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RELAZIONI INTRENAZIONALI Prof. Alessandro Colombo

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RELAZIONI INTRENAZIONALIProf. Alessandro Colombo

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INFORMAZIONI

Programma del corso:• I parte : cosa sono le relazioni internazionali; caratteri e disciplina della politica internazionale degli ultimi quattro secoli (funzionamento e fragilità).• II parte : criteri utili a comprendere un sistema politico internazionale:- Potere, e sua distribuzione (ineguale);- Cultura: modo in cui gli attori comunicano e interagiscono, somiglianze e differenze;- Storia: uso politico della memoria;- Spazio: rilevanza dei luoghi, sia nelle interazioni che nei conflitti (v. inadeguatezza di concetti come “geografia universale”).• III parte : analisi della situazione odierna, e della rilevanza su di essa delle vicende storiche passate.

Materiale (per frequentanti):• Scritto: appunti (o volendo manuale, ma lui sconsiglia) + 2 testi a scelta tra:- Waltz, Teoria della politica internazionale: neorealista classico americano, teoria statica;- Gilpin, Guerra e mutamento nella politica internazionale: può in qualche modo essere ricondotto al neorealismo; teoria dinamica centrata sul tema del mutamento; autore americano;- Bull, La società anarchica: australiano ma membro della scuola britannica; offre un problema diverso che riguarda la politica internazionale moderna, in termini problematici: l’architettura westfaliana è ancora in salute o no? Quali sono le possibili alternative?;- Schmitt, Il nomos della terra: tedesco; tratta un problema simile a Bull ma con una prospettiva diversa: offre una ricostruzione della storia delle relazioni internazionali moderne, che si pone il problema della sopravvivenza o meno del sistema internazionale westfaliano. La soluzione è più radicale: parabola del sistema internazionale moderno considerata conclusa.• Orale: 1 testo a scelta tra:- Colombo, La sfida americana: Europa, Medio Oriente e Asia: testo sulla politica estera americana dell’amministrazione Bush (in particolare: guerra contro l’Iraq; area del Caucaso, come è cambiata con l’aumento della resistenza russa alla penetrazione americana; cambiamenti in Asia centrale –il testo qui fa riferimento a convinzioni superate-);- Huntington, Lo scontro delle civiltà, testo sul conflitto delle civiltà (il libro è mal fatto, la tesi discutibile);- Munkler, Imperi: il dominio del mondo dall’Antica Roma agli Stati Uniti, discutibile perché avventato il paragone storico tra Usa e Impero Romano; c’è però la tendenza degli usa a vedersi come sostitutivi degli imperi del passato, nel senso di pacificatori dell’ordine mondiale;- Panebianco, Guerrieri democratici: le democrazie e la politica di potenza: problema della “pace democratica” e analisi comparata della politica estera di alcune democrazie, come è influenzata dalla struttura interna degli stati.

Esame:• L’esame orale si può sostenere anche all’appello immediatamente successivo.• Si può scegliere, per ogni argomento, 1 tra 2 domande possibili (3 domande in tutto: 1 sugli appunti + 1 per il primo libro + 1 per il secondo libro).

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• Primo appello: 2 aprile (scritto), 16 aprile (orale); gli altri dovrebbero essere sul sito.

Orari:• Ricevimento: lunedì e martedì, h 16.30 – 18.00.

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(7 gen. 2009) da vanessa

INTRODUZIONE

Il termine “relazioni internazionali” comprende al suo interno molti aspetti: dal commercio, all’economia, al turismo.

Relazioni politiche internazionali = riguarda il rapporto tra pace e guerra; si instaura una relazione continua; si intersecano sempre nel contesto materiale.

Pace e guerra possono essere separate nel contesto cerimoniale, dal punto di vista simbolico/ giuridico (dichiarazioni di guerra, conferenze di pace). Tuttavia siamo abituati a situazioni di guerra effettiva, se pur non dichiarata o velata da eufemismi (es. “guerra umanitaria”). Questa situazione confusa è anche dovuta al fatto che non siamo dotati di criteri per stabilire se vi sia pace o guerra (v. anche tema della proporzionalità della relazione).

Il sistema internazionale in cui ci troviamo non è ancora stato definito in positivo: si parla di sistema post bipolare, con una definizione in negativo che lo differenzia dal sistema bipolare degli anni ’45-’90 (il sistema della guerra fredda, caratterizzato da immobilità garantita dalla presenza di blocchi contrapposti di sfere di influenza).

In altre parole, sappiamo da dove veniamo, ma non dove siamo né cosa sarà del sistema tra 10 anni.

Caratteristiche del sistema internazionale odierno:• Crisi del sistema di controllo: è in atto una crisi del sistema di controllo, le agenzie non funzionano.• Crisi di legittimità continua e lacerante: la comunità internazionale, costantemente spaccata, non è più in grado di stabilire la legittimità degli stati (es. il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non si è opposto alla guerra in Iugoslavia).• Passaggio dal principio di uguaglianza degli stati (nei diritti, non del potere) a quello “americano” di supremazia delle democrazie.• Passaggio da un sistema internazionale eurocentrico alla centralità degli USA, a seguito della Guerra Fredda.

(12 gen. 2009) da vanessa

Questioni fondamentali analizzate nel corso:• Quali sono le caratteristiche distintive della politica internazionale (come si distingue la politica internazionale da quella interna)?• Una volta definito un contesto internazionale, quali elementi ci consentono di distinguerlo da un altro?• Cosa definisce il contesto internazionale del XXI secolo? Come è stata la sua evoluzione?

Iniziamo dalla prima questione: quali sono le caratteristiche distintive della politica internazionale (in cosa è diversa dalla politica interna):• Criterio/principio organizzativo della sfera politica internazionale.

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- La riflessione moderna (ultimi 4 secoli: Hobbes, Spinoza, Rousseau, fino ad oggi) individua una dicotomia tra sistema politico con governo e sistema politico privo di governo, o anarchico; il sistema internazionale appartiene alla seconda categoria.• Stato (per Weber) = agenzia che ha il monopolio della violenza legittima (della coercizione); per contro, ogni soggetto diverso dallo stato è privo di questa possibilità.• Sistema internazionale = pluralismo di soggetti internazionali gelosi dei loro diritti (compreso quello di fare la guerra).- Anarchia = ha un duplice significato:• comunemente, mancanza di governo, • ma anche caos (qualunque cosa può accadere ovunque e in qualunque momento).• L’anarchia internazionale è la prima definizione, non necessariamente la seconda: spesso anche in un contesto anarchico si hanno aspettative sul futuro; anarchia internazionale non è da confondersi con disordine.- Com’è possibile trovare ordine nell’anarchia? (domanda che lega i libri con soluzioni diverse)• Coercizione (Weber);• Garanzia su possesso e proprietà (Hobbes);• Garanzia sul rispetto delle promesse, in termini di tempo, oggetto e interpretazione;• Garanzia dell’offerta di beni pubblici come prestazioni che corrispondono le entrate fiscali.- Cos’è allora un contesto internazionale? Un contesto in cui ci si procura da soli le risorse per la sopravvivenza. La condanna all’autodifesa non significa autarchia, significa il formarsi di alleanze: si sommano le proprie difese, le proprie forze, con una perdita sì di parte della libertà, ma che costituisce comunque un incentivo che è tanto più forte quanto più lo stato è debole (es. la presenza dell’Italia in Afghanistan si spiega come pagamento dell’alleanza con gli Usa).- Nell’ambiente politico internazionale gli attori sono dominati dalla continua incertezza sulle intenzioni altrui (percepiamo azioni pacifiche o aggressive?); si tratta di un problema sia presente che futuro. (es. guerra in Georgia di quest’estate; allargamento Nato percepito dalla Russia). Il dilemma della sicurezza comporta il rischio di innescare competizioni che avrebbero potuto essere evitate (es. si teme un altro per il passato o perché è forte, ci si arma di conseguenza, e così si arma anche l’altro, e questo è per me la conferma che voglia attaccare).- La cooperazione è uno dei temi rilevanti del dibattito: perché si coopera se c’è anarchia? Nella cooperazione anarchica ci si allea, però con la sensazione dell’inganno (percentuale altissima nei momenti di guerra). • Le alleanze hanno valore esclusivo: servono ad unire stati (che si includono) contro altri (che si escludono).• L’inganno può essere anche il rovescio della medaglia (es. Italia che nelle 2 guerre passa al fronte opposto), oppure può non dare l’aiuto promesso.• Le alleanze non includono i sistemi di sicurezza internazionali (“hanno un loro codice”).• Qual è la forma di competizione tipica, politica, per l’accesso.- È conseguenza diretta dell’anarchia: la guerra e la sua possibilità ineliminabile (non vuol dire che sia onnipresente: ci possono essere, e ci sono stati, lunghi periodi di pace, non necessariamente buona pace).

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- La guerra è una delle possibili soluzioni di conflitti, non l’unica (si può avere soluzione politica dei conflitti anche con la diplomazia), ma la guerra è la forma di competizione politica specifica dell’arena internazionale, e che la differenzia da quella interna (si compete anche accumulando ricchezze, o sul terreno linguistico: la guerra è il modo estremo).- La guerra non è un semplice incidente, o fallimento, ma svolge specifiche funzioni, sia se combattuta che se minacciata. • Funzione conservatrice dello status quo: sanzionare, punire le violazioni dei diritti (necessaria in assenza dell’agenzia statale). La guerra costituisce una punizione sociale anche quando non scoppia: sia nelle relazioni tra amici (si può minacciare qualcuno nel caso di possibile abbandono dell’alleanza, es. Usa rinfacciano l’aiuto a Europa o Giappone) sia tra nemici (perché dà una marcia in più a chi dispone delle risorse militari per alzare il livello della competizione; anche se parlare di superiorità militare come anacronismo).• Cambiare lo status quo: ottenere mutamenti (anche questo potrebbe avvenire pacificamente, ad esempio tramite l’ideologia e il diritto internazionale, ma per ora non lo si prevede).• Ottenere l’accesso al potere: guerra come strumento per ottenere il mutamento più importante, come prova in cui si decide chi deterrà gli status futuri (nelle guerre tipiche) o lo status per eccellenza (nelle guerre per l’egemonia). Es. la pace di Westfalia è il punto d’inizio della costituzione del successivo ordine internazionale (politico, economico, ideologico).• Quali sono gli attori fondamentali dei sistemi politici internazionali.- Gli attori della politica internazionale sono innanzitutto gli stati, ma anche le organizzazioni internazionali governative e non, le chiese, ecc. Gli stati meritano tuttavia un posto a parte: sono gli attori fondamentali, soprattutto sono più importanti in una dimensione centrale: quella della pace e della guerra (loro prerogativa).

(da marco)

INTRODUZIONE

Tra la pace e la guerra c'è una relazione continua, non è possibile distinguerli completamente. Mentre una volta c'era il cerimoniale di dichiarazione di guerra ora non c'è più.

Caratteristiche fondamentali dei sistemi internazionali (in che cosa la politica internazionale è diversa dalla politica interna):• Principio organizzativo: qual è il sistema e per che cosa si caratterizza?- Qual è il principio organizzativo del sistema internazionale? La risposta è dicotomica per tradizione: contrapposizione tra sistemi politici con governo e senza governo. - Il principio organizzativo del sistema internazione odierno è l’anarchia, intesa come assenza del monopolio dell'uso legittimo della violenza da parte di un'organizzazione. È un ambiente di soggetti sovrani plurimi, ognuno dei quali mantiene ed è geloso della propria autonomia. - Una delle prerogative dei soggetti internazionali è quella di fare la guerra. L'anarchia internazionale non è intesa come Caos, mancanza di ordine e regole. Mentre nel nostro sistema internazionale diamo per scontate un'infinità di cose (es Gli Stati Uniti sono il paese più potente di tutti). Quali sono le conseguenze dell'anarchia? Che cosa

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manca in un sistema politico senza governo? Il monopolio della violenza legittima per prima cosa. Manca l'assicurazione sulla stabilità della proprietà, nessuno impone di rispettare la proprietà. La garanzia sul tempo, nel tempo manca qualcuno che imponga il rispetto delle intenzioni e delle promesse (mancanza di inganni).- In questo contesto tutti i soggetti sono condannati all'autodifesa; tutti sono in dubbio sulle intenzioni degli altri. Data la struttura dei sistemi internazionali si vengono spesso a creare conflitti che si potrebbero evitare: due soggetti che inizialmente non hanno intenzioni ostili innescano facilmente un comportamento competitivo (es. guerra fredda; confronto India-Pakistan).- In un sistema internazionale anarchico si innescano anche meccanismi di cooperazione (è più difficile e più problematico ma è possibile). Come si fa a innescare la cooperazione nonostante il disincentivo del sistema anarchico? I motivi sono:• Paura dell'inganno (degli alleati, v. rovesciamento frequente delle alleanze -la percentuale di tradimento nella storia è esorbitante-).• Valutazione dei vantaggi propri e degli alleati (quanto guadagno e quanto gli alleati dall'alleanza?): si comincia a temere che accrescere il potere degli alleati non sia una grande idea.• Forma di competizione: tutti i sistemi politici sono competitivi e tutti hanno delle regole per gestire la competizione.- La forma della competizione tipica è la guerra: se tutti sono condannati all'autodifesa la possibilità della guerra è inevitabile. - Molto più della guerra è la possibilità di essa che sta alla base della competizione: influenza le relazioni tra nemici (ovviamente chi ha la potenza militare minaccia) e le relazioni tra amici (chi tiene il potere militare può minacciare di abbandono gli alleati).- Si compete anche in altri modi (es. accumulando ricchezza, cultura, risorse, terreno linguistico e tanti altri fattori): la guerra è il modo più estremo, e anche più funzionale.- Le funzioni della possibilità della guerra sono quelle di sopperire alle mancanze del sistema: serve a imporre e a conservare le promesse e la difesa, sanzionare l'illecito internazionale. La guerra può servire inoltre a cambiare lo status-quo, creare cambiamenti. La guerra può essere utilizzata per ottenere l'accesso al potere (v. guerre per l'egemonia).• Attori fondamentali: chi sono gli attori dei sistemi politici interni e internazionali.- Stati ed enti non governativi, gruppi di pressione, religioni organizzate.- Soltanto gli stati hanno la prerogativa di fare la guerra.

(13 gen. 2009) miei

POLITICA INTERNAZIONALE

Abbiamo visto che la politica internazionale si differenzia dal contesto anarchico, che sua caratteristico modo di competizione è la possibilità della guerra, e che gli attori fondamentali sono gli stati: tale importanza è data dal ruolo che ricoprono nella dimensione centrale della pace e della guerra (oggi non assistiamo alla fine della politica interstatale, come si vorrebbe intendere parlando di globalizzazione: essa si avrà solo quando attori statali e non statali vedranno legittimato allo stesso modo l’uso della violenza; es. questione israelo-palestinese, in cui Israele è legittimato all’uso della violenza in quanto stato, mantre per la Palestina ,attore non statuale, si parla di atti terroristici → in una politica internazionale non interstatale sarebbero riconosciuti come atti terroristici Hiroshima e Nagasaki).

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Politica internazionale = politica in cui i protagonisti fondamentali sono gli stati, proprietari di un pezzo di globo, il territorio (v. rappresentazione abituale del globo come una successione di stati).• Internazionale vs. globale: noi siamo abituati a considerare come politica internazionale una politica su scala planetaria, ma non è così.• Prospettive future: sistema multipolare vs. unipolare → tesi contrapposte che hanno in comune la convinzione che il sistema internazionale resterà un sistema globale, che il sistema globale dunque sia fatto di gerarchie.

Politica internazionale = carattere interstatale + carattere globale.• Distorsioni diffuse:- Entrambi sono storicamente eccezionali (il nostro è un contesto senza precedenti nella storia): la politica internazionale di cui parliamo è un modello che è un’assoluta eccezione storica.- Il sistema internazionale è eccezionale anche perché recente (circa 100 anni), e dunque reversibile (non è detto che il sistema interstatale e globale sia continuo e scontato in futuro).- Almeno una parte dell’instabilità che viviamo è dovuta alla crisi interna di questo modello eccezionale e recente (crisi dell’egemonia americana o crisi dell’architettura interna del sistema? Domande a cui non siamo in grado di rispondere).• Com’è creata l’equiparazione tra politica interstatale e globale e perché è in crisi il sistema? Cos’è la globalità del sistema attuale? Dove sono i nodi critici?

Carattere interstatale

Carattere interstatale della politica internazionale: è sempre esistita una relazione tra stato e attori internazionali (anche se ieri erano più forti di oggi), ma la politica internazionale è diventata interstatale nella relazione pace-guerra (monopolio della dimensione statale). • Questo monopolio inizia con la conferenza di Westfalia del 1648 (data convenzionale di inizio del sistema interstatale moderno; infatti si parla di “sistema statale westfaliano”).- La conferenza di Westfalia segna la fine della guerra dei Trent’anni, e cioè della grande conflagrazione europea comune.- Altre ragioni: fine del lungo ciclo delle guerre civili di religione (che vedono la mobilitazione permanente di fazioni transnazionali, in si combatteva per principi che erano indifferenti ai legami di cittadinanza o sudditanza dettati dagli stati).- Viene sconfitto l’unico grande progetto praticabile di riunificazione (imperiale) dello stato europeo (perdita dell’impero asburgico): subentra una volta per tutte l’epoca del pluralismo degli stati (si passa dal valore dell’unità a quello del pluralismo, visto come garanzia; v. idea del confine come riparo –mentre oggi è visto come limite-).- Ragione dell’ambiguità dell’etichetta di W.: W. è nel pieno del processo di espansione dell’Europa.• Solo il sistema delle polis greche può essere considerato in qualche misura simile al nostro (insieme a qualche altra eccezione storica fuori dall’Europa).

Elementi di eccezionalità del modello di convivenza interstatale odierno:• Anarchia (Waltz): modello popolato di attori che non riconoscono fonti di autorità superiori (v. concetto di sovranità: il re è imperatore nel suo territorio, non chiede la

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legittimazione a nessuno che sia superiore a lui; il concetto di sovranità somiglia a quello greco di autonomia).- Tutti gli altri modelli avevano almeno una fonte di legittimità comune, anche solo formale.- L’anarchia è un prodotto storico recente, che ha avuto enormi difficoltà ad affermarsi: conflitto tra stati e autorità imperiale e religiosa (es. 2 anni dopo la scoperta dell’America, nel 1494, Spagna e Portogallo si spartiscono il nuovo mondo tramite un accordo siglato sotto l’autorità del papa: coesistenza tra principi diversi, non ancora un definitivo smarcamento dell’autorità degli stati dalle altre autorità).- Questo aspetto è tornato in questione nel corso del 900, passando dall’essere considerato valore a radice di tutti i problemi (v. evocazione del governo mondiale come soluzione di tutti i conflitti). • Indifferenziazione funzionale delle parti (Waltz): gli stati, sebbene si differenzino in termini di regime politico e distribuzione del potere, svolgono le stesse funzioni (non c’è divisione funzionale o dei poteri). Questo è il segreto della politica interstatale: per appartenere alla comunità interstatale occorre avere la stessa forma politico-giuridica. - Anche questo è un elemento di eccezionalità: fino a metà 800 c’erano attori diversi dagli stati (v. imperi, anche se spesso di carattere “spurio”, più simili a stati espansi che a veri e propri imperi tradizionali; città-stato; Chiesa, in epoca medievale).- La decolonizzazione è stata la fine del dominio diretto dell’Europa, ma anche il vertice dell’impatto europeo sul resto del mondo.• Rappresentazione, concezione, esperienza dello spazio: territori omogenei sottoposti a giurisdizione, separati dagli altri tramite linee di confine.- Questo si discosta dalla maggior parte dell’esperienza storica: il controllo degli stati non viene meno oltre una linea formale detta confine, ma scompare gradualmente (vi sono spazi vuoti e spazi di competenza duplice).- V. distinzione politica interna- politica internazionale → distinzione guerra-guerra civile (es. guerra in Iugoslavia anni 90: dibattito sul fatto che fosse una guerra civile –per chi simpatizzava per la Serbia- o internazionale –per chi simpatizzava per gli altri stati, sostenendo che erano riconosciuti- → la definizione fu possibile solo al termine della guerra, grazie a categorie politiche).

Carattere globale

Oggi assistiamo ad un richiamo frequente alla globalità: il sistema internazionale ha (e non può non avere) globalità. Questa lenta equiparazione è ancora più eccezionale di quella di prima: non ci sono affatto precedenti storici di sistema planetario globale.• Prima: 2 tratti rilevanti:- Prima del 500 esistevano contemporaneamente una pluralità di sistemi regionali preglobali, diversi dal punto di vista organizzativo e sostanzialmente di relazioni tra loro (esistevano sintesi transnazionali e convivenze internazionali ampie –Usa, Cina, Asia-; c’erano scambi ma le relazioni non avevano un tratto così marcato da far pensare a un unico sistema transnazionale). → coesistenza di pluralità di sistemi internazionali preglobali.- Il sistema europeo merita un posto a parte, perché è dall’espansione di questo sugli altri, da un’incorporazione, e non dall’integrazione tra tutti, che nasce il sistema globale odierno (il sistema internazionale attuale non è altro che la globalizzazione del sistema internazionale europeo). Processo lentissimo: alcuni “pezzi” del sistema rispondono alle norme da 400 anni, altri da 50 (e questo produce effetti diversi in termini di

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legittimità e di efficienza; v. gran parte dei conflitti di oggi nascono da queste profonde radici storiche).

Periodizzazione di questo processo di espansione (discutibile, per grandi tappe):• Fine 400-primi 500 età delle scoperte, delle conquiste. Non si conclude subito col dominio economico-politico-giuridico dell’Europa: alla fine del 600 il dominio non va oltre lo spazio atlantico (America incorporata sotto il dominio europeo), non include quello pacifico (c’è una penetrazione europea molto discontinua: lungo le coste dell’oceano indiano e pacifico si insediano piccole basi militari e commerciali).• 1650-1850 anche l’Asia viene incorporata, passando da imperialismo informale a formale. La globalità è incentrata sull’Europa (conflitti europei vengono esportati). Contemporaneamente inizia il processo di emancipazione dal dominio diretto dell’Europa (da parte dell’America).• 1850-1950 l’incorporazione del globo nella politica internazionale di ascendenza europea diventa perfettamente compiuta (v. lotta per l’Africa come manovra conclusiva di dominio del mondo): da qui ogni guerra diventa inequivocabilmente mondiale. È tuttavia una fase paradossale perché, parallelamente al raggiungimento dell’apice del dominio europeo sul resto del mondo, iniziano a subentrare i primi stati non europei (es. impero ottomano nel 1856 viene ammesso a pieno titolo, una volta distrutta politicamente, nei calcoli internazionali; Usa rientra nel gioco politico internazionale come grande potenza; Giappone si allea con Gb e Russia e partecipa alla repressione della rivolta dei boxers -importante anche perché pone una questione fondamentale: alla fine della I gm chiede che nello statuto della Società delle Nazioni sia sancito il principio dell’eguaglianza razziale, principio che non venne accettato perché ancora l’Europa non poteva reggerlo → cambia la natura della globalizzazione internazionale) → inizio della fine dell’eurocentrismo.• 1950-oggi sistema internazionale pienamente globalizzato dal punto di vista politico e militare (v. II gm) e istituzionale (v. istituzioni di carattere universale, valenza del diritto internazionale in tutto il globo –dimensione soggetta a critica da Schmitt). Si completa poi l’inclusione di una quantità di stati non europei (nel 1960 il numero di stati africani e asiatici è superiore al numero di stati di ascendenza europea). L’universalità della guerra fredda (ultima grande vicenda occidentale) controbilancia le conseguenza della colonializzazione: nasce da una delle questioni centrali che stiamo vivendo (conflitto di legittimità dell’impatto dell’eredità occidentale sul resto del mondo; v. rivoluzione iraniana del ’75: fu detta “fuori” del diritto internazionale, e gli iraniani a loro volta risposero che era perché si trattava di un diritto a loro estraneo).

(da marco)

RAPPRESENTAZIONE DELL’AMBIENTE INTERNAZIONALE / SISTEMA INT ECCEZIONALE Parlando di relazioni internazionali, molte cose vengono date per scontate: ci sono degli attori che sono gli stati, che hanno dei territori definiti e tutto il mondo è suddiviso in questo modo; si tende inoltre ad avvicinare i concetti di internazionale e globale, nel senso che la politica internazionale è su scala globale.• In realtà, il carattere interstatale e globale della politica non ha precedenti nella storia (si tratta di una eccezione storica); tutto ciò che è eccezionale e recente è anche reversibile (non è affatto detto che noi ci troveremo a lungo in un sistema interstatale).

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• Il periodo di crisi e instabilità del sistema internazionale è dovuto al collasso progressivo del sistema della globalizzazione?

Elementi di eccezionalità del sistema internazionale moderno:• La politica Interstatale.- Le relazioni internazionali non sono soltanto interstatali, ci sono sempre stati attori trans-nazionali. È sempre avvenuto che altri attori internazionali facessero sentire il loro peso.- Nelle relazioni di tipo pace-guerra, invece, la pluralità degli stati ha conquistato il monopolio della politica internazionale. Questo monopolio è databile con la nascita del sistema moderno o Westfaliano, convenzionalmente riconosciuta nel 1648. Questa data segna la fine della guerra dei Trent’anni, ovvero dell’ultima guerra civile di religione, una guerra tra grandi stati che chiude la fase di riunificazione dell'Europa imperiale. Quindi si entra nel periodo di pluralismo: la divisione dell'Europa diventa un valore.- Per capire se e quanto tiene il modello moderno internazionale dobbiamo analizzare l'anarchia internazionale che al momento vige nel sistema internazionale. Nessuno ora riconosce una fonte di legittimità superiore allo stato, la sovranità.• L'anarchia.- Sull’anarchia stiamo giocando una partita culturale.- Da Waltz: “Gli stati, anche se non si assomigliano molto, fanno tutti la stessa cosa”; non c'è una divisione dei poteri nella politica internazionale. Questo è un altro elemento di eccezionalità: per tutta la storia ogni ente internazionale non faceva la stessa cosa, imperi, stati, religioni. Oggi si è andati verso un'omogeneizzazione degli attori. Con la decolonizzazione si abbandona il dominio occidentale diretto ma si lascia lo stato.• Suddivisione degli spazi tra gli stati. - Nella maggioranza della storia il territorio e il potere degli attori sono sovrapposti e rarefatti, spazi vuoti e spazi di frontiera. Elemento distintivo dell'epoca moderna è invece il confine: la differenza tra interno ed esterno, la possibilità di distinguere una giurisdizione da un'altra (es. confine india-pakistan, disegnato dalla potenza coloniale inglese e che non è avvertito come confine della popolazione).

Anche la lenta equiparazione tra politica internazionale e politica globale è una cosa recente. • Ovviamente prima del 500 esistevano una pluralità di sistemi internazionali regionali pre-globali e privi di rapporti reciproci. Tra questi sistemi internazionali, quello europeo merita un posto a parte perché il sistema attuale non nasce dalla fusione di tutti i sistemi ma dell'esportazione forzata del nostro sistema internazionale.• La globalizzazione non è stata certo omogenea, l'espansione dell’Europa in tappe:- A fine 1400 si apre con le conquiste e le scoperte; fino al 1600 l'espansione non va oltre allo spazio atlantico, l'America è incorporata sotto il dominio diretto dell'Europa.- Una seconda fase di incorporazione tra il 1650 e il 1850. In questa fase storica, anche l'Asia viene progressivamente incorporata, imperialismo formale (caso indiano). Tutti i conflitti che girano il mondo sono i bisticci europei in giro per il mondo come nella guerra dei sette anni. Contemporaneamente i segni opposti, i primi segni di decolonizzazione. L'emancipazione dell'America incrina debolmente la centralità europea in quanto ormai quei paesi sono di cultura europea.- Dal 1850 al 1950 la fase paradossale dell'incorporazione del globo nel modello europeo con la zuffa per l'Africa di fine 800. Da questo momento in poi qualsiasi conflitto tra le forze europee diventa mondiale. Nascono anche i paesi non europei che saranno destinati ad avere un ruolo internazionale. Cominciano a svilupparsi grandi potenze non

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europee che cambieranno l'eurocentrismo. Giappone e Stati Uniti. Il Giappone si mette al pari con le potenze europee senza averne la cultura.- Nella seconda metà del 900 il sistema internazionale è pienamente globalizzato, economicamente, militarmente, istituzionalmente. In tutto il globo vale lo stesso diritto internazionale (Smith è contrario). Nascono le questioni di oggi: riconoscimento culturale, l'impatto di attori non occidentali. L'universalità della guerra fredda è stata l'ultima grande vicenda occidentale europea.

Secondo al prof il sistema Westfaliano non è ancora consolidato fuori dall'Europa, poi c'è anche un altro versante che ci riguarda: la presa dello stato sulla politica si è indebolito. Negli ultimi 100 anni gli stati han perso potere politico, basta guardare l'ultima crisi finanziaria si è diffusa l'idea che l'economia sfugge al controllo dello stato e dei confini. Si accompagna a questo una crisi di legittimità dello stato.

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(14 gen. 2009) inizio appunti miei

Abbiamo visto i due tratti forti di eccezionalità del nostro sistema internazionale: interstatalità e globalità.

La ragione fondamentale per la quale occorre tenere a mente che ci troviamo all’interno di un sistema eccezionale è che ci permette di spiegare alcune importanti caratteristiche del sistema.

• Reversibilità: siccome non c’erano prima, non è detto che questi tratti ci saranno poi (in parte).• Alcuni elementi di crisi del nostro contesto storico: possiamo chiederci se una parte delle fragilità istituzionali che avvertiamo fuori dall’Europa non siano il prodotto del mancato consolidamento di questo sistema internazionale; tutte le caratteristiche di questo sistema, infatti, si sono impiantate altrove solo da pochi decenni, e questo spiega in parte la crisi a cui è soggetto (es. anarchia: rifiuto della divisione della casa dell’Islam in stati e percezione del pluralismo come fatto esogeno, “coloniale”, da abolire al fine di riunificare la casa dell’Islam; idea di confine: idea che, anche in Europa, si è andata consolidando con fatica per secoli, e in alcuni stati è ancora problematica, esistono ancora conflitti che chiamano in gioco la rappresentazione dello spazio di popolazioni nomadiche, cui non appartiene il concetto di confine se non come soglia di attraversamento –v. confine tra Pakistan e Afghanistan, confine coloniale disegnato ai tempi dalla Gran Bretagna, che non viene avvertito dalle popolazioni che vi abitano- in diversi contesti storici, stiamo vivendo una crisi di consolidamento del sistema westfaliano fuori dall’Europa).- L’altra faccia della possibile crisi di westfalia è che, se è vero che non siamo ancora usciti dall’orizzonte interstatale, è anche vero che si è assistito a una perdita progressiva della presa dello stato sulla politica (v. crisi finanziaria di quest’estate, modo di pensare all’evoluzione della crisi nei prossimi mesi). È quindi una crisi di effettività.- A questa si accompagna una crescente crisi di legittimità: la convivenza interstatale prima (v. Schmitt) era basata sulla separazione tra gli stati; oggi viviamo un contesto giuridico e politico in cui prevale l’idea che la sovranità degli stati possa venire messa in discussione in virtù di una serie di istituti internazionali (questione dell’equiparazione tra politica nazionale e internazionale).

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COSA SONO LE RELAZIONI INTERNAZIONALI: LA DISCIPLINA

Ci chiederemo in cosa consiste la teoria contemporanea delle relazioni internazionali, dove e quando nasce, e come si sviluppa (si sviluppa in parallelo con la politica internazionale degli ultimi anni).

SCARTO TRA OGGETTO DI STUDIO E DISCIPLINA

C’è un’ambiguità semantica molto forte nell’uso del termine “relazioni internazionali”: se da una parte studia ciò che avviene nel mondo, dall’altra, come ogni scienza sociale, opera selettivamente nella realtà scegliendo cosa studiare e cosa scartare.

La teoria delle relazioni internazionali è innanzitutto una disciplina molto recente, contemporanea: ha una data d’inizio convenzionale nel 1919, anno di istituzione della prima cattedra di politiche internazionali (anche se si tratta in realtà della branca contemporanea di una riflessione che c’è sempre stata; v. Tucidide).• [Waltz] La teoria contemporanea delle relazioni internazionali ha accettato in toto il paradigma moderno westfaliano delle relazioni internazionali: ha ristretto l’orizzonte di studio alla politica internazionale moderna, e le sue categorie sono inutilizzabili in altri contesti storici.• Sebbene sia nata nel 1919, la fase di sviluppo della disciplina è successiva al 1945: ulteriore restringimento (c’è una enorme sproporzione tra lo studio dei fatti accaduti prima della guerra e dopo; si occupa quasi esclusivamente del 900).

La disciplina non si è sviluppata in un ovunque astorico e aspaziale, ma sostanzialmente negli USA e a partire dagli USA (anche se non esclusivamente), tanto che il grande studioso europeo offa arrivò a scrivere che questa disciplina è una scienza americana.

Questo americanocentrismo vale per moltissime scienze sociali negli ultimi decenni: riflette la forza delle università americane nonché della lingua inglese, ma anche la centralità degli USA nelle relazioni politiche internazionali (come nel 1919 era nata nell’allora centrale Inghilterra). Ha inoltre diverse conseguenze sulla riflessione teorica:

• Carattere estremamente parziale della disciplina:- Centralità dei problemi posti dall’opinione pubblica e dai decision maker americani (v. prevalenza della guerra fredda sulla decolonizzazione: concentrazione sul mutamento che poteva riguardare gli Usa, cioè l’ascesa e il declino delle grandi potenze).- Rimozione delle vicende non riguardanti gli Usa: così come sono state privilegiate le faccende riguardanti gli Stati Uniti, sono state clamorosamente rimosse altre vicende, che non li riguardavano; questa conseguenza si rivela ancora più costosa della precedente in termini di comprensione del mondo attuale (es. possiamo dire con certezza che per gli storici futuri la vicenda principale del 900 sarà la fine della centralità dell’Europa, non la guerra fredda o lo scontro tra capitalismo e socialismo, che sono invece le vicende cui oggi è dedicata più attenzione).• Distorsione prospettica, che qualunque attore opera sulla percezione della realtà, aggravata dall’eccezionalità (e dalla consapevolezza della propria eccezionalità) dell’attore Usa rispetto agli altri del sistema.

Ragioni della eccezionalità:

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- Potere di cui dispone: chi guarda la realtà da una posizione di forza la vede in un modo molto diverso da chi la guarda da una posizione di debolezza (caratteristica che è propria di tutti i sistemi dominanti in determinati contesti storici).- Isolazionismo americano: è propria della cultura politica e dell’esperienza storica americana l’idea di poter scegliere se e quanto impegnarsi negli affari internazionali (es. 11 sett 2001: non fu solo una violazione dell’invulnerabilità, ma anche di una abitudine all’invulnerabilità; la costruzione dello scudo antimissile risponde alla necessità di ricostruire, subito dopo la violazione, il mito della impenetrabilità, della separatezza del territorio americano dal mondo). Le altre potenze del passato (Francia, Germania, Russia) avevano invece l’idea della dannazione di non potere uscire dal recinto della politica internazionale. In questo la prospettiva americana non somiglia a nessuna altra, e per questo la disciplina così come è ora rischia di fornire un’immagine fortemente deformata.

DIVERSI APPROCCI ALLO STUDIO DELLA DISCIPLINA

Vediamo come si è articolata nel tempo la politica delle relazioni internazionali, quali sono stati i principali approcci nello studio.

Può essere ripartita in molti modi al suo interno, ma qui seguiamo un criterio temporale: esso è più efficace perché consente di guardare non un approccio accanto all’altro in modo astorico, ma la successione degli approcci come successione di problemi, di traumi che hanno avvantaggiato ogni volta approcci diversi.

Primo approccio: l’Idealismo

La disciplina nasce nel 1919, l’anno successivo alla fine della grande guerra, come prodotto tipico della cultura, dei traumi, dei problemi, delle colossali disillusioni della prima guerra mondiale (la cattedra istituita fu intitolata al presidente americano Wilson, e il primo docente a insegnare International policy fu uno dei più classici esponenti dell’idealismo).• La prima gm produce nel mondo intellettuale e nelle opinioni pubbliche un radicale ripensamento del ruolo della guerra nella politica internazionale. - L’immagine precedente (v. I e VIII libro della guerra di Klausevitz??) era racchiusa nella razionalità burocratica e militare del tempo: la guerra, sebbene luogo della violenza, non è, grazie all’intelligenza dello stato, luogo di violenza ottusa (la violenza è posta sotto il controllo dello stato). - La memorialistica della I gm mostra che già nel corso della guerra questa immagine viene stravolta: dalle lettere dei soldati passa l’idea della guerra come automa, che sfugge al controllo dell’uomo e opera come se avesse una propria volontà, inconoscibile per di più. L’idea che la guerra possa essere uno degli strumenti normali nella politica estera inizia a subire un processo di indebolimento (guerra e diplomazia non più come due strumenti della stessa razionalità). Questa idea genera i primi grandi negoziati per la riduzione degli armamenti, lo sviluppo della disciplina giuridica per gli accordi di pace (v. accordo Briand Kellog), i movimenti pacifisti: prevale l’idea di evitare la guerra a tutti i costi.• L’idealismo è un prodotto di questo clima culturale: è il tessuto connettivo di tutti questi progetti di riforma radicale della convivenza internazionale, di eliminazione della guerra. Questo segna anche il problema fondamentale dell’idealismo, la grande questione storica alla quale l’idealismo è chiamato a rispondere: come ottenere la PACE,

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l’eliminazione della guerra intesa come patologia dalla politica internazionale (l’analogia tra guerra e malattia diventa dominante).

