riflessi e riflessioni

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"Spiedini infizati nella rena della vita a caccia di sogni"

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Page 1: Riflessi e Riflessioni

Riflessi e Riflessioni

Franco Pucci

versi diversi

“Spiedini infilzati

nella rena della vitaa caccia di sogni”

Ottobre 2010

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Riflessi e Riflessioni versi diversi

Franco Pucci

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Un bambino mai cresciuto” così ama definirsi l’autore Franco Pucci. Un Peter Pan che si rifiuta di crescere trascorrendo nell’immaginario un’ infanzia senza fine. Nel mondo reale, da dove egli stesso proviene poiché nato, disciplina la sua creatività essendo in grado di fornire una comunicazione integrale curata anche negli aspetti creativi. Il Pucci come autore fotografa la sua anima in mille riflessi persi in un ritmo cheto: seduto sulla sponda/ lo sguardo fisso al niente/, una visione d’attesa che lascia all’autore un passato immemore e un presente sempre più corto e incerto. Questo suo interrogarsi si fonde al desiderio d’incontrarsi con l’io: alla fine è arrivato/ dimentico tutte le primavere/ forse vissute/ divorate così ingordamente. La sua mente lacera una nuda presenza: artefatta corazza/, per dissetare il cuore di quel bambino che è in lui. La sua amante: l’inquietudine, s’insinua clandestinamente nel suo respiro che tramuta in poetica. Tutte le sue opere lasciano il lettore nell’immaginario. Il Pucci è un Peter Pan in cerca dell’Isola che non c’è. Immacolata Cassalia

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Ad una ad una tolgo spine dal cuore dolore lancinante annebbia la vista lacrime come perle sgranate sul selciato tra gli anfratti del cuore l’anima ha trovato riparo pensieri come nembi forieri di scrosci bussano nella mente avulsa a ragioni labbra serrate ora impediscono che il grido si espanda lontano l’anima è muta il cuore urla sulle pietre mi chino raccolgo perle

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Amore in briciole avanzi d’amore come pane raffermo sparsi sul letto noiosi graffianti resti di un rito pagano briciole mani fameliche ancora inseguono insaziate testimoni scaglie di un pasto consumato in fretta briciole scorie che mani stizzite spazzano e sapienti ora imbandiscono una nuova tavola ho fame ancora

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Ancora una mano, ancora.. vorrei giocarmi ancora il cielo ai dadi sentirli rotolare allegri sul selciato guardarli sussultare per darmi il risultato per amare o maledire l’ironia della sorte non è più tempo di giochi oramai ma la vita spesso mi chiama al suo tavolo è la mano finale, dadi o carte non importa, ma io vorrei giocarmi ancora il cielo datemi i dadi, ancora una mano, ancora…

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Andata e ritorno una pioggia tagliente di cristalli neri riga le tue guance di rosso sangue scende copiosa da fari ormai spenti che illuminano notti dipinte di bianco distese di rovi come tizzoni accesi attendono famelici membra stanche volgi supino lo sguardo ad un cielo tinto di calce scrostata da tempo Crono paziente ha fermato i cavalli sospeso nel nulla leggero tu plani di colpo ripiombi nel tempo che corre la corsa è ripresa nessuno ti attende la barca che scivola lenta sul fiume ti accoglie straniero tra mille stranieri beffardo Caronte pretende mercede e rilascia un biglietto senza ritorno acqua marrone scorre sotto la chiglia arrivi alla sponda dell’orrida cloaca il calore della terra asciuga la pioggia i cristalli si infrangono al nuovo giorno e stanotte?

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Apnea ora finalmente posso respirare, l’aria è più tersa le macerie del passato ostruiscono ancora la via la polvere alzata dalla frana dei ricordi si è diradata l’anima sta terminando i lavori di ristrutturazione e il cuore batte di nuovo, potente come una ruspa appoggiato ai miei pensieri così rimessi a nuovo osservo il battito costante che sottolinea il respiro nuove emozioni completeranno la metamorfosi come un serpente indosserò una splendida livrea dimentico del tempo, fino alla prossima apnea

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Appeso ad una nuvola l’immagine impressa nella mente lacerata, percorsa da lampi, spogliata da ogni orpello, nuda si presenta ogni volta che credi di aver vinto la partita contro quel figlio di puttana che ti attende sornione, il tempo è così che l’inganno si disvela, lottando contro i mulini a vento senza la corazza della finzione la tua anima si presenta inerme il cuore non regge all’agone e cerchi scampo nella poesia la ragione ti cerca e trova di te solo l’immagine mentre sei lassù, appeso ad una nuvola

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Briciole d’amore no, aspetta non buttare quelle briciole abbiamo pasteggiato del nostro amore bevendo calici di fiele mangiando orride parole distruggendo ogni sapore no, aspetta non buttare quelle briciole metà mi appartengono me ne ciberò allora quando la tramontana porterà l’inverno nel mio cuore

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Calma piatta improvvisa , repentina discesa nelle more dei spasmi aritmici di un cuore distratto da emozioni fallaci impulsi svogliati per battiti fuori tempo lento morire del ritmo che si adagia e cheta in un lungo respiro gli occhi aperti ora spaziano in cerca di te calma, troppa calma dopo la tempesta ma non ti trovano un amore navigato sulle onde procellose di personalità opposte tra abissi e approdi comunque vivo

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Canale di Sicilia, Agosto 2009 occhi che vedono ma poi non guardano mani protese che gridano nel pianto deserto di coscienze ormai assuefatte respingono il dolore disconoscendolo il mare che avverso inghiotte i corpi di povere membra riarse al sole nasconde pietoso un delitto orrendo ma rende l’orrore di chi ha negato pietà e soccorso a fratelli in balìa di onde nemiche e di sguardi obliati ultimo approdo di umanità dispersa che nulla ha avuto, cui tutto è negato se ancora esiste dignità d’esser uomo e coscienza e rispetto della vita altrui cambiare la rotta intrapresa è dovere aprendo gli occhi di chi ha chiuso il cuore dedicata ai fratelli persi in mare e a chi ha perso la ragione d’esser uomo

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Cercando la luce ritorno al buio occhi come fessure feriti dal tramonto del sole fissi, vitrei, non si distolgono da un punto lontano la luce rossastra traversa lo sguardo del vecchio una ruga improvvisa appare sul volto di pietra la mano fugace sulla gota raccoglie una lacrima lingua di fuoco la goccia ha lasciato il suo segno respiro la brezza che s’alza dal mare e finalmente distolgo lo sguardo dal nulla, mi specchio nell’acqua la, in quel punto lontano dove il sole va a morire i miei occhi hanno cercato invano un approdo sicuro inutilmente si sono feriti al bagliore della vivida luce insaziabili e dimentichi alfine della certezza vicina ora che anche il tramonto ha il colore della notte non ha più senso cercare la luce all’orizzonte l’anima è ancorata all’approdo ormai raggiunto il buio è ritornato, dentro di me è tutto più chiaro

