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REGIONE PIEMONTE BU38S1 24/09/2015 Codice A17030 D.D. 24 luglio 2015, n. 460 D.G.R. n. 34-958 del 26/01/2015 e D.G.R. n. 16-1538 dell'8/06/2015. D.lgs n. 173/98, art. 8 e D.M. n. 350 dell'8 settembre 1999 - Individuazione dei prodotti agroalimentari tradizionali del Piemonte. Schede tecniche. Visto l’articolo 8, comma 1, del D.lgs. 30 aprile 1998, n. 173, recante disposizioni in materia di individuazione dei prodotti agroalimentari tradizionali e che prevede l’istituzione dell’elenco regionale di questi prodotti anche in riferimento ad eventuali deroghe igienico sanitarie connesse alla metodica di produzione e di stagionatura; visto il Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali 8 settembre 1999 n. 350, che stabilisce i criteri e le modalità per la predisposizione degli elenchi regionali e provinciali dei prodotti agroalimentari tradizionali e le informazioni che questi devono contenere per essere inseriti nell’elenco nazionale e le modalità da considerare per richiedere le deroghe igienico sanitarie citate; vista la circolare n. 10 del 21.12.1999 del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, integrata dalla circolare n. 2 del 24.01.2000, che specifica in dettaglio i criteri e le modalità per la predisposizione degli elenchi delle regioni e delle province autonome dei prodotti agroalimentari tradizionali previsti dal D.M. 8 settembre 1999, n. 350 anche per quanto riguarda gli elementi richiesti per l’accesso alle deroghe igienico sanitarie previste dall’art.8, comma 2 del D.Lgs. n. 173/1998; Considerato che per reperire le informazioni necessarie all’aggiornamento dell’elenco regionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, ci si é avvalsi della collaborazione degli Enti ed Organismi ritenuti competenti sul territorio piemontese chiedendo che fossero segnalate alla Direzione Agricoltura le produzioni ritenute tradizionali; Tenuto conto che, a seguito della spending review, ci si è avvalsi delle professionalità reperite all’interno della Direzione Agricoltura per l’esame delle segnalazioni pervenute; Tenuto conto che le schede relative agli allegati A (Bevande analcoliche, distillati e liquori), B (limitatamente alle carni fresche a eccezione del bovino piemontese), C (Condimenti), F (limitatamente ai cereali), H (Preparazione di pesci, molluschi e crostacei e tecniche particolari di allevamento degli stessi) e I (limitatamente al miele) devono essere ancora sottoposte a revisione; Vista la D.G.R. n. 34-958 del 26 gennaio 2015 e la D.G.R. n. 16-1538 dell’8 giugno 2015 con le quali è stato aggiornato l’elenco con l’individuazione di 336 prodotti agroalimentari tradizionali del Piemonte; Visto che con le citate D.G.R. n. n. 34-958 del 26 gennaio 2015 e D.G.R. n. 16-1538 dell’8 giugno 2015 si incaricava il Dirigente del Settore Tutela dei Prodotti Agroalimentari di definire le schede tecniche contenenti le informazioni e le richieste di deroghe ai sensi del D.M. 8/09/1999, n. 350; Visto il D.lgs. 14 marzo 2013 n. 33 in materia di obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni; Vista la circolare prot. n. 6837/SB0100 del 05.07.2013 "Prime indicazioni in ordine all’applicazione degli artt. 15, 26 e 27 del D.lgs. 33/2013 “Riordino della Disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle Pubbliche Amministrazioni”;

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REGIONE PIEMONTE BU38S1 24/09/2015

Codice A17030 D.D. 24 luglio 2015, n. 460 D.G.R. n. 34-958 del 26/01/2015 e D.G.R. n. 16-1538 dell'8/06/2015. D.lgs n. 173/98, art. 8 e D.M. n. 350 dell'8 settembre 1999 - Individuazione dei prodotti agroalimentari tradizionali del Piemonte. Schede tecniche. Visto larticolo 8, comma 1, del D.lgs. 30 aprile 1998, n. 173, recante disposizioni in materia di individuazione dei prodotti agroalimentari tradizionali e che prevede listituzione dellelenco regionale di questi prodotti anche in riferimento ad eventuali deroghe igienico sanitarie connesse alla metodica di produzione e di stagionatura; visto il Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali 8 settembre 1999 n. 350, che stabilisce i criteri e le modalit per la predisposizione degli elenchi regionali e provinciali dei prodotti agroalimentari tradizionali e le informazioni che questi devono contenere per essere inseriti nellelenco nazionale e le modalit da considerare per richiedere le deroghe igienico sanitarie citate; vista la circolare n. 10 del 21.12.1999 del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, integrata dalla circolare n. 2 del 24.01.2000, che specifica in dettaglio i criteri e le modalit per la predisposizione degli elenchi delle regioni e delle province autonome dei prodotti agroalimentari tradizionali previsti dal D.M. 8 settembre 1999, n. 350 anche per quanto riguarda gli elementi richiesti per laccesso alle deroghe igienico sanitarie previste dallart.8, comma 2 del D.Lgs. n. 173/1998; Considerato che per reperire le informazioni necessarie allaggiornamento dellelenco regionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, ci si avvalsi della collaborazione degli Enti ed Organismi ritenuti competenti sul territorio piemontese chiedendo che fossero segnalate alla Direzione Agricoltura le produzioni ritenute tradizionali; Tenuto conto che, a seguito della spending review, ci si avvalsi delle professionalit reperite allinterno della Direzione Agricoltura per lesame delle segnalazioni pervenute; Tenuto conto che le schede relative agli allegati A (Bevande analcoliche, distillati e liquori), B (limitatamente alle carni fresche a eccezione del bovino piemontese), C (Condimenti), F (limitatamente ai cereali), H (Preparazione di pesci, molluschi e crostacei e tecniche particolari di allevamento degli stessi) e I (limitatamente al miele) devono essere ancora sottoposte a revisione; Vista la D.G.R. n. 34-958 del 26 gennaio 2015 e la D.G.R. n. 16-1538 dell8 giugno 2015 con le quali stato aggiornato lelenco con lindividuazione di 336 prodotti agroalimentari tradizionali del Piemonte; Visto che con le citate D.G.R. n. n. 34-958 del 26 gennaio 2015 e D.G.R. n. 16-1538 dell8 giugno 2015 si incaricava il Dirigente del Settore Tutela dei Prodotti Agroalimentari di definire le schede tecniche contenenti le informazioni e le richieste di deroghe ai sensi del D.M. 8/09/1999, n. 350; Visto il D.lgs. 14 marzo 2013 n. 33 in materia di obblighi di pubblicit, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni; Vista la circolare prot. n. 6837/SB0100 del 05.07.2013 "Prime indicazioni in ordine allapplicazione degli artt. 15, 26 e 27 del D.lgs. 33/2013 Riordino della Disciplina riguardante gli obblighi di pubblicit, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle Pubbliche Amministrazioni;

Vista la circolare prot. n. 5371/SB0100 del 22/04/2014 D. Lgs. 33/2013 Amministrazione trasparente messa in linea della piattaforma funzionale agli obblighi di pubblicazione; Vista la circolare prot. n. 614/A17000 del 14/01/2015 attuazione disposizione Piano triennale di prevenzione della corruzione (PTPC) e del Codice di comportamento. Trasmissione nota di attuazione della Misura 8.1.11 del PTPC e richiamo della nota di attuazione della Misura 8.1.7.); Tutto ci premesso

IL DIRIGENTE

visti gli artt. 4 e 17 del D.lgs. n. 165/2001 Norme generali sullordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; visti gli artt. 17 e 18 della L. R. 23 del 28/07/08 Disciplina dellorganizzazione degli uffici regionali e disposizioni concernenti la dirigenza e il personale; vista la D.G.R. n. 34-958 del 26 gennaio 2015; attestata la regolarit amministrativa del presente atto;

determina - di approvare le schede tecniche (allegate alla presente determinazione per farne parte integrante) contenenti le informazioni e le richieste di deroghe dei prodotti di cui allallegato alle D.G.R. n. 34-958 del 26 gennaio 2015 e D.G.R. n. 16-1538 dell8 giugno 2015, Categorie A, B, C, D, E, F, G, H, I; - di prendere atto che le suddette schede potranno essere oggetto di successivi aggiornamenti periodici sia per quanto riguarda le informazioni contenute nelle relative schede identificative, sia per le schede di deroga; - di considerare superata la D.D. 10/10/2013 n. 879 che viene quindi abrogata. La presente determinazione sar pubblicata sul B.U. della Regione Piemonte ai sensi dell'art. 61 dello Statuto, e dellart. 5 della L.R. 22/2010.

Il Dirigente del Settore Alessandro CAPRIOGLIO

Allegato

Categoria A Prodotto n. 1 1) CATEGORIA: BEVANDE ANALCOLICHE, DISTILLATI E LIQ UORI

2) NOME DEL PRODOTTO: BICERIN

3)CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E TECNICHE DI PRODUZ IONE, CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, U NIFORMI E COSTANTI Il bicerin una tipica bevanda calda torinese che viene servita in un caratteristico bicchiere dal manico in metallo, da cui il termine piemontese bicerin (piccolo bicchiere). La bevanda, la cui ricetta segreta, ottenuta da particolari miscele di cacao, caff, e latte intero. La selezione delle materie prime la fase pi delicata per ottenere un ottimo bicerin. Per il cacao la lavorazione inizia dalla torrefazione che molto lenta per permettere al cuore delle fave di cuocere senza bruciare lesterno. Le trasformazioni che avvengono durante la tostatura sono di natura chimico-fisiche e portano alla reazione di Maillard la quale consiste nella condensazione tra zuccheri riduttori e aminoacidi da cui si evolvono i composti aromatici ed i pigmenti caratteristici del cacao. Le fave raffreddate vengono frantumate per eliminare la buccia (parte legnosa), raffinate e concate. La concatura serve ad ottenere la qualit reologica ottimale. Segue la pressatura che serve a togliere parte del burro di cacao onde ottenere la polvere. Una polvere ricca di materia grassa rende il bicerin particolarmente denso. Questa polvere con aggiunta di zucchero di canna e aromi naturali viene cotta per varie ore in appositi recipienti. La crema ottenuta deve sempre essere mantenuta a semi-ebollizione. Il caff e il fior di latte si preparano ancora con lantico metodo secondo la segreta ricetta. Gli ingredienti vengono infine uniti caldi e lasciati riposare alcuni minuti prima di essere serviti. Il raffreddamento permette di dare pi consistenza ai liquidi. Non prevista conservazione del prodotto finito, in quanto il bicerin viene preparato allistante e le proporzioni degli ingredienti possono cambiare secondo il gusto.

