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«Tanta felicità» - Eric Pearl

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“spiritualità e tecniche energetiche”

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Dr. eric pearl

the reconnection

guarisci gli altriguarisci te stesso

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copyright © eric pearlpubblicato da hay house, inc.

titolo originale: The Reconnection

sintonizzati con hay house su: www.hayhouseradio.com

the reconnection™ e guarigione riconnettiva™ sono marchi registrati.

Traduzione: angela sileoEditing: Maria luisa De Francesco

Revisione: natalia prioreGrafica di copertina e impaginazione: Matteo Venturi

Stampa: Fotolito graphicolor snc città di castello (pg)

i edizione: gennaio 2009 Viii ristampa settembre 2012

© Edizioni My LifeMy life srl - Via garibaldi, 77 - 47853 coriano di rimini

isBn 978-88-6386-112-9

tutti i diritti sono riservati. nessuna parte di questo libro può essere riprodotta tramite alcun procedimento meccanico, fotografico o elettronico, o sotto forma di registrazione fonografica; né può essere immagazzinata in un sistema di reperimento dati, trasmesso, o al-trimenti essere copiato per uso pubblico o privato, escluso l’“uso corretto” per brevi citazioni in articoli e riviste, senza previa autoriz-zazione scritta dell’editore.

l’autore di questo libro non dispensa consigli medici né prescrive l’uso di alcuna tecnica come forma di trattamento per problemi fisici e medici senza il parere di un medico, direttamente o indirettamente. l’intento dell’autore è semplicemente quello di offrire informazio-ni di natura generale per aiutarvi nella vostra ricerca del benessere emotivo e spirituale. nel caso in cui usaste le informazioni contenute in questo libro per voi stessi, che è un vostro diritto, l’autore e l’editore non si assumono alcuna responsabilità delle vostre azioni.

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Elogi per The Reconnection“Eric è un uomo straordinario col dono superbo di guarire. Leggete questo libro e sarete trasformati!”

John Edward, medium, autore di Crossing Over e After Life.

“La prima volta che ricevetti il libro the reconnection, mi misi a sedere e lo lessi dall’inizio alla fine nell’arco di una sera. Fui ammaliata. Si legge come un buon romanzo. Ma, a differenza di un romanzo, questo libro è la verità, la verità riguardo un nuovo modo di guarire ed essere guariti, un modo rivoluzionario e disponibile per tutti. Pieno di humour, di idee, di quella comprensione approfondita e di quella umiltà che vengono solo con la maturità di buon clinico e scienziato, Eric Pearl racconta la storia di co-me l’energia riconnettiva lo abbia trasformato e di come tutti noi possiamo fare altrettanto. Se prendete sul serio l’idea della salute e della guarigione, leggete questo libro!”

Dr. Christiane Northrup, professoressa assistente di ostetricia/ginecologia,

presso l’università del Vermont collegio di Medicina; autrice di Menopausa felice.

“In quanto medico e neuro-scienziato, sono stata addestrata a sapere per-ché e come funziona un trattamento. Quando però si parla di Guarigione Riconnettiva, non so come funzioni. So semplicemente che funziona, per esperienza personale. Il lavoro di Eric Pearl è stato un grande dono per me, e, attraverso questo libro, può essere lo stesso per voi.”

Dr. Mona Lisa Schulz, autrice di Awakening Intuition.

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“Molti hanno atteso per decenni quello che il Dr. Eric Pearl ci ha dato nel suo primo libro, cioè una maniera nuova, unica ed elegante di insegnare la guarigione e la trasformazione. La vera rivelazione del suo lavoro, tuttavia, è che Pearl svela a tutti i suoi segreti! Il libro non è solo divertente da leg-gere. Infatti, questo guaritore, intenzionalmente divertente e curioso, mostra la facilità con cui la vera guarigione energetica può essere riconosciuta e attivata all’interno di ognuno di noi. Sarebbe ora!”

Lee Carroll, autore dei libri di Kryon e co-autore di I Bambini indaco.

“the reconnection, del Dr. Eric Pearl, è semplicemente il miglior libro sul-la guarigione transpersonale e la medicina dello spirito tra quelli scritti ne-gli ultimi anni. È un dono dell’Universo ed un contributo straordinariamen-te eccitante al cambiamento a livello mondiale che si sta verificando nel nostro tempo. Se doveste leggere solo due libri quest’anno, assicuratevi che questo gioiello sia uno di loro.”

Dr. Hank Wesselmen, autore di Spiritwalker, Medicinemaker e Visionseeker.

“Eric ha scritto uno stupendo libro sulla guarigione, che spinge alla rifles-sione ed è incentrato sulla pratica. Condivide non solo le sue intuizioni ed esperienze personali con la grazia della guarigione, ma fornisce anche tec-niche utili per produrre le guarigioni di cui tutti abbiamo bisogno nelle no-stre vite, non solo per noi stessi, ma per gli altri. Lo humour e la sincerità di Eric hanno reso questo libro un Must.”

Dr. Ron Roth, autore di Holy Spirit for Healing.

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“Questo libro offre intuizioni interessanti e nuove sulle dinamiche della guarigione.”

Dr. Deepak Chopra, autore di Guarirsi da dentro.

“Questo è un libro che ispira la mente, conforta il cuore e celebra il proces-so di guarigione. La visione del Dr. Pearl riguardo la Guarigione Riconnet-tiva dovrebbe essere letta da professionisti sanitari che desiderano promuo-vere un livello maggiore di guarigione nei loro pazienti e, durante il processo, guarire se stessi. the reconnection dovrebbe essere letto anche dai pazienti, in modo che possano non solo guarire se stessi, ma aiutare a guarire gli altri e, attraverso il loro esempio, informare i loro medici tradi-zionali sulla medicina energetica contemporanea e sul potere curativo di the reconnection.”

Dr. Gary E. R. Schwartz e Dr. Linda G. S. Russek, direttori del laboratorio per i sistemi di energia umana

presso l’università dell’arizona e autori di The Living Energy Universe: A Fundamental Discovery that Transforms Science and Medicine.

“Questo è un libro meraviglioso che descrive l’evoluzione di un medico-guaritore, raccontata con spirito, humour e profonde intuizioni. Le storie e le esperienze uniche del Dr. Pearl, che conducono allo sviluppo della Gua-rigione Riconnettiva, sono una toccante fonte di ispirazione. Eric Pearl ha ricevuto un dono senza eguali, il dono di guarire, dono che trasmette a tutti noi. Il suo approccio alla Guarigione Riconnettiva è semplice, ma profondo nei suoi effetti. Rappresenta una nuova e indiretta forma di guarigione ener-getica che oltrepassa le formule, le tecniche e i mantra con cui abbiamo

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dovuto lavorare finora su questo pianeta. Lo consiglio fortemente ai profes-sionisti sanitari, così come a chiunque altro sia interessato a svegliare il proprio potenziale di guarigione.”

Dr. Richard Gerber, autore di Medicina vibrazionale.

“the reconnection è una storia vera e ben scritta, che potrebbe veramente ispirare le persone a seguire il loro percorso spirituale e a divenire guaritori.”

Dr. Doreen Virtue, autrice di Terapia degli Angeli - Angel Therapy.

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Ai miei genitori, per avermi dato la vitae per avermi dato il coraggio di vivere la verità della vita.

Ad Aron e Solomon, per avermi dato intuizionie per avermi dato la conferma

di cui avevo bisogno per proseguire.

A Dio, all’Amore, all’Universo,per il semplice fatto di aver dato.

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CONTENUTI

introduzione di gary e.r. schwartz, ph.D., e linda g.s. russek, ph.D . . . . . . . .15prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .21ringraziamenti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .23

Parte I: il Dono

Capitolo 1: primi passi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .27Capitolo 2: lezioni dalla vita dopo la morte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .33Capitolo 3: cose da bambini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .45Capitolo 4: un nuovo sentiero di scoperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .59Capitolo 5: aprire nuove porte, accendere la luce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .69Capitolo 6: la ricerca delle spiegazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .81Capitolo 7: il dono della pietra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .85Capitolo 8: intuizioni: presente e futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .95

Parte II: la guarigione riconnettiVa e il suo signiFicato

Capitolo 9: Dimmi di più . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .113Capitolo 10: stringhe e filamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .117Capitolo 11: le grandi domande. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .123Capitolo 12: per dare, devi ricevere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .133Capitolo 13: togliersi di mezzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .139Capitolo 14: settare il tono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .155Capitolo 15: cose da considerare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .165

PARTE III: Voi e la guarigione riconnettiVa

Capitolo 16: nella piscina dell’energia riconnettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .175Capitolo 17: l’ambiente del guaritore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .181

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Capitolo 18: accendere il guaritore dentro di voi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .191Capitolo 19: trovare l’energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .201Capitolo 20: il terzo partner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .207Capitolo 21: interagire con i pazienti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .227Capitolo 22: che cos’è la guarigione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .237

Note di chiusura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .247

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INTRODUZIONE

Il libro che vi accingete a leggere si incentra sulla figura di un clinico coraggioso e generoso, il Dr. eric pearl, il quale scoprì che la chiave della salute e della guarigione è rappresentata da quella che egli stesso definisce La Riconnessione (traduzione italiana di The Reconnection, ndt). la prima volta in cui lo abbiamo sentito parlare presso il pro-

gramma di Medicina integrativa del Dr. andrew Weil all’università dell’ari-zona, fummo da subito colpiti dall’onestà e dalla franchezza del Dr. pearl. avevamo di fronte un uomo intenzionato ad abbandonare un’attività chiropra-tica tra le più lucrative a los angeles, per intraprendere un viaggio di guari-gione spirituale e per affrontare alcune delle più importanti e controverse que-stioni della medicina e della guarigione contemporanee.

L’energia e l’informazione che essa porta con sé, ha un ruolo centrale nella salute e nella guarigione?

Le nostre menti possono connettersi con questa energia, e possiamo impa-rare ad utilizzare questa energia per guarire noi stessi e gli altri?

Esiste una realtà spirituale più ampia, costituita da energia vivente, con la quale possiamo imparare a connetterci e che possa non solo favorire la nostra personale guarigione, ma anche quella dell’intero pianeta?

ci siamo chiesti: “il Dr. pearl aveva perso la testa? oppure si era riconnesso con la saggezza in fondo al suo cuore e con il cuore dell’energia vivente del cosmo?”

la verità è che quando incontrammo il Dr. pearl per la prima volta, non lo sapevamo. tuttavia, il Dr. pearl era impegnato a dimostrare con i fatti quello che sosteneva a parole, il che comportava portare le sue affermazioni – e le sue doti – in un laboratorio di ricerca il cui motto è “se è vero, sarà rivelato; se è falso, capiremo dov’è l’errore.”

il laboratorio per i sistemi di energia umana presso l’università dell’ari-zona, si dedica all’integrazione della medicina mente-corpo, della medicina energetica e della medicina spirituale. il nostro scopo, nel lavorare assieme al Dr. pearl, non è stato quello di dimostrare che la guarigione riconnettiva funziona, ma piuttosto di dare al processo di guarigione riconnettiva l’oppor-tunità di dimostrare se stesso.

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Una connessione storica alla riconnessione

il mio rapporto personale col concetto di riconnessione risale al mio pro-gramma di dottorato ad harvard verso la fine degli anni ’60. Fui introdotto all’importante ricerca sull’auto-regolamentazione e sulla guarigione condotta da uno dei più integrativi medici-scienziati nei primi trenta anni dello scorso secolo.

nel 1932, il professor Walter B. cannon dell’università di harvard ha pubblicato il suo classico The Wisdom of the Body (La Saggezza del Corpo, N.d.T.). il Dr. cannon descrisse come il corpo mantenesse il suo stato di salu-te fisiologica – dal greco, hael, che significa “integrità” – attraverso un pro-cesso da lui definito “omeostasi”. secondo cannon, la capacità del corpo di mantenere la sua integrità omeostatica, richiede che i processi di feedback in tutto il corpo siano connessi tra di loro e che l’informazione che percorre questa rete di feedback sia fluida ed accurata.

ad esempio, se connettete un termostato ad una caldaia di modo che in qualsiasi momento la temperatura all’interno della vostra stanza raggiunga un livello più basso di quello che avete impostato sul termostato, il segnale dal termostato accende la caldaia e viceversa, e la temperatura nella stanza si manterrà costante. il termostato fornisce il feedback; il risultato è l’omeostasi tra voi e la vostra stanza.

tutto questo funzionamento avviene in virtù delle giuste connessioni all’interno del sistema. se disconnettete il feedback, la temperatura non si manterrà costante. Questa, in poche parole, è l’idea alla base della connessio-ne di feedback.

Quando ero un giovane ricercatore nel Dipartimento di psicologia e rela-zioni sociali ad harvard, elaborai il pensiero che condusse alla scoperta che le connessioni di feedback sono di fondamentale importanza, non solo per la salute e l’integrità fisiologica, ma per la salute e l’integrità a tutti i livelli in natura. la connessione di feedback è fondamentale per l’integrità, che sia energetica, fisica, emozionale, mentale, sociale, globale ed anche astrofisica.

pensai che “la saggezza del corpo” di cannon potesse riflettere un princi-pio più ampio, universale. l’ho chiamato “la saggezza di un sistema” o più semplicemente, “la saggezza della connessione”.

Quando le cose sono connesse, siano esse:1. l’ossigeno connesso all’idrogeno attraverso legami chimici nell’acqua;

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2. il cervello connesso agli organi fisiologici attraverso meccanismi neu-rali, ormonali o elettromagnetici all’interno del corpo;

3. il sole connesso alla terra attraverso la forza di gravità e le influenze elettromagnetiche all’interno del sistema solare...

... e le informazioni e l’energia circolano liberamente, ogni sistema ha la capacità di essere in salute, di rimanere integro e di evolvere.

Quando ero professore di psicologia e psichiatria a Yale, tra la metà degli anni ’70 fino alla fine degli anni ’80, pubblicai saggi scientifici che applica-vano questo principio di connessione universale, non solo all’integrità e alla guarigione mente-corpo, ma all’integrità e alla guarigione a tutti i livelli in natura (schwartz, 1977; 1984). assieme ai miei colleghi proponemmo l’esi-stenza di cinque fasi principali per ottenere integrità e guarigione: attenzione, connessione, autoregolamentazione, ordine e facilità.

Prima fase: attenzione volontaria. È semplice quanto sentire il vostro corpo e l’energia che fluisce all’interno del corpo tra voi e l’ambiente che vi circonda.

Seconda fase: l’attenzione crea connessione. Quando permettete alla vostra mente, coscientemente o meno, di sentire l’energia e le informazioni, que-sto processo promuove le connessioni non solo all’interno del vostro corpo, ma tra il vostro corpo e l’ambiente circostante.

Terza fase: la connessione promuove l’autoregolamentazione. come una squadra di atleti o un gruppo di musicisti che assieme raggiungono livelli elevati nello sport o nel jazz, le connessioni dinamiche tra i giocatori per-mettono alla squadra di organizzarsi e auto-controllarsi (“autoregolamen-tazione”), guidati dall’allenatore e dal direttore d’orchestra.

Quarta fase: l’autoregolamentazione promuove l’ordine. Quello che vivete come integrità, successo o anche bellezza, riflette un processo organizzativo reso possibile dalle connessioni che permettono l’autoregolamentazione.

Quinta fase: l’ordine è espresso con facilità. Quando tutto è connesso corret-tamente e le parti (i giocatori) possono svolgere i rispettivi ruoli, il processo di autoregolamentazione può verificarsi senza sforzi. il processo fluisce.

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È vero anche il contrario. ci sono cinque fasi principali per raggiungere la disintegrazione e la malattia: disattenzione, disconnessione, s-regolamenta-zione, disordine e malattia.

la mancanza di attenzione al vostro corpo (prima fase) comporta una di-sconnessione all’interno del vostro corpo, fra il vostro corpo e l’ambiente circostante (seconda fase), promuovendo la s-regolamentazione nel corpo (terza fase), che verrebbe riflessa nel disordine nel sistema (quarta fase), e vissuta come malattia (quinta fase).

in poche parole, la connessione porta all’ordine e alla facilità, la discon-nessione provoca disordine e malattia.

leggendo l’opera del Dr. pearl, troverete che queste fasi di connessione esistono a tutti i livelli, da quello energetico, attraverso la connessione mente-corpo, a quello spirituale. la chiave per capire questo nuovo livello è nel prefisso “ri”: ri-prestare attenzione, ri-connettere, ri-regolare, ri-ordinare la guarigione.

scoprire la saggezza della riconnessione

nel musical Sunday in the Park with George (Domenica al Parco con Ge-orge, N.d.T.) di stephen sondheim, sulla storia del pittore puntinista george seurat, la creazione della bellezza veniva descritta come un processo di con-nessione. seurat era un maestro nell’organizzare e connettere puntini colorati, creando belle immagini che ci stupiscono ancora oggi. sondheim ci ricorda dell’importanza di questo processo con le sue semplici parole: “connetti, ge-orge, connetti”.

Durante la lettura del presente libro, parteciperete ad un viaggio di guarigione connettiva. la vostra mente e il vostro cuore saranno amplia-ti e uniti come il Dr. pearl connette i puntini della sua vita. entrerete nell’anima di un guaritore di talento che ha provato personalmente dubbi e dolore alla scoperta del processo di riconnessione, e sarete testimoni del profondo sollievo e della soddisfazione che provò nel vedere i suoi pa-zienti guarire.

non è nostra intenzione insinuare che tutto ciò che è scritto in quest’opera sia scientificamente riconosciuto. tuttavia, neanche il Dr. pearl, il quale con-divide le sue esperienze, offre le sue conclusioni, lasciando che voi arriviate alle vostre personali conclusioni, continuando il viaggio.

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il Dr. pearl è da lungo tempo impegnato nella medicina basata sull’eviden-za dei fatti. gli studi scientifici di base condotti nel nostro laboratorio sono sorprendentemente coerenti con le sue previsioni, e futuri studi clinici sono in programma. come il nostro libro The Living Energy Universe (L’Universo dell’Energia Vivente, N.d.T.) suggerisce, la saggezza per la guarigione può essere tutta intorno a noi, nell’attesa di essere sfruttata così da servire ai suoi scopi più elevati.

Vi auguriamo che possiate essere illuminati ed ispirati da questo libro come lo siamo stati noi.

Dr. Gary E. R. Schwartz e Dr. Linda G. S. Russek

Il Dr. Gary E. R. Schwartz è professore di psicologia, medicina, neurologia, psichiatria e chirurgia ed è direttore del laboratorio per i sistemi di energia umana presso l’università dell’arizona. È anche vicepresidente per la ricerca e per l’educazione nella Fondazione universo dell’energia Vivente. ha com-pletato il suo dottorato in materie umanistiche presso l’università di harvard nel 1971, ed è stato ricercatore in psicologia ad harvard fino al 1976. È stato professore di psicologia e psichiatria all’università di Yale, direttore del cen-tro psicofisiologico di Yale e co-direttore della clinica della Medicina com-portamentale di Yale fino al 1988.

La Dr. Linda G. S. Russek è ricercatrice clinica di medicina e co-direttore del laboratorio per i sistemi di energia umana presso l’università dell’ari-zona. È anche presidente della Fondazione universo dell’energia Vivente e dirige la serie di conferenze Celebrare l’Anima Vivente (www.livingenergyu-niverse.com).

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PREFAZIONE

“Tutti hanno uno scopo nella vita... un dono unico o un talento speciale da dare agli altri. E quando usiamo questo talento unico per aiutare gli altri, giungiamo all’estasi e all’esultanza del nostro spirito, che è l’obiettivo per eccellenza di tutti gli obiettivi.”

Deepak chopra

Ho riceVuto molti stupendi doni nella mia vita. uno di questi è la strabiliante capacità di guarire, dono che, lo ve-drete leggendo queste pagine, non comprendo pienamente (sebbene ci sia vicino). un secondo dono è stato scoprire che esistono veramente dei mondi al di fuori di questo. un

terzo dono è l’opportunità che mi è stata data di scrivere questo libro e di condividere con voi le informazioni che ho acquisito finora.

Quello che il primo dono ha di splendido è che, attraverso esso, capii che avevo uno scopo nella mia vita e che ero stato benedetto non soltanto dal fatto di essere in grado di riconoscere questo scopo, ma di viverlo attivamente e con-sapevolmente. tra i doni della vita, questo è sinceramente uno dei più grandi.

il secondo dono mi ha reso capace di riconoscere il mio vero Io, di capire che sono un essere spirituale, e che la mia esperienza umana è solo questo: la mia esperienza umana. È solo una delle esperienze della persona che sono. ce ne sono altre, come vedere il mio spirito presente in tutto ciò che faccio, e come vederlo, e toccarlo, anche negli altri. È un dono stupendo, e sebbene lo abbia avuto dentro me da sempre, non vi avevo fatto caso finora. Questo se-condo dono mi ha dato la prospettiva del mio scopo.

il terzo dono ha soffiato un nuovo elemento di vita nei primi due. Fino a poco tempo fa, avevo condiviso il dono di guarire solo con pochi, una persona alla volta. pur amando quello che stavo facendo, sapevo che doveva essere condiviso con più persone. non gli stavo facendo un favore tenendomelo per me... e non lo tenevo per me intenzionalmente. lo vedevo come un dono (e lo è), e quindi pensavo che non fosse possibile trasmetterlo ad altri, cosa che invece è possibile.

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esso è stato paziente con me. sapeva che presto avrei riconosciuto il dise-gno più grande. Man mano che la sua capacità di trasportarsi in altri si mani-festava, iniziai a tenere dei seminari in cui un gran numero di persone era in grado di interagire con esso immediatamente. scoprire che questo dono della guarigione può essere attivato in altri attraverso la televisione è stato altrettan-to entusiasmante. per quanto riguarda la parola scritta, beh, questa sembra conferire tutta una nuova dimensione al suo trasferimento. Quello che è av-vincente nel comunicare attraverso la stampa e i mezzi di telecomunicazione è che permette a molte più persone di vivere l’attivazione di questa capacità di guarigione in loro stesse. capii che era il momento di portare un cambia-mento nella nostra comprensione; era giunto il momento che la razza umana vedesse che, e non voglio sembrare eccessivamente religioso, ovunque vi sia-no due o più persone riunite, possano essere d’aiuto l’uno all’altro. possiamo facilitare la guarigione l’uno dell’altro. e oggi possiamo farlo a livelli prima considerati irrangiungibili.

capii che il mio dono non serviva solo per aiutare gli altri, ma per aiutare gli altri ad aiutare altri. Questa consapevolezza mi ha dato un notevole mezzo con cui iniziare a raggiungere il mio scopo.

Questo libro è a metà strada tra il manuale di istruzioni che nessuno mi ha mai dato... ed un’attivazione perché possiate iniziare a modo vostro.

se è vostra intenzione divenire guaritori, portare la vostra attuale capacità di guaritori a livelli più elevati, o semplicemente toccare le stelle per sapere che esistono per davvero, allora questo libro è stato scritto per voi.

Ma è stato scritto anche per me. È espressione del mio scopo nella vita, che alla fine ho trovato. Forse dovrei dire che il mio scopo ha trovato me. spero aiuterà anche voi a trovare il vostro.

– Dr. Eric Pearl

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RINGRAZIAMENTI

VORREI RINGRAZIARE:

sonny e lois pearl, i miei genitori, per avermi sostenuto in ogni modo.

chad edwards, la cui integrità, l’incessante energia e la profonda devozione per la verità, hanno salvato questo libro.

hobie Dodd, il cui straordinario amore, la fedeltà, l’amicizia e la fede, assieme alla sua capacità di prendersi cura della mia vita privata e professionale, mi hanno permesso di trovare il tempo di sedermi a scrivere questo libro.

Jill Kramer, la cui revisione ha trovato l’essenza del mio libro e ha permesso che altri fossero in grado di fare lo stesso.

robin pearl-smith, mia sorella, per aver curato il mio sito Web, revisionato incessantemente questo libro (assieme ai miei genitori, ad hobie e a chad prima che fosse affidato a Jill), ed avermi aiutato a far sì che il mondo comprendesse the reconnection.

John edward, per tutto il suo sostegno dietro le quinte.

lorane, harry e cameron gordon, i quali mi hanno aperto i loro cuori e mi hanno dato una famiglia-lontano-dalla-famiglia e una casa-lontano-da-ca-sa, aiutandomi ad essere tutto ciò che potevo essere.

lee e patti carroll, la cui amicizia e fede mi hanno aiutato a sostenermi attra-verso il processo di scrittura di questo libro.

John altschul, il quale ha educatamente provato ad ignorare tutto questo, fino a quando ha ottenuto la sua personale guarigione.

aaron e solomon, per la loro comprensione spirituale.

Fred ponzlov, per aver dato se stesso e il suo tempo disinteressatamente.

Mary Kay adams, per il suo costante sostegno e incoraggiamento.

gary schwartz e linda russek, per il loro tempo e l’energia investiti nella ricerca e nella documentazione sulla Guarigione Riconnettiva, e per la splendida introduzione a questo libro.

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reid tracy, per il modo in cui si è occupato di questo libro e per avermi trat-tato con gentilezza e rispetto.

tutto lo staff della hay house, inclusi tonya, Jacqui, Jenny, summer e chri-sty, per essere stati presenti e aver collaborato magnificamente in qualsiasi momento siano stati chiamati.

susan shoemaker, la quale ha preparato innumerevoli tazze di tè mentre mi leggeva tutto il libro ad alta voce, per ben due volte!

Joel carpenter, che mi ha accolto in casa sua e si è sempre assicurato che smettessi di scrivere almeno per mangiare.

steven Wolfe, per essere un elemento basilare e stabilizzatore nella mia vita.

craig pearl, mio fratello, per non aver riso.

E Dio, l’Unico in questo libro al quale non importa come scrivo il Suo nome.

Dr ERIC PEARL - The Reconnection

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PARTE I Il dono

“Per quanto tempo ancora lascerai dormire la tua energia? Per quanto tempo ancora sarai consapevole della tua immensità?”