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Ciecamente sono stanco di guardare avanti con gli occhi rivolti al passato ora guardo nei tuoi occhi il presente e lascio indietro il futuro hanno lo stesso colore di sempre forse solo un po’ stanchi di sorreggere e di medicare l’alternare dei miei sentimenti stanotte ci terremo per mano e faremo l’amore dolcemente con il cuore rivolto al passato ad occhi chiusi verso il futuro

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cinque/due/ventidieci: odio quella macchina odio quella macchina ogni volta l’angoscia mi attaglia seppure ormai da anni la conosca come in un girone dantesco supino, seguo con gli occhi i led luminosi che girando leggono il mio futuro odio quella macchina appeso alla sua tecnologia aspetto la sentenza con angoscia entro nel tubo roteante sperando di uscire dal tunnel conscio della caducità della vita odio questa macchina ieri, come domani, freddo giudice che può sancire vita o donare morte eppure costretto tra le sue spire sorrido pensando che in fondo la vita non è così male e va tutta vissuta amo questa macchina anche stavolta è stata generosa tutto sembra procedere per la giusta strada anche se… un piccolo tarlo è tornato a rodermi perché presto dovrò incontrarla di nuovo odio questa macchina: cinque/due/ventidieci

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Come un pipistrello come una nottola cieca appeso agli anfratti del tempo ho atteso l’imbrunire della vita per dispiegare le ruvide ali zigzagando con volo isterico guidato da un radar difettoso milioni di parole sconnesse, promesse e facili illusioni hanno segnato il mio volo negli anni di uscite diurne ostinatamente dimentiche della mia cieca condizione ora nei miei voli notturni non cerco facili prede non voglio cibarmi di nuovo di veleni vestiti a festa il radar guida zoppicando le rotte negate ai miei occhi l’alba incombente mi avvisa la luce ferisce gli occhi il volo si placa planando ritorno appeso al mio tempo a testa in giù, sebbene dolente attendo l’ultimo volo e vivo

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Come una farfalla zoppa una farfalla zoppa a cui manca un’ala non può volare e si sente sola nel giardino fiorito profumi inebrianti come richiami irresistibili tormentano il suo zoppicare stanco sullo stelo e lentamente sparisce dal suo sogno la primavera come il tuo amore azzoppato non può camminare su una gamba sola necessita la stampella del mio cuore così consumiamo un amore saltellante che non rispetta stagioni e negli alti e bassi uccide le ragioni tra le spine

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Contando i passi passi pesanti ogni sera più pesanti su gradini consunti rimbombano passi stanchi ogni sera più strascicati avvisano il tempo passato qua dentro passi contati ogni sera in attesa superano scalini viepiù impervi passi lenti portano al traguardo il fiato corto dell’ultima sera conto

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Dal sogno alla realtà, passando per il dolore lasciatemi recuperare le piccole macerie sparse mentre cerco disperatamente di uscire dal sogno prima che questi come sempre si trasformi in incubo “ora mi sveglio, ora mi sveglio”, funziona sempre così… membra atterrite, dure come gesso, cuore in fuga fiato corto, gli occhi cercano un punto d’aggancio nel buio rotola nel letto la mia stanchezza, ogni notte mi insegue poi mi raggiunge, mi lega mentre il torpore mi avvince ripropone al mio sguardo spettacoli indecenti di vita ogni notte la paura del sogno si confonde nel sonno attendo un gesto, una mano, il risveglio ora ferisce di più così con dolore mi sveglio, mentre nel sogno mi addormento

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Di te, di me, di noi io, te, occhi dentro occhi bocca dentro bocca cuore accanto cuore mano nella mano io,te, occhi dentro occhi bocca dentro bocca fianchi contro fianchi cuore contro cuore mani tra le mani io,te occhi dentro occhi bocca sulla bocca cuore dentro cuore mano nella mano io,te stesso sguardo stesso sorriso stesso cuore stesso passo io,te, noi

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Dolcemente, teneramente uomo Ma sì, sono dolce, tenero così paio e forse è vero mi emoziono ancora, piango. Quando leggo una poesia negli occhi della mia donna ritrovo lo stesso amore che il tempo non ha consumato. La corazza si è sciolta negli anni ora sono libero di essere uomo dolcemente, teneramente uomo.

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E’ quasi giorno è quasi giorno e non se ne va la notte testarda rimane e confonde i ricordi di troppe ore consumate inutilmente e disperatamente vomitate nel buio è quasi giorno e il vento sulle imposte danza al ritmo di un antico cigolio lo aspetto mentre attraverso i vetri guardo la mia ombra che si allontana é quasi giorno e non se ne va la notte

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E’ tempo di acquerello schiacciato tra due toni di blu prepotente il rosso del cuore si fa viola per lo sforzo cianotico è il respiro del grigio dei polmoni il nerofumo di un’anima in disuso fuoriesce da una bocca spalancata ad urlare il silenzio eppure primavera incombe e vorrebbe toni gentili, tinte pastello e acquerelli delicati sentimenti lievi e soffici veleggiare il cuore verso azzurri cieli puntati di batuffoli bianchi e l’anima sorridente plauderebbe al bel dipinto così vorrei fosse questo momento dove i colori hanno l’aggressività e la forza di un Van Gogh crudi e incombenti violentano, mi tolgono respiro bruciano gli ultimi fuochi dell’anima in attesa e sibilando pezzi di cuore cercano nuovo ritmo da tempo la tela che ho davanti è strappata l’apatia ha vinto, mi ha tolto di mano i pennelli una tavolozza a me sconosciuta e mai gradita ferisce e imbratta con violenza di forti colori il trascorrere plumbeo di queste ultime giornate appenderò queste tele ferite al muro dei ricordi rimarranno lassù, volgari ricettacoli di polvere tutto è pronto anche la nuova, gentile tavolozza attende tele vergini per riempire con dolcezza di colori acquerello l’arrivo della primavera l’anima sta cercando la cornice adatta

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Elfo, ingannevole creatura Bastardo. Decisamente un bastardo. Ira che sale fiammeggiante fino allo sterno. Il cuore impazza, la mente vacilla. Madre natura ti ha dotato di poteri a noi vietati. Tenerezza e curiosità esche micidiali che solleticano sentimenti e desideri reconditi. Lo osservo mentre mano nella mano si allontana nel fitto del bosco con la mia donna. Gioco facile per te ambigua e inquietante creatura che ammicchi a magiche voluttà. Bastardo. Decisamente un bastardo. Se questo è un sogno, svegliatemi.