4) ZONA DI PRODUZIONE La produzione del bicerin avviene ancora in alcune caffetterie torinesi.

5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE E LIMBALLAGGIO DEL PRODOTTO INDIC ATO NELLA PRESENTE SCHEDA La produzione della particolare polvere di cacao e aromi avviene in laboratorio con apposite macchine di tostatura e macinatura. Fra le materie prime sono inclusi il cacao intero, il caff lavato del centro America, il latte intero. Il bicerin viene servito in piccoli bicchieri in vetro aventi un manico in metallo.

6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI PRODUZIONE I locali dove vengono effettuate le operazioni di produzione del bicerin rispettano le attuali normative riguardanti ligiene degli alimenti.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE TECNICHE DI PRO DUZIONE SONO

CONSOLIDATE NEL TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Secondo alcuni studiosi, la formula del bicerin legata allomonimo locale storico denominato Caff Al Bicerin che si trova a Torino in piazza della Consolata. In tale caff, risalente al 1763, si

tramandata nel tempo la ricetta originale del bicerin. Secondo altri, il bicerin sarebbe stato creato fin dai primi anni del Settecento (qualcuno parla esplicitamente di 1704), nel caff Florio di contrada Di Po (ora via Po), a Torino. Nel 1800 in ogni caso, con il sorgere dei locali pubblici, il bicerin divenne la bevanda abituale del mattino dei torinesi-bene: servita in un bicchiere con protezione e manico di metallo denominato appunto bicerin. Qualcuno la chiam anche bicerin d Cavour con evidente riferimento al fatto che il grande Statista subalpino ne era probabilmente abituale consumatore. Del bicerin ha scritto addirittura Alexandre Dumas: Parmi les belles et bonnes choses remarques Turin, je noublierai jamais le bicerin, sorte dexcellente boisson compose de caf, de lait et du chocolat, quon sert dans tuouts les cafs, un prix relativement trs bas. Dumas fu a Torino nellagosto 1852. Testimonianza della produzione del bicerin secondo loriginale ricetta sono le signore Ida e Olga Cavalli che hanno gestito il caff sopracitato negli anni dal 1917 al 1971. Bibliografia: Dina Rebaudengo, Vecchia Torino, Teca, 1961 Chiara Ronchetta, Botteghe e negozi, Torino 1815-1925, Allemandi, 1984 Massimo Alberini, Piemontesi a tavola. Itinerario gastronomico da Novara alle Alpi. Longanesi, Milano, 1967 Sandro Doglio, Le cose buone del Piemonte, UCCIAA del Piemonte, San Giorgio di Montiglio (AT), 1995

Categoria A Prodotto n. 2

1) CATEGORIA: BEVANDE ANALCOLICHE, DISTILLATI E LIQ UORI 2) NOME DEL PRODOTTO: GARUS SUSINO 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E TECNICHE DI PRODU ZIONE CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIF ORMI E COSTANTI Il Garus Susino ottenuto dalla lavorazione di una miscela di spezie esotiche, evidentemente giunte in Val di Susa nel corso dei traffici medievali. Infatti, si basa su una formulazione che comprende mirra, cannella, noce moscata, chiodi di garofano, aloe, capelvenere, zucchero grezzo di canna, acqua di fiori darancio e zafferano. La preparazione complessa, infatti, una parte dei componenti viene distillata, mentre altri sono aggiunti alla soluzione di zucchero grezzo, ed infine lo zafferano unito al prodotto gi preparato. La gradazione alcolica varia da 20% a 40% vol. 4) ZONA DI PRODUZIONE Lelisir indubbiamente di origine francese, dove, per il nome era Elixir de Garrus; nel passato, tuttavia, conobbe una discreta fama e diffusione anche in Val di Susa. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATE PER

LOTTENIMENTO DEL PRODOTTO INDICATO NELLA PRESENTE SCHEDA Le attrezzature consistono in recipienti di acciaio inox nei quali sono messe in infusione alcolica le piante ed in alambicchi a distillazione lenta. Miscelatori di acciaio inox sono impiegati per unire al distillato ottenuto lo sciroppo di zucchero che attenua la gradazione alcolica del prodotto che, dopo un periodo di riposo in altri recipienti inox, viene filtrato e imbottigliato in recipienti di vetro. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI PRODUZIONE I locali di produzione e conservazione del prodotto rispettano le attuali normative in materia igienico sanitaria. 7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE TECNICHE DI PRO DUZIONE SONO

CONSOLIDATE NEL TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

La tradizionalit del prodotto documentata dal fatto che le ricette di preparazione impiegano unit di misure arcaiche come mezze once, scrupoli, grossi e pinte. Esistono documenti sulla produzione in valle di Susa sin dal 1800. Sul giornale locale Lindipendente del 1902, esiste una pubblicit della ditta Vighetto Giuseppe di Susa riportata sul volume di Giorgio Jannon Cronache di ieri. I tempi moderni nelle valli di Susa e Sangone 1887-1909 Editrice Morra, 1996, pag. 36).

Categoria A Prodotto n. 3

1) CATEGORIA: BEVANDE ANALCOLICHE, DISTILLATI E LIQ UORI 2) NOME DEL PRODOTTO: LIQUORI DI ERBE ALPINE 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E TECNICHE DI PRODU ZIONE

CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIF ORMI E COSTANTI In tutte le vallate alpine piemontesi tradizionale la preparazione di liquori a base di varie tipologie di erbe spontanee o anche coltivate (come avviene, ad esempio, per larquebuse e attualmente anche per il genepy). Per la loro preparazione le erbe, dopo unattenta selezione e pesatura per un giusto dosaggio, vengono poste a macerare e cio lasciate per un certo tempo in infusione in alcol etilico puro o in una miscela di alcol etilico e acqua che, a temperatura ambiente, ne estrae i principi solubili. La soluzione risultante viene tagliata con acqua pi o meno dolcificata per portarla a una gradazione alcolica variabile generalmente tra i 25 e i 35 gradi e poi pi volte filtrata per ottenere la dovuta brillantezza. I liquori di erbe alpine si ottengono senza laggiunta di aromi artificiali. Le erbe alpine utilizzate per i diversi liquori sono principalmente: Achillea Moschata; - Arquebuse; Artemisia; Carvi semi; Genepy maschio; Genziana radice; Genzianella fiori; Ginepro bacche; Imperatoria radice; Menta piperita; Timo serpillo Tra i vari liquori di erbe alpine prodotti in Piemonte si possono ricordare, a titolo esemplificativo:

Amaro Dragonet, Amaro Chiot, Amaro delle Montagne di Cesana, Arquebuse, liquore Saint Veran, liquore di Erba Bianca (Achillea Moschata), Genzianella, Elisir di Genziana ed Erbe Alpine, Achillea Moscata, Centerbe.

Per i liquori amari, il semilavorato base viene principalmente ottenuto per infusione in alcool delle piante o radici; alla distillazione si ricorre per alcune specie al fine di ottenere particolari aromi. Per i liquori a tono pi amaro, la miscela viene dolcificata con sciroppo di acqua e zucchero con leventuale aggiunta di zucchero caramellato, sempre senza aggiunta di altri coloranti. La tecnica successiva di lavorazione inizialmente simile a quella del Genepy. Dopo il filtraggio per renderli brillanti, i liquori pi amari necessitano di un pi lungo periodo di stagionatura prima dellimbottigliamento. I prodotti si presentano con colorazione naturale, con tonalit pi o meno intense. 4) ZONA DI PRODUZIONE I liquori di erbe alpine in oggetto vengono prodotti in tutto il Piemonte.

5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATE PER LOTTENIMENTO DEL PRODOTTO INDICATO NELLA PRESENTE SCHEDA I fiori, le piante e le radici essiccate vengono trasportate in contenitori idonei allo stabilimento dove vengono controllate, selezionate e, se non vengono subito poste in infusione alcolica, sono conservate in appositi recipienti aerati. La lavorazione viene effettuata in recipienti ed attrezzature di acciaio inossidabile ed il liquore viene imbottigliato nel vetro. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI PRODUZIONE I montanari conservano le specie alpine nelle loro abitazioni; nel liquorificio la lavorazione e limbottigliamento avvengono in appositi locali (infusione e distillazione, lavorazione e invecchiamento, filtrazione ed imbottigliamento) che rispettano le attuali normative igienico sanitarie e la normativa riguardante la produzione di alcolici e superalcolici.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE TECNICHE DI PRO DUZIONE SONO

CONSOLIDATE NEL TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Lutilizzo delle specie spontanee raccolte dai montanari per produrre liquori risale a quasi un secolo e mezzo fa.

Categoria A Prodotto n. 4

1) CATEGORIA: BEVANDE ANALCOLICHE, DISTILLATI E LIQ UORI 2) NOME DEL PRODOTTO: NOCCIOLINO DI CHIVASSO 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E TECNICHE DI PRODU ZIONE CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIF ORMI E COSTANTI Il nocciolino di Chivasso un liquore dolce al 24% di alcool a base di infuso di nocciole. Le nocciole vengono messe in infusione in alcool per permettere lestrazione degli oli essenziali tipici. La miscela di acqua, alcool, infuso naturale di nocciole, aromi ed infusi particolari per larrotondamento del gusto avviene in contenitori di acciaio inox. 4) ZONA DI PRODUZIONE Il Nocciolino viene prodotto nel Comune di Chivasso e nelle zone limitrofe. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATE PER LOTTENIMENTO DEL PRODOTTO INDICATO NELLA PRESENTE SCHEDA La miscelazione e linvecchiamento del prodotto avvengono in contenitori di acciaio inox. Per la filtrazione a freddo ci si serve di pannelli filtranti; limbottigliamento ed il confezionamento avvengono con macchine semiautomatiche. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI PRODUZIONE I locali dove avviene la produzione del Nocciolino sono distillerie che rispettano le attuali normative riguardanti ligiene degli alimenti.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE TECNICHE DI PRO DUZIONE SONO

CONSOLIDATE NEL TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Il Nocciolino stato ideato e brevettato dalla ditta Capella Giovanni di Chivasso, negli anni immediatamente successivi il secondo conflitto mondiale. Nel 1950, la ditta Capella ottenne dal Comune di Chivasso lautorizzazione a fregiare le etichette ed il marchio di fabbrica del prodotto con lo stemma gentilizio della citt. La ditta Capella deposit il marchio allUfficio Centrale dei brevetti, modelli e marchi presso il Ministero dellIndustria e del Commercio nel 1959. Attualmente prodotto da diverse aziende.

