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ISSN 1122-0147 ASSOCIAZIONE ITALIANA PER L’ARBITRATO Pubblicazione trimestrale Anno XXII - N. 3/2012 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE) RIVISTA DELL’ARBITRATO diretta da Antonio Briguglio - Giorgio De Nova - Andrea Giardina © Copyright - Giuffrè Editore

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ISSN 1122-0147

ASSOCIAZIONEITALIANAPER L’ARBITRATO

Pubblicazione trimestraleAnno XXII - N. 3/2012Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE)

RIVISTADELL’ARBITRATOdiretta da

Antonio Briguglio - Giorgio De Nova - Andrea Giardina

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ASSOCIAZIONEITALIANAPER L’ARBITRATOPubblicazione trimestraleAnno XXII - N. 3/2012Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p.D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46)art. 1, comma 1, DCB (VARESE)

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INDICE

DOTTRINA

MARIA ANGELA ZUMPANO, Dall’arbitrato alla soluzione amministrativadella controversia, nel percorso delineato dalle delibere del-l’AEEG ................................................................................................ 475

GIOVANNI BONATO, L’ultima riforma francese dell’arbitrato ...................... 491

MARIA LUISA SERRA, Effıcacia e impugnazione del lodo: alla ricerca diradici comuni nella comparazione con il diritto austriaco e tede-sco ................................................................................................. 529

GIURISPRUDENZA ORDINARIA

I) Italiana

Sentenze annotate:

Cass. 29 marzo 2012, n. 5105, con nota di E. OCCHIPINTI, Ancora sul-l’esclusione del principio dell’autonomia della clausola d’arbitratoirrituale ............................................................................................... 565

Cass. 12 maggio 2011, n. 13246, con nota di G. LUDOVICI, Il lodo (rituale)inesistente nell’ordinamento processualcivilistico italiano: una fi-gura sospesa tra mito giuridico e realta normativa ......................... 575

App. Roma 21 marzo 2011 ......................................................................... 599App. Roma 23 agosto 2011, con nota di C. SANTINI, La revoca del prov-

vedimento che decide sull’inibitoria dell’effıcacia esecutiva del lodoarbitrale rituale impugnato per nullita .............................................. 599

App. Milano 16 aprile 2010, connota di P. LICCI, Brevi note sulla decor-renza del termine per l’impugnazione del lodo ................................. 615

II) Straniera

Sentenze annotate:

Regno Unito, Supreme Court, 27 luglio 2011, con nota di F. MARRELLA,Arbitrato, diritti umani e religioni ..................................................... 621

III

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GIURISPRUDENZA ARBITRALE

I) Italiana

Lodi annotati:

Camera Arbitrale di Milano, Arbitro unico, 13 febbraio 2011, con nota diRaff. TUCCILLO, Note sulla struttura e sull’interpretazione della clau-sola compromissoria di fonte statutaria ............................................ 657

RASSEGNE E COMMENTI

ANTONIO BRIGUGLIO, Arbitration in Europe for Chinese Companies .......... 687CHRISTIAN CORBI, L’evoluzione normativa, giurisprudenziale e negoziale

della mediazione civile e commerciale .............................................. 691FRANCESCA TIZI, Il ruolo del consulente tecnico nel procedimento arbi-

trale ..................................................................................................... 723MARIO GARAVELLI, L’esperienza della « Commissione di garanzia dell’as-

sicurato » (ovvero di un arbitrato sui diritti dei soci assicurati neiconfronti della Mutua assicuratrice) .................................................. 749

DOCUMENTI E NOTIZIE

Notizie e libri ............................................................................................... 753

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DOTTRINA

Dall’arbitrato alla soluzione amministrativadella controversia, nel percorso delineatodalle delibere dell’AEEG

MARIA ANGELA ZUMPANO (*)

1. Introduzione. — 2. Le delibere relative ai procedimenti arbitrali. — 3. Le de-libere relative alle procedure di reclamo. — 4. Profili problematici del modelloarbitrale. — 5. Profili problematici del modello di decisione su reclamo.

1. La nostra legislazione manifesta da qualche tempo la ten-denza a diffondere o a potenziare le soluzioni non giurisdizionalidelle controversie anche affidandone il compito a amministrazionipubbliche. In alcuni settori di grande rilievo sociale come quelli at-tinenti ai servizi di pubblica utilita e stata determinante la spinta intal senso da parte del legislatore comunitario (1), giacche le politicheanticoncorrenziali adottate dagli Organismi dell’Unione hanno avutocome riflesso l’esigenza di garantire un riequilibrio delle posizioniinteressate impiegando le autorita indipendenti in funzione mediatri-ce-conciliativa e/o giustiziale, valorizzando quella correlazione tra ilprofilo di indipendenza e l’attivita di risoluzione dei conflitti, di cuisi e parlato fin dal debutto dei nuovi soggetti (2).

Fra i settori che hanno dato concretamente corso alle previ-sioni generali spicca quello dell’energia, dove in attesa della disci-plina attuativa (3), e facendo fronte al ritardo nella emanazione di

(*) Professore associato nella Universita di Pisa.(1) STICCHI DAMIANI, Le forme risolutive delle controversie alternative alla giurisdi-

zione, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2003, 743 ss., in part. 749, 755.(2) PAJNO, L’esercizio di attivita in forme contenziose, in I Garanti delle regole. Le

autorita indipendenti, a cura di S. CASSESE e C. FRANCHINI, Bologna, 1996, 119 ss.(3) L’art. 2, comma 24, lett. b) della Legge 14 novembre 1995, n. 481, istitutiva delle

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questa, l’Autorita di regolazione per l’energia elettrica e il gas haadottato una serie di delibere volte a permetterle l’esercizio deipoteri che le sono attribuiti dalla legge, adeguando pero tecniche esoluzioni ai vari tipi di controversie di sua pertinenza (4). Diversisono pertanto i modelli impiegati, a seconda che in relazione allalite l’Autorita sia gia in grado di svolgere funzioni decisorie inbase a un’apposita investitura delle parti, oppure che debba pre-ventivamente ottenere la collaborazione di una parte sottoposta alrispetto delle sue direttive, colmando cosı uno squilibrio che rendedifficoltoso alla controparte accedere alla procedura stessa. Se ildato comune di questi modelli rimane pur sempre la soluzione diuna controversia ad opera di un soggetto amministrativo che simantiene in posizione di terzieta rispetto alle parti, e che quindiricopre sostanzialmente un ruolo proprio del giudice, sono tuttaviaben distinti i caratteri dell’attivita con la quale si giunge alla de-finizione della lite e i problemi che pone il provvedimento conclu-sivo. Si cerchera, in questa sede, di analizzare le condizioni chehanno condotto uno fra i piu attivi di tali soggetti, appuntol’AEEG, a sperimentare dapprima il modello arbitrale come sosti-tuto privilegiato delle soluzioni giurisdizionali, per giungere poiad affiancarvi una procedura meno aderente ai tradizionali stru-menti alternativi e in particolare al piu classico e conosciuto, ido-nea a dirimere anche quelle controversie che non approdano all’ar-bitrato per l’impossibilita o per la difficolta di raggiungerne l’in-dispensabile presupposto convenzionale (5).

Autorita di regolazione dei servizi di pubblica utilita, demandava all’emanazione di uno o piuregolamenti « i criteri, le condizioni, i termini e le modalita per l’esperimento di proceduredi conciliazione o di arbitrato in contraddittorio presso le Autorita nei casi di controversie in-sorte tra utenti e soggetti esercenti il Servizio ».

(4) In particolare, si evidenziano le controversie in materia di accesso alle reti di in-terconnessione e di contratti di importazione ed esportazione (art. 5, comma 3, D.Lgs. 16marzo 1999, n. 79); quelle, anche transfrontaliere, sull’accesso al sistema del gas naturale(art. 35, D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164); e quelle insorte fra produttori e gestori di rete (art.14, comma 2, lett. f-ter, D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, integrato dalla Legge 24 dicem-bre 2007, n. 244), come previsto in specifico dall’art. 23 par. 5, direttiva 2003/54/CE, e dal-l’art. 25, par. 5, direttiva 2003/55/CE. La direttiva n. 54 e attualmente sostituita dalle corri-spondenti disposizioni della direttiva 2009/72/CE (infra, nota 13).

(5) Finora l’AEGG ha scelto di non svolgere internamente servizi di mediazione-conciliazione, preferendo attivarsi nella promozione di iniziative volte a diffondere protocollid’intesa e a finanziare progetti di formazione; in proposito possono consultarsi i dati raccoltida ISDACI negli annuali Rapporti sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia.

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2. Una prima delibera (6), emanata in seguito alla richiesta dirisolvere in via arbitrale una controversia in tema di accesso alle reti,adottava un regolamento contenente « disposizioni procedurali e or-ganizzative per l’esperimento di procedure di arbitrato in contraddit-torio presso l’Autorita ». Pur trattandosi di previsioni a carattereprovvisorio e dettate allo scopo di organizzare le attivita necessarieper portare a termine l’incarico ricevuto, la struttura di questo rego-lamento era assimilabile in tutto e per tutto ai regolamenti arbitraliprecostituiti di cui fa menzione l’odierno art. 832 c.p.c. Com’e infattid’uso fra le istituzioni che amministrano procedure arbitrali, anche intale regolamento si definivano la composizione dell’organo giudi-cante, le udienze, i termini, gli atti istruttori e le regole per la stesuradel lodo, nonche i compiti dell’ufficio nelle attivita di segreteria.Pure il fatto che « per quanto non disciplinato espressamente » vifosse un rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile indu-ceva ad analoga conclusione, essendo molto frequente che i regola-menti posti dalle istituzioni apprestino norme specifiche per gliaspetti che piu si ritengono rilevanti, e richiamino la normativa co-mune come risorsa residuale.

Era inoltre da escludere che la soluzione arbitrale potesse im-porsi di fronte all’Autorita, non gia come forma di arbitrato obbliga-torio (ormai da scartarsi a priori, state le ripetute e ben note censuredi illegittimita costituzionale) bensı come ipotesi di arbitrato obbli-gatoriamente amministrato analogo a quello adottato in materia dipubblici appalti, necessariamente da svolgersi presso l’omonima Au-torita di vigilanza (7). In questo caso la scelta di ricorrere all’organi-smo arbitrale istituito presso l’Autorita (8) restava sicuramente del

(6) Delibera n. 127/03, pubblicata sul sito www.autorita.energia.it in data 27 novem-bre 2003 (poi revocata: cfr. nota 11).

(7) Questa almeno era la conclusione piu diffusa fra gli interpreti e ribadita dal fermoindirizzo della Camera arbitrale per i lavori pubblici, prima che il quadro venisse alteratodalle modifiche normative (cfr. VERDE, L’arbitrato in materia di opere pubbliche alla lucedell’art. 5, comma 16-sexies Legge n. 80/2005, in questa Rivista, 2005, 223 ss.), sfociate poinella previsione di « nuove disposizioni razionalizzatrici » secondo i criteri prefissati dall’art.44, comma 1, Legge 7 giugno 2009, n. 88 (su cui v. ODORISIO, La legge delega per la riformadell’arbitrato in materia di contratti pubblici, in Riv. dir. proc., 2009, 1615 ss.; ID., Arbitratorituale e lavori pubblici, Milano, 2011, 381 ss.).

(8) Con Delibera n. 183/2004, l’AEGG provvedeva a istituire all’interno del Segre-tariato generale una specifica unita responsabile della gestione del contenzioso e dell’ammi-nistrazione delle procedure arbitrali; a seguito della Delibera n. 328/2006, l’Unita Conten-

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tutto libera, e alternativa alla possibilita di devolvere la controversiaa un arbitrato ad hoc secondo la disciplina comune.

Infine, l’adesione alla procedura amministrata poteva avveniresenza incidere sui rapporti con il processo giurisdizionale, in quantoil suddetto Regolamento non prefissava termini per l’accesso evi-tando, quindi, di rendere operativa una delle poche norme di leggespeciale non demandate alla disciplina di attuazione: l’idoneita deltermine di presentazione dell’istanza a sospendere i termini per pre-sentare il ricorso dinanzi al giudice amministrativo, e a rendere que-st’ultimo improcedibile nel caso in cui l’istanza venga concreta-mente proposta. Tale previsione risulta in effetti sganciata dall’ema-nazione dei futuri regolamenti, al pari di quella che conferisce alladecisione arbitrale la qualita di titolo esecutivo (9), ma a differenzadi questa non e pienamente autosufficiente, poiche comunque ri-chiede che l’Autorita (o chi per lei) stabilisca un dies ad quem per ildeposito della domanda arbitrale. E comprensibile, tuttavia, chel’AEGG non si sia sbilanciata in tal senso, ove si consideri che al-l’epoca del Regolamento citato non c’era neppure una disciplina co-mune a cui fare riferimento per definire con sicurezza i rapporti trale due procedure, e anzi le relazioni fra arbitro e giudice statuale co-stituivano uno dei nodi piu dibattuti (10).

La scarsa utilizzazione pratica dello strumento, nella perduranteassenza dei preannunciati regolamenti governativi, ha successiva-mente indotto l’AEGG a dubitare dell’opportunita di mantenere unoschema generale provvisorio, preferendo piuttosto limitarsi ad age-volare l’accesso alla procedura arbitrale per le controversie che ma-nifestavano un concreto interesse al riguardo, ossia quelle aventi adoggetto i servizi di trasmissione elettrica e di trasporto del gas.Emergeva infatti che, nel vasto panorama delle questioni di accessoalle reti, la regolazione in via negoziale avviene soltanto nei casi incui non sussistono grossi squilibri fra le parti dal lato tecnico, cosic-che anche la possibilita di raggiungere l’accordo necessario per in-vestire l’Autorita di funzioni arbitrali viene pesantemente condizio-

zioso e Arbitrati ha anche il compito di assicurare la coerenza dei propri provvedimenti congli orientamenti della giurisprudenza amministrativa.

(9) Art. 2, comma 24, ultima parte, della Legge n. 481/1995, cit. Il punto verra ri-preso infra.

(10) A oggi, qualora vi fosse una procedura che fissa termini per presentare l’istanza,si tratterebbe semmai di vedere in che modo possano coordinarsi le soluzioni previste dallalegge speciale con il generale dettato dell’art. 819-ter c.p.c.

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nata dalla disponibilita a sottoporsi alla procedura in condizioni diparita. Si capisce percio che, nel prendere atto di tale circostanza,l’AEGG abbia deciso, con ulteriore delibera (11), di revocare il Re-golamento del 2003 per adottare un piu limitato meccanismo, ade-guato soprattutto a garantire la presenza di un’apposita convenzionearbitrale e di una specifica investitura proveniente dall’accordo co-mune delle parti. A tal fine vengono predisposti modelli di compro-messo e di clausola compromissoria che gli interessati debbono sot-toscrivere per poter adire l’Autorita con riguardo a una nuova con-troversia, mentre le liti in corso proseguono dinanzi alla stessaAEGG a condizione che le parti ne facciano istanza aderendo entrobreve termine (15 giorni) allo schema di compromesso introdotto.

Anche questa delibera conferma il modello di arbitrato ammi-nistrato; rispetto alla versione precedente puo notarsi che l’Autoritasi e orientata a valorizzare maggiormente l’espressione della volontapattizia, tanto che sia negli schemi di convenzione, sia nell’annessoRegolamento, le parti vengono stimolate a effettuare direttamente al-cune scelte fra le piu rilevanti, come la nomina degli arbitri e il ter-mine per la pronuncia del lodo (12). L’AEGG non rinuncia, dunque,a offrire il proprio contributo tecnico e specialistico in posizione diterzieta, ma per esercitarlo ritiene essenziale che alla base vi sia unreale e comune intento di porre fine alla controversia da parte dei li-tiganti, e che questi siano disposti a partecipare attivamente al pro-cedimento sino alla sua conclusione.

3. Sulla scelta operata con tale delibera aveva peraltro influitola considerazione di due direttive europee che configuravano diver-samente il ruolo dell’AEGG nelle controversie attinenti all’accessoalle reti elettriche e al sistema del gas naturale, attribuendo all’auto-

(11) Delibera n. 42/2005, pubblicata sul sito www.autorita.energia.it in data 17marzo 2005.

(12) Per quanto riguarda gli arbitri, la Delibera n. 42/2005 mantiene la dimensionecollegiale dell’Organo giudicante ma, anziche identificarlo nell’organo collegiale dell’Auto-rita (ex art. 3, Regolamento all. A, Delibera n. 127/2003), rimette la scelta di due membri sutre alle parti, riservandosi solo la designazione del Presidente fra uno dei propri funzionari(di regola, il Direttore della Direzione Legislativo e Legale). Per quanto riguarda il terminedi pronuncia, gli schemi di convenzione lasciano il dato in bianco facendo capire che le partipossono modificare liberamente il termine di 30 giorni stabilito in via suppletiva dal Rego-lamento.

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rita di regolamentazione poteri decisori attivabili su reclamo (13).Trattandosi di poteri piu propriamente amministrativi (del genereadjudication), era possibile utilizzarli per dirimere controversie chemolto difficilmente sarebbero giunte all’Autorita nella sede arbitrale,giacche questa presuppone pur sempre l’accordo iniziale delle partie quindi la volonta comune di sottoporsi alla decisione in contraddit-torio dinanzi a un soggetto terzo. Viceversa, quello tra produttore egestore della rete si delinea come un rapporto fortemente squilibrato,dove le controversie che si presentano in occasione della richiesta diconnessione scontano la posizione di forza in cui si trova il gestore,il quale, avendo spesso interesse a non dare seguito alla richiesta delproduttore, finisce per mantenere in stallo la lite rendendo cosı im-praticabile una soluzione della stessa per via arbitrale.

Situazioni di questo tipo si riscontrano soprattutto in riferi-mento alla rete elettrica, nella quale i gestori godono di un monopo-lio di fatto, e la regolazione non avviene per via negoziale bensı pervia amministrata da parte dell’Autorita. In particolare, la legge pre-vede che l’AEGG definisca le condizioni tecniche ed economicheper erogare il servizio di connessione, ma la scelta tecnica nella suaconcretezza viene rimessa alla determinazione unilaterale del gestorequale soggetto piu idoneo a individuarla, fermo restando che questie tenuto a rispettare le condizioni minime prestabilite dall’Autoritacome necessarie e sufficienti a garantire l’accesso (14). Ora, se da unlato la facolta di individuare la soluzione unilateralmente, senza ilcontraddittorio del produttore, da spesso adito a controversie, dall’al-tro lato e rarissimo che in queste controversie l’AEGG sia chiamataa fare da arbitro, in quanto il gestore della rete normalmente fa resi-

(13) Il riferimento e alle gia citate Direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE (v. nota 4),per le quali l’Autorita e competente a risolvere con effetti vincolanti le controversie insorteverso il gestore della rete. Attualmente la Direttiva 2003/54/CE risulta abrogata con effettodal 3 marzo 2011 e, quanto alla competenza in esame, sostituita dall’art. 37, comma 11 dellaDirettiva 2009/72/CE del 13 luglio 2009, che prevede un’analoga potesta decisoria dell’Au-torita di regolamentazione « in veste di autorita per la risoluzione di controversie ».

(14) Le caratteristiche della rete elettrica fanno sı che i parametri specifici del luogoe dell’impianto condizionino di volta in volta la soluzione tecnica per la connessione, ed eproprio il gestore della rete il soggetto piu idoneo a valutare l’incidenza dell’impianto e lasussistenza dei requisiti di qualita e sicurezza, perche conosce le proprie infrastrutture e di-spone delle informazioni necessarie al riguardo. In considerazione di tali rilievi l’AEGG, conDelibere n. 281/2005 e n. 89/2007, successivamente riunite in unico testo integrato con De-liberazione ARG/elt 99/2008, ha stabilito che competa al gestore della rete individuare la« soluzione tecnica minima » necessaria e sufficiente a stabilire la connessione, perseguendoobiettivi di economicita, razionalita e necessarieta dell’opera.

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stenza a esporre le proprie motivazioni, a maggior ragione evita difarlo di sua iniziativa (come e inevitabile affinche si avvii l’arbi-trato).

Mentre la procedura arbitrale, in casi del genere, e destinata arestare lettera morta, un diverso procedimento che riesca a condurrele parti dinanzi all’Autorita senza dover passare per un preventivoaccordo in quel senso ha sicuramente migliori probabilita di riuscita.A tal fine, inserendosi sulla linea tracciata dalle gia menzionate Di-rettive europee, l’AEGG ha definito una nuova e speciale proceduraper risolvere con decisioni vincolanti le controversie che insorgonotra produttori e gestori di rete (15). La particolarita di quest’ultimaprocedura consiste nell’essere appunto attivabile su richiesta di unasola parte (normalmente: il produttore), di modo che l’altra nonpossa sottrarsi a enunciare le problematiche circa l’erogazione delservizio, sottoponendosi alle verifiche e alle direttive dell’Autorita diregolamentazione.

Anche in questo caso il Regolamento allegato alla delibera spe-cifica le condizioni di accesso, i tempi e le modalita del procedi-mento. Le caratteristiche sono quelle tipiche del procedimento am-ministrativo, con istruttoria condotta da un responsabile nominatodall’Autorita, e compartecipazione delle parti eventualmente assistiteda consulenti tecnici e/o legali (art. 4). Nel frattempo l’Autorita puoemanare misure d’urgenza per assicurare in via cautelare la conti-nuita del servizio, o per far cessare scorrettezze e abusi da parte delgestore (art. 7) (16). Al termine dell’istruttoria le risultanze vengonocomunicate alle parti, le quali si possono esprimere con memorie,anche in vista della proposta di soluzione che il responsabile dovrapresentare all’Autorita. Sara poi il Collegio di quest’ultima a definire

(15) Delibera ARG/elt n. 123/2008, pubblicata sul sito www.autorita.energia.it indata 17 settembre 2008. La Delibera attua l’art. 14, comma 2, lett. f-ter, del cit. D.Lgs. n.387/2003, cosı come integrato dall’art. 2, comma 165, Legge 24 dicembre 2007, n. 244:« prevedono, ai sensi del par. 5 dell’art. 23 della direttiva 2003/54/CE del Parlamento euro-peo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, e dell’art. 2, comma 24, lett. b), della legge 14 no-vembre 1995, n. 481, procedure di risoluzione delle controversie insorte fra produttori e ge-stori della rete, adottate dall’Autorita per l’energia elettrica e il gas, vincolanti fra le parti ».

(16) L’adozione di provvedimenti temporanei con tali finalita e prevista dall’art. 2,comma 20, lett. e) della Legge n. 481/1985, che peraltro li colloca esplicitamente « nell’am-bito della procedura di conciliazione o di arbitrato ». Sulla problematicita di questi provve-dimenti in rapporto alle procedure cui dovrebbero accedere, e segnatamente riguardo allaprocedura arbitrale, CHIRULLI, in Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi dipubblica utilita. Istituzione delle Autorita di regolazione dei servizi di pubblica utilita (l. 14novembre 1995, n. 481), sub art. 2, comma 24, in Nuove leggi civ. comm., 1998, 396 s.

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la controversia con decisione motivata e vincolante (art. 6, comma4).

A distanza di alcuni anni dalla sua emanazione, il Regolamentocitato continua a rappresentare il principale punto di riferimento perquella attivita di risoluzione extragiudiziale della controversie cui sirivolge attualmente anche la Direttiva comunitaria 2009/72/CE, « re-lativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica eche abroga la direttiva la direttiva 2003/54/CE ». La materia discipli-nata dalla direttiva abrogata e stata infatti riconfermata, in parte qua,dalla direttiva in vigore, alla luce della quale l’Autorita di regola-mentazione dispone della facolta di dirimere controversie sugli ob-blighi del gestore, in seguito ai reclami che possono esserle presen-tati « da qualsiasi parte » (17). In attuazione della direttiva 2009/72/CE, l’art. 44, D.Lgs. 1o giugno 2011, n. 93, ha stabilito che l’AEGGdisciplini con proprio regolamento la procedura di risoluzione dellecontroversie avviata con i reclami sopraindicati; in attesa che l’Au-torita emani tale nuovo regolamento, dobbiamo percio ancora rife-rirci al regolamento annesso alla delibera ARG/elt n. 123/2008.

4. Si tratta ora di mettere in evidenza quali problematicheemergano dalle procedure sopra descritte quanto ai profili piu stret-tamente attinenti al diritto processuale.

La procedura che risulta dalla delibera n. 42/2005 e certamenteidentificabile come procedura arbitrale amministrata. Essa appare an-che in linea col vigente disposto dell’art. 832 c.p.c. nella parte in cuipresuppone un rinvio della convenzione arbitrale a un regolamentoprecostituito, perche in entrambi i modelli di convenzione, rispetti-vamente predisposti con gli allegati A e B, si prevede che l’arbitratoabbia luogo « secondo le modalita seguenti » (specificamente indi-cate). Resta dunque fermo il carattere volontaristico della scelta inrelazione sia all’an che al quomodo, dal momento che l’Autorita

(17) Precisamente, l’art. 37, comma 11 della direttiva cit. cosı recita: « Qualsiasiparte che intenda sporgere reclamo contro un gestore di un sistema di trasmissione o di di-stribuzione per quanto concerne gli obblighi di quest’ultimo ai sensi della presente direttiva,puo adire l’autorita di regolamentazione la quale, in veste di autorita per la risoluzione dellecontroversie, adotta una decisione entro un termine di due mesi dalla ricezione del reclamo.Il termine puo essere prorogato di due mesi qualora l’autorita di regolamentazione richiedaulteriori informazioni. Tale termine prorogato puo essere ulteriormente prorogato con il con-senso del reclamante. La decisione dell’autorita di regolamentazione produce effetti vinco-lanti a meno che e fin quando non sia invalidata in seguito ad impugnazione ».

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viene incaricata da tutte le parti attraverso la convenzione arbitrale,e la ricezione delle modalita con le quali avra luogo la proceduraviene consapevolmente effettuata dagli interessati cosı come prevedel’art. 816-bis, comma 1, c.p.c.

Peraltro le prescrizioni stabilite al riguardo regolano in detta-glio la gestione delle attivita procedimentali, mentre sotto l’aspettopropriamente processuale vi e un ampio ricorso alla disciplina co-mune, prevedendosi che il Collegio arbitrale decidera « in esito aprocedimento disciplinato dalle norme contenute nel titolo VIII dellibro IV del codice di procedura civile ». L’eventuale derogabilitadelle previsioni dettate dal codice e non fatte oggetto di regolamentoe questione che non si presenta in maniera diversa da come si ponein qualsiasi ipotesi di arbitrato amministrato, lo stesso dicasi per ilproblema della derogabilita di una prescrizione regolamentare che leparti non gradiscono e preferiscano modificare nel singolo caso;mentre alcuni regolamenti specificano quali prescrizioni possono es-sere oggetto di integrazione o modifica (18), il regolamento in esameparrebbe configurare l’arbitrato AEGG come servizio a offerta rigida,che mantiene potere di scelta alle parti solamente in alcuni aspettiesplicitamente indicati (ad es. sulla fissazione del termine per la de-cisione), ma che per il resto e sostanzialmente un prodotto da « pren-dere o lasciare ».

Il profilo piu degno di nota rimane quello dell’efficacia dellodo: trattandosi di lodo rituale, esso puo certamente acquisire gli ef-fetti di titolo esecutivo, e la dizione dell’art. 2, comma 24, Legge n.481/1995, sembra annettere tali effetti direttamente alla pronuncia,senza richiedere a questo fine il deposito e l’attivazione del procedi-mento previsto dall’art. 825 c.p.c. Peraltro, sui dubbi che sono statigia espressi in proposito non puo certo influire la qualifica dell’or-gano decidente, che rappresenta una garanzia di equilibrio e di indi-pendenza per questo tipo di controversie, ma che non la rende co-munque fungibile rispetto all’autorita giudiziaria nel controllo istitu-zionale sulla regolarita della decisione arbitrale; in altre parole, chel’exequatur sia o meno necessario e questione che puo dipenderesolo da come si intende la voluntas legis, non potendosi dare rilievone alla « natura pubblica e istituzionale » dell’arbitro ne a indicazioni

(18) Cfr. ad es. art. 2 Regolamento della Camera arbitrale nazionale e internazionaledi Milano, art. 14 del Regolamento della Camera arbitrale di Roma.

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che vengano dai regolamenti attuativi (19). Spetta infatti alla leggeselezionare gli atti che possono fare da presupposto all’esecuzioneforzata, d’altro canto il catalogo dei titoli esecutivi e talmente etero-geneo che sarebbe vano cercare argomenti di tipo sistematico almenola dove sussiste l’attribuzione espressa dell’efficacia esecutiva, comeprescrive l’art. 474, n. 1, c.p.c.

Se c’e un aspetto che, invece, conviene affrontare con criteri si-stematici e l’impugnazione del lodo. Nel silenzio della legge alcunicommentatori hanno fatto leva su un’esigenza di razionalizzazioneche vedrebbe l’affidamento alla giurisdizione amministrativa come ilpunto di raccordo per tutte le istanze successive all’intervento del-l’Autorita, ritenendo illogico che le pronunce arbitrali siano portatedinanzi al giudice ordinario, mentre per quelle sanzionatorie sussistela giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (20). Sennon-che, il fatto che l’art. 2, comma 25, D.Lgs. n. 481/1995 dispongal’attribuzione a quest’ultimo giudice di tutti i ricorsi contro gli atti ei provvedimenti dell’Autorita non giustifica la deviazione dalle re-gole di diritto comune che attribuiscono alla Corte di appello unacompetenza funzionale in materia di impugnazione dei lodi arbitrali.Anzitutto perche la funzione sanzionatoria e di regolazione, anchequando sia esercitata dall’AEGG con carattere decisorio, non e equi-parabile a quella processuale (infra), e l’arbitrato, indipendentementedal fatto che a svolgerlo sia un soggetto privato o pubblico, e unostrumento qualificato mediante specifiche regole che si riscontranonel processo e che proprio per questo lo rendono pienamente sosti-tutivo della giustizia statuale. Inoltre perche gli strumenti e i motividi impugnazione del lodo non vengono in alcun modo menzionatidalla normativa de qua, conseguentemente, dovendosi fare riferi-

(19) Come invece sostiene NAPOLITANO, in Norme per la concorrenza e la regolazionedei servizi di pubblica utilita, cit., sub art. 2, comma 24, 402. Sui regolamenti dell’Autoritasembra fare affidamento pure BANDINI, Le Autorita indipendenti, l’arbitrato e la concilia-zione: l’esperienza dell’Autorita per l’energia elettrica e il gas e dell’Autorita per le garan-zie nelle comunicazioni, in questa Rivista, 2005, 629. Diversamente MOLE, La giurisdizionesugli atti e provvedimenti dell’Autorita di regolazione dei servizi di pubblica utilita, in Atti-vita regolatoria e autorita indipendenti. L’Autorita per l’energia e il gas, Atti del convegnodi studi tenuto a Roma il 2-3 febbraio 1996, pubblicati in Quaderni della rassegna giuridicadell’energia elettrica, 1996, 108, il quale giunge a affermare che non potrebbe trattarsi di unarbitrato rituale perche la legge non richiede che il lodo debba essere integrato dal decretopretorile per divenire titolo esecutivo.

(20) PATRONI GRIFFI, Tipi di autorita indipendenti, in I Garanti delle regole, cit., 32;NAPOLITANO, in Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilita, cit.,402 s.; PARISIO, ivi, sub art. 2, comma 25, 416 s.

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mento per tali aspetti alla disciplina dettata dal c.p.c., e certamentepiu lineare applicare quest’ultima anche per cio che riguarda l’indi-viduazione del giudice.

5. Lo scenario che si apre con la delibera n. 123/2008 e bendiverso. L’articolazione della procedura rivela un’attenta considera-zione delle esigenze difensive e piu in generale del contraddittorio,nondimeno e da escludere che essa possa configurarsi in terminipropriamente processuali. Anche l’indubbia neutralita dell’organodecidente, equidistante rispetto a ciascuno degli interessi in contesa,e garanzia di affidabilita della decisione, ma questa mantiene evi-dente carattere di provvedimento amministrativo. Si tratta di un attomediante il quale l’AEGG esercita i propri poteri di regolazione inmerito alle materie di sua competenza; la definizione della controver-sia rappresenta in certo senso l’occasione piu propizia per stabilireadeguatamente le condizioni di connessione alla rete e specificarle inogni profilo, « tecnico, economico e procedimentale », come appuntoprevede l’art. 6, comma 5, dell’annesso Regolamento (21). La naturaintrinsecamente amministrativa della pronuncia che conclude la pro-cedura in esame e riconfermata, poi, nell’art. 6, comma 10, Reg.,dove si stabilisce, richiamando sul punto l’esplicita previsione del-l’art. 2, comma 25, Legge n. 481/1995, che nei riguardi di tale attole parti possono fare ricorso al giudice amministrativo di primogrado, individuato nel TAR Lombardia secondo le regole di compe-tenza territoriale (22).

Per quanto non siano mancati rilievi circa la stessa opportunitadell’opzione legislativa (23), la sottoposizione a controllo giurisdizio-nale delle decisioni emesse dall’Autorita costituiva comunque unacondizione imprescindibile a fronte delle garanzie costituzionali e inparticolare dell’art. 113, comma 1, Cost., mentre l’attribuzione diquesto sindacato alla giurisdizione esclusiva dell’A.G.A. e stata letta

(21) Risulta evidente, sotto tale profilo, l’analogia col modello anglosassone deicomplaints, su cui v. ancora CHIRULLI, in Norme per la concorrenza e la regolazione dei ser-vizi di pubblica utilita, cit., 386 ss.

(22) L’articolo cit. fa infatti riferimento al « tribunale amministrativo regionale oveha sede l’Autorita », e com’e noto, in base al D.P.C.M. 22 ottobre 1996, l’Autorita di rego-lazione dei servizi di pubblica utilita per l’energia elettrica e il gas ha sede nella citta di Mi-lano.

(23) V. ad es. CASSESE, Le autorita indipendenti: origini storiche e problemi odierni,in I Garanti delle regole, cit., 221 s.

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dalla dottrina come la conseguenza piu naturale della qualifica am-ministrativa dell’Autorita, ossia del soggetto che emana l’atto dacontrollare (24). Tuttavia e indispensabile tener conto della circo-stanza che quell’atto amministrativo risolve pur sempre una contro-versia, ossia che mediante la procedura in esame l’AEGG svolge, inposizione di terzieta, una funzione decisoria e quindi distinta dallacura amministrativa di interessi propri. Se questo, da un lato, assi-cura che la soluzione data dall’Autorita sia particolarmente attendi-bile proprio in ragione delle competenze specialistiche di cui essadispone (le quali difficilmente potrebbero ritrovarsi dinanzi al giu-dice, ove sarebbe comunque disposta una consulenza tecnica), d’al-tro lato ci porta a riflettere su alcuni aspetti che rendono assai menoagevole l’inquadramento della tutela affidata a questo soggetto e del-l’atto col quale viene impartita.

Innanzitutto, il procedimento dinanzi all’Autorita come ab-biamo visto e attivabile senza che sia necessaria una preventiva ade-sione del gestore o comunque un accordo tra le parti, pertanto siconfigura come modalita obbligatoria a insindacabile scelta del re-clamante; di conseguenza e possibile accogliere una qualificazione ditale attivita in termini effettivamente decisori a patto che non vengameno, in seguito o a causa di essa, la facolta di ricorrere al giudice,e di ricorrervi per ottenere la stessa tutela alla quale si avrebbe di-ritto se non si fosse stati costretti a portare le proprie ragioni in sedeamministrativa. In altre parole, la parte convenuta dinanzi all’Auto-rita, non potendo sottrarsi al procedimento mediante alcuna declina-toria, dovrebbe poter investire la giurisdizione della medesima con-troversia che l’AEGG sta cercando di dirimere o che ha gia decisocon proprio provvedimento. Ogni conclusione di segno diverso ver-rebbe inevitabilmente a scontrarsi con il principio sancito dall’art. 24Cost., e del resto la direttiva 2009/72/CE stabilisce in manieraespressa che i reclami esperibili innanzi alle Autorita « lasciano im-pregiudicati i mezzi di impugnazione previsti dal diritto comunitarioe/o nazionale » (art. 37, comma 15, direttiva cit.).

In secondo luogo, dopo avere chiarito che la via alternativa di

(24) Cfr. PARISIO, in Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pub-blica utilita, cit., 403 ss. Chiaramente anche il dato soggettivo puo dirsi superato dacche lanostra legislazione, in linea con la prospettiva comunitaria, e passata a valorizzare quello og-gettivo ossia la materia dei pubblici servizi: v. SASSANI, La nuova giurisdizione esclusiva delgiudice amministrativo, in Riv. dir. proc., 1999, 1017 ss.; ID., La giurisdizione esclusiva, inTrattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Milano, 2003, V, 4682 ss.

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carattere amministrativo di per se non esclude la via giurisdizionale,bisogna indagare sull’ambito del controllo che si prospetta dinanzi algiudice una volta che l’Autorita, adita nei termini sopra descritti, ab-bia deciso la controversia e la relativa pronuncia sia stata impugnata.

E appena il caso di ricordare che in questo processo di impu-gnazione non si dibatte sulla legittimita di un provvedimento ammi-nistrativo bensı sul rapporto che era stato portato dinanzi all’Auto-rita e su cui questa si e espressa con proprio atto. Tale atto, quindi,e solamente il veicolo tramite il quale il rapporto approda alla sedegiurisdizionale, dove tornano in primo piano i diritti e gli obblighidelle parti cosı come definiti in base alle regole che li disciplinano.

Ora, in linea di massima, quando al giudice viene chiesto di con-trollare una decisione, ossia un atto che detta esso stesso le regole dicondotta tra le parti ed e idoneo per legge a produrre effetti vincolanti(come appunto prevede l’art. 14, comma 2, lett. f-ter, D.Lgs. n. 387/2003, per le decisioni dell’AEGG) (25), gli spazi di contestazione per leparti e la cognizione del giudice investito dell’impugnazione si ridu-cono al sindacato di validita del procedimento e della pronuncia, do-vendosi escludere la possibilita di un riesame sul merito del rapporto equindi sulla giustizia della decisione impugnata. Tuttavia il caso che cioccupa presenta la particolarita, niente affatto trascurabile, di prescin-dere dal consenso di tutti gli interessati e di permettere a una sola delleparti di sottomettere l’altra alla procedura amministrativa, diversamenteda quanto avverrebbe se, invece, l’Autorita fosse stata investita eavesse deciso in base a una convenzione arbitrale. Se e logico, infatti,che a fronte di un lodo (cosı come di una transazione) la cognizione delgiudice possa essere delimitata dalla presenza di un atto che ha gia sta-bilito la disciplina sostanziale del rapporto, non si puo dire lo stessotutte le volte in cui quella disciplina proviene da un atto che vincola leparti senza che ciascuna di esse abbia acconsentito alla sua emana-zione, rinunciando liberamente a percorrere la via giurisdizionale.

Percio delle due l’una: o si ammette che la decisione dell’Au-torita possa essere superata e privata di effetti mediante la sempliceproposizione di una domanda che porti lo stesso rapporto davanti alsuo giudice naturale, oppure si conferisce al giudizio di impugna-zione un carattere di opposizione piena e completa anche su tutti iprofili del merito. Dal momento che la prima possibilita sembra

(25) V. nota 15.

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esclusa, anche in considerazione di quanto stabilisce la nuova diret-tiva comunitaria del 2009 (26), e inevitabile abbracciare la soluzioneche resta e concludere, con il conforto di autorevole dottrina, chel’impugnazione della pronuncia emessa dall’AEGG apre « un pro-cesso dichiarativo identico a quello che si ha quando la domanda eproposta direttamente in sede giurisdizionale » (27).

Il giudizio di impugnazione e attribuito, come si e visto, allagiurisdizione amministrativa esclusiva. A quanto pare, i motivi chehanno ispirato la scelta consistevano nel bisogno di assicurare rapi-damente una tutela davanti al giudice scongiurando cosı ex ante lepossibili incertezze dovute alla difficolta di distinguere la naturadelle situazioni soggettive coinvolte, ed eventuali ritardi causati dalrimando fra i due settori della giurisdizione (28). E sembra che que-ste difficolta da riparto siano ancora molto attuali, giacche l’art. 133,lett. l), D.Lgs. n. 104/2010 (c.d. codice del processo amministrativo)include fra le materie di giurisdizione esclusiva le controversieaventi ad oggetto tutti i provvedimenti adottati dall’AEGG e dallealtre Autorita istituite dalla Legge n. 481/1995.

In realta, se dovessimo dare per buona la logica esposta, ver-rebbe da chiedersi perche quelle stesse ragioni non abbiano piuttostoportato a devolvere tutte le liti medesime alla giurisdizione ordina-ria, come ad es. e avvenuto in materia di tutela dei dati personali (29);

(26) L’art. 37, comma 11, direttiva 2009/72/CE infatti recita: « La decisione dell’au-torita di regolamentazione produce effetti vincolanti a meno che e fin quando non sia invali-data in seguito ad impugnazione ».

(27) LUISO, Diritto processuale civile, V, La risoluzione non giurisdizionale dellecontroversie, Milano, 2011, 216, ove afferma che questo e l’unico modo perche l’interventodi una autorita amministrativa nella risoluzione di controversie sia conforme ai principi co-stituzionali e all’art. 6 della CEDU.

(28) Sul punto, ampiamente, PARISIO, in Norme per la concorrenza e la regolazionedei servizi di pubblica utilita, cit., 403 ss. Questo aspetto e molto apprezzato anche da TI-SCINI, La giurisdizione esclusiva, in Il processo davanti al giudice amministrativo, a cura diB. SASSANI e R. VILLATA, Torino, 2004, 431 ss. Come voce critica cfr. PROTO PISANI, Verso ilsuperamento della giurisdizione amministrativa?, in Foro it., 2001, V, 21 ss.

(29) Materia in cui gia l’art. 29, comma 8, Legge n. 675/1996 stabiliva la compe-tenza dell’autorita giudiziaria ordinaria per tutte le controversie « che riguardano comunquel’applicazione della presente legge »; soluzione confermata dal nuovo codice della protezionedei dati personali (art. 151, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196) e dal D.Lgs. 1o settembre 2011,n. 150, che disciplina il procedimento all’art. 10.

La proposta di attribuire alla giurisdizione ordinaria l’intera materia regolata dallaLegge n. 481/1995 era stata effettivamente avanzata all’inizio dell’iter parlamentare, ma estata poi abbandonata per ragioni sia tecniche che politiche: PARISIO, in Norme per la concor-renza e la regolazione dei servizi di pubblica utilita, cit., in part. 406 e 414.

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tanto piu che, non essendo stata affiancata alla giurisdizione esclu-siva anche quella di merito, non varrebbe neppure obiettare che algiudice ordinario manca il potere di intervento sostitutivo sull’atto,poiche nel caso in esame si troverebbe comunque a disporre di po-teri identici a quelli del giudice amministrativo; ma si tratterebbe,anche qui, di un errore di prospettiva perche come abbiamo detto ilgiudizio che si apre dopo la decisione dell’Autorita e solo formal-mente un’impugnazione dell’atto decisorio: anche il giudice ammi-nistrativo — come farebbe quello ordinario — decidera del rapportocon pieni poteri, e a tal fine non avra alcun bisogno ne di annullare,ne di modificare, revocare o sostituire la pronuncia emessa in sedeamministrativa.

Peraltro, sussiste al riguardo anche un’opinione contraria se-condo la quale il giudizio di impugnazione non rientrerebbe tra i casimenzionati dall’art. 133, c.p.a., per il fatto che « il giudice ammini-strativo non ha (e non puo avere) giurisdizione nelle controversie didiritto privato »; di conseguenza la domanda proposta in seguito alprovvedimento decisorio dell’AEGG si dovrebbe proporre al giudiceordinario, ossia al giudice « che si sarebbe potuto adire al posto dellapubblica amministrazione » (30). Ove cosı fosse, il D.Lgs. n. 93/2011sarebbe stata una buona occasione per sciogliere quest’ultimo dub-bio riportando le controversie menzionate nell’art. 44 al loro giudicenaturale.

In light of recent EU directives which encourage independent regulatory au-thorities to develop services for the resolution of disputes in the area of the publicutilities service provided, the writer reviews in particular the recent approach takenin Italy by the Regulatory Authority for Electricity and Gas (AEEG).

Through the passing of specific resolutions implementing its internal regula-tions, the Authority first experimented with institutional arbitration, adopting pro-cedural rules for arbitrations to be held in its offıces. Subsequently, having notedthat the arbitral procedures were rarely utilised, especially in cases where therewas a marked imbalance between the negotiating powers of the parties which of-ten prevented, in practise, the reaching of an agreement to arbitrate, the Authority

(30) LUISO, Diritto processuale civile, V, La risoluzione non giurisdizionale dellecontroversie, cit., 230-231. Tra le critiche verso l’attribuzione all’AGA, cfr. SCARSELLI, La tu-tela dei diritti dinanzi alle Autorita garanti, I, Giurisdizione e amministrazione, Milano,2000, 278 ss.; ID., Il riparto della giurisdizione nel controllo dei provvedimenti delle autoritagaranti, in Foro it., 2002, V, 142 ss., in part. c. 150.

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has developed a different means of resolution, also foreseen in community law,which allows the Authority to reach decisions even when there is a complaint byone of the parties only.

The comment then goes on to analyse the particular characteristics of eachprocedural model, highlighting the different problems which may rise in each, bothduring the proceedings and on any appeal before the Courts.

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L’ultima riforma francese dell’arbitrato

GIOVANNI BONATO (*)

1. Introduzione. — 2. La convenzione di arbitrato. — 3. Gli arbitri. — 4. Ilprocedimento arbitrale. — 5. La sentenza arbitrale e l’exequatur. — 6. Imezzi di impugnazione. — 7. L’arbitrato internazionale. — 8. Osservazioniconclusive.

1. Il decreto n. 2011-48 del 13 gennaio 2011 recante riformadell’arbitrato, in vigore dal 1o maggio del 2011 (1), modifica le di-

(*) Maıtre de conferences nell’Universita Paris Ouest Nanterre La Defense.(1) Sulla riforma dell’arbitrato del 2011 segnaliamo, per il momento, i seguenti con-

tributi: GAILLARD, Reflexions sur le nouveau droit francais de l’arbitrage international, inquesta Rivista, 2011, 525 ss.; GAILLARD - DE LAPASSE, Le nouveau droit francais de l’arbi-trage interne et international, in Recueil Dalloz, 2011, 175 ss.; ID., Commentaire analytiquedu decret du 13 janvier 2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, in Les Cahiersde l’Arbitrage - The Paris Journal of International Arbitration, 2011, 263 ss.; BEGUIN - OR-TSCHEIDT - SERAGLINI, Un second souffle pour l’arbitrage. Arbitrage interne - A propos du de-cret du 13 janvier 2011, in La semaine juridique, 2011, n. 322; ID., Un second souffle pourl’arbitrage. Arbitrage international - A propos du decret du 13 janvier 2011, in ivi, 2011, n.467; NOTTE, Reforme de l’arbitrage, in ivi, 2011, n. 26; LE BARS, La reforme du droit de l’ar-bitrage, un nouveau pas vers un pragmatisme en marche, in ivi, 2011, n. 67; JARROSSON -PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrage apres le decret du 13 janvier 2011, in Revue del’arbitrage, 2011, 5 ss.; JARROSSON, Les principales tendances du nouveau droit francais del’arbitrage international, in Arbitraje: Revista de Arbitraje Comercial y de Inversiones,2011, 812 ss.; ANCEL, Le nouveau droit francais de l’arbitrage: le meilleur de soi-meme, inArbitraje: Revista de Arbitraje Comercial y de Inversiones, 2011, 822 ss.; CLAY, L’appui dujuge a l’arbitrage, in Les Cahiers de l’Arbitrage - The Paris Journal of International Arbi-tration, 2011, 331 ss.; SERAGLINI, L’effıcacite et l’autorite renforcees des sentences arbitralesen France apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, in ivi, 2011, 375 ss.; NOURRISAT, Lenouveau droit francais de l’arbitrage (decret no 2011-48 du 13 janvier 2011 portant reformede l’arbitrage), in Procedures, marzo 2011, etude n. 3; KLEIMAN - SPINELLI, La reforme dudroit de l’arbitrage, sous le double signe de la lisibilite et de l’effıcacite. A propos du decretdu 13 janvier 2011, in Gazette du Palais, 27 gennaio 2011, 9 ss.; BOLLEE, Le droit francaisde l’arbitrage international apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, in Revue critiquede droit international prive, 2011, 553 ss.; LOQUIN, La reforme du droit francais interne etinternational de l’arbitrage (Commentaire du decret no 2011-48 du 13 janvier 2011), in Re-vue trimestrielle de droit commercial, 2011, 255 ss.; AA.VV., Le nouveau droit francais de

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sposizioni del quarto libro del vigente Code de procedure civilefrancese (2), introdotte dalla (prima) riforma del 1980-1981 — di cuiai decreti n. 1980-354 del 1980 sull’arbitrato interno e n. 1981-500del 1981 sull’arbitrato internazionale — che aveva sostituito la disci-plina dell’abrogato Code de procedure civile del 1806 (3).

In cantiere da diversi anni e preceduta da un avant-projet ulti-mato nel 2006 dal Comite francais de l’arbitrage (4), questa secondariforma dell’arbitrato, pur apportando rilevanti innovazioni, si ponein stretta linea di continuita con quella del 1980-81, confermandonelo spirito liberale (5). I motivi che hanno spinto il legislatore francese

l’arbitrage, a cura di CLAY, Paris, 2011. Tra i lavori successivi all’ultima riforma francese sivedano anche: CADIET - JEULAND, Droit judiciaire prive7, Paris, 2011, 755 ss.; BEGUIN - ORT-SCHEIDT - SERAGLINI, Droit de l’arbitrage. Chronique, in La Semaine Juridique, 2011, n. 1432;CLAY, Arbitrage et modes alternatifs de reglement des litiges, in Recueil Dalloz, 2011,3023 ss.

(2) Da sottolineare che, in seguito all’ultima riforma, il numero degli articoli delCPC dedicati all’arbitrato (dal 1442 al 1527) raggiunge quota ottantasette, cio che ha com-portato la necessita di procedere ad una generale rinumerazione di tutti gli articoli del libroquarto del codice, anche di quelli che non sono stati modificati.

(3) Tra i contributi a carattere generale sull’arbitrato francese nel regime previgente,segnaliamo, senza pretesa di completezza: DAVID, L’arbitrage dans le commerce internatio-nal, Paris, 1982; DE BOISSESON, Le droit francais de l’arbitrage2, Paris, 1990; ROBERT - MO-REAU, L’arbitrage. Droit interne, droit international prive, Paris, 1993; FOUCHARD - GAILLARD

- GOLDMAN, Traite de l’arbitrage commercial international, Paris, 1996; OPPETIT, Theorie del’arbitrage, Paris, 1998; SERAGLINI, L’arbitrage commercial international, in Droit du com-merce international, a cura di Beguin e Menjucq, Paris, 2005, 833 ss.; MOREAU, Arbitrage endroit interne, in Encyclopedie Dalloz, Repertoire de procedure civile, I, Paris, 2008; ID., Ar-bitrage en droit international, in Encyclopedie Dalloz, Repertoire de procedure civile, I, Pa-ris, 2008; GUINCHARD - CHAINAIS - FERRAND, Procedure civile30, Paris, 2010, 1477 ss. Sull’ar-bitrato nel Code de procedure civile del 1806 si rinvia, tra gli altri, a: BERNARD, L’arbitragevolontaire en droit prive, Bruxelles-Paris, 1937; RUBELLIN-DEVICHI, L’arbitrage. Nature juri-dique. Droit interne et droit international, Paris, 1965; MARANI, Aspetti negoziali e aspettiprocessuali dell’arbitrato, Torino, 1966, 90 ss.; DAVID, Arbitrage du XIXe et arbitrage du XXe

siecle, in Melanges Savatier, Paris, 1965, 218 ss.; RUBELLIN-DEVICHI - LOQUIN, Arbitrage.Principes generaux, in Jurisclasseur, Procedure civile, fasc. 1010, Paris, 1998, 9 ss.; G.FERRI, L’arbitrato libero nella stagione dei codici ottocenteschi. Un emblema della naturanegoziale dell’istituto arbitrale?, in PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, III, Padova,2012, 685 ss., in part. 733 ss.

(4) L’avant-projet e stato pubblicato dalla Revue de l’arbitrage, 2006, 499 ss., con ilcommento di DELVOLVE, 491 ss., e su cui si veda anche l’analisi di KASSIS, La reforme du droitde l’arbitrage international, Paris, 2008. Il legislatore del decreto n. 2011-48 si e parzial-mente ispirato al citato avant-projet, come ricordato da GAILLARD - DE LAPASSE, Le nouveaudroit francais de l’arbitrage interne et international, cit., 176 ss. Per l’analisi dei lavori chehanno preceduto la nascita dell’ultima riforma francese si rinvia a DEGOS, L’histoire du nou-veau decret, dix ans de gestation, in AA.VV., Le nouveau droit francais de l’arbitrage, a curadi CLAY, cit., 25 ss.

(5) In questo senso si vedano: BEGUIN - ORTSCHEIDT - SERAGLINI, Un second souffle

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ad intervenire nuovamente sulla disciplina dell’arbitrato sono essen-zialmente due: rendere piu intelligibili (soprattutto per i lettori nonfrancesi) le disposizioni del quarto libro del CPC, codificando alcunesoluzioni giurisprudenziali in materia (6); modernizzare alcune re-gole, anche alla luce delle esperienze di altri sistemi giuridici (7).

Giova rilevare, in via preliminare, che — contrariamente allascelta compiuta da altri legislatori europei che hanno optato per un

pour l’arbitrage. Arbitrage interne, cit., § 1, secondo cui « pour importante qu’elle soit, lareforme de 2011 ne constitue aucunement un revirement et le nouveau decret reste dans lameme ligne que le droit anterieur »; GAILLARD - DE LAPASSE, Le nouveau droit francais del’arbitrage interne et international, cit., 175 ss.; GAILLARD, Reflexions sur le nouveau droitfrancais de l’arbitrage international, cit., 528; NOURISSAT, Le nouveau droit francais de l’ar-bitrage, cit., § 2; JARROSON - PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrage apres le decret du 13janvier 2011, cit., 8-9; KLEIMAN - SPINELLI, La reforme du droit de l’arbitrage, sous le doublesigne de la lisibilite et de l’effıcacite. A propos du decret du 13 janvier 2011, cit., 9, i qualiscrivono che la riforma « ne revolutionne pas le droit de l’arbitrage, mais contribue a saconnaissance, sa diffusion et son acceptation ».

(6) E noto che la giurisprudenza francese ha sempre svolto un ruolo essenziale nellacostruzione dell’istituto arbitrale, in particolare di quello internazionale. Su questo aspetto siveda, tra gli altri, ANCEL J.P., L’arbitrage international en France (Principes et systeme), inAA.VV., L’arbitrage, Paris, 2009, 197 ss., nonche HASCHER, L’influence de la doctrine sur lajurisprudence francaise en matiere d’arbitrage, in Revue de l’arbitrage, 2005, 391 ss., per irapporti tra dottrina e giurisprudenza nel diritto francese.

(7) Quanto alle finalita della riforma del 2011 si vedano: GAILLARD - DE LAPASSE,Commentaire analytique du decret du 13 janvier 2011 portant reforme du droit francais del’arbitrage, cit., 265, i quali scrivono che « la conjugaison des deux preoccupations de mo-dernisation et d’accessibilite a conduit a une refonte complete du droit francais de l’arbi-trage »; GAILLARD, Reflexions sur le nouveau droit francais de l’arbitrage international, cit.,529; KLEIMAN - SPINELLI, La reforme du droit de l’arbitrage, sous le double signe de la lisi-bilite et de l’effıcacite. A propos du decret du 13 janvier 2011, cit., 9, che parlano della vo-lonta dei redattori della riforma del 2011 di dare una « lisibilite accrue » al diritto francesedell’arbitrato; NOURISSAT, Le nouveau droit francais de l’arbitrage, cit., § 5, che mette l’ac-cento sullo scopo deflattivo della riforma che tende a « favoriser le recours a des modes al-ternatifs de reglement des litiges dans un contexte de saturation des juridictions francaises ».Da segnalare che nel Rapport au Premier ministre relatif au decret no 2011-48 du 13 janvier2011 portant reforme de l’arbitrage, in www.legifrance.gouv.fr, si legge che « il est apparunecessaire de reformer » le disposizioni in materia di arbitrato « afin, d’une part, de conso-lider une partie des acquis de la jurisprudence qui s’est developpee sur cette base, d’autrepart, d’apporter des complements a ce texte afin d’en ameliorer l’effıcacite et, enfin, d’y in-tegrer des dispositions inspirees par certains droits etrangers dont la pratique a prouve l’uti-lite ». Sull’importanza di indagini comparatistiche in materia arbitrale si vedano: GUASP, Elarbitraje en el derecho espanol, Barcelona, 1956, 12, secondo cui « ninguna otra institucion,como la del arbitraje, se ofrece tan unanime y constante en todos los territorios jurıdicos,por diverso que sea su contenido »; CRESPI REGHIZZI, L’arbitrato internazionale e la compa-razione giuridica, in Revista de la Corte Espanola de arbitraje, 2004, 126 ss.; GAILLARD, Dubon usage du droit compare dans l’arbitrage international, in Revue de l’arbitrage, 2005,375 ss.

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regime monista dell’arbitrato (8) — i redattori della seconda riformafrancese hanno confermato la preferenza per un regime dualista, ri-prendendo la suddivisione del libro quarto del CPC in due titoli: ilprimo relativo all’arbitrato interno; il secondo relativo all’arbitratointernazionale, sempre definito come quello che « met en cause desinterets du commerce international » (art. 1504) (9).

(8) Parla di una « tendencia a la adopcion de legislaciones arbitrales monistas » nelpanorama comparatistico CREMADES A.C., El dualismo del nuevo derecho frances del arbi-traje a la luz del universalismo y de la deslocalizacion, in Spain Arbitration Review, 2011,n. 11, 40 ss., in part. 42.

Come noto, ha scelto di tornare al sistema monista anche il legislatore italiano dellaterza riforma dell’arbitrato, di cui al D.Lgs. n. 40/2006, che ha, comunque, deciso di attri-buire una certa rilevanza all’elemento di estraneita soggettiva (la residenza o la sede effettivaall’estero di una delle parti) nell’ambito dell’impugnazione per nullita del lodo rituale (art.830, comma 2o, c.p.c.). Si vedano sull’argomento: BRIGUGLIO, La dimensione transnazionaledell’arbitrato, in questa Rivista, 2005, 706 ss.; RICCI, La longue marche vers l’« internatio-nalisation » du droit italien de l’arbitrage, in Les cahiers de l’arbitrage, IV, a cura diMOURRE, Paris, 2008, 191 ss.; BIAVATI, Arbitrato internazionale, in Arbitrati speciali, a curadi CARPI, Bologna, 2008, 391 ss., in part. 458 ss.; LUPOI, Quel che resta dell’arbitrato conelementi di estraneita, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 1339 ss.; BERNARDINI, L’arbitrato in-ternazionale in Italia dopo la riforma del 2006, in Dir. comm. intern., 2009, 481 ss.; RADI-CATI DI BROZOLO, Requiem pour le regime dualiste de l’arbitrage? Reflexions apres la reformede 2006 en Italie, in Arbitrage interne et international, a cura di BONOMI e BOCHATAY, Gine-vra, 2010, 217 ss.; ID., Requiem per il regime dualista dell’arbitrato internazionale in Ita-lia? Riflessioni sull’ultima riforma, in Riv. dir. proc., 2010, 1267 ss.; PUNZI, Il processo ci-vile. Sistema e problematiche2, III, Torino, 2010, 296 ss.; ID., Disegno sistematico dell’arbi-trato2, I, cit., 303 ss. Per piu ampie informazioni in ambito comparatistico si rinvia a POU-DRET - BESSON, Droit compare de l’arbitrage international, Bruxelles, 2002, 23 ss.; BONOMI,Monisme et dualisme, in Arbitrage interne et international, a cura di BONOMI e BOCHATAY, cit.,167 ss.

(9) La seconda riforma conferma, quindi, la definizione di arbitrato internazionaleche i redattori del decreto n. 1981-500 avevano ripreso dalla giurisprudenza formatasi sottoil codice abrogato (per ulteriori informazioni rinviamo a LEBOULANGER, La notion d’« inte-rets » du commerce international, in Revue de l’arbitrage, 2005, 487 ss.). Sul punto si ve-dano: GAILLARD, Reflexions sur le nouveau droit francais de l’arbitrage international, cit.,526, il quale ricorda che l’ultima riforma non ha solo confermato l’impostazione dualista, mal’ha anche accentuata; GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaire analytique du decret du 13 jan-vier 2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit., 266, secondo cui, dato che ilcriterio di internazionalita dell’arbitrato e stato confermato, « on pourra donc, apres le 1ermai 2011 comme avant, se referer aux decisions anterieures a 2011 qui fixent le sens de la“mise en cause des interets du commerce international” » (304). A questo proposito, vale lapena ricordare che il criterio di internazionalita dell’arbitrato, adottato nel sistema francese,e fondato su di una concezione strettamente economica, incentrata unicamente sul tipo di in-teressi oggetto della controversia, rispetto alla quale e irrilevante la presenza di un elementodi estraneita di tipo giuridico, attinente alla nazionalita delle parti, al luogo della residenza odel domicilio di queste ultime, al luogo della conclusione del contratto principale oggettodella lite deferita agli arbitri o alla sede della procedura arbitrale. Tra le tante decisioni inmateria, si vedano in giurisprudenza: App. Paris, 29 marzo 2001, in Revue de l’arbitrage,

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Procederemo, quindi, ad esporre — nei limiti della presente in-dagine — gli aspetti salienti del decreto n. 2011-48, prendendo inesame dapprima le disposizioni in materia di arbitrato interno e poiquelle in materia di arbitrato internazionale.

2. Analogamente alla scelta compiuta dal legislatore italianodel D.Lgs. n. 40/2006, anche quello francese dell’ultima riforma creala categoria unitaria della convenzione d’arbitrato (capitolo I, titoloI, libro IV) alla quale appartengono le due specifiche tipologie dellaclausola compromissoria e del compromesso — rispettivamente de-finiti al secondo e al terzo comma dell’art. 1442 — il cui criterio di-stintivo e quello classico basato sul momento in cui insorge la li-te (10). La previsione di questo genus unitario tende a ridurre le dif-

2001, 543, con nota di BUREAU, secondo cui il codice di rito ha adottato « une definitionexclusivement economique de l’arbitrage international selon laquelle il suffıt que le litigesoumis a l’arbitre porte sur une operation qui ne se denoue pas economiquement dans unseul Etat »; Cass., 26 gennaio 2011, in Recueil Dalloz, 2011, 312; in dottrina FOUCHARD -GAILLARD - GOLDMAN, Traite de l’arbitrage commercial international, cit., 64; SERAGLINI, Ar-bitrage commercial international, cit., 847 ss.; JACQUET, La distinction entre arbitrage interneet international en droit francais, in Arbitrage interne et international, a cura di BONOMI eBOCHATAY, cit., 177 ss.; ALEGRIA - HERVELLA, Mantenimiento del dualismo y del concepto dearbitraje internacional en el Decreto N.o 2011-48 de 13 de enero de 2011 de reforma delDerecho Arbitral Frances, in Spain Arbitration Review, 2011, n. 11, 55 ss., in part. 58 ss. Insenso critico sulla nozione di arbitrato internazionale adottata nel sistema francese si vedaBOLLEE, Le droit francais de l’arbitrage international apres le decret no 2011-48 du 13 jan-vier 2011, cit., § 6, il quale parla di « caractere invertebre » del criterio di cui all’art. 1504,da cui derivano diversi problemi « du point de vue de la clarte et de la previsibilite des so-lutions ». Sull’opportunita o meno di conservare un regime differenziato per l’arbitrato inter-nazionale si vedano: MAYER, Faut-il distinguer arbitrage interne et arbitrage international?,in Revue de l’arbitrage, 2005, 361 ss., e PELLERIN, Monisme ou dualisme de l’arbitrage. Lepoint de vue francais, in Les cahiers de l’arbitrage, IV, a cura di MOURRE, cit., 133 ss. Adogni modo, la tendenza della giurisprudenza degli ultimi anni e stata quella di estendere al-l’arbitrato interno alcune delle soluzioni liberali coniate per il tipo internazionale, come se-gnala anche CREMADES A.C., El dualismo del nuevo derecho frances del arbitraje a la luz deluniversalismo y de la deslocalizacion, cit., 42-43.

(10) La clausola compromissoria e, infatti, definita dal comma 2o dell’art. 1442come: « La convention par laquelle les parties a un ou plusieurs contrats s’engagent a sou-mettre a l’arbitrage les litiges qui pourraient naıtre relativement a ce ou a ces contrats ».Mentre il compromesso e definito dal comma 3o del citato articolo come: « La conventionpar laquelle les parties a un litige ne soumettent celui-ci a l’arbitrage ». Secondo JARROSON

- PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrage apres le decret du 13 janvier 2011, cit., 10-11,sarebbe ammissibile, nonostante il silenzio della legge sul punto, anche la stipulazione di una« clause compromissorie-cadre » su liti future in materia non contrattuale relative a rapportigiuridici determinati; gli AA. fanno, infatti, riferimento alle liti precontrattuali e a quelle re-lative a rapporti di vicinato (nota 16).

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ferenze, nei limiti del possibile, tra le due species di convenzioned’arbitrato: per entrambe l’attuale art. 1443 richiede la forma scrittaa pena di nullita; a differenza di quanto previsto dal diritto previ-gente che per il compromesso si accontentava della forma scritta adprobationem e imponeva la forma ad substantiam unicamente per laclausola compromissoria (11). La nozione di forma scritta e, comun-que, ampia, potendo la convezione d’arbitrato risultare anche da unoscambio di atti scritti separati o « da un documento a cui e fatto ri-ferimento nel contratto principale » (art. 1443) (12). Da specificareanche che, nel riferirsi ad una pluralita di contratti, l’art. 1442,comma 2o, fa proprio quell’orientamento giurisprudenziale secondocui l’ambito oggettivo della clausola compromissoria abbraccia tuttii contratti che sono tra loro collegati (13). Rientrando nella compe-

Sulla creazione, ad opera dell’ultima riforma italiana dell’arbitrato, del genus unitariodella convenzione d’arbitrato, al cui interno sono comprese le tre species del compromesso(art. 807), della clausola compromissoria (art. 808) e della convenzione d’arbitrato in mate-ria non contrattuale (art. 808-bis) si vedano: PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit.,319 ss.; ZUCCONI GALLI FONSECA, Art. 806, in Arbitrato2, a cura di CARPI, Bologna, 2007, 3 ss.

(11) Aspetto che viene sottolineato da CADIET - JEULAND, Droit judiciaire prive7, cit.,760.

L’abrogato art. 1449 CPC disponeva, al contrario, che: « Le compromis doit etre con-state par ecrit ». Da siffatta formulazione si deduceva che per il compromesso la formascritta fosse richiesta solo a fini probatori, si vedano tra gli altri: MOREAU, Arbitrage en droitinterne, cit., 22, secondo cui per il compromesso, « a la difference de la clause compromis-soire, l’obligation d’un ecrit n’[etait] pas prescrite a peine de nullite »; LOQUIN, Arbitrage.Compromis et clause compromissoire, in Jurisclasseur, Procedure civile, fasc. 1020, Paris,2008, § 14, secondo cui: « l’ecrit ne remplit pas la meme fonction s’agissant de la clausecompromissoire ou du compromis. Le compromis est constate par ecrit, la clause compro-missoire doit etre stipulee par ecrit a peine de nullite ». Nel sistema italiano, una parte delladottrina (PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., 354) ritiene che solo per il com-promesso le parti debbano utilizzare, a pena di nullita, la forma scritta, mentre per la clau-sola compromissoria di cui all’art. 808 e per la convenzione d’arbitrato di cui all’art. 808-bis, « si puo ammettere che l’atto scritto possa rappresentare la mera documentazione di unastipulazione gia intervenuta, cioe un atto ricognitivo di una volonta gia manifestata, da cuitale volonta risulti ».

(12) Sull’ammissibilita della clausola compromissoria stipulata per relationem siveda gia Cass., 9 novembre 1993, in Revue de l’arbitrage, 1994, 108 ss., con nota di KESSE-DJIAN. Per il sistema italiano si veda ZUCCONI GALLI FONSECA, Art. 807, in Arbitrato2, a cura diCARPI, cit., 121 ss.

(13) Nel citato Rapport au Premier ministre si specifica che « le decret consacreegalement la jurisprudence, desormais majoritaire, en vertu de laquelle la clause compro-missoire a vocation a s’appliquer dans le cadre de groupes de contrats, des lors que les con-trats en cause ont un caractere de complementarite (Cass. Com., 5 mars 1991) ou que lesparties ont accepte d’executer l’accord, en ce compris la clause compromissoire (Cass., 1reciv., 25 juin 1991) (article 1442, al. 2) ». Sul tema si rinvia all’analisi di: COHEN, Arbitrageet groupes de contrats, in Revue de l’arbitrage, 1997, 471 ss.; TRAIN, Les contrats lies devant

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tenza normativa del Parlamento, i limiti oggettivi di arbitrabilitadelle controversie, di cui agli artt. 2059-2061 Code civil (come rifor-mati dalla legge del 15 maggio 2001), non potevano essere oggettodel decreto n. 2011-48 (14). Oggi, come ieri, si possono, quindi, de-ferire ad arbitri le liti che hanno ad oggetto diritti disponibili (art.2059 CC) e la clausola compromissoria e valida per i contratti con-clusi in ragione di un’attivita professionale, salve speciali disposi-zioni di legge (art. 2061 CC) (15).

L’art. 1444 contiene un’importante innovazione data dall’intro-duzione di un meccanismo di sanatoria per la c.d. convenzione di ar-bitrato « bianca », ossia quella che non contiene la nomina degli ar-bitri o non indica le modalita della loro designazione: in luogo dellacomminatoria di nullita, sancita dal diritto previgente (16), viene pre-vista l’integrazione e, quindi, la salvezza del patto compromissorioattraverso il rinvio ai criteri suppletivi degli artt. 1451-1454 in ma-teria di nomina degli arbitri, in ossequio al principio di conserva-zione degli atti giuridici, attuato anche dall’art. 809, comma 3o, c.p.c.italiano (17).

Viene, inoltre, espressamente ammessa l’indipendenza (termineche viene preferito a quello di autonomia) della convenzione d’arbi-trato rispetto al contratto cui accede (art. 1447, comma 1o), codifi-cando un principio gia elaborato dalla giurisprudenza francese —prima in materia di arbitrato internazionale, poi esteso a quello in-

l’arbitre du commerce international, Paris, 2003. Per il sistema italiano si vedano: ZUCCONI

GALLI FONSECA, Art. 806, in Arbitrato2, a cura di CARPI, cit., 61; ID., Art. 808-quater, in Nuoveleggi civili comm., 2007, 1198 ss.; PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., 651 ss.

(14) Sulla ripartizione tra Parlamento e Governo delle competenze normative in ma-teria processuale si rinvia a GUINCHARD - CHAINAIS - FERRAND, Procedure civile30, cit., 56 ss.

(15) Sul punto si vedano: MARINI - FAGES, La reforme de la clause compromissoire,in Recueil Dalloz, 2001, 2658 ss.; FOUCHARD, La laborieuse reforme de la clause compromis-soire par la loi du 15 mai 2001, in Revue de l’arbitrage, 2001, 397 ss. In materia commer-ciale, la clausola compromissoria e ammessa, come indicato dall’art. L721-3, comma 2o, delCode de commerce, secondo cui « les parties peuvent, au moment ou elles contractent, con-venir de soumettre a l’arbitrage les contestations ci-dessus enumerees ».

(16) Sulla nullita della « clause blanche » nel diritto previgente: App. Paris, 17 otto-bre 1991, in Revue de l’arbitrage, 1992, 673 ss., con nota di ZOLLINGER; Cass., 18 gennaio1994, in ivi, 1994, 536 ss.; App. Paris, 15 maggio 2002, in Les cahiers de l’arbitrage, II, acura di MOURRE, Paris, 2004, 307.

(17) Sul punto BEGUIN - ORTSCHEIDT - SERAGLINI, Un second souffle pour l’arbitrage.Arbitrage interne, cit., § 36, parlano di « une innovation tres bienvenue ». Per il meccanismodi integrazione automatica del patto compromissorio di cui all’art. 809 c.p.c. italiano si ve-dano: PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., 592 ss.; ZUCCONI GALLI FONSECA, Art.809, in Arbitrato2, a cura di CARPI, cit., 205 ss.

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terno — e che viene ampiamente riconosciuto in ambito comparati-stico (18); nel medesimo comma si specifica che la convenzione d’ar-bitrato non viene travolta dalla inefficacia del contratto cui acce-de (19). Il comma 2o dell’art. 1447 dispone, correlativamente, che laclausola compromissoria nulla deve essere considerata come non ap-posta e, quindi, la sua nullita non avra ripercussioni sul contrattoprincipale (20).

Sostanzialmente invariate sono le disposizioni (ora contenuteall’art. 1448) relative all’effetto negativo del patto compromissorioche impedisce alle parti di adire validamente il giudice statale per ri-solvere le liti oggetto della volonta compromissoria (21). Al primocomma del citato articolo, si esclude nei rapporti tra giudizio arbi-trale e giudizio statale l’applicazione della regola delle vie parallele,preferendo quella della « priorita cronologica della valutazione degli

(18) Secondo DE BOISSESON, La nouvelle convention d’arbitrage, in AA.VV., Le nou-veau droit francais de l’arbitrage, a cura di CLAY, 81 ss., in part. 85, il termine indipendenzae stato preferito a quello di autonomia per « souligner que la convention d’arbitrage ne jouitpas seulement d’une autonomie fonctionnelle, mais qu’elle constitue un contrat a part en-tiere ». Approva questa scelta terminologica per la convenzione d’arbitrato BOLLEE, Le droitfrancais de l’arbitrage international apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., § 11,il quale, tuttavia, avrebbe preferito l’inserimento di un riferimento ai casi in cui la conven-zione d’arbitrato viene legata al contratto principale. Sul punto si veda anche CHENU, L’auto-nomie de la clause compromissoire apres le decret du 13 janvier 2011, in Les Petites Affı-ches, 21 avril 2011, 3 ss. Per il riconoscimento dell’autonomia della clausola compromisso-ria in materia di arbitrato internazionale si veda il celebre arret Gosset del 1963 (Cass., 7maggio 1963, pubblicata, tra le altre, in Revue critique de droit international prive, 1963, 615ss., con nota di MOTULSKY) e in materia di arbitrato interno Cass., 4 aprile 2002 e Cass., 9aprile 2002, in Revue de l’arbitrage, 2003, 103 ss., con nota di DIDIER. Per ulteriori riferi-menti si rinvia a LOQUIN, Arbitrage. Compromis et clause compromissoire, cit., § 8, nonchea POUDRET - BESSON, Droit compare de l’arbitrage international, cit., 133 ss., per un’analisicomparatistica. Per l’autonomia della clausola compromissoria nel sistema italiano si veda,per tutti, PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., 653 ss.

(19) Come specificato nel citato Rapport au Premier ministre, nel concetto di ineffi-cacia del contratto principale rientrano, ad esempio la sua inesistenza, la sua caducazione ela sua risoluzione, per alcuni casi giurisprudenziali si vedano: App. Paris, 26 novembre 1981,in Revue de l’arbitrage, 1982, 439 ss., con nota di MEZGER; Cass., 4 aprile 2002, cit.; Cass.,25 ottobre 2005, in Revue de l’arbitrage, 2006, 103 ss., con nota di RACINE.

(20) Nel sistema italiano, invece, l’art. 808, comma 2o, c.p.c. disciplina solo il casodell’autonomia della clausola compromissoria rispetto al contratto principale e non anchel’ipotesi simmetrica dell’autonomia del secondo dalla prima (cosı ZUCCONI GALLI FONSECA,Art. 808, in Arbitrato2, a cura di CARPI, cit., 143).

(21) Sull’effetto negativo del patto compromissorio si vedano in generale: SERAGLINI,L’arbitrage commercial international, cit., 927 ss.; PUNZI, Il processo civile2, III, cit., 191 ss.Mentre CLAY, L’appui du juge a l’arbitrage, cit., 344, ritiene preferibile parlare di un « prin-cipe prohibitif de la convention d’arbitrage ».

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arbitri sulla propria competenza » (22) (anche detta regola della « li-tispendenza zoppa ») (23): se il collegio arbitrale si e gia costitui-to (24), il giudice statale deve dichiarare la propria incompetenza,senza poter valutare la validita o l’efficacia della convenzione d’ar-bitrato; mentre, anteriormente alla costituzione del collegio, residuaun margine di valutazione del giudice statale, il quale non deve de-clinare la propria competenza in ragione della stipulazione di unaconvenzione d’arbitrato, se ritiene che quest’ultima sia « manifesta-mente nulla o manifestamente inapplicabile »; tutte le doglianze re-lative alla convenzione d’arbitrato potranno, successivamente, esserediscusse davanti al giudice dell’impugnazione del lodo (25). Nel se-

(22) In questo senso SERAGLINI, L’arbitrage commercial international, cit., 938, cheparla di « regle de priorite chronologique en faveur de l’arbitre sur l’appreciation de sacompetence », aggiungendo che si tratta di una soluzione « tres minoritaire en droit compare.La plupart des autres legislations, tout en reconnaissant a l’arbitre competence pour statuersur sa propre competence ne lui accordent aucune priorite a cet egard ». Per GAILLARD, Re-flexions sur le nouveau droit francais de l’arbitrage international, cit., 534, quella francesee « une forme particulierement energique de principe d’effet negatif de la compentence-com-petence ». In materia POUDRET-BESSON, Droit compare de l’arbitrage international, cit., 459,parlano di una « priorite chronologique, et non pas absolue, analogue a celle consacree parl’exception de litispendance, mais dont le champ d’application a ete etendu a l’action enconstatation ou negation du droit au sujet de la competence de l’arbitre ».

(23) Parla di « litispendenza (a senso unico e cosı) “zoppa” » CONSOLO, Litispendenzae connessione tra arbitrato e giudizio ordinario (evoluzione e problemi irrisolti), in questaRivista, 1998, 659 ss., in part. 675.

(24) Il momento dell’investitura del collegio arbitrale (la c.d. « saisine ») e stato in-dividuato da Cass., 25 aprile 2006, in Revue de l’arbitrage, 2007, 79 ss., con nota di EL

AHDAB, in quello della costituzione del collegio.(25) Sul punto si vedano: LOQUIN, Arbitrage. Competence arbitrale. Conflit entre la

competence arbitrale et la competence judiciaire, in Jurisclasseur, Procedure civile, fasc.1034, Paris, 2010, § 84, il quale scrive che il collegio arbitrale « des l’instant qu’il a ete saisidu litige, est la seule autorite competente pour apprecier la realite ou l’etendue de son in-vestiture. L’exception tiree de l’existence de la clause compromissoire produit dans cettehypothese un effet absolu des lors qu’elle a ete soulevee in limine litis. Elle oblige le tribu-nal etatique a constater son incompetence »; aggiungendo (§ 85) che « l’incompetence de lajuridiction etatique resulte de la seule constatation que le litige a ete porte devant le tribu-nal arbitral, sans qu’aucune discussion ne puisse avoir lieu devant le juge de l’Etat sur lefondement de l’investiture de l’arbitre »; Cass., 11 luglio 2006, in Revue de l’arbitrage, 2006,1077. Sui concetti di manifesta nullita o manifesta inapplicabilita della convenzione d’arbi-trato si rinvia a CACHARD, Le controle de la nullite ou de l’inapplicabilite manifeste de laclause compromissoire, in Revue de l’arbitrage, 2006, 893.

La soluzione della priorita della valutazione degli arbitri sulla propria competenza erastata adottata anche in alcune pronunce della giurisprudenza italiana: Cass., 8 luglio 1996, n.6205, in questa Rivista, 1997, 325 ss., con nota di VACCARELLA, e Cass., 7 aprile 1997, n.3001, in questa Rivista, 1997, 515 ss., con nota di LUISO (su cui si veda anche il commentodi PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., 161, e quello di POUDRET - BESSON, Droitcompare de l’arbitrage international, cit., 463, i quali sottolineano che il richiamato orienta-

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condo comma dell’art. 1448 si ribadisce, poi, che l’eccezione dipatto compromissorio rientra nella sfera di disponibilita delle par-ti (26); il comma 3o del medesimo articolo specifica che ogni stipula-zione contraria ai primi due commi deve considerarsi come non ap-posta.

La riforma del 2011 disciplina, inoltre, i rapporti tra tutela som-maria e arbitrato. Come disposto dall’art. 1449, quando il collegioarbitrale non e ancora costituito, il presidente del tribunal de grandeinstance o del tribunal du commerce e competente, nonostante la sti-pulazione di una convenzione d’arbitrato, a concedere: una « mesured’instruction » (c.d. refere probatoire), alle condizioni stabilite dal-l’art. 145 CPC; una « mesure provisoire ou conservatoire », come unrefere provision, di cui all’art. 809, comma 2o, o un refere classique,di cui all’art. 808, qualora ricorra la condizione dell’urgenza (27).

mento giurisprudenziale italiano si e ispirato alla regola francese della priorita della valuta-zione degli arbitri). E noto come, al contrario, la terza riforma italiana dell’arbitrato ha sceltola regola delle vie parallele, ammettendo lo svolgimento contemporaneo del giudizio arbitralee di quello statale, rifiutando « il principio della litispendenza “zoppa” o “a senso unico” infavore degli arbitri » (cosı PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., 201; noncheRUFFINI, Art. 819-ter, in Nuove leggi civ. comm., 2007, 1360 ss., in part. 1367, e RICCI G.F.,Art. 819-ter, in Arbitrato2, a cura di CARPI, cit., 501). Per un panorama comparatistico in ma-teria si veda DIMOLITSA, Autonomie et « Kompetenz-Kompetenz », in Revue de l’arbitrage,1998, 305 ss.

(26) Come ricordato da SERAGLINI, L’arbitrage commercial international, cit., 938, innota, la soluzione di escludere la rilevabilita d’ufficio dell’eccezione di patto compromisso-rio e « tres largement retenue en droit compare ». Si tratta, in particolare, di un’eccezione chela giurisprudenza ha qualificato come eccezione di rito (exception de procedure) che, quindi,deve essere rilevata dal convenuto in limine litis, prima di ogni difesa di merito (defense aufond) o eccezione di inammissibilita (fin de non-recevoir), come deciso da Cass., 22 novem-bre 2001, in Revue de l’arbitrage, 2002, 371 ss., con nota di THERY.

L’inquadramento dei rapporti tra arbitri e giudici ordinari nell’ambito della compe-tenza viene, tuttavia, criticato da una parte della dottrina: GUINCHARD - CHAINAIS - FERRAND,Procedure civile30, cit., 1489, i quali ritengono che sarebbe piu opportuno parlare di « defautde pouvoir de juger » o di « defaut de pouvoir juridictionnel » piuttosto che di incompetenzadel giudice statale in ragione della stipulazione di una convenzione d’arbitrato. Analogamenteper il sistema italiano si vedano: PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, I, cit., 197 ss.,secondo cui « al di la del nomen utilizzato dal legislatore [...] i rapporti tra arbitri e giudiciordinari non possono essere ricostruiti facendo ricorso ai principi propri della competenza »;RUFFINI, Art. 819-ter, cit., 1365.

(27) Si tratta di soluzioni elaborate anteriormente alla riforma del 2011, su cui si ve-dano: COUCHEZ, Refere et arbitrage, in Revue de l’arbitrage, 1986, 155 ss.; LOQUIN, Arbitrage.Competence arbitrale, cit., § 18, secondo cui « la competence exceptionnelle d’un tribunaletatique, nonobstant la convention d’arbitrage, ne peut etre fondee que sur un principe su-perieur comme l’urgence ». Si noti che, a differenza di quanto accade generalmente, in casodi stipulazione di una convenzione d’arbitrato anche la concessione del refere provision vienesubordinata, dall’art. 1449, comma 2o, alla sussistenza della condizione dell’urgenza, confor-

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Dopo la costituzione del collegio arbitrale, al quale l’art. 1468 con-ferisce espressamente poteri cautelari (vedi infra n. 4), si esclude cheil giudice statale possa emanare dei provvedimenti provvisori, qualiil refere provision (28), il refere probatoire (29) o il refere classique,anche se in relazione a quest’ultimo tipo di misura una parte delladottrina ha sollevato dei dubbi (30). Per la concessione delle saisiesconservatoires e delle suretes judiciaires e, invece, sempre compe-tente il giudice statale, anche dopo la costituzione del collegio arbi-trale (artt. 1449, comma 2o, e 1468, comma 1o) (31).

memente all’orientamento giurisprudenziale formatosi precedentemente alla riforma del 2011(come notato anche da BOLLEE, Le droit francais de l’arbitrage international apres le decretno 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., § 13). Sul punto si veda, tra le altre, Cass., 13 giugno2002, in Recueil Dalloz, 2002, 2439.

(28) In questa direzione si vedano, gia, Cass., 2 aprile 1997, e Cass., 21 ottobre 1997,in Revue de l’arbitrage, 1998, 673 ss., con nota di DEGOS; Cass., 29 giugno 1999, in ivi, 1999,817 ss., con nota di HORY; Cass., 13 giugno 2002, in ivi, 2002, 790-791; App. Paris, 5 mag-gio 2004, in ivi, 2006, 751 ss., con nota di DUPREY.

(29) Per il regime previgente si vedano: HORY, Mesures d’instruction in futurum etarbitrage, in Revue de l’arbitrage, 1996, 13 ss.; App. Versailles, 8 ottobre 1998, in ivi, 1999,59, con nota di HORY.

(30) Ritengono che il giudice statale possa concedere un refere classique anche dopola costituzione del collegio arbitrale JARROSON - PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrageapres le decret du 13 janvier 2011, cit., 16, i quali scrivono che: « En tout etat de cause, ilnous semble que la possibilite de recourir en refere au juge etatique lorsque le tribunal ar-bitral est constitue doit etre admise dans son principe, car on ne peut exclure de rencontrerdes hypotheses dans lesquelles le tribunal arbitral, meme saisi et meme muni des pouvoirsqui sont les siens, ne sera pas en position d’ordonner effıcacement la mesure necessairesouhaitee. Toutefois, le juge devra veiller a reserver son intervention aux seuls cas ou ellesera vraiment necessaire ». Ma nel senso dell’esclusivita della competenza cautelare degliarbitri dopo la costituzione del collegio sembrano porsi: GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaireanalytique du decret du 13 janvier 2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit.,297; BOLLEE, Le droit francais de l’arbitrage international apres le decret no 2011-48 du 13janvier 2011, cit., § 11. Sul tema dei rapporti tra tutela sommaria e arbitrato prima del 2011si veda l’esaustiva analisi di CHAINAIS, La protection juridictionnelle provisoire dans le pro-ces civil en droit francais et en droit italien, Paris, 2007, 188 ss., che parlava, infatti, di prin-cipio delle competenze parallele tra giudici statali e arbitri per la tutela in questione; nonche,se si vuole, BONATO, I referes nell’ordinamento francese, in La tutela sommaria in Europa,a cura di CARRATTA, Napoli, 2012, 35 ss., in part. 45. Da segnalare che Cass., 6 dicembre2005, in La semaine juridique, 2005, n. 344, con nota di CHABOT, aveva ritenuto che in casodi costituzione del collegio arbitrale i giudici statali non avessero piu il potere di concedereprovvedimenti cautelari, elaborando il seguente principio: « la clause compromissoiren’exclut pas, tant que le tribunal arbitral n’est pas constitue, la faculte de saisir le juge desreferes aux fins de mesures provisoires ou conservatoires ».

