riassunto unione europea strozzi

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 I INTRODUZIONE 1) Mercato interno e libera circolazione delle merci. Il Trattato CE stabilisce che la libera circolazione delle merci tra gli stati membri è uno strumento essenziale per realizzare gli scopi della comunità e che è necessario a tal fine instaurare tra gli stati membri un mercato interno caratterizzato dall’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali (art. 3). Tale nozione di mercato interno si affianca a quella di mercato comune e il fatto che di mercato comune non si dia però una definizione precisa ha fatto sì che i due concetti vengono considerati come sinonimi anche nelle interpretazioni della Corte di Giustizia. In realtà però il concetto di mercato comune è più ampio di quello di mercato interno contenendo oltre che le libertà che costituiscono il mercato interno anche l’instaurazione di politiche comuni nelle materie oggetto del Trattato. 2)Le fonti della disciplina giuridica della libera circolazione delle merci  La disciplina della libera circolazione delle merci si articola nel Trattato in tre principali gruppi di norme : a) unione doganale (artt da 23 a 27); b) il divieto di imposizioni fiscali interne discriminatorie per i prodotto importati dagli altri stati membi (art. 90); c) l’abolizione delle restrizioni quantitative agli scambi intercomunitari e delle misure di effetto equivalente, nonché l’abolizione dei monopoli commerciali (artt da 28 a 31). La Corte di Giustizia Europea ha affermato più volte che alcune di queste disposizioni producono effetti diretti negli ordinamenti nazionali e in tal caso prevalgono su ogni norma nazionale in contrasto con esse- 3) L’ambito di applicazione delle norme comunitarie sulla libera circolazione delle merci  – L’art. 23 Trattato Ce stabilisce che la disciplina sulla libera circolazione delle merci si applica al complesso degli scambi di merce. Per merce deve intendersi ogni prodotto valutabile in denaro e perciò idoneo ad essere oggetto di transazione commerciale (es. oggetti di interesse storico artistico, liberi, monete non avente corso legale, dischi, petrolio, energia elettrica, stupefacenti, rifiuti, ecc). Sono invece fuori della sfera di applicazione i prodotti che riguardano la sicurezza in senso stretto (come il materiale bellico) in quanto un altro articolo del Trattato stabilisce che gli stati membri possono limitare il loro commercio per motivi di sicurezza. Per quanto riguarda l’ambito di applicazione circa l’origine delle merci si stabilisce che esso comprende sia i prodotti originari degli stati membri che quelli provenienti da stati terzi e importati nella Ce. Per quanto riguarda il profilo soggettivo la disciplina ha come destinatari gli stati membri ( egli altri territori come il dipartimenti francesi d’oltremare, le Azzorre e le Canarie) cui impone una serie di obiettivi circa la liberalizzazione degli scambi. Per quanto riguarda i singoli tale disciplina non può portare obblighi e quindi essi possono solo beneficiare dell’effetto diretto eventualmente prodotto negli ordinamenti nazionali da alcune norme comunitarie. II LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI E L’UNIONE DOGANALE 4) Il Divieto di dazi doganali e di tasse di effetto equivalente  – Le norme del Trattato Ce sulla libera circolazione delle merci stabiliscono che essa si realizza tramite l’instaurazione di una unione doganale e del d ivieto di restriz ioni quantitative all’esportaz ione e all’importazione. Le norme sull’unione doganale stabiliscono il divieto di applicare dazi doganali all’importazione ed esportazione tra paesi membri, di adozione di qualsiasi tassa di effetto equivalente ai dazi, nonché l’obbligo di adottare una tariffa doganale comune negli scambi con i paesi terzi. I prodotti originari di paesi terzi che siano stati regolarmente importati in un paese comunitario si dicono in libera pratica nel senso che godono della stessa libertà di circolazione delle merci originarie dei paesi membri. Il divieto di dazi dog anali all’importa zione/esportaz ione e il divieto di tasse equi valenti sono sanciti dall’art. 25 Trattato Ce. Il divieto di porre dazi ( e quindi oneri riscossi da uno stato membro per il passaggio di merce attraverso una frontiera intercomunitari a) è generale e riguarda anche i dazi di carattere fiscale. Il divieto di porre tasse di effetto equivalente ai dazi ha lo scopo di rendere operativo il primo divieto evitando che esso possa essere aggirato mediante l’imposizione di altri oneri sulle merci che varcano le frontiere tra gli stati membri. La Corte di Giustizia ha stabilito che sono tasse di effetto equivalente tutti gli oneri imposti in maniera unilaterale da uno stato sulle merci per il fatto che varcano la frontiera. Esulano invece dal concetto di tasse di effetto equivalente le seguenti tipologie : a) oneri che costituiscono il corrispettivo di un servizio prestato; 1

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I INTRODUZIONE

1) Mercato interno e libera circolazione delle merci. Il Trattato CE stabilisce che la liberacircolazione delle merci tra gli stati membri è uno strumento essenziale per realizzare gli scopidella comunità e che è necessario a tal fine instaurare tra gli stati membri un mercato internocaratterizzato dall’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone edei capitali (art. 3). Tale nozione di mercato interno si affianca a quella di mercato comune e il fattoche di mercato comune non si dia però una definizione precisa ha fatto sì che i due concettivengono considerati come sinonimi anche nelle interpretazioni della Corte di Giustizia. In realtàperò il concetto di mercato comune è più ampio di quello di mercato interno contenendo oltre chele libertà che costituiscono il mercato interno anche l’instaurazione di politiche comuni nellematerie oggetto del Trattato.

2)Le fonti della disciplina giuridica della libera circolazione delle merci La disciplina dellalibera circolazione delle merci si articola nel Trattato in tre principali gruppi di norme : a) unionedoganale (artt da 23 a 27); b) il divieto di imposizioni fiscali interne discriminatorie per i prodottoimportati dagli altri stati membi (art. 90); c) l’abolizione delle restrizioni quantitative agli scambi

intercomunitari e delle misure di effetto equivalente, nonché l’abolizione dei monopoli commerciali(artt da 28 a 31). La Corte di Giustizia Europea ha affermato più volte che alcune di questedisposizioni producono effetti diretti negli ordinamenti nazionali e in tal caso prevalgono su ogninorma nazionale in contrasto con esse-

3) L’ambito di applicazione delle norme comunitarie sulla libera circolazione delle merci – L’art. 23 Trattato Ce stabilisce che la disciplina sulla libera circolazione delle merci si applica alcomplesso degli scambi di merce. Per merce deve intendersi ogni prodotto valutabile in denaro eperciò idoneo ad essere oggetto di transazione commerciale (es. oggetti di interesse storicoartistico, liberi, monete non avente corso legale, dischi, petrolio, energia elettrica, stupefacenti,rifiuti, ecc). Sono invece fuori della sfera di applicazione i prodotti che riguardano la sicurezza insenso stretto (come il materiale bellico) in quanto un altro articolo del Trattato stabilisce che gli

stati membri possono limitare il loro commercio per motivi di sicurezza. Per quanto riguardal’ambito di applicazione circa l’origine delle merci si stabilisce che esso comprende sia i prodottioriginari degli stati membri che quelli provenienti da stati terzi e importati nella Ce. Per quantoriguarda il profilo soggettivo la disciplina ha come destinatari gli stati membri ( egli altri territoricome il dipartimenti francesi d’oltremare, le Azzorre e le Canarie) cui impone una serie di obiettivicirca la liberalizzazione degli scambi. Per quanto riguarda i singoli tale disciplina non può portareobblighi e quindi essi possono solo beneficiare dell’effetto diretto eventualmente prodotto negliordinamenti nazionali da alcune norme comunitarie.

II LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI E L’UNIONE DOGANALE4) Il Divieto di dazi doganali e di tasse di effetto equivalente – Le norme del Trattato Cesulla libera circolazione delle merci stabiliscono che essa si realizza tramite l’instaurazione di unaunione doganale e del divieto di restrizioni quantitative all’esportazione e all’importazione. Lenorme sull’unione doganale stabiliscono il divieto di applicare dazi doganali all’importazione edesportazione tra paesi membri, di adozione di qualsiasi tassa di effetto equivalente ai dazi, nonchél’obbligo di adottare una tariffa doganale comune negli scambi con i paesi terzi. I prodotti originaridi paesi terzi che siano stati regolarmente importati in un paese comunitario si dicono in liberapratica nel senso che godono della stessa libertà di circolazione delle merci originarie dei paesimembri. Il divieto di dazi doganali all’importazione/esportazione e il divieto di tasse equivalentisono sanciti dall’art. 25 Trattato Ce. Il divieto di porre dazi ( e quindi oneri riscossi da uno statomembro per il passaggio di merce attraverso una frontiera intercomunitaria) è generale e riguardaanche i dazi di carattere fiscale. Il divieto di porre tasse di effetto equivalente ai dazi ha lo scopo direndere operativo il primo divieto evitando che esso possa essere aggirato mediante l’imposizione

di altri oneri sulle merci che varcano le frontiere tra gli stati membri. La Corte di Giustizia hastabilito che sono tasse di effetto equivalente tutti gli oneri imposti in maniera unilaterale da unostato sulle merci per il fatto che varcano la frontiera. Esulano invece dal concetto di tasse di effettoequivalente le seguenti tipologie : a) oneri che costituiscono il corrispettivo di un servizio prestato;

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b) oneri riscossi per operazioni imposte da norme comunitarie; c) oneri imposti da uno statomembro nel quadro di un regime di tributi interni applicabili sia alle merci nazionali che a quelleimportate da altri stati membri. Per tali oneri valgono comunque i divieti stabiliti dall’art. 90.

5) La soppressione dei controlli fiscali alle frontiere tra stati membri - Il divieto di dazidoganali e di tasse di effetto equivalente ha comportato anche la soppressione dei controlli fiscalisulle merci in transito alle frontiere intercomunitarie. L’abolizione di tali controlli ha favorito sia lalibera circolazione delle merci che delle persone le quali possono infatti introdurre senza limiti inuno stato membro i prodotti acquistati in un altro stato membro. Le imposte indirette su tali prodottisono pagate nello stato d’acquisto purchè esse siano destinate ad uso personale e non alcommercio. Le norme comunitarie stabiliscono alcuni criteri per valutare l’uso personale deiprodotti come lo status commerciale di chi li detiene, la natura e la quantità dei prodotti. Questoregime spiega perché i viaggiatori che in aereo o nave si spostano da uno stato membro all’altronon possono più avvalersi dei vantaggi fiscali offerti dai duty free. Si dimostra anche lo strettolegame tra la libera circolazione delle merci e le disposizioni comunitarie in tema di politica fiscale.

6) Imposizioni fiscali interne – Le norme sulla politica fiscale che hanno rilevanza sulla

libera circolazione delle merci sono poste dall’art. 90 che la Corte di Giustizia ritiene checostituisca una integrazione delle norme sul divieto di dazi doganali e delle tasse di effettoequivalente in quanto impedisce che esse possano essere eluse mediante l’imposizione di altritributi di carattere discriminatorio o protezionistico. Infatti al primo comma l’art, 90 vieta agli statimembri di applicare ai prodotti di altri stati membri tributi discriminatori (e quindi quantitativamentesuperiori a quelli applicati sui prodotti nazionali similari). Sono prodotti similari quelli che hannoproprietà simili e rispondono alle stesse esigenze dei consumatori (es. energia elettrica nazionalee importata). Al secondo comma l’art. 90 vieta agli stati membri di applicare ai prodotti di altri statimembri imposizioni interne al fine di proteggere altre produzioni. Sono quindi vietati i tributi interniche abbiano scopo protezionistico e a tale proposito la Corte ha stabilito alcuni criteri per accertaretale scopo, come il fatto che l’imposta sia applicata al prodotto importato e non a quello nazionaleo il fatto che sia sproporzionata in quanto di ammontare pari a quasi la metà del prezzo del

prodotto importato. Il fatto che al secondo comma l’art, 90 parli di “altre produzioni” si deveintendere rispetto ai prodotti di cui al primo comma, per cui nell’ambito di applicazione del 2^comma cadono quei prodotti che non sono similari (ai sensi del primo comma) ma sono inconcorrenza con i prodotti importati dagli altri stati membri. Le altre produzioni sarebbero quindiquei prodotti nazionali alternativi ai prodotti importati (es. vino e birra, banane e frutta tipicaitaliana). Secondo la Corte un onere imposto ad un prodotto importato se non esistono prodottinazionali similari o concorrenti non è una tassa di effetto equivalente ai sensi dell’art. 90 in quantonon ha effetti discriminatori o protezionistici e quindi pur essendo un tributo interno dovrebbeessere considerato legittimo.

7) Il diritto di rimborso dei tributi riscossi da uno stato membro in violazione del dirittocomunitario – Le norme comunitarie viste sopra producano generalmente effetti diretti negli statimembri e ciò implica il diritto dei contribuenti alla ripetizione dell’indebito nei confronti dello stato.L’ordinamento comunitario lascia alla discrezione degli stati membri la definizione delle modalitàprocessuali e degli organi competenti per la tutela del diritto al rimborso nei limiti però del principiodi equivalenza (per cui tali modalità non devono essere meno favorevoli di quelle previste per iricorsi simili di diritto interno) e di effettività ( per cui non devono rendere impossibile oeccessivamente difficile l’esercizio del diritto). Ogni ordinamento statale può poi fissare i termini diprescrizione e decadenza all’esercizio del diritto sempre nei limiti dei principi visti sopra. Secondola corte è possibile porre termini meno favorevoli di quelli previsti per le azioni di ripetizione diindebito tra privati purchè essi siano applicati sia ai ricorsi basati sul diritto interno che su quellocomunitario.

8) La tariffa doganale comune e il regime delle franchigie – Le norme del Trattato Cesull’unione doganale dispongono anche l’adozione di una tariffa doganale comune da applicarsiallo scambio di merci con gli stati terzi. I dazi della tariffa doganale comune sono stabiliti conregolamento del Consiglio a maggioranza qualificata su proposta della Commissione. La disciplina

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vigente prevede regolamenti adottati dal Consiglio sulla tariffa doganale comune e sullanomenclatura combinata. La nomenclatura combinata è un sistema di classificazione delle mercioggetto di scambio internazionale e comprende migliaia di voci contraddistinte da un codicenumerico di 8 cifre (di cui le prime sei rappresentano il codice della merce e le ultime due eventualisottovoci). Per ogni voce e sottovoce della nomenclatura sono determinati un dazio autonomo (lacui quota è definita autonomamente dalla Comunità) e un dazio convenzionale (la cui quota èdeterminata in base ad accordi internazionali che vincolano la comunità). Nomenclatura e dazipossono essere adeguati sulla base di atti del Consiglio o della Commissione ai mutamenti dellapolitica commerciale della Ce. Per avere un quadro aggiornato di Nomenclatura e aliquote ognianno il Consiglio adotta un regolamento. La comunità per esigenze di politica commerciale puòstabilire preferenze tariffarie in favore di paesi in via di sviluppo e pertanto sono necessarie ulteriorisuddivisioni di voci che si aggiungono alle voci e sottovoci della nomenclatura combinata. Per integrare tutti gli atti in materia doganale ogni anno la Commissione pubblica una tariffa integratadella Comunità Europea (TARIC) ossia una comunicazione che si basa sulla N.C. ma riprendeanche le aliquote dovute ai provvedimenti di politica commerciale visti sopra. Il TARIC ovviamentenon ha rilevanza di strumento giuridico in quanto non produce effetti giuridici propri ma rinvia aquelli prodotti dagli atti in essa incorporati. La tariffa doganale comune che si applica alle

importazioni di merci dagli stati terzi perciò si compone della N.C. e delle tariffe contenute nelTARIC ma poiché il TARIC incorpora tutti i provvedimenti in materia si può dire che essarappresenta integralmente la tariffa doganale comune. Per quanto riguarda l’applicazione dellatariffa doganale comune è stato approvato il Codice Doganale Comunitario. Esso in primo luogodefinisce il territorio doganale di ogni stato membro (per l’Italia esso corrisponde a quello dellarepubblica ad eccezione di Livigno, Campione d’italia e le acque nazionali del Lago di Lugano). Ilcodice stabilisce poi i criteri per definire l’origine delle merci e per definire il loro valore in dogana.Per quanto riguarda l’origine delle merci si distingue : a) merci provenienti da stati cui non siapplica un regime tariffario preferenziale. Per queste merci la regola è che sono originarie di unpaese le merci interamente prodotte in tale paese. Se le merci sono prodotte con il contributo dipiù stati si considerano originarie dello stato in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lalavorazione sostanziale). B) merci provenienti da paesi cui si applicano tariffe preferenziali. Qui si

rinvia agli accordi presi dalla comunità con tali stati o se la tariffa è stata applicata unilateralmentedalla Ce tramite una procedura che prevede il parere del Comitato del Codice Doganale. TaleComitato è istituito e disciplinato con norme contenute nel Codice Doganale Comunitario. Per quanto riguarda il valore delle merci in dogana si tiene conto del prezzo effettivamente pagato per le merci aumentato delle spese di mediazione, trasporto, imballaggio e assicurazione. Nel caso incui il valore non possa essere determinato sul prezzo effettivo sono previsti criteri sussidiari comeil valore di merci similari o l’uso di criteri ragionevoli. Il codice doganale prevede poi un regime difranchigie per cui in alcune circostanze le merci sono esonerati dai dazi. Tale regime si giustificaallorchè la Comunità non abbia interesse ad applicare misure protettive alla propria economia oquando ciò è stabilito da convenzioni internazionali di cui siano parte alcuni o tutti gli stati membri i(in tal caso la comunità è vincolata sul piano internazionale in sostituzione degli stati membri inquanto ha competenza esclusiva nella materia). Tra le categorie di merci cui si applicano lefranchigie citiamo i beni ad uso personale di persone fisiche che trasferiscono la residenza da unostato terzo ad un paese membro, i beni personali importati per un matrimonio o oggetto disuccessione. Per quanto riguarda i beni di carattere scientifico o culturale è posto un doppioregime: alcuni sono in franchigia indipendentemente dalla loro destinazione, altri solo se destinati aistituti di pubblica utilità.

III LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI E DIVIETO DELLE RESTRIZIONI QUANTITATIVETRA STATI MEMBRI

9) Divieto di restrizioni quantitative e di misure di effetto equivalente – La liberacircolazione delle merci tra stati membri è come abbiamo visto assicurata sia dall’unione doganale

che dalle regole che impongono il divieto di restrizioni quantitative o di misure di effetto equivalentealle restrizioni quantitative sia alle esportazioni che alle importazioni /(artt 28 e29).I due obblighihanno finalità identiche ossia vietare ogni misura che possa restringere gli scambi tra gli statimembri o creare discriminazione tra commercio interno di uno stato membro e commercio

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intracomunitario. Per quanto riguarda il primo obbligo si vieta agli stati membri qualunque misuravolta a provocare una preclusione totale o parziale agli scambi intercomunitari di merci. Per quantoriguarda il secondo obbligo la Corte ha chiarito che costituisce misura di effetto equivalente allarestrizione quantitativa qualunque misura che ostacoli direttamente o indirettamente gli scambi dimerci tra stati membri. In questo ambito va compresa ogni misura imputabile allo stato membro,adottata da organi centrali o locali. Se il comportamento è invece adottato da privati, se esso ètollerato dagli organi dello stato che avrebbero l’obbligo di provvedere si potrebbe configurare unloro comportamento omissivo che costituirebbe quindi misura di effetto equivalente imputabile allostato membro. La Corte ha poi distinto le misure applicate in modo distinto ai prodotti nazionali eda quelli mportati/esportati e le misure che si applicano in modo indistinto sia ai prodotti nazionaliche quelli esportati/importati. Per quanto riguarda le prime sono vietati i provvedimenti cheimpongono autorizzazioni per le importazioni/esportazioni o che richiedano certificati attestanti laqualità dei prodotti importati o che impongano prezzi diversi ai prodotti nazionali e a quelliimportati. Per quanto riguarda le seconde la Corte sembra considerare vietate quelle indistamenteapplicabili ai prodotti nazionali e a quelli importati mentre sembra escludere quelle indistintamenteapplicabili ai prodotti nazionali e a quelli esportati purchè ininfluenti sulla libera circolazione dellemerci. La Corte ha considerato poi vietate le misure che stabiliscono prezzi minimi ad un livello

così elevato da neutralizzare il vantaggio posseduto dalle merci importate per il loro prezzoinferiore, o quelle che stabiliscono un prezzo massimo ad un livello talmente basso da portare allavendita in perdita dei prodotti importati in quanto non consente di coprire i costi di importazione. LaCorte ha poi chiarito che l’applicazione ai prodotti importati da altro stato membro di regolenazionali (es. divieto di apertura domenicale dei negozi) non costituisce in linea di principio unamisura equivalente purchè esse incidano ugualmente sul commercio dei prodotti nazionali e suquello dei prodotti importati da altro stato membro.

10) Gli ostacoli alla libera circolazione delle merci derivanti da norme tecniche nazionalie principio di mutuo riconoscimento – Possono costituire misure di effetto equivalente(indistintamente applicabili ai prodotti nazionali e a quelli importati) le regole tecniche nazionali chestabiiiscono la composizione o le caratteristiche dei prodotti. La Commissione Europea ha pertanto

rappresentato l’esigenza di eliminare gli ostacoli posti alla libera circolazione dalle divergentinorme tecniche dei vari stati nazionali e ha utilizzato allo scopo due strumenti: il principio delmutuo riconoscimento eil principio dell’armonizzazione delle norme nazionali. Il principio del mutuoriconoscimento fu elaborato dalla Corte con riferimento alla sentenza relativa allacommercializzazione di un liquore francese in Germania. Secondo tale principio (art. 28) lo statomembro ha l’obbligo di ammettere nel proprio territorio le merci provenienti da altro stato membrose esse sono state prodotte e commercializzate secondo le norme tecniche vigenti nello stato diprovenienza. Se in questo caso lo stato membro applicasse a tali merci la propria disciplina tecnicaostacolerebbe gli scambi e ciò costituirebbe una misura di effetto equivalente. Tale applicazione èinvece possibile qualora sia necessaria per soddisfare esigenze imperative legate alla salutepubblica, alla difesa dei consumatori, ecc. E’ inoltre necessario che la normativa tecnica siaindistintamente applicabile, che l’obiettivo non possa essere perseguito con misure meno restrittivee che nella materia regolata non sia stata adottata una disciplina comunitaria di armonizzazione.

11) Armonizzazione delle legislazioni nazionali – Il principio del mutuo riconoscimento puòessere insufficiente a garantire la soppressione degli ostacoli tecnici in quanto possono esservidivergenze tra le norme nazionali tecniche dei vari paesi in temi rilevanti quali la salute pubblica ela sicurezza. Per tale motivo la Ce provvede con l’armonizzazione delle legislazioni nazionali (art.94 e 95). L’elaborazione delle regole tecniche è affidata dalla Commissione a specifici organieuropei. Se il prodotto è fabbricato secondo tali norme europee armonizzate è ritenuto conforme airequisiti essenziali stabiliti dalla normativa comunitaria tramite direttiva. Il fabbricante può avvalersidella facoltà di realizzare prodotti non conformi a tali norme ma in tal caso ha l’onere di dimostrareche i suoi prodotti sono conformi ai requisiti stabiliti dalla direttiva tramite un attestato rilasciato da

un organismo competente (designato da ogni stato e notificato alla commissione e agli altri statimembri) con riferimento ad un esemplare della sua produzione. La conformità dei singoli prodottiall’esemplare è attestata dal fabbricante mediante l’apposizione al prodotto di una marcaturacontenente il simbolo Ce. Naturalmente ciò potrebbe costituire un ostacolo alle esportazioni verso

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stati terzi che potrebbero avere regole tecniche diverse e a ciò si potrebbe ovviare applicando lanormativa solo al mercato interno della comunità europea.

12) Le deroghe al divieto di restrizioni quantitative e delle misure equivalenti – Il divieto direstrizioni quantitative alle esportazioni e importazioni e di misure equivalenti trova una deroganell’art. 30 che giustifica l’adozione di provvedimenti restrittivi qualora ricorrano motivi di moralitàpubblica, ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della salute di persone e animali,preservazione di vegetali, tutela del patrimonio artistico e culturale, tutela della proprietà industrialee commerciale. L’art. 30 ha sollevato parecchie questioni interpretative, In primo luogosembrerebbe crearsi una sovrapposizione tra i motivi di deroga di cui all’art. 30 e le esigenzeimperative contemplate in deroga al mutuo riconoscimento. A tale proposito c’è però da dire cheessi hanno una diversa sfera di applicazione: le esigenze imperative infatti possono essereinvocate solo per misure applicate indistintamente ai prodotti nazionali e a quelli importati mentre imotivi di cui all’art. 30 sono invece applicabili anche ad una misura che riguardi solo le importazioniInoltre le esigenze imperative possono riferirsi anche a motivi non compresi nell’art. 30. Lasovrapposizione può quindi operare solo su una misura applicabile indistintamente ai prodottinazionali e alle importazioni, giustificata da un motivo (es. salute pubblica) contemplato sia dall’art.

30 che dalle esigenze imperative. Se ciò si verifica la Corte ha stabilito che la deroga va valutatasolo sulla base dell’art. 30 senza stabilire se quel motivo possa costituire anche esigenzaimperativa. La Corte ha poi avallato una interpretazione restrittiva dell’art. 30, nel senso che essopuò consentire deroghe solo agli obblighi stabiliti dagli artt. 28 e 29 e quindi non può giustificarederoghe al divieto di dazi doganali e misure equivalenti ai dazi. L’art. 30 inoltre giustifica deroghesolo per i motivi da esso tassativamente contemplati e quindi è riferibile ai soli provvedimenti dinatura non economica. La portata restrittiva dell’interpretazione dell’art. 30 risulta anche dal fattoche non è possibile effettuare restrizioni quantitative ed invocare l’art. 30 qualora sulla materia siaintervenuta una azione comunitaria di armonizzazione delle legislazioni nazionali perché in tal casol’interesse meritevole di tutela sarebbe protetto dalla normativa comunitaria. Inoltre la Corte hastabilito un ulteriore limite all’art. 30 costituito dal rispetto del principio di proporzionalità e cioè dalfatto che gli stati possono porre restrizioni quantitative alla libera circolazione delle merci solo per 

ciò che è strettamente necessario per tutelare l’interesse protetto e sempre che tale scopo non siaperseguibile con misure meno restrittive per gli scambi intercomunitari. Altre questioniinterpretative si pongono per ciascun motivo enunciato dall’art. 30. Ad esempio per la moralitàpubblica la corte ha stabilito che uno stato può porre il divieto di importare alcune merci ritenuteoscene solo se nello stato non esiste un commercio interno lecito delle stesse merci. Nello stessomodo uno stato non può invocare motivi di tutela della salute di persone o animali o dipreservazione di vegetali per vietare l’importazione di un prodotto che abbia un valore nutritivominore di altri prodotti in commercio nello stato perché ciò non comporta un reale pericolo per lasalute. Altre questioni si pongono per la tutela della proprietà industriale e commerciale. Ad es. idiritti di brevetto e di marchio conferiscono ai titolari diritti esclusivi nell’ambito territoriale dipertinenza e quindi essi potrebbero pretendere che venga vietata nel loro stato l’importazione diprodotti aventi marchio identico o confondibile. In tal modo si avrebbe una restrizione quantitativaagli scambi che potrebbe essere giustificata ai sensi dell’art. 30. Per conciliare la regola della liberacircolazione delle merci con la tutela della proprietà di beni immateriali la Corte ha stabilito che laderoga al divieto di restrizioni quantitative può essere ammessa qualora esistano due requisiti: laderoga deve avere lo scopo di proteggere l’oggetto specifico del diritto di proprietà e deve essereindispensabile a tale scopo.

