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Paolo Carotenuto – Roberto Giuliani STRATEGIE EUROMEDITERRANEE: Cooperazione, Decentramento, Sussidiarietà nei Mezzogiorni d’Europa e del Mediterraneo

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Paolo Carotenuto – Roberto Giuliani

STRATEGIE EUROMEDITERRANEE: Cooperazione, Decentramento, Sussidiarietà nei

Mezzogiorni d’Europa e del Mediterraneo

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INDICE 1) LA PROSPETTIVA EUROMEDITERRANEA

2) LA COOPERAZIONE DECENTRATA

3) MEZZOGIORNO DEI MEZZOGIORNI: LO SCENARIO DELL’ ITALIA MERIDIONALE

4) IL NUOVO RUOLO DEGLI ENTI LOCALI: Casi di Best Practices nella Cooperazione Territoriale

5) PROSPETTIVE FUTURE

Ricerca realizzata per la Call for paper promossa da OBI - Osservatorio Regionale Banche-Imprese di Economia e Finanza - per il Meeting di Sorrento 2013: "Mezzogiorni d'Europa e Mediterraneo nel tempo di mezzo. Economia, finanza e società: scenari e nuovi equilibri" Abstract In a mediterranean context characterised by deep social, economic and geopolitical changes, the relevance of the development initiatives promoted by local authorities and civil society organisations gradually increases.

The present report aims to analyze the prospects for development to productivity and employment in the Euromediterranean region, in light of the opportunities offered by the European programmes and the financial resources allocated by the European Neighbourhood Policy.

The analysis of the new instruments of decentralized cooperation highlights the potential driving force of the regional authorities in the creation of conditions for investment attractiveness in the “Mezzogiorni” through the valorisation of the local peculiarities, the effective representation of the territorial instances and the concrete implementation of a key concept of the process of European construction: the Subsidiarity principle, in the two dimensions, horizontal and vertical. In uno scenario mediterraneo segnato da profonde trasformazioni del tessuto sociale, del quadro geopolitico e delle relazioni economiche, assumono una crescente rilevanza le iniziative per lo sviluppo promosse dalle autorità locali e dalle realtà associazionistiche diretta espressione del territorio e della società civile. Lo studio proposto mira a stimolare una riflessione sulle prospettive di sviluppo, a livello produttivo ed occupazionale, dell’area euro mediterranea , alla luce delle opportunità delineate dalla programmazione europea e dalle risorse stanziate dalla Politica Europea di Vicinato. L’analisi dei nuovi strumenti di cooperazione decentrata evidenzia la potenziale spinta propulsiva delle autorità regionali nella creazione di condizioni di attrattività degli investimenti nei “Mezzogiorni” attraverso la valorizzazione delle peculiarità locali, l’effettiva rappresentatività delle istanze provenienti dal territorio, e la concreta attuazione di un concetto cardine del processo di costruzione europea: il principio di Sussidiarietà, inteso sia nell’accezione orizzontale che in quella verticale.

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I – LA PROSPETTIVA EUROMEDITERRANEA

In uno scenario segnato da radicali trasformazioni del tessuto sociale, del quadro geopolitico e delle relazioni economiche, assumono una crescente rilevanza in Europa le iniziative per lo sviluppo promosse dalle autorità locali e dalle nuove realtà associazionistiche diretta espressione del territorio e della società civile: la potenziale spinta propulsiva di questi due fattori può divenire un elemento determinante per colmare almeno in parte il divario economico e sociale tra le aree più avanzate e quelle depresse dell’area Euromediterranea.

Lo studio mira ad analizzare le prospettive di sviluppo a livello produttivo ed occupazionale nella regione, alla luce delle opportunità di cooperazione delineate dagli strumenti e dalle risorse stanziate dalla Politica Europea di Vicinato (PEV) e della nuova spinta propulsiva che potrebbe provenire dalle autorità regionali, in un contesto di efficace decentramento, nella creazione di condizioni di attrattività degli investimenti nei “Mezzogiorni” attraverso una valorizzazione delle peculiarità locali unitamente ad un’ effettiva rappresentatività delle mutate esigenze e delle nuove istanze provenienti dalla società.

La svolta di Barcellona del 1995 che ha segnato l’inizio del Partenariato Euromediterraneo, nonostante le innovazioni propositive enunciate, non ha prodotto i risultati attesi a causa della mancanza di un progetto condiviso e di un quadro politico e istituzionale unitario.

Limiti che hanno inciso sull’utilizzo delle risorse messe a disposizione dell’UE per la cooperazione euromediterranea: solo poco più della metà dei fondi stanziati nel periodo 1995 - 1999 e nella programmazione 2000 – 2006 (5,35 miliardi di euro, confluiti nel programma MEDA II) sono stati utilizzati. Al di là degli errori di forma, persistevano difficoltà concrete, legate alla diversità economica, politico-istituzionale e sociale che intercorreva tra i Paesi delle due sponde e che rende ancora oggi molto difficile la realizzazione di una cooperazione “inter pares”.

Tuttavia, pur sottolineando gli evidenti ritardi nella strategia di cooperazione euromediterranea, occorre riconoscere gli sforzi profusi dall’Ue e dagli altri attori coinvolti nel processo d’integrazione al fine di dar vita ad una strategia comune per il Mediterraneo e tenere vivo lo spirito del Processo di Barcellona, nelle tappe successive del percorso, tra cui ricordiamo le conferenze euromediterranee di Malta 1997, Marsiglia 2001, Napoli 2003 e la «strategia comune per il Mediterraneo» varata nel 2000 in seguito ad uno sforzo congiunto della Commissione e del Consiglio Europeo.

Il 2004 ha segnato una tappa fondamentale nella storia delle relazioni tra l’Unione Europea e i paesi terzi con l’inaugurazione della Politica Europea di Vicinato (PEV), rivolta a 10 paesi mediterranei (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Israele, Giordania, Siria, Turchia, Libano, Autorità Palestinese e Libia) e 6 paesi dell’Europa Orientale (Armenia, Azerbaigian, Georgia, Bielorussia, Moldavia e Ucraina), rimasti esclusi dall’allargamento dell’UE a 27 membri.

La PEV, applicando il modello bilaterale, mira a realizzare una forma di cooperazione politica e di integrazione economica garantendo ai paesi interessati la possibilità di ricevere assistenza finanziaria e partecipare ad alcuni programmi europei e a formule di libero scambio tipiche del mercato comune, a condizione di una progressiva armonizzazione legislativa con l’Unione Europea.

La PEV si basa su Piani d’Azione, documenti siglati tra l’UE e i singoli stati, che stabiliscono le priorità della cooperazione tra le due parti e le riforme da attuare, e si realizzano attraverso lo strumento finanziario dell’ENPI.

