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CURRICULUM VITAE DI GABRIELLA AUTORINO Professore ordinario di Sistemi giuridici comparati Direttore del Dipartimento di Diritto dei Rapporti Civili ed Economici Facoltà di Giurisprudenza Università degli Studi di Salerno

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CurriCulum Vitae

di

Gabriella autorino

Professore ordinario diSistemi giuridici comparati

Direttore del Dipartimento diDiritto dei Rapporti Civili ed Economici

Facoltà di GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Salerno

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PubbliCazioni

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1. Divorzio e tutela della persona: l’esperienza francese, ita-liana e tedesca, Napoli, 1981, pp. 331;

2. Sui rapporti familiari nel vigente ordinamento spagnolo: in comparazione con il diritto italiano, Napoli, 1984, pp. 293;

3. Conception générale de la famille dans l’Italie du XVIIIéme siécle. Congrés international Bicentenaire de la Révolution française, Paris, 29-9/3-10 ,1986;

4. Estructura y function de las multipropriedades en la expe-riencia juridica italiana. Jornades de Dret Català a Tossa, 25-28 settembre 1986, Barcellona, 1988, 177-199;

5. Divorzio in diritto comparato, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1990, vol. VI, pp. 497-508;

6. Infermità mentale e tutela del disabile negli ordinamenti francese e spagnolo, Napoli, 1990, pp. 337;

7. La protezione civilistica del disabile per infermità mentale nell’ordinamento francese, in Riv. dir. civ., 1991, I, pp. 523,

8. Sulla responsabilità dell’infermo di mente nell’esperienza francese, in Rass. dir. civ., 1991, pp. 360;

9. Sulla concezione generale della famiglia nell’Italia del XVIII secolo, in Dir. fam. e pers., 1992, pp. 313;

10. Situazioni giuridiche esistenziali, capacità e incapacitacion: il modello spagnolo e gli ordinamenti latino-americani. Il diritto dei nuovi mondi, Genova, 1992;

11. La vita e la morte nel diritto: i Trapianti. Profili comparati-stici, in AA.VV., La vita e la morte nel diritto, Camerino, 1992, pp.2 ss.;

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12. Matrimonio, confessioni religiose e ordinamenti giuridici nell’esperienza europea, in AA. VV., Studi in onore di G. Gorla, 1994, II, pp. 1541;

13. Situazioni giuridiche esistenziali, capacità e incapacitacion: il modello spagnolo e gli ordinamenti latino- americani, in AA. VV., Studi in onore di R. Sacco, Padova, 1994;

14. Le “responsabilità speciali”. Modelli italiani e stranieri, Napoli, 1994;

15. Matrimonio in diritto comparato, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1995, vol. XI, pp. 296-317;

16. I figli nella crisi della famiglia: esperienze europee a con-fronto, in Vita not., 1995, pp. 26;

17. «Au même but par voies differéntes»: alle radici della com-parazione, Salerno,1996;

18. Diritto di famiglia, Torino, 1997, pp., 426;

19. Protezione giuridica dei minori. Profili delle esperienze italiana e spagnola, Salerno, 1997;

20. Separazione in diritto comparato, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 1998, vol. XVIII, pp. 427-451;

21. Il matrimonio del minore in Spagna, in Dir. fam. e pers., 1998, I, pp. 695-714;

22. I figli nella crisi della famiglia: esperienze europee a con-fronto, in Rassegna di Teologia, 1998, pp. 33;

23. La famiglia “non fondata sul matrimonio”, in AA.VV., Studi in onore di P. Rescigno, Milano, 1998, pp. 550-600;

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24. L’insegnamento dei sistemi giuridici comparati, Salerno, 1999;

25. Diritto Comparato, comunitario e transnazionale: lezioni per un master, Salerno, 2000;

26. Problemi del contratto e della responsabilità, in Quaderni del Dipartimento di Diritto dei rapporti civili ed economici nei sistemi giuridici contemporanei, Salerno, 2000;

27. L’autonomia contrattuale nel sistema giuridico latinoa-mericano, in Rivista ‘Roma e America. Diritto Romano Comune’, 12/2001, 121

28. Autonomia privata and family relationships, between legal and de facto situations, in AA.VV., Rapports nationaux italiens au XVI Congres International de Droit Compare, 2002, pp. 81-234;

29. “Autonomia privata” and family relationship, between legal and de facto situations, Salerno, 2002;

30. Ricerca scientifica, consenso, tutela della persona, in AA.VV, Atti XVI Colloquio biennale “Scienza e diritto nel prisma del diritto comparato, Milano, 2003;

31. Diritto di famiglia, Torino, II ed., 2003, pp. 531;

32. I rapporti familiari. Il matrimonio. Il sistema delle inva-lidità matrimoniali. Il matrimonio concordatario ed il matrimonio religioso con effetti civili. I rapporti personali tra coniugi. La separazione personale. Il divorzio. La filia-zione. Le adozioni. I rapporti patrimoniali tra coniugi, in Diritto privato. Lineamenti istituzionali, Torino, 2003, pp. 348-446;

33. Ricerca scientifica, consenso, tutela della persona, in

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AA.VV., Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, Milano, 2005, IV - diritto civile, pp. 4135-4172;

34. I rapporti patrimoniali. L’impresa familiare, Torino, 2005, XXXVII, pp. 642;

35. Autonomia privata e accordi coniugali, in Ruscello F., Accordi sulla crisi della famiglia e autonomia coniugale, Padova, 2006, pp. 150-185;

36. Ricerca scientifica, consenso, tutella della persona, in Revista do direito, edunisc santa cruz do sul (brasil), 2006, vol. 26, pp. 41-57;

37. Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza. Trattato teorico pratico. Il matrimonio. I rapporti personali, Torino, 2005, vol. I, pp. XXXVII-702;

38. Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza. Trattato teorico pratico. La separazione. Il divorzio, Torino, 2005, vol. II, pp. XXXVIII-662;

39. Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza.Trattato teorico pratico. I rapporti patrimoniali, Torino, 2005, vol. III, pp. XXXVIII-650;

40. Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza.Trattato teorico pratico. La filiazione. La potestà dei geni-tori. Gli istituti di protezione, Torino, 2006, vol. IV, pp. XXXIX-814;

41. Attribuzione e trasmissione del cognome. Profili compara-tistici, in G. Autorino, Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza, Trattato teorico pratico, Torino, 2007, vol. V;

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(Opere in collaborazione)

1. Traduzione italiana di M. Ancel, Utilità e metodi del diritto comparato, Camerino-Napoli, 1974;

2. Augusto Teixeira de Freitas e problemi di capacità dei mi-nori, in Atti del Convegno Roma 12-14 dicembre1983, Padova, 1988, 449 e anche in Rass. dir. civ., 1984;

3. Comparazione e diritto civile. Saggi, Napoli, 1987;

4. Diritto di famiglia. Studi per un insegnamento, Salerno, 1995;

5. Circolazione di autoveicoli e responsabilità civile, Milano, 1995, pp. 450;

6. Sistemi giuridici comparati: ipotesi applicative, Salerno, 1997;

7. Diritto civile e situazioni esistenziali, Torino, 1997;

8. Diritto comparato, comunitario e transnazionale. Lezioni per un master, t. I e II, Salerno, 2000;

9. Le adozioni nella nuova disciplina, Milano, Giuffré, 2001.

10. Affidamenti familiari, Milano, 2002;

11. Il divorzio: disciplina, procedure e profili comparatistici, Milano, 2002, pp. 500;

12. Amministrazione di sostegno, Commento alla Legge 9 gennaio 2004, n.6, Milano, 2004;

13. Separazione personale dei coniugi: aspetti problematici e nuove prospettive, Milano, 2005, pp. 372;

14. Unioni di fatto e patti civili di solidarietà. Prospettive de iure condendo, in G. Autorino, Il diritto di famiglia nella

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dottrina e nella giurisprudenza, Trattato teorico pratico, Torino, 2007, vol. V;

15. Sistemi giuridici comparati. Percorsi, Salerno, 2007.

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Corriere giuridico 4/2009 489

GiurisprudenzaFamiglia

....Omissis...

Motivi della decisione1. Con il primo motivo, deducendo il vizio di violazionedi legge, nel senso di erronea affermazione dell’esistenzadi una norma, i ricorrenti censurano l’affermazione dellacorte territoriale secondo la quale (conformemente aquanto ritenuto con la sentenza di questa Corte n.16093/2006) esisterebbe una norma di sistema che attri-buisce al figlio legittimo il cognome paterno, dovendo in-vece ritenersi che la disciplina applicabile sia dettata dauna norma consuetudinaria.A tal fine si afferma che i dati testuali dai quali è stata de-sunta la norma implicita sarebbero quantitativamente equalitativamente insufficienti per giustificare la conclu-sione raggiunta, sia perché le disposizioni di legge indica-te (artt. 237, 262 e 299 c.c. e artt. 33 e 34 d.P.R. n. 396del 2000, sarebbero eterogenee, sia perché, comunque,non sarebbero univoche nell’autorizzare l’opinione se-condo la quale le norme stesse presuppongono una nor-ma implicita sull’automatica attribuzione al figlio legitti-mo del cognome paterno, potendo intendersi come sem-plici prese d’atto di una consuetudine sociale nel sensoindicato.Con il secondo motivo, prospettando un altro profilo diviolazione o in subordine di falsa applicazione di legge, iricorrenti affermano che, anche ad ammettere che la ma-teria sia regolata non da una consuetudine ma da unanorma di legge implicita, la Corte territoriale avrebbe er-rato nell’attribuire a tale norma la portata di vietare l’at-tribuzione del cognome materno anche in caso di con-corde volontà dei coniugi, non avendo tenuto presenteche l’automatica attribuzione del cognome paterno in-contra il duplice limite del principio della libertà di scel-ta del cognome dei figli, desumibile dall’art. 262 c.c. edall’art. 33, n. 1 d.P.R. n. 396 del 2000, e dell’esigenza digarantire l’eguaglianza dei coniugi di cui agli artt. 2, 3 e

29 Cost.; artt. 143 e 144 c.c.; artt. 8 e 14 della Conven-zione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fonda-mentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950; artt. 3, 137e 141 del trattato istitutivo Ce e alla dichiarazione uni-versale dei diritti dell’uomo adottata in sede ONU il 10dicembre 1948 e dalla convenzione europea sull’elimina-zione di ogni forma di discriminazione nei confronti del-la donna, adottata nella stessa sede il 18 dicembre 1979.Con il terzo motivo, per il caso di mancato accoglimentodei precedenti motivi, i ricorrenti sollecitano una nuovarimessione della questione alla Corte costituzionale,prendendo atto che la stessa Corte con la sentenza n. 61del 2006 ha riconosciuto che l’attuale sistema di attribu-zione del cognome «non è più coerente con i principidell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’ugua-glianza tra uomo e donna» e ritenendo, in conformitàcon la dottrina, che l’eventuale accoglimento della que-stione non creerebbe un vuoto legislativo, perché al difuori dell’ipotesi di attribuzione del cognome materno incaso di concorde volontà espressa dai coniugi, continue-rebbe ad operare l’attuale sistema di automatica attribu-zione del cognome paterno.2. Con sentenza n. 16093 del 2006 questa Corte, deci-dendo sul ricorso dei coniugi C. - F. proposto nei con-fronti di provvedimento negativo della Corte d’appellodi Milano su richiesta, analoga a quella di cui è causa, re-lativa ad altro figlio, preso atto che, con sentenza n. 61del 16 febbraio 2006, la Corte costituzionale ha dichiara-to inammissibile la questione di legittimità degli artt. 143bis c.c.; artt. 236 c.c.; art. 237,comma 2 c.c.; art. 262 c.c.;art. 299, comma 3, c.c. artt. 33 e 34 d.P.R. n. 396 del2000, nella parte in cui prevedono che tale attribuzionedebba avvenire automaticamente anche quando vi siauna diversa volontà dei genitori, in riferimento agli artt.2 e 3 Cost. ed all’art. 29 Cost., comma 2 - sollevata conordinanza n. 13298/2004 - sul rilievo che, anche in rela-zione al circoscritto petitum della predetta ordinanza (li-

Attribuzione del cognome al figlio legittimo

I

CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 22 settembre 2008, n. 23934, ord. inter. - Pres. Luccioli - Rel. Salmè- P.M. Schiavon - C.A. (avv. Fazzo) c. Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano

Deve essere rimessa alle Sezioni Unite la questione concernente l’ipotesi in cui i genitori siano concordi nel-

l’attribuire al figlio legittimo il cognome materno per valutare, alla luce della mutata situazione della giuri-

sprudenza costituzionale e del probabile mutamento delle norme comunitarie, se possa essere adottata un’in-

terpretazione della norma di sistema costituzionalmente orientata ovvero se tale soluzione sia ritenuta esor-

bitante dai limiti dell’attività interpretativa

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Per la giurisprudenza di legittimità si v. Cass.17 luglio 2004, n. 13298, ord., in Fam. e dir. 2004, 457con nota di V. Carbone; Cass. 14 luglio 2006, n. 16093 e Cass. 26 maggio 2006, n. 12641, entrambein Fam. e dir., 2006, 469 ss. con nota di .V. Carbone; Corte cost. 16 febbraio 2006, n. 61; per quella dimerito cfr. App. Milano 4 giugno 2002, in Fam e dir., 2003, 173 con nota di Figone; Trib. Bologna 9 giu-gno 2004, in Fam e dir., 2004, 441 con nota di Bugetti; Consiglio di Stato 25 gennaio 1999, n. 63, inCons. Stato, 1999, I, 38.

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mitato alla richiesta di esclusione dell’automatismo dellaattribuzione al figlio del cognome paterno nella sola ipo-tesi di manifesta concorde volontà dei coniugi in tal sen-so) resterebbe “aperta tutta una serie di opzioni” e, quin-di, che “l’intervento che si invoca richiede un’operazionemanipolativa esorbitante dai poteri della Corte”, ha rite-nuto che all’accoglimento del ricorso si oppone la sussi-stenza della norma attributiva del cognome paterno al fi-glio legittimo - sia pure “retaggio di una concezione pa-triarcale della famiglia” e sia pure non in sintonia con lefonti sopranazionali (che impongono agli Stati membril’adozione di misure adeguiate ad eliminare discrimina-zioni di trattamento nei confronti della donna) - chespetta comunque al legislatore ridisegnare in senso costi-tuzionalmente adeguato”.Ritiene il collegio che la soluzione alla quale la Corte è inprecedenza pervenuta meriti di essere riesaminata alla lu-ce di alcune circostanze sopravvenute e a tal fine sia op-portuno rimettere gli atti al primo presidente per l’even-tuale assegnazione alle sezioni unite.3.1. Com’era stato già segnalato con l’ordinanza 17 luglio2004, n. 13298 ed è stato ribadito con la sentenza dellaCorte costituzionale n. 61 del 2006, la norma sull’auto-matica attribuzione del cognome paterno al figlio legitti-mo, anche in presenza di una diversa contraria volontàdei genitori, desumibile dal sistema normativo, in quantopresupposta dagli artt. 237, 262 e 299 c.c. nonché dal-l’art. 72 comma 1 R.D. n. 1238 del 1939 e, ora, dall’art.33 e 34 d.P.R. n. 396 del 2000, oltre a non essere più coe-rente con i principi dell’ordinamento, che ha abbando-nato la concezione patriarcale della famiglia, e con il va-lore costituzionale dell’eguaglianza tra uomo e donna, sipone in contrasto con alcune norme di origine soprana-zionale.A parte, infatti la risoluzione del Comitato dei ministridel Consiglio d’Europa 27 settembre 1978 n. 376 (che in-vita gli Stati membri a eliminare ogni discriminazionefondata sul sesso nella scelta del nome della famiglia enella trasmissione dei nomi dai genitori ai figli) e le rac-comandazioni del Consiglio d’Europa del 28 aprile 1995n. 1271 (che chiede agli Stati membri di adottare misureappropriate per garantire una rigorosa eguaglianza tra iconiugi nella scelta del nome della famiglia) e 18 marzo1998, n. 1362 (che, nel reiterare gli inviti precedente-mente formulati, chiede agli Stati membri di indicare en-tro quale termine adotteranno le misure antidiscrimina-torie), la norma di cui si discute appare contrastante conl’art. 16, 1 comma lettera g) della convenzione sull’elimi-nazione di ogni forma di discriminazione nei confrontidella donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979,ratificata e resa esecutiva con L. 14 marzo 1958, n. 132,che impegna gli Stati contraenti ad adottare tutte le mi-sure adeguate per eliminare la discriminazione nei con-fronti della donna in tutte le questioni derivanti dal ma-trimonio e nei rapporti familiari e, in particolare, ad assi-curare “gli stessi diritti personali al marito e alla moglie,compresa la scelta del cognome...”.Della violazione degli artt 8 e 14 della Convenzione eu-ropea sui diritti dell’uomo la Corte di Strasburgo ha di-

scusso in alcuni casi aventi ad oggetto vicende relative alnome patronimico. In particolare nei casi Unal Teseli c.Turchia (sentenza 16 febbraio 2005, che ha dichiaratopriva di qualsiasi giustificazione oggettiva e ragionevole,in quanto non necessaria per soddisfare esigenze di salva-guardia dell’unità familiare, la norma che imponeva alladonna la perdita del cognome d’origine, in caso di matri-monio, o che, a seguito di recenti modifiche della legisla-zione turca, consente solo l’aggiunta di tale cognome aquello del marito), Stjerna c. Finlandia (sentenza 24 otto-bre 1994, che, pur ammettendo che decisioni degli Statimembri in ordine al nome possono violare le disposizionicitate, ha in concreto negato la sussistenza di tale viola-zione nel rifiuto di consentire il cambiamento del nomeusato da oltre duecento anni dalla famiglia del richieden-te), Bourghatz c. Svizzera (sentenza 24 gennaio 1994, cheha dichiarato costituire violazione degli artt. 8 e 14 il ri-fiuto dell’autorità svizzera, di consentire al marito di ag-giungere al nome della moglie, scelto dai coniugi comenome della famiglia, anche il proprio cognome d’origi-ne). Non va tralasciato, inoltre, che l’art. 5 del settimoprotocollo addizionale della convenzione, firmato a Stra-sburgo il 22 novembre 1984 stabilisce che i coniugi godo-no dell’uguaglianza di diritti e di responsabilità di carat-tere civile tra di essi e nelle loro relazioni con i loro figliriguardo al matrimonio, durante il matrimonio e in casodi suo scioglimento.In una fattispecie particolare (si trattava di figli di padrespagnolo e madre belga, con doppia cittadinanza spagno-la e belga, ai quali il Belgio, stato di residenza, aveva at-tribuito il cognome paterno che il padre voleva corregge-re nel doppio cognome) anche la Corte di giustizia CE(sentenza 2 ottobre 2003, n. C-148/02) è intervenuta adaffermare che il comportamento dello Stato di residenzache rifiutava la correzione costituisce discriminazione inbase alla nazionalità vietata dagli artt. 12 e 17 del Tratta-to.Gli artt, 3 e 23, comma 4 del Patto internazionale sui di-ritti civili e politici adottato dall’assemblea generale del-l’ONU il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivocon L. 25 ottobre 1977, n. 881, prevedono, rispettiva-mente, l’impegno degli Stati a garantire l’eguale dirittidegli uomini e delle donne a godere dei diritti civili e po-litici previsti dal Patto e ad adottare le misure per garan-tire ai coniugi l’eguaglianza nel rapporto matrimoniale eal momento dello scioglimento di tale rapporto.3.2. Con le sentenze n. 348 e 349 del 24 ottobre 2007 laCorte costituzionale ha affermato che il nuovo testo del-l’art. 117, comma 1, Cost. colmando la lacuna esistentenella disciplina previgente, in conseguenza della quale“la violazione di obblighi internazionali derivanti da nor-me di natura convenzionale non contemplate dall’art. 10Cost. e dall’art. 11 Cost. da parte di leggi interne com-portava l’incostituzionalità delle medesime solo con rife-rimento alla violazione diretta di norme costituzionali”(così la sent. 348/2007), ha previsto l’obbligo del legisla-tore ordinario di rispettare dette norme con la conse-guenza che la norma nazionale con le stesse incompatibi-le viola per ciò stesso l’art. 117, comma 1, Cost. perché la

Corriere giuridico 4/2009490

GiurisprudenzaFamiglia

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norma convenzionale, alla quale la norma costituzionalefa rinvio “mobile”, “dà vita e contenuto a quegli obblighiinternazionali genericamente evocati e, con essi, al para-metro, tanto da essere comunemente qualificata “normainterposta” (sent. 348/07).Ora, poiché nessuna delle norme convenzionali indicateal precedente paragrafo rientra nella sfera di applicazionedegli artt. 10 e 11 Cost. (che il Patto internazionale suidiritti civili e politici, benché approvato dall’assembleadell’ONU, non abbia natura di norma di diritto interna-zionale generalmente riconosciuta, in quanto di forma-zione convenzionale e non consuetudinaria, è stato affer-mato da Corte cost. n. 15 del 1996, con considerazioniimmediatamente applicabili anche alla convenzione diNew York del 18 dicembre 1979, mentre, per l’esclusionedelle norme CEDU dalle fattispecie di cui agli artt. 10 e11 Cost., cfr. le citate sentenze nn. 348 e 349/2007), nederiva che la possibilità di utilizzarle come norme inter-poste e quindi come parametri del giudizio di costituzio-nalità delle norme interne (non presa in considerazionedalla sentenza n. 61 del 2006) è sorta soltanto a seguitodell’approvazione del nuovo art. 117 Cost., comma 1, co-sì come interpretato con le sentenze nn. 348 e 349/2007.Quindi solo attualmente il giudice ha la possibilità di per-correre la duplice alternativa strada dell’interpretazionedella norma sull’applicazione automatica del cognomepaterno al figlio legittimo, anche in caso di concordedifforme volontà dei genitori, in senso costituzionalmen-te orientato al rispetto dei parametri desumibili dalle nor-me convenzionali indicate al paragrafo precedente ovve-ro, nel caso in cui ritenga che il testo della norma (nellaspecie, come rilevato, si tratta tuttavia di norma implici-ta nel sistema) non consenta questa operazioni ermeneu-tica, di valutare se non sia manifestamente infondato ildubbio di legittimità costituzionale della norma stessa.4. Il 13 dicembre 2007 i capi di Stato e di governo dei ven-tisette membri dell’Unione europea hanno sottoscritto aLisbona il trattato che modifica il trattato sull’Unione equello istitutivo della Comunità europea. Oltre a modifi-che formali ai testi dei trattati indicati (la parità tra donnee uomini è oggetto dell’art. 1 bis e la lotta alla discrimina-zione e la promozione della parità è oggetto dell’art. 2,comma 3, secondo periodo del trattato sull’Unione) (l’art.6 del nuovo trattato riconosce i diritti, le libertà e i princi-pi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione,sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000 dai presidenti delparlamento europeo, del consiglio e della commissione eadottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (l’art. 7 affermail diritto al rispetto della vita privata e familiare; l’art. 21vieta ogni discriminazione fondata sul sesso; l’art. 23 assi-cura la parità tra uomini e donne) e prevede l’adesione al-la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti del-l’uomo, stabilendo, comunque, che i diritti fondamentaligarantiti da detta convenzione e risultanti dalle tradizionicostituzionali comuni agli Stati membri costituisconoprincipi generali del diritto 11 dell’Unione.Con la ratifica del trattato di Lisbona, di cui alla L. 2 ago-sto 2008, n. 130, si dovrebbe quindi aprire la strada al-l’applicazione diretta delle norme del trattato stesso e di

quelle alle quali il trattato fa rinvio e, comunque s al con-trollo di costituzionalità che, anche nei rapporti tra dirit-to interno e diritto comunitario non può essere escluso:a) quando la legge interna è diretta ad impedire o pregiu-dicare la perdurante osservanza dei trattati della comu-nità in relazione al sistema o al nucleo essenziale dei suoiprincipi;b) quando venga in rilievo il limite del rispetto dei prin-cipi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e deidiritti inalienabili della persona;c) quando si ravvisa un contrasto fra norma interna e di-rettiva comunitaria non. dotata di efficacia diretta (Cor-te cost., 13 luglio 2007, n. 284).5. Già con l’ordinanza n. 176 del 1988 la Corte costitu-zionale ha affermato che «sarebbe possibile, e probabil-mente consentaneo all’evoluzione della coscienza socia-le, sostituire la regola vigente in ordine alla determina-zione del nome distintivo dei membri della famiglia co-stituita dal matrimonio con un criterio diverso, più ri-spettoso dell’autonomia dei coniugi, il quale concilii idue principi sanciti dall’art. 29 Cost., anziché avvalersidell’autorizzazione a limitare l’uno in funzione dell’al-tro». Con la sentenza n. 61 del 2006, inoltre, la Corte haribadito, ancora più nettamente, che «l’attuale sistema diattribuzione del cognome è retaggio di una concezionepatriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radi-ci nel diritto di famiglia romanistica, e di una tramontatapotestà maritale, non più coerente con i principi dell’or-dinamento e con il valore costituzionale dell’eguaglianzatra uomo e donna.» In entrambi i casi la Corte ha impli-citamente sollecitato un intervento del legislatore che,pur avendo affrontato il tema da ormai quasi un trenten-nio (proposta di L. 30 ottobre 1979, n. 382), non è anco-ra pervenuto a soluzioni concrete.Nel panorama degli ordinamenti contemporanei la solu-zione al problema della attribuzione del cognome al figliolegittimo data dalla normativa italiana appare quasi deltutto isolata, anche se le opzioni alle quali sono ispirate lediscipline straniere sono diverse tra loro. Ma tale plura-lità di opzioni relative alla complessiva problematica del-l’attribuzione del cognome al figlio legittimo, la cui scel-ta indubbiamente compete al legislatore, non viene ne-cessariamente in considerazione rispetto alla fattispecieconcreta, che riguarda la sola ipotesi in cui i genitori sia-no concordi nell’attribuire al figlio il cognome materno.La soluzione in tal caso appare “a rima obbligata”, perchési tratta non di scegliere tra una pluralità di alternative,ma solo tra l’ammettere o escludere la possibilità di dero-ga alla norma di sistema, in un contesto in cui le altre fat-tispecie non resterebbero prive di regole dovendo allestesse comunque applicarsi la predetta norma implicita.Peraltro una scelta conforme alle richieste concordi deigenitori risulta compiuta da alcuni giudici del merito. Iltribunale di Lucca, con sentenza del 1 ottobre 1984, haritenuto che l’attribuzione automatica del cognome pa-terno al figlio legittimo, contrastando con il principio dieguaglianza morale e giuridica dei coniugi e con la tuteladella personalità, autorizza l’accoglimento della domandacongiunta dei genitori diretta ad aggiungere a quello pa-

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terno il cognome della madre e il tribunale di Bologna,con sentenza del 9 giugno 2004, ha accolto l’istanza per lacorrezione di un atto di nascita di un minore di doppiacittadinanza italiana e spagnola, nato in Spagna ed iscrit-to nei registri dello stato civile spagnoli con il doppio co-gnome, a cui in sede di trascrizione dell’atto di nascital’ufficiale di stato civile italiano aveva attribuito il solocognome paterno, ravvisando nella decisione dell’ufficia-le di stato civile la violazione del combinato disposto de-gli artt. 12 e 17 CE, così come interpretati dalla Corte digiustizia con la citata sentenza 2 ottobre 2003.Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con decisio-ne del 25 gennaio 1999, n. 63 (sez. IV), ha ritenuto ille-gittimo il rifiuto dell’autorità amministrativa di consenti-re l’aggiunta del cognome materno a quello paterno, incaso di consenso di entrambi i genitori e di uso di tale co-gnome nel contesto familiare, scolastico e sociale, anchetenendo conto dell’evoluzione della coscienza sociale edel contesto europeo, e, con parere del 17 marzo 2004, n.515 (sez. I), reso nell’ambito di un procedimento iniziatocon ricorso straordinario al Capo dello Stato, ha ritenuto

fondata la richiesta al Ministro dell’interno, concorde-mente formulata dai genitori, per il cambiamento del co-gnome del figlio legittimo con l’attribuzione del cognomematerno, motivata con ragioni di riconoscenza nei con-fronti del nonno materno, ritenendo non irrinunciabile ildiritto al cognome paterno e non condivisibile la moti-vazione secondo la quale la sostituzione del cognomecomprometterebbe lo status di figlio legittimo e i valoridella famiglia fondata sul matrimonio.Sulla base delle considerazioni svolte appare opportunotrasmettere gli atti al Primo Presidente ai fini della even-tuale rimessione alle Sezioni Unite per valutare se ai finidella presente controversia, alla luce della mutata situa-zione della giurisprudenza costituzionale e del probabilemutamento delle norme comunitarie, possa essere adot-tata un’interpretazione della norma di sistema costituzio-nalmente orientata ovvero, se tale soluzione sia ritenutaesorbitante dai limiti dell’attività interpretativa, la que-stione possa essere rimessa nuovamente alla Corte costi-tuzionale....Omissis....

