relazione divisa in tre parti: 1^ parte: incipit un bacio ... · •ora, parlare di felicità e di...

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1 Relazione divisa in tre parti: 1^ parte: incipit "Un bacio appassionato " film di Ken Loach 2^ parte: lIo definizione del tema e differente campo che origina i due poli. 3 problemi: A le definizioni sono "la" o "una delle tante"? Ma comunque occorre darne una per iniziare la discussione: "disposizione d'animo positiva...." B acquisizione di un bene o soddisfacimento interiore? Analisi dellio, di ciò che siamoC accettare o accogliere se stessi? amare se stessi, amor fatiSpinoza/ Nietzsche come due modelli di riferimento; ma ne esistono altri,cfr. Epicuro sulla felicità 3^ parte: io/altro concetto di relazione (qui nasce idea bene comune – società/stato); concetti alternativi sospetto/fiducia ; esempi: Hobbes, mondo latino (limes/limen); problema: singolo o comunità; singolo e comunità La scelta dipende dai modelli di riferimento: a) se la legge esista al di sopra del soggetto, b) se sia ricavata dal rapporto con gli altri, c) se non abbia nessun valore (tre tipi di stato e quindi tre tipi di bene comune) Riferimenti alla storia della filosofia (Platone, Aristotele, Roscellino) e interferenze tra felicità privata e bene comune Conclusione: quale la migliore soluzione? Considerazioni sui diritti del singolo e sui diritti della società, ma si apre un altro capitolo sui diritti etici/ morali/civili.

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Page 1: Relazione divisa in tre parti: 1^ parte: incipit Un bacio ... · •Ora, parlare di felicità e di bene comune, cercando la definizione delle due nozioni, non è cosa semplice perché

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Relazione divisa in tre parti: 1^ parte: incipit "Un bacio appassionato " film di Ken Loach 2^ parte: l’Io definizione del tema e differente campo che origina i due poli. 3 problemi: A le definizioni sono "la" o "una delle tante"? Ma comunque occorre darne una per iniziare la discussione: "disposizione d'animo positiva...." B acquisizione di un bene o soddisfacimento interiore? Analisi dell’io, di “ciò che siamo” C accettare o accogliere se stessi? amare se stessi, “amor fati” Spinoza/Nietzsche come due modelli di riferimento; ma ne esistono altri,cfr. Epicuro sulla felicità 3^ parte: io/altro concetto di relazione (qui nasce idea bene comune – società/stato); concetti alternativi sospetto/fiducia ; esempi: Hobbes, mondo latino (limes/limen); problema: singolo o comunità; singolo e comunità La scelta dipende dai modelli di riferimento: a) se la legge esista al di sopra del soggetto, b) se sia ricavata dal rapporto con gli altri, c) se non abbia nessun valore (tre tipi di stato e quindi tre tipi di bene comune) Riferimenti alla storia della filosofia (Platone, Aristotele, Roscellino) e interferenze tra felicità privata e bene comune Conclusione: quale la migliore soluzione? Considerazioni sui diritti del singolo e sui diritti della società, ma si apre un altro capitolo sui diritti etici/morali/civili.

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FELICITÀ  PRIVATA  E  BENE  COMUNE:  POSSIBILE  CONCILIAZIONE?  

Treviglio  8  marzo  2012  

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Un  bacio  appassionato  

Giorni  fa  avevo  già  predisposto  la  relazione  di  questa  sera,  ma  mi  sono  imba=uto  in  un  film,  Un  bacio  appassionato  di  Ken  Loach.  Alla  fine  della  visone  mi  sono  trovato  a  rifle=ere  sul  tema  di  questa  sera  per  cui  lo  uFlizzo  come  premessa.    La  storia  è  semplice:  

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Un  bacio  appassionato  di  Ken  Loach  

Casim,  nato  a  Glasgow,  figlio  di  pakistani,  lavora  come  disc  jockey  in  un  club.  La  sua  famiglia  ha  già  programmato  per  lui  il  matrimonio  con  una  cugina    

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ma  Casim  si  innamora  di  Roisin,  irlandese,  insegnante  di  musica  della  sorella  minore.  

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I  problemi  nascono  in  quanto  Roisin  è  separata  

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e  l'IsFtuto  ca=olico  dove  lei  insegna  pretende  una  condo=a  moralmente  irreprensibile.  

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Dall'altra  però  c’è  il  bel  senFmento  d'amore  sbocciato  tra  un  musulmano  ed  una  

occidentale    

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però  un  preconce=o  sociale  si  introme=e:  il  bene  della  comunità  prevede  che  siano  i  genitori  a  determinare  il  

matrimonio  dei  figli.  

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Non  vi  dico  come  si  conclude,  ma  la  riflessione  va  fa=a  su  ciò  che  significa  bene  comune  e  come  questo  possa  

evitare  di  sovrapporsi  alla  felicità  privata.  

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•  Ma andiamo con ordine e affrontiamo il tema partendo da ciò che ci viene richiesto dalla mentalità occidentale nella quale siamo tutti immersi; infatti ogni volta che ci accingiamo a riflettere o a discettare su qualche cosa, immediatamente desideriamo definire l'oggetto del contendere. Questa peculiare caratteristica appartiene propriamente al nostro mondo che ha come matrice la filosofia greca dalla quale deriva il concetto "definizione”.  

