è decano di Liverpool, prima di essere nominato vescovo di Durham. Verrà intronizzato nella sede di Canterbu-ry il prossimo 21 marzo, succedendo all’arcivescovo dimissionario, il gallese Rowan Williams, che lascia dopo 10 anni per tornare a dedicarsi all’insegnamento .Welby, la cui nomina è stata accolta positivamente sia nel mondo anglicano sia negli ambienti ecumenici in-ternazionali, viene descritto come un uomo colto, dalla fede profonda, affabile, buon comunicatore, moderata-mente conservatore dal punto di vista teologico, buon mediatore e anche con notevoli doti manageriali. L’unica perplessità che si può forse sollevare è la sua poca esperienza di vescovo, ministero che esercita solo da un anno. Oltre ad essere capo della Chiesa d’In-ghilterra, l’arcivescovo di Canterbury esercita anche un primato d’onore in seno alla Comunione anglicana, formata nel mondo da 44 Chiese regionali o nazionali presenti in 165 paesi, per un totale di circa 80 milioni di fedeli, dei quali è considerato il leader spirituale.

La bocciatura dell’episcopato femminile

Ha provocato una grossa sorpresa e molta delusione, il 20 novembre, al termine di una giornata di acceso dibattito, la decisione del Sinodo generale (ossia il le-gislativo) della Chiesa d’Inghilterra, riunito a Londra, di respingere la legislazione sull’ammissione delle donne all’episcopato, al termine di un iter durato una dozzina d’anni. Quindi, a 20 anni esatti dall’introduzione del sacerdozio femminile, la Chiesa d’Inghilterra non ha fatto il passo successivo, quello delle donne vescovo. Per passare, la normativa avrebbe dovuto ottenere i voti favorevoli dei due terzi delle tre camere che formano il sinodo: quella dei vescovi, quella del clero e quella dei laici, ciò che è avvenuto nelle prime due (44 sì, 3 no e 2 astensioni tra i vescovi, 148 sì e 45 no tra il clero), ma non nella terza (132 sì e 74 no, mentre sarebbero stati necessari 138 voti favorevoli). Abbiamo parlato di sorpresa in quanto in questi ultimi anni tra gli anglicani inglesi, durante il lungo processo di avvicinamento al

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Messaggio ecumenico

voto, era molto netta la tendenza a favore, suffragata dall’approvazione di 42 delle 44 diocesi della Chiesa d’Inghilterra e dei tre quarti dei sinodi diocesani. Indub-biamente, il voto negativo del Sinodo generale, che non riflette quindi quanto emerso dalle diocesi, costituisce una sconfessione per l’attuale arcivescovo di Canterbu-ry Rowan Williams e per il suo successore designato Justin Welby, entrambi favorevoli. Ma l’opposizione dei due estremi della Chiesa d’Inghilterra, cioè gli evangelici da una parte e gli anglo-cattolici dall’altra, è stata deci-siva, anche se erano state previste delle misure per tute-lare le parrocchie contrarie ad avere una donna vescovo. Ora, le attuali 3935 donne prete inglesi (a fronte di 8087 uomini) dovranno attendere parecchi anni - almeno 7 - prima che la questione dell’episcopato femminile - che ha provocato una forte spaccatura tra favorevoli e con-trari - torni all’ordine del giorno del Sinodo.Aggiungiamo che nella Comunione anglicana diverse Chiese hanno già introdotto l’episcopato femminile, in particolare quelle degli Stati Uniti (dove a presiedere la Conferenza episcopale è proprio una donna, Katha-

rine Jefferts Schori), del Canada, dell’Australia e della Nuova Zelanda. Ma le ultime due “vescove”, elette negli scorsi mesi, provengono da un continente noto-riamente conservatore come quello africano: sono Elli-nah Ntombi Wamukoya, dello Swaziland, e Margaret Vertue, della diocesi di False Bay, in Sudafrica. In tutto, sono attualmente 25 le donne vescovo in servizio nel mondo anglicano. Ricordiamo che nella Chiesa catto-lica la questione del sacerdozio femminile è stata defi-nitivamente chiusa dalla lettera apostolica di Giovanni Paolo II “Ordinatio sacerdotalis” del 22 maggio 1994, che si conclude con questi perentori termini: “Al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di conferma-re i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa”.