Per adeguare l’agenda comunitaria delle relazioni mediterranee alla trasformazioni delineate dalla Politica Europea di Vicinato, il 13 luglio 2008 a Parigi viene istitutita l’Unione per il Mediterraneo (UpM), rivolta ai paesi del PEM più Bosnia Erzegovina, Croazia, Montenegro e Principato di Monaco per un totale di 44 membri. L’UPM, incentrata su una logica multilaterale ha approvato un programma di lavoro incentrato su 6 priorità: lotta contro l’inquinamento del Mar Mediterraneo, potenziamento dei trasporti, programma di protezione civile, energie alternative, istruzione e ricerca, Mediterranean Business Development Initiative (rivolta soprattutto alle piccole e medie imprese).

Il delicato contesto attuale caratterizzato dalla destabilizzazione degli equilibri geopolitici e socio-economici, sta spingendo l’Unione Europea verso il rilancio di una collaborazione tra i paesi delle diversi rive del Mediterraneo mediante l’utilizzo di strumenti di cooperazione che consentano un maggiore coinvolgimento dei diversi attori rappresentativi delle specifiche realtà territoriali.

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Le recenti evoluzioni hanno radicalmente trasformato il concetto di cooperazione oltre il livello intergovernativo nell’ambito dell’UpM, verso un nuovo modello cooperativo decentrato, fondato sul coinvolgimento delle autorità locali e sulla partecipazione della società civile nei processi di sviluppo.

Solo a partire dagli anni 90 il nuovo modello arriva anche nel Mediterraneo: la Politica Mediterranea Rinnovata (PMR) del 1992, adottata dall’Ue e rivolta ai PTM, si basava sulle modalità d’azione tipiche della cooperazione decentrata, individuate come fattore determinante per favorire lo sviluppo economico e sociale delle aree depresse della regione.

Successivamente il Partenariato Euromediterraneo ha rinsaldato l’idea della necessità di affidare una parte del processo di sviluppo agli attori locali e a forme d’intervento alternative. L’azione proposta a Barcellona era stata articolata su tre assi (politico, economico e culturale) distinti ma interdipendenti in quanto finalizzati al raggiungimento di un obiettivo comune: la creazione di uno spazio condiviso mediterraneo, non solo sul piano economico e politico ma soprattutto su quello culturale. Nella Dichiarazione emerge in maniera evidente l’intento di porre il dialogo culturale alla base di qualsiasi auspicabile relazione economica e politica tra le due sponde.

Per tali ragioni l’UE ha destinato nel corso degli anni ingenti risorse ai Programmi Med dedicati al rafforzamento del dialogo e dell’interazione tra popolazioni delle due sponde.

I programmi geografici di assistenza esterna previsti dalla programmazione 2007 – 2013 si suddividono in 3 macroaree, cui corrispondono 3 differenti strumenti di finanziamento: IPA, ENPI, DCI. L’IPA (Instrument for Pre-Accession, 11,5 MLD, 20% della rubrica 4) è rivolto ai paesi che sono in attesa di fare ingresso nell’UE, l’ENPI (11,9 MLD, 21% rubrica 4) ai paesi che rientrano nella PEV più la Russia, il DCI riguarda i paesi in via di sviluppo1

L’attuazione dei Piani d’Azione avviene attraverso l’ENPI (European Neighbourhood and Partnership Instrument), strumento basato sul regolamento CE 1638 del 2006 e finanziato dalla Rubrica “Relazioni esterne” del Bilancio comunitario.

.

L’ENPI è uno strumento “policy driven” progettato appositamente per i paesi membri della PEV, che utilizza un'ampia gamma di misure.

La programmazione 2007 – 2013 ha previsto una dotazione di 11,9 MLD di euro, il 20,68% dei fondi della rubrica 4, stanziati per finanziare progetti di cooperazione in linea con gli obiettivi della PEV e quelli del partenariato strategico con la Russia.

I programmi sono articolati in 5 aree di cooperazione: bilaterale, regionale, interregionale, tematica e transfrontaliera. Il 95% delle risorse sono state utilizzate per programmi nazionali e multinazionali, il 5% alla cooperazione transfrontaliera.

Tra i principali tipi di misure, l’assistenza tecnica, gemellaggi, sotegno al bilancio settoriale o generale, investimenti, programmi di alleviamento del debito, microprogetti, misure in materia di sicurezza alimentare, contributi alla BEI o altri intermediari per prestiti, e fondi di garanzia o investimento.

1 Dati forniti dal Ministero degli Affari Esteri – Direzione Generale per l’Integrazione Europea.

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II – LA COOPERAZIONE DECENTRATA In tale contesto si è aperta la strada ad un progressivo decentramento, affiancato da nuove modalità di

cooperazione pensate per porre al centro dell’azione la società civile, destinataria dei progetti di sviluppo. Con il termine "Cooperazione Decentrata" s'intende l’azione di cooperazione realizzata dalle Regioni e dagli

Enti locali, al fine di stabilire e consolidare le relazioni di partenariato territoriale con istituzioni locali dei paesi con i quali si coopera, ed implementare progetti di sviluppo grazie alla partecipazione attiva degli attori pubblici e privati nei rispettivi territori.

In Italia il quadro normativo di riferimento per la Cooperazione Decentrata comprende, a livello nazionale, le Leggi: 49/87, 68/93, 267/00, la Riforma del Titolo V della Costituzione e la Legge 131/03, e a livello regionale le leggi di cooperazione (di cui la maggior parte delle Regioni si è dotata).

Il principio base della normativa vigente è quello secondo il quale la Cooperazione allo Sviluppo è parte integrante della politica estera dell’Italia (art.1 comma 1, Legge 49/87) la cui finalità è contribuire agli sforzi coordinati in sede ONU e UE per ridurre la povertà nel mondo e aiutare i PVS (Paesi in Via di Sviluppo) a rafforzare le proprie istituzioni, in un’ottica di “buon governo” e nel rispetto dei diritti umani e della partecipazione democratica allo sviluppo economico di tutte le componenti sociali e di genere.

La politica di Cooperazione allo Sviluppo dell'Unione Europea, secondo quanto stabilito dall'art. 177 del trattato istitutivo dell'UE, è finalizzata ad integrare le politiche dagli Stati membri volte a favorire lo sviluppo economico e sociale sostenibile dei paesi in via di sviluppo, il loro inserimento nell'economia mondiale, la lotta contro la povertà, il consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

In base all'art. 181 A, l'UE conduce, nel quadro delle sue competenze, azioni di cooperazione economica, finanziaria e tecnica con paesi terzi. Tali azioni sono complementari a quelle condotte dagli Stati membri e coerenti con le politiche di sviluppo comunitarie.

La Cooperazione Decentrata si ispira ad un nuovo modello di governance fondato sulla partecipazione a livello decisionale, gestionale e finanziaria, degli attori coinvolti a livello operativo, sostituendo in tal modo il tradizionale metodo d’intervento “top-down” con la logica inversa del “bottom-up” .