13) La libera circolazione di beni culturali – Gli scambi di beni culturali tra stati membri nonpossono essere soggetti a dazi doganali o a tasse di effetto equivalente ma possono subirerestrizioni quantitative ai sensi dell’art. 30 che tra i motivi di deroga, come abbiamo visto,contempla la protezione del patrimonio artistico, storico e archeologico nazionale. Naturalmente laderoga può essere applicata solo ai beni che costituiscono una espressione significativa della

cultura nazionale e non ai beni di scarso valore o ai beni che pur trovandosi nel territorio di unostato non appartengono alla sua cultura ma a quella di un’altra nazione. Sotto questo profilol’obbligo di non praticare restrizioni quantitative agli scambi con gli stati membri potrebbe essereincompatibile con gli obblighi assunti sul piano internazionale da alcuni stati nei confronti di stati

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terzi circa la restituzione di beni culturali illecitamente esportati. In questo caso se gli obblighi sonostati presi prima dell’entrata in vigore del Trattato Ce prevarrebbero sulle regole del Trattato. Incaso contrario dovranno invece essere applicate le regole pertinenti all’incompatibilità tra gliobblighi in questione. La comunità ha poi emanato due normative con riferimento alle misure cheuno stato può adottare per la tutela del suo patrimonio culturale. La prima impone agli statil’obbligo di subordinare l’esportazione verso stati terzi di beni culturali (le cui categorie sonoelencate in un allegato) alla presentazione di una licenza di esportazione. La licenza vienerilasciata allo stato in cui il bene si trova illecitamente e può essere negata sulla base di una leggenazionale che tuteli il patrimonio culturale di tale stato. La seconda impone allo stato membro in cuisi trova un bene culturale, uscito illecitamente da un altro stato membro doo il 1.1.93 l’obbligo direstituirlo allo stato di appartenenza. Naturalmente la direttiva chiarisce che per bene culturaledeve intendersi un bene del patrimonio nazionale avente valore artistico, storico o archeologico eche deve essere compreso in una delle categorie elencate in un allegato alla normativa e chiariscecosa debba intendersi per bene uscito illecitamente da uno stato membro (ossia quando il bene èesportato in violazione alla legge statale o al regolamento comunitario circa l’esportazione di beniculturali verso stati terzi). Entrambi gli atti normativi, che hanno alla base una forma dicooperazione tra gli stati membri, dovrebbero portare all’effetto di ridurre da parte degli stati

membri l’uso di misure restrittive in base all’art. 30. Pertanto tali atti possono offrire un validocontributo per rendere effettiva la libera circolazione dei beni culturali.

14) Monopoli commerciali e libera circolazione delle merci.- La libera circolazione dellemerci può essere ostacolata da monopoli nazionali in ambito commerciale in quanto essi,gestendo in maniera esclusiva un settore commerciale, potrebbero discriminare i produttori di altristati membri. Pertanto l’art,. 31 Trattato Ce impone agli stati membri l’obbligo di riordinare imonopoli commerciali nazionali per escludere ogni discriminazione tra cittadini di stati membri.L’art. 31 non ha lo scopo di sopprimere i monopoli nazionali ma solo di conciliarli con l’esigenzadella libera circolazione delle merci, facendo sì che negli stati dove esiste un monopoliocommerciale sia garantita la circolazione di merci simili a quelle oggetto del monopolio provenientida altri stati membri. Un monopolio si considerato produtttore di discriminazioni ogni volta che le

sue regole di funzionamento gli attribuiscono diritti esclusivi di importazione ed esportazione cheandrebbero a danno degli esportatori ed importatoti di altri stati membri che verrebbero cosìesclusi dagli scambi commerciali. Una deroga all’art. 31 è ammessa in base all’art. 86 chestabilisce che le imprese che gestiscono servizi di interesse economico generale possono esseresottoposte alle norme del Trattato nei limiti in cui esse non pregiudichino il raggiungimento delloscopo affidato all’impresa. Secondo la corte su questa base si può giustificare da parte di uno statomembro la concessione ad una impresa incaricata di gestire un servizio di interesse economicogenerale di diritti esclusivi contrari all’art. 31 qualora ciò sia fondamentale al raggiungimento delloscopo e lo sviluppo degli scambi non ne risulti compromesso in modo contrario agli interessi dellacomunità. E’ chiaro che trattandosi però di una deroga ad un divieto generale le relative normedevono essere interpretate in maniera restrittiva per evitare che vengano utilizzate per eludere ildivieto e per pregiudicare la libera circolazione delle merci.

CAPITOLO II – LA LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE

I ELIMINAZIONE DEI CONTROLLI ALLE FRONTIERE INTERNE E LA POLITICADELL’IMMIGARAZIONE

1) Introduzione – La libertà di circolazione delle persone ha costituito fin dall’inizio un obiettivoprioritario per la Ce insieme alla libertà di circolazione delle merci, dei capitali e dei servizi, lequattro libertà che costituiscono il nucleo del mercato comune. In realtà la libera circolazione dellepersone prima dell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht era direttamente legata all’eserciziodi una attività di tipo economico e quindi era uno dei mezzi per raggiungere gli obiettivi di tipo

economico che gli stati fondatori della Cee volevano perseguire. E’ con l’Atto Unico Europe del1986 che gli stati membri si impegnano per la prima volta a realizzare la libera circolazione dellepersone e non dei lavoratori. In base all’Atto Unico il mercato interno è uno spazio senza frontiereinterne nel quale è assicurata la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei

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capitali e pertanto sulla base dellÁtto Unico è stata affermata, a determinate condizioni, la libertà dicircolazione degli studenti, dei pensionati e delle altre persone che non esercitano attivitàeconomiche.

2) La cittadinanza dell’Unione Europea – La tendenza a svincolare da un contenuto economicola libera circolazione delle persone ha il suo culmine nelle modifiche introdotte nel Trattato Ce aseguito del Trattato di Maastricht del 1992 che ha istituito la cittadinanza europea. La cittadinanzaeuropea si acquista per il solo fatto di essere cittadino di uno stato membro. Il diritto comunitariostabilisce che ogni stato è libero di attribuire la cittadinanza secondo la sua legislazione ma chetale libertà deve operare nel rispetto del diritto comunitario. Tale limite può avere rilievo nel caso didoppia o plurima cittadinanza. Infatti in primo luogo se un soggetto possiede, oltre alla cittadinanzadi uno stato membro anche quella di uno stato terzo lo stato membro non può, dando prevalenzaalla seconda, negargli l’applicazione delle norme comunitarie. In secondo luogo se un soggettopossiede la cittadinanza di due stati membri potrà avvalersi della cittadinanza che gli consentel’applicazione di norme comunitarie più favorevoli. Tra i diritti riconosciuti ai cittadini europei il piùsignificativo è quello di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri (art. 18).Nell’enunciare tale diritto però l’art. 18 fa salve le limitazioni e le condizioni previste dal Trattato. A

tale proposito c’è però da dire che la Corte ha imposto una interpretazione piuttosto restrittiva ditali limiti. A tali condizioni si aggiungono i limiti generali alla circolazione e al soggiorno previste dalTrattato per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. Nel 2004 il ParlamentoEuropeo e il Consiglio hanno adottato una direttiva relativa al diritto dei cittadini europei e dei lorofamiliari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri allo scopo di riunirein un unico documento normativo tutte le regole esistenti e di restringere il potere degli Statimembri di adottare misure limitative. Tale direttiva riconosce a tutti i cittadini il permesso disoggiornare negli stati membri per un periodo fino a 3 mesi senza formalità, a meno che ciò nondiventi un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello stato ospitante. Per periodisuperiori a 3 mesi il cittadino deve dimostrare di essere lavoratore, subordinato o autonomo, o diseguire un corso di studi, o di essere familiare di un cittadino dell’Unione ammesso alricongiungimento o di disporre di mezzi economici o di una assicurazione sulle malattie. Tale

normativa risponde ovviamente all’esigenza di evitare che le persone diventino un onere per lostato ospitante.

3) La questione dell’ingresso e della circolazione dei cittadini di paesi terzi –L’attuazione della libertà di circolazione delle persone ha incontrato più difficoltà rispetto a quelladelle merci perché la libertà di circolazione di cittadini di stati membri senza controlli alle frontiereinterne è realizzabile solo se una simile libertà è accordata anche ai cittadini di stati terzi ma ciòrichiede ovviamente che vengano stabilite norme comuni in quanto solo stabilendo dei controlli dipari efficacia alle frontiere esterne di tutti gli stati membri, questi ultimi possono accettare che uncittadino di uno stato terzo, entrato in uno stato membro, possa poi entrare nel proprio territorio. Iprogressi a livello comunitario sono però stati lenti perché molti stati non erano d’accordo adattribuire alla comunità competenza in tema di immigrazione e quindi hanno preferito muoversi aldi fuori dell’ambito comunitario dando luogo nel 1999 all’applicazione dell’Accordo di Schengen (dicui si dirà dopo). A llivello comunitario una svolta si è avuta con il Trattato di Amsterdam del 1997che ha attribuito alla Comunità la materia dell’immigrazione (prima contenuta nel Terzo Plastro ecioè fuori del Trattato Ce insieme alla cooperazione in materia di polizia e in materia penale). Ciò èstato reso possibile grazie sia ad un clima politico più favorevole a tale operazione che al fatto chel’attività svolta nel Terzo Pilastro era stata alquanto insoddisfacente.

4) Il Titolo IV del Trattato Ce : struttura e finalità - Il Titolo IV del Trattato Ce, introdotto dopo ilTrattato di Amsterdam, attribuisce alla Comunità la competenza ad adottare norme in materia divisti, asilo e immigrazione allo scopo di assicurare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. >Simuove infatti dal presupposto che la realizzazione della libera circolazione delle persone comporta

l’esigenza di trovare strumenti adatti a combattere la criminalità che può essere favoritadall’abolizione dei controlli alle frontiere interne. L’obiettivo prioritario del Titolo IV resta peròl’attribuzione alla Comunità delle competenze necessarie per la realizzazione dellla libertà dicircolazione delle persone. Ciò si vede chiaramente nell’art. 61 (devono essere adottate tutte le

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norme volte ad assicurare la libera circolazione delle persone) e nella norma che stabiliscel’abolizione dei controlli alle frontiere interne sia per i cittadini degli stati membri che per quelli distati terzi. Le misure previste dal Titolo IV devono essere adottate entro 5 anni dall’entrata in vigoredel Trattato di Amsterdam secondo le linee stabilite dal Consiglio Europeo di Tampere del 1999(assicurare ai cittadini di stati terzi che soggiornano legalmente in uno stato membro un equotrattamento e combattere l’immigrazione clandestina anche attraverso la cooperazione con gli statiterzi di provenienza). Il Consiglio Europeo, visto che non tutti gli obiettivi erano stati realizzati, haadottato nel 2004 il Programma Dell’Aja in cui si ribadisce l’esigenza di risolvere la questionedell’immigrazione sollecitando la commissione a presentare le proposte necessarie.

4.1. (segue) Gli aspetti procedurali e le competenze della Corte di Giustizia - Nellosvolgimento dell’attività normativa prevista dal Titolo IV il Consiglio gode di una ampiadiscrezionalità in quanto le norme del Titolo IV stabiliscono genericamente l’adozione di misure daparte del Consiglio senza specificare quali atti normativi debbano essere prescelti. Ai finidell’adozione degli atti previsti era previsto un periodo transitorio di 5 anni dall’entrata in vigore delTrattato di Amsterdam durante il quale la proposta di un atto poteva pervenire, oltre che dallaCommissione, anche dagli stati membri (il cui ruolo nel procedimento normativo era quindi

accresciuto) e il consiglio doveva deliberare all’unanimità. Trascorso il periodo transitorio invece ildiritto di iniziativa spetta in maniera esclusiva alla Comissione e si è stabilito il ricorso allaprocedura di codecisione per l’adozione dei vari atti. Riguardo alle competenze della Corte diGiustizia circa l’interpretazione delle disposizioni del Titolo IV e degli atti adottati in base ad essi,esse risultano molto più limitate rispetto al regime generale. In primo luogo la Corte non puòdeliberare sulle misure relative al mantenimento dell’ordine pubblico ed alla salvaguardia dellasicurezza interna, che devono essere così valutate ed interpretate solo dai giudici nazionali. Insecondo luogo è riconosciuta solo ai giudici nazionali di ultima istanza la competenza a rivolgerealla corte domande per gli atti fondati sul Titolo IV. Tale possibilità non è riconosciuta invece aigiudici non di ultima istanza che quindi su queste materie non possono operare il rinvio alla Corte.Ciò è dovuto all’esigenza che procedimenti nazionali che richiedono una certa rapidità (come unricorso contro un provvedimento di espulsione) possano essere ritardati da un rinvio alla Corte ma

rischia di compromettere la possibilità di interpretazione delle disposizioni uniforme in tutti gli statimembri. Con questi limiti posti alle competenze della Corte si è derogato per la prima volta alprincipio generale di sottoponibilità al rinvio alla Corte di qualunque questione relativaall’interpretazione di norme comunitarie o alla legittimità di atti comunitari.

5) L’abolizione dei controlli alle frontiere interne e la politica dell’immigrazione – Per realizzare la libertà di circolazione delle persone l’art. 62 stabilisce l’’abolizione dei controlli allefrontiere interne sia per i cittadini di stati membri che per i cittadini di stati terzi. Tale abolizione ècompensata dall’adozione di misure comuni nell’attraversamento delle frontiere esterne da partedei cittadini di stati terzi. Tali misure comuni devono garantire uno stesso grado di efficacia deicontrolli delle frontiere esterne da parte di tutti gli stati membri in quanto i controlli più rigidi daparte di uno stato sarebbero vanificati da un controllo inefficace da parte di un altro stato. A talescopo è stato istituto un codice comunitario che stabilisce le modalità delle procedure di controllosulle persone e le forme di cooperazione tra le varie autorità nazionali competenti. E’ inoltrestabilito che spetta al Consiglio stabilire l’elenco dei paesi per i quali i cittadini hanno bisogno di unvisto per varcare le frontiere esterne e predisporre un modello uniforme di visto. Si stabilisce inoltrela competenza della Comunità nel porre le norme per il rilascio di visti a lungo termine di permessidi soggiorno. A tale proposito sono state adottate due direttive bel 2003. La prima (n. 109)stabilisce uno status di particolare favore per i cittadini di paesi terzi che abbiano soggiornatolegalmente e ininterrottamente per almeno 5 anni in uno stato membro, che abbiano risorse stabilie dispongano di una assicurazione sulle malattie. Se si hanno queste caratteristiche si ottiene lostatus (che può essere negato solo per ragioni di ordine pubblico e pubblica sicurezza) chepermette di ottenere un permesso di soggiorno valido per almeno 5 anni automaticamente

rinnovabile. Lo status di questi cittadini è equiparabile così a quello dei cittadini dell’Unione chesoggiornano in uno stato diverso da quello di appartenenza. La seconda (n. 86) riconosce allostraniero che abbia un permesso di soggiorno di almeno un anno e abbia la prospettiva di ottenereil diritto di soggiorno in modo stabile il diritto di farsi raggiungere dai propri familiari. La normativa

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permette però ai singoli stati di richiedere requisiti aggiuntivi (es, la disponibilità di un alloggio o diuna assicurazione sulle malattie) con la possibilità per gli Stati di adottare soluzioni diversificateche potrebbero determinare flussi migratori verso i paesi che consentono il ricongiungimentofamiliare a condizioni più favorevoli. E’ ancora competenza della Comunità la materiadell’espulsione e del rimpatrio anche se non è precisato se tale competenza è limitata alledecisioni circa i presupposti dell’espulsione o anche alle modalità di esecuzione e alle garanzie.Limiti a ciò sono posti dall’esigenza di assicurare il rispetto degli obblighi assunti dagli stati membricon convenzioni internazionali e dei diritti enunciati nella Convenzione Europea per i Dirittidell’Uomo. Questi ultimi non consentono l’espulsione se viola il diritto alla tutela della vita privata efamiliare e nel caso i ncji lo straniero potrebbe essere sottoposto nello stato di appartenenza atrattamenti proibiti dalla convenzione,. Il Trattato non fa espressamente riferimento a tali limiti maessi devono essere ritenuti operanti ai sensi dell’art. 6 del Trattato dell’Unione Europea. E’ compitoinfine della comunità stabilire a quali condizioni i cittadini terzi possano spostarsi da uno statomembro all’altro. A tale riguardo finora si è solo riconosciuto ai soggiornanti di lungo periodo ildiritto di trasferirsi in un altro stato membro per motivi di lavoro o di studio.

5.1 (segue) Il diritto di asilo e la protezione temporanea degli sfollati – E’ compito della

comunità adottare misure in materia di asilo nel rispetto degli impegni internazionali assunti daglistati membri e in particolare della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951. Spetta al Consigliostabilire le norme per determinare lo stato competente ad esaminare le richieste di asilo. A taleproposito il Consiglio ha emanato nel 2003 un regolamento che stabilisce (riprendendo le regoledella Convenzione di Dublino) che può essere competente, secondo i casi,. lo stato che harilasciato al richiedente un visto o un permesso di soggiorno, lo stato dove lo straniero è entratoirregolarmente o lo stato che abbia riconosciuto ad un familiare lo status di rifugiato. In ogni casoun solo stato deve esaminare la domanda di asilo. Ciò parrebbe in contrasto con la Convenzionedi Ginevra (che stabilisce l’obbligo di esaminare la domanda a ciascuno degli stati cui siapresentata) ma il fatto che ci siano criteri uniformi circa l’attribuzione della qualifica di rifugiatorisolve il problema in quanto diventa indifferente per il richiedente da quale stato membro vengaesaminata la domanda. Il Trattato prevede poi norme comuni sulle procedure per la concessione e

la revoca dello status di rifugiato e sull’attribuzione della qualifica di rifugiato, nonché dei livelliminimi delle prestazioni che lo stato membro deve assicurare lasciando agli stati la facoltà distabilire una protezione più ampia. E’ competenza della comunità stabilire norme per la protezionetemporanea degli sfollati, ossia quei cittadini terzi che non possono tornare nei paesi di origine eche quindi pur non rientrando nella qualifica di rifugiato secondo la Convenzione di Ginevra sonocomunque bisognosi di protezione. Si richiede a tale proposito un equilibrio tra gli sforzi diaccoglienza da parte degli stati membri e viene istituito un fondo europeo per i rifugiati per ripartirein modo equo gli oneri tra gli stati membri che ricevono i rifugiati e gli sfollati.

6) La natura della competenza comunitaria in tema di immigrazione – La natura dellacompetenza attribuita alla comunità dal titolo IV è di tipo concorrente. Ciò si evince da norme(come quella sull’asilo) che attribuiscono alla comunità la competenza ad adottare solo le misureminime (lasciando agli stati membri la possibilità di stabilire una protezione più ampia) o dall’art. 63in tema di condizioni alle quali i cittadini terzi che soggiornano in uno stato membro possanospostarsi in altri stati membri (“le misure adottate dal consiglio non impediscono che uno statomembro introduca disposizioni nazionali compatibili con il Trattato e con gli Accordi internazionali”).L’art. 64 infine stabilisce che il titolo IV non ostacola l’esercizio delle responsabilità gravanti suglistati per il mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interna. Ciò non significa che lacomunità non possa adottare normative per la tutela dell’ordine pubblico (e quindi non delinea unacompetenza esclusiva degli stati membri) ma consente agli stati membri di adottare misure piùrestrittive di quelle comunitarie per le esigenze di sicurezza interna (es. impedire l’ingresso di unostraniero per motivi di sicurezza interna).

7) L’applicazione differenziata del Titolo IV- Il Titolo IV ha una applicazione differenziata inquanto alcuni protocolli allegati al Trattato Ce e al Trattato dell’Unione Europea dispongono che lecompetenze attribuite alla Comunità dal Titolo IV non valgono per alcuni stati. In primo luogoRegno Unito e Irlanda possono effettuare controlli sulle persone alle frontiere interne con altri stati

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membri ( e analogamente possono fare gli stati membri per le persone provenienti da tali stati).Pertanto le frontiere tra tali stati e gli stati membri sono considerate come frontiere esterne e quindisi crea una deroga rispetto all’art. 14 in quanto i controlli sulle frontiere rimangono sia per i cittadiniterzi che per quelli di stati membri. In secondo luogo Danimarca, Regno Unito e Irlanda non sonovincolati dal titolo IV e dalle normative e convenzioni adottate sulla base di tale Titolo. Tuttavia,mentre Regno Unito e Irlanda possono accettare atti fondati sul Titolo IV (sia notificando di volersivincolare ad un atto già adottato sia entro 3 mesi dalla dichiarazione di una proposta possonopartecipare al provvedimento normativo e all’adozione dell’atto) analoga possibilità non è previstaper la Danimarca.

8) Convenzione di Schengen e la sua integrazione dell’Unione Europea – Come si è dettoprima la cooperazione tra gli stati membri i n tema di libera circolazione delle persone avevacondotto alla convenzione di Schengen. A tale convenzione partecipavano all’inizio solo Francia,Germania e Benelux ma vi avevano poi aderito alcuni stati terzi e tutti gli stati membri adeccezione del Regno Unito e dell’Irlanda. La convenzione prevedeva: a) l’abolizione dei controllisulle persone alle frontiere interne – b) l’adozione di misure comuni per il controllo alle frontiereesterne – c) i presupposti per l’ingresso di cittadini terzi per un periodo non superiore a tre mesi.

Tali cittadini potevano essere ammessi purchè non figuranti in un elenco di persone formato conle segnalazioni dei vari stati membri costituito da una banca dati consultabile presso le frontiere.Con la Convenzione di S. veniva realizzato un obiettivo del Trattato Ce (la libera circolazione dellepersone) al di fuori del diritto comunitario e quindi del controllo della Corte di Giustizia e delParlamento Europeo. Per porre rimedio a questa situazione di è previsto tramite alcuni protocollil’integrazione della Convenzione di S. all’interno dell’Unione Europea. Alcuni degli atti adottati dagliorgani della convenzione sono stati comunitarizzati (e quindi hanno il fondamento giuridico neltitolo IV del Trattato Ce), mentre altri sono stati inquadrati nel Terzo Pilastro ( ossia nel titolo IV delTrattato Ue. La decisione sul fondamento giuridico degli atti della convenzione è stata presa dalConsiglio che ha stabilito che gli atti relativi all’eliminazione dei controlli alle frontiere interne e airequisiti per l’ingresso alle frontiere esterne sono stati comunitarizzati mentre gli altri (in particolarequelli sulla cooperazione di polizia) sono stati fondati sul Titolo VI del Trattato Unione Europea.

Sempre nel Terzo Pilastro sono state inquadrate quelle disposizioni per le quali il Consiglio non hastabilito il fondamento giuridico. L’integrazione della convenzione di S. nell’Unione Europea hapermesso di superare in parte i problemi sopra evidenziati e quindi Corte e Parlamento possonoora esercitare le loro competenze sulla base del Titolo IV Trattato Ce (se si tratta di disposizionicomunitarizzate) o del Titolo VI del Trattato sull’Unione Europea (se si tratta di disposizioniinquadrate nel Terzo Pilastro).

8.1 (segue) L’applicazione differenziata dell’Accordo di Schengen – A decorrere dall’entrata invigore del Trattato di Amsterdam la Convenzione di S. si applica immediatamente ai tredici statiparti delle convenzione. Irlanda e Regno Unito non essendo parte della convenzione non ne sonovincolati: possono i n qualunque momento possono chiedere di parteciparvi in tutto o in parte ma laloro partecipazione è subordinata (diversamente da ciò che è previsto per l’accettazione delledisposizioni degli altri atti fondati sul titolo IV) ad una decisione del Consiglio presa all’unanimità. Siverifica così un fenomeno di cooperazione rafforzata che i tredici stati firmatari della convenzionedi S. sono autorizzati a porre in essere. Gli stati membri che fanno parte della convenzione di S.possono rafforzare la loro cooperazione adottando ulteriori atti che devono essere emanati dalConsiglio che ha assunto la funzione di organo legislativo della convenzione. La Danimarca sitrova invece in una situazione particolare in quanto è parte della Convenzione di S. ed è quindivincolata dalle sue disposizioni ma è libera di accettare eventuali altri atti normativi qualora essisiano fondati sul titolo IV. Ciò deriva dal fatto che la Danimarca, come detto prima, non è vincolatadalle norme del titolo IV e quindi, qualora accettasse un atto fondato su tale titolo, quest’ultimocreerebbe tra essa e gli altri stati membri un vincolo fondato sul diritto internazionale e non suldiritto comunitario. I paesi che hanno aderito alla Ue il 1.5.2004 sono vincolati solo ad alcuni atti

della Convenzione e agli atti adottati successivamente. Gli altri atti si applicheranno solo dopodecisione del Consiglio degli stati membri precedenti all’unanimità e quindi la decisione dieliminare i controlli alle frontiere interne di tali stati sarà frutto di una decisione degli stati per i qualitali controlli sono stati già eliminati.