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GiurisprudenzaFamiglia

II

CORTE DI GIUSTIZIA, Grande Sezione, 14 ottobre 2008, n. C-353/06 - Pres. Skouris - Avv. gen.Sharpston - Grunkin e Paul c. Standesamt Niebüll

L’art. 18 CE osta a che le autorità di uno Stato membro, in applicazione del diritto nazionale, rifiutino di rico-

noscere il cognome di un figlio così come esso è stato determinato e registrato in un altro Stato membro in

cui tale figlio - che, al pari dei genitori, possiede solo la cittadinanza del primo Stato membro - è nato e risie-

de sin dalla nascita.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Corte giust. 2 ottobre 2003, n. C-148/02, Carlos Garcia Avello c. Regno del Belgio, in Fam e dir.2004,437 con nota di M. N. Bugetti.

Sentenza,,,Omissis..

Causa principale e questione pregiudiziale5 Il 27 giugno 1998 nasceva in Danimarca LeonardMatthias Grunkin-Paul, figlio della sig.ra Paul e delsig. Grunkin, che all’epoca erano sposati e che sono en-trambi cittadini tedeschi. È anch’egli cittadino tedesco evive dalla nascita in Danimarca.6 In conformità al certificato di riconoscimento del no-me («navnebevis») rilasciato dalla competente autoritàdanese, il figlio riceveva, in virtù del diritto danese, il co-gnome Grunkin-Paul, che veniva ugualmente iscritto nelsuo atto di nascita danese.7 Gli uffici dello stato civile tedesco si rifiutavano di ri-conoscere il cognome del figlio così come esso era statodeterminato in Danimarca in quanto, in forza dell’art. 10dell’EGBGB, il cognome di una persona è disciplinatodalla legge dello Stato di cui essa possiede la cittadinanzae il diritto tedesco non consente a un figlio di portare undoppio cognome composto da quello del padre e da quel-

lo della madre. I ricorsi presentati dai genitori del picco-lo Leonhard Matthias avverso tale rifiuto venivano re-spinti.8 I genitori del bambino, che nel frattempo hanno divor-ziato, non portavano un cognome coniugale e si sono ri-fiutati di determinare il cognome del figlio in conformitàall’art. 1617, paragrafo 1, del BGB.9 L’Amtsgericht Niebüll veniva adito dallo StandesamtNiebüll per decidere sul trasferimento a uno dei genitoridel piccolo Leonhard Matthias del diritto di determinareil cognome di quest’ultimo in applicazione dell’art. 1617,paragrafi 2 e 3, del BGB. Tale giudice sospendeva il pro-cedimento e sottoponeva alla Corte di giustizia una do-manda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art.234 CE. Nella sua sentenza 27 aprile 2006, causaC-96/04, Standesamt Stadt Niebüll (Racc. pag. I-3561),la Corte dichiarava che l’Amtsgericht Niebüll, adito nel-l’ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione,agiva in qualità di autorità amministrativa senza essere alcontempo chiamato a dirimere una controversia, di mo-do che non si poteva ritenere che esso esercitasse un’atti-

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vità giurisdizionale. Per questo motivo, la Corte si di-chiarava incompetente a risolvere la questione sottopo-stale. 10 Il 30 aprile 2006 i genitori del piccolo LeonhardMatthias chiedevano all’autorità competente di iscriverequest’ultimo con il cognome Grunkin-Paul nel libretto difamiglia tenuto a Niebüll. Con decisione 4 maggio 2006,lo Standesamt Niebüll respingeva tale richiesta d’iscrizio-ne adducendo che il diritto tedesco in materia di cogno-mi non la consentiva.11 Il 6 maggio 2006 i genitori del detto bambino adivanol’Amtsgericht Flensburg chiedendo che fosse ingiunto al-lo Standesamt Niebüll di riconoscere il cognome del fi-glio così come determinato e registrato in Danimarca e diiscriverlo nel libretto di famiglia con il nome LeonhardMatthias Grunkin-Paul.12 Il giudice del rinvio constata che non è possibile in-giungere allo Standesamt Niebüll di iscrivere un cogno-me non ammesso in base al diritto tedesco, ma nutre tut-tavia dubbi in merito alla compatibilità con il diritto co-munitario del fatto che un cittadino dell’Unione sia co-stretto a portare un cognome diverso in diversi Statimembri.13 Stanti tali premesse, l’Amtsgericht Flensburg ha deci-so di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Cor-te la seguente questione pregiudiziale:«Se, alla luce del divieto di discriminazione contenutonell’art. 12 CE e in considerazione della libertà di circo-lazione garantita ad ogni cittadino dell’Unione dall’art.18 CE, sia valida la norma di conflitto prevista dall’art.10 dell’EGBGB in quanto, riguardo alla normativa sulnome di una persona, essa fa riferimento solo alla cittadi-nanza».

Sulla questione pregiudiziale14 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, insostanza, se gli artt. 12 CE e 18 CE ostino al fatto che leautorità competenti di uno Stato membro rifiutino di ri-conoscere il cognome di un figlio così come esso è statodeterminato e registrato in un altro Stato membro in cuitale figlio - che, al pari dei genitori, possiede solo la citta-dinanza del primo Stato membro - è nato e risiede sin dal-la nascita.

Sull’ambito di applicazione del Trattato CE15 In limine, occorre constatare che la situazione del pic-colo Leonhard Matthias rientra nell’ambito di applica-zione ratione materiae del Trattato CE. 16 Infatti, sebbene allo stato attuale del diritto comuni-tario le norme che disciplinano il cognome di una perso-na rientrino nella competenza degli Stati membri, questiultimi, nell’esercizio di tale competenza, devono tuttaviarispettare il diritto comunitario, a meno che non si trattidi una situazione interna che non ha alcun collegamentocon il diritto comunitario (v. sentenza 2 ottobre 2003, n.C-148/02, Garcia Avello, in Racc., I-11613, p. 25 nonché26 e giurisprudenza citata). 17 Ebbene, la Corte ha già dichiarato che un siffatto col-legamento con il diritto comunitario esiste nel caso di fi-gli che siano cittadini di uno Stato membro e al contem-

po soggiornino legalmente nel territorio di un altro Statomembro (v. sentenza Garcia Avello, cit., p. 27).18 Pertanto, in linea di principio, il piccolo LeonhardMatthias può a buon diritto invocare, nei confronti delloStato membro di cui è cittadino, il diritto conferito del-l’art. 12 CE di non subire una discriminazione basata sul-la sua cittadinanza, nonché il diritto, sancito dell’art.18 CE, di circolare e soggiornare liberamente nel territo-rio degli Stati membri.

Sull’art. 12 CE19 Per quanto riguarda l’art. 12 CE, occorre tuttavia con-statare, innanzi tutto, che, come affermato da tutti gliStati membri che hanno presentato osservazioni allaCorte nonché dalla Commissione delle Comunità euro-pee, il piccolo Leonhard Matthias, in Germania, non su-bisce alcuna discriminazione in base alla cittadinanza.20 Infatti, dato che il detto bambino e i suoi genitori pos-siedono unicamente la cittadinanza tedesca e che, perl’attribuzione del cognome, la norma di conflitto tedescaoggetto della causa principale fa riferimento al diritto so-stanziale tedesco in materia di cognomi, la determinazio-ne del cognome di tale bambino in Germania in confor-mità alla normativa tedesca non può costituire una di-scriminazione fondata sulla cittadinanza.

Sull’art. 18 CE21 Occorre ricordare che una normativa nazionale chesvantaggia taluni cittadini nazionali per il solo fatto chehanno esercitato la loro libertà di circolare e di soggior-nare in un altro Stato membro rappresenta una restrizio-ne delle libertà riconosciute a tutti i cittadini dell’Unio-ne dall’art. 18, n. 1, CE (v. sentenze 18 luglio 2006, n.C-406/04, De Cuyper, in Racc. I-6947, p. 39, e 22 maggio2008, n. C-499/06, Nerkowska, non ancora pubblicatanella Raccolta, p. 32). 22 Orbene, il fatto di essere obbligati a portare, nello Sta-to membro di cui si è cittadini, un cognome differente daquello già attribuito e registrato nello Stato membro dinascita e di residenza è idoneo ad ostacolare l’eserciziodel diritto a circolare e soggiornare liberamente nel terri-torio degli Stati membri, sancito dall’art. 18 CE. 23 Occorre infatti rammentare che la Corte ha già di-chiarato, per quanto riguarda i figli in possesso della cit-tadinanza di due Stati membri, che una situazione di di-versità di cognomi è tale da generare per gli interessati se-ri inconvenienti di ordine tanto professionale quanto pri-vato, derivanti, in particolare, dalle difficoltà di fruire, inuno Stato membro di cui hanno la cittadinanza, degli ef-fetti giuridici di atti o di documenti redatti con il cogno-me riconosciuto nell’altro Stato membro del quale pos-siedono la cittadinanza (sentenza Garcia Avello, cit., p.36).24 Siffatti seri inconvenienti possono presentarsi allostesso modo in una situazione come quella di cui alla cau-sa principale. Infatti, a tale proposito poco importa se ladiversità dei cognomi è conseguenza della doppia cittadi-nanza degli interessati o della circostanza che, nello Sta-to di nascita e di residenza, la determinazione del cogno-me è collegata alla residenza, mentre nello Stato di cui

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questi ultimi possiedono la cittadinanza tale determina-zione è collegata alla cittadinanza.25 Come rileva la Commissione, numerose azioni dellavita quotidiana, sia nel settore pubblico sia in quello pri-vato, richiedono la prova dell’identità, prova che di nor-ma è fornita dal passaporto. Poiché il piccolo LeonhardMatthias possiede unicamente la cittadinanza tedesca, ilrilascio del detto documento rientra esclusivamente nel-la competenza delle autorità tedesche. Ebbene, qualoraqueste ultime si oppongano al riconoscimento del cogno-me così come esso è stato determinato e registrato in Da-nimarca, a tale bambino verrà rilasciato dalle dette auto-rità un passaporto nel quale figurerà un cognome diversoda quello che egli ha ricevuto in quest’ultimo Stato mem-bro.26 Di conseguenza, ogni volta che l’interessato dovrà di-mostrare la sua identità in Danimarca, Stato membro incui è nato e risiede sin dalla nascita, egli rischia di essereobbligato a dissipare dubbi sulla sua identità e ad allonta-nare sospetti di falsa dichiarazione suscitati dalla diver-genza tra, da una parte, il cognome che egli utilizza dasempre nella vita quotidiana - che compare sia nei regi-stri delle autorità danesi sia in tutti i documenti ufficialiche lo riguardano redatti in Danimarca, come, tra l’altro,l’atto di nascita - e, dall’altra parte, il cognome che figu-ra sul suo passaporto tedesco. 27 Inoltre, la quantità di documenti - in particolare atte-stati, certificati e diplomi - dai quali emerge una diver-genza per quanto riguarda il cognome dell’interessato ri-schia di aumentare nel corso degli anni, in quanto il bam-bino ha un rapporto molto stretto sia con la Danimarcasia con la Germania. Dal fascicolo emerge infatti cheegli, pur vivendo principalmente con la madre in Dani-marca, soggiorna regolarmente in Germania per visitareil padre, che vi si è stabilito dopo il divorzio.28 Orbene, ogni volta che il cognome utilizzato in una si-tuazione concreta non corrisponde a quello che figura neldocumento presentato come prova dell’identità di unapersona - in particolare per fruire di una qualsiasi presta-zione o di un qualsiasi diritto, oppure per attestare il su-peramento di prove o l’acquisizione di capacità - o che ilcognome che figura in due documenti presentati con-giuntamente non è lo stesso, una siffatta divergenza dicognome è idonea a suscitare dubbi in merito all’identitàdi tale persona e all’autenticità dei documenti prodotti oalla veridicità dei dati in essi contenuti.29 Un ostacolo alla libera circolazione come quello risul-tante dai seri inconvenienti descritti ai pp. 23-28 dellapresente sentenza può essere giustificato solo se è basatosu considerazioni oggettive e se è adeguatamente commi-surato allo scopo legittimamente perseguito (v., in questosenso, sentenza 11 settembre 2007, n. C-318/05, Com-missione c. Germania, in Racc. I-6957, p. 133 e giurispru-denza citata).30 Per giustificare il collegamento esclusivo della deter-minazione del cognome alla cittadinanza, il governo te-desco e taluni degli altri governi che hanno presentatoosservazioni alla Corte affermano, tra l’altro, che tale col-legamento costituisce un criterio oggettivo che consentedi determinare il cognome di una persona in modo certo

e continuo, di garantire l’unicità del cognome nell’ambi-to della fratria e di mantenere le relazioni tra i membri diuna famiglia allargata. Inoltre, tale criterio sarebbe diret-to a far sì che tutte le persone che posseggono una deter-minata cittadinanza siano trattate allo stesso modo e adassicurare un’identica determinazione del cognome dellepersone aventi la medesima cittadinanza.31 Orbene, nessuno dei motivi dedotti a sostegno del col-legamento della determinazione del cognome di una per-sona alla sua cittadinanza, per quanto possano di per séessere legittimi, merita di essere considerato talmente im-portante da giustificare che le autorità competenti di unoStato membro, in circostanze come quelle della causaprincipale, rifiutino di riconoscere il cognome di un figliocosì come esso è stato determinato e registrato in un altroStato membro in cui tale figlio è nato e risiede sin dallanascita.32 Infatti, nei limiti in cui il collegamento alla cittadi-nanza ha lo scopo di garantire che il cognome di una per-sona possa essere determinato in modo continuo e stabi-le, occorre constatare, come ha fatto la Commissione,che, in circostanze come quelle della causa principale, sif-fatto collegamento sfocerà in un risultato contrario aquello voluto. In effetti, ogni volta che il figlio attraversala frontiera tra la Danimarca e la Germania, porterà unnome diverso.33 Quanto all’obiettivo di garantire l’unicità del cogno-me nell’ambito della fratria, è sufficiente constatare chenella causa in esame non si pone un problema di questogenere. 34 Peraltro, il collegamento della determinazione del co-gnome di una persona alla sua cittadinanza, operato daldiritto internazionale privato tedesco, non è privo di ec-cezioni. È infatti pacifico che le regole di conflitto tede-sche relative alla determinazione del cognome di un fi-glio consentono un collegamento alla residenza abitualedi uno dei genitori quando questa si trova in Germania.Pertanto, un figlio che, al pari dei genitori, non possiedela cittadinanza tedesca, può tuttavia vedersi attribuire inGermania un cognome formato ai sensi della normativatedesca quando la residenza abituale di uno dei suoi geni-tori si trova in Germania. Una situazione simile a quelladel piccolo Leonhard Matthias potrebbe quindi verificar-si anche in Germania. 35 Il governo tedesco asserisce inoltre che la normativanazionale non permette l’attribuzione di cognomi com-posti per motivi di ordine pratico. A suo avviso, deve es-sere possibile limitare la lunghezza dei cognomi. Esso ad-duce che il legislatore tedesco ha adottato disposizioni af-finché la generazione seguente non sia costretta a rinun-ciare ad una parte del cognome: ciò che una generazioneguadagnerebbe in termini di libertà se i doppi cognomifossero ammessi sarebbe perso dalla generazione successi-va. Quest’ultima, infatti, non disporrebbe più delle stessepossibilità di combinazione a disposizione della genera-zione precedente.36 Tuttavia, siffatte considerazioni di praticità ammini-strativa non sono sufficienti a giustificare un ostacolo al-la libera circolazione come quello constatato ai pp. 22-28della presente sentenza.

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III

CORTE D’APPELLO DI PALERMO, decr. 14 novembre 2008 - Pres. Laurino - Rel. Micela - Q. e D.c. Ufficiale dello Stato civile del Comune di Palermo.

La disciplina interna in tema di trascrizione di un atto di nascita - art. 98 comma 2 del d.P.R. 396/2000 - nella

parte in cui impedisce la trascrizione dell’atto di nascita di un cittadino italiano registrato in un Paese stranie-

ro con il cognome del padre e della madre - costituisce ostacolo all’esercizio del diritto a circolare e soggior-

nare liberamente nel territorio degli Stati membri, sancito dall’art. 18 Tr.CE ed il giudice italiano è tenuto a

disapplicare la disposizione nazionale rettificando l’atto di nascita

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37 Peraltro, come emerge dalla decisione di rinvio, lanormativa tedesca non esclude in toto la possibilità diattribuire cognomi composti a figli di cittadinanza te-desca. Come ha confermato il governo tedesco inudienza, infatti, quando uno dei genitori possiede lacittadinanza di un altro Stato, i genitori possono sce-gliere di formare il cognome del figlio secondo la nor-mativa di tale Stato.38 Inoltre, occorre dichiarare che dinanzi alla Corte nonè stata dedotta alcuna specifica ragione eventualmenteidonea ad ostare al riconoscimento del cognome del pic-colo Leonhard Matthias così com’è stato attribuito e re-

gistrato in Danimarca, come ad esempio la contrarietà ditale cognome all’ordine pubblico in Germania.39 Alla luce delle osservazioni che precedono, occorre ri-solvere la questione sollevata nel senso che, in circostan-ze come quelle della causa principale, l’art. 18 CE osta ache le autorità di uno Stato membro, in applicazione deldiritto nazionale, rifiutino di riconoscere il cognome diun figlio così come esso è stato determinato e registratoin un altro Stato membro in cui tale figlio - che, al paridei genitori, possiede solo la cittadinanza del primo Statomembro - è nato e risiede sin dalla nascita. …Omissis…

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Sul tema, ma con riferimento al caso di cittadino dotato di doppia cittadinanza, Trib. Roma, 18 novem-bre 2005.

Osserva1. In punto di fatto, deve osservarsi che:a) i reclamanti sono entrambi cittadini italiani;b) la loro figlia V., nata ad Oxford il 2 novembre 2007, èstata registrata in Gran Bretagna, per effetto della nor-mativa di quel paese, con il cognome di entrambi i geni-tori “Q. D.”;c) l’ufficiale di stato civile del Comune di Palermo, poi-ché alla bambina era stato imposto un cognome diversoda quello che le spettava per la legge italiana, le ha im-posto il solo cognome paterno “Q.”, in ossequio al dispo-sto di cui all’art. 98 comma 2 del d.P.R. 396/2000; 2. Il Tribunale - nel respingere la richiesta di rettifica deigenitori, che avevano chiesto di imporre alla figlia, anchein Italia, lo stesso doppio cognome registrato in GranBretagna - ha richiamato la sentenza della Corte costitu-zionale del 16 febbraio 2006, n. 61, con cui la Corte hadichiarato inammissibile la questione di legittimità costi-tuzionalità della previsione di attribuzione, in Italia, delcognome paterno.Il giudice di primo grado, inoltre, ha escluso la contra-rietà della normativa ai principi di cui agli artt.12, 17 e18 Trattato CE, menzionando la sentenza della Corte digiustizia del 2 ottobre 2003, Carlos Garcia Avello c. lo Sta-to belga.Con tale sentenza la Corte di giustizia, riferendosi alprincipio di non discriminazione di cui all’art. 12 e di cit-tadinanza sovranazionale di cui all’art. 17 del TrattatoCE, ha escluso che uno stato membro possa respingere

una domanda di cambiamento del cognome dei figli mi-norenni che abbiano la doppia cittadinanza, quando ladomanda è diretta a far sì che i figli portino il cognome dicui sarebbero titolari in forza del diritto dell’altro statomembro.Nella specie, poiché la minore aveva la sola cittadinanzaitaliana, a giudizio del Tribunale era invece assente il col-legamento con il diritto comunitario, per cui l’ordina-mento interno manterrebbe la competenza di disciplina-re liberamente il cognome.3. In accoglimento del reclamo proposto, la richiesta deiricorrenti dev’essere accolta.I reclamanti citano l’ordinanza n. 23934/08, depositata il22 settembre 2008, con cui, nel tentativo ermeneutico dileggere diversamente il sistema di attribuzione del cogno-me in Italia, la prima sezione civile della Corte di cassa-zione ha rimesso gli atti al Primo Presidente «ai fini dellaeventuale rimessione alle sezioni unite per valutare sepossa essere adottata una interpretazione della norma co-stituzionalmente orientata ovvero (…) la questione pos-sa essere rimessa nuovamente alla Corte costituzionale». A prescindere, tuttavia, da ogni questione sul regime delcognome previsto dall’ordinamento interno, nella specieassume rilievo determinante il diritto comunitario, e inparticolare l’art. 18 del Trattato CE, pure menzionato nelreclamo.La Corte di giustizia Europea - la cui interpretazionedella normativa comunitaria è vincolante per il giudiceitaliano, secondo quanto da tempo chiarito dalla Corte

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costituzionale (Corte cost. n. 113 del 23 aprile 1985) -con una recentissima decisione, successiva alla proposi-zione del reclamo, si è infatti pronunziata, in una fatti-specie del tutto analoga a quella oggetto del presenteprocedimento, in senso favorevole alle richieste dei re-clamanti.Si tratta della sentenza del 14 ottobre 2008 (resa nel pro-cedimento C-353/06, a seguito di domanda pregiudizialeproposta alla Corte ex art. 234 CE dall’Amtsgericht Flen-sburg), resa con riferimento ad un procedimento nel qua-le due cittadini tedeschi avevano chiesto all’autorità delloro paese, nonostante la diversa disciplina del diritto in-terno, di riconoscere il doppio cognome del figlio, cosìcome era stato determinato e registrato in Danimarca,ove il bambino era nato.La Corte di giustizia ha stabilito che l’art. 18 del Trattato,secondo cui ogni cittadino ha diritto di circolare e sog-giornare liberamente nel territorio degli Stati membri,«osta a che le autorità di uno Stato membro, in applica-

zione del diritto nazionale, rifiutino di riconoscere il co-gnome di un figlio così come esso è stato determinato eregistrato in un altro Stato membro in cui tale figlio -che, al pari dei genitori, possiede solo la cittadinanza delprimo Stato membro - è nato e risiede sin dalla nascita».A giudizio della Corte, infatti, l’essere obbligati a portare,nello stato membro di cui si è cittadini, un cognome dif-ferente da quello già attribuito e registrato nello Statomembro di nascita e di residenza costituisce ostacolo al-l’esercizio del diritto a circolare e soggiornare liberamen-te nel territorio degli Stati membri, sancito dall’art. 18CE (punto 22 della detta sentenza, vedi amplius, in moti-vazione, i punti da 23 a 33).Poiché, come si è detto, tale interpretazione è per il giu-dice interno vincolante - e considerato che, come l’ordi-namento tedesco, anche quello italiano prevede altreipotesi di attribuzione del doppio cognome (secondocomma dell’art. 262 c.c.) - il reclamo dev’essere accolto. …Omissis…

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GiurisprudenzaFamiglia

AUTONOMIA FAMILIARE E ATTRIBUZIONE DEL COGNOME: I DUBBI IN ITALIA E LE CERTEZZE IN EUROPA

di Gabriella Autorino Stanzione

L’autore esamina le ragioni della crisi della regola tradizionale di trasmissione del cognome paterno, indivi-dua i modelli europei che assumono diverse opzioni e ne descrive i meccanismi e le disfunzioni, dà contodella progressiva messa in discussione in Italia della suddetta regola soprattutto per il contrasto con il det-tato comunitario e auspica de iure condendo una riforma ancorata a taluni irrinunziabili principi.

La situazione italiana

«E l’angelo parlò a Zaccaria … “non temere, la tuapreghiera è stata accolta, infatti tua moglie Elisabet-ta ti darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gio-vanni”». La Corte di cassazione, come il Signore, or-dina e comanda sull’attribuzione del nome, in sosti-tuzione dell’ignavo legislatore? Il ragionamento del-la Corte intriga, tanto più che si dipana da un affa-scinante e risalente insegnamento che invita l’inter-prete a farsi carico di definire, tra le molte possibili,quella lettura della norma che unica trova acco-glienza nell’ordinamento, cioè quella conforme acostituzione. Più precisamente, all’intero catalogo diprincipi fondamentali cui il legislatore nazionale de-ve sottomettersi, che siano di fonte costituzionaleinterna o di fonte transnazionale.Nomen omen (1): il nome, composto da prenome ecognome, costituisce - è dato incontrovertibile - ilprincipale segno distintivo della persona e, come ta-le, s’inserisce d’imperio nella schiera dei diritti fon-damentali costituzionalmente garantiti (artt. 2 e 22Cost. e 6 c.c.). Ciascun individuo si distingue, attra-verso il prenome, dagli altri componenti della sua

famiglia - che possiedono lo stesso cognome - non-ché, per il cognome, da coloro che appartengono adaltri consorzi familiari. Da qui il riconoscimento al cognome di una valenzasociale - e, dunque, di una funzione di natura pub-blicistica - connessa all’interesse dell’intera societàad identificare i propri componenti.D’altro canto, speculare a tale interesse è quello,strettamente personale, ad essere ascritto ad una de-

Nota:

(1) Ha radici antiche e sedimentate nel tempo la consapevolezzadell’importanza del nome nella vita di ciascun individuo. Senzaqui volere indugiare su quelle concezioni che ritengono esso rap-presenti una “predestinazione legata al suo possessore” [cfr. D.Ziino, Diritti della persona e diritto al (pre)nome. Riferimenti sto-rico-letterali e considerazioni giuridiche, in Giust. civ., 2004, 7-8,355 ss.], il noto brocardo nomen est omen indica, appunto, co-me il nome sia pur sempre un augurio per colui che lo porta.Tracce di siffatta concezione si ritrovano, invero, già nelle SacreScritture, dove in più di un passo traspare come l’imposizione diun determinato nome sia funzionale all’individuazione della mis-sione terrena del suo destinatario. Così in Luca (Lc. 1, 13) si leg-ge dell’angelo che indica a Zaccaria il suo futuro e quella dellasua discendenza ed attribuisce al nome un ruolo decisivo in talsenso.

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terminata compagine familiare, poiché l’emersionedi siffatta situazione, familiare e sociale al tempostesso, è esigenza anch’essa riconducibile alla prote-zione della persona e della personalità di cui all’art.2 della Costituzione. La garanzia costituzionale della persona - e nel pro-filo statico e in quello dinamico - è tutta scandita suiritmi dell’eguaglianza e della pari dignità. Essa sem-brerebbe implicare - per quel che qui interessa - lanecessaria presenza nel momento della identificazio-ne tanto del segno della linea paterna che di quellamaterna.La diversa opzione in favore della linea paterna (2),il cui cognome si trasmette di generazione in gene-razione, si riconduce generalmente, in mancanza diun’espressa previsione normativa, tanto alla forzadella tradizione (3) quanto all’esigenza di ancorarela garanzia costituzionale dell’unità della famiglia(art. 29, comma 2, Cost.) all’unicità del cognomeatto a individuare all’esterno il soggetto sia comesingolo sia come componente di una famiglia, a suavolta intesa sia come nucleare che come famiglia al-largata; e dunque idoneo a designare, al contempo,l’intero gruppo familiare di appartenenza (4). L’op-zione per il cognome paterno - si è detto - si ricon-duce generalmente ad una regola non scritta d’iden-tità culturale di una determinata civiltà (5). In siffatta prospettiva, il riconoscimento di un inte-resse ad aggiungere (o sostituire) per ragioni di natu-ra morale, affettiva o familiare, al cognome paternoquello materno, ai fini di una diversa proiezione so-ciale della propria identità personale, non può chedefinirsi eccezionale, altresì legato alle specifichecircostanze che qualificano la situazione, in modotale che quell’interesse, nel caso specifico, possa es-sere considerato meritevole di tutela. Questo per-corso da tempo è seguito dalla stessa giurisprudenzadelle corti superiori (6).

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GiurisprudenzaFamiglia

Note:

(2) Ex altera parte l’imposizione del solo cognome paterno sem-bra stridere con il principio di eguaglianza dei coniugi, costituzio-nalmente garantito, in quanto, come suggerisce M. Dogliotti, L’i-dentità personale, in Trattato di diritto privato, diretto da Resci-gno, 2, Torino, 1982, 111, rappresenta la “traccia di una posizio-ne diversa fatta al marito”. Sul punto, altresì, M. Sesta, Versonuovi sviluppi del principio di eguaglianza tra i coniugi, in Nuovagiur. civ. comm., 2004, II, 393 ss. In senso contrario, v. però F.Santoro Passarelli, Diritti e doveri dei coniugi, in Commentario aldiritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo, Trabucchi, I,Padova, 1992, 234, per il quale «l’assunzione del cognome dei fi-gli legittimi è apparsa così inerente al principio dell’unità che nonsi trova disposta testualmente nel codice». Analogamenteesclude ogni eventualità di contrasto dell’attribuzione del solocognome paterno con il dettato costituzionale G. Cattaneo, Il co-gnome della moglie e dei figli, in Riv. dir. civ., 1997, I, 693 ss.

(3) L’evoluzione della storia del cognome è tracciata, tra gli altri,da Spegnesi, voce Nome (Storia), in Enc. dir., XXVIII, 1978, 290ss.

(4) Tra i primi commentatori sul tema del cognome cfr. A. De Cu-pis, Nome e cognome, in Novissimo dig. it., sez. civ., XI, Torino,1965, 300 ss.; L. Lenti, Nome e cognome, in Dig. IV disc. priv.,sez. civ., XII, Torino, 1995, 136 ss.; A. Musio, Legittimazione perprovvedimento del giudice e trasmissione del cognome mater-no, in Dir. fam. e pers., 2001, 4, 1145 ss.; De Scrilli, Il cognomedei figli, in Tratt. dir. fam., diretto da Zatti, II, Filiazione, Milano,2002, 473 ss.; G. Cassano, Automaticità della trasmissione delcognome versus identità personale, in Familia, 2003, 897 ss.; V.Carbone, Quale futuro per il cognome?, in Fam. e dir., 2004, 457ss.