• Questo implica che, come con ogni malattia, la disciplina cerca di curarla, si chiede dove poter operare per eliminare la guerra dalle relazioni internazionali. Si possono individuare 3 possibili risposte non mutualmente esclusive a questa domanda:- Problema della politica come tale: le relazioni internazionali sono divise tra loro secondo la dimensione cui appartengono. Le relazioni internazionali sono in se bellogene, mentre c’è un altro tipo di relazione che consente di vivere l’ambiente internazionale come ambiente pacifico: le relazioni economiche (Questa concezione è ereditata dal secolo borghese dell’800 e dalla tradizione illuminista). Commercio come concetto cooperativo, che consente di entrare in comunicazione indipendentemente dalle proprie identità (v. Conquista e usurpazione di Benjamin Costant, del 1814: opposizione tra guerra e commercio posta in termini radicali, afferma l’idea che il commercio rende anacronistica la guerra perché se investo in un altro paese non ho interesse a fare guerra con quel paese perché colpisco il mio stesso investimento, “la guerra diventa un cattivo affare”). Questo conduce alla retorica dell’interdipendenza economica come elemento debellizante della politica internazionale. Per debellare la guerra dobbiamo renderla un pessimo affare, e l’unico modo è legare tutti i paesi in una rete di interdipendenza economica.- Struttura del contesto internazionale (risposta liquidatoria dell’anarchia): quello che fa si che il contesto internazionale sia bellogeno è la sua struttura anarchica; dobbiamo pertanto reinventare un governo mondiale, creare un’agenzia che tolga agli stati il diritto di fare la guerra (si collega agli avvenimenti successivi alla prima gm).- Qualità dei singoli stati: non sono i contesti ma gli stati ad essere bellogeni, e la causa fondamentale della guerra è la natura di questi stati. Viene ripresa la grande polemica kantiana in favore dei regimi democratici: dobbiamo eliminare i paesi che portano la guerra, un’anarchia internazionale è buona se gli stati sono democratici. La polarità tra stati che vogliono o meno fare la guerra (v. ripresa in modo caricaturale dal’amministrazione Bush; i neoconservatori non son che degli iperrealisti, e non a caso vengono dalla sinistra libertaria americana). La pace è un prodotto della natura dei regimi politici. La democrazia è la chiave (v. politica estera americana in Medio Oriente, che punta a trasformare dall’esterno i sistemi politici interni; politica seguita dai paesi europei nei paesi balcanici negli anni 90: il vero obiettivo era abbattere Milosevich). Questa soluzione al problema guerra dall’idealismo continua a pesare enormemente col nostro modo di guardare ai problemi internazionali.• Qual è l’immagine della violenza, della guerra nell’idealismo? L’idealismo rifiuta il concetto stesso di sicurezza nazionale, trattandolo come un elemento di carattere infernale, di conflitto permanente, perché fa pensare alla sicurezza come a un gioco a somma zero (quello che guadagno io in termini di sicurezza lo perdi tu, più ho potere nei tuoi confronti più sono sicuro, ma più tu sei insicuro nei miei confronti). Per sradicare questo meccanismo si investe sul meccanismo della sicurezza collettiva (v. società delle nazioni allora, Onu oggi): la sicurezza di ciascuno è parte della sicurezza di tutti gli altri, non c’è contrapposizione ma cooperazione, tutti vigilano perché non ci siano soprusi su altri, perché non venga riprodotta la sicurezza di uno (v. guerra contro Saddam per l’invasione del Qwait).

La guerra è possibile a una condizione: che sia un meccanismo di sanzione …. Collettiva della comunità internazionale contro i violatori (v. produzione di eufemismi : operazioni di polizia internazionale, guerra di pace)

• Qual è l’immagine della storia del tempo, proposta dall’idealismo? È un’immagine radicalmente progressiva: presupposto che nella storia delle relazioni internazionali è necessaria una trasformazione radicale; non deve essere sempre la stessa, dobbiamo

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riformarla in toto nel termine più radicale possibile: progetto di eliminazione della coppia attorno ala quale aveva ruotato tuta la riflessione politica del passato: la coppia anarchia (nazionale)-guerra (e sua ineliminabilità). Questo è il progetto, e in gran parte il contenuto, dell’idealismo.

II approccio: realismo. (anche se sopravvive in parte anche l’idealismo).• Anche questo nasce per effetto di un colossale trauma storico: il fallimento dei progetti anche istituzionali dell’idealismo precedente (fallimento delle politiche di appeacement, meccanismi di sicurezza collettiva nei confronti delle grandi potenze). Dimostra di non essere in grado di mantenere la premessa fondamentale di evitare una nuova guerra (II gm come screditamento definitivo dei progetti idealisti). Anche dopo l’idealismo tenta di ripartire (v. nascita dell’ONU e idea che le grandi potenze vittoriose avrebbero potuto gestire insieme questo sistema). Quando anche questo rilancio fallisce si afferma il realismo (v. scoppio della guerra fredda e fallimento di qualunque modo di regolazione internazionale).

La grande questione storica che viene posta al realismo non è ottenere la pace ad ogni costo (muove dal’assunto che la guerra è ineliminabile) ma evitare le guerre che possono essere evitate e vincere quelle che non possono, come evitare le guerre che non è opportuno combattere (es. come far funzionare la dissuasione nucleare). In base al cambiamento del problema cambiano tutte le soluzioni e tutto il linguaggio.

- Il realismo rimette al centro delle riflessioni la questione politico-militare, che resta preponderante sulla questione economica in una situazione di anarchia internazionale (la crisi militare costituisce un lampo di luce sulla realtà, svelando tutto).- Secondariamente, Recupera il concetto di sicurezza nazionale. Non possono funzionare i sistemi di sicurezza collettiva (funziona solo per le piccole potenze o i paesi minori, non le grandi potenze o i loro alleati, perché quando queste entrano in gioco i sistemi di sicurezza collettiva si fanno da parte). Si concepisce comunque 1 forma di cooperazione, e cioè il fenomeno delle alleanze (forme di cooperazione esclusiva, a differenza dei sistemi di sicurezza internazionale).- Infine, (v. ragione del fallimento di Bush) il realismo oppone in modo durissimo alla sensibilità del discorso idealista una totale indifferenza per le caratteristiche interne degli attori (v. Waltz “aspetti riduzionistici”): quello che conta è come è distribuito il potere (occorre essere parimenti o più potenti per imporsi su uno stato). Non basta esportare la democrazia, perché il sistema crea sicurezza indipendentemente dalle caratteristiche dei paesi.

(19 gen. 2009)

• Molto a lungo il discorso egemone, principalmente per onnipresenza della guerra fredda. Il realismo è l’approccio giusto per combatterla, ma soprattutto perché è la teoria giusta per spiegarla e capirla (v. corsa agli armamenti: sembravano rientrare nel’orizzonte concettuale del realismo per l’idea che la sicurezza collettiva non funziona, per garantirsi una sicurezza personale si perseguono obiettivi personali; l’unica forma efficace è la formazione di alleanze). Spiega anche l’omissione gravissima delle relazioni internazionali: Waltz fa cenno alla dimensione dello scontro ideologico (non solo di potere) tra le 2 potenze, Aron ne fa un tratto fondamentale. Negli anni 60 questo tratto va in secondo piano, ci si interessa alla distribuzione del potere e non alla struttura di uno stato.• Altri tratti fondamentali:

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- Immagine della guerra: per l’idealismo il problema è la guerra e come combatterla, l’unico uso legittimo della violenza è di tipo sanzionatorio collettivo

Il realismo recupera l’immagine della violenza precedente alla 2 gm, ne tiene conto ma insiste sulla necessità di non farsi illusioni: la guerra è una presenza costante, ineliminabile (come l’anarchia internazionale). la guerra resta una forma specifica di competizione propria del sistema internazionale (finchè non ci sarà un governo mondiale). Recupero della guerra su 2 fronti:

•• Singole politiche estere: la guerra è uno strumento della politica estera; non serve solo a sanzionare collettivamente qualche violatore, ma a perseguire l’interesse nazionale, legittima quando no ci sono strumenti migliori (La guerra è extrema ratio, ricorso di ultima istanza). Sembra essere, per la nostra cultura, una formula permissiva, che accetta la guerra. In realtà è allo stesso tempo un forte elemento di costrizione: alla guerra si può ricorrere SOLO quando è in gioco l’interesse nazionale, ma per nessuna altra ragione. Waltz e altri autori realisti si sono opposti a tutte le guerre degli ultimi anni (Iugoslavia, Iraq, perplessità sulla guerra in Afghanistan) perché sono guerre stupide perché inutili, inutili perché non coerenti con l’interesse nazionale americano (l’interesse americano non è in gioco quando è in gioco il regime interno iraqeno! Non c’è nessuna ragione per esportare la democrazia).

Questa è una delle principali rotture interne all’amministrazione Bush (padre vs. figlio: il padre aveva amministrazione repubblicana coerente con questa idea; il figlio, “conservatore”, si è discostato da questa visione, con l’idea che la guerra si possa fare anche per migliorare il mondo). Questo diverso approccio ha impatto anche sul modo di fare la guerra: entrambi hanno condotto la guerra contro l’Iraq (stesse condizioni generali). Qualche giorno prima della prima guerra uscì un articolo di Kissinger che disse “prima di cominciare la guerra dobbiamo avere chiari gli obiettivi. La ragione dichiarata è chiaramente falsa (violazione del diritto internazionale). La ragione è molto più seria: importanza del golfo persico e presenza, li, di un attore tropo forte (Saddam) che rischia di conquistare l’egemonia politica-diplomatica di quel territorio. L’obiettivo allora è quello classico del discorso idealista: riportare l’Iraq al giusto peso, in modo che no sconvolga la nazione. Allora ci sono 2 rischi : concludere la guerra troppo presto (lasciando l’Iraq troppo forte; occorre insistere finchè il potere non è ridimensionato; questo rischio era chiaro) e concluderla troppo tardi (Iraq lasciato troppo debole, con la conseguenza che si rafforzerà troppo l0iran, come è la dinamiche della regione). L’amministrazione di Bush padre segue alla lettera questa raccomandazione, come no fece bush figlio.

- Immagine del tempo: anche qui, rappresentazione specularmente opposta a quella del’idealismo (=auspicabilità di una cesura vs. continuità, immutabilità della politica internazionale).

Questo tema è sato declinato in modi totalmente diversi:• Dscorsi realisti di metà 900: findare questo dogma su una antropologia pessimista: la politica internaz resta sempre uguale perché fondamentalmente l’uomo è malvagio, e in mancanza di n governo che lo costringa a no esserlo fa si che la guerra e la paura della guerra no siano eliminabili.• Declinazione piu sofisticata, che diventa dominante conla diffusione dell’analisi sistemica dlella pol int: findarsi sul carattere strutturale della politica internaz in quanto ambiente sociale anarchico, in cui non potremo mai essere certi su cosa pensano gli altri.

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Il discorso realista resta dominante per molto tempo, senonchè gia all’epoca del bipolarismo e a maggior ragione oggi inizia a essere sfidao (con efficacia diversa) da alcune repliche, che sono reazioni a grandi vicende a grandi traumi storici dle 900.• La prima replica si diffonde meno che altrove nelle relazioni internazionali (pesa il carattere americanocentrico della disciplina): metà anni 60: replica delle teorie “radicali”, o neomarxiste. Il contesto storic degli anni 60 fa i conti anche con la vicenda della decolonizzazione, cui si rivolgon queste teorie (molto piu che alla guerra fredda): disincanto, scoperta evidente che il raggiungimento dell’indipendenza dal dominio formale delle potenze occidentali, non rea sufficiente, restavano altri segmenti di dominio informale. Si propongono di spiegare che cosa tenga in piedi l’architettura delle disuguaglianze internaz, una volta venuto meno il dominio formale territoriale. Mettere al centro questo problema significa introdurre un ulteriore elemento di trasversalità: da un lato acettano il discorso idealista (occorre quardare alle relazioni economiche piu che poltiche), dall’altro le relazioi economiche cambiano totalmente di segno (interdipendenza economica non come promessa di armonia, ma come luogo del conflitto), in questo senso c’è vicinanza col discorso realista (per comprendere il contesto sociale bisogna guardare a dove è il conflitto, chi è soddisfatto e chi no, le diseguaglianze). Spezzare il rapporto di diseguaglianza su cui si fonda il sistema capitalistico mondiale (il sistema mondo di wallerstein è la diseguaglianza). Qui vengono le soluzioni:- Rivoluzioni (o la rivoluzione nel suo complesso)- Opzione dello sganciamento (per ottenere lo sviluppo ecnomico occorre uscire dal capitalismo mondiale, che è un sistema di riproduzione delle disuguaglianze, se vi entro sono spacciato).

Al di la delle socuzioni, questa teoria ci da contributi utili anche oggi:- Complica la rappresentazione della poli nt del 900: al centro della rappresentazione del mondo c’è il conflitto nord-sud, o centro-periferia (dicotomia aricchita da una semiperiferia piu fluida), non piu logica est ovest. Questa immagine ci interessa perché viviamo nel periodo di totale esaurimento dela dicotomia est ovest, percui le tracce di questa teoria sno rintracciabili.- Per studiare il sistema mondo (wallerstein) queste teorie reintroducnono una dimensione di lungo periodo, che era una vittima del discorso idealismo (centrato su cosa avrebbe potuto essere “finalmente”, una volta emendato il sistema dal passat) e realismo (irrilevante, perché la pol internazionale è immutabile). Lungo periodo come chiave di lettura necessaria per capire perché il sitema mondo si regge strutturalmente su questa disuguaglianza va ricostruire tuta la vicenda (formazione e consolidamento delle disuguaglianze). Non ci sono relazioni di potere nuove e fragili, il tessuto delle disuguaglianze precedeva i sistemi coloniali (altrimenti sdarebbero scomparse). - LA vicenda è la stessa di westfalia, ma guardata attraverso il rapporto dell’europa con il resto del mondo.- Per l’interesse che hanno alla decostruzione del sistema capitalistico mondiale, pongono il prblema dei rapporti inevitabili tra conflitti interni e internazionali. Individuano dei luoghi di connessione: v. teoria latino amreicana della “dependencia” v. anche cambiamento nella terminologia –non è piu interdipendenza), in cui gioca un ruolo importante la borghesia compra dora (soggetto interno, beneficiario dell’ordine economico e sociale; ma è anche parte organica del sistema capitalistico, deve il proprio ruolo ll’esistenza del sist int nel suo complesso! allora il conflitto interno diventa internazionale, perché colpisce l’ordine internazionale; anche viceversa ogni conflitto internazionale contro la borghesia indebolisce i singoli soggett). V. regimi islamici oggi: attaccano gli americano per colpire la monarchia saudita corrotta (i regimi apostati della regione) e viceversa.

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Considerazioni finali sulla fortuna di questo approccio: occupano un posto marginale nel dibattito (che si svolge principalmente nelle università, che hanno poco interesse per queste tematiche), entrano in crisi negli anni 80 per 2 processi storici:

- Successo delle tigri asiatiche, paesi che si sviluppano enormemente adottando la soluzione opposta rispetto a quella proposta: l’inserimento a tutto tondo nel sistema capitalistico mondiale.- Fallimento colossale dei regimi comunisti (fine anni 80 primi 90): sconfitta clamorosa e caduta di quello che sembra essere stato un “castello di carte” (mancanza di movimenti colletivi in senso contrario: problema di legittimazione molto forte, ch mette in crisi l’auspicio di una transizione da capitalismo a socialismo).

Marginalità e processi mettono da parte queste teorie, che cercano di recupera spazio con la crisi finanziaria (“vedete che il meccanismo non funziona?”), controbilanciato da un secondo approccio.

• Approccio anni 70 che definiremo “isituzionalismo liberlae”: tema centrale sono le istituzioni e coloritura ideologica il liberalismo.

Questa sfida nasce nel pieno del dibattito politico e culturale euroamericano (perché quasi tutti gli studiosi sono liberali, si occupano soprattutto di quello che hann sotto gli occhi cioè relazioni eur-usa).Argomentazioni (che restano oggi al centro del dibattito, che possiamo dunque definire forte quanto il realismo se no di piu):

- Constatazione (che cresce allontanandosi dalla guerra fredda) che larghissima parte delle rel int in eur e usa non riguardano piu negli anni 70 le tematiche della sicurezza e della guerra che ossessionano i realisti (v. anche opinioni pubbliche sfiancate dalle guerre), ma le relazioni internazionali di scambi economici e culturali (una nozione che si va diffondendo è quelll di “interdipendenza complessa”: le relazioni internazionali che concretamente viviamo in europa sono essenzialmente tra di noi, sono pacifiche, solo tra eur e usa sono conflittuali ma non concepiscno cmq la guerra; serie infinita di relaizoni economiche commerciali turistiche culturali, in cui isoggetti non sono solo stati ma anche organizzazioni intergovernative).- Preoccupazione (che c’era durante la guerra fredda? importante perché è gia riemersa) di un possibile imminente (forse gia in atto) declino americano. Allora sembravano deboli, mentre sembrava forte il blocco sovietico (v. insuccessi americani militari in vietnam a inizio anni 70, scandalo watergate, fallimento …, impotenza verso ilnuovo attivismo sovietico nei paesi dell’est e con missili in europa; gli atati uniti non replicano; rivoluzione iraniana del 79).

Questi aspetti aprono lo spazio nel quale si sviluppa il discorso.- Decidono di spostare il tema, di dividersi i compiti: non guerra fredda (la studiano i realisti, ocn guerra e paura) ma interdipendenza complessa (tutte le relazioni che interessano i governi e le opinioni pubbliche in eur e usa).- Il problema è “che cosa succede a questo sistema se l’america entra davvero indeclino”. Il sistema starà in piedi o meno? Per i realisti, alora e oggi, se gli usa entrano in crisi tutto il sistema capitalistico (dettato dagli usa) va in crisi (la stabilità è egemonica). Gli istituzionalisti liberali non ne sono convinti (robert coane intitola il suo testo “after egemony”), sono piu ottimisti: se anche il sistema del dopo guerra fredda è stato messo in piedi dagli usa, queste istituzioni possono stare in piedi lo stesso perché a questo punto sono sufficientemente mature e autonome; hanno bisogno di grandi potenze che cooperano tra di loro (grande fiducia in obama affinchp rilanci il tessuto delle rel int, con usa che cooperino con gli altri sneza sormontarli). - Cosa si aspettano dalle istituzioni? (Differenza tra anarchia internazionale con o senza istituzioni):

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• Grazie alle istituzioni si abbassano i costi di accordi internazionali (si sa gia chi sono gli interlocutori, le procedure su come trattare, sistema di accordi già esistente su cui procedere).• Vivere all’interno di una istituzione non cancella ma diminuisce il rischio dell’inganno che c’è in un sistema di anarchia, perché c’è fiducia (posso stringere accordi contando sul fatto che verranno rispettati).• La fiducia non basta, ma c’è il fato che vivendo all’interno di una istituzione si bada molto di più ai costi futuri di ciò che si guadagna sul breve periodo: se “frego” il mio partner, pagherò successivamente in termini di reputazione eprhcè se ne ricorderà lui e tutti gli altri che son dentro il sistema; inoltre quelllo che guadagno pagherò su altri tavoli pesano di piu le considerazioni di lungo periodo.

Il confronto tra realismo e istituzionalismo liberale è centrale oggi nella disciplina.Questioni centrali:

• Esiste una dimensione dominante nelle relazioni internazionali? - I realisti dicono di si (dimensione militare), - gli istituzionalisti dicono di no.• Esiste una sola gerarchia del potere nell’ambiente internazionali? O tante gerarchie quante sono le dimensioni del potere internazionale? - I realisti dicono di si (gerarchia del potere militare; per questo definiamo il sistema di oggi come unipolare –e quello di ieri come bipolare-), - gli istituzionalisti dicono di no (lo stesso contesto storico può essere unipolare sula dimensione militare e multipolare su terreno economico commerciale, anche culturale pluralità di gerarchie).• Quanto contano le istituzioni? - Per gli istituzionalisti molto (al punto da modificare il modo in cui i singoli attori calcolano le proprie mosse), - per i realisti nulla (danno l’impressione di contare, ma solo perché sono il prodotto di una determinata distribuzione del potere, se cambia questa le istituzioni si sfasciano).

Manca all’appello un ultimo approccio: il costruttivismo.• Ist liberlai e realisti sono d’accordo sugli assunti di fondo del sistema internazionale: anarchico, dall’anarchia derivano conseguenze rilevanti per gliattoi, epr comprendere la poli nt e le singole pol ester occorre considerare gli stati come egoisti razionali (calcolano in modo egoistico i propri comporrtamnenti; secondo i realisti porta al problema della sicurezza; sec gli ist le istituzioni servono perché al loro interno gli attori calcolano i prorpi comportamenti in modo diverso).• I costruttivisti entranoin gioco su questo ultimo aspetto: • il costruttivismo diventa un approccio molto forte nel corso delgi anni 90: c’è un trauma: - da una lato culturale -diffusione del post-modernismo in architettura, arti, scienze sociali, storia, e infine rel int: fine delle narrazioni, epoca di metiicciato, ecc. questa corrente culturale, o sensibilità (piu diffusiva) ,nel campo delle rel int si incontra con il discorso della costruzione e decostruzione continua della realtà, v. dopo- sgretolamento dell’unione sovietica: grande imprea di costruzionee decostruzione della realtà, dove tutto va ripensato. • Il costruttivismo mette l’accento sul ruolo delle istituzioni (v. istituzionalismo): dopo il collasso dell’ordine bipolare, come reinventare l’ordine? Attraverso le istituzioni (quali ue, ma ce ne vogliono altre). Danno ancora più importanza alle ist: non sono solo arenen in cui gli attori si comportano in modo diverso, ma cambiano l’identità stessa degli attori (non

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immutabili). Si tratta di plasmare, decostruire e ricostruire le identità degli attori (con la ue gli stati hanno cambiato le loo identità, il modo in cui icittadini pensano le proprie identità) ruolo costitutivo delle istituzioni.• I cost arrivano a scrivere che quello che vale per gli interessi vale anche per l’anarchia (Alexander Gwen, maggior esponente: “l’anarchia è qello che gli stati fanno dell’anarchia”). L’anarchia non costringe gli attori ad essere egoisti e paurosi, ma può produrre altruisti generosi.• Il costr sembra ricongiungersi così all’idealismo (critica forte al costr, di non essere stato propositivo); • linguaggio dominante in europa in questi anni (v. annate degli anni 90 e oggi di due riviste europee importanti: Millennium e European journal pf International relations).• 2 temi centrali:- Fattori culturali come potenzialmente bellogeni, centrali, criticano real e ist per la scarsa importanza data ai fattori culturali.- Importanza degli attori non statuali: non partono dal presupposto stato-centrico dei realisti e istituzionalisti liberali, ma centralità degli individui e degli attori subnazionali.

Dibattito oggi:• Istituzionalismo liberali vs. razionalismo (dicono piu o meno le stese cose)• Costruttivismo vs. razionalismi (centralità del fattore culturale, argomento principale del dibattito di rel int che sarà).

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LA POLITICA INTERNAZIONALE

Abbaimo visto gli aspetti comuni della poli nt in ogni contesto, per capire come si distingue dalla politica estera, Ora la domanda è: come distinguere n contesto internazionale da un altro. Cosa occorre guardare per comprendere come è fatto un contesto internaz, diversamente dagli altri?• Abbiamo una conoscenza intuitiva di questo (sappiamo che il conti nt oggi è diverso da quello della guerr fredda), appare evidente che si è in un cont nt nuovo; è in questi casi che è fondamentale analizzare il contesto. Da 15 anni a questa parte tutti i governi sono alle prese con questa questione: capire come è fatto il contesto internazionale oggi, per sapere quali obiettivi porsi.• Per trovare dei criteri occorre innanzitutto porsi le domande giuste. Quali sono le cose basilari che occorre sapere per capire cos’è un conti nt?

1 criterio: potere; prediletto da realisti e radicali, ma che cmq on può mancare in alcuna riflessione teorica. • Metterlo per primo non significa che sia l’unico e che gli altri ne siano solo “maschere”: il potere è centrale ma non è tutto. Lo mettiamo per prima perché senza sapere la distribuzione del potere (e chi ne è soddisfatto e chi no) è impossibile capire un contesto internazionale. Il riconoscimento del potere come dimensione primaria c’è da sempre nella riflessione politica, soprattutto internazionale (perché è una situazione di mancanza di governo che possa controllare gli abusi e ricalibrare le disuguaglianze di potere, le diff sono destinate inevitabilmente a pesare di più.

Proprio il potere è al centro della riflessione di Tucidide, ed è centrale nei testi di Waltz e Gilbin.

• Qual è il ruolo del potere nella politica internaizonale?- Il potere spiega perché nella vita internazionale c’è semrpe qualche forma di ordine, perché in un sistema anarchico la prima e più elementare fonte di ordine int è la disuguaglianza di potere. Gli attori sono formalmente uguali, ma non hanno lo stesso potere di fare queste cose.

C’è una differenza essenziale tra anarchia di Hobbes (stato di natura) e anarchia internazionale: la prima è invvibile non solo per mancanza di governo ma anche per eguaglianza (per Hobbes, l’uguale possibilità di uccidersi; es. anche il piu debole attravero l’inganno puo uccidere il piu forte). L’anarchia internazionale è caratterizzata solo da mancanza di governo, non è mai assoluta eguaglianza (la vulnerabilità di diversi stati non è mai uguale). Inoltre, la vulnerabilità non è illimitata: l’incubo dell’ordine internazionale dopo l’11 sett è dovuto al timore della uguaglianza tra gli stati. il potere fa si che in ogni governo ci sia qlc tipo di ordine dettato dalla diseguaglianza.

- La disuguaglianza di potere fa si che abbiamo sempre aspettative inconsapevoli: nella politica internazionale non contano tutti ma solo un piccolo gruppodi soggetti, e questa consapevolezza a liello di decisione poltiche consente un enorme risparmio cognitivo (basta tenere conto di 4-5 attori). Persino nel piccolo gruppo dei protagonisti della poli nt sappiano che solo pochi contano, sappiamo quale conta di piu (v. perché ci aspettiamo tutti qualcosa da obama).

- La diseg di potere fa si che il paese più forte detti condizioni di costrizioni per tutti gli altri; questo vincolo non vale per lo stato più forte, che è libero (v. amm. Bush: ha eretto a caposaldo della propria politica il rapporto tra strapotere e libertà di azione). Per i

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deboli questo si traduce in vincoli imposti da altri, “promessa delle ricompense e terrore delle punizioni” (hobbes) è il linguaggio delle disuguaglianze di potere, degli stati più forti (degli usa oggi).- La diseg. Nella distribuzione di potere non spiega solo perché c’è sempre una certa quantità di ordine, ma spiega anche la cosa che ci interessa d più, cioè perché al mutare della distribuzione di potere, i sistemi internazionali sono diversi. L’ordine int cambia secondo la distr del potere. La distr del potere è la prima cosa che diff un sist int da un altro (v. sist int del prima 45 e dopo 45; guerra fredda e oggi il potere è distribuito diversamente: nel 1930 le superpotenze erano 5, poi 2, oggi 1).

Tripartizione proposta da Aron (e ripresa da Bobbio) su come può essere distribuito il potere:

• Impero: condizione in cui esiste un attore nettamente superiore agli altri (distribuzione del potere di tipo rigidamente gerarchico): l’attore superiore impiega la propria superiorità per annullare la sovranità di tutti gli altri. Esiste una sola fonte di autorità o legittimità, che gli altri soggetti politici riconoscono.• Egemonia: condivide con l’impero l’esistenza di un attore molto preponderante rispetto agli altri, più potente e dunque più prestigioso (La pace è rigorosamente gerarchica). La differenza è che l’egemone non impiega lo strapotere per annullare le altre sovranità, ma c’è un controllo gerarchico informale in cui le sovranità sono rispettate, l’egemone getta vincoli e limiti (generalmente sulla politica estera, talvolta sulla conduzione delle vicende interne).• Pace o ordine di equilibrio: l’equilibrio come pace non gerarchica, un piccolo gruppo di grandi potenze (non c’è mai assenza di gerarchia! L’equilibrio è interno al gruppo!) in cui il potere si equivale e si bilancia.

L’impero è stato la condizione preponderante nel passato, ma negli ultimi secolo si sono susseguiti gli altri 2 modelli. Un caso dubbio è quello dell’unione sovietica: v. principio della sovranità limitata che riconosce il diritto dell’intervento del paese maggiore. Altra è quella attuale degli stati uniti: è tradizionalmente un’egemonia, tra l’altro continuamente centrata sula differenza tra egemonia e impero (siamo un caso storico di superpotenza che non impiega il proprio potere per cancellare gli altri); tuttavia ultimamente è diventata più pervasiva, come se pretendesse un intervento legittimo di tipo internazionale, un diritto di vigilanza democratica sull’ordine interno degli altri paesi (confusione, in cui chi è ostile definisce gli usa un impero e chi è amico una egemonia; la formulazione più di successo dei primi è Impero di Hurt e Negri). Una domanda centrale su Obama è come porterà avanti questo processo (v. considerazione che l’impero è costoso). Vediamo dunque il rapporto tra egemonia ed equilibrio.

• L’egemonia (è la forma più semplice da analizzare perchè: 1 l’egemone non è un governo ma è come se lo fosse, perché esercita un’influenza sugli altri stati; 2 noi viviamo in un contesto egemone).♦ L’egemonia può avere diverse dimensioni, innanzitutto spaziali. Egemonie regionali: unione sovietica sull’europa orientale; usa sul continente americano; germania su europa come egemonia fallita. L’egemonia globale non può che essere marittima (implica il controllo degli spazi comuni, del luoghi che consentono il passaggio da un continente al’altro, cioè gli oceani): v. oggi condizione di dominio da parte degli usa degli oceani e dello spazio aereo (la conquista del “dominio dellaria” è la prima cosa che fanno gli americani quando entrano in guerra con qualcuno; solo loro sono in grado di farlo). Gli usa hanno aggiunto un terzo spazio comune: lo spazio extraatmosferico. I soggetti egemoni che nella storia hanno il controllo d questi spazi sono stati Inghilterra e usa.

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♦ Quale è il rapporto tra egemonia e ordine internazionale? Cosa fa l’egemone regionale nella propria regione e globale nel sistema int? L’egemone getta vincoli, è prestatore di ordine econmico e politico, entra in gioco come arbitro in ogni conflitto (v. usa negli ultimi 15 anni: son stati l’ultima parola, in senso militare, in tutte le situazioni di crisi globale, es. guerra in bosnia: sanzionano alcuni comportamenti e ne approvano altri; sonoi protagonisti continui dela democrazia, v. firma delle paci degli ultimi anni sempre negli usa. Gli usa son ossessionati dalla paura che l’orgoglio di questo ruolo egemonico li condanni alla paura del ruolo desolante e autodistruttivo di “pompieri del mondo”, paura di trovarsi di fronte a problemi che non possono risolvere. Al quaeda gioca sul fatto di continuare ad aprire fronti, costringendo l’america ad intervenire su troppe questioni, a scegliere se fare tutto da soli dissanguandosi o litigare con gli alleati perché facciano di più. Se questo è ciò che l’egemone fa, allora la prognosi di fine degli ordini egemonici è: il declino dell’egemonia comporta il declino dell’ordine internazionale (v. esempio storico, al quale gli usa guardano continuamente, del declino contemporaneo e parallelo dell’egemonia bitannica e dell’ordine che era fondato su di essa: al declino relativo dell’ing –altri crescono più velocemente, usa ger giapp- succedono le sfide –soggetti si permettono di sfidare la gb –v. leggi navali tedesche, scontri diplomatici avviati dagli usa-). Gli usa temono oggi il proprio declino come lo temevano alla fine degli anni 70. declino egemonia = declino ordine.• L’equilibrio (o pace per Aron) è la distribuzione del potere più chiaramente diversa da quella egemonica: anziché un soggetto che getta ordini a tutti gli altri soggetti , ordine e pace sono il prodotto del bilanciamento di potere tra gli attori (“balance of power”= equilibrio di potenza): le principali sono grossomodo equivalenti in potere, o meglio nessuna potenza ha abbastanza potere da essere in grado di unificare il sistema (se anche una è più forte delle ltre, le altre tutte insieme devono essere tanto forti da equilibrare la prima).♦ L’equilibrio diventa il codice esplicito dell’ordine in europa tra 700 e 800; è alla base di tutte le dichiarazioni di pace, al fine di ottenere equilibrio (diversamente da come afferma Waltz, equilibrio non è naturale ma risultato di riflessione e consapevolezza, intellettuale e diplomatica).♦ L’equilibrio come codice (risultato e convenzione) ha un precedente importante: metafora della bilancia, impiegata in europa nel 400 = prassi diplomatica che vuole che i piatti dela bilancia siano sempre in equilibrio tra loro affinchè ci sia ordine interanazionale. Questa metafora è stata ispirazione di una delle prasi più ripetitive nella politica int: formazione di coalizioni egemoniche, alleanze tra soggetti che temono lo strapotere di altri (es. alleanze antiasburgiche nella guerra dei 30anni; antifrancesi all’epoca di Luigi XIV; ogni qualvolta emerge una strapotenza, con la chiara intenzione di sopraffare gli altri paesi, questi si buttano insieme sul piato più leggero della bilancia per riequilibrare).♦ Questa idea è stata il codice ripetitivo ricorrente della Gran Bretagna per tutta l’età moderna e contemporanea (GB autodefinitasi come potenza riequilibratrice dell’ordine nel continente). La GB si butta nel continente prendendo l’iniziativa di stringere la coalizione antiegemonica.♦ Mentre nell’ordine egemonico l’ordine internazionale tende ad andare in crisi quando l’egemone si indebolisce, qui il momento di crisi è proprio quello in cui un attore diventa troppo forte (es. esperienza innescata dall’unificazione della Germania nel 1870: cambia totalmente la struttura di potere dell’equilibrio europeo, che si reggeva sull’equilibrio delle forze e su un vuoto politico al centro del continente –la Germania- disponibile per le necessità di riequilibrio degli altri paesi).

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♦ Occorre non confondere equilibrio e uguaglianza: l’equilibrio è sempre tra poche potenze, gli altri paesi non contano (politica internazionale ha natura sempre oligopolistica).♦ Equilibrio non come mantenimento dello status quo, ma richiede anzi spesso il sacrificio dello status quo: perché resti l’equilibrio sono necessari adattamenti (es. caso più clamoroso: spartizione della Polonia tra fine 700 inizio 800. la Polonia era una strapotenza, e viene completamente smantellata per effetto di 3 successive spartizioni tra impero zarista impero asburgico e prussia: queste spartizioni sono legittimate proprio dall’esigenza di ristabilire l’equilibrio europeo).♦ La logica dell’equilibrio cambia in modo radicale a seconda del numero di attori in equilibrio tra loro (in particolare 2 –eq. Bipolare- o più –eq. Multipolare-: 2 forme di equilibrio che producono 2 sistemi internazionali completamente diversi).• Relazione egemonia-equilibrio:♦ Ci offrono 2 modi diversi di guardare la politica internazionale e ricostruirne la storia: Walt e Gilpin sono riconducibili all’approccio realista. Gilpin interpreta la pol int alla luce dell’egemonia, e la storia del 900 è la storia dell’egemonia americana. Waltz invece interpreta la poli nt come una storia di equilibrio, talvolta bipolare talvolta multipolare. 2 modi totalmente diversi di vedere la storia.♦ Sono due modi di interpretare la storia stesse delle relazioni internazionali. Essa può essere interpretata come una serie di tentativi egemonici falliti (v. libro di Ludwig Dehio “equilibrio o egemonia”: storia vista dal “continente”): la storia del continente europeo degli ultimi 4 secoli è tentativo da parte di alcuni a conquistare continenti (napoleone, germania guglielmina, ecc), seguito dalla formazione di alleanze antiegemoniche, e dal ritorno all’equilibrio dopo il fallimento della superpotenza. Un altro modo di interpretare, che prevale in tutta la storiografia e politologia britannica e soprattutto americana, è speculare al primo (storia vista dal “mare”): la storia internazionale degli ultimi 4 secoli è una successione di egemonie marittime (portoghese, olandese nel 600, britannica, americana).

Queste 2 interpretazioni hanno convissuto! Equilibrio nel continente europeo e egemonie marittime. Obiettivo della potenza marittima tenere diviso il continente, al fine di non creare una grande isola unita. … Sostegno della causa Irlandese in gran bretagna da parte di Germania e Francia per spaccare la potenza. L’obiettivo della potenza continentale è creare una piccola isola.

♦ La successione tra equilibrio ed egemonia dipende si dalla distribuzione del potere, ma anche dai cambiamenti culturali: in Europa ad esempio ci sono culture politiche che hanno prediletto l’equilibrio (divisione del continente come valore) e altre che hanno prediletto l’egemonia (divisione come problema). La teoria dell’UE sostiene che lo spezzettamento sia un problema, ma le ragioni di questo spezzettamento sono proprio che molto a lungo nella teoria politica europea la divisione è stata assunta come valore fondamentale dell’Europa. È stato il segreto dell’Europa come il dispotismo orientale (che infatti ha la concezione opposta). Oggi il confine è visto come un ostacolo (alla circolazione, alla transazione) ma molto a lungo è stato visto come un riparo (v. dopo le guerre di religione). ♦ Oggi c’è ancora una sensibilità diversa tra Europa e USA, e spiega in parte le diverse preferenze sul futuro del sistema internazionale. Anche all’interno degli USA, una parte del pensiero vuole che il dominio da parte di una potenza sia un male, perché il più forte può abusare del proprio potere e non può essere in questo frenato e bilanciato (sorta di “paura di se stesso” o meglio “rischio di intrappolamento”: paura che la mancanza di bilanciamento li conduca a fare troppe cose, molto delle quali inutili; v.

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ragione fondamentale dell’opposizione americana, fortissima, a Bush: lui ha scavalcato la differenza tra guerre di necessità –giuste- e guerre di scelta –inutili-; ha impegnato gli usa in una serie di guerre evitabilissime e che si sono rivelate distruttive per l’equilibrio fiscale dell’egemonia americana. Ma c’è un’altra ragione alla base di questa fazione: la legittimità dell’egemonia: gli USA sono convinti di avere avuto il ruolo di paese più forte, ma anche più rispettato e più amato, e per questo possono usare il soft-power anziché l’hard-power militare, ricorrendo più al fascino che esercitano che alla forza; alcuni addirittura temevano che la troppa potenza acquisita nella guerra fredda fosse negativa perché attirava il sospetto degli altri paesi, perché “chi ha troppo potere prima o poi ne abusa, e anche se non ne abusa viene visto dagli altri come se ne abusasse” v. dichiarazione dei padri fondatori); c’è però anche un’altra idea, quella che questo valga per tutti tranne che per l’America, perché l’America è un paese virtuoso, e se non controbilanciata è un vettore di virtù universale.