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9) Rapporto tra gli atti della Convenzione di S. comunitarizzati e gli altri atti fondati sul titolo VI -Attraverso la comunitarizzazione di alcune disposizioni facenti parte della Convenzione di S. sonostati raggiunti alcuni degli obiettivi che dovevano essere raggiunti entro 5 anni dall’entrata in vigoredel Trattato di Amsterdam. Spetterà quindi alla comunità stabilire se adottare altre normative chevadano ad integrare quelle elaborate dalla Convenzione di S. ora comunitarizzate o se sostituirequeste ultime con nuove disposizioni adottate in base al titolo IV. Infatti le norme facenti parte dellaconvenzione di S che sono state comunitarizzate hanno il loro fondamento nel Titolo IV delTrattato Ce e quindi il loro rango nel sistema delle fonti è quello di atti comunitari derivati: essequindi devono essere conformi al Trattato e ai principi generali e possono essere modificate osostituite o abrogate da successivi atti normativi.

II LA CIRCOLAZIONE E IL TRATTAMENTO DEI LAVORATORI SUBORDINATI CITTADINI DIALTRI STATI MEMBRI

10) Disposizioni del Trattato e la normativa derivata interna di circolazione dei lavoratorisubordinati – Il Trattato Istitutivo della Ce riconosce ai cittadini degli stati membri il diritto dispostarsi da un paese membro all’altro per svolgere attività lavorativa e quindi enuncia il principio

del pari trattamento dei lavoratori nazionali e di quelli di altri stati membri. E’ attribuita al consigliola competenza ad adottare gli atti normativi necessari per l’applicazione di tali principi ed è semprerilevante il compito della Corte sia nell’interpretazione che nel criterio di applicazione delle norme.La Corte ha tra l’altro stabilito che il principio della parità di trattamento tra lavoratori ha effettoanche nei rapporti tra privati e vieta non solo le discriminazioni fondate sulla cittadinanza ma anchele cosiddette discriminazioni indirette. Abbiamo discriminazione indiretta nel caso di normativenazionali che pur applicando criteri diversi dalla cittadinanza (es. residenza) che operano sia per icittadini nazionali che per i cittadini di altri stati membri finiscono per creare per questi ultimi unasituazione meno favorevole.

11) Ambito di applicazione della normativa in tema di libera circolazione dei lavoratori – Lenorme sulla libera circolazione dei lavoratori (artt. 39-42) si applicano solo ai cittadini di stati

membri che esercitano o abbiano esercitato il diritto alla libera circolazione e pertanto non siapplicano a coloro che lavorano nello stato di cui sono cittadini e non hanno mai in precedenzalavorato in altri stati membri. Le norme comunitarie si applicano anche ai cittadini di stati membriche abbiano svolto un periodo di formazione in uno stato membro diverso da quello diappartenenza. Qualora la normativa comunitaria preveda un trattamento più favorevole di quellonazionale può sorgere una discriminazione a rovescio a sfavore di coloro che non esercitano ildiritto alla libera circolazione. Infatti a tali cittadini potrebbe essere riservato dalle norme nazionaliun trattamento meno favorevole di quello che, in base alle norme comunitarie, è accordato aicittadini che abbiano esercitato il diritto. Ne consegue che potrebbe essere conveniente per illavoratore esercitare il diritto alla libera circolazione per poi beneficiare delle norme comunitarie alrientro nello stato di appartenenza. Per quanto riguarda gli stati entrati nell’Unione il 1.5.2004 essipossono derogare all’applicazione delle norme per sette anni ma devono impegnarsi per pervenirequanto prima alla completa applicazione delle norme comunitarie sulla libera circolazione deilavoratori.

11.1 (segue) La nozione di lavoratore dipendente – La Corte ha provveduto a fornire unadefinizione comunitaria di lavoro subordinato ai fini dell’applicazione uniforme dell’art. 39. Si halavoro subordinato allorchè una persona compie per un certo tempo a favore e sotto la direzione diun’altra persona una prestazione contro corrispettivo. Non possono essere considerate lavorosubordinato occupazioni che non costituiscono reali attività economiche mentre è inveceininfluente l’entità ridotta della prestazione o le modalità di pagamento (infatti rientranell’applicazione della norma anche il lavoro a tempo parziale). Secondo la Corte costituisce lavorosubordinato anche lo svolgimento di un tirocinio che comporti l’esecuzione di prestazioni in cambio

della retribuzione, e l’esercizio di una attività sportiva. Ai fini della corretta applicazione delle normecomunitarie è fondamentale la distinzione tra lavoro subordinato (cui si applicano le norme da 39 a42) e lavoro autonomo (cui si applicano le norme sulla libera prestazione di servizi o sulla libertà distabilimento). La Corte non ha enunciato criteri precisi di distinzione ma ha preferito valutare di

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volta in volta la natura autonoma o subordinata dell’attività in questione. Le disposizioni sulla liberacircolazione dei lavoratori dipendenti si applicano anche al settore dei trasporti marittimi e quindi ailavoratori che prestano attività su navi di nazionalità di altri stati membri rispetto a quello diappartenenza.

12) La normativa sull’ingresso e il soggiorno dei lavoratori – Presupposto essenziale dellalibera circolazione dei lavoratori è ovviamente la libertà di ingresso e di soggiorno in uno statomembro diverso da quello di appartenenza. Il trattato perciò precisa (art. 39) che la libertà dicircolazione implica la libertà di ingresso e soggiorno nel territorio degli stati membri per svolgereuna attività lavorativa nei limiti di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. Talidisposizioni sono state attuate con la direttiva 38 del 2004 che stabilisce le procedure per l’ingresso e il soggiorno negli stati membri. Per l’ingresso gli stati membri hanno l’obbligo diaccogliere i cittadini degli altri stati membri muniti di carta di identità o passaporto valido Non sirichiede la presentazione del documento alla frontiera a seguito dell’eliminazione dei controlli allefrontiere interne. A tale obbligo si aggiunge l’obbligo per gli stati membri di riconoscere ai propricittadini il diritto di uscita. La corte ha quindi ritenuto vietata ogni misura con cui uno stato membroostacoli la libera circolazione anche per motivi diversi dalla cittadinanza (e. è stata ritenuta

incompatibile con il Trattato la norma nazionale che impediva ad un calciatore che voleva prestarela sua attività in una società di un altro stato membro che quest’ultima versasse alla società diappartenenza una indennità di trasferimento). Per quanto riguarda il soggiorno gli stati membripossono solo chiedere al cittadino Ue che soggiorni per un periodo superiore ai 3 mesi l’iscrizionepresso le Autorità Competenti. L’attestato di iscrizione viene rilasciato se il cittadino esibisce undocumento di identità va,ido e una conferma di assunzione da parte del datore di lavoro. Secondola Corte però i documenti richiesti ai fini del soggiorno hanno solo valore dichiarativo di un dirittoconferito ai cittadini dal Trattato e pertanto la loro omissione può comportare solo sanzioniproporzionate ma non discriminatorie e tanto meno l’espulsione. Comunque gli stati membri sesono competenti ad adottare provvedimenti che gli consentono il controllo della popolazione sulterritorio non possono costituire un limite alla libertà di circolazione . La direttiva riconosce il dirittodi soggiorno al cittadino che dopo aver esercitato un lavoro si trovi in stato di disoccupazione

involontaria e sia iscritto all’ufficio di collocamento. Per quanto riguarda i cittadini che si recano inuno stato membro per trovare lavoro e dopo un certo periodo non lo hanno ancora trovato la Corteha stabilito che dopo sei mesi il cittadino non sarà costretto a lasciare lo stato membro se forniscela prova di continuare a cercare un lavoro e di avere buone probabilità di trovarlo. La Corte perònon ha fornito lo strumento per valutare se tali buone probabilità ci siano e pertanto si può stabilireil contrario solo se il cittadino si trovi nell’impossibilità oggettiva (es. una malattia) di esercitare unlavoro. L’assenza di precisazioni nella direttiva implica il rischio che gli stati membri limitino lapossibilità dei cittadini di altri stati membri di trattenersi nel loro territorio per cercare un lavoro equindi per evitare ciò sarebbe opportuno che la direttiva chiarisse le condizioni che consentono ilsoggiorno a chi è ancora alla ricerca della prima occupazione. Il Trattato stabilisce anche il diritto arimanere nel territorio di uno stato membro ai cittadini che vi hanno lavorato alle condizioni fissateda un regolamento del 2004 (pensionati, inabili al lavoro, lavoratori frontalieri).

12 (segue) Limiti all’ingresso e al soggiorno – Secondo l’art. 39 la circolazione dei lavoratoripuò essere limitata solo per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. Ilcontenuto di tali limiti è stato esplicitato dalla direttiva 38/2004 e dalla giurisprudenza della corteche hanno cercato di bilanciare l’esigenza di lasciare una certa discrezionalità agli stati e nellostesso tempo quella di evitare che gli stati incidano in maniera rilevante sulla libertà di circolazione.Su queste basi possiamo dire che per la sanità vengono indicate le malattie che possonogiustificare provvedimenti restrittivi mentre per ordine pubblico e pubblica sicurezza è stabi,lito cheeventuali misure restrittive non sono applicabili per motivi economici o per la sola esistenza dicondanne penali e comunque possono essere prese solo per il comportamento personale chedeve rappresentare una minaccia, reale, attuale e abbastanza grande per un interesse

fondamentale della società. Nel tentativo di bilanciare le due esigenze di cui sopra la Corte hariconosciuto che il concetto di ordine pubblico varia da uno stato all’altro ma ha anche stabilitodelle precisazioni sul contenuto di tali concetti per porre comunque dei limiti alla valutazionediscrezionale degli stati. La corte ha ribadito che tali criteri devono comunque essere considerati

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una eccezione alla libertà di circolazione e quindi devono essere interpretati restrittivamente ecomunque non possono eccedere ciò che è necessario per soddisfare le esigenze di ordinepubblico e devono rispettare i principi della convenzione europea dei diritti dell’uomo. La corte haanche precisato che le misure restrittive possono essere adottate allorchè lo straniero eserciti uncomportamento che l’ordinamento reprime anche se tenuto da un cittadino e questo sulla base delprincipio di non discriminazione. Infine la direttiva stabilisce un bilanciamento tra l’esigenza ditutela dell’ordine pubblico e la situazione personale del cittadino per cui lo stato può evitare ilprovvedimento di espulsione o sostituirlo con un provvedimento che consenta il soggiorno solo inuna parte del territorio qualora lo richiedano circostanze relative alla situazione familiare edeconomica del cittadino.

12.2 (segue) Le garanzie nei confronti di provvedimenti restrittivi dell’ingresso e delsoggiorno – La direttiva 38/2004 chiede agli stati membri di riconoscere alcune garanzie aglistranieri colpiti da un provvedimento restrittivo o di rifiuto di ingresso. Tale direttiva (integrata dagliinterventi della corte) stabilisce che il provvedimento deve essere notificato per iscritto (in unalingua conoscibile per lo straniero) e deve indicare in modo chiaro i motivi che lo giustificano.Inoltre deve indicare l’organo (amministrativo o giurisdizionale) a cui rivolgersi per il ricorso e il

termine (non inferiore ad un mese dalla notifica). La direttiva richiede anche che il giudice debbavalutare sia la legittimità del provvedimento che le circostanze che lo hanno giustificato. Abbiamoquindi una variazione rispetto alla normativa precedente che non dava agli stati membri l’obbligo diconsentire l’accesso ai mezzi di ricorso e prevedeva un controllo sulla sola legittimità delprovvedimento. La giurisprudenza della corte ha poi stabilito che i provvedimenti di espulsione nonhanno effetto definitivo in quanto decorso un certo termine (tre anni) dall’espulsione lo stranieropuò chiedere di essere riammesso dimostrando il mutamento delle circostanze in base alle qualiera stato adottato il provvedimento di espulsione.

13) L’accesso al lavoro – Secondo l’art. 39 devono essere abolite tutte le discriminazioni fondatesulla nazionalità per ciò che riguarda l’impiego e viene stabilito il diritto di rispondere ad offerte dilavoro in altri stati. Tale articolo era stato in un primo tempo interpretato in maniera restrittiva e cioè

nel senso che consentiva l’ingresso solo ai cittadini in possesso di una offerta di lavoro,, ma inseguito è stata adottata una interpretazione più estensiva e quindi comprendente anche il diritto dispostarsi in un altro stato membro per cercarvi un lavoro. Il regolamento di attuazione di talearticolo ha poi precisato che sono vietate non solo le discriminazioni direttamente fondate sullanazionalità ma anche quelle indirette che, fondandosi su criteri diversi, tendono comunque adescludere dalle offerte di lavoro i cittadini di altri stati membri (es. la corte ha ritenuto incompatibilecon l’art. 39 una normativa spagnola che per l’accesso ad un certo impiego richiedeva il possessodi un diploma di un istituto di formazione situato in Spagna).

13,1 (segue) – I limiti dell’accesso al lavoro: l’eccezione degli impieghi nella P.A. – Secondol’art. 39 gli impieghi nella P.A. sono esclusi dall’applicazione delle norme sulla circolazione deilavoratori. La corte ha però chiarito la portata di tale limite stabilendo che la deroga è consentitaper i soli posti di lavoro nella P.A. che comportano l’esercizio di pubblici poteri e la responsabilitàdella tutela di interessi generali dello stato. La corte ha anche fornito un elenco di impieghi che nonpossono essere considerati come impieghi nella P:A: (es. insegnante di scuola superiore,infermiere, ricercatore, guardia giurata). L’esercizio di pubblici poteri comunque deve costituire unaparte rilevante e non marginale dell’impiego in questione. Inoltre, una volta che lo straniero abbiaavuto accesso alla P.A. non sono consentiti provvedimenti discriminatori rispetto ai lavoratorinazionali. Può solo essere preclusa la carriere allorchè le mansioni di funzione di livello più elevatocomportino l’esercizio di pubblici poteri.

13.2 (segue) Il requisito delle conoscenze linguistiche – Un altro limite nell’accesso al lavoroda parte dei cittadini di stati membri diversi è dato dal regolamento del 1968 che prevede che il

principio di parità nell’accesso al lavoro non riguardi le condizioni relative alle conoscenzelinguistiche richieste per l’impiego offerto. La Corte ha prospettato una interpretazione piuttostorestrittiva ricorrendo al criterio di proporzionalità e non discriminazione per cui i requisiti relativi alle

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conoscenze linguistiche devono essere giustificati in relazione alla specifica natura dell’impiego inquestione.

14)Il trattamento dei lavoratori – L’art. 39 stabilisce anche l’abolizione di ogni discriminazionebasata sulla nazionalità (oltre che per l’accesso al lavoro) per la retribuzione e le altre condizioni dilavoro. Tale articolo ha avuto poi attuazione dal regolamento del 1968 (n. 1612( e nellagiurisprudenza della corte. Per quanto riguarda la retribuzione la corte ha affermato che ai fini delcalcolo della retribuzione e della pensione lo stato membro deve tenere conto nello stesso modoanche dei periodi di lavoro prestati dal lavoratore in altri stati membri. Per quanto riguarda la paritàdelle altre condizioni di lavoro la corte ha affermato che il lavoratori stranieri devono avere lastessa tutela di quelli nazionali anche rispetto ai licenziamenti anche se il trattato non consideraespressamente tale ipotesi. Il regolamento attuativo ha anche stabilito che al lavoratore stranierospettano gli stessi diritti sindacali di quelli nazionali con il solo limite di esclusione dallapartecipazione alla gestione di organismi di diritto pubblico. La corte ha però interpretatorestrittivamente tale limite (come già fatto per quello degli impieghi nella P.A.) stabilendo la solaesclusione da attività che implichino la partecipazione del lavoratore straniero al pubblico potere. Ilregolamento attuativo ha anche interpretato l’art. 39 come operante non solo per le condizioni

legate al rapporto di lavoro (es. retribuzione, orario) ma anche per le altre condizioni applicate ailavoratori nazionali (es. assistenza sociale e trattamento fiscale). L’art. 39 è stato così interpretatonel senso di attribuire al lavoratore straniero gli stessi vantaggi sociali e fiscali di cui godono ilavoratori nazionali . La corte ha poi contribuito ad una interpretazione piuttosto allargata delconcetto di vantaggio sociale includendovi anche misure non connesse al rapporto di lavoro (es.sussidio di disoccupazione, riduzione delle tariffe ferroviarie per le famiglie numerose, ecc). Tuttociò sulla base del fatto che, al di là di quanto contenuto nell’art, 39, l’art. 12 del trattato imponecomunque la parità di trattamento dei lavoratori comunitari rispetto a quelli nazionali. La corte haperò precisato che coloro che sono alla ricerca della prima occupazione in uno stato membrodiverso da quello di appartenenza hanno diritto di beneficiare dei vantaggi sociali previsti per quelliche già hanno esercitato un lavoro solo dopo che lo stato membro abbia accertato che ci sia statoun sufficiente periodo di residenza e che l’interessato abbia effettivamente cercato un lavoro sul

mercato di lavoro del proprio territorio. Il principio di parità implica il divieto non solo dellediscriminazioni dirette, fondate sulla nazionalità ma anche di quelle indirette, fondate su altri criteri,ma tese al medesimo risultato, La corte ha pertanto ritenuto incompatibili con l’art. 39 normativenazionali tese a stabilire il criterio della residenza permanente sul territorio nazionale comecondizione necessaria per ottenere alcune indennità o per accedere a determinati impieghi. Lacorte però nel valutare tali discriminazioni indirette valuta se le normative nazionali che le pongonoin essere possono essere giustificate in base ad esigenze imperative dello stato. Qualora ritengache la normativa che produce effetti discriminatori possa essere giustificata la corte la sottopone alcontrollo di proporzionalità per accertare se l’interesse nazionale possa essere tutelato construmenti che non implichino discriminazioni. Anche con questo temperamento il criterio restacomunque non completamente accettabile in quanto se le discriminazioni indirette rientranonell’applicazione dell’art. 39 dovrebbero essere proibite in ogni caso. Ad. es. nell’intervento dellacorte nelle discriminazioni indirette alcune sentenze hanno dimostrato che in tema fiscale ilprincipio di parità tra lavoratore non residente e lavoratore nazionale può operare solo quando ilreddito familiare è in gran parte prodotto nel territorio di occupazione. Infatti in una sentenza circala compatibilità del trattato di una normativa tedesca che concedeva alcune agevolazioni fiscali aisoli residenti escludendo da tali benefici i cittadini stranieri residenti in altri paesi ma lavoratori inGermania la corte ha stabilito che le agevolazioni fiscali vanno accordate anche ai non residentisolo se essi traggono la maggior parte del loro reddito dall’attività esercitata nello stato in cuilavorano. In tale caso infatti non esiste una differenza oggettiva tra lavoratore residente elavoratore non residente che possa giustificare un diverso trattamento.

15) Diritto al ricongiungimento familiare – La direttiva 38/2004 consente ai familiari (coniuge,

figli, figli del coniuge se minori di 21 anni o a suo carico, ascendenti del cittadino o del coniuge) delcittadino dell’unione il diritto di accompagnarlo o raggiungerlo nello stato in cui si trasferisce . Talediritto non ha lo scopo di estendere la libertà di circolazione dei lavoratori ma solo di facilitarlogarantendo il rispetto della vita familiare. Nella nozione di familiare può essere incluso anche il

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partner a condizione che abbia con il cittadino dell’unione una unione registrata sulla base dellalegislazione dello stato di appartenenza qualora lo stato ospitante equipari tale unione almatrimonio, La corte ha però stabilito che se uno stato consente ad un proprio cittadino ilricongiungimento con il partner straniero non può negare la stessa cosa al lavoratore cittadino dialtro stato membro. In questo caso può essere applicata la legislazione nazionale più favorevole diquella comunitaria. Qualora il familiare sia anch’esso cittadino di uno stato membro può acquistareun diritto autonomo : la direttiva precisa infatti che il decesso o la partenza del lavoratore, ildivorzio o lo scioglimento dell’unione non incidono sul soggiorno dei familiari se anch’essi sonocittadini di uno stato membro. Se invece il familiare non è cittadino di uno stato membro il decessodel coniuge lavoratore non gli fa perdere il diritto di soggiorno se ha soggiornato nel territorio delpaese ospitante per almeno un anno prima del decesso. Inoltre se ricorrono particolari condizioni ilfamiliare del cittadino UE può ottenere il diritto autonomo al soggiorno anche in caso discioglimento del matrimonio o dell’unione registrata. Per quanto riguarda i figli, i figli di lavoratori distati membri conservano il diritto al soggiorno in caso di partenza della famiglia se devonocontinuare gli studi e ciò non è possibile nello stato di appartenenza. Il rilievo pratico di tale dirittosi ha però solo nel caso in cui il figlio non sia cittadino di uno stato membro. Il familiare (anche senon cittadino UE) ha il diritto di accompagnare o raggiungere il cittadino per un periodo fino a 3

mesi. Per i periodi superiori i familiari cittadini UE possono ottenere il diritto ottenendo l’attestato diiscrizione (presentando la carta di identità e un documento attestante la qualifica di familiare)mentre i familiari non cittadini UE dovranno ottenere una apposita carta di soggiorno. I familiaricittadini UE possono avere il diritto di soggiorno permanente se il loro familiare cui siricongiungono l’ha ottenuto o se hanno soggiornato nello steso ospitante per almeno 5 anni (o unperiodo più breve se ricorrono particolari condizioni).

15. 1 (segue) Il ricongiungimento dei familiari non cittadini UE – La normativa comunitariaqualora il ricongiungimento riguardi familiari non cittadini UE è applicabile solo se il lavoratorecittadino di uno stato membro ha esercitato il diritto alla libera circolazione. Per quanto riguardal’ingresso la direttiva 2004/38 stabilisce che i familiari non cittadini UE se provenienti da uno statoterzo per il quale ciò è richiesto sono soggetti all’obbligo del visto di ingresso (tale obbligo decade

solo se sono in possesso di una carta di soggiorno rilasciata da un altro stato membro). La corteha però stabilito che il coniuge del lavoratore non può essere respinto alla frontiera per mancanzadel documento o del visto qualora sia in grado di provare la sua identità e il legame coniugalepurchè non vi siano elementi per ritenere che possa costituire un pericolo per la sanità o lasicurezza pubblica. La direttiva 2004/38 stabilisce anche la possibilità per il familiare di ottenere undiritto di soggiorno autonomo: ad. es. la partenza del cittadino o il suo decesso non comporta laperdita del diritto di soggiorno per il coniuge e il figlio iscritto in un istituto scolastico finchè nonsiano terminati gli studi. In alcuni casi nemmeno lo scioglimento del matrimonio comporta la perditadel diritto di soggiorno per i familiari. Il diritto di soggiorno è comunque soggetto al fatto che ilfamiliare eserciti una attività lavorativa o comunque disponga dei mezzi sufficienti Per quantoriguarda il regime del soggiorno la direttiva estende i limiti previsti per i cittadini degli stati membri(sanità pubblica, pubblica sicurezza e ordine pubblico) anche i familiari ammessi alricongiungimento qualunque sia la loro cittadinanza. La corte ha ribadito tale orientamentostabilendo che per negare l’ingresso al familiare non cittadino UE non è sufficiente che esso siastato segnalato ai fini della non ammissione dalla banca dati del sistema Schengen ma occorreche egli costituisce una minaccia effettiva, attuale e grave ad un interesse fondamentale per lacomunità. Per il soggiorno inferiore a 3 mesi non sono previste formalità; per i periodi superiorioccorre una carta di soggiorno che si ottiene presentando il passaporto, un documento che attestala qualità di familiare e la prova del soggiorno nello stato del cittadino UE che si accompagna o sivuole raggiungere. I familiari non cittadini Ue possono acquistare il diritto di soggiorno permanentedopo un soggiorno legale e continuativo di 5 anni nello stato ospitante.

16) Il trattamento dei familiari del lavoratore – Ai familiari del lavoratore ammessi al

ricongiungimento è assicurata la parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali. Tale principio èassicurato in base al Trattato (art. 12) per i familiari cittadini UE; per i familiari di paesi terzi èinvece assicurato dall’interpretazione da parte della corte del regolamento del 1968 n. 1612 che farientrare il trattamento riservato ai familiari nei vantaggi sociali per i quali opera il principio di non

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discriminazione. Nella parità di trattamento rientra anche la parità del diritto all’accesso al lavoronella quale il familiare è equiparato al cittadino UE lavoratore. I figli del lavoratore hanno il diritto difrequentare i corsi di insegnamento e di formazione in parità di trattamento rispetto ai figli deicittadini nazionali. La parità di tratamento non è solo relativa alle norme sull’ammissione ma anchea tutte le misure atte ad agevolare la frequenza dell’insegnamento (es,. aiuti per coprire le spesedello studente che essendo vantaggi sociali devono essere assicurati ai figli dei lavoratoricomunitari come ai figli dei cittadini nazionali). Anche per il trattamento dei familiari la corte havietato le discriminazioni indirette basate sul criterio di residenza. Se infatti una normativanazionale non subordina la concessione di una borsa di studio ai flgli di lavoratori nazionali alcriterio di residenza non può farlo nemmeno per i figli di lavoratori comunitari. Restano esclusedall’applicazione del principio di parità quelle misure non concesse ai familiari del lavoratore ma atutti i cittadini (es. sussidio per disabili). Tali prestazioni rientrano comunque nel campo diapplicazione dell’art.12 Trattato che vieta in generale le discriminazioni in base alla cittadinanza.

17) La sicurezza sociale – La normativa comunitaria in tema di sicurezza sociale è funzionalerispetto alla libera circolazione dei lavoratori in quanto la stessa non potrebbe realizzarsi se ailavoratori fossero negati quei vantaggi previdenziali previsti dalle leggi nazionali. In questo caso il

principio della parità di trattamento non è sufficiente a garantire lo scopo in quanto è necessariauna normativa che elimini gli ostacoli dovuti a diversi regimi di sicurezza sociale applicati dagli statimembri. Il trattato a tale proposito (art. 42) stabilisce che debba essere adottato un sistema chegarantisca il cumulo di tutti i periodi lavorativi svolti nei vari stati membri sia per il sorgere del dirittoalle prestazioni sia per stabilirne l’entità. Ad attuare tali principi è intervenuto il regolamento del1971 che dovrà essere sostituito da un nuovo regolamento emanato nel 2004 ma che saràapplicabile solo dalla data del relativo regolamento di applicazione. Il regolamento del 1971stabilisce i criteri relativi alla prestazione stabilendo che debba essere lo stato dove è stataeffettuata l’ultima prestazione a provvedere alla totalizzazione dei vari periodi assicurativi. E’ chiaroche l’applicazione di tale disposizione richiede un coordinamento tra i vari stati interessati epertanto è stata istituita una commissione formata dai rappresentanti dei vari stati membri. La corteha interpretato il regolamento tenendo presente che la sua finalità è quella di favorire la libera

circolazione dei lavoratori e su questa base ha ritenuto invalido un articolo di tale regolamento cheprevedeva che la totalizzazione dei vari periodi non avrebbe potuto eccedere l’importo più elevatocui il lavoratore avrebbe avuto diritto se avesse lavorato in un solo stato e pertanto il lavoratoremigrante non avrebbe potuto ricevere un trattamento più favorevole di quello che avrebbe avutolavorando in un solo stato. Tale articolo è stato ritenuto incompatibile con l’art. 42 in quanto laliberalizzazione dei lavoratori non potrebbe attuarsi se il lavoratore fosse privato dei vantaggigarantiti dalle leggi di uno stato membro. Per quanto riguarda la prestazione oggetto delregolamento la corte ha chiarito che le prestazione tende alla prevenzione di determinati rischi equindi il regolamento deve intendersi applicabile alla sola previdenza sociale e non alla assistenzasociale.