(5) Non di meno, vi è chi, come F. Pacini, Una consuetudine se-colare da rivedere, in Giur. merito, 1985, 1243 ss., già da tempodiscorre di vera e propria consuetudine ormai contra legem. Nel-lo stesso senso, F. Prosperi, L’eguaglianza morale e giuridica deiconiugi e la trasmissione del cognome ai figli, in Rass. dir. civ.,1996, 841 ss. Di contro, tuttavia, non si manca di rilevare comesimile “consuetudine” sia comunque conforme al dettato del-l’art. 29 Cost., il quale appunto pone come limite al principio diuguaglianza le esigenze di unità del nucleo familiare; così L. Car-raro, Della filiazione naturale e della legittimazione, sub art. 262,in Commentario al diritto italiano della famiglia, cit., IV, 686.

(6) In giurisprudenza, tra le numerose pronunzie, merita rilievouna non recente sentenza del Consiglio di Stato chiamato a va-lutare il corretto esercizio del potere della P.A. in ordine all’auto-rizzazione di mutamento del cognome. Il supremo giudice am-ministrativo, nella decisione del 25 gennaio 1999, n. 63 (in Cons.di Stato, 1999, I, 38) annulla il provvedimento di diniego dell’ag-giunta del cognome materno a quello paterno, richiesta per ra-gioni affettive dal figlio di quindici anni, con il consenso scrittodel padre, da tempo separato dalla moglie. In dottrina, (G. Pal-meri, Doppia cittadinanza e diritto al nome, in Eur. e dir. priv.2004, 215 e ss.) si accoglie favorevolmente il giudicato, poichéesso, pur attribuendo adeguato rilievo all’esigenza, di natura ge-nerale, alla tendenziale stabilità nel tempo del cognome, sì dapoter assolvere alla funzione di identificazione della persona, tut-tavia dà garanzia all’interesse strettamente personale, quale chesia la ragione su cui si fonda: di ordine morale, economico, af-fettivo, familiare, al mutamento dello stesso. I giudici tuttavia di-stinguono tra aggiunta e sostituzione del cognome materno aquello paterno. Mentre la prima ha valenza positiva, in quantotende ad introdurre un ulteriore elemento identificativo, la se-conda ha una accezione negativa, perché diretta all’eliminazionedi un segno distintivo. In posizione speculare si pone, in nomedell’eguaglianza e della pari dignità, l’interesse della madre - que-sta volta in via di principio - a veder identificato il figlio anche conil proprio cognome, insieme con quello paterno. Per lungo tem-po nella nostra esperienza un’esigenza di tal sorta emerge sol-tanto nelle ipotesi in cui si verifica un cambiamento di stato (ado-zione, legittimazione, riconoscimento del padre successivo aquello della madre nella filiazione naturale e così via) tale da mo-dificare il cognome precedente e solamente per quanto corri-sponde al diritto del soggetto di conservare anche il vecchio co-gnome come segno distintivo della propria identità. In questo senso, Corte cost., 11 maggio 2001, n. 120, che di-chiara costituzionalmente illegittimo l’art. 299, comma 2, percontrasto con l’art. 2 Cost., nella parte in cui non prevede chequalora il bambino sia figlio naturale non riconosciuto dai genito-ri, l’adottato (maggiorenne) possa aggiungere al cognome dell’a-dottante anche quello originariamente attribuitogli dall’ufficialedi stato civile. Ma già la Consulta, nella sentenza del 23 luglio1996, incidendo sul contenuto dell’art. 262 c.c., dichiara incosti-tuzionale tale norma laddove non prevede che il soggetto dichia-rato alla nascita figlio di ignoti e successivamente riconosciutoda uno dei due genitori «possa ottenere dal giudice il riconosci-mento del diritto a mantenere, anteponendolo o, a sua scelta,aggiungendolo, il cognome precedentemente attribuitogli con

(segue)

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Soccorre come norma esplicita nell’ordinamento ladisposizione dell’art. 237 c.c. che, annoverando tragli elementi costitutivi del possesso di stato la circo-stanza che «la persona abbia portato il cognome delpadre che essa pretende di avere», avvalora nel tem-po l’automaticità del patronimico. Ad ulteriore sup-porto si richiamano di solito le norme contenute ne-gli artt. 143-bis, 262, 299, comma 3, c.c. e gli artt. 33e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000, che ha abrogato ilprevigente ordinamento dello stato civile di cui alR.D. n. 1238 del 9 luglio 1939 (7).Più volte è stata sollevata la questione di legittimitàcostituzionale di tale assetto normativo con riferi-mento agli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost., ma soltanto direcente, quanto meno per la filiazione legittima, laCorte costituzionale sembra dare man forte a coloroi quali perorano l’abbandono del sistema dell’attri-buzione automatica del cognome paterno (8). L’antico brocardo «consensus facit nuptias» segnala ainostri giorni il progressivo emergere della negozia-lità all’interno del diritto di famiglia. La costituzio-nalizzazione della famiglia non come ente a sé stan-te - di natura pubblicistica o privatistica - ma comevalore da tutelare, alla stregua degli artt. 2, 3 e 29Cost., in esclusiva funzione dello sviluppo della per-sonalità dei singoli appartenenti, ha condotto ad unprogressivo fenomeno di «privatizzazione» e «fun-zionalizzazione» del diritto familiare, nel senso del-l’emersione degl’interessi dei singoli rispetto a quel-li del gruppo, in una prospettiva solidaristica cheimpone la ricerca di un punto di equilibrio tra esi-genze individuali e bisogni comuni (9).Pretende, cioè, un criterio di contemperamento del-l’esercizio dei diritti fondamentali o meglio di attua-zione dell’«equilibrio delle libertà». Della rilevanzadella volontà delle parti nel matrimonio e della suanatura negoziale da tempo più non si dubita. Il pro-blema, semmai, è ora quello, inverso di evitare la«contrattualizzazione» dell’istituto. Accanto a quello assunto dal codice civile come«modello legale», s’impongono all’attenzione delgiurista contemporaneo tutti gli altri «modelli» direlazioni familiari (10) che emergono dal continuoconfronto tra il profilo giuridico e quello sociale nel-l’unicità dell’esperienza umana. Essi invocano disci-plina, sicché, riprendendo una felice parafrasi dellanotissima espressione jemolana, oggi il mare del di-ritto non lambisce un’isola, bensì l’arcipelago dellafamiglia (11).Nell’epoca delle grandi trasformazioni - dell’incertez-za - il diritto è sempre chiamato ad assumere la garan-zia delle situazioni esistenziali nell’ambito dei gruppisociali in cui l’uomo svolge la propria esistenza. Di-

venta il paladino dei diritti fondamentali dei singoli especifica, nel profilo relazionale, i precisi doveri chegravano i componenti del rapporto. Il che tanto piùvale per le relazioni familiari in cui si coniugano tute-

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GiurisprudenzaFamiglia

Note:

(segue nota 6)atto formalmente legittimo dall’ufficiale di stato civile ove talecognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua iden-tità personale». In precedenza, con decisione del 3 febbraio1994, n. 13 la Corte aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 165del R.d. 9 luglio 1939, per violazione dell’art. 2 Cost., «nella par-te in cui non prevede che, quando la rettifica degli atti dello sta-to civile, intervenuta per ragioni indipendenti dalla volontà delsoggetto cui si riferisce, comporti il cambiamento del cognome,il soggetto stesso possa ottenere dal giudice il riconoscimentodel diritto a mantenere il cognome originariamente attribuitogliove questo sia da ritenersi acquisito come autonomo segno di-stintivo della sua identità personale».Come si vede, la Corte pone fortemente in discussione la tradi-zione italiana di tramandare unicamente ed automaticamente ilpatronimico, tanto più che siffatto sistema di attribuzione ai figlidel cognome - come si è detto - non scaturisce da una specificanorma bensì da un’atavica consuetudine cristallizzatasi nel tem-po. Eguale considerazione si rinviene spesso nella stessa giuri-sprudenza sia di merito che di legittimità: cfr. ex multis Cass.ord. n. 13298 del 17 luglio 2004, secondo cui «non esiste nel no-stro ordinamento una disposizione diretta ad attribuire ai figli le-gittimi il cognome paterno».

(7) Per un puntuale commento delle novelle disposizioni in ma-teria di ordinamento dello stato civile, cfr. P. Stanzione, Il nuovoordinamento di stato civile, Milano, 2001, passim.

(8) Nella decisione del 16 febbraio 2006, n. 61 la Consulta, purgiudicando «inammissibile la questione di legittimità costituzio-nale degli artt. 143-bis, 236, 237, comma 2 c.c. e degli artt. 33 e34 del d.P.R. 396/00, censurati in riferimento agli artt. 2, 3 e 29cost., nel caso in cui prevedono che il figlio legittimo acquisti au-tomaticamente il cognome del padre, anche quando vi sia unadiversa volontà dei coniugi, legittimamente manifestata, rimar-ca, tuttavia, che «l’attuale sistema di attribuzione del cognome èretaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la qualeaffonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistica e diuna tramontata potestà maritale non più coerente con i principidell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianzatra uomo e donna».

(9) Amplius sia consentito il rinvio a G. Autorino Stanzione, Dirit-to di famiglia, Torino, 2003, passim; nonché a G. A. Parisi, Il ma-trimonio-Profili generali, in Trattato teorico-pratico di diritto di fa-miglia a cura di Gabriella Autorino, Torino, 2006, I, 71 ss.

(10) In vero, non si manca di rilevare come, in Italia, solo di re-cente si sia posto il problema di capire quali siano i nuovi «mo-delli familiari», al fine di individuare il relativo regime giuridico.All’origine di ogni riflessione in tema si pone la “famiglia di fat-to”, quale concetto dotato di un «alto valore evocativo simboli-co in un certo momento storico, in quanto ha consentito di ag-gregare in un’unica definizione una vasta gamma di esperienzeaffettive e relazionali non istituzionalizzate (…) E ciò perché leproblematiche più rilevanti con le quali il moderno “diritto di fa-miglia e delle persone” deve fare i conti nascono proprio dall’at-tuale disgregazione dei modelli familiari e relazionali», comesuggerisce efficacemente D. Messinetti, Diritti della famiglia eidentità personale della persona, in Riv. dir. civ., 2005, 2, 138.

(11) Tant’è che con accenti critici L. De Luca, La famiglia oggi, inScritti vari di diritto ecclesiastico, Padova, I, 1997, 542, afferma«non so se Jemolo ripeterebbe oggi quanto scriveva nel 1949 ecioè che «la famiglia appare…come un’isola che il mare del di-ritto può lambire, ma lambire soltanto»».

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la della persona e solidarietà. Infatti, in questo settoredell’esperienza umana all’affollarsi di modelli familia-ri si aggiunge la fuga sempre più frequente dalla istitu-zionalizzazione degli stessi, sia «in entrata» che «inuscita», nel senso del moltiplicarsi delle convivenzestabili, spesso con figli nati al di fuori del matrimonio,da un lato, e dall’altro del ricorso sempre più frequen-te a pratiche di risoluzione del rapporto matrimonialeo familiare (divorzio, disconoscimento, mancato rico-noscimento e via enumerando) (12).Sembra allora essere nel giusto chi ritiene che, nelmomento attuale, le relazioni familiari non possonoessere sottratte alle mutevoli e alterne vicende dellavolontà dei privati. La conseguenza è il definitivotravolgimento della teoria tradizionale degli status.Questi sono legati alla «cristallizzazione» di situazio-ni e condizioni, mentre i rapporti interpersonalisembrano attualmente caratterizzati da una fortecomponente di versatilità, mobilità, modificabilità.Sicché si suggerisce di tradurre questa nuova condi-zione dell’uomo in termini di «identità» (13).La garanzia dell’identità personale si mostra attual-mente come esigenza fondamentale della tutela del-la persona e della personalità ben oltre il tradiziona-le contenuto che ad essa si collega. Il bisogno di ri-spetto è trasversale in tutte le relazioni umane, intutte le posizioni in cui l’uomo si rinviene in rappor-to con gli altri uomini. Il che consente di leggere ilcollegamento tra gli artt. 29, comma 2 e 2 Cost. conla consapevolezza che nel confronto tra pari dignitàe unità familiare, la seconda non può travolgere, pernon ridursi ad aporia di se stessa, l’identità di cia-scun coniuge, sia nella componente ampia sia inquella più ristretta dell’identificazione. Da qui la re-gola che impone di conservare il proprio cognomesuccessivamente al matrimonio.D’altro canto il medesimo rispetto dell’identità pre-scrive, con riguardo ai figli comuni, che essi siano ri-conoscibili come componenti di un gruppo familia-re: da qui, a mio avviso, l’esigenza di un cognomeche conservi al figlio quelli di entrambi i genitori eche sia eguale per tutti i figli comuni.Il rilievo dell’accordo nella conduzione familiareimpone che siano gli stessi genitori a decidere sulcognome da trasmettere alle successive generazioni,tranne nelle ipotesi in cui prevalga l’interesse delminore dotato di discernimento alla conservazionedi una identità precedente di cui l’identificazione,legata al cognome, sia elemento essenziale.Motivi di tal sorta sono comuni a tutte le forme di fi-liazione, di sangue o civile, da genitori coniugati onon coniugati, con le differenze di disciplina che laspecificità delle situazioni comporta.

Va dato atto che nell’ultimo decennio si sono susse-guite numerose proposte di legge che tuttavia nonhanno ricevuto la dovuta attenzione da parte del-l’organo legislativo. Per la verità, sul piano teorico, le critiche mosse av-verso il cambiamento evocano l’eterno dissidio fratradizione ed evoluzione, tra antico e moderno,mentre, dal punto di vista pratico, ciò che ha mag-giormente frenato i progetti di riforma è stato il ti-more di produrre una ingestibile pressione sugli uffi-ci e dunque disordine nelle registrazioni dell’anagra-fe.L’unico strumento utile a tramandare alle generazio-ni successive il cognome materno rimane attual-mente il procedimento di cui agli artt. 84 ss. deld.P.R. 396/2000, ad eccezione del caso del figlio na-turale riconosciuto prima dalla madre e successiva-mente dal padre, disciplinato dall’art. 262 c.c. Proprio tale disposizione ha dato origine alla deci-sione della Cass., 26 maggio 2006, n. 12641, secon-do cui al giudice non è consentito autorizzare l’as-sunzione del patronimico non soltanto quando daciò possa derivare danno per il minore, ma anche«allorquando il cognome materno si sia radicato nelcontesto sociale in cui il minore si trova a vivere,giacché precludergli il diritto di mantenerlo si risol-verebbe in un’ingiustificata privazione di un ele-mento della sua personalità, tradizionalmente defi-nito come diritto ad essere se stessi».Si avvalora l’idea che la crisi del principio dell’auto-matica attribuzione del cognome paterno s’inseriscanel più generale discorso del costante adeguamentodel diritto di famiglia all’assetto dei valori costitu-zionali: anche la suprema corte si è espressa con inu-suale chiarezza in favore di una riforma legislativa inmateria.

Lo scenario europeo

Come spesso accade, nel panorama europeo e comu-nitario, mentre Roma discute, Sagunto finisce espu-gnata. Infatti, le tendenze degli ultimi anni alla eli-minazione di ogni tipo di discriminazione in ragionedel sesso hanno condotto, per quel che qui interessa,la maggior parte degli ordinamenti dell’area comu-

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GiurisprudenzaFamiglia

Note:

(12) Di qui l’esigenza di enucleare la categoria dei «diritti della fa-miglia», intesi come diritti che l’individuo ha nei confronti deisoggetti con i quali egli instaura o mantiene rapporti familiari oanche, in presenza di determinate circostanze, rapporti affettividotati di un certo grado di stabilità e che si traducono in «bisognie doveri», ma anche in «gratificazioni, affrancazioni e significati»:cfr. D. Messinetti, Diritti della famiglia e identità personale dellapersona, cit., 138.

(13) D. Messinetti, op. ult. cit., 146.

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nitaria a ribaltare il precedente modello, pressochéuniforme, con le eccezioni di Spagna e Portogallo,che vedeva rispettata la consuetudine - risalente perlo meno al medio evo - della trasmissione ai figli delpatronimico. Motore principale della spinta riformatrice, checonduce anche la Spagna a mutare le rationes dellasua particolare disciplina, è l’esigenza antidiscrimi-natoria più e più volte riaffermata e in convenzioniinternazionali e in atti comunitari. Il riferimento sulpiano internazionale è - s’intende - soprattutto allaConvenzione di New York del 18 settembre 1979,ratificata in Italia con l. n. 132 del 1985: con essa l’I-talia s’impegna a rispettare, tra l’altro, il dettato del-l’art. 16 lett. g della suddetta Convenzione, che assi-cura «gli stessi diritti personali al marito e alla mo-glie, compresa la scelta del cognome».Sul versante del diritto comunitario, spiccano inproposito la risoluzione del Consiglio d’Europa n. 37del 1978 e le raccomandazioni del Parlamento euro-peo n. 1271 del 1995 e n. 1362 del 1998: in esse siafferma con forza che il mantenimento di previsionidiscriminatorie tra donne e uomini riguardo allascelta del nome di famiglia non è compatibile con ilprincipio di eguaglianza. Gli ordinamenti afferenti all’Unione, almeno perla maggior parte, adempiono, a partire dalla finedegli anni ottanta, all’impegno assunto: così, almodello precedente, sostanzialmente uniformenelle varie esperienze, con le eccezioni menziona-te, se ne sostituiscono due. L’uno che accomunanelle linee fondamentali Francia, Germania eOlanda ed attribuisce ai figli un solo cognome, de-nominato familiare, scelto tra quelli dei genitori;l’altro che assegna ai figli entrambi i cognomi e di-sciplina la scelta dell’unico da tramandare alle suc-cessive generazioni.A metà strada tra il sistema tedesco di scelta con-giunta del cognome familiare all’atto del matrimo-nio e quello spagnolo, dove vige la regola del doppiocognome, si situava il modello francese introdottodall’art. 43 della l. 23 dicembre 1985, n. 1372 che,nel tentativo di creare un sistema più flessibile edaderente ai desideri dei privati, aveva introdotto lafacoltà (e non l’obbligo) di aggiungere al patronimi-co anche il cognome materno, ma esclusivamente àtitre d’usage e senza alterazione alcuna dei meccani-smi di acquisizione del nome legale. Il legislatore d’Oltralpe è nuovamente intervenutosulla materia prima con legge n. 2002/304 del 4 mar-zo 2002 (14) e successivamente con legge n.2003/516 del 18 giugno 2003.In vigore dal 1° gennaio 2005 (15), la nuova nor-

mativa consente ai genitori di attribuire al propriofiglio «sia il cognome paterno che quello materno,sia i loro due cognomi posti nell’ordine scelto daloro nel limite di un cognome per ciascuno». In ca-so di disaccordo, il figlio assume il cognome del ge-nitore nei cui riguardi la filiazione sia stata stabili-ta per prima ed il cognome di entrambi se la filia-zione sia stata stabilita simultaneamente nei lororiguardi. Il cognome attribuito al primo figlio conle suddette modalità (ex art. 311-21 code civil) siestende obbligatoriamente a tutti i figli comuni(16).Seguono dettagliate norme che minuziosamenteprevedono soluzioni nelle ipotesi di doppio cogno-me dei genitori, di nascita all’estero di un figlio dicui almeno un genitore sia francese, di consenso delminore all’eventuale mutamento del cognome, didiritto intertemporale e via enumerando.Dall’insieme della normativa si evince che, rispettoalla questione del cognome, la completa parificazio-ne tra figli legittimi e figli naturali è pienamenterealizzata almeno per coloro che siano riconosciutida entrambi i genitori (17). Altre disposizioni valgono poi per la filiazione adot-tiva (art. 363 code civil). La disciplina più recente abroga altresì l’art. 334-5,introdotto dalla legge del 2002: la norma rendevapossibile attribuire il cognome del marito al figlio

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GiurisprudenzaFamiglia

Note:

(14) Cfr. J. Rochfeld, in RTD civ., 2002, 377.

(15) Sul punto F. Bellivier, Dévolution du nom de famille, in RTDciv., 2003, Chr., 554 .

(16) L’art. 311-23 code civil, nell’attuale formulazione stabilisce,infatti, che la scelta del nome di famiglia non può essere eserci-tata che una volta soltanto.

(17) Diversa è, infatti, la situazione in caso di riconoscimentotardivo da parte di uno dei genitori. Per l’art. 311-22 code civil -nella sua attuale formulazione (l. 4 marzo 2002, n. 304 e ord. 4luglio 2005, n. 759 - nel caso in cui «la filiazione al momento del-la dichiarazione di nascita sia stabilita nei confronti di un solo ge-nitore», il bambino prende il cognome di questi soltanto. Tutta-via se il legame di filiazione viene accertato nei confronti dell’al-tro durante la minore età del figlio, i genitori possono chiedere,con dichiarazione congiunta all’ufficiale di stato civile, di sosti-tuire o di aggiungere (nell’ordine scelto dai medesimi e nel limi-te di un solo nome ciascuno) il cognome del secondo genitore.La Francia ha recentemente riformato l’intero istituto della filia-zione (Titre V du livre 1er du code civil) con l’ord. n. 2005/759 du4 juillet 2005 eliminando qualsiasi riferimento (anche semanti-co) alla distinzione tra filiazione legittima e filiazione naturale. V.F. Granet-Lambrechts, La reforme du droit de la filiation, in AJFamille, 2005, 424-432; F. Granet-Lambrechts et J. Hauser, Lenouveau droit de la filiation, in Dalloz, 2006, Chr., 17; F. Granet-Lambrechts, Droit de la filiation, in Dalloz, 2006, Pan., 1139 ess. et T. Garé, La reforme de la filiation - à propos de l’ordon-nance du 4 juillet 2005, in JCP - La Semaine juridique, éd. gen.,2005, 1491.

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nato da un precedente matrimonio - ovviamente,con persona diversa - sciolto o annullato (18).Infine, per il coniuge il cui cognome non è statoscelto come nom de famille, il legislatore francesepredispone une petite solution: egli potrà aggiungere oanteporre al proprio il cognome dell’altro, ma sola-mente à titre d’usage.Assai diversa è la vicenda tedesca.In Germania, già dalla EhereformG del 1976, il §1355 BGB imponeva ai coniugi di scegliere tra i lo-ro cognomi - indicandolo al momento della celebra-zione all’ufficiale di stato civile - quello destinato adessere il nome familiare comune. In mancanza di unaccordo, era prevista la prevalenza del cognome pa-terno per i figli comuni, mentre ai coniugi veniva la-sciata la possibilità di aggiungere o di posporre al co-gnome comune quello proprio di nascita (19). Tale disciplina veniva travolta da una nota sentenzadel BundesVerfassungsGericht, del 5 marzo 1991, chedichiarava l’incostituzionalità del § 1355 nella partein cui, in mancanza di accordo, imponeva il cogno-me del marito. La Corte, infatti, ravvisa in tale rego-la un vulnus al divieto di discriminazione. Esiste nella percezione del giudice costituzionale unGrundrecht secondo il quale il cognome è riflessodella personalità e dell’identità personale e dunqueè di rango superiore alla garanzia dell’unità familiareimposta dall’art. 6 GG, poiché è sostanza di un dirit-to della personalità fondato direttamente sull’art. 2GG. Da qui le modificazioni operate con legge 16 dicem-bre 1993, entrata in vigore il 1° aprile 1994. La nuo-va disciplina impone ai coniugi di concordare il no-me familiare e di sceglierlo tra il cognome di nascitadel marito o della moglie. Se l’accordo manca, il po-tere decisionale si concentra, per disposizione delgiudice, in capo ad uno soltanto di essi (20). La scel-ta, una volta compiuta, non è revocabile e s’imponea tutti i figli comuni, ma l’altro coniuge conserva ildiritto di utilizzare anche il proprio cognome di na-scita, aggiungendolo oppure anteponendolo a quellofamiliare (21).L’evoluzione giurisprudenziale, nell’esperienza tede-sca, sembra segnalare l’emersione di una conflittua-lità soprattutto in due ambiti. Se sia oppur no meri-tevole di tutela l’eventuale interesse dell’ex coniugea conservare il cognome dell’altro perché eletto acognome familiare; se sia oppur no meritevole di tu-tela l’eventuale interesse del figlio ad assumere il co-gnome familiare del genitore affidatario che abbiacontratto, dopo il divorzio o l’annullamento, unnuovo matrimonio.Il contenzioso sembra essere scarso, invece, per

quanto concerne la scelta e l’uso del cognome in co-stanza di rapporto di coniugio.Basta scorrere i repertori per rendersi conto che lecontroversie più numerose riguardano la possibilità,per il coniuge divorziato, di utilizzare nel nuovo rap-porto coniugale il cognome di famiglia del prece-dente vincolo nell’ipotesi che coincida con il co-gnome di nascita dell’ex coniuge. L’aspetto merita di essere approfondito, poiché og-getto di un clamoroso intervento del BundesVerfas-sungGericht teso a capovolgere l’indirizzo interpreta-tivo prevalente in giurisprudenza. Prima dell’intervento della Corte, l’opinione domi-nante condizionava all’assenza di nuove nozze laconservazione del cognome familiare dopo lo scio-glimento del vincolo.Più esattamente (22), si riteneva che il cognome fa-miliare acquisito per effetto di un matrimonio potes-se essere portato dopo lo scioglimento del matrimo-nio, ma non prescelto come cognome familiare inun nuovo, successivo matrimonio. Con sentenza del 18 febbraio 2004, il BundesVerfas-sungsGericht si mostra di tutt’altro avviso. Dichiara,infatti, l’illegittimità del § 1355, comma 2, BGB,

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Note:

(18) L’art. 334-5 secondo la formulazione risultante dalla leggedel 2002, consentiva al marito di una donna già madre prima delmatrimonio la possibilità di dare il proprio cognome al figlio dellastessa, benché questi non avesse con lui alcun legame di san-gue. Tale disposizione - come si legge nella relazione introdutti-va al testo legislativo presentato all’Assemblée Nationale - è ap-parsa inopportuna da un duplice punto di vista: innanzitutto, si ri-schiava che il bambino si trovasse identificato con il cognome diun uomo con il quale potrebbe non avere più rapporti (ad esem-pio nel caso di successivo divorzio dalla madre); in secondo luo-go, un simile meccanismo si riteneva avrebbe facilitato praticheillecite di sostituzione della maternità: cfr. F. Bellivier, op. cit.,555.

(19) Tra i primi commentatori della normativa tedesca, I. Massa-ri, Il cognome di famiglia nella nuova legge tedesca, in Riv. dir.civ., 1994, 573 ss.; E. Jayme, Cognome e protezione dell’iden-tità della persona (con particolare riguardo alla recente legislazio-ne tedesca e con spunti di diritto internazionale privato), ibidem,1994, 853 ss.

(20) Il § 1616 BGB dispone che se i genitori non portano alcuncognome coniugale, essi determinano il cognome che il padre ola madre portano al momento della dichiarazione, quale cogno-me di nascita del figlio. In mancanza di tale scelta il tribunale del-la famiglia attribuisce ad un genitore il diritto di determinazione.

(21) In Austria, l’art. 93 del codice civile stabilisce che i coniugiportino lo stesso cognome che può essere quello del marito oquello della moglie. Nei paesi scandinavi, invece, emerge la ten-denza, in mancanza di accordo, a riconoscere ai figli il cognomedella madre.

(22) BayObLG, 1 agosto 1996: scelta, qualora compiuta, giuridi-camente inefficace (unwirksam). In tal caso, l’eventuale iscrizio-ne nel registro di famiglia (Familienbuch) non ha alcuna efficaciacostitutiva di diritti; l’orientamento è costante (cfr., ad es., BayO-bLG 14 agosto 1996).