Il valore aggiunto di questo tipo di cooperazione è rappresentato dal decentramento, attraverso la partecipazione degli attori locali pubblici e privati, diretta espressione del territorio, e pertanto idonei a interpretare al meglio le peculiari esigenze locali.

Questo nuovo modello di cooperazione si va affermando in una generale fase di decentramento dei poteri in Europa, in linea con quanto stabilito dalla nota n° 23 (dicembre 1999) della Commissione Europea che evidenzia tra i punti di forza della cooperazione decentrata, la delega della gestione operativa e finanziaria, l’importanza data al rafforzamento delle capacità istituzionali, la ricerca di concertazione e complementarità tra gli attori:

“Decentralised cooperation designates all forms of development cooperation put in place by a local authority or

by a non-state actor, both north and south. The European Union supports actions and initiatives from sustainable development enterprises with the particular aim of promoting: a more participatory development policy, responding to the needs and initiatives of populations in developing countries; a contribution to diversification and reinforcement of civil society and basic democratisation in these countries; the mobilisation of European decentralised cooperation actors and of developing countries in favour of these goals.”2

A partire dagli anni ’90 è cresciuto progressivamente il ruolo delle Autonomie locali (Regioni, Province, Comuni) nella cooperazione allo sviluppo. Sebbene esistano diverse definizioni di cooperazione decentrata, esse

2 Comunicazione della Commissione europea su “Local Authorities: Actors for Development” e in particolare, nel

background paper “Towards an EU approach to democratic local governance, decentralisation and territorial development” scritto dai consulenti Juergen K. Binder, Peter Slits, Rémi Stoquart, Joseph Mullen e Carlos Buhigas Schubert, Bruxelles, 2008.

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hanno un minimo comun denominatore riconosciuto a livello nazionale e internazionale, rappresentato dall’azione delle Autonomie locali, non più limitata al sostegno finanziario dei progetti di cooperazione portati avanti dai diversi soggetti del proprio territorio, ma con un effettivo e pro-attivo ruolo decisionale.

L’accezione italiana tende a porre in evidenza in modo particolare il rapporto virtuoso tra Autonomie locali e soggetti del territorio sia del mondo sociale che economico e culturale, sottolineando il concetto di partenariato tra territori (partenariati territoriali) fondato sui principi di sussidiarietà verticale ed orizzontale, e dello sviluppo partecipativo.

In tal senso la definizione italiana si collega a quella avanzata dal Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) e dalla Commissione europea, che indica nella decentrata una nuova modalità di politica di cooperazione allo sviluppo focalizzata sul ruolo degli attori coinvolti.

La cooperazione decentrata è espressione di un nuovo modo di concepire lo sviluppo, fondato sulla partecipazione, sulla promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sul rafforzamento delle capacità e dei poteri degli attori locali pubblici e privati. L’obiettivo di questa modalità di cooperazione è quello di favorire uno sviluppo sostenibile e coerente rispetto alle esigenze dei territori. In tale scenario assumono una funzione chiave il sostegno alle politiche di decentramento nei paesi partner e il ruolo degli enti locali, delle comunità e delle organizzazioni della società civile.

In tale processo di rinnovamento la Cooperazione Decentrata, sviluppando competenze specifiche in materia di Governance democratica, Sviluppo economico locale e Sviluppo sostenibile, ha introdotto nuovi termini o nuove interpretazioni di concetti già esistenti quali Partenariato, Sviluppo reciproco, Multi - attorialità, Ownership democratica, Sussidiarietà, Responsabilità mutua, Sostenibilità.

La Cooperazione Decentrata individua inoltre i ruoli specifici dei singoli attori, caratterizzati in base alle proprie funzioni alle relazioni che tra di essi intercorrono.

Gli Enti locali sono i principali protagonisti delle azioni di cooperazione decentrata, delle quali hanno la responsabilità: essi agiscono in concorso proattivo con gli attori locali ed economici, pubblici e privati, no profit e profit, dei rispettivi territori, svolgendo un ruolo di decisione politica, promozione e governance democratica di relazioni e processi, e un ruolo di coordinamento ed eventuale co-finanziamento delle azioni dei vari attori del territorio. Tra gli attori, nell’ambito del partenariato possono partecipare alle azioni i seguenti soggetti: Organizzazioni non governative (ONG), Università e Centri di Ricerca e Formazione, associazioni professionali e di volontariato, cooperative, piccole e medie imprese (PMI), imprese sociali e culturali, parchi e agenzie per l’ambiente, enti pubblici, organizzazioni sindacali, professionisti.

La Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (DGCS) stabilisce i quadri di riferimento politici e le priorità geografiche e tematiche dei Programmi ai sensi della legge 49/87 . La recente crisi finanziaria, ha messo in evidenza i limiti di un sistema politico ed economico ancora caratterizzato da un eccessivo centralismo decisionale a livello nazionale ed europeo, in cui stentano a decollare le politiche di decentramento volte a conferire effettivi poteri agli enti locali e a dare concreta attuazione al principio di Sussidiarietà, inteso sia nell’accezione orizzontale che in quella verticale. Tuttavia, in questa fase di transizione, è possibile individuare alcuni modelli efficaci sia sul piano gestionale che partecipativo da analizzare e laddove possibile adattare ai contesti economici e sociali dei “mezzogiorni d’Europa e del mediterraneo e consentire a queste realtà di cogliere le opportunità offerte dalla nuova programmazione europea e dalle nuove forme di cooperazione territoriale.

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III – MEZZOGIORNO TRA I MEZZOGIORNI: LO SCENARIO DELL’ITALIA MERIDIONALE

Fra i grandi paesi dell’Eurozona, l’Italia presenta le diseguaglianze territoriali più rilevanti. Il rapporto “La crisi sociale del Mezzogiorno” pubblicato dal Censis nel marzo 2013, mostra un Mezzogiorno abbandonato a se stesso, con una crescita pericolosa del dualismo territoriale. La profonda crisi economica degli ultimi anni ha ulteriormente allargato il divario Nord-Sud. Tra il 2007 e il 2012 nel Mezzogiorno il Prodotto interno loro si è ridotto del 10% in termini reali, a fronte di una flessione del 5,7% registrata nel Centro-Nord. Dei 505.000 posti di lavoro persi in Italia tra il 2008 e il 2012, il 60% (più di 300mila) ha riguardato il Sud. Ma quel che più sorprende è lo stato di arretratezza del Mezzogiorno anche nei confronti dei paesi dell’area euro in maggiore difficoltà, come testimoniano i livelli di reddito più bassi finanche della Grecia (17.957 euro contro 18.454).