(31) Sul punto CADIET - JEULAND, Droit judiciaire prive7, cit., 781, parlano dell’intro-duzione da parte del legislatore del 2011 di una « repartition claire des taches reconnaissanta l’arbitre une part de l’imperium qui prolonge la jurisdictio tout en laissant au juge etati-que une exclusivite au sujet des mesures plus coercitives ».

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3. Nel capitolo II del titolo I sono contenute le regole disci-plinanti il collegio arbitrale « le tribunal arbitral ». Come stabilitodall’art. 1461, si tratta di disposizioni a carattere inderogabile, ad ec-cezione di quella relativa alla data in cui si deve considerare il col-legio arbitrale investito della lite (art. 1456, comma 1o). Il patto con-trario alle richiamate disposizioni viene, infatti, considerato comenon apposto.

L’art. 1450 riafferma la regola secondo cui solo le persone fisichein possesso della capacita di agire possono validamente ricoprire ilruolo di arbitro, mentre le persone giuridiche possono assumere solo lafunzione di organizzare l’arbitrato: gli atti delle istituzioni arbitrali nonrientrano, pertanto, nella categoria della sentenza arbitrale (32).

Rispetto agli organi chiamati ad intervenire per risolvere le dif-ficolta relative alla costituzione del collegio arbitrale, nonche quelleriguardanti la ricusazione, l’impedimento e la decadenza di uno deisuoi membri, il codice — salve alcune eccezioni (come quella di cuiall’art. 1451, comma 3o) — attribuisce in prima battuta tale compitoalla persona incaricata di organizzare l’arbitrato (« la personne char-gee d’organiser l’arbitrage »), ossia ad una istituzione arbitrale (33).In via sussidiaria (se si tratta di un arbitrato ad hoc, oppure in casodi inerzia dell’istituzione arbitrale), sara un giudice statale, denomi-nato dai riformatori del 2011 juge d’appui (34), ad intervenire per

(32) La stessa regola era gia prevista dal diritto anteriore, si vedano in materia: FOU-CHARD, Les institutions permanentes d’arbitrage devant le juge etatique (a propos d’une ju-risprudence recente), in Revue de l’arbitrage, 1987, 225 ss.; ID., Les institutions d’arbitrage.Conclusions, in ivi, 1990, 483 ss.; LOQUIN, Arbitrage. Institutions d’arbitrage, in Jurisclas-seur, Procedure civile, fasc. 1002, Paris, 1997, 6, che qualifica gli atti delle istituzioni arbi-trali come degli « actes d’administration de l’arbitrage ».

(33) Sui poteri delle istituzioni arbitrali nell’ordinamento italiano si rinvia, tra gli al-tri, a: CARRATTA, Art. 832, in Le recenti riforme del processo civile, a cura di Chiarloni, II,Bologna, 2007, 1891 ss.; BIAVATI, Art. 832, in Arbitrato2, a cura di CARPI, 867 ss.; CAPONI,Art. 832, in Nuove leggi civ. comm., 2007, 1424 ss. Sul punto si veda anche l’analisi di EMA-NUELE - MOLFA, Arbitrato amministrato e istituzioni arbitrali permanenti, in PUNZI, Disegnosistematico dell’arbitrato2, III, cit., 5 ss.

(34) La terminologia legislativa juge d’appui, mutuata dall’ordinamento svizzero, eragia utilizzata dalla giurisprudenza, come ricordato da JARROSON - PELLERIN, Le droit francais del’arbitrage apres le decret du 13 janvier 2011, cit., 23. Per un’esaustiva analisi del juge d’appuisi rinvia a CHEVALIER, Le nouveau juge d’appui, in AA.VV., Le nouveau droit francais de l’ar-bitrage, a cura di CLAY, cit., 143 ss.; nonche a LOPEZ DE ARGUMEDO PINEIRO - CAPIEL, El juez deapoyo en la nueva legislacion arbitral francesa, in Spain Arbitration Review, 2011, n. 11, 108ss. Per il regime previgente si veda FOUCHARD, La cooperation du president du tribunal degrande instance a l’arbitrage, in Revue de l’arbitrage, 1985, 5 ss., e per un panorama compa-ratistico POUDRET - BESSON, Droit compare de l’arbitrage international, cit., 361 ss.

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decidere sugli incidenti relativi agli arbitri (35). Quanto all’individua-zione del juge d’appui competente, l’art. 1459 indica il presidentedel tribunal de grande instance designato nella convenzione d’arbi-trato o, in mancanza, quello del luogo della sede dell’arbitrato (gliulteriori criteri suppletivi fanno, inoltre, riferimento al luogo in cuirisiedono il convenuto od uno tra i piu convenuti e, infine, al luogoin cui risiede l’attore) (36). Oltre a poter scegliere quale tribunal degrande instance sara territorialmente competente, le parti, nella con-venzione d’arbitrato, possono anche preferire di attribuire il ruolo dijuge d’appui al presidente del tribunale di commercio, i cui poterisono, tuttavia, limitati ai soli casi di nomina degli arbitri (artt. 1451-1454), non essendo comprese anche le fattispecie di ricusazione, im-pedimento e revoca (artt. 1456-1458) (37). Adito da una delle parti,dal collegio arbitrale o da uno dei suoi membri (38), il juge d’appuidecide — seguendo la procedura di refere — con un’ordinanza, ido-nea al giudicato (39), che: e appellabile, se rigetta l’istanza di nomina

(35) L’istituzione arbitrale e il juge d’appui sono messi dalla legge sullo stesso piano(CLAY, L’appui du juge a l’arbitrage, cit., 348, il quale ricorda che « la seule difference con-cerne la portee de la decision puisque celle du juge d’appui est juridictionnelle, alors quecelle du centre d’arbitrage est contractuelle »; GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaire analyti-que du decret du 13 janvier 2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit., 285,i quali sottolineano che, comunque, « le juge d’appui aurait le dernier mot, de facon a ceque les parties ne soient pas confrontees a une situation de deni de justice »).

(36) GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaire analytique du decret du 13 janvier 2011portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit., 281, affermano che l’intenzione dei re-dattori della riforma del 2011 e stata quella di affidare il ruolo di juge d’appui ad un organo« specialise, prepare et sensibilise tant a la matiere arbitrale qu’aux diffıcultes procedurales,souvent tres techniques ».

(37) Aspetto sottolineato da CLAY, L’appui du juge a l’arbitrage, cit., 339.(38) Apprezzano la scelta di attribuire anche al singolo membro del collegio arbitrale

il potere di adire il « juge d’appui » GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaire analytique du de-cret du 13 janvier 2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit., 282, secondo iquali tale innovazione permette di aumentare « l’effettivita della procedura arbitrale ».

(39) Il procedimento dell’art. 1460 non e un vero e proprio refere, ma un « faux re-fere », in quanto e destinato a concludersi con un provvedimento incontrovertibile (aventeautorita di cosa giudicata « au fond ») e non con un provvedimento provvisorio (avente au-torita di cosa giudicata « au provisoire »). Sulla natura del procedimento davanti al juged’appui JARROSON - PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrage apres le decret du 13 janvier2011, cit., 25, specificano che si tratta di una « instance au fond »; nello stesso senso ancheGAILLARD - DE LAPASSE, Commentaire analytique du decret du 13 janvier 2011 portant re-forme du droit francais de l’arbitrage, cit., 283. Sui c.d. « faux referes », anche chiamati re-feres « en la forme » si vedano, tra gli altri, HERON, Droit judiciare prive4, aggiornata da LE

BARS, Paris, 2010, 332 ss., nonche, se si vuole BONATO, I referes nell’ordinamento francese,cit., 57 ss. Sulle nozioni di autorita di cosa giudicata « au fond » e « au provisoire » si ve-dano GUINCHARD - CHAINAIS - FERRAND, Procedure civile30, cit., 747 ss. e 1370 ss.

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per manifesta nullita o inapplicabilita della convenzione d’arbitra-to (40); mentre non e impugnabile, se il giudice procede alla designa-zione dell’arbitro, ad eccezione dell’appel-nullite che e sempre pro-ponibile per censurare il vizio di eccesso di potere, di cui puo essereaffetta l’ordinanza di accoglimento dell’istanza (41).

Relativamente alle nuove disposizioni sulla nomina degli arbi-tri l’art. 1451, nel ribadire, al primo comma, la regola del numerodispari degli arbitri, dispone, al secondo comma, che, qualora laconvenzione d’arbitrato indichi un numero pari, il collegio deve es-sere integrato, attraverso la nomina di un arbitro « complementare »,indicato dalle parti oppure, se queste non provvedono, dagli arbitrigia designati o, in mancanza, dal juge d’appui (42). Il successivo art.1452 introduce il gia menzionato meccanismo di sanatoria della con-venzione d’arbitrato « bianca »: (n. 1) in caso di arbitro unico, se leparti non si accordano sulla nomina, provvede la persona incaricatadi organizzare l’arbitrato, o in mancanza, il juge d’appui; (n. 2) incaso di collegio con tre arbitri, ogni parte sceglie un arbitro e i duearbitri cosı nominati indicheranno il terzo membro del collegio; inquesta seconda ipotesi, per superare l’inerzia della parte recalcitrantealla nomina oppure il mancato accordo dei due arbitri sulla nominadel terzo, il compito di procedere alla designazione viene affidatoalla persona incaricata di organizzare l’arbitrato, o in mancanza, aljuge d’appui. Per colmare una volonta compromissoria incompleta,

(40) L’appello all’ordinanza del juge d’appui verra deciso secondo la procedura or-dinaria del giudizio d’appello e non secondo quella speciale del contredit de competence(come disposto dal diritto previgente).

(41) Infatti, malgrado la lettera dell’art. 1460, comma 1o (« Le juge d’appui statuepar ordonnance non susceptible de recours »), la giurisprudenza ha deciso che contro la de-cisione di nomina giudiziale dell’arbitro e in ogni caso ammissibile l’appel-nullite per ec-cesso di potere (Cass., 21 gennaio 1998, in Revue de l’arbitrage, 1998, 113, con nota diHORY, e su cui si vedano le riflessioni di FOUSSARD, Le recours pour exces de pouvoir dansle domaine de l’arbitrage, in ivi, 2002, 579; ID., Retour sur l’exces de pouvoir en matiered’arbitrage: vers une consolidation des regles?, in ivi, 2004, 803). Per l’utilizzazione dellacitata soluzione giurisprudenziale anche nel vigore della seconda riforma dell’arbitrato si ve-dano CLAY, L’appui du juge a l’arbitrage, cit., 342, e GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaireanalytique du decret du 13 janvier 2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit.,283.

(42) Da notare che nell’art. 1451 non si fa riferimento alla persona incaricata di or-ganizzare l’arbitrato, ma direttamente al giudice statale; su questo aspetto GAILLARD - DE LA-PASSE, Commentaire analytique du decret du 13 janvier 2011 portant reforme du droit fran-cais de l’arbitrage, cit., 285, scrivono che: « il a ete juge que dans une telle hypothese, unpeu “pathologique” dans la mesure ou la convention d’arbitrage prevoit une designationd’arbitres au nombre de deux, il valait mieux que le juge d’appui intervınt directement ».

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la legge non indica quale delle due descritte ipotesi debba trovareapplicazione; conseguentemente la scelta tra un arbitro unico o uncollegio a tre membri sara effettuata dalla persona incaricata di orga-nizzare l’arbitrato, o in mancanza, dal juge d’appui, a seconda dellacomplessita della causa (43).

Inoltre, qualora si tratti di un arbitrato con pluralita di parti equeste non si accordino sulle modalita di nomina, sara la persona in-caricata di organizzare l’arbitrato, o in mancanza, il juge d’appui aprocedere alla designazione di uno o piu arbitri (art. 1453) (44). Se-gue la regola di chiusura, in base alla quale tutte le contestazioni re-lative alla costituzione del collegio arbitrale sono regolate, in assenzadi accordo delle parti, dalla persona incaricata di organizzare l’arbi-trato, o in mancanza, sono decise dal juge d’appui (art. 1454).

Il legislatore francese considera, inoltre, il collegio arbitrale co-stituito dal giorno dell’accettazione di tutti gli arbitri, momento incui il giudizio arbitrale si considera pendente e da cui decorre il ter-mine per la pronuncia del lodo (artt. 1456, comma 1o, e 1463); leparti possono, comunque, derogare a tale regola (45).

Per quello che riguarda la posizione dell’arbitro, viene con-fermato e inasprito, dall’art. 1456, comma 2o, l’obbligo della di-sclosure, poiche colui che vuole assumere l’incarico arbitrale deverivelare tutte circostanze che possono compromettere la sua indi-pendenza o imparzialita (« toutes circonstances susceptibles d’af-

(43) Cosı GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaire analytique du decret du 13 janvier2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit., 286.

(44) JARROSON - PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrage apres le decret du 13 jan-vier 2011, cit., 20, ritengono che, pur nel silenzio della riforma, nell’arbitrato con pluralita diparti si debba sempre rispettare il principio di parita delle parti nei poteri di nomina, elabo-rato da Cass., 7 gennaio 1992, in Revue de l’arbitrage, 1992, 470 ss., con nota di BELLET.Come noto, sull’arbitrato con pluralita di parti e intervenuto anche il legislatore italiano dellariforma del 2006, sulla cui disciplina si rinvia a: SALVANESCHI, Art. 816-quater, in Nuove leggiciv. comm., 2007, 1280 ss.; LIPARI, Art. 816-quater, in Commentario alle riforme del processocivile, a cura di BRIGUGLIO e CAPPONI, III, 2, Padova, 2009, 744 ss.; PUNZI, Disegno sistema-tico dell’arbitrato2, I, cit., 578 ss.

(45) Usufruendo della liberta, di cui all’art. 1461 CPC, le parti potrebbero indicarecome momento di pendenza del giudizio arbitrale — anche ai fini della decorrenza del ter-mine per la decisione — quello della consegna del fascicolo di causa agli arbitri. Si tratta diun’ipotesi espressamente contemplata nel citato Rapport au Premier ministre, ove si leggeche: « les parties pourront, par la voie conventionnelle ou par un acte d’adhesion a un re-glement d’arbitrage, decider que le tribunal ne sera saisi, par exemple, qu’a compter de ladate de reception par le tribunal arbitral de l’ensemble des dossiers d’arbitrage ». In sensofavorevole alla disposizione in questione JARROSON - PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrageapres le decret du 13 janvier 2011, cit., 29.

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fecter son independance ou son impartialite ») (46), requisiti que-sti ultimi che, appartenendo « all’essenza stessa della funzionegiurisdizionale » dell’arbitro (47), i riformatori del 2011 hanno vo-luto espressamente codificare (48). La legge specifica che quest’ob-bligo di dichiarare tutte le circostanze sospette riguarda anchequelle che possono sorgere dopo l’accettazione dell’incarico (49).Il potere di risolvere la controversia sulla permanenza (« le main-tien ») dell’arbitro e attribuito alla persona incaricata di organiz-zare l’arbitrato o, in mancanza, al juge d’appui che devono essereaditi entro un mese dalla rivelazione o dalla scoperta della circo-stanza sospetta (terzo comma dell’art. 1456). Infine, secondo l’art.1457, l’arbitro deve portare a termine il suo incarico e puo legit-timamente rinunciarvi solo in caso impedimento o di giustificatomotivo. Per la revoca dell’arbitro serve, di regola, il consenso ditutte le parti, in assenza del quale la questione della revoca e ri-solta dalla persona incaricata di organizzare l’arbitrato o, in man-canza, e decisa dal juge d’appui (art. 1458).

(46) In relazione all’obbligo della disclosure GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaireanalytique du decret du 13 janvier 2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit.,288, notano come il legislatore del 2011 abbia adottato una maggiore severita rispetto al pas-sato; viene, infatti, prevista « une obligation tres large pesant sur la personne de l’arbitre,puisque le texte ne laisse pas a l’arbitre le choix de determiner ce qui est de nature ou nona affecter son independance ou son impartialite. Il lui appartient en effet de declarer l’en-semble des circonstances qui pourraient etre de nature a entraıner une suspicion sur son in-dependance ». A proposito dell’art. 1456, comma 3o, parla di un « dispositif effıcace et ine-dit qui incitera a des revelations larges » CLAY, Arbitrage et modes alternatifs de reglementdes litiges, cit., § 2, cui si rinvia anche per l’esame della recente giurisprudenza in materia diimparzialita degli arbitri. Tale maggiore severita della riforma del 2011, rispetto all’obbligodi rivelazione delle circostanze che mettono in dubbio l’imparzialita degli arbitri, si pone inlinea di continuita con l’atteggiamento piu rigoroso assunto recentemente dalla giurispru-denza francese, come ricordato da BEGUIN, in BEGUIN - ORTSCHEIDT - SERAGLINI, Droit de l’ar-bitrage. Chronique, in La Semaine Juridique, 2011, n. 1432, § 5.

(47) Cosı, tra le altre, si veda: App. Paris, 28 novembre 2002, in Revue de l’arbi-trage, 2003, 445 ss.

(48) RACINE, Le nouvel arbitre, in AA.VV., Le nouveau droit francais de l’arbitrage,a cura di CLAY, 117 ss., in part. 121, approva il riferimento normativo espresso ai requisiti diimparzialita e di indipendenza degli arbitri.

(49) Come noto, il legislatore italiano della terza riforma dell’arbitrato non ha, in-vece, espressamente imposto agli arbitri l’obbligo di dichiarare l’esistenza di eventuali mo-tivi di parzialita. Criticano il mancato inserimento, nel c.p.c. italiano, dell’obbligo della di-sclosure, tra gli altri: GIOVANNUCCI ORLANDI, Art. 815, in Arbitrato2, a cura di CARPI, cit., 289;CONSOLO, Imparzialita degli arbitri. Ricusazione, in questa Rivista, 2005, 732 ss. In materia,anche per dei riferimenti comparatistici, si rinvia all’analisi di SPACCAPELO, L’imparzialitadell’arbitro, Milano, 2009, 169 ss.

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4. Nel capo III del titolo I troviamo le disposizioni relative alprocedimento arbitrale (l’instance arbitrale) (50), che si apre conl’art. 1462, in cui si specifica che la controversia viene deferita agliarbitri dalle parti, sia congiuntamente che individualmente, cui seguel’art. 1463, comma 1o, in cui viene indicato che il termine per lapronuncia del lodo — in mancanza di una diversa indicazione delleparti — e di sei mesi, decorrenti dal giorno della costituzione delcollegio arbitrale; oltre che su accordo delle parti, il termine puo es-sere prorogato dal juge d’appui (art. 1463, comma 2o) (51).

Quanto alle regole procedimentali, queste ultime sono stabilitedagli arbitri (salva diversa determinazione delle parti) che non sonoobbligati a seguire le disposizioni sul processo statale (art. 1464,comma 1o) (52). Sono, comunque, applicabili al procedimento arbi-trale « i principi direttivi del processo enunciati agli articoli da 4 a10, al primo comma dell’art. 11, al secondo e al terzo comma del-l’art. 12 e agli articoli da 13 a 21, 23 e 23-1 », come indicato dal-l’art. 1464, comma 2o (53). Il legislatore ha, inoltre, voluto introdurrel’obbligo, gravante sia sulle parti che sugli arbitri, di rispettare iprincipi di celerita e lealta durante il procedimento arbitrale: « Lesparties et les arbitres agissent avec celerite et loyaute dans la con-

(50) JARROSON - PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrage apres le decret du 13 jan-vier 2011, cit., 26, scrivono sul punto che « l’instance arbitrale est peut-etre le siege des in-novations les plus notables realisees par le decret en matiere interne ». Per un commentogenerale si rinvia anche a SCHWARTZ, The New French Arbitration Decree: The Arbitral Pro-cedure, in Les Cahiers de l’Arbitrage - The Paris Journal of International Arbitration, 2011,349 ss.

(51) A differenza di quanto previsto dal regime previgente, il decreto del 2011 nonspecifica se la proroga giudiziale del termine possa essere chiesta anche dagli arbitri, dandoadito sia all’interpretazione favorevole che a quella contraria (si vedano JARROSON - PELLERIN,Le droit francais de l’arbitrage apres le decret du 13 janvier 2011, cit., 30).

(52) Regola che ricalca quella introdotta dalla prima riforma del 1980, su cui si vedaPERROT, L’application a l’arbitrage de regles du Nouveau Code de procedure civile, in Revuede l’arbitrage, 1980, 642 ss.

(53) Si tratta dei principi fondamentali del processo (quali il principio dispositivo,quello del contraddittorio e quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato), su cui sivedano, in generale, CADIET, Jalons pour une theorie des principes directeurs du proces, inMelanges Normand, Paris, 2003, 71 ss. e, con particolare riferimento all’arbitrato, BOLARD,Les principes directeurs du proces arbitral, in Revue de l’arbitrage, 2004, 511 ss. La riformadel 2011 non ha apportato grandi innovazioni sull’applicabilita dei principi direttivi, vengonosolamente aggiunti (rispetto a quanto previsto dall’abrogato art. 1460) i principi di cui all’art.12, commi 2o e 3o (rispettivamente il principio iura novit curia e il potere delle parti di li-mitare il potere di qualificazione dell’arbitro) e quelli degli artt. 23 e 23-1 che disciplinano,rispettivamente, il caso in cui il giudice conosce la lingua in cui si esprimono le parti (casoin cui si esclude il ricorso ad un interprete) e quello in cui una parte e affetta da sordita.

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duite de la procedure » (art. 1464, comma 3o) (54). E stato, infine,codificato espressamente il principio di riservatezza, inserito nelquarto comma dell’art. 1464 (55).

L’art. 1465 riafferma il principio secondo cui il collegio arbi-trale e il « solo » organo « competente » per decidere sulle questioniinerenti al suo « potere giurisdizionale » (56). Si tratta della regolaclassica che conferisce agli arbitri il potere di valutare prioritaria-mente — ma temporaneamente (vista la successiva proponibilita deimezzi di impugnazione del lodo) — la propria potestas iudicandi(vedi anche retro n. 2) (57).

In materia d’istruzione probatoria, grazie all’applicabilita del-l’art. 10 CPC, gli arbitri possono disporre d’ufficio l’ammissione diogni mezzo di prova che, salva diversa determinazione delle parti,dovranno essere assunti collegialmente (art. 1467, comma 1o) (58). Aicommi 2o e 3o dell’art. 1467 si stabilisce che il collegio arbitralepuo: ascoltare dei terzi (che non prestano giuramento); ordinare aduna delle parti la produzione di un mezzo di prova, ordine che puoessere eventualmente accompagnato da una astreinte. Sempre in ri-

(54) Per GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaire analytique du decret du 13 janvier2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit., 290, « l’ajout de cette dispositiona ete voulu par les redacteurs du decret pour inciter les arbitres a faire usage de l’ensem-ble des pouvoirs que le decret leur confere a l’egard des parties, de facon a ce que la sen-tence arbitrale soit rendue dans un delai raisonnable ». Sul punto si rinvia anche a DERAINS,Les nouveaux principes de procedure: confidentialite, celerite, loyaute, in AA.VV., Le nou-veau droit francais de l’arbitrage, a cura di CLAY, cit., 91 ss.; DERAINS - ADELL, Los nuevosprincipios de lealtad, celeridad y confidencialidad del Codigo de Procedimiento Civil Fran-ces, in Spain Arbitration Review, 2011, n. 11, 24 ss.

(55) Su cui si vedano: DERAINS, Les nouveaux principes de procedure: confidentia-lite, celerite, loyaute, cit., 91 ss.; DE LOS SANTOS - SOTO MOYA, Confidentiality under the newfrench arbitration law: a step forward?, in Spain Arbitration Review, 2011, n. 11, 78 ss.; eprima della riforma LOQUIN, Les obligations de confidentialite dans l’arbitrage, in Revue del’arbitrage, 2006, 323 ss.; CAVALIEROS, La confidentialite de l’arbitrage, in Les cahiers del’arbitrage, III, a cura di MOURRE, Paris, 2006, 56 ss.; nonche nella dottrina italiana LAUDISA,Arbitrato e riservatezza, in questa Rivista, 2004, 23 ss.

(56) « Le tribunal arbitral est seul competent pour statuer sur les contestations rela-tives a son pouvoir juridictionnel », recita il citato art. 1465.

(57) Su cui si veda Cass., 16 ottobre 2001, in Revue de l’arbitrage, 2002, 917 ss.,con nota di COHEN. Oltre agli AA. precedentemente citati al par. 2 di questo lavoro, si vedaBOLLEE, Le droit francais de l’arbitrage international apres le decret no 2011-48 du 13 jan-vier 2011, cit., §§ 12 e 19, il quale precisa che gli arbitri godono di « une priorite plutot qued’un veritable monopole » quanto al potere di verificare la propria « competenza ».

(58) Sappiamo che la terza riforma italiana dell’arbitrato ha, invece, previsto la re-gola opposta, ossia quella della possibilita di delegare ad uno degli arbitri l’intera istruttoria,come disposto dall’art. 816-ter c.p.c., su cui si vedano: PUNZI, Disegno sistematico dell’arbi-trato2, II, cit., 234 ss.; RICCI G.F., Art. 816-ter, in Arbitrato2, a cura di CARPI, cit., 407 ss.

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ferimento all’istruzione probatoria, l’art. 1469 prevede un meccani-smo finalizzato a bilanciare il diritto alla prova delle parti con la po-sizione di un terzo: una parte puo, dopo aver ottenuto l’autorizza-zione del collegio arbitrale, proporre un’istanza al presidente del tri-bunal de grande instance per chiedere l’esibizione di un documentoin possesso di un terzo (59). L’art. 1470 riprende per le prove docu-mentali sostanzialmente quanto disposto dal diritto anteriore: salvopatto contrario, il collegio arbitrale puo procedere alla verificazionedi una scrittura privata, mentre resta esclusa l’arbitrabilita della que-rela di falso di un atto pubblico (60).

Sulla scia di un constante orientamento giurisprudenziale, l’art.1468 consacra, infine, il potere del collegio arbitrale di emanare deiprovvedimenti conservativi e provvisori (61), che possono essere ac-

(59) Sul punto CLAY, L’appui du juge a l’arbitrage, cit., 346, ritiene che il decretodel 2011 abbia creato un « vero nuovo giudice nell’arbitrato, il giudice della prova ». Men-tre RACINE, Le nouvel arbitre, cit., 135, sottolinea la circostanza che la disposizione di cui al-l’art. 1469, comma 1o, prevede una « collaborazione tripartita » tra le parti, gli arbitri e ilgiudice statale. Una parte della dottrina (BEGUIN - ORTSCHEIDT - SERAGLINI, Un second soufflepour l’arbitrage. Arbitrage interne, cit., § 44) si duole, tuttavia, dell’assenza di uno stru-mento per richiedere al giudice statale di ordinare la comparizione del testimone davanti agliarbitri; strumento che, al contrario, e stato introdotto dalla riforma italiana del 2006 all’art.816-ter (ancora RICCI G.F., Art. 816-ter, in Arbitrato2, a cura di CARPI, cit., 407 ss., e PUNZI,Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., 263 ss.).

(60) In altre parole, gli arbitri possono decidere sulla paternita e sulla genuinita diuna scrittura privata, mentre non sono compromettibili le questioni relative alla falsita di unatto pubblico. Sul punto LOQUIN, Arbitrage. Instance arbitrale, in Jurisclasseur, Procedurecivile, fasc. 1036, Paris, 1994, § 54, il quale ricorda che l’art. 1470 CPC prevede que « l’in-cident de faux peut etre regle devant l’arbitre. Mais la competence de l’arbitre ne s’etendqu’a l’inscription de faux de l’article 299 du Nouveau Code de procedure civile, c’est-a-direayant pour objet un ecrit sous seing prive. Au contraire, l’inscription de faux de l’article 303du Nouveau Code de procedure civile, dirige contre un acte authentique, n’est pas suscepti-ble d’etre soumise a l’arbitrage ». Sulla possibilita per gli arbitri di procedere alla verifica-zione di una scrittura privata e per la non arbitrabilita della querela di falso, si vedano nelsistema italiano: PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, II, cit., 247 ss., RICCI G.F., Art.816-ter, in Arbitrato2, a cura di CARPI, cit., 433-434.

(61) Gia in precedenza si era riconosciuto il potere degli arbitri di emanare provve-dimenti provvisori (CHAINAIS, La protection juridictionnelle provisoire, cit., 173 ss.; CLAY, Lesmesures provisoires demandees a l’arbitre, in AA.VV., Les mesures provisoires dans l’arbi-trage commercial international. Evolutions et innovations, a cura di JACQUET e JOLIVET, Paris,2007, 9 ss.). A questo proposito, la giurisprudenza (App. Paris, 7 ottobre 2004, in Journal dedroit international, 2005, 341 ss., con nota di MOURRE - PEDONE e in Revue de l’arbitrage,2005, 737 ss., con nota di JEULAND) ha allargato la nozione di sentenza arbitrale per inglobareal suo interno anche quell’atto con cui il collegio arbitrale « s’est definitivement prononce surla demande de mesures conservatoires qui lui avait ete presentee ». Lo scopo di siffatto al-largamento risiede nella necessita di garantire l’accesso all’exequatur ad una misura provvi-soria o conservativa che, oltre ad essere dotata dell’efficacia esecutiva, sara anche, in quanto

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compagnati da una astreinte (62) (vedi anche retro n. 2). Secondoun’opinione autorevole, la possibilita per gli arbitri di pronunciareuna astreinte — pur nel silenzio della legge sul punto — deve essereestesa a tutti i casi in cui cio puo rilevarsi utile, come nel caso di unlodo che contiene la condanna ad un obbligo di fare o non fare (63).

5. Contenute nel capitolo IV del titolo I, le disposizioni sullasentenza in materia di arbitrato interno (64) sono, nell’ordine, relativea: la deliberazione, che deve avvenire secondo diritto, salvo che leparti abbiano conferito agli arbitri il potere di decidere secondoequita (art. 1478), essere segreta (art. 1479) ed essere presa a mag-gioranza di voti (art. 1480); i requisiti della decisione (artt. 1481 e1482); la menzione dei requisiti del lodo previsti a pena di nullita ela possibilita della regolarizzazione dell’atto, al quale la nuova reda-zione dell’art. 1483 ha apportato degli elementi di novita.

Le disposizioni relative agli effetti della decisione arbitralesono sostanzialmente equivalenti a quelle introdotte dalla prima ri-forma del 1980 (65): l’art. 1484, comma 1o, secondo cui « la sentenzaarbitrale ha, appena emanata, l’autorita della cosa giudicata relativa-mente alla contestazione decisa » (66); l’art. 1485, comma 1o, se-

rivestita della forma della sentenza arbitrale, impugnabile immediatamente davanti alla Corted’appello.

(62) Sul potere degli arbitri di pronunciare un’astreinte (considerato come un « pro-longement inherent et necessaire a la fonction de juger ») si vedano gia: App. Paris, 8 giu-gno 1990, in Revue de l’arbitrage, 1990, 917 ss.; App. Paris, 24 maggio 1991, e App. Paris,11 ottobre 1991, in ivi, 1992, 636 ss., con nota di PELLERIN; App. Paris, 7 ottobre 2004, cit.Sulla questione in generale si rinvia a: KAPLAN, Astreintes et sentences arbitrales, in LesCahiers de l’Arbitrage - The Paris Journal of International Arbitration, 2010, 111 ss.;MOURRE, Multas coercitivas y ejecucion en especie en arbitraje internacional, in Spain Arbi-tration Review, 2011, n. 10, 17 ss., in part. 22, per il riferimento alla richiamata giurispru-denza francese.

(63) In questo senso RACINE, Le nouvel arbitre, cit., 132. Sulla possibilita per gli ar-bitri di pronunciare un lodo di condanna ad un obbligo di fare si veda nel sistema franceseApp. Paris, 19 maggio 1998, in Revue de l’arbitrage, 1999, 601 ss.

(64) Gia la prima riforma dell’arbitrato aveva preferito utilizzare il termine « sen-tence arbitrale » a quello di « jugement arbitral » cui si faceva riferimento nel Code del 1806(su questo cambiamento si vedano CLAY, L’arbitre, Paris, 2001, 83 ss.). Nel testo utilizziamoalternativamente i vocaboli sentenza arbitrale e lodo, senza voler dare all’uso dell’uno e del-l’altro termine una particolare implicazione in ordine alla natura della decisione arbitrale.

(65) Scrivono, infatti, JARROSSON - PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrage apres ledecret du 13 janvier 2011, cit., 39, che « le droit anterieur de l’autorite de la chose jugeen’est donc pas affecte par la reforme » del 2011.

(66) Sull’argomento si vedano: MAYER, Litispendence, connexite et chose jugee dans

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condo cui « la sentenza vincola il collegio arbitrale sulla contesta-zione decisa », nel senso che l’atto diviene irrevocabile e immodifi-cabile per gli arbitri, i quali esauriscono il loro potere decisorio inordine alla domanda o alla questione decisa (c.d. principio del des-saisissement) (67).

Viene, in particolare, confermato — in deroga alla regola deldessaisissement — il potere del collegio arbitrale (sollecitato dal-l’istanza di parte) di interpretare il lodo, correggerne gli errori e leomissioni materiali, nonche completarlo in caso di omissione di pro-nuncia (art. 1485, comma 2o), restando esclusa la possibilita di ret-tificarlo in caso vizio di extra o ultrapetizione. Innovando rispetto al

l’arbitrage international, in Melanges Raymond, Paris, 2004, 185 ss.; HASCHER, L’autorite dela chose jugee des sentences arbitrales, in Travaux du comite francais de droit internationalprive. 2000-2002, Paris, 2004, 29 ss.; JARROSSON, L’autorite de chose jugee des sentences ar-bitrales, in Procedures, agosto 2007, etude n. 17; PINNA, L’autorite de la chose jugee invo-quee devant l’arbitre. Point de vue sous le prisme de l’ordre juridique francais, in LesCahiers de l’Arbitrage - The Paris Journal of International Arbitration, 2010, 697 ss.; non-che, se si vuole, BONATO, La nozione e gli effetti della sentenza arbitrale nel diritto francese,in Riv. dir. proc., 2006, 669 ss.; ID., Natura ed effetti del lodo arbitrale in Francia, Belgio,Spagna e Brasile, in PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, III, cit., 755 ss., in part. 768ss. Sulla problematica degli effetti del lodo nell’ordinamento italiano rinviamo, tra gli altri,a: CARPI, Art. 824-bis, in Arbitrato2, a cura di CARPI, cit., 586 ss.; D’ALESSANDRO, Riflessionisull’effıcacia del lodo arbitrale rituale alla luce dell’art. 824-bis c.p.c., in questa Rivista,2007, 529 ss.; ID., Art. 824-bis, in AA.VV., Commentario alle riforme del processo civile, acura di BRIGUGLIO e CAPPONI, III, 2, cit., 960 ss.; LUISO, L’art. 824-bis c.p.c., in questa Rivi-sta, 2010, 235 ss.; RICCI G.F., Ancora sulla natura e sugli effetti del lodo arbitrale, in ivi,2011, 165 ss.; PUNZI, Il processo civile2, III, cit., 234 ss.; ID., Disegno sistematico dell’arbi-trato2, II, 392 ss.; ODORISIO, Arbitrato rituale e « lavori pubblici », Milano, 2011, 420 ss.;nonche BONATO, La natura e gli effetti del lodo arbitrale. Studio di diritto italiano e compa-rato, Napoli, 2012.

(67) Su cui si veda MOREAU, Le prononce de la sentence arbitrale entraıne-t-il ledessaissement de l’arbitre?, in Melanges Poudret, Lausanne, 1999, 453 ss. Sull’autorita dicosa giudicata e sul principio del dessaisissement si rinvia, tra i tanti, a: BLERY, L’effıcacitesubstantielle des jugements civils, Paris, 2000, 117 ss.; GUINCHARD - CHAINAIS - FERRAND, Pro-cedure civile30, cit., 761; CADIET - NORMAND - AMRANI-MEKKY, Theorie generale du proces,Paris, 2010, 888. Per il sistema italiano, in cui non si distingue espressamente l’autorita dicosa giudicata dall’irrevocabilita della sentenza statale e del lodo, si veda LUISO, Intorno aglieffetti dei lodi non definitivi o parzialmente definitivi, in questa Rivista, 1998, 592 ss.

Ricordiamo che, in forza del richiamato orientamento giurisprudenziale (App. Paris, 7ottobre 2004, cit.), la nozione di sentenza arbitrale e duplice: da un lato, abbiamo la sentenzaarbitrale definitiva (irrevocabile e immodificabile) che decide totalmente o parzialmente ilmerito oppure una questione pregiudiziale o preliminare; dall’altro lato, troviamo la sentenzaarbitrale provvisoria che contiene, appunto, una misura provvisoria o conservativa, che epriva dell’autorita di cosa giudicata « au fond », ossia del carattere dell’incontrovertibilita.Sull’argomento JARROSSON - PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrage apres le decret du 13janvier 2011, cit., 39, sottolineano l’assenza della definizione di sentenza arbitrale nel decretodel 2011.

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regime previgente, la domanda d’interpretazione, correzione o com-pletamento del lodo deve essere proposta entro tre mesi dalla notifi-cazione del lodo; il collegio arbitrale ha poi tre mesi per emanare larelativa pronuncia interpretativa o correttiva (art. 1486) (68). In casod’impossibilita di ricostituire il collegio arbitrale, le suddette do-mande sono proposte al giudice che sarebbe stato competente a co-noscere del merito in mancanza di convenzione d’arbitrato (art.1485, comma 3o).

Una novita di rilievo riguarda la notificazione del lodo che nondovra piu necessariamente avvenire tramite ufficiale giudiziario (de-nominata in francese « signification »), lasciando l’art. 1484, comma3o, la liberta alle parti di stabilire altre modalita di notificazione (69).

L’efficacia esecutiva del lodo (la cui disciplina si rinviene nelcapitolo V del titolo I) continua ad essere subordinata alla conces-sione dell’ordinanza di exequatur (70), emanata dal tribunal de

(68) Sul tema si veda, tra gli altri, ORTSCHEIDT, Interpreter n’est pas juger, in LesCahiers de l’Arbitrage - The Paris Journal of International Arbitration, 2010, 212 ss.

(69) Sul punto GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaire analytique du decret du 13 jan-vier 2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit., 298, scrivono che, essendo lasentenza arbitrale « une decision de justice privee », non e necessario applicarle il sistema dinotificazioni previsto per le sentenze statali. Secondo SERAGLINI, L’effıcacite et l’autorite ren-forcees des sentences arbitrales en France apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011,cit., 387, la liberta delle forme in materia di notificazione della sentenza arbitrale trova co-munque il limite nelle regole indicate dall’art. 680 CPC, a norma del quale: « L’acte de no-tification d’un jugement a une partie doit indiquer de maniere tres apparente le delai d’op-position, d’appel ou de pourvoi en cassation dans le cas ou l’une de ces voies de recours estouverte, ainsi que les modalites selon lesquelles le recours peut etre exerce; il indique, enoutre, que l’auteur d’un recours abusif ou dilatoire peut etre condamne a une amende civileet au paiement d’une indemnite a l’autre partie ». Nel sistema francese la notificazione ef-fettuata dall’ufficiale giudiziario (l’huissier de justice) viene denominata « signification » e sicontrappone alla « notification en la forme ordinaire » che avviene senza l’intervento dell’uf-ficiale giudiziario; sulla distinzione tra le due forme di notificazioni si rinvia a FRICERIO, No-tification des actes de procedure, in Jurisclasseur, Procedure civile, fasc. 141, Paris, 2009,1 ss.

(70) Sul punto JARROSSON - PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrage apres le decretdu 13 janvier 2011, cit., 43, scrivono che « il ne saurait etre question d’accorder le caractereexecutoire » alla decisione degli arbitri « sans qu’un juge etatique intervienne ». Si tratta diuna soluzione scelta anche dal legislatore italiano, ma che, come noto, non e universale. In-fatti, nel sistema spagnolo (secondo l’art. 44 della Ley de Arbitraje del 2003 e l’art. 517,comma 2o, n. 2, della Ley de Enjuiciamiento Civil) e in quello brasiliano (secondo l’art. 18della Lei de arbitragem del 1996 e l’art. 475-N, n. IV, del codigo do processo civil) la deci-sione arbitrale e di per se dotata dell’efficacia esecutiva, senza che sia necessario richiedereun provvedimento ulteriore da parte del giudice statale (su cui, se si vuole, si veda BONATO,Natura ed effetti del lodo arbitrale in Francia, Belgio, Spagna e Brasile, cit., 819 e 830-831;ID., La natura e gli effetti del lodo arbitrale., cit., 139 ss. e 154 ss.). Nemmeno nell’ordina-

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grande instance (in composizione monocratica) del luogo in cui estata pronunciata la decisione arbitrale (art. 1487, comma 1o), a con-clusione di un procedimento — instaurato dalla domanda di parte(requete) — che si svolge inaudita altera parte (art. 1487, comma2o) (71). Le formalita del procedimento di omologazione sono, inol-tre, attenuate: l’art. 1487, comma 3o, permette alla parte istante didepositare una copia della convezione d’arbitrato e della decisione aifini della concessione dell’exequatur che potra, conseguentemente,essere apposto anche sulla copia del lodo (art. 1487, comma 4o) (72).Riprendendo la soluzione della giurisprudenza, l’art. 1488, comma1o, stabilisce, inoltre, che l’istanza di exequatur deve essere rigettata,se il lodo e manifestamente contrario all’ordine pubblico (73). L’or-dinanza di accoglimento dell’istanza di exequatur non e autonoma-mente impugnabile, dovendo la parte soccombente introdurre l’ap-pello o l’impugnazione per nullita nei confronti della sentenza arbi-trale, la cui proposizione comporta ipso iure impugnazione anchedell’ordinanza in questione (art. 1499). Entro un mese dalla sua no-tificazione, l’ordinanza di rigetto dell’exequatur e, invece, impugna-bile con l’appello (art. 1500).

6. Rilevanti sono le innovazioni sul sistema delle impugna-zioni (di cui al capitolo VI, titolo I), introdotte al fine di aumentare

mento austriaco e prevista l’omologazione del lodo, come ricorda GRADI, Natura ed effetti dellodo arbitrale in Germania e Austria, in PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, III, cit.,845 ss., in part. 866.

(71) Che il procedimento per ottenere l’exequatur non si dovesse svolgere nel con-traddittorio della controparte lo aveva gia indicato la giurisprudenza (Cass., 9 dicembre 2003,in Revue de l’arbitrage, 2004, 337 ss., con nota di BOLLEE).

(72) Riassuntivamente, il contributo apportato dalla riforma del 2011 in materia diexequatur e stato quello della « simplification des demarches necessaires » per ottenerlo;semplificazione che si e prodotta « tant par une clarification des regles relatives a la proce-dure d’exequatur que par un allegement des formalites requises » (cosı SERAGLINI, L’effıca-cite et l’autorite renforcees des sentences arbitrales en France apres le decret no 2011-48 du13 janvier 2011, cit., 377).

(73) Anche sotto questo aspetto la riforma del 2011 codifica una precedente solu-zione giurisprudenziale, elaborata da App. Paris, 11 luglio 1978, in Revue de l’arbitrage,1978, 538, con nota di VIATTE. Per delle ipotesi di diniego di exequatur in caso di manifestacontrarieta all’ordine pubblico si rinvia anche a Cass., 17 giugno 1971, in Recueil Dalloz,1971, sommaire, 177. Tra i casi diniego dell’exequatur JARROSSON - PELLERIN, Le droit fran-cais de l’arbitrage apres le decret du 13 janvier 2011, cit., 45, aggiungono anche quello delmancato rispetto delle condizioni di forma previste dalla legge.

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la stabilita del lodo attraverso la riduzione delle possibilita di una suacensura (74).

In questa direzione, viene invertito l’ordine di proponibilita deidue mezzi ordinari d’impugnazione, alternativamente esperibili neiconfronti del lodo interno che: e appellabile, solo se le parti lo hannoprevisto; mentre, se non e stata scelta la via dell’appello, e soggettoall’impugnazione per nullita (recours en annulation), proponibile no-nostante qualsiasi preventiva rinuncia (artt. 1489 e 1491) (75). In ma-teria di arbitrato interno, i due mezzi ordinari di impugnazione con-servano il carattere sospensivo, nel senso che la pendenza del ter-

(74) Cosı SERAGLINI, L’effıcacite et l’autorite renforcees des sentences arbitrales enFrance apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., 376, il quale afferma che al fine« d’accroıtre l’effıcacite et, par consequent, l’attractivite de l’arbitrage [...] le nouveau de-cret cherche a l’evidence, en s’inspirant au besoin de solutions retenues a l’etranger, a ren-forcer a la fois l’effıcacite des sentences arbitrales en facilitant leur execution rapide [...], etleur autorite en encadrant et en limitant les recours dont elles peuvent etre l’objet ». Ana-loga tendenza ha seguito anche il legislatore della terza riforma italiana dell’arbitrato, sulpunto si vedano: TOMMASEO, Le impugnazioni del lodo arbitrale nella riforma dell’arbitrato(D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), in questa Rivista, 2007, 199 ss., in part. 210-211, che parlaal riguardo di un rafforzamento dell’autorita e dell’effettivita dell’arbitrato; MARINUCCI, L’im-pugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, Milano, 2009, 11, la qualericorda che « la linea di fondo della riforma [e] una riduzione della censurabilita del lodo ».

(75) Secondo il diritto previgente, il lodo era impugnabile con l’appello se le partinon vi avevano espressamente rinunciato, nel cui caso era proponibile il recours en annula-tion (su cui la critica, tra gli altri, di LOQUIN, Perspectives pour une reforme des voies de re-cours, in Revue de l’arbitrage, 1992, 321). L’inversione dell’ordine delle due impugnazioniordinarie e stata approvata dalla dottrina: GAILLARD - DE LAPASSE, Le nouveau droit francaisde l’arbitrage interne et international, cit., 181, che parlano di una modifica che « constitueun progres sensible en matiere d’arbitrage »; SERAGLINI, L’effıcacite et l’autorite renforceesdes sentences arbitrales en France apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., 388,il quale scrive al proposito che si tratta di « un autre changement notable pour l’arbitrageinterne ». Sul punto si rinvia anche a PELLERIN, La nouvelle articulation des recours en arbi-trage interne, in AA.VV., Le nouveau droit francais de l’arbitrage, a cura di CLAY, 175 ss.,in part. 179 ss.

Ricordiamo che il recours en annulation e un mezzo d’impugnazione ordinario a cri-tica vincolata (i cui motivi sono elencati all’art. 1492), sostanzialmente assimilabile all’im-pugnazione per nullita del lodo, di cui agli artt. 828 ss. del codice di rito italiano (nel lavorodi PERROT, La riforma dell’arbitrato in Francia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1985, 416 ss., inpart. 426, si utilizza, infatti, la terminologia impugnazione per nullita per riferirsi al recoursen annulation). Il recours en annulation e costruito come un’impugnazione a duplice fase:una rescindente, diretta a verificare la sussistenza dei vizi del lodo dedotti dalla parte impu-gnante; una rescissoria (eventuale), nel corso della quale la Corte d’appello decide nel me-rito della lite nei limiti della missione degli arbitri, salva la contraria volonta delle parti (l’art.1493 dispone che: « Lorsque la juridiction annule la sentence arbitrale, elle statue sur lefond dans les limites de la mission de l’arbitre, sauf volonte contraire des parties »). Per ul-teriori informazioni si rinvia a LOQUIN, Arbitrage. La decision arbitrale, in Jurisclasseur,Procedure civile, fasc. 1046, Paris, 2012, § 87 ss.

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mine per esercitarli, cosı come la loro proposizione, sospendonol’esecuzione del lodo, salvo che gli arbitri lo abbiano dichiaratoprovvisoriamente esecutivo (art. 1496). Nella fase di impugnazione,il giudice della Corte d’appello — il primo presidente o il conseillerde la mise en etat — puo sospendere la provvisoria esecutorietaconcessa dagli arbitri, oppure conferirla lui stesso alla decisione ar-bitrale (art. 1497) (76).

Confermando le soluzioni anteriori, si stabilisce che: compe-tente a conoscere delle impugnazioni del lodo e la Corte d’appellodel luogo in cui e stata emanata la sentenza arbitrale (art. 1494,comma 1o) (77); il rigetto dell’appello o del recours en annulationconferisce l’exequatur alla decisione arbitrale (o ai capi di questa chenon sono stati riformati o annullati), come indicato dall’art. 1498,comma 2o (78).

Da rivelare che, allo scopo di limitare i casi di annullamentodel lodo, e stato introdotto, all’art. 1466, l’onere di dedurre davantiagli arbitri le irregolarita del procedimento, pena la preclusione dipoterle far valere in sede di impugnazione della decisione (79). Si

(76) Si tratta di regole sostanzialmente analoghe a quelle anteriormente vigenti, sucui si veda ORTSCHEIDT, L’octroi et l’arret de l’execution provisoire des sentences arbitralesen France, in Revue de l’arbitrage, 2004, 9 ss.

(77) Per individuare la Corte d’appello competente a decidere sulle impugnazioni dellodo si preferisce fare ricorso al criterio della sede dell’arbitrato, indicata dalle parti, che sa-rebbe prevalente su quello del luogo della sentenza. In questo senso si veda LOQUIN, Arbi-trage. La decision arbitrale, cit., § 27, il quale scrive che « la volonte des parties n’a d’au-tre objet que d’elire la competence territoriale de la cour d’appel ».

(78) In mancanza di un’analoga previsione nel sistema italiano, la dottrina si e chie-sta se dopo il rigetto dell’impugnazione per nullita, il lodo acquistasse automaticamente ef-ficacia esecutiva oppure se fosse comunque necessario il decreto di omologazione. Non po-tendo, in questa sede, affrontare tale problematica, rinviamo a BOCCAGNA, Esecutorieta dellodo arbitrale e opposizioni ex artt. 615 e 617 c.p.c., in Scritti sul processo esecutivo e fal-limentare in ricordo di Raimondo Annecchino, Napoli, 2005, 35 ss., e dopo la riforma del2006 a AULETTA, Art. 825, in Nuove leggi civ. comm., 2007, 1403. Per PUNZI, Disegno siste-matico dell’arbitrato2, II, cit., 574, non si puo prescindere dall’omologazione del lodo, an-che dopo il rigetto o la preclusione dell’impugnazione per nullita.

(79) Precisiamo, al riguardo, che l’art. 1466 non e contenuto nel capitolo relativo alleimpugnazioni del lodo, ma in quello sul procedimento arbitrale, e dispone che: « La partiequi, en connaissance de cause et sans motif legitime, s’abstient d’invoquer en temps utile uneirregularite devant le tribunal arbitral est reputee avoir renonce a s’en prevaloir ». SecondoGAILLARD - DE LAPASSE, Commentaire analytique du decret du 13 janvier 2011 portant re-forme du droit francais de l’arbitrage, cit., 292, l’onere di deduzione, di cui all’art. 1466,deriva dal « principio di coerenza », mentre per DERAINS, Les nouveaux principes de proce-dure: confidentialite, celerite, loyaute, cit., 93, deriva dal dovere di lealta che si impone alleparti del giudizio arbitrale. Comunque, gia in precedenza, era stato riconosciuto che la par-

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tratta di un meccanismo di sanatoria analogo a quello previsto dal-l’art. 829, comma 2o, del codice di rito italiano (80). Ugualmente fi-nalizzata a sanare i vizi del lodo e la disposizione di cui al comma2o dell’art. 1483, che permette di regolarizzare gli elementi mancantiche sono previsti a pena di nullita dell’atto (81).

Come indicato dagli artt. 1494, comma 2o, il recours en annu-lation o, alternativamente, l’appello sono esperibili fin dall’emana-zione della decisione arbitrale e non sono piu proponibili decorso unmese dalla sua notificazione, a nulla rilevando la concessione del-l’exequatur (82). Si tratta di un’innovazione importante che sostitui-sce la regola anteriore, in base alla quale il termine breve di un meseper l’esercizio delle impugnazioni ordinarie decorreva dalla notifica-zione del lodo solo se dotato dell’exequatur (abrogato art. 1486,comma 2o) (83). La riforma del 2011 non modifica, invece, la solu-zione dell’inapplicabilita alle decisioni arbitrali del termine lungoper impugnare, previsto dall’art. 528-1 CPC per le sole decisionistatali (84).

Quanto alle altre impugnazioni, il lodo interno e, inoltre, assog-gettato al recours en revision (assimilabile all’italiana revocazionedelle sentenze), in base al rinvio effettuato dall’art. 1502 ad alcuni

tecipazione alla procedura arbitrale senza la deduzione di una « irregolarita » comportasse larinuncia a far valere quest’ultima in sede di impugnazione, su cui rinviamo a: CADIET, La re-nonciation a se prevaloir des irregularites de la procedure arbitrale, in Revue de l’arbitrage,1996, 3 ss.; LOQUIN, Arbitrage. La decision arbitrale, cit., § 36; Cass., 6 luglio 2005, in ivi,2005, 993 ss., con nota di PINSOLLE; Cass., 6 maggio 2009, in ivi, 2010, 299 ss., con nota diCOHEN.

(80) Sul punto si vedano: BOCCAGNA, Art. 829, in Nuove leggi civ. comm., 2007,1418, che parla di « clausola generale di sanatoria delle nullita verificatesi nel corso del pro-cedimento »; MENCHINI, Impugnazione del lodo « rituale », in questa Rivista, 2005, 848 ss.,in part. 854; ZUCCONI GALLI FONSECA, Art. 829, in Arbitrato2, a cura di CARPI, cit., 712 ss.

(81) Su cui si vedano JARROSSON - PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrage apres ledecret du 13 janvier 2011, cit., 37.

(82) Sul punto SERAGLINI, L’effıcacite et l’autorite renforcees des sentences arbitralesen France apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., 387, scrive che la richiamatainnovazione « permettra d’obtenir plus rapidement une sentence definitive ».

(83) In materia Cass., 15 febbraio 1995, in Revue de l’arbitrage, 1996, 223 ss., connota di MOREAU, aveva specificato che « le delai pour former appel contre une sentence ar-bitrale ne cesse a l’expiration du mois suivant la signification de la sentence que si cettesentence est revetue de l’exequatur ».

(84) Si veda Cass., 18 ottobre 2001, in Revue de l’arbitrage, 2002,157, con nota diPINSOLLE, la quale afferma che « les dispositions de l’article 528-1 NCPC ne s’appliquent pasaux sentences arbitrales ». Per altri riferimenti rinviamo a BONATO, La natura e gli effetti dellodo arbitrale, cit., 114 ss.

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degli articoli disciplinanti la revision delle sentenze statali (85), ed eimpugnabile con l’opposizione di terzo davanti al giudice che sa-rebbe stato competente a conoscere del merito in mancanza dellaconvenzione d’arbitrato (art. 1501); mentre viene esclusa la ricorri-bilita in cassazione e la proponibilita dell’opposition (art. 1503) (86).

7. Per disciplinare l’arbitrato internazionale il decreto del2011 ha scelto la tecnica del rinvio alle disposizioni dell’arbitrato in-terno: l’art. 1506 indica quali sono quegli articoli relativi all’arbitratointerno la cui applicazione viene estesa all’arbitrato internazionale,salve, in ogni caso, una diversa determinazione delle parti e la pre-senza di disposizioni specifiche al tipo internazionale (87). In pratica,si tratta di un rinvio « selettivo » che, tuttavia, secondo alcuni autori,non e in grado di escludere l’applicazione all’arbitrato internazionaleanche di altri articoli del titolo I, pur se non espressamente richiamatidall’art. 1506 (88).

(85) Il recours en revision sara deciso dagli stessi arbitri e, solo nel caso in cui ilcollegio arbitrale non possa essere ricostituito, dalla Corte d’appello, quest’ultima avendo inmateria « une competence subsidiaire » (PELLERIN, La nouvelle articulation des recours enarbitrage interne, cit., 186). Al contrario, secondo il diritto previgente, il recours en revisionera deciso sempre dai giudici statali (su cui CLAY, Le fabuleux regime du recours en revisioncontre les sentences arbitrales, in Melanges Guinchard, Paris, 2010, 651 ss.). Approva lascelta in materia di recours en revision SERAGLINI, L’effıcacite et l’autorite renforcees des sen-tences arbitrales en France apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., § 36, secondocui « la solution semble bienvenue, des lors qu’elle est conforme a la volonte initiale desparties de voir leur litige tranche par le Tribunal arbitral et qu’il est logique que ce recourssoit porte devant celui qui a eu a connaıtre du litige, comme c’est le cas dans le droit com-mun du recours en revision ».

(86) L’esclusione dell’opposition di cui all’art. 571, che e un mezzo di impugnazioneconcesso alla parte contumace, e dovuta al fatto che nel giudizio arbitrale non si ha la con-tumacia (LOQUIN, Arbitrage. La decision arbitrale, cit., § 9 ss., cui si rinvia anche per le ra-gioni dell’inammissibilita del ricorso per cassazione).

(87) L’art. 1506 rende applicabili all’arbitrato internazionale i seguenti articoli:1446,1447,1448 (commi 1o e 2o) e 1449, relativi alla convenzione d’arbitrato; da 1452 a1458 et 1460, relativi alla costituzione del collegio arbitrale e alla procedura che si svolgedavanti al juge d’appui; 1462, 1463 (comma 2o), 1464 (comma 3o), da 1465 a 1470 e 1472relativi al procedimento arbitrale; 1479, 1481, 1482, 1484 (commi 1o e 2o), 1485 (commi 1o

e 2o) e 1486 relativi alla sentenza arbitrale; 1502 (commi 1o e 2o) e 1503 relativi ai mezzid’impugnazione, diversi dall’appello e dal recours en annulation. I riformatori hanno, quindi,deciso di scartare l’ipotesi (contemplata nel citato progetto di riforma elaborato dal Comitede francais de l’arbitrage) di riprendere per esteso la formulazione degli articoli contenutinel titolo I per riportarla nel titolo II, su cui si vedano le considerazioni di KLEIMAN - SPI-NELLI, La reforme du droit de l’arbitrage, sous le double signe de la lisibilite et de l’effıca-cite. A propos du decret du 13 janvier 2011, cit., § 9.

(88) In questo senso si vedano: JARROSSON - PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrage

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Subito dopo la definizione di arbitrato internazionale, contenutanell’art. 1504 (su cui vedi retro n. 1), viene disciplinato dall’art.1505 il « juge d’appui de la procedure arbitrale », i cui poteri ven-gono ricalcati sull’analogo giudice in materia di arbitrato interno (89),che per tutti gli arbitrati internazionali — indipendentemente dalluogo della loro sede e svolgimento — e il presidente del tribunal degrande instance di Parigi (90), la cui competenza resta, pur sempre,derogabile, potendo le parti indicare come juge d’appui un altro giu-dice francese o straniero (91). Tra i quattri i criteri di competenzadel juge d’appui, indicati dall’art. 1505, quelli di cui ai nn. 1 e 2riprendono quanto stabiliva il previgente art. 1493 (92) ed « espri-mono un punto di vista del tutto tradizionale », mentre gli altri duecostituiscono una « (parziale) novita » (93): nel n. 3 il juge d’appuideriva la sua competenza in forza della scelta delle parti (di un ar-bitrato straniero) di affidare agli « organi giudiziari statali fran-cesi » il potere di « conoscere delle controversie relative alla proce-

apres le decret du 13 janvier 2011, cit., 60; BOLLEE, Le droit francais de l’arbitrage interna-tional apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., § 8.

(89) La formula « juge d’appui de la procedure arbitrale » e stata criticata da CLAY,L’appui du juge a l’arbitrage, cit., 334 ss., in quanto « elle semble faire une difference entrele juge d’appui interne et le juge d’appui international, alors que c’est tout le contraire ».

(90) La previsione di questa competenza accentrata nel TGI parigino, voluta dai ri-formatori del 2011, viene spiegata da CLAY, L’appui du juge a l’arbitrage, cit., 336, in basead un fattore quantitativo (la maggior parte degli arbitrati internazionali svolgendosi a Parigi)e di specializzazione (« le president du TGI de Paris a developpe au long des annees unecompetence incontestable et precieuse »). Sul punto si vedano: GAILLARD, Reflexions sur lenouveau droit francais de l’arbitrage international, cit., 532, secondo cui questo accentra-mento di competenza conferisce alle parti « la certitude que le juge d’appui aura una par-faite connaissance de l’arbitrage »; MOURRE - AMEZAGA, La competencia del juez de apoyofrances, en particular en caso de denegacion de justicia. El nuevo art. 1505 del Codigo Pro-cesal Civil, in Spain Arbitration Review, 2011, n. 11, 95 ss., in part. 96, i quali scrivono chesiffatto accentramento di compentenza del juge d’appui « favorece la coherencia de las so-luciones adoptadas ».

(91) Per questa prospettiva CLAY, L’appui du juge a l’arbitrage, cit., 337, il qualededuce la possibilita di indicare un giudice straniero come « juge d’appui » per un arbitratointernazionale con sede in Francia dalla previsione della competenza del TGI di Parigi pergli arbitrati internazionali con sede all’estero. Considerano il criterio di competenza, indicatodall’art. 1505, come suppletivo della volonta delle parti MOURRE - AMEZAGA, La competenciadel juez de apoyo frances, en particular en caso de denegacion de justicia. El nuevo art.1505 del Codigo Procesal Civil, cit., 96.

(92) I nn. 1 e 2 dell’art. 1505 prevedono rispettivamente l’intervento del juge d’ap-pui per: gli arbitrati internazionali la cui sede e in Francia; gli arbitrati internazionali rispettoai quali le parti hanno scelto l’applicabilita della legge processuale francese.

(93) Cosı BRIGUGLIO, Funzioni giudiziali ausiliarie e di controllo ed arbitrato estero,in questa Rivista, 2011, 573 ss., in part. 605-606.

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dura arbitrale » (94); nel n. 4, infine, sulla scia del celebre arret Niocdella Corte di cassazione (95), la competenza del giudice francese efondata sul « rischio di un diniego di giustizia », che corre una delleparti (96). Perfettamente in linea con la concezione universalisticadell’arbitrato internazionale, propria del sistema francese (97), tale« compentenza sussidiaria universale » del giudice francese per di-niego di giustizia tende a garantire la costituzione di un collegio ar-bitrale in ipotesi eccezionali, quali una guerra civile o delle ostilitafondate sulla nazionalita, nonche a salvare le convenzioni d’arbitrato« patologiche », prive dell’indicazione dell’istituzione arbitrale, dellalegge e della sede dell’arbitrato (98). Da sottolineare che, contraria-

(94) Sul punto si veda BRIGUGLIO, Funzioni giudiziali ausiliarie e di controllo ed ar-bitrato estero, cit., 606-607, il quale, nel considerare « irrealistico » lo scenario descritto dallafattispecie di cui al n. 3 dell’art. 1505, specifica che, rispetto al giudice dello Stato in cui hasede l’arbitrato, la designazione effettuata, in tal caso, dal giudice francese non varra comeatto giurisdizionale, dovendo essere valutata « alla stregua di attivita di appointing authorityconvenzionalmente prescelta »; all’A. si rinvia anche per l’analisi dei casi in cui il giudicefrancese abbia adottato un provvedimento di rimozione dell’arbitro e provvedimenti di altrogenere. Anche BOLLEE, Le droit francais de l’arbitrage international apres le decret no

2011-48 du 13 janvier 2011, cit., § 7, afferma che le concrete applicazioni della fattispecie dicui al n. 3 dell’art. 1505 « seront sans doute peu nombreuses ».

(95) Si tratta, in particolare, di Cass., 1o febbraio 2005, in Revue de l’arbitrage,2005, 693 ss., con nota di MUIR WATT, e in Revue critique de droit international prive, 2006,140, con nota di CLAY, secondo la quale « l’impossibilite pour une partie d’acceder au juge,fut-il arbitral, charge de statuer sur sa pretention, a l’exclusion de toute juridiction etatique,et d’exercer ainsi un droit qui releve de l’ordre public international consacre par les princi-pes de l’arbitrage international et l’article 6, § 1, de la Convention europeenne des droits del’homme, constitue un deni de justice qui fonde la competence internationale du president dutribunal de grande instance de Paris, dans la mission d’assistance et de cooperation du jugeetatique a la constitution d’un tribunal arbitral, des lors qu’il existe un rattachement avec laFrance »; sentenza con la quale la Suprema Corte ha rigettato l’impugnazione proposta neiconfronti di App. Paris, 29 marzo 2001, in questa Rivista, 2002, 95 ss., nonche 25 ss., per leosservazioni di MOURRE, Diritto di accesso alla giustizia ed ordine pubblico internazionale:spunti di riflessione sul forum necessitatis in materia arbitrale. Sul tema del diniego di giu-stizia si rinvia anche a: TRAIN, Deni de justice et arbitrage international, in Les cahiers del’arbitrage, III, a cura di MOURRE, cit., 66 ss.; MOURRE - VAGENHEIM, Some comments on de-nial justice public and private international law after Lowen and Saipem, in Liber AmicorumBernardo Cremades, Madrid, 2010, 843 ss.

(96) Tale criterio di cui al n. 4 dell’art. 1505 e considerato da GAILLARD, Reflexionssur le nouveau droit francais de l’arbitrage international, cit., 532, come « piu originale »rispetto a quelli « classici » contenuti nei nn. 1, 2 e 3.

(97) Cosı ancora CLAY, L’appui du juge a l’arbitrage, cit., 343, e CHEVALIER, Le nou-veau juge d’appui, cit., 159, che parla di una « dimensione universale » del juge d’appui.

(98) In questo senso GAILLARD, Reflexions sur le nouveau droit francais de l’arbi-trage international, cit., 533. Sul carattere residuale del criterio di intervento del juge d’ap-pui fondato sul diniego di giustizia si veda anche CHEVALIER, Le nouveau juge d’appui, cit.,160.

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mente a quanto deciso dalla citata giurisprudenza Nioc, i riformatoridel 2011 non hanno subordinato la competenza del juge d’appui allapresenza di un collegamento, pur tenue, tra l’arbitrato e l’ordina-mento francese e hanno ampliato il potere di intervento del giudicefrancese anche in relazione ad altre vicende relative agli arbitri (ol-tre quelle sulla loro nomina), quali la loro sostituzione, ricusazione erevoca (99). Il descritto criterio basato sul rischio del diniego di giu-stizia ha sollevato delle perplessita in una parte della dottrina (100).

Le regole specificamente dettate per l’arbitrato internazionalesono il frutto di un « estreme liberalisme » (101) e sono state elabo-rate con l’intento di ampliare la sfera di sovranita della volonta delleparti. In questa direzione, l’art. 1507 (contenuto nel primo capitolodel titolo II) sottrae la convenzione d’arbitrato in materia internazio-nale ad ogni requisito attinente alla forma, l’unica esigenza richiestasul punto e quella della prova della inequivoca volonta compromis-soria delle parti (102). Nella stessa prospettiva, si permette alle istitu-zioni arbitrali di assumere direttamente il ruolo di arbitri e si am-mette la possibilita che un collegio arbitrale sia composto da un nu-mero pari di arbitri (contrariamente a quanto previsto in materia in-

(99) Aspetto sottolineato da BRIGUGLIO, Funzioni giudiziali ausiliarie e di controlloed arbitrato estero, 609; e da MOURRE - AMEZAGA, La competencia del juez de apoyo frances,en particular en caso de denegacion de justicia. El nuevo art. 1505 del Codigo Procesal Ci-vil, cit., 106.

(100) Per un’analisi critica del criterio di cui al n. 4 dell’art. 1505 si rinvia a BRIGU-GLIO, Funzioni giudiziali ausiliarie e di controllo ed arbitrato estero, cit., 610-611, il quale,rispetto alle scelte legislative unilaterali sulle « funzioni giudiziali ausiliarie » in materia diarbitrato, propone di introdurre: « una convenzione sull’arbitrato almeno in ambito euro-peo »; « una convenzione di diritto uniforme dell’arbitrato, non necessariamente esaustivaquanto alla disciplina innanzi agli arbitri (...) ».

(101) Cosı GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaire analytique du decret du 13 janvier2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit., 307; GAILLARD, Reflexions sur lenouveau droit francais de l’arbitrage international, cit., 530.

(102) La finalita dell’art. 1507 non e quella di ammettere la stipulazione di conven-zioni d’arbitrato puramente verbali, ma quella di rendere piu agevole l’ammissibilita delleconvenzioni stipulate per relationem. In questo senso GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaireanalytique du decret du 13 janvier 2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit.,310, scrivono che « cette manifestation de liberalisme accru a l’egard de l’arbitrage inter-national ne signifie pas, comme une vision caricaturale pourrait le laisser penser, que le droitfrancais s’est decouvert une passion pour les conventions d’arbitrage qui resulteraient d’unechange de consentement purement oral donne entre deux entites etrangeres l’une a l’autreet sans relations prealables, dans des circonstances de fait qui font de l’exemple unehypothese d’ecole »; nonche JARROSSON - PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrage apres ledecret du 13 janvier 2011, cit., 64.

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terna) (103); mentre le esigenze di indipendenza e imparzialita sonoinderogabili, trattandosi di requisiti appartenenti all’ordine pubblicointernazionale (104).

Quanto alle disposizioni contenute nel capitolo II relativo alprocedimento arbitrale e alla decisione, viene stabilito che le regoleprocedimentali possono essere determinate dalle parti nella conven-zione d’arbitrato, direttamente o attraverso il richiamo ad un regola-mento di un’istituzione arbitrale; in mancanza spettera agli arbitriregolare il procedimento (art. 1509, commi 1o e 2o). In ogni caso,l’art. 1510 esige sempre il rispetto del principio della parita dei po-teri e doveri delle parti e di quello del contraddittorio. Nessun ter-mine per la decisione viene indicato dalla legge: solo le parti po-tranno stabilire il termine entro il quale gli arbitri devono emanare illodo (105).

Un’importante innovazione e contenuta nell’art. 1513, comma3o, in cui si conferisce al presidente del collegio arbitrale il potere didecidere da solo, qualora all’interno del collegio non si formi unamaggioranza; in tal caso, se gli altri arbitri si rifiutano di sottoscri-vere il lodo, quest’ultimo viene sottoscritto dal solo presidente, fa-cendone menzione nell’atto (106). Si tratta di una regola (derogabiledalle parti) pensata specificatamente in relazione all’arbitrato inter-nazionale, in ragione delle possibili diverse culture degli arbitri, checomporta una deroga al principio di collegialita e di uguaglianza tra

(103) Come ricordato da GAILLARD, Reflexions sur le nouveau droit francais de l’ar-bitrage international, cit., 543, il fatto che l’indicazione di un numero pari di arbitri e l’at-tribuzione dell’incarico di arbitro ad un’istituzione arbitrale siano delle scelte poco oppor-tune, non vuol dire che vadano proibite « de maniere autoritaire ».

(104) Cosı GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaire analytique du decret du 13 janvier2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit., 316.

(105) Cosı JARROSSON - PELLERIN, Le droit francais de l’arbitrage apres le decret du13 janvier 2011, cit., 65; BOLLEE, Le droit francais de l’arbitrage international apres le de-cret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., § 15.

(106) Per elucidare la nuova regola che permette al presidente del collegio arbitraledi decidere autonomamente richiamiamo quanto scritto al proposito da JARROSSON - PELLERIN,Le droit francais de l’arbitrage apres le decret du 13 janvier 2011, cit., 67, secondo i quali:« On sait cependant qu’il peut arriver qu’aucune majorite ne se degage au sein du tribunalarbitral: deux coarbitres pouvant avoir une position inconciliable et le troisieme n’etantd’accord avec aucune d’entre elles. Des lors, soit le president doit rejoindre la position qu’ilestime etre la moins mauvaise, soit statuer seul ». Sul punto MAYER, Rapport de synthese, inAA.VV., Le nouveau droit francais de l’arbitrage, a cura di CLAY, 219 ss., in part. 226, siduole del fatto che il presidente di un arbitrato interno non abbia gli stessi poteri che glispettano nell’ambito dell’arbitrato internazionale, in quanto i contrasti tra i componenti di uncollegio arbitrale si pongono allo stesso modo nei due tipi di arbitrati.

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arbitri, affidando al presidente del collegio dei poteri rinforzati, perevitare di scegliere una delle soluzione proposte dagli altri compo-nenti (107). Non indicando la legge i presupposti per l’applicazionedell’art. 1513, comma 3o, si ritiene che il presidente possa adottarequesta decisione autonoma e « solitaria », nell’ipotesi in cui gli altriarbitri abbiano assunto un atteggiamento « esageratamente sensibileagli interessi » di colui che li ha designati (108).

Il capitolo III contiene la disciplina (uniforme) per « il ricono-scimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali emanate all’estero edi quelle in materia di arbitrato internazionale » (109). A questi fini,l’art. 1514 dispone che la parte che intende avvalersi di un lodo in-ternazionale o straniero deve provare la sua esistenza e la non mani-festa contrarieta all’ordine pubblico internazionale (110). Il procedi-mento per ottenere l’exequatur di un lodo internazionale o straniero(artt. 1516 e 1517) e sostanzialmente assimilabile a quello dettato per illodo interno. Una novita in materia e quella relativa all’accentramentoin capo al presidente del tribunal de grande instance di Parigi dellacompetenza a concedere l’exequatur per tutti i lodi stranieri (111).

Rilevanti le modifiche in materia di impugnazione contenutenel capitolo IV del titolo II, al cui interno troviamo una prima se-

(107) Cosı RACINE, Le nouvel arbitre, cit., 135.(108) In questo senso BOLLEE, Le droit francais de l’arbitrage international apres le

decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., § 18. Secondo RACINE, Le nouvel arbitre, cit., 135,il potere di cui all’art. 1513, comma 3o, permette al presidente di superare « le comportementpotentiellement partisan de chacun des coarbitres ».

(109) Si ricorda, inoltre, che Cass., 17 ottobre 2000, in Revue de l’arbitrage, 2000,648, con nota di MAYER, ha avuto modo di specificare che la distinzione tra lodo interno elodo internazionale e irrilevante quando si tratta di un arbitrato straniero. Da sottolineare an-che che l’uso della formula (gia utilizzata dalla prima riforma del 1981) « sentence rendue al’etranger » anziche di quella « sentence arbitrale etrangere » deriva dall’idea di lasciare inombra, nei limiti del possibile, la distinzione fondata sulla nazionalita, poiche la sentenza ar-bitrale « par definition, echappe a tout ordre juridique, qui n’est rendue au nom d’aucunesouverainete et dont les elements d’extraneite varient a des degres differents » (cosı PERROT,Sur la reforme de l’arbitrage international, in Travaux du Comite francais de droit interna-tional prive, 1981-1982, Paris, 1985, 53 ss., in part. 60-61).

(110) Per alleggerire le formalita per ottenere il riconoscimento e l’esecuzione del-l’atto, l’art. 1515, comma 1o, permette di depositare una copia della convenzione d’arbitratoo della sentenza internazionale o straniera. Nella medesima direzione, l’art. 1515, comma 2o,concede la possibilita di depositare una traduzione non giurata, ossia non compiuta da un tra-duttore specializzato, delle sentenze redatte in una lingua diversa dal francese.

(111) Sul punto SERAGLINI, L’effıcacite et l’autorite renforcees des sentences arbitra-les en France apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., 379, scrive che « cetteconcentration de competence dans les mains d’un juge “dedie” a cette tache ne peut que fa-voriser l’exequatur des sentences arbitrales ».

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zione relativa al lodo internazionale emanato in Francia ed una se-conda sezione relativa al lodo emanato all’estero; cui segue una terzasezione, dedicata ad entrambi i tipi di lodo (112).

Nel ribadire che l’unico mezzo di impugnazione ordinario pro-ponibile nei confronti del lodo internazionale e quello del recours enannulation (art. 1518), la riforma del 2011 introduce la possibilita dirinunciarvi preventivamente « con una convenzione speciale e inogni momento » (art. 1522, comma 1o), indipendentemente dall’as-senza di legami delle parti (quali la residenza, il domicilio o la sede)con l’ordinamento francese (113). Data la gravita di una scelta diquesto tipo, si richiede una manifestazione di volonta specifica(« una convenzione speciale », come indicanto dal citato art. 1522,

(112) A differenza della scelta effettuata dal decreto del 1981, quello del 2011 hapreferito distinguere il regime d’impugnazione della sentenza in materia di arbitrato interna-zionale dai mezzi esperibili nei confronti del provvedimento di exequatur di una sentenza ar-bitrale straniera. Sul punto si vedano le considerazioni di ORTSCHEIDT - SERAGLINI, La nouvellearticulation des recours en arbitrage international, in AA.VV., Le nouveau droit francais del’arbitrage, a cura di CLAY, 189 ss.

(113) Da sottolineare che l’art. 1522 non subordina la validita della rinuncia preven-tiva al recours en annulation della sentenza arbitrale internazionale a nessuna condizione re-lativa alla posizione delle parti, a differenza di quanto previsto da altri sistemi che ammet-tono la rinunciabilita all’impugnazione per nullita solo se le parti non presentano dei legami(residenza, domicilio o sede) con lo Stato della sede dell’arbitrato, come: l’art. 192 dellaLegge svizzera di diritto internazionale privato; l’art. 1717, comma 4o, del Code judiciairebelga; l’art. 51 della legge svedese sull’arbitrato del 4 marzo 1999, (per maggiori ragguaglisui citati articoli si veda POUDRET - BESSON, Droit compare de l’arbitrage commercial inter-national, cit., 826 ss.). Sull’art. 1522 CPC francese si vedano: JARROSSON - PELLERIN, Le droitfrancais de l’arbitrage apres le decret du 13 janvier 2011, cit., 70-71; SERAGLINI, L’effıcaciteet l’autorite renforcees des sentences arbitrales en France apres le decret no 2011-48 du 13janvier 2011, cit., 392 ss., il quale, pur riconoscendo che si tratta di una soluzione « en phaseavec la vision delocalisee de l’arbitrage international qui est celle du droit francais », sipone, tuttavia, in senso critico circa le modalita e le conseguenze della descritta possibilita dirinuncia al recours en annulation; difficolta che « sont largement liees au fait que la renon-ciation au recours en annulation n’est pas reservee au cas ou les deux parties sont etrange-res ou domiciliees a l’etranger, et peut donc concerner des parties francaises ou domicilieesen France » (396); CREMADES A.C., El dualismo del nuevo derecho frances del arbitraje a laluz del universalismo y de la deslocalizacion, cit., 51, che considera la possibilita della ri-nuncia all’impugnazione per nullita come « la consecuencia ultima de la “deslocalizacion”del arbitraje »; apprezzano la novita in discorso MONTERO F.J. - BEDOYA, La renuncia a la ac-cion de anulacion en la nueva ley de arbitraje francesa, in Spain Arbitration Review, 2011,n. 11, 145 ss., in part. 147, secondo cui « el regim en frances goza de mayor coherencia queel belga o el suizo, permitiendo la posibilidad de renunciar a la accion de anulacion inclusosi hay partes francesas implicadas, siempre y cuando el arbitraje tenga la consideracion deinternacional, mostrando una mayor confianza en el sistema ». Da ricordare che FOUCHARD,La portee international de l’annulation de la sentence arbitrale dans son pays d’origine, inRevue de l’arbitrage, 1997, 329 ss., in part. 351, aveva proposto di sopprimere ogni tipo dicontrollo del lodo internazionale ad opera dei giudici dello Stato della sede dell’arbitrato.

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comma 1o) avente direttamente ad oggetto la rinuncia al recours enannulation, non essendo sufficiente ricorrere a delle formule genera-li (114). In ogni caso, per conferire uno strumento di difesa alla parteche ha preventivamente rinunciato al recours en annulation, ilcomma 2o dell’art. 1522 rende appellabile l’ordinanza d’exequaturrelativa al lodo internazionale, per uno dei motivi per i quali questapuo essere annullata (115). La Corte d’appello competente a cono-scere del recours en annulation e quella del luogo in cui il lodo in-ternazionale e stato pronunciato, impugnazione che deve essere pro-posta nel termine di un mese dalla notificazione dell’atto (116). I casidi annullamento del lodo restano sostanzialmente invariati (art.1520) rispetto a quanto stabilito dalle previgenti disposizioni (117).Quanto alle impugnazioni straordinarie del lodo internazionale, vieneesclusa l’opposizione di terzo (118), mentre si ammette il recours en

(114) In questo senso GAILLARD, Reflexions sur le nouveau droit francais de l’arbi-trage international, cit., 539, cui si rinvia anche per altre questioni; analogamente BOLLEE, Ledroit francais de l’arbitrage international apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit.,§ 26, afferma che le parti devono prevedere in modo specifico che rinunciano al recours enannulation.

(115) Nel citato Rapport au Premier ministre del decreto n. 2011-48 si esplicita chela disposizione di cui all’art. 1522, comma 2o, tende a preservare « le droit des parties a unrecours effectif ». Per SERAGLINI, L’effıcacite et l’autorite renforcees des sentences arbitralesen France apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., 394 ss., siamo in presenza diun nuovo mezzo di impugnazione, quello dell’« appel de l’ordonnance d’exequatur d’unesentence rendue en France ».

(116) Cosı dispone l’art. 1519 che contiene regole analoghe a quelle previste in ma-teria di arbitrato interno, alle quali, pertanto, rinviamo.

(117) Tuttavia, GAILLARD, Reflexions sur le nouveau droit francais de l’arbitrage in-ternational, cit., 536-537, ritiene che sia possibile « placer tres haut la barre de la violationde l’ordre public international », non avendo il legislatore del 2011 inserito nell’art. 1520CPC il carattere flagrante, effettivo e concreto della violazione dell’ordine pubblico, richie-sto, invece, da una parte della giurisprudenza (App. Paris, 18 novembre 2004, in Journal dedroit international, 2005, 357 ss., con nota di MOURRE).

Si ricorda, inoltre, che se la Corte d’appello annulla un lodo internazionale, non devepoi decidere nel merito: App. Paris, 18 gennaio 1983, in Revue de l’arbitrage, 1984, 87, connota di MAYER; App. Paris, 6 maggio 1988, in ivi, 1989, 83, con nota di LOQUIN.

(118) Sull’inammissibilita dell’opposizione di terzo nei confronti di una sentenza ar-bitrale internazionale si veda, nel diritto previgente, Cass., 8 ottobre 2009, in La semaine ju-ridique, 2010, n. 644, § 7, con il commento favorevole di ORTCHEIDT. Ma in senso critico siveda BOLLEE, Le droit francais de l’arbitrage international apres le decret no 2011-48 du 13janvier 2011, cit., § 27, il quale scrive che l’esclusione dell’opposizione di terzo nei confrontidel lodo internazionale « reste discutable, et ses dangers se trouvent demultiplies par la ju-risprudence recente relative a l’opposabilite de la sentence [arbitrale] aux tiers ». Giova ri-cordare che in Italia, l’abrogato art. 838, nella parte in cui subordinava l’ammissibilita del-l’opposizione di terzo nei confronti di un lodo internazionale ad un apposito accordo delleparti, aveva suscitato le perplessita di alcuni autori (BRIGUGLIO, in BRIGUGLIO - FAZZALARI -

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revision che puo essere proposto solo al collegio arbitrale e non an-che alla Corte d’appello: l’art. 1506 si limita, infatti, a richiamareunicamente il primo e il secondo comma dell’art. 1502, da cui laconseguente inapplicabilita del terzo comma (119).

Rispetto al lodo straniero, nessun mezzo d’impugnazione e di-rettamente esperibile nei suoi confronti, potendo la parte interessataimpugnare solo la decisione relativa all’istanza di riconoscimento odi exequatur, sia essa di rigetto o di accoglimento (art. 1525). I mo-tivi ostativi al riconoscimento e all’esecuzione di un lodo stranierocoincidono con quelli del recours en annulation del lodo internazio-nale (l’art. 1525, comma 4o, richiama, al proposito, l’art. 1520) al cuiinterno non viene menzionata, come anche accadeva nel diritto pre-vigente, l’ipotesi dell’annullamento della decisione arbitrale nel suopaese d’origine. Sul punto, come espressamente enunciato nel citatoRapport au Premier Ministre al decreto del 2011 in esame, i rifor-matori hanno voluto confermare la soluzione della giurisprudenzaPutrabali, secondo cui la sentenza arbitrale e una « decisione di giu-stizia internazionale che non e collegata a nessun ordinamento giuri-dico statale (...), la cui regolarita e valutata secondo le regole appli-cabili nel paese in cui se ne chiede il riconoscimento e l’esecu-zione », indipendentemente dall’annullamento pronunciato nelloStato sede dell’arbitrato (120).

MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, Milano, 1994, 260; FAZZALARI, L’arbitrato, To-rino, 1997, 121; PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2000, II, 319-320).

(119) Sul punto GAILLARD - DE LAPASSE, Le nouveau droit francais de l’arbitrage in-terne et international, cit., 187, approvano la scelta del legislatore del 2011, ritenendo inop-portuno l’intervento dei giudici statali per procedere alla revision del lodo internazionale. Pergarantire, in ogni caso, la revocabilita di un lodo internazionale anche nell’ipotesi in cui ilcollegio arbitrale non possa essere ricostituito SERAGLINI, L’effıcacite et l’autorite renforceesdes sentences arbitrales en France apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., § 37,propone di interpretare l’art. 1502, comma 2o, nel modo seguente: « devant le Tribunal ar-bitral anterieur ou, a defaut pour celui-ci de pouvoir etre reconstitue, devant un nouveau tri-bunal arbitral ».

(120) Si tratta di Cass., 29 giugno 2007 (arret Putrabali), in Revue de l’arbitrage,2007, 507 ss., con nota di GAILLARD e, se si vuole, in Int’l Lis, 2009, 23 ss., con nota di BO-NATO, La Corte di cassazione francese conferma la possibilita di accordare l’exequatur adun lodo straniero annullato nel paese di provenienza. Sul tema si vedano: BRIGUGLIO, Mito erealta nella denazionalizzazione dell’arbitrato privato, in questa Rivista, 1998, 453 ss.; ID.,L’arbitrato estero, Padova, 1999, 50 ss.; BIAVATI, Arbitrato internazionale, cit., 469; GAIL-LARD, Aspects philosophiques du droit de l’arbitrage international, Paris, 2008, passim;MOURRE, A propos des articles V et VII de la convention de New York et de la reconnaissancedes sentences annulees dans leur pays d’origine: ou va-t-on apres les arrets Termo Rio etPutrabali?, in Revue de l’arbitrage, 2008, 263 ss.; BORGHESI, La riconoscibilita dei lodi esteri

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Da segnalare, infine, che — ribaltando quanto disposto dal re-gime previgente — il nuovo art. 1526 elimina il carattere sospensivodel recours en annulation e dell’appello (proposto nei confronti del-l’ordinanza che concede l’exequatur ad un lodo straniero) (121): unavolta omologati, il lodo internazionale e quello straniero sono,quindi, provvisoriamente esecutivi, ma la Corte d’appello puo so-spenderne l’esecuzione, se quest’ultima rischia di creare un gravepregiudizio ad una delle parti (art. 1526, comma 2o).