Gino Driussi

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2013Torna come ogni anno, dal 18 al 25 gennaio, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, indetta congiun-tamente dal Pontificio Consiglio per l’unione dei cristiani e dalla Commissione “Fede e Costituzione” del Consi-glio ecumenico delle Chiese. Il tema della Settimana 2013 è “Quel che il Signore esige da noi” (Mich. 6, 6-8).Ogni anno il sussidio che accompagna le celebrazioni di questa iniziativa viene da un gruppo ecumenico di un paese diverso. Quest’anno il compito è stato affidato all’India, più precisamente al Movimento studentesco cri-stiano dell’India, cui aderiscono circa 10mila universitari e che festeggia il suo centenario, in collaborazione con

la Federazione degli universitari cattolici di tutta l’India e con il Consiglio nazionale delle Chiese dell’India. La versione definitiva è stata poi elaborata da una Commissione internazionale no-minata dai due organismi citati all’inizio. Una condanna forte al sistema delle caste, il grido di dolore dei dalit, gli esclusi, che sono per la maggior parte cristiani, ma anche le persecuzioni contro i cristiani e le altre minoranze religiose: sono questi gli argomenti affrontati dal sussidio e affidati alla riflessione e alla preghiera in questa Settimana per l’unità, temi particolarmente importanti per la società indiana, dove i cristiani rappresentano il 3,5% della popolazione, in una situazione nel contempo difficile e stimolante, dove la libertà religiosa, pur sancita dalla Costituzione, non viene sempre rispettata. In questo contesto, le Chiese svolgono un ruolo delicato: costruire una cultura del dialogo e di armonia con tutta la società.Il libretto offre anche spunti sul significato della pratica della giustizia, sulla quale i cristiani sono chiamati a riflettere in fraternità, sulla ricerca della bontà e della vita in umiltà di fronte al

Signore. Le meditazioni attraversano gli otto giorni con la metafora dell’uomo in cammino che si confronta con l’interrogativo tratto dalle parole del profeta Michea: “Che cosa esige Dio da noi?”. La Settimana di preghiera mobilita innumerevoli comunità e parrocchie di tutto il mondo: i cristiani provenienti dalle varie confessioni si ritrovano a pregare insieme nel corso di speciali celebrazioni ecumeniche. Anche in Ticino avranno luogo diversi culti, tra cui anche quello cantonale, organizzato dalla Comunità di lavoro delle Chiese cristiane, quest’anno in diretta televisiva nazionale domenica 20 gennaio 2013 alle ore 10 dalla chiesa parrocchiale di Cureglia.

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SLa pace interiore

Sono molte le angolature da cui si può osservare la pace. Di conseguenza, molte sono anche le possibilità che abbiamo di coltivarla in noi e attorno a noi. Tutto ciò che porta a coltivare la pace, poi, va salutato con cuore aperto. Perché la pace è un dono straordinario per tutti e in ogni momento della nostra vita. Non è un caso che Gesù risorto inauguri gli inizi del regno di Dio con l’augurio: «La pace sia con voi!». Dove Dio è accolto e l’uomo aderisce alla sua volontà, lì irrompe la pace. E’ stato questo l’argomento del nostro ultimo appuntamento mentre prima, ispirandoci a una rifles-sione di Ivan Illich, abbiamo riflettuto sul tema della «pace dei popoli».