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nella parte in cui esclude che il coniuge possa assu-mere come cognome coniugale quello acquisito -anch’esso come Familienname - con il precedentematrimonio, perché in contrasto con l’art. 2, comma1, GG letto in combinato disposto con l’art 1 dellastessa legge fondamentale. Infatti - è opinione della Corte -, l’art. 2, comma 1,in combinato disposto con l’art. 1, comma 1, GG tu-tela il nome in quanto espressione dell’identità edella dignità della persona, ed in tale garanzia inclu-de anche il cognome familiare, anch’esso espressio-ne della personalità di ciascun coniuge. Pertanto, latutela del nome scelto ed acquisito con il matrimo-nio non è limitata alla durata del rapporto matrimo-niale giacché la sua garanzia scaturisce dal dirittodella personalità del titolare del nome stesso; di con-seguenza, non è correlata alla costanza del rapportoconiugale, ma è «ultrattiva» rispetto ad esso.Per di più, la disposizione è incriminata di discrimi-nare il cognome acquisito poiché lo degrada a co-gnome di rango inferiore rispetto a quello originario(Geburtsname). D’altra parte, e la Corte tedesca ne èconsapevole, il principio costituzionale di propor-zionalità della tutela degli interessi in contrasto im-pone di tener conto del coniuge divorziato e dei suoidiscendenti, che possono percepire come offensivoche il loro cognome diventi comune ad una nuovacoppia: il cognome familiare serve anche a lasciartraccia delle linee di discendenza e dei vincoli fami-liari, il che potrebbe indurre a ritenere sussistentinessi familiari proprio laddove essi sono stati distrut-ti, con rischio di abusi e di confusione.Ciò non impedisce alla Corte di definire la disposi-zione di cui al § 1355 un’indebita aggressione, daparte del legislatore, di un diritto della personalità.Si sostiene, infatti, che la Costituzione non sancisceun diritto all’esclusività del nome. Di conseguenza,il desiderio del coniuge di prime nozze d’impedireche il proprio cognome di nascita, scelto come co-gnome familiare nel proprio matrimonio, sia utiliz-zato altresì come Familienname nel nuovo matrimo-nio contratto dall’ex coniuge passato a nuove nozzeè certamente comprensibile, ma non proporzionato. La Corte invoca ad ulteriore sostegno della propriatesi una significativa considerazione. Per il coniugeil cui cognome di nascita è stato prescelto come co-gnome familiare, costituirebbe un’indebita disparitàdi trattamento il fatto che, non rinunziando con leprime nozze al proprio cognome d’origine, non siatenuto a farlo neppure contraendo successivo matri-monio. Diversamente è a dirsi per il coniuge che haacquisito per cognome familiare quello di nascitadell’altro. Questi, infatti, che già ha rinunziato al

proprio nome, perderebbe anche quello acquisito, incaso di nuove nozze. Discriminazione, peraltro, so-prattutto a danno della donna, dal momento che, inconcreto, la scelta del cognome familiare ricade perlo più sul cognome del marito. Il Bundesverfassungsgericht aveva imposto al legi-

slatore di adeguare la normativa nel termine peren-torio del 31 marzo 2005: attualmente il § 1355,comma 2, BGB recita: «I coniugi possono indicarecome cognome coniugale, mediante dichiarazioneall’ufficiale di stato civile, o il cognome di nascitadel marito o della moglie, oppure il cognome porta-to da uno di essi al momento della dichiarazione discelta del cognome coniugale». Un’altra questione delicata emerge in particolaredall’analisi della esperienza tedesca. Un primo profilo concerne la possibilità, per il co-niuge affidatario, di scegliere da solo il cognome delfiglio, senza cioè dover acquisire il consenso dell’al-tro genitore. Sul tema si rilevano decisioni contra-stanti. Si parte dall’interrogativo se il diritto di scel-ta del nome da attribuire al figlio (Wahlrecht) sia daritenersi esplicazione dell’affidamento (Sorgerecht),ovvero costituisca un diritto spettante ai genitoriquia tales, espressione dell’Elternrecht e, pertanto,trascenda l’affido. La stessa questione si pone anchein riferimento al § 1616, comma 2, BGB, in caso dimancanza di accordo o mancanza della scelta da par-te dei genitori. Di regola si ritiene che la scelta delprenome competa al genitore affidatario, in quantoespressione dei poteri derivanti dall’affido.Dall’analisi dell’esperienza tedesca emerge un’ulte-riore delicata questione, che stenta ad essere perce-pita nel nostro ordinamento ma che è destinata as-sai presto ad entrare prepotente nel dibattito giuri-dico. Si tratta della condizione del «terzo genitore».In proposito, un’importante disposizione è contenu-ta al § 1618 BGB sotto la rubrica «Einbenennung». Ilgenitore che contrae matrimonio ed a cui spetta, dasolo o insieme all’altro, l’affidamento del figlio natofuori del matrimonio, ed il coniuge di questi, chenon sia genitore del figlio, se lo accolgono sotto ilcomune tetto coniugale (gemeinsamen Haushalt),possono attribuirgli il proprio cognome coniugale,mediante dichiarazione davanti all’ufficiale di statocivile. Essi possono anche anteporre o aggiungeretale cognome a quello portato dal figlio di uno sol-tanto dei due. Tuttavia, è necessario il consenso del-l’altro genitore quando questi è coaffidatario o se ilfiglio ne porta il cognome. Se il figlio ha compiutoquindici anni è necessario anche il suo consenso. In-fine, il comma 4 dispone che il giudice competentepuò sostituirsi all’altro genitore non consenziente

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allorquando l’attribuzione o l’aggiunta del cognomerisponde all’interesse del minore (23). Come si vede il confronto tra modelli sin qui con-dotto mostra un ventaglio di opzioni le più variega-te e complesse. Il quadro si complica ancor di più sel’analisi si estende ad altre esperienze.In Spagna, la disciplina vigente si rinviene nella Ley40/99 de 5 de noviembre, sobre nombre y apellidos y or-den de los mismos, che ha modificato l’art. 109 del có-digo civil e gli articoli 54 e 55 della Ley de 8 de juniode 1957, sobre el Registro Civil. L’art. 109 c.c., nella sua attuale formulazione, stabili-sce che i genitori possono decidere, di comune ac-cordo, l’ordine dei cognomi dei figli (tra i rispettiviprimi cognomi) in assoluta equiparazione dei sessi. Inmancanza di esercizio di tale opzione si applica la di-sciplina della legge generale (art. 194 del Real decre-to, de 14 de noviembre de 1958, por el que se publica elReglamento del Registro Civil, modificato dal Real De-creto 193/2000, de 11 de febrero, de modificación de de-terminados artículos del Reglamento del Registro Civil enmateria relativa al nombre y apellidos y orden de los mi-smos) che prevede la precedenza del cognome pater-no su quello materno. Viene fatta salva, in entrambii casi, la possibilità per il figlio di modificare l’ordinedei cognomi al raggiungimento della maggiore età. L’ordine dei cognomi stabilito per il primo figlio de-termina, nel momento della iscrizione, l’ordine deicognomi anche per i figli successivi nati dallo stessovincolo. Se al momento dell’entrata in vigore dellanuova disciplina i genitori hanno figli minorenninati dallo stesso vincolo, potranno di comune accor-do invertire l’ordine dei cognomi. Se, poi, i figli -ancorché minorenni - possiedono sufficiente discer-nimento (suficiente juicio) devono essere sentiti (exart. 9 ley orgánica 1/1996, de 15 de enero) nel corsodella procedura (24). L’articolo 108 del código civil pone, inoltre, l’equi-parazione a tutti gli effetti della «filiazione matrimo-niale» (Titulo V, sección segunda, art. 115-119) allafiliazione fuori dal matrimonio (sección tercera, art.120-126), e all’adozione (Titulo VII, sección segun-da, art. 175-180; ley 21/1997, de 11 de novembre). Non dissimile, seppure con accenti di novità, la di-sciplina olandese, frutto anch’essa di un interventoriformatore attuato con l. 19 novembre 1997, entra-ta in vigore il 1° gennaio 1998. Ciò che maggior-mente connota la novella disciplina è il particolare

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GiurisprudenzaFamiglia

Note:

(23) Per la giurisprudenza il comma 4 del § 1618 BGB, frutto del-la riforma del 1 luglio 1998, ha un’estensione più ampia, attesoche non trova applicazione soltanto per la prole nata fuori del ma-

trimonio, ma per tutti i figli, ogni qual volta uno dei genitori sposiun’altra persona. In altri termini, il potere del giudice di sostituir-si al genitore che non vuol dare il proprio consenso all’apposizio-ne del nuovo cognome ha luogo sia nel caso in cui, in presenzadi figlio naturale nato da coppia non sposata, uno dei genitoricontragga matrimonio con altra persona sia nel caso di figlio na-to da coniugi poi divorziati e di cui uno dei genitori passi a nuovenozze. In proposito l’OLG Köln 13 gennaio1999 sembra contribuire a de-terminare i criteri per la concretizzazione del concetto di «inte-resse» del figlio - Kindeswohl -, ai fini dell’attribuzione del cogno-me familiare alla prole. Secondo il Tribunale, il § 1618 BGB, con-sente al giudice di sostituirsi ai genitori solamente quando nel-l’attribuzione del nuovo nome si ravvisi una necessità, non unamera utilità per l’interesse del figlio. Perciò, vi devono essere ra-gioni stringenti per sacrificare l’interesse dell’altro genitore almantenimento dell’unità del cognome familiare (Namen-seinheit). L’interesse alla Namenseinheit può ravvisarsi anche in capo adaltri soggetti, diversi dal padre, appartenenti al nucleo familiareoriginario, ad esempio i fratelli. Nella stessa scia OLG Hamm, 9febbraio 1999, OLG Oldenburg 18 giugno 1999 e OLG Celle 23aprile 1999. Sull’interesse del minore in relazione al § 1618 BGB si è pro-nunziata anche OLG Stuttgart 26 marzo 1999 secondo la qualenon è sufficiente, ai fini della sostituzione del consenso dell’al-tro genitore da parte del giudice, che il mutamento del nomesia «utile» all’interesse del figlio, bensì occorre che il muta-mento sia «necessario» e che nel caso concreto l’interesse delfiglio prevalga su quello, in via di principio di pari rango, del ge-nitore. Un significativo parametro per l’individuazione del criterio dellanecessità nell’interesse del minore è quello fornito da OLG Dre-sden 5 maggio 1999, ove si afferma che, nei casi in cui al vinco-lo al nome precedente non corrisponde più alcuna relazione con-creta tra il figlio e l’altro genitore, un mutamento del nome, nellamisura in cui serva all’interesse del figlio, è da ritenersi necessa-rio. Da ricordarsi è poi la sentenza dell’OLG Nürnberg del 15 aprile1999, la quale individua una serie di fattori che possono esseretenuti in considerazione ai fini di ravvisare come necessaria, nel-l’interesse del minore, la sostituzione o comunque la modica delcognome originario con quello del nuovo nucleo familiare. Se-condo i giudici, eventuali presupposti per determinare siffattanecessità sono ravvisabili: nel grado d’intensità di rapporto colpadre originario; nella necessità di salvaguardare la quotidianaserenità del bambino nelle relazioni interpersonali (in particolare,se l’attribuzione del nuovo cognome, possa “destabilizzarlo” fa-cendolo sentire “figlio di due genitori”; in senso inverso, nell’e-sigenza di entrare a far parte del nuovo nucleo familiare senzasentirsi diverso dai fratelli acquisiti. Peraltro, è come agevolmen-te intuibile dal fatto che i criteri appena citati muovono anche indirezione diversa, tali criteri non sono adoperabili in astratto, mavanno sempre apprezzati in base alle circostanze del caso con-creto (je nach Lage des Falles). Per l’OLG Zweibrücken, 5 febbraio 1999, in caso di morte del-l’altro genitore, è consentita, ex §1618 BGB, l’attribuzione delnome da parte del genitore superstite che ha contratto nuovenozze; tuttavia, per l’efficacia del mutamento del nome, è ne-cessario che, ai sensi del n. 4 § il giudice competente si sosti-tuisca al consenso. È facile avvedersi che tutte le sentenze cita-te si sono prodotte nel 1999 perché in tale anno si sono conso-lidati indirizzi non più sostanzialmente mutati negli anni succes-sivi.

(24) Cfr. María Linacero de la Fuente, Comentario a la ley40/1999, de 5 de noviembre, sobre nombre y apellidos y ordende los mismos, in Revista General de Legislación y Jurispruden-cia - Número 8 (Mayo de 2000); J.J. Forner Delaygua, Nombresy apellidos. Normativa interna e internacional, Editorial Bosch,1994; R.M.Méndez Tomás, A.E.Vilalta Nicuesa, Expedientes ysolicitudes sobre nombres y apellidos - LEC 2000, Biblioteca Bá-sica de Práctica Procesal nº 73, Editorial Bosch, 2000.

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rilievo ascritto alla c.d. «identificazione sociale», af-fidata al cognome individuale, vuoi all’interno dellafamiglia medesima vuoi di quei rapporti che si rea-lizzano in comunità e formazioni intermedie diffe-renti dalla famiglia.Soltanto con riguardo a quest’ultima, tuttavia, il co-gnome assume la funzione di soddisfare l’interessedel singolo ad essere «collocato» nell’ambito di undeterminato organismo, o meglio comunità, di tipofamiliare. Il profilo personalistico-solidaristico chein tal modo si pone in risalto si ripercuote in variomodo sia sulle situazioni di tipo esistenziale sia suquelle economiche che s’interrelano in questo tipodi rapporti.Analogamente alle diverse esperienza europee è, an-cora una volta, sul piano fattuale e formale, la rego-la dell’accordo a dominare la regolamentazione delnome. La disciplina - che si applica anche ai c.d.partners registrati - stabilisce che essi ovvero i coniu-gi possano anteporre o posporre al proprio il cogno-me dell’altro. Ciò che rileva, per quanto concerne ifigli, è che la scelta in ordine al cognome - da com-piersi di comune accordo - sia fatta prima o al mo-mento della dichiarazione di nascita. Diversamente,prevale il cognome del padre. Di là dalle ragioni e dalle esigenze di tutela nei ri-guardi della filiazione di sangue, un ruolo importan-te assume, nel corpus della normativa olandese, an-che il c.d. legame familiare, dovendosi, peraltro, di-stinguere a seconda che esso abbia carattere origina-rio ovvero sia sopravvenuto a quello di sangue ed aquest’ultimo si aggiunga. Così in caso di adozionedel coniuge o del partner del genitore adottivo di cuigià il figlio porta il nome. Così nel caso di riconosci-mento successivo a quello dell’altro genitore; pari-mente per l’accertamento giudiziale della filiazione. Nuovamente si applica la regola dell’accordo. In suamancanza, il cognome paterno prevale soltanto incaso di riconoscimento, fermo restando tuttavia ilnecessario consenso del figlio che abbia compiutosedici anni, che così assume in proprio la decisionein questione.Il legame familiare produce effetto anche in caso discioglimento della coppia che si ricostituisca conpersone differenti. Infatti, il genitore affidatario puòchiedere che la potestà sul figlio minore venga eser-citata in comune con altra persona che sia «in stret-ta relazione con il bambino». L’istanza congiuntadella nuova coppia, se accolta, provoca altresì lamodificazione del cognome del bambino, che puòassumere l’uno o l’altro dei cognomi di coloro che sudi lui esercitano la potestà - di nuovo appare il «ter-zo genitore». L’unica vera indicazione inderogabile

dell’intera normativa sembra essere quella che assi-cura a tutti i figli degli stessi genitori il medesimo co-gnome.Infine nell’area di Common Law, in Gran Bretagnavige la regola dell’attribuzione di un solo cognomescelto fra quelli materno e paterno. Tuttavia, in ge-nerale, nei paesi anglosassoni, il problema della scel-ta del cognome viene affrontato con estrema elasti-cità sia in sede giudiziale che in sede amministrativaed è riconosciuta un’ampia libertà a ciascun indivi-duo di modificare il proprio cognome, una volta rag-giunta la maggiore età, purché non si rechi pregiudi-zio a terzi.

In conclusione e in prospettiva de iurecondendo

Com’è agevole rilevare dalla rapida analisi di alcunedelle normative europee sul cognome familiare, letendenze in materia, pur caratterizzate da un comu-ne forte intento di non discriminare tra padre e ma-dre, non riescono tuttavia, sembra di poter afferma-re, a perseguire concretamente l’obiettivo program-mato. E ciò per difficoltà sia di ordine pratico checulturale.Infatti, se si sceglie, come ad esempio in Germania,di seguire la strada del cognome unico assunto comenome familiare e adottato perciò dai coniugi e dai fi-gli comuni - opzione talvolta esplicita talvolta forte-mente proporzionata - si spalancano le porte ad unaconflittualità che diviene via via più marcata in ca-so di divorzio e di costituzione di una nuova unione.Per di più, aumenta il rischio di gravi pregiudizi ar-recati ai minori coinvolti in tali vicende, con il con-seguente esercizio giurisprudenziale sui criteri di va-lutazione del loro interesse. Inoltre, l’imposizione della scelta di un unico cogno-me tra quelli dei coniugi o dei genitori finisce per es-sere assai poco innovativa e rischia di privilegiare ilcognome del coniuge o del genitore più forte, ancheeconomicamente, rientrando così nel solco dellatradizione che si assicura voler abbandonare.Da sottolineare, invece, la pressoché totale assenzadi conflittualità in Spagna, e non soltanto per l’anti-ca assuefazione al regime del doppio cognome, maanche per la conservazione ad entrambi i genitori,che mantengono il proprio cognome di nascita an-che dopo il matrimonio, del segno identificativo dellegame di filiazione che li unisce alla prole. Di con-tro, emerge un ulteriore grave inconveniente del re-gime del cognome unico eletto, tra quello dei coniu-gi o dei genitori, a cognome familiare: quello d’im-plicare talvolta il sacrificio di una situazione esisten-ziale direttamente collegata alla persona e alla per-

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sonalità talvolta a danno di uno dei genitori talvol-ta a scapito dei figli. Comunque, quando si apre laporta al mutamento del cognome del figlio che si in-troduce in una nuova unione, occorre tener contoaltresì degl’interessi e delle aspettative di tutela delnucleo familiare di origine. Il che vale di più quandoil cognome familiare acquisito con il primo matri-monio si trasporta ad identificare una nuova unione,come avviene, ad esempio, in Germania. Nella stagione che si vive in Italia, di trasformazioniaccelerate e talvolta assai poco meditate, soprattut-to in un settore sensibile come quello delle relazionifamiliari, il patrimonio di esperienza di realtà nor-mative più o meno vicine dovrebbe, nei fatti, funge-re da stimolo o anche soltanto da monito od inse-gnamento. La passata legislatura si caratterizzava perlo scontro tra le posizioni assunte da diverse propo-ste di riforma legislativa, descrivibili in due opzionidi fondo: l’una, la più completa libertà di scelta deigenitori, espressa anche con una tecnica legislativaper grandi linee. L’altra che tenta di prevedere e re-golamentare rationes e conflittualità agevolmenteprevedibili. Sorge il dubbio che ampliare a dismisura l’autorego-lamentazione in nome del divieto d’ingerenza deipoteri pubblici nella sfera intima delle scelte fami-liari celi una soluzione gattopardesca, e per la resi-stenza della tradizione e per la maggior forza con-trattuale di uno dei coniugi o genitori: normalmen-te l’uomo. Si perpetuerebbe nei fatti la discrimina-zione. Sì che la posizione apparentemente più liber-taria si mostrerebbe al contrario quella più conser-vatrice.Dirompente, sarebbe invece la soluzione prospettatadi attribuire ai figli i cognomi di entrambi i genitori,con totale equiparazione non soltanto di questi, madi tutte le forme di filiazione, come anticipazione diuna riforma assai più dettagliata sotto tale ultimoaspetto. E attraverso una regolamentazione che ten-ga conto di tutte le implicazioni del mutamento diregime, sia con riguardo alla filiazione nel e fuori delmatrimonio sia per quella adottiva. Principi cardinedovrebbero essere non soltanto la pari dignità deigenitori, ma altresì la tutela del minore (ad esempioin caso di riconoscimento tardivo), il conferimentoa lui di libera autodeterminazione in ordine allascelta del cognome se dotato di discernimento; e co-munque la garanzia dell’interesse alla conservazionedella precedente identità se intrecciata con l’identi-ficazione, come ad esempio in caso di adozione o diriconoscimento successivo di uno dei genitori.Ma vi è di più. Un’attenta e sofferta elaborazione,nella passata legislatura, prevedeva ulteriori forme

di garanzia, quali - per citarne taluna - quella di assi-curare un doppio cognome anche al minore ricono-sciuto da un solo genitore o a chi non sia ricono-sciuto né dal padre né dalla madre, in nome di im-prescindibili esigenze di tutela della privacy e delladignità individuale. E ciò a voler tacere dell’ulterio-re ipotesi di porre una limitata retroattività per i ge-nitori che, avendo già figli all’entrata in vigore delnuovo regime, in caso di nuova nascita estendano atutti lo stesso cognome: quello del padre, per la vec-chia disciplina, o quello di entrambi, per effetto del-la nuova. Al momento non è possibile prevedere - o profetiz-zare - il futuro e cosa, in concreto, accadrà. Un fat-to, tuttavia, è certo: l’Europa preme alle porte e conessa una serie di principi comuni a molti paesi del-l’Unione, laddove, peraltro, proprio in Italia è datorinvenire il ricorso al doppio cognome in casi assaipiù numerosi di quanto si possa immaginare, ancheper chi abbia cittadinanza italiana. Tutto nasce dal caso Avello, portato all’attenzionedella corte di giustizia europea nel 2003 (25) Un cit-tadino spagnolo, sposatosi in Belgio, aveva sollecita-to per i suoi due figli (aventi duplice nazionalità maregistrati alla nascita, secondo la legge belga, sola-mente con il cognome del padre) l’attribuzione deldoppio cognome, così come consente la legge spa-gnola (26).Le autorità belghe rigettano la domanda in base almotivo che in Belgio i figli portavano all’epoca uni-camente il cognome del padre (art. 335, n. 1, c.c.belga) (27). Il Consiglio di Stato belga interpellasulla questione la Corte di giustizia della ComunitàEuropea sollecitandola a pronunziarsi in via pregiu-diziale. Investita della questione la Corte condannail Belgio ritenendo che «se le norme che disciplina-no il cognome delle persone rientrano nella compe-

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Note:

(25) Cfr. CJCE, 2 oct. 2003, Carlos Garcia Avello c/ Etat belge, dicui riferisce J. Hauser, Nom: il ne manquait que les jurisdictionsde l’Union européenne!, RTD civ., 2004, CH., 62. La massimasecondo cui «Gli artt. 12 CE e 17 CE devono essere interpretatinel senso che ostano al fatto che l’autorità amministrativa di unoStato membro respinga una domanda di cambiamento del co-gnome per i figli minorenni residenti in questo Stato e in pos-sesso della doppia cittadinanza, dello stesso Stato e di un altroStato membro, allorché la domanda è volta a far sì che i detti fi-gli possano portare il cognome di cui sarebbero titolari in forzadel diritto e della tradizione del secondo Stato membro», è altre-sì riportata in Eur. e dir. priv., 2004, 215.

(26) In Spagna, così come in Portogallo e in tutti i Paesi dell’A-merica Latina vige da tempo la possibilità del doppio cognome.

(27) In Belgio, l’art. 335 del codice civile prevede la trasmissionedel solo cognome paterno, a meno che la paternità non sia ac-certata o il padre sia coniugato con donna diversa dalla madre: inquesti casi il figlio porta il cognome materno.

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tenza degli Stati membri, questi ultimi devono co-munque rispettare il diritto comunitario» (28). Sutale presupposto, i giudici comunitari fondano l’af-fermazione secondo cui «i figli del ricorrente posso-no avvalersi del diritto, sancito dall’art. 12 CE, dinon subire discriminazioni in ragione della propriacittadinanza, anche in relazione alla trasmissionedel nome di famiglia».A giudizio della Corte, il diniego di modifica del co-gnome in senso conforme a quanto previsto dal di-ritto di un altro Stato membro di cui pure si posseg-ga la cittadinanza non tiene conto, tra l’altro, che«la vastità dei flussi migratori all’interno dell’Unio-ne europea ha comportato la coesistenza di diversisistemi nazionali di attribuzione del cognome» met-tendo in crisi l’unicità del metro di valutazione e dirisoluzione delle singole questioni di cui sono prota-gonisti i cittadini dello Stato di accoglienza. Si ritie-ne, inoltre, che un meccanismo che consenta la tra-smissione di elementi del cognome dei due genitoripossa contribuire «a rafforzare il riconoscimento diquesto legame rispetto a entrambi i genitori» (29). La decisione dell’autorità amministrativa di unoStato membro di respingere una domanda di muta-mento del cognome per i figli minorenni residenti inquesto Stato e in possesso della doppia cittadinanza- dello stesso Stato e di un altro Stato membro - evolta ad ottenere che «i figli possano portare il co-gnome di cui sarebbero titolari in forza del diritto edella tradizione del secondo Stato membro» contra-sta dunque - nella ricostruzione della Corte - con iprincipi di diritto comunitario. Si impone, dunque, come doverosa, nel nostro pae-se, una rilettura dei meccanismi di attribuzione delcognome, vieppiù per definire casi e situazioni, nel-le quali l’ufficiale di stato civile italiano è solito at-tribuire nell’atto di nascita il solo cognome paternopur in presenza di figli legittimi di cittadinanza ita-liana concorrente con quella spagnola, secondo ildettato delle norme in tema di diritto internaziona-le privato che, nel caso di doppia cittadinanza, pre-vedono la prevalenza della legge italiana (30). All’indomani della sentenza García Avello, infatti, ilTribunale di Bologna - cui è apparsa subito evidentela possibilità di invocarne i principi con riferimentoal nostro ordinamento - ha stabilito che la doppiacittadinanza del minore legittima i suoi genitori apretendere che vengano riconosciuti nell’ordina-mento italiano il diritto e la tradizione spagnoli(31). Su una questione analoga si è pronunziato anche iltribunale di Roma con decr. 15 ottobre 2004 (32).La vicenda riguardava una coppia di coniugi compo-

sta da un cittadino spagnolo e da una cittadina ita-liana e scaturiva dall’opposizione di quest’ultima av-verso la correzione effettuata dall’ufficiale di statocivile di Roma sull’iscrizione dei due cognomi dellafiglia. Il tribunale ha accolto l’opposizione sullascorta di un iter argomentativo che, in coerenza conle regole che disciplinano i rapporti tra ordinamen-to comunitario e diritto interno, ha consentito dipervenire al riconoscimento della piena operativitàdei principi enunciati dalla corte di giustizia nellasentenza García Avello e, quindi, all’affermazionedell’illegittimità comunitaria delle norme nazionalipreclusive del cambiamento del cognome e alla con-

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Note:

(28) CJCE 2 oct., 2003, Carlos Garcìa Avello c/ Etat belge, RTDciv., 2004, Chr. 62.

(29) Si fa notare che già nel lontano 1988, la nostra Corte costi-tuzionale metteva in evidenza che la norma vigente nell’ordina-mento italiano secondo cui i figli acquistano il solo cognome pa-terno potrebbe essere sostituita da altra norma che ispirandosi“all’evoluzione della coscienza sociale” tenesse conto del lega-me del figlio con entrambi i genitori. Cfr. Corte cost. ord. 11 feb-braio 1988, in Giur. cost., 1988, I, 605 e ss.

(30) Cfr. art. 24 della legge 31 maggio 1995, n. 218 di riforma deldiritto internazionale privato che stabilisce che “l’esistenza e ilcontenuto dei diritti della personalità sono regolati dalla legge na-zionale del soggetto; tuttavia i diritti che derivano da un rapportodi famiglia sono regolati dalla legge applicabile a tale rapporto”.Delle relazioni familiari si occupano i successivi artt. 26-37 dellemedesima legge. In particolare, l’art. 33 fissa il criterio della leg-ge nazionale al momento della nascita per l’attribuzione dellostatus del figlio. Relativamente al nome delle persone che ab-biano più cittadinanze, si fa riferimento all’art. 19 della stessalegge che stabilisce, appunto, che in questi casi “la legge appli-cabile risulta quella dello Stato con il quale la persona abbia il col-legamento più stretto”; tuttavia, in presenza della cittadinanzaitaliana sarà quest’ultima a prevalere. Le norme di diritto interna-zionale privato devono essere integrate con quelle delle Con-venzioni internazionali in materia. Cfr. Conv. di Istanbul del4/9/1958 ratificata dall’Italia con la legge 24/4/1967, n. 344 cheall’art. 2 stabilisce che ogni Stato contraente può consentire ilcambiamento del nome di cittadini stranieri che siano anche pro-pri cittadini con il solo limite del rispetto dell’ordine pubblico;Conv. di Monaco di Baviera del 5/9/1980, ratificata dall’Italia conla legge 19/11/1984, n. 950 in vigore dal 1/1/1990 che all’art. 1,in linea con la tradizione, pone la cittadinanza quale criterio di col-legamento per la legge applicabile ai nomi e ai cognomi e nulladispone per le ipotesi di doppia cittadinanza.

(31) Cfr. Trib. Bologna, 9 giugno 2004 (decr.), in Fam e dir., 2004,441 che, statuendo l’attribuzione dello stesso cognome assuntoin Spagna, ha accolto il ricorso di due genitori spagnoli avverso ilprovvedimento dell’ufficiale di stato civile italiano che avevaomesso di trascrivere il cognome materno nell’atto di nascita delminore. In effetti, ai sensi dell’art. 98, comma 2, del d.P.R. n.396/00, l’ufficiale di stato civile “nel caso in cui riceva per la re-gistrazione un atto di nascita relativo a cittadino italiano nato al-l’estero, al quale sia stato imposto un cognome diverso da quel-lo spettante per la legge italiana” ha il potere di provvedere allacorrezione, indicando il cognome sostituito nell’annotazione. Re-sta però salva la possibilità di proporre ricorso avverso tale cor-rezione.

(32) In questa Rivista, 2005, 5, 677, con nota di A. Barone e E.Calò.