8. L’ultima riforma francese qui esaminata, che — contraria-mente a quanto accaduto in Italia per la riforma del 2006 (122) — haricevuto il plauso unanime della dottrina (123), si pone perfettamente

annullati nel paese d’origine, in AA.VV., Arbitrato, ADR conciliazione, a cura di RubinoSammartano, Bologna, 2009, 1097 ss.

(121) GAILLARD, Reflexions sur le nouveau droit francais de l’arbitrage international,cit., 529, ricorda che si tratta di una modificazione tendente a « renforcer l’effıcacite de lasentence ». Secondo SERAGLINI, L’effıcacite et l’autorite renforcees des sentences arbitrales enFrance apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., 381, l’innovazione in discorsosarebbe una delle piu importanti tra quelle relative all’arbitrato internazionale.

(122) In senso critico rispetto alle scelta della riforma del 2006 in riferimento agliaspetti internazionalistici dell’arbitrato, si pongono, tra gli altri: BERNARDINI, L’arbitrato in-ternazionale in Italia dopo la riforma del 2006, cit., 483-484; RADICATI DI BROZOLO, Requiempour le regime dualiste de l’arbitrage? Reflexions apres la reforme de 2006 en Italie, cit.,229 ss.; CONSOLO, L’arbitrato con sede estera, la natura della relativa eccezione e l’essen-ziale compito che rimane affıdato al regolamento trasnazionale della giurisdizione italiana,in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 603 ss. e 955 ss.; BENEDETTELLI - RADICATI DI BROZOLO, L’Ita-lia e l’arbitrato internazionale, in Corr. giur., 2011, 136 ss., in part. 141. Mentre in sensofavorevole, seppur con alcune riserve, sono: E.F. RICCI, La longue marche vers l’« interna-tionalisation » du droit italien de l’arbitrage, cit., 191 ss.; BRIGUGLIO, La dimensione transna-zionale dell’arbitrato, cit., 680.

(123) Lo notano anche BEGUIN - ORTSCHEIDT - SERAGLINI, Droit de l’arbitrage. Chro-nique, in La semaine juridique, 2011, n. 1432, che parlano di commenti numerosi « globa-lement approbateurs et meme laudatifs » del decreto del 13 gennaio 2011. A questo propo-sito, richiamiamo, tra gli altri, quanto scritto da: MAYER, Rapport de synthese, cit., 229, se-condo cui il nuovo decreto « constitue indeniablement un tres grand progres. Il est plus clairet plus lisible. Il est admirablement redige et il est plus moderne »; KAPLAN - MOURRE, Edi-torial, in Les Cahiers de l’Arbitrage - The Paris Journal of International Arbitration, 2011,257-258, secondo cui « il n’est sans doute pas exagere de dire que le decret du 13 janvier2011 fait du droit francais un des plus modernes et plus favorables a l’arbitrage au monde »;CLAY, Arbitrage et modes alternatifs de reglement des litiges, cit., 3023, che parla di un te-sto di legge di una « tres grande qualite redactionnelle ». Ugualmente in senso favorevole,anche se in modo piu misurato, si vedano: BOLLEE, Le droit francais de l’arbitrage interna-tional apres le decret no 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., 553, secondo cui « le sentimentdominant est positif: le nouveau droit francais de l’arbitrage international, d’acces plus aise,apparaıt aussi plus complet, plus simple et globalement plus effıcace »; SERAGLINI, L’effıca-cite et l’autorite renforcees des sentences arbitrales en France apres le decret no 2011-48 du

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nel solco della concezione universalista e autonoma dell’arbitrato in-ternazionale (124) — coerente con la sua natura privata (125) — comesi puo, in particolare, desumere dalla possibilita di intervento del juged’appui per porre rimedio al diniego di giustizia che rischia di subireuna delle parti (art. 1505, n. 4o) e dall’assenza all’interno dei motiviostativi al riconoscimento e all’esecuzione di un lodo straniero dell’ipo-tesi del suo annullamento nel paese d’origine (126).

La riforma del 2011 costruisce, quindi, l’istituto come unaforma di « justice a part entiere sur le modele de la justice interna-tionale » (127) e, probabilmente, permettera alla Francia di conser-vare quel ruolo centrale nel panorama mondiale dell’arbitrato (128),che, purtroppo, ancora oggi l’Italia stenta ad acquisire (129).

13 janvier 2011, cit., § 38, il quale considera l’ultima riforma « globalement excellent. Cecietant, nul ouvrage n’est parfait et tout ouvrage nouveau pose des questions. Mais on peutfaire confiance a la jurisprudence francaise, qui a fait ses preuves en la matiere, pour ap-porter les eclaircissements et reponses qui permettront de maintenir et meme de renforcer laplace de la France en matiere d’arbitrage ».

(124) Su cui, tra gli altri, si veda RACINE, Reflexions sur l’autonomie de l’arbitrageinternational, in Revue de l’arbitrage, 2005, 305 ss.

(125) Come ricordato da GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaire analytique du decretdu 13 janvier 2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit., § 6, l’arbitrato co-stituisce un « processus qui demeure, avant l’execution forcee, purement prive ».

(126) Cosı ANCEL M.E., Le nouveau droit francais de l’arbitrage: le meilleur de soi-meme, cit., § 4. Sull’argomento GAILLARD - DE LAPASSE, Commentaire analytique du decret du13 janvier 2011 portant reforme du droit francais de l’arbitrage, cit., 268 e 329, scrivono che« le decret de 2011 est tout entier fonde sur la vision de l’arbitrage qui reconnaıt a ce modede reglement des differends la consistance d’un veritable ordre juridique et a l’arbitre le sta-tut d’un juge international ».

(127) Cosı GAILLARD, Reflexions sur le nouveau droit francais de l’arbitrage internatio-nal, cit., 525. Nello stesso citato Rapport au Premier ministre viene fatta espressamente men-zione della « existence d’un ordre juridique autonome en matiere d’arbitrage international ».

(128) Tra le finalita della riforma del 2011 c’e anche quella di promuovere la Fran-cia, in generale, e la citta di Parigi, in particolare, come sede di arbitrati internazionali, comericonosciuto da: BOLLEE, Le droit francais de l’arbitrage international apres le decretno 2011-48 du 13 janvier 2011, cit., § 1; BETTO-LOPEZ ORTIZ, Francia apuesta por seguir li-derando la practica del arbitraje internacional, in Spain Arbitration Review, 2011, n. 11, 4;CREMADES B., Francia pone a punto su normativa sobre arbitraje internacional, in Spain Ar-bitration Review, 2011, n. 11, 139 ss. Sul riconoscimento della centralita del diritto francesedell’arbitrato nel panorama internazionale si vedano, tra gli altri: VIGORITI, Verso un dirittocomune dell’arbitrato, in Foro it., 1994, V, 210 ss., in part. 213; GAILLARD, Note sous App.Paris, 31 mars 2005, in Revue de l’arbitrage, 2006, 666 ss., spec. 672, che parla del « rolemoteur qu’a toujours joue le droit francais en matiere d’arbitrage international », nonchedella « influence qui continue d’etre la sienne dans le monde ».

(129) Per questa amara constatazione si vedano BENEDETTELLI - RADICATI DI BROZOLO,L’Italia e l’arbitrato internazionale, cit., 141, cui si rinvia per l’analisi dei fattori a causa deiquali, nella prassi, « raramente l’Italia e designata come sede di arbitrati internazionali ».

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The Author examines the new French law on arbitration, which is set out ina decree dated January 13th, 2011 and came into force on May 1st, 2011.

The reform of 2011 does not bring any radical change to the main orienta-tions of the decrees of 1980 and 1981, in particular by incorporting a number ofsolutions inspired by case law. The distinction between domestic and internationalarbitration has been maintained. The liberal spirit which has provided vitality toFrench law of international arbitration has been preserved and developed.

However, with the aim of clarifying certain provisions and to modify priorsolutions to strengthen the effıciency of arbitration, the new law constitutes a revi-sion of the rules that are applicable to the arbitration agreement, the arbitral pro-ceedings, the award, the recognition and enforcement or the procedures for chal-lenge and appeal.

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Efficacia e impugnazione del lodo:alla ricerca di radici comuni nella comparazionecon il diritto austriaco e tedesco

MARIA LUISA SERRA (*)

1. Gli effetti giurisdizionali del lodo alla luce dell’art. 824-bis c.p.c. —2. Profili comparatistici: gli effetti del lodo nella disciplina austriaca. — 3. Inspecie: l’efficacia esecutiva del lodo austriaco. — 4. (Segue): gli effetti dellodo nella disciplina tedesca. — 5. Alcuni profili peculiari della disciplinatedesca in ordine alla rilevanza dei vizi del lodo. — 6. L’esecutorieta del lodoall’estero. — 7. Conclusioni.

1. L’art. 824-bis c.p.c. dispone che il lodo abbia, dalla datadella sua ultima sottoscrizione, « gli effetti della sentenza pronun-ciata dall’autorita giudiziaria ».

E opinione diffusa che, con tale previsione il legislatore abbiainteso reagire alla « svolta privatistica » della Cassazione, riaffer-mando la natura giurisdizionale (1), se non dell’arbitrato in se, quan-tomeno del suo atto conclusivo (2).

(*) Ricercatrice nella Universita di Sassari.(1) In questo senso, cfr. BOCCAGNA, in Codice di procedura civile commentato, di-

retto da CONSOLO, III, 4a ed, Milano, 2010, sub art. 824-bis, 5989; BOVE, La giustizia privata,Padova, 2010, 165; ID., La nuova disciplina dell’arbitrato, in BOVE e CECCHELLA, Il nuovoprocesso civile, Milano, 2006, 92; ID., Il riconoscimento del lodo straniero tra Convenzionedi New York e codice di procedura civile, in questa Rivista, 2006, 50; D’ALESSANDRO, Rifles-sioni sull’effıcacia del lodo arbitrale rituale alla luce dell’art. 824-bis c.p.c., in questa Rivi-sta, 2007, 537; LUISO, L’art. 824-bis c.p.c., in questa Rivista, 2010, 235 ss.; AULETTA, Art.824-bis, in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di MENCHINI, Padova 2010, 420 ss., ilquale pur riconoscendo una parificazione degli effetti fra lodo e sentenza, evidenzia talunedifferenti caratteristiche dei due provvedimenti, quali il fatto che solo la sentenza e non illodo produrrebbe un accertamento relativo all’esistenza e alla qualificazione del rapportogiuridico fondamentale. In punto occorre segnalare che, nonostante il chiaro indirizzo giuri-sprudenziale a favore del riconoscimento della natura negoziale dell’arbitrato rituale (inau-gurato con la pronuncia della Cass., Sez. un., 3 agosto 2000, n. 527, cfr. nota successiva), giaprima della riforma del 2006 parte della dottrina si mostrava contraria a tale interpretazione.A fronte dell’interpretazione giurisprudenziale condivisa da autorevole dottrina (RUFFINI, in

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Va al riguardo osservato — e questo spiega le ragioni ultimedella presente ricerca — che tale soluzione, nel limitarsi ad indivi-

RUFFINI, MARINELLI, Le Sezioni unite fanno davvero chiarezza sui rapporti tra arbitrato e giu-risdizione?, in Corr. giur. 2001, 53; PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2000,74 ss.) vi era infatti chi fermamente riconosceva natura giurisdizionale all’arbitrato rituale,conseguentemente propendendo per un’equiparazione degli effetti del lodo rituale a quelliprodotti dalla sentenza (cfr. CONSOLO, MARINELLI, La Cassazione e il « duplice volto » dell’ar-bitrato in Italia: l’exequatur come unico discrimine fra i due tipi di arbitrato?, in Corr. giur.,2003, 678; CONSOLO, Nuovi problemi di diritto processuale civile internazionale, Milano,2002, 443; ID., Litispendenza e connessione fra arbitrato e giudizio ordinario (evoluzione eproblemi irrisolti), in questa Rivista, 1998, 660; CONSOLO, MURONI, L’eccezione di arbitratorituale come eccezione « di merito » e la supposta inammissibilita del regolamento di com-petenza, in Corr. giur., 2001, 1453; MENCHINI, Sull’attitudine del giudicato sostanziale dellodo non piu impugnabile non assistito dall’omologa giudiziale, in questa Rivista, 1998, 773;E.F. RICCI, La Cassazione insiste sulla natura « negoziale » del lodo arbitrale. Nuovi spunticritici, in Riv. dir. proc., 2002, 1243; ID., L’« effıcacia vincolante » del lodo, in Riv. trim. dir.proc., 1994, 809; al riguardo si veda inoltre, CAVALLINI, Sulla natura del lodo rituale, in Riv.dir. proc., 2002, 942 ss., per il quale, mancando all’arbitrato rituale la tutela coattiva propriadella sentenza, l’arbitrato costituirebbe un tertium genus, in cui si ricompongono due aspettiapparentemente inconciliabili: la natura privata del patto compromissorio e quello di accer-tamento giudiziale di una res litigiosa, propria del processo ordinario giurisdizionale); per unapprofondimento del tema, cfr. BONATO, La natura e gli effetti del lodo rituale. Studi di di-ritto italiano e comparato, Napoli, 2012.

(2) Cosı CAPPONI, Arbitrato e giurisdizione, in www.judicium.it/news/ins_23_11_06;ci si riferisce, in particolare all’indirizzo giurisprudenziale formatosi sulla scorta dell’ormainota pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni unite dell’agosto 2000 (Cass., Sez. un.,3 agosto 2000, n. 527, in Riv. dir. proc., 2001, 254, con nota di E.F. RICCI, La natura dell’ar-bitrato rituale e del relativo lodo: parlano le Sezioni Unite; in Giur. it., 2001, 1107, con notadi CANALE, Arbitrato irrituale e tutela cautelare: i soliti problemi tra vecchie soluzioni enuove prospettive; in Foro it., 2001, I, c. 839, con nota di BARONE; in Giust. civ., 2001, I, 761,con nota di MONTELEONE, Le Sezioni unite della Cassazione affermano la natura giuridica ne-goziale e non giurisdizionale del c.d. « arbitrato rituale »; in questa Rivista, 2000, 699, connota di FAZZALARI, Una svolta attesa in ordine alla « natura » dell’arbitrato; in Corr. giur.,2001, 51, con commento adesivo di RUFFINI e contrario di MARINELLI, sotto l’unico titolo, LeSezioni unite fanno davvero chiarezza sui rapporti tra arbitrato e giurisdizione?; in Foropad., 2001, I, 34, 251, con note di RUBINO SAMMARTANO, Vittoria di tappa - Arbitrato irritualecome processo: un sogno impossibile? e di CURTI, Sulla natura dell’arbitrato: l’ultima posi-zione delle Sezioni Unite sulla teoria generale dell’arbitrato); le pronunce giurisprudenzialimaturate in quest’ultimi anni — che hanno preceduto la riforma del 2006 — sono chiara-mente orientate ad attribuire natura negoziale all’arbitrato rituale (in questo senso cfr. Cass.,30 agosto 2002, n. 12714, in Corr. giur., 2003, 632 ss.; Cass., Sez. un., 22 luglio 2002, n.10723 e Cass., Sez. un., 25 giugno, n. 9289, ivi, 630 ss., per un commento a tali pronuncecfr. CONSOLO, MARINELLI, La Cassazione e il « duplice volto » dell’arbitrato in Italia: l’exe-quatur come unico discrimine fra i due tipi di arbitrato?, cit., 678 ss., e con riferimento allapronuncia della Cassazione a Sez. un., si veda la nota critica di BRIGUGLIO, Le Sezioni uniteed il regime della eccezione fondata su accordo compromissorio, in questa Rivista, 2002, 51;Cass., 4 giugno 2001, n. 7533, in Corr. giur., 2001, 1448, con nota di CONSOLO, MURONI, daltitolo L’eccezione di arbitrato rituale come eccezione « di merito » e la supposta inammissi-bilita del regolamento di competenza).

Negli anni che hanno preceduto questa svolta giurisprudenziale, al contrario, era prin-

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duare gli effetti del lodo rituale e a non definire la complessa naturadel relativo procedimento, coincide in sostanza con quella gia ac-colta in altri ordinamenti e, specificamente, in Germania e Au-stria (3): questo riscontro sollecita prospettazioni comparate che sicredono proficue per la ricostruzione del nostro sistema positivo edella sua lettura.

Peraltro, e bene evidenziare come, a parere di chi scrive, allaconclusione ora recepita dal legislatore, si potesse giungere gia inprecedenza — nonostante gli autorevoli dissensi manifestati (4) —argomentando dal complessivo assetto, pur al di la della attestazioneaffidata al dettato dell’art. 824-bis c.p.c. Sul punto appare allora utileuna qualche notazione preliminare, per porre in chiaro — si potrebbedire — le coordinate all’interno delle quali s’intende modulare lapresente ricerca.

Invero, allo stato attuale, appare difficile sostenere che l’arbi-trato rituale e il lodo omologato abbiano effetti puramente negoziali,almeno in quanto a questo riferimento terminologico si voglia attri-buire un reale significato differenziatore, sull’unico piano sul qualein questa materia rileva puntualizzare, ossia quello degli effetti degli

cipio costante e consolidato, il riconoscimento dell’equiparazione degli effetti del lodo omo-logato a quelli della sentenza. Tale opinione trovava fondamento nella condivisa imposta-zione per cui, nel periodo precedente alla riforma, l’arbitrato era concepito in funzione sosti-tutiva del giudizio ordinario. Piu precisamente, come ricordato anche di recente dalla Cortedi Cassazione (Cass., 1o febbraio 2001, n. 1043 in Foro it., 2001, I, 838), questo orienta-mento si basava sulla riconducibilita (« convogliamento ») dell’arbitrato nell’ambito del giu-dizio ordinario mediante l’impugnazione del lodo e il suo controllo in sede di omologazione,che si svolgevano e si svolgono presso l’autorita giudiziaria ordinaria. Tale impostazionecomportava — con riferimento all’eccezione di compromesso — che la stessa venisse con-siderata come un’eccezione di competenza in quanto relativa alla ripartizione della compe-tenza a decidere la controversia tra giudici dello stesso tipo (in questo senso, Cass., 24 marzo1999, n. 2775; Cass., 8 luglio 1996, n. 6205, in Foro it., 1996, I, c. 2714, con nota di BA-RONE; Cass., 21 dicembre 1995, n. 13023). In proposito occorre segnalare che, nonostante ilchiaro indirizzo giurisprudenziale a favore del riconoscimento della natura negoziale dell’ar-bitrato rituale, gia prima della riforma del 2006, parte della dottrina si mostrava contraria atale interpretazione, sul punto cfr. quanto osservato alla nota 1.

(3) In punto cfr. piu avanti nel testo.(4) Cfr CARPI, L’arbitrato, a cura di CARPI, 2a ed., Bologna, 2007, sub art. 824-bis,

586 ss.; PUNZI, Ancora sulla delega in tema di arbitrato: riaffermazione della natura priva-tistica dell’istituto, in Riv. dir. proc., 2005, 975; ODORISIO, Prime osservazioni sulla nuova di-sciplina dell’arbitrato, in questa Rivista, 2006, 253; BONATO, La natura e gli effetti del lodorituale, cit., 171 ss., spec. 251, il quale, ponendosi in una posizione intermedia, qualifica illodo arbitrale « come una decisione (funzionalmente) giurisdizionale di natura autonoma eprivata, frutto dell’esercizio della “giurisdizione privata” (denominata anche giurisdizione deiprivati) ».

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atti (5). Sulla giurisdizionalita o negozialita del lodo, e infatti deltutto attuale la considerazione per la quale « si deve badare alla so-stanza del provvedimento, per dedurne da essa la definizione dellasua natura, qualunque sia il nome attribuitogli e la forma di cui vienerivestito » (6), atteso che « l’unico criterio per individuare la naturagiuridica di un atto e dato proprio dalla sua efficacia » (7).

Ed in questa prospettiva pare difficile negare che il dato norma-tivo porti, da un lato, ad escludere la natura negoziale del lodorituale e, dall’altro, ad affermarne l’assimilazione alla sentenza giu-risdizionale. Una serie di disposizioni avvalora quella conclusione.In particolare, appaiono decisive le norme — talune confermate e al-tre integrate dall’ultima riforma — che evidenziano un collegamentotra giudizio ordinario e procedimento arbitrale: proprio il fatto che illegislatore abbia previsto un complesso di disposizioni di collega-mento tra giudizio ordinario e arbitrato, conferma la tesi della giuri-sdizionalita degli effetti del lodo rituale, laddove basti pensare che,all’inverso, tali regole di coordinamento non avrebbero senso se illegislatore non avesse pensato all’arbitrato come a un istituto equi-valente al procedimento giurisdizionale dal punto di vista dei risul-tati (8). Pur potendosi considerare distinti profili (9), il riferimentocoinvolge, in particolare, le regole individuate dagli artt. 819 bis

(5) A cio si aggiunga che — per alcuni autori — se cosı non fosse, e quindi se l’ar-bitrato rituale avesse natura negoziale, l’arbitrato rituale sarebbe non solo un doppione diquello irrituale, ma finirebbe per essere la « brutta (ed anzi: pessima) copia » di questo (comeosservato da E.F. RICCI, La Cassazione insiste sulla natura « negoziale » del lodo arbitrale.Nuovi spunti critici, cit., 1246). Invero il profilo non appare insuperabile, in quanto richiede-rebbe solo di rivedere la (comunque discussa) posizione dell’arbitrato irrituale nel sistema.

(6) MORTARA, Commentario al codice di procedura civile, IV, Milano, 1918, 326 ss.(7) In questi termini SAUER, Grundlagen des Prozessrechts, 2a ed., Stuttgart, 1929,

richiamato da MARINELLI, La natura dell’arbitrato irrituale, cit., 112.(8) Cfr. E.F. RICCI, La Cassazione insiste sulla natura « negoziale » del lodo arbi-

trale. Nuovi spunti critici, cit., 1243. L’A. richiama le norme che, gia prima della piu voltecitata riforma dell’arbitrato del 2006, evidenziavano tale collegamento. A prescindere dallapropensione per l’indipendenza tra il giudizio arbitrale e il giudizio ordinario — a favoredella quale si esprime l’A. — la previsione di queste norme significa che il legislatore ha vo-luto disciplinare la relazione tra i due diversi procedimenti, circostanza priva di senso sequesti non avesse pensato all’arbitrato come equivalente del processo togato con riferimentoal risultato.

(9) Del resto, puo ricordarsi che restano ferme, inoltre, le disposizioni contenute nelcodice civile, che equiparano la domanda arbitrale alla domanda giudiziale sia in tema di tra-scrizione (artt. 2652 e 2653 c.c. per i beni immobili e artt. 2690 e 2691 c.c. per i beni mo-bili registrati) sia in materia di interruzione e sospensione della prescrizione e della deca-denza (art. 2943 c.c.).

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c.p.c. e 819 ter c.p.c. rispettivamente dedicate all’ipotesi di sospen-sione del procedimento arbitrale (10) e alla regolamentazione dei rap-porti fra arbitri e autorita giudiziaria (11), nonche la modifica intro-dotta con l’art. 819 c.p.c., in virtu della quale e attribuito agli arbitriil potere di risolvere, senza autorita di giudicato, tutte le questioni ri-levanti per la decisione della controversia, anche qualora coinvol-gano materie che non possono essere oggetto di convenzione di ar-bitrato (12).

(10) Ipotesi prevista, nella previgente formulazione, unitamente alla disciplina dellacognizione incidentale degli arbitri dall’art. 819; sul punto cfr. RUFFINI, BOCCAGNA, in Codicedi procedura civile commentato, diretto da CONSOLO, cit., sub art. 819, 1914 ss.; AULETTA, Lostato presente delle « questioni incidentali » nell’arbitrato, in questa Rivista, 2005, 567 ss.

(11) Sul punto cfr. RUFFINI, in Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 819-ter,1360 ss.

(12) Salva evidentemente l’ipotesi in cui le predette questioni debbano essere deciseper legge con efficacia di giudicato: in argomento, cfr. MENCHINI, in Riforma del diritto arbi-trale, cit., sub art. 819, 1328. In argomento, occorre segnalare che la norma si inserisce sulsolco tracciato dall’art. 35, comma 3, in materia di arbitrato societario (art. 35, comma 3,D.Lgs. n. 5/2003), oggi abrogato, nell’ambito di una prospettiva di maggior favore nei con-fronti dell’istituto arbitrale. L’art. 35 citato prevedeva la non operativita del (previgente) art.819 c.p.c. (la norma cosı diponeva « se nel corso del procedimento sorge una questione cheper legge non puo costituire oggetto di giudizio arbitrale, gli arbitri, qualora ritengano che ilgiudizio ad essi affidato dipende dalla definizione di tale questione, sospendono il procedi-mento »). Aderendo alla tesi maggioritaria secondo la quale la vecchia formulazione dell’art.819 c.p.c. precludeva agli arbitri il potere di conoscere e decidere anche incidentalmentequestioni non compromettibili, la non operativita di tale norma nel procedimento societariodoveva essere intesa nel senso che gli arbitri potevano decidere solo incidenter tantum que-stioni pregiudiziali non compromettibili. Occorre precisare che a questa interpretazione ulte-riormente conseguiva che, qualora su tali questioni gli arbitri fossero stati chiamati a deci-dere con efficacia di giudicato, questi ultimi avrebbero dovuto disporre la sospensione delprocedimento ex art. 819, comma 2, c.p.c.; in questo senso, cfr. BIAVATI, Il procedimento nel-l’arbitrato societario, in questa Rivista, 2003, 37 ss.; LUISO, Appunti sull’arbitrato societa-rio, in Riv. dir. proc., 2003, 720; MICCOLIS, Arbitrato e conciliazione nelle riforma del pro-cesso societario, in www.judicium.it/news/ins_28_03_03, 6 e 9; TEDOLDI, Le questioni pregiu-diziali di nullita nell’arbitrato rituale: dall’art. 819 c.p.c. all’arbitrato societario (art. 35,3ocomma, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5), in www.judicium.it/news/ins_27_12_05, 1. Nonpaiono condivisibili le preoccupazioni espresse in dottrina circa il fatto che tale soluzionepossa portare a delle incongruenze sistematiche, quali quella che sarebbe consentito agli ar-bitri di conoscere incidentalmente della questione di falsita di un atto pubblico sul quale sifonda il diritto disponibile fatto valere nel giudizio arbitrale, senza che sia necessario atten-dere la cosa giudicata sulla querela di falso (RUFFINI, La riforma dell’arbitrato societario, cit.,1532). Infatti, non pare ravvisabile alcuna incongruenza nell’ipotesi ora formulata — propo-sizione di querela di falso — in considerazione del fatto che, in tal caso, si sarebbe configu-rata una fattispecie estranea all’ambito applicativo dell’art. 35 comma 3, trattandosi di mate-ria non compromettibile che presuppone la decisione su una questione pregiudiziale che nonpuo essere decisa incidenter tantum ma che deve essere decisa con efficacia di giudicato (inquesto senso BOVE, L’arbitrato nelle controversie societarie, cit., 5). La conclusione, allaquale si era pervenuti con riguardo all’abrogato art. 35, vale oggi per la disciplina dettata

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In tale contesto normativo, su di un piano generale e significa-tivo il fatto che la disciplina della nullita del lodo arbitrale sia nellasostanza identica a quella della nullita della sentenza, risolvendositale nullita, a differenza di quanto previsto per i contratti, in unamera annullabilita (13), delineandosi cosı un decisivo indizio a favoredella natura giurisdizionale dello stesso, come chiarito dalla piu clas-sica dottrina (14).

Proprio su questo piano, con riferimento all’impugnabilita dellodo per revocazione e con opposizione di terzo, ossia con i mezzid’impugnazione propri delle sentenze (15), non puo non osservarsiche la natura di un provvedimento non dovrebbe variare a secondache venga impugnato dalle parti o dai terzi e questo costituisce senzadubbio un’ulteriore ragione per negare la natura negoziale degli ef-fetti del lodo.

Anzi, sotto questo profilo, non appare irrilevante, all’inverso, ilfatto che, nonostante il legislatore della riforma abbia previsto l’im-pugnabilita del lodo irrituale per alcuni motivi che trovano la lorocorrispondenza nella disciplina dell’impugnazione per nullita dellodo rituale, che vanno ad integrare le cause di impugnazione dellodo irrituale (16), l’impugnazione del lodo irrituale si caratterizzi nelpermanere tuttora un’impugnativa sostanzialmente di natura negozia-le (17).

dall’art. 819 nell’ambito del procedimento di arbitrato ordinario (in argomento cfr. MENCHINI,in Riforma del diritto arbitrale, cit., sub art. 819, 1328).

(13) Cosı RICCI, La funzione giudicante degli arbitri e l’effıcacia del lodo, cit., 379;e superfluo sottolineare che si tratta di un argomento portato a sostegno della tesi dell’equi-parazione degli effetti del lodo a quelli della sentenza.

(14) Si ricorda ex adverso che secondo SATTA, Contributo allo studio dell’arbitrato,Milano, 1931, 165 ss., proprio l’immutabilita del lodo e la sua inimpugnabilita fornissero unodegli argomenti piu solidi per affermare la contrattualita dell’arbitrato, o meglio, per soste-nere la tesi della sua natura negoziale.

(15) Cfr. sul punto PROVINCIALI, Sistema delle impugnazioni civili, Padova (Parte ge-nerale), 1943, 33, il quale richiama il medesimo argomento — impugnabilita per revocazionedel decreto ingiuntivo — come argomento per desumere la natura di sentenza di condanna ditale decreto. In punto cfr. anche GARBAGNATI, I procedimenti d’ingiunzione e per convalida disfratto, Milano, 1942, 26.

(16) In punto cfr. BOVE, Ancora sull’arbitrato irrituale, in www.judicium.it/news/ins_09_02_09, 14; ID., L’impugnazione per nullita del lodo rituale, in www.judicium.it/news/ins_01_06_09, 1 ss.

(17) Si e, infatti, osservato che il lodo libero, in quanto negozio, se ha certamente« forza di legge » tra le parti (art. 1372 c.c.), « e come ogni negozio, impugnabile in via diazione, ossia per mezzo della domanda di annullamento o di nullita, secondo le ordinarie re-gole di prescrizione e di fronte al giudice individuabile in base alle regole di competenza di

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Ma alle considerazioni svolte si affianca una valutazione di piugenerale valenza: ossia, il notevole favor verso l’arbitrato, manife-stato dal legislatore della riforma, in linea con le esigenze di adegua-mento della relativa disciplina in campo internazionale sia tenendoconto della disciplina di diritto interno degli altri paesi della Comu-nita Europea, sia con riferimento alle Convenzioni internaziona-li (18), favor, che appare indubbio oggi trovi riscontro piu significa-tivo laddove si giunga, in una prospettiva sistematica, a una valuta-zione in termini di piena giurisdizionalita del lodo stesso.

A tale proposito, vale la pena forse precisare che si potrebbeobiettare — ricordando l’impostazione di Satta, presente oggi, per

cui al libro primo del codice di procedura civile »: cosı BOVE, Ancora sull’arbitrato irrituale,cit., 13, il quale richiama per una sintesi della questione MARINELLI, La natura dell’arbitratoirrituale. Profili comparatistici e processuali, Torino, 2002, 206, testo e nota 222.

(18) Ci si riferisce a quello che e stato definito il diritto comune dell’arbitrato, nelsenso di un corpo di principi e regole positive generalmente condivise in Europa e negli StatiUniti, per la comunanza delle opzioni di fondo, delle scelte teoriche e per le analogie distruttura e funzionali; sul punto cfr. VIGORITI, Verso un diritto comune dell’arbitrato: note sullodo e sulla sua impugnazione, in Foro it., 1994, V, c. 211. In punto occorre ricordare che laLegge Modello UNCITRAL (legge-modello sull’arbitrato commerciale internazionale appro-vata dall’assemblea Generale del’ONU il 21 giugno 1985, d’ora in avanti indicata comeL.M.), che disciplina l’arbitrato commerciale internazionale ha fortemente influenzato, comesi avra modo di approfondire piu avanti nel testo, la disciplina interna dell’arbitrato di diffe-renti ordinamenti giuridici, in particolare si pensi a quello tedesco che ha recepito quasi in-condizionatamente la legge modello non soltanto nei contenuti ma anche nella forma. Comee stato osservato in dottrina (SCHLOSSER, in Kommentar zur Zivilprozessordnung, a cura diSTEIN, JONAS, 22a ed., Tubingen, 2002, Band 9, sub § 1059, Rz. 1, 588; sul punto cfr. WAL-TER, La nuova disciplina dell’arbitrato in Germania, in Riv. dir. proc., 1999, 671) il 10o li-bro della dZPO sembra riprendere ampiamente, non solo nei contenuti quanto nella forma, laL.M.

Legge tenuta presente anche nella disciplina dell’arbitrato austriaco [ci si riferisce allalegge di riforma Schiedsrechts-Anderungsgesetz (SchiedsRAG 2006), BGBl. I n. 7/2006, en-trata in vigore il 1o luglio del 2006; a p. 2 della Regierungsvorlage (1158 der Beilagen zuden Stenographischen Protokollen, XXII. Gesetzgebungsperiode) dove si legge: Die Arbeits-gruppe « hat sich die Neufassung des osterreichischen Schiedsverfahrensrechts auf Grund-lage des UNCITRAL-Modellgesetzes zur Aufgabe gestellt. Dabei wurden das Modellgesetzgrundsatzlich diskutiert, aber auch samtliche Einzelbestimmungen analysiert und die Vorga-ben des Modellgesetzes moglichst stimmig in das osterreichische Recht ubernommen »], non-che in quella spagnola [cfr. la Ley de Arbitraje del 23 dicembre 2003, n. 60; come si leggenell’exposicion de motivos (comma 1, par. 3) « el principal criterio insipirador (...) es el ba-sar el regimen jurıdico espanol del arbitraje en la Ley Modelo elaborada por la Comison deNaciones Unodas para el Derechho Mercantil International (...) »].

E opportuno tenere presente che le linee direttive della L. M. sono state tenute pre-senti anche in Italia gia durante il corso dei lavori preparatori che hanno portato alla riformadel 1994 (sul punto v. SALVANESCHI, Legge 5 gennaio 1994, n. 25, in Le Nuove Leggi civilicommentate, Padova, 1995, sub. art. 3, 31) e che, nella recente riforma del 2006, vengonoulteriormente sviluppate dal legislatore.

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esempio, in Punzi — che, invero, proprio una prospettiva di tuteladell’autonomia e della specificita dell’arbitrato potrebbero indurre asostenere la permanente natura negoziale. Scelta quest’ultima sugge-rita dall’esigenze di valorizzazione dell’istituto arbitrale all’internodell’ordinamento, anche se il pur centrale tema sattiano della tuteladell’autonomia dell’arbitrato a fronte dell’invasiva presenza delloStato oggi non sembra debba passare necessariamente attraverso unaqualificazione di negozialita del lodo stesso (anche in considerazionedell’attuale crisi del negozio come strumento di autonomia regola-mentatrice delle parti). La ricostruzione dell’istituto, infatti, pareoggi perseguibile piuttosto attraverso una adeguata valutazione delladisciplina positiva e dalle scelte da questa nel concreto operate, allaluce del bilanciamento di quei valori costituzionali che regolano irapporti tra autonomia delle parti e potesta pubbliche.

In quest’ottica, a suffragare le precedenti osservazioni, non ecerto irrilevante constatare che il legislatore italiano nel riconoscerel’autonomia del lodo, in quanto agli effetti, proprio operando unapiena equiparazione si e finalmente adeguato alla normativa cheemerge dalle convenzioni internazionali (19). Questa conclusione, delresto, e il punto di arrivo di un percorso ben noto ed articolato: si epassati da una situazione d’indubbia limitazione dell’efficacia dellodo (assoggettato all’obbligo di deposito per la sua efficacia) adun’affrancazione da ogni intervento giurisdizionale, almeno perquanto riguarda l’efficacia vincolante fra le parti, ora equiparata aquella della sentenza del giudice ordinario. In questo, il nostro ordi-namento si avvicina definitivamente alle posizioni acquisite datempo in altri paesi e, a tale riguardo, un’analisi comparata si puomostrare assai utile al fine di illustrare quelli che possono essere gliscenari conclusivi, gli approdi verso i quali l’evoluzione del sistemasembra dirigersi. Come gia si diceva, in particolare merita attenzioneil confronto con la Germania e l’Austria, paesi la cui tradizione giu-ridica ha nel profondo influenzato le dinamiche del nostro ordina-mento.

Cosı, in Austria da tempo al procedimento arbitrale si e ricono-

(19) Proprio sotto quest’ultimo profilo un ulteriore ostacolo a prospettare la naturanegoziale del lodo e rappresentato dalle difficolta che potrebbero sorgere in sede applicativadella Convenzione di New York del 1958 sul riconoscimento ed esecuzione delle sentenzearbitrali straniere, in particolare con riferimento all’art. V, comma 1, lett. e), in virtu del qualeil lodo di un qualsiasi paese e riconoscibile negli altri soltanto se ritenuto vincolante.

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sciuta una piena funzione sostitutiva rispetto a quella giurisdizionalein ragione del fatto che questa funzione dello Stato e comunque tu-telata atteso che « ogni attivita di natura arbitrale si trova sotto la tu-tela delle leggi processuali e non sotto quella del diritto priva-to » (20). Parimenti, situazione non dissimile si puo rilevare nell’or-dinamento tedesco, ove, gia prima della recente riforma del 1998, il§ 1040 dZPO attribuiva al lodo gli effetti di una sentenza passata ingiudicato (21).

L’analisi attenta della disciplina di paesi in cui e per assodatala natura giurisdizionale del lodo consente di tratteggiare gli essen-ziali sviluppi che il richiamato mutamento di prospettiva ha prodottonel nostro paese, cercando pertanto — con il ragionato confronto conl’esperienza altrui — di evitare perplessita ricostruttive se non pro-prio intollerabili anamorfosi.

2. Volendo quindi approfondire l’analisi, puo iniziarsi a ricor-dare che, in tema di effetti del lodo, la riforma della disciplina au-striaca del 2006 (22) non ha apportato alcuna sostanziale modifica: il§ 607 oZPO ribadisce gli effetti che — come sempre e stato intesofin dall’entrata in vigore della ordinanza kleiniana — caratterizzanoil lodo austriaco: la piena parificazione del procedimento arbitrale —sotto tale profilo — a quello statale-giurisdizionale. La legge attri-buisce, infatti, al lodo gli stessi effetti prodotti fra le parti dalla sen-tenza passata in giudicato ed e, come tale sentenza, titolo esecuti-vo (23), con assoluta parificazione pertanto degli effetti (24). Questo

(20) Il rilievo e in BAJONS, L’arbitrato in Austria, in L’Arbitrato oggi. Atti del 4o

Convegno giuridico europeo « Citta di Udine », Udine, 1983, 68 ss.(21) Il previgente § 1040 ZPO disponeva infatti che « Der Schiedsspruch hat unter

den Parteien die Wirkungen eines rechtskraftigen gerichtlichen Urteils ».(22) Ci si riferisce alla legge di riforma SchiedsRAG 2006, BGBl. I n. 7/2006 (v. nota

18).(23) In argomento cfr. RECHBERGER, MELIS, in RECHBERGER, ZPO. Kommentar zur Zi-

vilprozessordnung, 3a ed., Wien, 2006, sub § 607, Rz. 1; KLOIBER, HALLER, Das neueSchiedsverfahrensrecht — eine Einfuhrung, in KLOIBER, RECHBERGER, OBERHAMMER, HALLER,Das neue Schiedsrecht. Schiedsrechts-Anderungsgesetz 2006, Wien, 2006, 50 s.; RIEGLER, inRIEGLER, PETSCHE, FREMUTH-WOLF, PLATTE, LIEBSCHER, Arbitration Law of Austria: Practice andProcedure, New York, 2007, sub sec 607, mn 1 (p. 462) e mn 7 (p. 464).

(24) In punto cfr. RECHBERGER, MELIS, in RECHBERGER, ZPO. Kommentar zur Zivilpro-zessordnung, cit., sub § 607, Rz. 1, il quale precisa che avendo i lodi interni in Austria glieffetti di una sentenza civile passata in giudicato (Wirkungen eines rechtskraftigen Zivil-urteils), cio significa che questi spiegano un effetto di accertamento con gli stessi limiti og-

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profilo contribuisce del resto a chiarire che l’intero assetto della ri-forma voluta dal Klein non era affatto intesa — come spesso si ri-tiene — improntarsi ad un rigido autoritarismo statalista (25), quantopiuttosto fortemente preoccupata del fine di riappacificazione socialeche la lite, manifestazione di un contrasto sociale, richiede e chepienamente anche il procedimento di arbitrato — proprio perchefondato sulla volonta degli interessati — e in grado di conseguire:quindi, la piena efficacia del lodo non appare un elemento spurio nelsistema integrale di quella ordinanza ma piuttosto il pieno ed inevi-tabile coronamento di un disegno coerente ed efficace.

L’analisi puntuale conferma tali indicazioni. Il § 606 Abs. 6oZPO prevede, infatti, che il presidente e, in caso di suo impedi-mento, un altro arbitro debba confermare su istanza di parte il pas-saggio in giudicato e l’esecutorieta del lodo (la c.d. Bestatigung derRechtskraft und Vollstreckbarkeit) (26). Di conseguenza, l’efficaciadel lodo si produce tra le parti con la comunicazione del lodo (27) eda questo momento comincia a decorrere il termine per adempiere,se in questo e previsto un qualche termine per l’adempimento (28),

gettivi e soggettivi prodotti dalle sentenze di accertamento; da cio consegue che ai lodi di di-ritto costitutivo deriva oltre all’accertamento un effetto costitutivo e ai lodi di condannal’esecutivita (forza esecutiva). Si discute, se si debba fare una distinzione tra limiti soggettividerivanti dal lodo (austriaco) e quelli determinati dalla sentenza. In argomento cfr. ancheKLOIBER, HALLER, Das neue Schiedsverfahrensrecht, cit., 51, per i quali la modifica contenutanella vigente disciplina dell’arbitrato (« zwischen den Parteien » in § 607 invece di « unterden Parteien » in § 594 Abs. 1 oZPO nella sua versione originaria) non deve essere intesacome una regola dei limiti soggettivi del giudicato, ma nel senso di escludere l’estensionedegli effetti del giudicato sostanziale ai terzi; nello stesso senso RIEGLER, in RIEGLER ET AL.,Arbitration Law of Austria, cit., sub sec 607, mn 12 (p. 466).

(25) Cfr. CONSOLO, Il duplice volto della « buona » giustizia civile tardo asburgica edel suo rigeneratore, in Ordinanza della procedura civile di Francesco Giuseppe, in Testi edocumenti per la storia del processo, a cura di N. PICARDI e A. GIULIANI, Milano, 2004,XXXVII s.; CHIZZINI, Correnti del pensiero moderno e poteri del giudice civile nel pensierodi Piero Calamandrei: tre variazioni sul tema, in Il giusto processo civile, 2010, 33 ss.

(26) Il comma 6 dell’articolo citato prevede, infatti, come riportato nel testo: « DerVorsitzende, im Falle seiner Verhinderung ein anderer Schiedsrichter, hat auf Verlangen ei-ner Partei die Rechtskraft und Vollstreckbarkeit des Schiedsspruchs zu bestatigen ».

(27) Il § 606 Abs. 4 oZPO parla di trasmissione (« Ubersendung ») del lodo: in puntocfr. HAUSMANINGER, in FASCHING, KONECNY, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, 2a ed., vol.IV, 2, Wien, 2007, sub § 606, Rz. 98 ss.; RECHBERGER, MELIS, in RECHBERGER, ZPO. Kommen-tar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 607, Rz. 3; KLOIBER, HALLER, Das neueSchiedsverfahrensrecht, cit., 49 s.; RIEGLER, in RIEGLER ET AL., Arbitration Law of Austria, cit.,sub sec 606, mns 33-35 (p. 454 s.).

(28) In questa prospettiva, un profilo della disciplina che merita di essere segnalatoe quello relativo alla sottoscrizione del lodo. Il § 606 Abs. 1 oZPO contiene una previsione

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decorso il quale, il lodo diventa esecutivo (29); invece, nel caso in cuitale termine non sia previsto, l’esecutorieta del lodo coincide con ilmomento in cui il lodo diventa efficace nei confronti delle parti (30).

Per quanto riguarda il passaggio in giudicato del lodo, si puoricordare che, se non e prevista nella convenzione di arbitrato lapossibilita di proporre impugnazione contro il lodo davanti ad uncollegio arbitrale superiore (31), il lodo passa in giudicato dal mo-

normativa conforme alla disciplina accolta in molti ordinamenti — fra i quali l’ordinamentoitaliano — in virtu della quale e prevista la possibilita che il lodo sia sottoscritto dalla mag-gioranza degli arbitri qualora risulti che gli altri si sono rifiutati di sottoscriverlo o qualora visia un impedimento che non possa essere superato entro un periodo di tempo determinabile(cfr. RECHBERGER, MELIS, in RECHBERGER, ZPO. Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub§ 606, Rz. 3).

Nel lodo devono essere indicati il giorno della sua pubblicazione e la sede atteso cheall’indicazione della sede e connessa una pluralita di effetti (si pensi, a titolo d’esempio, chela sede rappresenta il criterio per l’individuazione sia della nazionalita del lodo, consentendoquindi di distinguere il lodo interno dal lodo straniero sia del giudice competente a decideresulla domanda di annullamento del lodo). Il lodo vale come se fosse stato redatto in quelgiorno e in quel luogo, indipendentemente da dove e quando sia stato in realta deliberato(§ 606 Abs. 3 oZPO). Alle parti deve essere trasmesso una copia sottoscritta del lodo (§ 606Abs. 4 oZPO). La legge non regola il modo della trasmissione del lodo.

La disciplina previgente regolava anche la custodia del lodo, che doveva essere depo-sitato presso le persone indicate nella convenzione di arbitrato ovvero, in caso di mancanzao di morte di queste, secondo le modalita determinate dagli arbitri; nel dubbio il deposito eradisposto presso un notaio (§ 593 Abs. 1 oZPO nella sua versione originaria). Oggi questaprevisione espressa e venuta meno, essendo stabilito soltanto che la domanda di un eventualedeposito debba essere discussa dalle parti, al fine di chiarire chi debba provvedere alla cu-stodia (§ 606 Abs. 5 Satz 2). Il lodo e i documenti relativi alla sua notificazione sono « ge-meinschaftliche Urkunden » delle parti e degli arbitri (§ 606 Abs. 5 Satz 1: sul tema v. HAUS-MANINGER, in FASCHING, KONECNY, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 606, Rz105 ss.; KLOIBER, HALLER, Das neue Schiedsverfahrensrecht, cit., 50; RECHBERGER, MELIS inRECHBERGER, ZPO. Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 606, Rz. 9). Si tratta dun-que di documenti che le parti non possono rifiutarsi di depositare; tali documenti, se richie-sti, legittimano la parte alla proposizione della Editionsklage (domanda per la restituzione deldocumento di cui all’art. XLIII EGZPO; istanza che puo essere proposta come autonoma do-manda non necessitando di essere esercitata nell’ambito di una controversia di diritto giapendente: « Die Vorlage einer gemeinschaftlichen Urkunde (§ 304 ZPO) kann auch außer-halb eines anhangigen Rechtsstreites im Wege der Klage gefordert werden« [§304: « DieVorlage der Urkunde kann nicht verweigert werden: (...) Z. 3 wenn die Urkunde ihrem In-halte nach eine beiden Parteien gemeinschaftliche ist »]. Sul punto cfr. HAUSMANINGER, in FA-SCHING, KONECNY, Kommentar zu den Zivilprozeßgesetzen, cit., sub § 606, Rz. 105).

(29) Pertanto la Bestatigung non puo essere concessa, in caso di sentenza di con-danna, quando non sia ancora scaduto il termine per eseguire la prestazione.

(30) Cfr. RIEGLER, in RIEGLER ET AL., Arbitration Law of Austria, cit., sub sec 607, mn9 (p. 465).

(31) Ipotesi, peraltro, eccezionale nella prassi: sul punto, RECHBERGER, MELIS, in RECH-BERGER, ZPO. Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 607, Rz. 3; KLOIBER, HALLER,Das neue Schiedsverfahrensrecht, cit., 51 (testo e nota 120). Occorre ricordare che il testo

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mento della sua comunicazione (32). Cosı, di norma il giudicato sicorrela alla semplice comunicazione (33), mentre il termine previstoper l’adempimento impedisce solo la sua esecutorieta (34).

Al riguardo si deve ricordare che in Austria i lodi interni con-seguono gli effetti di una sentenza civile passata in giudicato, ossial’effetto di accertamento entro gli stessi limiti sia oggettivi sia sog-gettivi propri di ogni sentenza civile (35).

Del resto, giova ricordare che la conferma del lodo ha un meroeffetto dichiarativo e non costitutivo, avendo il solo scopo di atte-stare la produzione degli effetti, in quanto l’efficacia di cosa giudi-cata ed esecutiva vengono attribuite (si potrebbe dire, latamente) exlege (36). Una particolarita della disciplina austriaca merita di esseresegnalata. Ci si riferisce al § 613 oZPO, in virtu del quale la tutelacontro il lodo che violi l’oggettiva compromettibilita della controver-sia e dell’ordine pubblico non viene affidata unicamente alle parti delprocedimento arbitrale, ma e rilevabile ex offıcio. Piu precisamente— a norma del § 613 — quando il Tribunale o altra Autorita, in undiverso procedimento (ad esempio nel procedimento di esecuzione),

originario del § 594 oZPO consentiva — nell’ipotesi in cui tale eventualita fosse desumibiledal compromesso o fosse in seguito concordata — l’impugnazione del lodo arbitrale dinanziad un collegio arbitrale superiore. In questo caso la Bestatigung non poteva essere concessasino alla conclusione del giudizio arbitrale di seconda istanza (pero, secondo la dottrina, leparti si sarebbero potute accordare per attribuire al lodo di prima istanza gia certi effetti,come la provvisoria esecutorieta; in questo senso OBERHAMMER, Entwurf eines neuenSchiedsverfahrensrechts, Wien, 2002, 120; cfr. anche RIEGLER, in RIEGLER ET AL., ArbitrationLaw of Austria, cit., sub sec 607, mn 2 (p. 462). Dopo la riforma, non e piu in vigore unanorma avente quel contenuto, anche se la dottrina non dubita che un tale accordo fra le partisia ammissibile; in questo senso RIEGLER, in RIEGLER ET AL., Arbitration Law of Austria, cit.,sub sec 607, mn 2 (p. 462).

(32) La comunicazione del lodo viene effettuata di regola tramite posta.(33) L’individuazione della trasmissione come momento dal quale decorrono gli ef-

fetti del provvedimento, risponde ad un principio generale, come si ricava dai §§ 409 Abs. 1e 416 Abs.1 oZPO; con specifico riferimento alla comunicazione del lodo cfr. RECHBERGER,MELIS, in RECHBERGER, ZPO. Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 607, Rz. 3.

(34) Piu in generale cfr. il § 409 oZPO per quanto riguarda il rapporto fra esecuto-rieta della decisione giudiziaria e previsione di un termine per l’adempimento.

(35) Cfr. RIEGLER, in RIEGLER ET AL., Arbitration Law of Austria, cit., sub sec 607, mn1 (p. 462) e mn 7 (p. 464).

(36) Cfr. quanto osservato nel testo e alla nota 26 con riferimento al § 606 Abs. 6circa il fatto che il presidente e, in caso di suo impedimento, un altro arbitro deve confer-mare su istanza di parte il passaggio in giudicato e l’esecutorieta del lodo. Giova ricordare,in punto, che anche per la sentenza del giudice ordinario e prevista la « conferma »; ci si ri-ferisce alla Bestatigung der (Rechtskraft und) Vollstreckbarkeit di cui parla il § 54 e il § 7Abs. da 3 a 5 EO (e che e regolata dalla GeO = Geschaftsordnung fur die Gerichte ersterund zweiter Instanz).

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accerti la sussistenza di un motivo di impugnazione di cui al § 611,Abs. 2 Z. 7 e 8 (rispettivamente la non compromettibilita della con-troversia e la contrarieta del lodo all’ordine pubblico), il lodo nonesplica effetti (ossia, non e vincolante) in tale procedimento (37). Inaltre parole, il lodo che sia inficiato dai vizi ora ricordati non spiegaalcun effetto nel procedimento, nel cui corso se ne accerti la sussi-stenza, ancor quando sia spirato il termine per la sua impugnazio-ne (38); con l’ulteriore precisazione che la decisione di « non consi-derare il lodo » (nicht zu beachten) ex § 613 oZPO non e vincolanteal di fuori di tale procedimento, atteso che il lodo non viene annul-lato in questo procedimento (39). Vi e, infine, da precisare che, nel-l’ipotesi in cui fosse stata gia proposta una domanda di annullamentodel lodo (Aufhebungkslage) per gli stessi motivi e la stessa fossestata rigettata con efficacia di giudicato, allora la questione prelimi-nare non potra piu essere autonomamente valutata, ma anzi la sen-tenza che ha deciso sulla domanda di annullamento sara vincolan-te (40).

3. Da un tale assetto, volto alla piu accentuata valorizzazionedel lodo, consegue che la (pur residuale) proposizione della domandad’impugnazione non sospende l’esecutorieta dello stesso. Cosı, conla domanda di annullamento (ex § 611 oZPO), si propone una impu-gnazione di natura rescindente (che mira unicamente all’annulla-

(37) In punto cfr. KLOIBER, HALLER, Das neue Schiedsverfahrensrecht, cit., 60 e, inparticolare, 62 ove si osserva come l’esame sulla sussistenza dei vizi sopra enunciati si col-lochi, nei rispettivi procedimenti, nell’ambito dell’esame delle questioni pregiudiziale (« In-zidentalprufung »). In argomento cfr. anche RIEGLER, in RIEGLER ET AL., Arbitration Law ofAustria, cit., sub sec 611, mn 79 (p. 537 s.).

(38) In punto cfr. RECHBERGER, Zur Neuordnung des « Rechtsbehelfs gegen denSchiedsspruch » in der oZPO, in Zivilverfahrensrecht, Jahrbuch 2010, a cura di FUCIK,KONECNY, LOVREK, OBERHAMMER, Wien e Graz, 2010, 287 s., il quale parla di una sorta di « ca-rattere doppio » di questi due motivi di annullamento del lodo in quanto possono compor-tarsi da un lato come motivi di annullamento del lodo in sede di impugnazione (nell’interessedella parte) e dall’altro come motivi per « non osservare » (« nicht zu beachten ») il lodo inun altro procedimento, assumendo il carattere di motivi di nullita in senso stretto, tale daconsentire anche la possibilita di proporre una domanda di accertamento dell’inesistenza dellodo a norma del § 612 oZPO.

(39) In punto cfr. KLOIBER, HALLER, Das neue Schiedsverfahrensrecht, cit., 63 allanota 154, i quali ricordano che l’alternativa, ossia l’introduzione di un procedimento di an-nullamento d’ufficio, con la partecipazione delle parti, davanti al Tribunale e con effetti vin-colanti per tutti (mit allseitiger Bindungswirkung; efficacia di giudicato, si dovrebbe dire), estata respinta dal legislatore.

(40) In argomento cfr., KLOIBER, HALLER, Das neue Schiedsverfahrensrecht, cit., 63.

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mento) e non sostitutiva, intesa come giudizio di secondo grado (41);da cio consegue che con la domanda non si sospendono ne l’effica-cia di cosa giudicata ne l’esecutorieta (42).

La possibilita di ottenere un effetto sospensivo dell’efficacia dellodo interno opera solo sul piano del processo esecutivo: piu preci-samente, e prevista la possibilita di ottenere la sospensione del pro-cedimento d’esecuzione tramite una specifica richiesta ex § 42 Abs.1 Z. 1 EO, mentre non puo essere richiesta la sospensione dell’effi-cacia davanti al giudice dell’impugnazione (43).

Di conseguenza, in questa prospettiva di ampia valorizzazionedel dictum arbitrale, il lodo austriaco acquista efficacia di cosa giu-dicata ed efficacia esecutiva ex lege (§ 606 Abs. 6 e § 607 oZPO incombinato disposto con il § 1 Z. 16 EO) (44) e senza intervento delgiudice statale: piu semplicemente, l’arbitro (il presidente o, in casodi suo impedimento, altro arbitro), deve — su istanza di parte — at-testare (45) su una copia del lodo il suo passaggio in giudicato e lasua esecutoriera.

Su tali presupposti, per le norme che disciplinano l’esecuzioneforzata austriaca (§ 1 Z. 16 EO), i lodi e le transazioni arbitrali di di-ritto interno, che contengono una pronuncia di condanna, sono titoliesecutivi cosı da poter fondare i presupposti per il procedimento diesecuzione forzata dinnanzi al giudice statale (46). Debbono ritenersilodi di diritto interno, quelli in cui la sede dell’arbitrato si trovi inAustria (§ 577 Abs. 1 oZPO); in caso contrario il dictum arbitrale e

(41) In questo senso KLOIBER, HALLER, Das neue Schiedsverfahrensrecht, cit., 51.(42) Cfr. RECHBERGER, MELIS, in RECHBERGER, ZPO. Kommentar zur Zivilprozessord-

nung, cit., sub § 607, Rz. 3; KLOIBER, HALLER, Das neue Schiedsverfahrensrecht, cit., 51: « Daes sich bei der Aufhebungsklage nicht um eine Anfechtung des Schiedsspruchs im Instanzen-zug, sondern funktionell um eine Art Rechtsmittelklage handelt, schiebt weder die Frist zurErhebung einer Aufhebungsklage noch diese selbst die Rechtswirksamkeit und Vollstreckbar-keit des Schiedsspruchs hinaus ».

(43) Questo offre alla parte vincitrice la possibilita di chiedere, nonostante la pen-denza del giudizio di impugnazione del lodo interno, l’esecuzione del lodo all’estero in baseall’art. V, comma 1, lett. e) in combinato disposto con l’art. VI della Convenzione di NewYork.

(44) In punto, RIEGLER, in RIEGLER ET AL., Arbitration Law of Austria, cit., sub sec607, mn 7 (p. 464).

(45) L’arbitro si limita dunque a « confermare » su copia del lodo gli effetti che adesso discendono per legge (cfr. nota 26). Per quanto riguarda l’efficacia di giudicato del lodo,il rinvio e al § 607 oZPO; sul punto cfr. quanto osservato nel paragrafo che precede.

(46) Il § 1 EO enumera tutti gli atti che costituiscono titolo esecutivo, fra i quali an-che i lodi e le transazioni concluse davanti ad un arbitro/a arbitri (Z. 16).

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considerato straniero e necessita come tale della dichiarazione diesecutorieta (Vollstreckbarerklarung) a norma del § 614 oZPO (47).

Piu precisamente, come per la sentenza straniera, al lodo stra-niero e imposto solo un procedimento per la sua esecuzione, mentrenon vi e alcun bisogno di un procedimento di riconoscimento insenso stretto, essendo il riconoscimento automatico; e prevista sol-tanto — in caso di contestazione — la possibilita di accertare quel-l’effetto in via principale (§ 85 EO) ovvero in via incidentale nelprocesso pendente (Zwischenantrag auf Feststellung; § 236 Abs. 3oZPO).

Ma a differenza di quanto avviene con riguardo al riconosci-mento dell’efficacia di cosa giudicata, ai fini dell’efficacia esecutivaal lodo straniero e necessaria la dichiarazione di esecutivita di cui ai§§ 79 ss. EO. Peraltro, giova precisare che i motivi di diniego dellaVollstreckbarerklarung non sono piu quelli enumerati nei §§ 80 e 81EO, ma quelli — ben noti — dell’art. V della Convenzione di NewYork che prevale sulla disciplina di diritto interno (v. § 614 Abs. 1Satz 1 oZPO e § 86 Abs. 1 EO).

Del resto, al fine di assicurare al massimo la circolazione e lapossibilita per le parti di portarli ad esecuzione, proprio il § 614 Abs.1 oZPO, nella sua seconda parte consente che anche i lodi che sifondano su una convenzione di arbitrato — pur quando non con-forme ai requisiti di forma dell’art. II, comma 2, della Convenzionedi New York — siano eseguibili, se sono conformi ai requisiti diforma della disciplina austriaca (§ 583 oZPO) e se la convenzione diarbitrato e stata conclusa nel rispetto dei requisiti di forma previstidal diritto applicabile a tale convenzione (48).

4. Su tali profili appare opportuno allargare la prospettiva dicomparazione al diritto tedesco. Infatti, a prima vista non diversa-mente da quello austriaco, anche il lodo tedesco, ai sensi del § 1055

(47) Sempre RECHBERGER, MELIS, in RECHBERGER, ZPO. Kommentar zur Zivilprozess-ordnung, cit., sub § 614, Rz. 1 ss.

(48) Giova precisare che l’applicazione dell’art. IV, comma 1, lett. b della Conven-zione di New York a tale riguardo e esclusa, in quanto la produzione dell’originale della con-venzione di arbitrato o di una copia autentica della stessa, e richiesta solo su istanzadell’autorita giudiziaria (Gericht) quando e dubbia la sussistenza di una convenzione arbitrale(§ 614 Abs. 2 oZPO); in punto cfr. KLOIBER, HALLER, Das neue Schiedsverfahrensrecht, cit.,63.

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dZPO (49), produce tra le parti gli effetti di una sentenza passata ingiudicato ex lege. Tuttavia sussistono significative differenze sullequali e utile qualche notazione.

In primo luogo — e in cio la disciplina tedesca e piu vicina aquella italiana — la decisione arbitrale che contiene una pronunciadi condanna o inibitoria, non e esecutiva ex lege (50). Come il lodoitaliano, quello tedesco acquista efficacia esecutiva solo a seguito delprocedimento per la dichiarazione di esecutivita presso il competentegiudice ordinario (§ 1060 Abs. 1 dZPO). Pertanto si rende a tal finenecessario che la parte instauri, dinnanzi al giudice ordinario, il re-lativo procedimento.

Il principio, gia presente nell’ordinamento tedesco (§ 1040dZPO nel testo previgente) e stato tenuto fermo dal legislatore dellariforma del 1998 (51). Discussa e, tuttavia, l’individuazione del mo-mento in cui si produce l’effetto costitutivo. Al riguardo la dottrinaprevalente ritiene che tale effetto si produca dal momento del pas-

(49) La norma che disciplina l’efficacia di cosa giudicata del lodo e individuata dal§ 1055 dZPO; la norma prevede che il lodo ha tra le parti gli effetti di una sentenza passatain giudicato: « Der Schiedsspruch hat unter den Parteien die Wirkungen eines rechtskrafti-gen gerichtlichen Urteils », cfr. anche testo e nota 21.

(50) R.A. SCHUTZE, Schiedsgericht und Schiedsverfahren, 4a ed., Munchen, 2007, Rn.271 ss. KREINDLER, SCHAFER, WOLFF, Schiedsgerichtsbarkeit. Kompendium fur die Praxis,Frankfurt am Main, 2006, Rn. 976 ss.; REICHOLD in THOMAS, PUTZO, Zivilprozessordnung, 30a

ed., Munchen, 2009, sub § 1055, Rn. 5 e sub § 1060, Rn. 7; GEIMER in ZOLLER, Zivilprozess-ordnung, 26a ed., Koln, 2007, sub § 1055, Rn. 1; SCHWAB, WALTER, Schiedsgerichtsbarkeit.Kommentar, 7a ed., Munchen, 2005, Kap. 18, Rn. 1; LACHMANN, Handbuch fur dieSchiedsgerichtspraxis, 3a ed., Koln, 2008, Rn. 2397; SCHLOSSER in STEIN, JONAS, Kommentarzur Zivilprozessordnung, 22a ed., Tubingen, 2002, vol. 9, sub § 1059, Rn. 1.

(51) Con riferimento alla riforma entrata in vigore il 1o gennaio 1998, cfr. HERBER,Das neue deutsche Recht der Schiedsgerichtsbarkeit, in TranspR, 1998, 177; BERGER, Dasneue deutsche Schiedsverfahrensrecht, in DZWiR, 1998, 45; HABSCHEID, Il nuovo diritto del-l’arbitrato in Germania, in questa Rivista, 1998, 175 e 176; e WALTER, La nuova disciplinadell’arbitrato in Germania (una comparazione Germania - Svizzera - Italia), in Riv. dir.proc., 1999, 670. Piu di recente sulla riforma della disciplina dell’arbitrato tedesco cfr. HART-MANN, in BAUMBACH, LAUTERBACH, ALBERS, HARTMANN, Zivilprozessordnung, 67a ed., Munchen,2009, sub § 1052, 2525; GEIMER, in ZOLLER, Zivilprozessordnung, cit., sub § 1025, Rn., 1 ss.;KROLL, Das neue deutsche Schiedsrecht vor staatlichen Gerichten: Entwicklungslinien undTendenzen 1998-2000, in NJW, 2001, 1173 ss.; ID., Die Entwicklung des Rechts der Schieds-gerichtsbarkeit in den Jahren 2003 und 2004, in NJW, 2005, 194 ss.; LACHMANN, Handbuchfur die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 183; LABES, LORCHER, Das neue deutsche Recht derSchiedsgerichtsbarkeit, in MDR, 1997, 420 ss.; MUNCH, in MUNCHENER KOMMENTAR zur ZPO,a cura di RAUSCHER, WAX, WENZEL, 3a ed., vol. 3, Munchen, 2008, sub § 1025, Rn. 97 ss.;SCHLOSSER, in STEIN, JONAS, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1025, Rn. 1 ss.;THOMAS, PUTZO, Zivilprozessordnung, cit., sub Vorb. al § 1025, Rn. 1.

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saggio in giudicato del lodo (52) e non si debba aspettare il momentoin cui venga dichiarato esecutivo (53). A favore di questa conclusionesembra determinante il § 1060 Abs. 1 dZPO, a norma del quale ladichiarazione di esecutorieta e richiamata unicamente come presup-posto per poter procedere all’esecuzione forzata, dovendosi, quindi,intendere che il prodursi degli effetti costitutivi e indipendente dal-l’esecuzione (54).

Ulteriore distinzione — come sottolineato dalla dottrina — devefarsi in ordine al giudicato formale e al giudicato sostanziale (55).

a) Con riguardo al primo profilo sussisterebbe una differenzafondamentale tra la sentenza del giudice ordinario e il lodo. Per lasentenza e prevista, in linea di principio, la sua impugnabilita attra-verso uno specifico mezzo di gravame, con la conseguenza che ilpassaggio in giudicato formale della sentenza e subordinato alla sua(tendenziale) incontestabilita. Il lodo, invece, passerebbe in giudicatoformale e materiale qualora risponda ai requisiti di cui al § 1054 (56).Vi sarebbe solo la possibilita che le parti posticipino il momento delpassaggio in giudicato formale concordando la possibilita di impugnareil dictum arbitrale davanti ad un collegio arbitrale superiore (57).

(52) Cfr. SCHLOSSER, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1055, Rn. 1 ss.(53) In questo senso, ULMER, in STAUB, ULMER, Großkommentar zum HGB, 4a ed.,

Berlin, 1999, § 117, Rn. 72; K. SCHMIDT, in ZGR 1988, 535; SCHWAB, WALTER, Schieds-gerichtsbarkeit, cit., 192; e anche REICHOLD, in THOMAS, PUTZO, Zivilprozessordnung, cit., sub§ 1055, Rn. 5; HARTMANN, in BAUMBACH, LAUTERBACH, ALBERS, HARTMANN, Zivilprozessord-nung, cit., sub § 1055, Rn. 7. In realta la spiegazione di tale conclusione appare « dogmatisch »come e stato osservato (LACHMANN, Handbuch fur die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 1787), inquanto si fonda unicamente sul fatto che si ritiene che un lodo di natura costitutiva necessiti diun controllo da parte del giudice ordinario prima di poter spiegare i suoi effetti, non essendoviin realta nessun legame tra efficacia costitutiva e il profilo legato all’esecuzione.

(54) In questo senso cfr. KREINDLER, SCHAFER, WOLFF, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn.32; LACHMANN, Handbuch fur die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 1787; SCHWAB, WALTER,Schiedsgerichtsbarkeit. Kommentar, cit., Kap. 21, Rn. 12.

(55) In argomento cfr. LACHMANN, Handbuch fur die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn.1782 ss.; SCHLOSSER, in STEIN, JONAS, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059,Rn. 2.

(56) Cfr. REICHOLD, in THOMAS, PUTZO, Zivilprozessordnung, cit., sub § 1055, Rn. 5;LACHMANN, Handbuch fur die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 1783 ss.; SCHLOSSER, in STEIN,JONAS, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1055, Rn. 1; il quale osserva che frala proposizione della domanda di annullamento del lodo ex § 1059 e il passaggio in giudi-cato formale del lodo intercorre il medesimo rapporto che sussiste fra la sentenza del giudicee la proposizione della domanda di revocazione.

(57) Cfr. SCHLOSSER, in STEIN, JONAS, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub§ 1059, Rn. 1; ci si riferisce alla possibilita di un « schiedsrichterlicher Instanzenzug », alfine di posticipare il passaggio in giudicato formale del lodo.

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Il passaggio in giudicato formale del lodo non e solo il presup-posto del giudicato materiale ma anche della sua efficacia esecutivae costitutiva. Peraltro — come sopra accennato — mentre l’efficaciaesecutiva richiede l’instaurazione del procedimento davanti all’Ober-landesgericht al fine di ottenere la dichiarazione di esecutorieta dellodo (§ 1062 Abs. 1 n. 4), qualche dubbio sussiste in ordine al pro-filo relativo all’individuazione del momento dal quale decorre l’effi-cacia costitutiva del lodo e sulla quali ci si e gia soffermati in prece-denza.

b) Con riguardo al giudicato sostanziale, il § 1055 — come ri-cordato — stabilisce che il lodo ha efficacia tra le parti.

Sotto questo profilo, e opportuno fare presente che con il suopassaggio in giudicato si producono i noti effetti rispetto a (even-tuali) successivi processi, quello preclusivo e quello conformati-vo (58). Sotto questo profilo non e, pertanto, dato distinguere il lododalla sentenza, salvo il fatto — di non poco conto — che il rilievodell’eccezione di giudicato deve essere compiuto ad istanza di partee non puo essere atto d’ufficio. Di qui anche l’altra implicazione, perla quale — secondo alcuni — a differenza di quanto avviene per lasentenza, le parti potrebbero accordarsi per neutralizzare il lodo e pereliminare anche la sua efficacia di giudicato (59).

Come si e gia potuto rilevare, la previsione, per la quale la de-cisione arbitrale ha tra le parti gli effetti di una sentenza passata ingiudicato (§ 1055 dZPO), infatti, non e di per se sufficiente per attri-buire al lodo la qualifica di titolo esecutivo. A tal fine, il § 1060 Abs.1 dZPO, dispone che l’esecuzione forzata abbia luogo se il lodo edichiarato esecutivo (60). L’Abs. 2 poi specifica, tuttavia, chel’istanza volta a far dichiarare l’esecutorieta debba essere rigettata,qualora si riscontri la sussistenza di uno dei motivi di annullamento

(58) Cfr. per un esame della dottrina tedesca sul tema CHIZZINI, La revoca dei prov-vedimenti di volontaria giurisdizione, Padova, 1994, 44 ss.

(59) Cfr. WAGNER, Prozeßvertrage. Privatautonomie im Verfahrensrecht, Tubingen,1998, 715, il quale cita BayObLG, in MDR 1984, 496 e OLG Bremen, in NJW 1957, 1035,1036; SCHLOSSER, in STEIN, JONAS, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1055, Rn.1; in senso contrario SCHWAB, WALTER, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., sub Kap. 21, cui si rinviaper gli ampi richiami bibliografici.

(60) Cfr. § 794 Abs. Nr. 4a dZPO secondo il quale l’esecuzione puo essere effettuata inbase a decisioni che dichiarano esecutivi i lodi se le decisioni sono passate in giudicato o sonodichiarate provvisoriamente esecutive (« Die Zwangsvollstreckung findet ferner statt: ... aus Ent-scheidungen, die Schiedsspruche fur vollstreckbar erklaren, sofern die Entscheidungen recht-kraftig oder fur vorlaufig vollstreckbar erklart worden sind »).

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di cui al § 1059 Abs. 2 dZPO. In tal caso, quindi, qualora in sede diexequatur il giudice ravvisi la sussistenza di uno dei motivi di cui al§ 1059 Abs. 2 dZPO, il rigetto della domanda di concessione del-l’esecutorieta porta — come ulteriore e ben piu grave risultato — al-l’annullamento del lodo. I motivi di impugnazione individuati dal§ 1059 Abs. Nr. 1 dZPO non sono pero piu rilevabili qualora i ter-mini perentorio di cui al § 1059 Abs 3 siano decorsi senza che lacontroparte (cioe la parte soccombente nell’arbitrato) abbia propostodomanda di annullamento del lodo.

Questo non vale per i motivi individuati nel n. 2 del § 1059Abs. 2 (la non compromettibilita della controversia e la contrarietaall’ordine pubblico), che sono rilevabili anche d’ufficio. Cio com-porta che, nel caso in cui sussistano i suddetti motivi, il giudice del-l’esecuzione deve rigettare la domanda di esecutorieta anche qualorasiano decorsi i termini di cui al § 1059 Abs. 3 per l’impugnazione.Tutti i motivi di impugnazione sono pero irrilevanti nel caso in cui,al momento della notifica dell’istanza per ottenere l’esecutorieta dellodo, la domanda di annullamento basata sugli stessi motivi sia statarespinta con l’efficacia di giudicato.

Proseguendo nell’analisi della disciplina dell’efficacia esecu-tiva, pare opportuno segnalare alcuni profili del procedimento direttoa ottenerne l’esecutorieta.

Competente a decidere sulla domanda di esecutorieta e laCorte d’appello del distretto nel quale e posta la sede del procedi-mento arbitrale; la competenza territoriale della Corte puo peroessere derogata dalle parti nella convenzione di arbitrato (61).L’Oberlandesgericht decide con ordinanza nell’ambito di un proce-dimento semplificato. Solo il lodo che rispetti i requisiti previsti dal§ 1054 dZPO puo essere oggetto di dichiarazione di esecutorieta (62).

Inoltre, deve essere sottolineato che nell’ipotesi in cui le partiabbiano concordato l’ammissibilita dell’impugnazione davanti ad ungiudice arbitrale superiore (Oberschiedsgericht), una volta adito a talfine il collegio arbitrale, solo il lodo da quest’ultimo pronunciato eda considerarsi lodo a tutti gli effetti e potra essere oggetto di dichia-

(61) In punto si veda KREINDLER, SCHAFER, WOLFF, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn.1073.

(62) Sempre, KREINDLER, SCHAFER, WOLFF, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1070, ilquale, a titolo di esempio, ritiene inammissibile la dichiarazione di esecutorieta del lodo pro-nunciato da un organo di un’associazione, che non e un collegio arbitrale, ovvero di un lodoprivo della sottoscrizione.

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razione di esecutorieta. Pertanto, il lodo di prima istanza acquista irequisiti per poter essere dichiarato esecutivo unicamente nel caso incui il termine per proporre la domanda al collegio arbitrale superioresia decorso oppure le parti abbiano rinunciato ad adirel’Oberschiedsgericht.

Con riguardo all’esecutivita, il § 1060 dZPO prevede che ilprocedimento di esecuzione forzata possa fondarsi solo su un lododichiarato esecutivo, quindi, sembrerebbe riferirsi unicamente aquello di condanna: in punto, pero, la dottrina prevalente ritiene cheanche quello che per sua natura non sia « eseguibile » — qualequello di accertamento, costitutivo (63) o di rigetto della doman-da (64) — possa essere assoggettato al procedimento di exequatur, alfine di ottenere l’accertamento dell’insussistenza di un motivo di im-pugnazione del lodo, in un momento anteriore a quello entro il qualepotrebbe farsi valere un motivo di impugnazione del lodo (65).

Per completare l’esame dell’efficacia, merita attenzione anche iltema connesso dei limiti oggettivi e soggettivi. Con riguardo ai limitioggettivi del decisum, si ritiene che non vi sia una sostanziale diffe-renza sotto questo profilo fra il lodo e la sentenza del giudice ordi-nario. Nell’un caso e nell’altro, infatti, l’oggetto della controversia sidetermina secondo la domanda e il bene della vita posto a fonda-mento della domanda (66). Solo l’oggetto della domanda e copertodal giudicato, non vi rientrano dunque ne le questioni preliminari nei motivi della decisione (67).

(63) Con riferimento a quest’ultimo lodo cfr. quanto osservato nel precedente para-grafo. Sono assoggettabili al procedimento di exequatur anche i lodi che non sarebbero su-scettibili di esecutivita mangels Bestimmtheit (letteralmente per mancanza di determinatezza,assimilabile a un lodo di condanna generica); in questo senso cfr. KREINDLER, SCHAFER, WOLFF,Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1072, il quale richiama BGH IHR 2006, 129, 130; BayObLGBB 1999, 1948; RAESCHKE-KESSLER, BERGER, Recht und Praxis des Schiedsverfahrens, 3a ed.,Koln, 1999, Rn. 1019; KROLL, cit., in NJW 2001, 1180 e s.

(64) In questo senso KREINDLER, SCHAFER, WOLFF, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn.1072, ove i richiami a BGH BB 1960, 302; WM 1962, 430; OLG Hamburg, MDR 1964, 853;GEIMER, in ZOLLER, Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, 2659, Rn. 25 ss.; SCHWAB, WALTER,Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Kap. 26, Rn. 7; LACHMANN, Handbuch fur die Schiedsgerichts-praxis, cit., Rn 2168; VOIT, in MUSIELAK, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1061dZPO, Rn. 11.

(65) Cfr. sempre KREINDLER, SCHAFER, WOLFF, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1072;VOIT, in MUSIELAK, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1061 dZPO, Rn. 11.

(66) Cfr. KREINDLER, SCHAFER, WOLFF, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1037, 300 (ilquale richiama BGHZ 117, 1, 5; BGH NJW 1993, 333, 334; 1996, 3151 3152; 1999, 3126,3127; 2000, 1958; 2001, 157, 158).

(67) In questo senso cfr. HARTMANN, in BAUMBACH, LAUTERBACH, ALBERS, HARTMANN,

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Maggiori perplessita sorgono per quanto riguarda, invece i li-miti soggettivi del giudicato. Il § 1055 dZPO stabilisce che il lodo haefficacia tra le parti. In punto, e discusso se la specificazione del§ 1055, per il quale il lodo produce tra le parti gli effetti di una sen-tenza passata in giudicato, sia da intendere come limitativa dell’effi-cacia soggettiva del dictum arbitrale alle sole parti.

Nonostante la formulazione della norma, vi e chi ritiene chequesto sia equiparabile, a tutti gli effetti, alla sentenza e che possaspiegare la sua efficacia anche nei confronti dei terzi in tutti i casi incui anche la sentenza puo esplicare simile efficacia (68). Sotto questoprofilo, peraltro, non puo essere trascurato il fatto, da un lato e in viagenerale, che i limiti soggettivi sembrano direttamente imposti dallastessa convenzione di arbitrato, come ben evidenziato in dottri-na (69); dall’altro, la circostanza che la chiamata in causa del terzosia soggetta a limiti molto piu rigorosi parrebbe confermare una re-strizione dell’ambito degli effetti soggettivi del lodo rispetto allasentenza (70). Del resto, e a tutti ben noto come le classiche argo-

Zivilprozessordnung, cit., sub § 1055, Rn. 3; KREINDLER, SCHAFER, WOLFF, Schieds-gerichtsbarkeit, cit., Rn. 1038; ROSENBERG, SCHWAB, GOTTWALD, Zivilprozessrecht, 16a ed.,Munchen, 2004, § 150 Rn. 20.

(68) Cfr. KREINDLER, SCHAFER, WOLFF, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1038; SCHWAB,WALTER, Schiedsgerichtsbarkeit, Kap. 21, Rn. 12; SCHLOSSER, in STEIN, JONAS, cit., sub § 1055,Rn. 19. La sentenza passata in giudicato vincola pertanto il successore a titolo particolare, ilsuccessore universale delle parti come gli esecutori testamentari, il curatore e l’amministra-tore dell’eredita, cfr. KREINDLER, SCHAFER, WOLFF, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1041; VOIT,in MUSIELAK, Kommentar zur Zivilprozessordnung, Munchen, 5a ed., 2007, sub § 1055, Rn.7; SCHWAB, WALTER, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Kap. 21, Rn. 13; SCHLOSSER, in STEIN, JONAS,cit. sub § 1055, Rn. 20; KREINDLER, SCHAFER, WOLFF, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 1042 e1043, il quale richiama una serie di esempi, come quello della responsabilita nel subappalto,ossia nel caso in cui il committente citi l’appaltatore per vizio di costruzione (Baumangel) evinca la causa davanti agli arbitri, cio non comporta un accertamento di diritto al risarcimentodel danno nel rapporto tra appaltatore e subappaltatore, che abbia eseguito il lavoro. E chiaroche in situazioni del genere, la parte ha interesse a estendere il giudicato anche al terzo, mamentre nel procedimento davanti al giudice e previsto l’istituto della chiamata di terzo, nelprocedimento arbitrale pero tale strumento puo essere utilizzato solo in presenza di strettipresupposti; cfr. nota 70.

(69) In questo senso, cfr. HARTMANN, in BAUMBACH, LAUTERBACH, ALBERS, HARTMANN,Zivilprozessordnung, cit., sub § 1055, Rn. 7.

(70) La chiamata in causa del terzo (corrispondente al § 72 dZPO) puo essere dispo-sta solo se il terzo e vincolato alla convenzione di arbitrato oppure si assoggetta alla stessa(BGH MDR 1965, 124; GEIMER, in ZOLLER, Zivilprozessordnung, cit., sub § 1042, Rn. 42;SCHLOSSER, in STEIN, JONAS, cit., sub § 1042, Rn. 27; SCHWAB, WALTER, Schiedsgerichtsbarkeit,cit., Kap. 7, Rn. 23; KREINDLER, SCHAFER, WOLFF, Schiedsgerichtsbarkeit, cit., Rn. 797; LACH-MANN, Handbuch fur die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn. 2830; SCHUTZE, Schiedsgericht undSchiedsverfahren, cit., Rn. 90; WAIS in SCHUTZE, TSCHERNING, WAIS, Handbuch des Schiedsver-

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mentazioni svolte dalla dottrina tedesca a favore di un’ampia esten-sione dell’ambito soggettivo d’incidenza del giudicato sui terzi sifondassero su prospettive che, legate alla piu generale strutturazionedel processo civile e soprattutto dell’atto sentenza (71), difficilmenteappaiono de plano ripercorribili con riferimento al lodo arbitrale ealla natura dell’arbitrato piu in generale.

5. Un profilo della disciplina dell’arbitrato tedesco merita diessere sottolineato in questa sede. Con riguardo all’individuazionedei rimedi, tramite i quali far valere i vizi del lodo nei differenti or-dinamenti, la normativa tedesca si differenzia rispetto a quella au-striaca e italiana, ove — come noto — gli eventuali vizi della pro-nuncia devono essere fatti valere in sede di impugnazione del lodo.

In Germania, invece, alla parte soccombente si riconosce unaduplice possibilita di impugnazione sia in via d’azione sia in via dieccezione. In base al combinato disposto dei §§ 1059 e 1060 dZPO,infatti, le ragioni di nullita del lodo possono trovare tutela anche nelprocedimento di dichiarazione dell’esecutivita, senza obbligare laparte a proporre impugnazione a norma del § 1059 dZPO. Cio a pre-scindere dal rilievo che, in questo caso, trattasi di una scelta proces-suale aleatoria, in quanto i motivi di nullita — eccetto due — pos-sono essere fatti valere soltanto entro il termine decadenziale di tremesi (72). Va aggiunto che, in entrambi i giudizi, il controllo sui mo-tivi di impugnazione e limitato in sostanza ai meri profili procedi-mentali (73).

fahrens. Praxis der deutschen und internationalen Schiedsgerichtsbarkeit, 2a ed., Berlin,1990, 462; ELSING, Streitverkundung und Schiedsverfahren, in SchiedsVZ, 2004, 88, 92). Af-finche si producano gli effetti dell’intervento in un successivo procedimento arbitrale, e ne-cessario che il terzo abbia la possibilita di partecipare al procedimento, cio che presupponel’accordo delle altre parti (VOIT, in MUSIELAK, Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub§ 1042, Rn. 11; ELSING, cit., 88).

(71) A tale riguardo, pur con conclusioni differenziate, si puo rinviare ai fondamen-tali lavori di ALLORIO, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, 1935, spec. p. 43 s., e diLIEBMAN, Effıcacia ed autorita della sentenza, Milano, 1935, spec. p. 55 s. Per un riesame diquesti profili, cfr. CHIZZINI, L’intervento adesivo, II, Struttura e funzione, Padova, 1992, 655 s.

(72) La riforma della disciplina dell’arbitrato del 1998 ha introdotto un termine (tremesi) entro il quale si possono far valere i motivi di nullita del lodo (§ 1059 Abs. 3 dZPO).

(73) In punto cfr. RAESCHKE-KESSLER, in PRUTTING, GEHRLEIN, Kommentar zur Zivilpro-zessordnung, Koln 2a ed., 2010, sub § 1059, Rn. 11; LACHMANN, Handbuch fur dieSchiedsgerichtspraxis, cit., 392, il quale osserva come l’unico motivo che puo portare ad unesame del merito sia quello relativo alla contrarieta del lodo all’ordine pubblico sostanziale.

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Page 81: Rivista dell'arbitrato 3-2012arbitratoaia.com › images › riviste › terza › 2012_3_ARBITRATO.pdf · 2. Una prima delibera (6), emanata in seguito alla richiesta dirisolvere

Piu specificatamente, secondo il § 1059 dZPO contro il lodopuo essere proposta solo una domanda di annullamento (74). Lanorma non deve pero essere interpretata nel senso di limitare la pos-sibilita di far valere i motivi di annullamento del lodo (previsti dal§ 1059 Abs. 2) unicamente nel procedimento di impugnazione ex§ 1059; tale possibilita e invece consentita, in virtu del § 1060 Abs.2, anche nel procedimento per la dichiarazione dell’esecutorieta, chedunque puo portare non solo al rigetto dell’istanza di esecutorieta,ma anche al suo annullamento (75). Pertanto il § 1059 dZPO deveessere interpretato nel senso che — in via di azione — il lodo puoessere impugnato unicamente con una domanda di annullamento,mentre le ragioni di annullamento possono farsi valere — in via dieccezione — nel procedimento di dichiarazione di esecutivita dellodo. Piu precisamente, nel caso in cui non sia decorso il termine diimpugnazione, tutti i motivi di annullamento possono ancora esserefatti valere, sussistono, invece, maggiori restrizioni nell’ipotesi in cuiil termine per l’Aufhebungsantrag sia gia decorso (cfr. il § 1060 Abs.2, in combinato disposto con il § 1059 Abs. 3 dZPO. In tal caso, seil termine per l’impugnazione del lodo e decorso, il giudice puo —in sede di exequatur — verificare unicamente la sussistenza del vi-zio del lodo che abbia deciso su controversia non compromettibileovvero sia contrario all’ordine pubblico) (76). In questo caso, il giu-dice puo — in sede di exequatur — soltanto rigettare la richiesta didichiarazione di esecutivita del lodo.

In conclusione, puo dirsi che la disciplina tedesca prevede due

(74) La norma e dettata con riferimento al lodo interno, ivi compreso il lodo che ab-bia ad oggetto una transazione (« auch fur inlandische Schiedsspruche mit vereinbartemWortlaut »), cosı LACHMANN, Handbuch fur die Schiedsgerichtspraxis, cit., 393; in giurispru-denza cfr. BGH, Beschl v. 2.11.2000 - III ZB 55/99 (Dusseldorf), in NJW, 2001, 373 e 374.