La pace dei popoli, però, come del resto la pace in famiglia, la pace sul lavoro e in ogni altra relazione umana, si fonda, oltre che sulla lealtà e la giustizia, sulla pace interiore. Se non abbiamo la pace dentro di noi, come possiamo essere costruttori di pace nelle relazioni che abbiamo con il mondo attorno a noi?Di conseguenza, «la pace interiore è senza dubbio uno dei tratti più specifici di un qualsiasi cammino che si possa chiamare spirituale»1. Si tratta di «un’esperien-za precisa che, da un lato, tende a costituirsi gradual-mente come sfondo stabile e costante dell’individuo; dall’altro, tende ad aumentare di intensità in momenti particolari», ossia in momenti nei quali ci viene richie-sto un supplemento di pace se vogliamo far fronte con coerenza ed equanimità a una situazione di tensione e di conflittualità, oppure in momenti in cui il richia-mo della pace esercita un fascino tutto particolare sul-la nostra mente-cuore, per cui ne intravvediamo con chiarezza la preziosità e lo prendiamo a cuore.E’ del tutto evidente che, quando si parla di pace in-teriore, s’intende un’esperienza parecchio diversa da quella che può essere una momentanea assenza di di-sturbo; anche se, comunemente, è proprio a questo momentanea esperienza che ci si riferisce con l’espres-sione «pace interiore».Nella sua realistica e accurata riflessione, Corrado Pensa rileva anzitutto il fatto che, «quando si parla di pace interiore, i primi due elementi che emergono sono abi-tualmente quelli dell’evitamento e quello del successo».In sostanza: io sono in pace se riesco ad evitare de-

terminate cose, a schivare determinate responsabilità o persone, a scaricare sulle spalle di qualcun altro quel determinato compito. Oppure sono convinto che, se riesco a procurarmi quella determinata cosa, a impos-sessarmi di quel determinato oggetto, a raggiungere quel determinato obiettivo, avrò pace. Si potrebbe – dice – «parlare di strategia del meno nel primo caso e di strategia del più nel secondo». Ossia: «o crediamo che perverremo alla pace solo sottraendo alla nostra vita e, dunque, svincolando, defilandoci, nascondendoci; op-pure crediamo che godremo di pace solo aggiungendo e, dunque, prendendo, possedendo, vincendo».E’ facile comprendere che, di fronte a una simile pro-spettiva e alla messa in atto di tali strategie, le grandi tradizioni spirituali ritengono, concordemente, che «la pace risultante da esse è una pace fragile e, in fin dei conti, falsa». Anzi, i cammini e le tradizioni spirituali nascono proprio come risposta alternativa, ossia come risposta al fallimento delle strategie del più e del meno: «le vie spirituali si occupano della vera pace ed inse-gnano che, per approdarvi, l’ostacolo principale sta proprio in quella compulsività ad evitare determinate cose e ad appropriarsi di altre, di cui stiamo parlando».Si cita Michel Quoist, un autore spirituale che godette grande successo soprattutto negli anni 70-80 per la profondità, la concretezza, ma anche la semplicità e l’immediatezza dei suoi scritti: «Ci sono certi giorni – scrive Quoist – in cui soffro di più per la fame. Fame di tutto: delle cose, del prossimo, di affetto, di riconosci-mento… Allora mi trascino nella mia giornata, tendo la mano e afferro avidamente tutto ciò che mi riesce di prendere lungo il passaggio. Alla sera sono sempre deluso. Non mi resta niente della mia messe rinsec-chita! Sì, perché io sono fatto per dare, sono fatto per ricevere quel che gli altri mi danno; non sono fatto per prendere, per afferrare»2.Le strategie del prendere e dell’afferrare, come quelle dell’evitare, dimenticano che la vita è essenzialmen-te relazione e, quindi, è nella relazione, stando nella relazione, coltivando la relazione e non fuggendo la relazione o facendo violenza alle regole della relazione che si perviene alla pace e si costruisce la pace.«L’evitamento e l’appropriazione sono funzioni ovvia-mente indispensabili. Si pensi solo alla necessità di evitare ciò che è distruttivo, nelle sue mille varietà o, di contro, alla necessità di adoperarsi con diligenza per il soddisfacimento di quelli che Maslow chiama i bisogni di base, quali sicurezza, stima, affetto. Anzi, a que-sto proposito non si sottolinea mai abbastanza il fatto che la negligenza o l’ignoranza circa i propri bisogni di

Shalom (pace)