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Definiamo  i  due  termini  

Per  Socrate  ogni  enunciazione  prevedeva  la  determinazione  verbale  associata  però  ad  un  referente  mentale  che  fungeva  da  conce=o.  Proprio  il  conce=o  determinava  il  contenuto  di  ciò  di  cui  si  parlava.  

Definiamo    i  termini!!!!!  

Siamo  figli  della  razionalità  greca.    

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•  Ora, parlare di felicità e di bene comune, cercando la definizione delle due nozioni, non è cosa semplice perché non si tratta di oggetti fisici, di una sedia, di un tavolo, di una penna, ma si sta soppesando un quid che ha come ambito da una parte, nel caso della felicità, il campo emotivo, dall'altra, nel caso di bene comune, il campo della politica se non più propriamente dell'etica o della morale  

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nel  caso  della  felicità,  occorre  entrare  nella  sfera  delle  emozioni  per  chiarirne  il  significato.  

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il  bene  comune    non  possiamo  cercarlo  tra  le  emozioni,  ma  nel  campo  della  poliFca,  se  non  più  propriamente  

dell'eFca  o  della  morale.  

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•  Dunque, per definire che cosa sia "felicità" occorrerebbe lanciare lo sguardo sul versante delle emozioni, così come accade quando si parla di amore, odio, stima, ecc... tutti contenuti della passione più che della mente raziocinante. Non sto dicendo che non si possa poi ragionare sulla felicità, sto solo dicendo che essa appartiene in quanto origine all'animo umano, al campo delle eccitazioni, degli slanci, degli impulsi, dei desideri.  

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l’origine  della  felicità  va  cercata  nell'animo  umano  

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•  E per definire poi il secondo termine, cioè bene comune, andando al di là delle tante vicissitudini storiche e dalle concrete determinazioni delle leggi positive, occorre inserirlo all'interno del diritto naturale che ci conduce nel profondo dei diritti dell'uomo in quanto essere da una parte e in quanto esistente dall'altra; dunque il bene comune, prima ancora di essere tradotto in forme politiche, trova la sua origine nel bene fondamentale di ogni uomo.  

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l’origine  del  bene  comune  all'interno  del  diri=o  naturale  cioè  nel  profondo  dei  diri^  dell'uomo  in  quanto  tale   19  

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proviamo  a  dare  una  prima  sgrossatura  al  conce=o  di  felicità.  

disposizione  d'animo  posi1va  che  un  sogge6o  riscontra  dentro  di  sé  nell'approccio  con  la  realtà.    

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•  Ora, indugiando sulla definizione dei due termini, un problema si innesta, se cioè tali definizioni, qualsiasi esse siano, debbano considerarsi come "la" definizione, cioè l'unica in grado di presentarsi come universale, oppure non debbano essere prese come "una delle tante possibili" dichiarazioni.  

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A  ben  guardare,  questa  definizione  non  ha  un  contenuto,  ma  appare  come  una  semplice  inclinazione  alla  quale  ogni  uomo  

associa  ciò  che  più  è  consono  alla  propria  personalità  

denaro

potere

godimento fisico, estetico

successo

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Si  tra=a  dunque  di  un  benessere  interiore,  di  un  soddisfacimento  psicologico,  di  un  appagamento  del  sogge=o  

che,  mirando  alla  conquista  di  un  bene,  fa  assumere  a  quest'ulFmo  un  valore  di  riferimento  per  ogni  azione..  

la  felicità  non  sta  solo  nella  meta  intesa  come  ruolo  di  orientamento  dell’azione,  

ma  sopra=u=o  nel  soddisfacimento  interiore  legato  al  possesso  di  quel  bene.  

… è dunque "soddisfazione per ciò che possediamo" 23  

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ulteriore  problema  (mala^a  dei  filosofi?!):  

o  piu=osto  non  sta  nel  sogge=o  in  quanto  determinatore  di  quel  contenuto?    

il  contenuto  che  determina  la  felicità  sta  nel  bene  acquisito?  

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sono  io  a  dunque  determinare  la  mia  felicità  

Ma  molF  sono  gli  "io”,  tanF  quanF  i  sogge^  umani,  per  cui  potremmo  dire  che  esistono  molteplici  felicità  per  quanto  concerne  i  contenuF,    

ma  forse  una  per  quanto  riguarda  la  definizione  da  cui  eravamo  parFF,  cioè  "felicità  come  disposizione  d'animo  posiFva  che  si  riscontra  nel  nostro  approccio  con  la  realtà".  

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•  Il nostro discorso però è solo all'inizio perché credo che, posta questa enunciazione, occorrerebbe sondare un po' più a fondo la "disposizione d'animo positiva" che ci conduce a dire che siamo noi i gestori della nostra felicità, o della nostra infelicità, del nostro star bene o male con noi stessi. Stare bene con se stessi equivale così non solo a desiderare il bene che ci siamo proposti di conquistare, cioè  

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Doppia  faccia  di  questa  felicità  

"desiderare  ciò  che  abbiamo  conquistato",  ecco  un  risvolto  della  felicità  

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Doppia  faccia  di  questa  felicità  

ma  sopra=u=o  "desiderare  ciò  che  siamo".  Il  che  non  significa  fermarsi  ad  essere  per  sempre  così,  senza  crescita  interiore,  ma  per  sempre  essere  contenF  di  ciò  che  in  quel  momento  siamo.  