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seguente non applicazione in considerazione del re-golamento CE n. 2201/2003 approvato dal Consi-glio il 27 nov. 2003.Analogamente decide il Trib. Roma, 18 novembre2005, con decr. ex art. 98, comma 3, Dprn. 396 del2000, depositato il 30 gennaio 2006, e ordina all’Uf-ficiale dello Stato civile del Comune di Roma dieseguire la registrazione dell’atto di nascita del mi-nore con attribuzione al medesimo del doppio co-gnome del padre e della madre. Questa volta, il pa-dre cittadino italiano e la madre cittadina portoghe-se invocavano, sempre in base alla cittadinanza eu-ropea, per il figlio dotato di doppia cittadinanza,l’applicazione del diritto portoghese in base all’art.17 del trattato CE. Fondamento giuridico della pre-tesa è l’affermazione del portato dello status di citta-dino europeo che consente, nell’ambito di applica-zione ratione materiae del Trattato, di ottenere il me-desimo trattamento giuridico in tutti gli stati mem-bri dell’Unione. Il tutto supportato dall’affermazio-ne della Corte costituzionale italiana della imme-diata applicabilità delle statuizioni interpretativedella Corte di Lussemburgo e dall’obbligo di disap-plicazione delle norme interne incompatibili con iprincipi del Trattato da parte di «tutti i soggetti del-l’ordinamento interno competenti a dare esecuzionealle leggi, tanto se dotati di poteri di dichiarazionedel diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto seprivi di tali poteri, come gli organi amministrativi.»(cfr Corte cost. n. 116 del 1985 e n. 389 del 1989).Si riscontra, inoltre, un chiaro orientamento dellaCorte europea dei diritti dell’uomo rivolto a pro-muovere la completa uguaglianza dei genitori nel-l’attribuzione del cognome ai figli (Cfr. CEDH 16/2/2005, affaire Uhal Teseli c. Turquie; CEDH,24/10/1994, affaire Stjerna c. Filande; CEDH,24/1/1994, affaire Burgatz c. Suisse).Ma quello che più conta sottolineare è che l’affer-mazione della cittadinanza europea conduce a farprevalere altri criteri di collegamento, di là da quel-lo della cittadinanza, ai fini dell’attribuzione del co-gnome. Ne fa prova il révirement della Corte di giu-stizia europea che con la sentenza del 14 ottobre2008 travolge una sua precedente decisione sullamedesima questione, che peraltro aveva destato for-ti perplessità. Infatti con l’arrêt del 27 aprile 2006aveva negato la propria competenza a decidere su uncaso di un bambino nato in Danimarca da genitoridi nazionalità tedesca. Le autorità danesi, conforme-mente alla legislazione nazionale vigente in Dani-marca, avevano registrato il bambino con il duplicecognome che, al contrario, veniva successivamentenegato dalle autorità tedesche in ragione del fatto

che questa possibilità non è prevista dal diritto tede-sco. Avverso il ricorso dei genitori si pronunziavanonegativamente sia il Kammergericht di Berlino che ilBundesverfassungsgericht. Da lì a qualche anno,avendo i coniugi divorziato ed avendo rifiutato discegliere il nome per i propri figli, veniva chiamatoil giudice della famiglia a decidere a quale dei duegenitori attribuire la scelta in questione, secondo ildisposto del § 1617 § 2 BGB. La Corte europea hasottolineato che in questo caso il giudice, non es-sendovi alcuna lite tra i genitori, svolge una funzio-ne puramente amministrativa. Questi ultimi, infatti,avevano di comune accordo richiesto l’attribuzionedel doppio cognome in una disputa contro la pubbli-ca autorità tedesca sulla quale si era già formato ilgiudicato. Nella nuova decisione, al contrario, laCorte statuisce in nome dell’art. 18 CE l’impossibi-lità per uno Stato membro di disconoscere, appli-cando il diritto nazionale, il nome di un minore, cit-tadino dello Stato, come determinato e registrato inun altro Stato membro dove si è verificata la nascitae dove risiedeva con i genitori, nonostante che nonne abbia la cittadinanza.Da qui alcune considerazioni. La disciplina del no-me è materia complessa e delicata, da non lasciareprobabilmente alla totale discrezionalità di sceltapriva di regole e di garanzie, ma soprattutto di opzio-ni fondamentali tra le tante possibili, come dimostrail quadro europeo delle normative sul nome. D’altrocanto, la persistente assenza d’interesse del legislato-re ad affrontare il compito di regolamentazione po-trebbe produrre una ulteriore forma di «turismo» fi-nalizzato alla scelta della legge nazionale che più siattagli alle proprie esigenze, con conseguenze nonpropriamente auspicabili. Inevitabilmente, l’indu-giare ulteriormente nel porre mano alla normativain tema di cognome familiare comporterebbe anco-ra una volta la supplenza della fonte europea rispet-to alla funzione legislativa degli organi italiani ad es-sa preposti.Ciò non di meno, non sembra verosimile che inquesta materia, in cui occorre per dare regolamenta-zione una decisa presa di posizione sulle opzioni fon-damentali che formano l’orditura del tessuto norma-tivo, il miracolo di supplenza possa essere operato dauna lucida, consapevole e in qualche modo speran-zosa sentenza della suprema corte.

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IL DIRITTO COMUNITARIO ED IL DOPPIO COGNOME: UN PRIMATO IN ESPANSIONE?

di Roberto Conti

L’Autore, dopo aver ricordato i principali interventi del giudice comunitario in tema di doppio cognome, esa-mina una recente decisione della Corte d’appello di Palermo che ha fatto applicazione dei principi affermatidal giudice di Lussemburgo, soffermandosi sullo stato dei rapporti fra diritto interno e diritto comunitario inmateria.

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Premesse

La possibilità di usare in Italia il doppio cognome -paterno e materno - non ha mai trovato stabile in-gresso in ragione di un quadro normativo che sem-bra impedire tale possibilità.Ed invero, l’art. 33 d.P.R. 3 novembre 2000 n. 396contenente il Regolamento per la revisione e lasemplificazione dell’ordinamento dello stato civilespecifica che il figlio legittimato ha il cognome delpadre, ma egli, se maggiore di età alla data della le-gittimazione, può scegliere, entro un anno dal gior-no in cui ne viene a conoscenza, di mantenere il co-gnome portato precedentemente, se diverso, ovverodi aggiungere o di anteporre ad esso, a sua scelta,quello del genitore che lo ha legittimato. Inoltre, l’art. 98 d.P.R. ult.cit. dispone che chi in-tende promuovere la rettificazione di un atto dellostato civile o la ricostituzione di un atto distrutto osmarrito o la formazione di un atto omesso o la can-cellazione di un atto indebitamente registrato, o in-tende opporsi a un rifiuto dell’ufficiale dello stato ci-vile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazioneo di eseguire una trascrizione, una annotazione o al-tro adempimento, deve proporre ricorso al tribunalenel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civi-le presso il quale è registrato l’atto di cui si tratta opresso il quale si chiede che sia eseguito l’adempi-mento.Orbene, sulla base di tale disciplina, non si dubitache nell’ordinamento interno vige il principio che ilfiglio nato dal matrimonio assume il cognome delpadre. Analoghe conclusioni sono state ritenute con ri-

guardo ai cittadini italiani nati in Paesi ove è rico-nosciuto il doppio cognome.Premesso, infatti, che l’art. 19 della legge di riformadel sistema italiano di diritto internazionale privato(legge 31 maggio 1995 n. 218) ha stabilito la preva-lenza della cittadinanza italiana se quest’ultima èpresente nel caso di doppia nazionalità, va osservatoche l’art. 15 d.P.R. n. 396/2000 prevede, sotto la ru-

brica Dichiarazioni rese all’estero, che le dichiarazionidi nascita relative a cittadini italiani nati all’esterosono rese all’autorità consolare e devono farsi secon-do le norme stabilite dalla legge del luogo alle auto-rità locali competenti, se ciò è imposto dalla leggestessa. A fronte di tale quadro normativo più volte esami-nato dalla Cassazione e dalla Corte costituzionale,sostanzialmente impeditiva della possibilità di attri-buire al cittadino italiano il doppio cognome, l’ap-proccio al tema del giudice comunitario ha assuntoforme e gradi progressivamente più incisivi, essen-dosi all’inizio affermato l’obbligo degli Stati membridi procedere alla corretta traslitterazione negli attidi stato civile dei cognomi dei cittadini comunitari -Corte giust. 30 marzo 1993, n. C-168/91, ChristosKonstantidinis c. Stadt Altensteig-.Occorre però attendere gli anni più recenti percogliere le decisioni di più grande respiro comuni-tario delle quali si darà conto nei successivi para-grafi.

Corte giust. 2 ottobre 2003, n. C-148/02,Carlos Garcia Avello c. Regno del Belgio

Una cittadina belga ed uno spagnolo convolavano anozze in Belgio, ivi dando alla luce due figli ai qualiveniva attribuito il cognome del padre - composto,in conformità alla legge e all’uso spagnoli, dal primoelemento del cognome del padre e dal primo ele-mento del cognome della madre di quest’ultimo-. Successivamente i genitori avevano chiesto alle au-torità belghe di ottenere il cambiamento del cogno-me dei figli in modo che lo stesso rispecchiasse ilmodello spagnolo e comprendesse il primo elemen-to del nome del padre seguito dal cognome (da nu-bile) della madre degli stessi. Tale domanda venivarespinta in quanto contraria alla prassi vigente inBelgio. Il Conseil d’ètat (Consiglio di Stato belga)sollevava quindi una questione pregiudiziale innan-zi alla Corte di giustizia per sapere se i principi di di-ritto comunitario in materia di cittadinanza dell’U-

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nione europea e di libera circolazione delle personeostavano a tale rifiuto. Corte giust. 2 ottobre 2003, n. C-148/02, CarlosGarcia Avello (1), dopo che l’Avvocato Generale siera espresso in termini di incompatibilità del regimenazionale con il diritto comunitario (2), ha anzitut-to ritenuto che la controversia involgeva l’applica-zione del diritto comunitario, essendo in discussionel’esercizio del diritto di cittadinanza dei due figli,cittadini di uno Stato membro, i quali soggiornanolegalmente sul territorio di un altro Stato membro.Il giudice di Lussemburgo ha quindi ritenuto che laprassi riscontrata nell’ordinamento belga, che fini-sce col precludere la possibilità che un figlio dotatodi doppia cittadinanza porti il cognome compositodi padre e madre riconosciuto da altra legislazione, èin contrasto con gli artt. 12 e 17 Tr.CE, determinan-do una discriminazione in ragione della cittadinanzacon riferimento alle norme che disciplinano il co-gnome dei genitori. La Corte ricorda a tal punto che il divieto di discri-minazione impone di non trattare situazioni analo-ghe in maniera differente e situazioni diverse in ma-niera uguale (3), chiarendo che un trattamento di-scriminatorio può essere giustificato solo se fondatosu considerazioni oggettive, indipendenti dalla cit-tadinanza delle persone interessate, e adeguatamen-te commisurate allo scopo legittimamente persegui-to (4). Nella fattispecie concreta era risultato che i belgidotati anche di cittadinanza spagnola vengono trat-tati allo stesso modo dei cittadini belgi, ai quali vie-ne attribuito il cognome del padre, ancorché nelpaese di origine sia ai medesimi riconosciuto di go-dere del doppio cognome. Tale situazione impediscedi rivendicare un trattamento diverso da quello ri-servato alle persone che posseggano soltanto la cit-tadinanza belga ed integra, pertanto, una discrimi-nazione tale da generare per gli interessati seri in-convenienti di ordine tanto professionale quantoprivato.Né la dedotta immutabilità del cognome che costi-tuisce un principio fondante dell’ordinamento so-ciale belga, derogabile dal Re sono in casi eccezio-nali, è stata ritenuta idonea a giustificare il tratta-mento operato dall’amministrazione di quel Paese.Infatti, detto principio, pur costituendo strumentodestinato a prevenire i rischi di confusione in meri-to all’identità o alla filiazione delle persone, non ètuttavia tanto indispensabile da non poter ammette-re una prassi consistente nel permettere a figli, chesiano cittadini di uno Stato membro e che abbianoanche la cittadinanza di un altro Stato membro, di

portare un cognome composto da elementi diversida quelli previsti dal diritto del primo stato membro.Da qui la conclusione che il diniego di una doman-da di cambiamento del cognome volta a garantirel’uso del doppio cognome per figli minorenni resi-denti in Belgio e in possesso della doppia cittadi-nanza, dello stesso Stato e di un altro Stato membroche riconosce tale possibilità, è in contrasto con gliartt. 12 CE e 17 Tr.CE (5).Tale decisione ha prodotto effetti in Italia, visto cheil Ministero dell’Interno ha varato la circolare 12giugno 2008 nella quale il Dipartimento per le li-bertà civili e l’immigrazione ha disposto che, d’orain avanti, i decreti di conferimento della cittadinan-za italiana per tutti i cittadini dell’Unione europeadi nazionalità spagnola e portoghese-omologa quan-

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Note:

(1) V. Faccioli, Corte di giustizia 2 ottobre 2003:figli di cittadini didue Stati membri e trasmissione del cognome dei genitori, inStudium iuris, 2003,1554; M. N. Bugetti, L’attribuzione del co-gnome tra normativa interna e principi comunitari, in Fam.dir.,2004, 442. La sentenza è segnalata in Osservatorio, in questa Ri-vista, 2003, 12, 1649.

(2) L’Avvocato Generale Jacobs, nelle conclusioni depositate il22 maggio 2003, ha velocemente esaminato i sistemi di deno-minazione delle persone vigenti nei Paesi Ue, riscontrando unacerta disomogeneità. In caso di conflitto fra ordinamenti giuridicicon riguardo alla disciplina del cognome di una persona, per lamaggior parte degli Stati membri a prevalere è la legge naziona-le di quest’ultima quale legge che ne disciplina lo stato civile. Co-sì avviene anche in Belgio che, in caso di persona dotata di più diuna cittadinanza, una delle quali è quella belga, garantisce la pre-valenza alla legge belga. Quanto al cognome portato dai figli,l’Avvocato Generale rileva come nella maggior parte degli Statimembri i figli portano di fatto il medesimo cognome del padre,ricordando peraltro proprio la legislazione italiana per la quale il fi-glio di una coppia coniugata deve sempre portare il cognome pa-terno - art. 33 d.P.R .n. 396/2000-.Nessuna omogeneizzazione èprevista, invece, con riguardo alla possibilità di combinare i co-gnomi di entrambi i genitori nel cognome del figlio .Quanto alcambiamento di cognomi, in Belgio può essere autorizzato soloin via eccezionale e previa dimostrazione del fatto che sussista-no gravi motivi per tale cambiamento. Fatte le superiori premes-se, l’Avvocato generale riteneva lesivo della libertà di circolazio-ne la prassi adottata dall’ordinamento belga volta ad escludereche i figli dotati di doppia cittadinanza avessero il doppio cogno-me garantito dall’altra legislazione, richiamando sia l’art. 8 dellaC.E.D.U. che l’art. 3 della Convenzione dell’Aja del 12 aprile1930 - Serie dei Trattati della Società delle Nazioni, vol. 179, pag.89 - ratificata in Belgio con legge 20 gennaio 1939; firmata dallaSpagna con una riserva ma non ratificata - concernente determi-nate questioni relative ai conflitti di leggi in materia di cittadinan-za, secondo il quale una persona avente cittadinanza doppia oplurima può essere considerata come un proprio cittadino da cia-scuno degli Stati di cui abbia la cittadinanza.

(3) V., in particolare, sentenza 17 luglio 1997, n. C-354/95, Natio-nal Farmers’Union e a., in Racc., I-4559, p. 61.

(4) V. Corte giust. 11 luglio 2002, n. C-224/98, D’Hoop, inRacc.,2002, I-6191, p.36.

(5) V. per un’applicazione della sentenza esaminata in Italia Trib.Roma, 18 novembre 2005, in www.associazione dei costituzio-nalisti.it, commentato da Ciervo, Il diritto al doppio cognome delminore

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to al regime sul cognome alla legislazione iberica-,recheranno senza che l’interessato ne faccia richie-sta, le generalità attribuite al momento della nascita(6).

Corte giust. 14 ottobre 2008,n. C-353/06,Grunkin

Dopo l’affermata esistenza del diritto dei figli di por-tare il cognome di cui sono titolari in forza della tra-dizione dello Stato di appartenenza, la Corte di giu-stizia, con l’autorevolezza della Grande Sezione, èrecentemente tornata ad occuparsi delle questionicollegate al cognome di minori che, nati in un Pae-se ove è previsto il doppio cognome, chiedono, sen-za ottenerlo, il riconoscimento in un Paese dell’U-nione europea dove è consentito il cognome del ge-nitore maschio.La questione pregiudiziale che ha determinato l’in-tervento del giudice comunitario è stata sollevata daun giudice tedesco innanzi al quale l’ufficiale di sta-to civile di quel Paese aveva chiesto se poteva esse-re accolta la richiesta di iscrizione presso i registridello Stato civile dell’atto di nascita di un minorecittadino tedesco al quale era stato attribuito nelPaese di nascita (Danimarca) il doppio cognome -paterno e materno-.Tale richiesta era stata rigettata dall’autorità ammi-nistrativa sul presupposto che la disciplina di dirittointernazionale privato applicabile nella fattispecie -risultando il minore esclusivamente cittadino tede-sco come i di lui genitori - prevedeva l’applicazionedella normativa sostanziale della Germania, paesenel quale non è consentito a un figlio di portare undoppio cognome composto da quello del padre e daquello della madre.Corte giust. 14 ottobre 2008, n. C-353/06, Grunkin(7), chiamata a valutare «…se, alla luce del divietodi discriminazione contenuto nell’art. 12 CE e inconsiderazione della libertà di circolazione garantitaad ogni cittadino dell’Unione dall’art. 18 CE, sia va-lida la norma di conflitto prevista dall’art. 10 del-l’EGBGB in quanto, riguardo alla normativa sul no-me di una persona, essa fa riferimento solo alla citta-dinanza», ha stabilito che l’art. 18 CE, in circostan-ze come quelle della causa principale, osta a che leautorità di uno Stato membro, in applicazione deldiritto nazionale, rifiutino di riconoscere il cognomedi un figlio così come esso è stato determinato e re-gistrato in un altro Stato membro in cui tale figlio -che, al pari dei genitori, possiede solo la cittadinan-za del primo Stato membro - è nato e risiede sin dal-la nascita.Orbene, la Corte è stata anzitutto chiamata a valu-

tare se, nel caso sottoposto al suo vaglio, potesse ri-tenersi applicabile il diritto comunitario, risolvendopositivamente la questione.Il giudice comunitario ha ritenuto che la situazionedel piccolo cittadino tedesco rientra nell’ambito diapplicazione ratione materiae del Trattato CE, tutta-via fornendo delle rilevanti precisazioni che valgo-no a “limitare” la portata della decisione stessa e deiprincipi in essa affermati. Infatti, sebbene allo stato attuale del diritto comuni-tario le norme che disciplinano il cognome di unapersona rientrino nella competenza degli Statimembri questi ultimi, nell’esercizio di tale compe-tenza, devono tuttavia rispettare il diritto comunita-rio a meno che, precisa la Corte, non si tratti di unasituazione interna che non ha alcun collegamentocon il diritto comunitario.Nell’affermare tale principio, già peraltro esplicitatonella ricordata sentenza Garcia Avello, la Corte sem-bra voler fissare, in maniera intelligibile, i paletticirca la rilevanza del diritto comunitario in materia,in modo da fugare l’equivoco per cui “ogni questio-ne inerente al cognome” impone ai singoli Stati diimprontare le legislazioni interne al rispetto del di-ritto comunitario.Dunque, il giudice di Lussemburgo ha avuto buongioco nel ritenere che nel caso sottoposto al suo va-glio esistesse un collegamento con il diritto comuni-tario, ma solo perché il caso fuoriusciva da una di-mensione meramente ed esclusivamente nazionaleriguardando, appunto, un figlio cittadino di unoStato membro e al contempo soggiornante legal-mente nel territorio di un altro Stato membro.Solo in questa prospettiva il minore poteva invoca-re il diritto, nei confronti dello Stato membro di cuiè cittadino, conferitogli dell’art. 12 CE di non subi-re una discriminazione basata sulla sua cittadinanza,nonché quello, sancito dell’art. 18 CE, di circolare esoggiornare liberamente nel territorio degli Statimembri.Detto questo, il giudice comunitario ha escluso nelcaso di specie profili di contrasto fra la disciplina te-desca e l’art. 12 del trattato CE in tema di divieto didiscriminazione. Infatti, dato che il minore ed i suoi genitori possede-vano unicamente la cittadinanza tedesca - non vi-

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GiurisprudenzaFamiglia

Note:

(6) La circolare è reperibile all’indirizzohttp://www.interno.it/mi-ninterno/export/sites/default/it/assets/files/15/0563_circolare_DLCI_12.06.08.pdf

(7) V. Bazzoli, La giurisprudenza della Corte di giustizia sull’usodel doppio cognome, in www.europeanright.com..

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gendo il principio dello ius soli in Danimarca ai finidell’acquisto della cittadinanza - e che, per l’attribu-zione del cognome, la norma di conflitto tedesca og-getto della causa principale faceva riferimento al di-ritto sostanziale tedesco in materia di cognomi, ladeterminazione del cognome di tale bambino inGermania in conformità alla normativa tedesca nonpoteva costituire una discriminazione fondata sullacittadinanza.A diverse conclusioni è invece giunto il giudice diLussemburgo rispetto alla paventata violazione del-l’art. 18 Tr.CE. La Corte ha rammentato che una normativa nazio-nale che svantaggia taluni cittadini nazionali per ilsolo fatto che hanno esercitato la loro libertà di cir-colare e di soggiornare in un altro Stato membrorappresenta una restrizione delle libertà riconosciu-te a tutti i cittadini dell’Unione dall’art. 18, n. 1, CE(8). Ecco che il fatto di essere obbligati a portare, nelloStato membro di cui si è cittadini, un cognome dif-ferente da quello già attribuito e registrato nello Sta-to membro di nascita e di residenza è idoneo ad osta-colare l’esercizio del diritto a circolare e soggiornareliberamente nel territorio degli Stati membri, sanci-to dall’art. 18 CE. È stato poi ricordato che secondo la giurisprudenzacomunitaria i figli in possesso della cittadinanza didue Stati membri, in caso di diversità di cognomi,possono subire seri inconvenienti di ordine profes-sionale e privato derivanti dalle difficoltà di fruire,in uno Stato membro di cui hanno la cittadinanza,degli effetti giuridici di atti o di documenti redatticon il cognome riconosciuto nell’altro Stato mem-bro del quale possiedono la cittadinanza (sentenzaGarcia Avello, cit., p. 36).Orbene, secondo la Corte tali seri inconvenientipossono presentarsi allo stesso modo in una situazio-ne di cittadinanza esclusiva del minore. Infatti hapoco rilievo il fatto che la diversità dei cognomi èconseguenza della doppia cittadinanza degli interes-sati o della circostanza che, nello Stato di nascita edi residenza, la determinazione del cognome è colle-gata alla residenza, mentre nello Stato di cui questiultimi possiedono la cittadinanza tale determinazio-ne è collegata alla cittadinanza.Se dunque numerose azioni della vita quotidiana, sianel settore pubblico sia in quello privato, richiedonola prova dell’identità - prova che di norma è fornitadal passaporto - è apparso evidente che nel casoconcreto il minore tedesco, possedendo solo la citta-dinanza tedesca, aveva diritto ad ottenere il passa-porto solo dalle autorità tedesche. Circostanza che

avrebbe determinato, ove queste si fossero opposteal riconoscimento del cognome così come esso è sta-to determinato e registrato in Danimarca, il rilasciodi un passaporto ove risulta un cognome diverso daquello che egli ha ricevuto in quest’ultimo Statomembro.Tale situazione avrebbe dunque cagionato un palesepregiudizio al minore che, chiamato a dimostrare lasua identità in Danimarca - Stato membro in cui ènato e risiede sin dalla nascita - avrebbe dovuto dis-sipare i dubbi sulla sua identità e allontanare sospet-ti di falsa dichiarazione suscitati dalla divergenza trail cognome che egli utilizza da sempre nella vitaquotidiana - che compare sia nei registri delle auto-rità danesi sia in tutti i documenti ufficiali che lo ri-guardano redatti in Danimarca, come, tra l’altro,l’atto di nascita - e il cognome che figura sul suo pas-saporto tedesco. Né per la Corte è senza significato il disagio cheavrebbe subito il minore all’atto di chiedere attesta-ti, certificati e diplomi che davano atto di un cogno-me diverso da quello risultante nel passaporto; disa-gi che sarebbero progressivamente aumentati nelcorso degli anni, essendo nel caso concreto il bam-bino strettamente legato sia con la Danimarca siacon la Germania. Dal fascicolo emergeva infatti cheil minore, pur vivendo principalmente con la madrein Danimarca, soggiornava regolarmente in Germa-nia per visitare il padre, che lì si era stabilito dopo ildivorzio.Questi disagi, secondo la Corte, non trovano giusti-ficazione sulla base di considerazioni oggettive néappaiono proporzionati allo scopo perseguito dallanorma nazionale (9).Si è così escluso di poter valorizzare le giustificazio-ne offerte dal Governo tedesco, secondo il quale ilcollegamento esclusivo della determinazione del co-gnome alla cittadinanza costituisce un criterio ido-neo a determinare il cognome di una persona in mo-do certo e continuo, garantendo l’unicità del cogno-me fra figli degli stessi genitori e mantenendo le re-lazioni tra i membri di una famiglia allargata. Secondo la Corte le motivazioni addotte dal Go-verno tedesco - che pure individuavano nel criterionazionale uno strumento idoneo a garantire chetutte le persone di una certa determinata cittadi-

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Note:

(8) v. Corte giust.18 luglio 2006, n. C 406/04, De Cuyper, inRacc., I 6947, p. 39, e 22 maggio 2008, n. C 499/06, Nerkowska,non ancora pubblicata in Racc., p. 32

(9) v., in questo senso, sentenza 11 settembre 2007, n. C318/05, Commissione c. Germania, in Racc. I 6957, p. 133.

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nanza siano trattate allo stesso modo, assicurandoun’identica determinazione del cognome delle per-sone aventi la medesima cittadinanza - per quantolegittime, non apparivano di rilevanza tale da giu-stificare il rifiuto del riconoscimento di un cogno-me determinato e registrato in un altro Stato mem-bro.Del resto, anche i minori non cittadini tedeschi le-gati a genitori stabilmente residenti in Germania sisarebbero trovati nella medesima situazione del mi-nore cittadino tedesco e dunque con un cognomeformato ai sensi della normativa tedesca.Nemmeno pertinenti sono state ritenute le esigenzedi ordine pratico correlate al divieto, previsto nel-l’ordinamento tedesco, di attribuzione di cognomicomposti, trattandosi di considerazioni di naturaamministrativa non sufficienti a giustificare un osta-colo alla libera circolazione, nemmeno postulandosinel caso concreto ragioni di ordine pubblico cheavrebbero potuto sconsigliare il cognome acquisitoin Danimarca.

L’applicazione in Italia dei dicta di Lussemburgo

Pronta a rispondere agli interrogativi immediata-mente posti dalla dottrina circa la possibili ricadutedella sentenza del 14 ottobre 2008 sull’ordinamentoitaliano (10), la Corte di appello di Palermo, chia-mata in fase di gravame a verificare la legittimità diuna sentenza resa dal Tribunale di quella stessa cittàche aveva rigettato la richiesta di due genitori italia-ni di ottenere la rettifica di un atto di nascita dellaloro figlia, cittadina italiana non munita di doppiacittadinanza, registrata nel Regno Unito con il co-gnome paterno e materno, ha riformato la decisionedi primo grado che aveva ritenuto inapplicabili iprincipi espressi dalla sentenza Garcia Avello, co-gliendo in corsa la sentenza della Grande Sezionedella Corte di Giustizia, pubblicata appena ventigiorni dopo la proposizione del reclamo innanzi algiudice di appello.Dopo avere icasticamente ed efficacemente sottoli-neato che l’interpretazione resa dalla Corte di giu-stizia è «vincolante per il giudice italiano, secondoquanto da tempo chiarito dalla Corte costituzionale(Corte cost. n. 113 del 23 aprile 1985)» il giudicedel gravame riscontra l’identità della questione po-sta al suo vaglio con quella risolta dalla sentenza delgiudice comunitario da ultimo ricordata e, così, nonmostra dubbi sul fatto che la richiesta avanzata daireclamanti di ottenere la trascrizione dell’atto di na-scita di un cittadino italiano registrato in un Paesestraniero con il cognome del padre e della madre era

corretta e meritava accoglimento malgrado l’art. 98d.P.R. 396/2000.

Conclusioni

Il panorama giurisprudenziale succintamente evoca-to mostra, ancora una volta, le capacità espansivadel diritto vivente della Corte di giustizia, apertamen-te proiettato verso una protezione “elevata” dell’i-dentità della persona che si esprime attraverso e nelpatronimico, fondata su un giudizio di bilanciamen-to proteso, anche sulla scorta di non meno impor-tanti arresti provenienti dalla Corte dei diritti uma-ni (11), a preservare il valore identitario anche ri-spetto ad esigenze di una certa rilevanza, comunquecedevoli rispetto al nome.La Corte di appello di Palermo ha deciso di inserirsiin questo percorso virtuoso, anche se qualche dub-bio poteva sorgere in ordine alla perfetta analogiafra la vicenda posta al suo vaglio, nella quale non ri-sultava la residenza della minore italiana in territo-rio britannico, e quella decisa dalla Corte di Giusti-zia .In effetti, l’interpretazione vincolante resa dal giudi-ce comunitario si riferiva al caso di minore residen-te in un Paese che chiedeva la registrazione dell’attodi nascita nel Paese di cui aveva la cittadinanza purnon risiedendovi.Per tal motivo la Corte comunitaria aveva ritenutoche la vicenda esulava dai confini puramente inter-ni e rimaneva dunque soggetta al rispetto del quadrocomunitario e dunque giustificava il controllo dicompatibilità della normativa nazionale tedesca conla libertà di circolazione protetta dall’art. 18 CE. Tale collegamento era di tipo diverso dall’altro “col-legamento” al diritto comunitario espresso dallasentenza Garcia Avello, tutto incentrato sulla com-binazione cittadinanza europea - principio di nondiscriminazione (12). Non può infatti revocarsi indubbio, come pure la Corte di giustizia ha chiarito,che le norme sull’attribuzione del cognome di unapersona rientrano tra le competenze degli Statimembri.