III LA CIRCOLAZIONE E ILTRATTAMENTO DEI LAVORATORI SUBORDINATI CITTADINI DI

STATI TERZI

Il Trattato di Amsterdam ha stabilito la competenza della comunità a regolare le condizioni dioccupazione dei cittadini di stati terzi ma in realtà tale principio poteva già desumersi dal Trattato inquanto è funzionale alla tutela dell’occupazione di cittadini di stati membri. Se infatti fosseconsentito agli stati stabilire condizioni di lavoro meno favorevoli per i cittadini di stati terzi questipotrebbero essere avvantaggiati nell’ottenere un lavoro per la maggiore convenienza dei datori dilavoro ad assumerli. Gli atti comunitari che verranno emanati per regolare la materia, pertanto,tenderanno ad allineare le condizioni di lavoro per i cittadini di stati terzi a quelle previste per icittadini di stati membri-

18) Il trattamento e la circolazione dei lavoratori negli accordi di associazione – Le normeposte in essere da alcuni accordi di associazione conclusi dalla comunità con stati terzi hannorilievo per quanto riguarda il trattamento dei lavoratori degli stati associati, stabilendo che esso nondebba essere discriminante rispetto a quello dei cittadini nazionali. La corte ha affermato che le

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norme degli accordi di associazione in tema di non discriminazione producono effetti diretti e quindipossono essere invocate dagli interessati davanti ai tribunali nazionali e possono essere invocateanche nei confronti di privati per cui sono idonee a produrre effetti diretti anche orizzontali. Inoltre.la corte ha accolto una interpretazione estensiva di tali norme. In particolare interpretandol’accordo di associazione con la Turchia la Corte ha ritenuto che il principio di parità. Pur essendoriferito solo alle condizioni di lavoro e alla retribuzione, debba essere esteso anche alla sicurezzasociale. Inoltre la corte dal principio di non discriminazione ha ricavato effetti anche sotto il profilodel soggiorno. Infatti interpretando l'accordo di associazione con il Marocco la corte ha sostenutoche qualora un cittadino del Marocco abbia ottenuto un permesso di lavoro più lungo del permessodi soggiorno ha il diritto alla proroga di quest’ultimo che lo stato membro potrebbe rifiutare solo per motivi connessi a sanità pubblica, ordine pubblico e pubblica sicurezza. Come si vede questi motivisono gli stessi che permettono limiti alla libertà di circolazione dei cittadini di stati membri e quindila pronuncia della corte potrebbe indicare una estensione agli accordi di associazione dei principioperanti per la libera circolazione dei cittadini UE. Tuttavia si deve dire che i motivi sono statiindicati dalla corte in maniera esemplificativa e quindi non si esclude che si possano invocareanche motivi diversi che vadano a tutelare un interesse legittimo dello stato.

18.1 (segue) La circolazione dei lavoratori – Disposizioni circa la circolazione dei lavoratori distati terzi sono contenute solo nell’accordo di associazione con la Turchia e con i paesi dell’Efta(che ha però perso rilevanza dopo l’ingresso nella comunità di Austria, Svezia e Finlandia).Nell’accordo con la Turchia è prevista la graduale applicazione della libertà di circolazione deilavoratori tra comunità e Turchia tra la fine del 12^ e del 22^ anno di entrata in vigore dell’accordo.La corte ha escluso che tale norma possa avere effetti diretti ma ha ritenuto che le decisioni delconsiglio di associazione possano avere effetti diretti. Tra queste ultime è importante quella cheprevede che il cittadino turco ha diritto al rinnovo del permesso di lavoro presso lo stesso datore dilavoro se quest’ultimo vuole proseguire il rapporto di impiego. Dopo 3 anni di attività ha diritto diassumere un impiego presso un altro datore di lavoro che esercita la stessa attività e dopo 4 anniha diritto ad accedere a qualunque lavoro. Secondo la corte tali diritti per essere esercitatiimplicano l’esistenza di un diritto di soggiorno in capo all’interessato.

CAPITOLO III LA LIBERTA’ DI STABILIMENTO1. Premessa – Dobbiamo subito dire che nel trattato Ce la libertà di circolazione dei lavoratori èsoggetta ad una disciplina unitaria solo per ciò che riguarda i lavoratori subordinati, Per quantoriguarda invece i lavoratori autonomi la disciplina della libertà di circolazione è fissata attraverso idue momenti del diritto di stabilimento (diritto dei cittadini di uno stato membro di svolgere la loroattività indipendente in modo continuo o permanente nel territorio di un altro stato membro) e dellalibera prestazione di servizi ( diritto del cittadino comunitario di esercitare la sua attività in o versouno stato membro diverso da quello dove è stabilito in modo permanente).

2. Diritto di stabilimento nel Trattato Cee e superamento del periodo transitorio – Il TrattatoCee (Comunità Economica Europea) prevedeva il divieto per gli stati di introdurre nuove limitazionial diritto di stabilimento ma anche l’adozione di un programma generale (entro il 31..12.1961) cheavrebbe dovuto eliminare le restrizioni già esistenti. Nel 1961 il programma generale fu adottatoma la realizzazione di tale programma si doveva avere tramite l’adozione di direttive che però nonavvenne con sollecitudine e completezza, tanto è vero che la relativa normativa si limita oggi a duesole direttive, la direttiva 73/Cee (che stabilisce il diritto per il cittadino e per i suoi familiari direcarsi in un altro stato membro per svolgervi lavoro autonomo e quindi il relativo diritto dipermesso e soggiorno) e la direttiva 75/Cee (che estende il diritto di soggiorno previsto per illavoratore dipendente che abbia cessato l’attività per anzianità o invalidità anche al lavoratoreautonomo). La corte ha però ritenuto che la mancata adozione delle direttive non poteva essere diostacolo alla applicazione del Trattato in quanto il diritto di stabilimento non ha il suo fondamentonelle direttive ma nel Trattato stesso che sancisce all’art. 43 il divieto di discriminazione in base

alla nazionalità, visto che tale norma è dotata di effetto diretto.3. La distinzione dalla libera prestazione dei servizi e dalla libertà di circolazione deilavoratori – La libertà di stabilimento presenta elementi comuni ed elementi di differenziazione

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rispetto allalibera circolazione del lavoro subordinato ed alla libertà del prestatore di servizi.L’elemento che accomuna il llibero prestatore di servizi e il titolare della libertà di stabilimento è ilcarattere non subordinato e autonomo del lavoro svolto caratterizzato quindi dall’assunzione delrischio economico. L’elemento che accomuna invece il titolare della libertà di stabilimento con illavoratore subordinato è il carattere tendenzialmente permanente della presenza del lavoratorenello stato membro diverso da quello di appartenenza. Il soggetto deve avere quindi una presenzastabile nel mercato economico del paese ospite (mentre la presenza del prestatore di servizi hacarattere transitorio o temporaneo). Rientra quindi nel diritto di stabilimento sia una prestazionesenza previsione di durata sia una a tempo determinato purchè preveda una durata tale daconsentire il concreto insediamento del lavoratore nel mercato economico del paese ospite.

4) Le situazioni puramente interne – Dobbiamo ora vedere quando la libertà di stabilimento puòessere disciplinata dal diritto comunitario e quando invece tale disciplina nn può essere applicata edeve essere invece applicata la normativa nazionale. Perché la libertà di stabilimento possaessere regolata dal Trattato Ce (artt. 43-48) è necessario il requisito dell’interstatualità. Adesempio non ricade nel diritto comunitario e quindi non si ha stabilimento nel caso di professionistiitaliani che esercitano esclusivamente in Italia sulla base di qualifiche professionali conseguite in

Italia dove risiedono. C’è da dire però che è probabile che i legislatori nazionali adottino disciplinein armonia con la disciplina comunitaria in quanto un diverso e meno favorevole trattamentoriservato dal legislatore nazionale ad una situazione puramente interna potrebbe esserecensurabile alla luce del principio costituzionale di uguaglianza assumendo come parametro lasituazione soggettiva garantita dal diritto comunitario.

5) Campo di applicazione. Persone fisiche . Il requisito della cittadinanza – Per quantoriguarda le persone fisiche l’art. 43 Trattato Ce richiede, come requisito per il diritto di libertà distabilimento la cittadinanza di uno stato membro ( e quindi dell’unione). Tale requisito non èderogabile,.come invece avviene per la libera prestazione di servizi. La possibilità per i cittadininon comunitari di stabilirsi all’interno della comunità resta quindi affidata alle norme nazionali, agliaccordi internazionali sottoscritti dai singoli stati membri o agli accordi di associazione conclusi

dalla comunità con stati terzi.

5.1) Lo stabilimento delle persone giuridiche  – L’art. 48 Trattato Ce equipara, ai finidella libertà di stabilimento, le società alle persone fisiche a condizione che si tratti di societàcostituite conformemente alla legislazione di uno stato membro e con la sede sociale o il centro diattività principale all’interno della comunità. La norma quindi richiede un certo legame conl’ordinamento comunitario che per le persone fisiche è dato dalla cittadinanza e per quellegiuridiche è dato dalla costituzione secondo le leggi di uno stato membro e dalla localizzazione delloro centro di interesse all’interno della comunità. C’è da dire che in un primo tempo l’art. 48 erastato interpretato con solo riferimento alle persone giuridiche mentre in seguito è prevalsal’applicazione anche a quelle società prive di personalità ma comunque dotate di sufficienteautonomia rispetto ai soci. Secondo l’art. 48 in linea di principio le persone giuridiche potrebberoesercitare la libertà di stabilimento sia a titolo principale che a titolo secondario ma in realtà, comevedremo dopo, ad esse è consentita la sola forma di stabilimento secondario (possibilità di aprirefiliali, succursali o agenzie). E’ chiaro che poiché la persona giuridica esiste solo in base alla leggenazionale che la costituisce il diritto di stabilimento presuppone il mutuo riconoscimento dellesocietà tra i vari sati dell’Unione. Il Trattato Ce prevedeva quindi che gli stati membri avviasseronegoziati che garantissero sia il mutuo riconoscimento che il mantenimento della personalitàgiuridica in caso di trasferimento della sede della società da un paese membro ad un altro. Poichétale obiettivo non è stato raggiunto il legislatore comunitario ha cercato di perseguire un obiettivo diarmonizzazione tra i vari diritti societari degli stati membri. Il primo passo in avanti in tale senso èstato svolto dal Consiglio Europeo di Nizza del 200 con l’adozione di un regolamento (checostituisce e fissa lo statuto della società europea) e di una direttiva (che concerne il

coinvolgimento dei lavoratori),. Il successo della società europea potrà essere valutato solo infuturo sulla base della verifica sul numero delle imprese e dei settori economici che vi sarannocoinvolti.

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6) Campo di applicazione materiale – L’art. 43 Trattato Ce non contiene alcuna indicazionedelle attività per le quali può essere esercitato il diritto di stabilimento e ne consegue pertanto unvastissimo campo di applicazione che è sicuramente sovrapponibile a quello della liberaprestazione di servizi. E’ ovvio che deve trattarsi di una attività economica e quindi finalizzata allaproduzione di beni e servizi ma la Corte ha adottato una interpretazione estensiva facendovirientrare ogni attività economicamente rilevante anche indirettamente. L’art. 45 attribuisce alConsiglio su proposta della Commissione la competenza di escludere alcune attività dal campo diapplicazione ma ciò non ha mai trovato applicazione in quanto costituirebbe una limitazione didiritti attribuiti dall’art. 43 che ora (scaduto il periodo transitorio) è considerato dotato di effettodiretto.

6.1) Esclusione di attività che partecipano all’esercizio di pubblici poteri – L’art. 45esclude dal campo di applicazione della libertà di stabilimento le attività che nello stato ospitepartecipano anche occasionalmente all’esercizio di pubblici poteri. Come abbiamo già visto per lalibera circolazione dei lavoratori subordinati tale esclusione è interpretata in maniera restrittivaescludendo dalla libertà di stabilimento solo quelle attività in cui si ha una partecipazione diretta especifica all’esercizio di un pubblico potere.

7) Le modalità di esercizio della libertà di stabilimento7.1) Stabilimento a titolo principale – Il diritto di stabilimento può essere esercitato a titoloprincipale o a titolo secondario. Nel primo caso la persona fisica cittadino UE può stabilire il propriocentro di attività principale in un altro stato membro. In linea di principio anche le società (purchècostituite in conformità con la legge di uno stato membro e aventi sede in esso) potrebberoesercitare il diritto di stabilimento a titolo principale, partecipando alla costituzione di una nuovasocietà in un altro stato membro o trasferendo la propria sede in un altro stato membro.Praticamente però la sola forma di stabilimento a titolo principale attualmente consentita allesocietà è la prima . Poiché infatti in molti stati è la sede della società a determinarne la nazionalitàil trasferimento della sede potrebbe essere incompatibile con il mantenimento della personalitàgiuridica.

7.2) Stabilimento a titolo secondario – L’art. 43 Trattato Ce prevede che il diritto di stabilimentocomporta il divieto di restrizioni all’apertura di agenzie,.succursali o filiali da parte di cittadini di statimembri stabiliti sul territorio di un altro stato membro. Il diritto di stabilimento a titolo secondariocomporta quindi due distinti centri di attività: uno nello stato di stabilimento originario e l'’altro nellostato di apertura di agenzia, succursale o filiale. C’è da dire peròche non è detto che il secondocentro di attività debba essere subordinato al primo in quanto potrebbe verificarsi anche l’inverso inquanto attraverso lo stabilimento secondario potrebbero svolgersi le attività economicamente piùrilevanti per la società. Può accadere che una società venga costituita in uno stato e poi apra unasuccursale in un altro stato dove può svolgere la totalità delle sue attività economiche. Ciòcostituisce un esercizio della libertà di stabilimento (che comporta di scegliere l’ordinamento piùfavorevole per la costituzione della società) e non un abuso del diritto comunitario. Pertanto unanormativa nazionale che neghi lo stabilimento secondario ad una società costituita all’esterosarebbe contraria al diritto di stabilimento dettato dal Trattato. L’art. 43 menzionando il caso diagenzie, succursali o filiali sembrerebbe alludere solo alle società ma, in mancanza di limitazioninel Trattato esso è stato ritenuto applicabile anche alle persone fisiche anche se, non potendoapplicarsi alle società lo stabilimento principale, lo stabilimento a titolo secondario è la sola formadi stabilimento cui le società possano, allo stato attuale, fare ricorso. Il Trattato non definisce ciòche si debba intendere per agenzia succursale o filiale e pertanto, al riguardo, abbiamo solo ladefinizione data dalla Corte e precisamente “centro operativo che si manifesta in modopermanente come una estensione della casa madre, provvisto di direzione e in grado di trattarecon terzi

8) IL contenuto della libertà di stabilimento . La regola del trattamento nazionale – Ilcontenuto del diritto di stabilimento si ispira al principio del trattamento nazionale e quindi dellaassimilazione dello straniero comunitario al cittadino per quanto riguarda l’accesso e l’esercizio di

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una attività autonoma (art. 43) vietando limitazioni e condizionamenti che non siano imposti ancheai cittadini.Ci troviamo così di fronte ad una applicazione dell’art. 12 Trattato Ce che vieta ognidiscriminazione fondata sulla nazionalità. Il Trattato prevedeva originariamente la gradualeattuazione della libertà di staibilmento per cui doveva essere subito attivo il divieto di introdurrenuove limitazioni mentre l’eliminazione di quelle già esistenti doveva avvenire sulla base di unprogramma generale e di direttive. Tale programma non è stato mai completamente realizzato mala Corte ha stabilito che l’art. 43 è di efficacia diretta in quanto il programma generale doveva soloservire a facilitare la libertà di stabilimento la quale trova invece il suo fondamento direttamente nelTrattato, Il divieto di discriminazione vieta tutte quelle normative nazionali basate sulla cittadinanzache precludono o limitano l’accesso o l’esercizio delle attività economiche o che discriminano lostraniero nella fruizione di vantaggi o facilitazioni anche indirettamente connesse con l’esercizio diattività economiche (es. è incompatibile con il diritto di stabilimento la normativa nazionale cheriservi ai soli cittadini il diritto di immatricolazione nello stato per le imbarcazioni da diporto).

9) Il divieto di misure indistintamente applicabili – La regola del trattamento nazionale haevidenziato i propri limiti in quanto gli stati hanno applicato normative nazionali che, pur rivolte

indistintamente a cittadini nazionali e comunitari e quindi su un presupposto diverso dallanazionalità, realizzano comunque una discriminazione nei confronti degli stranieri. Un esempio èdato dal requisito della residenza, richiesto indifferentemente a cittadini e stranieri comunitari cheperò può essere più facilmente soddisfatto dai cittadini. Altro esempio è dato dalle norme fiscaliche esigevano la residenza fiscale all’interno dello stato per ottenere rimborsi di imposte nondovute che discriminavano le società straniere che, esercitando lo stabilimento secondarioavevano la residenza fiscale nello stato dove esercitavano lo stabilimento principale. Lagiurisprudenza della corte ha ritenuto tali misure incompatibili con il diritto di stabilimento.L’orientamento della corte è quello di favorire la parificazione e quindi di individuare anche quellemisure nazionali non discriminatorie che rappresentano comunque un ostacolo all’accesso almercato da parte di operatori di altri stati membri. Ad. es. sono ritenute incompatibili anche quellemisure non discriminatorie di esercizio dell’attività che possono costituire per l’operatore straniero

che vuole entrare nel mercato un ostacolo alla redditività dell’attività maggiore rispetto a quantoavviene per gli operatori nazionali già presenti sul mercato i quali godendo di una posizioneconsolidata possono meglio sopportare l’impatto negativo della normativa sulla loro redditività. Talimisure potrebbero quindi rendere meno attraente allo straniero l’esercizio della sua attività nellostato considerato.

10)  – Le eccezioni alla libertà di stabilimento: l’abuso del diritto – Anche il diritto distabilimento è sottoposto a restrizioni sia contenute nel Trattato che nella giurisprudenza dellacorte. Il diritto attribuito dal diritto comunitario infatti non può essere oggetto di uso abusivo al finedi eludere interessi protetti dalle norme nazionali e ritenuti meritevoli di tutela da parte dellacomunità. Pertanto uno stato membro può, nel rispetto del principio di non discriminazione eproporzionalità. Adottare misure per evitare che, grazie al trattato, i suoi cittadini si sottraggano alrispetto delle leggi nazionali. La Corte ha però escluso che ogni elusione di normative nazionalipossa considerarsi abuso del diritto comunitario. Infatti non costituisce abuso il fatto che uncittadino costituisca una società nello stato membro la cui normativa è più favorevole per poicreare succursali in altri stati membri anche se ciò viene fatto per evitare le normative più severeoperanti nello stato membro in cui si stabilisce la succursale. La Corte ha infatti chiarito che lemotivazioni che spingono un cittadino a costituire una società in uno stato membro piuttosto che inun altro sono irrilevanti per l’applicazione del diritto comunitario a meno che non si configuri unafrode, ipotesi che però non viene definita dalla corte e quindi sulla cui rilevanza pratica ci sono seridubbi.

11) Le restrizioni discriminatorie – Per quanto riguarda le restrizioni consentite al diritto di

stabilimento occorre distinguere tra misure discriminatorie e misure indistintamente applicabili. Per quanto riguarda le prime l’art. 46 stabilisce che sono ammesse misure nazionali discriminatoriefondate su motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. Naturalmente talimisure, costituendo una deroga, devono essere interpretate restrittivamente. Le nozioni di ordine

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pubblico e di pubblica sicurezza non sono state definite né della corte né dal Trattato: è statoescluso che misure discriminatorie possano essere giustificate sulla base di considerazioni di tipoeconomico e inoltre è richiesto agli Stati nell’applicazione di tali misure il rispetto del criterio diproprorzionalità e la necessità che il comportamento dell’interessato costituisca una minacciareale, attuale e sufficientemente grave ad un interesse fondamentale della società.

12) Le restrizioni non discriminatorie .- Gli stati possono adottare misure nazionali nondiscriminatorie restrittive del diritto di stabilimento sulla base di esigenze imperative connesseall’interesse generale anche se non riconducibili a quelle espressamente menzionate di ordinepubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. Le misure non discriminatorie per essereammissibili devono rispondere a quattro condizioni definite dalla giurisprudenza della corte: a)devono essere giustificate da esigenze imperative di interesse generale. Gli interessi di cui siconsente la tutela dovrebbero essere quelli ammessi quali deroghe alla libera circolazione dellemerci ma non si possono escludere ulteriori esigenze imperative quali la tutela dei creditori o lacoerenza del sistema fiscale statale . b) la misure restrittiva deve essere idonea a garantirel’interesse che deve proteggere – c) la misura restrittiva deve essere conforme al principio diproporzionalità ossia non deve imporre restrizioni superiori a quelle necessarie alla protezione

dell’interesse d) la misura restrittiva deve rispettare la verifica che la protezione dell’interessegenerale non sia già garantita dalla normativa del paese di provenienza di colui che esercita ildiritto di stabilimento.

13) Le misure di facilitazione del diritto di stabilimento – Il mutuo riconoscimento dei diplomi edei titoli di studio. – La regola del trattamento impone che lo stabilito che voglia accedere ad unaattività il cui esercizio sia subordinato nel paese di stabilimento ad una qualifica professionale o aun titolo di studio percorra il necessario curriculum nello stato ospitante. L’applicazione di taleprincipio però costituirebbe un serio ostacolo ala libertà di stabilimento e pertanto il Trattato all’art.47 prevede che il Consiglio debba adottare direttive tese al reciproco riconoscimento dei diplomi edegli altri titoli. Durante il periodo transitorio furono attivi gli interventi della Corte che oltre adattribuire efficacia diretta all’art. 43 stabilì un obbligo per gli Stati di concedere il riconoscimento

qualora le norme interne sull’equipollenza dei titoli lo consentissero. Tutto ciò però non evitava ledisparità tra i vari sistemi nazionali e pertanto le istituzioni comunitarie dovettero intervenire per adottare le direttive previste dall’art. 47. Le istituzioni seguirono il criterio di adottare per ogniprofessione due direttive : una per il coordinamento della formazione professionale nei vari stati el’altra per il reciproco riconoscimento dei titoli ottenuti dopo tale formazione. In seguito, vista ladifficoltà di applicare tale sistema a tutte le formazioni professionali si ricorse ad un altro criterio ecioè al solo mutuo riconoscimento dei percorsi formativi(anche se non armonizzati) eventualmentecon la previsione di misure compensative. Tale sistema può applicarsi a tutte le professioni e ponel’obbligo agli stati membri di concedere il diritto ad esercitare la professione a tutti i cittadini chepossiedono un titolo che li autorizza ad esercitare tale professione in un altro stato membro. Sonopreviste però misure compensative per cui se la formazione acquisita in un altro stato si basa sumaterie diverse da quelle contemplate dallo stato ospitante quest’ultimo può subordinare ilriconoscimento ad un tirocinio o ad una prova attitudinale, dove la scelta tra i due meccanismi è ingenere lasciata all’interessato.

14) Il diritto di stabilimento degli avvocati – Diversamente dalle altre professioni il diritto distabilimento dell’avvocato è stato solo in tempi recenti (2005) oggetto di specifici interventinormativi. Prima di allora poteva essere applicata agli avvocati la direttiva Cee che prevedeva ilmutuo riconoscimento dei diplomi di formazione di durata uguale o superiore ai 3 anni checonsentiva però agli stati di ricorrere per le professioni giuridiche alla prova attitudinale cherappresentava nei fatti una forte limitazione del diritto di stabilimento. C’erano quindi stati interventidella Corte che aveva stabilito il dovere degli stati di riconoscere i diplomi conseguiti in altri statimembri se equipollenti in base alla loro legislazione e in caso contrario che effettuassero la

comparazione tra le conoscenze conseguite dal candidato con quelle richieste dal diritto nazionale,richiedendo, nel caso la corrispondenza fosse parziale, che il candidato dimostrasse di aver acquisito le conoscenze mancanti. Nel 2005 il legislatore comunitario è intervenuto con unadirettiva che consente a certe condizioni che l’avvocato possa esercitare stabilmente la

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professione in un paese diverso da quello di origine. L’avvocato potrà esercitare tutte le attivitàtranne quelle che nel paese di provenienza sono esercitate da categorie diverse da quella diavvocato anche se nello stato di stabilimento esse sono esercitate da avvocati. Se poi l’interessatopuò provare di aver esercitato per 3 anni nello stato membro potrà essere assimilato all’avvocatodello stato ospitante esercitando la professione con il titolo dello stato ospitante senza sottoporsialla prova attitudinaria.

CAPITOLO IV . LA LIBERA PRESTAZIONE DI SERVIZI

1) Introduzione – La realizzazione del programma di integrazione socio economica contemplatodall’art. 2 del Trattato comporta la creazione di un mercato interno (ossia di uno spazio senzafrontiere interne) caratterizzato dall’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci,delle persone, dei servizi e dei capitali. Per quanto riguarda i lavoratori autonomi il sistema diliberalizzazione viene attuato consentendo ai soggetti di svolgere la propria attività nel territoriocomunitario o trasferendosi fisicamente e in maniera stabile in uno stato membro (libertà distabilimento) o mantenendo la sede nel proprio stato e rivolgendo le proprie prestazioni adestinatari che risiedono in un altro stato membro (libera prestazione di servizi). Rimangono fuori

del campo di applicazione della normativa comunitaria le attività che non comportanoattraversamento di frontiera e quindi sono da considerarsi come puramente interne.