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Era di Marzo Era in una giornata come questa dove la canizie del tempo morente gelava anche gli ultimi sguardi e la tramontana come scorpione avvelenava le attese di tempi migliori. Labbra serrate trattenevano a stento parole affilate come sicari in attesa di guadagnare la mercede promessa. L’addio fu facile, ne bastarono poche le altre si sciolsero al primo sole. Rimasi lì, statua di ghiaccio e sale la pelle bluastra a contemplare il delitto mentre un ultimo refolo spezzava con una eco di suono metallico stalattiti cristalline appese alle mie ciglia. Era di marzo.

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Fatemi spazio fermati, ascolta [sibilo compresso aria che cerca spazio polmoni in apnea] fermati, ascolta [battiti convulsi cuore che cerca spazio torace angusto sito] fermati, ascolta [zoccoli di puledri pensieri cercano spazio ormai senza briglie] fermati, ascolta [l’anima fuggendo ha chiuso ogni spazio sbattendo la porta] fermati, ascoltami [ancora uno sforzo dopo l’ultimo ostacolo il traguardo ti aspetta] fatemi spazio

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Gerico le tue parole hanno sgretolato il mio muro di indifferenza cattiverie corrosive come acido pisciato contro l’intonaco hanno impietose messo a nudo la mia barriera di calce e sassi ora sto spazzando le briciole del mio superego sconfitto e soffro, finalmente soffro libero da artefatta corazza mentre il mucchietto di sassi affoga in un mare di lacrime

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Giovane amore salato Dove eri quando parole feroci spargevano sale sulle ferite? Dove eri quando un velo di pianto oscurava gli occhi allo sguardo? No, non rispondermi io mento in fondo l’ho sempre saputo, eri lì, a me accanto, e ridevi forte tanto che mi è scoppiato il cuore. Altro sale, altro sale ci vorrebbe per curare ferite ancora aperte il nuovo amore appena arrivato è così slavato che non sa di nulla. Come vorrei adesso tutto quel sale che dava sapore al nostro amore!

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Grazie, Sergio solo un led rosso fiocamente illuminava la scena il vinile ormai distrutto dai calci saltava le parole bocca a bocca nel sudore si ballava nel buio della stanza mentre Endrigo innamorava “ la festa appena cominciata…” cominciò così la nostra festa e mai è terminata il vinile ormai consunto è finito al mercatino delle pulci ma il sapore di quei baci mi è rimasto sulle labbra “e’ stato tanto grande, ormai non può morire…” grazie, Sergio

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Ho preso a sberle i sogni vengono spesso forse al mattino ti prendono alla sprovvista e ti lasciano un sapore amaro al risveglio bugie che ti racconti senza pudore e fai finta di crederci per un attimo poi svaniscono dimentichi in un cassetto tornano allora comodi alibi al susseguirsi agitato dei tuoi pensieri notte, notte! ecco lì dove coltivi le tue piantine giovani i sogni in fasce uccidili prima che crescano o saranno padroni della tua vita

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Ho provato a vivere ho provato a vivere, sollecitato dal mondo prima di essere fagocitato da lui stesso ho provato a viverlo osservandone i veleni attraverso bolle di fumo sparse nelle stanze visione invereconda di piccoli grandi delitti perpetrati senza vergogna, a piene mani caleidoscopio di indecenti amori ed umori, mi si offriva al diradarsi di nebbie oppiacee ho provato a viverti, mondo, e sono morto

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I pescatori di Ciosa (Chioggia) l’andatura ciondolante ad anche aperte cappellini di lana grezza calzati sulle ciglia occhi cerulei taglienti di sguardi fissi al mare visi come pietre erose dal sale e dalla bora la sigaretta eternamente spenta pone l’accento sul sorriso che accompagna il saluto amico le parole dondolando sottolineano la cadenza del parlare altalenante come il rollio della barca li incontro ogni mattina sul Canal Lombardo gente schiva, dal fare ruvido come le mani che troppe volte hanno tirato a secco reti vuote e ogni giorno santifica il mestiere di Pietro la lunga teoria di pescherecci attraccati al molo lo stridio dei gabbiani eccitati dall’odore penetrante gesti misurati dall’esperienza che il mare insegna voci arrochite dal fumo che si rincorrono musicali e il dondolare cadenzato del dialetto chioggiotto che timbra inconfondibilmente il levare del sole

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Il futuro era ieri Hai fatto un lungo cammino per arrivare sin qui. Hai sbagliato molte volte la strada, perso nei meandri di un’incosciente apatia. Ora che sei qui, davanti alla porta, il cuore sbianca, perdi coraggio. Forza, varca quella soglia, un paio d’ali ti attendono ormai da troppo tempo. Indossale ora che la notte ti protegge dal calore del sole, e raggiungimi qui, sulla tua nuvola. Non temere, ti sosterranno, sono abituate a traghettare anime irrequiete. Non voltarti, il passato è lastricato delle buone intenzioni disattese per ignavia. Apri quella porta, indossa le ali spicca il volo, ma svelto! Il futuro era ieri.

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Il grande bluff Difficile dire se sia uno stato dell’anima o solo un crepuscolare, patetico sentimento. Certo l’ansia e l’angoscia che mi attagliano quando il tempo presenta il suo salato conto mi rendono conscio che la notte si avvicina. Credevo davvero di poter dominare le paure ma la coscienza dei propri limiti è l’unico regalo che la vita ti concede a due passi dall’arrivo. La saggezza dei vecchi è quindi solo timore di affrontare il domani non avendo più difese. Così sfido l’inverno, titillo dolcemente la primavera, corteggio l’estate per illudermi giovane ancora. Questo diabolico gioco di rimpiattino col tempo riempie la mia stagione, mistifica i sentimenti e senza alcuna vergogna bluffo al tavolo della vita.