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Note:

(10) V. L.. Trucco, Ancora un “via libera” della Corte di Lussem-burgo alla “circolazione” dei cognomi (un altro contributo all’ela-borazione pretoria dello “statuto europeo del nome”), inwww.giurcost.org/casi_scelti/CJCE/C-353-06.htm.

(11) V., sul punto, ancora L. Trucco, Ancora un “via libera” dellacorte di lussemburgo alla “circolazione” dei cognomi (un altrocontributo all’elaborazione pretoria dello “statuto europeo delnome”), cit.

(12) V., sul punto, Bazzocchi, La giurisprudenza della Corte di giu-stizia sull’uso del doppio cognome, cit..

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Nel caso esaminato dalla pronunzia siciliana nonemerge, almeno dalla motivazione del provvedi-mento, che il minore fosse residente nel Regno Uni-to.È il caso di osservare, più in generale, una tendenza- per certi aspetti virtuosa - delle Corti nazionali adestendere la portata delle norme comunitaria fino alpunto da condizionare il diritto interno - ove essonon sia direttamente collegato al diritto comunita-rio - trova conferma proprio in Cass. 22 settembre2008, n. 23934, nella quale veniva richiamata, franumerosi e pertinenti richiami al diritto sovranazio-nale, anche l’imminente entrata in vigore del Trat-tato di Lisbona e la conseguente immediata vincola-tività della Carta di Nizza - e dei diritti in essa con-templati - rispetto ad una fattispecie concreta che,riguardando un atto di nascita redatto in Italia neiconfronti di cittadino italiano non presentava, concertezza, alcun elemento di collegamento col dirittocomunitario.Tale modus operandi dei giudici nazionali sembra, avolte, oltrepassare i confini, netti e chiari, che purela giurisprudenza di Lussemburgo ha da tempo fissa-to in ordine alla portata del diritto comunitario(13).La pronunzia palermitana è, in ogni caso, frutto diquella osmosi giurisprudenziale, già descritta in dot-trina, che porta i giudici a fruire di concetti e nozio-ni del diritto comunitario e di farne applicazione an-che oltre la stretta esigenza di applicazione dellafonte che di volta in volta viene in gioco (14).Ora, tale fenomeno, quando si muove sulle lineedell’interpretazione - anche evolutiva o sistematica- della norma interna è certamente condivisibile e,anzi, per certi aspetti auspicabile.Il problema si fa più complesso allorché giunge aconseguenze più trancianti - quali ad esempio quelledella non applicazione della norma interna ritenutain contrasto col diritto comunitario-.Ed infatti, il giudice isolano si è posto in contrappo-sizione netta con la Comunicazione urgente in temadi applicabilità dell’art. 98 comma 2 del d.P.R. n.396/2000 resa dal Ministero dell’interno - Diparti-mento per gli Affari Interni e Territoriali - il 15 mag-gio 2008 (15). In essa si leggeva, che, rispetto ai casi di soggetti inpossesso della sola cittadinanza italiana, ma nati al-l’estero, «…Nessun dubbio vi è circa la necessità diuna correzione ex lege (dell’atto di nascita n.d.r.) nelcaso di soggetto in possesso della sola cittadinanzaitaliana (caso sub a). È del tutto evidente che in questi casi l’art. 98 è si-curamente applicabile, al pari dei casi di acquisto

della cittadinanza italiana e perdita di quella prece-dente».Ora, sembra evidente che la Corte isolana abbia in-teso non applicare l’art. 98 cit. e la direttiva espres-sa dal Ministero, ritenendo che dette previsionicontrastassero col prevalente diritto comunitario e,dunque, non meritassero di trovare applicazione nelcaso concreto.Resta solo da osservare che tale conclusione, dallaquale dovrebbe derivare anche a carico dell’Ufficia-le di Stato civile l’obbligo di rettificare l’atto di na-scita in modo da conservare il cognome riconosciu-to all’estero - se è vero che l’obbligo di non applica-zione della normativa interna contrastante col dirit-to comunitario incombe non soltanto nei confrontidell’autorità giudiziaria, esso estendendosi anche al-l’autorità amministrativa (16) - avrebbe probabil-mente richiesto un’indagine di più ampio respiro,correlata all’incidenza in materia del diritto al ri-spetto della vita privata e familiare contemplatodall’art. 8 CEDU e compiutamente declinato, pro-

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GiurisprudenzaFamiglia

Note:

(13) v., sul tema, volendo, Conti-Rizzo, Il new deal di Corte cost.393/2006 sui rapporti tra ordinamento interno, norme di dirittointernazionale principi generali dell’ordinamento comunitario, inquesta Rivista, 2007, 4,577.

(14) Biavati, Diritto comunitario e diritto processuale italiano fraattrazione, autonomia e resistenze, in Dir.un. eur., 2000, 24,728..

(15) La comunicazione è reperibile in http://www.deaweb.org/sem-plice.bancadati.documenti.leggi.php?id=819&testo

(16) Cfr. Corte giust. 9 settembre 2003, n. C-198/01, ConsorzioIndustrie Fiammiferi, p. 49; Corte giust.29 aprile 1999, n. C-224/97, Ciola; cfr. altresì Corte giust. 4 dicembre 1997, Causeriunite C-258/96 e C-253/96, Kampelmann, 46; Corte giust. 3 ot-tobre 2002, n. C 347/00, Barreira Pérez, p. 44; Corte Giust. 13gennaio 2004, causa C-453/00, Kühne & Heitz; Corte giust. 17febbraio 2005, cause riunite C 453/02 e C 462/02, Linneweber eAkritidis, p. 41; Corte giust. 12 giugno 2005, Cause riunite C453/03, C 11/04, C 12/04 e C 194/04, Fratelli Martini e Cargill,101; Corte giust. 6 marzo 2007, n. C 292/04, Meilicke e a., inRacc. I-1835, p. 34; Corte giust. 12 febbraio 2008, n. C-2/06,Kempter, p. 36.E ciò vale, in particolare, per gli enti territoriali-Cfr. Corte Giust.,22 giugno 1989, n. C-103/88, Fratelli Costanzo SpA c. Comune diMilano, punti 30-31-per le Amministrazioni fiscali-v. Corte Giust.19 gennaio 1982, n. C-8/81, Ursula Becker c. Finanzamt Muen-ster-Innenstadt, p. 25; Corte Giust., 22 febbraio 1990, n. C-221/88, CECA c. Fallimento Acciaierie e Ferriere Busseni - perquelle doganali - Corte Giust. 12 febbraio 2008, n. C-2/06, Kemp-ter - per le amministrazioni operanti nel settore sanitario - Cortegiust. 26 febbraio 1986, n. C-152/84, M. H. Marshall c.Southampton and South West Hampshire Area Health Autho-rity, p. 49-per quelle impegnati nella salvaguardia dell’ordine edelle pubblica sicurezza - Corte Giust. 15 maggio 1986, n. C-222/84, Marguerite Johnston c. Chief Constable of the Royal Ul-ster Constabulary, p. 57-per l’Autorità antitrust-Corte giust.9marzo 2003, n. C-198/01, Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF) eAutorità Garante della Concorrenza e del Mercato, punti 45/50-per gli organismi incaricati di pubblico servizio-Corte giust. 12 lu-glio 1990, n. C-188/89, Foster e altri c. British Gas Plc., p. 20.

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prio a proposito dei cognomi, dalla Corte dei dirittiumani - che appunto ha più volte espresso il proprioavviso collegando tale valore fondamentale al di-vieto di discriminazioni fondate sul sesso (17). Sal-vo poi a valutare se l’eventuale contrasto della nor-ma interna con il parametro sovranazionale, ovefosse stata acclarata la dimensione meramente in-terna della controversia, poteva essere risolto diret-tamente dal giudice ovvero demandato, ancora unavolta, al giudice costituzionale, secondo quanto sta-bilito da Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007 per

contrasto con i diritti fondamentali sanciti dallaCEDU.

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GiurisprudenzaFamiglia

Nota:

(17) Cfr. Corte dir. uomo, 22 febbraio 1994,ric. n. 16213/90, Af-faire Burghartz c. Suisse; Corte dir. uomo, eur. dir. uomo, 16 feb-braio 2005, req. n. 29865/96, Ünal Tekeli c. Turquie; Corte dir.uo-mo, 16 febbraio 2005, ric. n. 29865/96, Ünal Tekeli c. Turquie.Mette conto ricordare che nell’ultimo dei precedenti appenaevocato il giudice di Strasburgo ha ritenuto discriminatoria sullabase del sesso una normativa che, in seguito al matrimonio, im-poneva alla donna la perdita dell’“esclusività” del cognome d’o-rigine, consentendone solo l’aggiunta a quello del marito.

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Famiglia e diritto 1/201090

OpinioniProcesso civile

Tribunale della famiglia

Il tribunale per le relazionifamiliari: una storia infinitadi Gabriella Autorino

La storia dei tribunali per i minorenni si sviluppa dal 1934 attraverso la cronaca di una riforma non ancoracompiuta. Alle competenze diverse di molteplici organi giudiziari è da sostituire un unico tribunale per le per-sone, la famiglia e le relazioni familiari. Nell’avvenuto cambiamento di concezioni e di contenuti in questematerie, il tribunale si deve caratterizzare per “mitezza”, per un sistema forte di garanzie, per la prossimitàe per la sensibilità. Si delinea così - anche alla luce di altre esperienze europee - la figura di un giudice spe-cializzato, in una riforma che non è soltanto processuale, ma che, nell’attuale evoluzione del diritto di fami-glia, è chiamato ad occuparsi dei “diritti relazionali”.

1. Waiting for…: cronaca di una riforma noncompiuta

“Waiting for…”: cronaca di una riforma non compiu-ta.È oramai dagli anni Quaranta del secolo scorso, daquando Samuel Beckett elaborò uno degli indiscussicapolavori del teatro dell’assurdo (1), che i due va-gabondi Estragone e Vladimiro, in una stradina dicampagna, con lo sfondo soltanto di un albero soli-tario, attendono un certo Godot. La vaghezza, conl’attesa, sono due dei sentimenti portanti che ani-mano la scena. Tutto è vago e tutto è attesa: il luogoe l’ora dell’appuntamento non si conoscono, ma an-che e soprattutto l’identità di Godot non è chiara,non è certa. I due protagonisti tuttavia sono convin-ti, o forse sperano, che all’arrivo di Godot, la loro si-tuazione cambierà in meglio. Ma chi è mai Godot? Le risposte sono molteplici: ildestino, la morte, la fortuna, il fato e perfino Dio. Ebbene, senza troppo sforzo di immaginazione, an-cor oggi, tutti i giuristi che si occupano di temi atti-nenti al diritto delle persone e della famiglia sannocon certezza chi è il loro “personale” Godot: il cd.“tribunale della famiglia” o “per le persone e per lafamiglia” o “per la persona e le relazioni familiari” o“per la persona, i minori e le relazioni familiari”, nel-le dizioni “politicamente corrette” che man mano sisono proposte.Se l’attesa di Vladimiro ed Estragone è l’Attesa pereccellenza, anche quella di questa riforma auspicata,annunciata, rinviata, vituperata, rimodulata conti-nuamente è certamente per il giurista che si occupi

del diritto delle persone e della famiglia l’attesa ditutte le attese.E quante sono le assonanze, le similitudini di questotema, tutto giuridico, con il dramma beckettiano edil miglior teatro dell’assurdo in genere, quello di Io-nesco, di Adamov, di Pinter: quanti sono stati, neglianni, i dialoghi senza significato sul tribunale dellafamiglia, sterili, ripetitivi, capaci di suscitare il di-sappunto, alle volte l’ilarità, del pubblico a dispettodel dramma dei personaggi che calcano la scena.Dialoghi inconcludenti, si diceva, ma anche lunghisilenzi, pause eccessive.Sono questi i tratti salienti del teatro dell’assurdo,sono questi i tratti salienti del dibattito sulla crea-zione di un giudice specializzato che si occupi in viaesclusiva di tutte le problematiche attinenti allapersona ed alla famiglia.Un vero e proprio fantasma che, oramai da troppianni, nel dibattito politico, nelle diverse voci cheanimano la dottrina e tra le righe delle pronuncedelle corti si aggira senza pace. Nel provare a sem-plificare l’idea di fondo che anima il tema, siamo di-nanzi al tentativo di istituzione non ex novo, ma sul-le ceneri degli attuali tribunali per i minorenni di ungiudice che riduca ad unità tutto il diritto di famigliae delle persone (e non solo) nell’alveo della propriasfera di competenza; una soluzione, questa, che divi-de, tanto sotto il profilo dell’an della riforma, quan-

Nota:

(1) Il riferimento è chiaramente alla celeberrima Waiting for Go-dot, pubblicata soltanto nel 1952 in lingua francese con il titoloEn attendant Godot.

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to sotto quello del quomodo della stessa, guardatacon sospetto da tanti quanti sono quelli da cui è au-spicata ed invocata (2).Eppure, anche se la tematica è certamente di estre-ma attualità, non può certo dirsi che essa sia “giova-ne”: si pensi che, già nel 1908,Vittorio EmanueleOrlando, in una circolare indirizzata a tutti gli Uffi-ci Giudiziari del Regno d’Italia, non soltanto auspi-cava che in tutti i tribunali venisse identificato unmagistrato che si occupasse “in special modo” deiminorenni, ma che tale giudice non dovesse limitar-si all’accertamento del fatto delittuoso, bensì avesseanche il compito di scandagliare il contesto perso-nale e familiare in cui il minore si inseriva al fine diassumere il provvedimento più opportuno. Appenadi un anno successivo fu il cd. Progetto Quarta chedisegnava addirittura un organico Codice dei mino-renni e di cui, nel 1934 (3), l’istituzione degli attua-li tribunali per i minorenni rappresenta una sorta dilontana, parziale e distorta attuazione (4). Ad ogni modo, anche con l’istituzione dei tribunaliper i minorenni non si interruppe né il dibattito néla tensione dell’ordinamento giudiziario verso ungiudice unico per famiglia e persone, tant’è che, inpiena epoca repubblicana e postcostituzionale, sisuccedono diversi progetti di riforma, tutti caratte-rizzati tanto dalla genesi ad opera di illustri giuristiquanto dall’assenza di alcun esito concreto. Si pensi,soltanto per citare i più celebri, al Ddl Gonella del1960, alla Commissione Altavista del 1974, al DdlRadaelli del 1978, a quello Gozzini del 1983, a quel-lo Martinazzoli del 1986 (elaborato da una commis-sione presieduta da Alfredo Carlo Moro) (5).Tutti questi progetti erano ispirati dalla volontà didar vita ad una magistratura specializzata non sol-tanto in materia di minorenni, ma anche di famigliae persone, secondo un modello che, seguendo diver-se epifanie e diversi gradi di attuazione concreti, siandava affermando negli Stati Uniti, in Gran Breta-gna, in Belgio, in Francia ed in diverse altre realtà diCivil Law. In effetti, è facile registrare come tutti iprogetti di riforma, pre e post repubblicani, fosseroaccomunati da alcuni capisaldi: concentrazione del-le competenze civili e penali in capo al medesimoorgano giudicante; una composizione mista (togataed onoraria) del nuovo giudice; particolare attenzio-ne alla “vicinanza” della competenza territoriale, co-me pure alla formazione ed all’elevato grado di spe-cializzazione che avrebbe dovuto caratterizzare i ma-gistrati destinati a ricoprire i nuovi ruoli (6).Dopo alcune iniziative minori degli anni Novanta(contraddistinte dalla sostanziale riproposizione deivecchi progetti sotto il nome di nuovi firmatari),

una profonda linea di frattura col passato è rappre-sentata dal Progetto Castelli del 2002, caratterizzatodalla opzione per l’istituzione di sezioni specializzatepresso i tribunali e le corti di appello (e non più ditribunali autonomi), dalla cancellazione della com-ponente onoraria dall’organo giudicante, senzaesclusività di funzioni per i magistrati destinati allostesso e senza la previsione di alcun particolare re-quisito di formazione. Ad ogni modo, dopo la boc-ciatura da parte della Camera, nel 2003, del Proget-to Castelli in virtù di una pregiudiziale di costituzio-nalità, la linea di continuità con il passato è stata ri-stabilita, nel 2007, dalla Commissione Bianca, inca-ricata di operare un complessivo riassetto del dirittodi famiglia e delle persone italiano, e dal paralleloProgetto Bindi, che ha riaffermato l’obiettivo dipuntare ad una specializzazione effettiva e non me-ramente formale dell’istituendo giudice, mantenen-do una composizione mista dei collegi giudicanti,formati da magistrati con un percorso formativo spe-cifico (7).Per concludere questa parabola storica con l’oggi,anche l’attuale Governo ha annunciato, negli scorsimesi, di essere al lavoro su un progetto di riforma,che vedrà la ricomposizione di tutte le competenzein materia di famiglia e persone in capo ad un unicoorgano giurisdizionale: ciò ha destato, per un verso,nuova speranza negli interpreti e, per un altro, il ti-more che vengano ripresi i capisaldi del Progetto

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Nota:

(2) Cfr. sul punto le riflessioni di G. Autorino Stanzione, Diritto difamiglia, Torino, 2003, 14 ss. e di A. C. Moro, Manuale di dirittominorile, Bologna, 1996, 25 ss. Analogamente, M. Bessone - G.Alpa - A. D’Angelo - G. Ferrando - M. R. Spallarossa, La famiglianel nuovo diritto, Bologna, 1997, 27 ss.

(3) Il riferimento normativo è al Regio Decreto-Legge 20 luglio1934, n. 1404 (in Gazz. Uff., 5 settembre 1934, n. 208), conver-tito in Legge 27 maggio 1935, n. 835 (in Gazz. Uff., 12 giugno1935, n. 137), rubricato Istituzione e funzionamento del tribuna-le per i minorenni.

(4) Vedi anche F. Ruggieri, La riforma della giustizia minorile. Unoscenario complesso per interventi limitati, in Cass. pen., 2003,10, 2931 ss.

(5) Per una puntuale e compiuta disamina, anche nei contenutispecifici, di tutti i progetti di legge che si sono succeduti neglianni in materia, si veda L. Fadiga, I progetti di riforma della giu-stizia per i minorenni, in A. Picardi (a cura di), Minori, famiglia,persona. Quale giudice?, Milano, 2008, 51 ss.

(6) In una prospettiva più generale, C. M. Bianca, voce «Famiglia(diritti di)», in Novissimo Dig., VII, Torino, 1961, 71 ss. Cfr. ancheM. Sesta, Privato e pubblico nei progetti di legge in materia fa-miliare, in Studi in onore di P. Rescigno, II, 1, Milano, 1998, pas-sim.

(7) Esprime una posizione particolarmente critica rispetto ai di-versi disegni di legge di riforma presentati negli anni L. Cancrini,Una giustizia che estenda le possibilità di accedere ad occasionid’aiuto centrate sulla persona, in Minori Giustizia, 2002, 2, 49 ss.

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Castelli, “costruito” in maniera tale da porsi comeriassetto delle competenze più formale, che sostan-ziale.Eppure, nonostante questo elenco di numerosi ten-tativi (più o meno positivi) di riforma del sistemadella giustizia minorile ed, in genere, familiare, l’u-mana (e giuridica) avventura dell’unico organo giu-dicante specializzato in materia, il tribunale per iminorenni, non sembra prossima a volgere al termi-ne e resiste, praticamente immutata, dal 1934 ad og-gi (8).Come dire che la crisalide, immaginata dal legislato-re precostituzionale in un’epoca ed in un clima cul-turale lontano da quello attuale (seppur già ricchis-simo in tema di voci ed idee moderne), non è mairiuscita a completare il suo naturale sviluppo, nutri-to dall’ampio dibattito che l’ha sempre negli anniaccompagnata, assurgendo a farfalla, in piena attua-zione del disegno costituzionale, che nel trittico didisposizioni degli artt. 29-31 sembra, in diversi pas-saggi, adombrare l’idea di un organo giurisdizionalespecializzato (9).

2. Il frutto dell’esistente incompiuto: un arcipelago di competenze disperse

Il frutto dell’esistente incompiuto: un arcipelago dicompetenze disperse.Ebbene, la mancanza di concretezza del legislatore sipalesa apparentemente inspiegabile, soprattutto ovesi ponga mente alla disastrosa situazione di disordineche oggi caratterizza, da un punto di vista anche so-lo schiettamente procedimentale, i rapporti tra giu-stizia ordinaria e giustizia minorile relativamente aiprocedimenti in materia di famiglia e persone (10).Pur nell’innegabile sforzo del formante giurispru-denziale, che non ha mai smesso di invocare una ra-zionalizzazione dell’esistente ed, al contempo, di la-vorare con ciò che l’ordinamento allo stato propo-ne, si assiste, tuttavia, ad una incomprensibile ed in-giustificabile condizione di concreta negazione diogni principio di giustizia sostanziale in virtù di unaminuta polverizzazione delle competenze tra tribu-nale ordinario e quello minorile (per citare soltantoi due organi maggiori coinvolti nella querelle).Una tale obsoleta impostazione, fondata su una plu-ralità di giudici e di riti processuali che possono in-tervenire rispetto alla medesima fattispecie concre-ta, non può che porsi in palese contrasto con l’at-tuale sistema costituzionale e, in particolare, con ilprincipio del giusto processo.Come sottolineato dalla dottrina più accorta, le la-cune dell’ordinamento processuale italiano in mate-ria sono macroscopiche e, per citare soltanto alcune

delle problematiche principali, basti pensare alla as-soluta incertezza legislativa circa il giudice compe-tente in relazione alle controversie personali e patri-moniali riguardanti i figli naturali, alla assenza diuna previsione che attribuisca efficacia di titoli ese-cutivi ai provvedimenti del tribunale per i minoren-ni in tema di mantenimento, alla mancanza di unaprocedura specifica per i provvedimenti provvisoried urgenti sino al discorso, cruciale, della dislocazio-ne territoriale dei tribunali per i minorenni e dellalampante insufficienza numerica dei relativi magi-strati (11).Si pensi, ancora, alla assurdità procedimentale, dicostituzionalità quantomeno dubbia, della scissionedelle competenze sull’affidamento di figli minori incaso di separazione o divorzio da quelle relative al-l’affidamento dei figli nati all’interno di una fami-glia di fatto: non a caso, a proposito dello stato at-tuale della ripartizione delle competenze in materia,si è parlato di “illogicità disfunzionale” (12). Peraltro, tali profili problematici si sono addiritturaacuiti in virtù degli interventi più recenti del legi-slatore in materia di famiglia e persone. Con la pres-soché contemporanea entrata in vigore delle leggi28 marzo 2001, n. 149 (in materia di adozione e pro-cedimenti de potestate) ed 8 febbraio 2006, n. 54 (lacd. legge sull’affidamento condiviso), rispettiva-mente il 1° luglio 2007 (13) ed il 16 marzo 2006, in-fatti, un sistema giurisdizionale già fortemente defi-citario ha manifestato tutte le sue latenti contraddi-zioni. Come noto, a fronte di antinomiche letture

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Note:

(8) Vedi anche V.M. Caferra, Famiglia e assistenza, Bologna,1996, 47 ss.

(9) In tema, cfr. A. C. Pelosi, Commentario al diritto di famiglia,Padova, 1992, 375 ss. Si veda anche, secondo una impostazio-ne tesa ad individuare un diritto della famiglia superiore a quellodei singoli membri, C. Grassetti, voce Famiglia (diritto di), in No-vissimo Dig., VII, Torino, 1961, 49 ss., nonché C. M. Bianca, vo-ce Famiglia (diritti di), cit., 74 ss.

(10) Analoghe riflessioni in F. D. Busnelli, Libertà e responsabilitàdei coniugi nella vita familiare, in Riv. dir. civ., 1971, I, 133 ss.

(11) In tema, amplius M.G. Ruo, I procedimenti civili minorili: ov-vero alla ricerca della riforma perduta, in A. Picardi (a cura di), Mi-nori, famiglia, persona. Quale giudice?, cit., 97 ss.

(12) Vedi A. Mestizt, Come riformare la giustizia minorile, in Mi-nori Giustizia, 2002, 2, 40 ss.

(13) Da sottolineare che l’entrata in vigore delle disposizioni pro-cessuali della legge 28 marzo 2001, n. 149 avevano incontratoaddirittura sei proroghe successive, ciò in quanto lo stesso legi-slatore era consapevole delle carenze e dell’inadeguatezza dellanuova disciplina. Tuttavia, tali disposizioni, alla fine, sono entratein vigore senza alcuna delle modifiche e/o delle integrazioni ne-cessarie. In tema, si veda G. Autorino - P. Stanzione, (a cura di),Le adozioni nella nuova disciplina (l. 28 marzo 2001, n. 149), Mi-lano, 2001, passim.

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del dato normativo processuale, è stato addiritturaformalizzato, ad opera del Tribunale di Milano, pri-ma, e di quello di Monza, poi, un conflitto negativodi competenza su cui è dovuta intervenire la Cortedi Cassazione. La problematica nasce in virtù deldettato dell’art. 4 della legge n. 54 del 8 febbraio2006, secondo cui «le disposizioni della presentelegge si applicano anche […] ai procedimenti relati-vi ai figli di genitori non coniugati». La norma, ispi-rata al meritorio intento di evitare discriminazionitra figli legittimi e naturali, purtroppo però tace deltutto circa i profili processuali, non chiarendo se siastato modificato il dettato dell’art. 38, co. 1, disp.att. c.c. (che, nella sua attuale formulazione, affidaalla competenza del tribunale per i minorenni “iprovvedimenti contemplati dagli artt. 84, 90, 171,194, comma 2, 250, 252, 262, 264, 316, 317 bis, 330,332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, nonchénel caso di minori dall’art. 269, comma 1, c.c.”). LaSuprema Corte, nel dirimere il conflitto, con l’ordi-nanza n. 3362/2007 (14), ha ribadito l’attuale vi-genza dell’art. 38 cit. ed ha conseguentemente iden-tificato nel tribunale per i minorenni l’unico giudicecompetente ad adottare non soltanto i provvedi-menti relativi ai figli minori nella crisi dell’unionedi fatto, ma anche le contestuali misure relative allapotestà genitoria ed all’affidamento del figlio, non-ché tutte le statuizioni economiche relative al man-tenimento di questi, come prefigurato dai novellatiartt. 155 ss. c.c. Eppure, i profili irrisolti rimangononumerosi: ad esempio, quale sarà il giudice compe-tente nei casi in cui si discuta soltanto di profili eco-nomici e non anche di quelli personali?Se quella appena rappresentata è questione tutta re-lativa al discorso circa la competenza, per altro ver-so, non può non accennarsi almeno alla vexata quae-stio dell’assenza di rappresentanza e difesa del mino-re in gran parte dei procedimenti che lo riguardano.La persona in età evolutiva, infatti, in virtù di unainadeguata attuazione in materia del principio delcontraddittorio e dei diritti di difesa (15), è di fattoestromessa da giudizi che dovrebbero invece vederlaprotagonista, come i procedimenti sulla potestà (didecadenza o di limitazione della stessa) o quelli dideclaratoria dello stato di adottabilità. L’ordinamen-to processuale attuale, di là dal dettato dell’art. 78c.p.c., ignora completamente il potenziale conflittodi interessi fra il minore ed i propri genitori, parto-rendo così un contraddittorio strutturalmente “mu-tilato”, con una conseguente perdita di terzietà edimparzialità del giudice competente, costretto dallecarenze normative a “fare la parte del minore” (16).Questa condizione di passività processuale del mi-

nore è un’ulteriore, diretta conseguenza del faticosotentativo di adattamento alla persona in età evoluti-va di riti e procedure non congeniali ai suoi interes-si (17).I profili di contrasto evidenziati, che rappresentanosoltanto esempi della situazione inverosimile che sipresenta dinanzi alla richiesta di tutela in materia difamiglia e persone, dimostrano una volta di più co-me un intervento legislativo razionalizzatore, cheunifichi tutte le competenze in capo ad un unico or-gano giudicante, non sia più razionalmente rinviabi-le. Eppure, nell’interprete di diritto positivo rimaneforte la domanda sul perché il legislatore italiano ab-bia dovuto attendere, se non addirittura provocare,il sostanziale collasso del sistema processuale de quo,prima di cominciare a riflettere effettivamente sul-l’opportunità di una riforma di respiro generale.

3. Dietro il velo dell’incompiutezza

Ed allora, percorso (seppur succintamente) quell’iterdi riforma che in realtà non si è mai allontanato dalpunto di partenza dell’incompiutezza rappresentata

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Note:

(14) Il riferimento completo è ordinanza n. 8362 del 22 marzo - 3aprile 2007, confermata anche dalla successiva ordinanza n.19406 del 21 giugno - 20 settembre 2007. Per un commentodelle conseguenze processuali dell’entrata in vigore delle più re-centi normative in materia di persone e famiglia, si vedano, exceteris, F. Tommaseo, Le nuove norme sull’affidamento condivi-so: profili processuali, in questa Rivista, 2006, 388 ss., nonché L.Salvaneschi, I procedimenti di separazione e divorzio, ibidem,356 ss.