Tra i Mezzogiorni d’Europa, quello italiano lo è più degli altri. Un assunto confermato dal confronto sul reddito pro-capite delle tre regioni più ricche e più povere dei grandi Paesi dell’area euro. In questa speciale classifica l’Italia ha il maggior numero di regioni con meno di 20.000 euro pro-capite (7 contro le 6 della Spagna, le 4 della Francia e una della Germania), mentre tra le regioni più ricche (con un reddito pro-capite di oltre 30.000 euro) la Germania conta 10 regioni con oltre 30.000 euro pro-capite, la Francia la sola Ile-de-France, l’Italia ne ha cinque e la Spagna nessuna. Il Centro-Nord con 31.124 euro di Pil per abitante è vicino ai valori dei Paesi più ricchi come la Germania, dove il Pil pro-capite è di 31.703 euro. Inferiore alla Grecia, invece, i livelli del Mezzogiorno.

Il rapporto segnala anche il rischio di deindustrializzazione, evidenziando come oltre 7.600 imprese

manifatturiere del Mezzogiorno (su un totale di 137.000 aziende) sono uscite dal mercato tra il 2009 e il 2012, con i dati più preoccupanti in Puglia e in Campania.3

Un rischio che, a giudicare dai dati sulla produttività, si è trasformato in realtà. L’Italia è infatti, con la Finlandia, l’unico paese dell’Eurozona che ha peggiorato la produttività (l’indice della produzione ha perso venti punti percentuali dal 2007). Secondo il Rapporto Competitività della Commissione Ue approvato nel settembre 2013, l’Italia è stata superata anche dalla Spagna ed ha fatto peggio della Grecia, che pur messa in ginocchio dalla crisi, è riuscita a migliorare la produttività. Per Bruxelles a causare il declino negli ultimi dieci anni sono stati gli aumenti del salario lordo nominale combinato con una scarsa crescita della competitività. A nulla sono valse le riforme del mercato del lavoro per favorire un’inversione di tendenza, per questo la Commissione Ue ha in più sedi sollecitato l’Italia a spostare la riduzione del carico fiscale dalla casa al lavoro e alle imprese.

Sul fronte energia, Italia e Cipro registrano i costi più elevati di tutta la zona euro. 4In un quadro generale del Paese poco confortante, si deve registrare come il peso del Mezzogiorno tende a

farsi sempre più gravoso. La crisi degli ultimi anni ha prodotto un allargamento del divario tra il Nord e il Sud del Paese, facendo scomparire quasi definitivamente la questione del Mezzogiorno da qualsiasi agenda per lo sviluppo. È forse proprio questo l’aspetto più sorprendente e allo stesso tempo devastante che fotografa lo stato attuale del meridione. Al di là delle strutturali debolezze economiche delle regioni del Sud e dei problemi legati

3 Censis La Crisi sociale del Mezzogiorno, marzo 2013

4 Sole 24 Ore, 24 settembre 2013 - Produttività, Italia (-20% dal 2007) superata dalla Spagna. Bruxelles: «è deindustrializzazione». Anche la Grecia ha fatto meglio

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al lavoro, oggi si devono fronteggiare nuovi problemi da “emergenza sociale”: lo scadimento del sistema scolastico, l’abbandono della sanità pubblica, i problemi dell’assistenza legati all’invecchiamento demografico. 5

La questione meridionale è sempre meno spiegata da una carenza di risorse finanziarie, il cui utilizzo non necessariamente ha portato sempre benefici sulla via dello sviluppo. Il mancato sviluppo meridionale non è, quindi, solo una questione economica.

Come agire, dunque, per ridare slancio al Mezzogiorno e sostenerne lo sviluppo? È accertato che l’intervento

pubblico non può creare il mercato, né suscitare lo spirito d’impresa. Tuttavia può intervenire affinché si costruisca un contesto sociale favorevole a una maggiore iniziativa e responsabilità individuale.

Qualcosa che è sempre mancato alle regioni meridionali e che forse ci farà scoprire la ricetta giusta: non più basata sui raggiustamenti strutturali, su reddito di riequilibrio, sui processi cumulativi di sviluppo, sui patti fra gli attori sociali, ma più semplicemente sull’antropologia e sulla storia sociale, sulle specifiche culture locali, sulle tradizioni e sullo stile di vita autoctono.

La crisi del Mezzogiorno rischia di trascinarsi dietro anche il resto del Paese, per questo l’abbandono a se stesse delle regioni meridionali altro non sarebbe che il progressivo disgregamento dell’intero sistema nazionale. Si aggiunga la posizione cruciale ricoperta dal sud del Paese, ponte naturale verso i paesi del bacino mediterraneo del Medio Oriente, destinati sempre più a divenire strategici nel perseguimento dell’interesse nazionale del nostro Paese. Quella che si muove a Sud verso il Nord Africa (Maghreb) e, ad Est, verso il Mediterraneo orientale e i Paesi del Medio Oriente, è infatti, la direttrice forse più rilevante per l’azione estera dell’Italia, almeno se prendiamo in considerazione il punto di vista geografico e geopolitico. Se è vero che Roma ha storicamente, almeno dal Secondo Dopoguerra ai giorni nostri, costruito solidi rapporti transatlantici da un lato e, dall’altro, europei – partecipando in maniera attiva e sin dall’inizio alla costruzione di quella che sarebbe divenuta l’Unione Europea – è altrettanto vero che l’interesse nazionale di un Paese risente della posizione (nel senso fisico e non politico del termine) che questo occupa all’interno della mappa globale. Tenendo presente quest’ultima considerazione, sono proprio le sponde Sud ed Est del Mediterraneo a costituire il contesto più prossimo con cui l’Italia deve confrontarsi. E, d’altro canto, non può esimersi dal farlo, in quanto, come vuole la tradizione delle relazioni internazionali, si possono scegliere gli alleati, ma non i vicini. 6

Il Mediterraneo è, pur nella sua diversificazione, sempre più un’unica regione geostrategica e geo-economica. La debolezza dimostrata sul piano politico dall’Italia nello scacchiere politico, evidenzia una criticità che al momento sembra pesare più di ogni quota di mercato persa o dato economico negativo.

Negli ultimi due decenni l’Italia non è riuscita a tradurre il proprio peso commerciale in peso politico. Oggi l’Italia si trova dinanzi a una sfida impegnativa e necessaria: ridisegnare la propria politica

mediterranea, tornando a essere un interlocutore credibile sul piano internazionale e sfruttando i benefici che questo comporterà. Nei prossimi anni, infatti, i temi dell’immigrazione e dell’approvvigionamento energetico costituiranno l’elemento essenziale dell’agenda diplomatica italiana e il Mediterraneo costituisce un importante mercato di sviluppo. Un’occasione da cogliere, riuscendo a coniugare le esigenze nazionali con la necessità di stipulare accordi con interlocutori altrettanto credibili, laddove la promozione della democrazia e della libertà e il rispetto dei diritti umani, non rispondono solo a nobili ideali, ma costituiscono le basi per definire legami affidabili, trasparenti e duraturi.