• Ricapitoliamo (escludendo l’imperialismo): il potere, nei diversi contesti internazionali, può essere distribuito in 3 configurazioni possibili strapotere di una (sistemi unipolari), equilibrio tra 2 (sistemi bipolari) e equilibrio tra più di due (sistemi multipolari).• Quello che ci interessa è quali sono le conseguenze della diversa distribuzione di potere? Il cambiamento della politica internazionale! Come cambia? Per rispondere a questa domanda disponiamo di uno strumento concettuale forte: concetto di sistema (politico internazionale).• L’analisi sistemica si sviluppa nelle relazioni internazionali all’inizio degli anni ’50 (lunga se rapportata alla vita breve della teoria contemporanea delle relazioni internazionali, che dunque è stata n gran parte teoria dei sistemi). Waltz è nel bene e nel male il libro più importante della teoria contemporanea delle rel int, a probabilmente il punto d’arrivo dell’analisi sistemica (perché mostra il massimo che può dare, e ciò che invece non può dare).• Perché si diffonde l’analisi sistemica?♦ Ragione di carattere endogeno: prima di essere impiegata nelle rel int e nelle scienze soc, è comunemente impiegata nelle scienze naturali, e con grande successo.♦ Ragione di carattere storico: il concetto di sistema, che si fonda sull’idea che le parti siano in collegamento tra di loro e che ciò che avviene in un punto abbia collegamento su altri punti, che ci sia interconnessione sempre più stretta tra le parti, è giusto per parlare di un contesto internazionale che diventa sempre più integrato e interdipendente (da un pdv sia strategico che economico; v. seconda metà 900 come apice di interconnessione in tutti i campi, soprattutto strategica –oggi non c’è più- dettata dal timore di tutti i paesi di poter cadere vittime di una guerra nucleare).♦ Il concetto di sistema si sviluppa per rispondere alla domanda per eccellenza della fine anni 40: in che cosa è diverso il sistema int di oggi da quello del 1930-35? Tale domanda aveva un sottinteso più crudo: è meglio o peggio? più stabile o più instabile? Più o meno pacifico? (è questo che conta alla fine, per l’opinion pubblica ma anche per i paesi). Non è un caso che larghissima parte dello studi delle rel int si incentra proprio su questa questione (se il bipolarismo fosse più o meno bellogeno del multipolarismo).• Come affronta la teoria dei sistemi la questione della maggiore o minore bellogenità dei contesti internazionali? Waltz:♦ Primo passaggio: occorre lasciare il terreno descrittivo e spostarsi su quello di costruzione di una teoria esplicativa. Per spiegare qualunque realtà occorre allontanarsi dal dato descrittivo: occorre selezionare elementi e trascurarne

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completamente altri, inserire cose che non ci sono (i concetti teorici, v. il concetto stesso di sistema). parsimonia.♦ Secondo passaggio: occorre capire cosa selezionare e cosa tralasciare. Occorre scegliere il sistema analitico (sistema internazionale) e trascurare tutto ciò che si trova a livello del singolo attore (“elementi riduzionistici”: es. regime politico dei singoli attori, personalità dei leaders, ecc: elementi che so che contano, ma dal punto descrittivo e non per la mia spiegazione).♦ Terzo passaggio: occorre considerare che l’elemento fondamentale dell’analisi è la distribuzione del potere nei vari contesti storici: essa costruisce un campo di forza che agisce sugli attori, è come essi si trovassero a “giocare giochi diversi” (le mosse che possono far vincere in un contesto, es. sist multipol, fanno perdere in un altro, es sist bipol). V. errore degli usa, che continua a usare le mosse che erano vincenti in un contesto bipolare oggi.♦ Ora si riesce a rispondere alla domanda (ci sono vari modi) di prima (differenze tra 1930 e 1950): nel 50 c’è una sola grande competizione ideologica internazionale; nel 50 ci sono 2 grandi ideologie in conflitto tra di loro; waltz risponde in un altro modo (coerentemente con le ragioni di parsimoniosità): anni ‘30 sistema multipolare, anni ‘50 bipolare.• La diff, il passaggio tra sist multipol e bipol è quella di cui ci occuperemo, considerando però anche il contesto unipolare (quello in cui viviamo).

DIFFERENZE BIPOL MULTIPOL

La condizione storicamente normale è stata quella multipolare (dal 1648, Westfalia, al 1945), anche se sono variati il numero e l’identità delle grandi potenze in gioco (ma sempre tra 5-7 potenze). Il sistema bipolare dopo il 45 era una condizione completamente nuova nel contesto internazionale moderno, che può essere considerata una eccezione storica. Questo è maggiormente vero nel caso del sistema unipolare (v. ci sono state strapotenze marittime, ma c’erano anche continentali; gb non è mai stata forte come li sono ora gli usa). Dato: le spese che gli USA destinano alla ricerca in campo militare sono superiori a quelle di tutti gli altri attori messi insieme (questo proietta la superiorità militare degli usa nel futuro). Fino a qualche anno fa consideravamo gli USA preponderanti sul terreno nucleare ma non militare convenzionale; quando decisero di entrare in guerra contro l’Iraq si aspettavano di vincere a costi umani altissimi. L’esperienza degli ultimi 5 anni ci ha insegnato che la superiorità militare è passata da terreno nucleare a convenzionale; questo è un pericolo per la conduzione comune delle guerre (gli altri paesi non riescono a collaborare nella guerra, ma solo per occupare i territori).

(26 gen. 09)

Per rispondere alla domanda (passaggio da sistemi bipolari a multipolari) 4 criteri, che hanno in comune il fatto di non mancare mai in ogni contesto internazionale, ma che mutano al mutare della distribuzione del potere:• Definizione dell’amico e del nemico• La guerra (Un elemento di continuità, che tutta• Rapporto continuo tra uguaglianza e disuguaglianza• Le alleanze

Definizione amico-nemico.

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Schmitt ha scritto, relativamente a questa coppia: “le categorie del politico si connotano con la capacità di produrre amicizie e inimicizie”. Tutte le unità politiche definiscono una sfera interna ed esterna con regole diverse. Quando si agisce politicamente, la prima cosa che si fa è identificare un soggetto o un gruppo di soggetti come nemico, e successivamente per contrastare quel soggetto si raggruppano una serie di amici (es. polarizzazione delle 2 coalizioni che si confrontano in Italia, in cui l’unico collante che tiene unite le coalizioni è la definizione del nemico; più la coalizione è eterogenea più cresce l’esigenza di polarizzare le inimicizie verso l’esterno).Come cambia la def nei sistemi?

• Sistemi multipolari: la scelta di amico e nemico è largamente indeterminata - es. sistema ottocentesco, ma anche del primo 900: le grandi potenze non sono costrette a scegliere dal sistema internaz, ma hanno una certa libertà di scelta –tutti la hanno, tutti sanno che gli altri la hanno-; es. GB nell’ultimo quarto dell’800, grande potenza europea e globale, giocava varie partite o tavoli strtegici: 1) quella del mantenimento dell’equilibrio europeo –tenere il continente europeo diviso-, mantenimento del proprio impero –mantenere la continuità in termini di vie di comunicazione tra isola britannica e india, cuore dell’impero coloniale-, 3) la corsa all’africa. Sono 3 tavoli su cui la GB trova competitori diversi: 1) la Germania –potenza da riequilibrare, come era stata riequilibrata in passato la francia-, 2) la Russia zarista, con cui si incrocia in Afghanistan, 3) la Francia –corsa per appropriarsi di uqanto più spazio possibile. ci si chiede quale tra le partite sia la più importante, ed una scelta della GB quella di individuare la ger come sfidante principale –a seguito di … . È solo allora che la GB compone le alleanze con gli altri che erano nemici –francia, russia, e addirittura giapone-.) . anche nel periodo infrabellico, con un multipolarismo malato, non è chiaro quali debbano essere gli allineamenti fondamentali, perché tutte le grandi potenze riprendono il gioco diplomatico multipolare valutando la possibilità di allearsi con chiunque altro (v. tentaazione inglese di avvicinarsi alla ger in funzione antisovietica): ci s cinterroga su quale sia la scelta più opportuna, sapendo che tutti sanno che ci si sta interrogando; nessuno può essere sicuro delle scelte altrui.

In un sistema internaz le variabili da considerare sono molte (ciascuna potenza deve considerare contem piu potenze) essendo incerta sulle azioni delle altre potenze che sta guardando. Che valore dare a questo numero alto di variabili? Waltz sostiene che fosse il male del multipolarismo, per l’incertezza che rpoduce. La maggior parte degli studiosi internazionali diceva il contrario: proprio perché crea incertezza è buono, perché crea prudenza.

• Bipolari: v. esperienze del sistema post bellico (guerra fredda). Il grado di indeterminatezza è minimo, perché ci sono solo 2 grandi potenze: ciascuna delle 2 sa che l’altra è l’unico attore nel sistema in grado di porle una minaccia mortale.- Usa fine anni ’40: entrando nel nuovo sist int si chiedono da dove può venire la minaccia fondamentale ai loro interessi, e trovano la risposta nella struttura del sistema (l’unica era l’urss). Chi si opponeva alla guerra del vietnam lo faceva non per smettere la lotta contro l’urss, ma perché riteneva fosse inutile. • Unipolare: usa come unica potenza. Vediamo uno dei paradosso della condizione attuale: sembra assomigliare più al bipolarismo, mentre richiama molto di piu il multipolarismo nel suo funzionamento. Il grado di incertezza è esasperato.- V. tormento americano degli ultimi anni (domanda che si pone ogni attore quando entra in un nuovo sitema internazionale): da dove vengono le minacce fondamentali alla mia sicurezz anaz? Quali sono le partite e i competitori fondamentali? Qui ci son le radici di due elle caratteristiche dominanti della politica estera americana delgi ultmi 15 anni (e su cui si giudicherà la presidenza obama):

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• Waltz parla di politica estrea capricciosa, senza orientamento strategico definito, proprio perché si ha troppa libertà e troppa forza (l’eccesso di forze è un problema), il rischio della pol estera americana sarà la ricerca continua di nuovi obiettivi, nuovi nemici; si pensi anche al modo di ragionare di commentatori e uomini politici: sarà l’inizio di una nuova guerra fredda? Si ricerca sempre il nuovo competitore.• Secondo problema della pol americana, portato all’easperazione da amm bush, è stat la ricerca continua di formule di semplificazioni globali in grado di surrogare la fine della guerra fredda (c’è quacuno in grado di sostituire la guerra fredda?). il sostituto strategico e ideologico, in grado di unificare il sistema internazionale nel suo complesso perché “ovunque c’è la stessa partita” è il terrorismo. C’è una dichiarazione globale di inimicizia e una chiamata globale di amicizia. Questa narrazione non ha retto perché la guerra globale contro il terrore cercava nel congtesto internaz piu coernza di uqanta ne possa offrire; il contesto è indeterminato e dobbiamo adattarci a viverci, perché qualunque tentativo di renderlo chiaro fallisce perhè la mossa vincente in un gioco diventa sbagliata in un altro (non si puo più giocare come nel gioco bipolare…).

La guerra.Un elemento di continuità così forte cambia lo stesso volto col variare dei contesti, in 2 dimensioni principali: la frequenza e l’intensità.

• Multipolari: la guerra può essere di tipi molto diversi (v. diff macroscopica in termini di intensità tra guerre napleaoniche e del 700, o tra Igm e guerre limitate dell’800), ma c’è una caratteristica comune: proprio perché le potenze giocano contemp su molti tavli, tendendo a non investirvi tutto, c’è spazio per guerre limitate tra le grandi potenze. In altre parole, non solo le grandi potenze possono combattere gerre brevi con poste limitate con potenze piccole, ma si scontrano spesso tra di loro snez necessariamente inescare una guerra generale. - 800: assenza totale di guerre generali (“secolo pacifico” in confronto al 900), ma frequenza di guerre localizzate (. Guerra di cirmea, che coinvolge molti ma rimane li; impero asburico; francia vs germania umiliazione per la francia, ascesa per la germania, ma anche in questo caso la guerra non significa guerra europea; 1878 turchia vs. russia l’impero ottomano come potenza discendente ma lo stesso important, ma non diventa guerra generle).

La guerra diviene paradossalmente una sorta di ammortizzatore, può servire a correggere la distribuzione di potere e terriotorio senza pregiudicare il sistema int nel suo complesso.

• Bipolari: lo spazio per guerre limitate tra le uniche 2 grandi potenze si chiude totalmente. “escalation” significava timore di non essere in grado di controllare la scalata dalla guerra limitata alla guerra generale, e da un certo momento in poi la consapevolezza che qualunque scontro ditretto tra le superpot avrebbe rischiato di tracinare l’intero sistema nello steso vortice (- data simbolo: 62 crisi di cuba: è chiarissimo che uno scontro su un pezzo del tutto marginale del sistema int, s una posta così limitata, nel sistema guerra fredda non avrebbe potuto essere limitato.

Questo produce una serie di conseguenze:- Le uniche guerre combattibili diventano quelle che non coinvolgono direttamente le superpotenze, anzi la guerra diventa uno dei contrassegni inequivocabili della condizione periferica.- Periodicamente le superpotenze vengono coinvolte direttamente in conflitti armati (usa Vietnam, Russia Afghanistan) ma imparano la regola aurea: se una è coinvolta, l’altro per intromettersi deve farlo per procura. Non c’è spazio per lo scontro diretto, ma si può fare …indiretta finanziando i nemici del nemico

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- La consapevolezza che non c’è spazio per la guerra limitata (perché innesca l’escalation) ha una ricaduta pacifica, non solo perché ispira un “principio ferreo di prudenza” (Waltz). Una serie di conflitti vengono congelati (es. Slovenia e Croazia pongono la questione della successione solo all’inizio degli anni 90, perché prima non c’era spazio per aprire contenziosi).- Regola (politica e giuridica) della intangibilità dei confini e delle sfere d’influenza, non come risultato di una maturazione culturale ma come conseguenza del rischio dell’escalation (v. non intervento a favore degli insorti ungheresi nel 56, o di un ipotetico scontro tra sloveni e croati prima del 90).• Unipolare: osservazioni che derivano dalla comprensione teorica e dalla breve esperienza storica (15-18 anni di unipolarismo). Il paese più forte, e i suoi alleati più stretti, non ha forze controbilancianti sul terreno militare (v. bilancio per la difesa degli usa pari al 50% di tutta la spesa degli altrip paesi, più dei 14 paesi che li seguono nella gerarchia del potere militare, destitano alla ricerca militare piu di quanto fanno tutti gli altri paesi niente di simile nella storia delle relazioni inte moderne). Questo significa (lezione di bush) che l’uso della forza da parte dell’unica potenza non solo è praticabil, ma è parsimonioso: appare come il mezzo piu parsimonioso per ottenere i mutamenti voluti. Adll’89 ad oggi gli usa hanno ricorso lala forza una volta ogni 2 anni, il che non è soprprendente perché non ci sono altre grandi potnze in grado di sanzionare i paesi più forti (che si può fare o controbilanciando direttamente, o innescando l’effetto equo –tu combatti li io combatto qui). La guerra torna simile a quel che era nel sist mult: qualcosa di praticabile (panama, iraq, somalia 93, bosnia 94, bombardamento afgh e sudan del 96, iugos 99, afg 2001 e iraq 2003). La guerra limitata torna ad essere possibile, cambiando tuttavia in modo radicale la propria forma. La forma della guerra riflette il carattere ineguale del sistema: basta guardare alla distribuzione delle vittime, per capire in controluce cosa significa l’unipolarismo. V. differenza con la guerra in europa: la distribuzione on è mai uguale (c’è chi perde) ma neanche mai così disuguale, così abissale. - Altro elemento che rispeto al passato facilita l’uso della forza (il sist unip è altismamente bellicoso) è che viene meno quello che ha sempre costituito nella storia della guerra il problema centrale che trattiene i governi dalla decisione di ricorrere alla forza: il rischio della sconfitta. Klausevitz: guerra come azzardo, perché quando si decide di giocare non si sa se si vince o si perde, si sa così poco che è tra le attività umane quella somiglia di piu a un gioco d’azzardo, ed è il principale elemento di cautela che entra in gioco. In un sist unipol, questo azzardo, questo timare della sconfitta, viene totalmente meno. Il contenuto dei dibattiti che i paesi piu forti (superpot o alleati) aprono prima di decidere se ricorrere all’uso della forza: la domanda classica è “vincerò o perderò?”, oggi è un’altra “quanto costosa sarà la mia vittoria?”. (v. scontro con saddam nel 91: la domanda che sconvolgeva era quella sul costo, in termini di vittime, della guerra; v. anche 99 guerra alla iugoslavia per ingerenza umanitaria in Kosovo: si decise per ingerenza, perché il principio umanitario era buono, ma non iniziativa militare di terra, perché non costasse troppo; israele oggi: deve fare la guerra per soddisfare l’opinione pubblica e vincere le elezioni, ma questo avverrà solo se il costo non sarà troppo elevato ed è prorpio questo l’obiettivo di hamas –non vincere,ma rendere costosa la sconfitta-).

La diseguaglianza.Significa quella soglia che in tutti i contesti int separa il piccolo gruppo delle grandi potenze, degli attori essenziali, da tutti gli altri. È chiaro in tuti i contesti int che tutti gli attori no npesano allo steso modo (v. risparmio cognitivo). Come cambia il rapporto ta n stati nel complesso e n. stati che contano? Come si sposta la soglia di accesso al gioco principale?

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• Multipolarismo: anche qui i gruppo delle grandi potenze resta relativamente pivcocolo (poli nt sempre oligopolistica). Non solo, è chiaro a tutti quale sia questo numero: esiste una gerarchia del potere e del prestigio che è sostanzialmente evidente (es. belgio inconfondibile con francia nell’800). C’è una soglia di accesso alta. Senonchè la soglia, per quanto alta, si può raggiungere e superare (es. entrata tra 1860-70 di 2 nuove: germania e italia –generosamente riconosciuta-, e riuscì a entrambe di superare la soglia) perché giocavano sulla competizione tra le grandi potenze esistenti.• Bipolare: apparve chiarissimo che la soglia di accesso al rango di grande potenza si alza bruscamente (v. solo le parole usate al tempo erano rappresentative della presenza di un salto, v. “superpotenze” anziché grandi potenze: eistenza di un ulteriore discrimine tra potenze diverse), - poi ulteriormente elevata dall’avvento delle armi nucleari. - Altra ragione: urss e usa sono in conflitto su tutto, sul “governo del sistema” ma hanno almeno un elemento di accordo: obiettivo di evitare comunque l’irruzione di un terzo. La collusione si espresse in un regime internazionale di non proliferazione elle armi di distruzione di massa. Era un accordo collusivo tra le superpot, che richiedeva la loro vigilanza comune. Questo sistema oggi è in crisi perhcè c’è solo una potenza, che non può chiaramente vigilare da sola.- Ultima conseguenza di questo gioco delle disuguaglianze (anche una delle ragioni della crisi di coesione ue): lo strapotere tra le 2 potenze è tale che tutte le altre differzne di potere finisono per no ncontare più nulla (v. differenze di potere tra stati europei). Oggi le differenze di potere contano molto di più, e la ue è in crisi non solo perhcè si è allargata, ma perché le relazioni tra i paesi fondatori sono acmbiate, prima beneficiavano dell’assenza di diff di potere e ora ne soffrono.• Unipolare: la soglia di ccesso al rango si alza ancora (ius consapevoli e periodicamente orgogliosi): non c’è nessuno che possa minimamente avvicinasi al loro potere, da qui ad almno 30 nni (consapevolezza consolidata). La cina si sta sforzando, ma se le va bene ci arriverà tra 30 anni.- Questo comporta la sicurezza di non poter essere raggiunti, ma dall’altro lato produce un paradosso (di cui si son nutrite tutte le sfide al potere americano delgi ultimi 30 anni): dopo l’esperienza catastrofica di saddam (che tenta di opporre alllo strapotere usa il suo potere tradizionale, principale arsenale della regone mediorientale, e che viene spazzato vi in un mese al costo irrisorio di 300 perdite di uci 150 per fuocp amico). I competitori degli us hanno imparato a non rincorrere gli usa cercando di colmare lo svantaggio, ma a portare la competizione dove lo strapotere è inutilizzabile (v. oggi competizione schizofrenica: usa la portano a livelli tecnologici semrpe piu alti, gli altri smepre pu bassi, es. terrorismo suicida).

Le allenze• Prodotto del carattere anarchico del sistema internaz, per questo è un grnde elemento di continuità (e che a maggior ragione varia molto).• Vantaggi e svantaggi commisurat quando si stringe o si decide di continuare allenza: - vantaggio = aumento della propria sicurezza. Vale a maggior ragione per i paesi che no possono provvedere da se alla sicuezza di cui hano bisogno (v. italia.). - svantaggio= perdere parte della propria libertà di azione, vincolarsi, in diversa misura a volte olto alta.

Quando si decise s come per quanto allearsei questi due elemnti vanno continuamente commisurati.

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• Alleanza = (tra le tante def, è la piu semplice, proposta da Arnold Walkers) promessa di mutua assistenza militare. Tutti termni della def forniscono informazioni importnati.- Promessa esplicita: non siamo alleati quando forniamo o riceviamo assistenza, ma quando la promettiamo esplicitamente (non c’è intuizione ma patto). Nella natura stessa delle allenze c’è un sottinteso temporale rivolto al futuro. Elemento centrale è la credibilità (es. questo dubbio ha prodotto quansi tutte le tensioni delgi ultimi anni nell’alleana atlantica; v. dissociazione di De Gaulle, che rimporovera piu di tutto proprio la credibilità degli usa: quando urss lanciò lo sputnik gli auropei cominciarno a dubitare della promessa americana –ci difenderanno anche a costo di pregiudicare la propria incolumità?-).- Militarità dell’assistena: distingue le alleanze ad tutte le altre forme di cooperazioni internazionali (le allenze hanno a che far con la possibilità della guerra). Esse sono state travolte dalla corrente eufemistica di fine 900: oggi taccionp sulla natura militare, si definiscono sistemi pacifici, ma no nhanno senso se non in senso militare. Questo è un elemento che da forza sta diventando debolezza dell’alleanza atlantica: ha deciso dopo la gf di trasformarsi totalmente in un sistema di sicurezza collettivo, come grande paniere europeo cui prima o poi saranno ammessi tutti; questa promessa è stata presa sul serio dalle opinioni pubbliche –soprattutto dai paesi dell’est-, e così abbiamo visto l’allargamento, non certo come sistema di sicurezza collettivo ma come alleanza, che non sarà mai aperta a tutti –cfr. all’urss-. Questa differenza d percezioni crea problemi (lo vedremo piu avanti).

Vediamo gli elementi fondamentali dei passaggi tra diversi sistemi:• Numero dei membri:- Sistemi multipolari: proprio per la continua coesistenza di diversi tavoli, le grandi potenze possono creare alleanze flessibili, diverse a seconda del tavolo su cui stanno giocando. Grado molto elevato di creatività (es. sistema bismarkiano, con una rete di alleanze a geometria variabile, con attori diversi interessati a cose diverse).- Sistemi bipolari: estrema semplificazione; questi sistemi tendono a produrre 2 grandi sistemi di alleanze (es. esperienza del bipolarismo della seconda metà del 900: Patto Atlantico vs. patto di Varsavia + altre alleanze collegate a queste, anche se non altrettanto coese, che ruotano attorno ai 2 poli principali).- Sistema unipolare: possiamo dire meno, ma una cosa è la tendenza da parte di tutti gli attori medi e piccoli a saltare sul carro del più forte. Gli usa esprimono questa capacità di attrazione in termini culturali, in realtà i termini sono di potere (significa ottenere vantaggi nei rispettivi conflitti; es. chi ha vinto i conflitti balcanici è chi per primo è riuscito ad allearsi; momenti unipolari importanti: coalizione definita per la prima volta come comunità internazionale 1971 contro saddam, coalizzarono un numero di attori senza precedenti, tutti fecero in modo di partecipare, anche mandando contingenti simbolici, anche paesi marginali –africa, mujaheddin afghani che ancora combattevano in afghanistan- compresero che il sistema int comportava una sorta di prestazione comune all’egemone; altra è l’alleanza globale contro il terrorismo: gli usa dopo il 2001 chiamarono intorno a se tutta la comunità internaz, e anche qui tutti gli attori percepirono la necessità per mostrare solidarietà, non pagare i costi dell’abbandono, avere opportunità di regolare i conti contro i propri vicini –es. india in kashmir, israele per palestina ecco perché la guerra con la palestina oggi è percepibile come guerra la terrore, russia per ceceni ecco perché allora non ci furono denunce-).• Grado di flessibilità delle alleanze:- Sistemi multipolari (che dal pdv storico è la norma): le alleanze sono normalmente “ad hoc” costruite in vista di un obiettivo, e con l’accordo spesso esplicito che si sciolgano una volta raggiunto l’obiettivo (sono dichiaratamente dei matrimoni

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d’interesse). Le alleanze in altre parole sono strutturalmente flessibili (si fanno e si disfano continuamente). Questo conferisce anche il problema centrale: questione parallela alle alleanze è il rovesciamento delle alleanze. Il rischio di rottura, perché si decide di fare diversamente, fa si che la pol delle alleanze sia dominata dalla commisurazione tra 2 rischi: intrappolamento e abbandono. Per evitare il rischio di essere abbandonati, dimostrando di essere un buon alleato, si ha l’incentivo a seguire l’alleato nei suoi conflitti e nelle sue difficoltà per risultare fedeli. Il rischio è però finire intrappolati in conflitti che non interessano solo per salvare l’alleato. Per ridurre questo rischio si può adottare una politica di prudenza nei confronti dell’alleato, però si aumenta il rischio dell’abbandono, l’alleato può dubitare di noi e farcela pagare nel prossimo conflitto (es. Negli ultimi anni si è rimproverata all’amm bush una cosa legittima: bush si pone contro la nato, affermando che le alleanze devono essere “coalizioni di volenterosi”, “è la missione che detta la coalizione, e o viceversa” –rumsfield-. Questa posizione, dichiarata indecorosa dagli altri, è in realtà un ritorno alla normalità della politica internazionale).- Sistemi bipolari: cambiamento drastico. Non c’è possibilità di rovesciare l’allenza, non c’è alcun grado di flessibilità, raramente si è liberi di scegliere se entrare o no, una volta dentro non si può uscire per entrare nell’altra, anzi non si può uscire affatto (es. occasione finale dell’intervento sovietico in ungheria, quando uscì dal patto di varsavia). Non a caso le alleanza vennero rinominate: il passaggio da grande potenza a superpotenza è parallelo al passaggio da alleanza a blocco (esprime la totale chiusura di qualunque margine di flessibilità). Paradosso: data le rigidità degli schieramenti, da contrappunto c’è una crescente flessibilità di strategie; non c’è il rischio di essere abbandonati, e questo comporta che gli alleati hanno avto margini di libertà inimmaginabili nella scelta delle loro plitiche (es. 56 crisi di suez: gb e fr sanno che gli usa non sono d’accordo con la loro politica verso l’egitto di nasser, e sanno che attaccandolo avranno l’opposizione usa; malgrado ciò lo attaccano, perché sperano di giocare con gli usa una politica di “gioco compiuto”. Ma gli usa intervengono insieme all’urss dicendo a fr e gb di ritirarsi, umiliando pubblicamente i propri alleati. Queste 2 cose nei sistemi multipolari avrebbero significato la fine dell’alleanza; qui invece si da per scontato che qualunque cosa accada l’alleanza resterà in piedi, perché gli alleati non hanno alternative). C’è grande azzardo ma anche il rischio dell’intrappolamento (es. de gaulle sulla crisi di cuba 62: gli usa sono stati liberi di decidere, noi eropei non abbiamo avuto parola. Ma se la crisi fosse andata diversamente, sarebbe stata l’europa a subire la guerra nucleare: si sarebbe stati intrappolati).- Sistemi unipolari: si rivela anche qui una condizione paradossale, ibrida. Esiste un forte incentivo ad allearsi col più forte, ma qui c’è un problema che deriva dalla configurazione stessa del sistema: non c’è più un interesse indubbio, un obbligo, da parte del piu forte a dare ai paesi piccoli e medi quello che chiedono. La promessa non è più credibile, perché non è nell’interesse strategico del piu forte mantenerla (es. nella gf era nell’interesse usa mantenere il “dominio” sull’europa occidentale). Questa è stata la prima volontà dichiarata dall’amm bush: non c’è piu alcuna ragoine di sentirci costrtti ad occuparci di ciò che riguarda gli europei. • Questo ha un’altra conseguenza (v. oggi in Afghanistan): questo riproduce un grado di flessibilità usa, di diminuire i propri impegni (es. in conseguenza di una crisi economica), e come sempre al crescere della flesiblità dell’alleato aumenta la rigidità delle politiche che si attuano all’interno dell’alleanza: se sappiamo che l’alleat è libero di abbandonarci, dobbiamo fornirgli continuamente prove di fedeltà (es. gioco dell’alleanza oggi: non si possono ritirare i contingenti dall’iraq o dall’afghanistan! Non sono certo li per democratizzare!! Ma per dire “siamo disposti a pagare il prezzo di partecipazione all’alleanza).• Grado di omogeneità degli interessi: …

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- Sistemi multipolari: gli interessi non sono sempre condivisi, ma qui si possono scambiare (es. ger: interesse fondamentale è l’opposizione all’impero asburgico) ……..- Sistemi bipolari: (es. dialettica ei rapporti tra alleati nei 2 blocchi) gli alleati non condividevano tutti gli interessi, c’erano interessi che ciascun alleato perseguiva per conto propri (es. suez: l’inghilterra e fr doveva mantenere il suo impero coloniale). Qui ciò che viene messo in comune è ciò che tutti gli alleati considerano il piu importante (es. gf: tutti gli alleati concordano sul contenimento dell’urss). L’interesse comune è il piu importante, e questo rende piu facile sacrificare gli interessi secondari. - Sistemi unipolari: cambiamento molto significativo, perché bisogna essere accorti verso le promesse, che fa si che l’alleanza atlantica non sia affatto la stessa di sempre (come dicono tutti i governi membri). V. formula di apertura dei vertici nato: riconoscimento del principio costitutivo dell’alleanza “la sicurezza è indivisibile, quella di uno è la sicurezza di tutti gli altri”; le cose erano effettivamente così; ma nel contesto unipolare gli alleati si scambiano interessi diversi. Quello che oggi gli alleati chiedono agli usa è una massa di interessi diversi (es. partecipazione alla guerra del golfo del 61: non per propri interessi, ma per avere in cambio qualcosa di diverso dagli usa, ognuno una cosa diversa). Il venagli di richieste rivolte agli usa si va costantemente ampliando, e questo è un problema enorme per gli usa, perché devono soddisfare alleati che chiedono cose diverse e speso in contraddizione (es. arabia saudita vs. israele, pakistan vs. india, serbia vs. croazia, ecc…). per reazione gli usa lanciano continuamente iniziative diplomatiche (es. pakistan, negoziato di pace in medi oriente oggi), perché hanno interesse di comporre questi conflitti, perché è l’unico modo per non dover soddisfare richieste contraddittorie.• Struttura organizzativa delle alleanze (le alleanze sono diverse quanto a grado di istituzionalizzazione):- Sistema multipolare: alleanze flessibili, tendenti a sciogliersi a scopo raggiunto. Ecco perché sono fino in fondo “promesse”: non hanno alcuna struttura organizzativa. È questa la condizione normale delle alleanze. Noi siamo abituati all’alleanza atlantica, che è in realtà molto atipica come alleanza, perché è permanente, ha burocrazia, ecc. (es. alleanze durante la 2 gm: non esistevano comandi integrati, e questo ha pesato sulle vicende militari: gli alleati non dovevano consultare gli altri prima di agire –iniziativa italiana nei balcani-).• Altra caratteristica strutturale è che, oltre che le leggere, le alleanze sono anche eguali: le potenze alleate hanno potenza simile.- Sistema bipolare: (es. l’alleanza atlantica non è tra eguali, nonostante la formulazione –da il diritto di veto a chiunque-) tra gli attori alleati c’è una inequivocabile ineguaglianza: i soggetti non possono promettersi alleanza militare reciproca (es. l’europa non puo promettere a usa di proteggerli!), è un patto di garanzia (gli usa si assumono l’onere della sicurezza europea). È un’alleanza costitutivamente ineguale, in cui i membri si scambiano una promessa non di mutua assistenza ma di protezione contro ubbidienza (limitazione di sovranità).• Non solo: le alleanze sono istituzionalmente tutt’altro che leggere, fragili: sono altissimamente istituzionalizzate. (es. patto atlantico non come alleanza ad hoc, che aveva l’accordo implicito dell’autoscioglimento, a si presenta come alleanza permanente; per questo si trasforma nel giro di un anno da promessa in macchina organizzativa –NATO-; è a questa trasformazione che si oppone De gaulle).- Sistema unipolare: mischia caratteri degli altri 2. dal bipolarismo mutua il carattere di ineguaglianza (un paese è nettamente piu forte, solo uno ha la possibilità di proteggere gli altri e non viceversa; es. subito dopo l’attacco 9-11 la nato offrì assistenza agli usa secondo articolo 5 –l’attacco a uno obbliga tutti gli altri alla difesa comune- e gli usa risposero “non ci interessa non prendiamoci in giro”. Lo fecero come manifestazione di

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autonomia). Dal multipolarismo mutua il grado di flessibilità delle alleanze: alleanza atlantica non più come blocco permanente; anche se gli usa hanno deciso di tenerla, l’hanno svuotata dall’interno; ora è un paniere organizzativo da cui trarre volta per volta gli alleati che servono, paniere multilaterale da cui trarre alleanze unilaterali.

28 gen. 09

LA DIMENSIONE TEMPORALE

Cosa occorre guardare per cogliere le caratteristiche (e dunque le differenze) dei sistemi internazionali? Finora abbiamo guardato alla dimensione del potere, al criterio della sua distribuzione, che è fondante del concetto di sistema internazionale.

Nelle ultime lezioni abbiamo visto come la distribuzione del potere influisce sullo svolgimento della politica internazionale nei vari contesti storici.Tuttavia la distribuzione del potere non è tutto, vanno considerate altre dimensioni.

Quella che cominceremo a considerare oggi è la dimensione temporale. L’espressione “sistema post-bipolare” dice pochissimo, ma porta il segno di una distinzione storica. La dimensione temporale, per noi che dobbiamo comprendere prima di tutto il nostro contesto storico, non può non contare.• Waltz: nel suo libro questa dimensione è assente, e lui lo dice: “se voi cercate una teoria che tenga conto del mutamento dovete cercarla da un’altra parte”; fa un’analisi essenzialmente statica.• Questa riflessione ci consente di dire in che cosa un sistema internazionale di un tipo è diverso da un sistema internazionale di un altro tipo (comparazione statica di sistemi internazionali), ma non come si passa da uno all’altro, come avviene la transizione.• I sistemi internazionali di cui abbiamo parlato finora operano in un totale vuoto storico; per di più, adottando come unico criterio la distribuzione del potere, non siamo in grado di dire come si è formato storicamente un determinato sistema. • Vista oggi, questa scelta può sembrare assurda: sviluppare una teoria delle relazioni internazionali che non comprende il tema del mutamento. Questo tema entra a partire dagli anni ’70. Come si spiega? Relazionando contesto storico con elaborazione teorica: in quel contesto storico (guerra fredda) il mutamento appariva impensabile. Quando scriveva Waltz (79) l’idea che il sistema bipolare potesse venire meno era impensabile, perché l’unico modo in cui poteva avvenire era una guerra nucleare tra le due superpotenze (fine del bipolarismo avrebbe coinciso con la fine del sistema internazionale, o peggio con la fine dell’umanità).• Noi viviamo nella condizione opposta: sappiamo molto poco dell’attuale contesto internazionale (nonostante tutti i criteri: potere tempo spazio cultura), ma quello che sappiamo è che è proprio un sistema internazionale di mutamento (opposto al bipolarismo: binomio escalation-immutabilità). Nel dibattito degli ultimi 15 anni il termine più usato è forse “transizione”: espressione che mette al centro della nostra comprensione della realtà attuale il tempo, il mutamento.• Per questa ragione introdurremo come primo elemento, dopo il potere, la dimensione temporale.

Primo aspetto: il tema del mutamento

Il tempo si presenta prima di tutto sul terreno politico in forma di mutamento.

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Nell’ambito della teoria contemporanea delle relazioni internazionali (per quanto riguarda il mainstream americano) c’è assenza di questo tema fino agli anni 70, dopodiché si inizia. Perché gli americani si accorgono della rilevanza di questo tema nella stessa epoca in cui si pone il problema delle istituzioni, cioè quando gli usa sono investiti dall’ossessione del loro declino.

Le teorie del mutamento nascono e si sviluppano negli usa come un tentativo di razionalizzare questa paura. L’America è in declino o no se la è, cosa succederà?

• Non è un caso che e teorie che si sviluppano dagli anni 70 si concentrano sul tema dell’ascesa e del declino delle grandi potenze egemoni.- V. testo di Paul Kennedy: pone questo tema guardando alla GB, ma volendo mettere luce su ciò che sta accadendo agli usa.- V. testo di Gillpin: è molto più ricco di altre riflessioni su questo tema a lui contemporanee, perché non si occupa solo di ascesa e declino delle grandi potenze (anche se è il tema centrale), sa che c’è molto di più; è consapevole che questo è solo un tipo di mutamento internazionale, ma ce ne sono altri. Ha un problema teorico-politico: come rallentare (perché evitare è impossibile) il declino? Sa che il problema dell’America ora è questo. Fa la scelta opposta a Waltz: anziché teorizzare nel vuoto storico, guarda al comportamento che hanno avuto le grandi potenze in passato per affrontare il declino. Il riferimento storico è anche qui la GB (al cui declino è succeduta l’America).• Da allora diventa il problema centrale della politica estera americana (v. Nixon, Clinton, G. Bush, lo sarà anche per Obama): come gestire una condizione egemonica che inevitabilmente tende a entrare in declino? Come renderla economicamente sostenibile?- G. Bush, all’inizio della sua carriera, ha l’obiettivo di tagliare gli impegni americani all’estero, essendo più selettivo.- Obama pone la questione in termini diversi: cercare di coinvolgere il più possibile gli altri nei costi dell’egemonia, ridistribuire meglio i costi dell’egemonia.

Nel libro di Gillpin vengono analizzati 3 tipi diversi di mutamento (per natura e per intensità):• 1) più frequente e meno intenso (cosa non casuale) “mutamento di interazione”, che avviene all’interno di uno stesso contesto internazionale senza andare ad intaccare la distribuzione del potere - es. guerre limitate, che non scardinano il sistema ma spostano leggermente gli equilibri, l’ordinamento territoriale (es. Germania 1866 sconfigge l’impero asburgico: la configurazione del sistema multipolare non collassa, ma cambia totalmente la geopolitica dell’Europa centrale, fa salire di molto il potere e il prestigio di un attore –Germania- e diminuire quelli di un altro –impero asburgico-); - es. formazione o crisi di un’alleanza, che può spostare gli equilibri (es. sgretolamento progressivo del sistema bismarkiano; formazione delle 2 alleanze che si sarebbero scontrate nella I gm); - es. nascita o disgregazione degli stati, frequentissima in sistemi multipolari e assente in quelli bipolari (ci sono periodi in cui il tasso di natalità e mortalità di stati è altissimo, altri in cui no);- es. rivoluzione bolscevica del 1917: cambia il modo di pensare la politica (e in particolare quella internazionale).• 2) mutamento che investe direttamente la gerarchia del potere in un sistema internazionale, cambia la struttura del sistema, segnando il passaggio da un tipo a un altro- Es. 1945: dal sistema multipolare centrato sull’Europa e dominato da 5-6 grandi potenze, a sistema bipolare dominato da 2 sole grandi potenze.

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- Es. 89-91: cambio del governo stesso del sistema internazionale, da bipolare a unipolare.

“Mutamenti di questo tipo avvengono quasi sempre tramite la guerra”. La guerra che va a mettere in gioco il governo del sistema (la cui posta in gioco è chi governerà il sistema, in nome di quali principi) non è una guerra normale, è una guerra generale o “per l’egemonia”, chi vince prende tutto. Guerre di questo tipo sono l’equivalente internazionale della rivoluzione; sono guerre costituenti, o guerre “fonte” (Bobbio) dell’ordinamento successivo.