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Il silenzio del tempo scandiva il tempo un orologio muto rimasto a guardare la notte appeso ad una parete bianca le lancette libere si impegnavano in rincorse folli dietro alle stelle mentre un quarto di luna impigrita stentava a bucare la coltre del buio e un ululato di lupo solitario salutava il nascere della nuova stagione attendevo rosei chiarori ma la luna scomparve nella coltre del buio inseguite da lancette ebbre di gioia stelle fugaci saettarono presago di mutamenti improvvisi come lupo solitario dalla finestra ululavo alla luna la mia solitudine l’orologio muto scandiva il silenzio

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La luce della stella notti strascicate su sentieri sconosciuti strade puzzolenti di periferie inabitate spingi nel carrello del supermercato miseri cenci dentro lerce buste di plastica stringi tra le nocche un mozzicone acceso raccattato chissà dove e guardi il cielo la notte stellata di San Lorenzo rischiara il tuo viso di pietra scolpita mentre una stella muore cadendo tu insegui la sua scia con lo sguardo la luce persa dalla stella morente brilla nei tuoi occhi come pianto di speranza

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La mia ragazza l’ha portata una conchiglia attraverso l’Egeo cresciuta al sole del Salento ha nel sangue Penelope in attesa e la malia di Circe che strega il novello Ulisse approdato sul suo seno ho navigato mari impervi protetto dal suo grembo ho vinto burrasche e venti ho conquistato anni sconfiggendo Proci di carta ora che ho finito le frecce da tempo riposa anche il telaio ora che è sera la luna ci guarda mentre abbracciati sogniamo il mare e le spiagge di Rodi la mia ragazza è poesia

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La vita non ammette reclami Tredici lustri di attesa sofferta e una lunga teoria di rimostranze sul trattamento avuto dalla vita. Sono stato alla sede centrale e ho fatto diligentemente la fila davanti allo sportello reclami. Quando finalmente è il mio turno repentinamente lo sportello si chiude e appare una scritta luminosa: “tempo scaduto, tornare la prossima vita” bastardi

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Lacrime come acqua acqua che calma si racconta nel tranquillo veleggiare dei miei pensieri verso approdi lontani indistinti seppure sereni o scorre impetuosa mentre riaffiorano pezzi di vita dalle buie gore del mulino a vento della mia anima vivo questa stagione con gli occhi rivolti al passato guardando il futuro ignoto e mi specchio tuttavia nella tranquillità cristallina del tuo sguardo che materno ha soddisfatto la mia sete e pulito il mio cuore bambino mentre piango

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L’ altro ti ho visto nudo, rannicchiato tra le anguste pareti un dolore lancinante la testa tra le mani in attesa un silenzio soffocante mi sono rannicchiato anch’io tra quelle pieghe accanto a te spogliato di ogni affanno nudo come te attendo senza sapere quanto durerà l’attesa lento hai alzato lo sguardo mi sono visto e il silenzio si è rotto in un fragore di cristalli

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L’ approdo ho provato sai, Dio sa quanto ho provato ho cercato, scavato, frugato nei recessi più profondi dell’anima ho interpellato cuore e ragione invano nulla non so cosa sia, non so dire da dove arriva questo filo d’acciaio che ci lega così strettamente, saldato ai nostri corpi, alle nostre anime? nulla io senza te, tu senza me che domani sarebbe, senza l’amore senza il dolore che ci ha uniti, nonostante, ci hai mai pensato? sì, so che hai paura dividiamola allora, come gli anni quelli che verranno, quelli passati un unico percorso da attraversare in due, fino all’approdo, serenamente

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Le mie mani mi soffermo a guardarle vincendo il dolore ricordo quando bastava un cenno degli occhi perché si muovessero agili tra colori e pennelli mirabilmente ritmiche col plettro della chitarra ora l’ingiuria della vita e degli anni vi hanno ferito niente è più come prima, vivete di vita diversa aliene ad ogni sollecitazione, ribelli alle consuetudini non riconosco il vostro vagabondare distratto strane prosecuzioni di arti a volte dolenti irridete malvagie alle piccole grandi difficoltà compagne inevitabili, benché ormai mi sia negato persino il ricordo della vostra abilità le mie mani

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Lenzuola nere di seta nera una lama di luce sghemba riflette il bianco marmoreo del tuo corpo mentre ti rotoli nel nero del giaciglio pigramente spettino anelli di fumo il sopore mi assale, membra ottuse scivolano lente nel profondo del nero lenzuola come nere ali di pipistrello dirigono la mia discesa nel fondo ondeggia la barca, è troppo il fardello Caronte pretende doppia mercede il viaggio è terminato il ritorno è dolore scorre sul nero la mano incontro al nulla

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L’ eredita’ dell’arroganza Con rapporti prezzolati ho ingravidato la vita liberando spermatozoi della mia arroganza. Oggi cresciuti bussano famelici alla mia porta. Ne ho disconosciuto la paternità avvalendomi del lavoro di un ottimo avvocato: il tempo. Oramai non ho più denari per fottere la vita.

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Lo scalpitar degli animali alla fonte lo sguardo mi attraversò ferocemente obliquo mentre girava piano la testa dalla fontanella cristalli di puro ametista mi interrogarono severi “non ho ancora finito, non è ancora il mio turno…” inevitabile il mio percorrere attonito con gli occhi quel viso segnato da mille e più ferite che ammoniva la mia impazienza dinanzi all’abbeveratoio della vita non terminò la frase, l’urlo frantumò la mia presenza la notte nascose pietosamente i resti dell’intolleranza raccolsi l’indomani il mio dolore rimasto appeso alla fonte ancora echeggia il suo urlo nel silenzio

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Mille e più colori se le mie parole avessero colore dipingerei un meraviglioso acquerello con tenui colori, gentili e delicati descriverei sensazioni dimenticate se i miei pensieri avessero colore come Van Gogh incendierei l’anima forti e violenti, ma sempre sinceri descriverei così amori sensuali se potessi scegliere il colore per descrivere i miei anni passati userei l’iride rigogliosa di tutti i colori della grande tavolozza della vita

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Ne me quitte pas… I passi cantavano disarmonici sull’acciottolato falsamente ritmici, cadenzando una affannata rincorsa. Mille parole d’amore non dette, appallottolate come cartaccia, rotolavano allegre e dispettose sospinte da un vento complice, fuggendo via vanamente inseguite da incipienti rimorsi tardivi. Forse fu timidezza o altro, non so dire, ma la rincorsa fu breve, altre parole nacquero spontanee e presero il loro posto. l’incedere si fece sicuro, pur se ambio come un cavallo bolso e il vento si ritirò offeso a riposare nell’otre paterno. I passi oggi cantano un’altra canzone, inalmente posso dirlo.