Bhagwan shree rajneesh Una Tazza di Tè

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Capitolo 1

Primi passi “Esistono solo due modi per vivere la vita. Il primo è come se niente fosse un miracolo. Il secondo è come se tutto fosse un miracolo.”

albert einstein

il miracolo di gary

“Come avrà fatto questa persona a salire le scale?” pen-sai, guardando attraverso la finestra accanto all’entra-ta del mio studio. il mio nuovo paziente stava arrivan-do in cima alla rampa di scale. si muoveva a piccoli balzi intervallati da pause, durante le quali guardava

quello che sarebbe stato il passo successivo, preparandosi allo sforzo. per una volta in più mi domandai se quella di iniziare un’attività di chiropratico al secondo piano di un edificio senza ascensore fosse stata la migliore fra le scelte. non era come aprire un’officina per la riparazione di freni al termine di una discesa impervia?

non avevo molte possibilità quando iniziai la mia pratica nel 1981 e, come pareva, adesso ne avevo ancora meno... nonostante i motivi fossero diversi. nell'arco di dodici anni, la mia pratica di chiropratico si era sviluppata a tal punto da diventare una delle principali in tutta los angeles. come facevo a trasferirmi?

Decisi di non uscire per aiutare questo uomo a salire gli ultimi due gradini. non volevo diminuire in nessun modo la sua imminente soddisfazione per il compimento di un compito così arduo. Vedevo chiaramente nel suo volto la

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determinazione risoluta di un alpinista che si appresta a compiere gli ultimi passi, prima di giungere sulla sommità del monte everest. Quando raggiunse il pianerottolo, non potei fare a meno di ricordare l’impavida arrampicata lungo il campanile del gobbo di notre Dame.

Diedi un’occhiata ai miei appunti, che mi rivelarono il nome della persona: gary. si era rivolto a me a causa del suo cronico dolore alla schiena. la cosa non mi sorprendeva affatto. nonostante fosse giovane e in salute, aveva una postura contorta, che diveniva evidente nel momento in cui la sua figura si presentava davanti agli occhi. la sua gamba destra era più corta della sinistra di diversi centimetri, e nella parte destra il bacino era molto più alto. a causa di questa difformità, zoppicava in maniera vistosa, spostando la parte destra del bacino all’infuori ad ogni passo, spingendo il corpo in avanti per compen-sare. il piede destro era piegato verso l’interno e poggiava sopra il sinistro, così che le sue due gambe agivano come una sola grossa gamba, bilanciando il peso della parte più alta del corpo. per mantenere l’equilibrio, poi, la schie-na si doveva inclinare davanti di circa trenta gradi, come se si preparasse a tuffarsi in piscina. la postura e l’andatura avevano intensificato i problemi alla schiena fin dall’infanzia.

gary mi raccontò la sua storia; fin dalla sua nascita era come se la sua vita fosse stata tutta in salita. il medico aveva tagliato troppo presto il cordone ombelicale, interrompendo così la fornitura di ossigeno al suo piccolo cervel-lo. nel momento in cui i polmoni cominciarono a funzionare, il danno era ormai fatto, il cervello era stato danneggiato in un modo tale, che la parte destra del corpo non riusciva più a crescere in modo simmetrico. già a quat-tordici anni gary aveva consultato più di venti medici nel tentativo di porre un rimedio alla sua condizione. per aiutarlo a migliorare la sua postura gli fu allungato il tendine d’achille sul calcagno destro. non funzionò. gli furono date scarpe ortopediche e stampelle: nessun miglioramento. Quando gli spa-smi di dolore che piegavano la sua gamba destra diventarono troppo intensi, a gary furono prescritti dei forti antidolorifici. gli spasmi sembravano ali-mentati dalle cure, che non facevano altro che indebolirlo e disorientarlo.

Finalmente, si recò nello studio di un famoso e stimato professionista. se c’era una persona che poteva aiutarlo, gary era sicuro che si trattasse proprio di lui.

Dopo un’esame molto dettagliato il medico si sedette, lo guardò dritto ne-gli occhi e disse che non c’era niente che si potesse fare. egli disse che gary avrebbe avuto sempre problemi con la schiena e aggiunse anche che i suoi

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problemi sarebbero aumentati con gli anni, perché il suo scheletro avrebbe continuato a deteriorarsi costringendolo su una sedia a rotelle. gary fissò il medico.

egli aveva riposto tutte le sue speranze e le aspettative in questo professio-nista, e lasciò il suo studio sentendosi più a terra che mai. Fu quel giorno, per dirla con parole sue, che “mentalmente depennò tutto l’ambiente medico”.

passarono tredici anni. Mentre era al lavoro con una sua amica, disse che il suo mal di schiena in quel periodo era più doloroso del solito. curiosamen-te, quella donna era stata una mia paziente due anni prima, in seguito ad un serio incidente di motocicletta. Fu lei a parlare a gary di me.

ora quella donna era qui. assorbito nella sua storia, alzai gli occhi sopra gli appunti e gli chiesi: “sai

cosa succede qui?”gary mi guardò, in un certo senso sorpreso dalla domanda. “sei un chiro-

pratico, non è vero?” Feci cenno di sì, decidendo consciamente di non dire altro. nell’aria c’era

una sensazione di aspettativa. ero l’unico a sentirla? portai gary in un’altra stanza, lo misi sul tavolo e trattai il suo collo. gli

dissi di tornare dopo quarantotto ore e gli dissi anche che la prima visita era terminata.

Due giorni dopo, gary tornò. come avevo fatto prima, lo misi sul tavolo in pochi secondi. Questa volta

gli chiesi di rilassarsi e di chiudere gli occhi e di non aprirli fin quando non glielo avessi detto. portai entrambe le mani trenta centimetri sopra il suo to-race, con i palmi in basso, notando le varie ed ancora inusuali sensazioni, mentre spostavo le mani verso la sua testa. inclinai i palmi, portando entram-be le mani in prossimità delle tempie. Mentre le tenevo lì, vidi gli occhi di gary muoversi avanti, indietro e ai lati, con un’intensità che indicava chiara-mente che era tutto tranne che addormentato.

portai istintivamente le mani vicino ai piedi. posi le mani di fronte alle piante. era come se le mie mani fossero sospese da una struttura di suppor-to invisibile. a causa del suo difetto di nascita, la gamba destra di gary ri-maneva ruotata verso l’interno anche quando era supino. Mentre guardavo le piante dei piedi coperte dai calzini, non avevo la benché minima idea di cosa avrei visto. Fu come se i suoi piedi fossero vivi; non vivi come lo sono tutti i piedi, ma come se fossero diventati due distinte unità viventi, l’una diversa dall’altra, e chiaramente non era gary. affascinato dallo spettacolo,

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osservai il movimento dei piedi. in ognuno di essi sembrava essere presente una forma di coscienza indipendente.

improvvisamente, il piede destro di gary cominciò a muoversi come se stesse “spingendo” leggermente il pedale dell’acceleratore. Mentre continua-va a “spingere”, si aggiunse un secondo movimento: una rotazione verso l’esterno che portò il piede destro dalla sua posizione originaria di riposo so-pra quello sinistro, a una posizione con le dita dirette verso il soffitto proprio come quelle del piede sinistro. incapace di capire se stessi ancora respirando, osservai in silenzio, mentre gli occhi di gary continuavano a muoversi ritmi-camente come l’asta di un metronomo. il suo piede, che stava ancora puntan-do, ruotò all’indietro e tornò nella posizione originaria. lo schema si ripeté. Verso l’esterno, verso l’interno, verso l’esterno. poi sembrò fermarsi. rimasi in attesa. e ancora in attesa. e ancora. non sembrava accadere più niente.

Mi mossi lungo il tavolo fino a stare alla destra di gary. nonostante non fosse mia abitudine toccare il corpo di una persona quando facevo interventi di questo tipo, mi trovai obbligato a poggiare gentilmente le mani sulla parte destra del bacino, la mano destra sopra quella sinistra, anche se non diretta-mente una sopra l’altra. guardai giù verso i piedi di gary. ancora una volta il piede destro cominciò a muoversi, prima nell’atto di spingere il pedale e poi in quello rotatorio. Verso l’esterno. Verso l’interno. Verso l’esterno.

attesi. attesi ancora. non sembrava accadere più niente. tolsi le mani dal bacino di gary e con due dita picchettai gentilmente sul

suo torace. “gary? credo che abbiamo finito”. gli occhi di gary si muovevano da una parte all’altra, anche se vedevo che

cercava di aprirli. più o meno trenta secondi più tardi, quando si aprirono, gary apparve leggermente frastornato. “il piede si muoveva” mi disse, come se non l’avessi visto. “riuscivo a sentirlo, ma non riuscivo a fermarlo. senti-vo molto calore dentro di me, poi ho sentito una sorta di energia che si forma-va nel mio polpaccio destro. Quindi... penserà che sia una cosa pazzesca, ma era come se delle mani invisibili ruotassero il mio piede, anche se non sem-bravano veramente delle mani.”

“ora si può alzare” gli dissi, facendo del mio meglio per non apparire sor-preso e allo stesso tempo cercando dentro di me di comprendere cosa fosse accaduto. gary si alzò e per la prima volta in ventisei anni rivelò la sua altez-za: un metro e ottanta. e due gambe completamente indipendenti.

lo guardai con stupore e pieno di gratitudine: la spina dorsale era diritta ed il suo bacino bilanciato. la sua espressione cominciò a riflettere la comprensione

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di ciò che era appena accaduto. Fece un paio di passi di prova e gli dissi che rimaneva ancora un po’ della sua zoppia, ma niente di lontanamente parago-nabile all’andatura precedente.

gary lasciò lo studio con un grandissimo sorriso stampato sulla sua faccia, e io lo vidi scendere con grazia la rampa di scale.

segnali Da quel giorno, l’energia aveva chiaramente raggiunto un nuovo livello.

perché? non saprei dirlo. era semplicemente saltata ad un nuovo livello; a volte lo faceva ogni settimana, a volte nel giro di pochi giorni, a volte addirit-tura più volte nell’arco della stessa giornata. anche allora sapevo che nono-stante l’energia venisse attraverso me, non ero io a crearla o a direzionarla. era qualcun altro a farlo, qualcuno molto più potente di me. nonostante mi fossi documentato molto, ciò che mi stava succedendo non poteva esser fatto rientrare in nessuna delle “energie di guarigione” che avevo letto nei libri. Questa era molto più che semplice “energia”. era qualcosa che portava con sé una vita ed un’intelligenza che andava oltre le tante “tecniche” descritte nei milioni di libri pubblicati durante la new age. era qualcosa di diverso. era qualcosa di estremamente reale.

ciò che era accaduto quel pomeriggio con gary non solo aveva cambiato la sua vita, ma avrebbe cambiato anche la mia. non che gary fosse l’unico paziente con il quale avevo lavorato usando questo metodo, cioè muovendo le mani sopra il corpo. era una cosa che facevo da oltre un anno. non era neanche l’unico paziente ad aver ricevuto una guarigione rimarchevole. egli però rappresentava il caso più estremo, il paziente che aveva mostrato la di-sabilità più severa e che era uscito dal mio studio con i maggiori benefici. almeno due dozzine dei migliori medici di tutta la nazione non erano stati capaci di correggere o anche solo migliorare l’andatura, la postura e la rota-zione del bacino e della gamba di gary; ciò nonostante i suoi difetti ed il do-lore erano spariti. in pochissimi minuti. scomparsi.

Mi chiesi ancora una volta perché questa energia avesse scelto di apparire attraverso me. Voglio dire, se anche fossi stato seduto su una nuvola alla ricer-ca della persona giusta su tutta la faccia della terra alla quale passare uno dei più rari e ricercati doni dell’intero universo, non so se avrei attraversato l’ete-re, puntando l’indice e dicendo: “È lui! È lui. Date a lui questo dono.”

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Forse non era accaduto in questo modo, ma era così che a me sembrava. non avevo certo passato la mia vita in cima a una montagna in tibet a

contemplare il mio ombelico mangiando ciotole di fango con le bacchette. avevo passato dodici lunghi anni a fare il mio lavoro, avevo tre case, una Mercedes, due cani e due gatti. ero un uomo che a volte faceva degli stravizi, guardavo più televisione io di quanto non lo facesse un ragazzo di dodici anni e facevo tutto ciò che “credevo” dovesse esser fatto. avevo anche la mia bel-la dose di problemi, e in effetti, poco prima che queste circostanze bizzarre si manifestassero avevano raggiunto il livello di guardia, ma in generale la mia vita sembrava svolgersi secondo i piani.

Ma i piani di chi? Questa era la domanda che mi facevo. perché quando guardavo indietro, vedevo che erano stati messi certi segnali lungo la strada della mia vita: strani avvenimenti, coincidenze ed eventi che, anche se uno ad uno non significavano molto, presi tutti insieme e con il senno di poi sembra-vano dirmi che non mi trovavo realmente sulla strada che pensavo di aver scelto per me.

Dove si trovava il primo segnale? Quanto indietro dovevo tornare? se l’aveste chiesto a mia madre, avrebbe risposto che dovevo guardare al giorno che lasciai il suo grembo. la mia nascita era stata, con parole sue, “inusuale”. naturalmente molte madri ricordano il loro primo parto come qualcosa di speciale e unico. Ma non è esattamente la stessa cosa. alcune donne affronta-no travagli lunghi interi giorni, altre danno alla luce i loro figli nella foresta o sul sedile posteriore di un taxi. Mia madre? Morì mentre mi dava alla luce.

Ma non fu la morte a turbarla. ciò che la turbò fu dover tornare a vivere.

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Capitolo 2

Lezioni dalla vita dopo la morte

“C’è una ragione logica per tutto ciò che accade in questo mondo e oltre, ed ha perfettamente senso. Un giorno, comprenderai il proposito divino del piano di Dio.”

lois pearl

l’ospedale

“Quando nascerà questo bambino?”, diceva mia madre in preda all’agonia. in sala travaglio, lois pearl, mia ma-dre, aveva fatto gli esercizi di respirazione e aveva co-minciato a spingere, spingere... ma non succedeva nien-te. nossignore. nessuna dilatazione. solo dolore e

ancora dolore, mentre la dottoressa tornava a controllarla tra un parto e l’altro. cercò di non gridare; era determinata a non dare spettacolo. Dopo tutto, si trattava di un ospedale. c’erano persone malate.

eppure, quando la dottoressa tornò nuovamente, mia madre la guardò e, con gli occhi pieni di lacrime, domandò: “Finirà mai tutto ciò?”

preoccupata, la dottoressa mise una mano sull’addome di mia madre per vedere se io avessi “mollato” abbastanza per poter esser tirato fuori. l’espres-sione del suo volto dimostrò che non era convinta. Ma considerato il dolore lancinante di mia madre, si voltò verso l’infermiera e con riluttanza disse: “portatela dentro!” Fu messa su un lettino e trasportata in sala parto. Mentre il medico continuava a premere sul suo addome, mia madre notò che la stanza

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si era riempita delle urla di una persona. Dio mio, pensò mia madre, questa donna si sta coprendo di ridicolo! si rese poi conto che, a parte il personale, lei era l’unica persona in quella stanza; ciò significava che le urla erano le sue. stava dando spettacolo. tutto ciò la infastidì molto.

“Quando finirà?” la dottoressa la guardò in modo rassicurante e le fece assumere un pò di

etere. Fu come mettere un cerotto su un arto ferito. “La stiamo perdendo...” Mia madre riusciva a malapena a sentire la voce sopra il rombo dei motori,

degli enormi motori, come quelli di una fabbrica, non certo di un ospedale. Quel suono, accompagnato da un prurito, aveva cominciato a formarsi attorno alle piante dei piedi. cominciò poi a salire lungo il corpo come se i motori si stessero muovendo in alto ed il rumore diventasse sempre più intenso, elimi-nando completamente le sensazioni di una parte del corpo prima di spostarsi a quella successiva. le rimaneva solo un senso di stordimento.

sopra il suono dei motori, il dolore del travaglio persisteva. Mia madre sapeva che si sarebbe ricordata quel dolore per tutta la vita. la

sua ostetrica pensava che le donne dovessero vivere appieno “la totale espe-rienza” del parto. in due parole, niente antidolorifici. neanche durante il par-to, eccezione fatta per le poche boccate di etere quando le contrazioni raggiun-gevano il picco doloroso.

stranamente, nessuno dei medici o degli infermieri appariva distratto. c’era quest’enorme rumore e nessuno nella sala parto sembrava sentirlo. Mia madre si chiedeva: “Come può essere?”

i motori quindi e lo stordimento conseguente, avrebbero dovuto essere un sollievo. Ma quando i motori raggiunsero l’altezza della vita, mia madre fu colpita da ciò che sapeva sarebbe successo quando fossero arrivati al cuore.

La stiamo perdendo... No! Fu invasa da un senso di resistenza. Dolore o non dolore, non voleva

morire: immaginava le persone che amava distrutte dal dolore. Ma per quanto lottasse, i motori non invertivano la direzione. procedevano in alto, storden-dola sempre di più, annullando la sua esistenza. non riusciva a fermarli. Quando capì, successe qualcosa di strano. nonostante non volesse morire, improvvisamente piombò su di lei un senso di pace.

La stiamo perdendo...i motori raggiunsero lo sterno. il loro rombo riempì la sua testa. poi cominciò ad ascendere...

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il Viaggio

non era il corpo di mia madre a vagare nell’aria. era ciò che lei poteva chiamare soltanto la sua anima. Veniva portata in alto, verso qualcosa. non si guardò indietro. non più cosciente dell’ambiente fisico, sapeva di aver lascia-to la sala parto ed i motori. continuava ad elevarsi, a muoversi verso l’alto. nonostante non avesse una diretta conoscenza della vita dopo la morte o di qualsiasi cosa di tipo “spirituale”, ciò non sembrava costituire un ostacolo. non è necessario un background spirituale per riconoscere quando la vostra essenza fondamentale lascia il vostro corpo e comincia a salire. può esserci soltanto una spiegazione.

l’ultima memoria di mia madre dal tavolo del parto fu che, nonostante stesse lasciando dietro di lei tutto ciò che le era familiare, non le importava. tutto ciò inizialmente la sorprese. nel momento in cui smise di combattere e “si lasciò andare” cominciò il suo viaggio. per prima cosa ci fu una sensazio-ne di pace totale, di tranquillità e di assenza di qualsiasi tipo di responsabilità terrena. nessuna preoccupazione della vita quotidiana la tormentava più. nes-suna scadenza da rispettare, nessun obbligo di tipo mondano, nessuna aspet-tativa, nessun limite da stabilire. Nessuna paura dell’ignoto. una dopo l’altra, tutte queste cose scomparvero... e fu un grande sollievo. che grande sollievo! Mentre tutto ciò accadeva, la sensazione di leggerezza entrò dentro di lei e divenne cosciente del fatto che stava fluttuando. si sentiva così leggera con la scomparsa di tutte le responsabilità terrene, da ascendere ad un altro livello. Fu così che cominciò l’ascesa di mia madre, che si interrompeva soltanto per acquisire la conoscenza necessaria per procedere oltre.

passò più livelli in successione, non ricordava un “tunnel” preciso, come racconta la maggior parte delle persone che hanno avuto simili esperienze. ciò che ricorda è che lungo la strada incontrò “altri”. Questi altri erano più che sem-plici “persone”. erano “esseri”, “spiriti”, “anime” di tutti coloro il cui periodo su questa terra era appena giunto al termine. Queste “anime” parlavano con lei, anche se parlare non sembra essere la parola giusta. la comunicazione era di tipo non verbale, una sorta di trasferimento del pensiero che non lasciava nessun tipo di dubbio su ciò che veniva espresso. lì non esistono i dubbi.

Mia madre apprese che il linguaggio verbale, come noi lo conosciamo, non aiuta la comunicazione, ma rappresenta un ostacolo. È uno degli osta-coli che ci vengono dati come parte della nostra esperienza di apprendimen-to sulla terra. È anche parte di ciò che ci mantiene nell’ambito limitato di

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comprensione nel quale ci troviamo, al fine di acquisire la padronanza delle nostre altre lezioni.

l’anima, “l’essenza” di una persona, è l’unica cosa che sopravvive e che conta, capì mia madre. le anime mostrano chiaramente la loro natura. non c’erano volti, corpi e niente dietro cui nascondersi e ciò nonostante era in grado di riconoscere ogni essere per ciò che veramente era. la loro facciata fisica non era più parte di loro. Veniva lasciata come un ricordo del ruolo in-terpretato nelle vite delle persone amate, da custodire gelosamente nei ricordi delle loro esistenze. Questo testamento della verità dei loro vecchi esseri fisi-ci è tutto ciò che resta sulla terra. la loro vera essenza trascende.

Mia madre capì quanto poco importante fosse il nostro aspetto esteriore, e quanto sia basso il nostro attaccamento a questi valori. la lezione da impara-re a quel livello era quella di non giudicare le persone dalla loro apparenza, razza e colore, né sulla base del loro credo o del livello di istruzione. Deve essere scoperto ciò che le persone realmente sono, per vedere ciò che è dentro di loro, oltre l’aspetto esteriore, per ammirare la loro vera identità. nonostan-te questa fosse una lezione che già conosceva qui, l’illuminazione appena acquistata era infinitamente più intricata e infinitamente più espansiva.

era impossibile giudicare il passare del tempo. Mia madre sapeva di esse-re stata lì abbastanza a lungo per salire su tutti i livelli. sapeva anche che ogni livello insegnava una diversa lezione.

il primo livello era quello delle anime dirette sulla terra, quelle ancora non pronte ad andarsene. sono quelle alle quali è difficile separarsi dai propri fa-miliari. sono solitamente spiriti che sentono di non avere completato determi-nate cose. possono aver lasciato dietro di sé persone malate o affette da handi-caps, la cui cura era totalmente affidata loro (e che non vogliono abbandonare). Queste anime rimangono su questo livello fino a quando non sono in grado di liberarsi dei loro legami terreni. sono su questo livello anche quelle anime che hanno subito una morte improvvisa e violenta, che non ha dato loro tempo di capire perché sono morte ed il processo attraverso il quale dovranno passare per ascendere. in un modo o nell’altro, sentono ancora forti legami con il mondo dei vivi e non sono pronte ad andarsene. Fin quando non capiscono di non essere più in grado di operare su quel piano, di non appartenere più a quei luoghi e di non essere più di quella dimensione, resteranno al primo livello, il più vicino alla loro vita passata.

i ricordi di mia madre del secondo livello sembrano essere validi, ma quel-li del terzo sono estremamente dettagliati.

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arrivata al terzo livello, ricorda di aver provato una sensazione di pesan-tezza. si sentì molto triste quando capì di trovarsi al livello delle persone che si sono tolte la vita. Queste anime si trovano nel limbo. sembrano isolate, incapaci di muoversi in alto o in basso. non hanno direzione. la loro presen-za è di una qualità inutile. sarà loro concesso di salire per completare la loro lezione ed evolvere nel loro sviluppo? non riusciva a capire se sarebbe stato così. Forse sarebbe occorso più tempo, ma questa è una pura speculazione. era una risposta che mia madre non riusciva ad avere. Qualunque fosse la causa, queste anime non erano in stato di quiete, e stare a questo livello non era una cosa piacevole, non solo per chi si trovava lì, ma anche per quelli che passa-vano. la lezione di questo livello era indelebile e chiara: togliersi la vita in-terrompe i piani di Dio.

Ulteriori lezioni

Mia madre fu in grado di riportare altre lezioni sulla terra. le fu mostrata l’inutilità di piangere i morti. se c’è un’esperienza spiacevole per gli spiriti, è quella di vedere il dolore provato dalle persone che restano. Vogliono che noi gioiamo della loro morte, che accompagnamo con “squilli di trombe” il loro ritorno a casa, perché quando moriamo siamo dove vogliamo essere. il nostro dolore è per la perdita dello spazio occupato da quella persona nelle nostre vite. la loro esistenza, che sia stata bella o meno, era parte del nostro proces-so di apprendimento. Quando queste persone muoiono, perdiamo la “fonte” dalla quale deriva quella lezione. c’è da sperare soltanto di avere imparato ciò che dovevamo imparare o che, riflettendo sulla loro vita e sul modo con il quale essa ha interagito con la nostra, saremo in grado di farlo in un secondo momento. Mia madre sapeva che il passaggio del tempo, dal momento in cui abbandoniamo il cielo e scendiamo sulla terra, fino a quello del ritorno, nella nostra coscienza eterna equivale ad uno schiocco di dita e che siamo tutti “provvisori”. È allora che capiamo che così deve essere.

le fu anche mostrato che non importa quanto ingiuste e terribili siano le cose che accadono alle persone sulla terra: non è colpa di Dio. Quando vengono uccisi dei bambini innocenti o delle brave persone muoiono dopo una lunga malattia, quando una persona viene ferita o sfregiata, niente di tutto questo ha a che fare con la responsabilità o la colpa. sono lezioni che noi dobbiamo imparare, quelle nel nostro piano divino. sono lezioni che ci

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vengono impartite per la nostra evoluzione, sia per chi dà che per chi riceve. in un quadro più ampio, questi avvenimenti avvengono sotto la direzione e il

controllo della persona che le vive. l’azione, o ciò che ne risulta, è semplicemen-te la nostra orchestrazione degli eventi. comprendendo tutto ciò, le fu chiaro che non è appropriato chiedersi come possa Dio permettere che certe cose accadano o, sulla base di questi eventi, chiedersi se Dio esista o meno. Mia madre adesso capiva che c’era una spiegazione perfettamente logica per tutto questo. ed era così perfetta che si domandava perché non l’avesse capita prima. guardando l’intero quadro, capì che ogni cosa, ogni cosa, è come dovrebbe essere.

Mia madre capì anche che la guerra è uno stato temporaneo di barbarie, un modo inetto ed ignorante di chiarire le differenze e che, ad un certo punto, non esisterà più. Queste anime reputano la dipendenza dell’umanità dalla guerra non solo primitiva, ma addirittura ridicola: giovani uomini che vengono invia-ti su campi di battaglia per conquistare un pezzo di terra. un giorno, il genere umano esaminerà nuovamente l’intero concetto e si chiederà il perché. Quan-do esisteranno molte anime evolute dotate di ampia intelligenza per risolvere i problemi, tutte le guerre scompariranno.