Categoria A Prodotto n. 5

1) CATEGORIA: BEVANDE ANALCOLICHE, DISTILLATI E LIQ UORI 2) NOME DEL PRODOTTO: OLIO ESSENZIALE DI MENTA PIPE RITA PIEMONTE O PANCALIERI PIEMONTE 3) CARATTERISTICHE DELLE VARIETA LOCALI DA SALVAGU ARDARE,

METODICHE DI COLTIVAZIONE E/O VOCAZIONALITA TERRIT ORIALE CONSOLIDATE NEL TEMPO

Lolio essenziale greggio di menta piperita ottenuto dalla distillazione in corrente di vapore dellerba verde in pianta intera proveniente dalla coltivazione della Menta Piperita nera (Black Mint), corrispondente alla specie botanica Menta Piperita variet Officinalis sole, forma Rubenscens, Camus, nota come Menta di Mitcham (localit del Surrey, Inghilterra), in omaggio alla zona inglese dove se ne iniziarono le prime coltivazioni. Lolio essenziale presenta un aspetto limpido, incolore o giallo pagliarino assai fluido, un aroma forte, penetrante, caratteristico di menta, un sapore pepato e lascia in bocca una persistente sensazione di freschezza seguita da una leggera punta di amaro. La menta Piperita si propaga mediante piantine fogliate, estirpate manualmente e trapiantate quando la loro altezza di 10-15 cm, in quanto i semi sono sterili. I terreni migliori per la coltivazione sono di natura argilloso-silicea perch il sottosuolo sempre umido. Essi sono sciolti o di media compattezza, limosi. La sabbia che rappresenta il 50-60% del volume finissima e consente una buona percolazione dellacqua. Largilla fine o finissima ed apporta una buona fertilit al terreno. I terreni hanno un pH prossimo alla neutralit (pH 6.8 7.4). Al fine di ottenere lolio essenziale, la raccolta viene effettuata nel periodo di piena fioritura verso la met di agosto. La resa massima in olio essenziale per ettaro di coltura di circa 65 litri. La distillazione in corrente di vapore realizzata per mezzo di alambicchi in metallo, di capacit variabile, costituiti da un corpo contenitore del prodotto da distillare, da un coperchio o duomo, e da una serpentina refrigerata per la condensazione delle frazioni volatili. Il vapore necessario per la distillazione pu essere prodotto direttamente, mediante immissione di acqua nel contenitore dellalambicco e per mezzo di una sorgente di calore posta al di sotto dello stesso, oppure indirettamente qualora venga generato da una caldaia a parte ed insufflato nel contenitore attraverso apposito impianto alla temperatura massima di 105 C (vapore saturo). In ambedue i casi le attrezzature sono dotate di apparecchiature per il controllo della temperatura e della pressione. Le operazioni di distillazione, dirette allottenimento dellolio, sono effettuate nello stesso areale dove avviene la produzione. Lolio essenziale ricavato dalla distillazione dellerba verde, prima del suo utilizzo, deve essere sottoposto ad una o pi ridistillazioni sottovuoto, denominate rettifica o plurirettifica, per ridurre percentualmente taluni elementi indesiderati, tra i quali i terpeni, e migliorare le caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche Lolio essenziale di menta piperita pu essere impiegato nellindustria liquoristica, dolciaria e farmaceutica. 4) ZONA DI PRODUZIONE Le zone vocate sono larea ristretta lungo il Po e i suoi affluenti (Pellice, Varaita, Macra), compresa tra Carignano e Villafranca Piemonte con centro in Pancalieri (To), comprendente comuni della Provincia di Torino e di Cuneo.

5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATE PER LA CONSERVAZIONE E/O LIMBALLAGGIO DEL PRODOTTO ORTOFR UTTICOLO INDICATO NELLA PRESENTE SCHEDA

La distillazione in corrente di vapore realizzata per mezzo di alambicchi in acciaio inossidabile di capacit variabile in regola con le attuali disposizioni di legge. Dopo loperazione di distillazione in corrente di vapore, la menta deve essere refrigerata prima di essere imbottigliata e immessa in consumo. Lolio essenziale di menta deve essere conservato in fusti di acciaio inox od alluminio, ben sigillati, per evitare lossidazione. Lolio essenziale di menta pu essere utilizzato dopo sei mesi dalla distillazione. Il prodotto, una volta distillato, se conservato in ambienti freschi, con scarsa luminosit, non perde le sue caratteristiche negli anni. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI CONFEZIONAMENTO E/O DI CONSERVAZIONE La menta deve essere stoccata in appositi magazzini. Durante la lavorazione in distilleria, il locale essenze deve essere separato dalle zone di preparazione della carica dellalambicco o di riempimento dellalambicco. Tutte queste operazioni si svolgono in appositi locali rispondenti alle normative in materia legale. 7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE LA VOCAZIONALITA TERR ITORIALE

CONSOLIDATA NEL TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI DEL PRODOTTO ORTOFRUTTICOLO INDICA TO NELLA PRESENTE SCHEDA

La Menta Piperita nera venne introdotta in Italia nel 1903 da Honor Carles, associatosi nel 1901 a Giovanni Varino fondatore della omonima distilleria di Pancalieri nel 1870. Dal 1908 questa specie botanica si diffuse velocemente sia per le rese in campo, remunerative per gli agricoltori, sia per le rese in essenza, remunerative per i distillatori. Notizie sulla coltivazione delle mente in Piemonte risalgano al XVIII secolo, come riportato dalla Iconographia Taurinensis, conservata nella biblioteca dellOrto Botanico di Torino, ora Dipartimento di Biologia Vegetale della Facolt di Agraria dellUniversit degli Studi di Torino. Negli anni 20, numerose distillerie di menta sorsero nel Pancalierese. Dal dopoguerra ad oggi, la coltivazione di menta rimane vincolata alla zona del Pancalierese, ampliandosi o contraendosi secondo il trend di mercato dellolio essenziale, con il particolare della graduale acquisizione, da parte dellazienda agricola, del mezzo strumentale (alambicco) necessario per effettuare in proprio loperazione di distillazione. Ci naturalmente consente di affermare che, anche se delle distillerie avanti citate, al giorno doggi ne rimangono poche, il prodotto, vale a dire lolio essenziale greggio di menta piperita, continua ad essere presente sul mercato per le sue inconfondibili eccellenti caratteristiche. Bibliografia: Paolo Rovesti, LIndustria dellessenza di menta in Italia, Lindustria chimica, Il notiziario chimico industriale, Agosto 1930 Aldo Pesante, La verticilliosi della menta (Mentha Piperita L.) in Piemonte, Bollettino del laboratorio sperimentale e osservatorio di fitopatologia, N. 2, luglio-Dicembre Guido Rovesti, La menta piperita e la sua industria in Italia, Rivista Italiana Essenze e profumi, Milano, marzo 1929 Giovanni Fenaroli, Sostanze Aromatiche Naturali, Ed. Hoepli 1963, Milano

Categoria A Prodotto n. 6

1) CATEGORIA: BEVANDE ANALCOLICHE, DISTILLATI E LIQ UORI 2) NOME DEL PRODOTTO: RATAFIA 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E TECNICHE DI PRODU ZIONE

CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIF ORMI E COSTANTI Il Ratafi un liquore a base di ciliegie nere, di moderata gradazione alcoolica (alc. 26% Vol.). La produzione avviene miscelando il succo di ciliegie in soluzione idroalcoolica, zucchero e aromi. Non ci sono problemi legati alla conservazione. 4) ZONA DI PRODUZIONE Attualmente la produzione limitata alla provincia di Biella. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATE PER LOTTENIMENTO DEL PRODOTTO INDICATO NELLA PRESENTE SCHEDA La produzione avviene in contenitori di acciaio inox. Il prodotto confezionato in bottiglie viene messo in commercio seguendo le disposizioni di leggi. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI PRODUZIONE La produzione e limbottigliamento si svolgono in appositi locali rispondenti alle normative in materia di igiene.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE TECNICHE DI PRO DUZIONE SONO

CONSOLIDATE NEL TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

La tradizione ultra centenaria del prodotto attestata da documenti storici di vario genere nonch dalle varie onorificenze ottenute dal Ratafi tra cui quella del 1891 del 1914. Bibliografia: Anonimo, Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi, Carlo Giuseppe Ricca, Torino, 1766 Anonimo, Il confetturiere piemontese, Beltramo Antonio Re, Torino, 1790 AA.VV., Tradizioni Italiane, Torino, 1848 Giovanni Vialardi, Trattato di cucina e pasticceria moderna, Tip. Favale, Torino, 1854 Massimo Alberini, Piemontesi a tavola, Longanesi, Milano, 1967 Tavo Burat e Giorgio Lozia, Lan-ca da f (La casa del fuoco), De Alessi editore, Biella, 1989 Sandro Doglio, Il dizionario di gastronomia del piemonte, Daumerie, San Giorgio di Montiglio, 1990

Categoria A Prodotto n. 7

1) CATEGORIA: BEVANDE ANALCOLICHE, DISTILLATI E LIQ UORI 2) NOME DEL PRODOTTO: ROSOLIO 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E TECNICHE DI PRODU ZIONE

CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIF ORMI E COSTANTI Il nome Rosolio significa letteralmente Olio di Rose e richiama il fatto che la bevanda ha viscosit tale da richiamare quella dellolio ed profumato alla Rosa. In termini pi poetici, ma improponibili, significherebbe Ros Solis (Rugiada di Sole). Il Rosolio un liquore a bassa gradazione alcolica ed elevato contenuto di zucchero (intorno al 50%) che pu avere come sapore base unampia gamma di ingredienti, fra i quali langelica, lanice, le arance, lassenzio, il cacao, il caff, la cannella, il cassis, il cedro, le rose, il sedano, il the e la vaniglia. Sino dal 700, aveva una certa fama (diffusa anche in Francia) un Rosolio di Torino, preparato impiegando rose, anice, mandorle amare, finocchio, semi di albicocche, colorato in rosso con cocciniglia. Il Rosolio nasce tra la fine del 600 e linizio del 700, nel momento in cui diventa accessibile (almeno in termini di quantit se non di economicit) lo zucchero sufficientemente raffinato. Il Rosolio quasi completamente caduto in disuso ed alcune recenti riprese non hanno rispettato i canoni tradizionali (se la parte aromatica non sufficientemente consistente il prodotto risulta stucchevole). 4) ZONA DI PRODUZIONE La produzione avveniva in tutto il Piemonte, ma in particolare nel torinese. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATE PER

LOTTENIMENTO DEL PRODOTTO INDICATO NELLA PRESENTE SCHEDA Le attrezzature sono quelle utilizzate in distilleria. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI PRODUZIONE I locali di produzione e conservazione possono rispettare le attuali normative in materia igienico-sanitaria. 7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE TECNICHE DI PRO DUZIONE SONO

