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Workshop di Napoli SIGEA MARENOSTRUM “Ripristino archeologico e ingegneria naturalistica: il caso dell'antica Via Flacca” (Federico Boccalaro) Pag. 1/5 Ripristino archeologico e ingegneria naturalistica: il caso dell'antica Via Flacca Federico Boccalaro 1 1 socio esperto AIPIN (Associazione Italiana per l'Ingegneria Naturalistica) e SIGEA (Società Italiana di GEologia Ambientale) – e-mail: [email protected] Abstract INTRODUZIONE A partire dal secolo XVIII gli storici regionali di Gaeta citano e descrivono, generalmente a proposito di studi sulle strade romane di questo settore, i resti di quella che dominava il mare fra la città suddetta e Sperlonga. Prima di procedere all’analisi delle rovine conservate conviene osservare un fatto apparentemente paradossale: la sola parte che oggi resta veramente in vista è quella costruita sulla costa tra Sperlonga (Grotta di Tiberio) ed il lido di S. Agostino. Questo evento ha due conseguenze importanti: una immediata, che riguarda le tipologie delle rovine da considerare (muri di sostegno, gallerie, ecc.); l’altra, più generale, che fa riflettere come questa strada, come vedremo, era solo localmente una vera strada di “montagna”. Figura – Itinerario turistico lungo la via Flacca (da Airone, 2005) TECNICHE COSTRUTTIVE La strada fu costruita, secondo l’abituale tecnica costruttiva romana, a mezza costa, ivi compreso su certe spiagge; ad eccezione dei litorali di Sperlonga e di Bazzano, dove in effetti tutte le tracce sono sparite; l’altitudine media è di un quarantina di metri, che oscilla fra i 15 metri (fra due delle ville costiere) e 60 metri (alla estremità della spiaggia di S. Agostino). Si trattò di realizzare un duplice lavoro, in una zona di calcari, dove le rocce precipitano sovente a picco sul mare: il taglio della roccia per la sede della strada e la costruzione di muri di sostegno. Al di là del suo aspetto spettacolare, più

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Workshop di Napoli SIGEA MARENOSTRUM “Ripristino archeologico e ingegneria naturalistica: il caso dell'antica Via Flacca” (Federico Boccalaro)

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Ripristino archeologico e ingegneria naturalistica: il caso dell'antica Via Flacca

Federico Boccalaro 1

1 socio esperto AIPIN (Associazione Italiana per l'Ingegneria Naturalistica) e SIGEA (Società Italiana di GEologia Ambientale) – e-mail: [email protected]

Abstract

INTRODUZIONE

A partire dal secolo XVIII gli storici regionali di Gaeta citano e descrivono, generalmente a proposito di studi sulle strade romane di questo settore, i resti di quella che dominava il mare fra la città suddetta e Sperlonga.

Prima di procedere all’analisi delle rovine conservate conviene osservare un fatto apparentemente paradossale: la sola parte che oggi resta veramente in vista è quella costruita sulla costa tra Sperlonga (Grotta di Tiberio) ed il lido di S. Agostino. Questo evento ha due conseguenze importanti: una immediata, che riguarda le tipologie delle rovine da considerare (muri di sostegno, gallerie, ecc.); l’altra, più generale, che fa riflettere come questa strada, come vedremo, era solo localmente una vera strada di “montagna”.

Figura – Itinerario turistico lungo la via Flacca (da Airone, 2005)

TECNICHE COSTRUTTIVE

La strada fu costruita, secondo l’abituale tecnica costruttiva romana, a mezza costa, ivi compreso su certe spiagge; ad eccezione dei litorali di Sperlonga e di Bazzano, dove in effetti tutte le tracce sono sparite; l’altitudine media è di un quarantina di metri, che oscilla fra i 15 metri (fra due delle ville costiere) e 60 metri (alla estremità della spiaggia di S. Agostino). Si trattò di realizzare un duplice lavoro, in una zona di calcari, dove le rocce precipitano sovente a picco sul mare: il taglio della roccia per la sede della strada e la costruzione di muri di sostegno. Al di là del suo aspetto spettacolare, più

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volte sottolineato, conviene notare due fatti. In primo luogo naturalmente la difficoltà dell’impresa, ciò che sembra indicare, almeno a prima vista, che questi lavori rispondevano ad una necessità importante. Bisogna ricordare che fino al 1958 non esisteva, al di fuori precisamente dei ruderi di questa via, ridotta dopo tanto tempo allo stato di sentiero, alcun’altra strada terrestre diretta per andare da Sperlonga a Gaeta. D’altra parte un esame attento delle strutture murarie conservate, mostra che esistono ben due tipi di muri di sostegno per questa strada.