2) L’ambito di applicazione sostanziale e le materie escluse – Ai sensi dell’art. 50 Trattato Cesono servizi le prestazioni fornite normalmente dietro corrispettivo e che non siano regolate dalledisposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone (carattereresiduale). Lo stesso articolo cita una serie di attività che rientrano nella nozione di servizi (acarattere industriale, commerciale, artigiano o delle libere professioni) ma la corte ha chiarito cheesso ha carattere solo esemplificativo e quindi ha fatto rientrare nella nozione di servizio anche ad.es. le attività sportive e le attività televisive. Esclusa dal campo di applicazione dell’art. 50 invecel’attività di trasporto (che rientra nel titolo V del Trattato) e la prestazione di servizi bancari eassicurativi (che rientra nella libera circolazione dei capitali). Per quanto riguarda la materia fiscale

se è vero che la materia delle imposte dirette rientra nella competenza nazionale è anche vero chegli stati non possono adottare politiche fiscali contrarie alle norme comunitarie in quanto essesarebbero disapplicate. Dall’art,. 50 si evince anche che una attività, per rientrare nell’ambito deiservizi, deve avere una rilevanza economica (“le prestazioni devono essere normalmente fornitedietro retribuzione”). Non può quindi rientrare nell’ambito dei servizi la composizione dirappresentative sportive nazionali ,in quanto rispondenti a criteri tecnico-sportivi e quindiconsiderata gratuita o l’attività di servizio (es. istruzione) svolta dallo stato membro non a fini dilucro ma per assolvere i propri obblighi di natura sociale. Alla luce della giurisprudenza della cortepoi non è richiesto un previo accordo tra prestatore e destinatario potendo l’attività di servizioessere rivolta anche ad un numero indefinito di destinatari. Non è neanche necessario che ilcorrispettivo provenga dal destinatario della prestazione, essendo sufficiente che il servizio vengafornito dietro remunerazione (es. programmi televisivi diffusi da uno stato membro in altri stati eremunerata dai cittadini dello stato di origine attraverso il canone o la pubblicità). Abbiamo vistoche la nozione di servizio ha carattere residuale e cioè che una attività viene presa inconsiderazione dalla disciplina della libera prestazione di servizi se ad essa non sono applicabili lenorme sulla libera circolazione delle merci, dei capitali o della libertà di stabilimento. E’ vero chenon è sempre facile trovare la linea di demarcazione tra la libertà garantita dall’art. 49 e seguenti ele altre. Per quanto riguarda la distinzione tra libera prestazione di servizi e libertà di stabilimento lavedremo dopo. Per quanto riguarda la differenza con la libera circolazione delle merci il riferimentoalla prestazione ci fa escludere che le attività che si concretano nella produzione di beni possanorientrare nella nozione di servizi. Se nella prassi si verificano attività che comportano sia laprestazione di servizi che la fornitura di beni la giurisprudenza della corte ha stabilito che occorredare rilevanza alla prestazione principale che dovrà essere individuata in base al valore economico

delle due prestazioni. Pertanto la nozione di servizio rilevante per il diritto comunitario comprendeogni attività economicamente rilevante che consista in un facere e non comporti scambio di beni.

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3) L’ambito di applicazione soggettivo: i soggetti tutelati – Il Trattato prevede che possonobeneficiare della libertà di cui all’art. 49 i cittadini di stati membri residenti in un paese membro chenon è quello del destinatario della prestazione. Le condizioni richieste sono quindi due : a) ilprestatore di servizi deve essere cittadino europeo. Da notare che tale requisito non è richiesto per il beneficiario del servizio che può essere cittadino terzo purchè residente nella comunità – b) isoggetti devono risiedere nell’ambito della comunità. Non può pertanto usufruire dellaliberalizzazione garantita dal trattato un prestatore di servizi cittadino Ue ma stabilito al di fuori delterritorio comunitario. Si tratta di una misura protezionista volta a non aprire i mercati a coloro chenon hanno un legame effettivo con il territorio comunitario. Ciò è confermato dal fatto che l’art. 49prevede che i benefici della liberalizzazione possono essere estesi a prestatori di servizi dinazionalità terza grazie ad una decisione del consiglio a maggioranza qualificata purchè residentinel territorio comunitario. La competenza a disciplinare l’attività di prestatori di servizi di nazionalitàterza ma stabiliti nel territorio comunitario è oggetto di una proposta di direttiva da parte delconsiglio che prevede l’introduzione di una carta Ce di prestazione di servizi uniforme in tutti glistati membri di durata al massimo di 12 mesi che consente al titolare di esercitare liberamentel’attività al pari del cittadino comunitario. Tale carta viene rilasciata dallo stato dove il cittadino terzoè stabilito ed è valida per esercitare temporaneamente l’attività in uno stato diverso da quello di

stabilimento. Per quanto riguarda le persone giuridiche l’art. 55 fa riferimento alla disposizionecontenuta nella parte relativa al diritto di stabilimento e pertanto la relativa normativa è applicabilesia allo stabilimento che alla prestazione di servizi.

4) Le modalità di svolgimento della prestazione di servizi: il carattere transfrontalierodell’attività - L’art. 49 chiarisce il carattere transfrontaliero della prestazione dei servizi,stabilendo, come abbiamo visto, che il prestatore di servizi deve essere stabilito in un paesemembro diverso da quello dove è stabilito il destinatario della prestazione. Ciò come abbiamo vistoconcede di escludere dalla disciplina quelle attività che, pur costituendo servizi secondo ladefinizione comunitaria, sono confinate solo all’interno di uno stato membro. Essenziale pertantoperché una attività possa essere oggetto di liberalizzazione è che si svolga con il passaggio difrontiera. Il trattato non richiede come requisito essenziale che il servizio sia prestato in maniera

occasionale o temporanea. Il requisito dell’occasionalità è invece richiesto qualora il prestatore diservizi si rechi a titolo temporaneo per eseguire la prestazione nello stato dove risiede ildestinatario della prestazione o quando sia il destinatario a recarsi nello stato dove risiede ilprestatore di servizi. Se in quest’ultimo caso infatti ci fosse il requisito della stabilità ci troveremmodi fronte ad una fattispecie inquadrabile nelle norme che regolano la libera circolazione dellepersone. Qualora comunque la prestazione di servizi richieda lo spostamento fisico del prestatoresi pone il problema di inquadrare l’attività nella libertà di stabilimento o nella prestazione di servizi.A tale proposito la giurisprudenza della corte non è chiarissima e pertanto la questione va valutatasulla base delle concrete circostanze . In generale si può presumere che se l’attività è svolta inmaniera continuativa e stabile in uno stato membro da risorse tecniche e umane che sonofisicamente presenti in quello stato dovrà essere applicata la normativa sulla libertà di stabilimento;mentre se la stessa attività è svolta senza spostamento fisico dei soggetti in quanto è laprestazione ad attraversare la frontiera si applicherà la disciplina sulla prestazione dei servizi.Rimangono comunque difficoltà di interpretazione e ciò ha indotto la Corte a suggerire l’adozionedi un regolamento comune per le quattro libertà fondamentali. L’art,. 49 quindi contiene comeregola generale l’ipotesi che non ci sia spostamento dei soggetti ma solo dell’attività per la qualenon è richiesto il requisito dell’occasionalità; ma copre anche le ipotesi che prevedono lospostamento fisico del destinatario nello stato dove è stabilito il prestatore. Essendo previstaquesta ipotesi è prevista anche quella inversa del prestatore che si reca nello stato dove è stabilitoil destinatario. La corte ha poi esteso la disciplina ad altri casi come quello dello spostamento dientrambi i soggetti in uno stato membro diverso da quello di stabilimento dove verrà effettuata laprestazione. La nozione quindi di prestazione di servizi rilevante per il diritto comunitario coprequalunque attività economicamente rilevante che non rientrando nel campo di applicazione delle

altre libertà economiche garantite dal Trattato Ce si realizza nel territorio comunitario con unpassaggio di frontiera, sia che lo stesso sia dovuto allo spostamento fisico di uno o entrambi isoggetti sia allo spostamento transfrontaliero del servizio stesso.

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5) Il regime della libertà di prestazione di servizi. – La libertà di prestazione dei servizi, al paridelle altre libertà, si basa sulla eliminazione delle restrizioni ad essa poste dagli organi pubblicidegli stati nazionali ma anche da enti e associazioni private. La relativa disciplina ha subito neglianni profonde trasformazioni dovute a modifiche degli articoli del trattato ad essa dedicate e agliinterventi della corte. Nel programma originario la liberalizzazione della prestazione dei serviziavrebbe dovuto essere raggiunta in maniera graduale sulla base di un programma generale chetutti gli stati dovevano adottare alla fine della prima tappa del periodo transitorio con l’unico divietoimmediatamente operante di non introdurre nuove misure restrittive,. Altro obbligoimmediatamente applicabile era quello che gli stati applicassero le eventuali restrizioni già esistentiin maniera non discriminatoria rispetto agli altri prestatori sulla base di nazionalità o residenza. Ilprogramma non si è però realizzato nei tempi previsti e comunque alla fine del periodo ditransizione non tutte le direttive di liberalizzazione erano state adottate. A ciò ha posto rimedio laCorte dichiarando la diretta efficacia del divieto di restrizione alla libera circolazione dei servizi(artt. 49 e 50). La corte pertanto di fronte al ritardo del consiglio nell’adottare le necessarie direttiveha interpretato l’art. 49 come dotato di efficacia diretta e quindi come ponente a carico degli statil’obbligo di eliminare tutte le discriminazioni che potessero colpire il prestatore di servizi per criterilegali alla nazionalità o residenza.

6) L’effetto diretto delle disposizioni del Trattato e il divieto di discriminazione in base allacittadinanza – L’art. 49 essendo dotato di effetto diretto attribuisce ai cittadini posizioni giuridichesoggettive perfette, cosa che consente loro il diritto di opporsi a qualsiasi disposizione nazionaleche comporti la restrizione della libertà garantita dal diritto comunitario. Nello stesso tempo leautorità giudiziarie e amministrative nazionali sono tenute a non applicare le disposizioni nazionaliche costituiscono ostacolo alla prestazione di servizi. Un comportamento contrario da parte delleautorità nazionali comporterebbe infatti la responsabilità dello stato per violazione del dirittocomunitario. Analoga efficacia diretta hanno anche le disposizioni contenute nelle direttive adottateper dare contenuto concreto alle norme del trattato, in particolare quelle tese a facilitare l’esercizioeffettivo della libera prestazione di sevizi. Ciò non toglie che a carico degli stati incombe comunquel’obbligo di depurare la normativa nazionale dalle disposizioni in contrasto con il divieto di

restrizione alla libera prestazione di servizi. Naturalmente il divieto di restrizione si estende anchealle norme adottate da associazioni private (es. federazioni sportive) o dalle convenzioni tra iprivati che qualora pongano in essere restrizioni incompatibili con il trattato sarebbero inapplicabiliin quanto nulle per violazione di norme imperative. Le misure restrittive sono vietate sia qualorasiano imputabili allo stato in cui è stabilito il prestatore sia qualora siano imputabili allo stato in cuiè stabilito il destinatario (es. ostacoli allo spostamento di pazienti in uno stato diverso per riceverecure mediche).

7) Le misure discriminatorie consentite dal Trattato – Gli stati membri possono in viaeccezionale limitare la circolazione dei servizi adottando misure discriminatorie, ma deve trattarsidi misure che rientrano nelle deroghe espressamente previste dal trattato e inoltre tali disposizionidevono essere interpretate ed applicate in maniera restrittiva trattandosi di eccezioni ad una dellelibertà economiche fondamentali garantite dal trattato. Ovviamente ricade sullo stato membro chele applica l’onere di dimostrare che le misure restrittive sono consentite dalle deroghe previste daltrattato. Le deroghe sono consentite dall'’art. 55 trattato che opera un rinvio alle disposizionirelative alla libertà di stabilimento e in particolare agli artt. 45 e 46-. L’art. 45 prevede che sonoescluse dalla liberalizzazione dei servizi quelle attività che nello stato partecipano sia pureoccasionalmente dell’esercizio dei pubblici poteri. Come già detto per la libertà di stabilimento lacorte ha interpretato tale deroga in maniera restrittiva limitandone la portata a ciò che èstrettamente necessario per tutelare gli interessi protetti dalla norma e comunque solo quandol’attività costituisce una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri. L’art. 46consente invece agli stati l’applicazione di misure legislative, amministrative e regolamentali cheprevedono un regime particolare per i cittadini di altro stato comunitario purchè siano giustificate

da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. Come già detto il trattato non dàuna definizione della nozione di ordine pubblico e quindi la portata di tale nozione va ricostruita inbase alla giurisprudenza della corte. La corte ha escluso che la nozione di ordine pubblico possa

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essere invocata per raggiungere obiettivi di natura economica e ha richiesto che le misure adottatedagli stati sulla base di tali motivi siano proporzionate allo scopo da raggiungere.

8) Il divieto di discriminazioni indirette: le misure indistintamente applicabili – Il divieto dicui all’art. 49 riferendosi in via generale alle restrizioni alla libera prestazione di servizi coinvolgeanche quelle misure non discriminatorie in quanto indistintamente applicabili ai cittadini e aicomunitari e che comunque finiscono per porre il prestatore comunitario in una situazione menofavorevole rispetto al prestatore nazionale. La corte quindi considera vietate in base all’art 49 eseguenti non solo le disposizioni nazionali discriminatorie palesi o occulte ma anche quelle misurenon formalmente discriminatorie che ricorrono a criteri diversi dalla cittadinanza ma che comunquehanno le stesse conseguenze. Nell’interpretazione della corte quindi si applica il superamento delprincipio del trattamento nazionale in favore di quello del mutuo riconoscimento. Secondo la corteinfatti la libera prestazione di servizi sarebbe resa più difficoltosa se il prestatore si vedesseimporre regole diverse nei paesi della comunità in cui opera. Pertanto il controllo della sua attivitàdeve essere limitato al rispetto della normativa del suo stato di origine la quale deve esserecomunque riconosciuta dagli altri stati membri. Il superamento del principio del trattamentonazionale è stato reso necessario dalla necessità di distinguere la libertà di prestazione di servizi

dalla libertà di stabilimento. Nella libertà di stabilimento infatti lo stato membro può chiedere chetutti i soggetti che operano sul suo territorio rispettino le norme nazionali che regolano questo tipodi attività. Nella libera prestazione di servizi invece ciò non avviene in quanto il prestatore di serviziè già sottoposto alle regole dello stato in cui è stabilito che devono in linea di principio esserericonosciute dallo stato di destinazione del servizio. Infatti richiedere al prestatore il rispetto delladoppia normativa vuol dire sottoporlo ad un trattamento di fatto sfavorevole rispetto ai soggetti chesono stabiliti nel paese di destinazione del servizio.

9) Deroghe al divieto di discriminazione indiretta: le misure indistintamente applicabiliconsentite secondo la corte – La libertà di prestazione dei servizi non è comunque assoluta. Lacorte infatti permette allo stato di destinazione del servizio di applicare al prestatore misurenazionali che sia pur non discriminatorie comportano di fatto una restrizione. Ciò può avvenire solo

se tali misure sono giustificate dai motivi indicati all’art. 46 Trattato Ce o da esigenze imperativeconnesse all’interesse generale che non sarebbero salvaguardate dall’applicazione della solanormativa nazionale del paese di stabilimento del prestatore. E’ chiaro che il concetto di “esigenzeimperative connesse all’interesse generale” è piuttosto relativo in quanto dipende dalle politicheinterne dei vari stati e quindi il suo contenuto è determinato dai vari interventi della corte che vi haincluso, tra l’altro, la tutela dei lavoratori, la tutela dell’ordine sociale, la lotta contro la criminalità, lacoerenza del regime fiscale, ecc. La corte richiede anche che tali esigenze non nascondanoobiettivi di natura economica e siano proporzionate all’obiettivo da perseguire. E’ chiaro che lanormativa nazionale restrittiva dovrà essere verificata per valutare se può essere giustificata inbase a ragioni imperative di interesse generale. Se ne deduce che vi è una presunzione relativa diincompatibilità con il trattato di normative nazionali che sia pur non discriminatorie restringano lalibera circolazione dei servizi. Tale presunzione può essere superata se lo stato dimostra lapresenza dei requisiti di cui all’art. 46. Se ciò avviene il divieto di cui all’art. 49 non si applica. Laregola generale è quindi che lo stato di destinazione del servizio non può sottoporre l’attività alrispetto delle condizioni previste per la libertà di stabilimento ma non si può escludere che in viaeccezionale lo stato può imporre al prestatore stabilito in un altro stato il rispetto di alcuni requisitirichiesti dalle proprie normative se si verificano le condizioni di cui all’art. 46, anche se ciò rende difatto più onerosa l’attività in questione rispetto a quella esercitata dai prestatori stabiliti nel proprioterritorio.

10) La giurisprudenza recente – La ricostruzione fatta nei paragrafi precedenti per cui le misurerestrittive di tipo discriminatorio possono essere giustificate solo sulla base dell’art. 45 (esercizio dipubblici poteri) e 46( ordine pubblico) mentre quelle non discriminatorie anche sulla base di

esigenze imperative viene messa in discussione da recenti sentenze della corte che hannoattribuito rilevanza ad esigenze di protezione di alcuni interessi statali come il controllo del gioco diazzardo. In una sentenza infatti la Corte ha ritenuto che esigenze imperative come il controllo delgioco d’azzardo possono motivare misure discriminatorie che comportano l’attribuzione del diritto a

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svolgere l’attività solo ad organismi nazionali. Tale sentenza è sorprendente in quanto deroga alprincipio consolidato permettendo che anche le misure discriminatorie possano essere giustificateda esigenze imperative. La corte avrebbe potuto raggiungere lo stesso risultato inquadrando lemisure adottate per il controllo del gioco di azzardo nell’ambito delle restrizioni giustificate dallatutela dell'ordine pubblico (art. 46).

CAPITOLO V – CIRCOLAZIONE DEI CAPITALI E PAGAMENTI

1) La nozione di movimento di capitali e di pagamento – Il trattato Ce pone la disciplina deimovimenti di capitale e dei pagamenti all’interno del titolo terzo (contenente la disciplina generaledella libera circolazione delle persone, servizi e capitali) agli articoli 56-60. La disciplina sia deimovimenti di capitale che dei pagamenti è quindi accorpata in un unico capo e ciò è solo in partegiustificata da alcuni elementi comuni in quanto ci sono differenze sul piano normativo e quindi idue concetti non possono essere unificati. Movimento di capitale e pagamento hanno in comune iltrasferimento da uno stato all’altro di denaro o mezzi di pagamento o valori mobiliari (titoli dicredito, azioni o obbligazioni) ma si distinguono in quanto solo nei pagamenti è presente il concettodi corrispettività. Si ha infatti movimento di capitale con le operazioni che comportano il

trasferimento da uno stato all’altro di denaro o valori assimilati per fini di collocamento oinvestimento; si ha invece pagamento quando il trasferimento di denaro o valori assimilati è ilcorrispettivo di una prestazione negoziale quale la vendita di merci o la prestazione professionale.

2) Profili generali della disciplina – Le norme sui movimenti di capitale e sui pagamenti sonocollocate nel quadro delle libertà di circolazione in quanto sono funzionali ad esse e contribuisconoalla creazione di un mercato unico dove sono eliminati gli ostacoli alla circolazione dei fattoriproduttivi. Le norme sui movimenti di capitale quindi oltre a costituire una libertà fondamentalesono funzionali all’esercizio delle altre libertà e in particolare del diritto di stabilimento, Allo stessomodo le norme sui pagamenti sono funzionali allo scambio di merci e servizi e alla circolazione dipersone e di capitali, La disciplina si pone lo scopo di sopprimere le restrizioni al movimento dicapitali e ai pagamenti sia tra gli stati membri che tra stati membri e stati terzi (art. 56) .. Le

disposizioni che esprimono le libertà di pagamenti e movimenti di capitale producono effetti direttiin capo ai singoli. Tali norme quindi fanno sorgere in capo ai singoli situazioni giuridiche soggettiveche devono essere salvaguardate dalle autorità statali amministrative e giudiziarie che sono tenutea non applicare il diritto interno qualora in contrasto con quello comunitario, La definizione “singoli“farebbe concludere che le disposizioni di cui all’art. 56 siano operanti sia tra gli stati membri chenei rapporti interindividuali. Mentre l’ambito di applicazione materiale degli art. 56 e seguenti èchiaro (concetti di pagamento e movimento di capitale) più difficoltosa è la determinazionedell’ambito di applicazione soggettivo. Infatti mentre le altre libertà si rivolgono ai soli cittadini distati membri una analoga limitazione non esiste in materia di capitale e pagamenti. Si deveritenere quindi che le norme in questione debbano indirizzarsi ai residenti negli stati membri inquanto le libertà in questione non potrebbero attuarsi se ne restassero esclusi residenti cittadini distati terzi alle cui operazioni di capitale e pagamenti in questo caso dovrebbero applicarsi lenormative nazionali. La disciplina delle libertà di movimento di capitali e pagamenti ha quindi unaportata maggiore rispetto alle altre libertà (per le quali il trattato si limita a garantire lo svolgimentosul piano interno) e quindi comprende sia i rapporti intracomunitari che quelli con i paesi terzi.

3) La dimensione interna dei pagamenti e dei movimenti di capitale - I pagamenti e imovimenti di capitale tra stati membri sono regolati dall’art. 56 e dalle misure nazionali di ordinegenerale poste dall’art. 58. Per quanto riguarda i pagamenti l’art 56 dispone che possono essereliberamente effettuate le prestazioni monetarie quali corrispettivo della vendita di una merce, dellaprestazione di un servizio o della collocazione di un capitale. Per quanto riguarda la circolazione dicapitali tra stati membri secondo l’art. 56 sono liberalizzati, tra gli altri, i movimenti di capitale checomportano investimenti, operazioni in titoli, operazioni in conto corrente o deposito, importazioni o

esportazioni di valuta. Pertanto il residente di uno stato membro può accedere al sistemafinanziario di un altro stato membro senza restrizioni o discriminazioni. Ad. es. sarebbe in contrastocon le norme comunitarie l’adozione di tassi di interesse inferiori per i non residenti che investono

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in titoli nazionali o la norma nazionale che subordina il trasferimento di valuta o di mezzi dipagamento ad una autorizzazione amministrativa.

4) Le misure nazionali di ordine generale – Ai sensi dell’art. 58 gli stati membri conservano ilpotere, a determinate condizioni, di applicare alcune disposizioni interne che possono inciderepositivamente o , più spesso, negativamente sulle libertà di cui all’art. 56. Tale potere degli statideriva direttamente dal sistema comunitario e anch’esso, come le altre deroghe alle libertàfondamentali, subisce una interpretazione restrittiva. Lo stato che ricorra a tale potere è soggetto allimite della proporzionalità e quindi deve limitare l’imposizione di oneri al minimo necessario per ilraggiungimento dello scopo richiedendo il minor sacrificio possibile ai singoli. Le misure previstedall’art. 58 sono generali in quanto in materia di capitali e pagamenti possono operare sia neirapporti intercomunitari che nelle relazioni con i paesi terzi. Tali misure generali sono di duetipologie: la prima risulta indirettamente dalle limitazioni che gli stati possono porre al diritto distabilimento e quindi hanno il loro fondamento in questo ambito normativo., La seconda è invecedisciplinata dall’art. 58 che nel contemplare il potere dello stato ne fissa anche il limite. Innanzituttol’art. 58 consente agli stati membri unicamente di adottare un trattamento tributario differenziato inrelazione al luogo di residenza dei contribuenti o di collocamento dei loro capitali.. L’art. 58

consente agli stati di adottare misure di controllo sui movimenti di capitale solo per realizzareinteressi riconosciuti dal sistema comunitario (es. ordine pubblico, pubblica sicurezza, contrastodell’evasione fiscale). Gli stati possono quindi per perseguire tali interessi sottoporre l’esportazionedi valuta all’obbligo di una dichiarazione preventiva da parte dei singoli. La giurisprudenza dellacorte ha poi ammesso che per l’esportazione di valuta gli stati possono imporre l’autorizzazioneamministrativa solo per esigenze di ordine pubblico e pubblica sicurezza, qualora ci sia unaminaccia effettiva e abbastanza grave ad un interesse fondamentale e mai per motivi economici.Gli stati non possono poi esercitare il potere di cui all’art. 58 con provvedimenti che rientrano nellacompetenza della comunità, né in modo da costituire una discriminazione arbitraria o unarestrizione dissimulata agli obblighi di liberalizzazione di cui all’art. 56.

5) La dimensione esterna dei pagamenti e della circolazione dei capitali : norme e deroghe

  – Gli articoli 57-60 comportano in linea di principio una liberalizzazione dei pagamenti e dellacircolazione dei capitali con paesi terzi. Dall’analisi delle relative norme si evince però che laliberalizzazione esterna è inferiore rispetto a quella che si ha nella dimensione interna. Innanzituttoper i rapporti con stati terzi è possibile adottare anche dopo il 1993 (diversamente da quanto èprevisto per i rapporti tra stati comunitari) norme tributarie più gravose per i residenti in paesicomunitari che hanno collocato i loro capitali all’estero. In secondo luogo l’art. 57 mantiene lerestrizioni per alcuni movimenti di capitale con gli stati terzi (es. quelli che riguardano gliinvestimenti diretti) in vigore al 31.12.93. A questa deroga si possono richiamare gli stati qualoraadottino misure volte a limitare gli spostamenti di capitale con paesi terzi relativi ad investimentidireti. C’è da dire che il valore pratico di tale deroga è abbastanza limitato in quanto il consiglio amaggioranza qualificata può adottare misure relative a movimenti di capitale con stati terzi inrelazione ad investimenti diretti. Altra differenza con la disciplina sul piano interno si ha all’art. 59che stabilisce che gli stati possono adottare misure di salvaguardia della stabilità della monetaunica per movimenti di capitale (e non per i pagamenti) provenienti o diretti all’estero in caso digravi minacce al funzionamento dell’unione economica e monetaria. Tali misure possono essereprese solo se strettamente necessarie, in circostanze eccezionali e per un periodo non superiore a6 mesi.

6) (segue) – Misure di congelamento dei capitali e di blocco dei pagamenti destinati oprovenienti da paesi terzi – Altre misure di tipo restrittivo nei confronti dei paesi terzi possonoessere adottate ai sensi dell’art. 60 sia dalla comunità che dagli stati membri. Nel primo caso ilparlamento europeo è assente dal processo decisionale (come per gli atti nel settore della politicaestera e sicurezza comune) e quindi è il Consiglio, su proposta della Commissione, che può

adottare a maggioranza qualificata misure sanzionatorie nei confronti dei paesi terzi interessati.Nel secondo caso gli stati membri possono adottare misure restrittive valide solo nei confronti dialcuni paesi terzi qualora sussistano gravi ragioni politiche e motivi di urgenza. Gli stati hanno peròl’obbligo di consultare gli altri stati e di informare la Commissione entro la data di entrata in vigore

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delle misure stesse. Tali provvedimenti adottati dagli stati possono avere durata circoscritta. Infattiesse potrebbero essere sostituite da misure comunitarie adottate dal Consiglio. Inoltre il Consigliopuò decidere che lo stato membro modifichi o revochi le misure adottate. In tal caso il Parlamentodeve essere informato delle decisioni prese dal Consiglio.