“amare ciò che siamo” ecco la finalità migliorativa della nostra felicità in crescita 28  

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•  Ma anche questa affermazione non mi trova tranquillo in quanto, se effettivamente fossi contento di ciò che sono, probabilmente non cercherei mai di migliorare, poiché mi potrei considerare perfettamente realizzato. Forse, allora il desiderio di essere ciò che si è, non va preso alla lettera, ma occorrerebbe porre nello sfondo una luce che indicasse al soggetto una finalità migliorativa di quel sé che siamo noi in un preciso istante della nostra esistenza.

•  Posta così la questione, mi viene da dire che la felicità di essere ciò che siamo non sia la condizione finale del soggetto, ma quella transitoria che porta a dire che la felicità non è mai compiuta, ma è "felicità in crescita".  

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•  Alcuni potrebbero intendere questo riconoscimento del sé come una "accettazione", ma questo termine ha assunto nel corso della storia linguistica una connotazione piuttosto negativa che non sarebbe propriamente da associare alla felicità; forse il verbo accettare potrebbe essere sostituito con uno più positivo, come "accogliere", situazione che manifesta uno stato di contentezza, ad esempio quando accogliamo un amico a casa nostra. Accogliere significa esibire il proprio volto favorevole, legato ad un'affettività benevola, quasi fosse un atto di amore quello che stiamo per compiere. Accettare invece è simile ad accontentarsi, mentre accogliere rievoca in noi l'atteggiamento di chi sente in sé la contentezza dell'atto che sta producendo.  

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“amare  ciò  che  siamo”  Due  filosofi,  Spinoza  e  Nietzsche  interpretano  diversamente  l’affermazione  “amare  ciò  che  siamo”.  

Il  primo  come  amor  Dei  intellectualis,  cioè  acce=are  con  l’intelle=o  l’amore  di  Dio  che  ci  ha  fa^  così  come  siamo.    

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“amare  ciò  che  siamo”  

Nietzsche  invece  interpreta  “amare  ciò  che  siamo”  come  amor  fa1  che  non  va  trado=o  le=eralmente  come  “amore  del  desFno”,  ma  come  accogliere  con  disponibilità  d’animo  favorevole  tu=o  ciò  che  accade.    

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Specchio concavo Specchio piano Specchio convesso

La realtà vera, dunque, qual è?

Due posizioni, quelle di Spinoza e Nietzsche, nate da due modelli di razionalità. Ogni affermazione dipende dal modello di riferimento cui noi tendiamo.

Per chiarire ciò con un esempio visivo, immaginiamo di trovarci di fronte ad uno specchio e di considerare la realtà così come ci appare, presumendola reale.

Che cosa accade?

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I  modelli  di  razionalità  

La  stessa  cosa  avviene  quando  dalla  felicità  privata  si  passa  a  parlare  del  bene  comune:  ogni  asserzione  dipende  dal  modello  di  riferimento  che  si  prende  a  riferimento.  

E  che  cosa  significa  allora  per  noi  “Amare  le  cose  perché  si  ama  l'io  che  siamo  noi?”  Possiamo  trasferire  questo  amore  fuori  di  noi?  Possiamo  "accogliere  l’altro“  e  come  possiamo  farlo  senza  perdere  la  nostra  felicità?  

L'amor  Dei  intellectualis  diceva  Spinoza  "si  configura  come  un  impulso  a  intessere  tra  eguali  l'orditura  di  una  democraFca  società  civile,  la  quale,  a  differenza  di  ciò  che  è  lo  stato  di  natura,  cosFtuisce  un’organica  unità  consensuale  di  uomini  e  di  ceF  che,  in  quanto  razionali,  amano  il  loro  prossimo  come  se  stessi  e  difendono  il  diri=o  altrui  come  il  proprio“  (Giuseppe  Turco  Liveri  nel  suo  Nietzsche  e  Spinoza,  p.184)  .    

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•  E qui potremmo riprendere quanto scrivevo in un articolo sulla Regola Aurea4, ma ogni asserzione, per quanto questa possa rappresentare uno stimolo per accoglierla ed assumerla come propria, nasce da un modello di riferimento che sta a monte della stessa affermazione.

•  Sono convinto infatti che le soluzioni fin qui date dalle società storiche o dalle scuole filosofiche siano il frutto di un'applicazione di modelli di riferimento che si insinuano nei soggetti per far loro dare una soluzione che sembri definitiva.  