(75) Cfr. sul punto LACHMANN, Handbuch fur die Schiedsgerichtspraxis, cit., Rn.1171. Da cio consegue che debba qualificarsi inammissibile l’eccezione sollevata in un suc-cessivo altro processo di cognizione con la quale la parte dovesse far valere il difetto di cosagiudicata ovvero il difetto di efficacia del lodo dovuta ad altri vizi del procedimento arbitraleo della decisione arbitrale. Sul punto SCHLOSSER, in STEIN, JONAS, Kommentar zur Zivilprozess-ordnung, cit., sub § 1059, Rn. 1, per il quale « eine Replik gegen die Einrede der Rechtskraftoder eine sonstige aus Mangeln des schiedsgerichtlichen Verfahrens oder der schiedsgericht-lichen Entscheidung gegen die Wirksamkeit des Schiedsspruches hergeleitete Einwendung...dagegen unzulassig (ist) ».

(76) Nell’ipotesi in cui nel corso di un altro procedimento sia stata proposta istanzadi esecutorieta del lodo — entro il termine aperto per l’impugnazione del lodo — il proce-dimento puo essere sospeso ex § 148 dZPO. In questo senso cfr. SCHLOSSER, in STEIN, JONAS,Kommentar zur Zivilprozessordnung, cit., sub § 1059, Rn. 1.

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mezzi attraverso i quali e possibile ottenere l’annullamento del lodo:la domanda di annullamento (Aufhebungsantrag del § 1059 dZPO) ele eccezioni (Einwendungen) nel procedimento di dichiarazione diesecutivita (di cui al § 1060 Abs. 2 dZPO). Decorso il termine,l’istanza di dichiarazione deve essere rigettata se il giudice verificala sussistenza di uno dei due motivi individuati dal § 1059 Abs. Nr.2 (come si deduce a contrario dal § 1060. 2) (77).

6. Un ultimo profilo di comparazione vuole riguardare l’ese-cutorieta dei lodi in paesi diversi da quelli in cui la decisione e stataemessa (78). Credo che anche in questa prospettiva si possa trovare

(77) Cfr. JAUERNIG, Hess, Zivilprozessrecht, 30a ed., Munchen, 2011, § 92, Rn. 27 (p.379), secondo il quale « Anfechtungsgrunde nach § 1059 II Nr. 2 ZPO (fehlende objektiveSchiedahigkeit, Verstoß gegen den ordre public) [verhindern] die Vollstreckbarerklarungauch dann noch, wenn sie wegen Fristversaumung (§ 1059 III ZPO) nicht mehr zur Aufhe-bung des Schiedsspruchs fuhren konnen ».

(78) Esulano dal discorso le problematiche connesse al lodo libero italiano, la cuinatura negoziale — come noto — e sempre stata ritenuta un ostacolo, sino ad oggi, al suoriconoscimento e alla sua circolazione all’estero. In questa sede, allora, vuole solo osservarsicon riferimento all’ammissibilita o meno del riconoscimento del lodo libero italiano a normadell’art. V, comma 1, lett. e) della Convenzione di New York, l’unico precedente giurispru-denziale, che effettivamente prende posizione sul tema, risale alla pronuncia del Bundesge-richtshof della Repubblica federale della Germania (ci si riferisce alla pronuncia dell’8 otto-bre 1981, citata alla nota 83). Tale pronuncia, muovendo dalla natura contrattuale degli ef-fetti prodotti dal lodo libero (italiano), risolve il quesito rifiutando il riconoscimento del lodo.Piu precisamente, secondo il Bundesgerichtshof, il lodo libero — attesa la sua natura contrat-tuale — non puo considerarsi vincolante (« binding ») ai sensi dell’art. V, comma 1, lett. e)della Convenzione di New York, che individua i requisiti richiesti per ottenere il riconosci-mento delle sentenze straniere. Il profilo in esame puo dirsi sia stato piu di recente sfioratoda alcune pronunce delle Corti americane adite per ottenere il riconoscimento di un lodo li-bero italiano: sul tema cfr. Europcar Italia S.p.a./Maiellano Tours, INC, United States Courtof Appeals for the Second Circuit, 2 settembre 1998, Docket No. 97-7224; Spier /Calzaturi-ficio Tecnica S.p.a., United States District Court for the Southern District Court of New York,29 giugno 1987, No. 86 Civ. 3447 (CSH); Spier/Calzaturificio Tecnica S.p.a., United StatesDistrict Court for the Southern District Court of New York 28 novembre 1990, No. 86 Civ.3447 (CSH); Spier/Calzaturificio Tecnica S.p.a., United States District Court for the SouthernDistrict Court of New York 22 ottobre 1999, No. 86 Civ. 3447 (CSH). In realta, in estremasintesi puo dirsi che nelle pronunce citate, i giudici americani si sono limitati ad applicare iprincipi generali previsti nella Convenzione di New York per il riconoscimento dei provve-dimenti stranieri, senza compiere alcuna distinzione fra lodo libero e lodo rituale. Pertanto,in applicazione dell’art. V della Convenzione, le Corti americane hanno rifiutato il riconosci-mento del lodo libero italiano unicamente sul presupposto della pendenza del relativo proce-dimento di impugnazione presso le competenti autorita giudiziarie italiane. Conseguente-mente, una volta che il lodo libero e stato annullato dai giudici italiani (annullamento con-fermato in tutti i gradi del giudizio di impugnazione), il problema relativo all’ammissibilitao meno del riconoscimento del lodo libero in base alla Convenzione di New York e risultato

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conferma (almeno indiretta) degli assunti generali che si vanno svol-gendo, ovvero (e principalmente) della equiparazione sul piano deglieffetti tra decisum arbitrale e sentenza. Come noto, la circolazioneesterna del lodo reso nel territorio di uno Stato diverso da quello incui se ne chiede il riconoscimento e l’esecuzione e governata dallaConvenzione di New York, la cui applicazione — mentre non hadato particolari problemi per il lodo austriaco e quello tedesco — peril lodo italiano si e dovuta misurare con talune difficolta.

Piu precisamente, con riferimento alla potenzialita di circola-zione all’estero del lodo rituale italiano, possono essere ricordate gliostacoli da esso incontrati nel vigore della disciplina del codice dirito del 1942 e delle successive modifiche legislative. Piu precisa-mente, la dipendenza — quanto alla produzione degli effetti del lodorituale — dalla formale autorizzazione da parte del giudice ordina-rio (79) (anche in seguito alla c.d. mini riforma dell’arbitrato del

di fatto superato, essendo venuto meno — a seguito dell’annullamento — il provvedimento,per il quale si chiedeva il riconoscimento. Peraltro si deve segnalare che, in realta, un rico-noscimento del lodo libero vi era stato perche, in prima istanza, la Corte americana (nellacontroversia Europcar Italia, /Maiellano Tours INC) aveva provveduto a riconoscere il lodo.Successivamente, pero, la Corte d’appello aveva provveduto a rinviare la causa alla Corte diprima istanza, sul presupposto che non si sarebbe dovuto procedere al riconoscimento dellodo, in quanto pendeva il giudizio di impugnazione davanti alle competenti autorita italiane.In altre parole, i giudici americani non hanno deciso sull’eccezione di parte relativa alla nonriconoscibilita del lodo libero italiano, limitandosi ad applicare i principi della Convenzionesopra richiamati e che consentono il rifiuto del riconoscimento del provvedimento in pen-denza del relativo procedimento di impugnazione, subordinando — e di fatto rinviando — ladecisione alla sussistenza di un provvedimento definitivo (non piu impugnabile): si ricordache in Europcar Italia Spa/ Maiellano Tours, Inc. si legge: « As the district court observedin Spier, the issue of whether or not arbitrato irrituale is enforceable under the Conventionpresents a close question and there are compelling arguments on both sides. Because reso-lution of this issue is not necessary to the disposition of this case, however, we leave decisionon the matter for another day ». In materia merita inoltre di essere segnalata la sentenza dellaCorte americana (Spier/Calzaturificio Tecnica S.p.a., 22 ottobre 1999) che ha deciso sul-l’istanza con cui l’interessato — a fronte di un annullamento del lodo libero italiano pronun-ciato con sentenza (della Corte di Cassazione) passata in giudicato — chiedeva la disappli-cazione della decisione italiana e l’applicazione della disciplina americana. Richiesta che tro-vava il suo fondamento sul permissive « may » contenuto nell’art. V, comma 1 della Conven-zione di New York, che — secondo la parte — offriva alla corte americana la possibilita didisattendere la decisione italiana. La corte americana rigettava l’istanza motivando il diniegosulla base dei principi sanciti dalla Convenzione di New York, in virtu dei quali [solo] alloStato nel quale, o secondo la legge del quale il lodo e stato pronunciato, compete di annul-lare o modificare un lodo, conformemente alla disciplina interna che regola l’arbitrato e aisuoi motivi di impugnazione espressamente o implicitamente previsti. Pertanto, in virtu deiprincipi ora richiamati, nessuna corte americana si sarebbe potuta discostare da quanto sta-tuito dai giudici italiani.

(79) Il codice del 1942 (differenziandosi dalla disciplina dell’arbitrato contenuta nel

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1983) (80) impediva al lodo italiano di profittare della opportunita,

codice di procedura civile del 1865 che impiegava la locuzione sentenza arbitrale anche conriferimento al lodo non depositato, cfr. gli artt. 21-23) espressamente distingueva tra lodoomologato, cui veniva attribuita il nomen e l’efficacia di sentenza e lodo non omologato i cuieffetti non erano disciplinati dalla legge. L’art. 825, comma 1 del codice del 1942 piu speci-ficatamente disponeva che il lodo dovesse essere depositato entro il termine perentorio dicinque giorni dalla data della sua sottoscrizione nella cancelleria del pretore competente, im-plicitamente prevedendo che, in caso di mancato deposito, il lodo rituale non fosse produt-tivo di alcun effetto, non potendosi neppure attribuire ad esso efficacia di lodo libero o irri-tuale (cfr. sul punto CARNACINI, voce Arbitrato rituale, in Nov. Dig. it., I, Torino, 1957, 880e p. 906 ss., per il quale il « crisma finale » — il decreto pretorile che attribuiva esecutivitaal lodo — consentiva di ottenere un risultato pari, con riferimento alla sostanza, a quello rag-giungibile mediante un procedimento instaurato e svolto davanti all’autorita giudiziaria; inquesto senso cfr. anche BIAMONTI, voce Arbitrato, in Enc. dir., II, Milano, 1958, 900 ss.).

(80) Successivamente, con la riforma del 1983 (Legge 9 febbraio 1983, n. 28), il le-gislatore ha accolto una soluzione ambigua, a giudicare dalle diverse opinioni manifestatedalla dottrina con riferimento, in particolare, all’« efficacia vincolante » del lodo fra le parti.In punto, e stato osservato che l’« efficacia vincolante » attribuita al lodo dall’art. 823 c.p.c.sembrava prendere « le mosse del tutto scopertamente dalla traduzione letterale dell’espres-sione “binding/obligatoire” di cui all’art. V, comma 1, lett. e) della Convenzione di NewYork ». La riforma ora citata non chiariva pero definitivamente il profilo in esame, in quantoil testo non si prestava ad una inequivoca interpretazione. L’incertezza interpretativa era do-vuta al fatto che la disciplina riformata, nel prevedere un termine di un anno per effettuareil deposito del lodo e il decorso di un ulteriore anno dal deposito per la sua impugnazione enell’attribuire al solo lodo depositato efficacia di sentenza, mostrava una lacuna con riferi-mento all’individuazione degli effetti del lodo non omologato, piu precisamente riguardo alsignificato da attribuire all’espressione « efficacia vincolante » assegnata nell’art. 823 c.p.c.al lodo fin dalla data della sua ultima sottoscrizione. In questa sede si puo soltanto ricordareche la formulazione della norma aveva dato luogo a differenti e non conciliabili interpreta-zioni. Vi era chi riteneva che al lodo non omologato dovesse riconoscersi efficacia equiva-lente a quella della decisione giudiziale di accertamento o costitutiva (propendevano per ilriconoscimento di un’efficacia del lodo equivalente alla decisione giudiziale e conseguente-mente ritenevano che l’exequatur avesse il solo scopo di attribuire efficacia esecutiva al lodo:FRANCHI, Brevissime osservazioni sulla legge 6 febbraio 1983, n. 28 contenente modificazionidella disciplina dell’arbitrato, in Riv. dir. civ., 1983, II, 219; GRASSO, La nuova disciplinadell’arbitrato alla luce della legge 9 febbraio 1983, n. 28, in AA.VV., L’arbitrato secondo lalegge 28/1983, a cura di VERDE, Napoli, 1985, 27; MANDRIOLI, Corso di diritto processuale ci-vile, III, Torino, 1989, 343 e 344; MONTELEONE, Il nuovo regime giuridico dei lodi arbitralirituali, in Riv. dir. proc., 1985, 552; NICOTINA, Arbitrato rituale e giurisdizione, Milano, 1990;E.F. RICCI, Sull’effıcacia del lodo arbitrale rituale dopo la legge 9 febbraio 1983, n. 28, inRiv. dir. proc. civ., 635; TARZIA, Effıcacia del lodo e impugnazioni nell’arbitrato rituale e ir-rituale, in Riv. dir. proc., 1987, 26 ss.; ID, Effıcacia vincolante del lodo nell’arbitrato rituale,in Rass. arb. 1985, 1; RUBINO SAMMARTANO, Il diritto dell’arbitrato (interno), Padova, 1991,25; e per ampi richiami dottrinali e giurisprudenziali sul punto cfr. ID., Il diritto dell’arbi-trato, Padova, 2002, 26 ss.); altri propendevano per attribuire al lodo efficacia negoziale (perun’equiparazione degli effetti del lodo non depositato all’efficacia propria di un negozio cfr.CECCHELLA, L’arbitrato nelle controversie di lavoro, Milano, 1990, 382 ss.; FAZZALARI, Lodoe sentenza (ancora sulla « natura » negoziale del lodo), in Riv. dir. proc., 1990, 377; ID., voceArbitrato (Teoria generale e diritto processuale civile, in Dig. disc. priv., Torino, 1997, 389;ID., L’arbitrato, cit., 24; ID., Una buona novella, cit. 9; ID., Omologazione del lodo e « azione

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offerta dalla Convenzione di New York, di evitare il doppio exequa-tur (81). Infatti, poiche la vincolativita del lodo e la sua efficaciaerano subordinate alla concessione dell’exequatur da parte del giu-dice ordinario, non poteva trovare applicazione la Convenzione diNew York (82), in base alla quale (ai fini della concessione dell’ese-cutorieta) e sufficiente che il lodo straniero sia potenzialmente ese-cutivo nel paese di provenienza e non sia quindi necessario lo svol-gimento del relativo procedimento interno (di attribuzione dell’ese-cutorieta), potendo il lodo eseguirsi direttamente all’estero, nel ri-

di nullita », cit., 2915; MAZZARELLA, Sull’effıcacia e impugnabilita dei lodi dopo la legge diriforma del 9 febbraio 1983, in Foro it., 1984, V, c. 181; PUNZI, voce « Arbitrato rituale eirrituale », cit., 33; ID., La riforma dell’arbitrato (osservazioni a margine della legge 9 feb-braio 1983, n. 28) in Riv. dir. proc., 1983, 78 ss.; La legge 9 febbraio1983, n. 28 e la modi-fica dell’arbitrato, in Giur. it., 1983, IV, 308 ss. Vi era poi chi, qualificando il lodo come ele-mento di una fattispecie non ancora compiuta, riteneva che il lodo si potesse perfezionare al-ternativamente in direzione della pura e normale efficacia negoziale o di quella di sentenzaconseguente al decreto pretorile di esecutivita v. MONTESANO, Sugli effetti e sulle impugna-zioni del lodo nella recente riforma dell’arbitrato rituale in Foro it. 1983, II, c. 160 (che ri-chiama « le chiare parole » di MARANI, Aspetti negoziali e aspetti processuali dell’arbitrato,Torino, 1966, 185); nel senso che il mancato deposito del lodo nel termine prescritto dallalegge portava alla caducazione degli effetti dallo stesso prodotti cfr. ANDRIOLI, La novella sul-l’arbitrato, in Dir. e giur. 1983, 249; GARBAGNATI, In tema di effıcacia negoziale di un lodorituale non omologato, in questa Rivista, 1991, 23; ID., Sull’effıcacia di cosa giudicata dellodo arbitrale rituale, in Riv. dir. proc., 1985, 429.

(81) La problematica in esame e l’evoluzione della disciplina dell’arbitrato italianosotto questo profilo sono approfonditamente esaminate da NISATI, La riforma dell’arbitrato:monografia ragionata sulla riforma del processo arbitrale, Milano, 2006, 165 ss. e in parti-colare p. 193; BRIGUGLIO, L’arbitrato estero. Il sistema delle convenzioni internazionali, Pa-dova, 1999, 250 ss.

(82) Piu precisamente, l’art. V, comma 1, lett. e) della Convenzione di New York in-dividua nell’espressione « binding/obligatoire » il tipo di « efficacia vincolante » che deve ri-coprire il lodo ai fini del riconoscimento ed esecuzione in uno stato straniero. Il problema chesorgeva quindi con riguardo al lodo italiano era dovuto al fatto che, come ricordato alla nota80 e nel testo, il prodursi dell’efficacia del lodo italiano era subordinata alla concessione del-l’omologazione da parte del giudice ordinario (con le differenze in precedenza ricordate frala disciplina del codice del 1940-42 e quella introdotta con la riforma del 1983). Pertanto,essendo l’efficacia del lodo rituale imprescindibilmente legata alla concessione dell’exequa-tur del giudice ordinario italiano, ai fini dell’esecuzione del lodo italiano all’estero, il lodoitaliano omologato doveva essere sottoposto al procedimento di attribuzione dell’esecutorietadel lodo nel paese straniero nel quale lo stesso avrebbe dovuto trovare esecuzione. In puntogiova ricordare che il lodo irrituale, non potendo ricoprire la qualita di titolo esecutivo, nonpoteva e non puo ottenere l’attribuzione dell’efficacia esecutiva secondo le regole fissate perl’esecuzione dei titoli esecutivi stranieri; in argomento, cfr. la pronuncia della BGH 8 otto-bre 1981, in Yearbook, 1983, 366 e in ZfRV, 1983, 35, con nota senza titolo di BAJONS, 39,con la quale e stata rifiutata l’esecuzione del lodo irrituale all’estero. In punto cfr., BOVE, Lagiustizia privata, cit., 331 ss.; FRIGNANI, L’arbitrato commerciale internazionale, 2004, 251ss.; E.F. RICCI, Il lodo arbitrale irrituale di fronte alla convenzione di New York, in Riv. dir.proc., 2001, 599 ss.

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spetto delle regole processuali che tale paese stabilisce per l’esecu-zione dei titoli esecutivi stranieri.

Con la riforma della disciplina del 1994, in particolare a seguitodella soppressione del termine di decadenza per il deposito del lodoprevisto dall’art. 825 c.p.c., si e risolto il problema dell’applicabilitadella Convenzione di New York, essendo svincolato il profilo dell’ef-ficacia del lodo rituale da quello relativo all’attribuzione dell’esecu-torieta allo stesso (83).

Questa conclusione sembra trovare ulteriore conferma nella no-vella del 2006, atteso che l’intervenuta parificazione dell’efficaciadel lodo a quella della sentenza del giudice ordinario (art. 824-bisc.p.c.) consente di superare i dubbi e le perplessita in precedenzaesposti riguardo all’applicabilita della Convenzione di New York aifini della « concedibilita in base ad essa dell’exequatur » al lodo ita-liano da eseguirsi all’estero.

Ferme le conclusioni ora esposte, che portano ad una valutazionepositiva della disciplina riformata, si puo segnalare un altro profilo cherischia pero di compromettere la circolazione del lodo italiano, ren-dendo « potenzialmente piu difficile la vita del nostro lodo rituale al-l’estero » (84). Ci si riferisce non tanto alla previsione di cui all’art. 825c.p.c., che introduce la possibilita di proporre il reclamo avverso ilprovvedimento di concessione dell’omologazione del lodo (85), quantopiuttosto all’art. 830, comma 2, c.p.c., il quale oggi prevede che la

(83) In questo senso cfr. BRIGUGLIO, L’arbitrato estero, cit., 255 e ss.; ID., La dimen-sione transnazionale dell’arbitrato, in questa Rivista, 2005, 702, il quale osserva come taleconclusione si giustifichi a seguito della modifica introdotta dalla riforma del 1994, in parti-colare, in conseguenza della soppressione del termine di decadenza previsto dall’art. 825 peril deposito del lodo; pertanto riteneva soddisfatto il requisito di cui all’art. V, comma 1, lett.e) della Convenzione di New York » che individua nell’espressione « binding/obligatoire » iltipo di « efficacia vincolante » che deve ricoprire il lodo ai fini del riconoscimento ed esecu-zione in uno stato straniero. Con riguardo alle difficolta applicative che sarebbero potute in-sorgere ai fini della corretta applicazione della Convenzione di New York, cfr. quanto osser-vato alla nota precedente.

(84) Cfr. BRIGUGLIO, La dimensione transnazionale dell’arbitrato, cit., 703.(85) Sotto questo profilo riterrei che non ci sia una sostanziale differenza fra il rigetto

dell’omologazione e la sua reclamabilita. Si condividono sul punto le osservazioni di chi ri-tiene che « non essendo l’exequatur richiesto ai fini dell’obbligatorieta, il suo rifiuto nonsembra necessariamente privare il lodo dell’efficacia vincolante tra le parti e pertanto dell’ob-bligatorieta richiesta ai fini dell’exequatur estero » (cosı RUBINO SAMMARTANO, Il diritto del-l’arbitrato, Padova, 2010, 1255 ss.; in senso contrario BRIGUGLIO, La dimensione transnazio-nale dell’arbitrato, cit., 703, per il quale tale ipotesi, sarebbe « piu facilmente ragguaglia-bile », rispetto al semplice diniego dell’omologazione, alla sospensione dell’efficacia del lododi cui all’art. V, comma 1, lett. e) della Convenzione di New York).

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Corte d’appello, chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione del lodopossa sospendere in presenza di « gravi motivi » non solo l’esecutorietadel lodo, ma « l’efficacia tout court dello stesso » (86).

7. L’analisi dell’evoluzione della disciplina dell’arbitrato,come sopra illustrata nella prospettiva particolare degli effetti dellodo, permette di ravvisare un crescente sforzo rivolto a consentireall’arbitrato di affrancarsi sempre piu da ogni forma di subordina-zione alla giurisdizione ordinaria. Questo indirizzo, come si e potutoconstatare, se e accentuato, per tradizione, nella disciplina austriaca,connotata da un forte favore nei confronti dell’efficacia del lodo,nondimeno e presente anche nella recente evoluzione della disciplinaitaliana e tedesca.

In questo senso depone — nel regime austriaco — il dato norma-tivo per cui l’efficacia esecutiva del lodo (che, come piu volte ricordato,si produce ex lege) viene attestata, o meglio « confermata », dall’arbi-tro, senza necessita di dover ricorrere all’autorita giudiziaria ordinaria.Con riguardo alla disciplina tedesca e italiana, la previsione di legge,che attribuisce al lodo efficacia di cosa giudicata ed efficacia equipara-bile alla sentenza del giudice ordinario, conferma appieno — si crede— che l’istituto arbitrale si pone quale rimedio alternativo alla giurisdi-zione ordinaria, anche se ad essa assimilabile, nel senso che il giudizioarbitrale realizza una forma di esercizio della funzione giurisdizionale(in senso lato, se si vuole), che si qualifica attraverso l’equiparazionedegli effetti del lodo a quelli della sentenza pronunciata dall’autoritagiudiziaria. Da cio consegue, al di la di collaterali profili d’inquadra-mento che non hanno rilevanza sul piano della disciplina degli effetti— ossia del solo che rileva ai fini di una rigorosa sistematica giuridi-ca (87) — che profilo comune alla disciplina dell’istituto arbitrale inquesti tre paesi e proprio la piena equiparazione dell’efficacia del lodoa quello della sentenza del giudice ordinario, con l’ulteriore specifica-zione che al lodo e riconosciuta l’efficacia di cosa giudicata.

L’elemento che, invece, evidenzia una distinzione fra le diversediscipline e quello relativo all’attribuzione dell’efficacia esecutivadel lodo: quello austriaco acquista efficacia esecutiva ex lege e la

(86) Cfr. BRIGUGLIO, La dimensione transnazionale dell’arbitrato, cit., 703.(87) Cfr. anche per adeguati riferimenti di dottrina TAVORMINA, Il processo come ese-

cuzione forzata, Napoli, 2003, spec. 22 ss.

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conferma dell’arbitro ha unicamente lo scopo di attestare tale effetto.Il diritto italiano prevede, invece, che la parte che intende fare ese-guire il lodo debba provvedere ad instaurare il relativo procedimentopresso il giudice ordinario, il quale — accertata la regolarita formaledel lodo — lo dichiara esecutivo. Analogamente, il diritto tedescoprevede un procedimento che si articola presso il giudice ordinario,ma si differenzia da quello italiano per il fatto che il procedimentodi exequatur non e circoscritto ad un esame della regolarita formaledel lodo, ma puo condurre all’annullamento dello stesso (come nelprocedimento di impugnazione diretta del lodo).

Sotto questo profilo, pertanto, le discipline in esame si distin-guono in modo netto. Infatti, alla regola comune alla disciplina au-striaca e italiana, per la quale i vizi del lodo possono farsi valere soloin sede di impugnazione dello stesso, corrisponde — nell’ordina-mento tedesco — la diversa (e, per certi versi, opposta) regola per laquale (tutti) i vizi del lodo possono essere fatti valere anche in via dieccezione nel procedimento promosso con l’istanza volta ad ottenereil riconoscimento dell’efficacia esecutiva. Non solo il lodo tedesco eannullabile in via di azione attraverso la proposizione della domandadi annullamento del lodo (Aufhebungsantrag a norma del § 1059dZPO), ma anche in via di eccezione (Einwendungen) nel procedi-mento di dichiarazione di esecutivita (di cui al § 1060 Abs. 2 dZPO).

Ma vi e di piu. Un profilo di indubbio rilievo merita di esseresottolineato per la forte incidenza in termini di effettivita della tutelaad esso sottesi: la differente stabilita riconosciuta al lodo non piuimpugnabile nei diversi ordinamenti.

Muovendo dalla disciplina tedesca e da porre in risalto come laregola generale valida per tutti i motivi di impugnazione del lodo checonsiste nella previsione di un termine decadenziale di tre mesi perpoter chiedere, in via di azione o di eccezione, l’annullamento dellodo, subisca una deroga. Piu precisamente, nell’ipotesi in cui il lodosia contrario all’ordine pubblico ovvero abbia ad oggetto controver-sie non compromettibili, la rilevabilita del vizio sopravvive al ter-mine decadenziale anzidetto. In queste due ipotesi, infatti, il vizio erilevabile d’ufficio e « puo essere fatto valere senza limiti di tempodalla parte come motivi di eccezione nel procedimento di dichiara-zione di esecutivita del lodo » (88).

(88) Sul punto cfr. quanto osservato nel testo al par. 5.

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Allo stesso modo, anche la disciplina austriaca conosce un ri-medio particolare per impedire l’esecuzione del lodo qualora sia af-fetto dai vizi suddetti. Sotto questo profilo la norma di riferimento equella individuata al § 613 ZPO. Come in precedenza ricordato (89),qualora in un successivo procedimento (ad esempio nel procedi-mento di esecuzione) il Tribunale o altra Autorita accertino suistanza di parte ovvero ex offıcio la contrarieta del lodo all’ordinepubblico ovvero la non compromettibilita della controversia oggettodel lodo, in tale procedimento il lodo non esplica effetti (non e vin-colante). In altre parole, seppur la normativa austriaca non consentedi ottenere l’annullamento del lodo una volta decorso il termine de-cadenziale di tre mesi previsto per l’impugnazione, al contempo im-pedisce che il lodo affetto dai vizi ora ricordati produca effetti inogni altro procedimento nel corso del quale sia accertata la sussi-stenza di tali vizi.

Sotto questo profilo giova porre in risalto come il medesimo ri-sultato cui consentono di pervenire, seppur con strumenti differenti,la disciplina tedesca e austriaca riguardo al lodo interno, ossia la« non esecuzione » del lodo viziato perche contrario all’ordine pub-blico o perche avente ad oggetto controversie non compromettibili,sia conseguibile nella procedura per la dichiarazione di esecutivitadel lodo all’estero secondo la Convenzione di New York. Ed inverola possibilita di rilevare, anche d’ufficio, tali motivi e attribuita dallaConvenzione di New York [art. V, comma 2, lett. a) e b)] al giudiceal quale si chiedono il riconoscimento e l’esecuzione del lodo resonel territorio di uno Stato diverso.

Conclusivamente, puo dirsi, quindi, che in base alla disciplinaaustriaca e tedesca — anche se con strumenti diversi — la tutela of-ferta alla parte soccombente contro l’esecuzione del lodo che siacontrario all’ordine pubblico o abbia ad oggetto controversia noncompromettibile e la medesima sia che l’esecuzione sia richiesta al-l’interno dell’ordinamento (in base al diritto dello Stato di originedel lodo) sia che venga richiesta all’estero (in base alla Convenzionedi New York).

Discorso a parte merita la disciplina italiana per la quale, alcontrario, non e ravvisabile un’identita di tutela a favore della partesoccombente nei confronti dell’esecuzione del lodo a seconda che se

(89) Cfr. quanto osservato sopra nel testo al par. 2.

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ne richieda l’esecuzione in Italia ovvero all’estero. Ferma l’applica-zione per il riconoscimento e l’esecuzione del lodo italiano all’esterodei principi sopra richiamati sanciti nella Convenzione di New York(ossia la possibilita per la parte soccombente di ottenere il rifiutodell’esecuzione del lodo se avente ad oggetto una controversia noncompromettibile ovvero perche contrario all’ordine pubblico) (90), intermini differenti si esprime, sotto il profilo della tutela della partesoccombente, la disciplina di diritto interno. In tali casi, infatti, ladisciplina italiana non prevede uno strumento specifico di tutela.

In punto, dal « coordinato operare » dell’art. 829, n. 1 e dell’art.817, comma secondo (91), si ricava che la non compromettibilitadella controversia e sottratta al piu severo regime dell’obbligatorietadella contestazione del relativo vizio nel corso del procedimento ar-bitrale, essendo censurabile per la prima volta in fase di impugna-zione del lodo [a differenza degli altri vizi di invalidita della conven-zione di arbitrato che — quando non rilevati immediatamente inapertura del procedimento arbitrale — non possono essere fatte va-lere in sede di impugnazione del lodo (ex art. 829, comma 1, n.1) (92).

La norma nulla dice riguardo alla rilevabilita del vizio unavolta spirato il termine di legge per proporre l’impugnazione pernullita.

Al fine di fornire una interpretazione delle norme conforme aiprincipi fondamentali dell’ordinamento, la dottrina e la giurispru-denza si sono fatte carico di colmare la lacuna normativa, affer-mando come non sempre alla mancata proposizione dell’impugna-

(90) In punto cfr., BRIGUGLIO, Riconoscimento ed esecuzione dei lodi stranieri in Ita-lia, in questa Rivista, 2010, 429 ss.

(91) L’art. 817, comma 2 al quale fa rinvio l’art. 829, comma 1, n. 1 [in realta il rin-vio e erroneamente compiuto al comma 3, trattasi di un « evidente errore tipografico », in talsenso BOCCAGNA, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., sub art. 829, 463, sul punto cfr. E.F.RICCI, L’arbitrato e il tipografo legislatore (Elogio della « rientranza »), in Riv. proc. civ.,2006, 631], individua il limite temporale entro il quale far valere il vizio di inesistenza, in-validita, inefficacia della convenzione di arbitrato « nella prima difesa successiva all’accetta-zione degli arbitri ».

(92) Cosı MENCHINI, La riforma della disciplina dell’arbitrato, Milano, 185; nellostesso senso BOCCAGNA, La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di MENCHINI, sub art. 829,463; ID., Riforma del diritto arbitrale, cit., 1415, il quale richiama come argomento a soste-gno di tale conclusione il rinvio all’art. 817, comma 3 contenuto nella disposizione in esame,« che riguarda appunto tutti i casi di incompetenza degli arbitri per inesistenza, invalidita oinefficacia della convenzione arbitrale »; in punto ancora MENCHINI, Impugnazione del lodo« rituale », in questa Rivista, 2005, 843 ss., in particolare p. 848.

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zione consegua la sanatoria del vizio nel rispetto del c.d. principiodella conversione dei motivi di nullita in motivi di gravame. Piu pre-cisamente, tale principio non puo trovare applicazione nei casi in cuiil vizio abbia assunto un connotato di maggiore gravita rispetto allacausa di nullita, tale da configurare un’ipotesi di « c.d. inesistenzagiuridica o di nullita assoluta e radicalmente insanabile » del lo-do (93); ipotesi fra le quali rientra a pieno titolo la non compromet-tibilita della controversia (94). La qualificazione del vizio come causa

(93) Cosı CONSOLO, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi, Padova, 2012, 552.(94) In argomento cfr. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, II, Padova, 2012,

530 ss., il quale ritiene che nel caso in cui difetti la stessa potestas judicandi degli arbitri —fattispecie che si verifica sia nel caso di indisponibilita del diritto sia di divieto assoluto dicompromettibilita della controversia e che comporta l’inesistenza della convenzione di arbi-trato — il vizio del lodo non solo sia rilevabile d’ufficio ma si debba « ammettere l’esperi-bilita, in queste ipotesi, di un giudizio di cognizione, per far accertare in via principale edautonoma, o anche in via incidentale e di eccezione, la nullita assoluta del patto compromis-sorio e conseguentemente del lodo » (p. 557). Prima della riforma del 2006 la giurisprudenzae la dottrina maggioritaria facevano rientrare anche il caso di inesistenza del compromesso.Ed invero, facendo discendere dalla mancanza di un patto compromissorio l’assoluta carenzadel potere giurisdizionale degli arbitri, si traeva la conclusione che portava a ritenere il lodo,pronunciato da arbitri privi di potere decisorio, insuscettibile di produrre qualsiasi effettogiuridico, perche da considerarsi giuridicamente tanquam non esset, in quanto reso a non ju-dice (cosı Cass., 25 gennaio 1997, n. 781, in questa Rivista, 1997, 529 con nota critica diBOVE, Impugnazione per nullita del lodo pronunciato in difetto di patto compromissorio, 534;nello stesso senso Cass., 29 aprile 2004, n. 8206, in Giust. civ., 2005, I, 747, con nota di AU-LETTA, Ancora sull’internazionalizzazione dell’arbitrato (altrimenti) domestico; Cass., 27gennaio 2001 n. 1191, in questa Rivista, 2002, 303, con nota di AMADEI, Note in tema di ine-sistenza di accordo compromissorio per arbitrato rituale e impugnazione per nullita dellodo). Di qui l’ulteriore conseguenza — con riguardo alla natura della pronuncia della Corted’appello chiamata a decidere sul vizio in esame — relativa al fatto che secondo questoorientamento giurisprudenziale, in sede di impugnazione per nullita del lodo, qualora fossestato riscontrato che il processo arbitrale era stato celebrato in assenza di un previo pattocompromissorio, il giudice dell’impugnazione non avrebbe potuto decidere nel merito dellacausa dovendosi limitare alla declaratoria di nullita del lodo sul presupposto — come sopraricordato — che in tal caso il lodo deve essere considerato giuridicamente tanquam non es-set, in quanto reso a non judice (cosı Cass., 25 gennaio 1997, n. 781, cit.; nello stesso senso,con riferimento all’ipotesi di compromesso inesistente cfr. in giurisprudenza Cass., 27 gen-naio 2001, n. 1191 cit.; sempre nel senso di escludere la devoluzione della cognizione sulmerito della controversia al giudice dell’impugnazione per nullita, ogni qualvolta detta pro-nuncia di nullita venga emanata per invalidita della convenzione arbitrale dipendente da in-compromettibilita della controversia cfr. Cass., 27 luglio 1990, n. 7597, in questa Rivista,1991, 535, con nota di RUFFINI, Alcune questioni in tema di impugnazione per nullita del lodoarbitrale; in senso contrario cfr. App. Firenze, 31 gennaio 2001, in questa Rivista, 2002, 325,con nota di FUSILLO, Disponibilita del diritto e ammissibilita della clausola compromissorianelle controversie in materia societaria. Rescindente e rescissorio nel giudizio di impugna-zione per nullita. Secondo quanto affermato nella pronuncia ora citata, lo svolgimento delgiudizio rescissorio da parte del giudice chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione per nul-lita del lodo per incompromettibilita della controversia e subordinato alla circostanza che le

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di inesistenza invece che di mera nullita del lodo si riflette anchesulla rilevabilita del vizio, atteso che in tali ultime ipotesi si ritieneche la relativa eccezione possa essere esperita anche ex offıcio inogni stato e grado del giudizio (95). Maggiori perplessita sussistonocirca l’individuazione del quomodo ossia se il vizio relativo sia de-ducibile con un’autonoma azione di accertamento ovvero in via dieccezione in qualsivoglia processo in cui siano opposti gli effetti dellodo (96).

Gli interrogativi crescono con riferimento al motivo discipli-nato dall’art. 829, comma 3, relativo al lodo viziato per contrarietaall’ordine pubblico. La dottrina appare divisa nel ritenere operante omeno, in tale ipotesi, il principio della conversione della nullita inmotivo di impugnazione e conseguentemente, nel qualificare inesi-stente il lodo nell’ipotesi in esame (con le conseguenze che ne deri-vano in termini di impugnabilita del lodo per tale motivo una voltaspirato il termine di legge per la sua impugnazione) (97).

La conclusione alla quale giungere, muovendo dalla constata-zione della maggiore incertezza che pervade la normativa italiana ri-spetto a quella apprestata dagli altri ordinamenti nelle ipotesi in cuiil lodo sia affetto da vizi di particolare gravita, quali la contrarietaall’ordine pubblico e la non compromettibilita della controversia, e

parti abbiano formulato conclusioni dirette al riesame immediato o differito del merito. Inpunto e opportuno ricordare come, gia prima della riforma del 2006, vi fosse, al contrario,chi riteneva che, in caso di compromesso inesistente, non si potesse parlare di lodo inesi-stente [in questo senso AMADEI, Note in tema di inesistenza di accordo compromissorio perarbitrato rituale e impugnazione per nullita del lodo, cit., 311 secondo il quale « non sem-bra corretto che il soggetto che ha accettato o dato svolgimento al procedimento arbitrale poipossa lamentarsi del fatto che gli arbitri non avevano potere decisorio, soprattutto se in ipo-tesi il lodo gli e sfavorevole: si configura cosı un meccanismo inaccettabile nella misura incui la parte non puo venire contra factum proprium, per valutazioni ex post di pura conve-nienza (la parte intanto fa pronunciare il lodo, poi se la pregiudica lo impugna perche l’ar-bitro non aveva il potere di pronunciarlo); in argomento ugualmente critico BOVE, Impugna-zione per nullita del lodo pronunciato in difetto di patto compromissorio, cit., 538]. La for-mulazione dell’attuale disciplina induce fortemente a dubitare che tale ipotesi possa concre-tizzare una fattispecie di inesistenza del lodo atteso che dal combinato disposto degli artt.829, n. 1 e 817, comma 2, parte seconda, si ricava che la denunciabilita del vizio dell’inesi-stenza della convenzione in sede di impugnazione per nullita del lodo e subordinata all’av-venuto rilievo della relativa eccezione nel corso del procedimento arbitrale.

(95) Sul punto cfr. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, II, cit., 199.(96) Cfr. quanto osservato alla nota 94.(97) In senso favorevole MENCHINI, Impugnazione del lodo rituale, in questa Rivista,

2005, 862; in senso contrario PUNZI, Diritto comunitario e diritto nazionale dell’arbitrato, inquesta Rivista, 2000, 242.

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quella di auspicare un intervento legislativo di portata chiarificatricedella materia. Intervento che potrebbe attuarsi sia prevedendo la pos-sibilita di esperire un’autonoma azione di accertamento sia sce-gliendo di rafforzare il potere di controllo del giudice in sede di con-cessione dell’exequatur. Soluzione, quest’ultima, che appare preferi-bile in primo luogo attesa l’immediatezza/contestualita delle oppostepretese (la domanda di concessione dell’esecutivita al lodo da un latoe la richiesta di impedire l’esecuzione dello stesso) che consente unavalutazione delle contrapposte esigenze nel simultaneus processusevitando eventuali problemi di coordinamento (e, soprattutto, di sfa-samento temporale) fra l’eventuale giudizio di merito volto ad accer-tare la sussistenza del vizio e il gia instaurato procedimento di ese-cuzione del lodo. In secondo luogo perche la previsione di un rime-dio impugnatorio agile, quale il reclamo di cui all’art. 825, comma 3c.p.c., dovrebbe consentire di ottenere in tempi ragionevoli un con-trollo sul provvedimento (negatorio o concessivo dell’exequatur)pronunciato dal giudice in prima istanza, in luogo dei tre gradi digiudizio cui potrebbe dar luogo la proposizione di un’autonoma do-manda di accertamento del vizio.

Un’ultima notazione deve essere svolta circa il profilo legato alriconoscimento dell’efficacia esecutiva all’estero. Da questo punto divista, dato che il lodo reso in tutti e tre i paesi soddisfa i requisitiprevisti dalla Convenzione di New York (98), in base a tale regola-mentazione — che ha abolito il requisito del doppio exequatur ai finidella concessione dell’esecutorieta — sara sufficiente che il lodostraniero sia esecutivo nel paese di provenienza, potendosi quindiprocedere all’esecuzione direttamente all’estero, evidentemente nelrispetto delle regole processuali che tale paese stabilisce per l’esecu-zione dei titoli esecutivi stranieri.

Anche questo ultimo elemento, puo essere assunto quale con-ferma dell’equiparazione che per gli effetti caratterizza ormai — al-meno in questi tre paesi — il lodo alle statuizioni del giudice statale.

This comparative study deals with the effects of and the means of recourseagainst an arbitral award under Italian, German and Austrian law. The result isthat in all the examined jurisdictions an arbitral award is granted the same bind-ing effect as a court judgment. However, there is a clear distinction concerning the

(98) Cfr. quanto osservato sub par. 6.

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question of enforceability: Whereas under Austrian law an arbitral award is en-forceable by law, under Italian and German law the arbitral award has to be de-clared enforceable by court. A further notable difference concerns the questionwhether there exists any further remedy against an award which concerns non ar-bitrable matters or violates public policy — after the time limit for challenging ithas elapsed: Under German law such an award may be still set aside in course ofthe exequatur procedure; under Austrian law, such an award may not be recognizedas binding or enforceable in all the following proceedings. Thus, German and Aus-trian law — although via different legal instruments — prevent the party againstenforcement of such an award. For the international practitioner it is importantand useful to note that the same result provided for under Austrian and Germanlaw in regard to domestic awards may be achieved in regard to foreign awards un-der Art. V(2)(a) and (b) of the New York Convention 1958 (by refusal of recogni-tion or enforcement of the foreign award). Although the guarantees of the New YorkConvention may also provide protection against enforcement of a defective Italianarbitral award abroad, there is no legal remedy, equivalent to German or Austrianlaw, against enforcement of such a domestic award. The study suggests to amendItalian law by inserting a provision similar to German or Austrian law divestingthe effects of a domestic arbitral award that concerns a subject matter not capableof settlement by arbitration or that is contrary to public policy.

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GIURISPRUDENZA ORDINARIA

I) ITALIANA

Sentenze annotate

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civ.; sentenza 29 marzo 2012, n. 5105; VITRONE

Pres.; CRISTIANO Est.; Fallimento Itin Italimprese Industrie S.p.a. N. (avv. Lu-dini) c. Societa Italiana Per Condotte D’acqua S.p.a., Gia Ferrocemento Rec-chi S.p.a., Impresa Pizzarotti & C. S.p.a., C.C.P.I. Consorzio CooperativoProduzione Lavoro Soc. Coop. a r.l., Imprepar Impregilo Partecipazioni S.p.a.,Aerimpianti S.p.a., Kone S.p.a. (avv.ti Parvis e Piacentini).

Patto compromissorio irrituale - Natura - Mandato per l’espletamento diun’attivita negoziale - Cognizione sulla validita - Competenza degli arbi-tri - Esclusione.

Patto compromissorio irrituale - Autonomia della clausola compromissoria ir-rituale - Esclusione.

Il patto compromissorio libero non demanda agli arbitri l’esercizio di unafunzione giurisdizionale ma conferisce loro un mandato per l’espletamento di unaattivita negoziale. Poiche — contemporaneamente — il potere degli arbitri di dareesecuzione al mandato presuppone la validita e l’effıcacia dell’atto di conferi-mento, la cognizione in ordine alla ricorrenza di tale presupposto non puo spettarea costoro, ma permane in capo al giudice ordinario.

Il principio dell’autonomia della clausola compromissoria rispetto al negoziodi riferimento vale in relazione all’arbitrato rituale ma non a quello irrituale.Questo ultimo, infatti, integra la volonta delle parti, dando vita a un negozio di se-condo grado, il quale trae la sua ragione d’essere dal negozio nel quale la clau-sola e inserita e non puo sopravvivere alle cause di nullita che facciano veniremeno la fonte stessa del potere degli arbitri.

CENNI DI FATTO. — Un gruppo di imprese aggiudicatarie di lavori pubblici sti-pula un regolamento per disciplinare i rapporti interni tra le societa esecutrici, in-serendovi apposita clausola per arbitrato irrituale. Nel corso dei lavori una delleditte, ritenuta inadempiente, viene di fatto estromessa dal cantiere e successiva-mente e dichiarata fallita. Il curatore del fallimento attiva la clausola arbitrale pre-

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vista dal regolamento, proponendo quesiti attinenti all’estromissione dell’impresa eai debiti conseguenti. Le altre imprese eccepiscono l’inammissibilita dei quesiti. Ilcollegio arbitrale, accertata la natura irrituale dell’arbitrato e respinte le eccezionipregiudiziali sollevate dalle altre imprese, dichiara illegittima l’estromissione dequa e riconosce alla societa vari crediti per spese, compensi e risarcimento deidanni. Le altre imprese convengono in giudizio la societa fallita per sentir accer-tare l’inoperativita della clausola arbitrale e la conseguente carenza di potere degliarbitri ad emettere il lodo, attesa l’estraneita del curatore rispetto al rapporto so-stanziale cui accedeva la clausola, sciolto per effetto della dichiarazione di falli-mento.

Il Tribunale respinge le domande. La Corte d’appello, successivamente aditadalle imprese soccombenti, riformo la decisione di primo grado, ritenendo inope-rante la clausola arbitrale e dichiarando nullo il lodo.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1) Con il primo motivo, il Fallimento, denunciandoviolazione degli artt. 807, 827, 828 ed 829 c.p.c., lamenta che la Corte territorialeabbia respinto l’eccezione di inammissibilita e/o di improcedibilita del giudizio diimpugnazione del lodo, in tal modo disapplicando la giurisprudenza di questaCorte, che ha costantemente affermato che il lodo irrituale e impugnabile solo peri vizi che possono vulnerare la manifestazione di volonta degli arbitri, ma non pererrore di diritto.

Il motivo e infondato.Il principio giurisprudenziale richiamato dal ricorrente attiene al merito della

decisione degli arbitri irrituali, ma non anche alle questioni pregiudiziali che riguar-dano l’operativita fra le parti della clausola compromissoria.

Il patto compromissorio libero, infatti, non demanda agli arbitri l’esercizio diuna funzione giurisdizionale, ma conferisce loro un mandato per l’espletamento diun’attivita negoziale; e, poiche il potere degli arbitri di dare esecuzione al mandatopresuppone la validita e l’efficacia dell’atto di conferimento, la cognizione in ordinealla ricorrenza di tale presupposto non puo spettare a costoro, ma permane in capoal giudice ordinario (Cass. n. 15753/2001).

2) Con il secondo motivo il Fallimento, denunciando vizio di omessa e/o in-sufficiente motivazione della sentenza impugnata, sostiene che la Corte territorialenon ha valutato quali fossero gli effetti della dichiarazione di fallimento sul rap-porto derivante dall’accordo compromissorio anteriormente stipulato, disattendendoil consolidato principio secondo cui il compromesso per arbitrato, anche irrituale —costituendo atto negoziale riconducibile all’istituto del mandato collettivo e diquello conferito anche nell’interesse di terzi — non si scioglie per il fallimento diuna delle parti, con conseguente efficacia ed opponibilita del lodo nei confrontidella curatela.

Rileva, ancora, che il giudice del merito, dopo aver riconosciuto che la clau-sola compromissoria e efficace nei confronti del fallimento subentrato nel contrattoal quale essa accede, ha poi contraddittoriamente omesso di considerare l’incidenzadel principio giuridico dell’ultrattivita, rispetto alla dichiarazione di fallimento delmandante, del mandato collettivo conferito anche nell’interesse di quest’ultimo. Ilmotivo va dichiarato inammissibile.

A parte il rilievo (gia di per se dirimente) della palesemente errata qualifica-zione del motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, laddove cio che si im-

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puta al giudice del merito non e di aver omesso di valutare (o di aver malamentevalutato) circostanze di fatto decisive, ma di aver violato norme e principi di di-ritto, la questione illustrata nella censura e totalmente estranea al thema deciden-dum, posto che alla data di dichiarazione di fallimento della IT.IN. il mandato col-lettivo per arbitrato irrituale non era stato ancora conferito. Pertanto, quel che oc-correva stabilire non era se nella specie operasse o meno la Legge Fall., art. 78, mase il Fallimento fosse subentrato alla societa fallita nel diritto (contemplato dallaclausola compromissoria) di conferire detto mandato agli arbitri: cio che, per l’ap-punto, la Corte territoriale ha escluso, sul rilievo della qualita di terzo del curatorerispetto al patto compromissorio, atteso l’avvenuto scioglimento, per effetto delfallimento, del contratto d’appalto stipulato da IT.IN. con la Servizi Tecnici per iltramite della mandataria Recchi S.p.a., e del conseguente venir meno (anche a ter-mini del regolamento che disciplinava i rapporti interni fra le imprese partecipanti)del vincolo associativo che legava la fallita all’ATI.

3) Con il terzo motivo, denunciando violazione dell’art. 808 c.p.c. nonche ul-teriore vizio di omessa motivazione, il ricorrente sostiene che il giudice d’appelloavrebbe errato nel ritenere che il Fallimento non fosse subentrato nei rapporti ne-goziali in relazione ai quali era stato dettato il regolamento contenente la clausolacompromissoria.

Rileva, sotto un primo profilo, che, ai sensi dell’art. 808 c.p.c., la clausolacompromissoria ha una propria individualita, che la preserva dall’inefficacia, origi-naria o sopravvenuta, del negozio a cui accede, sicche la sua validita deve esserevalutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce.

Sotto altro profilo, afferma che, nell’ipotesi di associazione temporanea d’im-prese, il fallimento dell’impresa mandante non estingue automaticamente il rap-porto di mandato, ai sensi della Legge Fall., art. 78, e non fa venir meno i poterirappresentativi che nei confronti di questa competono all’impresa capogruppo.

Anche questo motivo deve essere dichiarato inammissibile.Quanto alla prima ragione di censura, va in primo luogo osservato che il prin-

cipio dell’autonomia della clausola compromissoria rispetto al negozio di riferi-mento vale in relazione all’arbitrato rituale, ma non a quello irrituale. Quest’ultimo,infatti, integra la volonta delle parti, dando vita a un negozio di secondo grado, ilquale trae la sua ragion d’essere dal negozio nel quale la clausola e inserita e nonpuo sopravvivere alle cause di nullita che facciano venir meno la fonte stessa delpotere degli arbitri (da ultimo, fra molte, Cass. n. 9230/2008).

Il principio, peraltro, risulterebbe inutilmente invocato pur nel caso in cui losi volesse ritenere applicabile anche alla clausola per arbitrato irrituale, posto chenella specie, non essendo stata mai posta in dubbio la validita e l’efficacia del re-golamento sottoscritto dalle imprese partecipanti all’ATI, la questione dell’ultratti-vita del patto compromissorio rispetto a tale regolamento e priva di qualsivoglia at-tinenza alla decisione.

Ugualmente estranea al decisum e la questione illustrata nella seconda ragionedi censura, non essendo in discussione la sopravvivenza del potere dell’impresa ca-pogruppo di rappresentare la IT.IN. nei rapporti (necessariamente sorti in data an-teriore al fallimento) fra questa e l’ente committente, bensı la prosecuzione delvincolo associativo che legava la societa poi fallita all’ATI:

e, sul punto, in base ad un accertamento in fatto che non e stato impugnatodal ricorrente, la Corte di merito ha rilevato che l’art. 10 del regolamento negoziale

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indicava espressamente, fra le situazioni che avrebbero determinato lo scioglimentodel mandato per il verificarsi di una causa di estinzione, l’apertura della proceduraconcorsuale.

I motivi, in conclusione, non investono la motivazione sulla quale si fonda lasentenza impugnata. Non risulta, infatti, in alcun modo contestata l’affermazionedella Corte torinese secondo cui, attesa la mancata successione del fallimento neirapporti contrattuali un tempo facenti capo alla societa, il curatore dovesse consi-derarsi soggetto terzo rispetto alla clausola compromissoria, ancorche egli avesseazionato dinanzi agli arbitri pretese sorte in capo alla IT.IN. e non derivanti da fattisuccessivi allo scioglimento dei contratti.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento dellespese processuali, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M. — La Corte rigetta il ricorso e condanna il Fallimento della IT.IN. —Italimprese Industrie S.p.a. al pagamento delle spese processuali, che liquida in€ 6.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ancora sull’esclusione del principio dell’autonomia della clausola d’ar-bitrato irrituale.

1. L’art. 808 c.p.c. testualmente statuisce che la validita della clau-sola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto alcontratto al quale si riferisce, sancendo in tal modo il cd. « principio del-l’autonomia della clausola compromissoria », secondo il quale le vicendeafferenti al contratto principale devono essere valutate in modo autonomorispetto alla clausola compromissoria che vi accede, sicche eventuali profilid’invalidita del contratto principale non possono ripercuotersi sulla clausolacompromissoria.

La ratio di questo principio risente della doppia anima — privata,quanto al genus e pubblicistica, quanto agli effetti — di cui gode la con-venzione d’arbitrato rituale, la quale sia nella forma della clausola arbitralesia nella forma del compromesso, si propone come strumento negozialed’individuazione della modalita di soluzione di una controversia che vienedeferita ad un arbitro il quale, sebbene soggetto giudicante privato, e abili-tato dalla legge ad emettere una decisione parificata in tutto e per tutto aduna vera e propria sentenza.

La clausola arbitrale, in particolare, nell’accedere ad una fattispeciecontrattuale, piu marcatamente avverte tale duplicita, che il comma 3 del-l’art. 808 c.p.c. ha espresso prevedendo l’autonomia dell’una rispetto allaseconda. Sul punto, la giurisprudenza (1) ha distinto tra le ipotesi di nullitadel contratto principale e le ipotesi di un suo non perfezionamento, preci-

(1) Cass., 25 febbraio 1995, n. 2147, in questa Rivista, 1995, 689.

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sando che il principio de quo trovi applicazione nel primo, ma non anchenel secondo caso, posto che, in quest’ultima evenienza, la non riuscita con-clusione del contratto principale conseguentemente comporta la mancatainsorgenza della competenza arbitrale.

L’indagine dovra essere, quindi, condotta caso per caso e non puoescludersi che in concreto si riscontrino dei vizi comuni sia al contratto chealla clausola con conseguente disapplicazione del principio de quo. Comeopportunamente osservato, e improbabile che un vizio sul consenso, inci-dente sul contratto principale, quale ad esempio la violenza, possa non es-sersi ripercosso anche sull’annessa clausola compromissoria (2).

2. La questione qui in esame si pone in differenti termini se riferitaalla clausola compromissoria per arbitrato irrituale, laddove una serie diperplessita sono sorte in ragione della diversa natura che parte degli inter-preti attribuiscono a questa tipologia di arbitrato.

Sul punto si sono avvicendate essenzialmente due impostazioni, l’unafondata sulla tesi unitaria del fenomeno arbitrale complessivamente inteso,e l’altra sull’opposta tesi volta a mantenere distinte, sia in relazione allastruttura, sia in relazione al procedimento, le due tipologie di arbitrato ri-tuale e irrituale.

In particolare, la concezione unitaria dell’arbitrato ha trovato fonda-mento nella semplice constatazione che i due modelli di arbitrato, rituale eirrituale, svolgono la medesima funzione di dar esito ad un giudizio risolu-tivo di una controversia. L’arbitrato rituale e l’arbitrato irrituale costitui-scono, cioe, specificazione del medesimo fenomeno arbitrale, unitariamenteconcepito, in ossequio alla funzione di « giudizio » e di « processo » cheentrambe, identicamente, assolverebbero (3).

Al contrario, chi critica l’idea monistica dell’arbitrato, pur aderendoalla tesi della sua natura privata, riconduce l’arbitrato rituale nella catego-ria della « giurisdizione privata », e cio essenzialmente in ragione dellamodalita di attuazione del relativo procedimento, che si svolge nel pienorispetto del principio del contraddittorio, e che da esito ad un giudizio chestabilisce il torto o la ragione dei contendenti, cosicche esso presenta tuttii connotati della « giurisdizione intesa in senso lato, ossia intesa comeun’attivita di risoluzione della controversia giuridica » (4). L’arbitrato li-

(2) CECCHELLA, Il contratto di arbitrato, in AA.VV., L’arbitrato, Torino, 2005, 76.(3) SATTA, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, Milano, 1969, 180 ss.; PUNZI, voce

Arbitrato (rituale e irrituale), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1995, 3-7; CECCHELLA, L’arbi-trato nelle controversie di lavoro, Milano, 1990, 407; FAZZALARI, Fondamenti dell’arbitrato,in questa Rivista, 1995, 1 ss.; MONTELEONE, L’arbitrato nelle controversie di lavoro — ovvero— esiste ancora l’arbitrato irrituale?, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2001, 43 ss., in partico-lare, 48 ss.

(4) BOVE, Note in tema di arbitrato libero, in Riv. dir. proc., 1999, 689, nota 2.

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bero, invece, rappresenta un fenomeno distinto da quello rituale, al quale siaccomuna soltanto per la medesima natura privatistica, ma del quale noncondivide ne la struttura, ne gli effetti (5).

Senza addentrarsi, in questa sede, nelle complesse sfaccettature delledue opposte tesi dianzi sinteticamente rammentate (6), occorre ricordarecome la riforma del 2006 abbia fornito qualche utile spunto per far chia-rezza sulla tematica della natura dell’arbitrato, e sulle ricadute che dalla suadeterminazione conseguentemente discendono. In base all’art. 808-terc.p.c., le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che,in deroga a quanto disposto dall’art. 824-bis, la controversia sia definitadagli arbitri mediante determinazione contrattuale; altrimenti, si applicanole disposizioni relative all’arbitrato rituale.

Dal dettato normativo pare emergere un’indicazione volta a contras-segnare diversamente non solo gli effetti dei due arbitrati, ma altresı il pro-cedimento con cui si perviene ai rispettivi provvedimenti finali, atteso chela letteralita dei dati a disposizione sembra deporre assai piu ragionevol-mente in tal senso, laddove e conferita alle parti la facolta di scegliere tradue (evidentemente diversi) modelli arbitrali e laddove, in caso di equivocadeterminazione pattizia, e imposta una presunzione a favore dell’arbitratorituale, e della relativa disciplina codicistica. In generale, poi, non si pro-spetta coerente una diretta applicazione — imposta ex lege — al procedi-mento d’arbitrato irrituale della disciplina codicistica, oggi, intensamente« processualizzata » dai recenti interventi del legislatore, il quale ha orditoun sistema di preclusioni, di termini e di decadenze assai poco compatibili

(5) VASETTI, voce Arbitrato irrituale, in Noviss. dig. it., Torino, 1957, 857 ss.: l’A.critica recisamente le (allora) isolate pronunce giurisprudenziali che ritenevano l’uguaglianzafunzionale tra arbitrato rituale e irrituale. Sostenere questa tesi avrebbe reso necessario indi-viduare la linea di demarcazione tra i due modelli di arbitrato esclusivamente « nelle diversemodalita di esercizio di quei poteri (essendo l’arbitrato rituale soggetto a particolari formeche sono invece estranee all’arbitrato irrituale) e nella diversa efficacia giuridica della pro-nuncia (efficacia di sentenza in un caso, di negozio nell’altro). E evidente, infatti, che, con-figurato l’arbitrato irrituale come un giudizio, e stabilita sotto questo aspetto la sua assimila-zione all’arbitrato rituale, risorgerebbe il problema del come possa riconoscersi legittimo eproduttivo di effetti giuridici nell’ambito del diritto positivo un giudizio arbitrale svincolatodalla disciplina per esso stabilita dalla legge ». Recentemente, con riferimento alla differentenatura e ai differenti effetti scaturenti dalle due tipologie di arbitrato, v. G.F. RICCI, Ancorasulla natura e sugli effetti del lodo arbitrale, in questa Rivista, 2011, 165 ss.

(6) Per un approfondimento di queste tesi alla luce della riforma del 2006, v. OCCHI-PINTI, La cognizione degli arbitri sui presupposti dell’arbitrato, Torino, 2011, 131 ss. In par-ticolare, per la tesi dell’applicabilita della disciplina codicistica all’arbitrato irrituale, conconseguente svalutazione di questa forma di arbitrato, v. SASSANI, L’arbitrato a modalita ir-rituale, in questa Rivista, 2007, 28; per la tesi la ratifica dell’autonomia, ontologica e strut-turale, dei due schemi arbitrali, sicche all’arbitrato rituale si applicheranno le norme del co-dice di procedura civile, e all’arbitrato irrituale le sole regole contenute nel nuovo art. 808-ter c.p.c. v. BOVE, in AA.VV., La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di MENCHINI, Padova,68 ss.

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con un procedimento che — per sua natura — non dovrebbe essere (quan-tomeno predeterminatamente) ritualizzato (7).

La coerenza tra le indicazioni della legge delega e la normativa d’at-tuazione emerge dalla priorita che entrambe attribuiscono alla liberta patti-zia di scegliere e di determinare la modalita di svolgimento dell’arbitratosicche, in generale, in costanza di un accordo compromissorio ove non visia una precisa indicazione in ordine alla qualificazione che le parti inten-dono attribuire all’arbitrato, si applicheranno le disposizioni dedicate all’ar-bitrato rituale, ergo l’arbitrato prescelto dalle parti si presumera rituale. Vi-ceversa, e ad ulteriore corollario di tale conclusione, vi e la constatazioneche, se le parti si orientano espressamente per l’arbitrato irrituale, la disci-plina procedimentale da applicarsi non potra essere, de plano, quella previ-sta dal codice di procedura per l’arbitrato rituale, ma lo potra essere solo seespressamente previsto dalle parti (8).

Dal nuovo impianto legislativo, sembrerebbe potersi individuare unavelata adesione alla tesi unitaria dell’arbitrato: la recente disciplina, infatti,configura le due tipologie di arbitrato quali fenomeni strutturalmente pro-cessuali, come si desume, per l’arbitrato rituale, dal notevole potenzia-mento della disciplina procedimentale, portando a tredici i precedenti seiarticoli del Capo III, dedicato, appunto, al procedimento; per l’arbitrato li-bero, dall’introduzione dell’art. 808-ter c.p.c., che ne ha costruito un mo-

(7) Ante riforma del 2006, la problematica di cui al testo, proprio in riferimento al-l’applicabilita, o meno, del comma 3 dell’art. 808 c.p.c. all’arbitrato in forma libera, era statarisolta nel senso di una diretta applicazione a quest’ultima tipologia di arbitrato delle regoleprocessuali esplicitamente dedicate all’arbitrato rituale, argomentando dall’assunto chel’identita di funzione e di fonte che caratterizzano entrambe le forme di arbitrato consenti-rebbe di annoverare, tra le norme che regolano la convenzione d’arbitrato irrituale tuttequelle dettate per l’arbitrato rituale: cosı si esprimeva VILLA, Arbitrato irrituale e autonomiadella clausola compromissoria, in questa Rivista, 2002, 551, il quale pero precisava che taleconclusione varrebbe solo allorche si postuli la sostanziale omogeneita delle due forme di ar-bitrato, e non anche quando per l’arbitrato irrituale si ricorra alla formula, impiegata dallamaggioritaria giurisprudenza, tra cui anche quella qui in commento, del « mandato a transi-gere ».

(8) Questa soluzione pare emergere anche dalla piu recente giurisprudenza, ove sirinviene la precisazione che solo con la scelta dell’arbitrato rituale le parti hanno inteso ri-farsi all’osservanza delle regole del procedimento arbitrale (Cass., 12 ottobre 2009, n. 21585,in Red. Giust. civ. Mass., 2009, 10). Cfr. Trib. Venezia, 10 aprile 2008 e Coll. Arb. Venezia,19 febbraio 2008, entrambe in Contratti, 2008, 869, con nota di SANGIOVANNI: queste pro-nunce affermano che le attivita demandate agli arbitri si svolgono in esecuzione di un rap-porto di mandato e che esse hanno identica natura nell’arbitrato rituale e in quello irrituale,pur essendo diverso il risultato finale, dato che solo il provvedimento terminale dell’arbitratoirrituale ha natura di contratto, sicche, secondo quest’impostazione, non sussisterebbe alcunmotivo per ritenere che tutta la normativa contenuta nel titolo ottavo del codice di proceduracivile sia inapplicabile a tale tipo di arbitrato, essendo al contrario necessario procedere al-l’esame dei singoli articoli, onde individuarne il contenuto sostanziale e quindi l’eventualeapplicabilita all’arbitrato irrituale.

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dello caratterizzato da una struttura minimale, ma ad evidente connotazioneprocessuale. I due arbitrati, quindi, si distinguerebbero soltanto per gli ef-fetti, potendo ottenere efficacia di sentenza, il primo; limitandosi alla meraefficacia contrattuale, il secondo (9). Diversamente dalla tesi unitaria clas-sica, che, in via peraltro del tutto interpretativa, estendeva l’intera disci-plina processuale anche all’arbitrato irrituale, l’odierna riforma ha pero ri-tenuto di proporre una soluzione mediana: anche l’arbitrato libero e unprocesso, ma un processo sui generis, al quale si applicano, per evidentescelta del legislatore, soltanto alcune regole del processo per arbitrato ri-tuale e previo idoneo adattamento alla natura e agli effetti contrattuali checontraddistinguono l’arbitrato libero.

3. La sentenza della Cassazione qui annotata, in conformita ad unorientamento giurisprudenziale consolidato (10), ribadisce che il principiodell’autonomia della clausola compromissoria rispetto al negozio di riferi-mento vale in relazione all’arbitrato rituale ma non a quello irrituale, e cioin ragione delle diverse caratteristiche di quest’ultima tipologia di arbitratola quale integra la volonta delle parti, dando vita — qualora le parti abbianofatto ricorso alla forma della clausola compromissoria — a un negozio disecondo grado, il quale trae la sua ragione d’essere dal negozio a cui laclausola accede e non puo quindi sopravvivere alle cause di nullita che fac-ciano venire meno la fonte stessa del potere degli arbitri.

La dottrina maggioritaria contrasta quest’impostazione, muovendodall’assunto che l’arbitrato irrituale, benche preordinato ad un esito finalecon effetti diversi rispetto a quelli previsti per l’arbitrato rituale, godrebbedi una « causa » analoga a quella dell’arbitrato rituale, sicche sotto il pro-filo dell’applicazione del postulato dell’autonomia della clausola arbitralenon esisterebbe una valida ragione per ipotizzare una disciplina differenzia-ta (11).

4. In realta, le conclusioni della giurisprudenza a noi paiono oggisostenibili, non tanto in ragione dell’asserita natura di negozio di secondogrado attribuita alla clausola d’arbitrato irrituale, tale da renderla sensibilead ogni vicenda patologica riguardante il contratto principale, bensı in con-siderazione di un articolato normativo che individua la disciplina dell’arbi-trato libero nel solo art. 808-ter c.p.c., ragionevolmente presupponendosi

(9) Cass., 21 luglio 2010, n. 17119, in Guida al dir., 2010, 46, 82.(10) Cass., 9 luglio 1981, n. 4279; Cass., 9 aprile 2008, n. 9230, in Guida al diritto

2008, 21, 43. Contra Coll. Arb. Pisa, 15-18 gennaio 2000, in questa Rivista, 2002, 547 ss.,con nota di VILLA cit.

(11) CECCHELLA, Il contratto di arbitrato, in AA.VV., L’arbitrato, 2005, Torino, 77;VIGORITI, L’autonomia della clausola compromissoria per arbitrato irrituale, in questa Rivi-sta, 1995, 62 ss.

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che ogni estensione a quest’arbitrato delle norme dedicate all’arbitrato ri-tuale, debba essere frutto di un’espressa volonta pattizia in tal senso.

Coerente a tale deduzione e altresı l’altra — ribadita dalla Cassazionesempre nella pronuncia in epigrafe emarginata — secondo la quale la co-gnizione in ordine alla ricorrenza della validita della clausola arbitrale irri-tuale spetta al giudice ordinario e non agli arbitri irrituali: in base al-l’odierna normativa, pero, tale assunto appare sostenibile non in forza dellaqualificazione che s’intenda attribuire all’attivita svolta da questi arbitri(cosı come argomenta la giurisprudenza, muovendo dalla premessa che gliarbitri liberi ricevono dalle parti un mandato per l’espletamento di un’atti-vita negoziale), bensı in quanto l’art. 817 c.p.c. e norma indirizzata al soloarbitrato rituale e che, quindi, in mancanza di un rinvio concordato dalleparti, non puo trovare un’automatica e diretta applicazione al procedimentod’arbitrato libero.

ELENA OCCHIPINTI

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CASSAZIONE CIVILE, Sez. I civ.; sentenza 12 maggio 2011, n. 13246; LUCCIOLI

Pres., MACIOCE Est.); Associazione Temporanea di Imprese A.T.I. (avv. Magri)c. il Comune di Cariati (avv.ti Trento e Tramontano).

Lodo rituale - Natura privatistica - Carenza di potestas iudicandi in capo agliarbitri - Vizi di costituzione del collegio arbitrale - Conseguenze - Disap-plicazione dell’art. 158 c.p.c. - Inesistenza del lodo rituale - Esclusione -Riconducibilita del vizio alla fattispecie astratta dell’art. 829, comma 1, n.2 c.p.c. - Nullita del lodo rituale - Astratta ammissibilita.

Il vizio afferente l’invalida od irregolare costituzione del Collegio arbitrale,anche costituito per obbligo di legge, puo essere dedotto non gia attraverso l’im-proprio richiamo all’art. 158 c.p.c. che afferisce ai vizi della costituzione del giu-dice, ma nell’ambito della ipotesi di nullita di cui all’art. 829 c.p.c., comma 1, n.2, le volte in cui la nomina degli arbitri sia stata effettuata in violazione dei modie delle forme di cui ai capi 1 e 2 del titolo ottavo del libro quarto del codice dirito.

CENNI DI FATTO. — Con lodo in data 5 dicembre 2003 il Collegio Arbitralechiamato a definire la controversia insorta tra la Ditta A. Parisi, mandataria del-l’A.T.I., ed il Comune di Cariati in ordine a crediti nascenti dal contratto di appaltostipulato il 29 giugno 1992 per lavori di recupero del centro storico e di emergenzemonumentali, condanna l’Amministrazione Comunale al pagamento, al titolo de-dotto nel giudizio arbitrale, della somma di € 1.350.367, oltre accessori e spese.

Il Comune di Cariati, propone impugnazione innanzi alla Corte di Appello diRoma, deducendo l’illegittimita della nomina del Collegio Arbitrale, la mancata at-tivazione del contraddittorio da parte del Collegio stesso e la violazione dellenorme in ordine alla quantificazione del credito. La Corte territoriale di Roma, di-chiara inesistente e nullo il lodo impugnato, affermando in motivazione: « 1) cheanche d’uffıcio dovevasi rilevare la carenza di regolare costituzione del Collegio,avendo le parti pattuito la clausola con richiamo volontario alle regole di cui alD.P.R. n. 1063/1962 e quindi alla composizione di cinque membri del collegio nelmentre il collegio stesso si era insediato nella vigenza del D.P.R. n. 554/1999 con-templante tre membri; che essendo la ricezione della clausola del capitolato gene-rale meramente volontaria, il suo risultato, di natura convenzionale, era insuscet-tibile di modificazioni ope legis; che la questione ben poteva essere rilevata dalgiudice dell’impugnazione anche d’uffıcio, purche non preclusa da giudicato, epertanto dovevasi dichiarare la nullita insanabile del lodo;

2) che nel merito, che si esaminava per mera completezza, era fondata anchela censura afferente la violazione del contraddittorio posto che, effettuato il sopral-luogo da parte dell’arbitro delegato, e quand’anche nulla di nuovo fosse all’esitoemerso, occorreva dare alle parti termine per interloquire, a nulla rilevando che ilCollegio avesse ex post rilevato la superfluita del sopralluogo;

3) che era anche fondato il rilievo sulla nullita della nomina del Presidente,effettuata dalla Camera Arbitrale in base al D.P.R. n. 554/1999, art. 150, comma

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3 tale disposizione essendo stata annullata dal Consiglio di Stato con decisione6335 del 2003; della quale il Comune aveva tempestivamente dichiarato di volersiavvalere (con dichiarazione resa il 28 novembre 2003) ».

Per la cassazione della sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Romal’A.T.I. notificava un primo ricorso il 12 luglio 2006, contenente tre motivi ed alquale il Comune di Cariati nel controricorso in data 28 settembre 2006 opponeval’inammissibilita per difetto dei quesiti di diritto e per l’infondatezza nel merito.L’A.T.I., quindi, provvedeva a notificare altro ricorso in data 4 ottobre 2006, con-teneva conclusiva formulazione dei quesiti ex art. 366-bis c.p.c. Entrambe le partidepositavano memorie ed i relativi difensori discutevano oralmente all’udienza del12 maggio 2011.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1. (Omissis).2. Con il primo motivo l’A.T.I. censura la decisione di ritenere viziata la co-

stituzione del Collegio. Afferma al proposito che era arbitrario affermare che la na-tura pattizia della ricezione del D.P.R. n. 1063/1962 rendesse la composizione iviprevista del Collegio indifferente al sopravvenuto D.P.R. n. 554/1999, che la que-stione non poteva essere rilevata d’ufficio ma, attenendo alla composizione delCollegio, doveva, come non fatto, essere posta agli arbitri.

Con il secondo motivo si censura la decisione di ritenere fondata la denunziataviolazione del contraddittorio. Con il terzo motivo si duole dell’avere la Corted’Appello di Roma affermato che l’annullamento fatto dal Consiglio di Stato, conla decisione 6335 del 2003, del D.P.R. n. 554/1999, art. 150, comma 3 nella partein cui demandava alla Camera Arbitrale la nomina del terzo Arbitro—Presidente,avesse travolto la nomina stessa e quindi viziato la costituzione del Collegio, cometempestivamente denunziato. Ad avviso della ricorrente A.T.I. la invalidita soprav-venuta non poteva travolgere gli atti compiuti e nella specie la nomina gia avve-rata.

Ritiene il Collegio che sia indiscutibilmente fondata la censura di indebito ri-lievo officioso contenuta nel teste sintetizzato primo motivo nel mentre debbanoessere dichiarati inammissibili i motivi secondo e terzo.

Va premesso, a chiarificazione del quadro normativo di riferimento, che la de-cisione arbitrale imposta dal compromesso di cui al contratto del 29 giugno 1992era non gia correlata, come erroneamente affermato dalla Corte territoriale, ad unascelta di volontaria ricezione del C.G.A.OO.PP. approvato con D.P.R. n. 1063/1962, altrimenti non applicabile (Cass. n. 5965/2008), bensı ad un preciso obbligodi legge: nella specie occorre rammentare che la legge regionale della Calabria 30maggio 1983, n. 18 all’art. 14 considerava obbligatorie le disposizioni del detto ca-pitolato, fatte salve quelle di cui all’art. 15 successivo che, in materia di collegioarbitrale, dettava disciplina legale ma speciale (disciplina non modificata, se nonmarginalmente, dalla Legge Regionale 2 maggio 2001, n. 7, art. 4-bis, comma 2).Detta disciplina contemplava infatti un collegio di quattro membri la cui strutturaponeva e pone, come esattamente notato dall’A.T.I. in memoria finale, problemi dicompatibilita con il funzionamento di un collegio arbitrale rituale (problemi per-vero privi di rilevanza, giusta quanto appresso precisato).

Tanto premesso sul piano della natura della fonte dell’arbitrato in disamina,va rammentato, in primo luogo, alla stregua del costante indirizzo di questa Corte

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(Cass., 14182/2002; Cass., n. 16205/2004; anche, e da ultimo, Cass., n. 23056/2010) che il lodo deve essere ricondotto, come e costante insegnamento di questaCorte (Cass., Sez. un., n. 527/2000), nell’ambito di una decisione richiesta per lasoluzione della controversia sul piano privatistico. La Legge n. 20/1994 di modi-fica dell’istituto ne ha pervero accentuato la natura privatistica, delineando un isti-tuto « [...] nel quale gli arbitri non svolgono funzioni giurisdizionali, non si sosti-tuiscono agli organi dello Stato, ma si inseriscono in una vicenda negoziale, con ilcompito di dare assetto a determinate posizioni in conflitto mediante un dictum cheesprime adempimento d’incarico contrattuale » (Cass., Sez. un., n. 3075/2003);neanche le modifiche apportate all’istituto, attraverso l’introduzione dell’art. 819-ter c.p.c. (D.Lgs. n. 40/2006) appaiono poi idonee a condurre ad una diversa linearicostruttiva dell’istituto stesso.

Su tali premesse, per le quali il lodo, regolato per intero da norme statali e re-gionali che ne confermavano la natura di decisione privatistica, non puo in alcunmodo accostarsi ad un dictum giurisdizionale, devesi affermare che non aveva al-cuna plausibilita la affermazione — formulata nell’impugnata sentenza — per laquale la decisione di collegio invalidamente costituito sarebbe stata affetta da ine-sistenza perche adottata in carenza di potestas iudicandi.

Consegue che il vizio afferente l’invalida od irregolare costituzione del Col-legio arbitrale, anche costituito per obbligo di legge, puo essere dedotto non gia at-traverso l’improprio richiamo all’art. 158 c.p.c. che afferisce ai vizi della costitu-zione del giudice, ma nell’ambito della ipotesi di nullita di cui all’art. 829, comma1, n. 2 c.p.c., le volte in cui la nomina degli arbitri sia stata effettuata in violazionedei modi e delle forme di cui ai capi 1 e 2 del Titolo VIII del Libro IV del codicedi rito.

Deve, pertanto, constatarsi come la questione che venne espressamente pro-spettata agli arbitri, e certamente riconducibile alla teste ricordata ipotesi di nullita,era solo quella afferente la (pretesa) indebita nomina del terzo arbitro da parte dellaCamera Arbitrale in attuazione di disposizione regolamentare (invalidate da pro-nunzia del G.A.), ma non era affatto quella afferente la irregolare costituzione nu-merica del Collegio (tre componenti in luogo dei quattro imposti dalla legge regio-nale).

Pertanto erroneamente, come denunziato, la Corte di merito ha ravvisato ipo-tesi di difetto di potestas iudicandi ed ha rilevato d’ufficio la invalidita del lodoqualificandola come inesistenza del lodo stesso, altrettanto erroneamente ritenen-dosi dispensata dall’onere del giudizio rescissorio. Di contro l’assenza di alcunaeccezione di nullita sul versante della costituzione del Collegio a tre componenti,avrebbe imposto di rifiutare alcuna disamina sulla validita della questione stessa,sol dovendosi il giudice del merito dedicare all’esame delle ragioni di impugna-zione (quella afferente la violazione del contraddittorio e quella relativa al vizio so-pravvenuto di nomina del Presidente del Collegio) ed in ogni caso, pur accoltal’una e/o l’altra ragione, essendo obbligato al giudizio rescissorio.

3. (Omissis).4. Nei precisati termini, pertanto, si cassa con rinvio la sentenza in esame e si

rimette alla Corte di rinvio anche la regolamentazione delle spese del qui conclusogiudizio.

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Il lodo (rituale) inesistente nell’ordinamento processualcivilistico ita-liano: una figura sospesa tra mito giuridico e realta normativa.

1. La sentenza in epigrafe, tra i presupposti logico-giuridici del de-cisum in essa contenuto, afferma, sulla scorta di consolidato orientamentogiurisprudenziale di legittimita, la natura non giurisdizionale del lodo ri-tuale traendone la conseguenza della non applicabilita analogica della di-sciplina dettata dal codice di rito per la sentenza (in particolare, l’art. 158c.p.c.); la conclusione cui perviene la Suprema Corte, dunque, e quella se-condo cui le irregolarita relative alla costituzione del collegio arbitrale (lostesso vale per l’arbitro unico) non sono affatto assimilabili a quelle affe-renti il giudice istituzionale, configurando le prime soltanto un’ipotesi dinullita del lodo rituale (da eccepire nella prima difesa utile ad opera dellaparte interessata) e mai casi di inesistenza dello stesso.

Questi in breve i fatti di causa: tra la Ditta A. Parisi, mandataria del-l’A.T.I., ed il Comune di Cariati insorgeva controversia in ordine a creditinascenti dal contratto di appalto stipulato tra le parti il giorno 29 giugno1992 per lavori di recupero del centro storico e di emergenze monumentali.Si costituiva allora, dopo la proposizione della domanda di arbitrato, il col-legio decidente in ragione di quanto stabilito dalla clausola compromisso-ria convenuta dalle parti de quibus, clausola che rimandava al riguardo allenorme di cui al D.P.R. n. 1063/1962 (collegio di cinque membri), poi abro-gate e sostituite da quelle del sopravvenuto D.P.R. n. 554/1999 (collegio tremembri). Il Collegio arbitrale, pertanto, composto da tre arbitri, si insediavain virtu di disposizioni di legge vigenti al tempo della propria costituzione(D.P.R. n. 554/1999) e differenti da quelle in vigore al momento della sti-pulazione della clausola compromissoria, cosicche, all’esito della pronun-cia del lodo (favorevole alla ditta appaltatrice), l’Ente territoriale appaltantepoteva lamentarsi dell’irregolare costituzione dell’organo decidente asse-rendo trattarsi di vizio comportante l’inesistenza e/o la nullita del lodo pro-nunciato dai tre arbitri e vedendo, poi, riconosciute tali doglianze dallaCorte di Appello adita per l’impugnazione di nullita.

La Corte di Cassazione ha ritenuto, pero, a differenza della Corted’Appello di Roma, che il richiamo al D.P.R. n. 1063/1962, contenuto nellaclausola compromissoria inserita nel contratto di appalto del 1992, nonavesse carattere volontario (come tale insuscettibile di eventuali abroga-zioni o modificazioni delle norme richiamate), ma fosse piuttosto un ri-chiamo alla normativa applicabile pro tempore. Cio determinava per il giu-dice di legittimita che, sotto il profilo sostanziale, fosse regolare la costitu-zione del collegio arbitrale composto in accordo con le norme di cui alD.P.R. n. 554/1999 e, conseguentemente, che fosse assolutamente legittimoil lodo pronunciato dal Collegio arbitrale composto dai tre membri.

Persino laddove fosse stato possibile ipotizzare un’irregolare costitu-

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zione dell’organo arbitrale, poi, hanno aggiunto gli Ermellini, l’esistenza ditale vizio avrebbe dovuto essere necessariamente eccepita dalla parte che viaveva interesse gia nel corso della procedura arbitrale (nella prima difesautile) e non rilevato ex offıcio, ne dagli arbitri, ne dal giudice dell’impugna-zione (in quest’ultimo caso, neppure su istanza della parte che ha propostol’impugnazione giurisdizionale).

A tale risultato e pervenuta la Suprema Corte in ragione del dato nor-mativo costituito dall’art. 829, comma 1, n. 2 c.p.c., a nulla rilevando chela parte impugnante e la Corte territoriale laziale avessero ritenuto il viziode quo tale da comportare l’inesistenza e non la nullita (sanabile) del lodopronunciato: cio sia per l’assenza di espresse previsioni normative al ri-guardo, sia per l’impossibilita di applicare la disciplina prevista dal codicedi rito per la sentenza, atteso che, in tale ultima ipotesi, la ritenuta impos-sibilita di attribuzione agli arbitri rituali di un potere giurisdizionale (rec-tius: potestas iudicandi), desunta con interpretazione sistematica dal com-plesso di norme codicistiche afferenti l’arbitrato (Libro IV, Titolo VIIIc.p.c.), determinerebbe l’impossibilita (anche dopo l’introduzione dell’art.824-bis c.p.c., con il D.Lgs. n. 40/2006) di equiparare il tipico provvedi-mento decisorio del giudice istituzionale a quello pronunciato dal giudiceprivato all’esito di una procedura arbitrale rituale.

2. La sentenza in commento costituisce occasione per riflettere circala configurabilita nel nostro ordinamento giuridico della figura iuris del« lodo inesistente » e della possibilita di impugnazione dello stesso, lad-dove sussistente, con i tipici rimedi messi a disposizione dal codice di ritoper il lodo rituale ovvero con altri mezzi.

L’analisi non puo che muovere i propri passi dalla considerazionedelle categorie dogmatiche (e delle relative differenze) di inesistenza, inva-lidita ed inefficacia: nel nostro ordinamento giuridico, infatti, a secondadella particolare rilevanza ed entita del vizio che affligge l’atto giuridicolato sensu inteso e possibile distinguere e graduare varie figure patologichee trarne determinate conseguenze. Ipotesi prese in diretta considerazionedalla legge sono l’invalidita e l’inefficacia, vale a dire quelle che si trovanorispettivamente al secondo ed al terzo (ultimo) gradino della scala gerar-chica delle patologie. La prima, che si distingue a sua volta in due figure didifferente intensita (nullita ed annullabilita), si verifica allorquando l’attodifetti di un requisito talmente importante che, seppur lo stesso sia venutoa giuridica esistenza, non lo ha fatto nel rispetto delle prescrizioni di legge:a seconda che si tratti di nullita o annullabilita, poi, l’atto rispettivamentesara ab origine inidoneo a produrre gli effetti che l’ordinamento ricollegaallo stesso oppure sara efficace fin quando non ne venga dichiarata (giudi-zialmente) l’invalidita. La nullita si configura solo laddove venga esplicita-mente comminata dalla legge ed e tendenzialmente soggetta a sanatoria,

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tanto che la nullita insanabile viene espressamente prevista solo in casi ec-cezionali e viene tradizionalmente fatta coincidere con l’inesistenza.

Al vertice di tale gerarchia, sebbene non venga mai espressamente ci-tata ne dal codice di diritto sostanziale, ne da quello di rito (1), si puo in-vece collocare proprio l’inesistenza. Si tratta di una situazione determinatadalla presenza di vizi e/o irregolarita talmente gravi che rendono impossi-bile ricondurre l’atto che ne e affetto al parametro legale di riferimento: inaltri termini, puo dirsi che, sebbene l’atto esista materialmente nel mondofenomenico, questo, tuttavia, non puo avere alcuna considerazione da partedell’ordinamento giuridico, poiche privo dei requisiti minimi per essereconsiderato giuridicamente esistente: ovvio che da tale inesistenza derivil’impossibilita per l’atto non solo di produrre il benche minimo effetto, maanche di potersi dire invalido, insuscettibile, quindi, per sua natura, diqualsiasi sanatoria (2).