• 3) ancora più intenso, e pertanto ancora meno frequente, merita l’aggettivo epocale (non è la sua definizione, vanno cercate sul libro). Segna il passaggio non dal governo del sistema a un altro, ma da un modello di convivenza internazionale ad un altro; cambia il modo stesso di concepire la politica e la convivenza internazionale.- Es. passaggio da convivenza medievale a moderna: cambia la natura degli attori (da entità varie a stati), la loro convivenza (confini).

“Una volta ogni tanti secoli può avvenire anche questo”: lo dice perché capisce che occorre chiedersi se un mutamento di questo tipo in qualche misura non i riguardi: la parabola discendente che stiamo vivendo riguarda solo l’egemonia americana, o tutte le categorie politico-giuridiche della modernità? “Post-moderno” infatti significa post-statuale!

Perché ci interessa questa tripartizione? questo tema?• I contesti internazionali sono diversi tra loro non solo per come il potere è staticamente distribuito, ma anche a seconda che la distribuzione sia costante o entri in discussione (alcune potenze entrano in declino, altre crescon; questo ha reso instabile il sistema di fine 800: sia all’inizio che alla fine c’è multipolarismo, ma alla fine sono chiari i segni di sgretolamento, perhcè ci sono paesi in decliono –GB- e altri che stanno crescendo _ger, usa, giapp-: il numero degli attori non è mutato, ma il tipo di distribuzione del potere tra di loro comincia a entrare in una fase di sgretolamento).

Così risolve Gillpin il problema della stabilità: il dibattito teorico finora ha sbagliato a porsi il problema in termini di comparazione statica tra sistemi (sono più stabili questi o quelli?); in realtà la stabilità muta all’interno dello stesso sistema.

- Es: fine 800 primo 900: esempio storico di grande rilievo.- Guerra del Peloponneso: Gillpin riprende la spiegazione di Tucidide: siamo all’interno di un sistema bipolare, ma la guerra non deriva dalla struttura del sistema ma del fatto che il polo più potente (Sparta) vede che Atene sta crescendo , e attacca (sorta di guerra preventiva). È in gioco la relazione di potere tra i 2 attori principali. Avviene una redistribuzione del potere tutta interna alla configurazione strutturale del sistema, che induce una delle due parti a far saltare la solidità del sistema.- Fine anni 80: si stava materializzando una situazione di questo tipo: ascesa di Gorbaciov, appare evidente che urss è in declino irreversibile. Il sistema bipolare entra in una fase di massima instabilità: si diffonde il timore di come reagirà l’urss (accetterà la sconfitta o reagirà alla redistribuzione del potere che la vede perdente con una rimilitarizzazione della politica estera). Il merito di Gorbaciov è stato riconoscere che la partita era finita, e non reagire. • Altra ragione è il fatto che i 3 tipi di mutamento convivono continuamente nel nostro attuale contesto storico (contesto successivo alla frattura del triennio 89-91), per questo lo si chiama “contesto di transizione”.- Contesto di continui e quasi incontrollabili mutamenti di interazione (anche oggi ci aspettiamo un aumento di essi). Una successione di guerre piccole per intensità (= numero delle vittime militari e civili). Nel bipolarismo le guerre erano periferiche ,negli ultimi 15 anni gli attori maggiori hanno riacquistato consuetudine all’uso della forza

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(mutamento di interazione molto profondo, che riguarda anche la sfera delle culture politiche). Questi mutamenti hanno cambiato i rapporti tra stati ma anche la struttura geopolitica dell’Europa.• Es. una delle correnti di mutamento più continue è il cambiamento degli allineamenti internazionali. Siamo vittima di un fraintendimento dell’amministrazione Bush: non è una politica di isolamento americano, anzi hanno costruito una rete infinita di alleanze bilaterali in tutto il mondo (non più blocchi, ma non è che va da solo!): reticolato di alleanze speciali in tutte le regioni del sistema internazionale (es. india oggi è al centro di tutti i tentativi diplomatici e strategici dei maggiori paesi; Bush è riuscito nel riavvicinamento, ed è forse uno dei maggiori successi della sua politica; anche Urss e Cina la corteggiano; alleanza strategica tra Turchia e Israele nel 96).• Es. guerre fallite (es. Iraq, Afghanistan)• Es. cambiamento del regime politico interno di diversi attori, che ha portato a cambiamenti di politica estera.• Es. nascita continua di nuovi stati, e rischio di collasso di sempre nuovi stati. Pochi temi hanno avuta attenzione come i “failing states” (stati al collasso), perché comporta un vuoto politico per gli stati vicini.- Il nostro contesto vive le conseguenze del mutamento di governo del sistema internazionale. Per noi europei è il sistema “dopo guerra fredda”, ma questa espressione fa perdere rilevanza a questo termine: siamo in un contesto di dopoguerra! E questa natura pesa enormemente sulle questioni di oggi, che sono le questioni tipiche di qualunque dopoguerra.• Es. necessità di ripensare da zero le proprie relazioni reciproche: l’urss dava un ordine, per quanto indecente, e quando è venuto meno le relazioni tra gli attori hanno dovuto essere ripensate (è questa la ragione dell’allargamento!).- Sarebbe ingenuo dire che l’architettura statuale moderna sia venuta meno, ma non ci sono dubbi hce nell’attuale contesto internaz ci sono pezzi di ordinamento politico e giuridico estranei all’architettura moderna (è già entrata in tensione).• Es. tensione permanente: apre spazi di incoerenza nel sistema internazionale, e dunque spazi di opportunismo (le incoerenze tra norme vengono usate facilmente in modo strumentale). Conflitto permanente degli ultimi anni tra sovranità e ingerenza (l’idea westfaliana di stato nasce da bisogno di limitare le guerre civili di religione, ma oggi questa motivazione non appare più sufficiente e occorre considerare principi, norme, aspettative in disaccordo radicale tra di loro –v. tema del precedente: il Kosovo è un precedente usabile per giustificare la Georgia? Gli altri stati rispondono di no, che era un’eccezione) spazio per tensioni e spaccature radicali nella comunità internazionale; si è spaccata perché non condivide i principi costitutivi della politica internazionale.

(2 feb. 09)

Domande:• Sistema unipolare è strutturalmente debole, è per varie ragioni, tra cui la più importante è il costo elevato (v. discorso della “trappola dell’egemone”: si impegna in questioni che non lo riguardano come garante del’ordine, senza aiuti rilevanti).• Nei rapporti con gli stati le democrazie non sono affatto più pacifiche, non è vero che non fanno le guerre né che sono meno propense a iniziarle (sono al primo posto tra paesi iniziatori di guerre negli ultimi 150 anni).- Dalle democrazie ci si aspetta piuttosto che non si facciano le guerre tra di loro (propensione relativa alla pace).

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- Nei confronti degli altri tipi di stati sono invece molto propensi alla guerra, (v. espressione stato canaglia), es. iran: dal 79 in poi le guerre sono state solo subite! (dall’iraq col sostegno di tutti i principali paesi); l’iran è l’unico che ha subito l’uso continuo di armi di distruzione di massa.

Secondo aspetto: Le origini dei sistemi internazionali

Aspetto totalmente trascurato nella politica internazionale attuale: proprio perché c’è mutamento, i sistemi internazionali hanno diverse origini.

Indipendentemente da come un sistema internazionale è costruito, esso è il prodotto di un processo storico particolare. Due sistemi bipolari, per Waltz identici, possono in realtà funzionare molto diversamente se si son formati in modo divero. Dobbiamo guardare alla genealogia non per un puro interesse storico, ma perché il processo storico continua a pesare sul loro funzionamento.• Questo è a maggior ragione rilevante perché pensando al contesto storico attuale vediamo come questo è il prodotto estremamente recente di una seria di processi. In Europa è il prodotto della catastrofe geopolitica della fine della Guerra Fredda. • Altra ragione è che la teoria contemporanea delle relazioni internazionali è uno degli ultimi monumenti all’”occidente centrismo” delle relazioni internazionali, perché è il prodotto di studiosi occidentali per il 90%. Questa matrice euro americana fa si che abbiamo una visione distorta dell’attuale contesto internazionale: il contesto regionale dell’Europa occidentale e dell’America del nord non somigliano affatto a tutti gli altri sistemi regionali, ma sono eccezionali. Ragioni di eccezionalità sono varie, ma ci concentreremo sulle origini.

La nostra regione è il prodotto storico di vicende molto diverse da quelle avvenute negli altri paesi. L’assetto attuale dell’Europa no dimostra una maggiore “intelligenza” (siamo democratici e non bellicosi) ma riflette una conformazione storica totalmente anomala (non siamo il modello! Al contrario siamo l’anomalia). Almeno 3 aspetti di anomalia:• La prossimità o lontananza dell’origine.

Il sistema interstatale europeo ha circa 400 anni (sistema westfaliano), che non sono pochi se confrontati con la vicinanza dalle origini degli altri sistemi regionali.Sistema interstatale americano: ha 200 anni circa (dalla dichiarazione di indipendenza).Al di fuori di questi 2 casi tutti gli altri sistemi interstatali si sono formati negli ultimi 50-70 anni (es. Caucaso: relazioni tra Russia Georgia Armenia Azerbaigian: questi paesi hanno 15 anni di vita, non si può paragonare a uno di 400 anni nel considerarne la bellicosità).

- Dall’interno del’unione europea vediamo il 900 come un periodo di integrazione internazionale (perché così è stato in Europa); in realtà la storia del 900 è stata l’esatto opposto di questo: serie continua di ondate di disgregazione territoriale (è il secolo della disgregazione).- Sistemi interstatali di recente formazione sono insiemi di stati di recente formazione, quindi instabili per definizione. I meccanismi identitari non possono essere innescati senza conflitto: il sistema interstatale recente è un conglomerato di stati problematici, sono “quasi stati” (sovranità giuridica ma non empirica).

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- Ci siamo abituati a considerare che certi stati esistono (Francia, GB, Spagna, ecc.), e continueranno ad esserci (aspettativa fortissima) e altri non esistono e pertanto non esisteranno mai (es. Bretagna al posto della Francia?).- I sistemi di recente costituzione non consentono queste aspettative>: il tasso di natalità e mortalità degli stati è altissimo (es. Kosovo tra 10 anni: non sappiamo cosa sarà, anche oggi è stato riconosciuto da pochissimi stati; lo immaginiamo indipendente o come protettorato internazionale permanente?; es. Palestina: non sappiamo se esisterà uno stato palestinese o no non sappiamo chi saranno gli attori).• Il grado di autonomia dell’origine.- La carta geografica dell’Europa occidentale e centrale, non immaginiamo che sia così per via di ineluttabili confini naturali (gli stati che esistono dovevano esistere), ma per un gioco arbitrario e casuale (fatto di guerre, matrimoni, alleanze) che è stato giocato in Europa da attori europei. È dunque un prodotto casuale ma autonomo.- Al di fuori dell’europa, la seconda cosa che cambia è che questri sistemi regionali sono anch’essi casuali, ma se sono così non è stato per un gioco autonomo di giocatori locali, ma per il continuo intervento di giocatori regionali: origini connotate da un grado più o meno alto (generalmente altissimo) di eteronomia (es. Balcani: prodotto di una serie di conferenze internazionali in cui gli attori locali non hanno praticamente avito voce). Le linee geografiche sono dettate dall’esterno, spesso ricalcano i confini dei vecchi imperi coloniali. Questo fatto allunga su tutte le determinazioni di questi sistemi un’accusa di illegittimità: ciò che è dettato dall’esterno viene avvertito o rifiutato come illegittimo proprio perché esogeno (es. guerra del golfo ’91: nel 90 Saddam decide di invadere il Qwait, anzi di cancellarlo; le ragioni sono tante, tra cui l’evocazione di una questione di legittimità: “il qwait non esiste perché da 200 anni è stato difeso da flotte inglesi e americane, è un prodotto coloniale; la guerra condotta nel ’91 dagli usa col sostegno dell’onu aveva lo scopo di ristabilire il principio di intangibilità dei confini, ma dall’altro lato confermava l’accusa di saddam: il confine del qwait poteva stare in piedi solo in virtù di un costante intervento militare esterno. Es. continuo rifiuto da parte di Hamas, dell’Iran e di diversi altri attori di riconoscere lo stato di Israele: Ahmadinejad e Bin Laden, 2 personaggi così diversi, dicono che non ha diritto di esistere perché è un prodotto del mandato inglese, un prodotto coloniale, ha tanto diritto di esistere quanto ne aveva la Rhodesia: qui i carattere esogeno delle origini acquisisce un peso rilevante). I conflitti che hanno a che fare con il diritto di esistere sono devastanti, ma dobbiamo capire che sistemi internazionali di questo tipo producono conflitti di legittimità di questo tipo.• Il modo in cui si è andato formando il sistema interstatale.- Traiettoria storica dell’Europa occidentale: a metà 600 (westfalia) gli attori politici europei (dotati di sovranità) erano circa 600, molti molto piccoli. Ora abbiamo un numero ristretto di stati rilevanti (4-5) Il modo di formazione è un processo di progressiva concentrazione dello spazio e del potere. Questo significa anche che è stato una storia di successi (i sopravvissuti, politiche di accorpamento territoriale riuscite). Macchiavelli notava questo, criticando l’Italia che è arrivata in ritardo con l’unificazione.- Tutte le altre regioni si sono formate nel modo opposto: balcani, medio oriente ecc sono il prodotto di fallimenti di grandi sintesi territoriali, prodotto di disgregazioni anziché di sintesi La storia del 900 è la storia di formazione di sistemi interstatali, i quali si sono formati dalla disgregazione di imperi (se vogliamo strappare la storia del 900 alla retorica eurocentrica). Ondate di disgregazione:• V. balcanizzazione: nascono stati sulle rovine di un impero• Dopo la I gm (e la disgregazione è uno dei risultati comuni delle guerre del 900! Non il contrario, non hanno creato modelli di integrazione) collassano gli imperi centrali (asburgico, zarista, germanico, ottomano) e nascono nuovi sistemi interstatali.

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• Dopo II gm c’è a decolonizzazione, con cui nascono tutti i sistemi regionali di cui parliamo oggi (v. sistemi regionali africano ecc).• Dopo guerra fredda: nascono 25 nuovi stati e 2 nuovi sistemi regionali (Asia centrale e Caucaso, che hanno 15 anni e sono nati da un fallimento).

Conseguenze del diverso modo di formazione dei sistemi interstatali:• Alcune si desumono dalle relazioni degli ultimi msi tra Europa, federazione ucraina, georgia, ecc.• La prima conseguenza paradossale è che i sistemi sorti recentemente da processi di sintesi imperiale soffrono di un eccesso di interdipendenza. Paradossale perché - dall’interdipendenza ci aspettiamo la pace, mentre qui è un problema.- Questo eccesso di interdipendenza è conseguenza del fatto che questi sistemi vengono dal collasso di imperi o federazioni: qualunque unità politica che voglia stare in piedi produce e poggia sull’interdipendenza (economica, di comunicazione, di trasporti, di simboli –lingue, edifici che si somigliano-, ecc); nel momento in cui l’unità politica si frantuma i segmenti di continuità diventano un problema • v. le reti materiali che restano –ferrovie, autostrade, linee telefoniche-: es. la rete ferroviaria asburgica nasceva dall’intento di collegare le tre principali città dell’impero, e quando questo viene meno i nuovi stati si trovano una rete che li collega a un altro stato ma non li collega internamente; è una sorta di contraddizione interna; es. la stessa cosa avviene per le reti telefoniche: le reti telefoniche africane erano costruite sulla piramide imperiale francese, spesso si doveva “passare” per Parigi; es. questione energetica tra la federazione russa e paesi ex sovietici: tutti questi paesi continua a dipendere dalla federazione russa perché il sistema era stato progettato per l’unione sovietica). • Altre differenze che pesano sono quelle di carattere simbolico: ogni unità politica riflette la propria identità in tutti gli elementi simbolici (edifici pubblici, lingua comune, ecc); questo è perfettamente funzionale all’unità, ma diventa un disastro ne momento i n cui l’insieme viene meno e le parti cercano di costruirsi identità separate. Ciò che avviene è una rinominalizzazione, o al cambio di capitale (perché quello era un centro imperiale riconosciuto e riconoscibile), o al ambio di lingua (es. togliere il cirillico e tornare al proprio alfabeto): cercare di porre un discrimine simbolico che distingua la propria identità da quella degli altri. Quando gli stati cercano di crearsi proprie identità sono intralciati dalle identità precedenti (es. caso intrattabile dell’identità dei paesi arabi: Saddam Hussein: da un lato c’è un’identità comune basata su una serie di memorie e invenzioni –lingua comune, memoria storica in larga parte comune, ecc-, quando viene tradita la promessa inglese si formano tanti stati il cui problema principale è crearsi identità separate –io iracheno come posso distinguermi da un qwaitiano? Io israeliano da un palestinese?-; è qui che nascono grandi conflitti). La risposta elementare sarebbe quella del nazionalismo arabo, che però implica negare la identità dei singoli stati; questo si cerca di farlo ricorrendo al passato preislamico, al proprio percorso storico anche molto indietro nel tempo (es. Egitto riprende il passato faraonico; OLP che parla di nazione palestinese e non più di arabi di palestina).• Il terzo elemento di interdipendenza, che rende difficile a volte impossibile recidere i rapporti con coloro coi quali si è convissuto, sono le popolazioni stesse: la popolazione all’internodi un’unità politica, che lo decida il centro o no, si mischia (si prevede che sia destinata a durare). Nel momento in cui l’unità politica viene meno avviene la catastrofe (che è stata la grande catastrofe del 900, v. pulizie etniche) perché emerge l’idea di stato e nazione che richiede una perfetta consonanza delle 2 cose. Le minoranze portano con sé precise radici identitarie, e costituiscono una minaccia per i nuovi stati. Le soluzioni adottate sono sempre state catastrofiche; la più pulita è stata forse quella tra Grecia e Turchia alla fine dell’impero ottomano: Grecia e Turchia decisero di

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“scambiarsi” le popolazioni per far corrispondere le idee di stato e nazione. La soluzione più usata è tuttavia quella della pulizia etnica, e del suo esito genocida.

(3 feb. 09)

Domanda: Come si possono definire i limiti di un sistema internazionale regionale?• Per definire i limiti di uno spazio politico ci sono diversi criteri, ma possiamo usare per ora quello proposto da Aron: fanno parte di un sistema internazionale regionale tutti gli attori che sono suscettibili di essere coinvolti in una guerra in quella regione.

Riassunto: abbiamo visto come l’origine dei sistemi internazionali continui a pesare sul loro funzionamento; abbiamo guardato ad alcuni elementi che differenziano le origini di alcuni sistemi; abbiamo visto le conseguenze che pesano in termini di instabilità su sistemi regionali di nuova formazione:• (vista ieri) …• Sistemi internazionali sorti recentemente e da un processo di disgregazione tendono ad innescare un processo di disgregazione senza fine (resta possibile dividere anche l’unità appena sorta). Gli attori che rivendicano indipendenza scoprono che al loro interno ci sono altri stati che vorrebbero la secessione(v. processo a cascata della disgregazione iugoslava, sovietica -v. georgia, Kosovo-). Le minoranze divise in piccoli stati possono scoprire di essere più “minoranze” di quanto non fossero in precedenza, sotto uno stato più ampio (perché nello stato nazionale la pressione del gruppo maggioritario è molto più forte; e perché gruppi che non si sentirebbero forti davanti a uno stato enorme, si sentono forti a mobilitarsi davanti a un soggetto più piccolo: abbassamento della soglia di mobilitazione).• Deficit cronico di legittimità (dietro ai confini si vede ancora la potenza precedente). (è il primo?).• Contestazione dell’esistenza stessa del sistema interstatale come pluralistico: idea che quello spazio debba restare unitario (es. macroscopico: nazionalismo arabo o radicalismo islamico: esso tra le prime cose rifiuta la distinzione in stati dell’Europa orientale, la “casa dell’islam” deve restare unita, v. idea del “califfato” come spazio unitario che riprenda i confini dell’impero ottomano superando gli elementi rimasti dalla dominazione europea, che rende tutti gli stati della regione illegittimi).

LA DIMENSIONE SPAZIALE

Anche questa dimensione è stata molto trascurata, totalmente rmosa anche da Waltz.• Centralità della dimensione del potere nella teoria dei sistemi, nella distinzione tra sistemi diversi nella politica internazionale. Questa teoria dei sistemi, che opera in totale vuoto storico (non concepisce il mutamento), opera anche in un assoluto vuoto geografico (non si sa dov’è il sistema). Non ha senso porsi questo problema perché il concetto di sistema è puramente teorico, non deve quindi riflettere una realtà storica, ma essere impiegato per spiegarla (Waltz: quando si parla di passaggio tra sistema multipolare e unipolare non si dice dove stiano le potenze in questione).

Questa dimensione non può più essere ignorata: • Dopo la Guerra fredda lo spazio geo-politico della massa euroasiatica è stato totalmente sconvolto (rinate vecchie regioni, ecc).

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• Nell’attuale contesto storico, diversamente da quello della guerra fredda, conta enormemente il luogo in cui gli attori sono collocati: si riconosce che essere in un posto o in un altro cambia (es. Italia: quando si interroga su come e dove fare politica estera, il primo criterio impiegato è la localizzazione della propria area di interesse, seconda della provenienza dei propri principali problemi. L’Italia mette al primo posto in questo i paesi di vicinanza geografica –v. presenza continua dell’Italia nei Balcani-. Questo pesa enormemente sulla politica italiana, sulle sue relazioni internazionali, sui suoi partner –altri paesi dell’europa meridionale, Francia e Spagna-).

Ci porremo varie questioni. La prima è sul “posto” che ha avuto la dimensione spaziale nella teoria delle relazioni internazionali.• Lo spazio per lei non c’è nella teoria dei sistemi.• Per un lungo periodo storico però lo spazio è stato messo al centro delle riflessioni sulla politica internazionale. Lo spazio infatti, insieme al potere, è l’argomento centrale della politica internazionale.- La prima interpretazione sui rapporti di potere è quella di Tucidide tra Sparta e Atene. Prima di farlo però egli riprende brevemente la storia greca, e afferma che la storia di tutte le relazioni politiche internazionali è una storia di talassocrazie (di egemonie marittime). - Anche la storia europea moderna è una storia tra potenze marittime e potenze di terra (anche tutt’ora, v. USA come potenza marittima; URSS come potenza continentale).• La polarità terra-mare, centralità della dimensione spaziale, diventa quasi un’ideologia tra fine 800 e inizio 900: diventa una sorta di pseudoscienza o ideologia politica, che è quella tedesca. In quel contesto ci sono buone ragioni per questa “ossessione per lo spazio”: avvengono mutamenti a livello spaziale di grande entità (es. ultima corsa imperialistica all’Africa; vera globalizzazione del sistema internazionale –perché cambia la scala della competizione-).- Si diffondono visioni contrapposte del primato: ci sono studiosi che sostengono la superiorità delle potenze continentali (destinate a vincere perché conquisteranno tutta la massa eurasiatica condannando le potenze marittime a declinare perché non avranno attracchi su tutta la regione) e altri di quelle marittime (quello che conta è il controllo dei mari e degli oceani, perché permette di strangolare le potenze continentali; idea diffusa soprattutto negli USA, e che costituisce ancora oggi il cardine delle politiche di sicurezza USA).- La geopolitica tedesca fa un passo in più: dal’importanza dello spazio finisce per concludere nel senso di un assoluto determinismo spaziale: parla di “vocazioni geopolitiche”: le politiche estere sono dettate dalla collocazione spaziale (idea dello “spazio vitale” come prodotto tipico del determinismo geografico).• Com’è possibile che dopo tanta enfasi la dimensione spaziale sia stata abbandonata nella seconda metà del 900? Diverse ragioni:- Ragione di carattere politico-ideologico: reazione al modo in cui era stata trattata nella prima metà del 900 (es. l’espressione geopolitica tutt’oggi viene utilizzata normalmente in Francia, ma non in Germania).- Ragione che ha a che fare con lo sviluppo tecnologico (in particolare militare): con l’introduzione dell’aviazione, la tradizionale coppia terra-mare sembra perdere significato, relativizzata dalla nuova dimensione aerospaziale.- C’è, nel nostro modo di guardare la politica internazionale in termini di interdipendenza, una indifferenza degli scambi economici alla dimensione spaziale (più l’interdipendenza è di tipo economico, più perde rilevanza la dimensione spaziale).

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- All’epoca della guerra fredda le differenze spaziali contavano davvero molto meno: il conflitto era tra 2 grandi attori e aveva un carattere nucleare: la dimensione spaziale era irrilevante!• Tutte queste ragioni sono venute meno con la fine del sistema internazionale bipolare, e hanno fatto che la dimensione spaziale tornasse ad essere rilevante.

Perché ci interessa la dimensione spaziale? (considereremo alcuni elementi di tensione):• Lo spazio è un luogo di continua manipolazione da parte degli attori (è qualcosa su cui gli attori operano continuamente, producendolo), • ma dall’altro lato è anche un ingombro, un limite, un vincolo (essere in un posto o in un altro è di per se diverso; v. modo di praticare la geopolitica in Francia –tema della manipolazione, spazio come determinato- o in Germania –spazio come determinante per gli attori; la posizione centrale obbliga ad allargarsi-).

Spazio come luogo di manipolazione

Qualunque attore politico produce continuamente il suo spazio (v. sintesi imperiali): produrre uno spazio significa costruire una certa rete di comunicazioni, disseminare lo spazio di simboli tramite cui possa riconoscersi come appartenenti ad un luogo comune, cancellare i passati che devono essere rimossi (v. ricostruzione barocca di Praga da parte dell’impero asburgico), spostare la capitali o le città simbolo (v. Turchia di Ataturk subito dopo l’impero ottomano: ricostruisce un’identità nazionale secolare dimenticando il califfato, spostando la capitale da Istambul ad Ankara).

Una produzione dello spazio continua avviene anche nelle relazioni internazionali: • Ogni contesto internazionale produce le proprie reti di comunicazione e disgiunzione, mettendo insieme dei punti e allontanandone altri (es. sistema europeo: una carta autostradale del 1980 restituisce in filigrana l’Europa della guerra fredda –grandi reti autostradali da una parte, ma non collegate all’altra; poi corridoi trans europei come primo elemento della ricostruzione post guerra fredda, per ricreare la rete di congiunzione; attorno a questi corridoi si sono giocate competizioni perché le reti di congiunzione sono allo stesso tempo di disgiunzione per le zone che non vengono toccate; es. egeo e mar nero e baltico: la comunicazione che non è passata dalla federazione iugoslava è stata costruita un po’ più a est, e ha fatto si che crescesse l’interesse strategico di paesi come Bulgaria e Romania).• In parte costruendo reti, in parte istituzioni, in parte narrazioni comuni, ogni contesto internazionale produce le proprie regioni, spostandone i confini. Le regioni non sono entità fisse.- Es. all’epoca della guerra fredda il continente europeo viveva una condizione di assoluta semplificazione: coesistenza di 2 grandi regioni senza precedenti storici (europa occidentale e europa orientale), chiaramente divise dalla cesura della cortina di ferro. Con la fine della guerra fredda queste regioni sono totalmente scomparse, mentre stimo assistendo alla rinascita di contesti regionali (alcuni preesistenti alcuni nuovi; v. si parla di europa centrale) che ahnno una serie di dinamiche proprie.- Es. il medio oriente attuale è diverso da quello della guerra fredda: i confini che c’erano (finiva prima della Turchia, che voltava le spalle all’oriente per chiudere col passato ottomano) sono saltati (la Turchia è tornata ad essere un attore mediorientale, v. negoziati tra siria e israele). Con la fine del’unione sovietica poi il medio oriente ha perso tutto il confine orientale (si parla di “greater middle east”), con la conseguenza che le questioni sono diventate più sfumate e ambigue.

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• La produzione di regioni è un fatto competitivo: si compete duramente per creare certe regioni piuttosto che altre.- Es. disgregazione della Iugoslavia dopo la guerra fredda: sloveni e croati impiegarono, tra gli altri argomenti (v. ruolo fondamentale dell’aspetto simbolico) c’era quello di andarsene dai balcani, perché volevano rompere con la iugoslavia, perché la loro era una storia di paesi del sud dell’europa centrale e non dei balcani.- Es. cosiddetto regionalismo asiatico: competizione forte da qlc ano tra processi di regionalizzazione puramente asiatici (ASEA costituire istituzione regionale che comprenda gli attori asiatici del pacifico) e processi che insistono sul carattere pacifico della regione(APEC; vogliono includere paesi quali Australia, ecc). questi processi si rifanno a diverse concezioni storiche.- Es. 2 tentativi (uno fallito) di costruzione di regioni:• Tentativo USA di creare un emisfero occidentale, che tutt’ora fa parte dei codici geopolitici della politica americana. Esso è America (Nord e Sud –visto da prospettiva americana), ed è un “Loro” spazio. Era inesistente fino a inizio 800, quando fu inventata e costruita con successo.• Tentativo middle-Europe: è una invenzione prima dell’impero asburgico, poi Germania, poi tra loro in competizione. Questa regione non trova un proprio spazio politico e fallisce.- Es. allargamento dell’UE come processo di costruzione di una regione: ha avuto una serie di passaggi complicati politici economici e culturali. La sfida di oggi è inclusione o esclusione della Turchia (se accetterà costruirà una nuova idea di regione europea).

(4 feb. 09)

Riassunto: ragioni per cui la dimensione spaziale interessa qualsiasi contesto internazionale. Le vediamo attorno a 2 elementi di tensione: spazio come luogo di continua manipolazione da parte degli attori, che producono politicamente lo spazio, e spazio come vincolo (nonostante la globalizzazione).

Spazio come vincolo

Concetto di “vocazione geopolitica” del determinismo geografico: attori con politiche diverse a seconda della posizione. Questo è eccessivo, ma criticare il determinismo geografico dell0epoca (tedesca) non cancella il fatto che la collocazione spaziale ha pesato continua a pesare.

Perché pesava e continua a pesare? Elementi della connessione tra dimensione spaziale e contesto internazionale (o politica estera degli attori, vista dal punto di vista dei singoli):• Coppia insularità-continentalità: (v. USA, GB vs. Germania, Russia): - Insularità:• l’insularità tradizionalmente (soprattutto a fine 800) è stata considerata una condizione che ha avuto effetti anche sul tipo di sviluppo interno, sulla conformazione istituzionale degli stati. Un possibile legame (storicamente fondato) è tra condizione insulare e debolezza, esiguità dello stato (es. GB fino alla prima gm non ha bisogno di un esercito permanente). Non possedere un grande esercito significa non necessitare di un grande apparato fiscale. • Dal punto di vista della politica estera, la conseguenza è che la potenza insulare può decidere se e quanto impegnarsi nella politica internazionale degli altri paesi

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(es. retorica dell’isolamento della GB e dell’isolazionismo USA, come opzioni prettamente insulari –poter non partecipare al gioco sapendo che il gioco li risparmia-).• Ma l’insularità ha anche una condizione: non significa semplicemente “stare fisicamente su un isola”, ma anche essere in grado di controllare il mare che sta attorno all’isola; allora l’insularità diventa un fatto politico (v. enfasi sul sea power come elemento strategico centrale delle politiche estere americane e britanniche; gli USA hanno un problema cronico ad esercitare il controllo territoriale, che tendono a lasciare agli alleati, proprio perché sono preparate a controllare il mare e dei litorali; tutto lascia pensare che la lezione che gli USA trarrà dall’Iraq sarà di evitare imprese di quel tipo perché non sono consone alla loro preparazione). Questo spiega anche l’estrema sensibilità di USA e GB prima alle ingerenze di altre potenze nella questione dei mari (es. flotta tedesca; es. modo degli USA di guardare all’11 sett: trauma maggiore perché è un paese non abituato a invasioni interne). • Insularità giapponese come esempio ideale di trasformazione di una insularità fisica in politica (tramite formazione di una flotta di tipo regionale, mentre quella degli USA aveva come obiettivo il dominio di tutto l’oceano pacifico le 2 politiche erano destinate a scontrarsi).- L’opposto vale per le potenze continentali, sia per quanto riguarda le politiche interne che estere.• Lo sviluppo interno: le grandi potenze continentali europee, che hanno sempre saputo di avere al confine altre potenze minacciose, hanno sempre dovuto dotarsi di eserciti permanenti, e dunque un drenaggio continuo delle risorse fiscali dello stato (v. ancient regime: apparato fiscale invasivo e apparato di polizia sufficientemente forte da farlo rispettare; v. storiografia fine 800: conia l’espressione “stato potenza”: nella nostra condizione siamo condannati a essere sempre pronti alla mobilitazione, “sempre in vedetta” per la Francia; mito 900esco della mobilitazione totale, degli stati come macchine da guerra pronti in ogni momento a mobilitarsi). Uno stato leggere è o appare politicamente insostenibile.• Politica estera: le potenze continentali (v. Germania e Russia) si sono sempre trovate ad avere avversari significativi a tutti i confini (es. Russia di Putin: Nato, India, Cina). La percezione dell’ambiente internazionale è opposta rispetto a quella insulare: incubo dell’accerchiamento (anziché splendido isolamento). Russia e Germania sono grandi potenze, e proprio per questo queste conclusioni valgono a maggior ragione per i paesi più piccoli e deboli: v. testo di Bibò “Miseria dei piccoli stati” sulla percezione Ungherese nel periodo infrabellico (ma anche oggi e anche di altri paesi) di una vulnerabilità assoluta. Per questo l’allargamento della Nato per loro è diversa dalla nostra: come garanzia di sicurezza nel senso originario del termine.• Coppia (ancora più intuitiva) vicinanza-lontananza (v. ieri): la decisione su dove intervenire spesso ricade su paesi vicini.- v. ipersensibilità italiana di ciò che avviene nei Balcani: decisione su come intervenire in Kosovo tra 98 e 99: la Nato trovò un consenso molto difficile, per sfumature di interesse e sensibilità diverse tra i paesi. I più cauti furono non a caso Grecia e Italia: erano interessatissime a ciò che avveniva in Kosovo, ma preoccupassimo del rischio che andasse male, per cui avrebbero subito conseguenze pesantissime, da esempio a livello di immigrazione. La diversa sensibilità deriva dalla diversa percezione geografica.- Politiche comuni della UE: alcuni paesi sono più interessati alle politiche continentali e altri alle politiche mediterranee (l’identità mediterranea si aggiunge a quella europea).- Allargamento della Nato: son entrati quasi tutti. L’allargamento fu in realtà una decisione molto controversa, e la decisione fu presa solo 3-4 anni dopo la fine della guerra. La seconda questione fu a chi allargare: il primo giro di allargamento (97) seguì

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l’opinione della Germania di allargare sono a Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria. Solo dopo i paesi dell’Europa meridionale (Francia e Italia) insistettero perché fosse esteso a Slovenia e Romania (volevano un segnale forte di allargamento anche verso il sud).

Spazio come luogo della guerra e, contemporaneamente, luogo dei diritti

Spazio come luogo della guerra: Le guerre hanno sempre avuto come posta in gioco il controllo dello spazio (non è solo palco ma anche obiettivo del combattimento). • Lo spazio è il luogo del controllo politico, e questo è vero anche oggi, checché ne dica la teoria politica (es. differenza tra strapotere americano vs. potenze del passato: gli USA governano il potere mondiale ma non controllano più dal punto di vista territoriale lo spazio). Sebbene sia continuamente ripetuto che oggi lo spazio conti meno, questo è falso: le guerre continuano a essere combattute per il controllo dello spazio (es. questione palestinese: la dimensione culturale non è l’elemento fondamentale e continuo del conflitto –c’era anche prima di Hamas-, ma è il controllo e la distribuzione della terra –e non del “territorio”! è una definizione politico-giuridico della terra, ma qui la questione non è il territorio ma la terra, nel senso più elementare della parola, come luogo nel quale si vive, di risorse, terreno coltivabile, case, ecc-; es. guerre balcaniche combattute sulle rovine della federazione iugoslava: alla base non c’è una distinzione territoriale, ma una questione più concreta e cioè la distribuzione della terra –allo spostamento del fronte corrispondeva una cessione di beni, case, raccolti, ecc-; es. Kashmir: conflitto tra India e Pakistan su un pezzo di spazio; es. guerra Iran Iraq per la conquista di una provincia). • Se questo è vero, perché lo spazio è così spesso la posta in gioco dei conflitti? La ragione fondamentale è il fatto che lo spazio è il contenitore di beni e risorse non solo materiali di cui diversi attori vogliono appropriarsi (e possono farlo solo espropriando l’altro). - Quali sono queste risorse, cosa contiene lo spazio di cisì rilevante per gli attori? • Materiali: agricole (v. questione palestinese o balcanica), materie prime (v. corsa all’Africa, petrolio in medio oriente –anche se no è vero che spiega tutti i conflitti nel medio oriente-; acqua –lo diventerà sempre più in futuro-, v. caso diplomatico derivante dalla costruzione di dighe da parte di Ataturk).• Strategiche (tipo particolare di risorse materiali): spazi che di per se non sarebbero rilevanti (privi di risorse significative) ma che sono rilevanti perché consentono la comunicazione verso spazi che hanno queste caratteristiche, spazi che sono “di passaggio” verso quello che importa (es. Valtellina del 600 come luogo di comunicazione tra domini italiani e le fiandre dell’impero asburgico: centrali ai fini del controllo dell’Europa stessa; es. Afghanistan oggi: centrale per la lotta britannica verso l’India e per la lotta russa verso i mari interni, v. durezza della reazione russa alla provocazione georgiana causata da 2 ragioni: la prima per ammonire USA e Nato riguardo alla questione dell’inclusione dell’Ucraina nella Nato, la seconda perché pur non contenendo risorse rilevanti è uno dei luoghi centrali di passaggio del petrolio dal Mar Caspio all’Europa -gli Usa hanno optato per la costruzione di un oleodotto-).• Simboliche (es. caso più ovvio e più macroscopico è quello di Gerusalemme: ha valenza simbolica immensa per tutte le parti in conflitto). La differenza è che il grado di disponibilità dello spazio diminuisce: ciascuna parte afferma di non avere il diritto di togliere quello spazio alla sua comunità, al suo popolo, alla sua identità (es. caso di Ebron: comunità di 400 coloni israeliani difesi da migliaia di militari israeliani; da un punto di vista strategico non ha senso, ma la questione qui non è strategica ma simbolica; es. caso del Kosovo negli anni 90: è un po’ come l’Afghanistan per il livello strategico, perché è tra 2 stati che vanno ricostruendo la propria identità: la federazione iugoslava era fondata su doppia identità, sovietica e degli stati del sud, e il problema di ricostruzione identitaria dei

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nuovi stati che si formano dalla disgregazione iugoslava si risolve attingendo alle identità precedenti –a Milosevic resta di essere serbo, ai kosovari di essere albanesi-. In questa questione il Kosovo è importante per entrambi: è luogo di elezioni per il nazionalismo sia serbo che albanese).• (solo delle grandi potenze) sfere di influenza: “grande spazio” per Schmitt come versione 800esca delle sfere di influenza, con cui intende qualcosa come “spazio vitale” per la politica tedesca nazionalsocialista. L’idea di grande spazio tedesca non è una eccezionalità storica, ma propria di tutte le grandi potenze del passati e del presente, che hanno una tendenza a riflettere il proprio potere e il proprio prestigio in luoghi esterni a sé (v. contemporanea sfera di coprosperità giapponese aveva la stessa logica: grande spazio attorno al Giappone che gli assicura sopravvivenza). Ma all’epoca di questi grandi spazi c’era un altro grande spazio, l’emisfero occidentale della prospettiva americana. Questa pretesa viene formulata anche 15 anni fa dalla federazione russa: dopo la disgregazione dell’Urss la federazione adottò un codice geopolitico fondato sull’idea che il mondo non è fondata su un interno e un esterno. Distinguono ulteriormente esterno lontano (che segue traiettorie proprie, mai stato parte della sfera di influenza proprie) e esterno vicino (come i territori ex sovietici e dell’ex patto di Varsavia; l’esterno vicino è pur sempre esterno e indipendente, ma su quei paesi c’è un tipo di interesse maggiore, come “cortile” di casa, come l’America centrale per gli USA). ♦ I tratti comuni di questi spazi sono: Carattere contemporaneamente difensivo (perché ciascuna grande potenza rivendica il proprio diritto su quegli stati in termini di vulnerabilità nazionale) e offensivo (perché in tutti quegli stati le grandi potenze rivendicano una sorta di diritto di controllo, giustificato da dichiarati fini difensivi: devono trattare le sovranità di questi spazi in modo diverso dagli altri). Entra in gioco la costituzione giuridica di questi spazi: in modo più o meno esplicito sono fondati sulla dichiarazione di un diritto di intervento, rivendicato e praticato. A questo diritto si collega l’altro elemento centrale: il divieto di intervento da parte delle altre grandi potenze (questo spazio è mio, v. dottrina Monroe; v. carattere quasi cerimoniale della continuazione dell’embargo a Cuba, perché Cuba ha violato questa norma aprendosi alla penetrazione di una grande potenza altra dal dominio americano); v. acquisizione della politica del peace-keeping dopo la 2 gm da parte della Russia sull’Europa dell’est). Questi grandi spazi diventano periodicamente luogo di attrito e transizione tra diverse egemonie (es. ex unione sovietica: quale deve essere la sfera di influenza su questi spazi? È così che i russi vedono l’allargamento della Nato, come una ingerenza nelle sue sfere di influenza, nel tentativo di sottrarle).