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Nessun dolore nessun dolore, andava fatto. staccai la spina e la lasciai regalandole così una dolce morte seduto, le braccia conserte, guardavo con indifferenza il cadavere del nostro amore malato ormai in fase terminale nessun rimorso, nessun rimpianto altri chiameranno eutanasia recidere per sempre un amore finito io la chiamai liberazione nessun dolore, andava fatto e tu potevi almeno dirmi grazie…

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Niente di nuovo oltre l’orizzonte laggiù, dove lo sguardo fatica ad arrivare dove anche il mare si perde all’orizzonte, laggiù infine potrei anche approdare se le mie ali non fossero così stanche [ho perso piume trasvolando aride stagioni bevendo a fonti non sempre cristalline giorno dopo giorno piogge avvelenate hanno piegato il volo negandomi l’arrivo] non è poi male, amico mio che ascolti rimanere a terra un poco a ripigliare fiato dopotutto se pei gli anni il volo ti è negato scioglier la fantasia è il rimedio più sicuro con la fantasia veleggio all’orizzonte e vedo: non c’è niente di diverso che io possa trovare tutto già visto, ma laggiù c’é un nuovo approdo che senso avrebbe allora riprendere a volare? [dici così perché le ali non le hai mai avute volevi a tutti costi andar oltre l’orizzonte con scarpe da montagna e passo assai greve ma gabbiani si nasce e non si può barare]

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Nonostante Ora ti ho detto tutto. Parlami di te. Ostinatamente voglio credere che le parole allevino il dolore. Riempiranno il vuoto di una vita sin qui passata a non conoscersi. Giocare a nascondino, amarsi parlando del vicino. Noia soffusa che aleggia come il fumo dell’ultima Marlboro dopo l’amore. Pizza e coca, gelato e caffè, festival dell’ovvio e del consueto. Tutto mangiato, digerito, vomitato. Come dici? Non è così? Forse è vero, ho smesso di fumare e forse parlavo di un’altra. Parlami di te.

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Notti ruggenti ai Tropici panama bianco a difendere lo sguardo sigaro avana tra le labbra sorridenti daiquiri di ottimo rum sul tavolino ti sto aspettando alla Bodeguita del Medio [adesso sarei lì se non fosse che il volo per l’Avana è in gran ritardo così, attendendo il prossimo volo sto rileggendo Tropico del Cancro] la pista della darsena è quasi vuota tutti i gabbiani ormai son decollati lascio la panchina davanti al molo anche per stanotte berrò il rum da solo [un panama sgualcito sul mio letto ricorda tropici di sole arroventato il rum di là in cucina s’è svaporato e ormai non fumo più da tanto tempo]

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Notturno bolero Gli occhi oramai due fessure impenetrabili i pugni serrati lungo i fianchi, le nocche livide in piena apnea cerco di convincere il cuore a pulsazioni rarefatte, a ritmiche sopportabili. Così, stravolto, sul letto come in un sudario attendo che il buio mi inghiotta finalmente ma invano, il fiato sibilando fuoriesce e il cuore riprende il suo solito cammino. Con gli occhi sbarrati e dolenti fisso il nulla che un buio dispettoso ogni notte mi regala anche stavolta la Nera Signora ha perso anche stanotte Morfeo attende inutilmente. Le ore stancamente danzano il classico bolero completamente sveglio partecipo alla festa che Morfeo attenda, c’è tempo per la notte balliamo Nera Signora, ti ho fottuto ancora.

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Oltre le nuvole Di là dalle nuvole c’è un pensiero azzurro sereno e calmo come lago montano che placa al tuo sguardo il cuore in tumulto e rinchiude nel fondo le angosce dell’anima. Salirò sul primo arcobaleno disponibile e il mio sguardo andrà oltre le nuvole. Porto con me solo la mia anima lascio il mio corpo, bagaglio inutile.

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Ombra Ti ho visto, sai? E’ da un po’ che ti sto osservando. Scivoli silenzioso tra un’immagine e l’altra con movimenti subliminali. Ma ti vedo. Ti osservo. Passo a volo d’angelo su spezzoni, frammenti, intenzioni di vita e ti osservo. Pallida controfigura dell’uomo che avresti voluto essere. Ma non sei. Ectoplasma che non trova pace e gioca a rimpiattino con la luce.

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Origami Spesso la notte litiga col sole e la luce del mattino stenta ad apparire. Quando succede così raccolgo pezzi di me sparsi un po’ ovunque in una stanza agitata e li ricompongo sotto le lenzuola. Ogni mattina mi cimento con un nuovo origami ma al buio fatico a trovare le pieghe giuste. Chissà che versione di me apparirà quando il sole avrà finito di litigare. Odio lo specchio.

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Orme abbiamo camminato insieme, a lungo sulla sabbia non v’è traccia del nostro passato, il mare ha cancellato il cammino percorso dimentico dei passi perduti, continuo a camminare con te al mio fianco vite parallele che cercano di incontrarsi ingannando la geometria il vento ed il mare giustificano questa speranza cancellando i nostri sbagli come passi nella sabbia

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Parigi o cara Ti ho aspettato a lungo. Seduto al tavolino del bistrot mentre il pastisse che stavo sorseggiando profumava d’anice quella sera parigina. Le note di un valzer musette rallegravano il cielo che si stava tingendo di rosso. Ti ho aspettata a lungo quella sera a Parigi. Inutilmente. Eri già arrivata e sedevi accanto a me. Non me ne ero accorto. La Senna scorreva pigramente. Malinconia.

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Parlami Parlami. Il silenzio ferisce più di mille parole. Insultami, non lasciare la tua rabbia appesa ai denti. Ho riempito mille spazi bianchi con parole inutili che avrei voluto dirti e poi ho cancellato. Ma tu parlami. Riempi la distanza che avvicina l’odio all’amore con le parole che avrei dovuto dire. Il tuo silenzio rimbomba dentro di me come il tuono che annuncia un temporale. Parlami. E potrò asciugare le mie lacrime al sole delle tue parole.

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Pensieri, verdi tentacoli silenziosamente si abbarbicano all’anima come braccia di pianta carnivora si avviluppano, stringono il cuore mentre l’apnea ti scoppia i polmoni lacci emostatici che nessuno è mai riuscito a sconfiggere sfinito da lotte impari crolli e ti arrendi a tale invasione con l’anima ingabbiata e il cuore che affanna stringi tra le dita l’ultima chance: l’amore,diserbante da usare con attenzione

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Perché i tramonti son pupazzi da levare? no, amore mio, stai tranquilla, non lascerò che il rosso dei tramonti insegua il nero della notte prendendola per la coda con quel briciolo di follia che da sale alla vita lo nasconderò sotto le tese del mio cappello. costruirò pupazzi rossi come il mio amore li lascerò imperituri a guardia delle sere così che le notti ci siano dolci e serene e come un cappellaio matto ti porterò nel mio paese delle meraviglie

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Permesso di soggiorno Son tornato lassù sulla mia nuvola ed ho preso al laccio la luna stanotte sognerò tranquillo al dondolio di argentei campanelli. Non so se tornerò domattina non aspettatemi voglio riposare. Da quassù seguirò i vostri affanni è un privilegio che solo ai poeti ed ai bambini viene concesso è l’ultima volta che ne approfitto domani scade il permesso Lascerò i sogni appesi alla luna.