CONSOLIDATE NEL TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

La tradizionalit del prodotto documentata da ricettari stampati e manoscritti settecenteschi e ottocenteschi e da unampia letteratura tecnica, a cavallo fra 800 e 900. Bibliografia: Anonimo, Il confetturiere piemontese, Beltramo Antonio Re, Torino, 1790 Giovanni Vialardi, Trattato di cucina e pasticceria moderna, Tip. Favale, Torino, 1854 Sandro Doglio, Il dizionario di gastronomia del piemonte, Daumerie, San Giorgio di Montiglio, 1990

Categoria A Prodotto n. 8

1) CATEGORIA: BEVANDE ANALCOLICHE, DISTILLATI E LIQ UORI 2) NOME DEL PRODOTTO: VERMUT o VERMOUTH 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E TECNICHE DI PRODU ZIONE

CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIF ORMI E COSTANTI Il vermut deve il suo nome allassenzio (Artemisia Absinthium), che viene usato nella sua preparazione e d a esso unaroma ed uno speciale sapore amaro. Il vermut un vino aromatizzato. Esso si prepara aggiungendo ai vini bianchi e specialmente ai moscati, dellalcool affinch il titolo alcolometrico volumico totale sia uguale o superiore a 17,5% Vol, dello zucchero di canna in quantit variabile a seconda dei casi e dellestratto o concia in proporzioni tenute gelosamente segrete dai singoli fabbricanti. Lestratto o concia (secondo le ricette originali primitive) deve essere il risultato di unoperazione di macerazione in alcool a freddo o di una infusione o digestione in alcool e vino a caldo di differenti droghe ed erbe aromatiche preventivamente pestate o macinate, a seconda della loro natura, le quali variano di qualit e di proporzioni a seconda delle ricette. Alcuni, per ricavare tutti gli aromi contenuti nelle droghe e nelle erbe, operano, invece, sottoponendole alla distillazione, dopo averle tenute per alcuni giorni in infusione nel vino o in un vino addizionato di 1/3 di alcool. Si ricava, cos, un alcool aromatizzato che, aggiunto al vino, gli impartisce il sapore ed il profumo del vermut. Un buon vermut non deve avere un grado alcolico superiore a 18% Vol e non deve essere n troppo profumato (aromatico), n troppo amaro. Le sostanze che servono per aromatizzare il vermut provengono da foglie, fiori, semi, radici, bulbi e cortecce di piante diverse. Sotto forma di essenze o di droghe, in quantit e combinazioni diverse, esse formano le molte ricette, tenute segrete dai singoli fabbricanti, atte a caratterizzare i vari tipi di vermut. Fra le erbe aromatiche comunemente usate nella fabbricazione dei vini vermut, pi importanti fra tutte sono le Artemisie o Assenzi. Esse costituiscono un genere assai ricco di specie, ma di queste soltanto alcune sono da preferirsi per finezza di profumi e di sapori aromatici, prime fra tutte l Artemisia Pontica, la Vallesiaca, l Abrotanum, lA rborescens. Altre erbe aromatiche e droghe utilizzate sono: Achillea, Angelica, Assenzio gentile alpino, Assenzio ordinario, Badiana, Calamo aromatico, Camedrio, Cannella, Cardamomo, Cardo santo, Cassia, Centaurea minore, Cerea, China, Chiodi di garofano, Coriandoli, Cortecce di aranci, Dittamo, Enula, Fave tonka, Fiori di lavanda o di spigo, Fiori di rosa, Galanga, Genziana, Gomma Dragante, Gomma elemi, Iride fiorentina, Issopo, Legno quassio, Lingua cervina, Maggiorana, Mandorle di pesca, Marrobbio, Noci moscate, Polmonaria, Rabarbaro, Salvia, Sambuco, Seme santo, Tanaceto, Timo, Vaniglia, Veronica, Zafferano, Zedoaria, Zenzero. 4) ZONA DI PRODUZIONE Il vermut prodotto in tutto il Piemonte.

5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATE PER

LOTTENIMENTO DEL PRODOTTO INDICATO NELLA PRESENTE SCHEDA Il processo di preparazione del vermut consiste nelle seguenti fasi: scelta degli ingredienti, macerazione in alcool a freddo o infusione in alcool e vino a caldo o distillazione delle differenti droghe ed erbe aromatiche e imbottigliamento. La lavorazione viene effettuata in recipienti ed attrezzature di acciaio inossidabile e il liquore viene imbottigliato nel vetro.

6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI PRODUZIONE Nel liquorificio, la lavorazione e limbottigliamento avvengono in appositi locali realizzati secondo le norme igieniche vigenti.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE TECNICHE DI PRO DUZIONE SONO

CONSOLIDATE NEL TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

La fama del vermut indissolubilmente legata al Piemonte e a Torino, in particolare, dove, alla fine del 1700, era una vera e propria arte la preparazione di questo vino aromatico. E uno dei pi interessanti e tipici vini aromatizzati italiani. La vecchia grafia del nome stesso era vermut (o Wermouth, o Wermuth). Lorigine di questo nome non sicura; generalmente si fa risalire al tedesco Wermuth assenzio (Artemisia absinthium). Si vuole che un vino di questo genere fosse gi preparato nellantichit dai Romani, sotto il nome di Absinthiatum (o Absinthianum) vinum. Il primo autore italiano che parla di questo vino C. Villifranchi, nella sua Oenologia toscana (1773). Il primo produttore e negoziante di vermut fu Antonio Benedetto Carpano che, nel 1786, aveva il suo negozio nel cuore di Torino. Un altro famoso negozio era quello di Rovero che annoverava il re Carlo Alberto tra la sua clientela. Nel 1838, i primi a saggiare le vie dellesportazione furono i fratelli Giuseppe e Luigi Cora. Il loro esperimento di vendita in America ebbe notevole successo, tanto che la Casa Cora si dovette ingrandire. Da questo momento, altri stabilimenti per la produzione di vermut sorsero nelle province viticole piemontesi. Molte importanti Case parteciparono del successo internazionale di questa bevanda: Bartolomeo Dettoni, Carlo Gancia, Alessandro Martini, Francesco Cinzano, Giuseppe Ballor. La presenza e la produzione di vermut nel torinese stata documentata da studi storici locali. Bibliografia: Giovanni Vialardi, Trattato di cucina e pasticceria moderna, Tip. Favale, Torino, 1854 Paolo Monelli, Il ghiottone errante, Treves Editori, Milano, 1935 Massimo Alberini, Piemontesi a tavola, Longanesi, Milano, 1967 Sandro Doglio, Il dizionario di gastronomia del piemonte, Daumerie, San Giorgio di Montiglio, 1990 Dino Villari, Storia di Antonio Benedetto Carpano, linventore del vermuth, Cinquantanni di pubblicit in Italia, 1957

Categoria B Prodotto n. 01 1) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: AGNELLO BIELLESE 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI

Caratteristiche La razza ovina biellese la principale razza autoctona del Piemonte, originaria della zona del biellese poi diffusasi soprattutto nelle province di Torino e Cuneo. Lattitudine produttiva prevalente la produzione di carne. Le pecore biellesi sono allevate con il sistema transumante, con utilizzazione dell'alpeggio per un periodo invernale in ovile in fondo valle o in pianura. La produzione principale l'agnello leggero di 15-20 kg nato nel tardo autunno, dopo il rientro delle pecore dall'alpeggio, allattato dalla madre e venduto per Natale. La monta di recupero autunnale dar gli agnelli pasquali. una produzione stagionale che va da novembre- dicembre ad aprile. La resa elevata, la carne risulta magra e di colore rosso chiaro. Dato il sistema di allevamento delle madri e lalimentazione a base di solo latte materno, la carne degli agnelli particolarmente pregiata. Metodiche di lavorazione La lavorazione consiste essenzialmente nella macellazione del capo. 4) ZONA DI PRODUZIONE Tutto il Piemonte e in particolare tutte le province di Torino, Cuneo e Biella. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA

PREPARAZIONE, IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DE I PRODOTTI 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVAZ IONE E

STAGIONATURA Nessun macello specializzato, utilizzati i macelli a capacit limitata per bovini.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI L AVORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Bibliografia: P. Tricerri, Gli ovini biellesi, Rivista di Zootecnia, 1927 V. Vezzani, La selezione della pecora biellese, Ann. Accademia dell'Agricoltura di Torino, 1954 A. Ubertalle, Errante J., L'allevamento ovino in Piemonte, Piemonte agricoltura, supplemento al n.11 - 1984 J. Errante, Attitudine alla produzione della carne della razza ovina biellese-II, Il Vergaro, 1984 J. Errante, P. Mazzocco, M. Profiti, Valutazione qualitativa di carcasse di agnelli biellesi, Atti Convegno "Parliamo di carni complementari", Fossano, 14-15/10/1993

Categoria B Prodotto n. 02

1) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: AGNELLO SAMBUCANO 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI

Caratteristiche La razza ovina sambucana (detta anche demontina) una razza tradizionale tipica della Valle Stura di Demonte a triplice attitudine, cio in grado di fornire carne, lana e latte, anche se in limitata quantit. Gli animali sono allevati in allevamenti stanziali in valle e generalmente per almeno 4 mesi in alpeggio. L agnello sambucano viene prodotto in due tipologie: - agnello di produzione primaverile comunque non leggero (18 24 kg). - agnellone prodotto in autunno dopo che lanimale ha seguito la pecora al pascolo ed e si alimentato solo con latte di pecora e con pascolando Lagnellone detto anche Tardoun in quanto viene utilizzato per lallevamento lagnello nato tardivamente in primavera e quindi troppo leggero per essere macellato come agnello. Vi sono anche alcune esperienze relative alla produzione della lana e di formaggi prodotti con il latte delle pecore sambucane. In Valle Stura sono presenti ca. 5.000 capi di pecora sambucana di cui ca. 3.000 in purezza. Metodiche di lavorazione 4) ZONA DI PRODUZIONE Il territorio della Valle Stura di Demonte. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA

PREPARAZIONE, IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DE I PRODOTTI 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVAZ IONE E

STAGIONATURA

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI L AVORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Questa razza presente da sempre sul territorio della Valle di Stura di Demonte. Bibliografia: AA.VV. , Lallevamento ovino, articolo pubblicato su: Quaderno n. 7 Regione Piemonte, Agricoltura e Foreste, Dicembre 1984 AA.VV., Pecore, Percorsi di cultura alpina, Chaiers Museomontagna 1992 Bruno Resti, Ovini, articolo pubblicato su: Informatore zootecnico, 21 Marzo 1994 AA.VV., La Routo, Sulle vie della transumanza tra le Alpi e il mare, Edizioni Primalpe, 2001