Mia madre scoprì anche perché le persone che in apparenza avevano fatto “cose terribili” durante la loro vita venissero ricevute senza alcun giudizio. le loro azioni erano diventate lezioni dalle quali dovevano imparare, per diven-tare esseri più perfetti. Devono evolversi partendo dalle loro scelte. natural-mente, ciò significa che queste anime dovranno necessariamente far ritorno sulla terra fin quando non avranno assorbito la conoscenza derivante da quel-le che sono state le conseguenze del loro comportamento. passeranno attra-verso questo ciclo di nascita e rinascita per tutto il tempo che sarà loro neces-sario ad evolversi e alla fine torneranno a casa.

una volta completate le lezioni, mia madre ascese al livello più alto. una

volta giunta, smise di salire e cominciò a scivolare in avanti senza nessuno sforzo, trascinata secondo un preciso progetto da una certa forza. le forme e i colori più belli le scorrevano accanto. erano simili a paesaggi, tranne il fatto che... non c’era terra. in qualche modo sapeva che erano fiori ed alberi e che non c’era niente di simile sulla terra. Queste forme e colori indescrivibili non presenti nel mondo che aveva appena lasciato, la riempivano di meraviglia.

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gradualmente, mia madre divenne consapevole che stava procedendo so-pra una specie di strada, un sentiero fiancheggiato da anime conosciute: quel-le di amici, parenti e persone che conosceva da molte vite. erano lì per darle il benvenuto, guidarla e farle sapere che andava tutto bene. era una sensazio-ne indescrivibile di pace e tranquillità.

alla fine di quella strada, mia madre vide una luce. era come quella del sole, così luminosa da temere che le avrebbe bruciato gli occhi. la sua bellezza era indescrivibile. non riusciva a guardare da nessun’altra parte. stranamente, pur avvicinandosi, non provò dolore agli occhi. Quella grande lucentezza le sem-brava familiare, in un certo modo confortevole. si trovò circondata dalla sua corona e sapeva che quella luce era qualcosa di molto più di un raggio: era il nucleo dell’essere supremo. aveva raggiunto il livello della luce che tutto conosce, tutto arde, tutto accetta e tutto ama. Mia madre sapeva di essere final-mente a Casa. il luogo al quale apparteneva. Quello da dove era venuta.

a quel punto, la luce comunicò con lei senza usare parole. con un paio di pensieri le fornì così tante informazioni che da sole sarebbero bastate a riem-pire diversi volumi. la sua vita, questa vita, si dispiegò davanti a lei in una sequenza di immagini. era una cosa meravigliosa da vedersi: praticamente tutto ciò che aveva fatto e detto le veniva mostrato. riusciva a sentire la gioia o il dolore che aveva dato agli altri. attraverso questo processo ricevette la sua lezione senza nessun giudizio. nonostante non ci fosse alcun giudizio, sapeva che era stata una buona vita.

Dopo un po’ le fu detto che sarebbe stata rimandata sulla terra. Ma lei non voleva tornare. la cosa era curiosa: nonostante avesse così tanto lottato per non lasciare quel mondo, adesso non voleva farvi ritorno. era circondata da così tanta pace, dalla nuova comprensione e dai suoi vecchi amici. Voleva rimanere lì per tutta l’eternità. come si poteva solo pensare che volesse tor-nare indietro?

a queste domande silenziose, le venne risposto che ancora non aveva ter-minato il suo compito sulla terra; doveva fare ritorno per crescere suo figlio. il motivo per il quale era stata chiamata era per acquisire degli speciali consi-gli su come farlo!

all’improvviso mia madre si sentì spingere all’esterno del nucleo della luce, lungo il sentiero che aveva precedentemente percorso. solo che adesso stava andando nella direzione opposta, ben consapevole che stava facendo ritorno sulla terra. lasciare quelle anime così tanto familiari, quel colore, quelle forme, la luce stessa, la rattristò profondamente.

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Mentre si allontanava dalla luce, la sua conoscenza cominciò a spegnersi. sapeva di essere stata programmata per dimenticare; non doveva ricordare. cercò disperatamente di aggrapparsi a quello che rimaneva, ben consapevole che non si trattava di un sogno. Fece il possibile per conservare i ricordi e le impressioni, molte delle quali se ne erano già andate; percepì un vuoto terri-bile. tuttavia provava una grande pace interiore insieme alla consapevolezza che quando sarebbe venuto il momento di ritornare a casa sarebbe stata ac-colta con amore. sapeva che almeno questa cosa l’avrebbe ricordata. la mor-te non le faceva più paura.

in quel momento, mia madre sentì il suono distante dei motori. Questa vol-ta iniziavano dalla testa e attraversavano il suo corpo diretti verso il basso. al di là del rombo cominciò a sentire voci umane e poi il battito del suo cuore.

Quasi tutto il dolore era scomparso. i motori si muovevano sempre più in basso e il loro rombo diminuiva pro-

gressivamente d’intensità, fino a scomparire, lasciando il posto ad un leggero formicolio alle piante dei piedi. poi scomparve anche quello. era finita. era tornata a ciò che le persone amano credere “il mondo reale”.

il medico, adesso decisamente più rilassato, le sorrise. “congratulazioni, lois. È un bellissimo bambino.”

il significato di tUtto ciò

Mia madre non mi aveva ancora visto. per prima cosa dovevano pulirmi,

pesarmi e contarmi le dita. poi fui portato nella sua stanza. Mentre la traspor-tavano sulla sedia a rotelle lungo i corridoi, il senso di ciò che aveva appena vissuto e assorbito la travolse improvvisamente. sapeva intuitivamente di aver già dimenticato molte delle cose che solo pochi minuti prima le apparteneva-no: perché il cielo è blu, perché l’erba è verde, perché il mondo è rotondo, qual è il significato della creazione... e la logica perfetta di tutto ciò. sapeva anche che sicuramente esiste un essere supremo. C’è un Dio.

ricordò anche una cosa di una chiarezza inequivocabile: “Veniamo messi al mondo per imparare delle lezioni che ci rendono anime più complete. Dob-biamo vivere il nostro piano su questo livello prima di essere pronti a salire ad un altro livello. Ecco perché alcune persone sono anime vecchie, mentre altre sono anime giovani.”

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oggi è possibile trovare molte di queste informazioni in libri sulla metafi-sica, ma non all’epoca. le librerie non avevano sezioni dedicate alle pubbli-cazioni sulla new age e queste lezioni non venivano certo insegnate o tra-mandate sotto forma di tradizioni religiose. Mia madre non aveva amici che parlavano di queste cose e neanche, rientrata dall’ospedale, si mise alla ricer-ca dell’illuminazione; voleva solo che un feto recalcitrante uscisse dal suo corpo prima di impazzire dal dolore!

tuttavia era chiaro che mia madre era cambiata. lo sentiva e sapeva anche che, per somma ironia, parte del cambiamento derivava dall’aver lasciato die-tro di sé i ricordi di tante lezioni. per tutta la sua vita è stata un’estrema per-fezionista, compulsiva direi. adesso che la cosa che desiderava maggiormen-te era quella di incarnare ogni singolo principio che le era stato insegnato, scopriva di averne dimenticato la maggior parte. com’è possibile mettere in pratica ciò che non si ricorda?

per questo motivo mia madre decise che era ora di cominciare ad essere più indulgente nei confronti di se stessa... e degli altri. avrebbe lasciato che un sottile strato di polvere potesse entrare in casa, non avrebbe più portato con sé una bottiglia disinfettante per pulire i sanitari delle stanze d’albergo ed avrebbe cominciato ad accettare le cose per quello che sono.

Mentre veniva spinta lungo il corridoio apparve mio padre, che le si affian-cò tenendo il passo. gli fece cenno di avvicinarsi. “Quando saremo nella stan-za” sussurrò “devo dirti qualcosa che sono stata programmata a dimenticare.”

una volta nella stanza, c’erano due donne nei rispettivi letti. Mia madre sussurrò: “non ripetere niente di ciò che sto per dirti, altrimenti le persone potrebbero pensare che sia pazza.”

“non lo farò.” cominciò a descrivere tutto quello che riusciva a ricordare. Mio padre ascol-

tava in silenzio e mia madre era sicura che lui non dubitava di ciò che lei gli stava raccontando. sapeva che non si sarebbe potuta inventare una storia simile.

una volta finito, mia madre fu sopraffatta dal sonno. Disse a mio padre di andare dritto a casa senza indugi e di scrivere al più presto tutto ciò che gli aveva raccontato. erano informazioni troppo importanti per potersi permette-re il lusso di perderle. anche lui era d’accordo.

al suo risveglio, guardò la donna nel letto accanto al suo. la riconobbe, l’aveva vista il giorno prima. il suo primo pensiero fu: mamma mia quant’è brutta! e poi disse tra sé: “aspetta un attimo. hai appena capito che l’appa-renza di una persona non ha importanza.” l’ironia di tutto ciò la fece ridere.

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“hai parlato nel sonno tutta la notte” le disse la donna. “Davvero?”“stavi recitando le scritture.” “cosa ho detto?” “non lo so, parlavi una lingua incomprensibile.” una lingua incomprensibile? Mia madre non parlava nessuna lingua stra-

niera e non conosceva nessuna lingua morta; l’unica scrittura che conosceva era il salmo 23, e per giunta in inglese.

rimase distesa. troppe domande. se ancora avesse avuto un dubbio su ciò che le era successo il giorno precedente, adesso non ne aveva più. in sala parto era successo qualcosa di veramente insolito. sapeva che non si trattava di un sogno, non fosse altro perché i sogni non ci cambiano, almeno non così in profondità. com’è possibile entrare in un sogno con la paura della morte ed uscirne non solo privi di tale paura, ma addirittura sentendosi perfettamente a proprio agio e sapendo di essersi sempre sentiti in quel modo?!

Mia madre voleva scavare nel profondo di quella sua esperienza. in partico-lare voleva sapere cosa fosse successo al suo corpo nella sala parto quando, priva di conoscenza, la sua coscienza era in comunione con esseri di pura luce.

capì subito che scoprirlo non sarebbe stata una cosa semplice. Quando mia madre chiese al dottore se si fosse verificato “qualcosa di

strano” in sala parto, le fu detto “no, è stato un parto normale”. stando a ciò che diceva il medico, l’unica complicazione, per giunta di lieve entità, era stata la necessità di utilizzare il forcipe per mettere il bambino nella giusta posizione una pratica molto comune a quel tempo.

il codice del silenzio

Un parto normale? non poteva essere vero. la frase “parto normale” non coincideva affatto

con le parole “la stiamo perdendo”. Mia madre parlò all’ostetrica che aveva lavorato con lei sia in sala travaglio

che in sala parto, ma nessuno si ricordava di averla sentita parlare lingue stra-niere e sembravano non esserci stati problemi.

“È andato tutto bene” le fu detto. se medici ed ostetrici fossero state le uniche persone presenti al fatto, la

cosa poteva dirsi conclusa. Mia madre però si ricordò della presenza di un’in-

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fermiera ausiliare. gli ausiliari hanno un'uniforme diversa dalle altre e porta-no avanti il loro lavoro in modo silenzioso ed efficace. spesso la loro presen-za non viene neanche avvertita e nella maggior parte dei casi il loro contributo viene enormemente sottovalutato. Gli ausiliari non hanno bisogno di nascondere la verità, quando le cose non vanno per il verso giusto.

Mia madre trovò l’infermiera e le disse: “so che è successo qualcosa in sala parto.”

Dopo una lunga pausa, l’infermiera scosse le spalle dicendo: “non posso dire molto, ma tutto ciò che posso dirle è che... lei ha avuto molta fortuna.”

La stiamo perdendo? Ha avuto fortuna? ciò bastava a confermare quello che già sapeva: quel giorno era accaduto

qualcosa di speciale in sala parto, qualcosa che andava oltre la gioia di avermi messo al mondo senza il beneficio dell’anestesia. i medici, in effetti, l’aveva-no persa. era morta, ed era ritornata. cominciò a pensare di aver vissuto non tanto un’esperienza di “quasi-morte”, ma una di “vita dopo la morte”. il ter-mine “quasi-morte” è un po’ annacquato. Mia madre non era stata vicina alla morte. Mia madre era morta. e come tutte le persone che sono tornate dalla morte, adesso era diversa. capiva che tutto ciò che succedeva nella sua vita, giusto o sbagliato che fosse, era esattamente ciò che serviva alla sua anima in quel momento per poter progredire. “Torna indietro... fino a quando dimostre-rai di aver imparato la lezione.” È parte dell’evoluzione.

Questa lezione si rivelò estremamente proficua e opportuna. Mi aveva ap-pena dato alla luce e ai suoi occhi, fin dal momento della mia nascita, ero una creatura estranea al reame delle cose normali.

era un’esagerazione tipicamente materna? Forse, tranne per il fatto che mia

madre continuava a sostenere di avere le prove che dal primo momento in cui ha posato il suo sguardo su di me, il giorno successivo alla mia nascita, sapeva che non ero un bimbo “ordinario”. ero l’unico neonato nella nursery ed entrando in quella stanza con il biberon in mano, mia madre si avvicinò alla mia piccola culla di vimini e guardò dentro. giacevo sullo stomaco, sveglio. “ciao, piccolo stranie-ro” mi disse in segno di saluto. “siamo io e te contro il resto del mondo. io e te.”

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Quando sentii il suono della sua voce, puntai le braccia ed alzai la testa, girando prima sulla sinistra e poi sulla destra, come se stessi ispezionando l’ambiente. Mia madre osservò tutto ciò con una grande sorpresa. poteva es-sere possibile? le era sempre stato detto che i muscoli di un neonato sono troppo deboli per poter compiere un’operazione del genere.

Mia madre posò il biberon su un tavolo vicino, poi esitò. chissà quali germi potevano essere annidati sulla superficie di quel tavolo... si immaginava i ger-mi arrampicarsi lungo il biberon e attraverso la tettarella contaminare il latte. Ma non aveva appena imparato che era meglio ignorare queste piccole osses-sioni che la consumavano e che c’è un motivo ed un equilibrio per tutto?

Quasi. Mia madre raggiunse un compromesso mettendo un fazzoletto di carta tra la bottiglia ed il tavolo, poi mi prese in braccio. Dal primo momento in cui mi aveva visto si era innamorata di me.

più tardi, quando il medico passò a visitarla, mia madre le disse che avevo alzato la testa. “i neonati non lo fanno” disse con assoluta fermezza, dopodi-ché venne ad esaminarmi.

un secondo più tardi mia madre sentì la voce del medico provenire dall’al-tra stanza. “giovanotto, ancora non dovresti saperlo fare...”

in quel momento mia madre sapeva che qualcosa di straordinario stava accadendo.

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Capitolo 3

Cose da bambini

“I bambini dicono le cose più terribili.” art linkletter

Da bambino, mi dicono, imparavo velocemente, ma altrettanto velocemente mi annoiavo. avevo molta immaginazione ed ero incostante, premuroso e temerario, affettuoso ed egoista. come la maggior parte dei bambini ero convinto che l’univer-so girasse intorno a me ed ai miei bisogni. perché no? nella

mia mente esistevano dei confini flebili tra ciò che io desideravo e ciò che mi aspettavo di ricevere. credevo che tutto dovesse andare a modo mio. tutto quanto.

piani di famiglia compresi. Mia madre sentì il primo guizzo di una nuova vita nel suo ventre quando

avevo più o meno due anni. la sensazione le venne data sotto forma di due “battiti” distinti, cosicché si convinse che stava aspettando dei gemelli. gli addetti ai lavori le dissero che non era vero, anche quando la sua pancia co-minciò a crescere enormemente... sempre di più... e sempre di più. era una donna alta e snella. se la si guardava da dietro si notava solo la sua altezza e la sua silhouette snella, ma quando si metteva di profilo era facile immagina-re che si poteva tranquillamente appoggiare un vassoio sulla sua pancia.

adoravo avvicinarmi e ascoltare le nuove vite scalciare nel suo stomaco. Quando appoggiavo l’orecchio sulla sua pancia, le creature al suo interno diventavano estremamente attive. era una cosa che mi affascinava.

Qualche mese più tardi mia madre fece ritorno in sala parto, ma questa volta le furono dati degli antidolorifici. non sentì nessun motore e non ci fu nessuna odissea.

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“spinga” le dissero i dottori. le voci sembravano provenire da una fitta nebbia; spinse e si addormentò. Fu svegliata quasi subito. “congratulazioni, è una bellissima bambina.” contenta e sotto l’effetto dei farmaci, fece un cenno col capo e si riaddormentò. pochi minuti più tardi la svegliarono anco-ra. “spinga.”

Sapevo che sarebbe successo, pensò. e cominciò a spingere. la cosa seguente che ricordava erano le parole: “congratulazioni, è un

bellissimo bambino.” sapendo che era finita, si lasciò scivolare in un sonno profondo.

la svegliarono nuovamente. “spinga.” “no, un altro no!” risero. “no, questo è per gli annessi fetali.” Quando i gemelli arrivarono a casa, fu sorpresa di scoprire che il suo pri-

mogenito, cioè io, appariva tutt’altro che contento. “cosa ti succede?” “non li volevo.” “avevi detto di sì” rispose mia madre. “non è vero.” “avevi detto che volevi un fratellino e una sorellina .” a gambe divaricate, il pugno destro appoggiato saldamente sul fianco,

guardai mia madre dritta negli occhi. “ti avevo detto che volevo un fratello o una sorella. Oooooo una sorella. prendine uno e portalo indietro.”

non avevo proprio idea delle difficoltà che avrei incontrato ad abituarmi a di-videre con i miei fratelli uno spazio che era stato mio fino a quel momento. sareb-be stata un’enorme sfida (ok: una lezione per crescere) negli anni a venire.

apri la porta

ecco come viene visto un comportamento precoce: a volte è carino, a volte

no. Fin dalla più giovane età ho avuto problemi con l’autorità e problemi an-cora più grandi con la noia. era una combinazione imprevedibile. se c’era qualche cosa dalla quale avrei dovuto tenermi alla larga, potete stare sicuri che era lì che sarei andato. se c’era qualcosa che non avrei dovuto fare, l’avrei si-curamente fatta. come dice mia madre, per tenermi occupato, diventai un ma-estro di “trucchetti” e spiegazioni. arrendermi al sonno era solo un modo per rinvigorire. e anche quando dormivo avevo paura che mi sarei perso qualcosa.

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un esempio di uno dei miei scherzi coinvolse la mia nonna materna, nana. pochi giorni dopo l’ingresso in casa di mio fratello e di mia sorella, nana venne da noi a fare la baby sitter. tutto ciò consentiva a mia madre di tirare un sospiro di sollievo. Mio fratello e mia sorella erano nella culla, e io stavo guardando la tV. tre pentoloni bollivano sul gas, uno pieno di pannolini e gli altri due di bottiglie di latte in polvere, mentre un carico di bucato aveva ap-pena finito di asciugarsi nel seminterrato. nana scese a prendere i vestiti. Da grande lavoratrice e donna intelligente quale era, cercò di fare le cose il più velocemente possibile, perché sapeva che non era una cosa saggia lasciarmi da solo per lungo tempo. con le braccia cariche di bucato pulito, iniziò a sa-lire le scale, quando vide che la porta del seminterrato stava per chiudersi. cercò di fare più in fretta, ma la porta si chiuse prima che potesse raggiunger-la. anche la serratura scattò.

appoggiata alla porta con tutti i vestiti sulle mani, nana riuscì a liberarne una e a girare la maniglia. la porta era chiusa. “eric, apri la porta” disse con voce dolce e controllata.

con voce altrettanto dolce e controllata le risposi: “uhn-uh.” “Dai, apri la porta.” “uhn-uh.” nana sapeva che un tono autoritario non avrebbe avuto successo con me.

Ma non aveva intenzione di farsi fregare da un ragazzino, per quanto precoce, soprattutto in quel momento, con tre pentole che stavano bollendo sul gas in una stanza e con due neonati in un’altra stanza. tentò quindi con un approccio diverso. “scommetto che non ce la fai ad arrivare alla maniglia” disse, facen-do leva sulla mia testardaggine.

“sì, ce la faccio.” “io scommetto di no.” silenzio. nana cominciò a sudare. era come se riuscisse a sentire gli ingranaggi del

mio cervello che valutava la situazione. Ma alla fine, come aveva sperato, dovevo dimostrarle che ce la potevo fare. spinsi verso l’alto la maniglia. la sentiva scuotersi delicatamente.

“scommetto che non sei capace ad aprirla” disse. “invece ce la faccio.” ancora una volta lei mi disse: “scommetto che non ce la fai.”ci fu un’altra lunga pausa. i vestiti cominciavano a pesare. la serratura

consisteva in una piccola maniglia che doveva essere spinta e girata. se la

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serratura veniva aperta si sarebbe sentito un piccolo click. nana aspettava quel rumore. Doveva essere veloce. non voleva farmi male nell’aprire la porta troppo velocemente, ma sembrava essere l’unica scelta.

non resistetti. Click. nana spinse la porta, che si aprì più velocemente di quanto si aspettasse. i

vestiti puliti e appena piegati caddero sul pavimento. io finii a terra prima di riuscire a scappare. Mi sedetti e piansi.

nana andò a spegnere il gas, poi tornò a consolarmi. avevo solo due anni e mezzo, ma quel giorno mia nonna capì che la sua

carriera di baby sitter era già terminata.

tra le nUVole

nana era la madre di mia madre e Bubba era quella di mio padre. Bubba

era una donna di vecchio stampo, una di quelle che dava quei grossi baci stile europeo sulle guance, con dei risucchi che avrebbero reso ridicolo un’aspira-polvere. era piena di vita, dotata di un’energia infinita e di un grande senso dell’umorismo, che spesso metteva i parenti “conservatori” in grande imba-razzo. alle cene per le feste comandate sedeva sempre accanto a me, e quando restavo a dormire da lei mi portava in giardino di prima mattina a cogliere le fragole per poi cucinare una grande colazione. poi mi prendeva in braccio e, mentre faceva le faccende di casa, mi portava con sé come se fossi stato leg-gero come una piuma. amavo quella sensazione, viaggiare attraverso lo spa-zio senza usare i piedi. Viaggiare più velocemente, ecco ciò che volevo. Dio mio, quanto le volevo bene.

un giorno di gennaio, Bubba entrò in ospedale e non ne uscì mai più. sembra che, mentre era distesa nel letto, avvertì un forte dolore al petto, si

sforzò per chiamare l’infermiera, ma non riuscì a raggiungere il bottone. ai miei genitori toccava l’arduo compito di gestire la scomparsa improv-

visa di Bubba dalla mia vita. “È andata a dormire” mi dissero, “ma non si sveglierà più.” ci pensai un poco, poi smisi. “io posso svegliarla” dissi. “scommetto che

se le mettiamo tre aspirine in bocca e mi metto a saltare sulla pancia, si sve-glierà.” Quella di saltellare sullo stomaco era una mia strategia addizionale, qualcosa da mettere in atto in caso non fosse bastata l’aspirina.

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Questa è stata una delle poche volte nelle quali ricordo di aver visto mio padre piangere.

il funerale fu celebrato subito dopo. non mi fu consentito di andare. i miei genitori pensavano che, a cinque anni, sarebbe stato troppo traumatico per me vedere il corpo senza vita di mia nonna. Bubba se ne era andata, e tutti, tranne me, la salutarono.

la notte a letto pensavo a lei. a volte piangevo in silenzio per non farmi sentire. Mi mancava e nonostante all’epoca non comprendessi quel concetto, non avevo avuto nessun senso di chiusura.

nel frattempo sapevo anche che se non avevo potuto salutare Bubba lei non mi aveva certo dimenticato. sapevo esattamente dove si trovava e che mi stava sorvegliando come aveva sempre fatto. lo sapevo perché mi aveva sem-pre aiutato quando ne avevo bisogno, come quando giocavo fuori con i miei amici e cominciava a piovere. Volevano tutti tornare a casa, il che significava che avremmo smesso di giocare; quindi dicevo loro: “aspettate, torno subito.” Mentre tutti aspettavano sotto il porticato, raggiunsi il retro della casa dove nessuno mi poteva vedere e guardando verso il cielo dissi: “Bubba, puoi far smettere di piovere per favore?”

nel giro di pochissimo smise di piovere. sembrava proprio che Bubba non mi avesse abbandonato.

in rotta con la scUola

arrivò il tempo dell’asilo. Fin dal momento in cui varcai quella soglia, la

scuola mi annoiò a morte. passavo la maggior parte del tempo a fantasticare, ma non le tipiche fantasie di un bambino, come giocare a palla, essere un eroe o combattere i mostri (qualche volta ho combattuto con un paio di uragani, ma chi non l’ha fatto?). immaginavo spesso di essere l’oracolo di Delfi. non sa-pevo esattamente chi o cosa fosse l’oracolo di Delfi, ma mi immaginavo se-duto in una caverna a ricevere fiumi di persone venute da lontano per ascol-tare il mio consiglio.

contemplavo anche atti che sapevo non essere possibili, come ad esempio fare passare le mani attraverso i muri. ero sicuro che se mi fossi chiuso in camera per tre giorni avrei scoperto come fare. era strano che nessuno lo sa-pesse fare. Forse avevano provato anche loro da bambini ed erano giunti alla conclusione che si trattasse di una perdita di tempo.

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se agli insegnanti non piaceva il mio sognare ad occhi aperti, potete stare sicuri che piaceva ancora meno la mia mancanza di attenzione. Disturbavo spesso, mi comportavo male, attiravo l’attenzione su di me, oppure li ignora-vo e mi perdevo nel mio mondo. prima della fine del primo anno di scuola ero stato così tante volte nei guai che mia madre un giorno scoppiò a piangere davanti al direttore.

“Quando finirà tutto questo?” disse mentre piangeva, ripetendo inavverti-tamente le parole che aveva usato quando ero nato.