Passando dal piano generale al piano particolare, si deve verificare sesimili figure patologiche possano individuarsi o siano gia state individuatein relazione agli atti processuali e, in special modo, in relazione a queiprovvedimenti tipicamente decisori quali la sentenza ed il lodo (rituale) (3).A ben vedere, il Codice di Procedura Civile dedica all’argomento il CapoIII del Titolo VI del Libro I, disciplinando, pero, expressis verbis e sinteti-camente le sole ipotesi di nullita: nelle norme di cui agli artt. 156 ss. c.p.c.si prevede l’esistenza di casi di nullita solo laddove il Legislatore dia indi-cazioni in tal senso ovvero solo allorquando l’atto risulti mancante dei re-quisiti minimi per raggiungere lo scopo che l’ordinamento allo stesso ri-

(1) TORRENTE - SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, a cura di ANELLI E GRANELLI,Milano, 2007, 622 ss.

(2) Sulla definizione di inesistenza, invalidita ed inefficacia nel diritto sostanziale, sivedano: TORRENTE - SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, a cura di ANELLI e GRANELLI, Mi-lano, 2007, 622 ss., in cui si legge che « un atto assolutamente difforme dal modello legaleviene qualificato come inesistente proprio per escludere l’operativita di tali [n.d.r.: quelleoperanti per le ipotesi di invalidita] sanatorie o preclusioni »; GAZZONI, Manuale di Dirittoprivato, Napoli, 2009, 963 ss.; CARINGELLA - DE MARZO, Manuale di diritto civile, III, Milano,2007, 792 ss. Espressione della tesi tradizionalista e BRUTTI, Invalidita (storia), in Enc. dir.,XXII, Milano, 1972, 566 ss., secondo cui: « il concetto di inesistenza nasce in un orizzontestorico ed ideologico dominato dal formalismo e svolge la funzione pratica di escludere dallasfera del giuridicamente rilevante tutto cio che e difforme dallo ius civile ».

(3) Per il lodo libero o irrituale il problema non sembra porsi o, se si vuole, si ponein termini diversi da quanto accade per gli atti giuridici processuali. Come noto, infatti, illodo irrituale e stato da sempre correttamente considerato come un atto negoziale ed il Le-gislatore, dopo la riforma del 2006, lo ha espressamente dichiarato ex art. 808-ter c.p.c. « de-terminazione contrattuale », sottraendolo tendenzialmente alla disciplina dettata per l’arbi-trato rituale ai sensi dell’art. 806 c.p.c.. Se puo configurarsi un lodo libero inesistente, dun-que, e perche l’ordinamento giuridico accetta l’ipotesi del negozio o del contratto giuridica-mente inesistente.

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colleghi. Si tratta di vizi rilevabili in gran parte (4) su istanza della parte nelcui interesse e previsto il requisito la cui carenza e/o irregolarita puo darluogo a tale forma di invalidita, e purche cio avvenga, a pena di decadenza,nella prima difesa successiva al compimento dell’atto o alla notizia chedello stesso abbia avuto la parte interessata. E evidente, pertanto, comenell’ordinamento processuale civile (5), piu che in quello sostanziale, sifaccia sentire l’esigenza di una figura patologica dell’atto giuridico chesappia rispondere alla necessita di far fronte nel modo opportuno alle ipo-tesi in cui la gravita del deficit e/o del vizio e/o della irregolarita dell’attogiuridico sia talmente elevata da non poter essere rimessa alla rilevazionedella sola parte interessata (peraltro entro un certo termine), ne dall’esseresuscettibile di sanatoria, profilandosi inaccettabile la sua stessa esistenzaall’interno dell’ordinamento giuridico.

Il codice di rito, infatti, al riguardo non parla espressamente di inesi-stenza, ma solo di nullita (cfr. rubrica dell’art. 161 c.p.c.): cio, nonostanteprevalenti dottrina (6) e giurisprudenza (7) siano state sempre concordi nelritenere che la fattispecie di cui al comma 2 dell’art. 161 c.p.c. descrivesse,a dispetto della rubrica, una chiara ipotesi di inesistenza del tipico provve-dimento decisorio giudiziale, non potendo definirsi sentenza (ancorche in-

(4) Il Codice di rito ammette che la legge preveda ipotesi specifiche di rilevabilitaex offıcio della nullita degli atti processuali ex art. 157, comma 1 c.p.c.. Eccezione espressaalla regola della rilevabilita ex partibus e sancita dall’art. 158 c.p.c. il quale attribuisce alleirregolarita (il codice parla di nullita, ma qui il termine deve intendersi in senso ampio, comecomprensivo di tutte le figure patologiche) relative alla costituzione dell’organo giudicante oall’intervento del Pubblico Ministero, carattere insanabile, la qual cosa le rende inevitabil-mente rilevabili d’ufficio. Il richiamo all’art. 158 c.p.c. diviene importante ai fini della pre-sente analisi in ragione del riferimento che ne fa la sentenza in commento in senso tale daescluderne l’applicazione analogica al lodo rituale.

(5) Quanto detto appare ancor piu evidente se ci si riferisce al caso concerto dellasentenza resa dal giudice istituzionale all’esito del giudizio civile.

(6) SASSANI, Lineamenti del processo civile italiano. Tutela giurisdizionale, Milano,2010, 509 ss.; BESSO MARCHEIS, La sentenza inesistente, Biblioteca di diritto processuale ci-vile, Torino, 1997; COLESANTI, La sentenza inesistente e gli scherzi della logica, in Riv. dir.proc., 1, 1996; MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi edesito, Milano, 2009, 83; per alcune ipotesi di inesistenza materiale, anziche giuridica, dellasentenza, si veda: TARZIA, La sentenza civile impugnabile, Milano, 1967, 125 ss.. Favorevolialla nullita insanabile e rilevabile ex offıcio si mostrano AMOROSO - DI CERBO - FOGLIA - MA-RESCA, Diritto del lavoro, II, Milano, 2009, 448 ss.

(7) Ex plurimis: Cass., Sez. lav., sentenza resa in data 30 maggio 2003, n. 8762;Cass., Sez. I, sentenza resa in data 2 maggio 1998, n. 5024; Cass., Sez. I, sentenza resa indata 22 settembre 1993, n. 5024; Trib. civ. Bologna, sentenza resa in data 9 marzo 2005, tuttein Codice di Procedura Civile annotato con la giurisprudenza, a cura di VACCARELLA e GIOR-GETTI, Torino, 2007. Nel senso che tale vizio determini una nullita insanabile e rilevabile exoffıcio e non un’inesistenza cfr: Cass., Sez. III, sentenza resa in data 29 novembre 2005, n.26040, in Codice di Procedura Civile annotato con la giurisprudenza, a cura di VACCARELLA

e GIORGETTI, Torino, 2007.

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valida ed inefficacia) la decisione del giudice priva della sottoscrizione daparte di quest’ultimo. A ben vedere, poi, la giurisprudenza di legittimita,oltrepassando la necessita di una specifica indicazione legislativa al ri-guardo, e pure giunta a sancire il principio di diritto secondo cui l’inesi-stenza della sentenza si ha « oltre all’ipotesi di mancanza della sottoscri-zione del giudice, espressamente prevista dall’art. 161, secondo comma,c.p.c. — tutte le volte che la medesima difetti di quel minimo di elementi edi presupposti che sono necessari per produrre quell’effetto di certezzagiuridica che costituisce lo scopo del giudicato » (8) ovvero allorquando« l’atto non corrisponda ad alcun modello processuale » (9).

Per quanto sin qui argomentato, dunque, la tripartizione delle figurepatologiche dell’atto giuridico in senso lato puo (rectius: deve) trovare ap-plicazione anche per gli atti che si compiono per l’espletamento della pro-cedura arbitrale, poiche species del piu ampio genus degli atti giuridici(processuali): su cio non possono esserci dubbi per quanto riguarda com-promesso e clausola compromissoria, sia per ragioni dogmatiche, che perprevisione normativa, poiche e proprio il codice di procedura civile che al-l’art. 817, comma 2 (10) fa espresso riferimento alle ipotesi di « inesistenza,invalidita ed ineffıcacia della convenzione arbitrale ».

Quid iuris, invece, per il lodo? Sebbene sul piano della teoria gene-rale del diritto e della logica giuridica appaia corretto debbano valere lemedesime conclusioni cui si e giunti per l’atto giuridico in generale e perla sentenza in particolare, non possono rinvenirsi nel codice di proceduraespliciti elementi normativi che inducano a ritenere sussistente la figura dellodo inesistente. La sentenza in commento, richiamando propri autorevoliprecedenti (11), e radicale, poi, nel rifiutare assimilazioni tra « sentenza » e

(8) Sic: Cass., Sez. lav., sentenza resa in data 8 aprile 1997, n. 3032, in Diritto &Pratica del lavoro n. 29/1997; cosı pure in Cass., Sez. lav., sentenza 10 giugno 2004, n.11047 in Codice di Procedura Civile annotato con la giurisprudenza, a cura di VACCARELLA

e GIORGETTI, Torino, 2007. Per una puntuale casistica giurisprudenziale cfr.: B. SASSANI, Li-neamenti del processo civile italiano. Tutela giurisdizionale, Milano, 2010, 509 ss.

(9) Cass., Sez. II, sentenza resa in data 10 novembre 2011, n. 23551, in Giust. civ.Mass., 2011, XI, 1587 ss., la quale contiene il seguente piu ampio principio di diritto: « Qua-lora il giudice di merito accolga la domanda, avanzata congiuntamente da piu attori, di ri-conoscimento della legittimita della revoca di un precedente atto di donazione, disponendo,in sentenza, la revoca limitatamente ad uno solo degli attori, tale omissione non rende ine-sistente la decisione vizio che ricorre soltanto ove l’atto non corrisponda ad alcun modelloprocessuale ma determina o un errore materiale, soggetto a correzione col procedimento dicui all’art. 287 ss. c.p.c., o un vizio di omessa pronuncia ».

(10) Il riferimento e in particolare al secondo periodo del comma 2 dell’art. 817c.p.c., quello che, come si avra modo di chiarire piu avanti, e erroneamente indicato aliundenel codice come comma 3.

(11) Tra i piu importanti si ricordino: Cass., Sez. un., sentenza resa in data 3 agosto2000, n. 527, in questa Rivista, 2000, 699 ss. con nota di FAZZALARI, nonche in Riv. dir. proc.,2001, 254 ss., con nota di E.F. RICCI. Per la giurisprudenza successiva si veda Cass., 27 no-

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lodo rituale, con cio sembrando escludere, stante il silenzio della legge, chepossano configurarsi ipotesi di inesistenza a carico dell’atto conclusivodella procedura arbitrale rituale.

La questione della equiparazione tra lodo e sentenza, soprattutto dopol’introduzione dell’art. 824-bis c.p.c. con il D.Lgs. n. 40/2006, meriterebbeuna piu approfondita analisi, ma l’argomento esula in buona parte dall’og-getto della presente trattazione e non puo farsene che un accenno, peraltrolimitato a quegli aspetti che piu interessano la presente analisi. In realta,seppure la piu autorevole dottrina sia da tempo divisa sulla questione (12),gli elementi che indurrebbero in senso favorevole all’accostamento tra i dueatti decisori sono molti (13): il piu importante di tutti appare quello di non

vembre 2001, n. 15023, in Riv. dir. proc., 2002, 1238 ss., con nota di E.F. RICCI, noncheCass., Sez. un., sentenza resa in data 3 marzo 2003, n. 3075, in www.cortedicassazione.it.

(12) In dottrina, al riguardo, si e sviluppato un vivace dibattito dottrinario: da un lato,vi e chi tende a ritenere che il lodo, avendo incontestata natura privata, possa al massimo es-sere equiparato (quoad effectum) ad una sentenza di primo grado, ma non sia mai idoneo aconseguire l’autorita del giudicato statale (cosiddetta « teoria negozialista »). Tali le posi-zioni, tra molti, di: PUNZI, Effıcacia di sentenza del lodo, in questa Rivista, 4, 2005, 821 ss.;E. ODORISIO, Prime osservazioni sulla nuova disciplina dell’arbitrato, in Riv. dir. proc., 2006,253 ss.; CARPI, Commento all’art. 824-bis, in L’arbitrato, a cura di CARPI, Bologna, 2007, 586ss. (in giurisprudenza si vedano: Cass., Sez. I, sentenza resa in data 27 novembre 2001, n.15023; Cass., Sez. I, sentenza resa in data 11 giugno 2007, n. 13670; Cass., Sez. I, sentenzaresa in data 11 settembre 2007, n. 19090, tutte in www.cortedicassazione.it; TAR Campania,sentenza resa in data 1o marzo 2010, n. 1213, in cui si equiparano gli effetti del lodo a quellidella sentenza, solo in termini processuali; TAR Campania, sentenza resa in data 14 aprile2009, n. 1967; TAR Puglia, sentenza resa in data 9 ottobre 2008, n. 2800, per la quale il giu-dicato deriva solo dalla forza imperativa della sentenza pronunciata dai giudici dello Stato;TAR Campania, sentenza resa in data 5 giugno 2006, n. 4277, tutte in www.giustizia-ammi-nistrativa.it).

In posizione contraria si trovano, invece, coloro che, gia manifestando favore per lateoria giurisdizionale dell’arbitrato anteriormente alla riforma del D.Lgs. n. 40/2006, riten-gono ancor piu oggi che il lodo rituale di merito possa astrattamente conseguire gli effetti delgiudicato sostanziale (cosiddetta « teoria giurisdizionalista »); in questo caso, si tratterebbesoltanto di individuare l’esatto momento in cui cio potrebbe avvenire. Su questa posizione sitrovano: BOVE, La nuova disciplina dell’arbitrato, in Il nuovo processo civile, a cura di BOVE

e CECCHELLA, Milano, 2006, 92; BOVE, Lineamenti di diritto processuale civile, Torino, 2006,55; MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, Torino, 2008, 192; VACCARELLA, Il coraggiodella concretezza in una storica decisione della Corte costituzionale, in Giust. civ., 2001, I,2887 ss.

Il terreno dello scontro puo riassumersi, nonostante i numerosi argomenti messi incampo dall’una e dall’altra parte, nella questione se la natura negoziale della convenzioned’arbitrato e del conseguente giudizio arbitrale condizioni, senza alcun rimedio, la natura delrelativo lodo, in modo tale che la dimensione privatistica all’interno della quale questo simuove e produce i suoi effetti, sebbene l’esplicita previsione dell’art. 824-bis c.p.c., nonconsenta alla decisione arbitrale di essere parificata ad una sentenza, in tutto e per tutto, sinoal fare irreversibilmente ed irrettrattabilmente stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi edaventi causa ex art. 2909 c.c.

(13) Argomenti a sostegno della teoria giurisdizionalista possono cosı analiticamente

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disattendere la volonta del Legislatore di attribuire al lodo rituale efficaciaben distinta da quella del lodo libero o irrituale e piu affine, quanto a con-tenuto e finalita (la decisione di una controversia civile involgente dirittidisponibili), al tipico provvedimento decisorio giurisdizionale, eccezionfatta per la sola efficacia esecutiva (sempre soggetta all’espletamento dellaprocedura di exequatur ai sensi dell’art. 825 c.p.c.). Tutto cio sul presup-posto che, come rilevato pure dal Giudice delle leggi (14), il carattere cer-tamente negoziale della convenzione arbitrale non conferisce necessaria-mente ed indipendentemente da qualsiasi previsione normativa la mede-sima natura anche all’atto conclusivo della procedura arbitrale, il quale benpuo assumere carattere giurisdizionale in nome di un’alternativita tra pro-cesso ed arbitrato sancita dal Legislatore nel pieno esercizio della propriaautorita e funzione normopoietica (15).

Senza dilungarsi troppo sull’argomento, in questa sede si vuole solosottolineare come l’equiparazione del lodo rituale alla sentenza pronunciata

individuarsi: a) la possibilita di attribuire agli arbitri i poteri e le funzioni giudicanti, nonchedi riconoscere all’arbitrato rituale prevalente o integrale natura giurisdizionale, soprattuttodopo la nota Corte cost., sentenza resa in data 28 novembre 2001, n. 376; b) la rimozioneope legis dei precedenti ostacoli concettuali e normativi al riconoscimento al lodo rituale,seppur non omologato, dei pieni effetti giurisdizionali (cfr. artt. 823, comma 4, 827, comma2, 829, comma 1, n. 8 — al quale si offre una lettura diversa da quella proposta dalla con-trapposta dottrina, per cui il lodo non piu impugnabile sarebbe un’espressione che celal’identificazione effettuale con la sentenza passata in giudicato —, 83, comma 3 c.p.c.); c) lanatura del lodo rituale non sarebbe quella di un negozio (rectius: un atto di volonta), maquella di un atto decisionale e come tale equiparabile sotto tutti gli effetti ad una sentenza;d) il carattere alternativo della decisione arbitrale rituale rispetto alla giurisdizione impor-rebbe la conclusione della parificazione quoad effectum, ivi compreso il passaggio in giudi-cato sostanziale, del lodo al provvedimento decisionale statale per eccellenza; e) scindibilitatra natura della convenzione arbitrale ed efficacia del lodo rituale.

(14) Il riferimento e a Corte cost., sentenza resa in data 28 novembre 2001, n. 376,in Riv. dir. proc., 2002, 351 ss. con nota di E.F. RICCI, La funzione giudicante degli arbitri el’effıcacia del lodo, secondo cui « l’arbitrato costituisce un procedimento previsto e discipli-nato dal codice di procedura civile per l’applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto,ai fini della risoluzione di una controversia, con le garanzie di contraddittorio e di impar-zialita tipiche della giurisdizione civile ordinaria » e di conseguenza « il giudizio arbitralenon si differenzia da quello che si svolge davanti agli organi statali della giurisdizione » ri-spetto al quale si configura come alternativo e non derogatorio, come invece ritenuto dallaSuprema Corte ». Analogamente, in diritto amministrativo si veda la recente Cons. Stato,Sez. V, sentenza resa in data 28 aprile 2011, n. 2542, in www.giustizia-amministrativa.it.

(15) Nel senso, addirittura, che la natura di un istituto (in specie: l’arbitrato) non siaontologicamente posta, ma scaturisca dagli effetti (in specie: il lodo) che quello e idoneo aprodurre si vedano in dottrina: E.F. RICCI, La natura dell’arbitrato rituale e del relativo lodo,in Riv. dir. proc., 2001, 254 ss.; CAVALLINI, Sulla natura del lodo rituale, in Riv. dir. proc.,2002, 954, secondo i quali la natura di un atto deve essere strettamente collegata alle sueconseguenze giuridiche e, quindi, ai suoi effetti; in altre parole, se un atto e in grado di pro-durre effetti paragonabili a quelli di una sentenza emessa dagli organi statali, allora siamo inpresenza di un atto giurisdizionale avente natura pubblicistica.

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dai giudici istituzionali potrebbe, da un lato, consentire in astratto l’attribu-zione di tutte le ipotesi di inesistenza della sentenza all’istituto del lodo (ri-tuale) (16), con ogni conseguenza in ordine ai rimedi impugnatori, e, dal-l’altro, potrebbe permettere di qualificare inesistente il lodo pronunciato daun collegio non regolarmente composto, come nel caso esaminato dallapronuncia in commento. Su quest’ultimo punto si tornera tra breve, quandosi cercheranno riscontri normativi all’ipotesi del lodo inesistente e si veri-fichera in tale ottica la portata della disposizione di cui all’art. 829, comma1, n. 2 c.p.c..

Per ora, per quanto di pertinenza, sembra potersi dire acquisito undato: non appaiono sussistere ostacoli ontologici alla configurabilita di unlodo (rituale) inesistente, considerato che tanto per gli atti giuridici in ge-nerale, quanto per gli atti processuali in particolare e astrattamente confi-gurabile il caso di un atto che ha trovato sı materiale realizzazione, ma chelo ha fatto in modo assolutamente difforme dal modello legale di riferi-mento ed e come tale privo di senso nel e per l’ordinamento giuridico incui e sorto.

3. Una volta astrattamente ammessa la configurabilita della catego-ria dogmatica del lodo inesistente e opportuno verificare, sulla scorta delleindicazioni dottrinarie e giurisprudenziali, quali situazioni possano concor-rere in concreto alla realizzazione di un lodo (rituale) completamente ini-doneo ad integrare gli elementi costitutivi della fattispecie legale di riferi-mento e, quindi, giuridicamente inesistente.

Appare opportuno e corretto considerare in una simile analisi le tipi-che figure sintomatiche dell’atto conclusivo della procedura arbitraleespressamente previste dal codice di rito, indipendentemente dallo specificoo generico nomen iuris che il Legislatore ha loro attribuito. Prima di esa-minare i vizi principalmente sospettati per l’inesistenza del lodo, pero, ap-pare opportuno eseguire un vaglio preventivo che permetta di sgombrare ilcampo della ricerca dalle ipotesi manifestamente inidonee a produrre un si-mile risultato. Ovviamente non possono determinare la presenza di un lodoprivo di esistenza giuridica i vizi che attengono al merito della vicenda ri-solta dagli arbitri (errores in iudicando), i quali non solo non rilevano af-fatto ai fini dell’impugnazione processuale del lodo se cio non sia statoespressamente voluto dalle parti o non si versi in ipotesi particolari previ-ste ex lege (controversie di cui all’art. 409 c.p.c. o questioni pregiudizialiinsucettibili di essere oggetto di convenzione arbitrale), ma sono per loronatura idonei ad incidere esclusivamente sulla correttezza sostanziale delladecisione presa dagli arbitri.

(16) LUISO, Diritto processuale civile, V, Milano, 2011, 421 ss.

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Nell’ambito degli errori (sostanziali) di giudizio appare opportuno an-noverare, per sottoporla ad analoga sorte, anche l’ipotesi del lodo contrarioall’ordine pubblico. Nonostante parte della dottrina sia giunta in passato asostenere che questo vizio del lodo porti non all’annullabilita, bensı allanullita-inesistenza dello stesso (17), in cio favorita dall’assenza di terminidecadenziali per la proposizione dell’impugnazione giudiziale (cfr. art. 829,comma 3, secondo periodo c.p.c.), la rilevanza della contrarieta del lodo alcomplesso di norme considerate inderogabili e cogenti dall’ordinamentogiuridico opera sul piano eminentemente sostanziale della controversia,come tale idoneo ad incidere solo sulla correttezza-giustizia della decisionearbitrale e, dunque, sulla validita della stessa, mai sul piano dell’esistenzagiuridica del lodo (18). In tali termini si e espressa anche la Corte di Giu-stizia europea (19), la quale « pur affermando che la violazione delle normeeuropee sulla concorrenza puo dar luogo a contrasto con l’ordine pub-blico, e quindi che tale vizio del lodo deve poter essere dichiarato dal giu-dice nazionale, le cui norme interne prevedano il contrasto con l’ordinepubblico come motivo di impugnazione del lodo, ha negato la rilevabilitadi tale vizio al di la del giudicato. Con cio la Corte, implicitamente ma ne-cessariamente, ha ritenuto che il lodo viziato da contrasto con l’ordinepubblico e annullabile e non nullo/inesistente: infatti, solo la nullita/inesi-stenza e per definizione insensibile al prodursi di decadenze, e quindi allaformazione del giudicato » (20). Non puo che concordarsi con la giurispru-denza comunitaria e con quella parte autorevole della dottrina che ricon-duce la contrarieta all’ordine pubblico del lodo nel novero delle ipotesidella invalidita, con preferenza per la figura della nullita, piuttosto che perquella dell’annullabilita, considerata la possibilita di far valere tale vizio (dimerito) in ogni tempo.

Tra i vizi formali (errores in procedendo), invece, vanno esclusi quelliche, per il loro atteggiarsi e per la loro conformazione, sono ictu oculi ini-donei a pregiudicare l’esistenza stessa di una corretta procedura arbitrale edel proprio atto conclusivo, pur invalidando giuridicamente il provvedi-mento decisorio pronunciato dagli arbitri. In altri termini, in questi casi lafattispecie legale di riferimento viene sussunta dall’atto (e percio esiste agliocchi del Diritto), anche se con imperfezioni ed irregolarita (giudicate exlege meno gravi) che lo espongo al rischio di una sensibile modifica e re-visione da parte di un organo giurisdizionale. Tali sono certamente il man-cato rispetto del termine temporale per la pronuncia del lodo (motivo ex art.

(17) PUNZI, Diritto comunitario e diritto nazionale dell’arbitrato, in questa Rivista,2000, 243 ss.

(18) LUISO, L’impugnazione del lodo di equita, in questa Rivista, 2003.(19) Corte di giustizia delle Comunita europee, sentenza resa in data 1o giugno 1999,

causa C-126/97, Eco Swiss - Benetton, in questa Rivista, 1999, 797.(20) LUISO, L’impugnazione del lodo di equita, cit.

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829, comma 1, n. 6 c.p.c.) ovvero delle forme richieste dalle parti (motivoex art. 829, comma 1, n. 7 c.p.c.), la contrarieta ad altro lodo non piu im-pugnabile o a sentenza passata in giudicato (motivo ex art. 829, comma 1,n. 8 c.p.c.), la violazione del principio del contraddittorio (motivo ex art.829, comma 1, n. 9 c.p.c.), l’omessa pronuncia nel merito allorquando ilmerito doveva essere deciso (motivo ex art. 829, comma 1, n. 10 c.p.c.)ovvero l’omessa statuizione sulle domande e sulle eccezioni proposte dalleparti (motivo ex art. 829, comma 1, n. 12 c.p.c.), la presenza di un dispo-sitivo contraddittorio (motivo ex art. 829, comma 1, n. 11 c.p.c.).

Residuano, quindi, le seguenti ipotesi che debbono essere oggetto diun piu approfondito esame:

a) lodo reso su questioni inarbitrabili ex art. 806 c.p.c. (21). — Pre-supposto fondamentale perche le parti di una controversia civile o commer-ciale possano derogare o fare una scelta alternativa alla giurisdizione sta-tale e che la res controversa involga situazioni giuridiche soggettive defi-nite disponibili. Il concetto di disponibilita deve individuarsi in quello dipossibilita per le parti che sono titolari di un diritto (lato sensu inteso) difarne liberamente oggetto di alienazione, transazione e rinuncia ai sensidell’art. 1966 c.c.; considerata la vera natura della disponibilita ai sensidell’art. 806 c.p.c., dunque, appare corretto ricomprendere nella categoriadelle situazioni giuridiche soggettive compromettibili anche gli interessi le-gittimi, oggetto, per lungo tempo, di una ingiusta esclusione da parte pre-valente di dottrina e giurisprudenza (22). La situazione di indisponibilita siverifica nei casi in cui l’ordinamento attribuisca ad un proprio componenteuna posizione giuridica soggettiva al fine di soddisfare non tanto (rectius:non esclusivamente) l’interesse del singolo, ma quello dell’intera colletti-vita considerata come un unico soggetto giuridico o centro di imputazionedi diritti ed obblighi: si pensi al diritto al riconoscimento di paternita, allacessazione degli effetti civili del matrimonio (eccezion fatta per le questioniprettamente economiche), ecc.

Nel caso di specie, pertanto, le parti pur non avendo la esclusiva di-sponibilita del diritto controverso, ne dispongono ugualmente rimettendo ladecisione della querelle che lo involge ad un giudice (privato) a cio ab ori-gine non autorizzato dall’ordinamento giuridico: appare indubitabile cheuna simile circostanza, minando le fondamenta dell’intera procedura arbi-trale, dia luogo ad un atto (il lodo) che non puo e non deve avere diritto di

(21) Per le ragioni qui di seguito esposte, le quali hanno portata non limitata all’ar-bitrato rituale, l’ipotesi di inesistenza in esame puo essere estesa anche al lodo libero.

(22) Sul tema sia consentito il richiamo all’analisi compiuta in subiecta materia conriferimento al cosiddetto « Lodo Juventus » (T.N.A.S. 15 novembre 2011) in LUDOVICI, Leposizioni giuridiche di interesse legittimo possono integrare ipotesi di situazioni giuridichedisponibili ai sensi dell’art. 1966 c.c. e quindi astrattamente compromettibili ai sensi degliartt. 806 ss. c.p.c., in questa Rivista, 1, 2012, 127 ss., nonche in www.judicium.it.

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cittadinanza nell’ordinamento giuridico in cui sorge, atto, dunque, material-mente esistente, ma tamquam non esset per la legge. Conferma normativaal riguardo puo trarsi dall’art. 817, comma 2, secondo periodo c.p.c., ilquale sottrae all’obbligo di tempestiva eccezione ex partibus « il caso dicontroversia non arbitrabile » (23). In un sistema in cui la maggior partedelle (tipizzate) nullita deve essere dedotta tempestivamente dalla parte in-teressata, a pena di decadenza dall’impugnazione processuale ai sensi degliartt. 828 ss. c.p.c., l’esclusione de qua sembra un inequivocabile elementodi prova della inesistenza del lodo reso su questioni non compromettibili;

b) lodo reso nonostante l’inesistenza della convenzione di arbitrato exart. 829, comma 1, n. 1 ed art. 817, comma 2 c.p.c. — Il comma 1, n. 1dell’art. 829 c.p.c. fa riferimento alle ipotesi di « invalidita » della conven-zione arbitrale, ferma la disposizione dell’art. 817, comma 3 (rectius:comma 2, secondo periodo). Precisando en passant che la norma fa impro-prio riferimento al comma 3, per tale intendendo, in realta, il comma 2, se-condo periodo, a causa di un errore di stampa (24), va osservato come il ri-chiamo all’art. 817 c.p.c. abbia incontestabilmente consentito alla dottrinadi ritenere riconducibili a tale fattispecie non solo le ipotesi di invalidita,ma tutte le ipotesi patologiche della convenzione arbitrale espressamenteindicate dal citato articolo come « inesistenza, invalidita ed ineffıca-cia » (25). Piu in particolare, poi, l’assoggettamento di simili figure patolo-giche del compromesso o della clausola compromissoria al regime della ri-levabilita di parte entro il termine della prima difesa successiva all’accetta-zione degli arbitri (tale e la prescrizione dell’art. 817, comma 2, secondoperiodo c.p.c.) induce a ritenere non trattarsi di casi di inesistenza del lodo,ancorche la convenzione arbitrale da cui lo stesso indirettamente trae ori-

(23) La non compromettibilita della questione oggetto di arbitrato esula dall’elencotassativo di ipotesi comportanti la nullita predisposto dal Legislatore all’art. 829 c.p.c., nonpotendo obiettivamente ricondursi al caso di pronuncia fuori dai limiti del patto compromis-sorio, circostanza piu correttamente riferibile alle questioni pregiudiziali relative a diritti in-disponibili che sorgano nel corso di un arbitrato avente ad oggetto situazioni giuridiche sog-gettive disponibili. In tal senso cfr. G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino,2006, 156 ss.

(24) Sull’argomento si considerino: LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza,Milano, 2011, 248 ss.; S. BOCCAGNA, Commentario alle riforme del processo civile, vol. III/2,a cura di BRIGUGLIO e CAPPONI, Padova, 2009.

(25) LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Milano, 2011, 249 e 252 ss.; G.VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 155 ss.; LUISO, Diritto processualecivile, V, Milano, 2011, 151 ss., in cui si legge: « il testo uffıciale dell’art. 817 c.p.c., cosıcome risulta dalla Gazzetta Uffıciale, e composto di tre comma: ma si tratta di un errore distampa, com’e facilmente ricavabile dal fatto che l’art. 829, I, n. 1 c.p.c. richiama l’art. 817,terzo comma; e l’art. 829, I, n. 4 c.p.c. richiama l’art. 817, quarto comma. Ora nella ver-sione uffıciale il quarto comma dell’art. 817 c.p.c. non esiste; ed il terzo comma non haniente a che vedere con la invalidita della convenzione di arbitrato di cui si occupa l’art.829, I, n. 1 c.p.c. ».

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gine sia essa stessa inesistente. Per ragioni di coerenza logica verrebbe dasostenere che da un compromesso o da una clausola compromissoria inesi-stente non possa che derivare un lodo giuridicamente inesistente (26); tutta-via il codice di rito sembra escludere tale possibilita, configurando l’as-senza di eccezioni al riguardo, se non come una ratifica della scelta arbi-trale rituale (non possibile), almeno come una sorta di consenso tacito (for-matosi per facta concludentia) a che la controversia, altrimenti di compe-tenza dei giudici statali, venga deferita ad (e decisa da) arbitri (27);

c) lodo reso pur in presenza di vizi relativi alla nomina degli arbitriex art. 829, comma 1, n. 2 c.p.c. — Si tratta della questione esaminata dallasuprema Corte nella sentenza in commento. Al di la della valutazione circala correttezza sostanziale del decisum in esame, riservata alle conclusionidella presente nota, vi e da dire che, indipendentemente dalla tesi sostenuta(negozialista o giurisdizionalista) relativamente alla natura del lodo arbi-trale rituale, qui ci si trova di fronte ad un’indicazione specifica del Legi-slatore, il quale non si e limitato a dichiarare nella rubrica dell’art. 829c.p.c. trattarsi di un caso di nullita (peraltro e ripetuto anche nel testo dellanorma) (28), ma ha stabilito che tutti i vizi relativi alla regolare costituzionedell’organo arbitrale decidente (eccezion fatta per quello di cui al succes-sivo punto) debbano essere tempestivamente dedotti nel corso del giudizioarbitrale, pena la decadenza dal poterli validamente eccepire in sede di im-pugnazione processuale. Da cio sembra corretto farne derivare una irrego-larita non talmente grave da giustificarne l’inclusione tra le ipotesi di ine-

(26) In tal senso si e espressa anteriormente alla riforma del 2004, Cass., Sez. I, sen-tenza resa in data 7 ottobre 2004, n. 19994, in Il civilista, Milano, 2007, 52 ss., con nota diCARAMASCHI. La massima della pronuncia di legittimita cosı testualmente recita: « In tema diarbitrato, la clausola compromissoria che stabilisca un modo di nomina degli arbitri di im-possibile attuazione pratica, e nulla ai sensi dell’art. 809, commi 2 e 3, c.p.c., ma cio noncomporta l’inesistenza del lodo arbitrale, che si verifica invece nelle sole ipotesi in cui, perinesistenza del compromesso o della clausola compromissoria, o per essere la materia affı-data alla decisione degli arbitri estranea a quelle suscettibili di formare oggetto di compro-messo, viene a mancare in radice la potestas decidendi, costituendo, quindi, la pronuncia ar-bitrale una vera e propria usurpazione di potere. Al di fuori di tali ipotesi, le eventuali dif-formita dai requisiti e dalle forme del giudizio arbitrale possono provocare solo la nullitadel lodo che, una volta rilevata, non impedisce il passaggio alla fase rescissoria per l’accer-tamento della eventuale nullita del compromesso prevista dall’art. 829, comma 1, n. 1,c.p.c. ».

(27) G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 155 ss., secondo cui« sembra di capire, dal collegamento tra le due disposizioni, che anche nel caso di mancanzadella convenzione, quest’ultima si « forma » per fatti concludenti qualora l’inesistenza nonsia eccepita tempestivamente e che, allo stesso modo, nel caso di nullita assoluta della me-desima, il vizio sia superato non per ratifica (che non sarebbe possibile), ma per formazioneendoprocessuale di una nuova convenzione ».

(28) Il riferimento e a: « [...] purche la nullita sia stata dedotta nel giudizio arbi-trale ».

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sistenza, in quanto collegata ad un termine decadenziale e suscettibile exlege di sanatoria per assenza di tempestive eccezioni delle parti del proce-dimento arbitrale;

d) lodo reso da un arbitro incapace ai sensi dell’art. 812 c.p.c. (29),come previsto ex art. 829, comma 1, n. 3 c.p.c. — Hic debbono replicarsile argomentazioni sub a), poiche anche una simile circostanza mina allefondamenta la regolarita degli atti compiuti nella procedura arbitrale intra-presa dalle parti, ivi compreso quello conclusivo e decisorio. Il codice dirito, a differenza delle meno benevole formulazioni anteriori alla riformadel 1983 (30), pone soltanto un limite alla capacita di essere arbitro: nonavere una piena capacita legale di agire. Il deficit in argomento determinanel nostro piu generale ordinamento giuridico la conseguenza della impos-sibilita di compiere atti giuridici cosicche il lodo reso da un soggetto privoin tutto o in parte di una simile capacita non puo dirsi correttamente venutoad esistenza, atteso che il vizio de quo non solo afferisce al lodo, ma pre-giudica altresı la regolarita di tutti gli atti (processuali) presupposti. Di ciosembra essersi reso conto anche il Legislatore laddove ex art. 829, comma1, n. 3) c.p.c. esclude che un simile vizio debba essere eccepito dalla parteinteressata, a pena di decadenza, nella prima difesa successiva alla manife-stazione dell’incapacita; ne deriva che agli occhi della legge il vizio inesame risulta essere ben piu grave di una mera nullita e, quindi, necessa-riamente riconducibile al novero delle ipotesi di inesistenza (31);

e) lodo reso fuori dai limiti della convenzione di arbitrato ex art. 829,comma 1, n. 4 ed art. 817, comma 3 c.p.c. — In tali casi la pronuncia ar-bitrale ha travalicato i limiti della convenzione arbitrale, motivo per cui, ameno che la pronuncia non abbia avuto ad oggetto questioni non arbitrabili(se cosı fosse varrebbero le conclusioni sub a)), sembrerebbe corretto giun-gere al medesimo risultato che si ha quando il lodo viene reso nonostantel’inesistenza del compromesso o della clausola compromissoria. Ne derivauna nullita, piuttosto che un’inesistenza dell’atto arbitrale decisorio, tantopiu che quando tale divergenza nasca dall’aver le parti formulato le proprieconclusioni, esorbitando dai limiti della convenzione di arbitrato, la parteinteressata deve eccepire l’irregolarita de qua nel corso della procedura ar-bitrale, pena l’impossibilita di impugnare il lodo per tale motivo ex art. 817,comma 3 c.p.c.;

f) lodo assolutamente carente di motivazione, deficitario di dispositivoo non sottoscritto dagli arbitri ex art. 823, comma 2, nn. 5, 6 e 7 (motivo

(29) L’ipotesi di inesistenza in esame puo essere estesa anche al lodo irrituale, con-siderato che, sebbene la norma faccia espresso riferimento a casi di annullabilita, viene an-noverata dall’art. 808-ter c.p.c. tra le ipotesi di impugnazione contrattuale del lodo.

(30) Riforma avvenuta con Legge 9 febbraio 1983, n. 28.(31) Sul punto vedi: LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Milano, 2011,

256 ss.

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ex art. 829, comma 1, n. 5 c.p.c.). — Come anticipato, l’omessa sottoscri-zione della sentenza e quasi universalmente concepita da dottrina e giuri-sprudenza come causa di inesistenza, anziche di nullita, del tipico provve-dimento decisorio del contenzioso civile. La possibilita di estendere una si-mile ipotesi anche al lodo rituale, passa, pertanto, per la risoluzione dellacontroversa questione della parificazione del lodo (rituale) alla sentenza: inquesto caso, quindi, appare assai arduo trovare una risposta davvero con-vincente senza prima sciogliere il nodo di una questione che ha innegabilipresupposti e riflessi ideologici e metagiuridici. La sola collocazione del-l’omessa sottoscrizione del lodo da parte degli arbitri tra le cause di nullitaex art. 829 c.p.c. non e, infatti, sufficiente per escludere l’inesistenza dellodo in simili ipotesi (32), poiche, come si e avuto modo sin qui di vedere,il termine « nullita » appare impiegato dal Legislatore in senso atecnico, ri-comprendendovi talvolta anche altre ipotesi di patologia dell’atto conclu-sivo dell’arbitrato.

Analogo discorso va fatto anche per le ipotesi di assoluta carenza dimotivazione o di dispositivo che, se riferite alla sentenza, vengono tradizio-nalmente considerate come sintomo di inesistenza giuridica di tale atto de-cisorio (33).

A parere di chi scrive, soprattutto dopo la riforma operata con ilD.Lgs. n. 40/2006, la lettura da dare alla disciplina dell’arbitrato rituale ingenerale e a quella del lodo in particolare e nel senso di concepire il primocome una procedura alternativa al processo civile ed il secondo come unprovvedimento equiparabile, quanto meno quoad effectum, alla sentenza; nederiva la convinzione della necessita di attribuire astrattamente le ipotesi diinesistenza elaborate per la sentenza anche all’istituto del lodo rituale (34).

(32) In senso contrario cfr. G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino,2006, 63.

(33) Cfr. MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi edesito, Milano, 2009, 64 ss.; B. SASSANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006,407, secondo cui: « Altra ipotesi di inesistenza e quella della carenza assoluta di una partedella sentenza (ad es. mancanza totale della motivazione): il documento sentenza appare inquesto caso talmente viziato che non si riconosce possibilita di sanatoria ». In parte diver-gente e G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 155, il quale distinguetanto per la motivazione, quanto per il dispositivo, l’aspetto formale dall’aspetto sostanzialedi simili requisiti del lodo, ritenendo che solo a quest’ultimo faccia riferimento l’art. 829,comma 1, n. 5 c.p.c.: cosı ragionando, si avvalorerebbe comunque la tesi della inesistenzadel lodo rituale tutte quelle volte in cui l’atto decisorio arbitrale difetti dal punto di vista gra-fico (assoluta carenza-inesistenza) della motivazione e del dispositivo, trattandosi di requisitiminimi della decisione (sulla qualificazione di requisiti minimi cfr. LUISO, Diritto processualecivile, V, Milano, 2011, 190).

(34) In senso favorevole all’inesistenza del lodo per omessa sottoscrizione di tutti gliarbitri, si consideri: MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivied esito, Milano, 2009, 65 ss.. Si consideri pure LUISO, Diritto processuale civile, V, Milano,2011, 187, il quale prevede per il lodo anche ipotesi di inesistenza collegate, sul modello

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Una simile conclusione, se si vuole, non sembrerebbe neppure contrastatadal dato normativo, atteso che la rilevabilita del deficit dell’elemento di cuiall’art. 823, comma 2, n. 7 c.p.c. non e subordinata ad alcuna tempestivaeccezione di parte dall’art. 829, comma 1, n. 5 c.p.c.. In senso contrario nonsembra assumere rilevanza neppure la previsione dell’art. 830, comma 2c.p.c. laddove questo consente al giudice dell’impugnazione di nullita,salva diversa disposizione delle parti, di pronunciarsi nel merito della con-troversia allorquando il lodo rituale soggetto a gravame sia stato annullatoper il deficit di uno o piu dei requisiti ex art. 823, comma 2, nn. 5, 6 e 7c.p.c.. La natura propria dell’inesistenza (del lodo dovuta a tali mancanze)pare indurre logicamente a credere che la Corte d’Appello dovrebbe alloralimitarsi al giudizio rescindente, rilevando l’assoluta carenza (giuridica) diuna decisione arbitrale e rimettendo le parti al collegio o all’arbitro unicoche ha pronunciato il lodo dichiarato inesistente. Il fatto, poi, che si trattidi una previsione normativa subordinata al diverso accordo delle parti, nefa una disposizione non cogente, sintomo di una derogabilita della stessaper ragioni dogmatiche e sistematiche;

g) lodo reso dagli arbitri nonostante la vessatorieta della clausolacompromissoria contenuta in un contratto stipulato tra professionista econsumatore. — La questione non e dedotta tra le ipotesi giustificatricidell’impugnazione di nullita ex artt. 828 ss. c.p.c., ma trova astratto riferi-mento normativo, per quanto riguarda il nostro ordinamento giuridico, ne-gli artt. 1341 e 1342, comma 2 c.c., nonche negli artt. 33 ss. D.Lgs. n. 206/2005 (cosiddetto Codice del Consumo) ss. mod. ed int., mentre per l’ordi-namento comunitario, nella Direttiva del Consiglio Europeo del 5 marzo1993, n. 93/13/Cee, recepita in Italia con Legge n. 92/1996.

La declaratoria di inesistenza del lodo in presenza di una clausolacompromissoria contenuta in un contratto stipulato tra professionista e con-sumatore e qualificabile come « vessatoria » e stata pronunciata in tempirelativamente recenti dalla Corte giust. U.E. con sentenza resa in data 26ottobre 2006, causa C-168/05, Mostaza Claro (35). La conclusione cui e

della sentenza inesistente, alla non identificabilita del diritto oggetto dell’arbitrato ed allainesistenza di uno o piu soggetti nei cui confronti il lodo ex art. 824-bis c.p.c. viene pronun-ciato.

(35) Corte giust. U.E., sentenza resa in data 26 ottobre 2006, causa C-168/05, Mo-staza Claro, in S. BOCCAGNA, Commentario alle riforme del processo civile, vol. III/2, a curadi BRIGUGLIO e CAPPONI, Padova, 2009, nonche in questa Rivista, 4, 2006, 673, con nota diD’ALESSANDRO. Il principio di diritto affermato e il seguente: « La direttiva del consiglio 5aprile 1993 n. 93/13/Cee, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i con-sumatori, deve essere interpretata nel senso che essa implica che un giudice nazionale, chia-mato a pronunciarsi sull’impugnazione di un lodo arbitrale, rilevi la nullita dell’accordo ar-bitrale ed annulli il lodo, nel caso ritenga che tale accordo contenga una clausola abusiva,anche qualora il consumatore non abbia fatto valere tale nullita nell’ambito del procedi-mento arbitrale, ma solo in quello per l’impugnazione del lodo ». La decisione in argomento

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pervenuto l’organo giurisdizionale europeo non sembra, pero, pienamentecondivisibile: al di la dell’aspetto sostanziale relativo all’integrazione omeno del divieto de quo da parte della clausola compromissoria (questioneda valutare caso per caso) (36), il Legislatore italiano ricollega differenti ef-fetti alla clausola compromissoria vessatoria.

E noto, infatti, come le clausole per arbitrato considerate vessatoriesiano nulle (cfr. l’attuale art. 36 D.Lgs. n. 206/2005, laddove il previgenteart. 1469-quinquies c.c. parlava di « ineffıcacia »): e ovvio, dunque, comedalla nullita (o inefficacia) della clausola compromissoria vessatoria di-scenda la carenza di potestas decidendi (secondo taluni, l’incompetenza)degli arbitri (37). Cio comporta che tale nullita (o inefficacia) si riflette sullaprocedura arbitrale con riferimento sia all’aspetto della validita (o efficacia)della convenzione arbitrale, sia all’aspetto della regolare costituzione del-l’organo decidente arbitrale, vale a dire con riferimento a questioni (cfr. art.829, comma 1, nn. 1 e 2 c.p.c.) che, come anticipato, stante il particolaredictum normativo (rilevabilita ex partibus, a pena di decadenza, nel corsodel procedimento arbitrale), appaiono configurare ipotesi di invalidita, subspecie di nullita, piuttosto che casi di inesistenza.

A ben vedere, concludendo sul punto, oltre ad essere astrattamenteconfigurabile nell’ordinamento processuale civile in ragione della apparte-nenza del lodo alle piu generali categorie degli atti giuridici e degli attigiuridici processuali (categorie per cui l’ipotesi dell’inesistenza viene co-munemente accettata), nonche in virtu dell’assenza di ostacoli di tipo natu-ralistico o ontologico alla configurabilita di un simile istituto, la figura dellodo (rituale) inesistente appare trovare anche un implicito o inespressofondamento normativo nelle ipotesi sub a) e d) (molto probabilmente an-che in quella sub f)), vale a dire in tutti quei casi in cui sia legittimo dubi-tare della esistenza giuridica dei presupposti per lo svolgimento della pro-cedura arbitrale e, infine, per la pronuncia del lodo stesso.

non parla espressamente di inesistenza del lodo, ma la qualificazione del vizio de quo comecomportante una invalidita assoluta rilevabile in ogni tempo anche ex offıcio, non lascia cheintendere la volonta del Giudice Europeo di ravvedere in simili casi una decisione arbitraleaffetta da inesistenza.

(36) Si legge in E.F. RICCI, Clausola compromissoria vessatoria ed impugnazione dellodo, in questa Rivista, 4, 2007, che « come e noto, nei contratti conclusi tra il “professio-nista” e il “consumatore” si presumono vessatorie fino a prova contraria, tra le altre, leclausole compromissorie, in quanto aventi ad oggetto “a carico del consumatore... deroghealla competenza dell’autorita giudiziaria”. E questa la disciplina delineata oggi dall’art. 33del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (cosı detto “codice del consumo”), a conferma della di-sciplina gia precedentemente in vigore in forza del previgente art. 1469-bis c.c. ».

(37) E.F. RICCI, Clausola compromissoria vessatoria ed impugnazione del lodo, inquesta Rivista, 4, 2007.

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4. I rimedi esperibili in via principale ed incidentale avverso il lodoinesistente sono l’impugnazione processuale di nullita, l’actio nullitatis e leimpugnazioni incidenter tantum. Una volta ammessa la presenza anche nelnostro ordinamento processualcivilistico del lodo (rituale) inesistente, indi-pendentemente da quali specifici vizi lo determinino, e opportuno verificarein che modo le parti interessate a far valere la presenza di tale patologia (sibadi bene: lo sono tutte le parti della procedura arbitrale culminata nel lodoinesistente) (38) possano efficacemente ricorrere avverso la pronuncia arbi-trale affetta da inesistenza.

Per la sentenza si e giunti a ritenere che « l’impugnazione previstadalla legge puo essere impiegata anche per far valere l’inesistenza del-l’atto impugnato » (39): sul punto vi e sostanziale concordia tra dottrina(classica (40) e moderna (41)) e giurisprudenza (42), cosicche si ammette chel’inesistenza della sentenza possa essere fatta legittimamente valere sia in-cidenter tantum, sia in via diretta con una domanda dichiarativa autono-ma (43) (cosiddetta « actio nullitatis » o « querela nullitatis ») oppure, sem-pre in via principale, con i gravami. Tutto cio fermo restando che, trattan-dosi di un atto che nel mondo del diritto non e venuto ad esistenza e checome tale determina la presenza di un vuoto nell’ordinamento (44), il giu-dice istituzionale che ha pronunciato il provvedimento decisorio affetto dainesistenza ben potrebbe, in un successivo momento, colmare autonoma-mente una simile lacuna con una (nuova) pronuncia, questa volta piena-mente valida ed efficace: cio, pero, necessariamente prima che le parti ab-

(38) MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito,Milano, 2009, 59.

(39) MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito,Milano, 2009, 58.

(40) CALAMANDREI, Sopravvivenza della querela di nullita nel processo civile vigente,in Riv. dir. proc., 1951, 119; CARNELUTTI, Nullita della sentenza d’appello e poteri della Cortedi Cassazione, in Riv. dir. proc. civ., II, 1934, 227 ss.. In senso contrario si veda: JAEGER, Pre-liminari di una teoria dell’impossibile nel processo, 2 - La sentenza impossibile, in Studi ur-binati, V, 1931, 32, nota 69.

(41) Tra tutti si vedano: LUISO, Diritto processuale civile, IV, IV ed., Milano, 2007,433; PICARDI, Manuale del processo civile, Milano, 2006, 248; MANDRIOLI, Diritto processualecivile, I, XVIII ed., Torino, 2006, 480 ss.; MONTESANO - ARIETA, Trattato di diritto processualecivile, I, Padova, 2001, 865 ss.

(42) Cfr. Cass., sentenza resa in data 29 settembre 1999, n. 10784, in Foro it. Rep.,voce sentenza civile, 75; Cass., sentenza resa in data 4 marzo 1999, n. 1816, in Foro it.,1999, I, 3581 ss.; Cass., sentenza resa in data 14 Febbraio 1996, n. 1122, in Foro it., 1996,I, 2829 ss., con nota di G. BALENA; Cass., sentenza resa in data 27 Febbraio 1995, n. 2292,in Giur. it., 1997, I, 134 ss.

(43) Con l’actio nullitatis, infatti, la sentenza puo essere dichiarata inesistente nelcorso di un successivo giudizio di cognizione di primo grado, secondo le ordinarie regole dicompetenza.

(44) Come noto, il giudice istituzionale e obbligato a risolvere la controversia pro-nunciandosi su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa ai sensi dell’art. 112 c.p.c..

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biano provveduto ad impugnare la sentenza, avvalendosi di uno dei mezzidi gravame previsti dal codice di rito (45).

A ben vedere, nonostante una certa ritrosia mostrata da parte di dot-trina minoritaria (46), un’analoga conclusione sembra prospettabile ancheper il lodo rituale, poiche al di la della equiparazione di quest’ultimo allasentenza, ragioni di ordine « naturalistico » non sembrano di ostacolo a taleteoria (47), neppure la considerazione che nel caso del rimedio ex art. 828c.p.c. si versi in ipotesi di forma di gravame a critica vincolata (48).

Essendo l’inesistenza una figura talmente grave da non ammettere nesanatorie, ne rilevabilita rimesse alle sole parti del giudizio arbitrale, il vi-zio che comporta la patologia in esame potra essere fatto valere tanto insede di impugnazione diretta, quanto incidentalmente in futuri ed eventualigiudizi tra le medesime parti dell’arbitrato, in cui si presupponga la sussi-stenza del diritto accertato, costituito o dichiarato all’esito del giudizio ar-bitrale. Nulla sembra escludere, dunque, ai fini che interessano la presentetrattazione, il ricorso all’impugnazione processuale di nullita ex artt. 828 ss.c.p.c., cosı come nulla esclude l’esperimento di un’autonoma azione di ac-certamento da esercitarsi in sede giudiziale e sottratta ai tipici termini de-cadenziali previsti per l’impugnazione di nullita (49); laddove, poi, unadelle parti volesse dare esecuzione al dictum contenuto nel lodo inesistente,nessun ostacolo potrebbe validamente frapporsi alla possibilita di sollevarela questione della inesistenza in sede di exequatur e nelle successive even-tuali sedi giudiziali. Nel caso dell’impugnazione di nullita, poi, va precisato

(45) In tal senso cfr. la recente Cass, sentenza resa in data 29 dicembre 2011, n.30067, in Red. Giust. civ. Mass., 2011, in cui si puo leggere: « La cd. inesistenza giuridicao nullita radicale di un provvedimento giurisdizionale avente contenuto decisorio, nella spe-cie una sentenza della Corte di cassazione emessa nei confronti delle parti del giudizio macon motivazione e dispositivo relativi a diversa causa riguardante altri soggetti, in quantonon coperta dal giudicato formale, puo essere fatta valere anche al di fuori dell’impugna-zione nello stesso processo, con un’autonoma azione di accertamento, con la conseguenzache il giudice cui e apparentemente da attribuire la sentenza inesistente puo procedere allasua rinnovazione, senza sanarla, e dunque emanando un atto valido ». Affermando dettoprincipio, la Suprema Corte ha ritenuto di procedere, in quanto investita della potesta di de-cidere, alla nuova deliberazione ed alla redazione di nuova sentenza, previa nuova fissazione,da parte del Presidente della Sezione, della udienza di discussione del ricorso innanzi al me-desimo collegio avanti al quale la causa era stata discussa prima della pubblicazione dellapronuncia affetta dalla citata nullita radicale.

(46) ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 910; MAZ-ZARELLA, Arbitrato e processo, Padova, 1968, 148, nota 228; BOVE, Impugnazione per nullitadel lodo pronunciato in carenza di patto compromissorio, in questa Rivista, 1997, 539.

(47) Tra tutti si vedano: LUISO, Diritto processuale civile, V, Milano, 2011, 186.(48) Sul punto si consideri MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la ri-

forma. Motivi ed esito, Milano, 2009, 61, la quale correttamente osserva come anche la sen-tenza di appello inesistente possa incontestabilmente essere impugnata con il ricorso per cas-sazione, pur essendo quest’ultimo un mezzo di gravame a critica vincolata.

(49) G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 153 ss.

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che la Corte d’Appello competente svolgerebbe il solo iudicium rescindens,poiche l’art. 830, comma 2 c.p.c. precluderebbe al giudice di appello qual-siasi pronuncia nel merito (vale a dire il iudicium rescissorium) in presenzadi vizi diversi da quelli indicati dall’art. 829, comma 1, nn. 5, 6, 7, 8, 9, 11e 12, nonche comma 3, 4 e 5 c.p.c. (50), ossia da vizi diversi, in gran parte,da quelli comportanti la nullita (sanabile) e non l’inesistenza.

Avendo ipotizzato che alcune irregolarita dedotte nell’elenco tassativodell’art. 829 c.p.c. possano configurare ipotesi di inesistenza, anziche dinullita come invece impropriamente indicato nella rubrica dell’articolo incommento, potrebbe sorgere un dubbio circa l’esperibilita esclusiva del-l’impugnazione processuale di nullita, sempre fatta salva, ben inteso, lapossibilita di far rilevare indirettamente la specifica ipotesi di inesistenza.Il dubbio, pertanto, ha riguardo alle impugnazioni dirette: la soluzione piulogica in tali casi sembra, pero, essere quella di consentire la rilevazionedel vizio determinante l’inesistenza del lodo tanto attraverso l’impugna-zione ex art. 828 c.p.c., quanto con un’actio nullitatis autonoma e svinco-lata dal termine decadenziale dei 90 giorni prevista, invece, per l’impugna-zione processuale. Se di inesistenza si tratta, infatti, non puo pensarsi chela presenza della stessa possa essere rilevata (solo) entro un dato termine,a pena di decadenza dall’azione, poiche altrimenti si finirebbe per ammet-tere una sorta di sanatoria indiretta della patologia in esame, con l’ulterioreconseguenza di pervenire sul piano della logica (giuridica) ad una irrisolvi-bile contraddizione in termini.

Appare corretto, dunque, consentire sempre e comunque, al di la diogni termine cronologico, l’esperimento di tutti i rimedi, in via principaleo indiretta, messi a disposizione dal codice di rito per far valere l’inesi-stenza dell’atto decisorio dell’arbitrato rituale, tenendo ben presente che,anche in assenza dell’esercizio di attivita impugnatoria, un lodo affetto davizi implicanti l’inesistenza non puo in ogni caso ricevere l’exequatur, nepassare in giudicato formale e sostanziale.

5. In sintesi, la decisione in commento appare corretta sotto il pro-filo sostanziale, poiche il vizio di irregolare costituzione dell’organo arbi-trale dedotto dall’Ente territoriale appaltante con l’impugnazione per nullitaai sensi degli artt. 828 ss. c.p.c. si mostra, da un lato, non fondato per lapeculiare natura del richiamo contenuto nella clausola compromissoria allanormativa illo tempore vigente e, dall’altro, non piu eccepibile per l’inter-venuta decadenza determinata dal non avere la parte interessata sollevato laquestione nella prima difesa utile. Risulta, quindi, non solo non integrata lafattispecie di cui all’art. 829, comma 1, n. 2 c.p.c., ma, laddove pure que-sta avesse trovato concretizzazione, nulla avrebbe potuto validamente ecce-

(50) LUISO, Diritto processuale civile, V, Milano, 2011, 421.

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pirsi per la mancata proposizione della relativa eccezione nel corso delprocedimento arbitrale, trattandosi di ipotesi di nullita e non di inesistenza.

Perplessita al contrario debbono nutrirsi per la validita e correttezzadei presupposti argomentativi del decisum, atteso che tanto la sconfessionedella natura giurisdizionale, quoad effectum, del lodo rituale, quanto l’apo-dittica negazione di un’ipotesi, seppur astratta, di inesistenza del lodo (ri-tuale) appaiono degne, quanto meno, di una profonda rimeditazione, basatasu di una piu attenta ermeneutica della disciplina dettata dal Legislatore intema di arbitrato.

In particolare, le implicite indicazioni fornite dagli artt. 817, comma 2(secondo periodo) ed 829, comma 1, nn. 1) e 3) c.p.c. di cui si e detto inprecedenza, l’introduzione dell’art. 824-bis c.p.c., che attribuisce al lodo ri-tuale, dalla data della sua ultima sottoscrizione, l’efficacia del provvedi-mento pronunciato dall’Autorita giudiziaria, nonche il carattere decisoriodell’atto conclusivo dell’arbitrato rituale e, dunque, la coincidenza effet-tuale e finalistica di questo atto con la sentenza pronunciata dal giudiceistituzionale, debbono indurre a ritenere configurabile nell’ordinamentoprocessualcivilistico italiano (seppur ammettendo che cio possa avvenireentro confini variabili a seconda dell’ermeneutica che si preferisce) la fi-gura del lodo (rituale) inesistente, la cui espunzione dall’ordinamento giu-ridico potrebbe avvenire tanto con il ricorso ad un’autonoma azione di ac-certamento non soggetta a decadenza, quanto con i mezzi di impugnazioneprevisti ex art. 827 c.p.c. (51).

GIANLUCA LUDOVICI

(51) Ovviamente l’inesistenza del lodo potra essere rilevata, come sopra anticipato,anche in via incidentale.

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I

CORTE DI APPELLO DI ROMA, Sez. I civ.; ordinanza 21 marzo 2011; CECERE

Pres.; FANTI Est.; Regione Basilicata (avv.ti Sanino e Costantino) c. ICLA Co-struzioni Generali S.p.a. in liquidazione (avv.ti Capponi e Di Falco) eS.C.I.P.I. Societa di cartolarizzazione investimenti per le infrastrutture S.r.l.(avv.ti Capponi e Di Falco).

Lodo arbitrale - Impugnazione per nullita - Richiesta di sospensione dell’effi-cacia ex art. 830, comma 4, c.p.c. - Istanza di revoca dell’ordinanza checoncede l’inibitoria - Ammissibilita.

In assenza di espressa previsione di legge, che dichiari il provvedimento exart. 830, ult. comma, c.p.c. non impugnabile — e dunque non soggetto al regimeordinario di revocabilita delle ordinanze — quest’ultimo deve ritenersi modificabileo revocabile da parte del Giudice che lo ha emesso.

L’ordinanza ex art. 830, ult. comma, c.p.c. va ricondotta al regime di stabi-lita comune ai provvedimenti cautelari, con la conseguenza che la modifica e/o larevoca del provvedimento emesso possa tra l’altro avvenire, alla luce dell’art.669-decies, comma 1, c.p.c., se si verificano mutamenti nelle circostanze.

II

CORTE DI APPELLO DI ROMA, Sez. Unica civ. feriale; ordinanza 23 agosto2011; SORACE Pres.; REALI Est.; ANAS S.p.a. (avv. Scarnera) c. Tecnocostru-zioni Costruzioni Generali S.p.a. (avv.ti Capponi e Di Falco).

Lodo arbitrale - Impugnazione per nullita - Richiesta di sospensione dell’effi-cacia ex art. 830, comma 4 c.p.c. - Istanza di revoca dell’ordinanza checoncede l’inibitoria - Ammissibilita.

Rilevato che l’art. 830, ult. comma, c.p.c., a differenza di quanto dispostodall’art. 351, comma 3, c.p.c. non definisce « non impugnabile » l’ordinanza chedecide in ordine alla sospensione del lodo impugnato, e ammissibile l’istanza direvoca, stante il disposto dell’art. 177, comma 3, c.p.c.

I

CENNI DI FATTO. — La parte vittoriosa in sede arbitrale chiede la revoca del-l’ordinanza con la quale il Collegio ha disposto la sospensione dell’efficacia esecu-tiva del lodo arbitrale impugnato per nullita; l’istanza viene rigettata in considera-zione della prossimita dell’udienza di precisazione delle conclusioni, che tuttaviaviene poi ulteriormente rinviata. Il credito riconosciuto dal lodo viene ceduto incorso di causa, e la societa cessionaria, intervenuta nel giudizio di nullita, reitera

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l’istanza di revoca dell’inibitoria. Dopo un primo rigetto per inammissibilita, final-mente la Corte — all’esito di una nuova valutazione del periculum in mora perl’esecutando — accoglie l’istanza di revoca, consentendo l’esecuzione del lododietro prestazione di idonea garanzia a mezzo fideiussione bancaria.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — Considerato che con l’atto di citazione in appellonotificato alla ICLA Costruzioni Generali in liquidazione il 22 febbraio 2007, laRegione Basilicata ha impugnato per nullita il lodo arbitrale emesso in data 23 ot-tobre 2006 dal Collegio arbitrale costituito in Roma l’11 maggio 2005 — dichia-rato esecutivo dal Presidente del Tribunale di Roma in data 7 novembre 2006 —contestualmente avanzando istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva dellapronuncia;

che con ordinanza del 19 luglio 2007 questa Corte, in accoglimento del-l’istanza e sul presupposto della sussistenza del periculum in mora, ha sospesol’efficacia dell’esecuzione del lodo impugnato, rinviando per la precisazione delleconclusioni all’udienza del 18 dicembre 2009;

che la Corte ha in particolare ritenuto che « la rilevante misura della cifra elo stato di liquidazione della ICLA depongono per un rischio concreto che il recu-pero della cospicua somma possa essere effettivamente problematico. D’altra partela societa in liquidazione non corre analoghi rischi nel caso di rigetto della impu-gnativa, in considerazione della natura istituzionale dell’ente pubblico debitore »;

che con ordinanza del 27 aprile 2009 questa Corte ha respinto l’istanza di re-voca della sospensiva avanzata dalla ICLA, in considerazione della prossimita del-l’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni;

che con ordinanza depositata il 10 maggio 2010, provvedendo sulla ulterioreistanza di revoca della sospensiva avanzata dalla SCIFI (cessionaria del creditovantato dalla ICLA in liquidazione), la Corte ha dichiarato l’inammissibilita del-l’istanza;

che con atto depositato il 15 febbraio 2011, la S.C.I.P.I. ha rivolto nuovaistanza di revoca della sospensione dell’efficacia esecutiva del lodo, deducendo: a)il grave pregiudizio derivante dal provvedimento di sospensione tenuto conto dellanon sollecita definizione della controversia (rinviata per la precisazione delle con-clusioni al novembre 2011); b) la prestazione di idonea cauzione eventuale restitu-zione alla Regione degli importi che quest’ultima e stata condannata a pagare inesecuzione del lodo;

che all’esito della comparizione delle parti, lette le note autorizzate depositatedalla Regione Basilicata, la Corte

Osserva. — L’istanza di revoca della ordinanza di sospensione della efficaciaesecutiva del lodo appare ammissibile.

L’ordinanza di sospensione, emessa il 19 luglio 2007 ai sensi dell’art. 830, ult.comma, c.p.c., deve ritenersi revocabile sulla base del principio generale enunciatodall’art. 177, comma 2, c.p.c., a tenore del quale le ordinanze possono essere sem-pre modificate o revocate dal giudice che le ha pronunciate.

Fa eccezione a tale principio, tra le altre, l’ipotesi in cui l’ordinanza dellaquale si chiede la revoca o la modifica sia definita non impugnabile per espressadisposizione di legge (art. 177, comma III, n. 2, c.p.c.).

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In applicazione di tale principio l’ordinanza ex art. 830, ult. comma, c.p.c.,non essendo definita non impugnabile da espressa disposizione di legge, non rien-tra tra le ipotesi derogatorie al principio generale di revocabilita delle ordinanze.

Ne puo ritenersi che l’ordinanza ex art. 830, ult. comma, c.p.c. sia assimila-bile, per struttura e funzione, all’ordinanza emessa dalla Corte ai sensi dell’art. 351c.p.c. — espressamente definita non impugnabile dalla legge e dunque insuscetti-bile di modifica o di revoca — tanto da ricadere nel medesimo regime.

Pur trattandosi di provvedimenti aventi analogo effetto sostanziale, da un latoemerge dal codice di rito una rilevante diversita procedurale avuto riguardo allemodalita di presentazione dell’istanza, dall’altro l’impugnazione presenta natura efunzione totalmente differente.

Con riferimento al primo aspetto, l’istanza volta ad ottenere la sospensionedell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado va proposta con l’impugna-zione principale o con quella incidentale (art. 283, richiamato dall’art. 351 c.p.c.),mentre analoga modalita di presentazione non e prevista per l’istanza di sospen-sione dell’efficacia esecutiva del lodo dall’art. 830, disponendo la norma che laCorte d’Appello possa sospendere l’efficacia del lodo su istanza di parte anchesuccessiva alla proposizione dell’impugnazione.

Con riguardo al secondo aspetto, mentre l’istanza ex artt. 351 e 283 c.p.c. siinscrive nell’alveo di un procedimento impugnatorio di natura totalmente devolu-tiva, l’istanza ex art. 830 pertiene invece ad una impugnazione per nullita, nel cuiambito la pronuncia rescissoria della Corte non ha carattere generale, ma anzi limi-tato a singole ipotesi nominate.

Se ne ricava che l’ordinanza prevista dall’art. 351 c.p.c. e quella disciplinatadall’art. 830, ult. comma, c.p.c. non possano ritenersi tra loro strutturalmente assi-milabili e che dunque il regime di irrevocabilita della prima non possa estendersialla seconda in via interpretativa.

Ne del resto tale assunto appare ricavabile dalla pronuncia della supremaCorte n. 5011 dell’8 marzo 2005, che ha sancito la sola non impugnabilita ed irre-vocabilita dell’ordinanza ex art. 351 c.p.c., senza in alcuno modo affrontare la que-stione dell’analogo regime dell’ordinanza ex art. 830, ult. comma, c.p.c.

In assenza di espressa previsione di legge, che dichiari il provvedimento exart. 830, ult. comma, c.p.c. non impugnabile — e dunque non soggetta al regimeordinario di revocabilita delle ordinanze — quest’ultimo deve dunque ritenersi mo-dificabile o revocabile da parte del Giudice che lo ha emesso, derivandone l’am-missibilita dell’istanza in esame.

Venendo al merito, la richiesta di revoca dell’ordinanza che ha sospeso la ef-ficacia del lodo appare fondata.

In linea generale l’ordinanza con la quale la Corte sospende l’efficacia dellodo puo ritenersi assimilabile, per sua natura e funzione, al procedimento caute-lare uniforme, disciplinato dall’art. 669-bis ss. c.p.c.

Con i provvedimenti cautelari disciplinati in tale sezione l’ordinanza in que-stione presenta rilevanti tratti in comune, quali la sommarieta della cognizione e lafunzione di anticipare il preveduto esito della decisione di merito. Ne consegue chel’ordinanza ex art. 830, ult. comma, c.p.c. vada dunque ricondotta al regime di sta-bilita comune ai provvedimenti cautelari, con la conseguenza che la modifica e/o larevoca del provvedimento emesso possa tra l’altro avvenire, alla luce dell’art. 669-decies, comma 1, c.p.c., se si verificano mutamenti nelle circostanze.

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Alla luce di tale parametro valutativo, ritiene la Corte che la prestazione, daparte della S.C.I.P.I, cessionaria del credito di ICLA, di idonea cauzione (fideius-sione bancaria) per la ipotesi che la futura pronuncia sull’impugnativa possa travol-gere il lodo impugnato, integri un effettivo mutamento delle circostanze a suotempo esaminate.

La avvenuta sostituzione del creditore vale poi ad escludere il periculum inmora in precedenza ravvisato dalla Corte nello stato di liquidazione della ICLA enel conseguente rischio concreto per il recupero della rilevante somma da tale con-dizione derivante.

La obiettiva dilatazione dei tempi di definizione della controversia milita in-fine a sua volta per la revoca del provvedimento di inibitoria.

P.Q.M. — La Corte revoca la propria ordinanza di inibitoria del 19 luglio2007, consentendo l’esecuzione del lodo dietro cauzione, gia prestata dalla nuovacreditrice SCIPI S.p.a.

II

CENNI DI FATTO — La parte convenuta nel giudizio di nullita chiede la revocadell’ordinanza con la quale era stata disposta la sospensione dell’esecutorieta dellodo impugnato. La Corte, ritenuto attenuato il periculum in mora per il soccom-bente in sede arbitrale, stante il miglioramento della sua situazione economicacomplessiva, modifica il proprio precedente provvedimento, concedendo l’esecu-zione parziale.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — Letta l’istanza della S.p.a. Tecnocostruzioni Costru-zioni Generali, depositata il 13 luglio 2011, con cui si chiede la revoca dell’ordi-nanza di questa Corte depositata il 22 giugno 2006, con la quale era stata dispostala sospensione dell’esecutorieta del lodo impugnato;

letto il decreto del Presidente depositato il 18 luglio 2011;letta la memoria depositata dalla S.p.a. ANAS;esaminati gli esiti dell’odierna udienza in camera di consiglio;ritenuta, in via preliminare, ammissibile l’istanza di revoca proposta;rilevato, infatti, che l’art. 830 ult. comma c.p.c., nella formulazione, qui ap-

plicabile, antecedente alla novella di cui all’art. 24 D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,a differenza di quanto disposto dall’art. 351, comma 3, c.p.c, non definisce « nonimpugnabile » l’ordinanza, che decide in ordine alla sospensione del lodo impu-gnato;

ritenuto conseguentemente, stante il disposto dell’art. 177, comma, 3 c.p.c.revocabile l’ordinanza ex art. 830, ult. comma, c.p.c., in quanto non dichiarataespressamente non impugnabile;

ritenuto, quanto al fumus boni iuris, che permane la valutazione di non paleseimplausibilita delle censure impugnatorie dalla S.p.a. ANAS, valutazione espressacon l’ordinanza di cui si chiede la revoca e ribadita con la successiva ordinanza diquesta Corte depositata il 3 gennaio 2007;

ritenuto, quanto al periculum in mora, che la societa istante ha dedotto che, a

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partire dal 2007, la situazione economica della controparte, quale risultante dai bi-lanci di esercizio, e migliorata, tanto da conseguire un utile di € 5.320250,00 nel2009 e di € 28.000.000.000,00 nel 20l0;

rilevato che dette circostanze non sono state specificatamente contestate exadverso, sı che puo osservarsi che la situazione economica complessiva della S.p.a.ANAS e indubbiamente migliorata, sia con riferimento al momento dell’adozionedell’ordinanza oggetto della richiesta di revoco, sia con riferimento al momentodell’adozione dell’altra ordinanza di questa Corte depositata in data 3 gennaio2007, con cui era stata rigettata analoga istanza a quella qui in esame;

ritenuto, infatti, che e incontroverso che a decorrere dal 2009 la S.p.a. ANASha iniziato a conseguire degli utili, peraltro cospicui, ne appaiono piu sussistereproblematiche derivanti dai precedenti contingentamenti finanziari, non dedottidalla difesa di tale parte;

ritenuto conseguentemente attenuato il periculum in mora derivante dall’ese-cuzione del lodo impugnato se si mantiene in certi limiti l’eseguibilita immediatadel lodo;

ritenuto, pertanto, di potere in parte revocare l’ordinanza sospensiva nel sensoche si determina una misura nell’importo da soddisfare subito che da un canto siatale da non prostrare il debitore attuale, dall’altro eviti problematiche in caso di ac-coglimento;

ritenuto, in considerazione dell’entita della pronuncia di condanna oggetto dellodo impugnato, pari ad oltre € 14.000.000,00 — e che comunque ai fini qui con-siderati viene valutata per tale importo — ed al fine di contemperare equamente lecontrapposte esigenze di entrambe le parti, di poter revocare la disposta sospen-sione per la parte eccedente i due terzi della somma oggetto (— che rappresenta adintelligenza delle parti il limite, al quale vanno rapportate le frazioni per determi-nare il « quantum » eseguibile, o prescindere dagli accessori —) della richiamatapronuncia, a modifica della precedente ordinanza 22 giugno 2006 — cio che com-porta la autorizzazione dell’esecuzione nello stesso limite (cioe i due terzi rappor-tati a € 14.000.000,00 ed entro tale limite) mantenendo la sospensione per il restocioe l’importo entro il limite dei due terzi (con rapporto all’importo or detto) e an-che ai residui importi accessori —;

(Omissis).

La revoca del provvedimento che decide sull’inibitoria dell’efficaciaesecutiva del lodo arbitrale rituale impugnato per nullita.

1. Le due ordinanze che si commentano, sebbene con motivazioni didiversa ampiezza, riconoscono l’ammissibilita dell’istanza di revoca o mo-difica del provvedimento, reso ai sensi dell’art. 830, ult. comma, c.p.c., checoncede la sospensione dell’efficacia del lodo arbitrale nel corso del giudi-zio di impugnazione per nullita.

La specifica questione affrontata, attualmente oggetto di soluzioni di-

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scordanti in giurisprudenza (1), si inquadra nella piu generale tematica delcontrollo (nelle forme della revoca/modifica e del reclamo) delle cc.dd. ini-bitorie, con tale espressione intendendo tutte quelle misure volte ad impe-dire, o arrestare se iniziata, l’esecuzione di un provvedimento, nelle moredella relativa impugnazione. Il problema, come noto, e stato differente-mente risolto dal legislatore a seconda dei diversi contesti. In rapida rasse-gna, se il piu delle volte l’impugnazione dell’ordinanza che concede o negala sospensione e espressamente esclusa (cosı, ad es., per l’inibitoria dell’ef-ficacia esecutiva delle sentenze di primo grado: art. 351, comma 3, c.p.c.;per l’inibitoria delle sentenze impugnate per cassazione: art. 373, comma 1,c.p.c.; nell’ambito del rito del lavoro: art. 431, commi 3 e 6, c.p.c.), nelcaso dell’art. 624 c.p.c., viceversa, e testualmente sancita la possibilita diesperire il reclamo cautelare ex art. 669-terdecies; mentre tace del tutto, sulpunto, l’art. 830 c.p.c.

Si anticipa fin d’ora che la soluzione prescelta dalle due ordinanze ro-mane non puo che trovare concordi nella sostanza: proprio nei casi ivi ri-solti si manifesta infatti la rilevanza per gli interessi concretamente in giocoe la delicatezza del giudizio insito nel diniego o nella concessione dellainibitoria della efficacia del lodo contestualmente impugnato, vuoi per iltasso di discrezionalita che connota tale giudizio, vuoi per i tempi, normal-mente assai lunghi, necessari per la definizione del procedimento impugna-torio avviato davanti alla Corte d’Appello. Delicatezza che si ritiene debbaessere compensata da un sistema di controlli il piu possibile chiaro e com-pleto sul provvedimento, positivo o negativo, reso a fronte dell’istanza diinibitoria.

A quanto risulta, invece, la giurisprudenza e stata solitamente pocoincline a consentire l’esperibilita di rimedi avverso la decisione sull’inibi-toria dell’efficacia del lodo, dimostrando di ritenerli un aggravio di lavoronon sufficientemente giustificato dalla pretesa di una delle parti di tornare,magari piu volte, a ridiscutere il provvedimento inibitorio, che per sua na-tura segue (disciplinandone gli effetti in via provvisoria) una decisione giaa suo tempo resa a cognizione piena (2).

Non si possono dunque che accogliere con favore le aperture alla re-

(1) In senso contrario alle ordinanze in commento, si veda, da ultimo, App. Milano,15 luglio 2010, in Corr. merito, 2-2011, 148, con nota di ARCADI, L’inibitoria dell’effıcaciaesecutiva di un lodo arbitrale.

(2) Cfr. in questo senso App. Bari, 11 settembre 2006 in www.judicium.it, con com-mento di IMPAGNATIELLO, Sulla reclamabilita dei provvedimenti di inibitoria, 2007; App. Mi-lano, 15 dicembre 2006, in Corr. giur. 2007/7, 1007 con nota di MARINELLI, La riforma degliartt. 615 e 624 c.p.c. e la reclamabilita delle pronunce rese dal giudice del gravame sullainibitoria della decisione impugnata; App. Genova, 18 gennaio 2011, in questa Rivista,3/2011, 455 ss., con nota della scrivente Sulla reclamabilita del provvedimento che decidesull’inibitoria dell’effıcacia esecutiva del lodo arbitrale rituale impugnato per nullita.

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vocabilita compiute dalle due ordinanze in commento; ed in particolare sifa apprezzare la prima, piu argomentata, la quale, pur lasciando impregiu-dicato il diverso quesito della impugnabilita a mezzo di reclamo delle or-dinanze de quibus, contiene interessanti elementi per una riflessione piuampia anche in tal senso.

2. Nel panorama disomogeneo delle inibitorie e nella acclarata dif-ficolta di ricostruire un modello regolativo unitario, le soluzioni offertedalla giurisprudenza al problema — che qui interessa — della reazioneconsentita avverso le ordinanze di concessione o diniego della sospensionedell’efficacia del lodo sono state diverse, e a lungo condizionate dal paral-lelismo con altri strumenti simili, anche a prescindere dell’evoluzione deldettato legislativo specifico (3).

La versione originaria dell’art. 830 c.p.c., comma 3, si presentava obiet-tivamente lacunosa, sı da determinare la necessita, per definine regole e pre-supposti dell’istituto, di un completamento su basi analogiche con riferimentoa forme similari di inibitoria. Cosı, in un primo tempo, la soluzione prevalentefu trovata nel richiamo all’art. 373 c.p.c. (4), elevato a « modello » per l’inibi-toria di tutti i provvedimenti provvisoriamente esecutivi ope legis. Successi-vamente, si venne profilando l’alternativa di assimilare l’inibitoria del lodoalla sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado; solu-zione che ha trovato ampia diffusione in giurisprudenza dopo la novella del-l’art. 282 c.p.c. e che ha finito per prevalere a seguito della introduzione dellaprevisione testuale (ad opera del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) di requisiticoincidenti nella sostanza con quelli richiesti dall’art. 283 c.p.c. (5).

(3) Sia consentito rinviare alla precedente nota di chi scrive, op. cit., 459 ss.(4) Si vedano: App. Milano, 19 settembre 2001, in Gius, 2002, 195; App. Roma, 14

agosto 2000, in Riv. trim. appalti, 2001, 155ss., con nota di GIACOBBE, Alcune considerazioniin tema di sospensione dell’esecutivita del lodo arbitrale; App. Roma, 9 ottobre 1996, inquesta Rivista, 1997, 80 ss. con nota di FAZZALARI, Sospensione dell’esecutivita del lodo; App.Roma, 26 luglio 1995, in questa Rivista, 1995, 695 ss., con nota di VACCARELLA, Lodo ritualee sospensione dell’esecutivita dopo la riforma dell’arbitrato; App. Bari, 1o dicembre 1993,in questa Rivista, 1995, 257, con nota di SPAGNOLO, La sospensione dell’esecutivita del lodoarbitrale; App. Bologna, 7 gennaio 1992, in questa Rivista, 1992, 717; App. Roma 3 luglio1978, in Foro it., 1979, I, c. 217.

(5) In tal senso, in giurisprudenza, App. Roma, 4 novembre 2004, in Riv. trim. ap-palti, 2005, 463 ss. con nota di SIRACUSANO, Le modalita temporali della richiesta di inibito-ria averso lodo arbitrale ex art. 830, comma ult., cod. proc. civ.; App. Roma, 14 febbraio2002, in www.amministrazioneincammino.luiss.it; App. Roma, 4 febbraio 2000, in Nuovagiur. civ., 2001, I, 53, con nota di NEGRINI, La fondatezza dell’impugnazione come motivo disospensione dell’esecuzione del lodo arbitrale; App. Torino, 26 marzo 1997, in Giur. it.,1997, I, 1, 411 ss. con nota di RAMPAZZI, Riflessioni sui poteri del giudice in tema di sospen-sione dell’esecutivita del lodo arbitrale; App. Roma, 20 maggio 1996, in questa Rivista,1997, 79 ss. con nota di FAZZALARI, op. cit. In dottrina: RUFFINI, La sospensione dell’esecu-zione delle sentenze arbitrali, in questa Rivista, 1993, 697 ss.; GIACOBBE, op. cit., 156 ss.

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In entrambi i casi, l’accostamento tra istituti implicava la traslazioneintegrale della disciplina procedimentale prevista per l’inibitoria dell’effi-cacia esecutiva delle sentenze (di primo ovvero di secondo grado) ancheallo strumento di cui all’art. 830 c.p.c., con il relativo regime di inoppugna-bilita, irrevocabilita e immodificabilita.

Peraltro, pur continuando ad ammettere tale similitudine, ampia partedella dottrina ha sostenuto che la natura cautelare dei provvedimenti inquestione (cosı dell’inibitoria della efficacia esecutiva della sentenza, comedell’inibitoria dell’efficacia del lodo) giustificasse il superamento dell’osta-colo testuale all’impugnabilita, a favore del riconoscimento della possibi-lita di proporre, oltre alle istanze di revoca o modifica ex art. 669-deciesc.p.c., anche il reclamo ex art. 669-terdecies, per ragioni di completezzadella tutela e di omogeneita di trattamento di ipotesi — sotto questo profilo— identiche (6).

3. Sempre presente, e decisamente preferibile dopo il 2006, la tesidell’autonomia dell’istituto di cui all’art. 830, comma 4, c.p.c. (7). Un’au-tonomia che non solo si deve alla natura peculiare del suo oggetto, ma cheoggi trova conferma anche nella regolamentazione, completa e non piu bi-sognosa di integrazione analogica, collocata nella sua specifica sedes (8).

(6) Sostengono la reclamabilita ex art. 669-terdecies c.p.c. dei provvedimenti di so-spensione dell’esecuzione (o dell’esecutivita), disposti dal giudice davanti al quale e impu-gnato il titolo esecutivo: MARINELLI, La riforma degli artt. 615 e 624 c.p.c. e la reclamabilitadelle pronunce rese dal giudice del gravame sulla inibitoria della decisione impugnata, cit.,1006 ss.; CECCHELLA, I Poteri cautelari del giudice d’appello. In particolare della riformadell’inibitoria in appello, in appinter.csm.it/incontri/13556.pdf; OLIVIERI, Ancora qualche(brevissima) considerazione sulle nuove norme del procedimento cautelare uniforme (e sullareclamabilita dell’inibitoria ex art. 283 c.p.c. e sull’opposizione all’esecuzione), 2006, inwww.judicium.it; IMPAGNATIELLO, La nuova disciplina dell’inibitoria in appello, cit.; IMPAGNA-TIELLO, Sulla revocabilita dei provvedimenti di inibitoria, cit.; infine, ancorche sulla base diun percorso argomentativo diverso, VACCARELLA, Lodo rituale e sospensione dell’esecutivitadopo la riforma dell’arbitrato, cit., 705.

(7) L’ordinanza del 23 agosto 2011 che si commenta fa riferimento all’art. 830,comma 3, c.p.c. nella versione anteriore alla riforma, applicabile ratione temporis al caso dispecie. Gia prima del 2006 sostenevano la tesi dell’autosufficienza della norma: CONSOLO,Sospensione dell’esecutorieta del lodo, in questa Rivista, 1997, 505 ss.; GIACOBBE, op. cit.,160; MACCARRONE, Per un profilo strutturale della inibitoria processuale: riflessioni in mar-gine all’art. 830, 2o comma, c.p.c., in Riv. dir. proc. 1981, 274 ss.; oggi v. ARCADI, op. cit.,152; LUISO, Diritto Processuale civile. Vol. V. La risoluzione non giurisdizionale delle con-troversie, Milano, 2011, 201.