5 Rapporto Censis, id.

6 L’Italia, il Mediterraneo e il Medio Oriente di Stefano M. Torelli – tratto da Italia, Potenza globale? - Il ruolo internazionale dell’Italia oggi, Fuoco Edizioni

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IV - IL SISTEMA ITALIA NELLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO. IL NUOVO RUOLO DEGLI ENTI LOCALI Casi di Best Practices nella Cooperazione Territoriale

La linea direttrice della Cooperazione italiana7

- la cooperazione orizzontale: il ruolo delle Ong

è quella dell'intensificazione della collaborazione e delle sinergie con il sistema-Italia, con riferimento a quattro pilastri fondamentali:

- la cooperazione decentrata: il ruolo delle regioni e degli enti locali - le associazioni economiche di categoria - il sistema formativo: il ruolo delle università e dei centri di eccellenza La cooperazione orizzontale: il ruolo delle Ong

La collaborazione con il mondo del volontariato ha conosciuto un rafforzamento molto consistente, che si sostanzia sia nel sostegno ai programmi promossi che nella valorizzazione delle nostre Ong in seno ai programmi predisposti dalle Agenzie delle Nazioni Unite e dall’Unione Europea, in presenza o meno di un co-finanziamento della Cooperazione italiana.

Il dialogo che si è instaurato si presenta come molto intenso e copre tutte le tematiche attinenti allo sviluppo. Esso si articola organicamente attraverso l’Assemblea delle Ong italiane ed è focalizzato anche sulla preparazione delle Conferenze in sede di Nazioni Unite aventi per oggetto le politiche verso i Pvs. Il Ministero degli Affari esteri ha inaugurato la prassi di inserire rappresentanti delle Ong italiane nelle delegazioni governative alle Conferenze delle Nazioni Unite. La cooperazione decentrata: il ruolo delle Regioni e degli Enti locali

La continua crescita della cooperazione decentrata (cioè delle iniziative realizzate con le Regioni, le Provincie ed i Comuni italiani) rappresenta una grande opportunità e, nel contempo, costituisce un impegno complesso per la Cooperazione italiana, che è chiamata a collaborare con le Regioni e con decine di enti locali, per assicurare che i loro interventi rientrino sinergicamente nei programmi di sviluppo dei Pvs (partenariato territoriale, transfrontaliero, di prossimità ecc.) interessati e si inseriscano nelle più ampie strategie di cooperazione che il Governo persegue. Ciò comporta tra l’altro un attento negoziato con gli organismi internazionali con i quali la Cooperazione italiana lavora per assicurare spazi e ruoli specifici alla Cooperazione decentrata, come del resto anche alle Ong italiane. Il punto di riferimento per questa azione è costituito dal documento sulle “Linee di indirizzo e modalità di attuazione della collaborazione della DGCS (Direzione Generale Cooperazione Sviluppo) con le Regioni e gli Enti locali“, approvato nel marzo 2000 dal Comitato Direzionale per la Cooperazione allo Sviluppo.

La Dgcs riconosce, infatti, a questa forma innovativa di aiuto allo sviluppo, caratterizzata dall’ampia partecipazione popolare e dalla reciprocità dei benefici, una propria specificità ed un rilevante valore aggiunto rispetto sia alla cooperazione governativa che a quella non governativa (Ong), soprattutto nei settori della lotta alla povertà e all’esclusione sociale e della promozione della democrazia. Inoltre, promuovendo lo sviluppo economico locale, la cooperazione decentrata è in grado di creare l’ambiente favorevole all’internazionalizzazione delle nostre Pmi.

Le Regioni, dal canto loro, investono una quota crescente delle proprie risorse di bilancio in attività di cooperazione allo sviluppo. Secondo una recente stima l’ammontare degli stanziamenti regionali ha raggiunto un totale di circa 36 milioni di euro nel 2003. A ciò vanno aggiunti gli apporti di Enti locali, associazioni ed altri soggetti pubblici e privati del territorio che svolgono in proprio o concorrono all’attività di cooperazione delle Regioni per una cifra almeno equivalente a quella stanziata dalle Regioni.

7 Ministero degli Affari Esteri - Cooperazione allo sviluppo www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/

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L’efficacia della cooperazione decentrata dipende strettamente da due fattori. Da una parte la capacità delle Autonomie locali di instaurare partenariati attivi e di coinvolgere in forma partecipata le forze vive del proprio territorio, dall’altra la capacità della Dgcs di mettere a disposizione degli Enti locali risorse e sinergie (programmi quadro) idonei ad orientare, coordinare e cofinanziare i singoli interventi evitando dispersioni, duplicazioni e frammentazioni.

Da tempo la Dgcs ha assunto la cooperazione decentrata come una componente importante dell’aiuto pubblico allo sviluppo italiano. La sua azione tende essenzialmente a fornire alle Autonomie locali dei quadri di riferimento entro cui inserire le proprie iniziative al fine di renderle coerenti con la nostra politica di cooperazione e possibilmente complementari con i nostri interventi.

Il coinvolgimento delle Autonomie locali nella cooperazione governativa è in continua crescita ed assume forme molteplici: dall’affidamento diretto di specifiche iniziative (mediante apposite convenzioni) al cofinanziamento indiretto attraverso programmi quadro in gestione diretta o affidati ad Organismi internazionali. Inoltre sempre più spesso ai programmi governativi si affiancano interventi finanziati con fondi propri da Enti locali italiani che, grazie alle sinergie ottenute, vedono aumentata la propria efficacia e sostenibilità. In tale contesto sempre maggiore importanza assume il ruolo di informazione e di accompagnamento svolto dalle nostre Rappresentanze all’estero e dalle nostre Utl. 8

Associazioni economiche di categoria Il rilievo che la Cooperazione italiana attribuisce ai programmi di sviluppo delle Pmi e delle micro-imprese è

alla base dell’impegno per l’intensificazione dei contatti e della collaborazione con le associazioni di categoria della piccola industria, del commercio e dell’artigianato.

Su di un piano differente, ma altrettanto rilevante, si collocano i contatti con la Confindustria e con il settore bancario e finanziario, il cui ruolo è determinante per il trasferimento di know-how e per il successo, ad esempio, delle iniziative congiunte tra i settori pubblico e privato.

Inoltre l'approvazione in Parlamento della norma relativa alla “de-tax” consente un dialogo intenso con il settore privato al fine di orientare i fondi raccolti verso iniziative internazionali di lotta alla povertà .

La Cooperazione italiana può deliberare, in attuazione dell’art. 7 della legge n. 49/87, il finanziamento parziale del capitale di rischio delle imprese miste. Per il finanziamento di questi progetti sono disponibili fondi a valere sul Fondo Rotativo costituito presso Artigiancassa.

La stabile collaborazione con le associazioni di categoria è importante per affinare questo strumento di cooperazione presso le aziende, specie le Pmi, potenzialmente interessate ad intervenire nei Pvs. Il sistema formativo: il ruolo delle Università e dei centri di eccellenza

La Cooperazione italiana vanta una solida tradizione nel sostenere la collaborazione tra le Università italiane e le Università dei Pvs, in particolare quelle africane. Negli ultimi anni si è registrato un ampliamento degli interventi in direzione dei Paesi balcanici e mediterranei, dove i programmi della Cooperazione italiana allo sviluppo si integrano con quelli di cooperazione culturale.