“Quando si interesserà a qualcosa” disse il direttore. “e quando accadrà?” “potrà accadere in qualsiasi momento.” il direttore fece una pausa poi si

mise a ridere. “per mio figlio ho dovuto aspettare che andasse al college.” non è che non avessi interessi; semplicemente non si manifestavano a scuo-

la. Quando mio nonno mi diede una scatola piena di vecchi orologi guasti, ne rimasi affascinato. all’epoca gli orologi erano intricati misteri composti da piccolissimi pezzetti che interagivano tra di loro (prima della rivoluzione digi-tale). ogni volta che uno dei suoi orologi si rompeva, se non era possibile ri-pararlo, mio nonno lo metteva in una vecchia scatola con tutti gli altri che avevano subito la stessa sorte. un giorno mi portò questo “scrigno del tesoro” pieno di orologi guasti. nessuno funzionava e naturalmente erano troppo gran-di perché potessi indossarli, ma la cosa non mi dispiaceva. Volevo giocarci lo stesso. cosa che effettivamente feci. ne caricavo uno e immediatamente co-minciava a ticchettare. ne caricavo un altro che cominciava a muoversi e poi si fermava. un terzo non cominciò nemmeno a muoversi, cosicché lo scossi un poco. tenevo in mano quello che funzionava, poi lo lasciavo andare per qual-che minuto. lo riprendevo e continuava a funzionare. tenevo l’altro e anche questo cominciava a funzionare. presto mi trovai a “riparare” i vecchi orologi dei miei amici. credo che sia più o meno il principio opposto di ciò che provo-ca l’arresto degli orologi, quando alcune persone li mettono al polso.

Ma per certe persone, l’abilità di riparare gli orologi senza doverli aprire, non era tanto importante quanto quella di colorare rispettando i bordi e recitare poesie a memoria. i miei risultati scolastici furono considerati così bassi che quando ero in terza elementare venne a casa un’assistente sociale a fare un controllo sul nostro ambiente familiare, per rendersi conto perché non ero bravo a scuola. immediatamente dopo il suo arrivo le chiesi se mi poteva spiegare il concetto di “infinità”. innervosita, si alzò e uscì di casa. “Dovrò parlarne al direttore” disse.

anche se lo ha fatto, non mi ha detto mai cosa ha imparato.

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QUesta Volta, la chiUsUra

c’era un’ottima ragione per contemplare le cose di natura infinita, perché più o meno nello stesso periodo avrei sofferto un’altra perdita importante: il mio cane. silk, un dobermann, aveva già due anni quando nacqui, eppure sopportava gentilmente il mio comportamento infantile, compresa la mia abi-tudine di usare il suo labbro inferiore come impugnatura per alzarmi in piedi appoggiandomi a lei mentre imparavo a camminare. Faceva delle grosse smorfie di dolore, ma non perdeva mai la pazienza e nemmeno ringhiava. era come se in un certo senso sapesse che ero un bambino ed avevo bisogno del suo amore e della sua protezione.

amavo toccare le cose fredde, compresi gli orecchi di silk. Quando dor-miva accanto al mio letto, allungavo il braccio ed afferravo il suo orecchio tra le dita, che in alto così si riscaldavano (e non era quello che volevo), cosicché dopo pochi minuti passavo all’altro orecchio, per poi tornare al primo e così via. Quando entrambi gli orecchi erano ormai diventati troppo caldi per rap-presentare qualsiasi forma di interesse, facevo uscire silk. Dopo circa dieci minuti sentivo abbaiare. era il suo segnale, sapevo che era pronta a rientrare e a ricominciare tutto daccapo. Dopo altri due giri il rituale terminava ed io me ne andavo a letto.

Quando avevo dieci anni, lei ne aveva dodici (in anni umani ottantaquattro) e la sua salute non era buona. i miei genitori decisero che, nel momento in cui fosse stato appurato che non si potesse fare nient’altro, l’avrebbero fatta sop-primere per non farla soffrire.

Quello fu per silk il suo anno più difficile. c’erano volte in cui, nonostan-te provasse, questo cane che mi aveva insegnato a camminare, non riusciva a reggersi in piedi. era una cosa straziante per un adulto, figurarsi per un bam-bino. scosse tutto il mio mondo. era arrivato il momento di portarla dal vete-rinario, ed eravamo abbastanza sicuri che quella sarebbe stata la visita.

la festa del ringraziamento era vicina. Decidemmo di aspettare la fine delle feste. il giorno del ringraziamento mia madre diede a silk un grosso piatto di tacchino con sugo, patate e ripieno. silk, la cui dieta raramente com-prendeva piatti “umani”, per un momento esitò. apparve confusa, si guardò intorno alla ricerca della nostra approvazione finché non decise di non porsi altre domande e consumò il suo ultimo pasto.

il giorno seguente la portammo dal veterinario. stavolta mia madre rimase a casa. Memore della mancanza del senso di chiusura attorno alla perdita di

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Bubba, insistei per andare con mio padre. seduto nella sala d’attesa che odo-rava di medicinali e con i quadri alle pareti sullo stile di norman rockwell raffiguranti cani che giocano a carte, tutto sembrava terribilmente freddo. Mio padre mi disse che avrebbero addormentato silk. Volevo esserci anch’io? se-guii mio padre e il veterinario, mentre portavano silk lungo il corridoio e in giardino. le dissi addio, poi guardai il veterinario farle l’iniezione. Dopo po-chi secondi cadde con grazia a terra. silk fu rialzata e portata in un forno crematorio.

Quella notte e per molte altre notti piansi ancora per la perdita di qualcuno che amavo. tuttavia, questa volta c’era stata una chiusura. l’infinità non sem-brava poi così tanto lontana, né l’eternità così lunga.

natUra/sUpporto passando dall’asilo alla scuola elementare, in qualche modo crebbe il mio

sé. Mi annoiavo ancora con estrema facilità e passavo ancora tanto tempo a sognare ad occhi aperti, ma in rare occasioni, quando mi veniva assegnato un insegnante che mi ispirava veramente e mi faceva pensare, allora eccellevo oltre ogni aspettativa. sfortunatamente, come avviene ancora oggi, questi in-segnanti rappresentavano l’eccezione piuttosto che la regola.

l’atmosfera a casa mi permetteva di essere più maturo dei miei anni. i miei genitori mi trattavano da adulto: non mi trattavano dall’alto al basso, ma mi coinvolgevano nelle conversazioni e nelle decisioni, riconoscendomi come una persona la cui opinione era importante.

non vedevo l’ora di tornare a casa dopo la scuola. sembrava che ci fosse-ro sempre persone affascinanti da incontrare. i miei genitori avevano molti amici con background interessanti: antropologi, psicologi, artisti, medici, av-vocati eccetera (e per rendere le cose ancora più meravigliose, queste persone ispiravano deliziosi piatti di cucina, dagli aromi e dai sapori inimitabili).

Dal momento che l’atmosfera in casa mia era di totale apertura mentale, e poiché venivo a contatto con persone così tanto diverse fra loro, era più che naturale continuare a sfidare l’autorità di tipo dittatoriale ed estremamente unilaterale. anzi, dovrei dire, fu l’autorità di tipo dittatoriale e unilaterale che continuò a sfidare me.

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la direzione scolastica, al tempo della scuola superiore, era inflessibile con gli studenti che arrivavano in ritardo. nonostante abitassi molto vicino alla scuola, ero quasi sempre in ritardo, tutte le mattine. un minuto qui, un minuto lì, niente di particolare, ma la direzione era di diverso avviso. se gli studenti fossero arrivati a scuola dopo il suono della campanella, avrebbero avuto un’ammissione tardiva.

il problema era che tale ammissione tardiva veniva concessa soltanto dietro presentazione di una lettera proveniente da casa. Facevo così tante cose l’una dopo l’altra che non sapevo mai se sarei arrivato in ritardo e non era possibile ottenere la lettera se non tornando a casa e chiedendola a mia madre. cosicché persi praticamente sempre la prima mezz’ora di lezione. era così impossibile per me uscire di casa quindici minuti prima? evidentemente no, ma il mio atteggiamento non cambiò. non sembravo avere lo stesso concetto di tempo di tutti gli altri; era come se, lasciando casa alle 8:01 e camminando veloce, fossi potuto arrivare a scuola alle 7:50.

chiesi a mia madre se potevo scrivere le lettere al posto suo ed eventual-mente anche firmarle. considerando l’alternativa di perdere interamente la prima ora andando avanti e indietro, finì per acconsentire, non senza riluttanza.

un giorno fui sorpreso mentre mi auto-scrivevo la lettera. la persona ad-detta alla disciplina era un tipo con uno stile tutto suo, con un atteggiamento militare ed il cui figlio sembrava il ritratto perfetto del ragazzo pieno di pro-blemi comportamentali (ha perfettamente senso, non credete?). indicando il pezzo di carta sul quale stavo scrivendo mi domandò, con un tono arrogante: “cosa stai facendo?”

“Mi sto scrivendo una lettera per l’ammissione tardiva” replicai con molta naturalezza.

“Devi seguirmi dal preside, per aver falsificato la firma di tua madre.” “no. la falsificazione si ha solo a seguito di mancata conoscenza o man-

cato consenso, ed io li ho entrambi.” risposte del genere non facevano certo piacere ai miei insegnanti. “come

ti chiami?” mi chiese. “eric pearl.” Mi alzai, raccolsi tutte le mie cose e guardai quell’uomo di-

ritto negli occhi. “p e a r l.” poi mi voltai ed entrai in classe. tra questi eventi, e queste lezioni, procedeva la mia vita. Mio padre, assie-

me a suo padre e suo fratello, produceva distributori automatici. Faceva anche servizio volontario di polizia. la mamma rimaneva a casa e si prendeva cura di noi tre figli. Faceva anche qualche lavoretto part-time come modella in

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qualche sfilata. Mio padre usciva di casa alle sette di mattina, quando mia madre cominciava a spingere le nostre colazioni giù per le nostre gole, come fa ogni mamma uccello con i suoi piccoli. non era possibile uscire di casa fin dopo aver consumato un’ottima colazione ed essersi fatti riempire il cestino della merenda, “con tutti e quattro i gruppi di cibo” (a quel tempo era ancora un paradigma al quale i genitori ci sottoponevano). a tredici anni ebbi il mio “bar-mitzvah”. a volte, di domenica, andavo a messa con gli amici.

l’asilo, le elementari, la scuola media, la scuola superiore, nuovi amici, compiti, balli studenteschi, la patente, l’esame di ammissione all’università e finalmente la laurea...

Verso altri lidi

scoprii ben presto che il diploma delle superiori non significava per niente

“libertà”. i miei genitori erano determinati a tenermi vicino a loro. Ma, come al solito, i miei piani erano diversi. perché rimanere in new Jersey? Volevo fare l’università in california. neanche avessi detto “al polo nord”.

“È troppo lontano” insistettero i miei. le discussioni, inizialmente ragio-nevoli, salirono piano piano di intensità, fino a diventare delle vere e proprie litigate.

alla fine fu raggiunto un compromesso: potevo frequentare il college a Mia-mi in Florida. i miei genitori pensavano che fosse una cosa ragionevole. non solo Miami era due volte più vicina della california, ma mio nonno paterno, Zeida, quello che mi aveva regalato la scatola piena di orologi, si era trasferito lì dopo la morte di Bubba. l’idea era quella che Zeida avrebbe potuto tenere d’occhio il figliol prodigo. ero, dopo tutto, il primo figlio del suo primo figlio.

Fu così che i miei genitori mi persero per un intero anno. entrai all’università a Miami. i miei genitori mi avevano sempre detto che potevo essere qualsiasi cosa

avessi voluto, se solo avessi diretto i miei pensieri in quella direzione. Questo era un concetto estremamente potenziante con il quale sono cresciuto, ma per me la mancanza di una bussola interiore divenne sempre più un problema con il passare degli anni, e soprattutto quando venne il momento di pensare ad una carriera. Sii qualsiasi cosa e fai qualsiasi cosa erano parole che non mi dava-no la benché minima direzione. il problema di fondo era che niente mi inte-ressava, e quindi non c’era niente su cui dirigere i miei pensieri.

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Mi dedicai totalmente ed immediatamente... ad un piano di studi comple-tamente incoerente. nel corso dello stesso anno considerai almeno tre diverse lauree: psicologia, legge, danza moderna. non avevo la benché minima idea di ciò che volessi fare. e, come sempre, niente riusciva a catturare il mio in-teresse per lungo tempo.

Zeida pensò che vivendo da solo a Miami mi stessi evolvendo come per-sona e voleva che questo processo continuasse. senza chiedere niente ai miei genitori, aprì la porta alla possibilità di farmi passare il secondo anno di corso nell’area del Mediterraneo. la prospettiva era estremamente interessante. Mentre fluttuavano nella mia testa le visioni di roma e di atene, Zeida mi definì il suo “mediterraneo”: Israele. sempre un passo avanti, Zeida mi diede una brochure per un anno di studi a gerusalemme, al fine di seguire un pro-gramma per studenti americani. si offrì poi di finanziare la cosa. come pote-vano i miei genitori dire di no?

molto più della terra che stilla latte e miele

la maggior parte degli studenti che si recavano in israele lo facevano

aspettando di vedere Dio discendere dal cielo, e latte e miele scorrere come fiumi nelle strade. rimanevano tutti delusi. comunque, ci andai pensando di rimanere fuori dagli stati uniti poco più di un anno, quindi senza aspettative non realistiche. Finii per innamorarmi di tutto. Fu, fino a quel momento, il più bell’anno della mia vita. ancora oggi mi capita di svegliarmi dopo aver so-gnato e pensato di essere ancora lì, tra i templi antichi e i panorami mozzafia-to del Monte sinai.

Quando ritornai negli stati uniti, ripresi la vita di sempre. tutto ciò che avevo trovato in terra santa non mi aveva svelato il mio vero obiettivo, o se lo aveva fatto, non me ne ero accorto. adesso quel dilemma si proponeva di nuovo: scegliere una facoltà.

un’idea mi era passata nella mente l’anno prima del mio viaggio. in quell’anno avevo avuto un’esperienza con il rolfing, un tipo di massaggio dei tessuti profondi per liberare la muscolatura corporea. alcuni miei amici ave-vano completato tutte e dieci le sedute previste dal metodo, ed avevo visto con i miei occhi i cambiamenti ed i benefici apportati da questo ciclo di cure. le loro fotografie prima e dopo la cura erano tutto ciò di cui avevo bisogno per decidere di essere “rolfizzato”.

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le sedute finirono per cambiare l’idea che avevo di me stesso e sembrava-no avermi preparato ad un modo più aperto di vedere il mondo. strutturato sul concetto base di un ciclo di feedback mente/corpo, la teoria dietro il metodo rolfing è che, nel liberare i vari muscoli, viene liberato anche il dolore emo-tivo, vecchio e nuovo, in essi contenuto. spesso, nel corso di queste sedute, si vivono esperienze passate, mentre la sensazione fastidiosa abbandona la per-sona. il risultato è che spesso la dimensione fisica e quella emotiva ne escono trasformate. Questa nuova esistenza, libera da molti dei vecchi dolori, dà la possibilità di muoversi, stare in piedi e supportarsi diversamente. Quando ci si supporta diversamente, cioè quando si occupa uno spazio fisico diverso, viene occupato anche un differente spazio emotivo.

colpito sia dal concetto che dai risultati, pensai di diventare anch’io un operatore di rolfing. Ma i miei genitori pensarono che il rolfing avrebbe potuto passare di moda, rivelarsi una bufala e lasciarmi professionalmente a terra. Forse, mi suggerirono, avrei dovuto considerare un campo della salute con maggiori garanzie: la chiropratica. se non altro, mi avrebbe dato un di-ploma riconosciuto.

D’accordo con loro, andai a Brooklyn a parlare con un chiropratico, che mi fu presentato da un amico di famiglia. il dottore mi spiegò la filosofia di base che sta dietro all’arte e alla scienza della chiropratica. Mi spiegò che esiste un’intelligenza universale che mantiene l’organizzazione e l’equilibrio dell’universo stesso e che esiste un’estensione di quell’intelligenza, detta in-telligenza innata, in ognuno di noi, che ci tiene vivi, in salute ed in equilibrio. Questa intelligenza innata, o forza vitale, comunica con la parte restante del nostro essere fisico, in larga parte attraverso il nostro cervello, il midollo spi-nale e tutto il nostro sistema nervoso, cioè il sistema di controllo del corpo. Fino a quando la comunicazione tra il nostro cervello e il nostro corpo è aper-ta e scorre libera, restiamo nel migliore stato di salute possibile.

Quando una delle vertebre si muove o cambia posizione, il risultato può essere una pressione sui nostri nervi, che inibisce o sopprime la comunicazio-ne tra la parte controllata da questi nervi specifici e il nostro cervello. il risul-tato di questa interferenza è che le nostre cellule possono cominciare a di-struggersi e la nostra resistenza ad indebolirsi, producendo così il dis-agio, ciò che precede la malattia. Quello che fa un chiropratico è rimuovere l’interfe-renza causata da questi disallineamenti (chiamati sublussazioni) della colonna vertebrale, e ciò permetterà alla nostra forza vitale di riprendere il suo norma-le corso, riportandoci così ad uno stato di salute ottimale. in altre parole, è un

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processo di guarigione attraverso la rimozione della causa. non tratta il sinto-mo, né cerca di nasconderlo.

Quando mi resi conto improvvisamente che il mal di testa delle persone non era la conseguenza di una mancanza congenita di aspirina nel sangue, come la pubblicità in televisione ci ha fatto credere, e che potevo fare qualco-sa per aiutare gli altri, decisi che sarei diventato un chiropratico. non smette-vo di pensare all’enormità di questo passo e al ruolo che tutto questo avrebbe avuto nella mia vita. Quello della sincronicità non era un concetto presente a livello conscio.

all’improvviso, qualcosa fece click. Fui assalito dai ricordi d'infanzia del-le mie fantasie - o si trattava forse di visioni? – in cui io aiutavo le persone come l’oracolo di Delfi. Forse questo era per me la strada per fare qualcosa di simile. sicuramente, qualcosa detto dal dottore, aveva colpito nel segno. Qual-cosa che sembrava perfetto e mi bastava. stavo per fare il primo passo in una nuova direzione, un passo che mi avrebbe portato più vicino al mio destino.

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Capitolo 4

Un nuovo sentiero di scoperta

“certo che sei sensitivo: semplicemente, non te ne rendi conto.” la mia amica Debbie luican

di nUoVo a scUola

Il chiropratico di Brooklyn con il quale avevo parlato mi aveva racco-mandato il cleveland chiropratic college di los angeles. Feci do-manda e mi accettarono. capitò quindi che i miei genitori perdessero un figlio e che lo perdessero contro la california, dove ero sempre vo-luto andare. D’altro canto, guadagnarono un dottore, quindi penso che

le cose si compensassero. Mi ricorderò sempre il mio primo giorno al college di chiropratica. la

classe del primo anno era grande, più di ottanta studenti. Dovettero abbattere un muro per poterci sistemare tutti in una sola aula. l’istruttore chiese ad ognuno di noi di dire quali fossero i motivi che ci spingevano a voler diven-tare chiropratico. cominciò con gli studenti seduti a sinistra in prima fila che, ovviamente, erano quelli più lontani da me, dato che mi trovavo nell’angolo destro della stanza. Da quel punto, i racconti attraversarono le file di studenti. sedetti ascoltando, storia dopo storia, quello studente che era rimasto paraliz-zato fino a quando fu visitato da un chiropratico; il cancro di un altro era scomparso; un altro ancora aveva recuperato la vista; c’era qualcuno a cui era scomparsa un’emicrania che lo aveva accompagnato per tutta una vita e mol-to altro; una litania infinita di guarigioni permanenti, ben al di là di quanto un

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qualsiasi non-chiropratico avesse mai sentito. soprattutto io. Zeida chiamava i chiropratici “scrocchiaschiena”.

arrivò finalmente il mio turno. ottantatré teste si girarono per sentire la mia storia, l’ultima della giornata. la mia doveva veramente essere il punto più alto ed epico che avrebbe lanciato gli altri studenti fuori dalla stanza verso i nuovi loro brillanti percorsi di vita? penso proprio di no. ero l’unico nell’au-la a non essere mai stato da un chiropratico. per quel motivo, ancora non sa-pevo esattamente cosa fosse un chiropratico. Mi ricordavo appena dei brani della conversazione di venti minuti avuta con quel medico, circa la rimozione delle interferenze che permette al corpo di guarire se stesso. Quella premessa aveva un senso così totale per me quando mi fu spiegata, che non mi sarei neanche preoccupato di testarla o di parlarne ad altri. Mi alzai, guardai la folla di studenti e mi ascoltai mentre dicevo: “Bene... mi sembrava un’ottima cosa.”

le cose arriVano QUando meno te lo aspetti eccomi di nuovo a scuola, ma questa volta era un po’ diverso. per prima

cosa, questa era una scuola ed un corso di studi che avevo scelto. era una differenza abissale.

non essendo un topo da biblioteca, mi piaceva socializzare, andare alle feste ed esplorare la mia nuova città. trovai un lavoro part-time in un negozio di calzature perché, nonostante i miei genitori mi mandassero il denaro neces-sario agli studi, volevo guadagnare qualche dollaro in più per fare le cose che io volevo fare. un giorno, un ricercatore di un laboratorio di sismologia entrò in negozio per comprare delle scarpe. Durante l’acquisto disse che, al labora-torio, prevedevano un terremoto nella parte sud della california entro le pros-sime ventiquattro ore.

“lo hai raccontato a qualche altro commesso?” gli chiesi. “no.” “Bene. allora non farlo.” sorrisi. sorrise anche lui; capì, pagò e se ne andò. pochi minuti dopo che se ne era andato, feci finta di avere una premonizio-

ne e dissi ai miei colleghi che avevo la sensazione che ci sarebbe stato un terremoto nei prossimi tre giorni.

come “avevo previsto” ci fu il terremoto. tutti lo avevano sentito, era uscito anche sul giornale. i miei colleghi rimasero profondamente impressionati.

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Qualche giorno più tardi, e senza l’intervento del sismologo, ebbi la sensa-zione che ci sarebbe stato un altro terremoto. Mi feci coraggio, rischiai e lo dissi a tutti.

che ci crediate o no, ci fu un altro terremoto. era come se qualcosa si fosse innescato dentro di me. nel corso dei tre

anni successivi riuscii a prevedere con successo ventuno terremoti su venti-quattro.

un pomeriggio, il mio compagno di stanza tornò a casa e trovò un messag-gio che gli avevo lasciato: la terra tremerà. Mi disse che il terremoto era ini-ziato nell’istante esatto nel quale aveva letto il messaggio. la sua ragazza era rimasta tutto il tempo accanto a lui... ad urlare.

un altro giorno, mangiavo da solo in un ristorante e percepii l’inizio di un’altra scossa, uno di quei terremoti che provocano un movimento “rotato-rio”. Mentre cresceva d’intensità, mi guardai intorno. nessuno reagiva. l’ac-qua non si stava muovendo in nessun bicchiere e le lampadine erano perfetta-mente diritte. eppure in quello stesso momento io vedevo le lampade muoversi. era tutto reale. Per me. Mi alzai e corsi in strada senza riuscire a capire perché nessun altro stesse scappando, perché tutto intorno a me andas-se avanti nella tranquilla monotonia di Mayberry.

Mi sembrava impossibile. la terra tremava ancora: la sentivo. era il terre-moto più lungo che mi fosse mai capitato; allo stesso momento, la combina-zione di questo movimento surreale e il fatto che nessun altro sembrava ac-corgersene mi portò a concludere che non stava accadendo veramente. rientrai nel ristorante. ero contento di mangiare da solo; aver dovuto spiegare la mia fuga improvvisa avrebbe potuto essere... leggermente difficile.

Ma se non si trattava di un vero terremoto, allora doveva essere un’altra premonizione. non c’era altra spiegazione.

Mentre tornavo a casa, passai in tintoria a ritirare i vestiti e dissi alla pro-prietaria del negozio che quella notte la terra avrebbe tremato. risero tutti.

più tardi, nel corso della stessa giornata, il terremoto arrivò. l’epicentro fu localizzato a culver city, esattamente dove vivevano i proprietari di quel negozio.

Qualche settimana più tardi, dopo aver riempito sei federe di cuscino con panni sporchi, tornai alla lavanderia. con la vista ostacolata dalle pile di pan-ni sporchi, tastai con i piedi in cerca della porta. aprii lentamente e procedet-ti a tentoni in cerca del banco. improvvisamente, una voce si levò così alta che rischiai di buttare tutti i miei panni in aria.

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“È lui! È lui!” gridò la donna dietro il banco, con il tipico accento dell’ebreo russo. “ecco il mio indirizzo” mi disse mostrandomi un foglio di carta scritto di suo pugno. “Voglio che mi telefoni prima che arrivi il prossimo!”.

Da quel momento, ogni volta che entravo in quel negozio, mi veniva chie-sto di predire il prossimo terremoto. ci provavo, ma non sembrava funziona-re in quel modo. era una cosa che non potevo forzare; le premonizioni le avevo soltanto quando ero impegnato a fare qualcos’altro.

senza rendermene conto, avevo imparato una profonda verità: le cose ar-rivano quando meno te le aspetti.

resUrrezione

Di tanto in tanto riuscivo a raggranellare, dal mio budget di studente, ab-

bastanza denaro per vedere un film al cinema vicino al mio appartamento. un pomeriggio arrivai proprio in tempo per vedere Resurrection, un B-movie con ellen Burstyn. ovviamente si trattava di una seconda visione dal momento che ellen Burstyn era candidata all’oscar come migliore attrice protagonista proprio per quel ruolo.

Resurrection si basa sulla storia vera di una donna di nome edna Mae che, dopo un incidente in automobile, moriva in sala operatoria... per poi fare ri-torno alla vita. Qualche tempo più tardi scoprì di avere il potere di guarire le persone, una specie di “imposizione delle mani”. per il solo fatto di toccare le persone, entrando simultaneamente in uno stato di amore profondo, era in grado di guarire la gente. a volte l’infermità o la malattia passavano a lei do-po averle rimosse da un’altra persona; a quel punto i sintomi uscivano anche dal suo corpo. altre volte la guarigione sembrava avvenire per grazia divina, senza che lei dovesse fare alcunché.

Questo film mi affascinò così tanto da vederlo più volte. portai anche i miei amici a vederlo. non avevo idea del perché questo film mi attraesse così tanto. a quel tempo, aldilà che l’aspetto di guarigione trattato in quel film fosse inte-ressante, ciò che veramente mi catturava era la similarità tra la situazione di quasi-morte della protagonista e ciò che mia madre aveva passato quando ero nato. non avevo visto né letto niente su questo argomento, e questo film descri-veva in modo estremamente accurato la stessa esperienza avuta da mia madre. ogni volta che lo guardavo, era come se assistessi a qualcosa di estremamente familiare. era come se riuscissi a vedere o ricordare qualcosa. Qualcosa...