CAPITOLO VI – LE POLITICHE DI CONCORRENZAParte I .- La politica di concorrenza rivolta alle imprese private

I Generalità

1) I settori sottoposti alle regole di concorrenza – Gli artt. 81 e 82 del Trattato disciplinano ilcomportamenti di imprese private sul mercato che potrebbero alterare il libero gioco dellaconcorrenza. Si tratta di norme di applicazione generale che operano in tutti i settori economici conla parziale esclusione dell’agricoltura (settore dove tali regole non possono essere applicate agliaccordi necessari per perseguire gli obiettivi di una politica agricola comune).

2) il concetto di impresa – Nel diritto comunitario il concetto di impresa è concepito in maniera

diversa rispetto a ciò che avviene nel diritto civile nazionale. L’impresa secondo il dirittocomunitario è qualunque soggetto che svolge una attività economica e che quindi potrebbeincidere sulla concorrenza del mercato a prescindere dalla natura giuridica e dalle modalità diorganizzazione (es. ufficio di collocamento, ente non profit, libero professionista). L’impresa devepoi avere un carattere concreto di autonomia: sarebbe infatti esclusa dall’applicazione degli artt. 81e 82 una impresa formalmente autonoma e dotata di personalità giuridica qualora un’altra impresaeserciti su di essa un grado di controllo tale da impedirle di operare come entità economicaindipendente.

II Le intese vietate dall’art. 81 –

3) I comportamenti vietati dall’art. 81 – L’art. 81 proibisce alle imprese di operare intese o di

operare con pratiche concordate aventi come oggetto o per effetto di impedire, restringere ofalsare il libero gioco della concorrenza sul mercato comune. La prima cosa da dire è che per applicare la disciplina non è necessario che si verifichi una alterazione della concorrenza essendosufficiente la possibilità che un determinato comportamento dell’impresa possa provocare taleeffetto. In secondo luogo invece un accordo tra imprese avente per oggetto l’impegno a tenerecomportamenti lesivi della concorrenza non costituisce violazione dell’art. 81 se le condizioni delmercato rendono impossibile alle imprese tenere un comportamento diverso. In tal caso infatti lalimitazione della concorrenza viene ricondotta ad una situazione di fatto e non all’accordo tra leimprese. In terzo luogo non è necessaria ai fini dell’applicazione della disciplina che l’effettoanticoncorrenziale sia effettivamente voluto dalle parti o se esso fosse più o meno prevedibile inquanto ciò che rileva è solo la produzione o la potenziale produzione di tale effetto, Non sononeanche necessari requisiti di forma in quanto nell’ambito di applicazione rientrano sia gli accordiche le pratiche concordate: non è quindi necessario lo scambio del consenso essendo sufficienteche un soggetto assuma un comportamento in corrispondenza del comportamento di un altrosoggetto e che tali comportamenti nel loro insieme producano una alterazione della concorrenza .Ai fini dell’applicazione della disciplina è quindi dell’accertamento della compatibilità di uncomportamento con l’art. 81 vanno considerati tutti gli elementi che possono influenzare il mercatoe quindi sia i fattori anti che quelli pro concorrenziali, ma vanno escluse altre considerazionidiverse da quelle sull’’impatto sulla concorrenza come ad es. considerazioni di politica industriale esociale. Tali considerazioni possono essere valutate successivamente nell’ambito dellaconcessione dell’esenzione ai sensi del III paragrafo dell’art. 81.

4) (segue) Accordi orizzontali e accordi verticali – L’art. 81 indica anche, in via

esemplificativa, i contenuti che rendono un determinato accordo contrario al diritto di concorrenza.I contenuti sono i seguenti: a) fissare anche indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altrecondizioni – b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi o gli investimenti – c) ripartire imercati o le fonti di approvvigionamento – d) applicare condizioni diverse nei rapporti con gli altri

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contraenti – e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraentidi prestazioni che non hanno legame con l’oggetto del contratto. La Corte ha ritenuto che in lineadi principio rientrano nel divieto di cui all’art. 81 sia gli accordi orizzontali (accordi tra imprese chehanno lo stesso ruolo nel ciclo economico: es. accordi che fissano i prezzi tra imprese concorrenti)che quelli verticali ( accordi tra imprese che non hanno lo stesso ruolo nel ciclo economico: es.accordi tra impresa che produce e impresa che distribuisce il prodotto).

5) La nullità delle intese vietate – Il II paragrafo dell’art. 81 prevede la sanzione della nullità per le intese vietate dal primo paragrafo. La nullità è insanabile, opera automaticamente e può essererilevata d’ufficio dal giudice o accertata dalle istituzioni che vigilano sul mercato. Tale paragrafo èinteso come producente effetti diretti.

6) Le esenzioni – 6.1 (segue) Profili generali – Il terzo paragrafo dell’art. 81 consente di non applicare la disciplinaad accordi astrattamente distorsivi della concorrenza che possono produrre effetti positivi sulprocesso di produzione o sul progresso tecnico-economico. Tali accordi devono però evitare di : a)imporre alle imprese interessate restrizioni non necessarie per raggiungere gli obiettivi – b) dare a

tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per la parte sostanziale dei prodottiinteressati. E’ inoltre necessario che i vantaggi prodotti siano in qualche modo distribuiti e checomunque venga mantenuto un mercato concorrenziale. Nella prassi il potere di esenzione è statoutilizzato per intese che non realizzavano gli effetti positivi espressamente previsti dalla norma mache erano invece diretti ad assicurare la coerenza tra le norme comunitarie.

6.2. Le esenzioni individuali – Occorre effettuare una distinzione tra esenzioni individuali edesenzioni per categoria. Le esenzioni individuali riguardano singoli accordi che rientrano nel divietodi cui all’art. 81 ma che soddisfano le esigenze previste al paragrafo 3 dello stesso articolo.Secondo il sistema vigente prima del nuovo regolamento del 2003 (in base alla mancanza di effettidiretti dell’art. 81) il procedimento di esenzione era molto complesso e richiedeva una previanotifica alla commissione degli accordi per i quali si richiedeva l’esenzione e il beneficio

dell’esenzione era subordinato ad un espresso provvedimento di autorizzazione da parte dellacommissione. Con il nuovo regolamento del 2003 l’art. 81 ha ora efficacia diretta e quindi puòessere applicato dai giudici nazionali o dagli organismi di vigilanza senza una previa decisionedella commissione. La Commissione mantiene comunque la propria competenza sulla materia mail suo intervento ha ora carattere eccezionale e quindi riservato ai casi di particolare rilevanza.Con il nuovo regolamento è anche scomparso l’obbligo di notifica e ne deriva quindi un sistema dicontrollo a posteriori in quanto sono le imprese a valutare se esistono i presupposti per l’esenzionee in caso positivo a concludere gli accordi e quindi invocare il terzo paragrafo dell’art. 81 nel corsodi procedimenti antitrust avviati d’ufficio o su denuncia di terzi. E’ comunque onere delle impresedimostrare l’esistenza delle condizioni di esenzione. Se il ruolo operativo della commissione èquindi ridimensionato la stessa ha ora un ruolo normativo più attivo in quanto ha il compito diguidare l’applicazione dell’art. 81 attraverso la collaborazione con le autorità nazionali garanti dellaconcorrenza. I vantaggi del nuovo regolamento sono di carattere pratico. Il sistema precedenteinfatti portava le imprese a notificare alla commissione ogni genere di intesa talvolta anche alloscopo di sospendere eventuali procedimenti nazionali. Il nuovo sistema decentrato previsto dalregolamento del 2003 se permette di superare tali problemi presenta comunque delle difficoltà. Inprimo luogo occorre considerare che il sistema delle esenzioni era stato concepito come un mezzoper bilanciare il sistema antitrust con finalità di tipo ambientale, industriale e sociale e quindi lacommissione per ottenere tali scopi doveva compiere anche valutazioni di carattere politico al finedi bilanciare gli interessi in gioco. Tale compito appare ora più difficile in quanto gli organigiurisdizionali nazionali non hanno gli strumenti di valutazione necessari. In secondo luogo il nuovosistema rischia di creare una situazione di incertezza per cui le imprese potrebbero astenersi dalconcludere accordi quando esiste anche una remota possibilità che essi non siano considerati

meritevoli di esenzione.6.3. – Le esenzioni per categoria - Il terzo paragrafo dell’art. 81 prevede che la commissionepossa emanare regolamenti che stabiliscono l’esenzione per intere categorie di accordi o pratiche

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concordate. In un primo tempo tali regolamenti contenevano per ogni categoria di accordi unelenco di clausole vietate (clausole nere) che se presenti nell’accordo ne avrebbero determinato lanullità e un elenco di clausole ammesse (clausole bianche). L’orientamento è ora diverso in quantoi regolamenti, pur continuando e contenere un elenco di clausole vietate, prevedono di valutare lapossibile esenzione in base al potere di mercato detenuto dalle imprese interessate. I regolamenticontengono infatti l’indicazione di una quota di mercato limite: al di sotto di questa gli accordi sonoesenti (salvo l’inserimento di clausole nere). Il superamento della quota limite invece comporta laprevisione di non esenzione e quindi in un eventuale procedimento giudiziario sarà oneredell’impresa dimostrare le condizioni per beneficiare dell’esenzione individuale. Se invece la quotanon viene superata l’onere di dimostrare la violazione spetta agli organi di controllo e quindi siverifica una inversione dell’onere della prova rispetto alle esenzioni individuali dove è l’impresa adover dimostrare l’esistenza di condizioni di esenzione. Possono revocare l’esenzione lacommissione e le autorità garanti nazionali a differenza delle esenzioni individuali dove anchel’autorità giudiziaria ha potere di revoca. Altra differenza è che la revoca di esenzione per categorienon ha effetto retroattivo mentre quella individuale si. Ovviamente gli accordi che non rientrano neiregolamenti di esenzione per categoria sono vietati a meno che non godano delle condizioninecessarie per l’esenzione individuale.

7)Le condizioni di esentabilità degli accordi verticali – Gli accordi verticali sono stati oggetto diuna profonda valutazione in quanto si è tenuto conto che essi potrebbero avere effettiproconcorrenziali. >Si è stabilito infatti che in un mercato caratterizzato da una forte concorrenzatra più marche essi potrebbero migliorare la distribuzione e l’assistenza al consumatore. Pertantoessi sono stati oggetto di un regolamento di esenzione per categoria che prevede l’esenzione degliaccordi verticali qualora il potere di mercato del fornitore (o dell’acquirente in caso di acquistoesclusivo) non superi il 30% del mercato. Entro tale limite la commissione ritiene che gli effettiproconcorrenziali superino quelli anticoncorrenziali riservandosi comunque il potere di revocarel’esenzione ex nunc qualora tali condizioni cambino. Ovviamente l’esenzione copre solo gli accordiverticali che non presentano clausole nere. Vi sono poi clausole grigie che comportano la nullitàdella sola parte dell’accordo che le contiene (obblighi di non concorrenza indeterminati o che

pongono ai distributori di un sistema selettivo il divieto di vendita dei prodotti di altre marche.

8)L’esistenza di una posizione dominante – L’abuso di posizione dominante è disciplinatodall’art. 82 del Trattato. Occorre precisare che non è vietata l’esistenza di una posizione dominantema l’abuso che si fa di essa. Infatti i soggetti che hanno una posizione dominante sul mercatogodono di una particolare autonomia che consente loro di determinare le proprie strategie senzatenere conto dei concorrenti e pertanto hanno una particolare responsabilità e non possonomettere in atto comportamenti abusivi che invece sarebbero leciti se praticati da soggetti che nonsono in tale posizione. Per valutare se una impresa è in posizione dominante la quota di mercatodetenuta è un criterio importante ma non sempre decisivo in quanto può avere valore assoluto solose superiore al 90%. Può infatti essere in posizione dominante una impresa che ha una quota dimercato minoritaria ma è dotata di un forte potere nei confronti dei concorrenti che gli consente diessere indipendente dai loro comportamenti. Altri criteri sono il possesso di vantaggi tecnologici ofinanziari e la presenza di un mercato con barriere all’entrata per i nuovi concorrenti.

9) La posizione dominante collettiva – Si ha generalmente in un mercato oligopolista quandopiù imprese non domiinanti possono mettere in atto un comportamento abusivo. In tal caso laposizione dominante è detenuta collettivamente. E’ chiaro il collegamento di tale fattispecie conl’accordo anticoncorrenziale di cui all’art. 81. Infatti un abuso di posizione dominante collettiva puòcoesistere con una violazione all’art. 81 allorchè sia frutto di un accordo o di una praticaconcordata tra imprese. Rileva invece autonomamente quando gli accordi non sono in séanticoncorrenziali o sono esenti ai sensi del paragrafo 3 dell’art. 81 e gli effetti abusivi derivano daicomportamenti delle imprese sul mercato a seguito degli accordi stessi.

10) Il mercato rilevante – Per stabilire la posizione dominante occorre definire il mercato rilevanteossia il mercato in cui opera l’impresa in quanto una posizione può essere dominante se valutatain un mercato ristretto e invece scomparire in un mercato più ampio. (es. una impresa può avere

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una posizione dominante nel mercato delle banane e non averla se si prende in considerazionel’intero mercato della frutta). Il metodo di determinazione del mercato rilevante è stabilito dallacommissione che distingue tra mercato geografico e mercato del prodotto. Il mercato del prodottocomprende tutti i prodotti con un certo grado di sostituibilità dal punto di vista del consumatore coni prodotti dell’impresa considerata. A determinare il grado di sostituibilità è l’elasticità delladomanda a piccole variazioni di prezzo. Se infatti a seguito di un aumento del prodotto dell’impresaconsiderata i consumatori hanno propensione a spostarsi su un altro prodotto i due prodotti sonosostituibili e quindi appartenenti allo stesso mercato,. Il mercato geografico è invece quello dove lecondizioni di concorrenza dei prodotti considerati sono omogenee tra di loro e in tal mododistinguono tale zona da altre zone vicine che hanno condizioni di concorrenza diverse. Criteriodeterminante è in tal caso la sostituibilità dell’offerta. Se a seguito di una variazione del prodotto ladomanda si rivolge ai fornitori della zona vicina e questi sono in grado di soddisfare la domandaallora tale zona deve essere compresa nel mercato geografico rilevante. Tale mercato è quindi piùristretto se esistono fattori che limitano la capacità delle imprese di altre aree geografiche asoddisfare la domanda del prodotto considerato (es. preferenze del consumatore, caratteristichedel prodotto).

11) Lo sfruttamento abusivo – Una volta definita la posizione dominante occorre stabilire quandoessa viene sfruttata abusivamente. L’art. 82 elenca in via esemplificativa i comportamenti chepossono costituire abuso di posizione dominante. Ad. es. in tema di prezzo costituisce abuso lafissazione di prezzi minori o diversi per prestazioni equivalenti, o la fissazione di prezzi troppobassi rispetto ai costi di produzione (che eliminerebbero dal mercato le piccole imprese che nonsono in grado di sopportare perdite oltre un certo periodo) o troppo alti rispetto alla prestazione.Sono inoltre abusive le vendite combinate di prodotti non collegati tra di loro. Importante è anchel’obbligo posto in capo alle imprese dominanti di consentire ai concorrenti l’accesso alle essentialfacilities, ossia le infrastrutture necessarie per esercitare l’attività (es. reti di telecomunicazionepossedute da un operatore il cui utilizzo è necessario per le imprese che vogliono offrire un certoservizio).

IV I procedimenti di applicazione del diritto comunitario della concorrenza

I procedimenti di applicazione del diritto comunitario di concorrenza hanno subito un notevolecambiamento con il citato regolamento 1/2003 che ha operato un ampio decentramento stabilendovari procedimenti sia a livello nazionale che comunitario ad opera di autorità sia amministrative chegiurisdizionali.

12) L’applicazione ad opera della Commissione – Il procedimento può essere attivato d’ufficiodalla commissione o su denuncia di un soggetto che ne abbia interesse. La commissione, su cuigrava l’onere di provare la violazione antitrust, ha un ampio potere di accertamento in quanto puòchiedere alle imprese informazioni ed esse hanno l’obbligo di fornirle. Tuttavia la corte di giustiziaha precisato che l’impresa ha il diritto di non rispondere allorchè la richiesta sia formulata in mododa richiedere la confessione della violazione (applicazione del diritto penalistico di non testimoniarecontro se stessi). La commissione può anche accedere ai locali dell’impresa ed esaminare libricontabili e documenti con la collaborazione delle autorità nazionali antitrust. Al termine della fase diaccertamento la commissione può decidere: a) di archiviare emettendo la decisione che dichiaral’inapplicabilità degli articoli 81-82 b) respingere la denuncia c) aprire un procedimento formale diinfrazione. Se la commissione apre il procedimento sorgono in capo alle parti i diritti relativi alladifesa e al giusto contraddittorio. La commissione ha l’obbligo di comunicare per iscritto alle partigli addebiti contestati che non potranno più essere modificati dalla commissione stessa a meno dinon riaprire il procedimento. Le parti indagate possono illustrare per iscritto il loro punto di vista ochiedere una audizione orale. Tale audizione è fatta nel rispetto del contraddittorio ed è diretta daun funzionario della commissione al quale sono riconosciute garanzie di indipendenza e terzietà..

Al termine del procedimento la commissione può_ a) constatare l’esistenza di una infrazione edisporne la cessazione b) riconoscere l’inapplicabilità dei divieti di cui agli art. 81/82. Nel primocaso la Commissione indica anche i rimedi applica ammende allorchè l’azienda abbiacontravvenuto intenzionalmente o per negligenza. La Commissione ha ampia discrezionalità nella

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fissazione delle ammende che comunque non possono superare il 10% del fatturato dell’impresa.Nell’ambito della procedura la Commissione può anche decidere di revocare il beneficiodell’esenzione di categoria agli accordi qualora constati che essi producono nel caso specificoeffetti incompatibili con il terzo comma dell’art. 81. La commissione può anche disporre misurecautelari qualora ci sia presenza di un rischio grave e irreparabile per la concorrenza. Nel secondocaso la Commmissione pronuncia, anche d’uifficio, una decisione di inapplicabilità degli art. 81 –82. L’inapplicabilità può derivare sia dalla mancanza degli elementi di cui al paragrafo I articolo 81che dal soddisfacimento delle condizioni previste dal terzo paragrafo di tale articolo. In questoultimo caso visto che l’esenzione opera di diritto la decisione della Commissione avrà solo valoredichiarativo e non costitutivo. Il controllo giurisdizionale sulle decisioni della Commissione èaffidato al Tribunale di I grado per la giurisdizione di legittimità e alla Corte di Giustizia per lagiurisdizione di merito.

13) L’applicazione decentrata da parte delle autorità antitrust nazionali – La disciplinaantitrust comunitaria può essere applicata anche, in ciascuno stato, dalle autorità nazionali garantidella concorrenza, le quali, al parti della Commissione e a differenza degli organi giudizialinazionali, hanno il compito della tutela del pubblico interesse ad una concorrenza non falsata e

non della tutela dei diritti dei singoli lesi dalla violazione del diritto comunitario antitrust. Tali organi,al pari della Commissione, possono adottare d’ufficio o su richiesta decisioni sulla cessazionedell’infrazione, prendere misure cautelari, disporre ammende e sanzioni oppure, qualora nonsussistano elementi per l'’nfrazione, decidere di non intervenire. Tali autorità possono inoltredisporre sull'’ntero o su parte del proprio territorio la revoca del beneficio dell’esenzione per categorie dall’art. 81 qualora una intesa, pur rientrando nel regolamento, determini nel concretoeffetti contrari all’art. 81. In Italia ci sono problemi applicativi in quanto il regolamento 1/2003attribuisce alla autorità garante della concorrenza poteri di cui essa non dispone allorchè applica ildiritto interno antitrust, in quanto tali poteri non sono contemplati nella normativa italiana che haistituito l’autorità. E’ pertanto necessaria una riforma legislativa che disciplini anche sul pianonazionale i poteri che sono attribuiti sul piano comunitario.

14) L’applicazione giudiziale – Poiché gli artt. 81 e 82 hanno effetti diretti possono produrre effettianche nei rapporti tra i privati e quindi attribuiscono loro diritti soggettivi che devono essere tutelatidai giudici nazionali. Rispetto ai provvedimenti davanti alla Commissione e alle autorità garantiquindi le procedure giudiziarie offrono il vantaggio della possibilità di tutela di posizioni di naturaprivatistica con lo svantaggio però che i giudici nazionali non possono applicare sanzioni dicarattere amministrativo. I giudici nazionali sono competenti per l’applicazione degli artt. 81 e 82 intema di diritti soggettivi nell’ambito di un contenzioso che può avvenire su istanza di parte maanche d’ufficio visto che tali articoli hanno natura di norme di ordine pubblico, Diversamente dallaCommissione e dalle autorità garanti i giudici non hanno però il potere di revoca del beneficio diesenzione di categoria. Nello svolgimento del procedimento i giudici nazionali sono vincolati dalrispetto dei precedenti della Corte di Giustizia e del Tribunale di I grado e dei regolamenti diesenzione comunitari ma possono applicare la normativa processuale nazionale, nei limiti derivantidal diritto comunitario, nel senso che la normativa processuale non deve impedire o rendereparticolarmente difficoltosa la tutela delle posizioni soggettive attribuite ai singoli dal dirittocomunitario.

15) Il coordinamento tra le autorità competenti all’applicazione del diritto comunitario sullaconcorrenza – Abbiamo visto che il regolamento 1/2003 ha rafforzato il decentramentonell’applicazione della disciplina antitrust. E’ però necessario un coordinamento tra le autorità alfine di dare uniformità all’applicazione della disciplina evitando una applicazione differenziata daparte dei vari organi. Tali obiettivi vengono raggiunti tramite la Commissione che mantiene un ruologuida con la possibilità di adottare comunicazioni che pur non vincolanti acquistano nella prassivalore di atti normativi e tramite l’obbligo posto alle autorità nazionali di rispettare i principi generali

(regolamenti di esenzione per categoria e atti normativi adottati dalla Commissione).15.1) Il coordinamento tra Commissione e autorità garanti nazionali – Il regolamento 1/2003prevede per ciò che riguarda il coordinamento tra la Commissione e le autorità garanti nazionali

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quanto segue: a) la commissione deve essere avvisata per iscritto del’avvio della procedura e incaso di gravi motivi di opportunità può avocare a sé un procedimento avviato dalle autorità garantinazionali .b) se la procedura è avviata dalla commissione ciò priva di competenza le autoritànazionali ma al contrario l’avvio della procedura da parte delle autorità garanti non priva dicompetenza la Commissione la quale ha solo l’onere di consultare l’autorità nazionale prima diavviare il proprio procedimento – c) in presenza di un procedimento amministrativo o giudiziario giàavviato la Commissione può concedere o negare una esenzione. Il regolamento prevede anche ilcoordinamento orizzontale tra le varie autorità garanti nazionali ma in tal caso si tratta solo difacoltà e non di obblighi: prevede ad. esempio la facoltà di informazione alle altre autorità circal’inizio di un procedimento o sull’adozione di un provvedimento e la facoltà di respingere unadenuncia se la fattispecie è oggetto di esame da parte di un’altra autorità garante nazionale.

15.2) I coordinamenti tra la Commissione e le autorità giudiziarie – Il regolamento 1/2003pone in capo ai giudici nazionali il divieto di adottare decisioni in contrasto con una precedentedecisione della Commissione circa la stessa violazione. Questo non impedisce al giudice dieffettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte per farne valere l’invalidità e questo è lo strumentotipico a disposizione del giudice che voglia disporre in contrasto con quanto stabilito

precedentemente dalla Commissione. Il regolamento 1/2003 prospetta anche strumenti dicollaborazione in quanto stabilisce che la commissione e le autorità garanti possono intervenire nelgiudizio interno presentando osservazioni scritte o rali nel rispetto del diritto processuale degli statimembri. Nel regime di decentramento operato dal regolamento 1/2003 il ricorso al giudice puòapparire più conveniente rispetto al procedimento amminsitrativo davanti alle autorità garanti inquanto le sentenze del giudice godono del regime di riconoscimento automatico mentre ilriconoscimento delle decisioni delle autorità antitrust appare più problematico.

V L’AMBITO DI APPLICAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO DI CONCORRENZA

16) Il pregiudizio al commercio intracomunitario e l’alterazione sensibile della concorrenza –Perché sia applicato il diritto comunitario della concorrenza è necessario che il comportamento di

una impresa sia idoneo a pregiudicare in maniera sensibile il commercio tra gli stati. In casocontrario infatti gli artt. 81 e 82 non possono essere applicati e può essere applicata solo lanormativa nazionale della concorrenza. La Commissione ha precisato cosa si debba intendere per pregiudizio al commercio comunitario affermando che esiste un pregiudizio al commerciocomunitario allorchè un accordo o una pratica può avere (anche potenzialmente) un’influenza sulmercato comunitario interessando almeno due stati membri, In altre parole non esiste pregiudizioal commercio comunitario quando l’accordo, pur avendo impatto sulla concorrenza, produce effettiprevalentemente nel territorio di un solo stato membro o di paesi extracomunitari. Diverso èinvece il caso degli accordi di importanza minore, i quali, posti in essere da piccole o medieimprese, hanno un effetto anticoncorrenziale trascurabile. La Commissione ha fornito indiciquantitativi (relativi al fatturato e alle quote di mercato) per inquadrare un accordo negli accordi diimportanza minore al fine di agevolare la cooperazione tra piccole e medie imprese dove gli effettiproconcorrenziali superano in genere quelli anticoncorrenziali.