(15) In tema, fondamentali sono i contributi di P. Stanzione, tra iquali si richiamano Capacità e minore età nella problematica del-la persona umana, Camerino-Napoli, 1975, passim; Diritti fonda-mentali dei minori e potestà dei genitori, in Rass. dir. civ., 1980,447 ss.; Personalità, capacità e situazioni giuridiche del minore,in Id., Tutela dei soggetti “deboli”, Milano, 2004, 17 ss., ed, inparticolare, 28, ove l’A., riprendendo una riflessione di J. Car-bonnier (da Preface à R. Legeais, L’autorité parentale, Paris,1973, 13), evidenzia come «indubbiamente il riformatore nelcampo dei rapporti personali ha apportato rilevanti novità. Ciònonostante, non sembra che il legislatore abbia perseguito in talmodo un progetto di totale rivalutazione della persona del mino-re: egli, infatti, ha continuato a scrivere il de patria potestate edha rinunziato a dettare il de liberis liberandis».

(16) Considerazioni analoghe sono svolte da M.G. Ruo, I proce-dimenti civili minorili: ovvero alla ricerca della riforma perduta,cit., 93 ss., che discorre espressamente di mutilazione del con-traddittorio.

(17) Circa la necessità di funzionalizzare la disciplina familiare in-nanzitutto agli interessi dei singoli piuttosto che ad un superioreinteresse della famiglia, discorrendo della ricerca di un costante«equilibrio delle libertà», si veda G. Autorino Stanzione, Divorzioe tutela della persona. L’esperienza francese, italiana e tedesca,Camerino-Napoli, 1981, 25 ss. Sul punto, ad ogni modo, ancoraP. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della per-sona umana, cit., 238 ss. Contra A. Cicu, Il diritto di famiglia. Teo-ria generale, Roma, 1914, 91 ss., nonché, dello stesso Autore,Lo spirito del diritto familiare nel nuovo codice civile, in Riv. dir.civ., 1939, 3 ss.

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dagli odierni tribunali per i minorenni e dall’attualedispersione delle competenze in materia di famigliae persone tra diversi organi giurisdizionali “non co-municanti”, l’interprete non può fare a meno dichiedersi perché in Italia, a fronte di un dibattitopur vivo e di una esigenza di rinnovamento e razio-nalizzazione che è innegabilmente esistente, nonriesca a realizzarsi una riforma che, ad esempio, inFrancia ha visto la luce sin dal 1945 e si è definiti-vamente compiuta nel 1994 con l’istituzione dei Ju-ges aux affaires familiales (18).Da questo punto di vista, tenderei a distinguere talicause, variamente identificate dagli interpreti, indue macrocategorie, rispettivamente etichettabilicome esterne ed interne rispetto al dibattito genera-le che, nel nostro ordinamento, anima da sempre ildiritto di famiglia e delle persone (19).Nel tralasciare volutamente quelle teoriche che pu-re vorrebbero imputare l’inerzia del legislatore ita-liano in materia, ora all’assenza nel nostro paese diuna consapevole tradizione laica rispetto a famigliae persone, settori dove lo Stato preferisce fare daspettatore delegando la maggior parte dei propricompiti alla Chiesa; ora addirittura alla contestazio-ne giovanile del 1968 che avrebbe bloccato il dibat-tito sul punto (20), devono certamente iscriversinella prima area, quella delle cause di stallo esterne,le recenti riforme del codice di procedura penale e diquello di procedura civile, nonché la ontologicaidiosincrasia del sistema nostrano verso giurisdizionispecializzate.Per un verso, infatti, tanto la riforma del processopenale della seconda metà degli anni Ottanta,quanto quella del processo civile di circa un decen-nio successiva, entrambe del tutto silenti rispettoal tribunale per i minorenni e, in genere, al dirittodi famiglia e delle persone, servirono tuttavia a ce-lare, seppur malamente, la profonda esigenza dirinnovamento specifica e tutta particolare di que-sto settore (21). Per altro verso, si asserisce gene-ralmente che l’ordinamento giurisdizionale italia-no, meno avvezzo di altre esperienze (anche di Ci-vil Law) alla specializzazione dei giudicanti, sareb-be profondamente diffidente verso un tribunaledella famiglia e delle persone che, nella sua perse-guita e dichiarata specialità, potrebbe rappresenta-re un grave vulnus per il principio dell’unitarietàdella giurisdizione (22).Eppure, tali argomentazioni di taglio sistematico egenerale, poste a giustificazione dell’inerzia legislati-va, non soddisfano pienamente: le riforme proces-suali degli anni passati, invero, nulla - in positivo oin negativo - hanno mutato nello scenario delle vi-

cende processuali che interessano la famiglia e lepersone, così come, analogamente, l’asserita fugadell’ordinamento processuale italiano da forme dispecializzazione della giurisdizione è palesementesmentita dalla continua ricerca della stessa in setto-ri differenti da quello familiare e certamente menosensibili e delicati. Si pensi, in tal senso, al rito dellavoro o a quello societario oppure, ancora, alle se-zioni specializzate in materia di marchi e brevetti. Dunque, dietro l’incompiutezza della realizzazione diuna riforma della giustizia familiare deve esserciun’altra spiegazione, che non può essere ricercata“altrove”, nel generale del sistema, ma che è piùprofonda e propria dello stesso diritto di famiglia ita-liano.Quella che è una vera e propria recherche du tempsperdu, dunque, deve partire dalla imprescindibilecontestualizzazione della stessa nell’ambito del piùampio dibattito (civile, prima ancora che giuridico)sul concetto di famiglia (23).

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Note:

(18) Sull’importanza di una visione della problematica in terminicomparatistici, G. de Vergottini, La comparazione nel diritto co-stituzionale. Scienza e metodo, in Dir. e società, 1986, 165 ss.;G. Lombardi, Premesse al corso di diritto pubblico comparato,Milano, 1986; G. Bognetti, Introduzione al diritto costituzionalecomparato, Torino, 1994; A. Gambaro - R. Sacco, Sistemi Giuri-dici Comparati, in R. Sacco (diretto da), Trattato di Diritto Com-parato, Torino, 1996, in particolare 47; M.G. Losano, I grandi si-stemi giuridici, Torino, 1978; M. Ancel, Utilité et méthodes dudroit comparé, Neuchâtel, 1871, trad. it. Utilità e metodi del di-ritto comparato (a cura di P. Stanzione - G. Autorino Stanzione),Camerino - Napoli, 1974; L.J. Costantinesco, Il metodo compa-rativo, ed. it. a cura di A. Procida Mirabelli di Lauro, Torino, 2000.

(19) Vedi G. Autorino - P. Stanzione, Diritto civile e situazioni esi-stenziali, Torino, 1997, passim.

(20) Entrambe le argomentazioni sono addotte da L. Fadiga, Iprogetti di riforma della giustizia per i minorenni, cit., 70 ss.

(21) Cfr. anche L. Fadiga, I progetti di riforma della giustizia per iminorenni, in A. Picardi (a cura di), Minori, famiglia, persona.Quale giudice?, cit., 72 ss.

(22) Vedi ancora L. Fadiga, op. ult. cit., 73.

(23) Per una visione più generale sulle interrelazioni che legano ildiritto di famiglia alle evoluzioni sociali, F. Santoro Passarelli, Ilgoverno della famiglia, in Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961,400 ss.; C. Cardia, Il diritto di famiglia in Italia, Roma, 1975, pas-sim; P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Na-poli, 1991, 63 ss.; G. Autorino Stanzione, Diritto di famiglia, cit.,passim; G. Cian, Introduzione sui presupposti storici e sui carat-teri generali del diritto di famiglia riformato, in Comm. rif. dir.fam. Carraro-Oppo-Trabucchi, II, Padova, 1992, 47 ss.; G. Piepo-li, Individuo e gruppi sociali. Il gruppo familiare, in N. Lipari, Dirit-to privato. Una ricerca per l’insegnamento, Bari, 1974, 173 ss.; F.D. Busnelli, La tutela della vita familiare nel nuovo diritto di fami-glia, in Studi Coviello, Napoli, 1978, 39 ss.; F. Degni, Il diritto difamiglia nel nuovo codice civile italiano, Padova, 1943, passim;G. Furgiuele, Libertà e famiglia, Milano, 1979, passim. In pro-spettiva comparata, S. Sica, Famiglia e autonomia privata, inGentlemen’s agreements e intento giuridico, Napoli, 1995, 230ss.

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In altre parole, quando si discorre di un giudice spe-cializzato per la famiglia non si può trascurare l’im-magine di Carlo Arturo Jemolo dell’isola che il ma-re del diritto doveva soltanto lambire, oggi pure uti-lizzata non più in senso attuale, ma soltanto per mi-surare quanto piccolo sia divenuto quel lembo diterra emerso. Ed, ancora, non può tralasciarsi il ri-cordo della posizione di Vittorio Emanuele Orlando,quando, durante i lavori della Costituente, sostennecon vigore la tesi secondo cui la nuova Costituzionenon doveva occuparsi della materia familiare. O,ancora, la tesi di Antonio Cicu, che scriveva di co-me la famiglia disciplinata dal codice civile del1865, sostanzialmente ispirato al Code Napoléon,fosse un organismo portatore di un interesse supe-rindividuale al quale gli interessi dei singoli veniva-no subordinati, organismo che “anche se non hapersonalità giuridica è non di meno da porre accan-to agli enti pubblici” (24).Si tratta del passato, recente, della famiglia e delleregole giuridiche ad essa applicabili, il passato diqueste due voci, famiglia e diritto, concepite comedimensioni soltanto sporadicamente (e con cautelaestrema) sovrapponibili. Due concetti quasi antite-tici, destinati a comporsi, nella loro ferma diversità,quali profili complementari della società civile: ilprimo, la famiglia, dominato dalla dimensione affet-tiva e solidaristica; il secondo, il diritto, avvertitoquale strumento “altro”, artificiale, il “regno” del-l’individualismo e dell’affermazione della singolaritàdel soggetto (25).In un contesto ideologico del genere, evidentemente,il dibattito relativo alla istituzione di un giudice spe-cializzato per la famiglia, di un tribunale per la fami-glia non può che essere segnato ed ogni iniziativa de-stinata all’insuccesso: ciò perché la specializzazioneviene naturalmente percepita in sé stessa come unfattore di rischio per la maggiore potenziale invasivitànelle dinamiche interne delle relazioni endofamiliari(26), da affidare, invece, - secondo le concezioni so-prarichiamate - alla loro naturale autonomia.È innegabile come l’idea, sin troppo cara alla dottri-na italiana (e non solo), di una famiglia, monade deldiritto, destinataria di una regolamentazione lieve,rispettosa, quasi timorosa, ha pesato e pesa ancora,quasi criptotipicamente, su ogni tentativo di riformadel settore.L’interprete più accorto, allora, non può mancare disottolineare quanto sia stretto il collegamento traquesta originaria concezione della famiglia e del di-ritto ad essa applicabile e la sorte di tutti i progetti diriforma che volevano un giudice specializzato in ma-teria.

Essenziale è prendere piena consapevolezza del fattoche qui non si discorre di una mera riforma procedi-mentale, esteriore, delle forme della giurisdizione.Una tale impostazione sarebbe riduttiva e miope: l’i-stituzione di un tribunale della famiglia rappresentaun momento di ripensamento complessivo dellaconcezione sostanziale dell’istituto nell’ambito delnostro ordinamento. È da questo punto di vista, allora, che la specializza-zione desta paura ed è rifuggita.Eppure, la modernità delle relazioni familiari, “bellao brutta” che si consideri, in una relazione di biuni-voca influenza, così come impone alla società ilcambiamento, allo stesso modo non può che incide-re sul diritto e sulle concezioni su cui esso si fonda(27). Non può negarsi, allora, che, secondo una parabolaevolutiva che parte dagli anni ‘60 e di cui l’oggi al-tro non rappresenta se non un momento di confusopassaggio, la famiglia ha perduto le sue peculiarità,le sue guarentigie e si presenta all’interprete, secon-do l’iconografia coniata da Francesco Busnelli, comeun fitto “arcipelago” di disposizioni normative (28),dove il giurista non è più chiamato ad osservare dilontano rispettoso, ma è continuamente interpella-to al fine di ricomporre, quando possibile, la molte-plicità in sistema ordinato oppure, in alternativa, aidentificare quei principi primi generali che degra-

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Note:

(24) È questa l’impostazione della famiglia che dominava neglianni immediatamente successivi alla codificazione. La cellula fa-miliare, infatti, era immaginata esclusivamente quale semina-rium rei publicae e, dunque, dedita al perseguimento di un inte-resse super-individuale del gruppo familiare, di natura pubblici-stica, prevalente rispetto all’interesse dei singoli membri. Que-sta impostazione è propria dell’opera di A. Cicu, Lo spirito del di-ritto familiare, in Scritti minori di Antonio Cicu, I, 1, Milano, 1965,131 ss.

(25) In tema, per tutti, P. Stanzione, Diritti fondamentali dei mi-nori e potestà dei genitori, cit., 447 ss. Vedi anche P. Perlingieri,Sulla famiglia come formazione sociale, in Id., Rapporti persona-li nella famiglia, Napoli, 1982, 39 ss., il quale ribadisce l’implicitasussistenza, nel nostro ordinamento, di un principio di prevalen-za delle situazioni esistenziali su quelle di natura patrimoniale. Direcente, V. D’Antonio, La potestà dei genitori, in G. AutorinoStanzione, Trattato teorico-pratico di diritto di famiglia, Torino,2006, 457 ss.

(26) Così P. Andria, Il tribunale per i minori, per la famiglia, per lapersona: la proposta dell’Aimmf, in A. Picardi (a cura di), Minori,famiglia, persona. Quale giudice?, cit., 244.

(27) Cfr. P. Perlingieri (a cura di), Rapporti personali nella famiglia,cit., passim. In una prospettiva assolutamente diversa si pone A.Cicu, Matrimonium seminarium reipublicae, in Arch. giur., 1966,16 ss., e, sempre dello stesso Autore, Sull’indissolubilità del ma-trimonio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, 688 ss.

(28) Il riferimento è a F.D. Busnelli, La famiglia e l’arcipelago fa-miliare, in Riv. dir. civ., 2002, 509 ss.

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dano la molteplicità, il particolarismo ad eccezione(29).Gli esempi sono molteplici, anche soltanto guar-dando al “chiuso” dell’ordinamento italiano: la leg-ge n. 40 del 2004 con la completa giuridificazionedel momento procreativo, che diviene una realtà di-stinta dall’incontro tra uomo e donna, tipico delladimensione familiare classicamente intesa. Le inter-ferenze - rectius, le ingerenze - nella dimensione fa-miliare della teorica del contratto, originariamente,con quell’ibrido rappresentato dagli accordi di sepa-razione omologati ed, oggi, con la portata dirompen-te dello strumento francese dei Pactes Civils de Soli-darieté, di cui una lontana eco potevano rappresen-tare gli italici D.I.C.O. (30) Infine, di recente, è ca-duto anche quello che forse era l’ultimo baluardodella concezione classica della famiglia, con l’aper-tura delle relazioni endofamiliari allo spettro di ap-plicazione della Lex Aquilia (31) (si pensi, in parti-colare, alla responsabilità del genitore per mancatoriconoscimento del figlio naturale (32)). In nessun campo del diritto civile, come in quello deldiritto di famiglia, dunque, si avvertono così chiara-mente le dinamiche tipicamente conflittuali dellarealtà sociale sottostante. Il primato del diritto di fa-miglia sotto il presente profilo si spiega innanzituttopartendo dalla definizione che, sin dall’antichità, èstata riservata a quest’istituzione: seminarium rei publi-cae. Se la famiglia rappresenta la cellula germinale del-la società, è naturale che al suo interno si riproducano,sia pure “in miniatura”, le tensioni sprigionate quoti-dianamente nel contesto civile. Inoltre, la sua naturadi gruppo tipicamente intermedio - che funge, cioè, datrait d’union tra le aspirazioni autodeterministiche delsingolo e la realtà esterna - mette in evidenza la fun-zione di filtro da essa assolta, con tutte le conseguenzeche ne derivano, specie in termini di difficoltà di me-diare tra istanze estreme (33).Si comprende, pertanto, il motivo per cui qualun-que riforma che abbia al proprio centro la famigliaquale istituto giuridico (e mediatamente gli indivi-dui che la compongono) non può nascere soltantoda una sterile, fredda successione di regimi normati-vi, ma diviene, innanzitutto, una riflessione profon-da di taglio storico, sociale e filosofico intorno al fe-nomeno famiglia.Una analisi in tal senso, allora, arricchita anche daldato storico e comparatistico, non può che condurrel’osservatore attento a concludere che il modernoatteggiarsi delle relazioni familiari reclama con forzaprofonda il presidio di una giurisdizione specializzataproprio in conseguenza del nuovo dispiegarsi e dellenuove dinamiche che caratterizzano gli interessi im-

plicati che, qualora mai il legislatore continuasse adignorare nella loro specificità, rimarrebbero espostied inermi, nudi dinanzi alla veemenza di una con-vulsa evoluzione sociale sottratta al controllo chesoltanto il giudice può garantire (34).In definitiva, se è innegabile, come scrive C. Sch-mitt nella sua Teologia politica, che la negazione “è ingrado di produrre dal nulla il negato e di crearlo dia-letticamente”, allora, non può dubitarsi che il rifiu-to del legislatore, pur nelle sollecitazioni forti di dot-trina e giurisprudenza, di procedere finalmente aduna riforma organica della giustizia familiare italia-na abbia acuito ancor di più il bisogno, visto in unaottica di razionalità sociale, prima ancora che tecni-co-giuridica, di una giurisdizione specializzata.Idealmente conclusa, dunque, l’analisi dell’esisten-te, dello ius conditum, caratterizzata dalla voluta ereiterata sottolineatura dell’incompiutezza del dise-gno normativo, si proverà ora, con lo sguardo rivol-

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Note:

(29) Per tutti, S. Rodotà, La riforma del diritto di famiglia alla pro-va, in Pol dir., 1975, 668 ss.

(30) Si veda G. Autorino Stanzione, Autonomia negoziale e rap-porti coniugali, in Rass. dir. civ., 2004, 23 ss.

(31) In tema, innanzitutto, S. Patti, Famiglia e responsabilità civi-le, Milano, 1984, passim. Vedi anche, inter alios, G. Facci, I nuo-vi danni nella famiglia che cambia, Milano, 2004, p. 23 ss., non-ché M. Sesta (a cura di), La responsabilità nelle relazioni familia-ri, Torino, 2008, 212 ss.

(32) Cfr. J. Hauser, De la responsabilité résultant d’un établisse-ment tardif de la paternité, RTD civ., 2006, 295, nonché MedinaGraciela, Dano extrapatrimonial en el derecho de familia y elproyecto de codigo civil unificado de 1998, in Rev. De Der. Ds.,6, Dano Moral, 90. Per esempi di pronunce in materia da partedella giurisprudenza italiana, si veda Cass. 7 giugno 2000, n.7713, in questa Rivista, 2001, 159 ss., con nota di M. Dogliotti,La famiglia e l’altro diritto: responsabilità civile, danno biologico,danno esistenziale; in Corr. giur., 2000, 873 ss., con nota di G.De Marzo, La cassazione e il danno esistenziale; in Danno e re-sp., 2000, 835 ss., con note di P.G. Monateri, Alle soglie: la pri-ma vittoria in Cassazione del danno esistenziale, e di G. Ponza-nelli, Attenzione: non è danno esistenziale, ma vera e propria pe-na privata; in Resp. civ. prev., 2000, 923 ss., con nota di P. Ziviz,Continua il cammino del danno esistenziale. Nel merito, vediApp. Bologna, 10 febbraio 2004, in questa Rivista, 2006, 511 ss.,con nota di G. Facci, L’illecito endofamiliare tra danno in re ipsae risarcimenti ultramilionari, nonché Trib. Venezia, 18/04/2006, inquesta Rivista, 2007, 927 ss., con nota di G. Facci, La responsa-bilità del genitore che sceglie di non riconoscere il figlio e nonprovvede al suo mantenimento: una sentenza importante. Indottrina, M. Sesta, L’evoluzione delle relazioni familiari e l’emer-sione di nuovi danni, in Id. (a cura di), La responsabilità nelle re-lazioni familiari, cit., I ss., e G. Autorino, Il danno da mancato otardivo riconoscimento del figlio naturale: principi, cases e quae-stiones nella prospettiva del diritto comparato, in corso di pub-blicazione.

(33) Cfr. anche A.C. Moro, Il diritto dei minori, Bologna, 1974, 54ss.

(34) Vedi ancora P. Andria, Il tribunale per i minori, per la famiglia,per la persona, cit., 245.

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to allo ius condendum, a tracciare quantomeno i con-torni di quelle che potrebbero essere l’identità e lecaratteristiche del novello giudice.In tal senso, non possono ignorarsi gli spunti di rifles-sione desumibili dalla cultura giuridica europea e dal-le riforme della giustizia minorile che, in tempi recen-ti, hanno interessato molte esperienze, soprattutto diCivil Law: si pensi all’intervento del legislatore au-striaco risalente già al 2003, a quello del legislatorebelga del 23 ottobre 2006 o, ancora, a quello più re-cente del legislatore svizzero dell’inizio del 2007 (35). Anche in Europa, ad ogni modo, diverse esperienzesoffrono una frammentazione delle competenze ana-loga a quella italiana; ad esempio, in Francia, si assi-ste al concorso di tre organi giudicanti principali: ilTribunal de Grande Istance, che si occupa delle que-stioni più delicate attinenti allo stato e alla capacitàdelle persone, il Juge aux affaires familiales, compe-tente per il contenzioso in materia di separazione,divorzio ed esercizio dell’autorità genitoriale, ed in-fine il Juge des enfants, che sin dal 1945 si occupa invia pressoché esclusiva del diritto minorile (sebbeneresiduino alcune funzioni particolari in capo al Jugede tutelles ed ai Juges d’instruction des mineurs). In effetti, in ambito europeo, accanto ad un nettoincremento in materia di soluzioni che privileginoforme di “giustizia ripartita”, deve registrarsi l’inesi-stenza o la progressiva scomparsa di organi giudican-ti assimilabili al tribunale per i minorenni, con com-petenze miste civili e penali, sebbene - come visto -“a macchia di leopardo” e condivise con i giudici or-dinari. Al contrario, le riforme più recenti tendonoverso l’allargamento delle competenze dei giudiciesistenti o la creazione di nuove figure giurisdiziona-li, con il non celato obiettivo di unificare nel solcodella competenza di un unico organo tutti i procedi-menti in materia di famiglia e persone (36).

4. Prima il nomen o prima la res: l’identitàdel novello giudice

Nelle Institutiones giustinianee, figlie di un’epocacertamente più semplice di quella presente, si leggeil brocardo nomina sunt consequentia rerum: un inci-so che non mira a sottolineare una biunivoca corri-spondenza tra significante e significato, bensì a sta-bilire una priorità delle res rispetto ai nomina, ridot-ti a mera conseguenza dell’essere.Tale celebre massima, ad ogni modo, nell’attualeambito del dibattito intorno al processo di riformache dovrà condurre alla nascita del novello giudice,pare essere stata rovesciata nel suo opposto, dove ilnomen precede la res e ne determina il sein. Nel contesto linguistico che fa da sfondo al processo

di genesi del giudice della famiglia, infatti, l’inter-prete è costretto ad assistere, spesso inerme, ad uncaleidoscopio non ordinato di proposte per identifi-care un quid che ancora non è: Tribunale della fami-glia, Tribunale per la famiglia, Tribunale delle perso-ne e della famiglia, Tribunale dei minori e dei rap-porti familiari e via enumerando (37). E se è vero che nomen omen, il dibattito preliminaresulle scelte nominalistiche è tutt’altro che formale eprivo di significato, visto che ognuna delle perifrasisuggerite per identificare il nuovo giudice cela die-tro di sé una idea ed una concezione dello stesso am-bito della nuova giurisdizione immaginata. D’al-tronde, il legislatore, in tempi recenti, non rifuggedal ricorrere a vere e proprie forzature nominalisti-che volte ad imprimere una mal celata direzione fi-nalistica rispetto ad assetti normativi di particolarecomplessità. È sufficiente qui ricordare esempi comequelli in materia di interruzione della gravidanza,interruzione delle cure, D.I.C.O. e via enumerando.Non a caso, tutte tematiche che toccano il vivo deldibattito intorno alla persona, rectius al diritto dellepersone, con scelte linguistiche che non di rado fi-niscono per proporre significati allegorici ed evoca-tivi in palese contraddizione con i dati sostanziali econcreti emergenti dall’interpretazione della realtàfattuale prima ancora che giuridica.Ed allora, la scelta del nomen che dovrà identificareil nuovo giudice è centrale nel discorso che stiamosviluppando, muovendosi dall’assunto iniziale se-condo cui la soluzione preferibile de iure condendo, alfine di rendere l’immaginata riforma effettiva e nonsoltanto formale, rimane quella di organo giudican-te autonomo (un tribunale ad hoc, appunto) e nonl’istituzione di sezioni specializzate all’interno deitribunali ordinari, come pure accade, ad esempio, inBelgio con il Tribunal de la jeunesse, che è soltantosezione del tribunale di primo grado (38).

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Note:

(35) Cfr. G. Mannozzi, La giustizia senza spada. Uno studio com-parato su giustizia riparativa e mediazione penale, Milano, 2004,34 ss.

(36) Vedi anche A. Finocchiaro e M. Finocchiaro, Diritto di fami-glia, I, Milano, 1984, 75 ss.

(37) In ordine alle diverse soluzioni nominalistiche adottate in Eu-ropa, si veda V. Patané (a cura di), European Juvenile Justice Sy-stems, Milano, 2007, passim.

(38) In ogni caso, si consideri che - pur essendo stata più volte ri-badita, anche a livello ministeriale, la necessità di costituire inogni corte di appello quantomeno delle sezioni specializzate inmateria di minori e famiglia - tale invito è rimasto pressoché ina-scoltato, fatta eccezione soltanto per tre corti (precisamente,Roma, Milano e Torino). In tema, L. Fadiga, Un giudice che nonc’è: la sezione per i minorenni della corte di appello, in Minori-giustizia, 2003, 2, 309 ss.

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In tal senso, anche la soluzione nominalistica pre-scelta deve nascere da una serie di elementi fon-danti, con la consapevolezza che il riferimento allasola famiglia si dimostra generico e lacunoso rispet-to ai diversi progetti di riforma presentati negli an-ni ed all’idea complessiva che del nuovo organopuò cogliersi tra le righe del dibattito politico e so-ciale.Innanzitutto, il dato da cui partire è certamentequello secondo cui il nuovo giudice dovrà avere co-me riferimento imprescindibile la persona umana,nella sua dimensione singolare, come in quella co-munitaria: non potrà mancare, perciò, nella deno-minazione dell’organo giudicante il riferimento allapersona. Ad ogni modo, al fine di evitare derive as-solutizzanti, è chiaro che il riferimento generico allapersona andrà principalmente contestualizzato (an-che in assenza di una esplicitazione) intorno allamateria degli status e della capacità.Ancora, al fine di segnare un tratto di continuitàcon la precedente esperienza dei tribunali per i mi-norenni, pare irrinunciabile il riferimento ai minori:se è vero, infatti, che il minore è indubitabilmentepersona a tutti gli effetti, tuttavia la specificazionenon si rivela pleonastica proprio per evidenziare laparticolarità della condizione minorile, recte dellapersona in età evolutiva, che merita una particolareattenzione da parte dell’ordinamento tanto in pro-spettiva sostanziale, quanto in quella giurisdizionale(39). Infine, ci sarebbe il riferimento alla famiglia: daquesto punto di vista. si ritiene tuttavia preferibilediscorrere di relazioni familiari piuttosto che di fa-miglia tout court. Il nuovo giudice, infatti, non saràportatore di un determinato modello di famiglia,né dovrà giudicare la famiglia in sé e per sé. Desti-natari del suo ius dicere, al contrario, rimangonosempre e comunque le persone, viste però dallaparticolare angolazione delle loro iterazioni nel-l’ambito di quel particolarissimo gruppo socialeche è la famiglia. In altre parole, il riferimento allerelazioni familiari è funzionale a segnare il passag-gio da una giurisdizione astratta, quasi organicisti-ca, quella legata alla famiglia, ad una che abbia co-me fulcro individui concreti, che in quella compa-gine sociale vivono ed interagiscono. Il modellonominalistico, da questo punto di vista, può esserequello disegnato dal legislatore francese nel 1994,con la creazione del Juge aux affaires familiales, ilgiudice delle questioni familiari, in sostituzione delmagistrato delegato semplicemente alle vicendematrimoniali. Nel “sommare” gli elementi caratterizzanti identifi-

cati, ne deriva una denominazione complessa, ma alcontempo definita e pregna di significato: tribunaleper le persone, i minorenni e le relazioni familiari(40). Melius perpensa re, dato che ovviamente la ca-tegoria della persona comprende tanto quella adultache quella minore di età, la dizione più soddisfacen-te sarebbe forse quella che fa riferimento alle rela-zioni personali e familiari.Una denominazione, questa, che individua al con-tempo l’oggetto della giurisdizione e l’identità delnuovo organo. In particolare, il diretto riferimentoalle relazioni familiari piuttosto che alla famiglia dàconto anche del fatto che il nuovo giudice saràchiamato ad occuparsi di rapporti che non intercor-rono tra generici consociati, bensì tra consociatiqualificati: genitori e figli, coniugi, conviventi. Sitratta di rapporti che non si esauriscono nell’interfe-renza e sovrapposizione di diritti soggettivi, cioè nel-la semplice realizzazione della pretesa di un soggettonei confronti di un altro. Al contrario, nella mag-gior parte delle occasioni, le relazioni familiari sonocaratterizzate dalla centralità non del momento fi-nale della realizzazione di una pretesa, bensì da quel-lo differente del rapporto stesso. In altre parole, unordinamento che voglia conformare il proprio dirit-to di famiglia alla centralità della persona, in mate-ria di relazioni familiari, non può avere come esclu-sivo fine il prevalere delle ragioni di un soggetto suquelle di un altro, bensì innanzitutto la preservazio-ne e la custodia dello stesso rapporto che intercorretra gli individui appartenenti a quel determinatocontesto familiare. Ne deriva che il nuovo giudice sitroverà certamente dinanzi a diritti soggettivi, inte-si in senso classico, ma il suo ius dicere non potràesaurirsi nei diritti soggettivi, ma dovrà aver di mirainnanzitutto quelli che potremmo definire diritti re-lazionali (41), caratterizzati non dalla contrapposi-zione o dalla prevalenza di una posizione su un’altra,

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Note:

(39) Si rinvia a G. Gulotta - G. Santi, Dal conflitto al consenso.Utilizzazione di strategie di mediazione in particolare nei conflit-ti familiari, Milano, 1988, 45 ss., ed a G. Dosi, Dall’interesse aidiritti del minore: alcune riflessioni, in Dir. fam. pers., 1995, 4, 2ss.