(9 feb. 09)

Conclusione sulle tensioni che riguardano la dimensione spaziale: in che senso i contesti internazionali possono essere meglio compresi considerando lo spazio?• Spazio come luogo contemporaneament di guerra e di diritto:- Guerre, non come combattute nello spazio ma per lo spazio (controllo dello spazio come questione centrale della politica internazionale).

Spazio come luogo dei diritti

Tema del rapporto spazio e diritto: Schmidt Il nomos della terra.• Nomos: per parlare dell’ordinamento giuridico moderno decide di impiegare la parola nomos. Non significa semplicemente norma, ma nella parola stessa c’è il senso del

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rapporto imprescindibile tra norma e spazio. S. insiste sul fatto che qualunque diritto nasce da un radicamento spaziale specifico, nasce e non ha senso al di fuori di quello spazio; in modo particolare qualunque diritto internazionale nasce da un .. giuridica che è l’appropriazione della terra: prima si occupa una terra (atto primordiale senza il quale non esiste il diritto) e poi la si divide (si opera una operazione giuridica). • La relazione spazio-diritto va in 2 sensi: - Lo spazio crea una forza vincolante sugli attori, che gli suggerisce un modo di convivere. Quando parla del’esperienza moderna come europea dice che lo ius pubblicum europeum è diritto europeo perché nasce in per e vincolato dallo spazio europeo. Gli stati europei sentono il bisogno di inventare un’istituzione perché scoprono di essere vincolati al continente come all’interno di un “recinto” (da cui non possono uscire), e dunque di avere un forte incentivo ad avere relazioni regolate tra di loro (ecco il senso del concetto di forza vincolante dell’ordinamento spaziale).- Diritto int europeo come Nomos della terra: la prima operazione dopo l’appropriazione è la misurazione della realtà, stendere una rete di determinazioni spaziali riconoscibili da tutti. Esse sono le determinazioni che riguardano il continente europeo; la misura per eccellenza è il concetto stesso di territorio: lo spazio politico viene pensato come una successone di spazi omogenei separati da una linea precisa che chiamiamo confine. Questo è un modo tutt’altro che intuitivo di vivere lo spazio (normalmente lo spazio si attraversa).- L’altra faccia del diritto internazionale, altra ragione per la quale il dir int europeo nasce tra 500 e 600, è che abbiamo in quei secoli l’età delle scoperte (approdo europeo in tutti i continenti). Questo comporta, proprio per la relazione per cui nessun diritto è vero se non nel “giusto luogo”, lo spaesamento radicale di tutte le categorie giuridico-politiche precedenti, che non sono in grado di pensare questo spazio. Quando si impone la prospettiva oceanica nasce l’esigenza di un nuovo diritto, di un nuovo nomos della terra, di nuovi parametri di misurazione della terra: “nel momento in cui si scopre questo immenso retroterra, l’inimitabilità del rapporto con gli oceani, nasce la necessità di un pensiero per linee globali”; Nasce qui la necessità di pensare la globalità. - Questa frattura, che è la frattura della modernità (modernità = globalizzazione; la globalizzazione si impone allora non adesso!), ci permette di capire l’evoluzione interna di questo ordinamento politico giuridico vedendo come cambiano le linee globali. Scmhidt individua 3 linee globali, di radicalità crescente, 3 modi di pensare il rapporto europa (luogo d’origine)-mondo:• 1494 trattato di tordesillas: 2 anni dopo la scoperta dell’america, Spagna e Portogallo (le 2 potenze coloniali) si incontrano per dare una misura, per spartirsi il nuovo mondo (trattato in base al quale oggi si parla il portoghese in Brasile e lo spagnolo negli altri paesi). Si pone il problema giuridico della misura spaziale del nuovo mondo. 2 caratteristiche vanno tenute in considerazione:♦ Le linee sono proiezioni dell’Europa fuori dall’Europa, senza sforzo di comprendere dall’interno il nuovo spazio.♦ Il trattato è ancora in parte all’interno del nomos precedente, perché sentono la necessità di farlo accettare dall’autorità del papa: il titolo di legittimità del trattato è ancora la fonte di legittimità dell’ordinamento precedente.• Sono sufficienti 50 anni (metà 500) perché questa linea sia sostituita da una completamente diversa. Stabilita da nuovi protagonisti (GB, che insieme ala Francia sta guadagnando posizione su Spagna e Portogallo). Le nuove linee globali (amity lines) sono molto più moderne: vengono stabilite tra le nuove potenze europee, che trattano tra loro senza cercare più alcuna legittimazione papale. Cambiano logica: non più si proietta fuori una divisione infra europea, S: le definisce come agonali perché prescrivono il fondamento del modo europeo di pensare la globalità: dicono che le regole che valgono da una parte

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non valgono dall’altra (da una parte diritto internazionale europeo –v. dichiarazioni di guerra, trattati per definire gli scambi di territori-, dall’altra tutto è possibile v. espressione “beyond the line”: oltre la demarcazione tutti i limiti nella competizione vengono meno, c’è lo stato di natura di Hobbes, diventa possibile fare qualunque cosa anche tra le potenze europee che non vivono stabilmente lì). La misurazione è centrata sull’europa, la separa dal mondo, ma crea 2 ordinamenti contrapposti.• Terza misurazione è rivoluzionaria: dottrina Monroe. Il nuovo governo degli USA (il primo a uscire dalla colonizzazione, aspetto che viene percepito dagli altri paesi coloniali) deve essere al riparo dalla politica europea: le potenze europee devono uscire da tutto il continente americano. Ribaltamento clamoroso, segnato come decisivo della rottura dell’ordinamento eurocentrico precedente. Per la prima volta a pensare alla globalità non è l’Europa ma l’America contro l’Europa (il soggetto a tracciare la linea è un altro). Il significato resta lo stesso della linea precedente: è una linea dell’amicizia rovesciata, che vuole l’America fuori dalle logiche bellogene europee. Nasce un’idea di superiorità anche etica del continente americano, che rivendica il fatto di essere il “nuovo mondo”: non immaturo ma non ancora contaminato (contrapposto a “vecchia Europa”: che non riesce a liberarsi dei suoi mali, prima di tutti la bellogenità). La dottrina Monroe è una dottrina di isolamento dalla contaminazione dell’Europa.

Lo spazio nei contesti internazionali: quali elementi ci permettono di caratterizzarli e distinguerli

Dimensioni esterne del contesto internazionale

Come si considerano i contesti internazionali riguardo allo spazio?• Qual è l’estensione spaziale di un contesto internazionale. Aron: se vogliamo comprendere una congiuntura dobbiamo sapere come è distribuito il potere ma anche quali sono le dimensioni della “scacchiera diplomatica”; c’è differenza tra la politica internazionali puramente europea di 3 secoli fa e quella su scala globale di oggi (più attori, più pesi sulla bilancia europea). Ci sono contesti storici in cui appare evidente che le dimensioni della scena diplomatica stanno cambiando; in questi contesti tutti i calcoli sulla politica internazionali diventano più incerti (es. sistema internazionale tra fine 800 e inizio 900: è chiaro che la scala della politica internazionale sta cambiando, e appare chiaro che ciò che poteva essere soddisfacente nel vecchio gioco è destinato a non esserlo più nel nuovo gioco; v. angoscia per la crescita di Urss e Usa, retorica sul “pericolo giallo” –totalmente irrealistico, ma che celava la consapevolezza che bisognava tener conto di fattori di cui non si era tenuto conto fino ad allora-; la Germania vive questa compressione più di altri, v. espressione “welt politik” politica globale; si diffonde curiosità-paura su tutto ciò che aviene fuori dall’europa). • Cogliere questo aspetto ci consente di mettere in forma problematica il rapporto tra “globale” e “internazionale”. Non sono sinonimi. Come si è andata formando la globalità? Ci sono diversi tipi di globalità. La domanda giusta è: che tipo di globalità è la nostra? Cosa la tiene insieme oggi? C’è consenso su ciò che c’era prima della globalità. La nascita di questo processo (fine 400) vede il pianeta diviso in sistemi internazionali preglobali: c’è una pluralità di sistemi internazionali (europa, subcontinente indiano, centrato intorno alla Cina, uno o più nel mondo islamico, pezzi del continente americano e africano; il sistema europeo, quello che si afferma, non somiglia ad alcuno di questi, che hanno in comune il fatto di essere concentrati sul principio di una fonte di legittimità e autorità comune –imperiale- che quando veniva meno creava consenso sul fatto che andasse ricostruita improntati a un principio di ordine gerarchico, opposto a quello europeo di anarchia internazionale).

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• Dovremo interrogarci sull’evoluzione della nostra globalità, perché stiamo assistendo a una sua ridislocazione (gli USA fanno fatica ad affrontarla, come unico paese che possono fare una politica globale devono gestire questa trasformazione, v. tentativo dela nuova amministrazione che deve cogestire questa amministrazione con gli alleati perhcè è l’unico modo in cui può gestirla). L’altra ragione per cui è importante ricordare quest fasi è che occorre ricordarsi dove quando e come è avvenuto l’impatto dell’europa sul resto del mondo, per capire le dinamiche e gli sviluppi attuali dei paesi.- Prima fase di globalizzazione del sistema europeo: non è un processo omogeneo e universale dall’inizio, ma discontinuo (fino alla fine del 700 sono pochi i pezzi di spazio extraeuropeo inclusi nel sistema globale; la carte non è minimamente globale, ma al massimo atlantica euroamericana, con qualche propaggine nell’oceano indiano e pacifico –filippine-).- Quella globalizzazione non somiglia alla nostra globalizzazione: è una proiezione di quello che avviene in Europa; le altre regioni non sono autonome ma incorporate (guerra dei 7 anni come “prima guerra mondiale della storia”: viene combattuta in vari continenti ma sempre dagli stessi 2 attori, Francia e GB). - È nel corso dell800 che l’impatto si trasforma in modo radicale: l’impatto di universalizza, si passa dal dominio costiero al dominio territoriale in profondità (piena subordinazione), si passa da colonialismo informale a dominio formale (v. GB sull’India); altro indicatore dell’eccezionalità di questo impatto è che fina ad allora le relazioni tra Europa e altri paesi si ha penetrazione ma non imposizione delle proprie condizioni (sono i governanti locali a imporre le condizioni, le gerarchie a cui gli europei possono muoversi; v. sistema delle capitolazioni che coordina i rapporti economici: prima sono gentili concessioni fatte dall’impero ottomano, poi diventano momenti di erosione del potere dell’altro). È nel corso dell’ottocento che i rapporti occidente-mondo nascono filosofie di discriminazione esplicita dei non europei (pretesa di superiorità culturale e talvolta razziale degli europei).- A fine 800 cambia qualcosa: l’Europa domina tutto, incorpora quasi totalmente il mondo (con l’eccezione del continente americano), ma vi è compresenza di spinte contraddittorie molto significative:• Irrompono potenze non europee: USA (di cultura ancora europea) e soprattutto Giappone (vera eccezione, che scardina il carattere occidentale centrico del sistema internazionale; sconfigge la Cina e poi la Russia, si allea con le principali potenze europee –GB-).• L’espansione europea finora non è concordata ma competitiva (come sottoprodotto della competizione interna all’europa), ma nel 1900 avviene la grande repressione comune della rivolta dei Boxer: un grande contingente internazionale viene impiegato contro la rivolta “xenofoba” in Cina. Questo condominio è un segno di debolezza non di forza (la reazione c’è e va amministrata).• Si ha poi la piena globalizzazione delle relazioni internazionali: (la globalizzazione è la storia del 900: è un tessuto di segmenti del 900). ♦ Globalizzazione strategica: il 900 è il secolo di guerre mondiali non come proiezioni di guerre europee (ci sono attori significativi che combattono non essendo europei).♦ Globalizzazione ideologica: i conflitti sociali e politici in tutte le regioni, diversamente da oggi, vengono declinati con linguaggi comuni (v. socialista e comunista, fattore straordinario di unificazione politica e strategica, che ha consentito di dare lo stesso linguaggio a tutti i conflitti).♦ Globalizzazione politica: oggi abbiamo si un’infinità di attori internazionali, ma non sono tutti portatori di conflitti. Nel 900 c’è stata una coppia amico-nemico universale, un modo di raccordare tra loro tutti i conflitti sociali. Negri: la “moltitudine”

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manca di un linguaggio comune; c’è qualcosa che tiene insieme tutti i conflitti sociali odierni (es. Chiapas, ecc) ma gli attori coinvolti non sanno cosa sia. Nel 900 invece tutti gli attori che operavano erano convinti di stare combattendo lo stesso conflitto con le stesse parole. Questo era il senso delle Internazionali, come fenomeno straordinario di globalizzazione.♦ Globalizzazione culturale: oggi si dice che si è diffusa la sensibilità dell’appartenenza a un mondo comune (diritti umani, questione ambientale). Il 900 ha avuto questo fenomeno ma in termini diversi: sono state le guerre il vettore di globalizzazione culturale. Le guerre mondiali sono state vissute (e non guardate tramite internet) da persone da tutte le parti del mondo, e partecipare significava rischiare. Sono inoltre il grande vettore delle istituzioni internazionali del 900, che vi nascono dentro, perché la globalità della guerra incentiva soluzioni altrettanto globali.• Ci dovremmo chiedere a che punto è la globalità: è cresciuta anche politicamente e strategicamente? O sta venendo meno?

(10 feb. 09)

Dimensioni interne del contesto internazionale

Ogni contesto internazionale è formato da sottospazi (sottosistemi per la teoria dei sistemi, aree regionali) distinti ma collegati.• Tutta la politica internazionale del 900 è stata una continua internai zone tra dinamiche locali e globali (es. guerra fredda è il massimo della globalizzazione strategica: contesto strategico comune, se la guerra fosse scoppiata avrebbe investito tutto. Tuttavia le dinamiche globali hanno continuato a incontrarsi con dinamiche regionali: quando gli USA hanno armato il pakistan, l’India lo avvertiva come una minaccia per la sua locale guerra con il pakistan, non ne percepiva le dinamiche globali ma quelle locali. Gli USA cercavano di imporre lo steso schema dappertutto “patto mania degli anni ‘50”: tentativo di riprodurre la NATO regionalmente in tutte le regioni –v. sud est asiatico, mediorientale nel 55: patto di Baghdad antisovietico. In realtà questo distrugge il tessuto regionale, il trattato non funziona perché i conflitti nella regione mediorientale erano altre e il tentativo di impiantare una logica esterna non funziona, produce insurrezioni e colpi di stato).

Area regionale = no possiamo definirne i confini, ma posiamo definirle con una serie di elementi: pezzo del sistema internazionale in cui la rete delle interdipendenze è più stretta rispetto alle reti che continuano al di fuori dell’area; le relazioni tra gli attori sono più fitte (es. programmi per la circolazione dei saperi in Europa). Come si crea un’area regionale? (come si stringono questi rapporti). Individuiamo 3 dimensioni:• Condivisioni di linguaggi comuni; società transnazionale sviluppata (v. legami transnazionali sviluppatisi in Europa, condivisione di memorie e visioni, la rilevanza di certi problemi –ma non il modo in cui vengono risolti-).• Esistenza di istituzioni specificamente regionali (v. proliferazione istituzionale negli ultimi decenni). Alcune hanno carattere universale, altre regionale (es. Mercosur per America Latina, ASEA per sudest asiatico) esprimono l’identità della regione e la proiettano verso l’esterno (non solo auto identificazione, ma proiezione all’esterno di una identità).• Elemento decisivo (perché): suscettibilità di essere coinvolti in guerre che sono specificamente regionali. Si sa dall’inizio chi può essere coinvolto e chi no (ci si può sbagliare, ma non di molto). È un elemento decisivo perché può esserci anche in assenza degli altri 2 (es. medi oriente: non esiste società transnazionale comune –esistono

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linguaggi e memorie diverse, la circolazione dei beni è impossibile-, non esistono istituzioni che racchiudano tutti gli attori della regione –lega araba include solo i paesi arabi, lega islamica anche non li comprende tutti, non è previsto l’ingresso di Israele nella NATO-; tuttavia il medi oriente è considerato un sistema regionale, perché legato dalla possibilità della guerra –successione di guerre arabo israeliane, tensione continua tra Iran e Israele-, fattore contemporaneamente di divisione e unione).

Come possono essere organizzate le relazioni tra i diversi attori? Consideriamo pochi elementi che sono più che mai centrali (perché in trasformazione):• Grado di continuità: - ci sono contesti internazionale in cui, senza assorbire completamente le identità degli attori, tra i diversi sistemi regionali esistono forti elementi di continuità (es. sistema internazionale bipolare: le diverse regioni restavano in parte autonome, ma solo in parte perché avevano cose comuni: presenza degli stessi 2 attori –ovunque veniva proiettata l’ostilità globale tra di essi, i sistemi regionali erano autonomi ma subordinati alla vicenda globale, gli allineamenti contavano fino lì). - In altri il grado di continuità diminuisce o si erode del tutto (es. oggi: le dinamiche regionali comprendono conflitti linguaggi e allineamenti diversi: non c’è ideologia comune in medi oriente e America latina nonostante a stessa avversione contro gli USA –nel bipolarismo parlavano la lingua del socialismo misto a pacifismo-; questo costituisce un problema per gli USA in quanto unico a poter giocare un ruolo fondamentale in tutte le regioni: prima giocavano ovunque la stessa partita, oggi la partita globale non c’è più e per esercitare un ruolo globale devono esercitare tante partite quante sono le aree regionali –forte impiego di risorse militari e ideologiche, non possono parlare ovunque di guerra al terrore – v. errore di Bush estrema semplificazione-).• Modalità di collegamento tra le aree regionali (rilevante perché data per scontato per molto tempo, ma tornata problematica oggi):- Centralità di una regione: un sistema internazionale è collegato dal centro di irradiazione di una regione che prevale sulle altre (es. guerra fredda: il grado di continuità era dettato dalla prevalenza di una regione sulle altre; la globalizzazione è stata fortemente asimmetrica finora, ed è stato questo a renderla possibile). Le 3 guerre globali nel 900 (prima, seconda e guerra fredda) hanno avuto in comune la consapevolezza che la guerra sarebbe stata vinta da chi avrebbe vinto in Europa. Dobbiamo però immaginarci anche un sistema in cui non c’è una regione che detta la continuità alle altre: anziché uno spostamento di centro (dall’atlantico al pacifico) può accadere una mancanza di centro, una vera ridislocazione geopolitica che genera sicurezza. L’alterità culturale si tinge di angoscia perché non viene osservata come gioco ma fatta propria da un soggetto che non è più debole, che può penetrare e plasmare.

DIMENSIONE IDEOLOGICA E CULTURALE

Li usiamo per ora come sinonimi perché hanno a che fare con la manipolazione di valori e simboli, con fattori “ideazionali” (manipolazione delle idee).

Ma cosa c’entra questa dimensione? Per parlare della dimensione del potere ci affidavamo alla teoria dei sistemi (e in particolare a Waltz). Waltz decide per parsimonia di trascurare tute le dimensioni che non c’entrano con la distribuzione del potere, definendole riduzionisti che (perché hanno a che fare con le caratteristiche interne degli attori –natura del regime politico, natura della cultura- che no conta con l’analisi che vuole fare). Questo è un sacrificio sorprendente, più che del fatto che si operi in un vuoto storico e temporale

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(aveva delle ragioni, v. convinzione dell’impossibilità del cambiamento), mentre è sorprendete che un uomo del 900 trascuri la dimensione ideologica, che è stata una delle dimensioni portanti della politica internazionale del 900 (mentre lui lo tratta come puro scontro tra grandi potenze). Il prof suggerisce di vedere questa altra dimensione.

Aron: scrive negli anni 60 (prima di Waltz), dalla Francia, scrittore molto impegnato nella lotta politica, ha una storia da tipico uomo del 900 (ebreo francese che studia in germania negli anni 30, scappa dalla germania e per tutto il periodo postbellico vive la guerra fredda in prima persona come militante schierato non può non interessargli la dimensione ideologica: non c’è solo una tensione tra poteri, ma un sovraccarico ideologico che non ha niente a che vedere con la realpolitik e la diplomazia ottocentesca (Urss diverso da Russia zarista, germania hitleriana diversa da quella di bismark).

Si chiede cos occorre guardare per comprendere un contesto internazionale: guardare la distribuzione del potere, l’estensione della scena diplomatica, ma anche quanto gli attori che si confrontano nella scena si somigliano. Dobbiamo dunque aggiungere un’altra coppia (bipoalre-multipolare?, globale-preglobale): omogeneità-eterogeneità dei sistemi internazionali.• Sistemi internazionali omogenei: gli attori si somigliano e sono consapevoli e talvolta orgogliosi di somigliarsi. Somigliarsi = avere simile la forma istituzionale (tutti stati), il regime politico simile, principio di legittimità cui rispondere ,lingua o almeno cultura (es. sistema europeo del 700: quasi tutti sono stati, hanno principio di legittimità dinastico, sono monarchie, consapevoli di appartenere a un retaggio culturale e storico comune –appartenenza ala repubblica diplomatica d’europa, Voltaire?-). • Eterogenei: gli attori non si somigliano, sono consapevoli e orgogliosi di non somigliarsi.- Es. rivoluzione francese: introduce un soggetto (la francia rivoluzionaria) che non somiglia ne vuole somigliare agli altri : introduce un conflitto di legittimità, la guerra non è per l’appropriazione di territori ma per l’abbattimento di un regime politico illegittimo (chi vince non diventa semplicemente più forte, ma cambia la costituzione del paese sconfitto). È questo che contraddistingue le guerre napoleoniche da quelle precedenti.- Rivoluzione bolscevica del 1917: Urss non è interpretabile come impero zarista con una nuova veste; ci sono elementi di continuità, ma non solo. Il senso di estraneità si impone anche qui dall’inizio: il nuovo governo sovietico non adotta una strategia mimetica (v. primo atto diplomatico come pubblicazione dei trattati segreti che regolavano l’inizio della guerra; questa violazione puntava all’autocelebrazione di sé come soggetto incommensurabile, che non c’entra niente). La replica degli USA dell’epoca (depositaria della normalità internazionale) fu che con quel governo non era possibile trattare perché non si comporta in modo normale.- Terzo moment (non avvertito allora, ma oggi si): rivoluzione islamica in iran nel ’79: la domanda che fu posta dalla stampa era semplicemente chi tra USA e Urss ne avrebbe beneficiato, o chi c’era dietro Komeini (KGB o CIA?). domande stupide! Anche qui c’è da subito una rivendicazione radicale di estraneità (v. sequestro dei diplomatici americani nella loro ambasciata; la violazione del diritto internazionale che vuole manifestare la propria diversità dal contesto). Questa eterogeneità non è stata ancora riassorbita.

Cosa possiamo aggiungere alla comprensione dei sistemi internazionali affrontando questa dimensione?• La differenza tra omogeneità e eterogeneità ci permette di comprendere la storia dei sistemi internazionali, le fratture che sono intervenute (es. 1789 riv francese: con

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l’analisi di Waltz non è percepibile il cambiamento perché non cambia la distribuzione del potere, il sistema resta multipolare, ma avremmo una comprensione molto parziale; es. se ci interessa solo la distribuzione del potere e dunque la successione di tipi di sistemi, l’immagine del 900 si incentra su 2 date: 45 multipolare a bipolare e 89 bipolare a unipolare, e ci perdiamo 1917, 1933, la differenza tra prima e seconda gm: ci perdiamo i sovraccarico ideologico e di conflitti di legittimità senza cui la politica internazionale non può essere compresa).• La distinzione tra omogeneità e eterogeneità ci consente di rispondere in modo diverso alla domanda centrale del dibattito: cosa rende più o meno stabile un contesto internazionale? Waltz rispondeva una certa distribuzione di potere (bipolare più che unipolare), Gillpin rispondeva introducendo l’aspetto temporale che la ridistribuzione del potere crea instabilità (quale che sia la nuova distribuzione). Ora possiamo dare una terza risposta (che non esclude le altre 2): tipo di somiglianza o dissomiglianza che intercorre tra gli attori: i sistemi omogenei sono più stabili.

Ragioni della maggiore stabilità dei sistemi internazionali omogenei: sono varie ragioni (che si sovrappongono nella realtà, ma separate concettualmente e come conseguenze che producono):• I sistemi omogenei (comunque anarchici) è più facile nutrire aspettative nei confronti degli altri. V. stato di natura di Hobbes timore delle aggressioni altrui tipico di un contesto anarchico. Questo non viene meno, ma è più facile interpretare le mosse degli altri perché somigliano a se stessi, attribuiamo loro le stesse intenzioni che assumeremmo al loro posto (modello dell’attore razionale, si assume che gli altri abbiano una logica simile alla nostra). Questa era la logica della realpolitik: gioco che si giocava su una scacchiera diplomatica che prevedeva l’assunto che gli altri ragionassero come noi (una minaccia fatta all’altro viene presa sul serio, le alleanze fatte con altri vogliono nuocere a noi) proiezione delle proprie intenzioni sugli altri. All’epoca di Aron le cose iniziano a cambiare: egli scrive all’inizio della guerra fredda, e dice che applicando la stessa grammatica della realpolitik all’Urss faremmo un disastro perché l’Urss è diversa da noi, in quanto grande potenza ideologica (quanto di ciò che fa l’Urss è specificamente sovietico, e quanto sarebbe fatto da qualunque Urss?). Waltz scrive dopo Stalin, durante Kruscev (carismatici) e Breznev (non carismatico affatto): si perde via via la dimensione ideologica e l’Urss era tornata ad essere una grande potenze. L’amministrazione Bush ha legittimato il ricorso ala guerra preventiva in vari modi, tra cui sfruttare il passaggio da omogeneità a eterogeneità: talvolta si trova a scriver in modo nostalgico dell’Urss (vorrebbe usare la deterrenza verso terroristi e rock states –stati canaglia- come la usava verso l’Urss, ma questo era possibile perché si assomigliavano sempre di più, e anche l’Urss condivideva l’idea di evitare rischi evitabili; ora non è possibile perché la razionalità di terroristi e rock states è diversa, forse non c’è affatto,non sono “normali”, non danno l’impressione di non voler evitare rischi –di cosa si può minacciare un terrorista suicida?? Anche gli stati canale assumono rischi-). Quando si da per scontato di vivere un sistema eterogeneo, la possibilità di calcolare le proprie mosse sulla base delle aspettative delle mosse altrui è impossibile.

(11 feb. 09)

• Secondo elemento: è più facile farsi promesse reciproche (v. agenda).• Terzo elemento: possibilità e facilità della comunicazione tra paesi simili dal punto di vista ideologico e talvolta linguistico, perché non c’è il problema della traduzione in senso lato, linguistico ma anche culturale (la stessa parola in un altro contesto acquista altri significati, es. negli ultimi anni nel mondo arabo c’è grande richiesta di democrazia.

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Questo è stato uno degli argomenti portati da giustificazione a Bush per le sue politiche. Ma è risultato evidente che l’opinione pubblica araba intende per democrazia non la democrazia liberale, ma semplicemente il diritto di poter votare i propri rappresentanti, e va dunque contro le elites non elette, che sono difese garantite e armate dagli USA). Il problema della traduzione rende in un contesto come il nostro (eterogeneo) insostenibili le relazioni. Democrazia per noi è la democrazia liberale, e qualunque alternativa ad essa in europa è uscita screditata del 900. nel sistema internazionale della guerra fredda la parola democrazia non ha avuto un significato univoco ma è stato anzi il cuore del conflitto ideologico (democrazia liberale vs. popolare) competizione ideologica sul richiamo alla democrazia, che apriva il conflitto (anziché risolverlo come oggi).

Conseguenze (è giusta questa ripartizione?? Chiedi a Laura!!):• (Concezione della neutralità) Nei sistemi internazionali omogenei è più facile trovare lo spazio per creare luoghi neutrali, è possibile trovare soluzioni alla competizione. V. diritto internazionale (spazio neutrale per eccellenza) nasce per sottrarre qualcosa alla competizione che noi ci aspettiamo dall’anarchia internazionale. La condizione di funzionamento di una norma giuridica nel sistema è un’interpretazione comune (unico modo per averla è omogeneità culturale, dato che non esistono agenzia di interpretazione di norme). Nei contesti eterogenei ci sono continuamente conflitti di interpretazione (v. guerra fredda: l’on diventa la cassa di risonanza dei conflitti, il luogo di conflitto per eccellenza; es. riconoscimento degli stati: vecchia istituzione del diritto internazionale, ma perché possa avere effetto regolatore della competizione internazionale è necessario che gli attori concordino sull’esistenza di una fattispecie statale. Negli ultimi 50 anni le 2 parti riconoscevano solo mici e non nemici, il riconoscimento cade vittima del conflitto politico).• (grado di riconoscimento reciproco) I sistemi internazionali omogenei rendono possibile il riconoscimento reciproco: con l’altro posso avere conflitti d’interessi (che possono anche condurre alla guerra), ma finchè ho la consapevolezza della somiglianza (legittimità, regime, cultura) è possibile e plausibile riconoscere l’altro come portatore di eguali diritti. In un sistema eterogeneo invece gli attori si confrontano con soggetti totalmente diversi da sé: la prima cosa che entra in questione è se l’altro oltre che diverso da me meriti davvero gli stessi diritti. Il riconoscimento della legittimità della reciproca esistenza diventa a dir poco problematico <(v. guerre civili di religione: si combatte per una verità, e chi non la abbraccia non può avere i nostri diritti). Questo avviene per tutto il 900, il conflitto ideologico e valoriale radicale impediva il riconoscimento, anzi on si poteva affermare il proprio valore senza negare quello dell’altro (v. rapporto Ger Urss, v. coesistenza USA Urss come effetto di deterrenza, non come vero riconoscimento reciproco).- La tripartizione di prima escludeva gli stati canaglia (rock states)= attori che non meritano il riconoscimento. Il non riconoscimento si estrinseca con l’esplicita sottrazione a questi stati dei 2 strumenti tipici della politica internazionale: guerra e diplomazia (non hanno diritto di sedere ai tavoli dei negoziati, non hanno diritto di procurarsi le armi per la propria autodifesa); non è possibile il riconoscimento completo della sovranità.• (forma della guerra) Ultima distinzione tra i 2 tipi di sistemi (è quella che emerge con più chiarezza perché più devastante): la guerra cambia totalmente forma (non la frequenza, ma proprio la sostanza). Entra in gioco la possibilità di porre limiti alla guerra, di trasformare la guerra stessa in una istituzione: Aron: nella storia della politica internazionale la guerra, la violenza, compare a volta come una istituzione regolamentata (guerre 700esche, son guerre di manovra, in cui da u certo momento in poi si riesce a evitare il confronto diretto) e altre volte come furia ceca (guerre civili di religione, 900 europeo). V. anche passaggio da guerre feudali a guerre comunali: si passa da una ritualizzazione estrema della violenza (almento dal pdv immaginario) a esperienza della

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violenza come massacro puro. Cosa cambia dal pdv dell’espressione della violenza da un sistema all’altro? - Cambiano tutte le determinazioni fondamentali:• Sist omogeneni: se si confrontano sistemi omogenei è possibile una chiara distinzione tra pace e guerra. Proprio perché ho relaizoni continue con l’avversario, ne riconosco legittimità piena, mi è difficile distinguere tra i 2 momenti. C’è spazio per la pace, la guerra è una sorta di ecceione.• Sistemi eterogenei: non c’è mai vera pace, la relazione tra assoluti estranei è di guerra permanente (non vuol dire combattimento permanente ma che quando non si combatte si sta prendendo una pausa). V. questione pace-guerra in medioriente: hamas non vuole firmare una pace (israele propone una tregua trentennale, che riconosce la non violenza ma non la pace, e dunque l’assoluta estraneità).- Restrizioni all’uso della violenza (“buone regole”): una volta che si a in guerra, anche legittimamente, non è lecito fare tutto. Il diritto internazionale si è sempre sforzato di determinarle (non colpire civili, non usare certi tipi di armi). Queste restano, quello che cambia è il grado di tenuta di queste restrizioni nel passaggio da un sistema all’altro.• Omogeneità: appaiono plausibili, non voglio fare cose mostruose a un soggetto che mi somiglia con cui ricomincerò ad avere relazioni (la guerra è una parentesi!).• Eterogeneità: si va in guerra per non avere mai più relazioni con lui, la posta in gioco è l’annientamento politico (es. II gm, guerra fredda). Ma allora l’idea che l’altro meriti il nostro stesso diritto appare implausibile fin dall’inizio (v. reazione di stupore davanti all’11 settembre, a livello di vittime era la stessa cosa che in un contesto di guerra bombardare le città, ma qui colpiva discriminatamente obiettivi civili perché manca totalmente il riconoscimento dell’altro).- Uso della violenza?:• Omogeneità: luogo comune della “subordinazione della guerra alla pace”: in quel contesto (quale?) la guerra era pensata come qualcosa che dovesse produrre un equilibrio superiore (v. prassi di re immettere al più presto il nemico sconfitto nel gioco diplomatico, perché quel ruolo è impartante nella ricostruzione dell’equilibrio). Caso paradigmatico: Francia post guerre napoleoniche: la Francia porta la guerra in europa per 20 anni, viene sconfitta nel 1815 e viene riammessa a pieno titolo nel 1918 senza sanzioni ne umiliazioni pubbliche (perché si ritiene che sia utile).• Eterogeneità: pace come momento della resa dei conti (es. repubblica di Weimar paga le conseguenze della guerra della Germania guglielmina). La guerra in un sistema eterogeneo è una guerra fino in fondo.- Semplicità o meno della distinzione tra guerra civile e guerra internazionale (caratteristica principale):• Omogeneità: semplice: guerra civile si ha con collasso o colpo di stato; internazionale si ha con relazioni esterne tra paesi, ognuno combatte per il propri stato perché c’è identificazione completa (non c’è conflitto fedeltà, non ci sono altre fonti di riferimento ideologico).• Eterogeneità: la prima cosa che salta è questa distinzione. Aron lo teme molto: in un sistema eterogeneo entra in gioco il patto di fedeltà tra lo stato e i propri cittadini, perché avviene continuamente che un gruppo senta più forte l’appartenenza a un’ideologia che a uno stato (quindi timore della fedeltà dei propri cittadini, v. espressione novecentesca “quinta colonna”; timore di avere il nemico in casa “pugnalata alle spalle”) v. timori della GB dopo l’attentato nella metropolitana.

(23 feb. 09)

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Abbiamo visto le differenze fondamentali tra sistemi omogenei e eterogenei. Abbiamo visto perché ci si aspetta che siano preferibili, perché più stabili i sistemi omogenei. Oggi introduciamo alcune complicazioni in questo discorso, che sono rilevanti dal punto di vista teorico e anche storico politico.

Prima complicazione: abbiamo parlato come se l’espressione omogeneità fosse di significato univoco. In realtà “essere simili” può voler dire molte cose; cosa significa concretamente? O almeno cosa non significa?• Non significa essere uguali: nei sistemi internazionali omogenei non ci sono soggetti che si somigliano in tutto, ch si riconoscono come perfettamente uguali; piuttosto i soggetti pur riconoscendosi non uguali riconoscono che tra di loro ci sono tratti comuni significativi, tali da stringere tutti in una cornice comune.- Es: sistema internazionale greco classico, 5 4 sec ac: è un sistema pluralistico composte da città stato diverse, consapevoli e gelose della loro diversità (politica, genetica, ecc). tuttavia in questa diversità c’è sempre la consapevolezza di appartenere ad una civiltà comune.- Es: sistema internazionale moderno westfaliano: sistema internazionale pluralistico composto da stati diversi (da una punto di vista linguistico, culturale), anche qui gelosi della propria diversità. Questi soggetti, pur non essendo uguali tra loro, avvertono comunque un legame di somiglianza (tranne nei momenti di rottura interna, v. dopo).

Omogeneità e eterogeneità non sono 2 opposti, ma posti lungo un continuum: i sistemi internazionali possono essere più o meno omogenei o più o meno eterogenei.

• Dal pdv politico un elemento in part facilita la percezione della somiglianza: l’irruzione o incombenza di un soggetto che si riconosce come più diverso degli altri, l’alterità viene vissuta come radicale rispetto a tutte le altre alterità (es. persiani rispetto ai greci).