17) I rapporti tra diritto comunitario e diritto nazionale antitrust – Prima del regolamento1/2003 l’ordinamento comunitario consentiva che un comportamento rilevante ai fini del dirittoantitrust sia comunitario che nazionale fosse preso in considerazione da entrambi gli ordinamenti equindi fosse colpito dalle sanzioni previste da ciascuno di essi. Il regolamento 1/2003 consentetuttora una applicazione parallela del diritto antitrust comunitario e nazionale ma con i seguentilimiti: a) divieto posto agli stati membri d sancire una violazione antitrust per quelle intese cherisultano lecite ai sensi del diritto comunitario -–b) obbligo per le autorità nazionali di applicaresempre (oltre all’eventuale diritto nazionale) gli art. 81/82 quando il comportamento in questionerientra nel campo di applicazione del diritto comunitario. Alcuni stati hanno però deciso di optare

per una esclusione reciproca delle due normative. Ad esempio l’Italia ha disposto per l’applicazione della normativa nazionale solo quando non debba essere applicata quellacomunitaria e ciò pone il problema di valutare di volta in volta il diritto applicabile.

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18) La delimitazione territoriale – La Corte ha stabilito la competenza comunitaria a sanzionarecomportamenti lesivi della concorrenza anche se conclusi fuori del territorio della comunità se talieffetti concorrenziali si verificano all’interno del territorio comunitario. Pertanto rientra nellacompetenza comunitaria la sanzione di un comportamento posto in essere da imprese con sede aldi fuori del territorio comunitario che però, attraverso l’attività di filialli o succursali posti all’internodella comunità, pregiudichi il libero gioco della concorrenza all’interno della comunità stessa.

VI IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA IN MATERIA DI CONCENTRAMENTO TRA IMPRESE

19) Problemi generali – Nella disciplina della concorrenza originariamente inserita nel Trattatonon era contemplato il fenomeno della concentrazione tra imprese e pertanto tale fenomeno eradisciplinato ricorrendo alle norme sulla concorrenza dirette alle imprese. Però tale sistema non eracoerente in quanto vietava fenomeni di collaborazione tra imprese ma non le fusioni e quindi ilConsiglio ha adottato un apposito regolamento nel 1989, regolamento ora abrogato e sostituito dalregolamento n. 139 del 2004.

20)La disciplina delle concentrazioni nel regolamento 139 del 2004 – Il regolamento 139

del 2004 si applica alle sole concentrazioni di dimensioni comunitarie. Per concentrazione siintendono sia le operazioni di fusione che di acquisto del controllo di un’altra impresa. Per stabilirese una operazione è di dimensione comunitaria la Commissione ha elaborato degli indiciquantitativi basati sul fatturato delle imprese partecipanti. La disciplina può poi essere applicata aconcentrazioni che pur non superando le soglie di fatturato rientrano nel campo di applicazionedella normativa nazionale di almeno 3 stati membri e nessuno di essi si opponga al rinviodell’operazione alla commissione. La competenza sulle concentrazioni di dimensioni comunitarie èesclusiva della commissione e quindi non spetta anche alle autorità nazionali, antitrust ogiudiziarie. Le concentrazioni vanno notificate alla Commissione e non possono essere realizzatefinchè la Commissione, dopo un complesso procedimento, ne abbia dichiarato la compatibilità conil mercato comune. A tale proposito la valutazione della commissione segue ora criteri diversirispetto al precedente regolamento del 1989. Nel precedente regolamento infatti l’unico criterio per 

valutare la compatibilità di una concentrazione con il mercato comune era la creazione o ilconsolidamento (tramite la concentrazione) di una posizione dominante. Rimanevano quindiesclusi dalla valutazione considerazioni di ordine sociale o relative alla tutela dei consumatori orelative agli eventuali effetti pro-concorrenziali che la concentrazione avrebbe potuto raggiungere.Il regolamento 139 del 2004 pone invece criteri diversi in quanto sono considerate non compatibilicon il mercato comune quelle concentrazioni che pur non costituendo una posizione dominanteprovocano ad esempio un eccessivo aumento dei prezzi o una riduzione delle possibilità di sceltadel consumatore. Possono invece risultare compatibili quelle concentrazioni che pur costituendouna posizione dominante possono produrre effetti positivi.

PARTE IILa Politica di concorrenza rivolta agli stati membri

21) Generalità - Il Trattato pone una serie di limiti agli stati membri circa il loro potere diregolamentare i fattori economici e sociali quando ciò potrebbe alterare il gioco della liberaconcorrenza. Tali limiti sono riconducibili a tre blocchi : a) il primo riguarda i comportamenti diimprese pubbliche o di imprese cui lo stato riconosce diritti speciali per il perseguimento diinteressi pubblici – b) il secondo riguarda la possibilità che gli stati pregiudichino con proprie normel’efficacia dei divieti posti nel Trattato alle imprese private – c) il terzo, che sarà esaminato nelcapitolo seguente, riguarda gli aiuti di stato.

1) La disciplina dei comportamenti sul mercato di imprese pubbliche o incaricate della

gestione di servizi pubblici.

22) La struttura dell’art. 86 – Le imprese pubbliche e le imprese incaricate della gestione diservizi pubblici sono soggette al diritto comunitario di concorrenza ma non sono sottoposte

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all’applicazione delle norme antitrust limitatamente al soddisfacimento dell’interesse pubblico cheperseguono. La disciplina di tali imprese è contenuta all’art. 86. L’articolo 86 si compone di trenorme. La prima vieta agli stati di emanare nei confronti di tali imprese misure contrarie alle normecomunitarie sulla concorrenza. La seconda riguarda l’applicabilità a tali imprese delle regole sullaconcorrenza. La terza stabilisce il potere normativo della commissione che può emanare decisioniindividuali o direttive nei confronti degli stati membri.

23) L’ambito di applicazione dell’art. 86 – L’art. 86 riguarda tutti i casi in cui lo stato assicuri conproprie misure un regime preferenziale ad imprese pubbliche o ad imprese cui è affidato unservizio pubblico o un monopolio legale. Sono quindi escluse dall’ambito di applicazione le attivitàdi soggetti o enti che non hanno carattere di imprenditorialità e le misure statali di sostegno adimprese private che non svolgono servizi pubblici (a queste ultime si applicheranno invece lenorme sugli aiuti di stato).

24) Criterio applicativo dei limiti posti agli stati membri – Le prime due norme dell’art. 86pongono dei limiti alla attività normativa e imprenditoriale degli stati membri in quanto stabilisconoche essi non possono adottare per le imprese pubbliche o che svolgono servizi pubblici misure

contrarie a ciò che prevede il Trattato sulla concorrenza. Inoltre gli stati possono costituire impresein monopolio legale le quali sono sottoposte alle norme comunitarie sulla concorrenza nel limite incui ciò non renda loro impossibile il perseguimento del proprio fine. Le due norme sono peròautonome tra di loro in quanto la prima ha un contenuto più ampio perché riguarda l’attivitànormativa dello stato membro mentre la seconda riguarda il comportamento delle imprese sulmercato. Pertanto l’art 86 nel suo insieme non riguarda solo il comportamento delle imprese: puòinfatti costituirne violazione ogni atto dello stato teso a sottrarre alla concorrenza un settore senzasufficienti motivazioni di carattere generale. E’ infatti consentita la deroga alle leggi comunitariesulla concorrenza solo se giustificata da un interesse pubblico nel rispetto del principio diproporzionalità tra la realizzazione dell’interesse generale e l’alterazione della concorrenza nelmercato. Accertare tutto ciò è però frutto di una valutazione abbastanza complicata che comportacomunque che venga lasciato agli stati membri un certo margine di discrezionalità.

25) Le due fasi di applicazione dell’art. 86 – Nell’applicazione dell’art. 86 si possono individuaredue fasi. In una prima fase le istituzioni comunitarie hanno lasciato agli stati una certadiscrezionalità nel valutare sia l’esistenza di un interesse pubblico che giustificasse una derogaalle leggi della concorrenza sia nello stabilire la misura di tale deroga. In una seconda fase invecela Commissione ha cominciato ad utilizzare i poteri normativi che le riconosce il terzo paragrafodell’art. 86 per effettuare una attività di liberalizzazione di settori protetti quali ad esempio l’energia,il gas o le telecomunicazioni, spingendo gli stati ad una politica detta di regolazione, tesa ad apriretali settori alla concorrenza pur nel rispetto delle esigenze di carattere sociale- politico. Ad esempionel settore dell’energia elettrica è stato imposto agli stati un processo di liberalizzazione con ildivieto per gli operatori di detenere quote di mercato superiori al 50%.

II MISURE STATALI E NORMATIVA COMUNITARIA SULLA CONCORRENZA

26) La norma dedotta dagli art. 3-g), 10,, 81 e 82 del Trattato- Come abbiamo detto nel Trattatonon ci sono norme che pongano agli stati membri obblighi circa le norme sulla concorrenzaimposte alle imprese private. Tuttavia la corte ha stabilito che il Trattato obbliga gli stati membri adastenersi dall’emanare norme che possano rendere inefficaci i divieti posti alle imprese private dallart. 82. Tale principio viene ricavato dalla Corte dalla combinazione dell’art. 3-g) (che indica tra gliobiettivi della comunità un mercato comune con una concorrenza non falsata), dell’art. 10 (cheobbliga gli stati ad assicurare l’esecuzione degli obblighi posti dal Trattato) e infine dagli articoli 81e 82. Tale combinazione di norme fa nascere infatti in capo agli stati l’obbligo di non utilizzare ilproprio potere normativo in modo da ostacolare l’efficacia del diritto comunitario antitrust.

27) Il criterio applicativo della norma – Occorre ora definire l’ambito di applicazione dell’obbligoposto in capo agli stati dalla combinazione degli artt. 3-g,10,81,82. L’orientamento attuale dellacorte ha ricondotto l’incompatibilità con le norme comunitarie della normativa statale allorchè tale

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normativa comporti un comportamento attivo della impresa privata, nel senso che lapartecipazione attiva degli operatori privati alla creazione della norma priva quest’ultima del suocarattere pubblico. Tale orientamento della corte quindi è basato sulla valutazione se la normastatale abbia caratteristiche tali da essere ritenuta di carattere pubblico o se sia invece la semplicecopertura normativa di un accordo privato per il soddisfacimento di interessi individuali. E’ chiaroche un tale orientamento non può essere considerato del tutto convincente in quanto è difficiledeterminare quando la norma statale è illegittima in considerazione del sempre maggiore ricorsoalla consultazione con i soggetti economici interessati nell’ambito della attività normativa. Una voltache la misura statale è riconosciuta incompatibile con il diritto comunitario essa deve esseredisapplicata sia dalle autorità giudiziarie che dalle autorità garanti. Per quanto riguarda le sanzionieventualmente a carico del soggetto privato che a tali norme si sia attenuto si ritiene inapplicabilela sanzione al privato allorchè la norma incompatibile non lasci discrezionalità al soggetto privato.Infatti se ciò avvenisse il privato si troverebbe costretto a violare la norma nazionale se prevedeche essa possa essere in contrasto con la norma comunitaria e, qualora la sua previsione siaerrata, sarebbe costretto a sopportare la sanzione che l’ordinamento interno prevede per laviolazione della norma nazionale. Il privato sarebbe invece soggetto alla sanzione previstadall’ordinamento comunitario qualora la norma nazionale incompatibile non ponga un obbligo ma

lasci una certa discrezionalità sul comportamento da tenere.

CAPITOLO VII – GLI AIUTI DI STATO

1) Introduzione – L’obbligo comunitario di garantire un mercato interno non falsato dallaconcorrenza non riguarda solo le imprese ma anche gli stati membri che potrebbero provocaredistorsioni applicando misure atte a sostenere alcuni settori produttivi o alcune imprese. In seguitoa tali misure infatti le imprese vengono a trovarsi in una situazione di maggiore competitivitàrispetto alle altre. E’ chiaro che la problematica degli aiuti di stato presenta una maggiorecomplessità rispetto alle regole sulla concorrenza in quanto in questo caso è in gioco l’autonomiadegli stati nell’intervento dell’economia nazionale e nel fare scelte politiche ed economiche di lorocompetenza e quindi occorre una politica comunitaria in grado di bilanciare l’autonomia degli stati

membri con la libera concorrenza nel mercato comune. Per tale motivo il divieto di aiuti di statonon è assoluto ma sono previste stabilite deroghe, alcune espressamente previste altre lasciatealla valutazione di Commissione e Consiglio.

2) Il divieto degli aiuti pubblici: campo di applicazione della disciplina (artt. 87 – 89) – L’art.87 pone il divieto di aiuti di stato, (ossia di aiuti accordati ad imprese o produzioni), che risultanoincompatibili in quanto falsano o possono falsare la libera concorrenza sul mercato comune. .Sono esclusi dal divieto gli aiuti considerati ex lege compatibili, gli aiuti ai soggetti che nonesercitano attività economiche, ai piccoli commercianti o artigiani. Ci sono poi settori (pesca,agricoltura, trasporti) che godono di un regime speciale di aiuti stabilito dal Trattato. Perché unamisura adottata da uno stato membro sia qualificabile come aiuto occorrono quattro condizioni: a)origine statale dell’aiuto (e quindi onere per il bilancio statale) b) esistenza di un vantaggio a favoredi alcune imprese o produzioni c) esistenza di un impatto sulla concorrenza – d) idoneità adincidere sugli scambi tra gli stati membri.

3) Nozione rilevante di aiuto di stato – Tutti gli interventi che presentano le quattrocaratteristiche sopra esposte possono qualificarsi come aiuti di stato, indipendentemente dalla loroforma (sovvenzione, prestito a tasso agevolato, vendita di beni, locazione di immobile, riduzionefiscale, partecipazione al capitale di imprese a condizioni che non sarebbero accettate dai privati)purchè costituiscano un aggravio per il bilancio statale e un vantaggio gratuito per i beneficiariconsentendo ad essi di non dover sostenere costi che normalmente avrebbero sostenuto,alterando così la concorrenza. L’aiuto deve essere imputabile allo stato e quindi ad una pubblicaamministrazione, a un ente pubblico o anche privato sottoposto a controllo pubblico: lo scopo della

norma è infatti quello di impedire agli stati di aggirare il divieto erogando finanziamenti pubbliciattraverso altri organismi.

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4) Aiuti incompatibili con il mercato comune : requisiti di incompatibilità – Ai sensi dell’art.87 sono incompatibili con il mercato comune gli aiuti che abbiano le seguenti caratteristiche: a)selettività – ossia siano erogati a favore di alcune imprese o alcune produzioni. Restano quindifuori le misure di carattere veramente generale (es. riduzione dei tassi di interesse o svalutazionedella moneta) – b) che falsano o minacciano di falsare la concorrenza creando una situazione divantaggio di alcune imprese rispetto alle altre. C’è da dire che già la gratuità del beneficio è indicedi distorsione della concorrenza ma può costituire aiuto anche un vantaggio non gratuito qualora laremunerazione sia inferiore a quella di mercato. L’effetto distorsivo comunque non può esserepresunto ma deve essere dimostrato dalla Commissione – c) che incidono sugli scambi tra paesimembri. Tale condizione è difficilmente distinguibile da quella precedente. In generale possiamodire che si ha pregiudizio al commercio tra stati membri quando un aiuto statale rafforza laposizione di una impresa nei confronti delle altre negli scambi intracomunitari. Anche in questocaso la Commissione deve valutare caso per caso l’esistenza del pregiudizio e qualora dichiaril’esistenza del pregiudizio deve fornire dati concreti sulla natura di esso-

5) Gli aiuti compatibili o potenzialmente compatibili – Costituiscono deroghe al generaledivieto di aiuti di stato quelle misure che a determinate condizioni possono considerarsi ammissibili

anche se soggette all’obbligo di notifica alla commissione cui spetta verificarne la compatibilità conil mercato comune. Sono di due tipi: a) deroghe de jure (o compatibili di pieno diritto). Sono : a1)aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori (riduzione del prezzo di alcuni beni oservizi a favore di consumatori economicamente deboli) – a2) aiuti volti a contrastare danniderivanti da calamità naturali o eventi eccezionali (devono essere temporanei, proporzionali aldanno subito e deve esserci causalità diretta tra danno e calamità)- a3) aiuti concessi a regionidella Repubblica federale tedesca che hanno subito svantaggi economici a seguito della divisione(dovrebbe ritenersi superato a seguito della riunificazione della Germania). B) Aiuti potenzialmentecompatibili – Possono essere autorizzati aiuti che altrimenti sarebbero incompatibili a seguito diuna valutazione discrezionale della commissione o del consiglio che rispondono a determinateesigenze: 1) aiuti a favorire lo sviluppo economico di regioni dove il tenore di vita sia troppo bassoo la disoccupazione troppo alta rispetto al livello medio di sviluppo della comunità europea (e non

dello stato di cui la regione fa parte) 2) aiuti per realizzare progetti di comune interesse europeo(es autostrade tra stati membri) o per rimediare alla difficoltà dell’economia di uno stato membronel suo complesso – 3) aiuti per promuovere lo sviluppo economico di attività o di regioniall’interno di stati membri che sono sfavorite rispetto alla media nazionale ( e non europea come alpunto 1) purchè non alterino gli scambi in misura contraria al comune interesse – 4) aiuti per promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio purchè non alterino le condizioni dellaconcorrenza (es. aiuti alla cinematografia e al settore audiovisivo) – 5) altre categorie di aiuticonsiderati compatibili su decisione del consiglio su proposta della Commissione – Si tratta dicategoria residuale ed eventuale di aiuti per far fronte a particolari esigenze che dovessero di voltain volta presentarsi. La Commissione ha ampio potere discrezionale nel valutare la compatibilitàdegli aiuti, l’esistenza delle condizioni di deroga o l’introduzione di deroghe ulteriori rispetto aquelle previste dall’art. 87. Nella prassi la commissione ha elaborato alcune grandi categorie diaiuti: a) aiuti a finalità regionali diretti a favorire lo sviluppo di alcune aree geografiche – b) aiuti afinalità settoriali – riguardanti settori economici in difficoltà c) regimi generali di aiuti – diretti afavorire gli investimenti in generale ma il loro fine deve essere valutato da un punto di vistacomunitario e non nazionale e devono essere proporzionali rispetto all’interesse comunitarioperseguito. D) aiuti a carattere orizzonale – Non hanno specificità né regionale né settoriale,riguardano settori produttivi di interesse comunitario per perseguire fini relativi alla tuteladell’ambiente, la ricerca e lo sviluppo – e) aiuti in salvataggio di imprese in difficoltà, normalmenteconsiderati incompatibili ma talora consentiti se perseguono fini apprezzabili per l’ordinamentocomunitario purchè erogati una tantum e per un periodo di tempo fissato. La Commissione può poiprevedere esenzioni per categorie di aiuti, dichiarando automaticamente compatibili ed esoneratidall’obbligo di notifica aiuti a favore di ricerca, ambiente e occupazione.

6) IL controllo comunitario sugli aiuti di stato – L’azione della Commissione – Lecomunicazioni – Poiché un aiuto è considerato compatibile quando non porta pregiudizio allaconcorrenza è importante effettuare una valutazione che spetta alla commissione che gode in tal

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senso d ampia discrezionalità. Infatti l’art. 89 prevede che sia il consiglio ad emanare i regolamentiai fini dell’applicazione dell’art. 87 ma in realtà tali regolamenti non sono stati emanati e pertantol’ambito di applicazione dell’art. 87 può oggi ricavarsi grazie all’interpretazione della commissione edella corte e alle comunicazioni emanate dalla commissione. Per quanto riguarda il primo puntosono stati elaborati alcuni criteri generali: a) l’aiuto deve essere valutato in base al suo impatto sulmercato e non alle sue finalità nazionali – b) gli aiuti devono rispettare i seguenti criteri _ b1)necessità – ossia essere l’unico modo per raggiungere un obiettivo della comunità – b2)proporzionalità – l’aiuto deve essere proporzionale al problema da risolvere – b3) temporaneità –ossia deve cessare una volta raggiunto l’obiettivo – b4) trasparenza – ossia deve essereconnsentito alla commissione di valutarne l’entità – c) deve mirare alla creazione di occupazione enon a mettere l’impresa in condizione più favorevole rispetto alla concorrenza.Per quanto riguarda il secondo punto come abbiamo detto, in assenza di regolamenti del consiglio,la commissione ha emanato, previo accordo con gli stati membri, delle comunicazioni contenenti icriteri in base ai quali gli aiuti statali saranno ritenuti compatibili. E’ abbastanza difficoltosoricostruire la natura giuridica di tali atti in quanto da un lato essi non dovrebbero avere naturavincolante contenendo solo i criteri indicativi e le linee di condotta della commissione, ma è anchevero che essendo il punto di vista dell’organo che ha competenza esclusiva in materia, le misure

statali che non vi si conformassero non avrebbero la possibilità di essere autorizzate. La Corte hacomunque ritenuto che il fatto che tali comunicazioni siano frutto di un accordo tra la commissionee gli stati membri non ne modifica la natura di atti vincolanti, vincolanti non solo per gli stati maanche per la commissione che emanandole ha comunque limitato il suo potere discrezionale. Unproblema a parte è dato dagli aiuti statali ad imprese incaricate dello svolgimento di un serviziopubblico generale le quali ai sensi dell’art. 86 agiscono in deroga alle regole sulla concorrenzaquando esse siano d’ostacolo al raggiungimento del fine ad esse affidate. In un primo tempo lacorte aveva affermato che gli aiuti a tali imprese non sono soggette agli obblighi di cui all’art. 87(quando l’aiuto è necessario per il perseguimento di fini pubblici) ma solo all’art 88 (obbligo dinotifica alla commissione). In un secondo tempo però la Corte ha stabilito che essi qualora sianopari a ciò che è necessario per assolvere gli obblighi del servizio pubblico imposti dalla normativanazionale non devono essere considerati come aiuti e quindi sono esonerati anche dall’obbligo

della previa notifica e lo stato può continuare ad erogarli a meno di una pronuncia di incompatibilitàda parte della commissione Tale orientamento è stato confermato anche dalla Commissione

7) I poteri del consiglio – Il consiglio mantiene una limitata competenza nella materia. Secondol’art. 87 il consiglio ha un potere di tipo normativo in quanto può ritenere compatibili alcunecategorie di aiuti non rientranti nelle deroghe previste pronunciandosi a maggioranza qualificata suproposta della commissione. Inoltre ai sensi dell’art. 88 il consiglio può stabilire che un aiuto ècompatibile con il mercato comune e quindi autorizzarlo, ma ciò deve accadere su richiesta di unostato membro, deliberando all’unanimità e quando circostanze eccezionali giustifichino taledecisione. Questo secondo tipo di intervento rientra invece nel ruolo attribuito al consiglio diorgano coordinatore della comunità e delle politiche economiche degli stati membri. Lo stato puòrichiedere l’intervento del consiglio sia durante la fase preliminare di esame sull’aiuto sia durante lafase del contraddittorio. La pronuncia del consiglio deve avvenire entro 3 mesi

8) Procedura comunitaria di controllo – a) gli aiuti esistenti – L’esame permanente – Laprocedura di controllo prevista dall’art. 88 è affidata alla commissione che è l’unica competente adecidere sulla compatibilità di un aiuto. Il controllo riguarda due categorie di aiuti : gli aiuti esistentio i progetti tendenti ad istituire nuovi aiuti o a modificare quelli esistenti – AIUTI ESISTENTI – Lacommissione d’intesa con gli stati membri procede all’esame permanente degli aiuti già esistenti alfine di verificarne la compatibilità con il mercato comune. Sono considerati aiuti esistenti: a) quelliesistenti prima dell’entrata in vigore del Trattato o dell’atto di adesione per i paesi che hannoaderito successivamente – b) quelli posteriori che sono stati notificati alla commissione e per i qualila commissione si è pronunciata per la compatibilità o sono stati autorizzati dal consiglio o per i

quali la commissione non si è pronunciata dopo un termine di 2 mesi (in tal caso infatti lo statoconsidera l’aiuto come autorizzato e può darvi attuazione dopo aver dato preavviso allacommissione che ha 15 giorni per reagire) c) misure adottate nel quadro di un regime generale giàapprovato dalla commissione. Il regime generale è un atto con cui la commissione fissa le

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condizioni generali per adottare misure di aiuto a favore di imprese definite in linea generalenell’atto – d) misure che al momento della loro attuazione non costituivano aiuti ma lo sonodiventate dopo l’evoluzione del mercato comune – e) aiuti concessi senza previa notifica e quindiillegittimi da oltre 10 anni senza che la commissione sia intervenuta. Se la commissione appurache gli aiuti esistenti non sono compatibili o sono divenuti incompatibili informa lo stato interessatoche ha 1 mese per presentare osservazioni. Se la commissione conclude comunque per l’incompatibilità propone allo stato di modificare il regime di aiuto o di abolirlo. Se lo stato accettaavvisa la commissione ed è tenuto a dare applicazione, se non accetta la commissione avvia ilprocedimento di indagine dando il via alla fase in contraddittorio.

9) Il procedimento in contraddittorio . La Commissione deve comunicare allo stato interessatol’avvio del procedimento di indagine formale. La comunicazione deve contenere la messa in moraossia l’invito a presentare le proprie osservazioni entro un mese. Se lo stato non le presenta o lepresenta incomplete la commissione può ingiungergli di fornirle entro un termine essenziale. Lacommissione può emettere una decisione positiva (e quindi pronunciarsi sulla compatibilità)odecidere per l’incompatibilità e in tal caso ordina allo stato di sopprimere o modificare l’aiuto entroun certo termine. Se lo stato non ottempera la commissione o un altro stato interessato può adire

direttamente la Corte. La decisione produce effetti solo per il futuro.

10) GLI AIUTI NUOVI – Qualsiasi progetto di concessione di nuovi aiuti o di modifica di aiuti giàesistenti deve essere notificata dallo stato membro alla commissione prima della sua adozioneformale. L’obbligo di notifica non ha eccezioni in quanto lo stato non può valutare la compatibilità diun aiuto, spettando la valutazione solo alla commissione. Sono esonerati dall’obbligo di notifica (inquanto sicuramente compatibili) : a) gli aiuti adottati in esecuzione di un regime generaleautorizzato – b) gli aiuti de minimis (di entità ridotta) – c) gli aiuti rientranti nelle categorie per lequali la commissione ha adottato regolamento di esenzione – d) gli aiuti destinati alla formazione –e) gli aiuti a piccole o medie imprese rientranti nei massimali stabiliti. In tutti gli altri casi se lo statoomette la notifica ciò costiituisce violazione del trattato (per la quale la commissione può ricorrerealla Corte) e comporta l’illegittimità delle misure adottate. La corte ha però stabilito che in tal caso

la commissione, pur potendo adire la corte per la violazione del trattato, deve comunque procederealla verifica di compatibilità dell’aiuto illegittimo. In caso la verifica sia positiva restano comunqueinvalidi gli atti eseguiti precedentemente. L’art. 87 pone a carico degli stati l’obbligo di stand stillossia di non dare esecuzione agli aiuti prima della decisione della commissione. Gli aiuti erogatiprima infatti devono considerarsi invalidi e non saranno sanati neanche da una decisione dicompatibilità della commissione che avrebbe comunque efficacia solo ex nunc. Tale disposizionedell’art. 87 ha effetti diretti e ciò significa che attribuisce il diritto ai concorrenti che abbiano subitoun pregiudizio di rivolgersi ai giudici nazionali per far constatare l’illegittimità degli aiuti e farlicessare.