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Dieci minuti per te

base, tipica di non pochi aspiranti spirituali, è solo una forma di evitamento mascherato di distacco. Del resto non c’è bisogno del microscopio per vedere tendenze coatte all’evitamento e all’acquisizione operanti in am-bienti spirituali. Se per esempio io mi accorgo di essere incapace di vivere fuori di un determinato contesto – che sia il mio gruppo di riferimento, di ricerca spirituale e meditativa, di preghiera, la comunità o il monaste-ro – vuol dire che sto trasformando uno strumento di crescita in uno strumento di difesa, di evitamento. Oppure, se concepisco la religiosità come un accumu-lo di interventi assistenziali o di esperienze meditative e sento che più ne faccio più ho valore, allora sono evidentemente preda della mentalità acquisitiva». Fatta questa precisazione, comunque, è facile intravve-dere che, facendo leva esclusiva sulle strategie dell’ac-quisire e dell’evitare, non si arriva lontano. Infatti, «la caratteristica comune di queste due strategie apparen-temente opposte è questa: che la pace raggiunta grazie ad esse dura poco». E come potrebbe essere diversa-mente? Avere evitato lo sgradevole ci regala un attimo

o un giorno di decontrazione, di respiro più pieno; ma presto saremo già tesi di nuovo, in guardia per schivare altre cose spiacevoli. Sicché questa pace è solo – come lo sono molte altre modalità di vivere e di celebrare la pace – un armistizio tra due tensioni. Lo stesso si può

dire quando è in ballo l’avidità.La domanda fondamentale rimane allora proprio questa, ossia: quanta coscienza viva e presente abbiamo di ciò? «A me sembra – scrive Corrado Pensa – che la prima leva del lavoro interiore stia proprio in questa presa di coscienza. L’emergere di questa illuminata sfiducia lascia spazio all’intuizione che avere un po’ di pace vera, oltre ad essere un valore in sé, è anche l’unico modo per capire che cosa dobbiamo lasciare e che cosa dobbiamo prendere. Allora il lasciare e il pren-dere, cessando di essere manovre compulsive, posso-no gradualmente diventare espressioni di intelligenza affettuosa: prendere ciò che guarisce, lasciare ciò che nuoce», sia a noi che agli altri. «Oltre tutto, quando spunta questa intelligenza, ci rendiamo anche conto che, invece di prendere o evitare per avere pace, la pace precede, accompagna e segue l’azione. Per quanto ora immediatamente viva, ora sullo sfondo, si tratta di una nuova forma di pace, mai disperatamente assente».

Andrea Schnöller

1. Pensa C., Sulla pace interiore, in La tranquilla passione, Ubaldini, Roma 1994, p. 61-71.

2. Quoist M., A cuore aperto, Sei, Torino 1983.

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UChiara, il volto femminile del francescanesimo

Una delle grandi novità del movimento francescano è stata quella di aver saputo superare lo steccato che sempre e tradizionalmente aveva separato il maschile dal femminile. La grande forza dirompente e la gran-de novità del Cristianesimo, che Francesco aveva ben capito, si esprimeva nella rottura della barriera che divideva uomo e donna, come aveva già scritto l’apo-stolo Paolo: “Non esiste più nè schiavo nè libero, nè uomo nè donna.” Ma nei secoli questa novità paolina si era per così dire “congelata” ed era riemersa una netta e forzata separazione fra i due sessi. Ma Chiara è la ragazza medioevale che ha superato questo stecca-to: Francesco e Chiara rendono possibile l’impossibile; Francesco amava la libertà, la spontaneità, la bellezza e la grandiosità del creato e se questo valeva per gli uomini certo doveva valere anche per le donne. Con una buona dose di sognante ingenuità, perché l’inge-nuità fa parte del sogno, Chiara e Francesco devono aver parlato tra di loro della vita sentita come la più bella esperienza che possa capitare specie allorché si risponde alla chiamata di Dio, anche se poi hanno do-vuto giocoforza in parte piegarsi ai condizionamenti del tempo (in particolare per quanto riguarda la clausu-ra di Chiara). Ma in tal modo la donna trovava spazio come soggetto: il mondo è per la donna come per l’uo-mo, tutta l’esperienza è per l’uno come per l’altra. E se Francesco non avesse superato la barriera che divideva uomo e donna non lo sentiremmo così attuale. Chiara appartiene al gruppo di donne che si sentono e voglio-no essere soggetto e non solo oggetto nella Chiesa e Francesco le riconosce il diritto di parità nell’esprimere l’esperienza francescana. Il sogno di Francesco era che tutti, uomini e donne, potessero vivere la stessa espe-