Lo sviluppo della cooperazione interuniversitaria e dei programmi di formazione dei Pvs viene promosso anche attraverso il finanziamento di corsi di specializzazione e di master, concordati tanto per i settori formativi quanto per la ripartizione geografica dei partecipanti.

Sono inoltre assidui i rapporti con la Conferenza dei Rettori e con il Consorzio Interuniversitario per la Cooperazione allo Sviluppo (Conics) per l’attuazione di programmi delle singole Università italiane in vari Paesi o aree d’intervento.

8 Ministero degli Affari Esteri - Cooperazione Italiana allo Sviluppo: Regioni ed enti locali: la cooperazione

decentrata - http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/Partner/CoopDecentrata/intro.html

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4.1 La cooperazione euromediterranea Il peso che la Commissione Europea attribuisce alla cooperazione territoriale nelle nuove prospettive

finanziarie del settennato 2014-2020, è superiore rispetto alla programmazione che si avvia a conclusione nell’anno corrente per un importo considerevole, attestato intorno ai 15 miliardi di euro (3 miliardi in più rispetto agli 11,7 miliardi del 2007-13). La nuova programmazione non sembra debba apportare modifiche all’architettura della cooperazione territoriale, così da riconfermare programmi di cooperazione transfrontaliera, interregionale e transnazionale. Immutato anche il metodo di distribuzione dei fondi allocati alla cooperazione territoriale, con la distribuzione che avviene attraverso gli stati membri (tenendo presente la popolazione delle regioni con almeno una frontiera).

I fondi impiegati nella cooperazione regionale non hanno sempre prodotto i frutti sperati. Il rischio elevato, l’instabilità politica dei paesi della riva sud, l'esigenza di far convergere interessi diversi, le differenze culturali ed economiche, sono elementi che hanno spesso condizionato i risultati finali. Tuttavia non sono mancati casi di successo, programmi e accordi tra stati che hanno avviato buone pratiche fondate sul perseguimento di vantaggi reciproci e coerenti.

Con il "Programma di sostegno alla cooperazione regionale – Accordo di programma Quadro (APQ) Paesi del Mediterraneo e dei Balcani sottoscritto il 2 dicembre 2005”, il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno inteso valorizzare il ruolo del sistema Italia e delle Regioni e Province Autonome nell'ambito della politica europea di sostegno ai processi di crescita dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo e dei Balcani Occidentali.

La finalità del Programma è quella di sostenere iniziative e progetti di cooperazione internazionale da realizzare in favore dell’area del Mediterraneo e dei Balcani, in partnership con le Regioni italiane e con altri soggetti esteri e, nello specifico, mira all’accrescimento delle competenze, delle capacità organizzative e gestionali e di cooperazione istituzionale delle Regioni nell’ambito dei processi di cooperazione internazionale.

Il Programma si articola in due sottoprogrammi: 1) L'Accordo di Programma Quadro (APQ) Paesi del Mediterraneo, del valore di 15 miliardi di euro,

riguarda la realizzazione di azioni di cooperazione internazionale di mutuo interesse, da realizzare in favore dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo. La Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome ha individuato la Regione Sardegna quale Regione Responsabile dell’Attuazione del Programma di Cooperazione per il Mediterraneo.

2) L’Accordo di Programma Quadro (APQ) Paesi dei Balcani, del valore di 8 miliardi di euro, supporta iniziative con i Paesi dell’Area Balcanica. La Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome ha individuato la Regione Piemonte quale Regione Responsabile dell’Attuazione del Programma di Cooperazione per i Balcani.

Il Programma si è articolato su 5 assi di intervento, che coincidono con gli assi di azione delle politiche europee:

- Linea 2.1 - Sviluppo Socio-economico (sottoarticolato in tre filoni: Integrazione delle filiere, dei sistemi produttivi e finanziari; Rafforzamento istituzionale integrato; Innovazione, ricerca, formazione e mercato del lavoro). - Linea 2.2 - Interconnessioni materiali e immateriali (Ricostruzione del quadro conoscitivo di base; Riorganizzazione dei processi logistici e del trasporto per distretti e/o filiere produttive; Attivazione/implementazione di collegamenti di linea intermodali, marittimi ed aerei; Formazione, assistenza tecnica e trasferimento di conoscenze di settore.) - Linea 2.3 - Ambiente e sviluppo sostenibile (creare rapporti stabili di cooperazione istituzionale, per lo scambio di buone prassi quale presupposto per l’integrazione euromediterranea su tematiche di prossimità; contribuire allo sviluppo di filiere integrate nell’ottica della lotta alla desertificazione nelle regioni mediterranee; contribuire a sviluppare un sistema razionale di pianificazione e gestione della risorsa idrica.) - Linea 2.4 - Dialogo e Cultura (la promozione del dialogo interculturale; la valorizzazione del patrimonio archeologico e culturale nel contesto territoriale di riferimento; la realizzazione di partnership tra istituzioni

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culturali; lo sviluppo di metodologie di valorizzazione esportabili; la formazione di una rete integrata di teatri antichi) - Linea 2.5 - Sanità e Welfare (il rafforzamento delle competenze e delle capacità organizzative e gestionali delle amministrazioni e degli operatori del settore; la promozione di partnership per contribuire all'omogeneizzazione di modelli per la valutazione dei bisogni e la pianificazione degli interventi.)

Le attività hanno coinvolto 10 paesi esteri: Area del Mediterraneo - Algeria, Marocco, Tunisia, Egitto e Giordania Area dei Balcani - Albania, Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina e Croazia.

L'APQ Paesi del Mediterraneo riguarda la realizzazione di azioni di cooperazione internazionale di mutuo interesse, da realizzare in favore dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo, in partnership con le Regioni e con altri soggetti pubblici e privati anche esteri.

Per l’APQ Mediterraneo è prevista l’attivazione di Tavoli di coordinamento degli interventi diretti verso i Paesi di prioritario interesse (Egitto, Marocco, Algeria, Tunisia e Giordania).

Responsabile dell’attuazione per l’APQ Paesi del Mediterraneo è la Regione Sardegna. 9

4.2 CASO DI BEST PRACTICE: S.P.I.I.E.

Negli ultimi anni gli ambiti in cui il partenariato regionale ha trovato maggior diffusione sono quello energetico, laddove l'esigenza di rifornimento di materie prime per la produzione d'energia da parte dei paesi della riva nord del Mediterraneo, coincidevano con l'abbondanza di materie stesse della riva sud; l'ambiente, con la necessità di favorire processi di sviluppo salvaguardando il territorio nel rispetto di una sostenibilità economica ed ambientale; l'agricoltura.