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altri indizi Durante la mia esplorazione, scoprii anche quella che viene chiamata “psi-

cometria”, l’abilità o l’arte di raccogliere informazioni sulle persone toccando o tenendo in mano un oggetto di loro proprietà, generalmente un gioiello da loro indossato. Dopo aver visto alcune persone praticarla, provai ad effettuar-la e scoprii che mi apriva al ricevimento di informazioni estremamente accu-rate sulle persone, alcune delle quali non avevo mai incontrato. Durante que-sta mia breve sortita in questo processo, scoprii due “segreti”: quanto più facevo muovere le mie dita sul gioiello che tenevo in mano, tanto più concen-trato e focalizzato diventavo. Quanto più veloce parlavo, tanto più accurate erano le informazioni. l’esplorazione persistente dell’oggetto che tenevo tra le dita sembrava mettere a tacere la mia mente, nello stesso modo con il qua-le, per molti di noi, le nostre menti si rilassano quando guidiamo. il parlare più svelto apparentemente non mi dava tempo di anticipare le mie mosse. le in-tuizioni arrivavano grazie all’immobilità della mia mente. attraverso la rapi-dità del mio eloquio veniva il coraggio di dargli voce.

ho menzionato questi punti non soltanto perché mi apparivano strani, quanto per il fatto che suggerivano un’influenza da parte di “altri” nella mia vita, a partire dagli anni dell’infanzia.

a parte questi eventi di per sé abbastanza coloriti, la mia attività principale in questo periodo era quella di frequentare le lezioni e studiare, cosa alla qua-le non avrebbero mai creduto i miei insegnanti di scuola primaria e seconda-ria. la mia versione di “frequentare le lezioni” consisteva spesso nel sedere nelle ultime file ed alzare il braccio per rispondere all’appello. ciò nonostan-te, come all’inizio della mia carriera scolastica, riuscivo a prendere degli otti-mi voti... e finalmente mi laureai in chiropratica.

avevo provato indirettamente che quel vecchio direttore aveva ragione. avevo trovato qualcosa che mi interessava e ne avrei fatta la mia principale ragione di vita.

febbre, frenesia e Visitatori

un giorno, nel lontano 1983, poco dopo essermi laureato, mi resi conto di

non sentirmi troppo bene: avevo dei dolori, un leggero mal di testa e qualche linea di febbre. l’idea di prendere l’aspirina per abbassare la febbre non è che

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mi attirasse molto, dal momento che sapevo che la febbre aveva un suo perché e volevo che facesse il suo corso. andai a letto, mi misi bene sotto le coperte, bevvi molta acqua e vidi la tV (senza sensi di colpa: la parte migliore dell’es-sere a casa e a letto malati). Dopo pochi giorni decisi che, per farmi passare la febbre, era arrivato il momento di fare qualcosa di più attivo. Quindi ogni notte ammassavo le coperte una sopra l’altra, sudavo, cambiavo lenzuola e pigiama almeno due volte al giorno.

ogni mattina mi svegliavo e non stavo meglio della sera precedente. Final-mente, mi arresi e chiamai un medico. Mi prescrisse del tylenol con della codeina. Doveva essere qualcosa di speciale, qualcosa di veramente pazzesco perché pensavo realmente che ci volesse un camion intero di codeina per mandarmi lungo e disteso durante una maratona di Lucy, il noto telefilm. Do-po aver assunto quelle pillole, i ricordi che ho del resto della giornata sono molto vaghi, come se avessi i capelli rossi ed un accento cubano.

la temperatura si alzò: quaranta, quarantuno. Finalmente, dopo un’altra notte passata a cambiare lenzuola e pigiama (ero sicuro che se avessi conti-nuato così la febbre sarebbe sparita), aprii gli occhi e per un solo momento vidi che avevo “compagnia”. lì, ai piedi del mio letto, si era radunato un gruppo di “persone”. Mi sembrava fossero sette, differenti per statura e per fattezze: alcuni erano alti, alcuni bassi ed altri sembravano dei piccoli nani. rimasero lì il tempo necessario perché io li vedessi, e perché loro si rendes-sero conto che io li avevo visti.

Dopodiché scomparvero. prima che la mia mente fosse in grado di processare a livello conscio cosa era

appena successo, respirai. Quel respiro sembrava simile a quello di un neonato, nel senso che sembrava fosse il mio vero primo respiro della giornata, come se, dal momento in cui avevo aperto gli occhi fino a quello in cui i miei “visitatori” se ne erano andati, non avessi respirato. non appena cominciai ad inalare, udii un tintinnio nel torace. capii subito di cosa si trattava: stavo morendo.

chiamai il mio medico e gli dissi che stavo andando da lui, poi chiamai un taxi chiedendo che mi venisse inviata una macchina con aria condizionata perché eravamo in estate e, con la febbre che avevo, bastava il mio di calore.

stavo in piedi a malapena, ma riuscii ad arrivare alla porta e ad uscire in strada. il taxi arrivò... ovviamente non c’era aria condizionata. Montai comun-que, in preda al delirio.

nel suo studio il dottore mi fece delle lastre ai polmoni e mi disse di andare direttamente all’ospedale. Mi disse anche di non fare nessuna fermata interme-

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dia. sembrava che avessi la polmonite. sospettando che in ospedale mi atten-desse qualcosa di più di una semplice visita, saltai su un taxi, andai a casa e presi un pigiama, lo spazzolino da denti e tutto quello che mi era necessario.

all’epoca non avevo una copertura sanitaria, quindi dovetti aspettare un po’ prima di essere ammesso in corsia. la mattina seguente mi portarono in una stanza dove rimasi per dieci giorni completamente intubato e rifocillato con un cibo dello stesso tipo di quelli serviti ai clienti delle compagnie aeree low-cost. Quando mi dimisero, il mio peso era sceso a sessantatre chili (con-siderate che sono alto un metro e ottanta). Qualche tempo dopo, il mio medi-co mi disse che aveva pensato che non ce l’avrei fatta.

non ricordo molto del tempo passato in ospedale, ma so di aver perso gran parte della memoria a breve termine, probabilmente come diretta conseguen-za della febbre così alta.

(per quanto concerne i cervelli surriscaldati, avete mai notato quanto simi-li siano le parole traspirazione [perspiration in inglese, N.d.T.] e apparizione [apparition in inglese, N.d.T.]? entrambe hanno due p e due i, cinque vocali, quattro sillabe... e una può produrre l’altra). Chi erano quelle persone che avevo visto ai piedi del mio letto a casa? erano forse delle guide? Degli spi-riti? Degli angeli custodi? erano forse un gruppo di osservatori inter-dimen-sionali? o, più semplicemente, allucinazioni generate dalla mia febbre? in altre parole, un’illusione? oppure erano qualcosa che realmente esisteva ma che soltanto la mia mente mi consentiva di vedere, ossia delle creature che vivono su un piano entro una delle undici dimensioni dell’esistenza secondo i principi odierni del pensiero quantistico?

non so. Ma di una cosa sono sicuro: se non avessi visto quelle persone il giorno in cui il mio torace si mise a tintinnare, avrei senz’altro continuato a bere del succo e a raggomitolarmi nelle coperte, e quasi certamente sarei morto.

era comunque qualcosa che ancora non ero pronto a fare. avevo altri piani. e forse qualcosa o qualcuno aveva dei piani per me.

resUrrezione - di nUoVo come parte normale del percorso professionale da me scelto, diventai un

“esterno”. in effetti, un “tirocinante” presso uno studio chiropratico abilitato. nonostante sotto tanti punti di vista fosse qualcosa di gratificante, questa fase della mia nuova carriera di chiropratico non è esattamente ciò che può

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essere definita un’attività lucrativa. come tutti, pensavo che i medici sapesse-ro come far funzionare uno studio. Mi sbagliavo. nella pratica, c’erano molte cose che non sapevo. le relazioni con i pazienti rappresentavano il problema principale. il nostro accordo era che io avrei dato loro il 50% dei miei guada-gni. poiché trattavano i loro pazienti meno che gentilmente, diciamo così, non doveva costituire alcuna sorpresa il fatto che trattassero i miei ancora peggio, e considerato il modo in cui venivano trattati, molti dei miei pazienti non tor-navano più.

con una base di guadagno data solo dal 50% delle entrate e una base poco solida di pazienti, riuscivo a malapena a pagare l’affitto dell’appartamento e dello studio. Quanto più lavoravo, come esterno, tanti più soldi dovevo. Quanti più soldi dovevo, quanto meno potevo permettermi di andarmene, fino a quan-do, dopo tre anni, fui costretto o ad andarmene o a porre fine alla mia carriera.

Me ne andai. Quell’esperienza mi diede comunque qualche piccolo beneficio, anche se

marginale. uno dei pazienti sembrava essere inestricabilmente legato al film Resurrection che, come vi ho detto in precedenza, era uno dei miei preferiti. un’altra paziente era un membro della academy of Motion picture arts and sciences, e mi portò alla cerimonia degli oscar. ero lì, in quel teatro a guardare la cerimonia. Voltandomi, vidi ellen Burstyn, una candidata inizialmente sedu-ta nelle prime file, sedersi esattamente accanto a me. Strano pensai. non mi sembrava che all’inizio della serata quel posto fosse libero.

Dopo un po’, si alzò e se ne andò. non l’ho più vista di persona, e neanche più penso a quel quasi-incontro o a tutti quegli strani eventi che hanno segna-to la mia vita: quegli “esseri” ai piedi del mio letto, le previsioni dei terremo-ti, la psicometria, gli orologi che “si accomodavano” da soli...

perlomeno non ci pensai molto fino a tredici anni dopo, quando comincia-rono le guarigioni.

il fantasma di melrose place

in qualità di ex-esterno, senza molto tempo e denaro, presi la prima cosa

che mi potevo permettere: una stanza in un appartamento a Melrose place, che dividevo con due psicologi. Melrose place, con tutti i suoi tre isolati, era con-siderato da molte persone una delle strade più interessanti di tutta los ange-les, ma ovviamente le persone che l’avevano definita tale non avevano mai

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visto il mio nuovo studio. trascinare i pazienti lungo una tortuosa rampa di scale non era l’unico problema che avevo. come tutti sanno, l’unico modo per muoversi a los angeles è usare la macchina, e il parcheggio a Melrose place era una sorta di miraggio, cosa che mi spinse a stringere un accordo con i proprietari del negozio di antiquariato in quell’isolato. Questo fu il motivo per il quale molti dei miei pazienti-arrampicatori sociali andavano in giro a van-tarsi che il loro chiropratico aveva un parcheggiatore privato.

tutto ciò avvenne col tempo. all’inizio il mio più grande problema era quello di trovare il modo di trasformare una sola stanza in uno studio da chi-ropratico. usando tutta una serie di accorgimenti, riuscii a progettare tre stan-ze da quella camera, trasformando “la sala colazione” nella reception e lette-ralmente a infilare una scrivania ed una segretaria nella cucina più piccola che possiate immaginare. assunsi poi degli appaltatori per fare il lavoro.

tutti coloro che hanno avuto a che fare con una ristrutturazione, sanno bene che il lavoro può andare avanti per un tempo indefinito e superare di gran lunga il budget iniziale. per farla breve rimasi senza soldi e la banca non mi poteva più concedere un prestito.

ogni mattina arrivavo al mio studio completato per metà, ricevevo pazienti e facevo un altro paio di cose: chiamavo la banca nel tentativo di farmi prestare più denaro e stringevo le viti del mio nuovo sistema di illuminazione. a venti-sette dollari a lampada, l’idea di avere delle luci incassate era sfumata, assieme al preventivo iniziale e alla data di fine lavori prevista dagli appaltatori.

per qualche motivo, ogni mattina le viti delle lampade si svitavano per tre quarti. Mi trovavo all’angolo di una strada molto trafficata; quindi era possi-bile che le vibrazioni del traffico potessero essere la ragione di tutto ciò. ecco perché ogni mattina riavvitavo le lampade. era un ciclo: la banca stringeva la morsa su di me e io riavvitavo i miei sistemi di illuminazione.

una sera, dopo che il mio “staff” se ne era andato a casa (una donna che passava così tanto tempo a limarsi le unghie che non ho mai capito come mai non ci fossero tracce di sangue su tutto ciò che toccava), rimasi da solo a la-vorare con un paziente. un leggero movimento attirò la mia curiosità e vidi un uomo entrare nella stanza della caldaia. sapevo che la porta era chiusa e che quindi nessuno sarebbe potuto entrare. rimane il fatto che vidi quell’uo-mo chiaramente: era alto circa un metro e settantacinque, aveva una faccia rotonda e capelli molto corti. aveva un vestito grigio e sembrava che avesse più o meno trent’anni.

sapevo, senza ombra di dubbio, che si trattava di un fantasma.

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la mattina seguente quando raccontai il fatto agli psicologi che dividevano l’appartamento con me, rimasi sorpreso che entrambi fossero già al corrente di questo visitatore. non me ne avevano parlato perché avevano bisogno di una terza persona per pagare l‘affitto ed avevano paura che la prospettiva di un fantasma mi avrebbe spaventato.

la realtà era che del fantasma non mi importava più di tanto, mentre a lui io sembravo dare fastidio. “troppo scalpitio” disse un medium che pensava di poter convincere il fantasma ad andarsene. “non gli dà fastidio una persona all’ora, ma tu stai portando troppi sconosciuti nella sua casa.”

Vidi questa persona mentre entrava nell’appartamento (il mio studio), tro-vare il luogo dove pensava che il fantasma passasse la maggior parte del suo tempo e molto educatamente dire al fantasma che era morto, dopodiché gli disse di “andare nella luce” o qualcosa del genere. ci vollero più o meno tren-ta secondi.

accadde una domenica, di notte. la mattina seguente entrai e diedi un’occhia-ta alle luci. erano perfettamente avvitate, e così rimasero per cinque anni, fin quando non le spostai perché dovevo ampliare le dimensioni del mio studio.

a qual punto squillò il telefono. era la banca. il mio prestito era stato ap-provato.

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Capitolo 5

Aprire nuove porte, accendere la luce“Tutto ciò che sta davanti e dietro a noi è poca cosa rispetto a ciò che sta dentro di noi.”

ralph Waldo emerson

la zingara ebrea di Venice beach

Dopo dodici anni avevo acquisito più della metà del secondo piano dell’edificio di Melrose place. le cose andavano a gon-fie vele. lo studio aveva otto stanze per i trattamenti ed era tenuto vivo da assistenti, terapeuti del massaggio, riflessologi plantari, parcheggiatori e quanti più pazienti potessi riuscire a

gestirmi. Da un punto di vista emotivo, però, tiravo soltanto avanti.avevo appena terminato una relazione di sei anni che mi aspettavo sarebbe

durata per tutta la vita. in qualche modo riuscii a tirare avanti nei giorni imme-diatamente seguenti, quasi incapace di mettere un piede davanti all’altro. l’uni-ca cosa più difficile dello svegliarsi al mattino e recarmi in studio era riuscire a mantenere la concentrazione per i miei pazienti quando mi trovavo lì.

come se non bastasse ciò che mi stava succedendo a livello personale, nello stesso momento dovevo occuparmi di rinnovare completamente il mio staff. la donna che lo aveva gestito fino a quel momento si trasferì dall’altra parte dello stato assieme al suo fidanzato. il momento della sua partenza coin-cise con un altro paio di partenze già precedentemente concordate. occorsero due persone per sostituire il precedente manager: una per gestire il lavoro

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dietro le quinte, come ad esempio il pagamento delle assicurazioni, i report medici e la corrispondenza; l’altra per gestire le relazioni con i pazienti ed il flusso dello studio. Questa posizione era chiamata front desk.

come in uno show di Broadway (anche se in questo caso sarebbe meglio dire una soap opera) il lavoro doveva proseguire e quindi iniziai a selezionare persone per la posizione di front desk. Mi è sempre piaciuta in un receptioni-st la “personalità”, poiché un carattere socievole crea un legame con i pazien-ti, ed un carattere forte mi impedisce di annoiarmi.

non avevo mai fatto un gran lavoro nell’assumere persone, ed un amico che invece lo faceva per lavoro mi aiutò in tutto questo. un altro paio di per-sone assistevano al processo di selezione. Mentre si susseguivano i candidati, su tutte le altre, la figura di una donna catturò la mia attenzione, e anche quel-la di tutti gli altri. che ci crediate o no, assomigliava, parlava e si comportava come il personaggio recitato da Fran Drescher nel telefilm La tata: alta, con capelli scuri e attraente, con un comportamento frivolo ed un accento acuto e nasale tipicamente newyorkese, oltre ad una voce che avrebbe potuto manda-re un diamante in mille pezzi. era una ex aspirante attrice (come se esistesse una cosa del genere).

tutti mi dicevano: “non assumerla, non assumere quella donna”. Ma io la volevo. più di ogni altra cosa, mi ricordava Bubba, e d’altro canto non crede-vo che una persona simile potesse esistere. provai anche a non assumerla, ad ascoltare il parere di gente più esperta che era venuta a darmi una mano, ma questa figura mi affascinava troppo. usare la logica non serviva a niente.

si rivelò una relazione di amore/odio. io l’adoravo, i pazienti la detestavano.un giorno mi disse che, dato tutto lo stress che avevo accumulato, una

giornata al mare mi avrebbe fatto bene. tutto ciò significava, ovviamente, che lei voleva andare al mare senza spendere una lira di benzina, ma che cavolo! in fondo l’idea non era niente male. Quello stesso sabato ce ne andammo a Venice Beach. per un po’ ci rilassammo sulla spiaggia, poi lei si alzò e andò a farsi un giro. non appena tornò mi disse: “c’è una donna che legge le carte. hai proprio bisogno di fartele leggere.”

non che avessi niente contro il farmi leggere le carte, è solo che avrei pre-ferito andare da qualcuno che avesse delle credenziali migliori.

“non mi va di farmi leggere le carte da una che se ne sta sulla spiaggia”, le risposi.

Se una cartomante fosse davvero così brava, le persone andrebbero da lei, pensai. Non si porterebbe certo un tavolino, delle sedie e tutti gli altri ferri

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del mestiere sul marciapiede di una spiaggia affollata, nel tentativo di ferma-re qualcuno ed effettuare una lettura.

Ma la mia receptionist insistette tantissimo, con le tipiche modalità della tata del telefilm. Mi bastò guardarla negli occhi per capire che le proteste non sarebbero servite a nulla. poi mi confessò di aver incontrato questa donna ad una festa e di averle detto che quel giorno sarebbe andata alla spiaggia. “Mi imbarazzerebbe molto se non ti facessi leggere le carte”, disse, aggrottando la fronte. “Per favoooore.”

ormai sconfitto seguii la tata sulla spiaggia infuocata per vedere questa donna. era seduta dietro un tavolo con le carte disposte nel tipico stile zinga-resco. Dopo le dovute presentazioni mi disse: “cocchino, abbiamo letture da dieci e venti dollari.”

Cocchino? Davvero una zingara ebrea poteva parlare così?Mi ero portato dietro più o meno venti dollari e pensando a quanta fame

avevo dissi: “Vada per quella da dieci.”in cambio del mio denaro ricevetti una lettura decente, ma non memorabi-

le del mio presente. alla fine, quasi di sfuggita la donna disse: “Faccio qual-cosa di veramente speciale che rimette in connessione i meridiani del tuo corpo con la griglia che si forma tra i pianeti e che ci mette in contatto con le stelle e gli altri corpi celesti.” Mi disse anche che come guaritore era qualcosa di cui avevo bisogno. Mi disse anche che avrei potuto documentarmi su un libro dal titolo Il libro della conoscenza: le chiavi di Enoch di J. J. hurtak. la cosa sembrava interessante, quindi le chiesi: “Quanto?”. lei disse: “trecen-totrentatre dollari.” “no grazie” fu la mia risposta.

sono le cose delle quali parlano al telegiornale. Mi sembrava già di sentire la notizia: “Zingara ebrea a Venice Beach truffa un ingenuo chiropratico per trecentotrentatre dollari...” l’immagine della mia faccia con su scritto stupido appariva sullo schermo “...convincendo lo stesso a darle un vitalizio di cento-cinquanta dollari al mese per accendere candele in sua protezione.” il solo pensiero di aver preso in considerazione quell’offerta mi umiliò. Fu così che io e la mia receptionist ci alzammo ed andammo ad usare tutto il nostro pote-re creativo per mettere insieme un pranzo decente con soli dieci dollari.

potreste anche pensare che la storia finì qui, ma la mente umana lavora spesso in modo misterioso. non riuscivo a togliermi dalla testa le parole di quella donna. Fu così che mi trovai a passare gli ultimi minuti della pausa pranzo alla libreria Bodhi tree vicino al mio studio, con l’intenzione di dare un’occhiata veloce a Il libro della conoscenza: le chiavi di Enoch (il capitolo

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3.1.7 del quale mi aveva parlato la donna). la lezione più grande di quella giornata fu che, se mai un libro fosse stato concepito per non essere letto ra-pidamente e con facilità, era proprio quello. io comunque lessi tutto il capi-tolo. Questa cosa mi avrebbe perseguitato fin quando non l’avessi affrontata. aprii la scatola dei biscotti e chiamai quella donna.

il lavoro doveva essere fatto in due giorni non consecutivi tra loro. il primo giorno le diedi i soldi, mi stesi su un tavolo a sentire la mia mente farfugliare mentre la donna abbassava le luci e metteva musica in tipico stile new age. È la cosa più stupida che abbia mai fatto, mi dissi. Non riesco nemmeno a credere di aver pagato tanto denaro ad una sconosciuta per farmi tracciare con le mani delle linee lungo tutto il mio corpo. lì disteso pensavo a tutti i modi migliori con i quali avrei potuto spendere quel denaro, quando mi sor-presi a pensare beh, le hai appena dato il denaro, quindi potresti anche dare un taglio ai pensieri negativi ed essere aperto a ricevere tutto ciò che c’è da ricevere. Fu così che mi misi tranquillo e mi aprii. Quando la cosa finì la mia mente mi disse che non era successo niente. Assolutamente niente. io però sembravo essere l’unico in quella stanza a saperlo. la donna mi mise a sede-re come se la terra si fosse mossa, dicendomi di tenermi a lei mentre lenta-mente mi faceva percorrere il suo salotto.

“radicati in terra” mi disse. “torna nel tuo corpo.”e poi la sentii: quella vocina non tanto tranquilla nella mia testa che diceva:

signora, non so cosa lei pensi sia successo, ma qualunque cosa sia, io di si-curo me la sono persa.

avevo pagato per entrambe le sedute, quindi decisi che sarei tornato la domenica seguente per la seconda. Quella notte successe una cosa stranissima. circa un’ora dopo essermi addormentato, la lampada accanto al mio letto, una lampada che avevo da più di dieci anni, si accese improvvisamente e io mi svegliai con la chiara sensazione che ci fossero altre persone in casa. Mi alzai con molto coraggio, un coltello, uno spray al pepe, il mio fedele dobermann e perlustrai l’appartamento. non c’era nessuno. tornai a letto con la sensazione di non essere solo, che qualcuno mi stesse osservando.

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la seduta successiva cominciò più o meno come la precedente, anche se fu subito chiaro che sarebbe stata tutta un’altra cosa. le mie gambe non ne vo-levano sapere di rimanere ferme. avevano quel tipico moto che una volta ogni tanto colpisce le persone nel mezzo della notte. Quella sensazione si impos-sessò presto di tutto il mio corpo, assieme ad un freddo insopportabile. non riuscivo a fare altro che rimanere immobile sul tavolo e per quanto desideras-si balzare in piedi, scendere dal tavolo e togliermi quella sensazione, non osavo muovermi. perché? perché avevo dato a quella donna più soldi di quan-ti non ne spendessi in cibo in una settimana, e volevo vivere la cosa fino in fondo. Ecco perché!

la seduta finalmente finì. era un giorno di agosto di caldo opprimente e nonostante fossimo in un appartamento privo di aria condizionata, stavo qua-si per congelarmi, con i denti che battevano mentre questa donna mi avvolge-va con delle coperte, sotto le quali rimasi per circa cinque minuti, fino a quan-do la temperatura del mio corpo non tornò alla normalità.

adesso ero diverso. non riuscivo a capire cosa fosse successo, né mi era possibile riuscire a spiegarlo; eppure non ero più la persona di quattro giorni prima. in qualche modo riuscii ad arrivare alla macchina, che per fortuna sa-peva la strada di casa.

non ricordo più niente di quella giornata, neanche se ci sia stato un resto della giornata. so soltanto che il giorno seguente mi ritrovai al lavoro.

l’odissea era cominciata.

QUalcosa sta sUccedendo

la mia memoria torna al momento nella quale misi piede nel mio studio. era come se parte del mio cervello fosse stata tolta dal mio cranio il giorno precedente e fosse stata appena rimessa al suo posto.

Ma quella non era l’unica cosa strana. Mi trovai anche ad affrontare una serie di domande: “che ti è successo nel week-end? sei diverso! Parli in mo-do diverso!” certamente non avrei risposto: “Ho pagato una cartomante tre-centotrentatre dollari per tracciare delle righe sul mio corpo con la mano; perché me lo chiedete?”

ad alcune domande è meglio non rispondere.“oh, non è niente” rispondevo con noncuranza, mentre mi domandavo

cosa fosse realmente successo nel fine settimana.

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era sempre stata mia abitudine far stendere i pazienti ad occhi chiusi per circa un minuto dopo i trattamenti. Questo dava loro tempo e modo di rilassarsi e di lasciare che il trattamento “attecchisse”. Quel lunedì sette dei miei pazienti, alcuni dei quali erano miei clienti da dieci anni, mentre altri li vedevo per la prima volta, mi domandarono se mi fossi mosso intorno al tavolo mentre erano distesi. alcuni chiesero se non fosse entrato nessuno nella stanza, perché sem-brava che più persone stessero camminando intorno al tavolo. tre di loro disse-ro che era come se delle persone corressero attorno al tavolo e due mi confida-rono che sembrava che qualcuno stesse volando sopra il tavolo.