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“Modelli  di  riferimento”,  dicevo  Pensiamo  ad  esempio  all'epoca  della  Grecia  classica  quando  alcune  scuole,  epicurea  e  stoica,  più  che  di  ricerca  della  felicità  parlavano  di  liberazione  dall’infelicità;  in  questo  caso  sarebbe  più  un  “togliersi  da…”  (dai  dolori,  dalla  volontà  di  vivere)  che  “ricerca  di…”  che  si  può  definire  in  molF  modi,  come  a-­‐tarassia  (assenza  di  turbamento),  a-­‐prassia  (assenza  di  azione),  a-­‐ponia  (assenza  di  dolore),  a-­‐paFa  (assenza  di  emozione),  a-­‐diaforia  (indifferenza  verso  i  beni  che  non  sono  né  virtù  né  vizio),  ‘assenza  di’  dunque  e  non  ‘ricerca  di’,  un  ‘togliersi  da’  più  che  un  ‘immergersi  in’.    

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“Modelli  di  riferimento”,  dicevo  

Nasce  il  tetrafarmaco  di  Epicuro  …  

1. liberare  gli  uomini  dal  Fmore  degli  dèi,  

2. dal  Fmore  della  morte,  

3. la  facile  raggiungibilità  del  piacere,  4. la  provvisorietà  e  la  brevità  del  dolore.  

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La  fuga  dall’infelicità  anche  oggi?  

Anche  oggi  sembra  ripetersi  questa  enclave  legata  all’individualisFca  chiusura  in  se  stessi.  Che  si  sFa  percorrendo  la  strada  di  una  fuga  dal  mondo  dove  vasta  eco  hanno  le  filosofie  orientali?  

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•  Forse il deterioramento dei messaggi religiosi, un po’ troppo dogmatici e al contempo ricattatori, del tipo “se non fai questo, pecchi e quindi meriti l’inferno”, hanno prodotto nel contesto antropologico odierno, molto più critico di quanto non lo fosse nel passato, la crisi dei valori costituitisi nel tempo, aprendo un vuoto nelle coscienze, scopertesi spogliate. Ed è per questo che, nella ricerca di risposte rassicuranti, molte persone inseguono certezze perdute sostituendole con altre, provenienti da tradizioni diverse. Ma anche questa scelta dimostra la debolezza della psiche umana che va alla ricerca di un differente fideismo, col rischio di scivolare nel fanatismo.  

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La  fuga  dall’infelicità  anche  oggi?  Il  mondo  orientale,  rivalutato  dall’uomo  occidentale,  viene  così  le=o  con  altri  occhi,  diversi  da  come  dovrebbe  essere  vissuto,  per  cui  alcuni  principi,  come  ad  esempio  lo  yoga  o  la  meditazione  trascendentale  si  trasformano  in  pure  tecniche,  più  vicine  al  farmaco  che  regala  serenità  che  non  a  quella  che  dovrebbe  essere  una  filosofia  di  vita  

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•  Questa fuga verso un mondo sconosciuto, e perciò attraente, sembra nascere dal rifiuto dei codici egemonici che molte istituzioni predeterminano, non esclusa la stessa Chiesa la quale fin dal Medioevo ha imposto dei principi universali nei rapporti tra i soggetti. Forse, però, ciò che si rifiuta non è tanto l'universalità dei principi, che comunque comparirebbe anche solo se il soggetto pensasse a sé come fondamento assoluto dei rapporti umani, ma il loro contenuto e quindi la dipendenza da una cultura che si dichiara egemone in quanto si proclama detentrice della verità rivelata; e ciò accade anche all'interno degli stati totalitari dove è preminente l'interesse dello Stato sulla ricerca di felicità del soggetto singolo. Il soggetto odierno dunque rifiuta la forma di dominio, non la possibilità di convivenza con dei principi generali o universali che dir si voglia, anche se i due termini non sono dei sinonimi.  

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Bene  comune  si  o^ene  me=endosi  in  relazione  con  l’altro    

Molto  spesso,  sopra=u=o  nella  società  odierna,  l’altro  si  presenta  all'io  come  un  estraneo,  addiri=ura  un  diverso,  quando  non  anche  un  nemico  per  cui,  associandolo  ai  tra^  dell'opposto,  l’altro  diventa  pietra  d'inciampo  nella  ricerca  di  un  bene  comune.    

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La  relazione  stato di natura

l’altro da sé

2.  ad  un  certo  punto  scopre  l’altro  da  sé  e  allora  decide  che  questo  altro  da  sé  lo  limita  e…  

3.  ne  nasce  una  guerra,  la  guerra  di  uno  contro  l’altro  che  poi  diventa  bellum  omnium  contra  omnes.  

1.  L’io,  nello  stato  di  natura  si  riteneva  possessore  di  tu=o  ciò  che  esisteva,  era  padrone  assoluto  di  ogni  cosa  

Hobbes

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Il  sospe=o  e  il  limite  

È  la  nozione  "sospe=o"  quella  che  spesso  divide.  Il  sospe=o  che  l'altro  sia  una  minaccia  per  l'io,  un  limite;  e  in  questo  c'è  tu=a  la  fragilità  psicologica  dell'animo  umano.  

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Ma il sospetto si può trasformare in minaccia per cui l'altro, vissuto come il massimo della negatività, va tolto di mezzo; il delirio dell'essere umano, pervaso da questa negatività totale, ben sappiamo a quali conseguenze ha portato, ad esempio, guardando alla storia del popolo ebraico nella Germania hitleriana.