Seconda complicazione (v. questioni di peso anche oggi): cosa chiamiamo in causa quando parliamo di omogeneità? Cos’è che i soggetti hanno in comune? Le risposte possibili sono diverse, ci sono diverse cose che si possono o meno avere in comune.• La prima e più importante, che è al centro della riflessione di Aron (uomo del 900, e che non riesce a smarcarsene), è l’appartenenza ideologica (somigliarsi dal pdv di ciò che si ritiene “politicamente giusto”, avere regimi politici simili, ispirarsi allo stesso principio di legittimità). Aron ha in mente questo perché l’Europa dopo la rivoluzione bolscevica e dopo la rivoluzione nazionalsocialista, dopo queste 2 rotture non c’è più traccia di omogeneità al’interno del’Europa. Anche all’epoca della rivoluzione francese il sistema internazionale diventa eterogeneo perché emerge un conflitto ideologico. Quello che guarda Aron è la rottura interna a una civiltà: non scontro di civiltà alla Huntigton (v. guerra fredda come guerra civile occidentale), viene smarrito il senso dell’appartenenza comune (v. linguaggio: si rimprovera all’altro di essere “barbaro”, segno di non riconoscimento di un’appartenenza a una civiltà comune). 2 particolarità:- Quando l’eterogeneità si insidia nel cuore stesso di una cultura, quello che subentra è uno scontro sull’eredità di quella cultura (chi è il legittimo erede? V. scontro tra comunismo e liberalismo, e per certi versi anche nazionalsocialismo, come scontro su chi fosse il legittimo erede della cultura occidentale; v. anche scontro sul termine “progresso”: chi è il depositario del progresso? Anche sul termine “modernità”). Eterogeneità ideologica come scontro sull’eredità (nello scontro di Huntigton non c’è niente di simile: i radicali islamici che combattono contro gli USA non combattono nello stesso modo dei comunisti negli anni 60, il patrimonio simbolico è totalmente altro e non ha niente in comune con quello del nemico, c’è una comunicazione quasi autistica tra i 2; v. messaggi

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di Obama e Bush rivolti alle proprie opinioni pubbliche, non a quelle altrui, perché non sarebbero stati capiti, diversamente da quanto succedeva negli anni 60).- L’appartenenza ideologica è una scelta, manifestamente e apertamente. È mediata da altre cosa (appartenenza di classe, etnica, ecc), ma entro certi limiti, che possono essere anche molto ampi: è una scelta di abbracciare una certa ideologia. Viene introdotta una dimensione che è stata centrale nel 900: dimensione della reversibilità di questa scelta: come si è scelto di appartenere si può scegliere di abbandonare l’ideologia (“abiura”, che può essere individuale –v. crisi individuale- o abiure collettive –v. oggi nella nostra società).• La seconda cosa che può essere più o meno comune, introdotta da Huntigton nel suo articolo del 93 (dopo guerra fredda) è la cultura. “la fine dela guerra fredda è la fine della fse occidentale delle relaizioni internazionali; anzi più precisamente guardando una prospettiva di lungo periodo, le guerre del 900 sono guerre mondiali nate da una guerra civile occidentale; d’ora in poi si vedrà il rapporto tra cultura occidentale e la altre culture” il sistema internazionale di fine 900 sarà radicalmente eterogeneo, e dunque massimamente disordinato. Radicalmente perché la differenza tra civiltà non è come la differenza ideologica, perché non è prodotto di una scelta: la differenza di civiltà grava su di noi, ci rende non liberi, non c’è spazio per abiure e fuoriuscite dalla propria civiltà. La revisione di un’appartenenza di questo tipo è infinitamente più complessa che l’uscita da un’appartenenza ideologica (v. nichilismo di Nietzche: mi scontro con il dio ma cmq all’interno di una cultura). Siamo usciti da un’eterogeneità e entrati in un’eterogeneità ancora più grave: prima era ideologico e ora è culturale.- Ecco perché ideologia e cultura non sono la stessa cosa.• Ultima cosa importante, che pesa su molti conflitti (v. quello israelo-palestinese), è la memoria. Su questo si fa una serie infinita di confusioni. Siamo sempre stati abituati a declinare il termine al singolare, e così non capiamo cosa significa la memoria nella via sociale. È paradossale parlare allo stesso tempo di memoria e di multiculturalismo, perché ciascuna cultura ha la propria memoria; il problema di un mondo multiculturale è proprio quello, se non di creare una memoria comune, almeno di conciliare le proprie diverse memorie. La memoria dal pdv politico può dare esiti diversi: portare riconciliazione (v. chiusura delle guerre civili in Africa, costruendo una memoria comune di ciò che è avvenuto), ma può anche essere luogo di un’irrimediabile lacerazione.- Da dove viene la memoria? È in parte prodotto dell’appartenenza culturale: ciascuna civiltà ha la propria memoria (v. nostro modo di periodizzare la storia, che significa mettere in risalto certe cose e nasconderne altre, ammettere periodi di glorie e di catastrofi). Tuttavia la memoria no è solo un prodotto culturale, ma anche delle esperienze individuali e collettive (es. vicenda della decolonizzazione non ha alcun peso sulla nostra memoria collettiva: la dimensione post coloniale è totalmente rimossa dalla comprensione della maggior parte dei conflitti odierni; es. guerra fredda: fuori dall’Europa ha avuto un grado di pervasività infinitamente inferiore, era da prendere in considerazione ma non era l’unica cosa che contava).- Quando non si condivide la memoria spesso non si condivide neanche la cornice di ciò che si sta vivendo. • Es. conflitto arabo israeliano: uno degli esempi per eccellenza di come sia difficile negoziare non solo perché manca la volontà delle parti –spiegazione di comodo data dalla stampa-, ma perché le 2 parti interpretano gli eventi alla luce di 2 memorie totalmente diverse, e che racchiudono 2 tra le memorie più importanti del 900: Israele, come noi, percepisce la storia attraverso la memoria della Shoa; il modo arabo la percepisce attraverso la memoria della colonizzazione, dunque Israele non è il paese dei sopravvissuti ma la retroguardia dell’occidente. Su questo non c’è composizione, è una divergenza fino ad oggi totalmente irrimediabile.

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• Es. minoranze russe nei paesi baltici, o in molte repubbliche ex sovietiche: una minoranza è tale quando non ha lo stesso accesso alle comodità. La prospettiva dei paesi ospitanti è la memoria storica della dominazione russa, tramite cui le minoranze vengono percepite come retroguardie della vecchia maggioranza, oppressiva.• Si parla di “globalizzazione democratica” e “demos globale” e “costruzione di una memoria globale”: qualche anno fa c’è stata l’occasione di costruirla (conferenza di Durban, Sudafrica): conferenza sul razzismo, che aveva tra gli obiettivi quella di cercare di costruire una memoria comune. Si è conclusa senza un documento comune, ciascuno ha scritto il suo, e questo solo 5 anni fa. Questo è un indicatore molto forte di eterogeneità. Quando si ha la possibilità e non si riesce a usarla, è perché ci sono delle differenze profonde persino di questo tipo “astratto”.- Questa difficoltà di convergere sulla memoria ha un corrispondente spaziale: in queste situaione dio non concordanza sul tempo, su ciò che è avvenuto, sul processo storico che ha portato alla situazione, non si riesce a concordare neanche sullo spazio del conflitto.• Questione israelo palestinese: una delle trappole mortali dei negoziati è che tutte 2 le parti si percepiscono come minoranze, come il soggetto debole e vulnerabile, non solo perché non concordano sul tempo ma soprattutto sullo spazio della propria vicenda: i palestinesi che vivono sotto occupazione israeliana percepiscono se stessi naturalmente come una minoranza. Il confine spaziale del conflitto è il confine del’occupazione o dello stato di israele, e in questi confini non c’è dubbio che israele sia la maggioranza. Il problema è che israele ha una visione diversa: a israele non interessa una pace separata con i palestinesi, perché il loro problema è con tutto il mondo arabo, il problema è l’intera regione, e nell’intera regione è israele la minoranza. Altra percezione è quella di Bin Laden: il confine del conflitto è il mondo, perché il conflitto è quello coloniale tra occidente e oriente: allora io come musulmano sono minoranza (israele è solo un pezzo dell’assedio). Tra queste non c’è una prospettiva giusta, se no quella de conflitto delle prospettive, che pesa enormemente sul negoziato: se non si sa chi è il più forte non si sa a chi spetta la prima concessione.• Es. serbi che vino in Kosovo, assediati: loro si percepiscono come minoranza perché il confine, lo spazio del conflitto che vivono, lo collocano in Kosovo, è li loro sono minoranza. I kosovari vedono il Kosovo come la minoranza uscita dall’oppressione, di cui i serbi sopravvissuti sono la retroguardia.

Finora ci siamo chiesti cosa significa omogeneità. Resta una questione che dal punto di vista teorico e politico è di grande rilevanza, e cioè come si produce questa somiglianza: è un dato di fatto (come sembra suggerire H. col concetto di civiltà) o è una costruzione sociale?

Questo problema è il tema centrale del costruttivismo: la letteratura politologica degli ultimi 15 anni ha insistito proprio sul carattere di costruzione sociale delle narrazioni comuni.Tuttavia non sfugge il rapporto tra questo problema e il problema del’appartenenza nazionale: quando parliamo di identità nazionale, dove vediamo l’origine di questa identità? Si nasce appartenendo o si sceglie di appartenere? Possiamo individuare 2 grandi percorsi (v. libro uscito a fine anni 80 primi 90, in cui nascevano nuove identità nazionale: Smith “L’origine etnica delle nazioni”; Smith propone 2 modelli e si riallaccia a una lunga tradizione che vuole l’eistenza di 2 percorsi):

• Modello etnico, o orientale, alla nazione: la nazione è il prodotto della politicizzazione di una identità precedente, fondata sulla comunanza storica, religiosa, di principi comuni, e da un certo momento in poi viene attivata politicamente sotto forma di nazione (es. concetto di nazione tedesca dell’800; nazioni della parte orientale del

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continente europeo: perché avviene nei paesi in cui la nazione ha preceduto lo stato, idea di creare uno “stato comune per tutti gli slavi del sud”: si parte dalla comunanza etnica e si ricava la concezione di stato-nazione).• Percorso civico-territoriale, o occidentale, alla nazione: simboleggiato dalla Francia e soprattutto dagli USA. Non fa più derivare l’identità nazionale da una comunanza etnica, ma da un patto (plebiscito quotidiano di Renard, una sorta di carta dei diritti e dei doveri: idea che chiunque può diventare francese). - Il caso USA è ancora più evidente: sarebbe stato impossibile costruire l’identità sull’appartenenza etnica, eppure c’è grande senso di identità nazionale; qui c’è un progetto di appartenenza comune, tra l’altro clamorosamente riuscito. - Un caso ancora più interessante è quello della Turchia di Ataturk, dopo la prima gm: la repubblica turca si pone immediatamente un problema di identità, perché viene dopo lo sgretolamento dell’impero turco: cosa significa essere turco nel momento in cui non c’è più l’impero turco? La prima soluzione è quella etnica: ricostruire la turchia come “la nazione delle popolazioni turchiche” etnicamente turche. Era una soluzione semplice, ma impraticabile per 2 ragioni: da una lato c’erano popolazioni di origine turca fuori dalla turchia (caucaso, asia centrale); l’altro problema era la presenza dei curdi nel proprio territorio, e non poteva escluderli. La scelta operata dunque è rigorosamente civico-territoriale: sono turchi tutti coloro che vivono all’interno della repubblica turca.

La nazione può essere costruita, reinventata, immaginata, o creata da un’appartenenza etnica precedente. Questo vale sia per la memoria che epr la cultura. La memoria in parte grava su di noi, ma in parte è prodotto della nostra manipolazione; qualunque soggetto politico reinventa continuamente la propria memoria (v. inconciliabilità israelo palestinese non è un contesto immutabile).

L’altra questione che interessa toccare riguarda le cultura, le appartenenze culturali. La cultura secondo Huntigton è un peso del passato, qualcosa che non siamo liberi di ridiscutere (tratta il problema, ed è convinto che nonostante i tentativi, v. turchia, non sia possibile). In realtà la questione è più complessa.• Es. inclusione o meno della turchia nella UE: chi non vuole farla entrare dice che la turchia non ha mai fatto parte di una cultura europea, e pertanto non può fare parte di una unione europea, questo è un discorso puramente culturalista che viene sempre proposto (v. Sarkozy). Poi c’è la contro risposta costruttivista: la turchia diventa europea nel momento in cui entra nell’UE, perché l’identità culturale p il prodotto del processo di integrazione, e non viceversa.

24 feb. 09

LA DIMENSIONE ISTITUZIONALE

Breve sunto, perché oggi toccheremo l’ultimo criterio di distinzione dei sistemi internazionali tra loro. Finora abbiamo visto 4 criteri:• Distribuzione del potere;• Dimensione temporale;• Dimensione spaziale o geopolitica;• Aspetto culturale e ideologico.

Resta un ultimo criterio, più complesso, che ha rapporti con gli altri: la dimensione istituzionale (le istituzioni della società internazionale).

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• Così come abbiamo distinto sistemi negli altri criteri (unipolari, bipolari, multipolari; globali, pre-globali; …regionale, globale?; omogenei, eterogenei), vediamo che si può avere dimensione istituzionale più o meno densa. Un modo di esprimere questo viene da uno studioso inglese contemporaneo: anarchie mature e immature (matura è anarchia internazionale mediata dalla presenza di istituzioni efficaci). Vediamo infatti che ci sono più o meno istituzioni e che contano più o meno sul comportamento degli attori.

Criterio più complesso perché:• La parola istituzioni richiede evidentemente una definizione; la definizione di scuola, che si è imposta, e che si applica di più all’espressione regime internazionale (ma sono sinonimi): insieme di principi, norme, regole e procedure decisionali sul quale convergono le aspettative degli attori in un determinato ambito delle relazioni internazionali; sulle quali finiscono per convergere le aspettative di tutti. - In un sistema anarchico è difficile avere aspettative sul comportamento degli altri (e viceversa): le istitFuzioni servono ad affrontare questo problema; si decidono insieme principi norme e regole alle quali ci si impegna ad attenersi (non vuol dire che non c’è spazio per violazioni, ma che chi commette violazioni sa di commetterla, e accetta la sanzione cui andrà incontro).1. Vi sono vari tipi di istituzioni: non solo formali (Onu), ma anche informali (v. protocollo di Kioto per l’emissione dei gas serra): si decide insieme sulla base di una valutazione più o meno comune del fenomeno. Altri esempi (tutti sono drammaticamente in crisi…) sono il regime internazionale del commercio internazionale (costruito per evitare l’incubo del protezionismo, che si creino blocchi commerciali contrapposti, fattori bellogeni non auspicabili nel sistema; si cerca di vietare di imporre barriere ai prodotti degli altri); sistema internazionale di non proliferazione (tipica istituzione nel senso che intendiamo, che vieta agli attori di acquisire armi di un certo tipo); più recente è il regime che vieta produzione e commercializzazione di mine anti-persona.

Come cambia il ruolo delle istituzioni dal contesto politico interno a quello internazionale? Che le istituzioni contino nella vita politica interna si sa (in una certa politologia si ritiene che studio della politica = studio delle istituzioni; si studia la politica tramite lo studio delle istituzioni politiche), ma il problema è più complesso e controverso nell’arena internazionale. Qui a prima vista ci si trova di fronte a una contraddizione: da un lato evocazione continua delle istituzioni, dall’altro anarchia, mancanza di governo. È possibile l’efficacia di istituzioni in assenza di governo? • Da almeno 200 anni siamo abituati a considerare le istituzioni, e il diritto stesso, come il prodotto di un sistema di governo (positivismo giuridico = diritto posto, posto da qualcuno). Questo è il fondamento delle 2 posizioni che sono le più estreme sul dibattito sulle istituzioni, ma che condividono la stessa premessa:- Realisti: in un sistema internazionale anarchico le istituzioni ci sono ma non contano nulla. Waltz: le istituzioni hanno 2 esiti possibili:• Se assecondano il potere funzionano (dunque non sono loro a funzionare ma i rapporti di potere sottostanti, sono “maschere”, ed è per questo che funziona così bene la Nato, perché gli Usa vogliono che funzioni).• Quando sono trasversali ai rapporti di potere non funzionano (v. Onu quando cerca di dettare la propria volontà agli Usa).- Idealisti (subito dopo la I gm): le istituzioni sono fondamentali nella vita internazionale, è necessaria una governance della globalizzazione, le istituzioni vanno create e fatte maturare, ma a condizione che si crei un’autorità centrale. Dobbiamo fare funzionare le istituzioni quindi dobbiamo creare un governo. Entrambe presuppongono il legame inevitabile tra istituzioni e governo.

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• Sono entrambe discutibili e rozze. Non è vero che il contesto debba avere un governo affinchè esistano istituzioni (questa è la storia degli stati degli ultimi 200 anni). Si sa invece che una serie di sistemi sociali hanno avuto istituzioni pur non avendo avuto un governo (v. società arcaiche senza stato, possedevano istituzioni ma non autorità centrale, funzionano sulla base di altri meccanismi anche sanzionatori quali vergogna, pressione sociale del gruppo; v. anche resistenza del mondo giuridico europeo all’idea che il diritto europeo debba essere posto: la polemica si apre nel momento in cui Napoleone esporta in tutta Europa il codice napoleonico –diritto posto- con l’idea di creare un diritto il più razionale possibile; a questa idea si contrappone la scuola storica del diritto –v. soprattutto Germania- che sostiene l’idea di un diritto che si crea da sé –immagine continuamente proposta è immagine di come si traccia un sentiero: si sa che c’è, si segue, ma nessuno ha deciso di tracciarlo lì, p il prodotto di una serie di comportamenti che si sono ripetuti). Non esiste inconciliabilità tra anarchia e istituzioni. Questo è il tema comune di 2 testi (Schmitt e Boulle) molto diversi per diversa formazione degli autori; entrambi ascrivibili alla corrente realista, ma non hanno niente a che vedere col realismo di Waltz perché per loro il carattere più fondamentale della storia delle rel int degli ultimi secoli è stata proprio la presenza delle istituzioni in un contesto anarchico (v. titolo ossimorico di Boulle “la società anarchica”). - Sono consapevoli che c’è differenza tra potere mediato dalle istituzioni e potere nudo e crudo. Il problema fondamentale è come sia stato possibile, al di là del ruolo indubbio del potere, che l’anarchia internazionale abbia somigliato così poco allo stato di natura di Hobbes? Cos’è che li discosta? Non solo la diseguaglianza di potere (v. Hobbes, perché altrimenti ad ogni scostamento si avrebbe la catastrofe); ci sono segmenti di continuità che non sono riconducibili nel potere ma nella società anarchica (per Boulle) o istituzione dello ius pubblico europeo (per Schmitt).

Le istituzioni ci sono, ma dove sono? Non guardano all’Onu (tardiva e irrilevante); le istituzioni che hanno dato forma alla vita internazionale sono altre (una principale più altre istituzioni, anch’esse oggi in crisi ma che hanno avuto ruolo centrale nella politica internazionale degli ultimi secoli).• Istituzione che entrambi mettono la vertice (perché risponde alla domanda principale: che requisito occorre per essere parte, soggetto, della società o del diritto?) è il principio di sovranità. Esso è istituzione perché:- Aspetto centrale, che rientra nella crisi dell’amministrazione Bush, è che la sovranità ha in sé un principio di reciprocità: sovranità non significa dire “io sono sovrano” ma “io sono sovrano e tu sei sovrano, godiamo delle stesse prerogative”: costituisce la soglia di accesso politico-giuridica all’accesso alla società (e pone quelli che non arrivano alla soglia tutti sullo stesso piano). Non è intuitivo perché richiede di riconoscere la reciprocità anche a chi non sopportiamo per i principi di cui è portatore (v. ragione per cui emerge in quel momento, come necessità di non mettere più in gioco la giustizia nel momento in cui non c’è più consenso sul suo contenuto sostantivo).• Differenza rispetto a Hobbes (e Waltz): è attore chi ha sufficiente potere da poter influire sugli altri; nella società internazionale moderna il potere non è mai stato sufficiente: si dovevano avere le carte in regola con l’istituzione della sovranità.• Primo gruppo di istituzioni maturate negli ultimi secoli, che ha come obiettivo preservare il sistema degli stati nel suo complesso (cioè evitare lo spettro della monarchia universale, nel linguaggio politico del 600): in questo senso sia Schmitt che Boulle a differenza di Waltz ritengono che l’equilibrio sia stata un’istituzione internazionale (e non un gioco di pesi e contrappesi, una sorta di mano invisibile nella politica). Equilibrio come codice esplicito della diplomazia europea, risultato assolutamente intenzionale, principio di fondo del proprio gioco diplomatico (v. da pace di Utrecht in poi tutte le grandi paci

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vengono sottoscritte in nome del principio di equilibrio). Equilibrio: gruppo di istituzioni esplicitamente diretto a conservare il sistema e preservarlo dallo spettro della monarchia istituzionale.• Secondo gruppo di istituzioni dirette non a preservare ma ad amministrare il sistema. Il problema si pone in modi diversi: - sistema delle conferenze internazionali: è una consuetudine, che si cristallizza, a riunirsi tutti quando qualcosa avviene che chiama in causa l’ordinamento nel suo complesso; la consuetudine è conosciuta in anticipo, si sa già che si dispone di uno strumento (V. fine della guerra russo-turca, conferenza che corregge i risultati della guerra; v. questione coloniale).• Altro gruppo di istituzioni è diretto ad assicurare la comunicazione (non c’è nello stato di natura, né nel sistema di Waltz: niente impone agli attori di istituire un meccanismo di comunicazione permanente). Il sistema internazionale moderno inventa l’istituzione della diplomazia: ha precisamente il ruolo di mantenere in collegamento permanente gli attori (v. sistema delle ambasciate permanenti, inventato nel 500; v. sistema delle immunità diplomatiche); non vengono né d anarchia ne da governi, sono istituzioni “inventate”.• Istituzione per eccellenza per Schmitt, che consente alla società di allontanarsi in modo più decisivo dallo stato di natura: istituzioni dirette a limitare la competizione (non eliminarla, sarebbe stupido pensarlo…). Limitare la competizione è fondamentale perché un contesto sociale possa operare. La competizione non ha limiti solo nella stato di natura di Hobbes. Per S. il problema primo di qualunque diritto internazionale è la limitazione della violenza, è su di esso che il diritto internazionale si gioca la sua dignità. La sua immagine dello ius publicum europeo è troppo buona, ma comunque vedremo come viene operato questo tentativo. - Per Schmitt lo ius publicum è proprio “razionalizzazione e umanizzazione della guerra”.- Quello che è importante da capire, perché ci troviamo nel pieno di una de-istituzionalizzazione della guerra, è che la guerra è si un portato dell’anarchia internazionale, ma allo stesso tempo è anche il punto di massima istituzionalizzazione della vita internaizonale. - Ma come si può confinare la violenza? Il diritto internazionale moderno ha trovato un modo efficace di rispondere alle 3 domande relative al confinamento della violenza (fuori da quello spazio si è al riparo):• Chi ha legittimamente diritto di ricorrere alla forza, e a quali condizioni? Nello stato di natura di H. questa domanda è improponibile (chiunque), ma occorre limitare la titolarità del ricorso all’uso della violena in un contesto internazionale ordinato.• Anche una volta che si ricorre legittimamente, che cosa si ha diritto di fare in guerra? Qualunque cosa per sconfiggere il nemico (per imporre la nostra volontà sulla sua, v. Klausevitz), o ci sono comunque oggeti e soggetti hcew non si possono colpire?• Che cosa è la guerra? Domanda fondamentale, perché il nostro ocntesto particolarmente sfortunato e comprensibile anche tramite questo: non disponiamo più di una nozione di guerra, non siamo in grado di distinguerla dalla pace, non c’è interpretazione condivisa.- Risposte.• (V. ius ad bellum: chi ha diritto…?) il sistema internazionale moderno ha risposto con la risposta più semplice (perché più univoca) possibile: (v. S. : il diritto internazionale moderno è classico perché capace di porre “chiare distinzioni”): gli stati. Lo ius bellum è attributo fondamentale della sovranità. Ma come funziona la relazione ius-sovranità-statalità?

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♦ S. definisce la guerra moderna come guerra non discriminante = in cui entrambe le parti (entrambi gli stati) hanno eguali diritti indipendentemente dalle loro ragioni (rimozione del problema giustizia, o della “giusta causa”, che ha condannato a secoli di guerre civili di religione; a questo si oppone la nozione di “nemico giusto”, cioè non che ha ragione ma che ha eguale diritto).♦ Qui comincia il silenzio di S.: la guerra non discriminante è allo stesso tempo discriminante al massimo grado se guardiamo alle relazioni degli stati con gli altri soggetti: tutti i soggetti diversi dagli stati non hanno diritto qualunque sia la loro giusta causa; esclusi dalla società, dal diritto, dalla guerra.• (v. ius in bellum: diritto in guerra) S. insiste sul fatto che non è vero che “il diritto cessa di operare in guerra”, ma nel momento in cui scoppia la guerra nasce un nuovo diritto (diritto di pace vs. diritto di guerra).♦ Questo diritto impone restrizioni ai combattenti, persino sui campi di battaglia (non tutto ciò che è in proprio potere è lecito né “degno” fare). Disciplina i comportamenti sui campi di battaglia. In ogni contesto storico vengono indicate cose indegne (es. no uso della balestra, no proiettili diretti a procurare sofferenze inutili, no uso di armi chimiche –v. eccezione di truppe irachene vs. iraniane, con la comunità internazionale che non ha alzato un dito, ed è uno dei motivi per cui ora l’Iran si rifiuta di ascoltare gli altri stati-). Questo tentativo di porre restrizioni potrebbe essere riassunto con l’espressione “codice cavalleresco” che vincola i combattenti al rispetto delle buone regole. ♦ Lo ius in bellum non significa solo questo: anche il tentativo di separare il campo di battaglia dai luoghi diversi; confinare la violenza sui campi di battaglia, preservando gli altri spazi. ♦ Obiettivo centrale è stato preservare degli uomini: creare attorno alla battaglia una rete di immunità. Questo obiettivo ha significato la distinzione tra combattenti e non. “equilibrio dell’estraneazione”: il non combattente rinuncia al diritto di portare le armi, e in cambio ha pieno diritto ad essere risparmiato. In questo senso “razionalizzazione” è per S. “umanizzazione”: guerra come attività specifica dei militari, da cui gli altri restano esclusi.• Ultima questione spesso trascurata nella riflessione sulla guerra; noi avvertiamo oggi che qualunque prescrizione di prima (“ius ad” e “ius in” bellum) presuppone una chiara definizione di che cosa sia “bellum”. ♦ Come la guerra si distingue da tutte le altre forme di violenza. Ciò che deriva dall’anarchia internazionale di H. non è la guerra ma la violenza, di cui la guerra è solo un pezzo, in forma interstatale e giuridica.♦ Come la guerra si distingue dalla pace: fondamentale affinchè si abbia ordine internazionale, è il nostro problema oggi.

(25 feb. 09)

Concludiamo la parte sui criteri, concludendo il discorso sulle istituzioni.

Ieri guardavamo alle istituzioni dirette a limitare la competizione. Viviamo in un contesto storico particolarmente sfortunato per un processo di de-istituzionalizzazione della guerra; non lo avvertiamo a sufficienza, perhcè le ultime guerre erano sempre tra un soggetto forte e uno debole: allora la de-istituzionalizzazione della guerra non appare iin tute le sue conseguenze. Questa è tuttavia una sorta di ipoteca che pesa sul futuro del nostro contesto istituzionale, nel caso in cui dovessimo capitare in guerra.

Altre istituzioni importanti che servono a limitare la competizione:

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• Il diritto internazionale: va considerato comunque come una creazione di grande rilevanza, a maggior ragione perché sviluppato come lo abbiamo noi non si ritrova in nessun altro sistema internazionale del passato, è un tessuto giuridico molto fitto.• Istituzione collegata, grande e che è bene richiamare in quanto anch’essa in crisi, è l’istituzione della neutralità. Esso si discosta parecchio dal contesto anarchico alla Hobbes: nello stato di natura non c’è posto per la neutralità, il gioco incombe su tutti. Neutralità è un tessuto di diritti e doveri: il paese che dichiara la propria neutralità (in una guerra o come status permanente) gode di certi diritti e si assume certi doveri (dovere di non immischiarsi in guerra, favorendo una delle due parti; è questo aspetto che salta nel corso del 900).

Il concetto di società internazionale (che è emerso nella lezione scorsa) è diverso da quello di sistema internazionale:• Sistema: richiede l’esistenza di relazioni permanenti tra le parti, presuppone una rete di interdipendenze. Requisito di appartenenza è possibilità di influire e essere influenzati dai comportamenti degli altri. È il concetto preferito nella politologia nordamericana degli ultimi 50 anni (tramite cui si è guardato alla politica internazionale).• Società: concetto introdotto dalla scuola inglese (v. Bull). È ulteriore ma presuppone il sistema (non si escludono): non si può avere società senza sistema (ma si può avere viceversa). Il sistema evolve, e passa da rete di interdipendenza a luogo di istituzioni; è una sorta di maturazione, ma sempre reversibile (può perdere i propri elementi societari e “regredire” a livello di puro e semplice sistema). Il rapporto tra sistema e società è significativo da pdv diacronico e sincronico: - diacronico perché vi sono più sistemi internazionali, che in certi contesti sono anche società e in altri no (v. sistema westfaliano si); perché il sistema evolva in società è necessario un fondo comune culturale (requisito che va diminuendo); - Sincronico: non tutti coloro che fanno parte del sistema fanno parte della società, sono ammessi nella società (es. posto dell’impero turco nella storia moderna: esso è parte del sistema europeo, ne combatte le guerre e fa parte delle macchinazioni diplomatiche, ma solo nel 1856 quando viene ammesso nel sistema internazionale europeo ha un riconoscimento formale, entra anche nella società europea; questa appartenenza è la lente tramite cui la Turchia vede la propria esclusione dall’unione europea). Lo “stato canaglia”, evocato continuamente nei documenti strategici americani, è uno stato che per eccellenza fa parte del sistema, ne è al centro (il suo comportamento è ossessivamente tenuto in considerazione); ma l’espressione canaglia significa che non è ammesso alla “comunità” internazionale (più forte ancora di società).

Quanto pesano le istituzioni nella vita internazionale? • Abbiamo risposte liquidatorie (v. realismo americano: le istituzioni non contano nulla), ma saremmo ingenui se negassimo che la vita delle istituzioni in un ambiente anarchico è molto più complessa che nella vita politica interna. Questo perché i principi, le procedure che costituiscono le istituzioni possono essere violate più facilmente in un contesto internazionale, soprattutto dai paesi più forti (cosa che i soggetti forti in un contesto politico interno). Ciò non significa che bisogna tornare alla risposta realista.• Innanzitutto le istituzioni non possono essere trattate tutte allo stesso modo: quelle con grado di maturazione maggiore e più consolidate pesano anche sui soggetti forti (es. diplomazia: l’amministrazione Bush, che parla di istituzioni come di “lacci”, in una sorta di dichiarazione esplicita di diritto alla violazione, non ha mai rapito ambasciatori iraniani, perché l’istituzione diplomatica è sentita molto forte per alcune istituzioni il tessuto di restrizioni è abbastanza evoluto).

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• Non solo: il fatto che una norma venga periodicamente violata non è sufficiente a togliere la giuridicità della norma. Ciò che importa è la rpesenza o meno del senso della violazione: in un sistema maturo si può violare la norma, ma occorre nascondere la propria violazione, o cercare pretesti; ci si sente comunque vincolati a spiegare il proprio comportamento. Questa è una differenza enorme rispetto a un contesto in cui questo vincolo non c’è.• In un contesto sociale istituzionalizzato si può decidere, sulla base di un calcolo strategico, di operare una violazione anche clamorosa (v. Germania), ma quando lo si decide occorre tenere conto delle conseguenze che avrà quella violazione (es. quando la Germania immagina la guerra futura mette in conto la guerra europea, sa che operando quella violazione gli altri saranno tutti contro. Una discontinuità importante dell’amministrazione Bush è la dottrina della guerra preventiva (introdotta nel 2002 “National security strategy”): lo sforzo argomentativo è quello di nascondere violazione; si sforza di dire che non c’è niente di nuovo, che si recupera un vechio srteumento del diritto internazionale (che non è vero! Non ha niente a che vedere con la legittima difesa preventiva!): ciò che è importante è che l’amm. Bush si senta di proteggersi dietro un pretesto. Anche la decisione di adottare le bugie esplicite per legittimare l’uso della forza contro l’Iran: è irrilevante che l’amm. Abbia deciso di mentire, non non ci siamo trovati nello stato di natura di H. perché proprio decidendo di mentire gli Usa hanno deciso di mantenere un rapporto con la società internazionale.

SDA

Questione che richiama temi già incontrati in scienza politica. Quando parliamo di istituzioni e assetti istituzionali, parliamo di qualcosa che viene instaurato, ha bisogno di tempo per consolidarsi, e a un certo punto entra in crisi (v. tema della democrazia: transizione instaurazione consolidamento crisi). Questo avviene nel tessuto istituzionale internazionale: questo tessuto ha avuto una fase di transizione (convivenza medievale e moderna) si è lentamente consolidato e negli ultimi anni ha cominciato ad entrare in crisi.• La crisi degli ultimi 100 anni viene da 2 momenti opposti, 2 problemi opposti: - Da un lato, fuori dell’Europa occidentale, un grave problema di istituzionalizzazione della vita internazionale che deriva dal fatto che le istituzioni costitutive in quelle regioni non sono ancora consolidate (problema aperto di consolidamento delle istituzioni del sistema internazionale moderno). Pare ci sia un processo di inversione del consolidamento (es. corno d’africa: non solo è collassata la Somalia, ma tutto ciò che ci aspetteremmo da una società internazionale non funziona; ma anche in Medioriente: negoziati non sono una rete di rapporti diplomatici tra stati che convivono e si riconoscono reciprocamente, non c’è scambio di rappresentanze diplomatiche, non c’è riconoscimento reciproco, non si può muoversi da un paese all’altro) il consolidamento della società internazionale in queste aree non è ancora avvenuto, il che non è sorprendente perché nella stessa Europa ha richiesto 3-4 secoli (es. idea di confine ancora faticava ad essere avvertito nel 700).- Dall’altro, la crisi istituzionale del 900, il tessuto istituzionale che aveva consentito di far maturare il sistema in società è entrato progressivamente in crisi nella stessa Europa. Nel corso del 900 c’è stata una crisi radicale delle istituzioni della convivenza internazionale (v. Bull e Schmitt: partono entrambi da questa constatazione, crisi irreversibile delle istituzioni dalla prima guerra mondiale –S. è più radicale-). Le istituzioni che sono entrate in crisi sono quasi tutte (esempi più macroscopici):• La diplomazia: la maturità di questa istituzione ha raggiunto il proprio massimo prima della I gm (v. diplomazia segreta dopo la I gm era la diplomazia);

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• La neutralità: ha perso in effettività (es. quando la neutralità viene violata), ma soprattutto ha perso il proprio ruolo perché ha cominciato ad apparire non plausibile (v. Schmitt: viene da una nazione che ha appena perso 2 guerre mondiali; vede nella crisi della neutralità il punto di convergenza di una serie di processi storici, ma uno degli elementi che ne segnano la fine è l’introduzione da parte di Usa di forme di neutralità qualificate: attori neutrali che però favoriscono una parte –v. legge affitti e prestiti: gli Usa non erano neutrali”! pretendevano la neutralità ma non stavano ai doveri dei neutrali-). La ragione fondamentale per cui la neutralità appare anche intollerabile è che richiede come presupposto l’indifferenza etica, il fatto che si possa assistere mentre altri combattono legittimamente. La guerra viene sempre più avvertita come scontro tra Bene e Male: la posizione del neutrale diventa insostenibile (v. modo di percepire la neutralità della Svizzera: ha preteso di essere neutrale come la sarebbe stata nel 700, ma ora non ne aveva il diritto).• Per eccellenza è stata spazzata via l’istituzione della guerra limitata: sono state dette falsità incredibili dopo l’11 sett 2001. non c’è nulla di inaudito, è stato una pallida replica di ciò che era accaduto in tutte le guerre del 900 (uccisione di civili c’è sempre stata come operazione militare preordinatamente rivolta verso di loro –solo ultimamente sono “errori”- OPPORTUNISMO INTELLETTUALE PENOSO NON INCLUDERE HIROSGHIMA E NAGASAKI; LA STORIA DEL 900 è UNA STORIA DI GUERRE TERRORISTICHE, CHE HANNO ADOTTATO IL BOMBARDAMENTO PREORDINATO DI CIVILI COME REGOLA FONDAMENTALE. Si massacrava sistematicamente i prigionieri, saltava la distinzione tra pace e guerra e la dichiarazione di guerra, è venuto meno il monopolio degli stati sulla violenza (non solo Bin Laden, ma tutto il 900!).• Istituzione della sovranità: S. capisce che è finita, ma la risposta moderna che principio costitutivo della società internazionale è la sovranità, è entrata in crisi nell’ultimo periodo. Chi è il titolare ultimo? Gli stati o singoli individui anche al di sopra degli stati? V. amm. Bush: tutti gli stati nella stessa misura oppure no? Questa è stata l’offensiva culturale dell’amministraizone Bush, basata su pagine e pagine della sinistra europea e americana. La risposta del’amm. Bush sarà stati democratici e no democratici meritano davvero gli stessi diritti oppure no? Oltre la sovranità va aggiunto anche l’elemento della democrazia. • Crescente crisi di effettività di queste istituzioni. Va almeno accennato alle ragioni di questa crisi (varie interpretazioni, non mutualmente esclusive).- La prima e più ovvia ragione per cui diciamo che la società internazionale europeo e il diritto internazionale europeo entrano in crisi è che non superano la prima grande prova del 900, cioè la I gm. Essa viene avvertita come una clamorosa e definitiva manifestazione di inadeguatezza. Esso è la prova per cui questi sistemi erano stati costruiti, e davanti cui dimostrano di non esser in grado di mantenere le proprie promesse. Non c’è più traccia di razionalizzazione. La società internazionale e le sue istituzioni escono profondamente screditati (Bull: la storia del 900 è la storia del tentativo mai riuscito pienamente di risollevarsi dopo l’incidente della prima gm).- Seconda, offerta dai materialisti (marxisti ma anche realisti), è che le istituzioni della vita internazionali come tutte le istituzioni affondavano le proprie radici in un determinato stadio di evoluzione dei rapporti economici sociali e delle capacità tecnologiche. La ragione della crisi è che questo tessuto internazionale no resiste al mutamento economico e tecnologico del 900 (v. trasporti erodono l’idea del principio di sovranità, v. idea di confine, che resta formalmente la stessa cosa ma cambia l’esperienza di confine; v. guerra: impatto dell’avvento del’aviazione sulle limitazioni alla guerra: il diritto precedente non contemplava la possibilità dell’aviazione di colpire il cuore del nemico

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senza passare dal suo esercito –ci si basava sulle nozioni di guerra di Klausevitz, e lui questo non lo poteva immaginare-).- Terza spiegazione (v. libro di Schmitt) riflette il concetto di nomos (= unità di ordinamento e localizzazione: il diritto è tale solo in uno spazio definito). La destrutturazione dello ius publicum europeum inizia già dal 1980, e si scatena fino in fondo in occasione della I gm, e la ragione è che esso perde sempre di più il proprio radicalmente spaziale, cessa di essere nomos. V. processo di universalizzazione del diritto internazionale: è ingenuo pensare che un diritto europeo che diventa universale possa vivere il proprio successo! In realtà muore proprio perché perde il rapporto con il proprio recinto spaziale, diventano norme puramente astratte (es. istituto del riconoscimento internazionale: riconoscimento è l’accertamento della ricorrenza di una fattispecie –se vengono soddisfatte condizioni il riconoscimento avviene- ma questo è astratto; all’interno del recinto, riconoscimento era una dichiarazione collettiva da arte dei soggetti interni che il nuovo stato non spaccava l’ordinamento complessivo, che poteva sostenerlo; allora era riconoscimento concreto, e dunque vero diritto). La società internazionale moderna muore per effetto della propria universalizzazione (v. White, lontanissimo da S., parla di deriva ellenistica: il tentativo di universalizzare il mondo greco ne rappresenta l’autodissoluzione).- La società internazionale moderna e il suo diritto vivono la crisi del 900 anche perché nel corso del 900 la politica internazionale vive una crisi di omogeneità culturale e ideologica. La società internazionale europea precedente era maturata sullo sfondo di una cultura comune e non sopravvive alla prova dell’irruzione dell’eterogeneità (es. rivoluzione russa).- Ultima ragione della crisi della società e diritto internazionale è la progressiva alterazione della distribuzione del potere. Il sistema era stato multipolare (sanzione e controllo reciproco), poi crisi radicale del multipolarismo del 900 fino a ingabbiarsi nei 2 sistemi di alleanze precedenti alla II gm, poi sistema bipolare, e infine avvento del sistema unipolare, che è dal pdv del diritto e della società internazionale è il più terribile perché c’è un soggetto che volendo non è più vincolato alle norme comuni, esso per definizione sfugge alla capacità di controllo e sanzione di tutti gli altri (v. auto rappresentazione dell’amm. Bush: Usa come paese custode della costituzione internazionale, ma proprio per questo esterno ad esso, al di sopra del diritto).