(8) Infatti l’istituto disciplinato dall’art. 830, comma 4, c.p.c. si presenta completoin tutti i suoi aspetti: funzionale, strutturale e procedimentale. Sotto il profilo funzionale, nonv’e dubbio che, pur essendo accostabile ad analoghi strumenti — cosı come sono assimila-bili tutte le inibitorie, nonostante diversita di presupposti e disciplina, in ragione della fun-zione cautelare di evitare l’esecuzione di un provvedimento nelle more della sua impugna-zione — l’incidente inibitorio previsto dall’art. 830 c.p.c. ha la funzione precipua di contem-

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Le due ordinanze in commento sposano appunto — l’una piu esplicita-mente, l’altra implicitamente ma in maniera comunque inequivoca — l’op-zione autonomistica, riconoscendo, a prescindere dalle soluzioni adottate perstrumenti analoghi, la modificabilita e revocabilita dell’ordinanza di inibitoriadell’efficacia del lodo. Il provvedimento del 21 marzo 2011, in particolare,chiarisce che a cio non osta il consueto confronto che si suole istituire con lasospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza, trattandosi di strumenti to-talmente diversi: al di la infatti di una lata similitudine quanto all’effetto ini-bitorio, l’ordinanza prevista dall’art. 351 c.p.c. e quella disciplinata dall’art.830, ult. comma, c.p.c. non sono ne strutturalmente ne procedimentalmenteomologabili (9); con la conseguenza che il regime di irrevocabilita vigente perla prima non e estensibile in via interpretativa alla seconda.

4. Di contro, la tesi che nega l’ammissibilita dell’istanza di revocadell’ordinanza di inibitoria fa leva proprio sul parallelismo con il dispostodell’art. 351, comma 3, c.p.c., che, nel sancire la non impugnabilita delprovvedimento de quo, porta con se (per il tramite del disposto dell’art.177, comma 2, c.p.c.) l’irrevocabilita e immodificabilita di esso da parte delgiudice. Recentemente la Corte d’appello di Milano (10) ha appunto con-

perare la realizzazione del decisum arbitrale con le esigenze tempistiche del giudizio di nul-lita, caratterizzandosi proprio per la delicata interazione con la funzione dell’arbitrato di im-partire una rapida tutela. Sul piano strutturale, dalla norma emergono chiaramente i presup-posti (i « gravi motivi ») e l’oggetto (l’efficacia del lodo) dell’inibitoria. Anche la disciplinaprocedimentale — dopo la riforma del 2006 — e in buona misura autosufficiente, e non sonoravvisabili obiettive lacune che giustifichino il ricorso all’analogia. Non solo: e anche una di-sciplina che su certi aspetti nodali si diversifica da quella prevista dagli artt. 283 e 351 c.p.c.,sulla cui falsariga veniva in precedenza modellata. In particolare, e consentita la proposizionedell’istanza anche in corso di giudizio, negli atti successivi a quello contenente l’impugna-zione: elemento, questo, che come si vedra puo giustificare la differenza anche nel regime direvocabilita.

(9) Sul piano procedimentale, la differenza individuata dall’ordinanza sta nel fattoche l’istanza di inibitoria dell’efficacia del lodo puo essere fatta oggetto anche di un atto suc-cessivo a quello contenente la proposizione dell’impugnazione (in senso conforme cfr. App.Roma, Sez. II, 4 febbraio 2005, in Riv. trim. appalti, 2005, 463). Per quanto attiene alla na-tura e alla funzione, « mentre l’istanza ex artt. 351 e 283 c.p.c. si inscrive nell’alveo di unprocedimento impugnatorio di natura totalmente devolutiva, l’istanza ex art. 830 c.p.c. per-tiene invece ad una impugnazione per nullita, nel cui ambito la pronuncia rescissoria dellaCorte non ha carattere generale, ma anzi limitato a singole ipotesi nominate ».

(10) Prima, in senso negativo, App. Napoli, 17 aprile 1997 (la possibilita di chiederela revoca dell’ordinanza di rigetto della domanda inibitoria andrebbe esclusa in quanto equi-varrebbe a una inammissibile riproposizione dell’istanza di sospensione gia proposta e de-cisa), in Giur. merito, 1997, 102, con nota di D’ALONZO, Revocabilita dell’ordinanza inibito-ria e riproposizione dell’istanza di sospensione della provvisoria esecutorieta della sentenzadi primo grado senza pregiudizi. Contra App. Roma, ord. Sez. II, 4 novembre 2004, cit., chemotivava l’inammissibilita dell’istanza presentata in corso di procedimento sulla base dellaapplicazione estensiva dei limiti formali e temporali, previsti per l’inibitoria della sentenza di

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centrato l’argomentazione della soluzione negativa sulla similitudine fun-zionale tra lodo e sentenza, facendone discendere la applicabilita in viaanalogica all’impugnazione per nullita della disciplina dell’appello. Dettoaltrimenti, secondo la Corte, la proposizione dell’istanza di inibitoria apri-rebbe un procedimento incidentale innestato nel giudizio dinanzi alla Corted’appello, del quale dovrebbe quindi mutuare la disciplina.

La differenza testuale in ordine ai tempi di proponibilita (l’art. 283c.p.c. fissa una preclusione in limine litis, imponendo alla parte, a pena diinammissibilita, di avanzare la domanda di inibitoria contestualmente al-l’atto di impugnazione principale o incidentale; l’art. 830, comma 4, c.p.c.,al contrario, consente la proposizione dell’istanza anche con atto succes-sivo) non sarebbe decisiva in contrario, essendo giustificata dalla diversitadel regime degli effetti esecutivi tra sentenza — che nasce provvisoria-mente esecutiva — e lodo, che diviene esecutivo (e dunque sospendibile)solo a seguito di exequatur (11).

primo grado, anche in tema di impugnazione del lodo arbitrale, in virtu del carattere generaledella disciplina, « ispirata alla finalita di favorire l’accelerazione del decisum ». Seppur conmotivazione diversa (mancanza di profili nuovi nell’istanza di revoca), v. anche App. Napoli,15 febbraio 1996, in questa Rivista, 1996, 529, con nota di AULETTA, Contro il resistente ar-gomento del « sibi imputet » a proposito dell’ordinanza ex art. 830, comma 3 c.p.c.

(11) In realta, a questa differenza procedurale puo essere attribuito un significato bendiverso. La riproponibilita puo infatti essere motivata anche con il fatto che la richiesta di so-spensione del lodo e avanzabile sempre nel corso del giudizio di nullita. La ratio della normache consente la proposizione anche successiva all’atto introduttivo, difforme rispetto alla disci-plina dell’inibitoria dell’efficacia esecutiva della sentenza, viene solitamente spiegata con la ne-cessita di sincronizzare la richiesta di inibitoria con il momento in cui il lodo acquista efficaciaesecutiva, a seguito dell’exequatur che potrebbe eventualmente intervenire in corso di giudiziodi nullita. Da qui parte della dottrina (MENCHINI, Impugnazioni del lodo rituale, in questa Rivi-sta, 2005, 876; ZUCCONI GALLI FONSECA, in CARPI, Arbitrato. Commento al Titolo VIII del libro IVdel Codice di procedura civile, Sub Art. 830 c.p.c., Bologna, 2008, 701) ha ritenuto di integrarela norma nel senso che, se al momento dell’impugnazione il lodo e gia esecutivo, scatterebbecomunque la preclusione in limine litis, con onere per la parte impugnante di formulare l’istanzadi inibitoria con l’atto medesimo di impugnazione, a pena di decadenza. In tal senso: App.Roma, 3 dicembre 2003 in Giur. Romana, 2003, 137; App. Roma, Sez. II, novembre 2004, cit.;App. Bari, 11 settembre 2006, in Giusto proc. civ., 2007, 485. Va notato pero che la nuova for-mulazione dell’art. 830 c.p.c., che consente la « sospensione dell’efficacia », suggerisce a pareredi chi scrive una diversa interpretazione. Infatti l’inibitoria potrebbe richiedersi anche verso illodo non munito dell’exequatur (proprio per paralizzare ab origine la sua efficacia esecutiva). Inquesto senso: GIACOBBE, op. cit., 156 ss.; MONTESANO, Sugli effetti del nuovo lodo arbitrale e sullefunzioni della sua « omologazione », in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, 821. Se cosı e, allora lamancanza di preclusioni non e indice della mera esigenza di attendere l’exequatur, ma ha il pre-ciso senso di consentire la proposizione dell’istanza in qualsiasi momento del giudizio di nullita,a seconda degli sviluppi della situazione concreta, quando sorga il relativo interesse. Da qui,viene meno il preteso ostacolo alla riproposizione dell’istanza rigettata — e quindi, specular-mente, alla revocabilita dell’ordinanza che concede l’inibitoria — dato che non esiste, nell’art.830, la regola che circoscrive la questione inerente all’eseguibilita del lodo alla fase iniziale delgiudizio di gravame.

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5. Le ordinanze in commento, come anticipato, aderiscono invecealla soluzione contraria, dichiarando ammissibile l’istanza di revoca. Va in-nanzitutto premesso che nell’art. 830, comma 4 c.p.c. non si trovano osta-coli, visto che — a differenza di altre ipotesi — la disposizione non recaalcuna previsione di non impugnabilita ne alcun termine decadenziale perl’istanza di sospensione. Trattasi allora di vedere quale sia il regime diquesto potere di riesame.

Sgombrato il campo da ogni impegnativo parallelismo con le altreinibitorie, la tesi della revocabilita e sostenibile sulla base di due diversipercorsi logici: 1) argomentando dall’art. 177 c.p.c., che prevede, quale re-gime ordinario delle ordinanze emesse in corso di causa, quello della revo-cabilita e modificabilita; 2) argomentando dalla natura cautelare del prov-vedimento di inibitoria dell’efficacia del lodo, al quale deve conseguente-mente applicarsi in via diretta (salva diversa disposizione nella specificasedes materiae ed entro il piu generale limite della compatibilita: art. 669-quaterdecies c.p.c.) tutta la disciplina del provvedimento cautelare uni-forme di cui agli artt. 669-bis ss. ed in particolare, per quanto qui interessa,il regime di revocabilita e modificabilita previsto dall’art. 669-decies c.p.c.

6. Entrambe le ordinanze imboccano il primo percorso argomenta-tivo e si pronunciano per l’ammissibilita dell’istanza di revoca facendo levasul principio, sancito dall’art. 177, comma 2 c.p.c., della generale revoca-bilita delle ordinanze da parte del giudice che le ha pronunciate. Principioche discende dal fatto che, normalmente, l’ordinanza non esaurisce il po-tere del giudice sulla questione decisa. Il giudice puo difatti riesaminarla e,re melius perpensa, tornare sulla propria decisione per modificarne il con-tenuto o revocarla, senza peraltro alcuna predeterminazione di motivi edunque senza che sia necessariamente intervenuto un quid novi atto a legit-timare il potere di riesame (12).

Poiche dunque nel caso dell’ordinanza di sospensione dell’efficaciadel lodo trattasi di ordinanza collegiale non altrimenti qualificata, e poichenon ricorre alcuna delle ipotesi derogatorie previste dall’art. 177, comma 3,

(12) In questo senso: ARCADI, op. cit. 152-153; PROTO PISANI, La nuova disciplina delprocesso civile, Napoli, 1991, 207. Una variante dell’argomentazione in esame e quella chefa leva sul disposto dell’art. 279, comma 4, c.p.c. il quale prevede che « i provvedimenti delcollegio, che hanno forma di ordinanza, comunque motivati, non possono mai pregiudicarela decisione della causa; salvo che la legge disponga altrimenti, essi sono modificabili e re-vocabili dallo stesso collegio, e non sono soggetti ai mezzi di impugnazione previsti per lesentenze ». Rileva anzi RUFFINI, La sospensione dell’esecuzione delle sentenze arbitrali, inquesta Rivista, 1993, 723, che, per definire il regime di stabilita dell’inibitoria dell’efficaciadel lodo, il richiamo all’art. 279 c.p.c. anziche all’art. 177 c.p.c. sarebbe tecnicamente piucorretto, trattandosi di ordinanza assegnata alla competenza collegiale della Corte d’Appello.

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c.p.c. (13), deve operare il regime generale di revocabilita e modificabilita.La soluzione ora descritta appare quanto mai « pratica » nella sua

semplicita, in quanto ammette una sia pur limitata revisione di un provve-dimento che nei fatti, col decorso del tempo — come dimostrano le fatti-specie in commento — potrebbe necessitare di modifica per riequilibrare lerispettive posizioni delle parti, senza tuttavia impegnare l’interprete nelconfronto con altri strumenti, vuoi le altre inibitorie, vuoi i provvedimenticautelari. Tanto e vero che l’ordinanza del 23 agosto 2011, affermata rapi-damente su queste basi l’ammissibilita dell’istanza di revoca, passa senz’al-tro a rivalutare i presupposti che a suo tempo avevano giustificato la con-cessione dell’inibitoria, concentrandosi sul periculum discendente dallaesecutivita, che nella specie si presenta attenuato per l’esecutando in con-seguenza del miglioramento, intervenuto medio tempore, della sua situa-zione economica (restando invariato il fumus).

Tuttavia questa soluzione appare insufficiente, in un’ottica sistemati-camente piu ampia. Essa infatti, da un lato, pecca per difetto perche eludeuna corretta considerazione della natura del provvedimento de quo, trat-tando come generica ordinanza istruttoria quello che e, nella natura e nellafunzione, un provvedimento cautelare. Inoltre, non fornisce una risposta si-stematicamente chiara al tema dei controlli, perche non vale a dirimere ildiverso eppur connesso problema della reclamabilita (14). D’altro lato, essapecca anche per eccesso, in quanto non pone nessun vincolo al potere delgiudice di rivedere l’ordinanza in ogni tempo e con la piu ampia discrezio-nalita, visto che non si prevede che il riesame si fondi su profili diversi osu fatti ulteriori rispetto a quelli gia valutati in sede di primo esame dellarichiesta di inibitoria (15).

(13) Il principio generale di riesaminabilita delle ordinanze conosce tre eccezioni,espressamente elencate dal comma 3 dell’art. 177 c.p.c.: 1) le ordinanze pronunciate su accordodelle parti in materia disponibile; 2) le ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili dallalegge; 3) le ordinanze per le quali la legge dispone uno speciale mezzo di reclamo.

(14) E del tutto evidente che reclamabilita e revocabilita o modificabilita non possonoessere ritenuti fungibili. Qualche autore ha sostenuto (ARCADI, op. cit., 153 ss.; a proposito del-l’ordinanza ex art. 351 c.p.c., RAITI, Carattere funzionalmente cautelare dell’inibitoria e questioniapplicative dell’art. 373 c.p.c. in rapporto anche all’art. 700 c.p.c., in Corr. giur. 2004, 10, 1348e prima ancora VERDE, Profili del processo civile - 2. Processo di cognizione, II ed., Napoli, 2000,262) che l’inoppugnabilita dell’ordinanza potrebbe comunque coniugarsi alla revocabilita, qualerimedio « compensativo » all’inammissibilita del reclamo. A tale tesi non si puo aderire, viste levarie ragioni (pratiche ed esegetiche) che depongono in favore del riconoscimento della reclama-bilita ex art. 669-terdecies c.p.c. come revisio prioris instantiae, per l’esposizione delle quali siaconsentito rinviare alla gia citata nota Sulla reclamabilita del provvedimento che decide sull’ini-bitoria dell’effıcacia esecutiva del lodo arbitrale rituale impugnato per nullita, 456 ss.

(15) Osserva ARCADI, op. cit., 155 che questa soluzione, alternativa all’applicabilitadelle norme sul processo cautelare uniforme, finisce per assicurare addirittura una revocabi-lita piu ampia rispetto all’applicazione dell’art. 669-decies, data la mancanza di termini epresupposti nell’art. 177 c.p.c.

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7. Di queste criticita pare farsi carico il provvedimento del 21 marzo2011, che infatti, dopo aver sostenuto l’ammissibilita in astratto dell’istanzadi revoca sulla scorta dell’art. 177 c.p.c., quando scende nel merito compieuna decisa deviazione ed imbocca il secondo percorso interpretativo, ossiaquello che ammette la revocabilita e modificabilita ai sensi e nei limiti del-l’art. 669-decies c.p.c. (subordinatamente cioe a mutamenti delle circo-stanze o comunque alla allegazione di fatti anteriori di cui si e avuta cono-scenza successivamente al provvedimento) (16). Addirittura, l’ordinanzanon si limita a richiamare in via analogica i presupposti previsti da questanorma per la concessione del provvedimento di segno diverso, ma motivaex novo la revocabilita sulla base della totale assimilabilita dell’ordinanzache sospende l’efficacia del lodo ai provvedimenti cautelari. La prima con-divide infatti di questi ultimi tanto la sommarieta della cognizione, quantola funzione di anticipare il preveduto esito della decisione di merito e, diconseguenza, non puo che allinearsi ad essi nel regime di stabilita (17).Sotto questo aspetto, infatti, ritiene la Corte che, ai sensi dell’art. 669-de-cies c.p.c. — di cui si effettua applicazione diretta — il presupposto da va-lutare per il riesame della tutela gia concessa sia un mutamento delle cir-costanze (che nella specie si ritiene avvenuto) (18).

(16) In generale, su revoca e modifica dei provvedimenti cautelari: LUISO, op. cit.,213 ss.; DIANA, Procedimenti cautelari e possessori, Milano, 2010, 340 ss.; TRISORIO LIUZZI,La modifica e la revoca del provvedimento cautelare, in Giur. it., 2004, 4, 908-914.

(17) Non a caso, forse, questo passaggio dell’ordinanza riecheggia la sent. Cass.,Sez. III, 8 marzo 2005, n. 5011, che riconosceva natura cautelare all’inibitoria e adombravatra le righe la possibile fondatezza di una questione di legittimita costituzionale sull’art. 351c.p.c., il quale, in disarmonia con gli altri provvedimenti cautelari, esclude espressamente ilsindacato sull’ordinanza di concessione o diniego della sospensione dell’efficacia esecutivadella sentenza. In quella sede era stato impugnato per cassazione — perche non motivato —il decreto della Corte d’Appello di Venezia, con il quale veniva dichiarata inammissibilel’istanza di revoca dell’inibitoria della sentenza di primo grado. La Cassazione dichiaroinammissibile il ricorso proposto ai sensi dell’art. 111 Cost. (per mancanza del carattere delladecisorieta del provvedimento). Tuttavia nella motivazione sosteneva il parallelismo tra l’ini-bitoria dell’esecutivita della sentenza di primo grado e le misure cautelari, ravvisando l’unicadifferenza nel fatto che questi sono ordinati ad assicurare gli effetti della decisione che rico-nosce un diritto, quella invece mira ad impedire l’immediata esecuzione di una sentenza; dif-ferenza che, si ipotizzava, potrebbe non essere sufficiente a dar ragione del regime di stabi-lita particolarmente forte previsto dalla legge per la pronuncia sull’inibitoria, ed in partico-lare a « dare ragione del perche la parte che ha ottenuto la sentenza non possa domandareun riesame del giudizio sommario che ha portato il giudice dell’impugnazione a sospendernel’eseguibilita ». La stessa sentenza concludeva suggerendo, in extremis anche a mezzo di unadichiarazione di illegittimita costituzionale delle norme in contrario, la « correzione » delladisciplina di questi provvedimenti con la loro riconduzione al regime di stabilita comune aiprovvedimenti cautelari, ossia col riconoscimento della possibilita di reclamo, oltre che dimodifica e revoca.

(18) La concessione della revoca nel caso de quo si fonda su tre concorrenti ele-menti, qualificati come « mutamenti delle circostanze », tali da comportare la riformulazione

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Ad avviso di chi scrive, e questa soluzione che (se privata delle am-biguita connesse al riferimento in generale all’art. 177 c.p.c.) deve esserecondivisa. Difatti, dire che occorrono i presupposti dell’art. 669-deciesc.p.c. a motivo della assimilabilita dell’ordinanza di sospensione dell’effi-cacia del lodo ai provvedimenti cautelari (con la relativa uniformazione delregime di stabilita), e come dire che si applica alla fattispecie l’art. 669-de-cies c.p.c., e i piu rigidi presupposti per la revoca ivi previsti, anziche ladisciplina generale dell’art. 177 c.p.c. Di conseguenza, traendo le implica-zioni di questa tesi, si deve ritenere applicabile tutta la disciplina degli artt.669-bis ss. (nei limiti di compatibilita e salvo diversa previsione nella spe-cifica sedes, l’art. 830 c.p.c.), ed in particolare l’art. 669-septies (riproposi-zione) riproposizione e l’art. 669-terdecies (reclamo) (19).

In altri termini, la soluzione piu corretta e piu armonica pare senz’al-tro quella, gia percorsa in tema di reclamabilita, di far riferimento alla di-sciplina dei controlli, previsti in tema di processo cautelare uniforme, an-che per l’inibitoria dell’efficacia del lodo arbitrale ex art. 830, ult. comma,c.p.c. In tal senso militano infatti piu argomenti: la indubbia funzione cau-telare del provvedimento, strumentalmente rivolto ad assicurare l’effettivitadella sentenza che concludera l’impugnazione (20); la struttura cautelare del

della comparazione dei rispettivi pericula per le parti: 1) l’allungamento dei tempi conse-guente al differimento dell’udienza di precisazione delle conclusioni (che di per se acuisce lacompressione delle esigenze della parte vittoriosa di procedere alla realizzazione immediatain sede esecutiva della propria pretesa, gia riconosciuta in sede arbitrale); 2) la sostituzione,a seguito di cessione del credito, del creditore originario (societa in stato di liquidazione) condiverso soggetto, in attivita e pertanto maggiormente affidabile per il caso di restituzione, aseguito dell’accoglimento dell’impugnazione del lodo, delle somme riscosse in forza di que-sto; 3) la prestazione di garanzia da parte del cessionario del credito, tale da elidere o co-munque contenere i rischi connessi al recupero delle rilevanti somme versate.

(19) In questo senso: CECCHELLA, op. cit., 23, il quale ammette la revocabilita dell’ini-bitoria, precisando che essa puo fondarsi solo sul fatto sopravvenuto o ignorato dalla parte epuo postularsi solo quando ormai siano decorsi i termini per il reclamo; OLIVIERI, op. cit.; e,seppure come alternativa all’applicazione diretta dell’art. 279 c.p.c., ARCADI, op. cit., 154 ss.Copiosa la giurisprudenza che ha qualificato l’inibitoria dell’esecutivita delle sentenze in ge-nerale come provvedimento cautelare: cfr. Cass., 1o marzo 2005, n. 4299; Cass. ord. 18 giu-gno 1998, n. 564; Cass., Sez. un., sent. 3 giugno 1997, n. 4954; Cass., 28 marzo 1995, n.3622; Cass., 10 dicembre 1988, n. 6721. Specificamente, sull’inibitoria dell’efficacia dellodo: Cass., Sez. I, 13 febbraio 1985, n. 1204, nonche Cass., 25 febbraio 2005, n. 4060, chene ha comunque riconosciuto la natura « latamente cautelare ». In senso contrario, conespressa esclusione del rinvio alle norme del processo cautelare uniforme, CONSOLO, op. cit.,510.

(20) Come gia precisato, non pare decisiva in senso contrario la differenza tra unamisura cautelare in senso stretto (strumentale a garantire l’effettivita di una decisione su undiritto) e un’inibitoria (strumentale a garantire l’effettivita della decisione su un’impugna-zione). La specificita dell’inibitoria, tale da escludere la reclamabilita, e stata vista nella suaincidenza su una situazione giuridica gia oggetto di un accertamento a cognizione piena.Obiezione superabile considerando che in realta la Corte d’Appello, in sede di inibitoria, non

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provvedimento, incentrato sulla valutazione dei presupposti del fumus bonijuris (come prognosi di fondatezza dell’impugnazione per nullita) e del pe-riculum in mora (come valutazione comparativa dei rispettivi pregiudiziinsiti nell’esecuzione immediata o differita del lodo); il carattere provviso-rio del provvedimento, destinato ad operare nelle more del giudizio di nul-lita e ad essere assorbito dalla sentenza finale; la natura generale del rinvioagli artt. 669-bis ss. c.p.c., che consente di trovare una soluzione equilibrataper tutte le questioni, non espressamente disciplinate nella apposita sedes,attingendo alla disciplina del processo cautelare (a proposito non solo direvocabilita, ma anche di temi strettamente connessi, come la riproponibi-lita e la reclamabilita).

CHIARA SANTINI

ridecide in via sommaria la situazione gia oggetto del lodo, ma si limita a stimare la proba-bile fondatezza dei motivi spesi a sostegno dell’impugnazione per nullita, congiuntamentealla valutazione del pericolo legato al tempo del giudizio.

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CORTE DI APPELLO DI MILANO, Sez. I civ., sentenza 16 aprile 2010, n. 1129;TARANTOLA Pres.; VIGORELLI Est.; C.F e R.V.C. (avv. Di Marco) c. Societa X(avv. Paolucci).

Impugnazione per nullita - Decorrenza termine breve per impugnare - Noti-fica lodo ad opera degli arbitri - Ammissibilita dell’impugnazione.

E valida, ai fini della decorrenza del termine breve dell’impugnazione di cuiall’art. 828 c.p.c., anche la notifica eseguita su richiesta dell’arbitro, in quantoidonea a dimostrare con certezza che la parte soccombente ha avuto conoscenzalegale del provvedimento.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — Con atto di citazione ritualmente notificato ai con-venuti Societa X e sig. L.E. in proprio quale socio accomandatario, i ricorrenti C.F.e R.V.C. impugnavano il lodo arbitrale emesso dall’arbitro unico avv. Carlo Bor-dogna.

(Omissis). Si costituiva ritualmente la Societa X nonche il signor L.E. i qualichiedevano in limine che fosse dichiarata l’improcedibilita e/o l’inammissibilitadell’impugnazione del lodo per essere stata proposta ancora prima che fosse giuri-dicamente ammissibile e cioe prima del decreto di esecutorieta del lodo e dellasuccessiva notifica.

Nel merito chiedevano il rigetto dell’impugnazione per nullita proposta, conla conseguente conferma del lodo impugnato.

La Corte respingeva l’istanza di sospensione dell’efficacia del lodo.Circa l’eccezione preliminare di inammissibilita dell’impugnazione, gli appel-

lati sostengono che il termine di 90 giorni per proporre l’impugnazione del lodo exart. 828, comma 1, c.p.c. decorre dalla data della notifica del lodo medesimo adistanza di parte, osservano che la presente impugnazione invece e stata proposta aseguito della notifica eseguita dall’arbitro e ne traggono la conclusione che l’impu-gnazione, notificata prima del decreto di esecutorieta del lodo e della successivanotifica ad istanza di parte, sia giuridicamente inammissibile.

L’eccezione e infondata.Come giustamente evidenziato dalla difesa degli appellanti, l’art. 828 c.p.c.

nulla dispone in ordine a quale sia il soggetto che deve provvedere alla notifica. Inmancanza di un’espressa previsione normativa non puo che ritenersi valida, per ladecorrenza del termine breve dell’impugnazione di cui appunto all’art. 828 c.p.c.,anche la notifica eseguita su richiesta dell’arbitro, come nella fattispecie, in quantoe comunque idonea a dimostrare con certezza che la parte soccombente ha avutoconoscenza legale del provvedimento.

La giurisprudenza di Cassazione citata dagli appellanti, ossia Cass. n. 17420/2004 (cui puo aggiungersi la recente Cass. n. 13906/2007) conduce bensı a ritenereche non potrebbe pronunciarsi decadenza dalla facolta di impugnare il lodo perinutile decorso del termine di 90 giorni dalla notifica del lodo medesimo ad operadegli arbitri. Ma non autorizza, perche non lo afferma e per via del favor nei con-fronti dell’appellante con riguardo al suo diritto a proporre il gravame, la conclu-sione solo all’apparenza simmetrica, secondo la quale sarebbe inammissibile il gra-vame proposto prima della notifica ad istanza di parte, ossia a seguito della notifica

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effettuata dagli arbitri, la quale e idonea comunque a portare i soggetti legittimatiall’impugnazione a conoscenza legale dell’esistenza del lodo. Con la conseguenzache essi non sono tenuti ad attendere che il lodo sia loro comunicato ad istanzadella controparte per poter impugnare.

Ne discende l’ammissibilita del presente ricorso.(Omissis).

Brevi note sulla decorrenza del termine per l’impugnazione del lodo.

1. La decisione in commento, resa a seguito della proposizione del-l’impugnazione per nullita di un lodo notificato (1) alle parti solo dall’arbi-tro unico ed impugnato nei novanta giorni da detta notifica, affronta il temadella decorrenza del termine per impugnare il provvedimento arbitrale aisensi dell’art. 828 c.p.c., comma 1. Per i convenuti l’impugnazione e inam-missibile e/o improcedibile quando proposta prima del decreto di esecuto-rieta del lodo e della notifica ad opera di una delle parti. In particolare, la-mentano che il termine di 90 giorni previsto dall’art. 828 c.p.c. decorra solodalla data di notifica del lodo ad istanza di uno dei litiganti, sicche una im-pugnazione proposta prima di tale momento e giuridicamente inammissi-bile.

La Corte d’appello di Milano, con cristallina motivazione, rigetta l’ec-cezione sollevata dai resistenti e dichiara l’ammissibilita del ricorso utiliz-zando argomenti piu che condivisibili.

2. Cominciamo col dire che l’eccezione di inammissibilita dell’im-pugnazione per mancato decreto di esecutorieta del lodo non trova alcunriscontro normativo. Tutt’altro. Ai sensi dell’art. 827 c.p.c., infatti, i mezzid’impugnazione del lodo, ivi incluso quello per nullita ex art. 829 c.p.c.,sono proponibili indipendentemente dal deposito della decisione arbitra-le (2). Il che implica, di fronte all’attuale quadro normativo, che non e pos-

(1) Si precisa che la sentenza parla impropriamente di notifica del lodo ad opera del-l’arbitro per intendere la comunicazione della decisione arbitrale che viene fatta dal giudiceprivato alle parti. Si vedra infatti infra par. 3 che l’arbitro, ai sensi dell’art. 824 c.p.c., comu-nica e non notifica il lodo ai litiganti. La notificazione e invero una attivita compiuta suistanza di parte a mezzo dell’ufficiale giudiziario e non su istanza dell’arbitro.

(2) La previsione dell’art. 827, 2o comma, c.p.c., secondo cui i mezzi di impugna-zione possono essere proposti indipendentemente dal deposito del lodo, si deve alla Legge n.25/1994. Sulla riforma del 1994 v. FAZZALARI, sub art. 827 c.p.c., in BRIGUGLIO, FAZZALARI,MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, Commentario, Milano, 1994, 191 ss. Prima ditale momento, la giurisprudenza riteneva, invece, che il riferimento contenuto nell’art. 827c.p.c. alla « sentenza arbitrale », e soprattutto il tenore letterale degli artt. 828 e 831 c.p.c.(che nel disciplinare forme e termini delle predette impugnazioni facevano espresso riferi-mento al luogo di deposito del lodo e alla data del decreto di esecutorieta) impedissero di

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sibile affermare che presupposto per l’esperibilita dei mezzi di impugna-zione sia l’avvenuta omologazione di cui all’art. 825 c.p.c., ormai richiestaal solo scopo di attribuire al dictum degli arbitri efficacia esecutiva e di ti-tolo per la trascrizione e l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

L’impugnazione per nullita e dunque proponibile indipendentementedalla esecutorieta del lodo (3).

3. Quanto all’ammissibilita dell’impugnazione proposta prima dellanotifica del lodo ad opera della parte vincitrice e nei novanta giorni dallacomunicazione ad opera dell’arbitro, sono da condividere le conclusionidella Corte d’appello meneghina in forza delle quali il ricorrente non e te-nuto ad attendere che il lodo gli sia comunicato dalla controparte per poterimpugnare. Per la Corte cio che conta ai fini dell’impugnazione e che laparte abbia conoscenza del provvedimento che intende censurare, e a talescopo risulta sufficiente la notifica effettuata dagli arbitri.

D’altra parte l’art. 828 c.p.c., osserva il Giudice milanese, nulla di-spone in ordine a quale sia il soggetto che deve provvedere alla notifica, dalmomento che stabilisce solo che « l’impugnazione per nullita si propone,nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo » sicche puo pro-cedervi, ai sensi e per gli effetti dell’art. 828 c.p.c. anche l’arbitro.

In verita, pur in assenza di indicazione circa i soggetti che possononotificare il lodo, quando il giudice privato porta la sua decisione a cono-scenza delle parti non effettua una notificazione ai sensi dell’art. 828 c.p.c.bensı una comunicazione ex art. 824 c.p.c. a partire dalla quale la parte in-teressata puo notificare la decisione arbitrale per consentire il decorso deltermine breve per impugnare. L’arbitro quindi non dovrebbe rientrare tra isoggetti che possono « notificare » ex art. 828 c.p.c. bensı e colui che « co-munica » l’avvenuta decisione.

Tuttavia, ai fini della validita dell’impugnazione, poco conta che illodo sia stato notificato dalla parte piuttosto che comunicato dall’arbitro.Cio che occorre e che l’attore sia a conoscenza del provvedimento che in-

assoggettare alle impugnazioni il lodo privo dell’exequatur. Cosı Cass., 17 novembre 2006,n. 24500; Cass., 12 giugno 1999, n. 5814, in Foro it., 2000, I, 327; Cass., 24 settembre 1997,n. 9389, in Giust. civ., 1998, I, 1703, con nota di GIACOBBE. In argomento v. RUFFINI, La di-visibilita del lodo arbitrale, Padova, 1993, 52 ss., 105. Per un commento all’attuale formu-lazione del comma 2 dell’art. 827 c.p.c., non ulteriormente modificato dal D.Lgs. n. 40/2006,v. Commento sub art. 827 c.p.c., in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di MENCHINI,Padova, 2010, 451 s.; ZUCCONI GALLI FONSECA, Commento sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato,Commentario diretto da CARPI, Bologna, 2007, 647 s.; RUFFINI, BOCCAGNA, Commento sub art.827 c.p.c., in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, a cura di BENEDETTELLI, CONSOLO,RADICATI DI BROZOLO, Padova, 2010, 320 s.

(3) Si evidenzia come l’irrilevanza ed infondatezza dell’eccezione di inammissibilitadell’impugnazione per mancato deposito del lodo e tale da non costituire neppure oggettod’esame da parte della sentenza che glissa sul punto.

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tende impugnare. La notificazione, in luogo della comunicazione, ha solol’effetto di far decorrere il termine breve sia per chi riceve sia per chi ef-fettua la notifica, avendo il termine per impugnare carattere essenzialmenteunitario nel rapporto notificante-notificato (4). Se la notificazione non eeseguita correttamente essa e inidonea a far decorrere il termine breve del-l’art. 828 c.p.c. per entrambe le parti, ma non impedisce di per se che l’im-pugnazione possa essere proposta.

Un conto e affermare che non si puo dichiarare decaduta la parte dallafacolta di impugnare per inutile decorso del termine di novanta giorni dallanotifica del lodo ad opera degli arbitri (5), altro e dire che non puo impu-gnare se la notifica non e stata eseguita dalla controparte.

La notificazione del lodo (su istanza di parte) non e infatti presuppo-sto per la proposizione dell’impugnazione, bensı lo e solo per la decorrenzadel termine breve indicato nell’art. 828 c.p.c. D’altra parte, la notificazionedel lodo (come quella della sentenza) e un atto meramente facoltativo com-piuto a discrezione della parte che intende far decorrere il termine breve dinovanta giorni in luogo di quello lungo di un anno (decorrente dall’ultimasottoscrizione della decisione). Il lodo viene ad esistenza a partire dalla suaultima sottoscrizione ed e da questo momento che e impugnabile. La suacomunicazione ad opera dell’arbitro rappresenta invece uno strumento at-traverso il quale la parte e resa edotta del contenuto della decisione, ancheal fine di articolare la propria eventuale impugnazione. La notifica, poi (di-versamente dalla pubblicazione e dalla comunicazione) e solo un atto suc-cessivo e meramente eventuale (6), dipendente dalla volonta della parte che,

(4) In altre parole, il termine per impugnare comincia a decorrere sia per la parte cheha ricevuto la notificazione sia per la parte che l’ha chiesta con la conseguenza che l’idoneitao l’inidoneita della notifica per la decorrenza del termine per l’impugnazione vale tanto peril notificante quanto per il notificato. Sul carattere unitario del termine breve per l’impugna-zione v. ZUCCONI GALLI FONSECA, Commento sub art. 828 c.p.c., in Arbitrato, cit., 693; LUISO,Diritto processuale civile, II, Milano, 2011, 308; GIORGETTI, Commento sub art. 828 c.p.c., inCommentario alle riforme del processo civile. Arbitrato, vol. III, II, a cura di BRIGUGLIO,CAPPONI, Padova, 2009, 1010 ss.

(5) Cosı Cass., 30 agosto 2004, n. 17420, in Giust. civ., 2005, I, 82, secondo cui noncostituisce equipollente alla notificazione ex art. 828 c.p.c. la comunicazione integrale dellodo a cura degli arbitri. Sicche in tal caso l’impugnazione proposta oltre i novanta giornidalla comunicazione ad opera del giudice privato — e in assenza di quella ad opera dellaparte — e ammissibile. In tal senso v. anche App. Potenza, 8 maggio 2008. La Corte d’ap-pello di Milano cita anche Cass., 14 giugno 2007, n. 13906.

(6) Il diritto ad impugnare il lodo sorge a partire dalla sottoscrizione dello stesso,ossia dalla sua venuta ad esistenza. Da questo momento inizia a decorrere il termine lungodi cui all’art. 828 c.p.c., 2o comma, indipendentemente dalla materiale consegna alla partedel lodo che si presume percio conosciuto nell’arco di una anno dalla sua emanazione (du-bitano della bonta della previsione, tanto da ravvisare dei profili di incostituzionalita, RUFFINI,BOCCAGNA, Commento sub art. 828, cit., 332). Comunicazione e notificazione hanno invecedue distinte funzioni: la prima permette alle parti di poter conoscere il contenuto del lodo

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al fine di accelerare i termini per la proposizione dell’impugnazione, equindi l’eventuale decadenza della controparte dal diritto di impugnare,sceglie di far valere il termine breve dell’art. 828 c.p.c., comma 1 (7).

La corretta notificazione, quale condizione per l’inizio del decorso deltermine per impugnare, e quindi posta nell’interesse del ricorrente e non delconvenuto nel giudizio ex 828 ss. c.p.c. Finche la parte non riceve la noti-fica del lodo potrebbe non conoscerne il contenuto (ma anche conoscerlo)e il termine breve non puo decorrere. Allo stesso modo, se la notificazionead opera della parte e viziata, essa non e idonea a far incorrere in deca-denza chi non abbia impugnato nei novanta giorni (8). La mancanza o il vi-zio della notifica non impediscono tuttavia di per se che chi ha interesse

che, fino a quel momento (con la sola pubblicazione), si presume conosciuto; la seconda —quando validamente eseguita — consente il decorso del termine breve ex art. 828 c.p.c.,comma 1.

(7) Sul termine breve per impugnare e sulla funzione della notifica della decisionev., piu in generale per l’impugnazione delle sentenze, SASSANI, Lineamenti del processo civileitaliano, Milano, 2012, 462; LUISO, Diritto processuale civile, cit., 307 ss.; BALENA, Istituzionidi diritto processuale civile, II, Bari, 2012, 320; CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze edei lodi, Padova, 2012, 52 ss.

(8) In giurisprudenza si e discusso in passato se la notificazione del lodo, per la decor-renza del termine breve per impugnare, fosse valida se eseguita tanto alla parte personalmentequanto al difensore apud arbitros presso il quale la parte avesse effettuato un’elezione di domi-cilio. Sulla possibilita di effettuare la notifica personalmente alla parte v. Cass., 24 gennaio 1998,n. 698; Cass., 16 maggio 2000, n. 6300; App. Torino, 4 maggio 1984, in Giur. it., 1985, I, 2, 6ss., con nota di RAMELLA, ritiene sia valida la notificazione effettuata presso il domiciliatarioeletto nell’atto di nomina dell’arbitro. Cfr. Cass., 7 aprile 2004, n. 6847 secondo cui detto prin-cipio non opera quando parte sia lo Stato o altro ente pubblico ammesso alla difesa erariale, neiconfronti dei quali, per far decorrere il termine breve dell’art. 828 c.p.c. occorre la notifica dellodo presso l’Avvocatura dello Stato. Riteneva invece invalida, facendo applicazione dei mede-simi principi elaborati in tema di notificazione dell’impugnazione, la notificazione fatta al difen-sore anziche alla parte personalmente, Cass., 16 gennaio 2004, n. 544, in Giur. it., 2004, 1820,con nota di RAMPAZZI. In dottrina v. (nella versione ante riforma del 2006) PUNZI, Disegno siste-matico dell’arbitrato, Padova, 2000, II, 184 ss., secondo cui la notificazione alla parte personal-mente non sarebbe idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione ove l’elezione di do-micilio sia contenuta nel patto compromissorio, ovvero nel contratto dal quale trae origine lacontroversia, e la notifica presso il domiciliatario sia ivi prevista come obbligatoria ai sensi del-l’art. 141 c.p.c., comma 2; nel senso poi che la validita della notificazione presso il difensoreprescinderebbe dalla sua qualita di domiciliatario della parte, RUFFINI, Alcune questioni in temadi impugnazione per nullita del lodo arbitrale, in questa Rivista, 1991, 540 ss.

Con la riforma del 2006 (D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), la questione e stata risoltain favore della possibilita che la notifica del lodo, per la decorrenza del termine breve perimpugnare, sia eseguita anche al difensore in virtu del nuovo art. 816-bis c.p.c., comma 1,ultima parte, in forza del quale « in ogni caso, il difensore puo essere destinatario della co-municazione della notificazione del lodo e della notificazione della sua impugnazione ». Perun commento al nuovo art. 816-bis c.p.c. v. TOTA, Commento sub art. 816-bis c.p.c., in Com-mentario alle riforme del processo civile, a cura di BRIGUGLIO, CAPPONI, cit., 689; RICCI, Com-mento sub art. 816-bis c.p.c., in Arbitrato, a cura di CARPI, cit., 353 ss.; RUFFINI, TRIPALDI,Commento sub art. 816-bis c.p.c., in Commentario breve al diritto dell’arbitrato, cit., 186 ss.;GHIRGA, Commento sub art. 816-bis c.p.c., in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 188 ss.

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possa ugualmente impugnare quando il lodo sia aliunde conosciuto. D’al-tronde se la regola dell’art. 828 c.p.c. e posta a tutela della parte notificata,solo questa puo decidere di avvalersene (9).

A cio si aggiunga che lo scopo della notificazione e quello di portareil provvedimento impugnabile a conoscenza delle parti, ma se tale obiettivoe raggiunto per altra via, ad esempio attraverso la comunicazione della de-cisione ad opera degli arbitri, l’impugnazione e comunque ammissibile (10).

4. In sintesi. L’art. 828 c.p.c. non individua quali sono i soggetti chepossono procedere alla notificazione del lodo ai fini della decorrenza deltermine breve di novanta giorni, sicche la Corte d’appello di Milano ne de-duce che anche la comunicazione ad opera degli arbitri sia idonea a talescopo. Tuttavia, e indipendentemente dai soggetti che per legge possonoprocedere ai sensi dell’art. 828 c.p.c., l’impugnazione per nullita propostaprima della notifica del lodo e comunque ammissibile poiche la notifica-zione non ha altro effetto se non quello di consentire il decorso del terminebreve. Cio che conta e che la parte interessata abbia conoscenza della de-cisione per poter validamente esercitare il proprio diritto ad impugnare,obiettivo perseguibile anche attraverso la comunicazione del lodo ad operadell’arbitro.

PAOLA LICCI

(9) Principio derivante dal combinato disposto degli artt. 160 e 157 c.p.c. in tema dinullita della notificazione.

(10) Per la giurisprudenza e ad esempio idonea a far decorrere il termine breve del-l’art. 828 c.p.c. l’impugnazione proposta ad un giudice incompetente. Cosı Cass., 21 febbraio2007, n. 4092, in CED Cass., 2007. In dottrina v. ZUCCONI GALLI FONSECA, op. cit., 693.

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II) STRANIERA

Sentenze annotate

REGNO UNITO, SUPREME COURT; sentenza 27 luglio 2011 ([2011] UKSC 40);LORDS PHILLIPS Presidente; WALKER, MANCE, CLARKE, DYSON Giudici.

Accordo arbitrale - Nomina degli arbitri - Clausola compromissoria che pre-vede la nomina di tre membri della comunita ismailita - Validita dellaclausola arbitrale - Nomina di arbitro non membro della comunita ismai-lita - Violazione dell’accordo arbitrale.

Contratto di arbitrato - Arbitri - Nozione di « employment » - Divieto di di-scriminazione - Inapplicabilita - Dir. n. 2000/78/CE del 27 novembre 2000- Inapplicabilita.

E valida la clausola compromissoria che fissa, tra i requisiti degli arbitri in-dicati dalle parti, quello di un particolare credo religioso. Le parti possono vali-damente stipulare nell’accordo arbitrale che uno o piu arbitri siano membri di unadata comunita religiosa.

La nomina di un arbitro la cui appartenenza religiosa non sia quella specifi-camente indicata e pattuita dalle parti nella clausola compromissoria costituiscepertanto una violazione dell’accordo arbitrale medesimo.

In un arbitrato transnazionale con sede a Londra non e applicabile l’Employ-ment Equality (Religion or Belief) Regulation del 2003 in quanto il contratto di ar-bitrato non e un contratto di lavoro subordinato o comunque non rientra nella no-zione di « employment » di cui alla predetta Regulation. Prevale la Sect.1 e l’art.34 dell’Arbitration Act (1996) e quindi, in materia arbitrale, le parti hanno ampiaautonomia di stabilire in che modo le loro controversie siano risolte, salvi i limitidell’ordine pubblico. Non sussiste nel caso di specie motivo di ricorso pregiudizialealla Corte di Giustizia UE a fini interpretativi della Direttiva n. 2000/78/CE delConsiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la paritadi trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro vietando, interalia, le discriminazioni fondate sulla religione al fine di rendere effettivo il princi-pio della parita di trattamento.

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CENNI DI FATTO. — Il 29 gennaio 1981 il sig. Jivraj ed il sig. Hashwani conclu-dono un accordo di joint venture in cui e prevista una clausola compromissoria se-condo la quale tutte le controversie nascenti da quel contratto sarebbero state risoltein via definitiva da tre arbitri, ciascuno dei quali doveva essere un membro rispet-tato della comunita degli ismailiti, comunita cui appartenevano entrambe le parti alcontratto di joint venture.

All’origine della controversia si colloca la richiesta di una delle parti (Hashwani)di nominare arbitro Sir Anthony Colman il quale, tuttavia, non era un membro dellacomunita degli ismailiti, richiesta cui si e opposta la controparte dinanzi alla Commer-cial Court di Londra. Il giudice di primo grado ha rilevato che il rapporto giuridicoesistente tra ciascun arbitro e le parti in lite non possiede i caratteri del contratto dilavoro subordinato. Di conseguenza, non si ha in tale fattispecie l’applicazione dellenorme di cui alle Employment Equality Regulations, ossia quelle norme tese a vietarela discriminazione nel contratto di lavoro, ne quelle dello Human Right Act del 1998,ne, infine, si ravvisa una violazione dell’ordine pubblico. In ogni caso, rileva lo stessogiudice, le predette Regulations prevedono alcune eccezioni quali appunto quella del« genuine occupational requirement » che si applica laddove « essere di una religioneo di una credenza particolare costituisce un requisito professionale ».

La Court of Appeal di Londra, nella sua sentenza del 22 giugno 2010, Jivraj c.Hashwani, perviene, tuttavia, ad opposte conclusioni: lo statuto dell’arbitro e assimi-labile a quello che deriva da un contratto di lavoro ai sensi del diritto inglese in quantoha per oggetto una prestazione di servizi. Di conseguenza, sono applicabili al caso dispecie le disposizioni delle predette Employment Equality Regulations del 2003, di-sposizioni che proibiscono le discriminazioni fondate sulla religione o sulle convin-zioni personali. Pertanto, la clausola compromissoria de qua e illecita.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — (Omissis).

The JVA

2. The JVA was established to make investments in real estate around theworld. By article 9 it is expressly governed by English law. Article 8 provides, sofar as material, as follows:

« (1) If any dispute difference or question shall at any time hereafter arise be-tween the investors with respect to the construction of this agreement or concern-ing anything herein contained or arising out of this agreement or as to the rightsliabilities or duties of the investors or either of them or arising out of (withoutlimitation) any of the businesses or activities of the joint venture herein agreed thesame (subject to sub-clause 8(5) below) shall be referred to three arbitrators (act-ing by a majority) one to be appointed by each party and the third arbitrator to bethe President of the HH Aga Khan National Council for the United Kingdom forthe time being. All arbitrators shall be respected members of the Ismaili commu-nity and holders of high office within the community.

(2) The arbitration shall take place in London and the arbitrators’ award shallbe final and binding on both parties ».

The Ismaili community comprises Shia Imami Ismaili Muslims. It is led bythe Aga Khan, whose title is the hereditary title of the Imam of the Ismaili com-munity.

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The disputes

3. During the 1980s the joint venture came to comprise substantial businessinterests, first in Canada and later in the United States, Pakistan and the UnitedKingdom, with investments in properties, hotels and the oil industry. By late 1988Mr Jivraj and Mr Hashwani had agreed to part company. On 30 October 1988 theyentered into an agreement under which they appointed a three man conciliationpanel (« the panel ») for the purpose of the division of the joint venture assets. Eachmember of the panel was a respected member of the Ismaili community. The paneloperated between October 1988 and February 1990 and many of the assets weredivided between the parties in accordance with its directions. It was however un-able to resolve all the issues between the parties. The parties then agreed to submitthe remaining issues to arbitration or conciliation by a single member of the Ismailicommunity, namely Mr Zaher Ahamed. He issued a determination in December1993, whereafter he had further exchanges with the parties until 1995, when he de-clared himself defeated.

4. The principal matters which remained in dispute were, on the one hand, aclaim by Mr Hashwani that there remained a balance due to him and, on the otherhand, a claim by Mr Jivraj that Mr Hashwani had failed to declare certain tax li-abilities which left Mr Jivraj with a potential for secondary liability. These mattersremained in dispute for some years. Then, on 31 July 2008, Messrs Zaiwalla & Co,acting on behalf of Mr Hashwani, wrote to Mr Jivraj asserting a claim forUS$1,412,494, together with interest, compounded quarterly from 1994, making atotal of US$4,403,817. The letter gave notice that Mr Hashwani had appointed SirAnthony Colman as an arbitrator under article 8 of the JVA and that, if Mr Jivrajfailed to appoint an arbitrator within seven days, steps would be taken to appointSir Anthony as sole arbitrator. The letter added that Mr Hashwani did not regardhimself as bound by the provision that the arbitrators should be members of the Is-maili community because such a requirement « would now amount to religiousdiscrimination which would violate the Human Rights Act 1998 and therefore mustbe regarded as void ». It is common ground, on the one hand, that Sir AnthonyColman is not a member of the Ismaili community and, on the other hand, that heis a retired judge of the Commercial Court with substantial experience of the reso-lution of commercial disputes, both as a judge and as an arbitrator.

5. Mr Jivraj’s response to the letter was to start proceedings in the CommercialCourt seeking a declaration that the appointment of Sir Anthony was invalid becausehe is not a member of the Ismaili community. Mr Hashwani subsequently issued anarbitration claim form seeking an order that Sir Anthony be appointed sole arbitratorpursuant to section 18(2) of the Arbitration Act 1996 (« the 1996 Act »). The applica-tion was made on the basis that the requirement that the arbitrators be members of theIsmaili community, although lawful when the agreement was made, had been renderedunlawful and was void because it contravened the Regulations.

The Regulations

6. The Regulations were made in the exercise of powers conferred by the Eu-ropean Communities Act 1972 following the making of the Council Framework

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Directive 2000/78/EC of 27 November 2000 (OJ 2000 L303, p 16) (« the Direc-tive ») which, by article 1, was itself made for the purpose of establishing: « a gen-eral framework for combating discrimination on the grounds of religion or belief,disability, age or sexual orientation as regards employment and occupation, with aview to putting into effect in the member states the principle of equal treatment ».

7. The Regulations (as amended by section 77(2) of the Equality Act 2006)provide, so far as material, as follows:

« 2 Interpretation...(3) In these Regulations... references to “employer”, in their application to a

person at any time seeking to employ another, include a person who has no em-ployees at that time; “employment” means employment under a contract of serviceor of apprenticeship or a contract personally to do any work, and related expres-sions shall be construed accordingly...;

3 Discrimination on grounds of religion or belief(1) For the purposes of these Regulations, a person (“A”) discriminates

against another person (“B”) if —(a) on the grounds of the religion or belief of B or of any other person except

A (whether or not it is also A’s religion or belief), A treats B less favourably thanhe treats or would treat other persons;

6 Applicants and employees(1) It is unlawful for an employer, in relation to employment by him at an es-

tablishment in Great Britain, to discriminate against a person —(a) in the arrangements he makes for the purpose of determining to whom he

should offer employment;(b) in the terms on which he offers that person employment; or(c) by refusing to offer, or deliberately not offering, him employment.7 Exception for genuine occupational requirement(1) In relation to discrimination falling within regulation 3 (discrimination on

grounds of religion or belief) —(a) regulation 6(1)(a) or (c) does not apply to any employment... where para-

graph (2) or (3) applies.(2) This paragraph applies where, having regard to the nature of the employ-

ment or the context in which it is carried out —(a) being of a particular religion or belief is a genuine and determining occu-

pational requirement;(b) it is proportionate to apply that requirement in the particular case; and(c) either — (i) the person to whom that requirement is applied does not meet

it, or (ii) the employer is not satisfied, and in all the circumstances it is reasonablefor him not to be satisfied, that that person meets it, and this paragraph applieswhether or not the employer has an ethos based on religion or belief.

(3) This paragraph applies where an employer has an ethos based on religionor belief and, having regard to that ethos and to the nature of the employment orthe context in which it is carried out —

(a) being of a particular religion or belief is a genuine occupational require-ment for the job;

(b) it is proportionate to apply that requirement in the particular case; and(c) either — (i) the person to whom that requirement is applied does not meet

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it, or (ii) the employer is not satisfied, and in all the circumstances it is reasonablefor him not to be satisfied, that that person meets it ».

The Directive

8. It is common ground that the Regulations must, so far as possible, be con-strued to give effect to the objective of the Directive which they were designed toimplement: see eg Marleasing SA v La Comercial Internacional de AlimentacionSA (Case C-106/89) [1990] ECR I-4135 and Litster v Forth Dry Dock & Engineer-ing Co Ltd [1990] 1 AC 546. It is also common ground that, although the arbitra-tion agreement was on any view lawful when it was made, it became subject to theprovisions of the Regulations, insofar as they applied to it.

9. The Directive provides, so far as material, as follows:« Article 1 - PurposeThe purpose of this Directive is to lay down a general framework for combat-

ing discrimination on the grounds of religion or belief, disability, age or sexual ori-entation as regards employment and occupation, with a view to putting into effectin the member states the principle of equal treatment.

Article 2 - Concept of discrimination(1) For the purposes of this Directive, the “principle of equal treatment” shall

mean that there shall be no direct or indirect discrimination whatsoever on any ofthe grounds referred to in article 1.

...Article 3 - Scope(1) Within the limits of the areas of competence conferred on the Community,

this Directive shall apply to all persons, as regards both the public and private sec-tors, including public bodies, in relation to

(a) conditions for access to employment, to self-employment or to occupation,including selection criteria and recruitment conditions, whatever the branch of ac-tivity and at all levels of the professional hierarchy, including promotion;

(b) access to all types and to all levels of vocational guidance, vocationaltraining, advanced vocational training and retraining, including practical work ex-perience;

(c) employment and working conditions, including dismissals and pay;(d) membership of, and involvement in, an organisation of workers or em-

ployers, or any organisation whose memberscarry on a particular profession, including the benefitsprovided for by such organisations ».10. As Moore-Bick LJ, giving the judgment of the Court of Appeal, observed at

para 8, the Directive is concerned with discrimination on the grounds of religion orbelief, disability, age and sexual orientation. It is therefore much wider in its scopethan the Regulations, which are concerned only with discrimination on the grounds ofreligion or belief. The explanation lies in the fact that the United Kingdom had alreadyintroduced legislation dealing with discrimination on most of the other grounds cov-ered by the Directive in connection with employment and occupation.

Discrimination on the grounds of sex was rendered unlawful by the Sex Dis-crimination Act 1975 (« the SDA 1975 »), discrimination on the grounds of race by

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the Race Relations Acts 1968 and 1976, discrimination on the grounds of disabil-ity by the Disability Discrimination Act 1995. Legislation dealing with discrimina-tion on the grounds of age, sexual orientation and religion or belief was stillrequired to ensure compliance with the Directive. The Regulations deal with dis-crimination on the grounds of religion or belief. The Employment Equality (SexualOrientation) Regulations 2003 (SI 2003/1661) provided for discrimination on thegrounds of sexual orientation, and discrimination on the grounds of age was sub-sequently covered by the Employment Equality (Age) Regulations 2006.

11. Again as observed by the Court of Appeal (at para 9), the form of theRegulations follows closely that of the earlier legislation, in particular in defining« employment » as including a contract personally to do work of any kind.

Moreover, the language of regulation 6 is identical to, or differs in no signifi-cant respect from, that used in the other legislation dealing with discrimination. Itfollows that the Regulations must be understood as complementing all the otherlegislation prohibiting discrimination.

12. This uniformity of the law relating to the areas in which discrimination isforbidden has now been reinforced by the Equality Act 2010 (« the EA »), whichapplies to all of the cases protected by the earlier legislation. The EA is, amongother things, an Act « to reform and harmonise equality law and restate the greaterpart of the enactments relating to discrimination ». The Regulations were amongstthose enactments restated by the EA. They were revoked by section 211 andSchedule 27, Part 2. The revocation took effect on 1 October 2010. The current lawis therefore as stated in the Act rather than the Regulations. It was not howeversuggested in the course of the argument that any of the issues in this appeal is af-fected by the revocation of the Regulations.

First instance

13. Both parties’ applications were determined by David Steel J (« thejudge ») on 26 June 2009: see [2009] EWHC 1364 (Comm), [2010] 1 All ER 302.In the meantime on 11 March 2009, which was before the applications were heard,the solicitors for Mr Jivraj wrote an open letter to the solicitors for Mr Hashwanioffering him the option of pursuing his claim in the High Court on the basis thatMr Jivraj would not seek a stay on the basis of the arbitration clause. Mr Hashwanidid not accept the offer.

14. It was submitted before the judge on behalf of Mr Hashwani that the termrequiring arbitrators to be members of the Ismaili community was invalid by rea-son of one or more of the following: the Regulations, the Human Rights Act 1998(« the HRA »), or public policy at common law. The judge held (i) that the termdid not constitute unlawful discrimination on any of those bases and, specifically,that arbitrators were not « employed » within the meaning of the Regulations; (ii)that if, nonetheless, appointment of arbitrators fell within the scope of the Regula-tions, it was demonstrated that one of the more significant characteristics of the Is-maili sect was an enthusiasm for dispute resolution within the Ismaili community,that this was an « ethos based on religion » within the meaning of the Regulationsand that the requirement for the arbitrators to be members of the Ismaili commu-nity constituted a genuine occupational requirement which it was proportionate to

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apply within regulation 7(3); and (iii) that, if that was also wrong, the requirementwas not severable from the arbitration provision as a whole, so that the whole ar-bitration clause would be void. The judge ordered Mr Hashwani to pay Mr Jivraj’scosts and refused Mr Hashwani’s application for permission to appeal.

The Court of Appeal

15. On 7 October 2009 Sir Richard Buxton granted permission to appeal lim-ited to the issues on the Regulations and on severance. Permission was refused onthe HRA and public policy issues. The issues in the Court of Appeal were there-fore these:

i) Are arbitrators persons who are under a contract to do work so as to fallwithin the Regulations and, if so, do parties who make an arbitration agreementspecifying religious qualifications for eligible arbitrators thereby make an arrange-ment for the purpose of determining to whom they should offer employment or dothey agree to offer, or deliberately not to offer, employment within the meaning ofthe Regulations?

ii) If so, in the circumstances, did the requirement for all the arbitrators to bemembers of the Ismaili community constitute a genuine occupational requirement(« GOR ») which it was proportionate to apply within regulation 7(3)?

iii) If not, did the whole arbitration agreement fail or was only the discrimi-natory provision void?

16. The unanimous judgment of the Court of Appeal, which comprisedMoore-Bick and Aikens LJJ and Sir Richard Buxton, was handed down on 22 June2010: see [2010] EWCA Civ 712, [2010] ICR 1435. The Court of Appeal reacheda different conclusion from the judge on the principal points. It held that the ap-pointment of an arbitrator involved a contract for the provision of services whichconstituted « a contract personally to do any work », and therefore satisfied thedefinition of « employment » in regulation 2(3). It followed that the appointor wasan « employer » within the meaning of regulation 6(1) and that the restriction ofeligibility for appointment as an arbitrator to members of the Ismaili communityconstituted unlawful discrimination on religious grounds, both in making « arrange-ments... for the purpose of determining to whom he should offer employment »contrary to regulation 6(1)(a), and by « refusing to offer, or deliberately not offer-ing » employment contrary to regulation 6(1)(c). The Court of Appeal further heldthat being a member of the Ismaili community was not « a genuine occupationalrequirement for the job » within the meaning of the exception in regulation 7(3). Itis submitted on behalf of Mr Jivraj that both those conclusions were wrong.

17. Finally the Court of Appeal held that, although there would be no diffi-culty in operating the agreement if the offending requirement was struck out, sodoing would render the agreement substantially different from that originally in-tended, the term was void in its entirety under paragraph 1(1) of Schedule 4 to theRegulations and Mr Hashwani’s nomination of an arbitrator was invalid. It is sub-mitted on behalf of Mr Hashwani that both the judge and the Court of Appeal werewrong on this point, which I will call « the severance issue ».

18. A further point arises out of the Court of Appeal’s order on costs if itsjudgment is upheld on each of the above points.

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Employment

19. The reasoning of the Court of Appeal was straightforward: see paras 15-17. In short the Court of Appeal drew attention to the wide terms of articles 1 and3 of the Directive. In particular it noted at para 15 that the recitals to the Directiveand the structure and language of article 3(1) as a whole indicate that it is con-cerned with discrimination affecting access to the means of economic activity,whether through employment, self-employment or some other basis of occupation,access to vocational guidance and training (which can be expected to provide ameans of access to economic activity), conditions of employment (which affectthose who have gained access to a means of economic activity) and membership ofbodies whose purpose is to affect conditions of recruitment or employment or toregulate access to a particular form of economic activity, such as professional bod-ies that directly or indirectly control access to the profession or a significant meansof obtaining work.

20. The Court of Appeal then said at para 16:« The paradigm case of appointing an arbitrator involves obtaining the ser-

vices of a particular person to determine a dispute in accordance with the agree-ment between the parties and the rules of law, including those to be found in thelegislation governing arbitration. In that respect it is no different from instructing asolicitor to deal with a particular piece of legal business, such as drafting a will, orconsulting a doctor about a particular ailment or an accountant about a tax return.Since an arbitrator (or any professional person) contracts to do work personally, theprovision of his services falls within the definition of “employment”, and it followsthat his appointor must be an employer within the meaning of regulation 6(1)... ».

21. In paras 16 and 17 it placed reliance on three cases. It relied upon vonHoffmann v Finanzamt Trier (Case C-145/96) [1997] All ER (EC) 852 as showingthat arbitrators had been treated as providing services for VAT purposes. It also re-ferred to domestic regulations relating to goods and services. It further derivedsupport from Kelly v Northern Ireland Housing Executive [1999] 1 AC 428 andfrom Percy v Board of National Mission of the Church of Scotland [2005] UKHL73, [2006] 2 AC 28. It recognised that those cases were addressing slightly differ-ent points but concluded that they illustrate the width of the expression « a contractpersonally to do any work » in the various discrimination statutes. It concluded thusin para 17:

« They confirm our view that the expression is apt to encompass the positionof a person who provides services as an arbitrator, and why we think the judge waswrong to hold that the nature of the arbitrator’s function takes his appointment out-side the scope of the 2003 Regulations. Moreover, a contract of that kind, oncemade, is a contract of employment within the meaning of the 2003 Regulations.

It follows, therefore, that for the purposes of the 2003 Regulations a personwho has entered into a contract under which he is to obtain such services is an em-ployer and the person engaged to provide them is an employee ».

22. The critical question under this head is whether the Court of Appeal wascorrect to form a different view from the judge on this point. In my opinion it wasnot. As the Court of Appeal correctly observed at para 15, the meaning of article 3of the Directive has not been considered by the Court of Justice, and is to be inter-

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preted in the light of the recitals and given its natural meaning consistent with theEC Treaty and the existing case law of the court.

23. It is common ground, at any rate in this class of case, that there is a con-tract between the parties and the arbitrator or arbitrators appointed under a contractand that his or their services are rendered pursuant to that contract. It is not sug-gested that such a contract provides for « employment under a contract of serviceor of apprenticeship ». The question is whether it provides for « employment un-der... a contract personally to do any work ». There is in my opinion some signifi-cance in the fact that the definition does not simply refer to a contract to do workbut to « employment under » such a contract. I would answer the question in thenegative on the ground that the role of an arbitrator is not naturally described asemployment under a contract personally to do work. That is because his role is notnaturally described as one of employment at all. I appreciate that there is an ele-ment of circularity in that approach but the definition is of « employment » and thisapproach is consistent with the decided cases.

24. Given the provenance of the Regulations, it is appropriate to consider firstthe decisions of the Court of Justice. The most important of these is perhaps Al-lonby v Accrington and Rossendale College (Case C-256/01) [2004] ICR 1328,where the Court of Justice followed the principles laid down in Lawrie-Blum vLand Baden-Wurttemberg (Case C-66/85) [1987] ICR 483 and in Kurz v LandBaden-Wurttemberg (Case C-188/00) [2002] ECR I-10691. In Lawrie-Blum, whichwas concerned with the free movement of « workers » under what was then article48 of the Treaty, Advocate General Lenz said at para III 2(b) of his opinion thatthe term worker covers any employed person who is not self-employed. The courtsaid at para 17:

« That concept [ie of “worker”] must be defined with objective criteria whichdistinguish the employment relationship by reference to the rights and duties of thepersons concerned. The essential feature of an employment relationship, however,is that for a certain period of time a person performs services for and under the di-rection of another person in return for which he receives remuneration ».

25. In Kurz the court said at para 32 that it was settled case law that the con-cept of worker has a specific Community meaning and must not be interpreted nar-rowly. The court then repeated the essential feature of the relationship identified inthe above passage from Lawrie-Blum.

26. In Allonby the court addressed an equal pay claim by a college lecturerwho had been dismissed by the college and then re-engaged, ostensibly as a self-employed sub-contractor supplied by an agency. For the purposes of article 141(1)of the EC Treaty, the court drew a clear distinction between « workers » and « in-dependent suppliers of services ». It discussed the concept of worker within themeaning of article 141(1) between paras 62 and 72, which included the following:

« 62. The criterion on which article 141(1) EC is based is the comparabilityof the work done by workers of each sex: see, to that effect, Defrenne v Sabena (No2) (Case 149/77) [1978] ECR 1365, 1377, para 22. Accordingly, for the purpose ofthe comparison provided for by article 141(1) EC, only women and men who areworkers within the meaning of that article can be taken into consideration.

63. In that connection, it must be pointed out that there is no single definitionof worker in Community law: it varies according to the area in which the definition

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is to be applied: Martinez Sala v Freistaat Bayern (Case C-85/96) [1998] ECRI-2691, 2719, para 31.

64. The term “worker” within the meaning of article 141(1) EC is not ex-pressly defined in the EC Treaty. It is therefore necessary, in order to determine itsmeaning, to apply the generally recognised principles of interpretation, having re-gard to its context and to the objectives of the Treaty.

65. According to article 2 EC, the Community is to have as its task to pro-mote, among other things, equality between men and women. Article 141(1) ECconstitutes a specific expression of the principle of equality for men and women,which forms part of the fundamental principles protected by the Community legalorder: see, to that effect, Deutsche Post AG v Sievers (Cases C-270 and 271/97)[2000] ECR I-929, 952, para 57. As the court held in Defrenne v Sabena (Case 43/75) [1976] ICR 547, 566, para 12, the principle of equal pay forms part of thefoundations of the Community.

66. Accordingly, the term “worker” used in article 141(1) EC cannot be de-fined by reference to the legislation of the member states but has a Communitymeaning. Moreover, it cannot be interpreted restrictively.

67. For the purposes of that provision, there must be considered as a workera person who, for a certain period of time, performs services for and under the di-rection of another person in return for which he receives remuneration see, in re-lation to free movement of workers, in particular Lawrie-Blum... para 17, and Mar-tinez Sala, para 32.

68. Pursuant to the first paragraph of article 141(2) EC, for the purpose of thatarticle, “pay” means the ordinary basic or minimum wage or salary and any otherconsideration, whether in cash or in kind, which the worker receives directly or in-directly, in respect of his employment, from his employer. It is clear from that defi-nition that the authors of the Treaty did not intend that the term “worker”, withinthe meaning of article 141(1) EC, should include independent providers of serviceswho are not in a relationship of subordination with the person who receives theservices (see also, in the context of free movement of workers, Meeusen v Hoofd-directie van de Informatie Beheer Groep (Case C-337/97) [1999] ECR I-3289,3311, para 15).

69. The question whether such a relationship exists must be answered in eachparticular case having regard to all the factors and circumstances by which the re-lationship between the parties is characterised.

70. Provided that a person is a worker within the meaning of article 141(1)EC, the nature of his legal relationship with the other party to the employment re-lationship is of no consequence in regard to the application of that article: ...

71. The formal classification of a self-employed person under national lawdoes not exclude the possibility that a person must be classified as a worker withinthe meaning of article 141(1) EC if his independence is merely notional, therebydisguising an employment relationship within the meaning of that article ».

27. On the basis of those materials I would accept Mr Davies’ submission thatthe Court of Justice draws a clear distinction between those who are, in substance,employed and those who are « independent providers of services who are not in arelationship of subordination with the person who receives the services ». I see noreason why the same distinction should not be drawn for the purposes of the Regu-lations between those who are employed and those who are not notionally but

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genuinely self-employed. In the light of Allonby, there can be no doubt that thatwould be the correct approach to the near identical definition in section 1(6) of theEqual Pay Act 1970 and must remain the correct approach to the definition of em-ployment in section 83(2) of the EA, which provides, so far as relevant:

« “Employment” means — (a) employment under a contract of employment,a contract of apprenticeship or a contract personally to do work; ... ».

That definition is almost identical to the definition in regulation 2(3) of theRegulations and, since it applies to equal pay issues by virtue of sections 83(4),80(2) and 64 of the EA, it must equally apply to the Regulations.

28. In my opinion there is nothing in the domestic authorities which requiresthe court to come to any different conclusion. The problem with some of them isthat they do not refer to the jurisprudence of the Court of Justice. However, themost recent decision of the House of Lords does. In Percy v Board of NationalMission of the Church of Scotland [2006] 2 AC 28 the House of Lords considereda sex discrimination claim brought by a woman who was a minister of the Churchof Scotland. The issue was whether she was employed within the meaning of sec-tion 82(1) of the SDA 1975. The House held that she was. Lord Hoffmann dis-sented on the basis that she was the holder of an office but had no doubt (at para66) that, if the arrangement had been contractual, it would plainly have been a con-tract of service.

29. Lord Hoffmann said at para 73 that the term « workers » is a term of artin Community law which was defined by the Court of Justice in the passage frompara 17 of Lawrie-Blum quoted at para 24 above. Lord Hope of Craighead saidmuch the same at para 126, where he also noted that the same approach was takenin Allonby.

30. Baroness Hale of Richmond referred at para 141 to para A[4] of Harveyon Industrial Relations and Employment Law, which stated that: « the distinction isbetween those who work for themselves and those who work for others, regardlessof the nature of the contract under which they are employed ».

She then referred at para 143 to the decision of the Court of Appeal in North-ern Ireland in Perceval-Price v Department of Economic Development [2000]IRLR 380, where it was held that three full-time judicial office holders, namely afulltime chairman of industrial tribunals, a full-time chairman of social security ap-peal tribunals and a social security commissioner were workers for the purposes ofalmost identical provisions.

31. In para 145, after quoting the definition of an employment relationship inLawrie-Blum, Baroness Hale noted that, in giving the judgment of the court in Per-ceval-Price, Sir Robert Carswell LCJ said that the objective of the relevant EClegislation was to give protection against inequality and discrimination to thosewho might be vulnerable to exploitation. He also said that the concept of a workershould be construed purposively by reference to this objective. Baroness Hale thenquoted this extract from the judgment of Sir Robert Carswell:

« All judges, at whatever level, share certain common characteristics. They allmust enjoy independence of decision without direction from any source, which therespondents quite rightly defended as an essential part of their work. They all needsome organisation of their sittings, whether it be prescribed by the president of theindustrial tribunals or the court service, or more loosely arranged in collegiatefashion between the judges of a particular court. They are all expected to work

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during defined times and periods, whether they be rigidly laid down or managedby the judges themselves with a greater degree of flexibility. They are not freeagents to work as and when they choose, as are self-employed persons. Their officeaccordingly partakes of some of the characteristics of employment ».

32. At para 146 Baroness Hale continued: « I have quoted those words atlength because they illustrate how the essential distinction is, as Harvey says, be-tween the employed and the self-employed. The fact that the worker has very con-siderable freedom and independence in how she performs the duties of her officedoes not take her outside the definition. Judges are servants of the law, in the sensethat the law governs all that they do and decide, just as clergy are servants of God,in the sense that God’s word, as interpreted in the doctrines of their faith, governsall that they practise, preach and teach. This does not mean that they cannot be“workers” or in the “employment” of those who decide how their ministry shouldbe put to the service of the Church ».

33. Some consideration was recently given to the position of part-time judgesby this court in O’Brien v Ministry of Justice (Note) [2010] UKSC 34, [2010] 4 AllER 62 where the court considered Percy in some detail in a judgment of the courtgiven by Lord Walker. At para 25 it referred to the same passage in Lawrie-Blumas having laid down the relevant principle and at para 26 it referred to the speechof Baroness Hale and approved the passage quoted above from the judgment of SirRobert Carswell in Perceval-Price.

34. As I read Percy, it sought to apply the principles identified by the Courtof Justice, as indeed did this court in O’Brien [2010] 4 All ER 62. The essentialquestions in each case are therefore those identified in paras 67 and 68 of Allonby[2004] ICR 1328, namely whether, on the one hand, the person concerned performsservices for and under the direction of another person in return for which he or shereceives remuneration or, on the other hand, he or she is an independent providerof services who is not in a relationship of subordination with the person who re-ceives the services. Those are broad questions which depend upon the circum-stances of the particular case. They depend upon a detailed consideration of the re-lationship between the parties. As I see it, that is what Baroness Hale meant whenshe said that the essential difference is between the employed and the selfemployed.

The answer will depend upon an analysis of the substance of the matter hav-ing regard to all the circumstances of the case. I would not accept the Court of Ap-peal’s analysis (at para 21) of Baroness Hale’s speech in this regard.

35. There have been a number of domestic cases which say that the questionis whether the dominant purpose of the contract is the execution of personal workor labour: see eg Quinnen v Hovells [1984] ICR 525, Mirror Group NewspapersLtd v Gunning [1986] 1 WLR 546, especially per Oliver LJ at 551H and BalcombeLJ at 556H; Kelly v Northern Ireland Housing Executive [1999] 1 AC 428 andPercy [2006] 2 AC 28 per Lord Hope at para 113, where he referred to two othercases in the Court of Appeal, namely Patterson v Legal Services Commission[2004] ICR 312 and Mingeley v Pennock (trading as Amber Cars) [2004] ICR 727.Mr. Michael Brindle QC also referred on behalf of the respondent to two earliercases which focus on the question whether a contract is one « personally to executeany work or labour »: see Tanna v Post Offıce [1981] ICR 374 and Hugh-Jones vSt John’s College, Cambridge [1979] ICR 848. However, none of these cases con-sidered the approach in the decisions of the Court of Justice referred to above.

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36. In particular, the cases did not focus on the fact that the « employment »must be employment under a contract of employment, a contract of apprenticeshipor a contract personally to do work. (My emphasis). Given the importance of theEC perspective in construing the legislation, including the Regulations, the casesmust now be read in the light of those decisions. They show that it is not sufficientto ask simply whether the contract was a contract personally to do work. They alsoshow that dominant purpose is not the test, or at any rate not the sole test.

37. That is not to say that the question of purpose is irrelevant but the focusis on the contract and relationship between the parties rather than exclusively onpurpose. Elias J, sitting as President of the Employment Appeal Tribunal, recogn-ised some of the difficulties in James v Redcats (Brands) Ltd [2007] ICR 1006. Hediscussed the relevance of dominant purpose in this context by reference to thecases at paras 53 to 68. At para 59, after quoting from the judgment of BalcombeLJ in Gunning [1986] 1 WLR 546, he said that the dominant purpose test is reallyan attempt to identify the essential nature of the contract. In the context of the casehe was considering he posed the question whether it was in essence to be locatedin the field of dependent work relationships or whether it was in essence a contractbetween two independent business undertakings.

38. At paras 67 and 68, after referring to a number of cases and observing atpara 65 that the description of the test as one of identifying the dominant purposewas perhaps not an altogether happy one, he said this:

« 67. An alternative way of putting it may be to say that the courts are seek-ing to discover whether the obligation for personal service is the dominant featureof the contractual arrangement or not. If it is, then the contract lies in the employ-ment field; if it is not — if, for example, the dominant feature of the contract is aparticular outcome or objective — and the obligation to provide personal service isan incidental or secondary consideration, it will lie in the business field.

68. This is not to suggest that a tribunal will be in error in failing specificallyto apply the “dominant purpose” or indeed any other test. The appropriate classifi-cation will in every case depend upon a careful analysis of all the elements of therelationship, as Mr Recorder Underhill QC pointed out in Byrne Bros (Formwork)Ltd v Baird [2002] ICR 667. It is a fact sensitive issue, and there is no shortcut toa considered assessment of all relevant factors. However, in some cases the appli-cation of the “dominant purpose” test may help tribunals to decide which side ofthe boundary a particular case lies ».

39. It is noteworthy that the European cases were not cited in many of thecases, including that before Elias J. In the light of the European cases, dominantpurpose cannot be the sole test, although it may well be relevant in arriving at thecorrect conclusion on the facts of a particular case. After all, if the dominant pur-pose of the contract is the execution of personal work, it seems likely that the re-lationship will be, in the words of Allonby [2004] ICR 1328, para 67, a case inwhich the person concerned performs services for and under the direction of theother party to the contract in return for remuneration as opposed to an independentprovider of services who is not in a relationship of subordination with him or it.

This may not be so however because, although the dominant purpose of thecontract may be personal work, it may not be personal work under the direction ofthe other party to the contract. All will depend upon the applications of the prin-ciples in Allonby to the circumstances of the particular case.

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40. If the approach in Allonby is applied to a contract between the parties toan arbitration and the arbitrator (or arbitrators), it is in my opinion plain that thearbitrators’ role is not one of employment under a contract personally to do work.

Although an arbitrator may be providing services for the purposes of VAT andhe of course receives fees for his work, and although he renders personal serviceswhich he cannot delegate, he does not perform those services or earn his fees forand under the direction of the parties as contemplated in para 67 of Allonby. He israther in the category of an independent provider of services who is not in a rela-tionship of subordination with the parties who receive his services, as described inpara 68.

41. The arbitrator is in critical respects independent of the parties. His func-tions and duties require him to rise above the partisan interests of the parties andnot to act in, or so as to further, the particular interests of either party. As the In-ternational Chamber of Commerce (« the ICC ») puts it, he must determine how toresolve their competing interests. He is in no sense in a position of subordinationto the parties; rather the contrary. He is in effect a « quasi-judicial adjudicator »:K/S Norjarl A/S v Hyundai Heavy Industries Co Ltd [1992] QB 863, 885.

42. In England his role is spelled out in the 1996 Act. By section 33, he hasa duty to act fairly and impartially as between the parties and to adopt proceduressuitable to the circumstances of the particular case so as to provide a fair means ofdetermination of the issues between the parties. Section 34 provides that, subject tothe right of the parties to agree any matter, it is for the arbitrator to decide all pro-cedural matters. Examples of the width of those powers can be seen in the particu-lar examples in section 34(2). Section 40 provides that the parties shall do all thingsnecessary for the proper and expeditious conduct of the arbitration, which includescomplying with any order of the arbitrator, whether procedural or otherwise. Oncean arbitrator has been appointed, at any rate in the absence of agreement betweenthem, the parties effectively have no control over him. Unless the parties agree, anarbitrator may only be removed in exceptional circumstances: see sections 23 and24. The court was referred to many other statutory provisions in other parts of theworld and indeed many other international codes, including the UNCITRAL(United Nations Commission on International Trade Law) Model Law on Interna-tional Commercial Arbitration 1985, the ICC Rules and the London Court of Inter-national Arbitration (« the LCIA ») Rules to similar effect.

43. The Regulations themselves include provisions which would be whollyinappropriate as between the parties and the arbitrator or arbitrators. For example,regulation 22(1) provides: « Anything done by a person in the course of his em-ployment shall be treated for the purposes of these Regulations as done by his em-ployer as well as by him, whether or not it was done with the employer’s knowl-edge or approval ». It is evident that such a provision could not apply to an arbi-trator.

44. In this regard an arbitrator is in a very different position from a judge. Theprecise status of a judge was left open by this court in O’Brien [2010] 4 All ER 62,in which the court referred particular questions to the Court of Justice: see para 41.However, as Sir Robert Carswell said in Perceval-Price [2000] IRLR 380 and LordWalker said in O’Brien (at para 27), judges, including both recorders and all judgesat every level are subject to terms of service of various kinds. As Sir Robert put it,although judges must enjoy independence of decision without direction from any

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source, they are in other respects not free agents to work as and when they choose,as are self-employed persons.

45. In both those cases the court was considering the relationship between therelevant department of state and the judges concerned. It was not considering therelationship between the judges and the litigants who appear before them. Here, bycontrast, the court is considering the relationship between the parties to the arbitra-tion on the one hand and the arbitrator or arbitrators on the other. As I see it, thereis no basis upon which it could properly be held that the arbitrators agreed to workunder the direction of the parties as contemplated in para 67 of Allonby [2004] ICR1328. Further, in so far as dominant purpose is relevant, I would hold that thedominant purpose of appointing an arbitrator or arbitrators is the impartial resolu-tion of the dispute between the parties in accordance with the terms of the agree-ment and, although the contract between the parties and the arbitrators would be acontract for the provision of personal services, they were not personal services un-der the direction of the parties.

46. In reaching this conclusion it is not necessary to speculate upon what theposition might be in other factual contexts. It was submitted that the effect of thedecision of the Court of Appeal is that a customer who engages a person on a oneoff contract as, say, a plumber, would be subject to the whole gamut of discrimina-tion legislation. It would indeed be surprising if that were the case, especially giventhe fact that the travaux preparatoires contained no such suggestion: see the impactassessment in the Commission’s Proposal for the Directive 1999/0225 (CNS),Brussels 1999, which was concerned solely with the position of enterprises of vari-ous types. There was no consideration of the effect on individual choice by custom-ers. See also a memorandum from the Commission’s Director General for Employ-ment and Social Affairs to the EU Committee of the House of Lords dated 9 Feb-ruary 2000 to much the same effect. This is not to say that the Regulations may notapply in the case of the plumber, solicitor, accountant or doctor referred to by theCourt of Appeal in para 16. As already stated, all will depend upon the applicationof the principles in Allonby to the particular case. As I see it, the problem with theapproach adopted by the Court of Appeal is that it focuses only on the questionwhether there is a contract to do work personally, whereas it is necessary to ask themore nuanced questions identified in Allonby.

(Omissis).49. Some reliance was placed upon the reference to the « conditions for ac-

cess to employment, to self-employment or to occupation, including selection cri-teria and recruitment conditions » in article 3(1)(a) of the Directive. In para 20 theCourt of Appeal gave a wide construction to that provision, rejecting the submis-sion made by Mr Davies that it related to barriers to entry to trades, professions andoccupations. It did so on the same footing as before, namely that a wide meaningshould be given to the terms of the Directive and, in any event, to the Regulations.However, I would accept Mr Davies’ submission that the expression « access... toself-employment or to occupation » means what it says and is concerned with pre-venting discrimination from qualifying or setting up as a solicitor, plumber, green-grocer or arbitrator. It is not concerned with discrimination by a customer who pre-fers to contract with one of their competitors once they have set up in business.That would not be denying them « access... to self-employment or to occupation ».

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I see no reason to give a different meaning to the Regulations from that given tothe Directive.

50. For these reasons I prefer the conclusion of the judge to that of the Courtof Appeal. I agree with the judge that the Regulations are not applicable to the se-lection, engagement or appointment of arbitrators. It follows that I would hold thatno part of clause 8 of the JVA is invalid by reason of the Regulations and wouldallow the appeal on this ground.

Genuine occupational requirement

51. If the above conclusion is correct, this point does not arise but it was fullyargued and I will briefly consider it. The question considered by the judge waswhether, if regulation 6(1)(a) or (c) would otherwise apply, it is prevented from ap-plying by regulation 7(1) and (3). It will be recalled that, by regulation 7(1), regu-lations 6(1)(a) and (c) do not apply where regulation 7(3) applies and that regula-tion 7(3) provides: « This paragraph applies where an employer has an ethos basedon religion or belief and, having regard to that ethos and to the nature of the em-ployment or the context in which it is carried out —

(a) being of a particular religion or belief is a genuine occupational require-ment for the job;

(b) it is proportionate to apply that requirement in the particular case; and(c) either —(i) the person to whom that requirement is applied does not meet it, or(ii) the employer is not satisfied, and in all the circumstances it is reasonable

for him not to be satisfied, that that person meets it ».52. Those provisions were made in accordance with the exceptions in relation

to occupational requirements made by article 4 of the Directive, which provides:« 1. Notwithstanding article 2(1) and (2), member states may provide that a

difference of treatment which is based on a characteristic related to any of thegrounds referred to in article 1 shall not constitute discrimination where, by reasonof the nature of the particular occupational activities concerned or of the context inwhich they are carried out, such a characteristic constitutes a genuine and deter-mining occupational requirement, provided that the objective is legitimate and therequirement is proportionate ».

2. Member states may maintain national legislation in force at the date ofadoption of this Directive or provide for future legislation incorporating nationalpractices existing at the date of adoption of this Directive pursuant to which, in thecase of occupational activities within churches and other public or private organi-sations the ethos of which is based on religion or belief, a difference of treatmentbased on a person’s religion or belief shall not constitute discrimination where, byreason of the nature of these activities or of the context in which they are carriedout, a person’s religion or belief constitute a genuine, legitimate and justified occu-pational requirement, having regard to the organisation’s ethos. This difference oftreatment shall be implemented taking account of members states’ constitutionalprovisions and principles, as well as the general principles of Community law, andshould not justify discrimination on another ground... ».

53. It is common ground that, as the judge said at para 40, a rigorous and

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strict approach must be adopted to the question whether the particular exceptionapplies: Stadt Halle v Arbeitgemeinschaft Thermische Restabfall-und Energieverw-ertungsanlage TREA Leuna (Case C-26/03) [2005] ECR I-1 and Marleasing [1990]ECR I-4135.