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Il  sospe=o  e  il  limite  

I  laFni  avevano  due  modi  di  intendere  la  nozione  di  limite:  limes  come  steccato,  barriera  posta  al  confine,  forFficazione  contro  gli  invasori  

limes

o  limen come  fronFera  che  conteneva  in  sé  il  significato  di  apertura  guardata  a  vista  limen 44  

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Limes  

•  Romolo  e  Remo.  •  Solco  che  divide  •  Barriera  invalicabile  •  Civis  romanus  sum  (so’  de  RRRoma!)  •  Cinta  muraria  •  Fortezza  •  la  storia  ci  è  maestra??????????????  •  ALTRO=NEMICO  

45  

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•  Ponte  

Il  che  significa  accoglienza  

•  Valico  •  Passo  

Limen  

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Il  bene  comune  Il  bene  comune,  che  nasce  dall'acce=azione  del  pluralismo,  può  esistere  solo  nel  caso  in  cui  l'io  decida  di  rinunciare  non  alla  propria  felicità,  ma  alla  propria  immagine  totalizzante  e  quindi  al  “sospe=o”  acce=ando  la  "relazione"  come  codice  di  riferimento  per  una  convivenza  comune.  

Perché  tu^  siamo  fronde  dello  stesso  albero  

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•  Se non si instaura un atteggiamento di fiducia può accadere che il conflitto diventi reciproco; occorre dunque la "consegna incondizionata" dell'io nelle mani dell'altro, senza però perdere la propria identità, garanzia di felicità privata.  

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3.  come  straniero  con  cui  relazionarsi  a=raverso  legami  di  riconoscimento  che  non  escludano  né  l’idenFtà  dell’io  né  quella  dell’altro,  cioè  che  non  appia^scano  le  differenze,  anzi  che  le  valorizzino  

l’estraneo: varie opzioni

1.  come  sogge=o  da  assimilare  alla  propria  idenFtà    

2.  come  altro  che  va  lasciato  nella  sua  indifferente  estraneità    

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Posta  la  relazione,  la  felicità  privata  da  una  parte  e  il  bene  comune  dall'altra,  intersecandosi,  fanno  nascere  la  domanda  sui  diri^  irrinunciabili  di  ogni  essere  umano.  QuesF  diri^  da  una  parte  fungono  da  freno  per  la  comunità  (nei  confronF  del  singolo)  e  dall'altra  da  spinta  verso  una  nuova  forma  di  felicità  (che  da  privata  possa  diventare  pubblica).  

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Ma  prima  di  evidenziarli,  consideriamo  una  fondamentale  disFnzione:  

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Nel  corso  della  storia  il  bene  comune  è  stato  interpretato  ed  a=uato  secondo  diversi  modelli  di  stato  considerato  buono  o  ca^vo,    

così  come  ci  ricorda  Ambrogio  Lorenze^  negli  affreschi  del  Palazzo  pubblico  di  Siena.  

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Singolo  o  comunità?  Per  definire  quali  modelli  di  razionalità  sorreggano  ogni  opzione  di  stato  occorre  capire  se  è  preminente:  

a)        il  bene  e  la  felicità  del  singolo  

 

b)        il  bene  e  la  felicità  pubblica    

oppure  

sovrapposta  a  quella  privata  decisa  dai  legiferatori     52  

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Ecco  la  necessità  di  determinare  se…  

   

La  legge  esista  prima  del  singolo  

Il  singolo  ricavi  le  leggi  dalla  realtà  che  lo  circonda  

la  legge  sia  solo  una  convenzione  

inventata;  un  puro  nome    

il  diba^to  coinvolge  sia  il  piano  gnoseologico  sia  quello  ontologico    

legge

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Ora, posto che con la mia relazione non intendo costituire una politica sana per conciliare felicità privata e bene comune, ma solo problematizzare la situazione, convinto che ogni soluzione, come ogni risposta, chiuda il dibattito, invece di tenerlo aperto, vorrei porre problematicamente in rapporto le due nozioni all'interno dei modelli di riferimento per vedere a quali risvolti esse portino.

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Facciamoci aiutare da una vecchia questione filosofica

Verità

Due scuole di pensiero

Platone

la verità è prima delle cose, prima del mondo, prima dell’uomo; è allora una verità ante rem

Aristotele

estrapolare dal dato la sua essenza a partire dal mondo della realtà contingente, attraverso delle operazioni di astrazione; è allora una verità in re

Atene 427-347 a.C. Stagira 384-Calcide 322 a.C.