r i en -za. Il cap i to lo XXIII della Regola non bol-lata si apre a tutti, uomini e donne, per pre-sentare lo stesso tipo di vita che egli aveva proposto ai frati: Francesco cioè riteneva possibile questo stile per tutti e quindi anche per Chia-ra. Egli è il grande saggio che attraverso una profonda esperienza di rapporto con gli altri e con Dio arriva a capire la vita e a superare divisioni senza senso. Egli è arrivato a questa straordinaria maturità umana attraver-so il suo rapporto con Dio, certo, ma anche e soprat-tutto attraverso il suo rapporto con le donne. Egli ha amato le donne ed in particolare Chiara. Egli ha ascol-tato Chiara: non solo quello che diceva, ma quello che lei era; ha ascoltato l’altro sesso, l’altra metà del cie-

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Messaggio ???

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Ottavo centenario clariano

lo. E ha imparato tanto. Francesco è paziente, sa ascoltare, vuole capire: è gran-de non perché lascia il padre e tutti i beni del mondo, ma per la sua capacità di capire e di re-imparare. E Chiara

è la sua maestra.

Egli non ha il timore di lasciare esprimere il

femminile che porta in sè. Quando i dubbi lo assalgono

egli chiede consiglio a Chiara, vuole ascoltare la voce del mondo

femminile che è in Chiara: possiamo ben dire che Chiara è il volto femminile del francesca-

nesimo. Chiara chiama sempre se stessa “Francisci plantula”, la pianticella di Francesco, in quanto si considera sempre secondaria e subordinata rispetto al Santo: ma è probabile che all’inizio del movimento francescano Chiara avesse una presenza, un’iniziativa e un’autorità che poi i poteri e i condizionamenti del tempo e anche le fonti testimoniali le hanno negato. Bisogna infatti ricordare che all’origine il movimento francescano era tutto aperto alle novità, all’avventura, fatto come era di cavalieri erranti, aperti anche alle so-luzioni più radicali. E se Chiara ha espresso la volontà di condividere in toto l’esperienza di Francesco, questa doveva basarsi innanzitutto sulla assoluta necessità di superare gli steccati fra il maschile e il femminile. Ne andava della vitalità e della novità della loro scelta. E il superamento delle divisioni, degli steccati, degli schematismi, soprattutto nell’ottica della fede vissuta in modo totalizzante, deve costituire il completamen-to massimo della persona umana. Chiara è parte in-tegrante di questo programma “aperto” di Francesco. Essa era di nobile famiglia, molto più istruita di France-sco che era quasi illetterato, e doveva avere una finez-za d’animo che non poteva non piacere a Francesco. Nel Duecento il Dio espresso dalla cultura del tempo era un Dio prevalentemente re, signore di tutte le cose, “Pantocrator”, come vediamo stupendamente rappre-sentato nei mosaici normanno-bizantini di Torcello, Cefalù e Monreale. Il Dio di Francesco e Chiara è sì