In quest'ultimo settore abbiamo individuato un caso di best practices che può essere replicato in diversi ambiti regionali. Nell'ambito dell'Accordo di Programma Quadro del Mediterraneo e del Programma di sostegno alla Cooperazione Regionale, con fondi dello Stato (Ministero Affari Esteri e Ministero dello Sviluppo Economico) e delle Regioni Italiane, la Puglia è stata capofila del Progetto SPIIE, per l'attivazione di sistemi produttivi integrati tra l'Italia e l'Egitto nel settore ortofrutticolo. Il progetto di Attivazione Sistemi Produttivi Integrati Italia-Egitto - S.P.I.I.E.10

Obiettivo del progetto è la condivisione di protocolli comuni per la produzione primaria e la manipolazione post-raccolta, per l'attivazione di sistemi di rintracciabilità e per incentivare l'aggregazione delle piccole azienda in modo da favorirne l'accesso ai mercati internazionali. Tra i partner del progetto, oltre agli enti locali individuati nelle regioni della Basilicata, Calabria, Sicilia, Lazio, Molise, Campania e Friuli Venezia Giulia, vi erano anche organizzazioni professionali e commerciali, università, centri di ricerca e assistenza tecnica regionali.

Finalità dell'iniziativa: - definizione di relazioni di carattere economico-produttivo tra imprese; - costituzione di rapporti commerciali stabili; - trasferimento di tecnologia e know-how per la valorizzazione di cicli produttivi.

9 http://www.europuglia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=56&Itemid=87

10 http://www.commodityaidegypt.it/utlcairo-cooperazione/IT/SezioneA/SPIIE.html

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Breve descrizione dell’iniziativa L’iniziativa ha contribuito al miglioramento della produzione ortofrutticola egiziana attraverso la fornitura di assistenza tecnica specializzata al Ministero egiziano dell’Agricoltura, alle altre competenti amministrazioni e ai centri produttivi. Detta assistenza tecnica é volta al miglioramento della qualità delle produzioni ortofrutticole egiziane e alla promozione di un proficuo scambio bilaterale tra i due Paesi nel rispetto dei principi di stagionalità e complementarietà. Essa risulta, inoltre, fondamentale per l’identificazione e formulazione di regolamentazioni e procedure di adeguamento agli standard internazionali di qualità e di tracciabilità dei prodotti e al trasferimento di capacità di pianificazione e gestione delle filiere agro-alimentari. Il Programma S.P.I.I.E. è realizzato con il contributo di due team, uno egiziano integrato da rappresentanti di ARC - HRI (Agriculture Research Center - Horticulture Research Institute, Istituzioni facenti capo al Ministero egiziano dell’Agricoltura) e uno italiano composto da rappresentanti degli enti esecutori (Sviluppo Lazio, ARSSA Calabria, Coldiretti Campania e ISVE Campania, Metapontum Agrobios, ERSA Friuli Venezia Giulia, Sviluppo Sicilia), coordinati dallo CIHEAM-IAM (Centre Internationale des Hautes Etudes Agronomique Mediterraneen - Mediterranean Agronomic Institute di Bari). Attività svolte e risultati conseguiti Fin dal settembre 2009, i team egiziano ed italiano hanno collaborato, conseguendo risultati importanti: - Elaborazione di un’analisi territoriale relativamente alla catena del fresco (frutta e verdura) in Egitto - Miglioramento delle Linee Guida per l’applicazione del sistema di traccibilità, per le buone pratiche e per le specifiche dei prodotti per i processi di produzione. - Elaborazione di proposte di regolamentazione volte ad incoraggiare l’aggregazione di piccoli produttori, attraverso forme adeguate di associazione. - Definizione di protocolli per i controlli dei beni in entrata e in uscita, in collaborazione con le Autorità italiane ed egiziane. - Formazione di oltre 400 quadri presso le Autorità egiziane competenti. In particolare, attraverso il contributo del GOEIC (General Organization for Export-Import Controls) e del suo NATS (National Traceability System), al fine di agevolare il processo di armonizzazione e lo scambio di informazioni, è stata realizzata, nel quadro del Progetto, una piattaforma web (gia visibile all'indirizzo http://eg-it-gateway.com), che a regime dovrebbe consentire ad operatori italiani ed egiziani di scambiarsi dati e documenti utili a facilitare gli interscambi commerciali. La piattaforma web è collocata in un Centro Servizi dedicato, presso la sede dell’ARC-HRI. Essa costituisce uno strumento fondamentale per inviare velocemente, ai porti di destinazione, i Certificati Fitosanitari dei prodotti esportati, rilasciati dal Servizio Nazionale Egiziano di Quarantena. La piattaforma, testata nel corso del 2011 durante la stagione delle patate (trasporto delle patate da Alessandria al Porto di Trieste), ha dimostrato la sua valenza strategica e le sue potenzialità nel migliorare le comunicazioni tra le Autorità competenti nei due Paesi, incrementandone efficienza ed efficacia. Durante il periodo di prova, sono state trasferite dall’Egitto all’Italia, oltre 32.000 tonnellate di patate. Si segnala, infine, che nel luglio 2011 si è tenuta la Conferenza Stampa finale del Progetto S.P.I.I.E. che ha permesso di illustrare i notevoli risultati conseguiti dall’iniziativa e che ha costituito una nuova occasione per ribadire pubblicamente lo speciale ruolo dell’Italia quale primo partner europeo e occidentale in Egitto, in campo agricolo ed agroalimentare, e più in generale, nell’intero spettro del rapporto economico-commerciale. Nell’agosto 2011, S.P.I.I.E. ha ottenuto un’estensione per un importo complessivo pari a Euro 262.343,10.

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V – PROSPETTIVE FUTURE

Le profonde trasformazioni economiche e sociali degli ultimi anni, spingono inevitabilmente ad un ripensamento della strategia dell'Unione Europea nel Mediterraneo: una strategia cui va riconosciuto, pur nella evidente constatazione dei limiti e delle oggettive difficoltà analizzate nel corso di questo studio, il merito di aver avviato con il Processo di Barcellona un percorso che ha rappresentato una svolta storica delle relazioni tra i paesi delle diverse rive del Mediterraneo.

Un cammino ancora lungo che va necessariamente adeguato al nuovo contesto, caratterizzato dall'emergere

di nuovi attori della società civile, da una maggiore spinta propulsiva delle istituzioni locali e dal radicale cambiamento delle relazioni politiche dei rapporti di forza sul piano economico tra i vari paesi dell'area.

Nella prima parte, la ricerca è stata incentrata sulle nuove opportunità delineate dalla Politica Europea di

Vicinato, in particolare attraverso lo strumento dell'ENPI (che nella prossima programmazione 2014-2020 sarà sostituito dal nuovo ENI, European Neighbourhood Instrument), che aprono la strada a nuove forme di cooperazione decentrata, idonee a trasformare i beneficiari dei progetti in attori del processo decisionale, realizzando un coinvolgimento della società civile e delle autorità locali diretta espressione delle istanze e delle esigenze dei territori interessati dalle azioni proposte.