Categoria B Prodotto n. 03

1) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO PREPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: BALE DASO 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche Le bale daso sono un insaccato dalla forma tondeggiante, a base di carne di diverse specie (suino, bovino e asino). La pezzatura variabile e il peso oscilla da 0,5 a 1,5 kg. La lunghezza varia da 10 a 25 cm. La macinatura delle carni abbastanza grossa. Si consumano previa bollitura con pur di patate o con polenta e verze stufate. Metodiche di lavorazione Preparazione e scelta della carne Del suino generalmente si utilizzano i tagli di spalla, rifilature, lardo e pancetta nella proporzione del 40%. La restante quota coperta da rifilature di carne bovina per il 30% e carne dasino per il 30%. La carne viene tritata con una grana medio-grossa; si utilizzano coltelli aventi piastre con fori di diametro 8 o 10 mm. Preparazione della concia insacco La concia viene preparata utilizzando sale (nella proporzione del 2.5-2.8%), pepe, noce moscata e vino rosso. Tali ingredienti vengono uniti alle carni macinate e amalgamati. La massa viene quindi insaccata nella trippa del bovino e poi cucita a mano. Stagionatura Il prodotto non richiede stagionatura, viene consumato dopo essere stato lessato in acqua per un tempo variabile tra i 30 e i 120 minuti, secondo il peso. Pu anche essere messo in commercio in confezioni sottovuoto dopo essere stato cotto e affettato. 4) ZONA DI PRODUZIONE

Comune di Monastero Vasco (CN). 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Attrezzature ordinarie per salumeria quali coltelli, tritacarne, insaccatrice e bilancia per le spezie. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVAZ IONE E

STAGIONATURA I locali di lavorazione rispettano quanto previsto dalla normativa.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Bibliografia: Domenico Dama, Cronache Monasteresi, edito dal Comune di Monastero Vasco Sandro Doglio, Le cose buone del Piemonte. Salami, prosciutti e compagnia, Ed. Unioncamere Piemontese, 1996

Categoria B Prodotto n. 04

1) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: BATSO 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVORAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche I batso sono una caratteristica preparazione gastronomica a base di piedini di suino. Il nome deriva probabilmente dal francese bas de soie(calze di seta), termine che si riferisce in modo ironico ai piedini del maiale. Bolliti, spolpati e poi impanati e fritti, costituiscono unottima e gustosa modalit di consumo. Metodiche di lavorazione Preparazione e scelta della carne Si utilizzano i piedi del maiale, opportunamente rasati, puliti e lessati in acqua salata, erbe aromatiche ed eventualmente aceto (oggi mescolato con vino bianco), fino a che non si separa la parte ossea. Si spolpano quando sono ancora tiepidi ottenendo due involucri del peso variabile tra 300 e 700 g lunghi quanto il piedino stesso (25-35 cm circa). Spesso i piedini disossati vengono ulteriormente fatti marinare in acqua e aceto. La parte spolpata viene quindi ben asciugata, tagliata a pezzetti rettangolari o a striscioline, impanata e poi fritta. Modalit di consumo Si consumano impanati e fritti. Un tempo, arricchivano il tradizionale fritto misto alla piemontese o la gamma degli antipasti. Oltre che fritti un tempo si consumavano anche semplicemente marinati con la sua gelatina. 4) ZONA DI PRODUZIONE

Diffusa in varie zone del Piemonte 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Non sono necessarie attrezzature particolari, se non coltelli ben affilati, attrezzatura per la bollitura e la frittura. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA I locali di lavorazione rispettano quanto previsto dalla normativa.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Tradizione orale. Bibliografia: Giovanni Vialardi, Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confettureria, tipografia Favale, Torino, 1854 Giovanni Vialardi, Cucina Borghese, Torino, 1898 Anna Gosetti Della Salda, Le Ricette Regionali Italiane, Solares, 1967 Laura Gras Portinari, Cucina e vini del Piemonte e della Valle dAosta, Ed. Mursia, Milano, 1974 Elma Schena, Adriana Ravera, La cucina di Madonna Lesina, LArciere, 1988 Tavo Burat, Giorgio Lozia, Lan-c da f (la casa del fuoco), De Alessi Editore 1989

Sandro Doglio, Il Dizionario di gastronomia del Piemonte, Ed. Daumerie, San Giorgio di Montiglio (AT), 1995 (edizione ampliata su prima edizione del 1990) Giovanni Goria, La cucina del Piemonte collinare e vignaiolo, Muzzio, 1990 L. Imbriani, Roseo Piemonte, Edito APS Piemonte, 1996 Domenico Musci, 100 anni di Menu nelle Valli di Lanzo e Canavese con ricette depoca, Grafica Santhiatese Editrice, Santhi, 2006

Categoria B Prodotto n. 05

1) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: BERGNA 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVORAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche La bergna unantica preparazione dei pastori del biellese e della Valsesia. Si tratta di carne di pecora o capra disossata, conservata con sale ed asciugata allaria o al calore del camino. La carne si presenta di colore rosso scuro, tendente al marrone, dura al tatto per la forte disidratazione, il sapore intenso e sapido. Si consuma tagliata a fette sottilissime, come un prosciutto crudo, oppure tagliata in piccoli pezzi e arrostita sulla brace. Metodiche di lavorazione Preparazione e scelta della carne La carne utilizzata proveniva, un tempo, da animali morti o feriti in seguito a cadute, incidenti, fulmini. Lanimale veniva spellato, privato delle interiora e disossato. Le carni venivano poi accuratamente pulite per eliminare parti grasse, nervetti e parti cartilaginose nonch rifilate per essere regolarizzate. Oggi per la produzione si utilizzano generalmente animali a fine carriera. Preparazione della concia La concia molto semplice; composta da sale, pepe ed erbe aromatiche/spezie (generalmente timo, bacche di ginepro). La carne parata viene quindi ricoperta con la concia. Stagionatura La carne viene posta ad asciugare in un locale aerato, per almeno 1 mese. Un tempo, i pastori asciugavano la carne al sole, direttamente sui tetti in pietra delle loro baite e, in caso di maltempo, in casa vicino al camino, questo conferiva alla carne un apprezzato sentore di affumicato. 4) ZONA DI PRODUZIONE

Montagne della Valsesia e del Biellese 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Le attrezzature necessarie per questo tipo di preparazione sono limitatissime: coltelli affilati adatti per disossare e parare la carne, locale aerato per lasciugatura. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA Attualmente i locali di lavorazione rispettano quanto previsto dalla normativa. Le celle di stagionatura possono essere celle frigorifere o cantine naturali ma con pareti, pavimenti e soffitti in grado di salvaguardare ligiene del prodotto. Un tempo, come descritto, la carne veniva fatta asciugare al sole.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

una pratica arcaica utilizzata dai pastori, specialmente nei periodi di alpeggio per poter conservare le carni. Tradizione orale. Bibliografia: Tavo Burat, Giorgio Lozia, Lan-c da f (la casa del fuoco), De Alessi Editore 1989 Sandro Doglio, Il Dizionario di gastronomia del Piemonte, Ed. Daumerie, San Giorgio di Montiglio (AT), 1995

Categoria B Prodotto n. 06

1) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: BISECON (BISECUN) 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche Il bisecon un salame cotto di trippa di suino. Il nome deriva da buseca che in dialetto significa trippa, utilizzata come involucro per linsacco. La lunghezza del prodotto di 25-30 cm, la fetta presenta un diametro di 10-12 cm. La fetta, al taglio, ha un colore rosato ed caratterizzata dalla presenza di verdure (carota e sedano). Il sapore e laroma sono gradevoli, delicatamente speziati. Metodiche di lavorazione Preparazione e scelta della carne La carne utilizzata proviene dalla testa del maiale e da rifilature di lavorazioni pregiate. Preparazione della concia e insacco La concia costituita da sale, pepe, verdure (sedano e carote) e vino rosso. Le parti carnee, tritate in modo grossolano, sono poste in infusione nel vino per 10 giorni insieme alle verdure. Segue una lessatura ed un ulteriore arricchimento della concia con un soffritto di cipolla. Linsacco avviene nello stomaco del maiale; in alternativa pu essere utilizzato un budello grosso (bondeana) come quello del salame cotto tradizionale. Stagionatura Non prevista stagionatura, si consuma fresco. 4) ZONA DI PRODUZIONE

Un tempo era diffuso in tutto il Piemonte. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Attrezzature ordinarie per salumeria quali coltelli e bilancia per le spezie. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA I locali di lavorazione rispettano quanto previsto dalla normativa.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Tradizione orale. Sandro Doglio, Le cose buone del Piemonte. Salami, prosciutti e compagnia. Ed. Unioncamere Piemontese, 1996

Categoria B Prodotto n. 07

1) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: BONDIOLA 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche La Bondiola un insaccato di carne suina e pancetta. Si caratterizza per le dimensioni importanti, presenta infatti un diametro di circa 10 cm, una lunghezza di 25 cm ed un peso compreso tra 1.5 e 2 kg. In passato le dimensioni erano ancora maggiori per lutilizzo della vescica del maiale come budello, il peso poteva arrivare fino a 5 kg. La superficie esterna presenta una lieve piumatura, dovuta alla presenza di muffe positive che favoriscono la maturazione del prodotto. La fetta presenta una grana grossa, il colore rosso vivo ed il sapore intenso e piccate. Si consuma tagliato a fette sottili. Metodiche di lavorazione Preparazione e scelta della carne Si utilizzano carni suine provenienti sia dalla parte magra che dalla parte grassa. I tagli magri sono quelli provenienti dalla spalla, dalle rifilature della lonza, dalla coscia e da altre rifilature magre. La frazione grassa data dalla pancetta o dal lardo. La frazione magra si aggira intorno al 75% (+/- 5%), quella grassa rappresentata dal 25% (+/- 5%). La carne viene mondata con cura, cercando di limitare la presenza di tendini ed aponeurosi. Il taglio della carne a grana grossa, viene eseguito con piastre aventi fori di diametro uguale o superiore a 10 mm. Preparazione della concia e insacco La concia composta da sale (2.5-2.8%) e da spezie in proporzioni variabili: pepe nero, cannella, noce moscata, chiodi di garofano. I conservanti sono entro i limiti previsti dalla legge. La concia viene unita alla carne e amalgamata con cura. Limpasto viene poi lasciato riposare in cella (4-5 C) per 48 ore prima dellinsacco. Linsacco avviene in budello di grandi dimensioni, un tempo si utilizzava la vescica del maiale, oggi si utilizza lintestino cieco di bovino (bondeana). Stagionatura La stagionatura consiste in tre fasi distinte che si differenziano per la temperatura, lumidit e per la loro durata: stufatura, asciugatura, stagionatura vera e propria. La prima fase ha una durata di massimo 48 ore ad una temperatura pari a 24-25 C. Lasciugatura dura circa 10 giorni, in celle o ambienti ventilati ad una temperatura compresa tra i 12