11) Le fasi del procedimento – L’esame preliminare – La fase preliminare riguarda solo i nuoviaiuti e ha lo scopo di consentire alla commissione una prima valutazione sulla compatibilità di taliaiuti. Se la notifica da parte dello stato è incompleta la commissione può richiedere informazioniaggiuntive entro un certo termine. Se lo stato non ottempera la notifica si ritiene ritirata. Lacommissione ha un tempo ragionevole per concludere la sua indagine. La durata ragionevole vavalutata nel caso concreto ma, comunque, secondo la corte, nn può eccedere i 2 mesi dallanotifica o dal ricevimento delle informazioni supplementari. Trascorsi 2 mesi quindi lo stato puòritenere l’aiuto autorizzato e darvi esecuzione dopo averne preavvisato la commissione (che ha 15giorni di tempo per decidere). Tale aiuto diviene quindi esistente e sarà sottoposto al controllopermanente della commissione. Il termine di due mesi non è applicabile in caso di aiuti illegali,ossia adottati senza notifica, perché in tal caso il ritardo della commissione non può avere l’effettodi trasformare un nuovo aiuto (illegale) in un aiuto esistente. Se la commissione ha notizia che unostato ha concesso un nuovo aiuto senza notifica o ha eseguito un aiuto prima della sua decisione

può ordinare allo stato di sospenderlo (ma deve consentire ad esso di esporre il suo punto divista). Se lo stato non ottempera la commissione può adire la corte per violazione del trattatoproseguendo nel contempo il suo esame sulla compatibilità. Al termine della fase preliminare lacommissione emana una decisione che può: a) constatare che la misura non costituisce aiuto b)

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ritenere che non ci sono dubbi sulla compatibilità dell’aiuto – c) avviare il procedimento formale diindagine. La decisione è pubblicata sulla GUCE.t11) La fase in contraddittorio – La commissione come abbiamo visto dà il via al procedimento diindagine formale tutte le volte che abbia dubbi sulla compatibilità in quanto è solo in taleprovvedimento che può svolgere un esame più approfondito e soprattutto può trovare garanzia latutela degli interessi dei terzi. Come nel caso degli aiuti esistenti la procedura in contraddittorio siapre con la notifica allo stato membro, da parte della commissione, dell’avvio della procedura. Talenotifica deve contenere la valutazione preliminare della commissione e i suoi dubbi sullacompatibilità. La notifica contiene anche l’invito allo stato e agli interessati a presentare le loroosservazioni entro un mese. La commissione ha l’obbligo di notifica solo agli stati e non ai terziinteressati (impresa beneficiaria dell’aiuto e imprese concorrenti). L’obbligo di informare i terziinfatti ricade sullo stato membro e comunque i terzi possono essere informati tramite lapubblicazione sulla GUCE della decisione di avvio procedura da parte della commissione. Lacommissione può subordinare l’approvazione dell’aiuto ad alcune condizioni (importo, durata, ecc).Se lo stato erogando l’aiuto non ottempera a tali condizioni la commissione può adire la corte per violazione del trattato ma deve comunque aprire la procedura per valutare la compatibilità

dell’aiuto concesso in violazione delle condizioni perché solo esso offre agli interessati specifichegaranzie a tutela dei loro interessi lesi, garanzie non presenti nel ricorso alla corte per infrazione.La procedura si chiude con la decisione della commissione che può essere: a) decisione diaccertamento negativo- La misura non costituisce aiuto – b) decisione condizionale – L’aiuto ècompatibile rispettando alcune condizioni di erogazione – c) decisione negativa – L’aiuto èincompatibile. In questo caso la commissione ordina allo stato di non dare esecuzione all’aiuto. Lacommissione ha comunque l’obbligo di motivare le sue decisioni onde consentire il controllo dellacorte e la garanzia dei diritti della difesa. Lo stato ha l’obbligo di eseguire la decisione dellacommissione nei termini fissati e, qualora la commissione ordini la soppressione o la modifica degliaiuti, tale decisione può essere fatta valere dagli interessati davanti ai giudici nazionali. Per regolamento il procedimento deve terminare entro 18 mesi dall’avvio della procedura (salvoproroga concordata con lo stato membro). Scaduto il termine lo stato membro può richiedere alla

commissione di pronunciarsi entro due mesi. Se la commissione ritiene di non avere sufficientiinformazioni emetterà una decisione negativa. La decisione deve essere pubblicata sulla GUCE.

13) Gli aiuti illegali – Per gli aiuti attuati in modo abusivo cioè in violazione alla decisione dellacommissione, come abbiamo visto, la commissione apre un procedimento formale di indagine. Per gli aiuti illegali, invece, (ossia i nuovi aiuti attuati in violazione all’art. 88) un apposito regolamentoprevede una specifica procedura per la quale la commissione non è tenuta al rispetto dei terminitemporali (2 mesi per l’esame preliminare, 18 mesi per chiudere l’indagine). La Commissione puòchiedere informazioni allo stato interessato entro i termini stabiliti. Se lo stato non ottempera lacommissione può adottare l’ingiunzione a fornire informazioni. La commissione può adottare: a)ingiunzione di sospensione . con cui ordina allo stato di sospendere l’erogazione dell’aiuto finchè lacommissione non abbia terminato la valutazione – b) ingiunzione al recupero . cioè ordinare allostato di recuperare le somme a titolo provvisorio – Ciò può avvenire b1) quando non ci sono dubbiche la misura sia un aiuto – b2) quando c’è una situazione di emergenza – b3) quando c’è ungrave rischio di un danno irreparabile ad un concorrente. Se la commissione adotta questadecisione è tenuta ad adottare la decisione finale entro i termini previsti per gli atti notificati. Se lostato non ottempera alle ingiunzioni la commissione, pur continuando le sue valutazioni, può adirela corte per violazione del diritto comunitario. Se la procedura si conclude con un verdetto diincompatibilità la commissione impone allo stato di recuperare l’aiuto (decisione di recupero) ameno che ciò non sia in contrasto con un principio generale dell’ordinamento comunitario (es.principio di affidamento).

14) Il recupero degli aiuti illegali – Gli aiuti erogati dagli stati membri in modo illegale devono

essere restituiti da parte delle imprese beneficiarie. Lo scopo di tale regola è quello di ripristinare lasituazione vigente prima dell’aiuto e quindi di eliminare il vantaggio di cui il beneficiario ha godutonei confronti dei concorrenti con conseguente distorsione della libera concorrenza. Il recenteorientamento della corte però esonera dall’obbligo della restituzione gli aiuti illegittimi in quanto

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concessi senza previa notifica poi ritenuti compatibili a seguito della valutazione. Taleorientamento si basa sul fatto che non è corretto vietare aiuti compatibili per irregolarità formali inquanto la ratio della norma che vieta gli aiuti di stato è proprio la loro incompatibilità. Nel caso diaiuti esistenti di cui la corte ha deciso l’incompatibilità l’eventuale recupero riguarda ovviamentesolo le somme erogate dopo la decisione negativa della commissione. Mancando una proceduracomunitaria la restituzione deve avvenire secondo le procedure previste dal diritto interno el’importo dovrà essere valutato dalle autorità nazionali mentre ogni controversia è di competenzadei giudici nazionali, cui spetta garantire nell’ordinamento interno l’applicazione del dirittocomunitario. La decisione con cui la commissione ordina il recupero allo stato membro è definitiva,vincolante e deve essere eseguita nel termine indicato,. Lo stato non può addurre, per sottrarsi alrecupero, motivazioni legate a difficoltà di ordine giuridico (es. scadenza dei termini per laripetizione previsti dal diritto interno), economiche (rischio di fallimento per l’impresa beneficiaria) opratiche. L’unico modo per lo stato di sottrarsi al recupero è dimostrarne l’impossibilità per difficoltàimpreviste o imprevedibili. Dal punto di vista dell’impresa beneficiaria sorge la questione se possatrovare applicazione il principio di affidamento che, come abbiamo visto, è uno dei principi generalidell’ordinamento comunitario. A tale proposito però la corte ha adottato un atteggiamento rigorososostenendo che le imprese sono tenute ad accertare se nell’erogazione degli aiuti siano state

rispettate le procedure comunitarie, che le relative comunicazioni sono conoscibili in quantopubblicate sulla GUCE e che comunque la commissione ha emanato una comunicazione in cuiavverte i potenziali beneficiari del carattere precario degli aiuti concessi illegalmente. I beneficiaripossono quindi invocare solo circostanze eccezionali quali il ritardo della commissione nelconcludere la procedura di oltre 26 mesi, cosa che può aver ingenerato nel beneficiario unlegittimo affidamento sulla regolarità dell’aiuto. L’ordine di recupero riguarda i capitali più gliinteressi calcolati ad un tasso stabilito dalla commissione. La decisione di recupero dellacommissione ha efficacia diretta e quindi pur rivolta allo stato è opponibile direttamente albeneficiario che può far valere il suo punto di vista durante la procedura e impugnare la decisionedavanti alla corte.

15) Le competenze dei giudici nazionali – L’attuazione del sistema di controllo degli aiuti di stato

(ex. Art. 88) spetta sia alla commissione che ai giudici nazionali. I giudici nazionali non possonovalutare la compatibilità di un aiuto, né applicare le deroghe previste dall’art. 87 in quanto questesono competenze esclusive della commissione. I giudici nazionali però possono procedereall’applicazione dell’art. 88 in virtù della sua efficacia diretta e quindi possono interpretare lanozione di aiuto e quindi valutare se una misura sia un aiuto e in caso positivo, se sia nuovo oesistente. Nel concreto un giudice chiamato a pronunciarsi sulla illegittimità dell’erogazione di unaiuto non notificato può dichiararlo illegittimo e quindi porre misure cautelari (come la sospensionedell’aiuto) ma anche disporre la restituzione degli aiuti già erogati, cosa che come abbiamo vistonon può fare la commissione prima di aver adottato la decisione finale di incompatibilità- Inoltre ilgiudice nazionale può prescrivere il risarcimento dei danni causati alle parti dalla p.a. Se infatti èaffermato il principio della responsabilità della p.a. per violazione del diritto comunitario è ancheaffermato il diritto dei privati a ottenere il risarcimento dei loro diritti lesi dalla violazione del dirittocomunitario da parte della p.a.. Poiché le norme comunitarie pongono obblighi specifici circa lanotifica solo agli stati le imprese beneficiarie che omettono di verificare la notifica non possonoessere considerate civilmente responsabili sulla base del diritto comunitario ma possono essereapplicate le norme nazionali sulla responsabilità extracontrattuale. Nei casi dubbi il giudice puòchiedere chiarimenti alla commissione o proporre alla corte un ricorso pregiudiziale diinterpretazione.

16) I ricorsi giurisdizionali comunitari – Le decisioni della commissione, qualora producanoeffetti giuridici, possono essere impugnate davanti alla corte o al Tribunale di I grado checomunque non possono sindacare la valutazione della commissione sulla compatibilità o meno diun aiuto, ma possono solo accertare che la decisione non sia viziata da procedura irregolare,

errore manifesto o insufficiente motivazione. Gli stati membri possono presentare ricorso diannullamento delle decisioni della commissione davanti alla corte entro 2 mesi dalla pubblicazioneo dalla notifica al destinatario. Le persone fisiche o giuridiche invece possono, negli stessi termini,presentare ricorso al tribunale di I grado contro le decisioni che, pur rivolte agli stati, li coinvolgano

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direttamente, Le persone fisiche/giuridiche devono dimostrare il loro diretto interesseall’impugnazione (impresa beneficiaria o mancata beneficiaria, imprese concorrenti) e devono aver partecipato alla procedura di cui all’art. 88( presentando la denuncia o presentando osservazioniesaminate durante il procedimento) e devono inoltre dimostrare che la loro posizioneconcorrenziale sul mercato sia stata danneggiata dalla decisione. Davanti al tribunale di I gradopossono ricorrere gli enti autonomi territoriali qualora le decisioni della commissione, pur rivolteagli stati, li riguardino direttamente..Può essere impugnata anche la decisione della commissione di non aprire il procedimentoformale in quanto atto avente carattere definitivo e quindi produttivo di effetti giuridici. Anche quil’impugnazione può avvenire da parte dello stato membro o dei soggetti interessati, Può inoltreessere presentato un ricorso in carenza (visto l’obbligo della commissione di aprire una proceduraqualora nutra dubbi sulla compatibilità) quando la commissione non avvii la procedura incontraddittorio. Ciò può avvenire quando alla commissione sia stato chiesto espressamente diagire e non solo perché la commissione non abbia aperto la procedura e qualora si possadimostrare che la commissione nutriva dubbii sulla compatibilità- Inoltre le imprese concorrenti chesi ritengano danneggiate dall’assenza di obiezione ad aiuti possono presentare ricorso alla corteper il risarcimento dei danni ma appare in tal caso improbabile un esito favorevole visto che gli

interessati dovrebbero dimostrare il nesso causale tra la decisione della commissione e il dannolamentato.

CAP. VIII POLITICA COMMERCIALE COMUNE

1) La politiica commerciale comune è una delle fondamentali azioni poste in essere dallacomunità ed e fondata, secondo l’art. 133 Trattato Ce, su principi uniformi sulla conclusione diaccordi tariffari e commerciali, sulla politica di esportazione, sull’adozione di misure di difesacommerciale da adottare in casi di dumping e sovvenzione. La politica commerciale comune quindiè particolarmente legata all’unione doganale e ha consentito alla comunità di operare come ununico blocco commerciale (il più importante al mondo) in quanto, salvo poche eccezioni, lacomunità è riuscita ad operare all’estero come un unico soggetto giuridico. I trattati di Maastricht,

Amsterdam e Nizza hanno introdotto in materia alcune modifiche importanti al Trattato. Il trattato diMaastricht ha previsto che, qualora in base alle disposizioni del Trattato sulla politica estera esicurezza comune, la comunità debba intraprendere una azione comune per interrompere lerelazioni economiche con un più stati terzi, le misure urgenti vengono prese dal Consiglio amaggioranza qualificata e su proposta della commissione. Il trattato di Amsterdam prevede che inmateria di politica commerciale il Consiglio può adottare misure per rafforzare la cooperazionedoganale tra stati membri e tra questi e la Commissione. Il trattato di Nizza infine ha portatomodifiche che da un lato sembrano aumentare le competenze della comunità dall’altro rafforzanole posizioni degli stati membri Infatti da un lato vengono incluse nella politica commerciale comunealcuni settori prima esclusi (come il commercio dei servizi e il commercio della proprietàintellettuale) dall’altro si afferma la facoltà degli stati membri di concludere accordi con paesi terzi ocon organizzazioni internazionali purchè conformi al diritto comunitario e ai relativi accordiinternazionali in materia.

2) Specifici strumenti della politica commerciale comune – La politica commerciale comune èdefinita nei suoi contenuti dall’art. 133 Trattato. Non è definito con precisione cosa debbaintendersi per politica commerciale comune e pertanto è necessario esporre quale sono i suoistrumenti di realizzazione:

a) Politica Tariffaria – Dal 1968 la comunità ha introdotto una tariffa doganale comune applicatada tutti gli stati membri ai prodotti provenienti da paesi terzi. I prodotti provenienti da stati terzivengono sdoganati una sola volta da uno degli stati membri e da quel momento sono considerati inlibera pratica ossia liberi di circolare nel territorio comunitario. La Tariffa Doganala Comune viene

fissata annualmente (per ogni voce della Nomenclatura Combinata) da un regolamento delConsiglio ed è amministrata dalla Commissione che ne cura anche la pubblicazione sulla GUCE.Sono previsti trattamenti particolari per i paesi in via di sviluppo per i prodotti dei quali la comunitàapplica tariffe preferenziali.

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 b) Regimi di importazione/esportazione – Salvo i casi in cui la Comunità si sia vincolata conaccordi internazionali la politica di importazione ed esportazione viene decisa in comune dagli statimembri e viene attuata tramite regolamenti del Consiglio. Per le importazioni la regola generale èquella della libertà delle importazioni (ad esclusione di un certo numero di prodotti elencati in unallegato del regolamento) anche se rimane possibile l’applicazione temporanea di misure disalvaguardia qualora ne ricorrano i presupposti. Per i paesi a commercio di stato la situazione èribaltata in quanto la libertà delle importazioni è limitata ai prodotti contenuti nell’allegato delregolamento.. Anche per le esportazioni la regola generale è per la libertà delle esportazioni(tranne che per i prodotti elencati in un allegato del regolamento) salvo la possibilità che essevengano limitate in caso di scarsità dei prodotti.

c) Le misure di difesa commerciale – La dottrina distingue le misure di difesa commerciale indue tipi: il primo tipo riguarda quelle misure che vanno a rimediare al pregiudizio subito daiproduttori comunitari a seguito delle importazioni da paesi terzi. Il secondo riguarda quelle misurevolte a neutralizzare gli effetti prodotti da pratiche illecite. Nel primo caso si tratta di misure disalvaguardia che la commissione può adottare solo dopo aver verificato che ne esistono ipresupposti in quanto, in caso contrario, c’è il rischio di incorrere in responsabilità internazionali.

Nel secondo caso si tratta di misure che tendono a reagire a pratiche definite illecite dal GATT eprecisamente le misure antidumping e le misure antisovvenzione.

d) Misure antidumping – Un apposito regolamento del consiglio (che ricalca ciò che è contenutonel GATT) stabilisce che la comunità può imporre un dazio antidumping su qualunque prodottooggetto di dumping la cui circolazione in libera pratica può causare un pregiudizio alla comunità.Un prodotto è oggetto di dumping qualora il suo prezzo all’esportazione nella comunità è inferioreal prezzo normale applicato per le operazioni commerciali nel paese esportatore. Si tratta quindi diuna reazione alla pratica di alcune imprese di paesi terzi di vendere i propri prodotti ad un prezzoinferiore a quello normale. Il regolamento prevede anche che una volta accertata la misuradumping occorra valutare se l’interesse della comunità nel suo complesso porti ad assumere unavalutazione favorevole all’adozione della misura antidumping.

e) Misure antisovvenzione – Un apposito regolamento (che recepisce quanto contenuto nelGATT) stabilisce norme per proteggere le imprese comunitarie contro le importazionisovvenzionate provenienti da paesi terzi. Contrariamente a quanto visto sopra in questo caso lacondotta illecita non è imputabile alle imprese ma direttamente allo stato terzo il quale disponevantaggi a favore delle proprie imprese in modo tale che queste possono praticare prezzi ridottidanneggiando le imprese comunitarie concorrenti. In tal caso (e al di fuori dei casi in cui lasovvenzione è ammessa) la comunità, dopo aver valutato il caso, può adottare un daziocompensativo che appunto compensa la sovvenzione concessa ai prodotti di stati terzi la cuicircolazione in libera pratica nel territorio comunitario produca un grave pregiudizio alle industriecomunitarie del settore. Le procedure previste dal regolamento antisovvenzione sono simili aquelle previste dal regolamento antidumping.

3) La natura esclusiva della competenza comunitaria nella politica commerciale comune ela giurisprudenza della corte – Sin dai primi anni di vita la comunità europea ha utilizzato i suoipoteri per negoziare e concludere trattati internazionali nelle materie di propria competenza,attirandosi spesso le critiche degli stati membri che non erano disposti ad abbandonare i propripoteri in ambito internazionale. Ciò è stato possibile anche grazie all’interpretazione iniziale dellacorte che ha mirato ad accrescere le competenze esterne della comunità escludendo dovepossibile il potere concorrente degli stati membri. In una sentenza (AETS) la corte aveva anchestabilito il principio del parallelismo delle competenze per cui anche nelle materie nonespressamente attribuite se la comunità adotta norme comuni gli stati membri non hanno più ilpotere di contrarre con stati terzi obbligazioni che incidano su tali norme. In seguito la corte ha

attenuato tale interpretazione stabilendo dei limiti all’esclusività della competenza della comunità intema di politica commerciale comune (ad. es.nel caso di merci, come il petrolio, di vitaleimportanza per le economie nazionali o in presenza nell’accordo di oneri gravanti sui bilanci di statimembri). A seguito di ciò è del Trattato di Nizza si può quindi oggi parlare di due differenti regimi

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per gli accordi di politica commerciale comune: l’uno per il quale vige la regola dell’esclusività,l’altro per il quale si ha una competenza concorrente e ripartita con gli stati membri.

4) Accordi puramente comunitari e prassi degli accordi misti- Per accordi puramentecomunitari si intendono gli accordi che rientrano nella competenza esclusiva della comunità e chequindi vincolano gli stati membri anche se essi non vi prendono parte. Tuttavia il fatto che gli statimembri non sono favorevoli ad abbandonare i loro poteri sovrani ha moltiplicato nella prassi icosiddetti accordi misti ossia accordi negoziati e ratificati dalla comunità rafforzati dalla firma deirappresentanti degli stati membri. Tali accordi sono di natura diversa (accordi di associazione,accordi nel contesto di organizzazioni internazionali o di cooperazione internazionale) ma hanno incomune il fatto che non sono attribuibili alla competenza esclusiva della comunità e che ilperfezionamento dell’accordo implica la ratifica da parte degli stati membri,. La dottrina comunqueattribuisce a tali accordi natura bilaterale in quanto anche se vi partecipa una pluralità di parti laposizione contrattuale della comunità e degli stati membri è ritenuta comunque unitaria. La Corteha poi chiarito che ogni volta che gli accordi prevedano oneri finanziari a carico di stati membri sidebba escludere la competenza esclusiva della comunità e ha negato che accordi recenti come ilGATS (in materia di servizi) e il TRIP (in materia di proprietà intellettuale) potessero rientrare nella

competenza esclusiva della comunità. La corte tuttavia ha ribadito la necessità di cooperazione tracomunità e stati membri al fine di garantire comunque l’unitarietà della posizione contrattualeanche se è evidente che la negoziazione e ratifica congiunta a parte di comunità e stati membriattenua l’immagine unitaria della comunità all’esterno. Pertanto a seguito del Trattato diAmsterdam si è introdotto un nuovo paragrafo all'art 135 per il quale è attribuito al consiglioall’unanimità su proposta della commissione e previo parere del parlamento il potere di estenderela procedura degli accordi puramente comunitari alle materie rientranti negli accordi GATS eTRIPS.

5) Gli accordi commerciali : in particolare il GATT e la sua tradizionale inidoneità aprodurre effetti diretti  – Come abbiamo detto nell’ambito della politica commerciale comune lacomunità può concludere accordi tariffari e commerciali. Nell’arco di 40 anni la comunità ha posto

in essere una serie di accordi con paesi terzi (sia europei che extraeuropei) che hanno istituitounioni doganali o zone di libero scambio. Scopo degli accordi con paesi extraeuropei è in generequello di promuovere lo sviluppo economico di tali paesi e di instaurare relazioni economiche traquesti e la comunità- Scopo degli accordi con i paesi europei (ad. es. paesi dell’Europa centroorientale) è quello di creare le condizioni materiali e giuridiche per una loro futura adesione allacomunità. Il principale accordo internazionale commerciale rilevante per la comunità e L’accordoGenerale sulle Tariffe e sul Commercio (GATT) entrato in vigore nel 1948 e inglobato nel 1995nell’Accordo Sull’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o WTO). Il GATT è stato il piùefficace strumento di liberalizzazione del commercio mondiale prevedendo per le sole merci lariduzione dei diritti doganali e il divieto di restrizioni quantitative tra stati contraenti. Sebbene leparti contraenti del GATT siano stati i singoli stati membri in quanto l’accordo è precedente alTrattato di Roma la comunità si è gradatamente sostituita agli stati membri anche se non si èpervenuti ad una concreta vincolatività delle norme GATT a carico della comunità. Infatti la Corteha affermato che la validità degli atti emessi dalla comunità può essere inficiata da una norma didiritto internazionale solo se tale norma è vincolante per la comunità attribuendo ai cittadini Ue ildiritto di esigerne giurisdizionalmente l’osservanza. Pertanto la corte ammetterebbe il controllo dilegittimità sugli atti comunitari alla luce del GATT solo se esso contenesse norme direttamenteefficaci, cosa che deve negarsi in quanto esse sono caratterizzate da ampia flessibilità e possibilitàdi deroga. La corte pertanto non ha ancora affermato l’invalidità di un atto comunitario sulla base diuna norma del GATT.

6) Gli accordi di associazione e la loro idoneità a produrre effetti diretti – Il Trattato Ceeprevedeva sin dall’inizio che la comunità potesse concludere con stati terzi o organizzazioni

internazionali accordi di associazione caratterizzati da diritti e obblighi reciproci e azioni in comune.La dottrina più recente ha sottolineato la somiglianza di questi accordi con quelli commercialisottolineando però che essi implicano una collaborazione più intensa di quelli puramentecommerciali sia perché prevedono l’istituzione di organi comuni, sia perché mirano a raggiungere

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una sorta di integrazione con l’economia comunitaria. Così in riferimento agli accordi diassociazione con Grecia e Turchia la corte ha precisato che tali accordi possono avere effettidiretti simili a quelli delle norme comunitarie nel territorio della comunità.

7) Le sanzioni economiche   – Il tema delle sanzioni economiche (intese con riferimentoall’interruzione delle relazioni commerciali) si è posto in quanto l’art. 133 del Trattato si riferisce aprovvedimenti restrittivi del commercio internazionale (di competenza esclusiva della comunità)come difesa di interessi puramente commerciali mentre tale tipo di sanzione spesso ha invece unconnotato politico. Ciò si era manifestato con la prima sanzione comunitaria contro i prodottioriginari dell’Argentina a seguito della presa di possesso da parte di tale paese delle Falkland conil conseguente conflitto con il Regno Unito. In quella circostanza si pervenne infatti ad unregolamento che poneva il duplice livello (cooperazione politica e politica commerciale comune)che sarebbe stato poi sancito con la modifica al Trattato Ce da parte del Trattato di Maastricht (art. 301 “ quando disposizioni del Trattato relative a politica estera e sicurezza comune prevedonouna azione della comunità per interrompere o ridurre le relazioni economiche con paesi terzi, ilconsiglio (a maggioranza qualificata e su proposta della commissione) prende le misure urgentinecessarie). La prassi successiva si è poi conformata a questo quadro normativo.

 

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