Una modalità di cooperazione che va affermandosi in un momento storico in cui in Europa sta gradualmente

crescendo il peso delle iniziative degli enti locali e dall'associazionismo, nell'ambito di una logica di progressivo decentramento, in linea con il principio di sussidiarietà, cardine fondamentale del processo di costruzione europea.

Aspetti affrontati nella parte centrale dello studio, dopo un’analisi dell’attuale scenario del nostro

Mezzogiorno, esaminando i nuovi strumenti della cooperazione territoriale e focalizzandoci su un caso di best practice di cooperazione nel Mediterraneo.

Esempi di questo tipo mostrano le potenzialità di tali strumenti di cooperazione, che anche in momenti

delicati come questo, sul piano economico e geopolitico, se opportunamente utilizzati possono garantire opportunità di sviluppo produttivo ed occupazionale.

La nuova programmazione europea 2014-2020, concreta applicazione della nuova strategia dell’UE per la

crescita “Europa 2020” offrirà nei prossimi sette anni molteplici opportunità di sviluppo, al fine di garantire una crescita “smart” (fondata sulla conoscenza e sull’innovazione), “sustainable” (efficiente, competitiva e duratura) ed “inclusive” (che favorisca occupazione e coesione sociale e territoriale).

Opportunità di importanza strategica nei vari settori, quali cultura, ricerca, ambiente, formazione, sviluppo

regionale, inseriti ed integrati in variegati ambiti di intervento e numerose iniziative per lo sviluppo dell'economia locale: una possibilità per le piccole realtà pubbliche e private di giocare un ruolo da protagonisti nell'economia europea e rilanciare la crescita economica nei rispettivi territori attraverso la valorizzazione delle proprie risorse.

Un’opportunità da non perdere per colmare il divario economico e sociale delle aree depresse rispetto a

quelle più avanzate e rilanciare le economie dei Mezzogiorni d’Europa e del Mediterraneo, rendendoli protagonisti delle sfide del prossimo decennio.

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Bibliografia

Amoroso B., Europa e Mediterraneo. Le sfide del futuro, Bari, Dedalo, 2000. Bono S., Il Mediterraneo da Lepanto a Barcellona, Perugia, Morlacchi Editore, 2001 Coppola C. – Rosa G., Il Sud aiuta il Sud. le tesi di Confindustria per il rilancio del Mezzogiorno, Rubbettino, 2010 Delle Donne, Mediterraneo di qua e di là dal mare, Italia e Tunisia Ediesse 2002 Gallina A., Economie Mediterranee. Tra globalizzazione e integrazione meso-regionale, Troina, Città aperta, 2005 Gillespie R. The Euro-Mediterranean Partnership, Routledge, 1997 Habich G., Politiche di confine nel Mediterraneo, Rubbettino, 2004 Loughlin J. – Hendriks F. – Lidstrom A., The Oxford handbook of local and regional democracy in Europe, Oxford University Press, 2011 Marsala B., La politica mediterranea dell'Unione europea, in Relazioni socio-economiche e culturali euro-mediterranee. Master di II livello. Materiali e strumenti, a cura di Benedetta Bovenzi e Valerio Panza, Università degli studi di Napoli "L'Orientale", A.A 2006-2007, pp. 233-243. Pepicelli R., 2010 Un nuovo ordine mediterraneo? Messina, Mesogea, 2004 Praussello F., Sustainable Development in the Mediterranean Countries following the EU Enlargement, Ed Franco Angeli, 2004 Rapporto ISSM - CNR – 2013 Rapporto 2010 Osservatorio di Politica Internazionale - Bilancio e prospettive della cooperazione euromediterranea. Romagnoli A., Sviluppo economico e libero scambio euro mediterraneo, Milano, Jaka Book, 2000 Siti web: www.cor.europa.eu

www.enpi-info.eu

www.euromedalex.org

www.euromedi.org

www.euromedp.org

www.europa.eu

www.europalab.net

www.europuglia.it

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Profilo degli autori:

Roberto Giuliani, nato a Napoli il 24/06/1978, Laureato in Economia Aziendale presso l’Università di Napoli

Federico II, Master in Gestione delle Risorse Umane. Progettista della Formazione, dal 2008 ha operato presso

aziende ed enti di formazione, tra i quali Consorzio Elis, Ericsson Telecomunicazioni spa, Fondimpresa.

Dal maggio 2011 ricopre il ruolo di Presidente dell’ Associazione Prospettiva Europea, nell’ambito della quale

coordina l’implementazione di attività di ricerca, formazione e progettazione legate allo scenario europeo e alla

programmazione comunitaria: cicli di seminari di approfondimento “Verso Europa 2020” (a Napoli presso le

strutture dell’Università “L’Orientale”, a Roma in collaborazione con Rubbettino Editore), workshop informativi

sui programmi europei e sulle modalità di partecipazione, percorsi formativi incentrati sulle metodologie di

europrogettazione, costituzione di gruppi di lavoro impegnati nel monitoraggio dei bandi comunitari e la

successiva elaborazione di idee progettuali e implementazione di progetti.

Coordina laboratori di approfondimento finalizzati alla pubblicazione di ricerche, articoli e saggi sul sito

dell’Osservatorio Europalab (europalab.net) promosso da Prospettiva Europea.

In collaborazione con l'Agenzia di Comunicazione Medinapoli, nell'ambito dei laboratori di giornalismo, coordina

gruppi di lavoro per l'approfondimento di tematiche legate all'attualità politica ed economica europea.

Collabora alla rivista economica “Dossier Unione Europea” a cura di SRM - Studi e ricerche per il Mezzogiorno.

Paolo Carotenuto, nato a Napoli il 19/08/1974, Giornalista pubblicista, opera da anni nel settore della

comunicazione e della formazione.

Amministratore unico dell’Agenzia di comunicazione Medinapoli, cura servizi di ufficio stampa e comunicazione

politica.

Dal 2007 organizza corsi di giornalismo, curandone la didattica e la promozione. Nell'ambito dei laboratori

coordina gruppi di lavoro per l'approfondimento di tematiche legate all'attualità politica ed economica europea.

È stato fondatore del primo aggregatore di blog di approfondimento politico, Il Legno Storto. Ha partecipato

all'implementazione e alla nascita di progetti editoriali digitali quali Tocque-ville.it e Parlamentonline.com.

Ricopre il ruolo di Segretario Direttivo dell’Associazione Prospettiva Europea, nell’ambito della quale, dal 2011,

cura le attività di comunicazione, la gestione della piattaforma web, la dissemination dei progetti,

l’organizzazione dei seminari “Verso Europa 2020” e dei percorsi di europrogettazione, la pubblicazione di

ricerche, articoli e saggi sul sito dell’Osservatorio Europalab.

Nell’ambito delle attività di pubblicazione, coordina il giornale on line Medinapoli e collabora alla rivista

economica “Dossier Unione Europea” a cura di SRM - Studi e ricerche per il Mezzogiorno.