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i  due  “modelli  di  verità”  non  possono  coesistere  

Platone  con  il  dito  rivolto  verso  l’alto  indica  che  la  realtà  empirica  non  è  la  vera  realtà  e  che  occorre  alzare  lo  sguardo  al  cielo  per  scorgerla  

Aristotele,  con  il  palmo  aperto  verso  terra,  starebbe  ad  indicare  che  la  realtà  occorre  cercarla  qui  tra  di  noi,  senza  andare  verso  un  mondo  fa=o  solo  di  idee  

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Dal  dipinto  di  Raffaello  “La  scuola  di  Atene”  

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per  Platone  la  realtà  ideale  conFene  in  sé  tu=o  ed  è  assumendo  lei  che  possiamo  vivere  secondo  delle  leggi  universali  che  garanFscono  il  bene  comune  

per  Aristotele  la  realtà  è  qui  e  basta  saper  astrarre  dalle  cose  i  vari  universali  che  cosFtuirebbero  i  fondamenF  del  vivere  comune  

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realismo assoluto concettualismo

nominalismo

Verità

C‘e una terza posizione

flatus vocis

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Analizziamo  ora  i  tre  modelli  

E  vediamo  a  quali  conseguenze  portano,  considerandoli  all’interno  della  nostra  analisi  su  felicità  privata  e  bene  comune.  

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Stato  come  decretatore  del  bene  comune  

Platone  prediligeva  la  realtà  del  mondo  soprannaturale  (iperuranio)  

nel  quale  erano  inserite  le  idealità  che  governavano  il  mondo  per  cui  solo  chi  sa  leggere  nell’iperuranio  può  governare;  dunque  allo  Stato  spe=a  la  decisione  intorno  al  bene  comune.    

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Stato  come  decretatore  del  bene  comune  Posto  che  l'universale  esiste  ancor  prima  dell'esistenza  dell'uomo,  ogni  singolo  deve  so=ome=ersi  alle  leggi  universali  in  quanto  verità  rivelate;  è  da  qui,  anche  se  non  solo  da  qui,  che  nasce  la  preminenza  dello  Stato  che  porta  necessariamente  ad  un  egemonismo,  che  può  trasformarsi  in  totalitarismo  

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Aristotele  Per  Aristotele  la  verità  delle  cose  si  trova  nel  mondo  dove  risiede  l’uomo  e  non  nel  sopramondo.    Occorre  saper  guardare  dentro  alle  cose  per  trovare  la  verità.    

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Aristotele  

Allora  il  bene  comune  potrebbe  essere  ritrovato  a  parFre  dai  singoli  per  salire    

verso  la  cosFtuzione  di  una  società  nella  quale  i  singoli  non  perderebbero  le  loro  felicità,  anzi  godrebbero  di  una  felicità  pubblica  che  però,  necessariamente,  dovrebbe  fare  i  conF  con  quella  privata.    

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in  questo  caso  non  sarebbe  più  la  forma  di  governo  

Monarchia,  

ad  essere  preminente  sui  sogge^,  ma  …  il  bene  dei  sogge^      

Aristocrazia,  

Polira  

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Aristotele  

il  bene  dei  sogge^  determinerebbe,  all'interno  di  qualsiasi  forma  di  governo,  l'a=eggiamento  che  lo  stato  dovrebbe  avere  nei  confronF    

e  della  comunità  

dei  singoli  

65  

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Terza  posizione:  nominalismo  

Per  Roscellino  da  Compiegne  (1050/1120)  l’universale  non  risiedeva  né  nel  sopramondo,  né  nel  mondo  reale,  ma  era  solo  una  convenzione  degli  uomini  nel  definire  le  cose  le  quali  erano  un  flatus  vocis,  un  semplice  soffio  della  voce  senza  nessun  senso.      

Anche  Guglielmo  d’Ockham  (1280-­‐1349)  definiva  gli  universali  come  conce^  della  nostra  mente,  espressi  a=raverso  un  nome  

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Terza  posizione:  nominalismo  Scegliendo,  la  terza  forma,  quella  che  la  verità  è  un  semplice  flatus  vocis,  un  soffio  della  voce  senza  nessun  senso,  allora  credo  che  scivoleremmo  nell'anarchismo  dove  diri^  e  doveri,  invece  di  amalgamarsi,  si  scontrerebbero  in  quanto  preminente  sarebbe  la  felicità  del  singolo.    

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Poniamo  in  quesFone  il  conce=o  “bene  comune”  a=raverso  i  tre  modelli  

Platone Aristotele

Roscellino

Bene comune

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Esiste nel sopramondo

come idea

Ante rem

la  posizione  di  Platone,  ante  rem,  l’universale  esiste  prima  delle  realtà  del  mondo,  per  cui  il  singolo  è  solo  la  copia  dell’universale  

Tre  modelli  di  razionalità  

potremmo  definire  quesF  tre  modi  con  le  tre  forme  laFne:  

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Deriva dalla astrazione

In re

Tre  modelli  di  razionalità  

la  posizione  di  Aristotele,  in  re,  l’universale  esiste  nella  cosa,  per  cui  è  dalle  singole  cose  che  si  o^ene  l’universale,  a=raverso  l’astrazione  

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.  la  posizione  di  Roscellino  o  di  Ockham  potremmo  chiamarla  post  rem,  l’universale  è  solo  un  nome,  un  fiato  della  voce  e  nulla  più.  