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Pezzi di carne A volo d’angelo percorro rotte notturne e il cuore come aliante plana senza rumore sul mio corpo. Disteso su un letto di parole, taglienti come lame di spade vendicatrici, ho atteso che il tempo compisse il suo tragitto, mentre il vento spazzava le ultime nubi. Con uno sforzo immane a lungo protratto, l’anima si è mostrata al mondo spogliata da orpelli e difese fasulle. Nuda ed indifesa ha scritto di te, lasciando pagine piene di vita intensa e vissuta svuotando i cassetti di una memoria inaffidabile e a volte fallace. Ora che l’anima è sgombra, improvviso il dolore presenta il conto: scorie, rimasugli di vite passate tritate, masticate infine raccontate hanno lasciato il posto al nulla, ad un vuoto alieno ed angosciante. Stanca, spiegazzata, accartocciata su se stessa attende il riposo. Il cuore tace, e mentre nella mente si affastellano parole e pensieri, stancamente le mani ubbidiscono alle emozioni, lacerano il vuoto. Pezzi di anima, come carne strappata, dolenti mi guardano attoniti. Altra vita deve essere inghiottita prima che nasca nuova poesia.

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Quanto amore sprecato quante parole nascoste, quante frasi mai dette quanto amore sconosciuto nei tuoi silenzi celi il tuo mutismo in miriadi di bolle d’aria che la paura della verità affastella sotto la lingua cerchi con gli occhi comprensione del tuo amore attendo ormai da tempo il suono della tua voce l’amore prigioniero di splendide bolle d’aria col tempo avvizzisce e muore soffocato se le labbra si aprissero ad un bacio anelato l’amore scoppierebbe nel cuore in un respiro

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Riflessi e riflessioni La laguna ora è immobile, pare una lastra di vetro riflettente verdeazzurro. Aironi e ibis come spiedini infilzati nella rena a testa ingiù cenano allegramente. Acqua falsamente morta, senza alcuna increspatura, regala serenità ipocrita. Placidamente seduti, respiriamo a pieni polmoni una tranquillità altrove negata. Come in slow-motion il film della nostra vita scorre sulla traslucida superficie, sorridiamo mentre le mani stringono ricordi di vita pienamente vissuta. Ecco, chissà perché ora rasserenati, come due giovani i cuori si stringono. L’abbraccio della laguna avvinghia, sfrontatamente ma serenamente propone amore. Amore, affetto, che importa, quando il passo è unico e il battito ha lo stesso ritmo. Un airone cinerino litiga la sua preda con un gabbiano prepotente, sorrido, sorridiamo. Mano nella mano la laguna scompare alle nostre spalle mentre ci allontaniamo. L’incedere è lento, continua la slow-motion: il verdeazzurro riflette le nostre immagini. A testa ingiù, come due aironi. Spiedini infilzati nella rena della vita a caccia di sogni.

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Ritmo notturno danzano lente ore notturne sgorbi di nero su bianche lenzuola parole si inseguono cercando incontri scrivono la fatica di essere uomo danzano lente ore notturne quando l’amore ha ritmi pacati dolce sorpresa il battito del cuore vola il pensiero ma lenta è la mano danzano pigre ore al mattino occhi ormai stanchi anelano il buio sprazzi di luce feriscono le ciglia l’anima affonda nel nirvana del nulla danzano liete ore nel sogno vestito a festa partecipo al ballo accanto a me sprimaccia il cuscino un vecchio canuto insonne da tempo

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Scampoli d’anima Scampoli di anima come pezze di stoffa avanzate. Ritagli buttati alla rinfusa nella cesta che il supermercato del cuore ha preparato per venderli scontati. C’è chi rovista a piene mani e chi deciso ne sceglie il colore. Poi col gesto di chi ne è padrone le confronta e di nuovo propone un vestito che non ho ordinato e che non voglio indossare. Perciò li vendo. Al miglior offerente.

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Scientemente incosciente Sarebbe meglio che assecondassi i miei lustri e mi decidessi una buona volta a crescere, il bianco che mi incorona vorrebbe saggezza ma non me ne curo, ho il cuore bambino. Ho lasciato l’anima stesa ad asciugare, come in eterna vacanza attraverso il tempo: niente paura, ho una buona scorta di fazzoletti per le prossime lacrime di coccodrillo!

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Se io fossi… …e se io fossi una bolla d’aria vorrei nasconderti tra le parole per ritrovarti in un attimo quando ti bacio …e se io fossi la parola che ti sta accanto ti cullerei fino al dolce approdo per svanire poi nell’incanto dell’emozione …e se io fossi te mi ameresti così come sono non svaniresti nell’aria con le parole vuote e rimarresti con me anche dopo l’amore

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Sei rintocchi all’alba i primi furono sommessi al quarto rintocco la voce si alzò viene dal mare mi dissi, viene dal mare al quinto rintocco la campana crollò viene dai monti mi dissi, viene dai monti l’ eco annoiata rimandò uno sbadiglio viene dal cielo mi dissi, viene dal cielo la voce orba di una ugola appropriata scoppiò allora in un silenzio fragoroso l’ultimo rintocco arrivò che ormai era tardi

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Senza fiato tamburi assordanti scandiscono il ritmo di un cuore impazzito granelli di sale come cristalli negli occhi socchiusi sibili e gemiti scuotono il tronco mentre il fiato rantola lontano una corsa affannosa ha segnato il nostro amore fuggivi lontano deridendo l’impaccio del mio ansimare scaltra farfalla giocavi danzando sul mio cuore ora non ho più armi, il tempo ha segnato il mio volto passi stanchi si muovono al ritmo dei tamburi sono ormai senza fiato, ma ridi e ricominci la danza

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Senza respiro Ansimi erranti in libertà vigilata risuonano tra echi di silenzio ovattato. Parole inutili tra amplessi frettolosi storie riaffiorano come conati di vomito. Difficile rimettere insieme i cocci il mastice dell’amore è collante obsoleto. Ci vorrebbe il cuore, ma latita da tempo e l’anima ha rinnegato ogni sentimento. Ora la solitudine ha significato se l’amore è vissuto senza respiro.

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Shangai Ieri sera abbiamo giocato. Tenendoci per mano come due cuori bambini, ci siamo divertiti reinventando antichi giochi. E’ stato bello trasformare gli anni passati insieme in tanti bastoncini colorati, confonderli nel ricordo e gettarli così intrecciati nel vivere quotidiano. Ho cercato di sfilarli lentamente ad uno ad uno, per ricordarne nei colori il significato passato, ma il sorriso dei tuoi occhi ha distratto la mia mano. Cosa ne dici, ricominciamo daccapo?

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Sogna, Franco sogna… Ti guardo supino sul letto, l’espressione serena il respiro regolare non tradisce alcuna paura o precipitazione solo piccoli, insignificanti tremori alle mani rivelano il tuo essere partecipe ad eventi incontrollati ed incontrollabili. [Ti veglio con la stessa dolcezza che si dedica ad un bambino, con la cura e la trepidazione di una madre che ha appena allattato e rimira soddisfatta la sua creatura che dorme al seno.] Eppure canuto e rotto ad ogni esperienza mi sciolgo e commuovo nel vederti dormire e sognare come un bimbo inconsapevole allora mi alzo e in punta di piedi torno a scrivere di te e di me silenziosamente, per non svegliarti, perché i tuoi sogni sono i miei.