Facevo il chiropratico da dodici anni e non avevo mai sentito niente di si-mile. Quello stesso giorno, la stessa cosa mi fu riferita da sette persone. non c’era bisogno che mi cadesse un pianoforte in testa per capire che stava suc-cedendo qualcosa!

i pazienti mi dissero che sapevano dove si trovassero le mie mani ancora prima che io li toccassi. sentivano le mie mani anche quando queste erano trenta centimetri lontane da loro. Diventò una specie di gioco vedere con quanta accuratezza potessero determinarlo. Diventò qualcosa di più di un gioco quando le persone cominciarono a ricevere delle vere e proprie guari-gioni. inizialmente le guarigioni erano meno plateali: dolori, fastidi e cose del genere. Quando i pazienti venivano per trattamenti chiropratici, li aggiustavo e poi dicevo loro di chiudere gli occhi, di rilassarsi e di riaprirli solo quando glielo dicevo. Quando gli occhi erano chiusi, passavo le mani sopra i pazien-ti per qualche secondo. Quando questi si alzavano e si rendevano conto di non avere più dolore mi chiedevano cosa avessi fatto.

“niente, e non dirlo a nessuno!” diventò la risposta-tipo. una risposta tan-to efficace quanto il famoso approccio di nancy reagan contro le droghe: “Just say no”, di’ di no.

cominciarono presto a venire pazienti da ogni dove, in cerca di queste guarigioni. non avevo la benché minima idea di cosa succedesse, e nessuno d’altra parte mi aveva dato il libretto delle istruzioni. tenevo contatti regolari con la donna a Venice Beach; dopo tutto dovevo parlare con qualcuno, perché accadevano cose strane anche in casa e non potevo certo parlare di queste cose ai miei amici “sani di mente”.

“Deve venire da qualcosa che era già dentro di te” disse la donna, per poi aggiungere “forse ha qualcosa a che fare con l’esperienza di quasi-morte di tua madre al momento della tua nascita. È molto strano. non è mai successo niente di simile prima.”

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Quel giorno sulla spiaggia mi aveva consigliato di cominciare ad assumere “essenze di fiori”, intuendo anche specificamente quali essenze. ne aveva intuite sei e mi disse che dovevo mischiarne solo cinque per volta.

Quindi passai il processo per determinare quali prendere e quale lasciare fuori. Questa procedura poteva essere molto divertente o molto irritante per coloro che mi conoscevano all’epoca, perché... diciamo che non ero famoso per la fermezza delle mie decisioni.

ordinai finalmente le mie gocce, e quando arrivarono le mischiai in cucina con una cura che sarebbe meglio definire reverenza. riempivo un misurino da un’on-cia con tre quarti di acqua. aggiungevo sette gocce di ognuna delle cinque essen-ze in ogni bottiglia. ne tenevo una vicino al letto, una in valigia, una assieme alle medicine ed una nel cassetto della scrivania nel mio studio. con ritualità sacrale mettevo sette gocce del mio nuovo preparato sotto la lingua per quattro volte al giorno e come se non bastasse ogni tre giorni facevo un bagno a base di acqua, succo di metà limone e sette gocce del preparato. per venti minuti mi immergevo in vasca bagnando tutte le parti della mia testa e del mio corpo suscettibili di disi-dratazione come per esempio il naso (che poi capii doveva rimanere per la mag-gior parte del tempo sopra il livello dell’acqua). le istruzioni della donna erano molto precise ed io le seguivo con ancora molta più precisione.

perché ve ne parlo? perché in queste notti rituali, dopo aver chiuso tutte le porte e inserito l’allarme, e dopo essere andato a letto, mi svegliavo con la sensazione di avere delle persone in casa. Mi alzavo con il cuore in gola e passavo in rassegna tutta la casa, con l’idea che in qualsiasi momento avrei potuto trovare qualcuno... e scoprivo che una porta che avevo chiuso era aper-ta e/o una luce che avevo spento era accesa.

porte che si aprono e luci che si accendono, una bella metafora. allo stesso tempo non guardavo tutti questi fenomeni da una distanza tale da poterli rico-noscere. sapevo soltanto che qualcosa di decisamente non ordinario stava succedendo in casa mia e volevo risposte. la zingara non ne aveva, ma non sembrava neanche preoccupata, e quindi non lo ero neanche io.

ancora non sapevo che molto presto avremmo passato la zona di comfort.

bollicine e sangUinamenti

alcuni pazienti venivano ancora per trattamenti chiropratici, inconsapevo-li delle “altre cose” che succedevano nel mio studio. uno di questi pazienti mi

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era stato inviato dal suo ortopedico, incapace di risolvere il suo problema alla schiena. Questa donna aveva quasi cinquant’anni e da tanto tempo soffriva di questi dolori. il giorno che venne da me il dolore era particolarmente intenso, e non solo alla schiena. Mi disse di avere una malattia degenerativa al ginocchio destro dall’età di nove anni, e che il dolore al ginocchio era quasi intollerabile.

la manipolai, quindi le chiesi di chiudere gli occhi e di non riaprirli fin quando non glielo avessi detto. Mentre i suoi occhi rimanevano chiusi mi avvicinai al ginocchio destro, tenendo le mani ad una distanza di circa quin-dici centimetri e muovendole con piccoli movimenti circolari. sapevo che c’erano sempre delle sensazioni nelle mani quando eseguivo queste operazio-ni, e stavolta la sensazione fu di calore. È tutto ciò che notai: calore, magari un pochino più del solito.

una volta terminato le chiesi di aprire gli occhi. Quando lo fece mi disse di sentirsi meglio. Devo ammettere che mi stavo abituando a risposte di questo tipo. sembrava accadere molto spesso. ciò che invece mi sorprese fu ciò che successe subito dopo. accompagnai la donna alla porta e quando fummo vi-cini alla scrivania, ci mancò poco che la receptionist non cadesse dalla sedia.

“guarda!” squittì mentre indicava la mia mano. la guardai. i palmi erano coperti di bolle, delle bolle piccolissime. settantacinque, cento, forse ancora di più. Dopo tre o quattro ore se ne erano andate.

Queste bolle si presentarono in più di un’occasione ed in un certo modo io ero contento: era una manifestazione visibile di qualcosa altrimenti invisibile. era qualcosa che potevo mostrare alla gente: “le vedi queste?”

poi successe che i palmi delle mani cominciarono a sanguinare. non sto scherzando. anziché bolle, usciva sangue; non rivoli di sangue come nei vec-chi film o sul National Enquirer, quanto piuttosto come dopo aver poggiato la mano su degli spilli. era proprio sangue.

se molti dei miei pazienti rimanevano in silenzio, altri le osservavano più da vicino.

“È una iniziazione” disse qualcuno.“a che cosa?” chiesi.nessuno lo sapeva.e del resto, come potevano saperlo loro? perché non lo sapevo io? chi lo

sapeva davvero?

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in cerca di risposte

non solo continuava la mia ricerca di una spiegazione, addirittura accelera-va. scoprii i nomi e i background di molte delle persone rinomate per la loro conoscenza dei fenomeni spirituali e paranormali. comprai le loro cassette che ascoltavo in macchina, sviluppando domande che volevo sottoporgli.

ogni tanto ci riuscivo.Quando seppi che Brian Weiss, M.D. e autore di Molte vite, molti maestri

avrebbe tenuto un seminario di un giorno, mi organizzai per parteciparvi. il Dottor Weiss è uno dei massimi esperti mondiali nel campo delle regressioni a vite precedenti. aveva cominciato come un normale psichiatra e ipnotera-peuta, ma trattando alcuni pazienti si convinse della realtà delle vite preceden-ti e dell’effetto che esse possono avere su quella presente.

speravo che, se avessi preso parte al seminario, avrei potuto parlargli du-rante una pausa per vedere se avesse potuto illuminarmi su ciò che stava succedendo nella mia un-tempo-normale vita.

ci fu un break, ma non ciò che mi aspettavo.a quell’evento presero parte circa seicento persone, tutte desiderose di

parlare con il dottor Weiss nella speranza non solo che questi potesse essere attratto da ciò che gli veniva detto, ma anche che avesse il tempo di parlare con loro per farli sentire importanti. in effetti poche persone capivano o co-munque erano interessate a saperlo, che seicento persone ad un minuto cia-scuna significavano dieci ore di domande, più il tempo dell’intero seminario.

io, naturalmente, ero uno di questi. e come tutti gli altri sentivo che le mie domande dovessero essere poste. Quindi attesi il momento adatto per alzare la mano, come una naturale interruzione della spiegazione, argomenti corre-lati alle mie domande e così via. la seconda opzione avrebbe dovuto aver bisogno di molte imbeccate, poiché avrei dovuto introdurre la domanda con un piccolo riassunto di ciò che mi stava succedendo, eventi che toccavano più o meno ogni argomento trattato dal dottor Weiss.

non solo le domande non venivano raccolte, ma i partecipanti non erano neanche invitati a sottoporne.

arrivò la pausa pranzo. il seminario era a metà e ancora non avevo avuto la mia occasione.

Dopo la pausa, il dottor Weiss annunciò che avrebbe condotto una regres-sione ad una vita passata sul palco e aveva bisogno di un volontario. cinque-centonovantasette mani si alzarono (gli altri tre dovevano essere ancora in

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bagno). il dottor Weiss annunciò che avrebbe scelto cinque persone e poi avrebbe effettuato un test oculare su ognuna di loro per determinare il sogget-to migliore. a quel punto gli altri quattro sarebbero tornati ai loro posti.

“uno, due, tre, quattro, cinque...”, e il dottor Weiss scelse i volontari che presero posto sul palco. io non ero tra loro.

Quelli non scelti abbassarono le mani ansiosi di godersi lo spettacolo... quando il dottor Weiss rivolgendosi al pubblico come se avesse perso qualco-sa puntò il dito: “tu! non avevi forse la mano alzata?”

guardandomi intorno, mi resi conto che tutti gli altri stavano guardando me.“sì” dissi imbarazzato e piuttosto incerto “ma non aveva già scelto cinque

persone?”“Volevi venire su?” certo che volevo andare su, che razza di domanda.

“Beh, sì” gli risposi.“allora vieni su” mi disse. Dire che avrei voluto sprofondare in un piccolo antro aggiunge un altro im-

portante livello alla parola minimizzare. era più facile pensare di essere parte di un gruppo di cinque persone piuttosto che l’unico a fare una cosa del genere.

Ma ci andai, dopo aver ricevuto un paio di gomitate amichevoli sulle co-stole ed un paio di neanche molto ben mimetizzati sguardi in cagnesco. non potevo certo biasimarli. tutti volevano una regressione fatta da Brian Weiss.

il dottor Weiss mi fece salire e mi descrisse il test oculare che avrebbe condotto su ognuno di noi. si trattava sostanzialmente di un test di suggestio-nabilità ipnotica nel quale dovevamo guardare in alto senza muovere la testa, per poi chiudere lentamente gli occhi in modo che lui potesse vedere il movi-mento sotto le palpebre. Da questo era in grado di determinare quale di noi fosse il soggetto più suggestionabile all’ipnosi regressiva.

nel caso in cui non l’abbiate ancora capito, il più suggestionabile risultai io. Forse lui lo sapeva già.

Mi fece sedere su un panchetto, mi disse di chiudere gli occhi, mi impartì alcune suggestioni e quindi mi chiese: “cosa vedi?”

Mi resi conto che guardavo in basso verso me stesso, anche se avevo gli occhi chiusi. Vidi una pelle abbronzata, di un colore differente rispetto alla mia, quella tipica della carnagione mediterranea. capii improvvisamente di essere un giovane ragazzo in un’epoca lontana, nel deserto. so anche che, per gli standard odierni, apparivo più vecchio di quanto in realtà non fossi. sulla base di quanto dissi al dottor Weiss e a tutto il pubblico ero “un giovane ra-gazzo tra i dodici e i diciassette anni”.

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Descrissi l’ambiente che mi circondava: una corte interna di un grande edifi-cio dotata di colonne in pietra. in mezzo alla corte stava un’altra colonna, più alta di quanto i miei occhi non riuscissero a vedere. era enorme, un metro e mez-zo di diametro, grande abbastanza da potersi nascondere, cosa che effettivamen-te stavo facendo. a questo punto dissi ad alta voce: “sono tornato in egitto”, mentre nella mia mente pensai: Dio! Egitto! Tutti dicono che tornano in Egitto. Me lo sto forse inventando? poi proseguii dicendo: “Vivo nel palazzo del farao-ne”, quindi sono un nobile. “Ma il mio sangue non è quello del faraone.” Sì, certo, adesso sono pure Mosè. Non riesco a credere a ciò che sto dicendo.

Davanti all’occhio della mente si sviluppò una storia e, vera o non vera che fosse, non riuscivo a fermarmi. Dissi che mi nascondevo dietro la colonna nel tentativo di non essere visto da una guardia. Mi ricordo anche che tutto questo mi appariva un po’ strano perché, dopo tutto quella era casa mia. sapevo an-che che il mio obiettivo era quello di introdurmi, non visto, lungo una rampa di scale che portava ad una camera in basso, dove i maghi di corte tenevano i loro ferri del mestiere.

a nessuno, neanche a me, era consentito accedervi. i maghi ritenevano di essere gli unici in grado di usare quegli strumenti. io invece sapevo di essere l’unica persona in grado di saperli usare correttamente; i maghi si ingannava-no o ingannavano tutti noi.

sapevo anche che tra i tesori nella camera sotterranea si trovavano anche degli scettri d’oro di lunghezza variabile, anche di quasi due metri. erano tutti coperti di gemme preziosissime; uno in particolare aveva una serie di denti dorati. Questo aveva un’immensa pietra verde scura, uno smeraldo o una moldavite, qualcosa che avrei conosciuto di lì a qualche tempo.

subito dopo mi ricordo aver sentito il dottor Weiss dire: “ok, portiamoci alla fine di questa vita.”

andai ancora avanti. improvvisamente sapevo di esser morto e di aver la-sciato quella vita. la coscienza che avevo a quel tempo mi diceva che il potere non era nelle bacchette, ma in me, e che lo portavo con me da una vita all’altra.

così finì la mia seduta. Da allora, così come oggi, non sono sicuro di non essermi inventato tutto quanto. Quando ero sul palco, ho certamente sentito il bisogno di uscire fuori con qualcosa da dire.

Dopo la fine del seminario, molte persone presenti mi dissero che se aves-si assistito alla cosa avrei saputo che non si trattava di qualcosa di inventato.

il dottor Weiss mi disse poi che durante la regressione avevo portato delle informazioni che lui aveva già appurato per il libro al quale stava lavorando.

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era molto difficile che io sapessi quelle cose prima di salire sul palco, mi disse.

non potevo altro che essere d’accordo. e nonostante non ci fosse niente in quell’esperienza a dirmi che si trattava di una cosa vera, niente di tutto ciò che avevo raccontato poteva essere provato nella mia ricerca sull’antico egit-to scritta in terza elementare.

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Capitolo 6

La ricercadelle spiegazioni

“Riconosci ciò che vedi,e ciò che è nascosto diventerà chiaro.”

Dai Vangeli apocrifi di nag hammadi

Pensavo che qualcuno dovesse sapere cosa significassero tutti que-sti avvenimenti. certamente le mie esperienze non erano uniche. Qualcuno da qualche parte doveva avere la risposta. cominciai, ovviamente, con la donna di Venice Beach. Quando sentì parlare delle bolle e dei sanguinamenti ammise di non avere

idea di cosa stesse succedendo e del perché. non aveva più ipotesi sulle qua-li lavorare e tutti i luoghi comuni sulla new age non la supportavano più; era quindi arrivato il momento di contattare un’altra donna, la persona che “ave-va insegnato a lei e a chiunque altro” questo lavoro. Mi diede un nome ed un numero di telefono.

era troppo tardi per chiamare quella sera, così la chiamai il giorno succes-sivo e raccontai a questa mia nuova “insegnante” tutta la storia: le luci che si accendevano, le porte che si aprivano, le “persone” che percepivo in casa e quelle che i pazienti sentivano nel mio studio, fino ai palmi pieni di bolle e sangue. ero ottimista sulla possibilità di imparare qualcosa che mi fosse stata d’aiuto. Dopo aver finito di raccontare ci fu un lungo silenzio dall’altra parte, poi l’insegnate disse: “non conosco nessuno che abbia mai risposto in questo modo. È affascinante.” È tutto quello che mi disse.

apparentemente “affascinante” ha per la new age lo stesso significato di “sono cavoli tuoi, figlio mio”. Ma non mi volevo dare per vinto. il mese seguen-

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te, su consiglio di un amico, contattai un sensitivo di los angeles famoso in tutto il mondo. Quando fissai l’appuntamento non dissi cosa mi era accaduto; non dissi neanche come mi chiamavo. Volevo vedere se riusciva a scoprire qualcosa da solo e magari, se avesse qualche idea su ciò che stavo passando.

il giorno del mio appuntamento, senza fiato, perso e in ritardo di mezz’ora, entrai nel suo studio, sprofondai in una sedia e feci finta di non vedere la sua occhiataccia, quell’aspetto dato da una contrazione sfinterica, che vi riporta indietro ad ogni singolo rimprovero ricevuto sull’importanza di essere puntuale e allo stesso tempo mette in discussione il vostro valore di essere umano. ero sicuro che nei suoi giorni di libertà questa persona inoltrasse al congresso delle domande per il riutilizzo della parola tardy (tardivo, ritardatario n.d.t) nel si-stema scolastico. Questa lettura sarebbe stata breve, ne ero sicuro.

il sensitivo dispose le carte con estrema professionalità, attento a non dare il benché minimo segno di calore umano o compassione. guardò le carte e poi mi guardò negli occhi, con quella che poteva essere definita un’espressione da quiz o un severo cipiglio. “cos’è che fa nella vita?” mi domandò.

non so cosa pensate voi, ma a cento dollari l’ora ciò che io pensai fu: “Sei tu il sensitivo. Dimmelo tu.” Mi trattenni dal verbalizzare i miei pensieri. “sono un chiropratico” dissi, attento a non rivelare niente che potesse colori-re la mia lettura.

“oh no” disse lui “è molto di più. È qualcosa che esce dalle tue mani, le persone guariscono. andrai in televisione” continuò “e verranno da te persone da tutto il paese.”

Questa era l’ultima cosa che mi sarei aspettato di sentire da quest’uomo, specialmente considerato il modo con il quale era iniziata la seduta. Diciamo la penultima cosa, perché dopo mi disse che avrei scritto dei libri. “lasci che le dica una cosa” gli risposi sorridendo. “se c’è una cosa della quale sono si-curo è che non scriverò nessun libro.”

e dicevo sul serio. io e i libri non siamo mai andati d’accordo. a quel tem-po avevo letto sì e no due libri, uno dei quali dovevo ancora finire di leggere. il mio passatempo preferito è sempre stato guardare la televisione. ero, senza ombra di dubbio, un teledipendente.

cosa strana, dopo essere stato dal sensitivo mi ritrovai a leggere. e ancora a leggere. la mia dipendenza dalla televisione aveva subito un brusco stop, sostituita, oso dirlo, dalla lettura. non mi bastava mai: filosofie orientali, vita dopo la morte, informazione canalizzata, esperienze uFo. leggevo tutto, scritto da tutti, ovunque.

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a poco a poco la mia vita veniva gestita da questa strana nuova energia. la notte mentre ero disteso a letto le mie gambe vibravano e le mie mani erano costantemente “accese”. le ossa del cranio vibravano anch’esse e mi fischia-vano gli orecchi. con il tempo cominciai anche a sentire dei suoni e in rare occasioni addirittura delle voci in coro.

“È andata. sono diventato pazzo.” ne ero ormai sicuro. tutti sanno che, quando si impazzisce, si sentono le voci. le mie cantavano. e pure in coro. non mi bastava un canto a bocca chiusa, un vocalizzo o magari un piccolo gruppo a cappella. no, io avevo tutto il Mormon tabernacle choir.

e i miei pazienti? Vedevano colori: fantastici azzurri, tonalità di verde, viola, oro e bianco. sfumature di una bellezza mai vista prima. sebbene fos-sero in grado di riconoscere questi colori, mi dicevano di non averli mai visti. Mi fu detto da alcuni pazienti che lavoravano nel cinema che questi colori non esistevano e che, neppure usando tutte le tecnologie a disposizione, sarebbe stato possibile riprodurli. nel sentire queste parole mi tornarono in mente le esperienze di vita dopo la morte di mia madre, quando parlava delle “forme e sfumature indescrivibili” che non esistevano nel mondo che aveva lasciato, e come la loro vista l’avesse riempita di meraviglia.

manifestare sintomi

che capissi o no la fonte dell’energia che usavo, le guarigioni continuava-no. anche se tornavo a domandarmi quali fossero le sue origini, raramente mettevo in discussione i risultati. se lo avessi fatto, ci sarebbero state delle persone con le quali non avrei neanche provato a connettermi per effettuare una guarigione.

avevo pianificato di attraversare il paese alla fine di quell’anno (1993) per passare le feste con Zeida. la notte prima di partire, fui invitato ad una cena. non avevo voglia di andare, perché di norma tendo ad agitarmi oltre un limi-te ragionevole prima di una partenza (cosa portare, cosa lasciare, cosa mi di-menticherò). riuscii comunque ad andare a quella cena.

Quando arrivai il padrone di casa mi disse che uno degli ospiti era in uno stato avanzato di aiDs. Fu chiaro nel momento in cui lo vidi: la pelle aveva quel colorito grigio tipico di quella malattia in stato avanzato, portava con sé su un carrello una flebo di morfina e manteneva l’equilibrio servendosi di un sostegno. soffriva anche di una complicazione detta citomegalovirus, o cMV,

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che aveva colpito l’occhio destro, occludendogli completamente la visione in quel lato del corpo.

Quest’uomo aveva passato il punto nel quale si spera ancora che il dolore possa passare, ma sperava di poter almeno recuperare la vista. il padrone di casa mi chiese se avessi voluto lavorare con lui e io dissi: “certo, ne sarei felice.” lo portai in un’altra stanza e ci lavorai per circa cinque minuti, al termine dei quali disse che il dolore era quasi scomparso.

pensammo entrambi che si trattasse di un ottimo risultato, e lasciai la stan-za. un paio di minuti più tardi mi disse che riusciva a vedere da entrambi gli occhi. Fu un momento veramente eccitante.

egualmente elettrizzante, ma in modo differente, fu quando il mattino se-guente, svegliandomi, mi resi conto che il mio occhio, quello sinistro, era di-ventato tre volte più grande! per qualche motivo, ogni qualvolta “acquisivo” temporaneamente i sintomi di un’altra persona, questi si presentavano solita-mente nella parte opposta del corpo; il perché non lo so. il mio occhio man-tenne quelle dimensioni per circa trentasei ore.

le bolle e i sanguinamenti non mi davano grossi problemi ma questo era ben altro. cominciai a chiedermi: “Sto forse prendendo, quando effettuo que-sto lavoro energetico, la malattia della persona su di me? Mi sto attaccando a questa malattia? Tutto questo darà luogo ad una sorta di risposta a catena dentro di me?” tutte queste domande mi rendevano un po’ inquieto.

poi la risposta arrivò improvvisamente: non avevo bisogno di manifestare fisicamente i sintomi o i problemi di un’altra persona affinché la guarigione potesse aver luogo; parimenti, non mi servivano questi segni per dimostrare che stesse succedendo qualcosa di vero e potente.

Dopo quella rivelazione, non ebbi più nessuna manifestazione di tipo fisico.Qualcun altro invece sì.

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Capitolo 7

Il dono della pietra“Qualsiasi tecnologia che sia sufficientemente sofisticata è indi-stinguibile dalla magia.”

Da The Lost Worlds of 2001, di arthur c. clarke

Nella nostra cultura, gennaio è l’inizio dell’anno, periodo dedicato alle riflessioni sul passato e ai propositi per il futuro. guardando indietro all’anno 1993 ciò che vedevo era una serie di guarigioni che mi riempivano di soggezione e domande. guardando in avanti vedevo... cosa vedevo? Quanto sarebbe durato tutto que-

sto? Dove mi stava portando? non ne avevo la benché minima idea, anche perché all’epoca non avevo ancora incontrato gary (vedi capitolo uno) e avevo comunque fatto esperienza delle potenzialità che queste guarigioni avrebbero rappresentato.

naturalmente, nelle sedute di guarigione procedevo con l’intuito: non c’era un libretto delle istruzioni, nessuna illustrazione e nessun consiglio provenien-te da specialisti in questioni “metafisiche”. tutto ciò che potevo fare era con-tinuare quello che stavo facendo, nella speranza che ciò che mi stava portando questa energia avrebbe continuato a fare la sua parte.

come spesso succede, non riuscivo a scorgere la fase successiva del pro-cesso, fino a quando questo non si manifestava. appena rientrato nello studio, dopo le vacanze, uno dei miei pazienti mi diede una piccola scatola bianca. ricordo di aver avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di strano nel riceve-re un regalo per le feste dopo le feste stesse. sebbene fosse proprio il tipo di scatola in grado di contenere un piccolo gioiello, sapevo anche cosa vi avrei trovato. Da quando erano iniziate le guarigioni i pazienti mi portavano dei regali. tutti pensavano che avessi bisogno di qualcosa.

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Quel “qualcosa” generalmente ricadeva in una di queste tre categorie: 1. libri o cassette (ne ricevevo moltissimi); 2. statue (mi sono stati dati molti più modelli di Buddha, Mosè, gesù, la Ver-

gine Maria, Krishna e tutti gli arcangeli di quanti possiate immaginare); 3. cristalli. i cristalli erano di due tipi: giganteschi, che devono stare

nell’angolo di una stanza, posto che la stanza sia abbastanza grande, e tascabili. le persone che mi regalavano i cristalli tascabili, prendono il termine tascabile davvero sul serio. si aspettano di vedere quel cristal-lo nella mia tasca! l’unico modo per evitare di metterlo in tasca è riu-scire a capire su quale chakra posizionarlo e trovare il filo del colore giusto con cui farlo penzolare.

non avevo intenzione di arrivare a quel punto e mi mettevo i cristalli in tasca. nel giro di poco tempo le mie tasche cominciarono a straripare. ogni volta che mi piegavo per eseguire una manipolazione, almeno uno dei cristal-li cadeva per terra. Quando mi piegavo per raccoglierlo, tutti i cristalli di quarzo rosa, gli unici lisci e a forma circolare, decidevano di saltare dalla mia tasca e di rotolare per il corridoio come biglie. sono sicuro che, quando i miei pazienti vedevano questa scena, immaginassero che ne avessi perso qualcuno, quindi ogni volta che aprivo una scatola, come quella che tenevo in mano, mi aspettavo di trovare qualcosa di blu, rosa o luccicante. Ma con mia grande sorpresa, questa volta scoprii una pietra di colore verde scuro dalla forma strana e irregolare che, avvolta com’era in un bel panno di cotone, appariva assolutamente fuori posto. Mi ricordo di aver pensato che non era proprio niente di speciale. non luccicava e non rifletteva luce, ed inoltre aveva una forma veramente grezza. non risplendeva di nessun magnifico colore, anzi, ad essere sinceri, era proprio di un colore verdastro scuro, quasi affumicato e tendente al nerastro. al massimo ricordava, sia come colore che come consi-stenza, un avocado maturo. in altre parole non rappresentava per niente il mio concetto di cristallo.