È una convenzione

Post rem

Tre  modelli  di  razionalità  

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Deriva dalla astrazione

In re

È una convenzione

Post rem

Esiste di per sé come

idea

Ante rem

Bene comune

Tre  modelli  di  razionalità  che  spiegano  il  bene  comune  

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•  Che cosa significhi questo mio riferimento alle tre forme di verità è presto detto se pensiamo che accettando la prima (ante rem) saremmo costretti ad asserire che il bene comune è preminente sulla felicità del singolo; infatti, posto che l'universale esiste ancor prima dell'esistenza dell'uomo, dovremmo presupporre che l'idea sovrasta ogni singolo il quale deve sottomettersi alle leggi universali, comprese quelle delle chiese monoteiste che impongono le proprie verità rivelate; è da qui, anche se non solo da qui, che nasce la preminenza dello Stato come origine del bene comune, di quello stato che porta necessariamente ad un egemonismo che può trasformarsi in totalitarismo.

•  Se, invece, seguissimo l'atteggiamento di Aristotele per il quale la verità non consiste in un'idea preconcetta, ma va calibrata nel mondo nelquale ci troviamo, allora il bene comune potrebbe essere ritrovato a partire dai singoli per salire verso la costituzione di una società nella quale i singoli non perderebbero le loro felicità, ma anzi godrebbero di una felicità pubblica che però, necessariamente, dovrebbe fare i conti con quella privata; in questo caso non sarebbe più la forma di governo ad essere preminente sui soggetti, ma il bene dei soggetti determinerebbe, all'interno della forma di governo, qualunque essa sia, monarchia, aristocrazia, politìa, l'atteggiamento che lo stato dovrebbe avere.

•  Scegliendo, invece la terza forma, quella che la verità è un semplice flatus vocis, un soffio della voce senza nessun senso, allora credo che scivoleremmo nell'anarchismo dove diritti e doveri, invece di amalgamarsi, si scontrerebbero.  

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Non  sta  a  me,  in  questa  sede,  decidere  quale  sia  migliore  

Si  può  rifiutare  l'ante  rem  e  quindi  l’asserzione  che  la  felicità  privata  non  debba  essere  tenuta  in  considerazione  di  fronte  al  bene  comune  al  quale  spe=a  il  dominio  sui  singoli.  Questa  posizione  è  di  chi  egemonicamente  pone  la  verità  da  costui  professata  come  l’unica  cui  so=ome=ere  ogni  altra  convinzione.  Penso  non  solo  al  totalitarismo  statale,  ma  anche  a  quelle  isFtuzioni  religiose  che  alla  libertà  di  coscienza  preferiscono,  alla  stregua  di  Platone,  il  de=ato  della  legge  universale,  rivelata  così  come  filosoficamente  era  stata  rivelata  a  Platone.    

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Due  parole  su  Platone  Nell’Iperuranio  sono  disposte,  come  in  una  piramide,  tu=e  le  idee  (le  meno  importanF  dal  basso  verso  l’alto,  fino  alla  massima:  

all’idea di Bene, Bello, Buono

L’uomo,  guardando  alle  cose,  le  crede  vere  come  succede  quando  si  è  in  una  caverna  e  si  vedono  le  immagini  impresse  sul  fondo  (un  po’  come  al  cinema).  

Il  demiurgo,  guardando  alle  idee  poste  nell’Iperuranio,  dà  forma  alla  realtà  visibile.  

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Il  mito  della  caverna  

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Solo  i  filosofi  possono  comprendere  la  verità  

i filosofi devono governare la polis

i militari la difendono

i commercianti la mantengono

e  quindi…  

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arFgiani  e  commercianF  

militari  

Filosofi  

Ecco  lo  stato  che  incarna  la  giusFzia  e  quindi  spe=a  a  lui  scegliere  il  bene  per  tu^  

Sapienza  +  fortezza  +  temperanza  =  giusFzia  

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Non  sta  a  me,  in  questa  sede,  decidere  quale  sia  migliore  

Si  può  rifiutare  il  post  rem,  che  porterebbe  a  sopravvalutare  la  felicità  privata  a  svantaggio  del  bene  pubblico  e  alcuni  filosofi  lo  hanno  proposto:  William Godwin (1756-1836), ad esempio, deluso dalla Rivoluzione Francese e dalla dittatura giacobina, elaborò un ordinamento sociale fondato sull'abolizione del governo centrale e sulla costruzione di libere comunità indipendenti fondate sulla maturazione di un'etica insieme individualista e comunitaria.

Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) definì l'anarchia come “governo di ognuno da parte di se stesso, dove l'assenza di signori, di monarchi o governanti creava una società più giusta, senza autorità”. da  un  dipinto  di  Courbet,  1865 79  

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Non  sta  a  me,  in  questa  sede,  decidere  quale  sia  migliore  

Si  può  rifiutare  il  post  rem,  che  porterebbe  a  sopravvalutare  la  felicità  privata  a  svantaggio  del  bene  pubblico  e  alcuni  filosofi  lo  hanno  proposto:  

Per Herbert Spencer (1820-1903), simpatizzante delle istanze georgistiche (per le quali ognuno ha il diritto di appropriarsi di ciò che crea attraverso il proprio lavoro), lo Stato con le sue leggi non deve regolare in alcun modo la società in quanto ogni iniziativa spetta soltanto all'individuo.