e i 16 C. La stagionatura si protrae per un periodo variabile tra i 6 e i 12 mesi e avviene ad una temperatura tra

i 6 e i 10 C ed UR 75% - 80%. 4) ZONA DI PRODUZIONE

Attualmente Valle di Susa (TO). 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Attrezzature ordinarie per salumeria quali coltelli, tritacarne, insaccatrice e bilancia per le spezie 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA I locali di lavorazione rispettano quanto previsto dalla normativa. La stagionatura pu avvenire in cantine naturali o in celle condizionate, gli ambienti di stagionatura devono in ogni caso garantire ligiene del

prodotto.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

La tradizione orale ha trasmesso le tecniche della lavorazione da una generazione allaltra. Un tempo veniva prodotta anche in altre zone del Piemonte e in particolare nel Basso Canavese e sulle colline del Po intorno a Chivasso. Il Dizionario piemontese-italiano/italiano-piemontese del 1845 ad opera di Vittorio di SantAlbino la cita come salume. Doveva tuttavia avere un notevole mercato se Giovanni Vialardi, vice-capocuoco dei Re Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II nellelencare Ogni sorta di carne salata per Hors-doeuvre (antipasti) cita, tra gli altri la bondiola. Bibliografia: Giovanni Vialardi, Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confettureria, tipografia Favale, Torino, 1854 Domenico Musci, 100 anni di Menu nelle Valli di Lanzo e Canavese con ricette depoca, Grafica Santhiatese Editrice, Santhi, 2006

Categoria B Prodotto n. 08

2) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: BOVINO PIEMONTESE 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche Si tratta di una razza tradizionale e caratteristica del Piemonte in particolare diffusa nel cuneese, nel torinese e nellastigiano. una razza specializzata per la produzione di carne facilmente riconoscibile per il mantello bianco, in grado di offrire ottime rese di macellazione e carne di ottima qualit. La razza da sempre presente in purezza nella regione ed stata in passato utilizzata come razza a triplice attitudine; era cio in grado di fornire carne, latte e forza lavoro. Allo stato attuale individuata come razza a forte predisposizione per la produzione di carne che risulta essere oggettivamente di ottima qualit. Da evidenziare la caratteristica di presentare muscoli particolarmente ipertrofici al livello dorsale e a livello della coscia Groppa doppia e/o coscia doppia. Tali animali sono particolarmente apprezzati per la resa in carne. Le femmine producono latte in quantit piuttosto limitata, rispetto ad altre razze, ma di ottima qualit; il latte delle bovine piemontesi da sempre ha fornito la base per le attivit di caseificazione del Piemonte e quindi per moltissimi formaggi riconosciuti ora come tradizionali. Metodiche di lavorazione Le metodiche di lavorazione riguardano le attivit di macellazione o di trasformazione delle carni. In questa scheda vogliamo segnalare la Razza Piemontese e la sua attitudine a essere allevata sia al pascolo, sia in stalla. Le carni ottenute dagli animali di Razza Piemontese sono famose nella tradizione per le preparazioni gastronomiche e culinarie tipo i bolliti, la carne cruda allalbese, i brasati ecc. 4) ZONA DI PRODUZIONE

Il Piemonte e in particolare le province di Cuneo, Torino e Asti. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

La Razza esiste da tempo immemorabile in Piemonte. La documentazione storica attestante: le regole di selezione degli animali, le caratteristiche qualitative del prodotto, nonch i metodi di produzione sono conservati presso lAssociazione Nazionale di razza (ANABORAPI) ed il Consorzio di tuela della razza (COALVI) presenti da pi di trentanni in Piemonte. Basta controllare i numerosi documenti dei Comuni del cuneese dove si tenevano i mercati in cui venivano venduti i bovini vivi da macello per verificare lutilizzo del termine vitelloni piemontesi della

coscia nonch il maggior valore riconosciuto. La bibliografia in merito al bovino piemontese vastissima, citiamo qui solamente qualche testo tra i pi antichi dove si parla dei pregi del bovino piemontese o dei vitei dla cheussa (vitelli della coscia): Goffredo Casalis, Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, G. Maspero Libraio, Torino, 1841 E. Thierry, Les veaux cul de poulain. Journal dagriculture. 1898 R. Raimondi, I bovini piemontesi cosidetti della coscia, Estr. da lInformatore agrario n. 20, 1956 E. Carbone, La razza bovina piemontese e sua evoluzione verso la produzione di carne pregiata, Estr. da Italia Agricola, n. 9-10, 1967 Colombo Tosi, Il miglioramento della razza bovina piemontese, Associazione Piemonte Italia, Torino, 1968 A. Bosticco, G. Proni, S. Vinelli, G. Benfatti, A. Bonomi, L. Castellani, A. Giannone, E. Lunetta, M. Pagella, Ricerche zootecniche sulla produzione della carne nella razza bovina piemontese. La produzione del vitellone leggero con regimi alimentari basati sullimpiego di quantit variabili di mais e di fieno. Gruppo di lavoro del C.N.R. per le ricerche zooeconomiche sulla produzione della carne bovina, Facolt di Scienze Agrarie dellUniversit degli Studi di Torino, 1970 S. Maletto, Evoluzione storica dei bovini. La Razza Bovina Piemontese, n. 5-6, 1973

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1) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: BRESAOLA DELLA VAL DOSSOLA 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche un prodotto salato e stagionato ottenuto da tagli provenienti dalla coscia del bovino, la pezzatura dipende dai tagli utilizzati. La fetta si presenta compatta e consistente, il colore rosso intenso con scarsissime infiltrazioni di grasso. Il profumo caratteristico, fragrante e delicato Metodiche di lavorazione Preparazione e scelta della carne Si utilizzano tagli provenienti dal quarto posteriore di bovino, in particolare punta danca e magatello. Si tratta di parti pregiate e molto magre, i tagli scelti vengono toelettati e rifilati eliminando il grasso in eccesso. Preparazione della concia e salatura Nella concia viene utilizzato sale marino, pepe, cannella, chiodi di garofano, aglio, rosmarino, alloro e facoltativamente ginepro. I conservanti (nitrato di potassio) sono utilizzati nelle dosi ammesse dalla legge. La quantit di sale utilizzata a copertura, i tagli vengono massaggiati (ogni 3-4 giorni) per favorirne lassorbimento della concia. Durante la salagione, il sale passa dagli strati pi superficiali a quelli pi profondi attuando una disidratazione omogenea. La salatura a secco ha una durata di 15 giorni, durante questo periodo la carne viene mantenuta a 4 C. Stagionatura La carne, dopo la salatura, lavata con acqua fredda, asciugata e insaccata nel budello cieco di vitello (bondeana). Attualmente per linsacco vengono spesso utilizzati fazzoletti di collagene. Dopo una prima fase di stufatura alla temperatura di 22-24 C ed UR intorno a 68-70%, si procede ad unasciugatura della durata di 7-10 giorni. Durante questa fase i parametri vengono modulati abbassando la temperatura di circa 2C e facendo aumentare lumidit di 2 punti percentuali al giorno. Segue la fase di stagionatura, che si protrae fino al raggiungimento di una buona consistenza, la temperatura si mantiene costante intorno ai 14 C e lUR tra 75-80%, per un periodo complessivo di circa due mesi. 4) ZONA DI PRODUZIONE Val dOssola e vallate limitrofe. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Attrezzature ordinarie per salumeria: coltelli, bilancia, mortaio per aglio e spezie. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA I locali di lavorazione rispettano quanto previsto dalla normativa. I locali di stagionatura sono cantine naturali o celle condizionate, ma con pareti, pavimenti e soffitti in grado di salvaguardare ligiene del prodotto.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Bibliografia: Albertazzi Jacopo Antonio di Vogogna, Il padre di famiglia in casa e in campagna, Vercelli 1789 -

Milano 1829 Brockedon William, Journal of excursions in The Alps, Londra, 1833 S.W. King, The Italian Valleys of the Pennine Alps, Londra, 1858 Caretti Paola, Pollini Ivano, Antiche ricette ossolane, Grossi Domodossola, 2009

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1) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: CAPPONE DI MONASTEROLO DI SAV IGLIANO 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche un pollo maschio castrato. La razza non ben definita perch sul posto se ne possono trovare varie. ( La "nostrana", la "Livornese", la "Bionda", la "Bianca" ecc..). Metodiche di lavorazione Quando i pollastrini hanno raggiunto i tre mesi di vita, e i testicoli sono scesi nella loro posizione definitiva, nel periodo estivo, cio Luglio e agosto, vengono privati della cresta, dei bargigli e poi segue l'estrazione dei testicoli, il tutto fatto manualmente. Questo intervento pu avvenire con due metodiche differenti:Il primo consiste in un taglio realizzato con un "Vernantin" (coltello a serramanico molto affilato" o un paio di forbici nella parte posteriore del pollo sotto la zona anale in senso orizzontale, poi con le mani (in genere femminili perch pi piccole) vengono estratti i testicoli chiamati anche "ovetti" in quanto simili agli ovetti delle galline che non hanno ancora costruito il guscio calcareo attorno. Successivamente viene ricucito il tutto. Durante l'intervento pu essere utilizzato del comunissimo alcool e strutto o olio d'oliva per ammorbidire e ingrassare la cucitura. Il secondo un'intervento meno arcaico effettuato su animali di 60-80 giorni e quindi operando su testicoli non ancora completamente discesi, con tale metodo la mortalit pi contenuta. Questo consiste nell'allungare il pollo sollevando l'ala destra, incidendo sotto l'ala con un bisturi e formando un taglio in senso orizzontale tra l'ala ed il petto. Successivamente con l'ausilio di pinzette si estraggono i testicoli. La ferita non necessita di cuciture, non si ha perdita di sangue, ed il tutto viene disinfettato con alcool. Particolare che veniva effettuato storicamente era il taglio della cresta, al cui posto veniva poi cucita una piuma. 4) ZONA DI PRODUZIONE