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Solitario Passi strascicati sull’assito della stanza ti alzi e ti siedi con andirivieni isterico spegni e accendi le luci sul tuo mondo. Un giro di carte sancisce la solitudine, metti in fila le ore, e i semi si confondono. Ti butti sul letto vinto dalla spossatezza. Chiudi gli occhi. Dormi? Sogni. Dolce tepore avvolge le tue membra carezze profumate spalancano abbracci corri lieve, sospeso come una piuma plani sul verde fiorito di mille colori. Un senso di appagamento ti pervade, improvvisi gli occhi si aprono e spalancati scrutano avidi il buio. Una lama di luce attraversa la stanza, tra le carte sparpagliate sul comodino Joker ti fissa con un ghigno soddisfatto. Anche stanotte non dormirai. Chiudi gli occhi, sogna.

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Solo la buccia il pensiero di te come un frutto rigoglioso pendeva dall’albero dei ricordi l’ho colto, ne ho tolto la buccia incidendola con la lama del tempo ma si è afflosciato tra le mie mani ricordo, ne avevo divorato la polpa quando tra noi l’amore era fame ho sparso invano i suoi semi sperando in un’altra fioritura ma si è riempito di niente eri un pensiero

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Sorridendo piano, dolcemente le mani sui tuoi fianchi cullano il tempo, serene non c’è la rabbia vorace degli anni più verdi ora il ritmo scandito dal cuore pare essere un andirivieni di onde sulla riva l’approdo è consueto, il porto conosciuto ma ogni volta il viaggio regala un’emozione diversa la breve, intensa tempesta si calma, si placa il respiro sorrido, sorridi

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Squarci di luce improvvisi ho lacerato il bianco sudario che ricopre la mia mente mille lampi rosso arancio lo attraversano improvvisicome fiotti di sangue che impetuosi sgorgano dalle ferite l’anima in rivolta è tornata nuovamente a nascondersi altro tempo scorrerà prima che riesca a ritrovare quel filo di Arianna che il cuore le aveva regalato nel labirinto della ragione mi sono aggirato cercandola giù nel profondo nascosta lei sorride ironicamente perfida vincitrice ogni volta di una disputa infinita l’occaso rosseggiando veleggia verso il nero come pece occhi feriti dal volteggiar dei colori attendono socchiusi mentre nuove luci si profilano e calmano l’affanno ora chetato il respiro si inebria dei profumi della notte così l’anima timidamente fa capolino dalla penombra il cuore l’afferra e un lampo improvviso rischiara la mente

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Stanotte vado a pescare ho stracciato i miei pensieri in tanti piccoli, minuscoli pezzettini ho gettato i coriandoli delle mie angosce nel canale sotto casa mi sono fermato ad ascoltare il motore dei pescherecci in partenza hanno galleggiato a lungo nello scuro dell’acqua del canale ho atteso invano che il mulinello li inghiottisse, niente da fare sono rimasti lì, fluttuanti, irrispettosi e vendicativi frammenti di pensieri notturni indesiderati e stancamente abortiti ho chiesto un passaggio ed ho preso al volo il peschereccio stanotte lascio che le mie angosce affoghino nelle acque del porto su un battello chiamato “poesia” vado a pescare, non aspettatemi

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Sul fare della sera Cosa potrei darti oltre alla mia anima ferita, coperta corta adagiata su di un cuore che sanguina? Cosa potrei fare se non aspettare che il sole esca di nuovo dal bitume del cielo? Il desiderio sconfigge la ragione. Torno di nuovo a lastricare di fiori un sentiero di letame. Ricordi spersi nella mente riaffiorati nel fare della sera o cicatrici ancora dolenti? La sera della vita ha la mente più lucida ma la ragione più stupida.

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Tango arrugginiti e crocchianti sono i nostri passi che sul rosso bruno di foglie accartocciate incedono sghembi, quasi ritmo sensuale e strascicato di tango argentino le mani come radici intrecciate che sostengono l’un l’altro richiamano al cuore tenere frasi di innamorati sussurrate ed incise a fior di labbra su di una panchina il sole traverso dell’autunno colora di terre e verde sottobosco i viali di questa stagione che prelude all’inverno della vita e prepara con dolcezza al bianco dell’imminente gelo così nel mutuo sostenersi e serena pacatezza di un amore canuto ci inebriamo respirando i colori di un tramonto ormai irripetibile danzando mano nella mano il nostro tempo

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Testa o croce volteggia avvitandosi nell’aria poi tintinnando rotola sul selciato si ferma a roteare allegramente e mentre tu aspetti il responso che avvalli la tua scelta di vita in bilico sulla costa ti irride e rimane così ti ha fottuto l’esistenza il capriccio di una moneta puttana che non ha mai scelto per te

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Ti ricordi di me? Ti ricordi di me? Un viso , una voce…gli occhi! Gli occhi, lo sguardo, le intenzioni espressive disegnano dentro di me un profilo. Colori, suoni, pezzetti di immagine dapprima lentamente poi sempre più velocemente si compongono fino a formare una immagine completa. Giovane amore tradito sul nascere. Dolore che riemerge prepotente. certo che ricordo e vorrei non ricordarti Dio quanti anni! Ti ricordi di me? No.

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Tre piccole rose gialle La macchia gialla in lontananza ondeggiava piano,il verdeacqua della laguna la inghiottiva e risputava. Così, in un gioco a rimpiattino, con i suoi riflessi argentati la luna mi rimandava una strana danza colorata, catturando la mia attenzione altrimenti addormentata. Scrollandomi di dosso una noia abbarbicata come cozza mi alzai in piedi pronto al un nuovo gioco, alla sfida. Solo tre pietre, pensai, solo tre per colpire il giallo… La macchia gialla appariva e scompariva. La prima pietra fuggì lontano, un tonfo sordo ne salutò l’arrivo .La macchia riapparve ondeggiando, irridente ora si avvicinava. La seconda si inabissò assai vicino ed il rumore fu gemello. Ancora una, pensai, ancora una. So far di meglio. La macchia riapparve, la terza pietra mi scappò quasi di mano. Arrivò a destinazione. Il giallo scomparve nel verdeacqua, gemendo. Mi avvicinai alla sponda con un senso di angosciosa attesa:tre piccole rose gialle dondolavano nell’argenteo riflesso della luna. Una era screziata di rosso. Di nuovo quel gemito.