2 mar. 09

Abbiamo visto la crisi delle istituzioni nel corso del 900. ne abbiamo trascurata una: una sorta di erosione interna del tessuto istituzionale, che oltre ad essere una crisi di effettività ha costituito anche una profonda crisi di legittimità.• Le istituzioni costitutive della modernità hanno cominciato ad apparire sempre meno legittime, accettabili.• Questa corrente di crisi di legittimità è continua, investe il sistema da diversi angoli:- Il primo: a partire dagli ultimi 2 decenni dell’800 si diffonde l’idea che gli stati e la società internazionale degli stati nel suo complesso non siano più adeguati ad affrontare i principali problemi della convivenza internazionale (soprattutto i più emergenti; es. tentativi di gestire la crisi degli ultimi mesi). Sembra che la comunità internazionale degli stati non sia più in grado di gestire le grandi questioni comuni (es. questione delle comunicazioni postali e più tardi delle comunicazioni tout court: comunicazioni che di per se sono internazionali, e che per poter funzionare hanno bisogno di regolamentazioni comuni –risulta chiaro che soluzioni separate sono inefficaci-; problema ambientale: più cresce la sensibilità cresce anche la diffidenza delle capacità degli stati di gestire la situazione –quello che sta avvenendo va ancora nella direzione di aziona separata degli stati, e la percezione di inadeguatezza cresce anche su terreno economico crisi di efficienza: gli

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stati offrono beni pubblici, ma di fronte all’emergere di alcuni questioni danno l’impressione di non essere più in grado di offrirli separatamente-).- Un altro pezzo della crisi è la crisi di legittimità che investe questa società subito dopo la I gm: esperienza in cui la società internazionale e il suo diritto non funzionano, non riescono a mantenere le promesse; la trasformazione culturale delle I gm oggi è avvertibile in modo più raffinato: ad entrare in crisi non è solo l’idea di guerra (come strumento legittimo della democrazia, come strumento “limitato” agli stati coinvolti) ma tutte le istituzioni della società internazionale moderna (es. diplomazia segreta, che esce dissacrata dalla I gm –v. pubblicazione bolscevica dei trattati segreti-).- Ultimo colpo, forse mortale, alla legittimità così come era pensata prima, è quello inferto dalla II gm: esperienza dell’olocausto e degli stermini totalitari in generale. Ciò che avviene colpisce la società internazionale nel fondamentale principio di sovranità (idea che la sovranità debba essere l’ultima parola, il principio della non ingerenza, idea che per avere ordine occorre rimuovere il problema della giustizia) crisi di implausibilità (v. fatto che tutt’oggi, quando si è dovuta operare una violazione del principio di sovranità –guerra del Kosovo del ’99: manca autorizzazione dell’Onu-, per legittimarla si rievocò l’olocausto: sta avvenendo un genocidio, pertanto le norme che vietano l’ingerenza devono essere sospese: vengono messi da un lato il rispetto del diritto, dall’altro l’appello a un principio di legittimità superiore; v. libro di Waltzer del 77 Guerre giuste e guerre ingiuste: riflessione etico politica sulla guerra de Vietnam, nuova edizione nel 2000, in cui dice di non averlo toccato salvo un problema: quello dell’intervento: oggi il problema è che le opinioni pubbliche si trovano il problema di quando è giusto intervenire malgrado la sovranità di qualcun’altro). • Questa è la corrente di erosione della legittimità, e qui avviene uno scarto radicale nella storia del 900: per far fronte da un lato alle nuove emergenze, dall’altro all’inadeguatezza generale, nascono un numero impressionante di nuove istituzioni (900 secolo di proliferazione istituzionale, così intensa che quando parliamo di istituzioni internazionali non pensiamo alla diplomazia o alla guerra o alle conferenze internazionale, ma all’Onu, Banca Mondiale, Ue, che hanno in comune il fatto di essere recentissime: queste hanno tolto quasi totalmente la consapevolezza che anche prima del 900 c’erano diverse istituzioni e non un deserto istituzionale; piuttosto siamo vivendo un passaggio tra tipi diversi di istituzioni). - Tipi di istituzioni negli ultimi 15 anni, diversissime tra loro: • settoriali (es. poste) vs. universali (es. Onu)• Regionali vs. universali• Anche quelle senza macchina organizzativa, e che pian piano se ne dotano: Mercosur in America Latina• Istituzioni che non si tradurranno mai in organizzazioni internazionali: divieto di produzione e commercializzazione delle mie antipersona.- Tutte queste nuove istituzioni (nuove!) hanno in comune tratti che le differenziano dalle istituzioni del passato: • hanno grado di consolidamento basso, e • non muovono tanto dal principio di sovranità quanto dal bisogno avvertito di una progressiva erosione della sovranità (ciò che siamo abituati ad aspettarci da un’istituzione che funziona è che viva della disponibilità degli stati di cedere porzioni di sovranità; v. varo dell’Euro)• Altro elemento: le due grandi organizzazioni universali (Nato e Onu), che arrivano a sottrarre agli stati al prerogativa dallo ius belli, sono diverse dalle precedenti perché evocano un modello di convivenza internazionale opposto: non fondato sul pluralismo degli stati ma che lo vede come un problema (v. segnale linguistico di questo passaggio: l’espressione “società internazionale” è progressivamente sostituita

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dall’espressione “società globale”: questo aggettivo non è opposto a locale, ma opposto a internazionale: globale è società universale non pluralistica, non fondata sulla molteplicità di stati differenti e con confini, ma sul supermanto delle categorie politico giuridiche moderne in cui aveva senso la distinzione tra interno e internazionale; qui non c’è più spazio per interno e esterno, il globale è luogo della confusione, del contagio; v. uso dell’aggettivo postmoderno = tipo di relazioni che sfugge alle categorie politico giuridiche della modernità, che avevano creato la distinzione tra sfera interna e internazionale, e che l’avevano proiettata nello spazio politico; la guerra globale è guerra civile su scala planetaria; v. globalità della crisi economica).- Cosa comporta l’avvento di queste nuove istituzioni (questione mai affrontata in modo esplicito)? Ci siamo posti sempre la domanda di qual è la condizione più stabile. L’avvento delle nuove istituzioni ha aumentato o indebolito il grado di stabilità del sistema internazionale (è più o meno stabile di 100 anni fa)? V. faziosità nei testi dell’esame: • La prima risposta è quella che prevale nella teoria contemporanea delle relazioni internazionali e diritto internazionale, nelle retoriche della Ue: l’avvento delle nuove istituzioni ha comportato un netto progresso istituzionale. 900 come secolo di crescita istituzionale, di contenimento dell’anarchia istituzionale.• Seconda risposta (v. Bull, White): crescita del tessuto istituzionale, ma diminuzione della qualità complessiva della vita istituzionale: abbiamo assistito ad un declino istituzionale. Le convinzioni della vita istituzionale vengono meno, hanno un grado di consolidamento incomparabile rispetto alle altre del passato (v. declino dell’istituzione guerra: non siamo più in grado di dare forma alla violenza). Il libro di Scmhitt poi da un bilancio catastrofico: è la storia della fine dello ius publicum europeum, 900 come secolo non di declino ma di collasso istituzionale vero e proprio.- Cosa possiamo dire già di questa transizione?• L’avvento delle nuove istituzioni non si è semplicemente aggiunto all’architettura istituzionale precedente: le vecchie e le nuove istituzioni sono inconciliabili tra di loro (non transizione ma competizione istituzionale). Rispondono a principi diversi, suggeriscono politiche diverse, e quindi tendono ad entrare in conflitto.• Specificatamente alle nuove istituzioni (quelle cresciute nel corso del 900), possiamo dire che non sono ancora consolidate (che non vuol dire che non possano maturare), non hanno ancora raggiunto un grado di maturazione tale da poterci consentire aspettative ragionevoli sul futuro: la riproduzione delle aspettative è il compito più importante delle istituzioni, e queste istituzioni permettono aspettative deboli (v. questione dei diritti umani: c’è consapevolezza collettiva, ma non c’è un regime che consente a chi vive queste situazioni di aspettarsi un intervento della comunità internazionale). ♦ Il problema più tipico delle istituzioni deboli è quello di non riuscire a paliare le conseguenze delle differenze di potere tra gli attori (che è quello che ci aspettiamo; si dice che le istituzioni sono tanto pi consolidate quanto più sono in grado di ridefinire le gerarchie degli attori). Noi abbiamo clamorose diseguaglianze di diritti a seconda del potere del singolo attore (v. regime internazionale di non proliferazione delle armi di distruzione d massa: è un regime NON dotato di universalità; in realtà è un regime di “proliferazione selettiva”, che autorizza alcuni attori e altri no! V. decisione dell’amministrazione Bush che, mentre esercitava pressioni sull’Iran per la stessa questione, dava via libera al nucleare in India; attenzione all’errore dei realisti: è sempre stato così, ma solo entro erti limiti: le istituzioni hanno un grado di consolidamento a seconda di quanto riescono a vincolare anche attori forti).• Ultima osservazione è che indipendentemente da come andrà la transizione (non si può dire se si tornerà a una convivenza interstatale pura o se si andrà verso una società globale, o ancora se si andrà verso un terzo risultato di combinazione) ci troviamo in una situazione di “transizione” (=condizione in cui convivono assetti istituzionali diversi).

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Il primo risultato che si ottiene un indebolimento delle aspettative (si apre spazio per opportunismo degli attori: si attinge di volta in volta a pezzi diversi dell’ordinamento, es. sottrazione di quote di sovranità all’Iraq, di controllo territoriale ecc. in particolare furono stabilite zone di non-volo, controllate dalle aviazione dei paesi vincitori, il sud a protezione degli Sciiti e il nord protezione dei Curdi. La zona nord fece si che le rivendicazioni curde crescessero anche in Turchia, che chiesero alla comunità internazionale una protezione simile a quella dei loro simili Iraqeni. L’amministrazione Usa rispose dicendo che la questione curda in Turchia rientrava pienamente dalla sovranità turca, e valeva il principio di non ingerenza!; altro caso ancora più imbarazzante si pose nel 98 con la questione del Kosovo nei Balcani: ultimi mesi del 98 la comunità internazionale decide una forma di ingerenza in Kosovo a protezione degli albanesi; in particolare l’Osce riesce a ottenere il diritto di installare una missione di 2000 osservatori con il compito di vigilare che le truppe non colpiscano gli albanesi. Negli stessi anni sulla logica di un precedente l’allora presidente palestinese Arafat chiese alla comunità internazionale di inviare in Palestina 2000 osservatori –nello stesso numero c’è uso esplicito del precedente Kosovaro-. La comunità di uovo si trovò a dire di no dopo aver detto di si casi come questi tendono a produrre continuamente un conflitto di legittimità, e tendono a indebolire il senso della violazione – se il tessuto di norme è debole o lacerato all’interno anche il senso della violazione può essere aggirato).

Introduzione sulla politica estera.• Il passaggio da questo tema a quello della politica estera è radicale dal punto di vista teorico. Abbiamo finito con oggi di rispondere alla domanda “come è possibile distinguere un contesto internazionale da un altro”, con quali criteri (dalla distribuzione del potere al grado di maturità del tessuto istituzionale).• Ora cambieremo livello analitico: finora contesto internazionale, da ora attori che popolano il contesto internazionale (singoli stati e singoli decisori politici): all’interno di un contesto qualunque esso sia, come operano gli attori? Parleremo di politiche estere, non di politica internazionale (della politica che ogni attore fa nel contesto internazionale).• La domanda fondamentale sarà: stati diversi fanno politiche estere diverse oppure no? E in particolare è vero o no che gli stati democratici si comportano diversamente da tutti gli altri stati? (l’idea che le democrazie siano migliori non solo la proprio interna ma anche nella conduzione della politica estera è insita non solo nella amministrazione Bush, ma anche nella nuova amm. Obama e nelle amm. europee).

(3 mar. 09)

Concludiamo la parte sulla politica estera tra oggi e domani. Parlare di politica esterna significa cambiare la prospettiva, o meglio il livello analitico. Dagli anni 50 (fase di sviluppo attuale della disciplina) si è iniziato a distinguere 2 livelli analitici di studio delle relazioni internazionali:• Livello di sistema: caratteristiche e peculiarità dei sistemi internazionali• Livello del singolo attore: il sistema internazionale è un insieme di interdipendenze politiche e strategiche tra attori: da ora anziché guardare il contesto guardiamo al comportamento dei singoli attori. Questione fondamentale: è vero che tutti gli attori si comportano allo stesso modo? Le condizioni di costrizione (Waltz) sono così forti da non lasciare alcun margine di libertà di azione agli attori, se pur diversi. Il sottinteso di questa domanda (centrale) è se e quanto è vero che gli stati democratici si comportano diversamente dagli altri, o meglio se fanno politica estera democratica (vedremo entro quali misure è plausibile o meno).

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Politica estera = (tanti modi di definirla) è una politica pubblica (come sanità, istruzione, ecc); occorre vedere cosa ha di specifico rispetto alle altre politiche pubbliche (vediamo le differenze macroscopiche dato il poco tempo):: elementi di specificità:• Strumenti della politica estera: strumenti tipici della politica estera sono la forza e la diplomazia (di cui la politica estera è una combinazione). Esse sono nella politica estera quello che guerra e pace sono ella politica internazionale nel suo complesso (riflesso interno dell’oscillazione tra guerra e pace).- Considerazione importante: forza e diplomazia non sono mutualmente esclusive: la politica estera è una combinazione (storicamente variabile) delle 2; da un lato minaccia e anche uso della forza possono fare parte dell’attività diplomatica (es. costante storica della GB: prassi di mostrare la bandiera davanti alle flotte di altre nazioni?; succedersi continuo di manovre aeronavali americane nel golfo persico davanti alle coste iraniane: ricorda che si sta trattando, ma c’è anche la possibilità di fare altro), dall’altro anche nel pieno di ostilità militari i canali diplomatici raramente si interrompono (es. mai interrotti durante I gm, II gm, tutti i grandi conflitti degli ultimi 20 anni: esempio più eclatante è la questione israelo-palestinese: fasi continue di conflittualità estrema ma con canali diplomatici aperti; Usa considerano l’Iran uno stato canaglia, ma lo considerano continuamente nelle proprie questioni diplomatiche ed economiche).• Rivolta specificamente all’ambiente internazionale: politica pubblica indirizzata da uno stato non al proprio interno ma all’esterno. Nel sistema vi sono interdipendenze tra gli attori, ma anche tra le politiche estere degli attori, che si influenzano a vicenda (es. scambio tra Putin e Obama: O. ha richiesto il ritiro del progetto di scudo antimissile in cambio di appoggio nella guerra contro l’Iran; v. tentativo di definire questa vicenda come vicenda più importante, e rilettura delle atre vicende in relazione a questa).- Questa considerazione solleva una delle questioni dominanti della politica estera: cosa conta di più (di cosa è il prodotto la politica estera) nella presa di decisioni della politica estera, il gioco politico interno o quello esterno, le condizioni di costrizione degli attori?• Una soluzione propone il primato della politica estera. Waltz, ma già a fine 800 incontriamo questo problema in forma paradigmatica, propria della storiografia tedesca: la politica estera viene spiegata in termini di primato della politica internazionale (la politica estera è il prodotto delle condizioni ambientali). Di questo primato abbiamo 2 versioni:♦ “Debole”: idea che la politica estera sia un gioco a se stante. Idea tipicamente 800esca della politica estera come politica di gabinetto, pensata e gestita da professionisti; il gioco della politica esterna è dominio esclusivo di diplomatici e militari, e deve restare separata da quella interna. Le caratteristiche interne degli attori non contano nulla (ogni attore sottoposto a una determinata situazione agisce nello stesso modo); le differenze tra politiche estere dipende esclusivamente dalle diverse costrizioni ambientali.♦ “forte”: idea che le pressioni ambientali non solo determinino la politica estera, ma anche il modo stesso di organizzazione degli stati al proprio interno (idea di prevalenza assoluta). Se gli stati hanno caratteristiche specifiche non è tanto per caratteristiche endogene quanto per il loro ruolo nella politica internazionale. Questa visione si ha nelle teorie nazionalsocialiste, ma anche nelle teorie della dependencia (filo marxiste, che spiegano la dipendenza dell’America Latina come prodotto della gerarchia internazionale).• L’altra soluzione propone il primato della politica interna: ♦ Versione debole: idea che quali che siano le pressioni dell’ordinamento internazionale, quello interno degli stati è totalmente autonomo. Le dinamiche fondamentali degli stati possono essere spiegate guardando all’interno degli stati (es. Italia

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degli anni ’60-’70: problema del grado di autonomia dei problemi dal contesto internazionale: essi nascono da difetti di sviluppo o dall’architettura complessiva della guerra fredda? V. alcune interpretazioni dello stragismo, e del terrorismo anni ’60, viste talvolta come prodotto endogeno altre come prodotto del contesto di guerra fredda).♦ Versione forte: ribalta la storiografia tedesca di fine 800: se noi vogliamo comprendere la politica estera dobbiamo osservare la connotazione politica ed economica del paese che la fa. Anche qui 2 versioni della prevalenza della politica interna (una fortemente criticata nel libro di Waltz ): Teorie imperialiste: W. le indica come riduzionistiche Democrazia: idea che la politica estera di un paese democratico sia democratica (il carattere democratico spiega il modo di fare politica estera). Il punto massimo di elaborazione di questa teoria è la teoria della pace democratica (o della pace separata tra democrazie), che vuole che le democrazie non si facciano guerra tra di loro.• Osservazioni su questi 2 primati e sul modo in cui si succedono:♦ La teoria del primato della politica interna si sviluppano soprattutto nel corso del 900. nei secoli precedenti domina l’idea opposta. la successione non è casuale: le teorie dell’800 riflettevano una realtà storica effettiva in cui la politica estera era davvero un gioco separato, e davvero chi faceva politica estera non doveva rendere conto all’opinione pubblica. Questo diventa sempre più irrealistico nel corso de 900: la possibilità di separare politica estera e interna diventa per tutti gli attori diplomatica, a causa della mobilitazione e nazionalizzazione delle masse (ovunque).♦ Peso della dimensione internazionale e interna cambiano anche all’interno dello stesso contesto storico a seconda della situazione concreta che si affronta. Vediamo le 2 situazioni limite: Condizione disperata (reale o percepita): v. caso dell’incendio in una casa con un’unica uscita: non c’è bisogno di conoscere motivazioni, scelte ideologiche e culturali degli attori, perché è facile aspettarsi che tutti facciano la stessa cosa. Questa situazione si presenta quando un attore avverte se stesso, a torto o a ragione, in condizione di assoluta vulnerabilità (es. II gm: anticomunista viscerale come Churchill non è libero di scegliere e perciò si allea con l’Urss; guerra fredda). Caso opposto: non estrema necessità, ma assoluta libertà di azione (reale o percepita); perché nettamente più forte degli altri, perché ha appena vinto una guerra, perché non avverte l’esistenza di competitori significativi. In questa situazione inevitabilmente le condizioni interne pesano molto di più: la politica estera viene vista come possibilità di esportare i propri valori, di plasmare il mondo secondo i propri principi (v. amministrazione Bush).♦ Questi sono casi limite, perciò generalmente la politica estera non è ne l’una ne l’altra. Per capire la politica estera occorre guardare alla combinazione di politiche estere e interne, occorre pensarla come un gioco a 2 livelli (l’attore gioca contemporaneamente sui 2 tavoli; una buona scelta di politica estera non indebolisce i paese neanche all’interno) es. esempio di dissociazione, anche nel linguaggio, è dato dalla politica estera russa degli ultimi 15 anni: da lì impressione di seguire contemporaneamente 2 binari: politica estera di acquiescenza, ha ceduto su tutto perché non ha potuto fare altro, il linguaggio invece mostra che la Russia ha sfidato tutti gli altri paesi sempre → politica giocata contemporaneamente su tavolo internazionale e interno: accreditava la sua immagine davanti agli attori interni usando questo linguaggio). Es. Problema rimasto costante dopo la guerra fredda: condizione di vulnerabilità Usa; quando è finita la guerra fredda (e quella condizione), l’opinione pubblica Usa ha chiesto di fare sempre meno fuori e sempre di più dentro il paese (v. Clinton vinse perché promise una “domestic storm” anziché la “desert storm” che era stata la guerra

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contro l’Iraq; perse contro Bush perché questo fece la stessa promessa, dicendo che erano stati i democratici a dissanguare il paese facendo cose inutili; anche Obama ha fatto questa promessa, che vince sempre perché fa pensare al risparmio, ma ora è destinata a crescere data la crisi). Altro esempio, che spiega perché (anche) è difficile il negoziato israelo palestinese: non si considera a sufficienza il fatto che vale anche per Israele e Hamas il problema di trovare la migliore combinazione tra determinanti internazionali e interne. Il negoziato viene descritto come se fosse il gioco diplomatico dell’800 (si incontrano e si fanno concessioni). In realtà dall’inizio del negoziato le fasi di accelerazioni del negoziato hanno coinciso con le fasi di segreto del negoziato (quindi operando come un negoziato dell’800). Non è che una volta arrivati vicini alla pace qualcuno si tira indietro; è che ogni volta che ci si arriva chi ha negoziato deve andare a dirlo all’opinione pubblica, che spesso non è d’accordo, e fa resistenza! La politica estera non è un gioco puro, ma una combinazione continua spesso inconciliabile! Arafat era prigioniero delle promesse fatte al proprio popolo. All’inizio del negoziato si sono proposte cose che non si sarebbero potute mantenere (si diceva che si avrebbe avuto tutto e ceduto niente).♦ La politica estera italiana ha sempre fatto fatica a conciliare i 2 tavoli. Es: guerra in Kosovo come psicodramma per la poltica italiana. Fu condotta da Dalema, ex comunista, che si trovava in una doppia difficoltà: guerra come rito di iniziazione ad un nuovo tipo di politica estera italiana (fondamentale all’interno, per dimostrare efficacia del propiro governo e del proprio partito; fondamentale all’esterno per importanza degli alleati, tutti implicati nella guerra, e per zona balcanica stessa come strategicamente importante). C’era un altro problema interno: problema di tenere insieme la propria coalizione, gran parte della quale non voleva fare la guerra, e venne convinta sotto la minaccia di una caduta del governo. Il risultato fu la partecipazione politica diplomatia e militare alla guerra (importante sia per appoggio logistico che per intervento diretto). L’italia partecipò, ma finse di non partecipare (“i nostri aerei partono ma non bombardano, se tornano senza bombe è perché li hanno perse in mare!”). il dipartimento di stato americano ringraziò l’itali come paese che aveva dato il contributo più importante alla guerra (cosa clamorosamente false ma anche molto imbarazzante per l’italia).♦ La tensione tra le due determinanti, interne e internaizonali, pesa su tutti i paesi (democratici e non), ma nei paesi democratici ha un riflesso istituzionale diverso: la logica tradizionale 800esca della ragion di stato ha un riflesso di stato in tuttii i paesi democratici, e cioè i servizi segreti e di intelligence. Essi rispondono a una logica diversa da quella democratica (v. idea che il servizio segreto è deviato per natura): non può avere una logica di trasparenza democratica, altrimenti si condannerebbe a non poter operare. La tensione tra trasparenza e sgreto è il riflesso della tensione tra oltiica interna e internaizonale. È in grande misura ineliminabile. V. Panebianco: tratta alcuni dei paradossi che le democrazie incontrano nella politica estera: in particolare queste 2 logiche.

4 mar. 09

Ci poniamo 2 domande:• Chi fa politica estera? • Gli stati democratici fanno una politica estera peculiare?

Chi fa politica estera. Abbiamo un modo tipico e intuitivo di spiegare la politica estera degli attori: quando qualcuno prende decisioni di politica estera tendiamo a personificare gli stati (es. la Germania ha fatto questo).

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• Classica domanda di politica estera: perché gli Usa hanno invaso l’Iraq nel 2003? Varie risposte, ci dobbiamo chiedere come ci si è giunti. - Ci mettiamo al posto degli stati uniti e ci chiediamo cosa avremmo avuto in mente: personificazione + identificazione, che a sua volta presuppone che tutti gli attori agiscano in modo razionale, o meglio con lo stesso nostro codice di razionalità. La spiegazione per noi c’è nel momento in cui troviamo un motivo che a noi risulta razionale.- Questo è il modello prevalente nelle scienze sociali, e nel modo di spiegazione di giornali e attori politici. Questo modello si fonda però su 2 finzioni (non necessariamente da condannare, perché condizioni per un linguaggio efficace):• Unitarietà degli attori: ci immaginiamo gli stati come se fossero soggetti unitari, come se fosse lo stato stesso a decidere.• Razionalità: gli attori di fronte a problemi simili calcolano le loro mosse con processi simili.- Il modello dell’attore razionale è spesso l’unica possibilità che abbiamo noi di spiegare le decisioni politiche (non possiamo sapere chi le ha prese e come ci è arrivato): fare “come se” è una interpretazione parsimoniosa e spesso efficace.• Altro esempio: decisione di Saddam di invadere il Qwait nel 1991.♦ Non abbiamo accesso a fonti interne del gruppo decisionale che ha preso quelle decisioni, per cui l’unico modo di arrivare ad una spiegazione è applicare il modello che abbiamo visto.- Il modello dell’attore razionale però non risponde alla nostra domanda, chi prende in concreto le decisione. Ci sono 2 modi di rispondere, che partono dalla constatazione esplicita delle 2 finzioni precedenti.• I modello alternativo fa a meno dell’assunto della unitarietà degli attori. Se e quando possiamo dobbiamo andare fino in fondo (guardare gli archivi, sapere i soggetti specifici che hanno determinate cose –v. libri testimonianze-), guardare dentro la “black box” dello stato, considerandolo non come attore unitario ma guardando chi dentro lo stato ha preso la decisione. Così possiamo studiare la politica estera così come si studiano le altre politiche pubbliche. La prima cosa che scopriamo facendo così è che la decisione viene presa da soggetti, burocrazie, partiti, in competizione tra loro; la decisione non è risultato di un calcolo di un attore razionale, ma è il risultato di un gioco di contrattazioni, opportunismi, percezioni sbagliate; è il risultato del fatto che ciascun attore non pensa solo allo stato ma anche agli interessi propri e della propria organizzazione. Il gioco di contrattazione non investe solo la decisione come tale ma anche il modo in cui viene realizzata (es. durante la guerra del Vietnam e del Golfo e contro l’Iraq, le diverse forze armate degli Usa hanno giocato una competizione continua tra di loro su chi dovesse fare cosa, per dimostrare di essere più importanti delle altre; v. riviste di relazioni internazionali presentano vari articoli che ruotano intorno alla domanda se l’aviazione possa fare o meno da sola.♦ Si scopre anche che il gioco di contrattazione spesso è anche un gioco di inganni: i diversi gruppi che partecipano alla presa di decisione finiscono per truffare gli altri (es. modo in cui l’intelligence americana –attore fondamentale perché raccoglie le informazioni sulle quali viene presa la decisione- raccoglie informazioni: non è detto che non sia un processo deviato. Decise di leggere la rivoluzione cubana alla fine degli anni ’50: la presenza comunista c’era ma non era maggioritaria, mentre l’intelligence volle dare all’amministrazione questa idea, suggerendo una politica che l’avrebbe resa davvero maggioritaria. Caso più recente è quello della zuffa sull’Iraq: episodio del non ritrovamento di armi di distruzione di massa usato a giustificazione dell’attacco; qui inizia la polemica tra amministrazione e intelligence –chi ha truffato chi?-; l’intelligence ha sbagliato, ha dimostrato di essere a pezzi. I democratici hanno replicato che l’intelligence ha sbagliato perché gli è stato suggerito di sbagliare caso di interazione competitiva).

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• II modello: non solo guardare dentro la scatola nera dello stato (confutando la finzione della unitarietà), ma anche mettere in discussione la finzione della razionalità. Se si vogliono comprendere i processi decisionali, occorre studiarli come processi non razionali; occorre anzi guardarne le patologie, che fanno si che gli attori non decidano affatto come attori razionali ma sulla base di una serie di pregiudizi e interpretazioni sbagliate della realtà, le patologie dei “pensieri di gruppo” (spirale conformistica, per cui tutte le informazione che contraddicono il quadro iniziale vengono scartate; v. esagerazione della propria importanza) (es. studi sulle personalità dei leader –Hitler e Stalin- suggeriscono che parte delle decisioni politiche on va spiegata in termini di razionalità ma di idiosincrasie o addirittura patologie; es. frattura tra Obama e McCain: formazioni molto diverse: McCain aveva combattuto una guerra, e questa esperienza aveva formato la sua visione del mondo nel bene e nel male –v. rifiuto della tortura-; Clinton e Obama non hanno esperienza della guerra, e questo segna un modo di guardare il rapporto tra minacce e guerra che i qualche misura è diverso –senza parlare di pacifismo-; es. articolo di fine anni ’90 di Kissinger in cui si pone la domanda, continua negli anni ’90 e che spiega certe rigidità della decisione di Bush, sul perché la politica estera Usa degli anni ’90 sia stata così discontinua. L’interpretazione di K. È che a differenza degli anni precedenti, il gruppo decisionale attuiale comprende generazioni diverse con diverse esperienze della politica: Bush padre ha combattuto la I gm e vissuto la guerra fredda, molti sono reduci della guerra fredda -molti hanno combattuto in Vietnam-, e poi ci sono uomini più giovani che non hanno vissuto esperienze di “minaccia all’America”. Questa era una forzatura, ma con elementi interessanti; es. europeo è il cosiddetto antiamericanismo degli ultimi anni: l’antiamericanismo di oggi è diversissimo da quello prima fascista poi comunista italiano. La differenza è il fastidio verso l’arroganza americana propria dell’antiamericanismo di oggi, che nasce da un’esperienza completamente diversa: motivo della riconoscenza verso gli Usa, dovuta perché ci hanno salvato da II gm e guerra fredda. Questa riconoscenza è destinata ad invecchiare man mano che si allontana l’esperienza della guerra; è destinata a non funzionare più come elemento di continuità nel rapporto transatlantico- v. perché è ancora molto sentita dai paesi dell’ex unione sovietica, più recentemente aiutati dagli Usa-).• Finora abbiamo parlato di esperienze individuali dei singoli attori, ma possiamo ampliare il discorso alle esperienze collettive: il gruppo di cui si fa parte tramanda e impone la sua memoria, che in parte diventa nostra memoria e codice di interpretazione del mondo.- V. uso di precedenti, spesso usati in modo ideologico perché ci si aspetta che l’opinione sia effettivamente modificabile (es. citazione della conferenza di Monaco da parte della GB sull’appeacement: si disse che se Saddam aveva preso il Qwait dopo avrebbe preso L’Arabia Saudita; questa considerazione era ingenua, ed l’appeacement fu un modo di incoraggiare l’attore aggressivo, non il contrario; es. precedente della sconfitta in Vietnam: dal pdv americano non è solo una sconfitta, ma una lezione determinante di una guerra che si è persa e che non si è mai deciso di combattere –era il prodotto di una serie di decisioni incrementate-. Questa immagine negativa ah pesato in due momenti cruciali del dopo guerra fredda: operazione in Somalia del ’93, in cui mettono il loro prestigio internazionale pur non essendo la Somalia un paese centrale –v. show che si fece dello sbarco-. Gli Usa persero 18 uomini in un giorno la mercato di Mogadiscio, e si chiesero cosa fare: decisero di rimandare a casa immediatamente il proprio contingente, anziché aumentarlo, proprio perché temettero la sindrome vietnamita. L’altro caso è il modo dell’amministrazione Bush di gestire il dopoguerra in Iraq: gli Usa non aumentano il contingente per ragioni ,oltre che tecniche ed economiche, che hanno a che fare col precedente –se aumento il contingente, come chiedevano i militari perché per loro era

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impossibile controllare un territorio così vasto, evoco lo spettro del Vietnam: ci vollero 5 anni prima di ampliarlo).

Seconda questione: sistemi politici diversi hanno politiche estere diverse? E in particolare i regimi democratici fanno politiche estere peculiari? (domanda che avvicina la riflessione delle relazioni internazionali a quella della scienza politica).• Possiamo innanzitutto dire quello che già ci aspettiamo, e cioè che così come nella conduzione delle politiche pubbliche in generale anche nella conduzione della politica estera i regimi imprimono nelle decisioni che prendono i propri caratteri fondamentali. Questo vale per tutti i tipi di regimi (anche non democratici, - v. differenza tra regimi autoritari e totalitari: i primi, caratterizzati dal fatto di essere fondati sulla smobilitazione e non avere un’ideologia dominante, tendono a fare politiche estere molto prudenti in quanto vi vedono un rischio di indebolimento; l’opposto vale per i sistemi totalitari, in condizione di mobilitazione permanente, che per di più si ancora in una grande ideologia comuni; questo fa si che anche la politica estera sia militante. - V. sistemi democratici: si pone con maggior chiarezza il tema del rapporto permanente tra determinanti interne e internazionali; v. contraccolpi elettorali. • Secondo passaggio è l’argomento centrale del libro di Panebianco: analisi comparata di casi diversi di democrazie, che fanno politiche estere diverse (es. passaggio da parlamentarismo a presidenzialismo, v. caso storico del passaggio dalla IV alla V repubblica in Francia, che matura nel pieno della crisi di politica estera data dalla guerra di Algeria- la nuova amministrazione afferma il fallimento di quella precedente-; es. cambiamento interno agli Usa prima e dopo la guerra fredda e prima e dopo l’11 sett.: il peso rispettivo di presidente e congresso cambia, nei momenti di crisi il presidente aumenta il proprio potere; es. cambiamento del sistema dei partiti, dell’organizzazione interna o la cultura dominante dei singoli partiti, cambiamento della coalizione di governo che vince le elezioni). Queste sono cose intuitive, le vere questioni sono altre (si pongono subito, nel momento in cui gli “stati repubblicani” si iniziano a diffondere a fine 700): - le democrazie sono più o meno efficienti di altri attori nella conduzione delle politiche estere? (v. Tocqueville).• Tocqueville aveva torto dicendo che le democrazie sono condannate a non essere efficienti, perché condannate a scontare tutte le proprie debolezze, perché dipendono dalla volubilità delle masse (segreto delle democrazie come loro elemento di debolezza).• La storia dei 2 secoli successivi lo ha smentito: le democrazie si sono dimostrate attori completamente efficaci (v. Fukuyama: la storia è finita perché le democrazie hanno fatto piazza pulita di tutte le alternative). • Tocqueville sbagliava anche per una questione più profonda: le democrazie non erano necessariamente volubili (perché legate alle masse), perché le masse non sono affatto necessariamente volubili. Le sono molto di più in paesi autoritari (dove quando si vuole si può cambiare l’opinione delle masse; es. nessun partito comunista avrebbe potuto fare un patto come il Molotov Ribbentropp, perché avrebbe perso tutti i voti; es. Libia cambia sempre politica, passando da capofila di filo africanismo, leader arabo, capofila del filo americanismo non occorre rendere conto all’opinione pubblica, cosa che invece costringe i governi a un grado di continuità molto maggiore).- le democrazie sono più o meno pacifiche degli altri attori? (v. Kant).• Esiste su questo una aspettativa molto forte (normalmente si associa al Trattato per la pace perpetua di Kant): che gli stati democratici siano di per se pacifici (la ragione di Kant era che in una democrazie chi prende la decisione di fare la guerra, e cioè

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l’opinione pubblica, dovrà anche patirne le conseguenze questo costituisce un principio di responsabilità).• Anche su questo possiamo fare alcune constatazioni, basate sui dati che ci dicono come sono andate le guerre nel tempo. La prima, incontrovertibile, è che non è vero che le democrazie come tali siano in assoluto più pacifiche di altri regimi. Anzi, le serie storiche ci dicono che le democrazie sono state tra i regimi politici più bellicosi (al vertice stanno GB e Usa).• Una seconda linea per difendere l’aspettativa kantiana suggerisce che se è vero che le democrazie sono state coinvolte in guerra, non le hanno mai cominciate, le hanno dovute subire. Anche su questo le serie storiche dimostrano l’opposto (propensione spesso maggiore a cominciare la guerra; v. dottrina della guerra preventiva di Bush, che sembra innovativa ma è sempre tata parte della riflessione strategica nordamericana e anche israeliana).• L’ultima e più forte difesa è la riformulazione attuale del rapporto di Kant: è vero che le democrazie non sono più pacifiche in assoluto, ma almeno non si fanno la guerra tra di loro (teoria della pace democratica, o pace separata tra democrazie); sono più pacifiche non in assoluto, ma relativamente ai propri rapporti. Questa tesi non è condivisa da tutti, ma è molto accreditata nella teoria delle relazioni internazionali, e questo è alla base del modo di fare politica estera di Usa e Europa (v. allargamento dell’alleanza atlantica alla Ue a condizione che i paesi dell’Europa orientale diventassero democratici: era incentivarli a essere migliori ma anche allargare la sfera della pace separata; portare democrazia e pace è per loro la stessa cosa; questo è sottinteso della giustificazione alla guerra balcanica contro la Iugoslavia). La trasformazione più conseguente di questa teoria è stata la dottrina Bush: il progetto di “grande medi oriente” che venne portato al G8 poco dopo la guerra in Iraq era esplicitamente fondato sul rapporto pace-democrazia.