Monasterolo di Savigliano e zone limitrofi (CN). 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Nessuna attrezzatura in specifico se non quelle presenti in un macello di avicoli. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA Comuni macelli per avicoli.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Le testimonianze sul metodo di allevamento e di produzione sono per lo pi orali e le metodiche sono state sempre tramandate di padre in figlio. Per quanto riguarda invece la vendita di capponi da consumo, basta vedere le gabelle sui prodotti venduti nei grandi mercati del Piemonte per avere riscontro di quanto fossero diffusi e pregiati gi nei secoli passati. Ne un esempio la lettera della Camera Ducale del 1627 che stabilisce le tasse sui prodotti commercializzati sul mercato di Torino (Archivio di Stato, 14: 2) ove vengono citati caponi vecchi e caponi novelli. Su tutti i ricettari di cucina piemontese settecenteschi e ottocenteschi troviamo ricette con il cappone. Anche analizzando i menu di fine Ottocento e dei primi decenni del Novecento si evince che spesso il

cappone compariva in occasione dei grandi pranzi, soprattutto nel periodo autunnale. A tal proposito interessante il libro di Domenico Musci, 100 anni di Menu . . . Grafica Santhiatese, Santhi , 2006 Bibliografia: Francesco Chapusot, La cucina sana, economica ed elegante, Tip. Favale, Torino, 1846 Giovanni Vialardi, Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confettureria, Tip. Favale, Torino, 1854

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2) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: CAPPONE DI MOROZZO 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche Si tratta di un pollo maschio castrato. La razza definita come nostrana: piumaggio rosso, penne nere a livello caudale e penne del collo dorate. Le zampe e la pelle devono essere ben gialle. Mediamente i capponi di razza nostrana raggiungono il peso di 2.5 kg. Metodiche di lavorazione I pulcini nascono tra fine marzo e maggio; generalmente vengono alimentati nelle prime fasi con mangimi integrati o con mangimi macinati. Si passa poi alla somministrazione di granturco spaccato e, successivamente, di chicchi interi. Le tecniche di allevamento utilizzate dai produttori possono essere variabili, ma quasi tutti gli allevatori utilizzano mangimi o granelle prodotti in azienda. I polli vengono allevati allaperto (cortili, prati, ecc). Verso i quattro mesi di vita (agosto-settembre) i polli sono castrati, o meglio capponati. Loperazione effettuata generalmente dalle donne e consiste in un taglio, solitamente con le forbici, in una zona ben definita in prossimit della regione anale. Segue lestrazione dei testicoli (a mano) e la cucitura (sutura), con ago e filo, della ferita. Vengono inoltre tagliati la cresta e i bargigli. Durante loperazione sono utilizzati disinfettante (alcool) e anche olio per ammorbidire alcune zone della pelle. Loperazione di castrazione fondamentale per poter ottenere un buon cappone; lanimale, infatti, non deve presentare caratteri sessuali secondari e deve avere la testa piccola, bianca, priva di colorazioni rosse o rossicce o pezzetti di cresta. Durante la fase di capponatura si verifica anche una certa mortalit. Gli animali sono poi allevati fino al mese di dicembre quando, in occasione della fiera, vengono venduti. Alcuni allevano i capponi lultimo mese al chiuso in modo che si effettui un finissaggio corretto e cio in modo che i capponi diventino pi facilmente grassi e con colorazione gialla. A tal fine sono spesso utilizzati pastoni di granella sovente amalgamati con latte. 4) ZONA DI PRODUZIONE

Morozzo (CN) come centro fieristico e zone circostanti. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Nessuna attrezzatura in specifico se non quelle presenti in un macello di avicoli. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA Comuni macelli per avicoli.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

La fiera del cappone di Morozzo si tiene da pi di 50 anni a dicembre, il luned prima di Natale. Le testimonianze sul metodo di allevamento e di produzione sono per lo pi orali e le metodiche sono state sempre tramandate di padre in figlio. Per quanto riguarda invece la vendita di capponi da consumo, basta vedere le gabelle sui prodotti venduti nei grandi mercati del Piemonte per avere riscontro di quanto fossero diffusi e pregiati gi nei secoli passati. Ne un esempio la lettera della Camera Ducale del 1627 che stabilisce le tasse sui prodotti

commercializzati sul mercato di Torino (Archivio di Stato, 14: 2) ove vengono citati caponi vecchi e caponi novelli. Su tutti i ricettari di cucina piemontese settecenteschi e ottocenteschi troviamo ricette con il cappone. Anche analizzando i menu di fine Ottocento e dei primi decenni del Novecento si evince che spesso il cappone compariva in occasione dei grandi pranzi, soprattutto nel periodo autunnale. A tal proposito interessante il libro di Domenico Musci, 100 anni di Menu . . . Grafica Santhiatese, Santhi , 2006 Bibliografia: Francesco Chapusot, La cucina sana, economica ed elegante, Tip. Favale, Torino, 1846 Giovanni Vialardi, Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confettureria, Tip. Favale, Torino, 1854 Sandro Doglio, Dizionario di Gastronomia del Piemonte, Daumerie, San Giorgio di Montiglio (AT), 1995

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3) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: CAPPONE DI SAN DAMIANO DASTI 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOT TO E METODICHE DI LAVORAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche Si tratta di una produzione tradizionale molto diffusa nelle campagne del Piemonte, in particolare a San Damiano dAsti si sempre tenuta una fiera intorno alla met di dicembre in cui gli agricoltori presentavano i loro capponi. Per la preparazione dei capponi a San Damiano si utilizzano razze locali ed in particolare la bionda piemontese che pare nella zona abbia una specificit tipica e prenda il nome di Rossa di Villanova. Metodiche di lavorazione Le metodiche di allevamento del cappone e di capponatura sono generalmente comuni in tutte le zone; i pulcini quando hanno raggiunto il peso di circa 11,5 kg vengono capponati, vengono perci privati dei testicoli con una operazione effettuata a mano generalmente dalle donne. La capponatura comprende anche il taglio della cresta e dei bargigli (vengono quindi eliminati anche i caratteri sessuali secondari). I capponi vengono poi allevati generalmente liberi allaperto, nei cortili o nelle zone limitrofe allazienda agricola; vengono alimentati con prodotti aziendali, per la maggioranza mais anche intero. Il giorno della fiera (intorno alla met di dicembre) i capponi vengono portati in esposizione e vengono venduti, capita spesso per che molti capponi vengono venduti direttamente in cascina. Un buon cappone deve essere chiaro, senza cresta, con testa piccola; il peso dei capponi di San Damiano oscilla dai 2.5 ai 3 talvolta 3.5 kg. 4) ZONA DI PRODUZIONE

San Damiano DAsti frazioni di San Damiano e zone circostanti. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Nessuna attrezzatura in specifico se non quelle presenti in un macello di avicoli. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA Comuni macelli per avicoli.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

La fiera del cappone di San Damiano si tiene da tempi remoti. Le testimonianze sul metodo di allevamento e di produzione sono per lo pi orali e le metodiche sono state sempre tramandate di padre in figlio. Per quanto riguarda invece la vendita di capponi da consumo, basta vedere le gabelle sui prodotti venduti nei grandi mercati del Piemonte per avere riscontro di quanto fossero diffusi e pregiati gi nei secoli passati. Ne un esempio la lettera della Camera Ducale del 1627 che stabilisce le tasse sui prodotti commercializzati sul mercato di Torino (Archivio di Stato, 14: 2) ove vengono citati caponi vecchi e caponi novelli. Su tutti i ricettari di cucina piemontese settecenteschi e ottocenteschi troviamo ricette con il cappone. Anche analizzando i menu di fine Ottocento e dei primi decenni del Novecento si evince che spesso il cappone compariva in occasione dei grandi pranzi, soprattutto nel periodo autunnale. A tal proposito

interessante il libro di Domenico Musci, 100 anni di Menu . . . Grafica Santhiatese, Santhi , 2006 Bibliografia: Francesco Chapusot, La cucina sana, economica ed elegante, Tip. Favale, Torino, 1846 Giovanni Vialardi, Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confettureria, Tip. Favale, Torino, 1854

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4) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: CAPPONE DI VESIME 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODIC HE DI LAVORAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche Galletti capponati a mano ed allevati in modo tradizionale. 4) ZONA DI PRODUZIONE

Vesime (AT). 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Nessuna attrezzatura in specifico se non quelle presenti in un macello di avicoli. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA Comuni macelli per avicoli.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

La fiera del cappone di Vesime si tiene da pi di 50 anni. Le testimonianze sul metodo di allevamento e di produzione sono per lo pi orali e le metodiche sono state sempre tramandate di padre in figlio. Per quanto riguarda invece la vendita di capponi da consumo, basta vedere le gabelle sui prodotti venduti nei grandi mercati del Piemonte per avere riscontro di quanto fossero diffusi e pregiati gi nei secoli passati. Ne un esempio la lettera della Camera Ducale del 1627 che stabilisce le tasse sui prodotti commercializzati sul mercato di Torino (Archivio di Stato, 14: 2) ove vengono citati caponi vecchi e caponi novelli. Su tutti i ricettari di cucina piemontese settecenteschi e ottocenteschi troviamo ricette con il cappone. Anche analizzando i menu di fine Ottocento e dei primi decenni del Novecento si evince che spesso il cappone compariva in occasione dei grandi pranzi, soprattutto nel periodo autunnale. A tal proposito interessante il libro di Domenico Musci, 100 anni di Menu . . . Grafica Santhiatese, Santhi , 2006 Bibliografiai: Francesco Chapusot, La cucina sana, economica ed elegante, Tip. Favale, Torino, 1846 Giovanni Vialardi, Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confettureria, Tip. Favale, Torino, 1854

Categoria B Prodotto n. 14

5) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: CAPRETTO DELLA VAL VIGEZZO 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche Si tratta di animali appartenenti a razze diverse, con prevalenza di razza camosciata ma allevati in Val Vigezzo attenendosi ad un regolamento emesso dalla omonima comunit montana. Il capretto deve essere nato e macellato in Val Vigezzo e deve essere alimentato solo con latte di capra; il suo peso di vendita oscilla tra i 9 ed i 13 kg, attenendosi a queste regole lallevatore potr ottenere la concessione del marchio di tipicit della Val Vigezzo per i capretti prodotti. 4) ZONA DI PRODUZIONE

Territorio della Val Vigezzo. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Il patrimonio ovicaprino presente nella valle da sempre. Bibliografia: Bologna Paolo, Mazzi Benito, Zoppis Francesco Piccole storie Ossolane, Giovanacci, Santa Maria Maggiore, 1983 AA.VV. La capra campa, Comunit Montana Valle Vigezzo, Santa Maria Maggiore, 2000 Bergamaschi Cirillo, La vita quotidiana in Valle Cannobina nell'ultimo secolo, Alberti, Verbania, 1997 Copiatti Fabio, I sentieri del Gusto, Parco Nazionale della Val Grande, 2003