Il sistema più frequente, per esempio fra la Torre Capovento e la spiaggia di S. Agostino, si caratterizza per un paramento di grossi blocchi assai irregolari ( in media misuranti in diagonale da m 0,40 a 1,30), montati a secco, con linee di posa orizzontali mal definite, ma con pochissime schegge di pietra nei giunti. Molto curiosamente le dimensioni dei blocchi vanno aumentando dal basso verso l’alto, probabilmente per il meglio adattarsi delle fondazioni alla morfologia accidentata dei luoghi attraversati. L’altezza di questi muri è molto varia (da 1,5 m a più di 15 m), poiché la loro fondazione si trova su asperità delle stessa roccia, per definizione assai irregolari. La struttura interna è nettamente visibile nei tratti dove il paramento è crollato, permettendo dai punti stessi una visione del muro in sezione. Si nota spesso un riempimento di piccole pietre mescolate a terra. Riguardo al paramento questi muri appartengono al “tipo poligonale di seconda specie”, secondo la classificazione adottata da G. Lugli in “La tecnica edilizia romana” (Roma, 1957).

Fra le altre opere d’arte resesi necessarie per la realizzazione di questa strada, conviene ricordare una galleria senza dubbio in origine naturale (le caverne abbondavano nella regione, da cui il nome stesso di Sperlonga), ma adattata nell’antichità per dar luogo alla strada di superare la punta di Trapani.

Figura - Muri di terrazzamento in opera poligonale Figura - Muro ciclopico in opera poligonale su cui poggia (da F. Boccalaro, 2008) spesso la via litoranea (da F. Boccalaro, 2008)

PROGETTAZIONE DI INTERVENTI DI INGEGNERIA NATURALISTICA A DIFESA DELLE OPERE VIARIE ANTICHE SU RUPI COSTIERE

L’antica Via Flacca sarà oggetto di un ripristino attento della sua stabilità e viabilità a fini escursionistici ma, visto l’alto valore naturalistico del paesaggio che attraversa (tipico ambiente rupestre costiero mediterraneo tutelato dal Parco Regionale “Riviera di Ulisse”), necessita di interventi di stabilizzazione e consolidamento a basso impatto ambientale.

L’Ingegneria Naturalistica è la branca di Ingegneria Ambientale che più si presta ad effettuare interventi di recupero da dissesto idrogeologico di siti archeologici inseriti in un pregiato habitat costiero.

L'Ingegneria Naturalistica (I.N., ted. Ingenieurbiologie, ingl. Bioengineering) è una disciplina tecnica che utilizza le piante vive negli interventi antierosivi e di consolidamento, in genere in abbinamento con

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altri materiali (legno, terra, roccia, geotessili, reti zincate, ecc.), per la ricostruzione di ecosistemi tendenti al naturale ed all'aumento della biodiversità. I campi di intervento vanno da quelli tradizionali di consolidamento dei versanti e delle frane al recupero delle aree degradate (cave, discariche, cantieri), alla mitigazione degli impatti legati alla realizzazione di opere di ingegneria (barriere antirumore e visive, filtri alla diffusione di polveri, ecosistemi-filtro a valle di scarichi idrici), all'inserimento ambientale delle infrastrutture di trasporto lineari (scarpate stradali e ferroviarie), alla rinaturazione dei corsi d'acqua, ecc.

Le finalità degli interventi di I.N. sono principalmente:

- tecnico-funzionali, ad esempio antierosive e di consolidamento di una scarpata o di una sponda; - naturalistiche, in quanto lo scopo non è la semplice copertura a verde ma la ricostituzione o l'innesco di comunità vegetali appartenenti alla serie dinamica autoctona; - estetiche e paesaggistiche di inserimento nel paesaggio naturale; - economiche, in quanto tipologie alternative e competitive alle opere tradizionali (ad esempio muri di sottoscarpa in cemento sostituiti da palificate vive).