54. Although some reliance was placed in the course of argument on regula-tion 7(2), I shall focus first on paragraph (3). Since 1 October 2010 the provisionsof regulation 7 have been replaced by those of Schedule 9 of the EA. Regulation7(3) has been replaced by paragraph (3) of that Schedule, which provides:

« A person (A) with an ethos based on religion or belief does not contravenea provision mentioned in paragraph 1(2) by applying in relation to work a require-ment to be of a particular religion or belief if A shows that, having regard to thatethos and the nature or context of the work —

(a) it is an occupational requirement,(b) the application of the requirement is a proportionate means of achieving a

legitimate aim, and the person to whom A applies the requirement does not meet it(or A has reasonable grounds for not being satisfied that the person meets it) ».

It was not suggested that there is any significant difference between that para-graph and regulation 7(3).

55. There are four relevant requirements under regulation 7(3). The issue be-tween the parties centres upon whether the second requirement is satisfied. The re-quirements are (1) that the employer should have an ethos based on religion or be-lief; (2) that, having regard to that ethos and to the nature of the employment orthe context in which it is carried out, being of a particular religion or belief is agenuine requirement for the job; (3) that, having regard to that ethos and to the na-ture of the employment or the context in which it is carried out, it is proportionateto apply that requirement on the facts; and (4) that the person to whom the require-ment is applied, who here must be Sir Anthony Colman, does not meet the require-ment.

56. As to (1) it is not (and could not be) suggested here that Mr Jivraj and MrHashwani did not have such an ethos. As to (3), it is not in dispute that, if require-ment (2) is satisfied, so that being an Ismaili is a genuine occupational requirement,it is or would be proportionate to apply it. As to (4), it is plain that Sir AnthonyColman does not meet the requirement in the JVA that the arbitrators should bemembers of the Ismaili community. The essential issue between the parties iswhether requirement (2) is satisfied. The question is therefore whether, having re-gard to the Ismaili ethos and to the nature of the employment or the context inwhich it is carried out, being of the Ismaili religion or belief is a genuine require-ment for the job. The judge held that this requirement was satisfied whereas theCourt of Appeal held that it was not.

57. Our attention was drawn on behalf of Mr Jivraj to what is said to be animportant difference between paragraphs (2) and (3) of regulation 7. Paragraph (2)is concerned with the case where the employer does not have a particular ethosbased on religion or belief but wishes to recruit a worker who does have such anethos. In that event, for the exception to apply, being of the particular ethos or be-lief must be a « genuine and determining occupational requirement ». By contrast,where (as here) the employer has an ethos based on religion or belief, it is suffi-cient under paragraph (3) that being of a particular religion or belief is « a genuineoccupational requirement for the job ».

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58. Mr Davies submits that the difference between the two cases is this. In thefirst case the question is whether being of a particular religion or belief is a « genu-ine and determining occupational requirement ». That is to say it must be an essen-tial requirement for the job. Whether it is or not is an objective question which thecourt can readily decide. In the second case, on the other hand, the question for thecourt is subjective, namely whether it is a genuine requirement for the job in theeyes of the employer or employers. This, Mr Davies suggests, reflects the sensibleprinciple that it is not for the court to sit in judgment over matters of religion orbelief. By contrast, Mr Brindle disputes the idea that the test is entirely subjective.Regulation 7(3) requires that being of a particular religion or belief is not onlygenuine but also, as paragraph 2 of article 4 of the Directive shows, « legitimateand justified ». It follows that it is not sufficient that the employer has a genuinebelief that the particular religion or belief is required. The requirement must alsobe legitimate and justified. It would be remarkable, in his submission, if the justi-fication could be found in the personal opinions of the prima facie discriminator.

59. I agree with Mr Davies that it is not for the court to sit in judgment onmatters of religion or belief. However, I also agree with Mr Brindle that the testfor justifying prima facie discrimination cannot be entirely subjective. This is be-cause the Regulations must be construed consistently with the Directive. It seemsto me to be reasonably clear that paragraph 1 of article 4 of the Directive is thesource of paragraph (2) of regulation 7 because they both refer to a genuine anddetermining occupational requirement. In these circumstances paragraph 2 must bethe source of paragraph (3) of the regulation, with the result that the expression« genuine occupational requirement » must (either alone or together with propor-tionality in requirement (3)) have been intended to reflect the expression « genuine,legitimate and justified occupational requirement » in paragraph 2 of article 4 of theDirective. If the legitimacy or justification of a requirement were assessed purelyby reference to the subjective view of the employer, they would add nothing to thestipulation that a requirement be genuine. In my view, whether or not a particularreligion or belief is a legitimate and justified requirement of an occupation is anobjective question for the court. This is not however as strict a test as that appliedunder regulation 7(2), namely that a particular religion or belief is an essential re-quirement for the job. As I see it, the question is simply whether in all the circum-stances of the case the requirement that the arbitrators should be respected mem-bers of the Ismaili community was, not only genuine, but legitimate and justified.

60. I do not agree with Mr Brindle that the requirement that arbitrators be Is-mailis cannot be objectively justified. His submission that an English law disputein London under English curial law does not require an Ismaili arbitrator takes avery narrow view of the function of arbitration proceedings. This characterisationreduces arbitration to no more than the application of a given national law to a dis-pute.

61. One of the distinguishing features of arbitration that sets it apart fromproceedings in national courts is the breadth of discretion left to the parties and thearbitrator to structure the process for resolution of the dispute. This is reflected insection 1 of the 1996 Act which provides that: « the parties should be free to agreehow their disputes are resolved, subject only to such safeguards as are necessary inthe public interest ». The stipulation that an arbitrator be of a particular religion or

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belief can be relevant to this aspect of arbitration. As the ICC puts in its writtenargument:

« The raison d’etre of arbitration is that it provides for final and binding dis-pute resolution by a tribunal with a procedure that is acceptable to all parties, incircumstances where other fora (in particular national courts) are deemed inappro-priate (eg because neither party will submit to the courts or their counterpart; orbecause the available courts are considered insufficiently expert for the particulardispute, or insufficiently sensitive to the parties’ positions, culture, or perspec-tives) ».

62. Under section 34 of the 1996 Act (referred to above) the arbitrators havecomplete power over all procedural and evidential matters, including how far theproceedings should be oral or in writing, whether or not to apply the strict rules ofevidence, whether the proceedings should be wholly or partly adversarial orwhether and to what extent they should make their own inquiries. They are the solejudges of the evidence, including the assessment of the probabilities and resolvingissues of credibility.

63. In paras 41 to 44 of his judgment [2010] 1 All ER 302 the judge madedetailed findings which seem to me to be relevant to this question. I refer to onlysome of them. In para 41 he described the history and development of the IsmailiCommunity. He noted from the summary on the website of the Aga Khan Devel-opment Network that in the early part of the 20th century Aga Khan III introduceda range of « organisational forms that gave Ismaili communities the means tostructure and regulate their own affairs ». He added that those forms were estab-lished against the background of « the Muslim tradition of a communitarian ethicon the one hand, and responsible individual conscience with freedom to negotiateone’s own moral commitment and destiny on the other ».

64. At para 42 the judge quoted extensively from the same summary whichincluded this: « Spiritual allegiance to the Imam and adherence to the Shia ImamiIsmaili tariqah (persuasion) of Islam according to the guidance of the Imam of thetime, have engendered in the Ismaili community an ethos of self-reliance, unity,and a common identity ».

He noted that in 1986 the present Aga Khan: « promulgated a Constitutionthat, for the first time, brought the social governance of the world-wide Ismailicommunity into a single structure with built-in flexibility to account for diversecircumstances of different regions. Served by volunteers appointed by and account-able to the Imam, the Constitution functions as an enabler to harness the best in in-dividual creativity in an ethos of group responsibility to promote the commonwell-being. Like its predecessors, the present constitution is founded on each Is-maili’s spiritual allegiance to the Imam of the time, which is separate from thesecular allegiance that all Ismailis owe as citizens to their national entities. Theguidance of the present Imam and his predecessor emphasised the Ismaili’s alle-giance to his or her country as a fundamental obligation. These obligations dis-charged not by passive affirmation but through responsible engagement and activecommitment to uphold national integrity and contribute to peaceful development ».

65. In para 43 the judge quoted from a paper presented to the Council of Eu-rope in March 2009 by the Director of International Training with the secretariat ofthe Aga Khan which included the following: « Under the Constitution, the Imamhas also established... National

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and International Conciliation and Arbitration Boards to encourage amicableresolution of conflicts through impartial conciliation, mediation and arbitration, aservice which is being increasingly used, in some countries, even by non-Ismailis.In fulfilling the mandate to sustain social, economic, cultural and civil society de-velopment, the Imamat collaborates with national governments, regional and inter-national institutions as well as civil society organisations. This paper highlights thework of the Conciliation and Arbitration Boards established under the Ismaili Con-stitution and more particularly the training programmes that have been conductedfor them over the last decade, indicating some of the best practices.

Over the centuries, Ismaili communities in various parts of the world, havebeen conducting their own ADR processes based on the ethics of the faith as guidedby the Imams of the Time. ... [The Aga Khan] was concerned about the massivecosts of litigation faced by members of the Ismaili community in various parts ofthe world. Not only were the legal costs very high, but the legal procedures, inmany countries, were particularly lengthy and did not always result in outcomesthat conformed with the principles of natural justice. The Aga Khan was concernedabout compliance with the ethics of the faith which promote a non-adversarial ap-proach to dispute resolution in keeping with the principles of negotiated settlement(sulh) enshrined in the Holy Qur’an.

The study indicated that a majority of the cases were in the field of familydisputes and that the national courts in the countries, where the disputants weresettled, were not always able to comprehend the inter-generational attitudinal issuesinvolved, let alone being able to resolve them. This syndrome is very much inkeeping with the notion of the “limited remedial imagination” that Menkel-Meadow attributes to the adversarial system which focuses on a zero-sum numbersgame where the “winner takes all”. It was therefore decided by the Imam, in con-sultation with the leaders of the various Ismaili communities worldwide, to buildon the community’s existing tradition of settling disputes amicably within the eth-ics of Islam and to establish Conciliation and Arbitration Boards at various levelsof social governance in the Ismaili communities throughout the world.

It was also felt that the system should be such that the first submission of anissue to an arbitrational or mediational body should ensure the highest degree ofproficiency, probity and fairness so that the number of cases which go for appealwould be minimal and that the process would be seen as being equitable, fair andcost effective. The Aga Khan’s advice was that such a system should endeavour toresolve disputes within the community without the disputants having to resort tounnecessary litigation which is time consuming, expensive and destructive. TheAga Khan saw the amicable resolution of disputes, without resorting to a court oflaw and within the ethics of the faith, as an important aspect of the improvementof the quality of life of the Ismailis globally. Consequently, the Ismaili Constitutionof 1986 made provision for the establishment of the Conciliation and ArbitrationBoards ».

66. The judge then in para 44 set out part of article XIII of the Constitutionwhich set up a National Conciliation and Arbitration Board for all types of dispute,which provided by article 13.5: « Each National Conciliation and Arbitration Boardshall upon the application of any Ismaili assist him to settle any differences or dis-putes with another party residing in the area of jurisdiction of the National Concili-

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ation and Arbitration Board in relation to any of the matters mentioned in article13.1(a) ».

Article 13.1(a) provided that the Board was: « to assist in the conciliationprocess between parties in differences or disputes arising from commercial, busi-ness and other civil liability matters, domestic and family matters, including thoserelating to matrimony, children of a marriage, matrimonial property, and testate andintestate succession; ».

67. In these circumstances the judge held that the provision in the JVA whichprovided that the arbitrators should be respected members of the Ismaili commu-nity and holders of high office within the community was a GOR within regulation7(3). He did so on the basis that the material set out above showed that, as he putit at para 45, one of the more significant and characteristic spirits of the Ismaili sectwas an enthusiasm for dispute resolution contained within the Ismaili community.He said that he had no difficulty in determining this spirit to be an « ethos based onreligion ». He also relied upon the terms of the arbitration clause itself and the en-gagement by both sides of members of the Ismaili community to perform media-tion and conciliation services from 1988 until 1994.

68. In my opinion the judge was justified in concluding that the requirement ofan Ismaili arbitrator can be regarded as a genuine occupational requirement on the ba-sis that it was not only genuine but both legitimate and justified, so that requirement(2) was satisfied. As to requirement (3), the judge said at para 46 that, had proportion-ality been a live issue, having regard to the parties’ freedom in section 1 of the 1996Act (quoted above) he would have held that article 8 of the JVA was proportionate.

69. The reasoning of the Court of Appeal [2010] ICR 1435 is set out in theirpara 29 as follows: « The judge’s findings about the nature and ethos of the Ismailicommunity were not challenged, but in our view he failed to pay sufficient regardto the other requirements of regulation 7(3), in particular, to whether, having regardto the ethos of that community and the nature of the arbitrator’s function, being anIsmaili was a genuine occupational requirement for its proper discharge. If the ar-bitration clause had empowered the tribunal to act ex aequo et bono it might havebeen possible to show that only an Ismaili could be expected to apply the moralprinciples and understanding of justice and fairness that are generally recognisedwithin that community as applicable between its members, but thearbitrators’function under clause 8 of the joint venture agreement is to determinethe dispute between the parties in accordance with the principles of English law.That requires some knowledge of the law itself, including the provisions of the Ar-bitration Act 1996, and an ability to conduct the proceedings fairly in accordancewith the rules of natural justice, but it does not call for any particular ethos.

Membership of the Ismaili community is clearly not necessary for the dis-charge of the arbitrator’s functions under an agreement of this kind and we are un-able to accept, therefore, that the exception provided in regulation 7 of the 2003Regulations can be invoked in this case ».

70. I prefer the approach of the judge. For the reasons given earlier, I am notpersuaded that the test is one of necessity. The question is whether, in all the cir-cumstances the provision that all the arbitrators should be respected members of theIsmaili community was legitimate and justified. In my opinion it was. The approachof the Court of Appeal seems to me to be too legalistic and technical.

The parties could properly regard arbitration before three Ismailis as likely to

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involve a procedure in which the parties could have confidence and as likely to leadto conclusions of fact in which they could have particular confidence.

71. For these reasons I would, if necessary, have allowed the appeal on thebasis that article 8 was a GOR within regulation 7(3). This conclusion makes it un-necessary to consider whether it also satisfied regulation 7(2).

Severance and costs

72. In these circumstances, neither the severance issue raised by Mr Hashwaninor the appeal on costs advanced by Mr Jivraj arises and I say nothing about them.

Reference to the Court of Justice

73. I would not refer any of the questions which arise in this appeal to theCourt of Justice. On the first question, the only questions of EC law which ariserelate to the true construction of the Directive. The Court of Justice has resolvedthose issues in a number of cases, notably Allonby [2004] ICR 1328. To my mindthe principles are now acte clair. On the second question, the principal issue be-tween the parties relates to the application of the relevant principles to the facts. Asto the correct construction of regulation 7(3), I have accepted Mr Brindle’s submis-sion that it does not involve a wholly subjective question on the ground that therelevant provision must be not only genuine, but also legitimate and justifiable. Inthese circumstances, I see no basis for a reference in relation to GOR, which wasin any event not determinative of the appeal.

Conclusion

74. I would allow the appeal.(Omissis).

Arbitrato, diritti umani e religioni.

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte suprema inglese pone fine adun dibattito che, iniziato con la pronuncia del giudice di prime cure, haagitato gli esperti di arbitrato in Inghilterra ed in altre parti del mondo. Larilevanza della piazza inglese per l’arbitrato e per il commercio internazio-nale in generale ha infatti trasformato quella che, a prima vista, apparivaquale una vicenda de minimis, in una disputatio intorno al ruolo della reli-gione nell’arbitrato commerciale internazionale nel secolo in cui vivia-mo (1).

(1) V. in particolare: BERNINI, The parties right to choose a person as arbitrator and

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A ben vedere, infatti, il caso Jivraj ha imposto una rivisitazione deglistessi consolidati principi che stanno alla base dell’autonomia della volontain sede di formazione ed esecuzione dell’accordo arbitrale con particolareriferimento ai limiti della scelta degli arbitri ad opera delle parti. Cio, sinoa lambire il terreno periglioso della natura del rapporto giuridico esistentetra gli arbitri e le parti ad una controversia transnazionale.

2. Occorre premettere alcuni cenni di fatto. Il 29 gennaio 1981 dueappartenenti alla comunita ismaelita, rispettivamente il Sig. Jivraj ed il Sig.Haswani, avevano concluso un contratto di joint venture in cui, all’art. 8 sistabiliva che, ogni controversia sarebbe stata risolta in via arbitrale da trearbitri, tutti « respected members » appartenenti alla stessa comunita. Cia-scuna parte avrebbe eletto un arbitro, tratto da detto gruppo sociale, men-tre il terzo arbitro sarebbe stato nominato dall’Aga Khan in quanto Imamdella comunita ismaelita. La joint venture aveva iniziato ad operare nelcommercio internazionale effettuando varie operazioni in Canada, negliStati Uniti, Pakistan e Regno Unito sviluppando un portafoglio finanziariocomprensivo di partecipazioni in terreni, hotel e societa petrolifere. Nel1988 i due soci avevano deciso di sciogliere la joint venture e, per fare cio,erano ricorsi ad un panel di conciliatori composto da membri della comu-nita ismaelita. Non riuscendo a comporre tutti gli interessi per questa via,le parti ricorrevano ad arbitrato. Con lettera datata 31 luglio 2008, i legalidi Hashwani comunicavano alla controparte di avere nominato arbitro SirAnthony Colman, un giudice in pensione della Commercial Court con unavasta esperienza in materia di arbitrato. In mancanza di una replica entrobreve termine, gli stessi legali indicavano che Sir Colman avrebbe ricopertola funzione di arbitro unico. Nella stessa lettera, aggiungevano che il rife-rimento alla comunita degli ismaeliti, previsto nella clausola compromisso-ria di cui al predetto art. 8 dell’accordo di joint venture, doveva conside-rarsi inefficace in quanto in contrasto, inter alia, con le disposizioni delloHuman Rights Act del 1998: pertanto la nomina di un non ismaelita, Sir

the prohibition of discrimination: an unstable balance (the Jivraj v. Hashwani case), inWorld Journal of Arbitration, 11/2011, 35-56; WILLIAMS, MORRIS, Hashwani v Jivraj - A Bar-rier To The Appointment Of An Arbitrator Based On Religious Belief?, in Mealey’s Interna-tional Arbitration Report, August 2010, 29 ss. ; YANG, Nurdin Jivraj v. Sadruddin Hashwani:The English Court of Appeal Erects a Regulatory Barrier to Appointment of Arbitrators inthe Name of Anti-Discrimination, in J. Int. Arb., 2011, 243 ; ZAIWALLA, Are Arbitrators NotHuman? Are They from Mars? Why Should Arbitrators be a Separate Species?, in J. Int.Arb., 2011, 273; CLIFFORD, HAERI, Jivraj v. Hashwani: Arbitrator Nationality and the Law ofUnintended Consequences, in Berkeley Journal Intern’l Law Publicist, vol. 8, Spring 2011;LAZAREFF, Des Ismaeliens..., in Cah. arb., 2010.959; RIGAUDEAU, La communaute arbitralevictime de discriminations a l’embauche repetees?, in LPA, 21 febbraio 2011, 14 ss.. V. pure,KLEIMAN, Arbitre, intuitu personae, in Liber amicorum S. Lazareff, Paris, Pedone, 2011, 361ss., nonche Rev. arb., 2011, con nota di SERAGLINI.

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Colman, era perfettamente lecita. Nel rigettare tale richiesta, Jivraj adiva laCommercial Court di Londra chiedendo che venisse pronunciata la nullitadella nomina ad arbitro di Sir Colman in quanto in contrasto con la speci-fica modalita di nomina pattuita nella clausola compromissoria.

3. Il giudice di prime cure, la Queen’s Bench Division (CommercialCourt) della High Court of Justice (2) rilevava che non sussisteva un con-trasto con le Employment Equality (Religion or Belief) Regulations del2003, tramite le quali era stata trasposta la Direttiva n. 2000/78/CE delConsiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per laparita di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, nesi ravvisavano profili di illiceita rispetto allo Human Rights Act 1998. Inparticolare, si osservava che gli arbitri non sono da considerarsi “em-ployed” ai sensi e per gli effetti delle predette Regulations. Inoltre, si ag-giungeva che, anche se per ipotesi si giungesse a quella conclusione, lespecifiche circostanze del caso, ossia il requisito dell’appartenenza degliarbitri alla comunita ismaelita, rendeva comunque applicabile l’eccezionedel « genuine occupational requirement » — eccezione prevista allor-quando l’appartenenza ad una data comunita o gruppo sociale costituiscaun elemento connaturato con il particolare lavoro da svolgere — giacche siravvisava in detta comunita un « ethos based on religion », oltre, beninteso,all’« entusiasmo » per la soluzione delle controversie in via arbitrale. Os-servava altresı che, nel caso di specie, qualora fosse stata accolta la tesidella discriminazione per motivi di religione, la conseguenza non sarebbestata la mera inefficacia della clausola arbitrale nella sola parte relativa allamodalita di scelta degli arbitri, bensı l’invalidita dell’intero patto compro-missorio.

In conclusione, il giudice di primo grado rigettava in toto le istanze diHaswani e, pertanto, quest’ultimo ricorreva alla Corte d’Appello chiedendouna pronuncia ove quest’ultima decidesse se gli arbitri ricadono nel campodi applicazione delle predette Regulations; se fosse o meno applicabile alcaso di specie la predetta eccezione relativa al « genuine occupational re-quirement » di cui all’art. 7 (3) delle Regulations ed infine, se la violazionedi dette Regulations comportasse l’invalidita dell’intero accordo arbitraleovvero solo della parte dell’accordo in cui si realizzava una discrimina-zione per motivi di religione.

4. La Corte d’appello di Londra, con una sentenza che ha fatto scal-pore (3), accoglieva il ricorso e rigettava la tesi del giudice di prime curerilevando che gli arbitri sono dei lavoratori « employed » ai sensi e per gli

(2) [2010] All ER 302.(3) [2010] EWCA Civ. 712; All ER 302.

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effetti delle suindicate Regulations. Il rapporto di arbitrato, osservano i giu-dici d’appello, e un contratto ove un soggetto, l’arbitro, si obbliga a pre-stare personalmente la propria opera: pertanto, tale fattispecie e copertadalla definizione di « employment » di cui alle predette Regulations. Percio,limitare la scelta delle parti — che divengono cosı dei « datori di lavoro »degli arbitri — ai solo membri della comunita ismaelita, equivale a violareil divieto di discriminazione nei rapporti di lavoro per motivi di religione.

Quanto alla applicabilita della eccezione relativa al « genuine occupa-tional requirement », ossia della stretta correlazione tra l’attivita da svol-gere e l’appartenenza ad una data comunita di cui all’art. 7(3) delle Regu-lations, la Corte d’Appello non ravvisava, nel caso di specie, gli estremi perapplicare detta eccezione, con il risultato di rendere l’accordo arbitrale di-scriminatorio e, pertanto, invalido.

5. La Supreme Court inglese, composta da Lord Phillips (Presi-dente) assieme a Lords Clarke, Dyson, Mance and Walker, investita dell’ul-teriore ricorso, ha dovuto definitivamente pronunciarsi sull’intera questioneed e di quest’ultima pronuncia che sono stati riportati ampi estratti in que-sta Rivista.

Cassando la sentenza della Corte d’Appello, la Suprema Corte ha de-finitivamente pronunciato che, pur se la nomina ad arbitro puo rientrarenelle fattispecie coperte dalle predette Regulations in quanto comprendentiogni « employment under... a contract personally to do any work », non siconfigura nel caso di specie alcun rapporto di subordinazione. Infatti, attra-verso un’ampia disamina della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE,la stessa Corte differenzia la posizione di coloro i quali sono da conside-rarsi « employed » da quei soggetti che invece sono « independent provi-ders of services » come avviene, appunto, per l’arbitrato.

Cosı, il requisito dell’appartenenza alla comunita ismaelita degli arbi-tri non preclude, in se e per se, agli arbitri di accedere al lavoro autonomoo subordinato ed in ogni caso, secondo la Corte, il carattere peculiare delcontratto di arbitrato (prescindendo anche dagli aspetti fiscali quali l’even-tuale applicazione delle norme sull’IVA) non consente di applicare al casodi specie le Regulations inglesi.

Quanto alla questione dell’eventuale invalidita dell’accordo arbitralela Suprema Corte ha stabilito, per le stesse ragioni di cui sopra, che tale ac-cordo e valido ed efficace. Pertanto, in un arbitrato tra membri della comu-nita ismaelita il riferimento ad arbitri ismaeliti e legittimo e le parti sonolibere di riporre la propria fiducia (« confidence ») su un procedimento diquesto tipo.

6. Insomma: back to basics! Sin dalle proprie origini, l’arbitrato si ecaratterizzato per alcuni tratti che ancor oggi ne determinano l’essenza.

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Uno di questi concerne proprio la possibilita per le parti di scegliere i pro-pri giudici privati (4) ed e proprio questo il primo problema che la sentenzain commento deve risolvere.

Notava gia Carabibier, in un corso all’Accademia di diritto internazio-nale dell’Aja nel 1960 che, nonostante una lunga tradizione, il codice diprocedura civile francese del 1806 aveva tentato di codificare i principalitratti dell’arbitrato seguendo tuttavia un approccio legislativo restrittivo edincentrato solo sulla dimensione processuale della giustizia arbitrale giac-che « le legislateur du Premier empire se mefiait des juges occasionnelsque sont les arbitres » (5). Opposto approccio si era seguito in Inghilterra,ove invece l’arbitrato aveva mantenuto il proprio ruolo nell’ambito dellapiu vasta lex mercatoria, un ruolo centrale volto alla soluzione delle con-troversie mercantili, dato che era destinato ad essere impiegato principal-mente nei porti e nelle fiere per la materia mercantile e marittima (6).

E pacifico quindi che, ancor oggi, uno dei motivi specifici che indu-cono le parti a ricorrere al giudizio arbitrale invece che impostare un con-tenzioso transnazionale dinanzi ad un giudice nazionale e proprio la possi-bilita di scegliere direttamente almeno un arbitro nonche, sia pure indiret-tamente, partecipare alla nomina del presidente del collegio arbitrale. Cioin quanto, secondo alcuni Autori,« [t]he parties can appoint persons inwhom they have confidence, and who have the necessary legal and techni-cal expertise for the determination of the particular dispute » (7). O ancora,

(4) Sul tema, tra una vastissima letteratura, si vedano in particolare: BENEDETTELLI,CONSOLO, RADICATI DI BROZOLO, Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale ed in-ternazionale, Padova, 2010, sub art. 810 c.p.c.; GAILLARD, Aspects philosophiques du droit del’arbitrage international, in RCADI, v. 329, 2009, 49 ss.; BLACKABY, PARTASIDES, Redfern andHunter on International Arbitration, Oxford, 5th ed., 2009, 258 s.; BORN, International Com-mercial Arbitration, Kluwer, I, 2009, 1363 ss.; BERNARDINI, L’arbitrato nel commercio e ne-gli investimenti internazionali, II ed., Milano, 2008; POUDRET, BESSON, Droit compare de l’ar-bitrage international, Zurich, 2007, 352 ss.; TH. CLAY, L’arbitre, Paris, 2001, n. 862, 657;FOUCHARD, GAILLARD, GOLDMAN, Traite de l’arbitrage commercial international, Paris, 1999,nn. 785 ss.; ROBINE, Le choix des arbitres, in Rev. arb., 1990, 315 ss.; LALIVE, Le choix del’arbitre, in Melanges Jacques Robert, Paris, 1998, 353 ss.; BRIGUGLIO, FAZZALARI, MARENGO,La nuova disciplina dell’arbitrato. Commentario, Milano, 1994, 33 ss.; GIARDINA, L’arbitratointernazionale, in questa Rivista, 1992, 21 ss.; LALIVE, POUDRET, REYMOND, Le droit de l’arbi-trage interne et internationale en Suisse, Lausanne, 1989, 74 ss.; R. DAVID, Arbitration in In-ternational Trade, Kluwer, 1985, 2 ss. ove ampi riferimenti. V. pure con un taglio di tipo so-ciologico lo studio di DEZALAY, GARTH, Dealing in virtue, University of Chicago Press, 1996.

(5) CARABIBIER, L’evolution de larbitrage commercial international, in RCADI, 1960,v. 99, 1, 127.

(6) Su tali aspetti si consenta di rinviare a MARRELLA, Alle origini dell’arbitratocommerciale internazionale. L’arbitrato a Venezia tra Medio Evo ed Eta moderna, con pref.di GIARDINA, Padova, 2001, passim, nonche ID., La nuova lex mercatoria. Principi Unidroited usi del commercio internazionale, Padova, 2002.

(7) LEW, MISTELIS, Comparative International Commercial Arbitration, Kluwer,2003, 223 ss., nonche SANDERS, Quo Vadis Arbitration?, Kluwer, 1999, 229 ss.

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secondo un celebre adagio, « arbitration is only as good as its arbitra-tors » (8).

Fermi restando i requisiti di capacita, imparzialita ed indipendenzadegli arbitri, ogni altro requisito quindi non puo essere utilmente fissato chedalle parti stesse attraverso l’esercizio della propria autonomia contrattuale.Detta autonomia contrattuale e soggetta ad un limite generalissimo di ra-gionevolezza (9) e, se l’arbitrato e commerciale-internazionale, ai limitidelle norme di applicazione necessaria e dell’ordine pubblico internaziona-le (10).

In questa vastissima sfera di ragionevole autonomia, dunque, le partipossono concordare, in sede di redazione dell’accordo arbitrale che gli ar-bitri debbano essere iscritti ad un determinato ordine professionale (anchediverso da quello degli avvocati, si pensi ai dottori commercialisti, agli in-gegneri, architetti ecc.), che posseggano particolare esperienza in specifichematerie, come quella del diritto internazionale o di specifici contratti (ad es.appalti privati e condizioni FIDIC), che conoscano una o piu lingue (ad es.quelle di entrambe le parti) e cosi via.

A fortiori, se le parti si riferiscono all’arbitrato amministrato daun’istituzione che stila periodicamente liste di arbitri da essa stessa consi-derati come « qualificati », non v’e dubbio che il riferimento a tale regola-mento arbitrale nell’accordo arbitrale valga per le parti quale accettazionedi detta modalita di nomina. Milita in tal senso una lunga tradizione in Ita-lia (11) ed all’estero, tradizione che ancor oggi e particolarmente evidentenegli arbitrati di qualita come quello GAFTA a Londra — e piu in generaleladdove le parti si riferiscano al « commercial man » (12) — o ancora nel-l’arbitrato marittimo (13). La mancata ottemperanza ai parametri dettatidalla istituzione arbitrale in materia di scelta dell’arbitro a volte e persino

(8) LALIVE, Some practical suggestions on international arbitration, in Melanges enl’honneur de Nicholas Valticos: Droit et Justice, Paris, 1989, 287 ss. V., nello stesso senso,Pierre LALIVE, Problemes relatifs a l’arbitrage international commercial, in RCADI, 1967-1,v. 120, 578 ss.

(9) BERNINI, op. cit., ove ampi riferimenti.(10) In argomento v. GALGANO, MARRELLA, Diritto del commercio internazionale, III

ed., Padova, 2011.(11) V. l’intramontabile saggio di NOBILI, L’arbitrato delle associazioni commerciali,

Padova, 1957, 19 ss. Ancor oggi, diversi regolamenti arbitrali stilati da Camere di commer-cio prevedono che la scelta dell’arbitro debba ricadere esclusivamente sui nominativi degliiscritti sulle liste stilate ed aggiornate da dette camere.

(12) LEW, MISTELIS, Comparative International Commercial Arbitration, Kluwer,2003, 223 ss., nonche SANDERS, Quo Vadis Arbitration?, Kluwer, 1999, 229 ss.

(13) V. il sito http://www.gafta.com/arbitration ove si legge che « All disputes areadjudicated by Arbitrators who have been assessed under the CPDP requirement and arequalified arbitrators » ed in argomento si v. Bernstein’s handbook of arbitration practice,London, 2003, cap. 16. Sull’arbitrato marittimo si v. MARRELLA, Unita e diversita dell’arbi-trato internazionale: l’arbitrato marittimo, in Dir. mar., 2005, 787 ss. ove riferimenti.

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munita di sanzione, tanto da poter aprire le porte ad un’istanza di ricusa-zione a causa della violazione del regolamento di arbitrato.

8. Tutto quanto ora ricordato ha trovato un significativo riconosci-mento, con varie sfumature, in alcuni strumenti normativi nazionali, neiprincipali regolamenti arbitrali e nei principali atti internazionali in materiadi arbitrato commerciale internazionale.

Basti ricordare, a tale riguardo, l’art. 179 della LDIP svizzera che, inmodo cristallino, prevede che « [g]li arbitri sono nominati, revocati e sosti-tuiti giusta quanto pattuito fra le parti » e solo in assenza di tali pattuizionisi ricorre ai criteri di scelta previsti dal diritto svizzero. Ancora: negli StatiUniti, la Section 5 del Federal Arbitration Act del 1925 — ma ancora in vi-gore — prevede che « [I]f in the agreement provision be made for amethod of naming or appointing an arbitrator or arbitrators or an umpire,such method shall be followed » (14). Nella stessa ottica, riteniamo, e dainterpretare l’art. 809, comma 2, c.p.c. italiano ai sensi del quale « [l]aconvenzione d’arbitrato deve contenere la nomina degli arbitri oppure sta-bilire il numero di essi e il modo di nominarli ».

Meno chiara, invece, la formula impiegata all’art. 11 della Legge Mo-dello dell’UNCITRAL del 1985 giacche si prevede solo che le parti sianolibere di accordarsi sul « procedimento di scelta » degli arbitri (« the par-ties are free to agree on a procedure of appointing the arbitrator or arbi-trators »).

Senonche, la legge modello dell’UNCITRAL prevede, all’art. 18, unlimite alla scelta delle parti prevedendo che « the parties shall be treatedwith equality » (15).

Detta formula, cosı ci sembra, diviene intelligibile nell’ottica di po-tenziali squilibri contrattuali, ribadendo il principio della parita dei poteridelle parti, secondo il quale nessuna delle parti deve avere piu potere del-l’altra (o delle altre) nella scelta degli arbitri. In quest’ottica diviene di par-ticolare interesse anche la legge tedesca del 22 dicembre 1997 la quale,onde evitare clausole di scelta arbitrale « squilibrate »se non vessatorie,prevede, all’art. 1034, par. 2, ZPO, che: « Gibt die Schiedsvereinbarung ei-

(14) U.S. FAA, 9 U.S.C. § 5.(15) Secondo la UNCITRAL 2012 Digest of Case Law on the Model Law on Inter-

national Commercial Arbitration, http://www.uncitral.org/pdf/english/clout/MAL-digest-2012-e.pdf, « Article 11 addresses the constitution of the arbitral tribunal, a question of a si-gnificant practical importance. First and foremost, it grants parties extensive freedom withrespect to who may be appointed as an arbitrator as well as to how arbitrators are to be ap-pointed. Secondly, article 11 sets out several rules which are applicable unless otherwiseagreed to by the parties: one prohibits discrimination based on nationality, while the othersestablish default appointment procedures that provide guidance when the parties have remai-ned silent on the method of appointment of the arbitrator — or the arbitrators, in the case ofa three-member arbitral tribunal ».

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ner Partei bei der Zusammensetzung des Schiedsgerichts ein Ubergewicht,das die andere Partei benachteiligt, so kann diese Partei bei Gericht bean-tragen, den oder die Schiedsrichter abweichend von der erfolgten Ernen-nung oder der vereinbarten Ernennungsregelung zu bestellen. Der Antragist spatestens bis zum Ablauf von zwei Wochen, nachdem der Partei dieZusammensetzung des Schiedsgerichts bekannt geworden ist, zu stellen. §1032 Abs. 3 gilt entsprechend » (16).

9. I principali regolamenti arbitrali (relativi all’arbitrato commer-ciale internazionale generale) fanno spesso riferimento alla nazionalita del-l’arbitro (normalmente il presidente del collegio arbitrale) con il fine dimassimizzare la « neutralita culturale » del collegio arbitrale (17). In talsenso, e ancora una volta, certamente non in chiave discriminatoria, vannodunque intese le norme di cui all’art. 5.4 e 6 LCIA del 1998 e, soprattuttodell’art. 9, comma 1, del regolamento ICC 1998 divenuto l’art. 13, comma1, del reg. ICC in vigore dal 1o gennaio 2012, ai sensi del quale « [n]elconfermare o nominare gli arbitri, la Corte tiene conto della loro naziona-lita e residenza e degli altri rapporti con gli Stati di cui le parti o gli altriarbitri hanno la nazionalita, nonche della disponibilita e della capacita de-gli arbitri di condurre un arbitrato conformemente al Regolamento ».

10. Particolari limiti alla scelta degli arbitri ad opera delle parti po-trebbero anche derivare dall’applicazione delle convenzioni internazionaliin materia di arbitrato. Non essendo possibile effettuare un’analisi completain questa sede, va comunque osservato che il Protocollo di Ginevra del 24settembre 1923 prevedeva, sia pure in modo alquanto ambiguo, che « [l]aprocedure de l’arbitrage, y compris la constitution du tribunal arbitral, estreglee par la volonte des parties et par la loi du pays sur le territoireduquel l’arbitrage a lieu ». Una formula ripresa successivamente all’art.1(2)(d))della Convenzione di Ginevra del 26 settembre 1927 (18) e chediede vita ad un’interpretazione largamente seguita secondo la quale la vo-lonta delle parti va considerata centrale ed efficace in pieno salva una sualimitazione in presenza di una violazione delle norme imperative delloStato in cui l’arbitrato ha sede.

La Convenzione di New York del 10 giugno 1958 sul riconoscimentoe l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri ha ulteriormente confermato detto

(16) V. SCHLOSSER, La nouvelle legislation allemande sur l’arbitrage, in Rev. arb.,1998, 291 ss.; LORCHER, The New German Arbitration Act, in J. Int’l Arb., 1998, 85 ss.; BER-GER, Germany adopts the UNCITRAL Model Law, in Int’l Arb. L. Rev., 1998, 121 s.

(17) In argomento v. per tutti BERNINI, Cultural Neutrality: A Prerequisite to ArbitralJustice, in Mich. J. Int’l L., 1989, 39 ss.

(18) Su cui v. per tutti BALLADORE PALLIERI, L’arbitrage prive dans les rapports inter-nationaux, in RCADI, 1935, I, 291 ss.

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approccio (19). Infatti, l’art. V, par. 1, lett. (d), di detta convenzione prevedeche il giudice statale possa rifiutarsi di concedere l’exequatur qualora:« [t]he composition of the arbitral authority... was not in accordance withthe agreement of the parties, or, failing such agreement, was not in accor-dance with the law of the country where the arbitration took place ».

Si conferma, ancora una volta, la filosofia sottesa alle norme in temadi scelta degli arbitri ad opera delle parti: un’ampia autonomia, fatto salvoil limite delle norme imperative, ma anche un’autonomia che se non eser-citata puo essere integrata dalle norme della lex arbitri che in questo casosvolgera una funzione suppletiva quanto ai meccanismi di nomina degli ar-bitri (e di fissazione del numero degli stessi).

Un cenno va fatto poi alla Convenzione europea sull’arbitrato com-merciale internazionale del 21 aprile 1961 (20) ove, all’art. IV, la sfera diautonomia delle parti viene precisata e salvaguardata indicando che « Theparties to an arbitration agreement shall be free to submit their disputes:(a) to a permanent arbitral institution; in this case, the arbitration procee-dings shall be held in conformity with the rules of the said institution; (b)to an ad hoc arbitral procedure; in this case, they shall be free inter alia (i)to appoint arbitrators or to establish means for their appointment in theevent of an actual dispute [...] ». Qui manca persino il riferimento alla lexsitus arbitri onde valorizzare al massimo la scelta delle parti a differenzadelle corrispondenti norme del Protocollo e della Convenzione di Ginevra.

Dall’altra parte dell’Atlantico, la Convenzione inter-americana sull’ar-bitrato commerciale internazionale del 30 gennaio 1975 prevede una solu-zione in linea con quanto sopra osservato all’art. 2 laddove si stabilisce che« Arbitrators shall be appointed in the manner agreed upon by the parties.Their appointment may be delegated to a third party, whether a natural orjuridical person. Arbitrators may be nationals or foreigners ».

La scelta degli arbitri ad opera delle parti viene, invece, per cosı dire,« indirizzata » nell’ambito della ben nota Convenzione di Washington del18 marzo 1965 in materia di arbitrato tra Stati e privati stranieri. Qui, l’IC-SID dispone di una lista di arbitri i cui nominativi vengono forniti dagliStati contraenti della Convenzione di Washington ovvero dal Presidente delConsiglio di Amministrazione dello stesso ICSID (art. 40). Ma anche qui,onde valorizzare la volonta delle parti si stabilisce che il riferimento a dettalista ha carattere facoltativo e non obbligatorio fermo restando il possesso

(19) In argomento si vedano ICCA’s Guide to the Interpretation of the 1958 NewYork Convention: A Handbook for Judges, 2011, 36-65; BRIGUGLIO, L’arbitrato estero, Pa-dova, 1999 e cfr. VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958, The Hague,Asser, 1981, 325 ss.

(20) Su cui v. inter alios, LUZZATTO, Accordi Internazionali e diritto interno in mate-ria di arbitrato: la convenzione di Ginevra del 21 aprile 1961, in Riv. dir. int. priv. proc.,1971, 47.

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di alcune qualifiche cosı indicate all’art. 14, par. 1, « Persons designated toserve on the Panels shall be persons of high moral character and recogni-zed competence in the fields of law, commerce, industry or finance, whomay be relied upon to exercise independent judgment. Competence in thefield of law shall be of particular importance in the case of persons on thePanel of Arbitrators ». Cio in quanto, ancora una volta, e indispensabileconsentire alle parti di scegliere come arbitri delle persone che godanodella loro fiducia e, ai loro occhi, posseggano una specifica expertise nellamateria del contendere (21).

11. Effettuate le premesse di cui sopra, il caso deciso dalla CorteSuprema Britannica appare dunque relativamente semplice e non sorprendel’esito raggiunto. Piuttosto, le difficolta del caso di specie emergono com-binando i principi di cui sopra con delle qualifiche particolari richieste agliarbitri non tanto in nome di pure necessita mercantili, bensı in quanto le-gate a motivazioni di carattere prevalentemente religioso.

Trattasi di fenomeni raramente assurti al rango della cronaca giudizia-ria in quanto, come osservava Rene David, al pari di quanto si indica par-lando della societas mercatorum, si tratta di sodalizi assai chiusi ove unagiustizia diversa da quella arbitrale — in particolare quella statuale — epercepita quale « altra » giustizia, e pertanto considerata con disfavore dallacomunita di appartenenza (22).

Cosı, l’arbitrato e stato da sempre largamente praticato nella tradi-zione ebraica (23) per la soluzione di controversie di ogni tipo specialmentenei Paesi ove vivono vaste comunita, quali gli Stati Uniti, la Gran Bretagnao la Francia.

Del pari, anche la tradizione musulmana, come testimonia il caso dispecie riferito alla comunita ismaelita (24), conosce da sempre l’arbitrato —viene infatti previsto nello stesso Corano al versetto 4:35 — intessendorapporti peculiari con il diritto secolare dei singoli Stati islamici i qualihanno adottato apposite legislazioni caratterizzate da una maggiore o mi-nore apertura verso l’arbitrato del commercio internazionale. Alcuni recentistudi hanno messo bene in evidenza che le leggi in materia arbitrale deiPaesi musulmani si sono largamente ispirate alla Legge Modello dell’UN-

(21) V. Per tutti: SCHREUER, MALINTOPPI, REINISCH, SINCLAIR, The ICSID Convention. ACommentary, II ed., Cambridge, 2009, 509 ss.

(22) DAVID, L’arbitrage dans le commerce international, Paris, 1982. V. pure MAR-RELLA, La nuova lex mercatoria, cit., nonche i diversi contributi editi nel num. spec. di Soc.dir., f. 2-3, 2005, con particolare riferimento al saggio di BOSCHIERO.

(23) LEBEN, L’arbitrage par un tribunal rabbinique appliquant le droit hebraıque, inRev. arb., 2011, 87 ss.

(24) Su cui v. ad es. VERCELLIN, Istituzioni del mondo musulmano, Torino, 1996; DA-TARI, Gli ismaeliti: storia di una comunita musulmana, Venezia, 2011.

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CITRAL del 1985 e a quelle in vigore nei Paesi occidentali. Sicche in sededi analisi comparatistica, all’interno della famiglia del diritto islamico,sembra possibile cogliere un approccio variabile nei confronti dell’arbitratosecondo una scala in cui si possono collocare pochissimi Paesi che appli-cano un vincolo massimo (equiparazione dell’arbitro, quale hakam, al giu-dice nazionale con imposizione quindi dei caratteri del genere maschile edel credo islamico) alla maggioranza degli altri Stati che invece lascianodette qualifiche alla libera determinazione delle parti (ad es. Libano edEgitto) (25).

Insomma, al di fuori del diverso problema concernente la discrimina-zione ex lege attraverso la normativa sull’arbitrato di fonte statale che nelnostro secolo sembra essere ormai superato, il problema della selezione de-gli arbitri puo essere pacatamente impostato facendo riferimento alla vo-lonta delle parti. Cosı, posto che l’autonomia della volonta delle parti ha unvalore centrale nell’arbitrato commerciale internazionale, ne segue che e adessa che occorre fare riferimento anche nel valutare, con ragionevolezza,delicate questioni che concernono l’appartenenza religiosa delle parti e de-gli arbitri. Cosı ha fatto la Corte Suprema inglese con una sentenza che, peril suo equilibrio, e da accogliere con favore.

In tal senso, sembra concludere anche il prof. Pietro Rescigno, in unarticolo concernente l’appartenenza di un arbitro all’Opus Dei appena pub-blicato in questa rivista (n. 2/2012) e che ben evidenzia il possibile impattodella sentenza britannica negli altri Paesi, compresa l’Italia, in cui quelleproblematiche potrebbero porsi.

12. Altro punto di sicuro interesse della sentenza in epigrafe tocca iltema generale del rapporto giuridico esistente tra gli arbitri e le parti, siapure nell’ambito di un arbitrato amministrato.

E ben noto che anche questo tema ha agitato la dottrina specialisticain Italia ed all’estero sicche un esame dei vari contributi in subiecta mate-ria esula certamente dai limiti del presente scritto. Basti comunque osser-vare che il punto di arrivo di tale dibattito e quello di dare una qualifica-zione contrattuale al rapporto tra le parti e l’arbitro, fermo restando l’og-getto processuale di detto contratto (26).

(25) V. per tutti: PAPA, L’arbitrato commerciale nei Paesi arabi, Perugia, 1992;BROWER, SHARPE, International Arbitration and the Islamic World: The Third Phase, in Am. J.Intl. L., 2003, 643 ss. e soprattutto il monumentale studio di EL AHDAB, Arbitration with theArab Countries, III ed., Kluwer, 2011. V. pure KHAWAR QURESHI, Cultural sensitivity and in-ternational arbitration, in International Journal of Arab Arbitration, v. 2, 2009, 41 ss.; AH-MAD ALKHAMEES, International Arbitration and Shari’a Law: Context, Scope, and Intersec-tions, ivi, 2011, v. 3, 255-264. Piu in generale v. R. DAVID, C. JAUFFRET SPINOSI, I grandi si-stemi giuridici contemporanei, 5a ed., Padova, 2004, 378 ss.

(26) Per l’Italia si vedano, inter multos: BALLADORE PALLIERI, L’arbitrage, cit., 334

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Page 183: Rivista dell'arbitrato 3-2012arbitratoaia.com › images › riviste › terza › 2012_3_ARBITRATO.pdf · 2. Una prima delibera (6), emanata in seguito alla richiesta dirisolvere

Secondo l’opinione pressoche generale, si tratta di un « contratto diarbitrato », contratto atipico che si instaura tra ciascun arbitro e le parti.Meno pacifica e, tuttavia, la determinazione di tutti i suoi effetti: taluni loassimilano ad un mandato, altri ad un contratto d’opera professionale rien-trante percio, nella categoria generale del lavoro autonomo. L’art. 813-terc.p.c. ha disciplinato in modo alquanto analitico specifiche fattispecie di re-sponsabilita dell’arbitro, compresa quella per omessa pronuncia del lodoche pero non hanno consentito di risolvere in maniera definitiva la vexataquestio dell’atipicita del contratto di arbitrato.

Orbene, anche sotto quest’ultimo profilo, il thema decidendi dinanzialla Corte Suprema inglese e di grande interesse. La Corte, infatti, dovevadecidere se, sulla base di un contratto di arbitrato, fossero ravvisabili gliestremi di un contratto di lavoro subordinato, almeno ai fini delle normeinglesi di trasposizione della Direttiva n. 2000/78/CE del Consiglio, del 27novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la parita di tratta-mento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro e del divieto ge-nerale di discriminazione in base alla religione nei rapporti di lavoro (27).La risposta a tale quesito, stante la natura del diritto dell’Unione Europea,ha rilevanza anche per l’Italia, dato che si tratta, inter alia, dell’interpreta-zione ad opera di un giudice nazionale delle norme di trasposizione di unadirettiva comunitaria, direttiva che, qualora fosse di dubbia interpretazione,potrebbe costituire oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustiziadell’Unione Europea con evidente ricaduta di quest’ultima pronuncia sullostatuto dell’arbitro in tutti e ventisette gli Stati Membri.

In tale contesto, la Corte d’appello inglese aveva indicato che la cir-costanza secondo la quale la nomina di un arbitro e finalizzata ad otteneredei servizi specifici rendeva di per se applicabili tutte le disposizioni in

ss.; REDENTI, voce Compromesso, in Nss. D.I., Torino, 1957, 789 ss.; BIAMONTI, voce Arbitrato(diritto processuale civile), in Enc. dir., I, Milano, 1958, 916 ss.; MIRABELLI, Contratti nel-l’arbitrato (con l’arbitro, con l’istituzione arbitrale), in Rass. arb., 1990, 22 ss.; CARPI (acura di), L’arbitrato, Bologna, 2001, 172 ss. ove ampi riferimenti. Tra la dottrina stranieracfr.: LALIVE, POUDRET, REYMOND, Le droit de l’arbitrage interne et international en Suisse, cit.,sub art. 179; FOUCHARD, in ICC, The Status of the arbitrator, in ICC Int.Cr. Bull, spec. Suppl.,1995; SCHLOSSER, in STEIN, JONAS (eds.), Kommentar zur Zivilprozessordnung § 1025, 22a ed.,2002; SCHOLDSTROM, The Arbitrator’s Mandate - A Comparative Study of Relationships inCommercial Arbitration under the Laws of England, Germany, Sweden and Switzerland, 94-97, 200-201, 1998; GAILLARD & SAVAGE (eds.), Fouchard Gaillard Goldman on InternationalCommercial Arbitration, cit., 1119-21; BORN, International commercial arbitration, I, Klu-wer, 2009, 1607 ss.

(27) Ai sensi dell’art. 3, par. 1, lett. a della Dir. n. 2000/78/CE: « la presente diret-tiva, si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresigli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene: a) alle condizioni di accesso all’occupa-zione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizionidi assunzione indipendentemente dal ramo di attivita e a tutti i livelli della gerarchia profes-sionale, nonche alla promozione) ».

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materia di libera prestazioni di servizi nonche quelle proibitive di qualun-que discriminazione. Cio in quanto, secondo il giudice d’appello, le Em-ployment Equality (Religion or Belief) Regulations del 2003, con cui la di-rettiva de qua aveva ricevuto trasposizione in Inghilterra, si applicano atutti i rapporti di lavoro fatta eccezione per quelle attivita ove un partico-lare credo religioso costituisce un « genuine occupational requirement ». Dipiu, il divieto generale di discriminazione per motivi religiosi e previstodall’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti del-l’uomo e delle liberta fondamentali del 4 novembre 1950 oltre che, per iltramite del rinvio di cui all’art. 6 TEU, all’art. 21 della Carta dei dirittifondamentali dell’Unione Europea. Senonche, e ben noto che tali divietiopererebbero onde evitare che gli ordinamenti nazionali tramite, ad esem-pio, la propria legislazione sull’arbitrato introducessero — come un tempoera avvenuto anche in Italia — discriminazioni in base alla nazionalita,sesso, religione ecc. restringendo per questa via la sfera di autonomia delleparti: si tratta quindi del caso opposto a quello di specie (28).

La posizione, a dire il vero, troppo vaga della Corte d’Appello, si ri-collegava a quella espressa, in modo alquanto generico e comunque obiter,sul piano dell’ordinamento comunitario, dall’Avvocato generale Maduronel caso Centrum (29). Qui, l’Avvocato generale aveva osservato che la Di-rettiva de qua va interpretata in un contesto ampio, teso a permettere l’ac-cesso al mercato del lavoro a tutti, eliminando qualsivoglia ostacolo allafornitura di servizi, con particolare riferimento alle discriminazioni dirazza, sesso e religione. Ma che l’arbitrato sia un lavoro di cui qualcunopossa farne la propria professione principale o esclusiva, come quella di unavvocato, di un architetto o di un... idraulico, e un miraggio che colpiscesolo chi dell’arbitrato non ha mai avuto alcuna esperienza concreta!

Orbene, secondo la Corte d’Appello gli arbitri rientravano nella no-zione generale di « employees » di cui alle predette Regulations in quantoalla base del loro rapporto con le parti si colloca « a contract personally todo any work ». Pertanto, sempre secondo la Corte, l’accordo arbitrale erada ritenersi invalido in quanto discriminatorio e ad esso non si poteva nem-meno applicare l’eccezione del « genuine occupational requirement ». Inestrema sintesi, per la Corte d’Appello, l’esercizio della funzione di arbitrova equiparata a quella di ogni altro lavoratore impedendo percio alle partiad un contratto internazionale (ma anche nazionale) di esprimere in pieno

(28) In argomento si rinvia, per un’analisi piu approfondita, a MARRELLA, Human Ri-ghts, Arbitration and Corporate Social Responsibility in the Law of International Trade, inBENEDEK, DE FEYTER, MARRELLA, Economic Globalisation and Human Rights, Cambridge,2007, 266-310; nonche JAKSIC, Arbitration and human rights, Frankfurt am Main, 2002, 17ss.

(29) Causa C-54/07, Centrum voor Gelijkheid van Kansen en voor Racismebestrij-ding v. Firma Feryan N.V., in Raccolta, 2008, I-1390.

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la loro scelta — legislativamente protetta — di comune accordo sulla per-sona e qualita dell’arbitro, cio che costituisce, da sempre, l’essenza stessadell’arbitrato. Non stupisce quindi, che il caso in esame abbia suscitatol’intervento nel procedimento de quo non solo del Principe Aga Khan maanche della London Court of International Arbitration e della stessa ICC:l’intero mondo dell’arbitrato in Inghilterra ne avrebbe subito uno scon-quasso fatale con il possibile risultato di una fuga generale da Londra edall’Inghilterra verso Paesi piu arbitration friendly.

Non stupisce nemmeno quindi che la Corte Suprema inglese abbia in-vertito radicalmente la rotta imboccata dalla Corte d’appello, cassandone lapronuncia e rimettendo il timone nella direzione del commercio globale edelle sue prassi antiche e moderne.

Rigettando in toto quella impostazione, la Corte Suprema ha conclusoperaltro che, nel caso di specie, non sussiste nemmeno motivo di ricorsopregiudiziale alla Corte di Giustizia UE a fini interpretativi della Direttivan. 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, vietando, inter alia,le discriminazioni fondate sulla religione al fine di rendere effettivo il prin-cipio della parita di trattamento. L’attivita di arbitro non rientra in quella di« lavoratore » come definita dalla stessa Corte di Giustizia, inter alia, nelcaso Allonby (Causa, C-256-/01, 13 gennaio 2004), ove interpretando l’art.141, n. 1, del Trattato CE, divenuto l’art. 157 del TFUE, la stessa Corte harilevato che « si deve ricordare che la nozione di lavoratore nel diritto co-munitario non e univoca, ma varia a seconda del settore di applicazioneconsiderato... L’espressione “lavoratore”, ai sensi dell’art. 141, n. 1, CEnon e espressamente definita nel Trattato CE » (punti 63-64). Ma ancor dipiu, come ben riconosce la Corte Suprema inglese, e fuor di dubbio che unarbitro non e una « persona che fornisca, per un certo periodo di tempo, afavore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contro-partita delle quali riceve una retribuzione » (punto 67 della sentenza citata).

L’arbitro, insomma, non e certamente ne un lavoratore subordinato, netantomeno agisce sotto la direzione della parte che lo ha nominato; al con-trario, operando sulla base di un contratto atipico, e il giudice delle parti eproprio perche e neutrale, indipendente ed imparziale decide liberamente lacontroversia con un lodo vincolante. Risultati, questi, largamente acquisitidalla dottrina specialistica italiana.

13. In conclusione, e valida la clausola compromissoria che fissa,con ragionevolezza, tra i requisiti degli arbitri indicati per comune volontadelle parti, quello dell’appartenenza ad una data comunita religiosa. Leparti dunque possono validamente stipulare nell’accordo arbitrale che unoo piu arbitri siano membri di una comunita religiosa ben identificata ed ilcui culto sia legittimo rispetto alla lex loci arbitri.

La piu alta istanza giurisdizionale inglese, infatti, ha scongiurato il ri-

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schio di qualificare discriminatorie, in base ad una interpretazione estensivadella normativa giuslavoristica inglese, non solo le clausole praticate dallacomunita islamica presenti in Gran Bretagna, ma anche tutte quelle clau-sole arbitrali ampiamente diffuse nel commercio internazionale che, interalia, prevedono determinati requisiti di competenza tecnica, nazionalita oanche di appartenenza religiosa degli arbitri. Corrispondendo ad esigenzeproprie al commercio internazionale, detti requisiti, ove liberamente pattuitidalle parti, sono ammessi nei regolamenti arbitrali internazionali piu diffusiquali quello della ICC o della LCIA o persino dell’UNCITRAL.

Per le stesse ragioni, la nomina di un arbitro la cui appartenenza reli-giosa non sia quella specificamente pattuita ed indicata dalle parti nell’ac-cordo arbitrale, costituisce una violazione dell’accordo arbitrale medesimo.

FABRIZIO MARRELLA

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GIURISPRUDENZA ARBITRALE

I) ITALIANA

Lodi annotati

CAMERA ARBITRALE DI MILANO — ARBITRO UNICO (Salvaneschi); nella con-troversia tra Alfa S.r.l. e Rossi, Beta S.r.l., nonche Gamma S.r.l. e Delta s.a.(lodo reso in Milano il 13 febbraio 2011).

Clausola compromissoria di fonte statutaria - Azione sociale ed individuale diresponsabilita proposta nei confronti degli amministratori - Interpreta-zione ed oggetto della clausola compromissoria - Criterio letterale - Art.808-quater c.p.c. ed art. 34 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5.

Deve ritenersi insussistente il potere decisorio del Tribunale Arbitrale con ri-ferimento all’azione sociale ed individuale di responsabilita degli amministratori diS.r.l. in mancanza della espressa manifestazione di volonta di estendere l’oggettodella clausola arbitrale alle azioni promosse da amministratori, liquidatori e sin-daci ovvero nei loro confronti, come richiesto dall’art. 34 del D.Lgs. 17 gennaio2003, n. 5. L’art. 808-quater c.p.c., pur privilegiando un’interpretazione estensivadella convenzione d’arbitrato, presuppone infatti la presenza di un dubbio erme-neutico che non puo ritenersi esistente nel caso in cui, nella clausola compromis-soria statutaria, manchino espressi riferimenti alle liti che coinvolgono gli organisociali.

CENNI DI FATTO. — Con domanda d’arbitrato depositata presso la Camera Ar-bitrale Nazionale ed Internazionale di Milano, la Alfa S.r.l. ha esercitato l’azionesociale ed individuale di responsabilita nei confronti dell’amministratore unicodella societa da essa partecipata, denominata Beta S.r.l. Con la medesima domandaarbitrale, l’attore ha altresı chiesto ai sensi dell’art. 2476, comma 7, c.c., l’accerta-mento della responsabilita degli altri soci della Beta S.r.l., e cioe della Gamma S.r.l.e della Delta s.a., per avere essi intenzionalmente concorso a compiere alcuni attipregiudizievoli per la Alfa S.r.l. Oltre alle domande di accertamento appena de-scritte, l’attore ha chiesto la condanna generica dell’amministratore al risarcimentodel danno cagionato al patrimonio della Beta S.r.l., la condanna solidale dell’am-ministratore stesso, nonche dei soci convenuti, Gamma S.r.l. e Delta s.a., al risar-cimento del danno da essa individualmente e direttamente subito per effetto degliilleciti commessi dai convenuti.

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I convenuti, oltre a chiedere il rigetto nel merito dell’azione esercitata da parteattrice, hanno eccepito, in via preliminare, l’inammissibilita del procedimento arbi-trale. In particolare, l’amministratore, Sig. Rossi, e la Beta S.r.l., hanno precisatoche le domande proposte dalla Alfa S.r.l. nei loro confronti esulerebbero dall’og-getto della clausola arbitrale contenuta nell’art. 35 dello Statuto della Beta S.r.l. In-fatti, la clausola in esame si limiterebbe a devolvere in arbitrato le controversie in-sorte « tra i soci ovvero tra i soci e la societa », mentre le domande proposte dal-l’attore riguarderebbero il rapporto tra il socio Alfa S.r.l. e l’organo amministrativoe l’ipotetica responsabilita per mala gestio di quest’ultimo.

La Gamma S.r.l. e la Delta s.a. (socie della Beta S.r.l.), hanno sostenuto che,in base all’art. 35 dello Statuto della Beta S.r.l., sarebbe necessario escludere lacompetenza arbitrale anche con riferimento alla domanda formulata nei loro con-fronti, ai sensi dell’art. 2476, comma 7, c.c. L’esame di tale domanda, infatti, im-plicherebbe un accertamento incidentale di eventuali condotte negligenti dell’am-ministratore, che sarebbe, pero, precluso dal tenore della clausola compromissoriadi cui si discute, che consente agli arbitri di conoscere solo le liti « tra i soci ov-vero tra i soci e la societa ».

MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1. La questione che si pone in primo luogo all’Ar-bitro Unico e se la clausola compromissoria contenuta nell’art. 35 dello Statuto diBeta S.r.l. abbia ad oggetto anche l’azione sociale di responsabilita nei confrontidell’organo amministrativo. Per risolvere la questione, occorre anzitutto ricordareche l’art. 34, comma 1 del D.Lgs. n. 5/2003 prevede che « gli atti costitutivi dellesocieta, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischioa norma dell’art. 2325-bis del codice civile, possono, mediante clausole compro-missorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controver-sie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la societa che abbiano ad oggetto dirittidisponibili relativi al rapporto sociale ». Il comma 4 della medesima disposizionestabilisce che « gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad og-getto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero neiloro confronti e, in tale caso, essa, a seguito dell’accettazione dell’incarico, e vin-colante per costoro ». L’interpretazione unanime della norma da ultimo richiamatae nel senso della sua lettera e cioe che gli atti costitutivi possono prevedere che laclausola compromissoria si estenda alle controversie cui siano legittimati attivi opassivi gli amministratori, i liquidatori e i sindaci e in questo caso il potere deci-sorio degli arbitri si estende a tali controversie; al contrario, tuttavia, quando taleprevisione non vi sia, il potere degli arbitri in proposito sia da escludere. Orbene,nel nostro caso l’art. 35 dello Statuto (...) di Beta S.r.l. fa riferimento esclusiva-mente alle liti descritte nel comma 1 dell’art. 34 del D.Lgs. n. 5/2003. I soci di BetaS.r.l., invece, non si sono avvalsi della facolta (concessa dal comma 4 dell’articoloin parola) di estendere l’oggetto della clausola arbitrale alle azioni « promosse daamministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti » (categoria in cuirientra anche l’azione sociale di responsabilita). In assenza di una siffatta manife-stazione di volonta, che e invece espressamente richiesta dalla legge, l’azione so-ciale di responsabilita non puo quindi considerarsi inclusa nell’oggetto della clau-sola compromissoria, derivando da cio la carenza di potere decisorio dell’ArbitroUnico in materia. Tali conclusioni — contrariamente a quanto sostenuto da AlfaS.r.l. — non possono essere smentite dall’applicazione dei canoni interpretativi di

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cui all’art. 1362 c.c. e all’art. 808-quater c.p.c. Quanto alla prima delle disposizionicitate, occorre ricordare infatti che essa prevede che i contratti devono essere inter-pretati indagando « quale sia stata la comune intenzione delle parti ». Orbene, lacomune intenzione delle parti, nel caso di specie, e stata chiaramente espressa nel-l’art. 35 dello Statuto, in cui si descrivono le possibili controversie oggetto d’arbi-trato, senza includervi le liti relative ai rapporti tra societa e soci, da un lato, e am-ministratori, dall’altro. Considerato il tenore letterale dell’art. 35 dello Statuto, nonvi e poi neppure spazio per dare applicazione all’art. 808-quater c.p.c.: tale dispo-sizione, infatti, impone all’interprete di adottare un’interpretazione estensiva dellaconvenzione d’arbitrato nell’ipotesi in cui vi sia un dubbio sul suo significato; unsimile dubbio, pero, nel nostro caso, e del tutto assente, mancando ogni riferimentonella clausola compromissoria statutaria alle liti che coinvolgano gli organi sociali.La carenza di potere decisorio del Tribunale Arbitrale rispetto all’azione sociale diresponsabilita promossa da Alfa S.r.l. nei confronti dell’amministratore unico diBeta S.r.l., Sig. Rossi consente di non porre in questa sede il problema che lo stessoTribunale Arbitrale dovrebbe invece sollevare per poter affrontare il merito dellacontroversia. Nel caso in esame, infatti, Beta S.r.l. e stata correttamente evocata ingiudizio dal socio che ha esercitato l’azione di cui all’art. 2476 c.c. in quanto liti-sconsorte necessario nell’azione stessa (...). 2. Le considerazioni svolte nel prece-dente par. 1 valgono anche a risolvere l’ulteriore questione che si pone all’ArbitroUnico, e cioe se l’azione individuale di responsabilita esercitata dal singolo socionei confronti dell’organo amministrativo sia compresa nell’oggetto della clausolacompromissoria di cui all’art. 35 dello Statuto di Beta S.r.l. Anche a tale questionedeve darsi risposta negativa: i soci di Beta S.r.l., infatti, non si sono avvalsi dellafacolta di includere tale tipo di azione (rientrante nel novero di quelle descritte dal-l’art. 34, comma 4 del D.Lgs. n. 5/2003) tra le controversie devolute alla cogni-zione degli arbitri; da tale scelta dei soci non puo che discendere l’assoluta carenzadi potestas iudicandi del Tribunale Arbitrale rispetto all’azione individuale di re-sponsabilita esercitata dal singolo socio nei confronti dell’amministratore. 3. Di-versa e invece la questione se esaminata con riferimento alle domande di accerta-mento e di condanna formulate da Alfa S.r.l. nei confronti di Gamma S.r.l. e diDelta S.A. L’art. 35 dello Statuto di Beta S.r.l., infatti, include espressamente le liti« tra i soci », nel novero delle controversie devolute in arbitrato; e le domandeproposte (ai sensi dell’art. 2476, comma 7 c.c.) da Alfa S.r.l. contro Gamma S.r.l.e Delta S.A. rientrano senz’altro in tale categoria. L’Arbitro Unico e quindi dotatosulla base della richiamata clausola compromissoria statutaria di potere decisoriorispetto alle domande ora in esame. Ne tale potere verrebbe escluso dalla eventualenecessita di conoscere in via incidentale la questione relativa all’esistenza dellapretesa responsabilita per mala gestio dell’amministratore, questione sulla qualel’Arbitro Unico ha dichiarato con Lodo definitivo per quanto riguarda il capo di cuialla domanda formulata ai sensi dell’art. 2476, comma 3 c.c., la carenza del pro-prio potere a decidere con efficacia di giudicato. Infatti, il vigente art. 819, comma1 c.p.c. (...) consente agli arbitri di risolvere « senza autorita di giudicato tutte lequestioni rilevanti per la decisione della controversia »; pertanto, se anche si rite-nesse che il giudizio sulla responsabilita dei soci dell’art. 2476, comma 7 c.c. im-plichi necessariamente una cognizione incidentale sulla sussistenza di una respon-sabilita per mala gestio dell’organo amministrativo, cio non sarebbe comunque diostacolo rispetto alla valutazione e alla decisione, da parte del Tribunale Arbitrale,

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delle domande proposte da Alfa S.r.l. nei confronti di Gamma S.r.l. e Delta S.A. 4.Il Tribunale Arbitrale, per le ragioni sin qui esposte, ritiene dunque di dover sepa-rare le cause (cumulativamente proposte dall’attrice) aventi ad oggetto l’azione so-ciale e l’azione individuale di responsabilita esercitate da Alfa S.r.l. nei confrontidel Sig. Rossi (...) da quella relativa all’azione individuale esercitata dalla stessaAlfa S.r.l. nei confronti di Gamma S.r.l. e Delta S.A. ai sensi dell’art. 2476, comma7 c.c. (...), e di dover pronunciare in via definitiva sulle prime declinando la carenzadel proprio potere decisorio e in via non definitiva sulla seconda, ritenendo invecela causa ai fini della decisione di merito (...).

P.Q.M. — Il Tribunale Arbitrale (...) previa separazione delle cause di cui allesuccessive lettere A e B dalla causa di cui alla successiva lettera C: A. dichiaral’insussistenza del proprio potere decisorio in relazione all’azione sociale di respon-sabilita esercitata da Alfa S.r.l. nei confronti del Sig. Rossi e alle domande di ac-certamento e di condanna formulate a tale titolo nei confronti dello stesso Sig.Rossi; B. dichiara l’insussistenza del proprio potere decisorio in relazione al-l’azione individuale di responsabilita esercitata da Alfa S.r.l. nei confronti del Sig.Rossi e alle domande di accertamento e di condanna formulate a tale titolo neiconfronti dello stesso Sig. Rossi; C. dichiara l’esistenza del proprio potere deciso-rio in relazione all’azione individuale di responsabilita esercitata da Alfa S.r.l. neiconfronti di Gamma S.r.l. e di Delta S.A. e alle domande di accertamento e di con-danna formulate a tale titolo nei confronti delle stesse Gamma S.r.l. e di Delta S.A.

(Omissis).

Note sulla struttura e sull’interpretazione della clausola compromisso-ria di fonte statutaria.

1. La controversia oggetto di esame nel lodo in commento trae originedalla convenzione arbitrale contenuta nell’art. 35 dello Statuto della Beta S.r.l.in base al quale « qualsiasi controversia dovesse insorgere tra i soci ovverotra i soci e la societa che abbia ad oggetto diritti disponibili relativi al rap-porto sociale, ad eccezione di quello nelle quali la legge prevede l’interventoobbligatorio del pubblico ministero, dovra essere risolta da un collegio arbi-trale, composto da uno a tre membri a scelta anche di una sola parte e no-minati dalla Camera Arbitrale Nazionale ed Internazionale di Milano ai sensidel Regolamento Arbitrale Nazionale vigente al momento dell’insorgere dellacontroversia e ai sensi del D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 ».

In base alla clausola compromissoria citata, parte attrice, socia dellaBeta S.r.l., conveniva in giudizio l’amministratore e due soci della S.r.l.,chiedendone la condanna al risarcimento dei danni causati alla societa non-che al socio stesso. Le azioni esperite comprendevano quindi: l’azione so-ciale di responsabilita proposta dal socio nei confronti dell’amministratoree diretta ad ottenere la condanna dell’amministratore al risarcimento deidanni subiti dalla societa, ai sensi del primo comma dell’art. 2476 c.c.;

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l’azione individuale di responsabilita, proposta dal socio nei confronti del-l’amministratore e di altri soci per i danni dallo stesso subiti ai sensi delsesto e del settimo comma dell’art. 2476 c.c.

L’amministratore della societa, costituendosi in giudizio, oltre a chie-dere il rigetto della domanda nel merito, proponeva eccezione di improce-dibilita e/o inammissibilita del procedimento arbitrale. Secondo le argo-mentazioni difensive del convenuto, le domande proposte da parte attriceesulavano in realta dall’oggetto della clausola arbitrale contenuta nello sta-tuto sociale, il cui ambito applicativo era limitato alle controversie tra i sociovvero tra i soci e la societa, senza comprendere le controversie vertenti trasocio ed organo amministrativo.

I soci convenuti in giudizio concludevano nel medesimo senso, preci-sando che, in base all’art. 35 dello statuto sociale, sarebbe necessario esclu-dere la competenza arbitrale anche con riferimento alla domanda formulatanei loro confronti, ai sensi del settimo comma dell’art. 2476 c.c. L’esamedi tale domanda implicherebbe, infatti, un accertamento incidentale dieventuali condotte negligenti dell’amministratore, da ritenersi precluso inbase al tenore della clausola compromissoria, il cui ambito di applicabilitasarebbe limitato alle liti tra i soci ovvero tra i soci e la societa.

Con il lodo del 3 febbraio 2011 sono esaminate le domande propostein modo autonomo e differenziato e, quindi: l’azione sociale di responsabi-lita proposta nei confronti degli amministratori, l’azione individuale di re-sponsabilita proposta dal socio nei confronti dell’amministratore e l’azioneindividuale proposta dal socio nei confronti degli altri soci. Oltre all’auto-nomia delle domande ed ai diversi presupposti che le caratterizzano, l’esi-genza di una trattazione separata delle stesse discende dalla necessita didelimitare ed individuare l’oggetto della clausola compromissoria. Le prin-cipali questioni esaminate sono pertanto rappresentate dall’individuazionedel procedimento ermeneutico e dei limiti oggettivi e soggettivi della clau-sola compromissoria di fonte statutaria.

2. La clausola compromissoria, come si ricava dall’art. 808 c.p.c.,costituisce un accordo con cui le parti, nel contratto che stipulano o in unatto separato, stabiliscono che le controversie nascenti dal contratto mede-simo siano decise da arbitri. Ferma la natura di atto di autonomia privatadell’accordo in esame (1), contrasti dottrinali e giurisprudenziali sono sorti

(1) P. RESCIGNO, Arbitrato e autonomia contrattuale, in questa Rivista, 1991, 15 s., ilquale sottolinea che l’arbitrato, tipo dotato di disciplina particolare ai sensi dell’art. 1322 c.c., hala sua fonte nel compromesso o nella clausola compromissoria, che costituiscono atti di autono-mia contrattuale, ed ha come effetto il vincolo che il lodo produce a carico delle parti dalla datadella sua sottoscrizione e che si traduce nella forza di legge racchiusa nell’art. 1372 c.c.

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nel tentativo di qualificare giuridicamente la clausola compromissoria cosıcome il compromesso.

Secondo la tesi della natura contrattuale, sostenuta dalla dottrina (2) edalla giurisprudenza (3) prevalente, l’analisi della clausola deve essere con-dotta secondo gli schemi tipici dell’atto con struttura bilaterale disciplinatodagli artt. 1321 ss. c.c., con la conseguente applicabilita delle regole pro-prie dei contratti, oltre che della disciplina contenuta negli artt. 806 ss.c.p.c.

L’analisi della funzione e del profilo teleologico della clausola com-promissoria — come del compromesso — hanno dato luogo a perplessitasulla qualificazione contrattuale dell’accordo specie nella dottrina meno re-cente, sottolineando che il rapporto regolato non era di natura sostanzialema esclusivamente processuale. La dottrina prevalente ritiene, invece, chela clausola compromissoria abbia natura composita regolando sia un mo-mento processuale che un rapporto sostanziale e vada, quindi, definita comeun contratto con efficacia processuale (4).

Strutturalmente, la clausola compromissoria e un accordo tra due opiu parti e si distingue dalla categoria degli atti processuali, in quanto none finalizzata all’emissione dell’atto conclusivo del processo, lodo o sen-

(2) REDENTI, voce Compromesso, in Noviss. dig. it., III, Torino, 1959, 789, secondoil quale il compromesso e qualificabile come contratto complesso e composito in cui si com-binano sia la nomina degli arbitri che l’accettazione di questi; ID., Diritto processuale civile,III, rist. 2a ed., Milano, 1957, 454; SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, 3a ed., Milano, 1988, 53, de-finisce il compromesso come contratto ad effetti processuali, anche se poi rappresenta che ilsuo contenuto non e costituito da un diritto patrimoniale, trattandosi del mezzo con cui leparti stabiliscono solo che la decisione della controversia sia demandata ad un giudice parti-colare anziche al giudice ordinario, senza abbandonare le loro reciproche pretese; PUNZI, voceArbitrato, in Enc. giur., II, 1988, 10; MIRABELLI, GIACOBBE, Diritto dell’arbitrato, Napoli,1997, 14 ss.; BOVE, Il patto compromissorio rituale, in Riv. dir. civ., 2002, 1, 414, il qualesottolinea che alla base dell’arbitrato rituale vi sono due contratti quello tra le parti che scel-gono la via arbitrale, patto compromissorio, e quello successivo con il quale le parti incari-cano gli arbitri; VERDE, La convenzione di arbitrato, in AA.VV., Diritto dell’arbitrato rituale,Torino, 2000, 64; FAZZALARI, voce Processo arbitrale, in Enc. dir., XXXVI, Milano, 1987,305.

(3) Si veda: Cass., Sez. un., 25 luglio 1964, n. 2058, in Giust. civ., 1965, 1, 88, se-condo cui il compromesso e la clausola compromissoria sono considerati dall’ordinamentogiuridico come atti negoziali anche se destinati a produrre i loro effetti nel processo; Cass.,5 settembre 1977, n. 3989, in Mass. Giust. civ., 1977, 1617; Cass., 16 novembre 1988, n.6203, in Giust. civ., 1989, I, 615. Sulla natura giuridica del lodo e dell’attivita dell’arbitro siveda: Cass., 3 agosto 2000, n. 527, in questa Rivista, 2000, 699; Cass., 11 guigno 2001, n.7858, in Foro it., 2001, I, 2381.

(4) MIRABELLI, GIACOBBE, op. ult. cit., 18.Sulla differenza tra il patto compromissorio ed il contratto di arbitrato, si veda MA-

RULLO DI CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, Milano, 2008. Precisa BOVE, op. ult. cit., 417,nota 51, che il patto compromissorio costituisce l’atto costitutivo del fenomeno arbitrale,mentre non si puo qualificare come atto fondativo, il contratto stipulato tra le parti e gli ar-bitri.

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tenza. Da essa derivano, tuttavia, effetti processuali in quanto, da un lato,fonda l’intero fenomeno arbitrale e l’efficacia vincolante del lodo e, dall’al-tro, impedisce lo svolgimento dell’attivita giurisdizionale dello stato (5).

In realta, i maggiori dubbi sull’individuazione della natura giuridicadella clausola compromissoria e sulla riconducibilita della stessa al contrat-to (6) concernono la patrimonialita della prestazione, requisito che caratte-rizza il contratto come disciplinato dall’art. 1321 c.c., ma non sembra rife-ribile alla clausola compromissoria (7). Argomentando dall’assenza del ca-rattere della patrimonialita (8), si dovrebbe ricondurre la clausola compro-

(5) BOVE, op. ult. cit., 417 s., il quale, nel sottolineare la natura contrattuale dellaclausola compromissoria, rappresenta l’applicabilita alla stessa delle norme e dei principi ge-nerali previsti per la formazione e la validita dei contratti.

(6) Secondo CARNELUTTI, Clausola compromissoria e competenza degli arbitri, in Riv.dir. comm., 1921, I, 327 ss., la clausola compromissoria non puo essere qualificata come con-tratto, ma rappresenta un atto complesso, in quanto, attraverso lo stesso, le parti non regolano unconflitto di interessi ma individuano un soggetto per la decisione di una categoria di liti.

(7) Sul punto, secondo STESURI, Gli arbitrati societari, Torino, 2007, 9 ss., la con-venzione d’arbitrato ha natura contrattuale ma non ha carattere patrimoniale, in quanto la suafunzione non e quella di costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimonialetra le parti, ma di dirimere una controversia presente o futura. Il contenuto patrimoniale, an-che nel caso in cui la clausola contenga disposizioni di carattere patrimoniale, non e attuale,ma mediato o di secondo grado. Ne deriva, secondo l’A., che alla convenzione d’arbitratonon sono applicabili tutte le norme che disciplinano i contratti, ma unicamente quelle com-patibili con le caratteristiche e la funzione di quest’ultima.

(8) In questo senso, ZACCHEO, Contratto e clausola compromissoria, in Riv. trim. dir.proc. civ., 1987, 425, nota 4.

Sul punto, si puo osservare che il contratto, oltre che per la sua struttura, si caratterizzaanche per la sua patrimonialita, cioe si tratta di un atto bilaterale — o plurilaterale — avente adoggetto rapporti suscettibili di valutazione economica. Il riferimento alla patrimonialita mancavanel Codice civile del 1865, il cui art. 1098 si limitava ad affermare « il contratto e l’accordo didue o piu persone per costituire, regolare o sciogliere tra loro un vincolo giuridico ». Come ri-leva BIANCA, Diritto civile, 3. Il contratto, Milano, 2000, 3, un accordo diretto a costituire, rego-lare o estinguere un rapporto giuridico di carattere non patrimoniale non e un contratto. Il rife-rimento alla patrimonialita si riscontra nell’art. 1321 c.c., rapporto giuridico patrimoniale, nel-l’art. 1324 c.c., atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale, e nell’art. 1174 c.c. doveil requisito in esame e attribuito alla prestazione « che forma oggetto dell’obbligazione ». Il ca-rattere della patrimonialita, come osserva IRTI, Per una lettura dell’art. 1324 c.c., in Riv. dir. civ.,1994, 1, 560, non e attribuito sempre allo stesso referente logico, ma al contenuto, al rapporto,alla prestazione. Nel riferirsi alla valutabilita economica del contenuto o alla patrimonialita delrapporto giuridico, il legislatore ha operato una dislocazione di piani concettuali, metonimia, pereffetto della quale ha trasferito il predicato della patrimonialita dal concetto a cui propriamentesi applica ad un altro concetto che presenta con il primo una specifica connessione. Il concettocui e riferibile il carattere in esame e la prestazione, e solo la prestazione ad essere suscettibiledi valutazione economica e non il contenuto, ne il rapporto giuridico. Pertanto, per rapporto giu-ridico patrimoniale occorre fare riferimento alla prestazione che costituisce oggetto dell’obbliga-zione la quale deve essere suscettibile di valutazione economica.

In dottrina, si distinguono diversi orientamenti sulla valutabilita economica della presta-zione. La tesi oggettivistica indica la patrimonialita come un requisito immanente alla presta-

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missoria alla generale categoria degli atti con struttura bilaterale, dei qualiil contratto rappresenta solo una specie.

La rubrica dell’art. 808 c.p.c. con il riferimento al termine clausola hadeterminato, nella dottrina piu risalente, dubbi anche sull’autonomia ovverosull’accessorieta della stessa. L’enunciato linguistico « clausola » designa,almeno in via di prima approssimazione, un atto aggiunto dalle parti ad al-tro atto, rispetto al quale assume una posizione accessoria e del quale con-divide gli effetti (9). Il legislatore codicistico non ha tuttavia individuatouna nozione unitaria di clausola, con la conseguenza che tale vocabolo co-stituisce, in base al diritto positivo, un termine polisemico (10). Nel caso dispecie, il riferimento al termine « clausola », contenuto nella rubrica del-

zione e la identifica nel valore di mercato o nella valutazione derivante dall’ambiente giuridicosociale. L’orientamento soggettivistico ritiene che la patrimonialita della prestazione possa an-che derivare da una valutazione delle parti del contratto da cui l’obbligazione trae fonte. Secondoquest’ultima tesi, da ritenersi prevalente, la prestazione puo avere un valore di scambio obietti-vamente accertabile oppure puo avere un valore economico solo per le parti. Per ulteriori appro-fondimenti, cfr., tra gli altri: BIANCA, Diritto civile, 4. L’obbligazione, Milano, 1993, 77 ss.; CIAN,Interesse del creditore e patrimonialita della prestazione (valore normativo dell’art. 1174 c.c.),in Riv. dir. civ., 1968, I, 242 ss.; GIORGIANNI, L’obbligazione (la parte generale delle obbliga-zioni), I, Milano, 1968, 38; CANNATA, Le obbligazioni in generale, in Trattato di diritto privato,diretto da Rescigno, IX, Torino, 1984, 11 ss. Alle medesime conclusioni deve pervenirsi ancheper il contratto che, ai sensi dell’art. 1321 c.c., e rivolto a costituire, regolare o estinguere un« rapporto giuridico patrimoniale ». Con tale indicazione il legislatore intende riferirsi al fattoche il contratto deve avere ad oggetto cose o prestazioni suscettibili di valutazione economica.Come rileva la Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice civile, n. 557 « la possibilita divalutazione economica non si ha soltanto se la prestazione abbia un intrinseco valore patrimo-niale ma anche quando lo riceve di riflesso dalla natura della controprestazione ovvero da unavalutazione fatta dalle parti, come nel caso in cui si conviene una clausola penale. Da cio la ne-cessita di valutare la pecuniarieta della prestazione considerando il rapporto nel suo complesso ».La valutabilita economica della prestazione puo, quindi, essere individuata: dall’intrinseco valoredella prestazione; dalla controprestazione; da una valutazione fatta espressamente dalle parti,come si puo evincere dalla predisposizione di una clausola penale (si veda Cass., 8 febbraio1961, n. 265, in Giust. civ., 1961, I, 585). Da tale impostazione si ricava che il carattere patri-moniale si riferisce esclusivamente alla prestazione, ma la valutabilita economica della presta-zione puo essere desunta dal rapporto giuridico nel suo complesso. Nel caso della clausola com-promissoria non sembra potersi individuare una prestazione di carattere patrimoniale, essendol’oggetto dell’accordo il deferimento a terzi del potere di decidere la controversia.

(9) Per un esame approfondito della tematica, anche in chiave storica, si veda ZAC-CHEO, op. ult. cit., 423 ss., il quale sottolinea che il termine utilizzato condizionava i giuristidel secolo scorso tanto da indurli a sostenere che la clausola compromissoria non potevaconcepirsi senza l’esistenza di un contratto principale, di cui costituiva una delle obbligazioniconvenute tra le parti.

(10) Sulla nozione di clausola contrattuale, derivante etimologicamente dal latinoclaudere, utilizzato nelle fonti romane per indicare una parte, un capitolo della legge o del-l’editto, clausola edictalis, si veda: TAMPONI, Contributo all’esegesi dell’art. 1419 c.c., in Riv.trim. dir. proc. civ., 1978, 105; GRASSETTI, Clausola del negozio, in Enc. dir., VII, 1960, 184;SICCHIERO, Clausola contrattuale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Agg. A-E, Torino, 2002, 221 ss.;BONILINI, Le clausole contrattuali c.d. di stile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1979, 1236.

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l’art. 808 c.p.c., non vuole rappresentare una modalita del rapporto contrat-tuale, ma evoca la costituzione tra le parti di un diverso rapporto (11), rap-presenta quindi un precetto autonomo (12).

La conseguenza che ne deriva in termini di disciplina applicabile eche la clausola compromissoria ha propri requisiti di validita ed efficaciaindipendenti dalla validita e dall’efficacia del contratto nel quale essa e in-serita o al quale si riferisce, in base al principio di autonomia della clau-sola compromissoria (13).