Categoria B Prodotto n. 15

6) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: CARN SECA 3) CARATTERISTICHE DEL PRODO TTO E METODICHE DI LAVORAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche Si tratta di una particolare preparazione a base di carne bovina marinata ed essiccata.. La carne presenta un colore bianco nella parte esterna, dovuto alla farina utilizzata per vestire il prodotto prima della vendita, ed un colore rosso bruno allinterno. Al palato il sapore e gradevole, ben equilibrato per luso sapiente di sale e spezie. Metodiche di lavorazione Preparazione e scelta della carne Si utilizzano tagli magri di carne bovina di razza Bruna. I tagli hanno aspetto irregolare, vengono mondati disossati e lasciati nella loro forma naturale. Preparazione della concia La concia composta da sale, pepe e spezie, generalmente cannella, chiodi garofano, timo selvatico, vino rosso, marsala. Alla concia vengono aggiunti i nitrati nelle dosi ammesse dalla legge. La carne viene messa a marinare per una decina di giorni nel vino addizionato delle spezie. Stagionatura Dopo la marinatura la carne viene fatta asciugare allaria per 45-60 giorni, a seconda della pezzatura che pu variare da 1.5 a 3 kg. Qualche giorno prima della vendita viene passata nella farina bianca. 4) ZONA DI PRODUZIONE

Verbano Cusio Ossola e Valsesia. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Attrezzature ordinarie per salumeria: coltelli, tritacarne, bilancia, celle o cantine per la stagionatura. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA I locali di lavorazione rispettano quanto previsto dalla normativa. Le celle di stagionatura possono essere celle frigorifere o cantine naturali ma con pareti, pavimenti e soffitti in grado di salvaguardare ligiene del prodotto.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Bibliografia: Goffredo Casalis, Dizionario geografico storico e statistico di SM il Re di Sardegna, Torino, 1835 e 1856 Enrico Bianchetti, LOssola inferiore Notizie storiche e documenti, Torino, 1878

Categoria B Prodotto n. 16

7) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: CASTRATO BIELLESE 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche La razza ovina biellese una razza autoctona del Piemonte originaria della zona del biellese poi diffusasi anche nelle province di Torino, Cuneo, Asti, Novara e Vercelli. L'attitudine produttiva prevalente la produzione di carne anche se, nella pianura torinese e cuneese, non sono rare le pecore biellesi munte e il loro latte trasformato per la produzione di tomette e di ricotta di pecora. Le pecore biellesi sono allevate con il sistema transumante, con utilizzazione dell'alpeggio per un periodo di 5-6 mesi e periodo invernale in ovile in fondo valle o in pianura. Vi sono anche greggi nomadi ( un migliaio di capi) che trascorrono il periodo estivo in montagna mentre nel periodo invernale utilizzano le zone marginali, il sottobosco e il pascolo itinerante. La produzione principale l'agnello leggero di 15-20 kg nato nell'autunno, allattato dalla madre e venduto per Natale. Il castrato di 12-18 mesi con il peso vivo di 65-80 kg prodotto prevalentemente dagli allevatori nomadi. Gli agnelli sono lasciati sotto la madre fino allo svezzamento naturale, castrati verso i 4-5 mesi di et e, sempre con le madri, portati in alpeggio. Il latte materno e l'erba di pascolo costituiscono l'unica alimentazione di questi soggetti. La resa elevata, la carne (in considerazione del sistema di allevamento) risulta magra, di colore rosso chiaro. Metodiche di lavorazione La lavorazione consiste essenzialmente nella macellazione del capo. 4) ZONA DI PRODUZIONE

Il biellese, lalto canavese, il Verbano Cusio Ossola. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Nessun macello specializzato, utilizzati i macelli a capacit limitata per bovini. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Nellarea del biellese, si hanno notizie relative allallevamento di pecore e contestuale artigianato laniero fin dal Medioevo. I primi censimenti dellagricoltura (e del settore ovino in particolare) risalgono alla fine del 1700. Uno standard della razza biellese fu definito ufficialmente nel 1959 con un D.M. poi modificato nel 1985. Bibliografia: P. Tricerri, Gli ovini biellesi, Rivista di Zootecnia, 1927 M. Sodano, La pastorizia biellese nel 1700 e l'introduzione della razza Merinos, 1934, Illustrazione

biellese, N.11/12 V. Vezzani, La selezione della pecora Biellese, Ann.Accademia dell'Agricoltura di Torino, 1954 G. Vicquery, Fame d'erba, Ed. Virginia, Milano, 1983 A. Ubertalle, J. Errante, L'allevamento ovino in Piemonte, Piemonte agricoltura, supplemento al n.11, 1984 J. Errante, Attitudine alla produzione della carne della razza ovina Biellese-II, Il Vergaro, 1984 J. Errante, P. Mazzocco, M. Profiti, Valutazione qualitativa di carcasse di agnelli biellesi, Atti Convegno "Parliamo di carni complementari", Fossano, 14-15/10/1993

Categoria B Prodotto n. 17

8) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: CONIGLIO GRIGIO DI CARMAGNOLA 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche Coniglio di corporatura media, corpo e testa allungati, orecchie di lunghezza massima di 14 cm, con pelo di colore grigio, ventralmente di colorito pi chiaro come anche sulla parte inferiore della coda, pelliccia soffice di media lunghezza. generalmente presente sulla nucauna macchia chiara. Zampe robuste con unghie pigmentate. Peso dei maschi adulti: intorno ai 4 -5 kg circa. Peso delle femmine adulte: 3-4 kg circa. Quasi completamente scomparso, si trovano pochi esemplari in purezza. Metodiche di lavorazione La lavorazione consiste essenzialmente nella macellazione del capo. 4) ZONA DI PRODUZIONE

Carmagnola (TO) e dintorni.. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Nessun macello specializzato, utilizzati i macelli a capacit limitata per bovini. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVA ZIONE E STAGIONATURA Gli animali venivano allevati in modo tradizionale familiare, estensivo, in conigliere di legno con alimentazione basata su foraggi, erba fieno e scarti delle coltivazioni della frutta, degli ortaggi e della cucina.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

La razza era molto diffusa negli allevamenti piemontesi ancora negli anni 50, poi la presenza andata calando.

Categoria B Prodotto n. 18

1) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO PREPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: COPPA COTTA BIELEISA 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche La Coppa Cotta Bieleisa un prodotto di salumeria stagionato e cotto, ha una pezzatura di 1.5 -2 kg , una lunghezza di 25-30 cm ed un diametro di 1012 cm. Al taglio, la fetta si presenta di colore rosa. Il profumo ed il sapore sono molto delicati. Metodiche di lavorazione Preparazione e scelta delle carni La parte anatomica utilizzata quella costituita dalla porzione muscolare del collo del suino, adiacente alle vertebre cervicali e in parte a quelle toraciche. La carne viene attentamente mondata per eliminare il grasso in eccesso ed eventuali vasi sanguigni che potrebbero compromettere il processo di maturazione. Preparazione della Concia e insaccatura La concia preparata con sale, chiodi di garofano, noce moscata, cannella e con droga fiorita, comprendente diverse variet di fiori, viene inoltre aggiunto vino bianco che contribuisce al conferimento dellaroma. Il nitrato ed il nitrito sono utilizzati nelle dosi ammesse dalla legge. La carne viene tenuta sotto sale e spezie per almeno 15 giorni, quindi viene insaccata in budello naturale, bondeana. Cottura La carne viene avvolta in un canovaccio di lino e cotta in forno per alcune ore a temperatura intorno ai 72 C, avendo cura di inumidire ogni trenta minuti il canovaccio con vino bianco. Ci evita la formazione della crosta causata dalla cottura, cosicch la parte esterna ed interna della carne rimangono omogenee. Inoltre, il vino attenua lazione delle spezie conferendo cos al salume un profumo ed un gusto particolarmente delicato. 4) ZONA DI PRODUZIONE La Coppa Cotta bieleisa prodotta a Biella e zone limitrofe. 5) MATERIALI ED ATTREZZATURE SPECIFICHE UTILIZZATI PER LA PREPARAZIONE,

IL CONDIZIONAMENTO O LIMBALLAGGIO DEI PRODOTTI Attrezzature ordinarie per salumeria quali coltelli e bilancia per le spezie e forno per la cottura. 6) DESCRIZIONE DEI LOCALI DI LAVORAZIONE, CONSERVAZ IONE E STAGIONATURA I locali di lavorazione rispettano quanto previsto dalla normativa vigente. Le celle di stagionatura possono essere celle frigorifere o cantine naturali ma con pareti, pavimenti e soffitti in grado di salvaguardare ligiene del prodotto.

7) DOCUMENTAZIONE ATTESTANTE CHE LE METODICHE DI LA VORAZIONE

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA SI SONO CONSOLIDATE NE L TEMPO PER UN PERIODO NON INFERIORE AI VENTICINQUE ANNI

Non stata reperita documentazione bibliografica riguardante la Coppa Cotta Bieleisa, ma vi sono delle testimonianze orali che ne confermano l'esistenza nel tempo.

Categoria B Prodotto n. 19

1) CATEGORIA: CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO P REPARAZIONE 2) NOME DEL PRODOTTO: COTECHINO 3) CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO E METODICHE DI LAVO RAZIONE,

CONSERVAZIONE E STAGIONATURA CONSOLIDATE NEL TEMPO IN BASE AGLI USI LOCALI, UNIFORMI E COSTANTI.

Caratteristiche Il cotechino un insaccato a base di carne suina che si consuma dopo cottura. Il nome deriva dalla presenza nellimpasto della cotenna di maiale. Le dimensioni del prodotto prima della cottura sono variabili a seconda del tipo di budello utilizzato per linsacco, pertanto si pu passare da una pezzatura molto piccola, 100 g, a una pezzatura intermedia 200-250 g fino ad una pezzatura intorno ai 350-400 g. La lunghezza del prodotto pu variare ed essere compresa tra 8 e 20 cm e il diametro compreso tra 68 cm. Laspetto prima della cottura quello di un salame fresco, il budello liscio e privo di muffe. Dopo la cottura il budello viene eliminato prima del consumo e la carne presenta un colore rosato, lucido per la presenza elevata di grasso. Il sapore caratteristico, molto aromatico per la presenza di spezie, la struttura morbida e pastosa. Metodiche di lavorazione Preparazione e scelta della carne La carne utilizzata per la preparazione del cotechino data dal 25-30% di cotenna, 25-30% di grasso di suino e 40% di magro di testa (collo, gola, testa) e spalla (rifilature non idonee alla produzione di salami). La carne viene macinata con un coltello avente fori di diametro 8 mm. La cotenna, per le sue caratteristiche di struttura pi dura, viene tritata prima con una piastra avente diametro pi grande, pari a 12 mm e poi tritata una seconda volta insieme al resto dellimpasto utilizzando un coltello con fori di diametro inferiore, 8 mm. Per linsacco si utilizza budello naturale (dritto bovino, oppure torto). Preparazione della concia e insacco Per la preparazione della c