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Tsunami oggi ho sentito una fitta al cuore, una sensazione precisa di distruzione acqua alla gola ho visto pavimenti ballare tutto il mio essere era percorso da tremiti ti ho cercato a lungo, non ti ho trovata solo il mio amore era tra le macerie ora attendo la prossima onda la bocca piena di sabbia

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Ultimo refolo di vento ora che la carta è finita, la colla disseccata ora che le bacchette di legno giacciono spunte e spezzate ora che anelli di crespo svolazzano alla brezza mattutina che le forbici, le lame consunte arrugginiscono altrove ora che la fantasia si nasconde e i colori svaniscono di fronte al grigio racconto dell’essere quotidiano in un angolo ultimi aquiloni incompiuti adagiati, tristi e impolverati come scarti di produzione il guardiano dei sogni chiude il cancello la fabbrica degli aquiloni é ferma fino al prossimo volo, ultimo sogno stanotte, ora

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Un amore da due soldi due soldi, due piccole monete scordate nella tasca ora riapparse a raccontare una piccola storia, finita in farsa due soldi, tanto valeva il nostro amore nato per caso morto precoce quasi ridendo non arrivò nemmeno all’occaso due piccole monete erano il prezzo di un giro in giostra che non abbiamo mai fatto, tu preferisti offrirti ad un altro il sole morì che era mezzogiorno

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Una flebo d’odio le vene ormai talmente dure e tese sembrano corde di un vecchio violoncello accolgono a fiotti dalla flebo mal regolata un carico d’odio come veleno ghiacciato sguardi traversi accapponano la pelle occhi cerulei freddi come cristalli di rocca il ghiaccio ormai ha lastricato l’anima e nel petto ibernato muore un cuore nero così disteso su un sudario sospeso tra fili passo la vita anelando altre primavere che la flebo termini il suo sporco lavoro e il battito del cuore annunci il disgelo se rimarrà nel sangue tutto quel veleno il tempo cancellerà il rosso, immemore occhi di ghiaccio scruteranno la mia vita e l’odio renderà di nuovo il cuore nero

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Una sola stagione attendevo l’autunno, ora che è arrivato anelo nuove primavere vivo così splendide e laceranti dicotomie che rendono il mio respiro instabile eppure ho masticato tempo e stagioni invecchiando la corteccia ma giù, nel profondo, dove neanche io oso avventurarmi scorre una linfa ancora vigorosa che tuttavia fatica a tornare in superficie scorie di amori finiti, spezzoni di vita avariata, macigni di menzogne impudiche ne ostruiscono il cammino il tanfo della sua stagnazione sale fino alla gola attendevo l’autunno, alla fine è arrivato dimentico di tutte le primavere forse le ho vissute, divorate così ingordamente che non me ne sono accorto ed ora sono qui, vivo questa stagione così attesa e così dolce con un retrogusto di amaro in bocca

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Una tournee infinita un ultimo inchino mentre il sipario si chiude alle mie spalle, un timido applauso, per stanotte lo spettacolo è finito quattro stelle infreddolite lassù, in un cielo ormai rabbuiato stoicamente hanno resistito fino alla fine la luna se n’è andata non ha retto all’istrionica recita interpretata da un guitto ormai aduso ad ogni parte smessi gli abiti di scena rientro nel camerino di quell’incerto teatro viaggiante che è la mia vita altre notti ci attendono, altre stelle applaudiranno vedrai anima mia, anche la luna sorriderà benevola il carro di Tespi riprende il cammino, sotto un altro cielo il guitto declamerà nel silenzio nuove poesie

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Un, due, tre…stella! quante volte, appoggiato a quel muro di indifferenza, voltando le spalle al mondo ho cercato invano di scoprire qualcosa di te in movimento ma tutto era fermo, immobile eppure ti avvicinavi lentamente a quel muro ho provato a barare un, due, tre… mi sono voltato di scatto e tu non c’eri come una stella te ne eri andata nella notte protagonista di un gioco diverso e più affascinante un due tre …stella?

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Urlo sto male seduto davanti ad un bianco alienante guardo lettere come simboli a me sconosciuti che dita ritrose rifiutano nei gesti consueti invano motivate da una stanca volontà sto male l’anima ormai svuotata da ogni ricordo in un angolo mucchietti di parole inespresse giacciono accartocciate, dimenticate appaiono come oscene ferite che lacerano il bianco sto male neanche la luna può ormai raccontarmi rifugge la mia anima il contatto delle stelle il bianco riflette come specchio la mia angoscia seduto in attesa di un altro me stesso urlo il mio silenzio

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Uscita di sicurezza Strada lercia, sporcizia in ogni dove. Cassonetti che promettono miagolanti raduni di gatti randagi. La luce fioca di una lampadina traballante illumina la scena sul retro del teatro. Una porta indica: Uscita di Sicurezza. Di là dal ferro lo spettacolo continua, reciti tranquillamente sul palco della vita. Istrionicamente, da autentico guitto. Lo spettacolo è finito. Ritorni nel tuo mondo. Che importa se sarà un flop. Uscita di Sicurezza. C’è sempre un’uscita di sicurezza. Fino a quando?

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Vero o falso? dipingo, invento, tratteggio, infine scrivo passato e presente che si confondono vero e immaginario a volte ironicamente creato ad arte o vissuto, a voi il giudizio non svelerò il mio essere fino in fondo ma scriverò di un’altalena di emozioni di storie vissute, giovani amori perduti forse veri e sinceri o solamente sognati ma poi, cos’è il falso e dov’è il vero?

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Vortice guardare i resti di una vita mistificata galleggiare come coriandoli nel pozzo dei ricordi stracci di sere passate in mezzo al nulla ospite fisso della vanità metropolitana l’altalena della vita non mi ha concesso la scelta di una nuova ditta di pulizie così ho dovuto provvedere da solo, come un novello onagro da soma alla fine ripulito, senza orpelli né falsità ho lasciato alle mie spalle l’inedia e la vacuità di una vita insulsa, il tempo ha fatto il resto liberando, ingoiando con un gorgo tutta l’acqua del pozzo stringo tra le dita l’ultimo coriandolo a carnevale metterò la nuova maschera per l’ultima recita poi lo getterò nel pozzo in attesa del definitivo, prossimo gorgo senza rimpianto alcuno

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Sessantacinquenne ex Art Director e Direttore

Creativo pubblicitario in attesa di andare in

pensione, ha anticipato i tempi mandando in

pensione la matita. Ora la tastiera la sostituisce, a

volte indegnamente, e la utilizza come mezzo per

comunicare scrivendo. Un mondo fatto di parole,

sentimenti ed emozioni che ogni volta viene

visitato con la curiosità e la creatività innate di chi

ha passato più di quarant’anni inventando modi

per vendere sentimenti, mondi e desideri.