(40) Analoghe soluzioni nominalistiche propone P. Andria, Il tri-bunale per i minori, per la famiglia, per la persona, cit., 247, chediscorre di “Tribunale per la persona, per i minorenni e la fami-glia” o, in alternativa, di “Tribunale per la persona, i minorenni ele relazioni familiari”.

(41) Nel riprendere un concetto espresso anche da V. Pocar - P.Ronfani, nel volume Il giudice e i diritti dei minori (Roma - Bari,2004, 43), discorre di “diritti relazionali” M.L. De Luca, La ter-zietà del giudice minorile, in A. Picardi (a cura di), Minori, fami-glia, persona. Quale giudice?, cit., 77.

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bensì dalla costante tensione alla ricomposizione(42). È questa l’immagine che ci si prefigura del tribunaleper le relazioni familiari: un giudice che sia nuovonon soltanto dal punto di vista processuale, ma an-che e soprattutto per l’oggetto e le modalità del giu-dicare.In tal senso, anche il modus operandi del nuovo orga-no dovrà essere differente: se al giudice ordinario,infatti, si chiede una verità oggettiva e storica, indi-viduata una volta e per sempre tramite una normada applicare al caso concreto, al contrario, dal giudi-ce delle relazioni familiari ci si attende qualcosa dialmeno in parte dissimile. Quest’ultimo, infatti, saràchiamato sì a giudicare, ma a pronunciare comun-que una verità attuale, carica di soggettività e spessonon statica, ma contingente (43). Ecco perché prima della norma, per questo partico-lare giudice, dovrebbe venire la concretezza dellafattispecie che ha dinanzi e la soluzione giudicatapreferibile nell’interesse degli individui che ne han-no sollecitato l’intervento. In questo particolareprocesso decisionale, probabilmente, la norma di di-ritto positivo verrà dopo - recte, dovrà venire dopo -per suggellare con il crisma della giuridicità la “mi-gliore soluzione possibile” individuata per quel casoconcreto e singolare.In effetti, se deve pur rimanere netto il confine conil mediatore, è innegabile che, come avviene adesempio in figure analoghe delle realtà di CommonLaw, il giudice per la persona e le relazioni familiarisarà chiamato, in parecchie occasioni, ad adoperareuna metodologia di giudizio paramediativa, secondouna tecnica d’intervento graduale e continuativa,sempre modificabile in relazione all’individuo con-creto che si trova dinanzi (44).

5. Caratteri, composizione, funzioni e formazione

È evidente che, nel momento in cui dal novello giu-dice si pretende un tale grado di sensibilità sociale,ancor prima che giuridica, ciò comporta ben precisescelte anche e soprattutto in ordine alla composizio-ne dell’organo ed alla formazione dei magistratichiamati a farne parte.Non è un caso se la dottrina più accorta che ha af-frontato il tema del tribunale della persona e dellerelazioni familiari, evidenziando la centralità di unaattività di giudizio che si pone in media re tra com-plessità socio-culturale del fenomeno famiglia e ne-cessità di garantire a tutti i suoi componenti effetti-vità di tutela, abbia costantemente sottolineato co-me tale organo debba connotarsi per quattro carat-

teri essenziali: la mitezza, un sistema forte di garan-zie, la prossimità e la sensibilità (45). Secondo Schopenhauer, “chi vuole che il suo giudi-zio sia creduto, lo pronunci freddamente e senza pas-sione”. Eppure, pronunziare una giustizia mite, evi-dentemente, non significa abdicare alla forza delruolo, non significa pretendere un intervento debo-le del giudicante in materia di persona e relazioni fa-miliari. Al contrario, è mite quello ius dicere che ab-bia come proprio connotato peculiare un iter dellaformazione della decisione che sia quanto più condi-viso possibile con le parti, cercando - nei limiti delpossibile - il consenso e la comprensione di questeultime rispetto alla soluzione finale individuata. Inaltre parole, diviene centrale il momento dell’ascol-to della persona, non più soltanto quale mero in-combente di natura istruttorio, come è oggi princi-palmente inteso dai giudici ordinari, ma come mo-dalità qualificante dell’esercizio stesso della giurisdi-zione (46).Perché una tale giurisdizione mite, poi, possa essererealmente effettiva ed avvertita come tale dalle par-ti del processo è indispensabile che il procedimentosia costellato da un regime di garanzie forti, che siaconsono alla natura (personalissima) dei diritti e de-gli interessi coinvolti nel procedimento decisionale.

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Note:

(42) In tema, secondo una prospettiva più generale, A. De Cupis,I diritti della personalità, in Trattato di diritto civile e commercia-le, diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1959, 44 ss.; L. Fer-rajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali, in Id. (a cura di), Dirit-ti fondamentali. Un dibattito teorico, Roma-Bari, 2001, 279 ss.;P. Rescigno, voce «Personalità (diritti della)», in Enc. giur., XXIII,Roma, 1990, 1 ss.; V. Zeno Zencovich, voce «Personalità (dirittidella)», in Dig.IV, disc. priv., sez. civ., XIII, Torino, 1995, 453 ss.;W. N. Hohfeld, Fundamental Legal Conceptions as Applied toJudicial Reasoning and Other Legal Essays, New Haven, 1923,trad. it. a cura di M. G. Losano, Concetti giuridici fondamentali,Torino, 1969; Moreso, Conflitti tra principi costituzionali, in Ra-gion pratica, 2002, 207 ss.; A. Cassese, I diritti umani nel mondocontemporaneo, Roma-Bari, Laterza, 1994. Si veda anche P. Per-lingieri, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Came-rino-Napoli, 1972, passim.

(43) Sul punto, A. Vaccaro, Il civile rafforzato, in A. Picardi (a curadi), Minori, famiglia, persona. Quale giudice?, cit., 81 ss. e spec.89. Cfr. C. Troisi, La mediazione familiare nella applicazione dellarecente legge sull’affidamento condiviso, in questa Rivista,2008, 264 ss.

(44) Vedi anche S. Castelli, La mediazione. Teorie e tecniche, Mi-lano, 1996, passim, e C. Troisi, La mediazione familiare, in G. Au-torino Stanzione, Trattato teorico-pratico di diritto di famiglia, cit.,397 ss., con rinvio ai riferimenti bibliografici ivi citati.

(45) Si vedano, inter alios, P. Andria, Il tribunale per i minori, perla famiglia, per la persona, cit., 246, nonché F. Occhiogrosso,Mediazione e dintorni: il punto sulla nuova cultura del vivere edel fare giustizia, in Minorigiustizia, 1999, 30 ss.

(46) Cfr. anche G. Alpa, Status e capacità. La costruzione giuridi-ca delle differenze individuali, Roma-Bari, 1993, passim.

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Viene qui in rilevo quello che potremmo definire il“formalismo” processuale, la ritualità del processo,che non deve perdersi - come pure proposto - in ma-teria di persone e relazioni familiari, proprio perchétale regola, propria dello ius dicere ordinario, rappre-senta il connotato distintivo della giurisdizione econsente di distinguerla da procedimenti “senzatempo” e “senza tempi” come le mediazioni (47).Ancora, l’effettività e l’efficacia di una giurisdizionein materia di persone e famiglia discende evidente-mente anche dalla vicinanza del giudicante al con-testo socio-economico nel quale agiscono coloroche invocano tutela: ecco, allora, la necessità che ilnuovo giudice abbia una dislocazione territoriale ca-pillare e si qualifichi come “giudice di prossimità”.Tale allocazione territoriale consentirebbe di conci-liare, per un verso, la più ampia possibilità di acces-so alla giustizia per i consociati e, dall’altro, la mi-gliore interazione possibile tra il nuovo organo ed iservizi sociali, coprotagonisti obbligati - per il ver-sante amministrativo e l’iniziativa giurisdizionale -delle vicende umane in materia (48).Infine, cruciale sarà la “sensibilità” del novello tri-bunale: l’agire su interessi e posizioni giuridiche per-sonalissime, infatti, impone una elevata specializza-zione, che funga anche da “barriera” rispetto a po-tenziali forme di intollerabile intrusività dello ius di-cere. Se è vero, infatti, che “tutte le famiglie felicisono simili fra loro” ma “ogni famiglia infelice è in-felice a modo suo”, è evidente che chi sarà chiama-to ad esprimersi anche su tale infelicità, dovrà pos-sedere una sensibilità - rectius, una umanità - che lorenda capace di cogliere i tratti di diversità e di spe-cificità di quella particolare vicenda umana che hadinanzi, caratteri questi che vanno oltre le norme edi codici e che segnano i reali confini, l’effettivo spa-zio, maggior o minore a seconda del caso, della giu-stizia statale rispetto alla fattispecie concreta. In al-tre parole, quella ipotizzata è certamente una giuri-sdizione fondata sulla metodologia del case-by-case,dove le disposizioni di diritto positivo fungono da“pietre angolari”, ma non impediscono né il natura-le sviluppo della società né la capacità del giudice diseguire da vicino tale evoluzione: una giurisdizioneper certi versi - in tempi di ibridazione dei sistemi edegli ordinamenti - assimilabile a quella statuniten-se (49).Ebbene, un giudice che incarni tutte le peculiaritàappena viste non può che essere un organo che ridu-ca ad unità tutte le materie oggi disperse tra variesedi della giurisdizione: l’unificazione delle compe-tenze in capo ad un unico giudice, difatti, obbediscea motivazioni di coerenza e congruità sistematica e

culturale nella prospettiva della realizzazione delprincipio di ragionevolezza (50).In tal senso, quando si ipotizza l’auspicata ricompo-sizione dell’arcipelago delle competenze in capo adun unico organo giurisdizionale, il riferimento pri-mo saranno tutte le funzioni attualmente assegnatedall’art. 38 disp. att. c.c. e s.m.i. al tribunale per iminorenni. Accanto a queste, vanno poi considera-te tutte le competenze in materia di persone e fami-glia attualmente assegnate al tribunale ordinario: inpratica, da un punto di vista del diritto sostanziale, sitratta di gran parte delle previsioni del libro I del co-dice civile, con esclusione delle sole norme concer-nenti le persone giuridiche. Nell’ambito della legi-slazione speciale, poi, per citare soltanto le ipotesipiù rilevanti, verranno chiaramente attratti nellasfera di interesse del nuovo giudice tutti i provvedi-menti in materia di adozione dei minori d’età di cuialla legge n. 184/83 e s.m.i., di separazione persona-le e divorzio, nonché di rettificazione di attribuzionedel sesso (l. n. 164/82) e di autorizzazione all’inter-ruzione volontaria della gravidanza. In materia pe-nale, invece, si tratterebbe di affidare al tribunaleper la persona, i minorenni e le relazioni familiaril’interezza del diritto penale minorile, nonché tuttele ipotesi di reato che abbiano come sfondo - o me-glio, come protagonista - la famiglia (in specie, i de-litti contro la famiglia, di cui al Tit. XI, Libro II,c.p.) (51).Visto tale complesso di competenze articolate, chetrovano il proprio principale momento unificantenella tutela integrale della persona, l’istituendo tri-bunale dovrebbe conservare, come valori fondanti

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Note:

(47) Secondo E. Resta, Un nuovo giudice per minori, famiglia epersone, in A. Picardi (a cura di), Minori, famiglia, persona. Qua-le giudice?, cit., 155, il tempo della mediazione è un “temposenza tempo”. Vedi anche P. Rescigno, Diritto di famiglia e me-diazione familiare: il punto di vista del giurista, in R. Ardone - S.Mazzoni (a cura di), La mediazione familiare: per una regolamen-tazione della conflittualità nella separazione e nel divorzio, Mila-no, 1994, 133 ss., nonché Id., Interessi e conflitti nella famiglia:l’istituto della “mediazione familiare”, in Giur. it., 1995, IV, 73 ss.

(48) Analogamente, F. Occhiogrosso, Famiglia: un interventoriformatore che preservi il ruolo dei servizi sociali, in Guida dir.,2003, 10 ss.

(49) Spunti di riflessione in tema anche in G. Mannozzi, La giu-stizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa emediazione penale, cit., 36 ss.

(50) Vedi P. Ronfani, Giustizia e famiglia. Modelli formali e mo-delli informali di trattamento del conflitto familiare nei paesi oc-cidentali, in Sociologia dir., 1994, 129 ss.

(51) Secondo P. Andria, Il tribunale per i minori, per la famiglia,per la persona, cit., 252, “per pensare in grande - com’è giustofare - può ipotizzarsi l’estensione della competenza penale ai gio-vani adulti (almeno fino al ventunesimo anno di età”.

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della propria iurisdictio, i principi della collegialità edella multidisciplinarietà propri dell’attuale tribu-nale per i minorenni. In tal senso, è sicuramente dapreservare la composizione tipica dei tribunali per iminorenni, caratterizzati dal contributo di magistra-ti ordinari unito a quello di giudici onorari, espertiin materie disparate, che vanno dalla pedagogia allapsicologia alla sociologia, e che ne completano lacapacità conoscitiva dell’interezza della personaumana in tutte le sue sfaccettature. La collegialità diun organo multidisciplinare, dunque, costituisce lagaranzia del momento di incontro del diritto con al-tre materie, consentendo così di porre a confronto,in relazione a problematiche inerenti alle persone ealla famiglia, la soluzione meramente tecnico-giuri-dica con la “soluzione migliore” dal punto di vistapsichiatrico, psicologico, pedagogico e sociale (52).Una strutturazione in tal senso, caratterizzata daldialogo all’interno del medesimo organo giudicantetra giuridico ed extragiuridico, è imposta dalla com-plessità della realtà delle relazioni personali e fami-gliari che legano gli individui: il nuovo tribunale sidovrà occupare certamente anche di profili stretta-mente tecnici e/o magari puramente economici (sipensi, ad esempio, ai profili patrimonialistici di se-parazione e divorzio), ma la sua stessa ipotizzazione èlegata strettamente a tutto ciò che è “altro” rispettoallo strettamente tecnico e/o al puramente econo-mico. È questo il dato che viene dal diritto interno, con lalunghissima esperienza della componente onorariadei tribunali per i minorenni, come pure dal dirittocomparato, dove il riferimento immediato possonoessere gli assesseurs del Juge des enfants francese op-pure i “giudici aggiunti” dello Straflandesgericht au-striaco e delle Camere Penali Minorili svizzere. Ilnuovo giudice avrà senso d’esistere soltanto se riu-scirà ad avere, già nel disegno legislativo, una fortecaratterizzazione nel segno della multidisciplina-rietà, nella consapevolezza che la persona è sì defini-ta anche dal suo “essere giuridico”, ma ciò che laidentifica è soprattutto il suo “essere sociale”, cheprescinde e va oltre il momento meramente tecnico(53).Nel seguire sempre questa prospettiva de iure con-dendo, da ultimo, occorre sottolineare come la rispo-sta alla richiesta di giustizia specifica che la societàpone in materia di persone, minorenni e relazionifamiliari riuscirà ad essere effettiva, soltanto se si af-fermerà con vigore la centralità in quest’ambito dipercorsi formativi specialistici per i magistrati desti-nati a svolgere la nuova attività di iurisdictio. Si èdetto che l’organo dovrà essere multidisciplinare,

ma al contempo il giudice assegnato allo stesso nonpotrà non venire da un percorso di studio e prepara-zione che gli consenta di acquisire quelle conoscen-ze scientifiche necessarie per “colloquiare” consape-volmente con la componente non togata.Si è consapevoli che, quella qui descritta, è unariforma difficile, che richiede un legislatore corag-gioso, ma la riaffermazione della centralità della per-sona umana nel nostro ordinamento passa anchelungo questa via, quella di un giudice specializzatoche non sia omologato e costruito sul modello diquello ordinario e generalista che decide di diritti dicredito ed obbligazioni, proprietà e diritti reali (54). In altre parole, quello che ci si attende è un giudiceche decida solo e soltanto in materia di persone, mi-nori e rapporti familiari e che, proprio perciò, si ca-ratterizzi tanto per il suo modo d’essere, quanto peril suo modo di ius dicere (55).

6. Conclusioni ed auspici

La riflessione sul delicato tema, partita dal discorsointorno ad una possibile giurisdizione specializzataper la famiglia e le persone si è posta via via a segui-re un duplice binario di approfondimento: l’insoddi-sfazione per tutti i limiti palesati dall’esistente e

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Note:

(52) Vedi anche S. Larizza, Una minore giustizia: a proposito deldisegno di legge di riforma del tribunale per i minorenni, in Dir.pen. proc., 2002, 1319 ss.

(53) Un riferimento importante, da questo punto di vista, saràrappresentato anche dal costante richiamo al dettato costituzio-nale nella sua attuazione e realizzazione nell’alveo del diritto civi-le ed, in particolare, di quello di famiglia. In tal senso, la teorizza-zione di un “diritto civile costituzionale” si deve a P. Perlingieri,Scuole civilistiche e dibattito ideologico: introduzione allo studiodel diritto privato in Italia, in Riv. dir. civ., 1978, I, 414 ss., ma del-lo stesso Autore non possono trascurarsi, in tale prospettiva, Ildiritto civile nella legalità costituzionale, cit., e, di recente, Il dirit-to dei contratti fra persona e mercato. Problemi di diritto civile,Napoli, 2003. . Essenziali sono, altresì, i contributi di T. Ascarelli,Norma giuridica e realtà sociale, in Problemi giuridici, I, Milano,1959, passim; M. Giorgianni, Il diritto privato e i suoi attuali con-fini, in Riv. trim. dir. proc. civ.,1961, 399 ss.; R. Nicolò, voce Di-ritto civile, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 907 ss.; S. Pugliatti, vo-ce Diritto pubblico e privato, ivi, 1964, 696 ss.; P. Rescigno, Peruna rilettura del Codice Civile, in Giur. it., 1968, IV, 223 ss.

(54) Sul punto, G. Alpa, I principi generali e il diritto di famiglia, inDir. fam. pers., 1993, 261 ss.; G. Giacobbe, La famiglia tra codi-ce e Costituzione, in Iustitia, 1994, 59 ss., e G. Berti, La famiglianella Costituzione, ibidem, 1999, 280 ss.

(55) In relazione alle problematiche connesse alla motivazionedelle sentenze ed, in genere, alla giustificazione degli enunciatinormativi, cfr. il fondamentale saggio di R. Alexy, Teoria dell’ar-gomentazione giuridica. La teoria del discorso razionale cometeoria della motivazione giuridica, Milano, 1998. In particolare,l’A., dopo aver esposto alcune delle più importanti teorie del di-scorso pratico, da quella consensuale della verità di Habermas aquella dell’argomentazione di Chaim Perelman, propone il pro-getto di una teoria del discorso pratico generale razionale.

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l’entusiasmo dell’interprete per le opportunità dicrescita sociale e giuridica veicolate dall’immagina-to “giudice nuovo”.Occorre ora tentare di tracciare alcune conclusioni,che siano al contempo anche auspici per una rifor-ma prossima ventura.Date anche le reiterate difficoltà che l’introduzionedel tribunale per la persona, i minorenni e le relazio-ni familiari sta da anni incontrando in Italia, è chia-ro che non si è dinanzi ad una riforma meramenteprocessuale, di pura forma o organizzazione proces-suale, ma stiamo assistendo ad un processo più am-pio di ripensamento del ruolo sociale della famiglianella società e, dunque, del significato giuridico ditale istituto. L’introduzione di questa nuova giurisdizione, infatti,è destinata a rappresentare una ennesima aperturadel “chiuso” della famiglia alla dimensione del giuri-dico, rectius del “giuridificato”. Non v’è dubbio cheoramai l’immagine jemoliana della famiglia/isolaconservi più che altro una valenza storica. Nessuninterprete, soprattutto se avvezzo al diritto compara-to, alla luce di quanto sta da anni accadendo nellerealtà giuridiche nazionali, può immaginare di trin-cerarsi ancora dietro un diritto di famiglia (e dellepersone) monade dell’ordinamento statale, isolato esingolare rispetto a tutti gli altri ambiti del diritto ci-vile.Nonostante ciò, però, viene da chiedersi quale sia ilmodello di diritto di famiglia (e delle persone) versocui ci stiamo orientando. In altre parole, se è certoche il diritto di famiglia non è monade rispetto alcontratto, rispetto all’illecito, rispetto al lavoro edall’impresa, d’altro canto, non si dimentichi mai chela famiglia, in quanto istituzione, non è né contrat-to né illecito né lavoro né tantomeno impresa.Può incrociarsi con queste altre estensioni dell’ordi-namento, può sporadicamente sovrapporsi ad esse,ma rimane e deve rimanere sempre qualcos’altro,una dimensione giuridica caratterizzata da un onto-logico solidarismo, non presente se non raramentealtrove nel diritto civile, che ne permea tutti i rap-porti sottostanti e li rende degni di assurgere a valo-ri costituzionali o paracostituzionali, a seconda del-l’ordinamento preso in esame.Non a caso si è discorso qui di diritti relazionali,piuttosto che di diritti soggettivi tout court.Ora, non può che registrarsi l’inquietudine dell’in-terprete che, pur nella consapevolezza della realtà(sociale e giuridica) che cambia, è costretto a con-frontarsi con una evoluzione del diritto di famigliache pare non guidata da altro anelito che non siaquello dell’appiattimento della persona nell’homo

oeconomicus e, dunque, di tutte le relazioni che que-sta intrattiene ora nel contratto, ora nella responsa-bilità, ora addirittura nell’impresa (56).Da questo punto di vista, l’introduzione di uno spe-cifico organo giudicante per persone, minori e rela-zioni familiari potrebbe rappresentare lo strumentoideale per arginare (o quantomeno guidare secondobinari razionali) questo processo di insensata pro-gressiva perdita della singolarità del diritto di fami-glia e delle persone all’interno del diritto civile. Ciò, però, impone al legislatore attuale delle scelteforti, forti quanto illuminate, che non siano dettate- come pure spesso accade in anni recenti - dall’an-sia di “gettare” nell’arena un certo numero di dispo-sizioni, qualunque sia il contenuto delle stesse, chesi palesano magari idonee oggi, per far fronte all’e-mergenza, ma saranno vecchie già domani. Al con-trario, quello che oggi si chiede al legislatore italia-no in materia è proprio uno sguardo di prospettiva:anche a fronte del futuro e non lontano banco diprova di un possibile diritto privato europeo, è giun-to probabilmente il tempo di decidere quale indiriz-zo finalmente dare all’evoluzione del moderno dirit-to (sostanziale) delle persone e della famiglia (57).Ed allora la previsione di un giudice specializzato po-

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Note:

(56) Circa la dimensione prettamente economicistica che animal’attuale tendenza della legislazione ed, almeno in parte, il costi-tuzionalismo moderno (come quello di matrice europea), interalios, F. Snyder (a cura di), Constitutional Dimensions of Euro-pean Economic Integration, Kluwer, 1996, passim. Analoghe ri-flessioni in F. Sudre et al., Droit communautaire des droits fon-damentaux, Paris, 1999, passim, e R. Knöll, Die Diskussion umdie Grundrechtscharta der EU aus dem Blickwinkel der deut-schen Länder, in NJW, 2000, 1845 ss. Nell’ambito della dottrinaitaliana, vedi anche M. Telò, Dallo Stato all’Europa, Roma, 2003,passim, e V. D’Antonio, La Carta dei diritti fondamentali dell’U-nione, in M. Colucci - S. Sica (a cura di), L’Unione Europea. Prin-cipi - Istituzioni - Politiche - Costituzione, Bologna, 2005, 82 ss.

(57) In tal senso, ripercorrendo le parole utilizzate da S. Rodotàcirca una possibile disciplina giuridica della clonazione (Sul buonuso del diritto e sui dilemmi della clonazione, in Riv. crit. dir. priv.,1999, 2, 561 ss., ed in particolare 563), bisogna evidenziare cheal diritto, in materia di relazioni familiari, “viene attribuito il com-pito di effettuare una sintesi sociale o di registrare un dato inqualche modo socialmente già legittimato, calando alla sera del-la giornata storica”, dal momento che, non dovendo confrontar-si con una problematica appena nata, una realtà sociale consoli-data e preesistente già esiste. Chiaramente vi è il rischio con-creto, però, che le regole dettate si rivelino alla stregua di quelleche l’A. indica come sunset rulet, cioè apparati normativi, desti-nati, sin dal momento del loro concepimento, ad una efficaciatemporale limitata, destinata a tramontare nel breve lasso ditempo impiegato dalla società civile e dai suoi progressi costan-ti per superare gli assunti di fondo su cui essi si basano. Cfr. sulpunto anche il noto scritto di J. Carbonnier, Il flessibile diritto, Mi-lano, 1997, ove, alle pagine 135 ss., si affronta la prospettiva giu-ridica della cd. legge pedagoga, proponendo così la possibilità diemanare delle leggi finalizzate a creare una certa morale (unamorale tratta dalle leggi).

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trebbe rappresentare proprio il primo tassello di undisegno di riforma più ampio: un giudice che non siaportatore di un determinato modello precostituitoda imporre alle parti, ma funga da ideale guida al-l’indispensabile processo di proiezione del dirittodelle persone e della famiglia italiano nella dimen-sione europea.Un’idea di giurisdizione, dunque, che è alta, estre-mamente alta, con una magistratura specializzatache, per competenze, composizione e formazione, siarealmente in grado di porsi quale anello di congiun-zione tra legislatore e comunità civile. A fronte della insistita richiesta di una giustizia spe-cializzata in materia, che riflette un bisogno larga-mente sentito dalla comunità civile come dagli ope-ratori di giustizia (avvocati e magistrati, in primis), ilrischio insito in ulteriori, quanto inutili procrastina-zioni non può essere trascurato: non a caso Goethescriveva che «la legge è forte, ma è più forte la ne-cessità»!Potrebbe assistersi, dunque, per il diritto di famigliae delle perone, alla “fuga” da una giustizia stataleomologante, appiattente, avvertita oramai come ve-tusta e non giusta, il più delle volte penalizzante,nella pretesa oramai insostenibile di “giudicare” conil medesimo metro diritti patrimoniali e diritti per-sonalissimi, controversie in materia di contratti eproprietà e vicende conflittuali che possono verifi-carsi all’interno della famiglia. Eppure, anche a fronte di una dottrina e di una giu-risprudenza estremamente attente a cogliere i rifles-si giuridici dei flussi sociali in atto, si è costretti aconfrontarsi con un legislatore ancora immaturo per“scelte di campo” forti, magari non repressive o me-ramente ricettive dell’esistente, ma promozionali diun determinato modello sociale. Questo non signifi-ca auspicare un legislatore assolutistico o, peggio an-cora, dispotico, ma invocare un potere legislativoche sia consapevole del proprio altissimo compito,così come lo furono i padri costituenti intorno allametà del secolo scorso. In conclusione, con buona probabilità, il problemaprincipale che impedisce a questa auspicata riformadi veder la luce è che, proprio come Samuel Beckett,anche coloro che dovrebbero essere gli autori dellastessa non sanno chi è Godot, non sanno qualeidentità dare al nuovo giudice. La speranza, l’auspi-cio è che, ancora come in “En attendant Godot”, an-che se apparentemente sembra tutto fermo, a guar-dare bene “tutto è in movimento”. E questo tutto so-no le coscienze dei giuristi e degli interpreti checontinuano a battersi, a fare pressione, con l’armadelle idee, affinché il prima possibile l’attesa di

Estragone e Vladimiro possa terminare, per appro-dare finalmente al “Godot è arrivato” del dramma diMiodrag Bulatovi? (58).

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Nota:

(58) Il titolo originale dell’opera è Godo je do?ao (1966).