sempre onnipotente e santo, ma è più bello, amabile, gioioso; è il Dio del creato splendido e meraviglioso. Dio è anche nella bellezza, nei colori, nella profon-dità della vita, una dimensione a cui il francescanesi-mo era estremamente sensibile. Chiara nelle lettere ad Agnese, principessa di Boemia, parla di Cristo come del Bello (4LAg); parla della bellezza dello sposo e dei begli ornamenti della sposa (1LAg). E nella 3LAg scri-ve: “Ama colui che totalmente si è dato per tuo amore, la cui bellezza sole e luna contemplano”. Attraverso il linguaggio poetico Chiara esprime ciò che la teologia accademica non può esprimere, riesce ad aprirci al suo essere, alla sua sensibilità, al suo modo di entrare in rapporto con Dio e col mondo. Si comprende in tal modo come Chiara abbia sempre visto nella Povertà un motivo di innamoramento nuziale, fino ad arrogarsi ed a pretendere con forza il “Privilegio della Povertà”. Due erano i punti a cui lei non poteva rinunciare in alcun modo: la completa povertà e l’amicizia spiritua-le con Francesco e coi frati minori. E in questa ottica davanti all’avventura dell’Assoluto, davanti alla bellez-za della chiamata, è probabile che Chiara e Francesco abbiano dovuto accettare la clausura di San Damiano quasi per forza maggiore: purtroppo la realtà è sempre diversa dal sogno e fra tutte le sofferenze che il San-to ha patito fino alla morte penso che ci fosse anche questo sogno infranto: che uomini e donne potessero vivere cioè lo stesso tipo di vita, che quello che valeva per gli uni valesse anche per le altre. Francesco non ha mai fatto grandi discorsi o non ha scritto ponderosi trattati; la sua santità l’ha espressa in poche parole, in pochi gesti, nel suo modo di vivere. Egli è una preziosa eccezione perché ha ricomposto l’armonia del maschi-le e del femminile, dando largo spazio all’affettività, accettando il femminile nella sua vera natura. Sia negli scritti di Francesco che in quelli di Chiara si trovano spesso accostati i termini “padre”, “madre”, “fratel-lo”, “sorella”: sfaccettature dell’amore compresente in ogni persona, sia essa uomo o donna.Francesco e Chiara hanno proposto un modo di vivere fraterno, che può essere incarnato ovunque. E’ la qualità della vita che cambia, sei tu che cambi. E’ questa la paro-la nuova e rivelatrice che Francesco e Chiara continuano a darci. E credo che una delle cose fondamentali che un francescano o una francescana devono fare è quella di recuperare e di ricomporre, come aveva fatto Francesco, l’armonia dei due sessi per sentire davvero tutti gli uomi-ni come “fratelli” e tutte le donne come “sorelle”.

Mario Corti

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B6900 Lugano

Convento dei C

appucciniSalita dei Frati 4CH

- 6900 Lugano

Abbiamo letto... abbiamo visto...

Adriana Valerio

Madri del Concilio. Ventitre donne al Vaticano IIRoma, Carocci editore, 2012

La Valerio traccia per ognuna delle ventitre udi-trici un sintetico ma esaustivo profilo biografi-co; scelte secondo criteri di internazionalità e rappresentanza, esse parteciparono solamente alla terza e alla quarta sessione. La loro influen-za, secondo l’autrice, si ebbe specialmente in due documenti, con la presenza alle sottocom-missioni che prepararono le costituzioni sulla Chiesa e sui rapporti col mondo moderno.

Helder Camara

Roma, due del mattino. Lettere dal Concilio Vaticano IICinisello B., Edizioni San Paolo, 2011

Il vescovo brasiliano, durante le notti passate a Roma, scrive agli amici, rendendoli partecipi dei lavori conciliari, degli incontri con persona-lità, di meditazioni poetiche con forte spiritua-lità, di riflessioni sulla storia e sull’economia. E’ un libro sorprendente, perché informa su aspet-ti del Concilio che normalmente sono sfuggiti agli osservatori ed agli studiosi, e persino agli stessi Padri conciliari.

IL CONCILIO VATICANO II

Edizione del cinquantesimo. Postfazione di Christoph TheobaldBologna, EDB, 2012

In occasione del 50.mo anno dall’apertura del Vaticano II, il volume che presenta i documenti ufficiali del Concilio con testo a fronte viene proposto in edizione speciale, arricchito dalla postfazione di uno dei più importanti teolo-gi contemporanei. Col pensiero rivolto alla generazione che non ha vissuto l’avvenimento ecclesiale, un’occasione imperdibile per risco-prire la bussola della trasmissione della fede.