Gli interventi di I.N. si contraddistinguono da quelli tradizionali per: - l'esame delle caratteristiche microclimatiche, geomorfologiche e pedologiche delle aree di intervento; - l'analisi floristica e vegetazionale, con particolare riferimento alla ricostruzione della serie dinamica e all'individuazione delle specie d'impiego in funzione delle loro caratteristiche biotecniche; - l'uso di materiali non tradizionali quali i geotessuti sintetici in abbinamento a piante o parti di esse; - l'accurata selezione delle specie vegetali da impiegare (miscele di sementi, specie arboree ed arbustive, talee, rizomi, trapianti di zolle); - l'abbinamento della funzione di consolidamento con quella del reinserimento ambientale; - il miglioramento nel tempo delle suddette funzioni per lo sviluppo delle parti aeree e sotterranee delle piante.

Figura – Smottamenti lungo la via Flacca Figura – Palma nana a Capovento (da F. Boccalaro, 2008) (da F. Boccalaro, 2008) Le opere stabilizzanti consolidano il terreno in profondità nei pendii minacciati da frane, che presentano strati di scivolamento vicini alla scarpata.

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L’efficacia di tali interventi è dovuta agli apparati radicali delle piante grazie alla loro capacità di legare e consolidare in profondità il terreno, nonché di resistere alle sollecitazioni meccaniche esterne e di drenare il suolo.

L’effetto immediato dipende dalla messa a dimora e dalla densità delle opere a verde. Con la formazione di radici, l’efficacia cresce sensibilmente ed aumenta costantemente al crescere dell’età, a seconda dello sviluppo dei singoli interventi. Gli interventi stabilizzanti possono essere puntiformi o distribuiti linearmente, per cui devono essere completati per mezzo di interventi di rivestimento (inerbimenti) che esplicano la loro efficacia sull’intera superficie del terreno.

Le opere combinate, in ausilio a quelle stabilizzanti, sono costituite da interventi di difesa dall’erosione, di sostegno di pendii instabili e di consolidamento di fossi ed alvei torrentizi e fluviali.

Possono essere eseguiti in combinazione con elementi vivi producendo gli effetti desiderati subito dopo l’ultimazione dei lavori. Mediante la radicazione e lo sviluppo delle piante e delle porzioni di piante vive impiegate, col passare del tempo aumenta con continuità il grado di efficienza delle opere.

Normalmente gli interventi combinati vengono eseguiti in ordine di tempo prima degli interventi stabilizzanti, di copertura e complementari, che invece sono costruiti esclusivamente con materiali vivi.

Tabella – Uso combinato di piante vive e materiali naturali o artificiali (da G. Sauli, 2004)

Tipologie di opere di consolidamento che ben si prestano ai dissesti interessanti l’antica Via Flacca posso essere le grate vive e le palificate vive, come quelle rappresentate in figura.

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Figura - Grata viva (da F. Boccalaro, 1995) Figura - Palificata viva (da F. Boccalaro, 2006)

BIBLIOGRAFIA

AA.VV. Sistemazione tecnica e biologica dei corsi d’acqua: 20 anni di esperienze. AZIENDA SPECIALE PER LA REGOLAZIONE DEI CORSI D’ACQUA E LA DIFESA DEL SUOLO. Provincia Autonoma di Bolzano (1992). AA.VV. Tutela e gestione degli ambienti fluviali - Serie atti e studi n° 8. WWF FONDO MONDIALE PER LA NATURA. Roma (1992). AA.VV. Manuale tecnico di Ingegneria Naturalistica. REGIONE EMILIA ROMAGNA E VENETO. Bologna e Arabba (BL) (1993). AA.VV. Principi e linee guida per l’Ingegneria Naturalistica. REGIONE TOSCANA. Firenze (2001). AA.VV. Manuale di Ingegneria Naturalistica – vol.1 sistemazioni idrauliche, vol. 2 strade, coste, cave, discariche. REGIONE LAZIO. Roma (2002, 2004). AA.VV. Elenco Prezzi materiali e opere di Ingegneria Naturalistica. REGIONE PIEMONTE. Torino (1995). AA.VV. Opere e tecniche di Ingegneria Naturalistica e recupero ambientale. REGIONE LIGURIA. Genova (1995). AA.VV. Atlante delle opere di sistemazione dei versanti. ANPA. Roma (2002). AA.VV. Linee Guida per Capitolati speciali per interventi di Ingegneria Naturalistica e lavori di opere a verde. MINISTERO DELL’AMBIENTE - AIPIN. Roma (2006). Boccalaro F.: “Difesa del Territorio e Ingegneria Naturalistica” – FLACCOVIO, 2006.