“cos’è?” chiesi. “Moldavite” fu la risposta.Hmmm... Moldavite. Fossile. Che bel nome. Credo che alcuni fossili pos-

sono effettivamente assumere questo colore, pensai. Devo ricordarmene per i doni dell’anno prossimo. Forse riuscirò a trovare alcune pietre chiamate fun-gus, in modo che nessuno riceva lo stesso regalo.

consapevole del fatto che specifici campi di influenza sono spesso attribuiti ad altrettanti specifici cristalli, chiesi il significato della moldavite.

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“guarda il colore!” disse il mio paziente, come se avesse letto i miei pensie-ri. ignorando completamente la mia domanda e la molto-meno-che-entusiasta espressione del mio volto, prese la pietra dalle mie mani e la mise vicino alla finestra in modo da farci passare la luce. non ero preparato a ciò che avrei visto. Quando la luce del sole entrava da dietro, questa pietra, precedentemen-te opaca, si trasformava in un luminoso e diafano smeraldo, estremamente provocante nella sua luminosa traslucidità.

Feci di nuovo la domanda: “a cosa serve?”.“È difficile da spiegare. Mettila in tasca e la prossima volta che vai alla

libreria Bodhi tree potrai informarti”, disse il paziente.Misi la pietra verde in tasca e, senza pensarci più, continuai a lavorare.non avevo idea che il mio mondo, che già stava vacillando sul suo asse,

stava per capovolgersi completamente.

più tardi, nel corso della stessa giornata, Fred venne in studio. Fred era mio

paziente da circa un anno e mezzo. Quel giorno per prima cosa lo manipolai, poi gli dissi di chiudere gli occhi e di riaprirli solo quando glielo avessi detto. come sempre misi le mani sopra di lui e le passai lungo il suo corpo, ma quando arrivai alla testa, questa fece un salto all’indietro. gli occhi strabuz-zarono, la bocca si aprì e la lingua cominciò a muoversi, formando chiaramen-te delle vocali. Dalla bocca usciva dell’aria.

Questo era, a dir poco, sconcertante. l’energia continuava a fluire dalla mie mani e pensai: so che sta provando a parlare.

Mossi le mani nel tentativo di localizzare una zona dove la sensazione fosse più forte. con delicatezza mi mossi prima da una parte poi dall’altra, ma da Fred non uscì nessuna parola, solo la pantomima di labbra e lingua. era frustrante. Vedevo chiaramente che cercava di parlare e volevo veramen-te sapere cosa avesse da dirmi. avvicinai gli orecchi alla bocca, ma non riu-scii a sentire niente.

Questa situazione mi mise in profonda soggezione, e allo stesso tempo sapevo che le stanze intorno erano piene di pazienti che non erano abituati ad aspettare. ero sicuro che tutti si stessero domandando: “Cosa sta facendo il dottore?” Dovevo smettere di lavorare con Fred.

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ritrassi le mani ma non sapevo cosa fare con Fred, perché la lingua conti-nuava a muoversi e continuava ad emettere suoni che facevano dedurre che presto sarebbe riuscito a parlare. lo toccai con gentilezza sul torace dicendogli:

”Fred, abbiamo finito”. aprì gli occhi, mi guardò ed io lo guardai. non disse niente e neanche io dissi niente. si alzò come se si fosse trattato di una normalissima visita e se ne andò.

Decisi di dimenticare tutto. come ho già detto, Fred era mio paziente da oltre un anno e mezzo, e fino a quel momento era stato tutto relativamente normale.

pochi giorni dopo, Fred tornò per un’altra visita. Dopo la manipolazione portai le mani sulla sua testa e boom, scattò di nuovo all’indietro, le labbra si aprirono, la lingua cominciò a muoversi e, come era successo la volta prece-dente, cominciò ad uscire l’aria dalla bocca.

sebbene mi aspettassi che succedesse qualcosa, l’intensità del fenomeno mi fece fare un passo indietro. ero senza parole.

in un certo senso avevo co-creato l’incontro di quella giornata, perché quando avevo visto Fred in sala d’aspetto avevo fatto in modo di spostare gli altri pazienti nell’altro studio, in modo da avere più tempo a disposizione e senza interruzioni. non appena i movimenti che avevo notato in Fred comin-ciarono a manifestarsi, lasciai che le mie mani andassero alla ricerca di una connessione più forte con la sua energia, un punto nel quale avrei potuto am-plificare le sue risposte.

Finalmente, Fred iniziò a parlare.Quando la maggior parte di noi parla, apre semplicemente la bocca e lascia

uscire la voce, niente di speciale. Ma sentire una voce formarsi da sola nell’etere è un pochino... sconvolgente. l’aria che avevo udito la volta precedente cominciò ad evolversi in vere e proprie parole. la voce che le trasportava iniziò sotto forma di uno squittio strascicato: “Siamo qui per dirti...” disse la voce “... di continua-re a fare ciò che stai facendo...” la voce continuò in modo gracchiante “quello che stai facendo... è portare luce e informazioni sul pianeta.”

Mentre Fred parlava, la sua voce cambiava, passando da un acuto ad un tono più grave, ma le frasi rimanevano estremamente meccaniche, come se la fonte di questa comunicazione dovesse imparare ad utilizzare le corde vocali di Fred. ciò nonostante, tutto quello che diceva, era perfettamente comprensibile.

in quel momento tutti gli ambulatori si erano riempiti di pazienti, in un certo numero. le mie stanze non avevano porte, il che significa che niente impediva a questa strana voce di essere sentita in tutto lo studio.

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non volevo ancora che Fred se ne andasse. Mi chiedevo se avrei avuto la personalità per dire: “Mi scusi, signora voce dall’universo, che ha viaggiato da così tanto lontano per comunicare con me, ma questo non è il momento miglio-re. può tornare un pochino più tardi? alle sette e mezzo sarebbe perfetto.”

scoprii di non essere così tanto sfacciato, ma comunque me la cavai. “co-me posso parlarti ancora?” chiesi alla voce di Fred.

“Mi potrai trovare nel tuo cuore” disse la voce.Questa non è una risposta, è un biglietto di auguri come quelli che si ven-

dono a hallmark! Volevo sentire di nuovo questa voce.“potrò sentirti tramite un’altra persona?” il responso fu abbastanza vago.“potrò sentirti ancora attraverso questa persona?” chiesi ancora.ancora una risposta vaga. non ero disposto a lasciare correre, e quindi

insistetti. Finalmente la voce disse: “D'accordo. Potrai parlarmi di nuovo attraverso questa persona.”

toccai gentilmente Fred sul torace dicendogli: “Fred, credo che abbiamo finito.” aprì gli occhi e schizzò giù dal tavolo schiacciandosi al muro e assi-curandosi di bloccarmi l’accesso al telefono. più tardi mi disse che aveva pensato che avrei chiamato il manicomio e che lo avrei fatto internare. nono-stante non si ricordasse gran parte di ciò che usciva dalla sua bocca, era per-fettamente consapevole di ciò che era successo, quanto meno a grandi linee. Mi disse che gli era successo altre volte. lo aveva raccontato solo ad altre due persone e non voleva che lo sapesse nessun’altro.

si era accorto della voce che iniziava a parlare attraverso di lui già dalla seduta precedente. pensava di averla controllata e che io non mi fossi accorto di niente. stavolta però aveva perso il controllo subito e la voce era uscita. a Fred non importava questa perdita di controllo. sapeva di non essere respon-sabile di quello che usciva dalla sua bocca, ma era seccato perché non era in grado di capire in modo coerente ciò che stesse dicendo. Descriveva il proces-so in questo modo: sentiva una prima parola, una seconda ed una terza, ma al momento che giungeva la quarta si era dimenticato la prima. lo disturbava anche non riuscire a mettere insieme quei pensieri nella sua mente.

gli dissi che avevo sentito parlare di fenomeni come la canalizzazione e/o il parlare in lingue sconosciute, e che fosse interessante conoscere una perso-na che lo facesse. catalogai tutto questo come una cosa “alla Fred”.

Ma un paio di giorni più tardi successe ancora, con tre pazienti diversi! una dopo l’altra le loro teste balzarono indietro, gli occhi strabuzzarono, le labbra si aprirono, le lingue si mossero e uscì aria dalle loro bocche. non avevo cer-

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to intenzione di assistere come se si trattasse di un esperimento in doppio ceco. Sapevo che alla loro prossima visita avrebbero parlato. Volevo delle risposte, e le volevo adesso.

l’occhio dorato

a quel punto tornai dal sensitivo che mi aveva parlato delle mani. Dopo tutto lui era affidabile. effettuava delle letture per i reali del Medio oriente, tutta l’amministrazione reagan e per svariate celebrità. gli telefonai e gli raccontai tutto ciò che stava succedendo. ascoltò con attenzione e disse: “non so proprio cosa sia.”

la risposta non fu di quelle che infondono sicurezza.“Vai da questa signora francese a Beverly hills. ha studiato queste cose e

probabilmente ti potrà essere d’aiuto, se mai qualcuno sarà in grado di farlo. si chiama claude” (non chiedetemi perché non si chiamasse claudine o clau-dette; non sono in grado di darvi una risposta).

Fu così che andai da claude. pensavo che sarei andato lì, le avrei mostrato le mani e le avrei fatto sentire cosa emanavo. poi, nel mio scenario mentale, mi avrebbe spiegato di cosa si trattasse, avrei avuto un pochino più di chiarez-za ed avrei continuato a vivere la mia vita.

sembra proprio che fossi l’unico con questa aspettativa. claude mi fece sedere sul divano e mise un cristallo in ognuna delle mie mani. poi aprì un poster gigantesco con su disegnata una stella. ogni parte della stella aveva un colore diverso. come se non bastasse aveva incollato su tutta la sua su-perficie dei piccoli occhietti abbastanza bizzarri, evidentemente per creare un certo effetto.

Mi disse di guardare la stella ed i colori e poi chiudere gli occhi. cominciò a guidarmi nella visualizzazione dei colori di base. non mi andava proprio di farlo. nella mia vita stava succedendo qualcosa di reale; se avessi voluto im-maginare le mie spiegazioni del fenomeno me ne sarei potuto stare tranquil-lamente a casa. invece ero lì.

chiusi gli occhi tenendo in mano i cristalli. claude disse: “adesso imma-gina il blu. È tutto blu.”

non so voi, ma quando chiudo gli occhi l’unico colore che vedo è un grigio antracite. comunque provai.

“Blu” disse. “tutto è blu.”Ci sto provando.

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“adesso il rosso.”Rosso, pensai.“Verde.”Verde.“giallo.”Giallo.“arancione.”Arancione.“adesso immagina l’oro. tutto è oro” disse claude. “il cielo è d’oro, la

terra è d’oro, le montagne sono d’oro e c’è una cascata d’oro.”Ok, tutto il mondo è d’oro.“Mettiti sotto la cascata d’oro” continuò “senti l’acqua d’oro caderti addosso.”Questa donna sta passando il limite, pensai.“adesso immagina questo occhio d’oro, un occhio dorato gigantesco su nel

cielo. Farai le tue domande all’occhio.”proprio quello che avevo bisogno di sentire! aprii gli occhi e le chiesi: “e

come mi risponderà? È un occhio.”“chiudi gli occhi e ti dirò quali domande fargli.”“D’accordo” le dissi, e chiusi gli occhi.“chiedi all’occhio quanti filamenti di Dna hai.”nervoso e frustrato, aprii ancora gli occhi e la guardai. “Lo so quanti fila-

menti di Dna ho: sono un medico.” le spiegai l’rna e il Dna, i filamenti, i doppi filamenti e le doppie eliche.

la donna ascoltò pazientemente. Dopodiché, come se ciò che avevo detto non avesse la benché minima rilevanza, ripeté: “chiedi all’occhio.”

chiusi quindi gli occhi per la terza volta, chiedendomi come avrei fatto ad uscire da quella situazione senza senso. come avrei fatto a chiedere a quest’oc-chio (che non riuscivo a vedere) una cosa alla quale non poteva rispondere, poiché si trattava di un occhio e non di una bocca, la cui risposta sapevo già essere “due”, e lasciare l’appartamento di questa donna senza passare per un gran maleducato? all’improvviso aprii gli occhi e, guardandola con l’inno-cenza di un neonato, mi sentii mentre pronunciavo la seguente frase: “ne ho tre. ci sono dodici filamenti di Dna. Dodici.”

nessuno mi aveva ancora detto che questa era una domanda divisa in due parti e quindi non avevo idea del perché avessi risposto in quel modo. anche perché ciò che avevo appena detto andava contro tutto ciò che sapevo coscien-temente fino a quel momento.

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“oh” disse claude “sei un pleiadiano.”“oh” risposi io, “e che cos’è un pleiadiano?”Mi spiegò che quello delle pleiadi è un sistema di sette stelle visibile dalla

terra (appena arrivato a casa controllai e constatai che aveva ragione).claude mi spiegò tutto. la terra era considerata una stazione di luce e di

informazione per i viaggiatori dell’universo. si fermavano sulla terra per ri-lassarsi, ringiovanire e raccogliere informazioni, poiché la terra era conside-rata una biblioteca vivente. le persone che in quel particolare momento sto-rico governavano il pianeta erano pleiadiani. ad un certo punto c’era stata una frattura ed uno scisma di natura ideologica e politica si formò tra due fazioni di pleiadiani. ognuno dei due gruppi voleva prendere il controllo, non solo sull’altro gruppo, ma sull’intero pianeta. Ma poiché i membri di ogni singola fazione possedevano la stessa forza e intelligenza, tutto ciò che potevano pre-vedere era un futuro fatto di continue battaglie per la conquista di una posi-zione di superiorità. era inaccettabile per tutti, così fu stabilita una sorta di tregua, fino a quando gli scienziati di un gruppo non riuscirono a trovare un modo per disconnettere dieci degli originali dodici filamenti di Dna dai membri dell’altro gruppo. noi siamo ritenuti essere i discendenti di questi pleiadiani modificati. E chi lo sapeva?

Quelli di noi dotati del terzo filamento, più vicini quindi ai nostri progenito-ri, erano tornati sulla terra per portare luce e informazione a tutto il pianeta. esattamente ciò che Fred mi aveva detto o, meglio, aveva canalizzato per me.

non sto dicendo di essere un pleiadiano, o che i pleiadiani esistono real-mente. tutto ciò che a questo punto suggerisco è di continuiate a seguire questa storia.

concedermi alla caUsa

andai alla libreria Bodhi tree e mentre mi trovavo lì, decisi di fare qualche ricerca sulla piccola pietra verde che avevo in tasca. Da ciò che appresi, la moldavite non è un cristallo terrestre; si tratta di un meteorite caduto in euro-pa orientale circa quindici milioni di anni fa. si dice che possegga l’abilità di aprire la comunicazione (dipende dalla vostra fonte di informazioni) con an-geli, entità ed esseri provenienti da altre dimensioni. È vero? Davvero questa pietra ha la capacità di una comunicazione interdimensionale? Non so. ciò che so è che misi la pietra in tasca e la canalizzazione cominciò.

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Mi trovavo davanti ad una scelta. le cose erano diventate un po’ strane nella mia vita nel giro di un minuto, ancora prima che Fred cominciasse a parlare. Dove mi avrebbe portato tutto ciò? Dovevo decidere se continuare o meno lungo questo nuovo e sconosciuto sentiero. cosa stavo facendo? era una cosa buona? era una cosa negativa? ascoltavo le voci “giuste”? come potevo esser sicuro delle intenzioni di chiunque si celasse dietro tutto ciò?

la mia risposta iniziale fu quella di chiedere a tutti coloro che pensavo sapessero qualcosa: guaritori, medium, sensitivi ecc. la loro risposta fu pra-ticamente unanime. tutti pensavano che, fino a quando non fossi stato in grado di determinare la fonte di queste voci, avrei dovuto starne lontano.

Mi trovavo di fronte ad un dubbio amletico. come si faceva? Dovevo chie-dere alla voce? Mi avrebbe lasciato con il vecchio dilemma “se è una voce onesta ti dirà la verità e se è disonesta non lo farà”? comunque andasse, la risposta era sempre la stessa. avrei dovuto colpirli con una pallottola d’argen-to? Mettere una collana di aglio? comprarmi un’enorme croce? trovavo ve-ramente difficile da credere che questa voce (o queste voci) si sarebbero prese la briga ed il tempo di viaggiare in lungo e in largo per l’universo, solo per organizzare una burla galattica.

Mi resi conto che le emozioni attorno a questo processo avevano assunto una gamma più ristretta di emozioni: dall’apprensione all’allarme, passando per il panico. Divenne subito chiaro che tutti i consigli ben intenzionati che avevo ricevuto, avessero un solo filo conduttore: la paura. Mi resi conto che c’era un’altra scelta ben più grossa che dovevo compiere: se fossi stato dispo-sto a basare le (potenzialmente) più grosse decisioni della mia vita sulla pau-ra. Non lo ero. la risposta fu sia ovvia che incontrovertibile. avevo deciso che mi sarei concesso totalmente a tutto ciò che avrei incontrato sulla mia strada.

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Capitolo 8

Intuizioni:presente e futuro“E avanti andiamo!”

Jackie gleason

in studio, i tre pazienti che avevano parlato come aveva fatto Fred, tor-narono per un nuovo appuntamento. esattamente come avevo previsto, boom, uno dopo l’altro le teste andarono all’indietro, gli occhi strabuz-zarono, le lingue cominciarono a muoversi, l’aria cominciò ad uscire dalla bocca... e cosa dicevano?

“Siamo qui per dirti di continuare a fare ciò che stai facendo. Ciò che stai fa-cendo apporta luce ed informazioni al pianeta.” esattamente ciò che aveva detto Fred. Ma questi pazienti non conoscevano Fred. neanche si conoscevano tra loro.

Due pazienti aggiunsero un’altra frase: “Ciò che stai facendo è riconnette-re i filamenti.” il terzo paziente disse qualcosa leggermente differente: “Ciò che stai facendo è riconnettere le stringhe.”

Quando Fred tornò, mi disse di aver fatto della scrittura automatica, con la sua calligrafia, e l’ultima riga (che parlava di me) diceva: “Ciò che sta facen-do è riconnettere le stringhe.”

Due giorni dopo altri pazienti cominciarono a pronunciare queste frasi. Facevo loro domande con estrema attenzione e scoprii che, a parte Fred, nes-suno di loro aveva mai fatto niente di simile.

per una qualsiasi ragione erano stati scelti quali veicoli per queste voci, ed indipendentemente da quali altre parole uscissero dalle loro bocche, ripeteva-no le solite sei frasi.

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Siamo qui per dirti di continuare a fare ciò che stai facendo. Ciò che stai facendo apporta luce ed informazioni su questo pianeta. Ciò che stai facendo è riconnettere i filamenti. Ciò che stai facendo è riconnettere le stringhe. Devi sapere che sei un maestro. Siamo venuti grazie alla tua reputazione.

pensai ok, ciò che stai facendo è apportare luce e informazioni su questo pianeta... Quindi aspettavo di ricevere queste informazioni...

non sembravano giungere.Bene, pensai, informazioni riguardo che cosa? Come far crescere frutti

giganti? Come allestire un sistema di difesa interplanetario? Come costruire salsicce volanti? ancora non avevo idea di cosa stesse succedendo.

dissolVenza

continuai ad attendere che le promesse si avverassero, ma nell’aprile 1994 qualcosa cominciò a cambiare. per prima cosa le voci cominciarono a scar-seggiare. la facilità con la quale le persone canalizzavano involontariamente cominciò a diminuire e la stessa canalizzazione divenne meno frequente. per meglio dire, diminuirono drasticamente. poi tutto finì. con la sola eccezione di Fred, non c’erano più canalizzazioni, non più voci.

prima di tutto questo, a volte mi ero domandato se questa faccenda non fosse una grossa burla. Forse la mia receptionist aveva scelto le persone a casaccio e dando loro un foglio aveva detto: “ecco cosa devi dire. non fargli vedere che hai il foglio”.

le voci se ne erano andate e sapevo anche che non si era trattato di uno scherzo. niente avrebbe potuto essere più reale. sentii un senso di vuoto. Questi strani fenomeni, dopotutto, erano diventati il centro della mia vita. come poteva esser finito tutto?

nel momento in cui le canalizzazioni cessarono, quelle sei frasi mi erano state riferite da più di cinquanta persone. ricordatevi inoltre che, con la sola eccezione di Fred, nessuna di queste persone aveva mai avuto esperienze di questo tipo e alcuni ne furono così spaventati da non tornare più. tutto questo, insieme alle coerenti descrizioni di varie entità, mi fece chiaramente capire che, durante una seduta di guarigione, oltre a me e al paziente c’era qualcun

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altro nella stanza, e che l’altra persona, o “essere”, parlava per il tramite del corpo della persona sdraiata sul lettino. non so se i “canalizzatori” fossero come delle radio che raccoglievano dei segnali dall’universo o se li ricevessero dalla stessa sorgente centrale, ma poco importava. il messaggio era chiaro e forte.

Questo spiegava perché le canalizzazioni subirono un’interruzione: avevo capito il messaggio. non era possibile poter negare, neanche io potevo farlo, che qualcosa di reale e profondo stesse accadendo. nonostante desiderassi ancora un rafforzamento delle entità canalizzate, la sorgente aveva deciso che avevo avuto tutto ciò di cui avevo bisogno. era arrivato il momento di smet-tere di cercare e permettermi di vedere ciò che mi era già stato dato.

Quando passiamo attraverso esperienze come queste, sappiamo di connet-terci con qualcosa proveniente da un altro luogo. Dimenticai rapidamente la teoria della burla e mi misi in attesa. Ma quando queste “informazioni” miste-riose che avrei dovuto ricevere non si presentarono, crebbe il senso di vuoto. cosa avevo fatto perché le voci mi avessero abbandonato?

sentivo ancora le sensazioni nelle mie mani e continuai a lavorare con i pazienti esattamente come avevo fatto. le guarigioni continuavano. Fu in questo periodo infatti che gary venne da me, e ci fu quella che considero la prima “grande” guarigione. a dispetto del mio dispiacere di non ricevere ciò che pensavo fossero le informazioni che mi erano state promesse, continuavo a lavorare con i pazienti e a muovere le mani su di loro come avevo sempre fatto. ogni tanto i muscoli facciali, in particolare quelli attorno alla bocca, iniziavano a muoversi, senza peraltro mettersi a parlare.

ciò nonostante, quando la sessione finiva, questi pazienti mi dicevano di “aver visto” delle cose. i loro resoconti erano spesso simili: alcune forme, colori... e certi tipi di persone. chiamateli angeli, guide, entità, spiriti o qual-siasi parola vi sembri più appropriata. Qualunque cosa fossero, sulla base delle descrizioni che ricevevo, apparivano spesso come persone reali.

intUizioni e conferme

più o meno nello stesso momento in cui “ebbi” l’intuizione di aver ricevu-to un dono profondo, che io decisi di accettare, ricevetti una chiamata dai produttori della serie televisiva The Other Side, che parlava di storie del mon-do paranormale. avevano sentito parlare di me e volevano che partecipassi al programma. accettai e portai gary con me.

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Dopo che lo show fu trasmesso a metà 1995, persone provenienti da tutto il paese si presentarono al mio studio. una donna di nome Michelle venne da seaside, oregon. Mentre era distesa sul lettino, cominciai a muovere le mani sopra di lei e osservai le sue risposte muscolari involontarie mentre l’energia fluiva. Questo è tutto ciò che vidi, ma quando finii, aprì gli occhi e disse: “ho visto una donna. cre-do sia un angelo custode. Mi ha detto che sarei stata meglio, che sarei guarita.”

la storia di michelle

a Michelle fu diagnosticata una sindrome da fatica cronica e una fibromial-gia. i suoi sintomi erano così seri che la maggior parte dei medici che l’ave-vano visitata pensava che avesse anche altre complicazioni. tutto ciò portò ad una continua prescrizione di antidolorifici e di medicinali di altro tipo. la sua vita era un ciclo continuo di dolore e fatica. piccole cose come lavare i piatti, cucinare o anche solo alzarsi dal letto la mattina, diventavano spesso monta-gne insormontabili a volte impossibili da portare a termine. suo marito dove-va metterla sotto una doccia calda fino a quattro volte per notte per farle di-minuire il dolore. non riusciva a mangiare e pesava meno di quaranta chili. una sera mentre tutti in casa dormivano ingoiò una grande quantità di antido-lorifici, mescolandoli assieme. Quando le medicine cominciarono a fare effet-to si trovò a pregare: “per favore Dio, aiutami. non posso vivere in questo modo, ma non voglio abbandonare i miei ragazzi.” capì che non poteva più restare ammalata, ma non sapeva neanche a chi chiedere aiuto.