9 mar. 09

Riflessioni conclusive sulla questione della pace democratica.• La teoria della pace democratica non afferma più che le democrazie sarebbero più pacifiche in assoluto, ma che hanno una tendenza a non farsi la guerra tra loro. Questa teoria ha un riscontro empirico forte (nell’ultimo secolo le democrazie si sono fatte raramente la guerra tra loro), e dopo la guerra fredda ha avuto una forte traduzione in termini di politiche (Ue e Usa hanno preso per buona questa teoria, usandola come ragione fondamentale dell’esportazione della democrazia, con e senza le armi: aumentare il numero delle democrazie on solo per aiutare i paesi ma per aumentare lo spazio della pace democratica).• È una delle teorie più forti nell’ambito delle relazioni internazionali, anche se più amata dalle correnti liberali e costruttiviste che da quelle realiste (vedremo le contro spiegazioni realiste delle ragioni della pace democratica).

Il limite fondamentale di queste teorie è che una regolarità storica, finchè non viene spiegata, è poco significativa (si possono collegare due fatti senza che vi sia un vero collegamento); perché possa diventare teoria occorre associargli un insieme di spiegazioni. • Vi sono 2 categorie di ragioni:- Fattore di carattere culturale: la ragione per cui le democrazie non si fanno guerra tra loro è che al loro interno matura una consuetudine politica a regolare i conflitti

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mediante procedure istituzionalizzate e non violente. Queste consuetudini valgono tra democrazie (conflitti esterni risolti come i conflitti interni), e non con altri paesi.- Fattore istituzionale: altri teorici sostengono che la ragione forte della pace democratica sia la natura istituzionale delle democrazie, e cioè il fatto che prendere decisioni (e in particolare quella estrema dsi ricorrere ala guerra) in democrazia è più complicato, perché occorre passare tramite meccanismi istituzionali che rappresentano altrettanti freni; inoltre alla fine di tali meccanismi istituzionali occorre affrontare l’opinione pubbliche, su cui pesano le conseguenze delle decisioni.

Questo è un elemento importante, che però si sta indebolendo ultimamente per 2 ragioni principali:

• il passaggio da eserciti di costrizione a eserciti di professionisti ha enormemente indebolito il rapporto guerra-opinione pubblica (non è un caso che tale transizione sia cresciuta parallelamente al crescere di missioni militari all’estero; v. Italia Somalia 92-93: morte di militari di leva fu uno shock culturale, che ha contribuito molto ala decisione successiva di chiudere la leva e professionalizzare l’esperienza del rischio e della morte). • L’altra ragione per cui i meccanismi istituzionali tendono a operare sempre meno è che funzionano tanto più quanto più la guerra venga riconosciuta (nominata o dichiarata); tutti i paesi occidentali in questi anni si sono abituati al ricorso dell’uso della forza presentandola sotto eufemismi, cosicchè il controllo democratico istituzionale è indebolito (es. la campagna elettorale scorsa non ha parlato di guerra, sebbene tutti e 2 gli schieramenti sapevano che l’Italia sarà coinvolta nella guerra in Afghanistan; es. caso eclatante dell’Iraq negli ultimi anni, le compagnie private di sicurezza –contractors- aumentano l’opacità e l’invisibilità della guerra, es. nel sito del dipartimento della difesa degli Usa dall’inizio della guerra viene aggiornato di ora in ora il bilancio delle perdite americane, in cui però non sono inclusi i contractors). • Credibilità di questa regolarità: è forte, ma ha comunque dei problemi:- Il campione di cui disponiamo è troppo limitato: le democrazie sono un prodotto recente e molto esclusivo.- Ci sono eccezioni, che sono piuttosto rilevanti: guerra tra Usa e Gb a inizio 800, le guerra civile americana, la guerra tra le potenze dell’intesa e la Germania guglielmina nella I gm (era più democratica dell’impero zarista!), caso della Finlandia nella II gm (combatte insieme alla Germania, anche se per difendersi dai sovietici). - Problema sollevato dalla critica realista: ci sono altri modi di spiegare i rapporti pacifici tra democrazie. È il fatto che gli stati hce non si sono fatti la guerra sono alleati, che non si fanno la guerra perché hanno un nemico comune.- Altro problema sollevato dalla critica realista (che anche i teorici della pace democratica riconoscono): la teoria vale solo per le democrazie consolidate (v. guerra in Iugoslavia, esplosa dopo che tutti i paesi della confederazione erano per la prima volta andati a votare).- L’ultimo problema, che on riguarda solo la teoria, è che la teoria della pace democratica paradossalmente muove da una nozione di guerra quasi archeologica: per dire che le democrazie non si aggrediscono con la forza partono da un’idea di guerra di tipo ottocentesco (è vero che non si sono aggredite come nell’ottocento, ma si sono aggredite in altri modi; es. stati democratici abbattuti dalla più grande democrazia: leader nazionalista iraniano nel 53 abbattuto dagli Usa, abbattimento di Allende in Chile 20 anni dopo → non sono casi di guerra, ma neanche relazioni pacifiche) occorre adattare la nozione di guerra per poterla cogliere.

Posti questi limiti la teoria è comunque quella di maggiore successo.

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IL CONTESTO INTERNAZIONALE ATTUALE

Vediamo le peculiarità del nostro contesto internazionale, da non confondere con quelle del contesto anarchico in generale. Innanzitutto, il nostro contesto istituzionale è eccezionalmente instabile: come possiamo spiegare questa instabilità? Quali fattori?

Premessa: cosa significa “nostro” contesto internazionale? Periodizzazione minima, data di inizio del nostro contesto internazionale. È una domanda non banale e non astratta. Si possono dare 2 risposte:• È il contesto internazionale sorto dopo il dramma internazionale dell’11 settembre 2001.• Per quanto tagliato dall’11 settembre, resta il contesto sorto nel passaggio dal sistema bipolare a quello unipolare (triennio 89-91, dalla caduta del muro al collasso dell’Urss). Vedremo che ci sono buone ragioni per sostenere la seconda risposta, tutte le vicende di cui si parla nascono lì. La discontinuità c’è nell’11 settembre, ma non così radicale da segnare la fine di un contesto. A questa domanda non hanno risposto allo stesso modo Europa e America, e questa è una delle principali ragioni del dissenso:- L’Europa dà la seconda risposta, perché è su questo continente che la fine del bipolarismo ha avuto enormi conseguenze.- Gli americani invece parlano di un contesto di “dopo dopo-guerra fredda”: tendenza a considerare il dopo-guerra fredda come una breve parentesi (anni 90). L’amministrazione Bush chiama il nuovo sistema internazionale il sistema della guerra globale al terrore. Occorre vedere se l’amministrazione Obama farà propria questa periodizzazione o meno (possiamo per ora dire che sembra che l’accento sulla guerra al terrore stia rapidamente declinando, anche degli ultimi 2 anni dell’amministrazione Bush).

Perché diciamo che è un contesto eccezionalmente instabile? Indichiamo i tratti più eclatanti di questa instabilità, sapendo che sono tratti che stanno diventando una percezione comune ultimamente (v. crisi):• Negli ultimi 20 anni caduta continua delle capacità di previsione sul futuro: il nostro contesto sta vivendo una crisi radicale di prevedibilità (non parallelo con contesto anarchico). - Incapacità totale di prevedere gli eventi più significativi negli ultimi 20 anni (v. i due stessi eventi di inizio contesto, crisi già mondiale del 97, crisi finanziaria attualmente in corso); i principali attori e osservatori hanno dimostrato di non essere in grado di prevedere. Ricaduta importante: diffusione di una cultura politica spicciola di insicurezza, ma nel senso letterale (qualunque cosa può avvenire in qualunque momento ovunque).- Seconda cosa che non siamo in grado di prevedere è come saranno gli allineamenti internazionali nel breve termine (tra 2-5 anni; es. cina e russia collaboreranno? A quali condizioni?). Situazione opposta a quella del bipolarismo: produceva un ordine ferreo, sebbene pessimo (aspettative su tutto); oggi assistiamo a un continuo rivolgimento delle alleanze (es. fino a qualche anno fa si era convinti che in Asia centrale vi fosse stata una transizione egemonica da Russia a Usa –v. libro di Colombo- , mentre ora si è appena conclusa la “cacciata” diplomatica degli Usa dalla regione, con ritorno della Russia). - Anche su cose più banali non abbiamo aspettative; Waltz (79) afferma che sono insensati i criteri distintivi di grandi potenze e potenze meno importanti, perché in qualunque contesto tutti sanno chi conta e chi no. Oggi non più così: sappiamo solo che gli Usa sono l’attore più importante ma c’è confusione su chi venga dopo (es. fino agli anni

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90 convinzione che gli Usa sarebbero stati sfidati da 2 attori, Ue e Giappone: la prima non è cresciuta dal pdv politico, il Giappone è entrato in crisi; ultimamente si punta su Cina, Russia, Brasile, India). non sappiamo chi saranno i protagonisti della politica internazionale tra 10 anni; sappiamo solo che ci sono candidati, e ignoriamo se diverranno o meno grandi potenze.- Non siamo in grado di stabilire quale sia, se c’è, la vicenda fondamentale alla luce del quale tutti gli altri conflitti meritano di essere relativizzati, un tavolo più importante degli altri, o i tavoli. Questa era la forza esplicativa della nozione di “guerra globale al terrore”: tentativo di trovare una nuova formula di semplificazione alla complessità globale; la vicenda che ha preso il posto della guerra fredda (v. “islamo-fascismo”: scontro tra Europa e paesi islamici che si pongono proprio come sostituto del fascismo; un sostituto che dia chiarezza, o meglio bipolarità, al sistema internazionale). Quella nozione è fallita perché si è rivelata non convincente e costosissima. Ciò che ora si chiedono gli Usa e Obama è che, non potendo fare tutto, anche a causa della crisi, occorre individuare una vicenda da mettere in cima alla propria agenda, su cui puntare le risorse, e dunque le altre vicende da risparmiare (v. viaggio della Clinton in Russia come un capitolo del risparmio).• Altro elemento, ancora più evidente del primo, è la crisi generale del controllo. Il controllo entra in una relazione di tensione permanente col carattere anarchico della vita internazionale: non bisogna confondere anarchia e disordine, esistono vettori ordinativi. Oggi essi sembrano essere quasi totalmente bloccati: abbiamo assistito a una crescente difficoltà di gestione delle crisi, non da parte di attori deboli o con bassa capacità organizzativa, ma da parte di attori importanti (v. importanza della missione in Afghanistan, il cui fallimento significherebbe non solo un fallimento della Nato, ma anche la conferma del fatto che gli attori più forti, anche quando operano insieme, non sono in grado di ottenere dagli altri gli obiettivi che si prefiggono; si gioca il prestigio delle capacità regolative dei paesi forti). Ne vediamo la profondità proprio in questi mesi (v. bilancio degli otto anni di Bush, sia da parte degli europei che degli stessi americani: fallimento dell’unilateralismo, della pretesa americana di agire, slegato dai lacci, dagli obblighi del sistema, come soggetto portatore di ordine -la proposta dell’unilateralismo non risolve il problema del fallimento del multilateralismo: entrambi falliscono- …….manca un sacco di roba dio porcoooo…. v. crisi finanziaria, impotenza di ogni attore sovranazionale di gestire ciò che sta accadendo).• Il contesto internazionale attuale sta vivendo anche una crisi costante, e crescente, di legittimità. Viviamo qualcosa di simile a un conflitto istituzionale, cioè che ruota intorno alla domanda fondamentale di quali debbano essere i principi costitutivi dell’ordine internazionale. Infatti la comunità internazionale si spacca regolarmente in occasione di ogni crisi (ovvero dei momenti rivelatori del grado di coesione di un sistema): rivela che gli attori, anche i principali, non concordano sui principi fondamentali della convivenza internazionale (v. ’99 guerra in Kosovo: Usa e Europa decidono di combattere malgrado l’assenza di una risoluzione dell’Onu –perché Cina e Urss si oppongono-; altra rottura nel 2003 interna all’Europa). La spaccatura continua si riproduce continuamente (v. esempi degli ultimi mesi: guerra tra Russia e Georgia, che a sua volta rimanda alla spaccatura sul riconoscimento del Kosovo –Russia: l’Ossezia sta alla Georgia come il Kosovo sta ala Iugoslavia-; rottura di fronte alla guerra in Palestina; incriminazione del presidente sudanese). Questa NON è una conseguenza inevitabile di un contesto anarchico!

Perché il nostro è un contesto particolarmente disordinato? Ci sono vari modi di spiegare questa instabilità, ovvero diverse “correnti di instabilità”, dati dal fatto che tale instabilità ha profonde ed eterogenee radici storiche. Vi sono 3 principali correnti storiche:• Fine della guerra fredda il nostro contesto è di “dopo guerra fredda”: questo ci ricorda che, tra le altre cose, è un contesto di dopoguerra. Si trova inevitabilmente a fare i

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conti con le questioni tipiche di tutti i dopoguerra. Vi ritroviamo alcune caratteristiche che sono le questioni fondamentali di ogni dopoguerra, di ogni grande dopoguerra (il dopo-guerra fredda è un grande dopoguerra perché la posta in gioco era l’egemonia su tutto il continente occidentale; gli altri grandi dopoguerra sono il 1815 –dopo le guerre napoleoniche-, il 1919 –dopo la I gm- e il 1945 –dopo la II gm-). Vediamo le caratteristiche comuni:- Questione di come trattare il nemico sconfitto. Ha visto soluzioni molto diverse (era un argomento esplicito e centrale nel dibattito della fine degli anni ’90). Vediamo quali sono state le risposte nei casi precedenti di dopoguerra:• 1815: cooptare nel più breve tempo possibile la Francia nel concerto delle potenze europee (già nel 1818 la Francia era reinserita), non per questioni umanitarie ma per un calcolo di realismo politico (il contributo francese era visto come fondamentale alla ricostruzione dell’equilibrio in Europa).• 1919: soluzione opposta: la Germania sconfitta fu sottoposta ad un regime durissimo di riparazione, costretta a quella che venne definita una “pace cartaginese”, e che già allora fu indicata (v. Keynes) come distruttiva di una successiva pace.• 1945: risposta mista: punizione della Germania (divisione, la più pesante delle punizioni) ma cooptazione delle 2 parti nei rispettivi sistemi di alleanza.• 1989? …

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- La seconda grande questione che si pone sempre in occasione dei grandi dopoguerra è come trattare gli alleati del nemico, del capofila della coalizione che ha perso. Non ci dilunghiamo perché nel dopoguerra di oggi ha ricevuto la risposta più convincente: politica dell’allargamento Ue e dell’alleanza atlantica, di cooptazione di tali paesi nelle due coalizioni vincitrici. Non era una soluzione scontata all’inizio degli anni ’90 (grande dibattito), i paesi Ue esitano prima di imbarcarsi nella politica di allargamento. Questo venne deciso nel ’94 e inizialmente ai paesi dell’Europa centrale si offrì una soluzione ibrida: accoglimento nell’alleanza atlantica, ma non alle condizioni di tutti gli altri (non erano coperti dall’art. 5: attacco a uno intesto come attacco a tutti). La decisione di allargare fu presa in buona parte per conseguenza dell’ondata di instabilità che si diffuse (in forma di guerra nei Balcani, in altri forme nel resto dell’Europa dell’est), e malgrado questi paesi non avessero nulla da aggiungere al potenziale militare dell’alleanza. Poi alla fine degli anni ’90 l’alleanza da cauta che era stata decide di includere tutti. È una decisione costosa (dal pdv sia politico che economico) ma si è rivelata efficace.- Terza questione, oggi particolarmente problematica, è come rilanciare l’alleanza vittoriosa. I precedenti storici non lascavano presagire nulla di buono per l’alleanza atlantica: i tentativi di rilancio dell’alleanza vittoriosa, con sua trasformazione da alleanza di guerra a coalizione per mantenimento della pace, fallirono:• es. istituzione della doppia alleanza da un lato la Santa dall’altro la Quadruplice, 2 alleanze che avrebbero dovuto garantire l’ordine della Restaurazione, ma che entrano in crisi con i moti del ’20-21 e saltano definitivamente nel ’30; • anche dopo la I gm c’è il tentativo di tenere in piedi in una forma istituzionale più sofisticata l’alleanza vincitrice, ma dal nucleo direttivo si sfilano immediatamente gli Usa, restano Francia e Gb che riescon a rinnovare l’alleanza vittoriosa rendentìdola di garanzia, ma non funziona per debolezza dei 2 paesi appena usciti dalla guerra e soprattutto per la mancanza di accordo (in particolare sul trattamento del nemico sconfitto: Francia vuole punire gravemente la Germania);• dopo la II gm le cose vanno ancora peggio: l’alleanza di guerra si deve trasformare in custodia armata della pace; vengono varati vari nomi significativi (v. “four

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policemen”); l’ONU nasce con questo tentativo, che fallisce sul nascere: la coalizione vittoriosa si sfascia negli ultimi mesi della guerra, definitivamente nei mesi successivi.• Dopo la guerra fredda, aspettativa diffusa era quella della crisi progressiva della nato per mancanza di un nemico comune. La storia dell’alleanza atlantica dall’89 a oggi è la storia del tentativo continuo di rilanciarsi: la Nato si diede a metà anni ’70 un concetto strategico (interpretazione del proprio ruolo nel contesto internazionale) che resta intatto fino al ’89 (non si pone più le domande fondamentali); da allora cerca un nuovo concetto strategico, che si dà nel ’91; il nuovo viene dato nel ’99 (sente il bisogno di rispondere nuovamente, sente chiaramente l’inadeguatezza delle risposte date nel ’91). Oggi si pone nuovamente quelle domande (quale deve essere la nuova missione? Prima era il contenimento dell’Urss, oggi è possibile trovare un sostituto, e quale?). Al nocciolo di tutti i tentativi di rilancio c’è la questione fondamentale di tutti i tentativi precedenti: qual è il mio ruolo nella pace? L’alleanza atlantica dopo l’11 settembre ha cercato di ritagliarsi un ruolo nella lotta globale al terrore (senza alternativa, dato che aveva guida americana), e per questo si è buttata in Afghanistan (ciò che rischia di trasformarla in una missione infinita è il fatto che l’alleanza atlantica ha esplicitamente detto che quella in Afghanistan è la prova finale, per dimostrare se ha ancora un ruolo e quale ruolo ha. L’aggravamento della guerra in Afghanistan fa si che l’alleanza, con quella dichiarazione, vi ci sia intrappolata: non può andarsene senza avere ottenuto almeno formalmente qualche obiettivo, altrimenti perderebbe credibilità davanti ai propri membri).- la grande questione dei dopoguerra è un’altra, è stata posta tardi e fore per questo è risultata sorprendente. È quali regole dare al nuovo ordine internaizonale e se e come rendere compatibili le nove regole con quelle esistenti.• 1815, congresso di Vienna: se vogliamo avere una buona pace dobbiamo fare nuove regole. Nel congresso di Vienna c’è un elemento che somiglia al riordino della vita internazionale oggi: tende ad emergere un’idea molto estensiva dell’ordine internazionale, che si prende cura anche dell’ordine interno dei singoli paesi (la Rivoluzione frnacese insegna che l’irruzione di uno stato rivoluzionario costituisce un problema per quelo stato ma anche per il resto dell0ordine internazionale) occorre rendere permeabile l’ordine interno degli altri paesi (infatti viene introdotto un diritto di intervento).• 89: l’urgenza di dare nuove norme si è posta fin dall’inizio, ma è stato uno degli elementi centrali dell’amministrazione Bush, e degli intellettuali che vi hanno ruotato intorno (momento di rifare la costituzione della vita internazionale, perché abbiamo appena vinto! Dobbiamo approfittarne per ricostruire in meglio tale ordine). Elementi centrali di tale nuova costituzione (che restano anche dopo Bush):♦ Intervento: non più nei termini del congresso di Vienna, ma comunque si parla di “diritto di ingerenza umanitaria” (ha in comune l’idea che ordine interno e internazionale sono compenetrati).♦ Proposta esplicita di sostituire l principio di eguaglianza tra stati con principio di supremazia esplicita delle democrazie (“Ordine democratico” non nel senso che tutti son ugual, ma che i democratici hanno più diritto). Questa proposta, portata avanti da un’amministrazione che sa parlare (v. Obama, anziché Bush), costituisce una sfida forte: la superiorità delle democrazie è un’idea diffusa nelle teorie euroamericane (v. Habermas, che non è certo di destra).• Decolonizzazione Innanzitutto, cos’è stata la rivolta contro l’occidente? (v. libro a cura di Bull e Watson: L’espansione della società internazionale). La rivolta viene scandita in 4 fasi della contestazione, significative anche per le diverse conseguenze, eredità, che lasciano sul nostro contesto e sull’ordine attuale:• Contestazione della subordinazione razziale: la società internazionale si espande ad attori non occidentali ma è ancora fortemente discriminante: la prima volta che si pone questo tema è la redazione dello statuto della società delle nazioni: si chiede che

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venga inserito il principio dell’uguaglianza razziale, da parte del Giappone. Questa richiesta non viene accolta (lo sarà negli anni successivi).• Contestazione della subordinazione politica dei paesi non occidentali agli occidentali: ecco perché la decolonizzazione è solo un pezzo, quello formale, di quella rivolta (si dà alla propria indipendenza la forma di stato).• Contestazione della subordinazione economica: grande disincanto della globalizzazione, constatazione che avviene già negli anni ’60 che la rottura del legame formale non è sufficiente, e che la subordinazione sostanziale è sopravvissuta. Ci son vari movimenti di promozione di un nuovo ordine internazionale.• Contestazione della subordinazione culturale (in atto): processo di riappropriazione non solo del controllo politico del propri territorio, ma anche riappropriazione della propria identità come identità almeno in parte separata (contestazione della universalità del patrimonio culturale occidentale). Questo è il vero contenuto di ciò che Huntigton ha rinominato come conflitto di civiltà, che non è astorico ma è una resa dei conti sull’eredità di 3-4 secoli di rapporti tra occidente e mondo. - Quali sono le conseguenze attuali di tutto questo:• Quella che legittima le posizioni di molti paesi non occidentali nei confronti del diritto di ingerenza: contestazione crescente di quella che viene percepita come la pretesa occidentale all’universalità.• Rivendicazione di eguaglianza di diritti politici ,economici, strategici (v. Ahmadinejad per legittimare la propria corsa al nucleare: se gli altri si perché io no? Perché l’occidente vuole avere il diritto di dire chi si e chi no?).• Contestazione delle eredità politiche e istituzionali dell’occidente: idea che le eredità che venivano accettate (es. statualità come soglia di accesso: da un lato mi libero dal dominio occidentale, dall’altro accetto il più occidentale dei criteri idi inclusione; v. radicalismo islamico rifiuta l’ida di stato come tale, perché divide ciò che dovrebbe essere unito).• Diffusione di forme di eccezionalismo culturale e istituzionale: l’idea che si va diffondendo, in modo discontinuo ma periodicamente sollevato, che ciascuna regione debba stringersi attorno a principi propri, criteri organizzativi propri (es. polemica sui “valori asiatici” contrapposti ai “diritti umani”, o meglio alla loro interpretazione occidentale). Qualora dovesse procedere, questo potrebbe comportare il rischio della formazione di blocchi contrapposti coesi, e dunque della formazione di qualche forma di eccezionalismo culturale.• Indebolimento dei tratti essenziali del modello wesfaliano dell’ordine internazionale dello stato come attore centrale, di tutte le categorie legate allo stato (idea di confine, di sovranità, di non ingerenza). Occorre non fare confusione tra crisi dell’ordine westfaliano e 2 diversi ordini di fattori: una crisi di instaurazione e consolidamento del modello, e una crisi di logoramento. - La prima fa riferimento a situazioni in cui il modello westfaliano si è appena instaurato (paesi non occidentali): negli ultimi 15 anni abbiamo visto proliferazione di failing states (stati al collasso, o definitivamente falliti), che non ha risparmiato la stessa Europa (anni ’90 decennio in cui il collasso della statalità ha investito pezzi importanti quali Balcani, Albania –importante per l’Italia, che se è la presa a carico quando era su punto del collasso, come i paesi occidentali si sono presi a carico Bosnia erzegovina, Macedonia; corno d’Africa appare fuori controllo, la Somalia ha avuto un tentativo di stabilizzazione negli anni ’90 che è fallito, il Congo ha subito quella che è stata definita la prima guerra mondiale dell’Africa, collasso dello stato Ruandese, guerra civile in Algeria, collasso cronico dell’Afghanistan, rapporto tra Afghanistan e Pakistan –che avrebbe dovuto essere il baluardo della stabilizzazione dell’Afghanistan, e che invece sta collassando a sua volta-, stato colombiano e messicano –narcotraffico-). A questo si

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associa un altro elemento, ovvero la proliferazione di ibridi istituzionali: soggetti che dispongono già di prerogative tipiche della sovranità, ma senza essere sovrani a pieno titolo (es. Kurdistan iraqueno, che gode di prerogative sovrane tra cui la più tipica –controllo del territorio appannaggio delle milizie kurde-; Kosovo, oggi è sovrano sebbene riconosciuto da pochissimi stati, ma per diversi anni è stata una creatura giuridica anomala; autorità nazionale palestinese –non più OLP, ha pezzi di sovranità, anche se molto pochi-): fuori dall’europa il consolidamento dell’ordine westfaliano è in fase critica.- Ci sono poi tratti crescenti di logoramento del tessuto westfaliano anche dove questo è consolidato (dove esistono stati o sistemi interstatali di lungo periodo). Questo processo di indebolimento è visto in diversi elementi:• Apparente diminuzione della capacità di controllo degli stati su alcune delle relazioni più significative che avvengono nel contesto internazionale (es. totale frattura tra spazio delle interazioni finanziarie e spazio degli stati con le loro capacità di controllo.• A questo si collega una diminuzione del grado di legittimità del singolo stato e degli stati insieme (es. possibilità dello stato di chiedere ai propri cittadini sacrifici qualunque tipo: prima chiedevano il sacrificio della vita, oggi niente di simile a quella disponibilità; diffondersi di quelle che vengono definite forme di governance multilivello –idea di attori a diversi livelli che gestiscono relazioni comuni-; evoluzione del diritto internazionale negli ultimi anni con una serie di correzioni al principio di sovranità e di non ingerenza -come l’idea stessa che un capo di stato possa essere sottoposto a forme di giustizia penale internazionale, v. Milosevich, Pinochet, Bashir-). L’indebolimento c’è, ed è fuori discussione.

Siamo partiti dal riconoscimento del contesto attuale come instabile, e abbiamo visto le ragioni storiche di questa instabilità (è un contesto che si trova a farsi carico di troppe questioni aperte). Vediamo ora le ragioni strutturali di instabilità, guardando 3 dei criteri fino ad ora impiegati in astratto: la distribuzione del potere, la riconfigurazione geopolitica del contesto attuale, la riconfigurazione culturale ideologica. Stesso elemento che tende a destabilizzare il sistema internazionale attuale, quale che sia il criterio che guardiamo: tensione tra spinte all’unificazione (riassunte nella retorica dell’unipolarismo) e spinte alla diversificazione, su tutti e 3 i terreni. Queste spinte coesistenti sono una delle ragioni continue dell’instabilità del contesto attuale.

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Ragioni strutturali di instabilità. Cominciamo dal criterio principale: quello della distribuzione del potere. Come è distribuito il potere, o che struttura ha la distribuzione del potere del sistema attuale. Conosciamo tre forme tipiche da questo punto di vista (sistemi multipolari, bipolari, unipolari). Parlando del nostro contesto spesso si parla di “contesto post-bipolare”: sappiamo qual’era la struttura del sistema precedente (la fine del sistema bipolare può avere 2 esiti diversi: chiudere un periodo di eccezione storica, “ritorno alla normalità del multipolarismo”, v. articolo “ritorno al futuro” di Mershaimer; l’altro possibile esito è una sorta di unipolarismo ottenuto per sottrazione: uno dei 2 poli di potenza scompare –x di più attraverso un’implosione- e il sistema finisce per essere dominato dall’unica potenza rimasta). Questi 2 esiti sono la centro dei dibattiti da 20 anni a oggi: alcuni sostengono che il sistema sia destinato a tornare a una configurazione multipolare, altri sul fatto che il sistema fosse unipolare (soprattutto americani). Il dibattito è continuamente inquinato anche da preferenze politiche (diversi americani hanno sostenuto

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che la struttura del sistema fosse unipolare, ed è stato ribadito da tutte le amministrazioni Usa, anche se con diversi linguaggi –in modo particolarmente ruvido da Bush, ma in modo diverso anche da Obama-).

Quali sono le ragioni più forti per sostenere che il sistema internazionale attuale sia unipolare? Egemonico (per alcuni imperiale), il cui ordine non deriva dall’equilibrio ma dalla capacità egemonica del più forte (v. impatto ideologico sull’amministrazione Usa: Clinton parlava dell’America come di una nazione “necessaria”, non nel senso che l’egemonia debba essere esercitata in modo unilaterale –diverso da unipolare: unilateralismo è un modo di gestione del proprio potere, da soli anziché in collaborazione con altri: è qui la grande differenza tra le diverse amministrazioni, in particolare tra quella Bush e Obama). La sicurezza è un bene rivolto al futuro, dunque quando parliamo di tipi di sistemi non guardiamo solo a come è oggi ma soprattutto a come possiamo immaginare il sistema internazionale da qui ai prossimi 10-15 anni. Per questo è importante questo dibattito: perché le decisioni politiche di oggi vengono fatte in base all’interpretazione che si ha di come sarà il sistema in futuro.

• Argomenti a favore del sistema unipolare:- Elemento che riconduce al modo di parlare di potere delle teorie sistemiche delle relazioni internazionali: potere come possesso di risorse di potere, in quantità maggiore rispetto agli altri (non nel senso di influenza, capacità di ottenere dagli altri quello che si vuole). L’affermazione dei sostenitori dell’unipolarismo è che sebbene la gerarchia del potere non è mai identica su tutte le dimensioni, ma gli Usa sono gli unici ad avere potenziali elevati su tutte le dimensioni delle relazioni internazionali (v. dimensioni economica: Ue, Cina, ma non sono grandi potenze politiche e militari; Russia è grande potenza militare ma non economica; Ue è grande potenza civile –valori e cultura- ma non militare).- Argomento considerato desueto fino a qualche anno fa; gli Usa non sono solo l’unico attore che dispone di potenziali elevati di tutti i tipi; tra questi, gli Usa posseggono una superiorità senza precedenti sul versante militare. Anche se essa (come ha dimostrato l’Iraq) non permette di fare tutto, permette di fare cose che con tutte le altre risorse non si possono fare: in particolare si può minacciare periodicamente di alzare il livello della competizione (es. ’98 con Iugoslavia, oggi con l’Iran: gli altri cercano di strappare concessioni economiche). Questo costituisce una eccezionalità americana (v. cifre prima: il divario tra Usa e altri dopo la guerra fredda è aumentato in modo esponenziale: prima avevano superiorità notevole su terreno nucleare ma non convenzionale, ora è abissale su terreno convenzionale; il divario tecnologico attuale tra forze armate e europee è tale che fanno sempre più fatica a operare insieme sul campo di battaglia, questo suggerisce a Usa proposta di chiara divisione del lavoro: Usa fase tecnologica, Europa occupazione del territorio, v. Kosovo). Nella superiorità militare usa c’è un elemento essenziale: sono gli unici con capacità di proiettare la propria potenza militare su terreno globale (Russia fa giochi di illusionismo ultimamente mandando navi davanti all’America Latina, ma solo Usa è in grado effettivamente di proiettare la propria potenza militare su tutto il resto del mondo.- Terza ragione a favore dell’ipotesi unipolare è che perché ci possa essere multipolarismo non basta volerlo, ma è necessario che emergano grandi potenze in grado di porsi su in piede di parità o quasi con gli Usa (o che possano farlo coalizzandosi tra di loro). Finora di grandi potenze di questa natura non c’è traccia; i candidati all’inizio degli anni ’90 non erano all’altezza (Giappone e Ue), oggi sono altre ma non sappiamo come usciranno dalla crisi economica in atto (Ue, Cina, Russia); la domanda più inquietante non è come uscirà l’America ma come usciranno tutti gli altri!

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- Ultima e non trascurabile ragione è sul livello dell’attore (non sistemico) ed è il fatto che la politica stessa degli Usa appare dichiaratamente diretta a preservare il momento unipolare. È un obiettivo che si è data a inizio anni ’90 e che resta anche oggi. Significa anche fermare sul nascere le potenze potenziali. La modifica al sistema dovrà passare sopra alle resistenze degli Usa (resistenze forti di un paese forte).• Argomenti a favore dell’ipotesi multipolare. 2 categorie di ragioni:- Il sistema attuale ha già tracce significative di multipolarismo (ci sono tratti anche di unipolarismo, ma questi sono più significativi). Quali sono i segni di questo:• Non ha senso, dal pdv teorico, porsi la domanda di quale sia “la” struttura di potere del sistema al singolare: ci sono tante strutture di potere quante sono le dimensioni rilevanti nel sistema internazionale (es. il sistema può essere unipolare sul piano militare, bipolare sul piano culturale, multipolare su piano economico).• Non solo il sistema non è più compiutamente unipolare in tutte le dimensioni diverse da quella militare, ma in tutte le altre dimensioni la distribuzione del potere sta andando a svantaggio degli Usa (avevano più risorse economiche 20 anni fa che oggi, ci sono più competitori e la distanza si va accorciando –altra faccia dell’angoscia americana sulla crisi: come sarà la distribuzione del potere economico finale? NB il timore è sia di attori troppo forti che di attori troppo deboli, v. inizio 900-).• Non bisogna farsi ingannare dal fatto che la redistribuzione sul terreno non è ancora avvenuta, perché nella storia delle relazioni internazionali è l’ultima che avviene (v. timore Usa della Cina: da grande potenza economica, se continua così, diventerà anche grande potenza militare; il precedente storico più vicino è proprio quello Usa: erano cresciuti dal pdv economico cercando di isolarsi dal contesto politico globale, cercando di avere una politica estera prudente, e nel momento in cui sono diventati una politica estera mondiale hanno avuto un ritardo economico e infatti sono usciti dalla Società delle Nazioni, infine hanno ceduto e il loro strapotere economico è diventato strapotere militare, perché hanno capito che lo strapotere militare è un’assicurazione sulla vita; v. importanza per la Cina di difendere da sé le proprie rotte commerciali, perché comprende che da questo momento in poi lo sviluppo economico senza garanzia militare rischia di diventare vulnerabile).• Ultima ragione è che la crescita di potenziali competitori venga rafforzata e legittimata da ciò che avviene su piano culturale: tendenza alla de occidentalizzazione, riscoperta di patrimoni culturali separati, tendenza che tende a dare senso all’emergere di un sistema multipolare e non più centrato su una grande potenza di ascendenza europea quali gli Usa).- Altri studiosi sostengono che l’attuale contesto è effettivamente unipolare, ma è strutturalmente instabile e provvisorio (non viviamo in un vero e proprio sistema unipolare ma in una “parentesi multipolare”, una fase di transizione verso il multipolarismo tramite una sorta di transizione unipolare). Questo è il gruppo di argomenti più interessante e più forte oggi. perché questo contesto è strutturalmente incapace di riprodursi? Per diverse ragioni, che si intersecano:• Il sistema internazionale unipolare è un sistema internazionale caratterizzato strutturalmente da un altissimo grado di indeterminatezza (contrario della situazione immediatamente bipolare, e ragione per cui Waltz ha orrore verso il sistema unipolare) perché è difficile individuare la vicenda e gli attori più importanti. Il paese più forte, che si trova ad essere anche il custode della struttura, è posto continuamente di fronte allo stesso problema: qual è la mia missione? C’è una missione prioritaria? C’è un modo che mi consente di gestire la complessità del sistema, di sfuggire all’incapacità di controllo (v. ieri). L’alto grado di indeterminatezza si è riflesso in un carattere macroscopico della politica estera americana: tendenza ad oscillare sulle questioni fondamentali (es. Russia, Cina: competitor fondamentale, Europa: Bush padre lascia all’Europa la questione della

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guerra Iugoslava, mentre Clinton decide di impegnarsi a fondo in Europa gestendo tutte le fasi della guerra iugoslava, Bush figlio dichiara che questa fase è finita, Obama promette l’opposto e l’Europa torna centrale) → il paese più forte si trova a poter fare continuamente scelte diverse, come se non subisse limitazioni strutturali, e questo è un problema per tutti gli altri attori perché non si possono avere aspettative significative (è un sistema che lascia spazio per una infinità di attori). • Sistema condannato a mettere in trappola il paese più forte, nello stesso modo in cui prima o poi sono cadute in trappola tutte le grandi potenze del passato: tutte le egemonie del passato sono crollate quando hanno rotto l’equilibrio aureo tra impegno e risorse, hanno impiegato per imporsi più risorse di quanto potessero permettersi (es. GB). Il sistema unipolare, a differenza di quelli del passato, non dà la più forte la possibilità di sfuggire a quella trappola: l’attore più forte non può dividersi i compiti con gli altri paesi (es. GB il genio della diplomazia britannica è scoprire i proprio declino e cedere progressivamente posizioni a qualcuno dei competitori che ritiene meno pericoloso e ai propri alleati, ma in quel contesto c’erano alleati forti! C’era la possibilità di trovare qualcuno che riempisse i vuoti della sua egemonia. Oggi non c’è questa possibilità). Gli Usa, anche quando hanno cercato di distribuire il proprio potere con altri, non hanno trovato partner significativi (es. lezione della guerra iugoslava: a inizio anni ’90 avevano deciso di non dissanguarsi e di lasciare autonomia agli alleati europei che erano forti, ma così è andata così fuori controllo da mettere a rischio la sopravvivenza della nato, e così li hanno costretti a re intervenire). L’idea di Bush in Iraq era convincere gli altri in un altro modo: vincere, e dunque mostrare agli altri che era dovuto dare il proprio contributo. Il fallimento dell’Iraq ha dato ulteriormente forza a questo argomento della trappola.• La condizione unipolare è destinata strutturalmente a produrre una crisi cronica di legittimità. Nel sistema unipolare il paese più forte i troverebbe sovraesposto anche sul terreno della legittimità (v. articolo di Waltz dopo la caduta del muro: proprio perché siamo così più forti degli altri siamo destinati a essere guardati con sospetto dagli altri paesi), e questo aggrava la crisi di solvibilità dell’unipolarismo (è più difficile cogestire i costi dell’economia con gli altri nel momento in cui la nostra egemonia non appare più “benigna”). Questa è la seconda lezione tratta dall’avventura iraqena: la percezione americana da parte del mondo è cambiata (negli anni ’90 avevano attrattiva culturale e ideologica senza precedenti, mentre oggi non è più così). Obama è un rilancio clamoroso dell’immagine egli Usa, per contrasto con Bush (Obama da solo è una risorsa culturale, un portatore di “soft power” per Clinton)