Per Max Stirner (1806-1856) spetta al singolo decidere se e quando limitare la propria libertà nel momento in cui interagisce con altri individui. L'interazione costituisce un sacrificio in termini di libertà che si può restringere solo per una maggiore utilità per sé stessi, quando non è altrimenti realizzabile.

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Non  sta  a  me,  in  questa  sede,  decidere  quale  sia  migliore  

Si  può  rifiutare  anche  l'in  re,  cioè  quella  situazione  nella  quale  è  a  parFre  dai  singoli  che  occorre  decidere  quali  beni  siano  da  difendere  conciliandoli  con  quelli  della  comunità.  E  nella  storia  troviamo  a  più  riprese  tale  forma  di  governo,  nelle  poleis  greche,  nella  Roma  repubblicana,  nell’epoca  Comunale  italiana.  

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Non  sta  a  me,  in  questa  sede,  decidere  quale  sia  migliore  

Ma  troviamo  anche  chi  ha  difeso  questo  principio:  

Per Jeremy Bentham (1748-1832) la felicità deve esser posta nella ricerca di una convivenza che abbia come movente il piacere dell’individuo poggiato su un interesse comune e che contemporaneamente porti a rifuggire il dolore. Ogni regola va posta in vista della “maggior felicità del maggior numero possibile di persone”.

John Stuart Mill (1806-1873) Sovrano a decidere sulla gerarchia dei piaceri è l’individuo con un suo punto di vista che non esclude però quello degli altri; qualora sorgesse un conflitto tra interesse individuale e interesse generale è il dibattito pubblico a decidere.

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Problema  aperto.  

Non  sta  a  me,  in  questa  sede,  decidere  quale  sia  la  soluzione  migliore,  però,  se  nel  regime  egemonico  o  totalitario,  quello  che  nasce  dal  codice  di  riferimento  dell'ante  rem,  il  bene  comune  è  generato  dallo  Stato  eFco,  e  nella  società  dell'in  re  esso  è  liberamente  prodo=o  dalla  comunità,  ci  sono  dei  pericoli  in  entrambi?    Se  il  pericolo  nel  primo  caso  era  rappresentato  dalla  spersonalizzazione  del  bene  comune,  nell'altro  caso  il  pericolo  non  è  più  lo  Stato  monoliFco,  ma  l'eccezionale  varietà  centrifuga  di  idee  e  comportamenF,  lo  svanire  del  patrimonio  ideale  comune  su  cui  possa  fondarsi  la  communitas  che  potrebbe  scivolare  verso  la  disorganica  formazione  di  un  bene  comune  e  quindi  verso  l'anarchia  dove  la  felicità  privata  sarebbe  fortemente  egemonica  a  svantaggio  del  bene  comune  

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Problema  aperto.  

Occorrerebbe  dunque  determinare  quali  siano  i  diri^  del  singolo  alla  sua  felicità  che  lo  stato,  nella  ricerca  del  bene  comune,  debba  salvaguardare  senza  invadere  quel  territorio.  Alcuni  pensano  a  diri^  fondamentali  come  il  diri=o  alla  casa,  all’educazione,  all’assistenza  sanitaria,  al  lavoro,  all’assistenza  nella  vecchiaia  (pensione);  però  credo  che  quesF  diri^  civili  siano  solo  l’iceberg  della  felicità  privata  perché  altri  sono  quelli  che  la  determinano,  non  esclusi  gli  insopprimibili  diri^  eFci  (la  tutela  della  persona,  la  libertà  di  culto,  libertà  di  autodeterminazione,  diri=o  di  decidere  sul  proprio  corpo,  diri=o  di  crescere  in  un  ambiente  prote=o  dagli  effe^  negaFvi)  nella  valorizzazione  comunque  delle  differenze.  Ma  questo  è  un  campo  che  richiederebbe  un’altra  serata  da  passare  assieme,  per  cui  …    

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Conclusione  

Questa  sera  non  siamo  giunF  ad  alcuna  decisione,  abbiamo  sollevato  più  problemi  che  risposte,  ma  è  così  per  la  filosofia:  ogni  risposta  chiude  la  ricerca,  mentre  le  domande  lasciano  aperto  un  pertugio  dove  si  inserisce  una  nuova  invesFgazione    e  credo  che  sia  difficile  trovare:  una  forma  assoluta  di  felicità  privata  slacciata  dal  bene  comune  e  neppure  si  possa  definire:  un  bene  comune  assoluto  rispe=oso  al  massimo  della  felicità  del  singolo.  

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Conclusione  

Ogni  soluzione  data,  purtroppo,  dipende  da  ciò  che  assumiamo  come  codice  mentale  di  riferimento,  per  cui  meglio  sarebbe  non  cercare  l’assoluto,  che  spesso  nella  sua  difesa  realizza  una  crociata,  ma  il  relaFvo  che,  ostacolando  ogni  forma  di  omologazione,  garanFsca  il  pluralismo  delle  opinioni  contro  la  verità  unica,  egemonica,  totalizzante.  

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 Grazie  per  la  vostra  a=enzione!          

hora ruit

Abbiamo  ascoltato  di  Beethoven  l’op.73  AndanFno  dal  Concerto  n.5  l’Imperatore  87