Dovette essersi addormentata sul pavimento poiché la cosa seguente che ricor-dava fu quella di essere stata svegliata dal sole del mattino che entrava dalla fine-stra del bagno. Dolorante ed esausta, si trascinò fino al divano. accese il televiso-re: stavano trasmettendo un talk show. Mi stavano intervistando assieme ad una schiera di medici. la discussione riguardava i miei pazienti e come molti di loro fossero guariti da afflizioni insolite. Mi guardò mentre spiegavo che le guarigioni sembravano venire da una “forza superiore”, che in qualche modo passava attra-verso di me. Michelle chiamò il canale televisivo e chiese il mio numero.

la prima seduta cominciò in una stanza tranquilla con luci soffuse e un’at-mosfera sommessa. posai leggermente un dito sul suo cuore e lei cadde subi-to in un sonno leggero. Misi poi le mani sopra la sua testa. Del calore entrò e circondò il suo corpo. il livello di energia nella stanza diventò estremamente intenso, mentre i suoi occhi cominciarono a muoversi da una parte all’altra e

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le dita adottarono un movimento simile a quello delle marionette. nello stes-so momento ebbe un movimento involontario e continuo del ginocchio destro.

ad un certo punto, la lasciai sola per un momento. Quando ritornai, Michel-le mi disse di aver avuto la sensazione forte che un’altra persona fosse entrata nella stanza. sentì la voce soffice di una donna che cercò di dirle il suo nome. per lei era difficile esplicitarlo, poiché la comunicazione avvenne secondo ciò che può essere descritta come una “quasi” voce. inizialmente Michelle pensò che questa donna avesse un comportamento un po’ eccentrico, ma poi le appar-ve chiaro che fosse frustrata perché Michelle non riusciva a capirla.

la donna disse a Michelle di essere il suo angelo custode e che il suo nome fosse qualcosa come parsley o parcel. più tardi riuscì a sentire il nome: parsillia. l’angelo poi le disse una cosa stranissima. “Sarai guarita. Ed andrai a raccon-tarlo in televisione.” Questo era, per il mio modo di pensare, non una cosa che un angelo direbbe. allo stesso tempo non spettava certo a me fare il correttore di bozze. i medici avevano fatto tutto quello che era possibile per Michelle, ma la presenza di parsillia le disse che la sua vita stava ricominciando.

Dopo la seduta a Michelle tornò l’appetito.la seconda seduta, il giorno seguente, fu altrettanto spettacolare. l’angelo

custode tornò e di nuovo molte parti del corpo di Michele si scaldarono, si rilassarono e divennero molto calde. Divennero così calde che anche le gam-be assunsero un colore rosa intenso. ancora una volta parsillia disse svariate volte a Michelle che stava guarendo. Michelle infatti ebbe così tanta energia, dopo la sua seconda seduta, da decidere di andare a fare shopping con sua madre. Mentre erano fuori, sua madre dovette addirittura dire a Michelle di fare piano. Fu una piacevole sorpresa per entrambe.

Durante la terza e la quarta seduta l’angelo disse a Michelle che era guari-ta e che avrebbe gradualmente notato altri cambiamenti. Michelle vide fiori con dei colori mai visti prima e si sentì piena di felicità. capì subito che ognu-no di noi ha uno scopo. le fu anche detto di passare più tempo con i figli.

per Michelle la vita tornò ad essere normale. riacquistò peso, cominciò ad esercitarsi quotidianamente e mise su un’attività a tempo pieno.

Un po’ di conoscenza

prima che Michelle venisse in studio, un certo numero di pazienti aveva affermato di vedere apparire angeli o esseri dalla forma umana. non avevo

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mai però sentito una storia tanto dettagliata ed elaborata come la sua. “Cosa ti aspetti? Guarda cosa stai facendo”, mi dissi. “Sei destinato ad attrarre le persone che credono di vedere gli angeli.”

un paio di mesi dopo la guarigione di Michelle, venne in studio un uomo di Beverly hills. non stava male; aveva sentito parlare di ciò che succedeva nel mio studio e voleva sperimentarlo.

Dopo la seduta aprì gli occhi e mi disse: “ho visto questa donna e mi ha detto di dirti che era qui e che tu sai chi è. sembrava avere un atteggiamento un po’ eccentrico, ma che fosse frustrata per non riuscire a comunicargli con chiarezza il suo nome. era qualcosa che suonava simile a parsley. poi mi ha detto: se avrai una guarigione, andrai in televisione a parlarne.”

ero basito. chi era questa pazza parsley, l’angelo delle pubbliche relazio-ni? no, era una conferma.

non vidi più quest’uomo. non conosceva nessuno dei miei pazienti, ciò nonostante sapeva dell’angelo col nome buffo.

le cose cominciarono a farsi interessanti.una donna volò addirittura dal new Jersey con la figlia di undici anni af-

fetta da scoliosi. Dopo la seduta aprì gli occhi ed apparve piuttosto sorpresa. come da abitudine chiesi: “cosa è successo? cosa hai notato?”“ho visto questo piccolo pappagallo multicolore che mi ha detto di chia-

marsi george. poi non era più un pappagallo, non era neanche una forma di vita.”

Forma di vita. lo aveva detto lei, erano le sue parole. una ragazzina di undici anni.

“poi” aggiunse la ragazzina, “è diventato mio amico.”non molto tempo dopo un uomo, si presentò per una seduta al termine

della quale mi disse: “Mi sono trovato vicino a una statua, una grande statua di marmo nei pressi di un vecchio lago greco o romano, molti e molti secoli fa. Mentre guardavo verso la mia mano destra, ho visto questo piccolo pappa-gallo multicolore. Mi ha detto di chiamarsi george. e poi non era più un pappagallo. e siamo diventati amici.”

a parte l’omissione di “forma di vita” erano esattamente le parole della ragazzina.

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Mi sentii più vulnerabile del solito quando decisi di spiegare ciò che stava accadendo a mia cugina. la sua opinione per me era importante. Feci un re-spiro profondo e mi feci forza. con una cadenza goffamente impacciata, le farfugliai frasi come “i palmi delle mie mani si riempivano di bolle”, “altre volte sanguinavano” e “i miei pazienti perdono conoscenza e parlano con altre voci”.

“se me lo avesse detto qualsiasi altra persona” disse quando finii “non ci avrei creduto. Ma so che non te lo sei inventato, ti conosco da sempre e hai i piedi ben piantati per terra”. sentire una cosa del genere dalla cugina che mi faceva da babysitter mi fece subito capire che non avevo idea di come avessi incontrato queste persone e che le percezioni che gli altri avevano di me erano differenti dalle mie. non pensavo che molte persone mi avrebbero creduto quando raccontavo loro cosa mi stesse accadendo: perché sei tu, perché hai i piedi per terra, perché sei realista, perché sei scettico...

Con i piedi per terra. Realista. Scettico. sapevo di essere un po’ scettico, fosse solo perché non credevo a queste persone, quando mi dicevano che pensavano che io avessi i piedi per terra. pensavo a me come a una persona con i piedi per terra (quanto meno a volte), ma certamente non avevo idea di essere percepito in quel modo.

nonostante il sostegno di mia cugina, mi ci volle un po’ di tempo prima che lo dicessi ai miei genitori. non dimenticherò mai la risposta di mio padre: “non lasciare mai quello studio!”, come se gli angeli e il fantasma che infestavano il fabbricato di Melrose place, fossero in qualche modo confinati in quello spazio. Fortunatamente queste guarigioni, compresi gli angeli e i colori, si materializ-zavano anche quando viaggiavo, e quindi sapevo che se queste entità fossero state assegnate a Melrose place, erano almeno in grado di guardare nella mia agenda e di trovare un mezzo di trasporto per spostarsi con me.

non che avessi bisogno di viaggiare così tanto, data la frequenza con cui le persone venivano da me.

il coraggio di prosegUire

le guarigioni si facevano sempre più stupefacenti e nonostante i risultati fossero lusinghieri, non mi sembravano ancora abbastanza. Volevo ancora sapere perché accadessero queste guarigioni. cosa significava questo fenome-no? Da dove veniva? la mia ricerca della comprensione era infinita.

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Decisi di prendere parte ad un seminario di tre giorni del dottor Deepak chopra (il dottor chopra è uno dei maggior esponenti della sintesi tra medi-cina e spiritualità, ivi compresa l’unione tra fisica quantistica e saggezza an-tica). la maggior parte dei partecipanti era costituita da medici ed altri pro-fessionisti. Forse per via del mio successo peculiare con Brian Weiss, pensai che avrei potuto trovare un momento per fare al dottor chopra una piccola domanda, che avrebbe potuto darmi un’idea su ciò che mi stava accadendo e sulle guarigioni. notai la presenza di microfoni su piccoli palchi disposti nella sala, che sembravano essere riservati per permettere al pubblico di par-tecipare.

con l’andare del seminario nessuno, tra i membri dello staff, sembrava accennare ai microfoni o alla possibilità di un’interazione con il pubblico. il tempo passava. Finalmente, poco prima della pausa pranzo del secondo gior-no, non riuscì più a trattenermi. alzai la mano e chiesi al dottor chopra se avrebbe, ad un certo punto, ammesso delle domande.

il dottor chopra mi sorprese facendomi lui una domanda: “Hai una do-manda?”

“si”, dissi.“Vai al microfono e falla.” Mentre mi avviavo verso il microfono più vici-

no, in quello che sembrava essere un percorso infinito, cominciai a sentire il volume dei miei passi in contrasto con l’improvviso silenzio che si era abbat-tuto sulla stanza, intervallato da pensieri molto rumorosi:

Chi è questa persona?Perché ha chiesto di fare una domanda?Volevo farla io una domanda!Saremmo già potuti essere a pranzo.e la proverbiale...È meglio per lui che sia una buona domanda.Quando mi avvicinai al microfono il dottor chopra mi disse: “Qual è la tua

domanda?”non lo sapevo, ancora non l’avevo formulata. per rendere le cose ancora

peggiori, mi resi conto che, se il dottor chopra non avesse saputo alcune del-le cose che mi erano accadute dal 1993, non sarebbe stato possibile fare nes-suna domanda, anche dopo aver capito come formularla. Quindi, il più suc-cintamente possibile, cercai di spiegare velocemente cosa era successo, comprese le voci, i sanguinamenti e le bolle. speravo che alla fine di questa introduzione la domanda perfetta si sarebbe presentata alla mia bocca.

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alla fine dell’introduzione mi trovai a dire: “per favore, la prego di non pensare che io non sia consapevole di come tutto questo possa accadere, per-ché lo so perfettamente. Mi chiedevo soltanto se avesse qualche consiglio o qualche idea in proposito.”

non era neanche una domanda. guardai il dottor chopra sporgersi in avan-ti da quel punto del palco.

Mi chiese: “Qual è il suo cognome?”Feci un mezzo passo indietro: “pearl!” bofonchiai.Fece un cenno con il capo. “ho sentito parlare di lei”. guardò la sala. “Vo-

glio che tutte le persone qui sappiano che ciò che quest’uomo ha detto è vero.” Davanti a tutte le persone presenti, mi invitò al the chopra center for Well Being a la Jolla, vicino a san Diego, per fare delle ricerche.

seguì poi il consiglio: “resta sempre come un bambino.” cinque parole che significavano davvero tanto.

non le dimenticherò mai.

l’inizio delle ricerche

come mi era stato predetto, sempre più produttori televisivi mi chiesero di apparire nei loro show. Fox tv voleva intervistarmi durante una grossa con-ferenza a san Francisco, assieme a persone del calibro di andrew Weil, il dottore dalla grande barba bianca autore del best seller Eating Well for Opti-mum Health (Mangiar bene per una salute ottimale, N.d.T.), un’opera a favo-re dell’interazione tra la medicina “tradizionale” e quella “alternativa”.

prima di lasciare los angeles per il seminario, assolutamente inaspettata, ricevetti una email dai miei genitori. Mi raccontarono una cosa abbastanza sorprendente. Mio padre e il padre del dottor Weil avevano gestito lo stesso cartello politico e avevano lavorato assieme in diversi progetti nella mia città natale, anni addietro. i nostri padri erano amici. prima di allora, non ero mai stato al corrente di questa informazione.

Mia madre mi raccontò qualcosa di estremamente toccante sul padre del dot-tor Dan Weil. agli inizi degli anni ottanta, a mio padre furono impiantati quattro by-pass. Durante la convalescenza Dan Weil, uomo compassionevole e cordiale, scrisse una lettera a mia madre. la lettera evidenziava che durante la convale-scenza molte persone mandano lettere e auguri al degente, dimenticando spesso che è la persona che rimane a casa ad aver bisogno del supporto più grande. la

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lettera era gentile e piena di incoraggiamento, una cosa che i miei genitori non avevano dimenticato. Dan Weil era passato a miglior vita e i miei genitori pen-savano che al figlio avrebbe fatto piacere sentire quanto suo padre avesse tocca-to le loro vite. scrissero una lettera e mi chiesero di fargliela avere.

Quando arrivai, andrew Weil si trovava nella hall dell’albergo. Mi presen-tai e gli diedi la lettera. chiese se poteva avere la lettera scritta dal padre per poterla mostrare a sua madre. scambiammo un paio di frasi cordiali, che io pensavo essere le ultime che avrei scambiato con il dottor Weil.

Quella stessa notte ricevetti una telefonata dalla donna che, oltre ad aver organizzato le interviste per la Fox, le avrebbe anche effettuate. la settimana prima aveva avuto un incidente d’auto e si era rotta alcune costole, cosa che la costringeva a camminare con un bastone e avere una respirazione molto superficiale. riusciva a mala pena a parlare, e non era la migliore condizione per intervistare delle persone in televisione. Mi chiese se avessi potuta aiutar-la quella sera. le dissi che sarebbe stato un piacere. si rivelò molto più di ciò. si rivelò un altro pezzo di quell’incredibile puzzle di sincronicità.

il mattino seguente arrivai per l’intervista e scoprii che il turno del dottor Weil sarebbe stato quello successivo al mio. accadde che io, l’intervistatrice e lui ci incrociassimo. Mentre il dottor Weil entrava, l’intervistatrice mi stava ringrazian-do dicendomi che non aveva più bisogno del bastone, affermando di essere in grado di respirare profondamente e di essere in grado di condurre le interviste.

il dottor Weil mi chiese cosa avessi fatto. una volta terminato, mi invitò all’università dell’arizona per una relazione da tenersi durante il suo pro-gramma per la medicina integrata (piM). l’invito fu un onore che accettai con gioia. Questo mi portò a gary e.r. schwartz, ph.D., responsabile del Dipar-timento per il sistema dell’energie umane dell’università dell’arizona. lui e sua moglie, linda g.s. russek, ph.D., sono gli autori di The Living Energy Universe (L’Universo dell’Energia vivente, N.d.T.). Questa opera introduce l’idea che ogni cosa, ad ogni livello di esistenza, è viva, dotata di una memo-ria e si evolve. Questo libro cerca di spiegare non solo alcuni dei più grandi enigmi della scienza convenzionale, ma anche misteri come l’omeopatia, la sopravvivenza dopo la morte e le abilità psichiche.

il dottor schwartz mi invitò a ritornare all’università per fare delle ricerche sulle guarigioni. accettai.

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biVi

gli eventi si succedevano sempre più velocemente. ero tentato di continua-re a lasciarmi trascinare, ma potevo farlo davvero? c’erano altre considera-zioni da fare. avevo passato una parte rilevante della mia vita a creare una pratica di successo e questo mio coinvolgimento con “l’energia guaritrice” e “gli spiriti canalizzati” non le aveva recato alcun beneficio. per prima cosa, come ho già detto, alcuni dei pazienti che canalizzavano erano stati così scos-si dall’esperienza che non tornarono più. Ma non era la cosa peggiore. imma-ginatevi di andare dal chiropratico e sentire voci strane provenire dalla stanza accanto. credo che molti di voi comincerebbero a farsi delle domande...

in molte occasioni mi sono detto: “Devi essere pazzo. hai un mutuo, devi pagare la macchina e hai una attività professionale che devi mantenere per poter pagare tutto questo. resta sulla chiropratica.”

Ma non era quello che intendevano le entità quando dicevano siamo qui per dirti di continuare a fare ciò che stai facendo, e lo sapevo bene. continuavo quindi a fare questa “cosa” nuova. anche quando le guarigioni diminuivano, continuavo a lavorare con l’energia. continuavo a fare ciò che stavo facendo.

Perché proprio a me? era impossibile non pormi questa domanda. Mi è

stato detto che è una questione di ego, ma quando la propria vita viene lette-ralmente messa sottosopra ed i principi fondamentali della realtà accettati e condivisi fin dalla nascita non si applicano più, diventa difficile non porsi questa domanda.

Mi trovai a contemplare nuovamente la frase. ciò che stai facendo è por-tare luce e informazioni sul pianeta. Questo significava chiaramente che ci fosse qualcosa di più che semplicemente “guarire” le persone, almeno nel senso tradizionale della parola guarire. anche la frase “Devi sapere che sei un maestro” aveva delle precise connotazioni. il problema era che non riuscivo a pensare a me stesso come ad un candidato per il ruolo di profeta. Mi piace-va bere, mangiare, divertirmi e stare fuori tutta la notte. È anche vero che la mia passione per questi passatempi, in alcuni casi erano una vera e propria ossessione, era molto diminuita sin da quel lontano giorno a Venice Beach,

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ed ancora di più dal giorno in cui, da dietro la finestra del mio studio, avevo visto gary arrampicarsi a fatica sugli scalini. allo stesso tempo, altre persone sembravano molto più “degne”, e ciò non aveva senso.

parte di tutto questo può essere dovuto al fatto che sono un chiacchierone; avevo spesso voglia di andare in giro a parlare di queste cose. un altro motivo può anche essere il fatto che io sia bravo a ridurre le distanze, e presentarmi bene e lucido negli ospedali e nell’università dove sono spesso invitato a par-lare a medici, educatori e ricercatori di un argomento che è, per non dire altro, “al di fuori” della normalità. allo stesso modo, non ho nessun problema a parlare con le persone che si professano spiritualisti metafisici. Mentre questi due gruppi che sembrano esistere agli estremi opposti tendono a passare la maggior parte del loro tempo ad insultarsi o ad ignorarsi, io sembro possede-re l’abilità di riuscire a metterli in contatto semplicemente come persone che sono in grado di scambiarsi delle idee. Forse, alla fine della fiera, ero stato scelto molto prima di rendermene conto. Forse ero stato scelto la notte stessa in cui ero nato e mia madre era rinata, una notte in cui la magnifica Luce dis-se a mia madre che aveva un compito: crescermi. Forse, proprio in quell’istan-te, era stato scelto il mio futuro e il mio compito ed è possibile che ciò che stava accadendo era che mi stavo riconnettendo ad esso.

gUaritore, insegna a te stesso

la guarigione di gary e la seguente apparizione televisiva costituirono due punti di svolta nella mia vita. tutto d’un tratto mi trovai circondato da due tipi di persone: quelle che volevano essere guarite e quelle che volevano che io insegnassi loro a fare le guarigioni. col tempo, vari tipi di scuole e organiz-zazioni cominciarono a contattarmi con la solita richiesta.

“non puoi insegnarlo”, mi ripetevo. come avrei potuto? nessuno me lo aveva insegnato. era semplicemente... arrivato.

“certo che puoi” era l’inevitabile risposta. “Moltissime persone insegnano come guarire. le librerie sono piene di libri ed altro tipo di materiale in ma-teria”. Quelle persone cominciavano poi a snocciolare una lista di titoli ed autori, molti dei quali vi saranno sicuramente familiari. Ma più leggevo ed ascoltavo, più mi rendevo conto che, sostanzialmente, le istruzioni impartite erano niente di più che queste: “Fate stendere il vostro cliente supino (o su una sedia). Mettetevi su di un lato della persona (il vostro libro sarà felice di dirvi

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qual è il lato migliore), mettete la mano destra qui e quella sinistra lì, e poi spostate la destra dove si trova la sinistra, spostando quest’ultima più in alto lungo il corpo del vostro cliente...” (state tranquilli. non solo il libro vi dirà dove mettere le mani volta per volta, vi dirà anche da quale parte guardare e in quale direzione camminare. come se non bastasse, vi dirà anche cosa pen-sare mentre state facendo tutto ciò).

Questo, mi rendevo conto, non era guarire. era un tango, e il mondo non aveva certo bisogno di un’altra scuola di ballo.

i milioni di corsi e seminari sull’argomento non sembravano essere di mag-giore aiuto, fossero essi grandi o piccoli, economici, cari o terribilmente cari. parliamo di uno di questi. per diventare un guaritore non è necessario spen-dere quarantamila dollari per un corso quadriennale che studia altri guaritori ed ipnotisti nel corso dei secoli. parafrasando il dottor reginald gold, chiro-pratico e filosofo, tutto ciò non fa di voi un guaritore, vi rende semplicemen-te uno storico. in altre parole, molte scuole di guarigione non insegnano affat-to a guarire: insegnano la storia dei guaritori. imparerete ciò che questo guaritore o tutti i guaritori pensavano e, se siete particolarmente sfortunati, imparerete anche ciò che anche voi dovreste pensare.

ogni volta che iniziavo una nuova esperienza formativa, libro, materiale audio, seminario che fosse, le mie aspettative erano sempre alte, per poi sco-prire che mi veniva sempre offerta la solita minestra riscaldata. Quella che mi era stata proposta, era stata per così tanto tempo a temperatura ambiente che si era formata su di essa una crosta... eppure durante i seminari metà dei par-tecipanti sedevano estasiati, come se perle inestimabili di una nuova saggezza venissero servite davanti ai loro occhi. l’altra metà sedeva sorridente e ogni tanto faceva cenni affermativi con la testa. non era lo stesso cenno con il capo che si fa quando, da soli in una stanza, si legge un libro o si sente qualcuno alla radio; questi facevano cenni con movimenti così ampi per dimostrare agli altri che l’insegnante stava dicendo qualcosa che loro già sapevano, e che la loro asserzione convalidava ulteriormente la cosa per tutti quelli che si trova-vano nella stanza (ricordatevi che la ricerca della crescita spirituale non sem-pre preclude il far sentire gli altri inferiori).

suffragato dalle prove derivanti da queste esperienze, fui ancora più sicuro di ciò che avevo detto: “Non si possono insegnare le guarigioni”, e indovina-te un po’? credo ancora che sia così.

perché allora scrivo questo libro? perché mentre mi concentravo sulla ricer-ca per scoprire se (o come) la guarigione potesse mai essere insegnata, non

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notai un fenomeno che con sempre più crescente frequenza si presentava nel mio studio. un sempre maggiore numero di persone, che avevo trattato per le guarigioni, telefonava, solitamente dopo la prima seduta, per dire che, quando tornava a casa, le televisioni, gli stereo, le luci, i frigoriferi e in generale tutte le apparecchiature elettriche si accendevano e si spegnevano ad intermittenza.

raramente si verificava un’interruzione permanente, anche se poteva es-sere normale domandarselo, dal momento che gli apparecchi si potevano fer-mare per periodi di tempo compresi da qualche minuto a svariati giorni. soli-tamente, quanto più grande era l’elettrodomestico, quanto più rimaneva fuori uso. era come se gli elettrodomestici avessero acquisito una vita propria. a queste persone sembrava che in un certo qual modo comunicassero con loro. credo sia proprio così. sono dell’idea che ci sia qualcuno che dice: “ciao, siamo veramente qui. esistiamo davvero”.

le stesse persone mi dicevano di sentire qualcosa nelle loro mani, strane sensazioni: calde ed elettriche, fredde e ventilate. Mi dicevano anche che quan-do tenevano le mani vicine a qualcuno con un dolore o una sorta di malattia, molto spesso i sintomi di quella persona diminuivano o addirittura scompariva-no: la psoriasi scompariva, così come l’asma e ferite croniche, che guarivano per sempre. Questi risultati si potevano avere il giorno successivo o proprio in quel momento. col passare del tempo telefonate di questo tipo continuarono ad esserci. Fu grazie a ciò che io capii che, nonostante la guarigione non possa essere veramente “insegnata”, tale abilità può comunque essere “comunicata” alle persone. ciò che può essere insegnato è quindi la ricognizione e il perfezio-namento di questa abilità, cosa che cerco di fare mediante questo libro.

Mi decisi finalmente a chiamare una delle organizzazioni che mi aveva contattato e decisi di tenere un corso. Dissi che si occupassero di trovare le persone, dopodiché avremmo cominciato.

Quel giorno arrivò. per strada, nel traffico senza speranza dell’ora di punta di los angeles, decisi di non usare nessuno dei miei appunti. Quando entrai nella stanza erano già tutti seduti. Venticinque persone. non mi aspettavo un numero così alto. arrivai vicino al podio, lo spostai e, togliendomi le scarpe e sedendomi a gambe incrociate sul tavolo che per una strana ragione era stato messo in quel punto e sembrava essere in grado di reggermi, dissi: “so che siete venuti qui per sentire ciò che ho da dirvi stasera e non vedo l’ora di sco-prirlo anche io.”

cominciai con il raccontare cosa mi era successo nell’agosto del 1993, ri-sposi alle domande, quindi “attivai” le mani dei partecipanti. insegnai loro

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come giocare (o, se preferite, lavorare) con queste nuove frequenze energeti-che, e dopo aver detto di chiamarmi se fosse successo qualcosa di interessan-te, lasciai andare un gruppo di nuovi “guaritori” su questo pianeta che nulla sospettava.

Dopo ciò, il telefono squillò senza sosta. Di nuovo, chi poteva saperlo?

chi è lo stUdente adesso?

eccomi qui. il viaggio è stato lungo, strano, in certi momenti eccitante e a volte un po’ spaventoso, e penso di essere proprio dove dovrei stare in questo momento. che ironia della sorte: lo studente terribile, quello che non riusciva ad apprendere, che marinava la scuola e si metteva contro le autorità scolasti-che ogni volta che ciò era possibile, era diventato un insegnate. Quanto segue in questo libro è una parte di quel processo. nel condurre seminari nel corso degli anni ho scoperto che, con poche istruzioni, le persone riescono a connet-tersi con questa energia e ad usarla nel modo in cui essa vuole essere usata.

in un certo senso, imparare ad usare queste energie è come ballare bene il tango. possiamo riuscirci guardando le figure in un libro, ma la curva di ap-prendimento è molto più corta. i risultati sono migliori se si guarda un video. Ma allo stesso tempo, un video non è efficace come avere delle istruzioni di-rettamente da un insegnante qualificato.

stessa cosa in questo caso. la parte restante di questo libro vi darà molte informazioni impartite con le parole. ulteriori informazioni, comunque, sa-ranno impartite da qualcosa che non sono parole. potete chiamarle codifica-zioni, vibrazioni o in qualsiasi altro modo. così potrete iniziare a commutare e a trasportare energia dopo aver letto tutto ciò, perché, a vari gradi, l’abilità di possedere e utilizzare queste nuove frequenze è impartita a coloro che en-trano in contatto con esse, attraverso la parola scritta o con altre forme di co-municazione. no, non è la stessa cosa di un apprendimento faccia a faccia, ma è comunque un potente inizio.