(11) In questo senso, MIRABELLI, GIACOBBE, op. ult. cit., 20.(12) In questo senso, nitidamente, ZACCHEO, op. ult. cit., 427, il quale individua tre

significati che il vocabolo puo assumere: ciascuna delle proposizioni che compongono ilcomplesso contrattuale; un precetto autonomo negoziale; un precetto che la legge inseriscenel negozio, inderogabilmente ovvero in difetto di diversa o contraria volonta. L’ultimo si-gnificato richiama le fonti eterodeterminate ed e estraneo a quello della clausola compromis-soria. Mentre in passato la clausola compromissoria era studiata come elemento del contratto,le indagini compiute successivamente hanno condotto all’unanime riconoscimento della na-tura negoziale della clausola compromissoria.

(13) MIRABELLI, GIACOBBE, op. ult. cit., 20, secondo cui ne deriverebbero numeroseconseguenze in chiave pratica: se la controversia ha ad oggetto la validita ed efficacia delcontratto, sara l’arbitro a decidere della validita ed efficacia del contratto stesso, perche que-sto e distinto dalla clausola compromissoria che gli conferisce il potere di decidere; se vieneeccepita l’invalidita della clausola compromissoria, gli arbitri dovranno decidere se, in basealla stessa, hanno o meno il potere di giudicare. L’indipendenza della clausola compromisso-ria rispetto al contratto, come sottolinea P. RESCIGNO, op. ult. cit., 23, « non e tuttavia incon-ciliabile con l’accessorieta rispetto alla regolamentazione consegnata al contratto, e l’uno el’altro momento, autonomia ed accessorieta, vengono in evidenza nell’esaminare i problemidi forma », come emerge dall’analisi della norme poste a tutela del contraente che subiscal’unilaterale predisposizione del contratto. La tesi dell’autonomia, come sottolinea l’A., esorretta dall’esplicita previsione dell’art. 808 c.p.c. che prevede la possibilita di inserire laclausola compromissoria in un atto successivo al contratto, formalmente e temporalmente di-stinto da questo, che contenga la clausola relativa alle controversie future.

Con riferimento al principio di autonomia della clausola compromissoria, occorreprecisare che lo stesso, dopo essere stato oggetto di un intenso dibattito dottrinale e giuri-sprudenziale, e stato sostanzialmente recepito dal legislatore con l’ultimo comma dell’art.808 c.p.c., ai sensi del quale « la validita della clausola compromissoria deve essere valutatain modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce; tuttavia, il potere di stipulare ilcontratto comprende il potere di convenire la clausola compromissoria ». Rileva sul punto,IRTI, Compromesso e clausola compromissoria nella nuova legge sull’arbitrato, in questa Ri-vista, 1994, 651 ss., che la clausola compromissoria e, al tempo stesso, accessoria, in quantosi riferisce ad un contratto e non sarebbe concepibile fuori da questo vincolo, e autonoma, inquanto il giudizio di validita intorno ad essa va svolto secondo criteri propri che non discen-dono dal contratto. Le due caratteristiche della clausola compromissoria sono tra loro com-patibili in quanto, l’una, esprime il vincolo con un dato contratto, con la conseguente neces-sita di valutare la stessa ai sensi dell’art. 1363 c.c., l’altra, « prescrive i criteri del giudizio divalidita, che sono propri e specifici di essa ». Per un approfondito esame si veda ZACCHEO,op. ult. cit., 425 ss., il quale evidenzia come sia merito di Carnelutti l’aver differenziato lanatura e funzione della clausola compromissoria rispetto al contratto cui accede. Sottolineal’A. (ID., op. ult. cit., 428 ss.) che, ferma l’autonomia della clausola, deve riconoscersi l’esi-stenza di un nesso tra la clausola ed il contratto, da definirsi come necessaria dipendenza

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La soluzione della questione della natura giuridica della clausola com-promissoria non ha rilievo meramente teorico, comportando ripercussionisulle disposizioni applicabili e sulle modalita di applicazione delle stesse.

Dall’accoglimento della tesi contrattuale discende l’estensione delledisposizioni contenute nel Libro IV, Titolo II del Codice civile alla clausolacompromissoria in base all’art. 1323 c.c., ai sensi del quale tutti i contratti,ancorche non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare,sono sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo.

Secondo il diverso orientamento che attribuisce natura di atto bilate-rale non contrattuale alla clausola compromissoria, le disposizioni dirette adisciplinare il contratto in generale non sarebbero direttamente applicabiliall’atto in esame, con la conseguenza che il meccanismo estensivo dellenorme sarebbe costituito dall’analogia, disciplinata dall’art. 12 delle dispo-sizioni sulla legge in generale, applicabile ad ogni atto purche ne ricorranoi presupposti ed, in particolare, l’eadem ratio, nei limiti di cui all’art. 14delle disposizioni sulla legge in generale.

3. Nel caso in esame, la clausola compromissoria e contenuta nellostatuto sociale di una societa a responsabilita limitata e prevede il deferi-mento arbitrale delle controversie che dovessero insorgere tra soci ovverotra soci e societa. Poste le premesse generali sulle disposizioni applicabilialla clausola compromissoria occorre valutare se l’inserimento della stessain uno statuto sociale comporti deroghe all’applicabilita delle disposizioniin tema di contratto.

Mentre fino al 2003 non esisteva una disciplina ad hoc dell’arbitratonel diritto societario (14), con integrale applicabilita delle disposizioni del

della clausola in senso logico e temporale dal contratto cui viene riferita. La rilevanza delcollegamento si arresta ed esaurisce al processo di formazione dei due negozi non incidendosullo svolgimento del rapporto che nasce a seguito della stipulazione della clausola, « e, dun-que, il contratto si rivela il presupposto indefettibile per l’esistenza della clausola, non altret-tanto puo dirsi con riferimento alla validita di quest’ultima, che dipende esclusivamente dallaperfetta corrispondenza dell’atto allo schema legale previsto dal legislatore ». Autonomia cheprescinde dal fatto che la clausola sia contenuta nel medesimo atto ovvero in atto separato(si veda CONFORTINI, Clausola compromissoria, in AA.VV., Dizionario dell’arbitrato, Torino,1997, 194).

(14) Come sottolinea JAEGER, Appunti sull’arbitrato e le societa commerciali, in Giur.comm., 1990, I, 219, nel Code de commerce francese del 1807 l’arbitrato era obbligatorio pertutte le liti fra soci, concernenti societa commerciali. L’obbligatorieta dell’arbitrato venneabolita nel 1841, per poi essere espressamente prevista la possibilita di sottoporre ad arbitrile materie sottoposte alla competenza dei tribunali di commercio con la Legge 31 dicembre1925.

In generale, sui problemi derivanti dalla stipulazione della clausola compromissoria inmateria societaria anteriormente alla riforma, si veda SILINGARDI, Il compromesso in arbitrinelle societa di capitali: analisi di una esperienza statutaria, Milano, 1979.

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Codice di procedura civile, con l’emanazione del D.Lgs. 17 gennaio 2003,n. 5, sono state dettate norme specifiche per lo svolgimento del procedi-mento arbitrale nel diritto societario. L’art. 34 del decreto legislativo con-tiene il principio generale in base al quale « gli atti costitutivi delle societa,ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischioa norma dell’art. 2325-bis del codice civile, possono, mediante clausolecompromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero ditutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la societa cheabbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale » e detta irequisiti della clausola compromissoria e le modalita di estensione dellastessa agli amministratori ed ai sindaci della societa (15).

Lo statuto sociale costituisce espressione di autonomia privata ed eascrivibile all’area dei contratti associativi, con la conseguenza che la di-scussione sulle disposizioni applicabili a tale categoria di atti deve esserecircoscritta all’interno dell’ambito contrattuale (16). Le peculiarita discipli-nari dello statuto sociale, idonee ad incidere sulle regole applicabili allaclausola compromissoria in esso contenuta, sono in particolare rappresen-tate dai requisiti di forma previsti per la clausola compromissoria, cosıcome per lo statuto di S.r.l., e dal sistema di pubblicita cui e soggetto lostatuto societario.

(15) Per l’esame di profili e problemi applicativi specifici relativi alla clausola com-promissoria inserita in statuti societari, si veda tra gli altri: DELLA PIETRA, La clausola com-promissoria, in AA.VV., Il nuovo diritto delle societa. Liber amicorum Gian Franco Cam-pobasso, Torino, 2005, 210 ss. (anche per richiami dottrinali sul punto).

(16) Sottolinea IBBA, L’interpretazione delle regole contrattuali nei contratti associa-tivi, in AA.VV., Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma? La prospet-tiva di una novellazione del Libro IV del Codice Civile nel momento storico attuale. Atti delConvegno per il cinquantenario della Rivista di diritto civile, Padova, 2006, 271 ss., che nonsi riscontra alcuna disposizione diretta a regolare in modo espresso l’interpretazione dei con-tratti associativi. L’A. precisa che, prima della codificazione del 1942, la discussione sull’in-terpretazione dei contratti associativi era fondata sull’alternativa relativa all’applicabilitadelle norme in tema di interpretazione della legge ovvero di interpretazione del contratto. Nelsenso della riconducibilita dei contratti associativi agli atti di esplicazione dell’autonomiaprivata si veda: Cass., Sez. III, 8 aprile 2010, n. 8372, in Contratti, 2010, 7, 693, secondocui lo statuto e l’atto costitutivo di un’associazione costituiscono espressione di autonomianegoziale e sono regolati dai principi generali del negozio giuridico, salve le deroghe impo-ste dai particolari caratteri propri del contratto di associazione; Cass., Sez. III, 19 maggio2006, n. 11756, in Mass. Giur. it., 2006, secondo cui lo statuto e l’atto costitutivo di un’as-sociazione costituiscono espressione di autonomia negoziale e sono regolati dai principi ge-nerali del negozio giuridico, salve le deroghe imposte dai particolari caratteri propri del con-tratto di associazione, nell’interpretazione di tali disposizioni, rimessa al giudice di merito esindacabile in sede di legittimita solo per vizi di motivazione e violazione dei canoni legalidi ermeneutica contrattuale, deve farsi applicazione della disciplina prevista per i contratti,prescindendo dalla ricerca della reale intenzione dei loro autori ed utilizzando le sole regoledell’interpretazione oggettiva; Cass., 21 giugno 2000, n. 8435, in Mass. Giust. civ., 2000.

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4. Il primo problema oggetto di esame nel lodo in commento e co-stituito dal procedimento ermeneutico della clausola compromissoria con-tenuta nello statuto sociale.

Il procedimento interpretativo della clausola compromissoria e disci-plinato dalle disposizioni in tema di interpretazione del contratto, compresetra gli artt. 1362 e 1371 c.c., e dall’art. 808-quater c.p.c.

L’applicabilita delle disposizioni contenute nel Capo IV, del Titolo II,del Libro IV, del codice civile, deve ritenersi pacifica in dottrina (17), anchese il meccanismo estensivo delle stesse, in via diretta ovvero analogica, di-pende dalla teoria che si ritiene di seguire sulla natura giuridica della clau-sola compromissoria (18). In ogni caso, e applicabile l’art. 1362 c.c. che in-

(17) SCHIZZEROTTO, op. ult. cit., 135 s., fa discendere l’applicabilita delle norme sul-l’interpretazione del contratto alla clausola compromissoria dall’autonomia della clausolastessa. Secondo l’A. non e applicabile, invece, l’art. 1363 c.c. nei rapporti tra clausola com-promissoria e contratto, in considerazione della natura indipendente della clausola. Diversa-mente, IRTI, Compromesso e clausola compromissoria, cit., 52 s., secondo il quale la clausolacompromissoria non sfuggirebbe all’interpretazione sistematica prevista dall’art. 1363 c.c.,che deriverebbe dall’accessorieta della clausola al contratto.

Nel senso dell’applicabilita delle disposizioni in tema di interpretazione del contrattoe orientata la giurisprudenza, si veda tra le altre: Cass., Sez. I, 20 marzo 1990, n. 2315, inquesta Rivista, 1991, 517, con nota di FAZZALARI, In dubio, pro... arbitrato rituale; Cass., 8aprile 2004, n. 6591, in questa Rivista, 2004, 697.

(18) E, quindi, se questa abbia natura contrattuale o meno. La questione, come giaevidenziato, incide sulle modalita applicative delle disposizioni e puo, proprio in considera-zione del differente metodo, determinare conseguenze sulla disciplina applicabile. L’analogiae disciplinata nel secondo comma dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale e sifonda sul presupposto che, se il legislatore avesse previsto il caso concretamente realizzatosie non disciplinato da alcuna norma, lo avrebbe regolato allo stesso modo, la conseguenza eche al caso non regolato si applica il caso simile. L’analogia presuppone l’esistenza di unalacuna, cioe di un caso non previsto da una precisa disposizione, nonche un accertamento di« somiglianza rilevante » tra il caso concreto non regolato ed i casi astratti espressamente di-sciplinati (AA.VV., Dieci lezioni introduttive ad un corso di diritto privato, Torino, 2006, 52s., precisa che il giudizio di somiglianza presuppone anche un giudizio di diversita, in quantoi casi « per dirsi simili devono certamente presentare elementi comuni; ma altrettanto certa-mente essi devono presentare elementi di difformita, almeno uno. Se cosı non fosse, i duecasi non sarebbero simili, ma identici »), che si riscontra quando i due casi presentano la me-desima ratio, quando il caso non regolato possiede la medesima logica che ispira la disci-plina normativa del caso regolato (l’analogia ha « carattere teleologico, poiche chiede all’in-terprete di accertare la ragion sufficiente della norma » per IRTI, Per una lettura dell’art. 1324c.c., cit., 561).

Tale accertamento non e richiesto, al contrario, optando per la natura contrattuale dellaclausola compromissoria, dovendosi ritenere applicabili in via diretta le disposizioni in temadi contratto, salve le ipotesi di antinomia da risolversi secondo i criteri generali predispostiper i conflitti tra norme ed, in particolare, in applicazione del criterio di specialita. Aderendoa quest’ultimo orientamento non opererebbe neanche il limite applicativo previsto per l’ana-logia dall’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, secondo il quale « le leggi... chefanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi inesse considerati ».

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dividua due strumenti di interpretazione del contratto: il senso letteraledelle parole e l’indagine sulla comune intenzione.

L’art. 808-quater c.p.c. e stato introdotto con la riforma attuata con ilD.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (19) e prevede che, nel caso di dubbio sul-l’interpretazione della convenzione d’arbitrato, la stessa si interpreta nelsenso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che de-rivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce. Come estato osservato in dottrina (20), l’articolo in esame amplia e rafforza l’inve-stitura dell’arbitro in quanto, nel caso in cui sorgano dubbi riguardanti ilpotere degli arbitri di conoscere alcuni aspetti della controversia, la dispo-sizione stabilisce che tutte le controversie derivanti dal contratto ovvero dalrapporto devono essere conosciute dagli arbitri (21). L’art. 808-quater c.p.c.

Secondo STESURI, op. ult. cit., 10, non sarebbero invece applicabili tutte le norme chedisciplinano i contratti ma unicamente quelle compatibili con le caratteristiche e la funzionedella clausola compromissoria.

(19) Il decreto legislativo ha altresı introdotto nel Codice di rito, l’art. 808-quinquiesc.p.c., che sancisce il principio della conservazione dell’efficacia della convenzione d’arbi-trato, pur se l’instaurato procedimento arbitrale non giunga ad una pronuncia sul merito.

(20) CAPPONI, Arbitrato e giurisdizione, in www.judicium.it.(21) La disposizione ha consentito il superamento dell’orientamento giurispruden-

ziale che, ragionando in termini di deroga alla giurisdizione generale del giudice civile ordi-nario, interpretava la clausola compromissoria in senso restrittivo: Cass., 30 ottobre 2007, n.22841, in Mass. Giur. it., 2007; Cass., 26 aprile 2005, n. 8575, in Mass. Foro it., 2005, 613;Cass., 24 ottobre 1979, n. 5562, in Giust. civ. Mass., 1979. Si veda sul punto, BARBIERI,BELLA, Il nuovo diritto dell’arbitrato, Padova, 2007, 123 ss.

In relazione all’oggetto del compromesso si vedano le interessanti precisazioni diSCHIZZEROTTO, op. ult. cit., 114 ss. L’A. ritiene di attribuire prevalenza all’interpretazione re-strittiva del compromesso in considerazione del fatto che il deferimento della cognizionedelle controversie ad arbitri rappresenta l’eccezione rispetto alla regola per la quale le dettecognizioni spettano al giudice ordinario. Tuttavia, continua l’A., la decisione di ogni contro-versia presenta o puo presentare tali e tante questioni che non sempre e agevole distinguerese le stesse rientrino o meno nel corpo della domanda ed occorre comunque tenere in consi-derazione la volonta delle parti, la quale determina l’ampiezza dei poteri degli arbitri. Per-tanto, poiche nella decisione di una controversia si presenta la necessita di esaminare nume-rose questioni legate a quelle gia incluse nel testo del compromesso, il piu valido principiocui devono ispirarsi gli arbitri nell’interpretazione del compromesso e che il « potere degliarbitri di giudicare su di una domanda non espressamente inclusa nel patto compromissorionon puo derivare che dalla necessita di decidere su di essa per poter decidere della contro-versia cui il compromesso si riferisce » (anche argomentando dall’art. 819 c.p.c. vigente).Cosı gli arbitri potranno conoscere le questioni preliminari, le circostanze che possono essereposte a base della decisione, in quanto rilevate dalle parti, le domande di accertamento inci-dentale che diano luogo a questioni pregiudiziali o eccezioni riconvenzionali, le questionipregiudiziali indipendentemente dalla domanda delle parti, anche se senza effetto di giudi-cato.

Sul punto, nel lodo in commento, e opportunamente precisato che il potere di cono-scere sulle liti tra i soci non puo ritenersi escluso dalla necessita di conoscere in via inciden-tale la questione dell’esistenza della pretesa responsabilita degli amministratori sociali, suiquali l’arbitro si e dichiarato carente di potere decisorio. Infatti, l’art. 819, comma 1, c.p.c.,

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rappresenta una norma sull’interpretazione della convenzione d’arbitrato,applicabile anche all’arbitrato societario e, quindi, alla clausola compromis-soria contenuta nello statuto sociale (22), espressione del favor arbitrati chesembra caratterizzare la riforma del diritto arbitrale cui si e pervenuti conil D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 e con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (23)come emerge anche dall’esame dei vocaboli utilizzati dal legislatore (24).

L’incipit della disposizione, « nel dubbio », da un lato, richiede la po-lisemia del senso letterale delle parole (25), dall’altro, circoscrive il dubbio

consente di decidere senza autorita di giudicato tutte le questioni rilevanti per la decisionedella controversia, con la conseguenza che, anche se il giudizio sulla responsabilita dei socirichiede una cognizione incidentale sulla sussistenza di una responsabilita dell’organo ammi-nistrativo, cio non sarebbe di ostacolo rispetto alla valutazione e alla decisione della domandaproposta nei confronti dei soci.

La disposizione deve ritenersi applicabile sia all’arbitrato rituale che all’arbitrato irri-tuale perche detta un criterio interpretativo di carattere generale applicabile a tutte le conven-zioni di arbitrato (STESURI, op. ult. cit., 12). Nel senso della derogabilita della disposizione eorientato DE NOVA, Disciplina legale dell’arbitrato e autonomia provata, in questa Rivista,2006, 3, 425, secondo il quale le parti possono prevedere che la convenzione d’arbitrato ab-bia ad oggetto le sole controversie espressamente indicate dalle parti.

(22) Secondo GENNARI, L’arbitrato societario, Padova, 2009, 54, l’effetto della dispo-sizione in esame viene ampliato in una clausola statutaria in considerazione del suo ruolo diregolamentazione del gruppo.

(23) In questo senso, ZUCCONI GALLI FONSECA, Riforma del diritto arbitrale, commentoall’art. 808-quater, in Nuove leggi civ. comm., 2007, 1200, secondo cui la previsione risolveogni dubbio sull’estensione della competenza arbitrale a tutte le liti inerenti il rapporto con-trattuale interessato, comprese quelle riguardanti la sua estinzione, con un effetto particolar-mente utile specie in campo societario, dove tale accertamento e la fonte di eventuali contro-versie sullo scioglimento del rapporto sociale, cioe esclusione e recesso del socio. Ma si vedaGABRIELLI, Clausole compromissorie e statuti sociali, in Riv. dir. civ., 2004, 2, 85 ss., secondocui la disciplina introdotta dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 si apre « con un divieto, seppurenon senza ipocrisia mascherato ». Sottolinea l’A. che, anche prima della riforma, non vierano dubbi in ordine alla possibilita di inserire clausole compromissorie all’interno deglistatuti sociali, con la conseguenza che il riconoscimento espresso della liceita di tale inseri-mento deve ritenersi « carente di reale contenuto precettivo » che invece caratterizza il di-vieto di inserire clausole compromissorie negli statuti delle societa che fanno ricorso al mer-cato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis c.c. Tale inserimento sorprende nonsoltanto perche non vi e nessuna traccia della previsione nella norma delle legge delega, masoprattutto perche, con tale divieto, si restringe l’ambito dell’autonomia statutaria in contra-sto con il diverso principio proclamato nella legge delega secondo cui si sarebbe dovutoestendere l’ambito di applicazione dell’autonomia statutaria.

(24) Il legislatore evidenzia il rapporto di accessorieta tra convenzione e contratto orapporto con il verbo « si riferisce », per poi disporre che la convenzione d’arbitrato si inter-preta nel senso che la competenza arbitrale si estende a « tutte » le controversie « che deri-vano » dal contratto o dal rapporto. L’utilizzo di vocaboli di carattere generale presenta unaspecifica problematicita per i rapporti sociali e societari, in considerazione delle difficolta chene derivano al fine di delimitare l’ambito applicativo della convenzione.

(25) IRTI, Dubbio e decisione, in Scritti in memoria di Giovanni Cattaneo, t. II, Mi-lano, 2002, II, 1326 (ma vedi anche 1320 s.), nel distinguere tra dubbio logico e giuridico,osserva che propriamente questo « non e... dubbio, ma soluzione del dubbio: quando l’art. 12

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rilevante a quello che insiste sull’oggetto della clausola compromissoria.L’ambito di operativita della disposizione e limitato all’ipotesi in cui ilsenso letterale delle parole consenta di attribuire al testo piu significati, cioeal caso in cui l’utilizzo del criterio ermeneutico dell’interpretazione lette-rale conduca ai seguenti risultati (26): un risultato in base al quale la con-troversia, pur derivando dal contratto o dal rapporto cui la convenzione siriferisce, non appare compresa nella convenzione d’arbitrato; un risultato inbase al quale la controversia, pur derivando dal contratto o dal rapporto cuila convenzione si riferisce, appare compresa nella convenzione d’arbitrato.

Pertanto, il presupposto di applicabilita della norma interpretativa e ildubbio sull’esclusione ovvero l’inclusione della controversia dall’ambito diapplicabilita della clausola compromissoria, predeterminando, il legislatore,il criterio con cui superare il dubbio.

La norma introduce il criterio di selezione tra i diversi significati sul-l’ambito oggettivo di estensione della clausola compromissoria, risolvendoil dubbio (27) nel senso dell’estensione della competenza arbitrale a tutte lecontroversie derivanti dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si ri-ferisce.

delle disposizioni preliminari chiama dubbio il caso non previsto, e subito offre all’interpretei metodi autointegrativi » per risolverlo, « il dubbio non ha neanche il tempo di nascere ».

Secondo GENNARI, op. ult. cit., 54, il riferimento al dubbio contenuto nella disposi-zione consente di far salva l’applicazione dei tradizionali criteri ermeneutici in materia con-trattuale dettati dagli artt. 1362 ss. c.c.

(26) Piu precisamente (AA.VV., Dieci lezioni introduttive a un corso di diritto pri-vato, Torino, 2006, 29 s.), l’espressione interpretazione designa due distinte nozioni « l’atti-vita diretta all’individuazione del significato di una disposizione normativa, il risultato finaledi tale attivita ». Il carattere procedurale dell’interpretazione e puntualmente sottolineato daIRTI, Principi e problemi di interpretazione contrattuale, in L’interpretazione del contrattonella dottrina italiana, Padova, 2000, 611, ove sottolinea che il significato del testo e « il ri-sultato di una procedura, di una messa in opera dei canoni legali », raggiunto attraversol’esercizio di canoni prestabiliti.

(27) Il legislatore, « consapevole che l’interprete si trova spinto tra due o piu signi-ficati opposti », ha apprestato i « criteri per trarsi fuori dal dubbio e proseguire nell’intelli-genza del contratto », come rileva IRTI, Dubbio e decisione, cit., 1321 ss. (con riferimento agliartt. 1367, 1368 e 1369 c.c.), indicando le norme di interpretazione del contratto come diretteal superamento del dubbio, « l’oscurita dell’in-decisione, che va rischiarata alla luce di unascelta finale. La decisione rompe l’oscurita e guida l’azione ».

Con riferimento alla diversa tesi restrittiva, prevalente anteriormente all’entrata in vi-gore della disposizione in esame, si veda SCHIZZEROTTO, op. ult. cit., 126 ss., secondo cui laclausola compromissoria andrebbe interpretata restrittivamente, cioe ricercando se una con-troversia che si pretende devolvere alla cognizione degli arbitri possa essere ritenuta comenascente dal contratto cui essa accede, « senza accontentarsi di approssimazioni; senza ricor-rere a sforzature del contratto; eliminando i casi dubbi ». Pertanto, secondo l’A., quando visia dubbio circa l’interpretazione da attribuire, il dubbio deve essere risolto a favore dellacompetenza ordinaria, anche se tale interpretazione non esclude l’indagine sulla reale volontadelle parti.

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5. Il presupposto applicativo dell’art. 808-quater c.p.c. cosı comedello strumento ermeneutico della comune intenzione delle parti e, tuttavia,l’esistenza della polisemia del testo (28).

L’interpretazione consiste in un complesso procedimento diretto adaccertare il significato di un determinato atto giuridico (29), attraversol’esame dell’espressione con la quale l’atto si manifesta esteriormente (30).

L’espressione costituisce, al tempo stesso, oggetto e limite dell’attivitaermeneutica (31), la quale non puo spingersi fino a pervenire ad un risultatointerpretativo privo di congruenza con il testo che ne esprime il contenu-to (32). Il dovere negativo di non limitarsi al senso letterale delle paroleprevisto dall’art. 1362 c.c., cosı come il riferimento al dubbio contenuto

(28) Cosı, e stato ritenuto che il deferimento ad arbitri delle controversie attinenti al-l’interpretazione ed all’esecuzione del contratto comprenda anche la cognizione relativa allecontroversie in materia di inadempimento e risoluzione del contratto medesimo, inerente an-ch’esso all’aspetto esecutivo. Si veda MIRABELLI, GIACOBBE, op ult. cit., 19, secondo cui men-tre nel compromesso la lite e gia sorta e sono gia determinati i limiti entro i quali gli arbitridovranno decidere, nel caso della clausola compromissoria, si deve interpretare di volta involta l’accordo onde verificare la potestas iudicandi arbitrale.

(29) Come si osserva, precisamente, in AA.VV., Dieci lezioni introduttive a un corsodi diritto privato, cit., 29 s., anche se in relazione all’interpretazione della legge, l’espres-sione interpretazione designa due distinte nozioni: « l’attivita diretta all’individuazione delsignificato di una disposizione normativa; il risultato finale di tale attivita ».

(30) Rileva BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici (teoria generale edogmatica), Milano, 1949, 3, che l’interpretazione rilevante per il diritto consiste in un’atti-vita diretta a riconoscere e ricostruire il significato da attribuire a forme rappresentative « checostituiscono fonti di valutazioni giuridiche » (sono norme giuridiche e precetti ad esse su-bordinati, posti in vigore in virtu di un’apposita competenza normativa) o « che di siffattevalutazioni costituiscono l’oggetto » (possono consistere in dichiarazioni o comportamentiche si svolgono nella cerchia sociale disciplinata dal diritto). L’interpretazione e diretta a fis-sare il significato e la portata dei precetti giuridici che vengono in applicazione, il significatoe la portata delle fattispecie, delle quali si discute la verificazione nel caso concreto. In que-sto senso, PUGLIATTI, I fatti giuridici, revisione e aggiornamento di Angelo Falzea, con prefa-zione di Natalino Irti, Milano, 1996, 172. Secondo MOSCO, Principi sulla interpretazione deinegozi giuridici, Napoli, 1952, 1 ss., si ha interpretazione tutte le volte in cui sia necessariocomprendere il significato di un atto spirituale manifestato ed il procedimento interpretativopuo essere suddiviso in fasi: la ricerca del senso apparente della dichiarazione (interpreta-zione inferiore); la ricerca del reale volere che potrebbe differenziarsi dal senso usuale.

(31) Sul punto, precisa FERRI, Errore ostativo e interpretazione del contratto, in Riv.trim. dir. proc. civ., 1958, XII, 1505 s., « non c’e interpretazione che possa far dire a un con-tratto, nel quale e scritto chiaramente che si vende il fondo Tuscolano, che si vende inveceil fondo Semproniano. La vendita del fondo Semproniano potra essere stata nella intenzionedi entrambi i contraenti, ma non la si puo ricavare in alcun modo dal contratto neppure conil sussidio della piu attenta interpretazione. E vero che l’interprete puo portare il suo esameanche sopra elementi extratestuali...ma al fine di chiarire il contenuto del contratto, non giaper fare emergere come volonta contrattuale, una volonta che nel contratto non trova alcunappiglio ».

(32) PROTO, Termine essenziale e adempimento tardivo, Milano, 2004, 178; ONORATO,L’accordo d’interpretazione, Milano, 2009, 89 ss.

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nell’art. 808-quater c.p.c., implicano la polisemia del testo, cioe postulanoche il testo sia munito di una pluralita di significati fra i quali l’interpretee chiamato a scegliere applicando gli strumenti ermeneutici predisposti dallegislatore.

Pertanto, se un determinato significato non rientra tra i risultati erme-neutici cui e possibile pervenire tramite il criterio letterale, non sembrapossibile il riferimento al criterio della comune intenzione delle parti (33) nea quello previsto dall’art. 808-quater c.p.c., diretti a svolgere una funzioneselettiva, cioe ad individuare quale significato attribuire al testo linguisticotra la pluralita di sensi che lo stesso e suscettibile di racchiudere (34). Lacomune intenzione, cosı come gli altri strumenti ermeneutici, non consentedi moltiplicare i possibili significati dell’atto, cioe di attribuire al testo unsenso che non sia almeno implicitamente ricavabile dalle parole del nego-zio, con la conseguenza che il testo rappresenta il limite per l’interprete chela comune intenzione non puo superare (35).

(33) A tal proposito, si veda in giurisprudenza: Cass., Sez. III, 4 maggio 2005, n.9284, in Il Merito, 2006, f. 12. 17, ove si chiarisce che la norma di cui all’art. 1362 c.c., nelsancire, al primo comma, la necessita di indagare sulla comune intenzione delle parti senzalimitarsi al senso letterale delle parole usate, non svaluta l’elemento letterale del negozio, maribadisce, per converso, che, ove il dato letterale riveli con chiarezza e univocita la volontadei contraenti, una diversa interpretazione non e ammessa, poiche soltanto la mancanza dichiarezza, precisione ed univocita delle espressioni letterali adottate dalle parti nella reda-zione del testo negoziale legittimano l’interprete alla adozione di altri — e sussidiari — ca-noni ermeneutici, del pari indicati dal ricordato art. 1362 c.c.; Cass., Sez. III, 27 ottobre 2004,n. 20791, in Mass. Foro it., 2004, 1938; Cass., Sez. lav., 10 marzo 2008, n. 6366, in Mass.Foro it., 2008, 394; Cass., Sez. lav., 19 marzo 2007, n. 6426, in Mass. Foro it., 2007, 551;Cass., Sez. lav., 20 febbraio 2008, n. 4342, in Mass. Foro it., 2008, 265.

(34) Osserva IRTI, Testo e contesto, una lettura dell’art. 1362 codice civile, Padova,1996, 13 che l’art. 1362 c.c. individua « due strumenti di interpretazione del contratto: l’in-dagine sulla comune intenzione e la ricognizione del senso letterale », il cui « fine consistenell’accertare il contenuto dell’accordo, e, dunque, se l’accordo e stato raggiunto mediantel’adozione di un testo linguistico, nell’accertare il significato del dictum o dello scriptum ».

(35) Lo scopo dell’attivita interpretativa ed il rapporto tra comune intenzione delleparti e norme interpretative e risolto variamente da parte della dottrina partendo dal diversofine attribuito all’attivita ermeneutica e, in particolare, se questa sia diretta ad accertare lacomune intenzione delle parti (oggetto dell’attivita ermeneutica) ovvero ad intendere il signi-ficato dell’accordo contrattuale, con la riduzione della comune intenzione delle parti a stru-mento che consente di individuare il significato dell’accordo contrattuale (comune intenzionedelle parti come strumento per risolvere la polisemia). Nel primo senso si vedano: SCOGNA-MIGLIO, L’interpretazione, in I contratti in generale, II, a cura di GABRIELLI, Torino, 1999, 928ss.; OPPO, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna, 1943, 6;BIANCA, Diritto civile, 3. Il contratto, cit., 408; MOSCO, Principi sull’interpretazione dei ne-gozi giuridici, Napoli, 1942, 20 ss.; GRASSETTI, Interpretazione dei negozi giuridici « inter vi-vos », (diritto civile), in Noviss. dig. it., VIII, Torino, 1962, 906; CATAUDELLA, Sul contenutodel contratto, Milano, 1988, 21; SACCO, Il contratto, in Trattato di diritto privato diretto daRescigno, 10, Torino, 1995, 376; SANGERMANO, L’interpretazione del contratto. Profili dottri-nali e giurisprudenziali, Milano, 2007, 85 ss. Nel secondo senso, si vedano: IRTI, Testo e

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Cosı l’art. 35 dello statuto della societa, esaminato nel lodo in com-mento, in relazione all’oggetto della clausola compromissoria, fa riferi-mento a « qualsiasi controversia dovesse insorgere tra i soci ovvero tra isoci e la societa ». La locuzione utilizzata non consente di comprenderenell’ambito applicativo della clausola l’azione sociale esperita nei confrontidegli organi sociali, in mancanza di alcun riferimento testuale alle contro-versie cui siano legittimati attivi o passivi gli amministratori o i sindaci. Ladifferenza tra le due categorie di controversie emerge dal tenore letteraledell’art. 34 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, che disciplina le controver-sie tra societa e soci al primo comma, per poi stabilire al quarto comma lemodalita di estensione della clausola compromissoria alle controversie pro-mosse da amministratori, liquidatori e sindaci o nei loro confronti.

Nel caso di specie, il procedimento ermeneutico della clausola conte-nuta nello statuto sociale consente di pervenire ad un unico risultato inter-pretativo nel senso dell’esclusione delle controversie coinvolgenti gli or-gani sociali. Il senso letterale delle parole « tra i soci ovvero tra la societae i soci » vincola l’interprete e, dall’esame del testo dello statuto, non epossibile pervenire ad alcun significato che consenta di estendere la clau-sola compromissoria alle controversie che coinvolgono gli amministratoridella societa.

A tale conclusione si deve pervenire, sia considerando la comune in-tenzione come criterio di selezione dei vari significati desumibili dal testo,sia intendendo la comune intenzione delle parti come scopo ed oggetto del-l’interpretazione (36). Secondo quest’ultimo orientamento, la comune inten-zione, piu che individuare un criterio per procedere nell’indagine ermeneu-tica, definirebbe la stessa interpretazione, che non deve essere intesa comericognizione del senso letterale delle parole, ma come ricerca della comuneintenzione (37). Anche aderendo a tale orientamento, come emerge dallamotivazione del lodo in commento, si deve pervenire alla medesima con-clusione, in quanto la comune intenzione delle parti e stata chiaramenteespressa nella clausola statutaria, in cui vengono descritte le possibili con-troversie oggetto dell’arbitrato (38).

contesto, una lettura dell’art. 1362 codice civile, cit., passim; BETTI, Teoria generale del ne-gozio giuridico, in Trattato di diritto civile, diretto da F. Vassalli, Torino, 1960, 324 ss.; GE-NOVESE, L’interpretazione del contratto standard, Milano, 2008, 47 ss.; ONORATO, L’accordod’interpretazione, cit., 117 ss.; COSTANZA, Profili dell’interpretazione del contratto secondobuona fede, Milano, 1989, 11.

(36) Si veda sul punto, supra nota 34.(37) RIZZO, Interpretazione del contratto e relativita delle sue regole, Napoli, 1985,

168 ss.(38) Il lodo sembra aderire a tale orientamento, esaminando espressamente il ruolo

della comune intenzione delle parti al fine di escludere, dall’ambito di applicabilita dellaclausola, le liti relative ai rapporti tra societa e soci, da un lato, e amministratori, dall’altro.

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L’adesione ad una piuttosto che ad un’altra delle teorie sul ruolo dellacomune intenzione delle parti non comporta conseguenze di rilievo nel casodi specie. Il senso letterale delle parole e la comune intenzione delle particonducono al medesimo risultato interpretativo.

Il problema si pone nel caso in cui vi sia divergenza tra comune in-tenzione e senso letterale e si traduce nell’esigenza di attribuire prevalenzaalla prima o al secondo.

L’ipotesi e quella in cui la comune intenzione delle parti consentaun’estensione della clausola anche alle controversie promosse dagli organisociali ovvero nei loro confronti, malgrado o, rectius, in contrasto con il te-nore letterale della clausola statutaria.

Nel caso di specie, fermo il dibattito sul ruolo della comune inten-zione delle parti nell’interpretazione dei contratti associativi (39), la solu-zione contraria all’interpretazione estensiva si fonda su diversi argomenti.

In primo luogo, come rilevato, il dovere negativo di non limitarsi alsenso letterale previsto dall’art. 1362 c.c. implica la polisemia del testo,cioe che il testo sia munito di una pluralita di significati fra i quali l’inter-prete e chiamato a scegliere, con la conseguenza che il procedimento erme-neutico e la comune intenzione non possono condurre ad un risultato erme-neutico diverso dai significati che il testo stesso e suscettibile di racchiu-dere.

In secondo luogo, il tenore letterale dell’art. 34 del D.Lgs. 17 gennaio2003, n. 5, richiede che il contratto associativo faccia riferimento alle con-troversie coinvolgenti gli organi sociali, come oggetto della clausola com-promissoria. Ai fini dell’estensione della clausola e necessario che l’attocostitutivo preveda che la clausola abbia ad oggetto le controversie pro-mosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti, nelqual caso, a seguito dell’accettazione dell’incarico, diviene vincolante percostoro.

Deve pertanto ritenersi che la comune intenzione delle parti nonpossa, con riferimento all’ambito soggettivo della clausola compromissoriastatutaria, determinare un risultato ermeneutico difforme dal senso letteraledelle parole.

6. Discorso differente deve svolgersi nel caso in cui il senso letteraledelle parole dia luogo ad una pluralita di risultati ermeneutici sull’esten-sione della clausola compromissoria alle controversie inerenti i rapporti so-ciali, mediante l’utilizzazione di un enunciato linguistico di carattere gene-

Non sembra riscontrarsi alcun margine applicativo, al contrario, per il canone erme-neutico previsto dall’art. 808-quater c.p.c., che implica l’esistenza di un dubbio sul signifi-cato della clausola compromissoria, che nel caso di specie non emerge.

(39) Si veda infra.

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rale, idoneo a comprendere le controversie tra soci, societa, amministratori,liquidatori e sindaci, pur senza distinguerle espressamente.

In questo caso, vengono in rilievo tre disposizioni, cioe l’art. 34 delD.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, rubricato « oggetto ed effetti di clausolecompromissorie statutarie », l’art. 808-quater c.p.c. e l’art. 1362 c.c. nellaparte in cui individua lo strumento ermeneutico della comune intenzionedelle parti.

Ai sensi dell’art. 34, comma 4, il patto compromissorio puo spiegareefficacia anche nei confronti degli amministratori dei liquidatori e dei sin-daci (40), subordinando l’estensione stessa a due elementi: la previsionenell’atto costitutivo e l’accettazione dell’incarico.

Dall’esame della disposizione permane il problema formale delle mo-dalita di estensione della clausola compromissoria agli organi sociali. Inuovi soci, aderendo al contratto sociale, diventano parti dell’atto di auto-nomia privata, con la conseguente efficacia nei loro confronti, ai sensi del-l’art. 1372 c.c., della clausola compromissoria di fonte statutaria. Gli am-ministratori, i liquidatori ed i sindaci, al contrario, con l’accettazione del-l’incarico, non diventano parti del contratto sociale, ciononostante l’art. 34stabilisce l’estensione agli stessi della clausola compromissoria inserita nelcontratto associativo. Pur nella consapevolezza della persistenza del pro-blema formale, si rappresenta l’estraneita del tema all’oggetto del presentelavoro.

Non e, quindi, richiesta l’adesione alla clausola ne scritta ne espressada parte degli organi sociali, i quali, nella prospettiva del legislatore, benavrebbero potuto prendere visione dell’atto costitutivo della societa, con laconseguenza che l’estensione della clausola e implicita nell’accettazionedell’incarico (41).

(40) Osserva DELLA PIETRA, op. ult. cit., 224, che l’elencazione non sembra tassativacon la conseguente possibile applicabilita anche ai direttori generali, ai componenti del con-siglio di amministrazione, ai componenti del consiglio di gestione. Nello stesso senso, SOL-DATI, Le clausole compromissorie nelle societa commerciali, Milano, 2005, 146. Si veda perun puntuale esame della disposizione, AULETTA, Commento sub art. 34, in AA.VV., Lariforma delle societa. Il processo, a cura di Sassani, Torino, 2003, 348. Precisano BARBIERI,BELLA, op. ult. cit., 455, che, prima della novella del 2006, si riteneva non arbitrabile l’azioneindividuale di responsabilita del socio o del terzo direttamente contro l’amministratore peratti dolosi o colposi, in quanto tale azione si fondava sulla responsabilita da atto illecito enon sul rapporto sociale. Tale conclusione e da rivedere alla luce del nuovo art. 808-bis c.p.c.che consente l’arbitrabilita di fattispecie extracontrattuali.

(41) L’accettazione dell’incarico costituisce un requisito necessario per l’estensionedella clausola compromissoria.

In questo senso, DELLA PIETRA, op. ult. cit., 224 s., secondo cui sussistono dubbi nelcaso in cui il patto compromissorio o la previsione della sua estensione siano introdotti du-rante la vita della societa quando amministratori, liquidatori e sindaci stanno svolgendo laloro attivita. Per BARBIERI, BELLA, op. ult. cit., 455, con l’accettazione dell’incarico vi e una

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L’estensione alle controversie promosse da amministratori, liquidatorie sindaci ovvero nei loro confronti non e automatica, ma deve essere pre-vista nell’atto costitutivo e deve risultare dalla clausola compromissoria.

Accettazione dell’incarico e previsione della clausola nell’atto costitu-tivo rappresentano condizioni necessarie e sufficienti per l’estensione dellaclausola compromissoria agli organi sociali (42). Pertanto, l’art. 34, comma4, da un lato, stabilisce e prevede la compromettibilita delle controversieproposte da o nei confronti di amministratori, liquidatori e sindaci, dall’al-tro, individua il procedimento e le modalita di estensione della clausolacompromissoria agli organi sociali, cioe a quali condizioni la clausola evincolante nei confronti degli stessi.

7. Problema variamente esaminato in dottrina — incidente sui rap-porti tra art. 34 e art. 808-quater c.p.c. — e costituito dalla relazione esi-stente tra l’arbitrato disciplinato dagli artt. 34 ss. del D.Lgs. 17 gennaio2003, n. 5 e le disposizioni del Codice di procedura civile e, in particolare,se i due sistemi di norme siano concorrenti ovvero alternativi.

presunzione assoluta di conoscenza della clausola compromissoria; la disposizione introduceil concetto di un arbitrato obbligatorio in base al quale, gli organi sociali, nell’accettare lacarica, si sottopongono alla clausola arbitrale senza manifestare alcuna volonta esplicita diassenso. Secondo SOLDATI, op. ult. cit., 147 s., sarebbe consigliabile richiedere un’espressaaccettazione dell’incarico da parte di tali soggetti, accettazione che preveda anche quelladella clausola compromissoria contenuta all’interno dello statuto sociale, anche per evitare ilrischio di un possibile contrasto con disposizioni di fonte costituzionale. L’A. precisa inoltreche, nel caso in cui amministratori, liquidatori e sindaci neghino di aver mai accettato l’in-carico, difficilmente potrebbero essere vincolati alla clausola compromissoria, salvo non vo-ler ritenere che, malgrado la mancata accettazione, risultino comunque sottoposti ad un pattoarbitrale unilateralmente scelto dalla societa ed imposto loro in forza di una norma di legge.Si vedano sul punto: STESURI, op. ult. cit., 182 s.; ZUCCONI GALLI FONSECA, op. ult. cit., 953,secondo cui si tratterebbe di un consenso implicito; BIANCHI, op. ult. cit., 15 ss.

Sui rapporti tra contratti associativi ed art. 1341 c.c., si vedano le osservazioni di P.RESCIGNO, op. ult. cit., 24 ss. L’A. esamina le modalita e la giustificazione dell’estensionedella clausola compromissoria contenuta in un contratto a terzi aderenti al contratto stesso.Si veda ancora su tali temi: per un resoconto giurisprudenziale e dottrinale, CAVALLINI, I li-miti oggettivi e soggettivi della clausola compromissoria, in Riv. dir. proc., 1994, 1143 s.;ANDRIOLI, La clausola compromissoria nello statuto di societa commerciale, in Riv. dir.comm., 1942, 37 s.; ZACCHEO, op. ult. cit., 430, il quale evidenzia che l’unico elemento es-senziale comune tra contratto e clausola compromissoria sembra essere quello soggettivo, dacui sarebbe ancora piu evidente il rapporto di autonomia tra i due atti (nel caso degli ammi-nistratori sembrerebbe venir meno anche questo profilo); SOLDATI, op. ult. cit., 63 ss.

(42) In questo senso, BOVE, L’arbitrato nelle controversie societarie, in Giust. civ.,2003, 483 s., secondo cui la legge indica l’estensione della clausola come effetto automaticodell’accettazione dell’incarico, senza alcuna possibilita di scelta da parte dell’amministratore,il quale e automaticamente soggetto ad una clausola compromissoria statutaria per il solofatto di aver accettato l’incarico « in un negozio in cui non vi e traccia, nemmeno per rela-tionem, del patto compromissorio ».

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Secondo il prevalente orientamento dottrinale (43), tra l’arbitrato delCodice di rito e l’arbitrato societario vi sarebbe un rapporto di genere aspecie, con la conseguenza che, nel caso in cui il legislatore non abbia pre-visto una disposizione di carattere speciale diretta a disciplinare uno speci-fico aspetto dell’arbitrato societario, troverebbe senz’altro applicazione ladisposizione di carattere generale contenuta nel Codice di procedura civi-le (44). Tale rapporto tra i due sistemi emerge anche dal contenuto degli artt.34 ss. del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, che non disciplinano tutti gliaspetti del procedimento arbitrale ed il cui necessario completamento deveessere individuato nelle disposizioni contenute nel Codice di procedura ci-vile (45).

Aderendo a tale inquadramento deve ritenersi senz’altro applicabilealla clausola compromissoria di fonte statutaria l’art. 808-quater c.p.c., conla conseguenza che, nel dubbio, questa deve essere interpretata nel sensoche la competenza arbitrale si estenda a tutte le controversie che derivanodal rapporto sociale, cioe dal rapporto cui la convenzione si riferisce (46), a

(43) Cosı: DELLA PIETRA, op. ult. cit., 240 s., secondo cui il modello introdotto dallariforma non e esaustivo della disciplina del procedimento, le cui lacune vanno colmate fa-cendo ricorso alle norme del Codice di rito, rapporto di concomitanza e integrazione fra i duesistemi; SOLDATI, op. ult. cit., 30 s.; BARBIERI, BELLA, op. ult. cit., 445; BOGGIO, Le clausolecompromissorie statutarie, alla luce dell’art. 34, comma 2, D.Lgs. del 17 gennaio 2003, inquesta Rivista, 2005, 1, 202; CARPI, Profili dell’arbitrato in materia di societa, in questa Ri-vista, 2003, 411 ss.; GENNARI, op. ult. cit., 9 ss., secondo cui la natura di norma speciale del-l’arbitrato di diritto societario non pare contestabile, pur in mancanza di un generale rinviocon il limite della compatibilita, sia per gli innumerevoli riferimenti contenuti negli artt. 34ss. del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, sia in considerazione della stessa disciplina dell’arbi-trato societario. Secondo quest’ultimo A., sarebbero applicabili le norme del Codice di pro-cedura civile con il limite della compatibilita, anche facendo ricorso al disposto dell’art. 1del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, che prevede espressamente l’applicabilita delle norme delCodice di procedura civile in quanto compatibili, per quanto non disciplinato (specie note 25e 26).

(44) Sul rapporto tra i due sistemi di arbitrato si veda: AULETTA, op. ult. cit., 328 ss.;STESURI, op. ult. cit., 163 ss.; SOLDATI, op. ult. cit., 28 ss., secondo cui l’intervento del legi-slatore ha innovato la disciplina del Codice di procedura civile mediante l’introduzione di unarbitrato speciale che si caratterizza nell’integrare il modello organizzativo delle societa dicapitali. Precisa l’A. che la nuova disciplina non sostituisce il sistema codicistico ma si ag-giunge ad esso, come emerge anche dalla Relazione ministeriale al decreto legislativo. Si ve-dano ancora: DE NOVA, Controversie societarie: arbitrato societario o arbitrato di diritto co-mune? in Contratti, 2004, 848; BARBIERI, BELLA, op. ult. cit., 449 ss.; GENNARI, op. ult. cit.,10 ss.

(45) Le difficolta di coordinamento e di carattere sistematico delle norme processuali,in seguito alle riforme legislative, sono sottolineate da GENNARI, op. ult. cit., 3 ss.

(46) Per un’applicazione degli artt. 1365 c.c. e 808-quater c.p.c., si veda Trib. Mi-lano, 6 giugno 2011, in Soc., 2011, 8, 973, secondo cui in caso di dubbio sull’interpretazioneletterale della clausola arbitrale la stessa deve essere interpretata in senso estensivo. In par-ticolare, secondo il Tribunale, quando in un contratto si e espresso un caso al fine di spiegareun patto, non si presumono esclusi i casi non espressi ai quali, secondo ragione, puo esten-

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meno di riscontrare, dal tenore dell’art. 34, una norma speciale idonea aderogare all’ambito di applicabilita dell’art. 808-quater c.p.c. (47).

Gli atti costitutivi, come risulta dall’art. 34, possono prevedere la de-voluzione ad arbitri di tutte o solo di alcune delle controversie che coinvol-gono i soci, la societa ovvero gli amministratori, i sindaci e i liquidatori,ponendo cosı un problema di individuazione delle controversie incluse e diquelle escluse dalla portata della clausola (48).

L’art. 808-quater c.p.c., con il riferimento alle controversie derivantidal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce, sembra doversiintendere nel senso che la clausola compromissoria deve ritenersi compren-siva di tutte le controversie relative a pretese che trovano la loro causa pe-tendi nel contratto medesimo (49). Pertanto, se la convenzione si riferisce,senza espresse limitazioni, alle controversie nascenti da un contratto ovveroda un rapporto determinato, i suoi effetti devono estendersi a tutte le liti cheda essa derivino (50).

A tale conclusione si deve pertanto pervenire anche per la clausolacompromissoria di fonte statutaria, nel qual caso un generico riferimento airapporti societari ovvero ai rapporti sociali, in applicazione della disposi-zione in tema di interpretazione della clausola compromissoria, porterebbeall’estensione del patto anche alle controversie che coinvolgono gli organi,pur in mancanza di un espresso riferimento alle stesse (51). Pertanto, attri-

dersi lo stesso patto. Tale canone attribuisce un valore limitato alle esemplificazioni, per cuidalle stesse non puo trarsi alcuna esclusione dei casi non contemplati, ma occorre precisareche nella clausola oggetto di esame era prevista l’estensione agli amministratori ed ai liqui-datori, anche se non erano indicate espressamente le controversie tra questi e la societa (« oqualunque altra materia inerente, direttamente o indirettamente, ai rapporti sociali, tra soci,ovvero tra soci e la societa, suoi amministratori e liquidatori, salvo le controversie nelle qualila legge prevede l’intervento obbligatorio del pubblico ministero »).

(47) Sul punto, si veda infra.(48) Sottolinea SOLDATI, op. ult. cit., 117 s., che le clausole compromissorie statuta-

rie sono in genere abbastanza generiche, senza indicare precisamente i limiti oggettivi delpatto stesso.

(49) In questo senso: Cass., 20 febbraio 1997, n. 1559, in Mass. Giur. it., 1997;Cass., 20 luglio 1982, n. 4257, in Rass. avv. stato, 1983, I, 958. Si veda anche T. Ariano Ir-pino, 9 aprile 2010, in Contratti, 2011, 2, 155 ss., con nota di MUSTO, L’interpretazione delleclausole compromissorie nelle controversie tra i soci (il quale rappresenta che fra i canoniermeneutici predisposti dal legislatore non intercorre un principio di ordinazione gerarchica,ma una connessione assiologia, essendo destinati ad integrarsi a vicenda nell’accertamentodella clausola compromissoria).

(50) Si veda sul punto, BARBIERI, BELLA, op. ult. cit., 128 ss., secondo cui, a titoloesemplificativo, andranno ricomprese in tali controversie anche quelle sull’esistenza e vali-dita del contratto, nonche quelle relative agli effetti conseguenti al suo scioglimento, mentresarebbero da escludere quelle derivanti da contratti collegati a quello cui la clausola si rife-risce. Cosı anche: BIANCHI, op. ult. cit., 7; PISANI MASSAMORMILE, Riflessioni in tema di clau-sola arbitrale e di nomina degli arbitri in materia societaria, in Riv. soc., 2000, 269.

(51) Cosı BIANCHI, op. ult. cit., 85, secondo cui il frequente utilizzo di espressioni ge-

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buendo prevalenza all’art. 808-quater c.p.c., dovrebbe concludersi chel’unico modo per escludere l’applicabilita della clausola alle controversieinerenti amministratori, liquidatori e sindaci sia quello di ritenere tali con-troversie estranee ai significati ricavabili dall’espressione utilizzata (52).

La differente teoria trova fondamento nella necessita di espressa pre-visione delle controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindacio nei loro confronti che si dovrebbe ricavare dall’art. 34, comma 4, delD.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5. Mentre per i soci, anche entrati a far partedella societa in data successiva alla stipulazione della clausola compromis-soria, l’estensione di questa deriva dalla adesione al contratto sociale, peramministratori, liquidatori e sindaci non puo pervenirsi alla medesima con-clusione, con la conseguenza che il legislatore e dovuto intervenire espres-samente per regolare le modalita di estensione della clausola compromisso-ria. L’art. 34 conterrebbe pertanto una modalita di estensione della clausola,che sarebbe rappresentata dalla specifica previsione all’interno dell’atto co-stitutivo. In base a tale disposizione e quindi necessario che la clausola re-chi il testuale riferimento alla sua estensione alle controversie che coinvol-gono liquidatori, amministratori e sindaci (53).

neriche — come « le controversie attinenti direttamente o indirettamente la vita sociale » op-pure « le controversie nascenti dal contratto sociale e relative ai rapporti sociali ed ai reci-proci rapporti fra soci e societa » — raggiunge l’effetto di allargare l’ambito di applicabilitadella clausola con riferimento alla globalita delle controversie che, per effetto del vincolo so-ciale o in connessione con esso, possono sorgere fra i vari organi della societa o fra i soci.Secondo STESURI, op. ult. cit., 175 s., una controversia puo essere relativa ad un rapporto indue direzioni cioe nel senso in cui la controversia abbia ad oggetto direttamente il rapportoin questione ovvero la stessa abbia ad oggetto un diritto che nasce da quel rapporto in quantola causa petendi e l’esistenza ovvero l’inesistenza o il modo di essere del rapporto. Sullapossibilita di estendere la clausola compromissoria alle controversie nascenti da contratti chesiano stati stipulati prima o contestualmente alla sua stipulazione od anche a contratti di cuisi assuma la conclusione futura, si veda BARBIERI, BELLA, op. ult. cit., 90.

(52) Cosı, ad esempio, l’utilizzazione dell’espressione linguistica « rapporti sociali esocietari », se puo ritenersi comprensiva dell’azione sociale esperita dai soci ovvero dalla so-cieta nei confronti degli amministratori e sindaci, non puo al contrario ritenersi comprensivadell’azione di responsabilita contro soggetti esterni incaricati del controllo contabile ovverodell’azione di responsabilita promossa dai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. (inquanto soggetti estranei ai rapporti sociali e societari) ovvero ancora dell’azione individualepromossa dal socio o dal terzo nei confronti dell’amministratore per atti dolosi o colposi diquest’ultimo ai sensi dell’art. 2395 c.c., in quanto tale azione non e attinente al rapporto so-ciale, ma e fondata sulla responsabilita extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c. Non si di-scute in ordine all’arbitrabilita delle controversie indicate, per le quali si veda l’art. 808-bisc.p.c., ma sull’ambito di estensione della clausola compromissoria sulla base delle espres-sioni utilizzate.

(53) Si veda sul punto: GENNARI, op. ult. cit., 93; ZUCCONI GALLI FONSECA, op. ult. cit.,953, evidenziando la necessita di specificazione della clausola. IRTI, Per una lettura dell’art.1324 c.c., cit., 563, raffigura la deroga come una « relazione sottrattiva » tra due norme. L’ef-ficacia della norma derogata si estende fin dove le fattispecie concrete non rientrano nella

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Il legislatore avrebbe cioe introdotto uno specifico requisito formale aifini dell’estensione della clausola compromissoria agli organi sociali indi-cati, costituito dall’onere della specifica previsione all’interno dell’atto co-stitutivo, con la conseguenza che, in mancanza di specifica e differenziataprevisione, la clausola compromissoria non potrebbe essere interpretatacome comprensiva delle controversie promosse da amministratori, liquida-tori e sindaci ovvero nei loro confronti.

La disposizione in esame avrebbe cosı introdotto una deroga all’art.808-quater c.p.c. (54), escludendo, dall’ambito applicativo della clausolacompromissoria, i significati comprensivi delle controversie che coinvol-gono amministratori, liquidatori e sindaci.

A tale conclusione si puo pervenire, anzitutto, tramite un argomentoletterale e, in particolare, dall’esame del testo dell’art. 34, comma 4, se-condo cui gli atti costitutivi « possono prevedere che la clausola abbia adoggetto » controversie di tal guisa e, solo « in tale caso », la clausola e vin-colante per costoro. In sostanza, il riferimento al « tale caso » sarebbe daporre in connessione con il « possono prevedere », con la conseguenza chesolo la previsione espressa comporterebbe l’estensione della clausola com-promissoria.

Inoltre, altro argomento si puo riscontrare dal tenore del primo commadell’art. 34 e dal suo rapporto con il quarto comma. Il primo comma del-l’art. 34 farebbe riferimento alle controversie vertenti tra soci e societa,qualificandole come controversie relative al rapporto sociale, mentre nonrientrerebbero nell’ambito delle controversie relative al rapporto socialequelle coinvolgenti amministratori, liquidatori e sindaci, disciplinate invecenel quarto comma della disposizione.

8. La disciplina dell’interpretazione della clausola compromissoriadi fonte statutaria non puo essere adeguatamente rappresentata senza un ri-ferimento ai rapporti tra le disposizioni richiamate e le peculiarita ermeneu-tiche dello statuto, nonche al ruolo della comune intenzione delle parti nelprocedimento interpretativo dell’atto associativo.

Dopo aver individuato l’ambito applicativo dell’art. 34, comma 4, delD.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, e dell’art. 808-quater c.p.c., occorre valutarese la comune intenzione delle parti, criterio ermeneutico previsto dall’art.1362 c.c., possa costituire uno strumento rilevante al fine di delimitare

previsione della norma derogante. Se la norma derogante non esistesse, i casi da essa previ-sti cadrebbero sotto la disciplina della norma derogata. Sul punto, si veda: CATTANELLA, De-rogazione delle leggi, in Dig. it., IX, 2, Torino, 1898-1901, 185 ss.; G.U. RESCIGNO, Deroga(in materia legislativa), in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 303.

(54) Cosı ZUCCONI GALLI FONSECA, Commento all’art. 808-quater, in Riforma del di-ritto arbitrale, in Nuove leggi civ. comm., 2007, 1205.

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l’oggetto della clausola compromissoria di fonte statutaria (55), specie inrelazione all’art. 34 D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5. I limiti applicativi sono

(55) In realta, emerge un problema anche sulla relazione esistente tra il criterio dellacomune intenzione delle parti e la disposizione di cui all’art. 808-quater c.p.c. Sembra do-versi pervenire ad una differente soluzione, a seconda dell’orientamento che si ritiene di ac-cogliere sulla natura giuridica della clausola compromissoria.

Aderendo alla tesi della natura contrattuale della clausola compromissoria, gli artt.1362 ss. c.c. trovano diretta applicazione, con la conseguenza che il criterio di soluzione dellapolisemia previsto dall’art. 808-quater c.p.c. deve essere individuato nell’ambito della gerar-chia dei criteri ermeneutici previsti dalle disposizioni sull’interpretazione del contratto. Ilproblema ermeneutico, ferma la prevalenza del criterio letterale, e quello del contrasto tracomune intenzione e criterio interpretativo di cui all’art. 808-quater c.p.c. e deve trovare so-luzione attribuendo prevalenza al primo ovvero al secondo. L’art. 808-quater c.p.c. contieneuna norma speciale rispetto all’art. 1369 c.c. (in questo senso, IBBA, L’interpretazione delleregole contrattuali nei contratti associativi, in Riv. dir. civ., 2006, II, 273, nota 7) e, in casodi conflitto tra la norma speciale ed il criterio di cui all’art. 1369 c.c., deve attribuirsi preva-lenza al primo. Diverso discorso deve svolgersi in caso di contrasto con la comune intenzionedelle parti, disciplinata dall’art. 1362 c.c., nel qual caso sembra in astratto doversi attribuireprevalenza a quest’ultima, in considerazione del tenore letterale della disposizione e del rife-rimento al dubbio che sembra richiedere la persistenza della polisemia, malgrado l’utilizza-zione dello strumento della comune intenzione delle parti. In sostanza, l’applicazione dell’art.808-quater c.p.c. sembrerebbe essere, logicamente e cronologicamente, subordinata all’appli-cazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in base al cosiddetto principio di gerarchia tra le normeinterpretative (la distinzione risale a GRASSETTI, Intorno al principio di gerarchia delle normedi interpretazione, in Foro it., 1941, I, 512, e viene riaffermata dallo stesso A., in Interpre-tazione dei negozi giuridici « inter vivos » dir. civ. in Noviss. dig. it., VIII, Torino, 1962, 906,ed e, poi, stata costantemente ripresa in dottrina ed in giurisprudenza, si veda Cass., Sez. lav.,2 aprile 2002, n. 4680, in Mass. Giust. civ., 2002, 568, ma si veda anche RIZZO, Interpreta-zione del contratto e relativita delle sue regole, Napoli, 1985, 185 ss., secondo il quale deveritenersi possibile « l’eventuale contestuale applicazione di piu regole qualora sia possibileravvisare tra le stesse un rapporto di compatibilita (e di necessario impiego) e non di antino-mia »). La clausola compromissoria costituisce un contratto formale, per il quale e cioe ri-chiesta la forma scritta ad substantiam. Sul punto, ci si limita a rappresentare che, secondoun orientamento giurisprudenziale, « nell’interpretazione dei contratti per i quali sia richiestala forma scritta ad substantiam, per la ricerca della comune intenzione dei contraenti, con ri-ferimento agli elementi essenziali del contratto, e irrilevante il comportamento complessivodelle parti in quanto significativo di un consenso al di fuori dello scritto » (Cass., Sez. II, 5febbraio 2004, n. 2216, in Giur. it., 2005, 494). In dottrina non si riscontra unanimita di ve-dute sull’interpretazione dei negozi formali, si veda: CIAN, Forma solenne e interpretazionedel negozio, Padova, 1969; PERLINGIERI, Forma del negozio e formalismo degli interpreti, Na-poli, 1987; MONTECCHIARI, La forma degli atti giuridici unilaterali, Milano, 1998; FERRI,Forma e contenuto negli atti giuridici, in Riv. dir. comm., I, 1990, 15 ss.; IRTI, Idola liberta-tis, tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano, 1985. Con specifico riferimento all’inter-pretazione del lodo, CRISCUOLO, Note in tema di interpretazione del lodo arbitrale, in questaRivista, 2004, 1, 679 ss., secondo cui le esigenze di riforma rispondono ad esigenze di tutelanon uniformi e, « lungi dal poter accedere all’idea che la previsione dei requisiti formali ri-duca lo spazio d’intervento dell’interprete e condizioni la individuazione del materiale inter-pretativo, va ribadita la circolarita di un processo nel quale l’interpretazione puo rappresen-tare un prius logico per la valutazione di adeguatezza e ragionevolezza delle forme, anche inrelazione alla natura delle disposizioni che i vincoli formali stabiliscono ».

Secondo la tesi della natura non contrattuale, le disposizioni sul contratto vanno ap-

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costituiti dalla previsione del quarto comma della disposizione e dalle dif-ferenti soluzioni proposte sull’interpretazione dei contratti associativi.

Dal tenore letterale del quarto comma dell’art. 34 del D.Lgs. 17 gen-naio 2003, n. 5, come gia rappresentato, parte della dottrina richiedeun’espressa previsione statutaria al fine dell’estensione della clausola com-promissoria ad amministratori, liquidatori e sindaci, con un conseguenterestringimento del ruolo della comune intenzione delle parti nel procedi-mento ermeneutico della clausola compromissoria. Cosı come visto perl’art. 808-quater c.p.c., l’art. 34, comma 4, comporterebbe senz’altrol’esclusione di tutti i significati del patto compromissorio che comportinouna estensione della clausola agli amministratori, liquidatori e sindaci, inmancanza di specifica indicazione. In realta, ritenendo necessario l’onereformale della espressa previsione, non sembra residuare alcuno spazio ap-plicativo per il criterio della comune intenzione delle parti al fine del-l’estensione o meno della clausola compromissoria agli organi indicati (56).

Diversamente, escludendo la necessita dell’espressa previsione, per-mane, in astratto, un margine applicativo per l’utilizzazione degli altri cri-teri ermeneutici e, quindi, anche per il criterio della comune intenzionedelle parti, ferma l’esigenza di definire i rapporti esistenti tra l’art. 1362 c.c.e l’art. 808-quater c.p.c. (57).

Occorre ancora considerare che la clausola compromissoria e inseritain uno statuto ovvero in un atto costitutivo (58), e, secondo parte della dot-

plicate alla clausola compromissoria tramite il meccanismo dell’analogia, ai sensi dell’art. 12delle disposizioni sulla legge in generale. Il problema ermeneutico, fermo il limite del testo,richiede quindi una differente analisi. L’applicabilita del criterio selettivo della comune in-tenzione delle parti implica, in tal caso, l’esistenza di una lacuna nel procedimento ermeneu-tico della clausola compromissoria, il che puo riscontrarsi subordinatamente all’applicabilitadell’art. 808-quater c.p.c. Pertanto, l’interpretazione estensiva prevista dalla disposizione ri-chiamata prevale sul difforme risultato ermeneutico fondato sul criterio della comune inten-zione delle parti.

(56) L’esigenza di un’espressa previsione vincola e limita l’attivita dell’interprete aiseguenti risultati ermeneutici: se la clausola prevede l’espressa estensione ad amministratori,liquidatori e sindaci, allora deve ritenersi esteso il potere decisorio arbitrale a tutte e le solecontroversie previste; se la clausola non prevede espressamente l’estensione del potere deci-sorio arbitrale, deve escludersi che le controversie proposte da amministratori, liquidatori esindaci ovvero nei loro confronti possano essere devolute in arbitrato.

Secondo GENNARI, op. ult. cit., 81, se si ritenesse di applicare il criterio ermeneuticodell’art. 808-quater c.p.c. allo statuto, si finirebbe per giungere sempre ad un’attrazione dellecontroversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti, nel-l’area di competenza della clausola compromissoria statutaria. Tale conclusione deve ritenersiesclusa, secondo l’A., sia in considerazione della specialita della disciplina arbitrale societa-ria, sia per la piena autonomia ed efficacia che tali atti conservano.

(57) Per i quali si veda supra.(58) La problematica investe la generale categoria dei contratti associativi, si veda,

ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicita alle tipologie, Napoli, 1995, 204 ss.

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trina (59), nel procedimento ermeneutico dello statuto, come dell’atto costi-tutivo, e da attribuire prevalenza ai criteri di interpretazione oggettiva delcontratto, piuttosto che a quelli di interpretazione soggettiva (60).

Dall’analisi del dibattito sull’interpretazione del contratto associativoe sul ruolo dei criteri ermeneutici predisposti dal legislatore, si sottolineache la contrapposizione non si articola e non investe il rapporto tra criterisoggettivi ed oggettivi, ma piuttosto, ferma l’esigenza di « muovere dal te-sto logicamente e globalmente inteso ad essere messa in discussione e lapossibilita di attribuire rilevanza » anche ad elementi extratestuali (61) e,quindi, al ruolo da assegnare alla comune intenzione delle parti (62).

Permane il problema della natura giuridica dell’atto costitutivo ovvero dello statutosocietario. Sul punto, ferma la natura di atti di autonomia privata, si riscontra una letteraturamolto ampia che discute della natura contrattuale o meno degli stessi. Si veda, per una com-pleta analisi, tra gli altri, CORAPI, Gli statuti delle societa per azioni, Milano, 1974, 11 ss.,nonche FERRO LUZZI, I contratti associativi, Milano, 2001, 43.

(59) Si veda IBBA, L’interpretazione degli statuti societari fra criteri oggettivi e sog-gettivi, in Riv. dir. civ., 1995, I, 525 ss.

(60) Cosı, ANGELICI, Appunti sull’interpretazione degli statuti societari, in AA.VV.,Studi in memoria di Gino Gorla, III, Milano, 1994, 2355 ss. Precisa IBBA, L’interpretazionedelle regole contrattuali nei contratti associativi, cit., 272, che l’applicazione dei criteri sog-gettivi non e rifiutata sempre e comunque, ma viene esclusa la rilevanza della comune inten-zione delle parti intesa in senso individualistico.

(61) Si veda, RIZZI, Interpretazione del contratto e dello statuto societario, Milano,2002, 519 ss. che individua i materiali ermeneuticamente rilevanti nell’interpretazione, sot-tolineando l’importanza del tratto della procedimentalita che caratterizza il fenomeno statu-tario (ma si veda anche con riferimento ai profili oggettivi e soggettivi delle condotte rile-vanti).

(62) IBBA, op. ult. cit., 282 ss. In prospettiva de iure condendo, l’A. esamina la pos-sibilita di introdurre una disposizione che stabilisca l’applicabilita delle norme sull’interpre-tazione del contratto ai contratti associativi, « in quanto compatibili ». Una disposizione delgenere comporterebbe l’applicabilita delle disposizioni sull’interpretazione del contratto neilimiti del giudizio di compatibilita, gia previsto dall’art. 1324 c.c. per gli atti unilaterali travivi aventi contenuto patrimoniale, e darebbe un fondamento alla specialita delle regole chedevono caratterizzare il procedimento ermeneutico dei contratti associativi. Il problema sot-tolineato dall’A. e che il Codice civile non prevede la categoria generale dei contratti asso-ciativi, con la conseguenza che non e « possibile provvedere ad una loro (piu o meno inci-dentale) disciplina senza prima essersi interrogati sull’opportunita di introdurre la catego-ria ». Si veda: GRASSETTI, Sull’interpretazione degli statuti delle societa commerciali, in Foroit., 1939, I, 1620; SCIUTO, L’interpretazione dell’atto costitutivo di societa a responsabilita li-mitata, in questa Rivista, 2004, II, 277 ss.; RIZZI, op. ult. cit., 541 ss., attribuisce rilievo alfine di sciogliere la polisemia del testo all’art. 1366 c.c., il quale deve costituire la norma diriferimento in tutte le ipotesi in cui l’atto da interpretare non sia riconducibile al soggettonella cui sfera giuridica si manifestano gli effetti dell’atto dipendenti dagli esiti dell’applica-zione delle norme interpretative, come avviene per lo statuto. Il riferimento alla buona fedeconsente di utilizzare un criterio in grado di modularsi in relazione alle diverse situazioninelle quali la societa, per sua natura, si trova ad operare, e consente di assumere, « in chiaveassiologia, con rilievo assolutamente centrale nell’operazione ermeneutica, quello che e l’am-biente di riferimento e i valori praticati che, in quell’ambiente, trovano riconoscimento ».

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Anche alla luce del dibattito in questione, non sembra che nell’inter-pretazione dell’estensione soggettiva della clausola compromissoria di

L’idea che si ricava, con la diffusione della teoria dell’interpretazione oggettiva, e cheperde rilevanza la ricerca dell’intento concretamente perseguito dalle parti, dovendosi piutto-sto valutare l’oggettivo atteggiarsi dell’organizzazione societaria. Da tale dato, secondo IBBA,op. ult. cit., 275, registrando le opinioni e lo stato della dottrina e della giurisprudenza sultema, si ricava l’esigenza di una considerazione in ogni caso oggettiva e formale dell’assettosocietario e dell’impossibilita di attingere alla realta extra documentale per identificarne lecaratteristiche organizzative. Secondo una diversa impostazione, rileva l’A., la tutela dei terzidiscenderebbe comunque dall’inopponibilita dei significati statutari da essi non percepibili (siveda anche ID., L’interpretazione degli statuti societari fra criteri oggettivi e criteri sogget-tivi, cit., 529), nel senso cioe che non si possono opporre significati diversi da quelli che iltesto oggettivamente presenta, « l’iscrizione, insomma, rende opponibile un determinato as-setto statutario nel suo significato oggettivo; e significati ulteriori saranno opponibili soloprovando la loro effettiva conoscenza da parte del terzo ». Se inizialmente la teoria oggettivadell’interpretazione era sostanzialmente incontrastata e da estendere ad ogni contratto asso-ciativo, gli sviluppi legislativi e dottrinali degli ultimi anni inducono ad individuare distin-zioni che attengono al tipo e al modello di societa, all’oggetto dell’interpretazione ed ai sog-getti nei confronti dei quali l’interpretazione deve svolgersi. Secondo IRTI, op. ult. cit., 114ss., il punto fondamentale rilevante per l’interpretazione degli atti costitutivi e dello statutoe costituito dalla tutela dei terzi, che e comune ad ogni categoria di contratti.

Su quest’ultimo profilo occorre notare che la clausola compromissoria di fonte sta-tutaria e destinata ad operare ed a produrre effetti nei confronti di soggetti differenti da-gli originali stipulanti, per effetto dell’estensione della stessa, in base al meccanismo pre-disposto dall’art. 34 D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5. Si riscontra, pertanto, un atto destinatoa produrre effetti diretti nei confronti di soggetti differenti dagli originari stipulanti, chesarebbero nel caso di specie costituiti dagli amministratori, liquidatori e sindaci. SecondoMOSCO, Principi sulla interpretazione dei negozi giuridici, Napoli, 1952, 32 ss., 74 ss.,mutando i metodi e i criteri, nonche la quantita e la qualita dei mezzi interpretativi ado-perati, mutano i risultati dell’interpretazione. L’A. attribuisce particolare rilevanza alprincipio, proprio nell’ipotesi in cui oggetto dell’interpretazione sia un atto rivolto a piupersone, cioe in cui vi siano piu destinatari e rileva che « cio non e per nulla sorprendente,ma e anzi la conseguenza della natura positivistica dell’interpretazione del negozio » e cioe anche causa della soggettivita che caratterizza tutte le interpretazioni e puo portare va-riabilita di risultati per qualsiasi tipologia di procedimento interpretativo in relazione al-l’interprete. Sottolinea PROTO, Termine essenziale e adempimento tardivo, cit., 213 ss., nelconflitto tra le parti ed i terzi, « il senso che deve assegnarsi al contratto non e desumi-bile merce la comune intenzione delle parti. La comune intenzione delle parti e incompa-tibile con il criterio della riconoscibilita », con la conseguenza che « la impossibilita diporre la comune intenzione a confronto con uno dei sensi attribuibili all’accordo costringel’interprete ad individuare tanto la natura del termine quanto il complessivo significato delcontratto attraverso l’esclusivo ricorso ai canoni “oggettivi” d’interpretazione ». PrecisaIRTI, op. ult. cit., 126 ss., che il conflitto interno, cioe relativo alle parti, puo essere defi-nito in base alla comune intenzione, mentre il conflitto esterno « si chiude nell’orizzonteverbale. Il primo esige il confronto fra testo e contesto situazionale; il secondo e strettonel contesto verbale, nei nessi grammaticali e sintattici delle parole ». A diverse conclu-sioni perviene ONORATO, L’accordo d’interpretazione, cit., 168 ss. il quale, partendo daun’analisi delle fonti del rapporto ed evidenziando la sussistenza di strumenti diversi a tu-tela dei terzi (disciplina dei vizi del consenso), conclude per l’applicabilita del criteriodella comune intenzione anche nei rapporti tra le parti ed i terzi.

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fonte statutaria permanga spazio applicativo per la comune intenzione e peril comportamento complessivo delle parti, come mezzo determinativo dellacomune intenzione (63).

RAFFAELE TUCCILLO

(63) Un limitato margine applicativo del criterio della comune intenzione delle partipuo permanere aderendo ad alcuni degli orientamenti descritti sulla natura giuridica dellaclausola compromissoria e sul rapporto tra art. 808-quater c.p.c., art. 34 D.Lgs. 17 gennaio2003, n. 5, e norme sull’interpretazione del contratto.

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RASSEGNE E COMMENTI

Arbitration in Europe for Chinese Companies (*)

ANTONIO BRIGUGLIO

Arbitration of course isn’t a unique legal institution to Italian or Eu-ropean law. It rather is a world wide institution, familiar also in China. Onthis matter, we must take into consideration the now very long experienceof the CIETAC - China International Economic and Trade Arbitration Com-mission, which has recently modernized its rules, as well as the precisionof the Arbitration Law of the People’s Republic of China (1994).

There clearly are some differences between each national legal systemconcerning the regulation of arbitration, however, the fundamental conceptsare broadly the same.

Allow me, therefore, to avoid talking about arbitration in general butto deal with the topic from a specific and practical point of view. I’ll startwith a very concrete question and example, talking about a situation whichcould, a couple of years ago, have been considered unusual, but whichtakes place today much more frequently: the involvement of Chinese com-panies in European commerce.

Would it be advisable for a random Chinese company that invests (orsells etc.) either in Europe or in Italy, to include an arbitration clause in itscontract? What are the advantages and disadvantages of arbitration as away of dispute resolution between a Chinese and a European company?

I assume that a Chinese company would always best appreciate an ar-bitration being regulated by Chinese law, with its seat in China. However,the approval of the European party can not be taken for granted. In fact, ifthe business transaction is to be performed in Europe, it is quite normal thatthe arbitration would most certainly not take place in China or even inHong Kong.

Therefore, I would like to consider whether a Chinese party wouldfind it suitable to accept an arbitration with seat in Europe.

(*) E il testo della Relazione tenuta all’Incontro di Studio italo-cinese sul « Sistemagiudiziario italiano », svoltosi presso l’Universita di Roma Tor Vergata il 12 settembre 2012.

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Some disadvantages are undeniable. These are predictable disadvan-tages, however, for which it is quite simple to make a costs and benefitsanalysis, depending on the case.

Arbitration isn’t fast at all; it is possibly faster than civil proceedingsbefore an Italian judge; but it surely is slower than proceedings that takeplace before many other European courts. Moreover, after the arbitral pro-ceedings, a limited right of appeal against the arbitral award, before a statecourt, is nearly always allowed.

Arbitration is usually expensive. Much more expensive than civil pro-ceedings in Italy, and also more expensive than English proceedings (whichis the most expensive in Europe).

I believe that the number and the importance of the advantages pre-vail over the disadvantages.

Arbitration normally leads to a more accurate decision. Arbitrators areoften more precise and make more effort than state judges. Moreover, onlyin arbitration and not in proceedings before state courts, more qualified ar-bitrators can be selected when the controversy involves specialized issues(such as transferring aeronautical technology, or protecting know-how intextile production).

Arbitration is also a more flexible procedure, and the arbitrators men-tality is also more flexible. This helps a balanced evaluation of the issuesbetween very different legal cultures.

Arbitration supports a balanced approach and fair play even betweenfighting parties, so the possibility of the two parties reaching a settlementeven before the arbitrators decision increases. Of course, this isn’t alwaystrue, and it mostly depends on the parties (even if only one party is particu-larly hostile and aggressive, maybe the judgment of a state court would bebetter). In general, however, businessmen and women are pragmatic andconcrete and are willing to take a mediation approach if the person incharge of the decision in the dispute helps them this way. I feel that, for aChinese party with a mediation culture and approach, this is a very impor-tant factor. Not only. I do know that, in China, legal or arbitration proceed-ings almost never take place unless there has been a previous conciliationattempt. This approach, that sees the adjudicatory method as the last resortto resolve a dispute, can be guaranteed even when European arbitration ischosen. It is quite possible that an arbitration agreement requires, in caseof a dispute, that the two parties try to find a negotiated agreement evenbefore the actual arbitration proceeding starts.

Choosing arbitration removes any problem in establishing the appro-priate jurisdiction as well as any doubt in case of concurrent state jurisdic-tions. Choosing arbitration also represents a reasonable compromise on thematter of jurisdiction. Infact, the Chinese party will likely avoid proceed-ings before a European state court, and vice versa.

There is also one more aspect which could be considered disadvanta-

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geous from a Chinese party’s point of view, even if, according to me, itisn’t a matter of concern. This is the impartiality of an arbitral panel withseat in Europe towards a Chinese party. I can, however, reassure our gueststoday.

If the parties entrust their international arbitration to an institution suchas the International Chamber of Commerce or the London Court of Arbitra-tion, or to any other distinguished and well-known organization, there areample and sufficient guarantees of impartiality and independence of the arbi-tral panel. Clearly, the Chinese party could, and should, appoint a Chinese ar-bitrator to the panel, followed by a third arbitrator who would be chosen fol-lowing procedures which would ensure the necessary impartiality.

Moreover, the fact that the arbitration takes place in Europe doesn’tnecessarily mean that the law to be applied to the merits of the disputeshould be that of a European country. The law to be applied to the meritswill depend first of all on what the parties have previously chosen byagreement in their contract.

On the other hand, the application of the civil procedural rules of thecountry in which the arbitration takes place is common. This shouldn’t beof concern. No national law of any European country dictates particularlyrestrictive and binding rules for arbitral proceedings. Arbitral proceedingsmostly follow the agreed will of the parties and the cautious approach takenby the arbitral panel. It is therefore possible, and is also frequent in prac-tice, for the arbitral panel to agree procedural rules with the parties whichis a meld of different procedural approaches of the European and Chineseparties, for example, as to the taking of evidence.

It would in any case be appropriate to have the arbitration take placein a European country whose legislation reduces, as much as possible, anysupervision or intervention by a state court in the arbitral proceedings.There are now many arbitration laws, including the present Italian one, thatfollow this approach.

Finally there are some very liberal countries. For example, if an arbi-tration takes place in Switzerland and the two parties involved are bothforeign, for example, Chinese and German parties, the arbitral award wouldnot be able to be referred for any judicial review before a Swiss (or other)state court.

Let me say one more thing.If the arbitration takes place in Europe, the arbitral award would be

easier to enforce in Europe: this is a big advantage for a successful Chineseparty interested in the enforcement of the award in Europe where the assetsof the other party are located.

The arbitral award would also be more difficult to enforce in China.This is an advantage for the Chinese party if it loses and if the successfulEuropean party needs to enforce the award in China where the assets of theChinese party are located.

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L’evoluzione normativa, giurisprudenzialee negoziale della mediazione civile e commerciale

CHRISTIAN CORBI

1. Il quadro normativo, giurisprudenziale e negoziale di riferimento.

L’entrata in vigore del D.Lgs. n. 28/2010 (1) e del successivo D.M. n.180/2010 (2) confermava le perplessita a suo tempo evidenziate dalla mi-gliore dottrina (3) in tema di mediazione civile e commerciale.

Nell’apprezzabile tentativo di fare chiarezza o comunque di confe-rire alla materia un maggior grado di certezza, il Ministero della Giusti-zia emanava alcuni provvedimenti diretti, tra l’altro, ad incidere sullafase introduttiva della mediazione (4), sui procedimenti amministrativi

(1) LUISO, Diritto processuale civile, vol. V, Milano, 2011, passim.(2) IZZO, La disciplina di attuazione in materia di mediazione civile e commerciale,

in Rass. for., 2010, 577 ss.(3) LUISO, Diritto processuale civile, cit., passim; CAPONI, La giustizia civile alla

prova della mediazione (a proposito del d.leg. 4 marzo 2010 n. 28). Quadro generale, inForo it., 2010, V, 92; CAPONI, La mediazione obbligatoria a pagamento: profili di incostitu-zionalita, in www.judicium.it; DALFINO, Dalla conciliazione societaria alla « mediazione fina-lizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali », in www.judicium.it; DIT-TRICH, Il procedimento di mediazione nel D.Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in www.judicium.it;FABIANI, LEO, Prime riflessioni sulla « mediazione finalizzata alla conciliazione delle contro-versie civili e commerciali » di cui al D.Lgs. n. 28/2010, in www.judicium.it; FABIANI, Profilicritici del rapporto tra mediazione e processo, in www.judicium.it; IMPAGNATIELLO, La do-manda di mediazione: forma, contenuto ed effetti, in www.judicium.it; JULINI, La mediazionenelle controversie civili e commerciali, Forlı, 2010, passim; MINELLI, TARRICONE, La media-zione per la composizione delle controversie civili e commerciali, a cura di BOVE, Padova,2011, passim; PAGNI, Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali: risolu-zione negoziale delle liti e tutela giudiziale dei diritti, in Societa, 2010, 620; SANTANGELI, Lamediazione obbligatoria nel corso del giudizio di primo grado, in www.judicium.it; SCAR-SELLI, L’incostituzionalita della mediazione di cui al D.Lgs. n. 28/2010, in Foro it., 2011, V,54 ss.; SCARSELLI, La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, in www.ju-dicium.it; SOLDATI, Al vaglio l’obbligo del « previo esperimento », in Guida al diritto, 17,2011, 32 ss.; TISCINI, Il procedimento di mediazione per la conciliazione delle controversiecivili e commerciali, in www.judicium.it; ZINGALES, La fase di mediazione obbligatoria nelquadro delle garanzie costituzionali, in www.judicium.it.

(4) Circolare del 4 aprile 2011, commentata da MARINARO, Il regolamento degli or-

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relativi alle istanze formulate dagli organismi gia accreditati (5), sulle“spese di mediazione” (6), nonche sul requisito della “formazione” deimediatori (7).

Successivamente, il legislatore interveniva di nuovo per ribadire ilproprio favor nei confronti dell’istituto di nuova fattura (8), sollecitandol’effettivo svolgimento di quei procedimenti che, ai sensi dell’art. 5, comma1, D.Lgs. n. 28/2010, si pongono come condizione di procedibilita delladomanda giudiziale (9).

Dal canto loro, il Garante per la protezione dei dati personali (10), ilConsiglio Nazionale Forense (11), il Parlamento Europeo (12) ed alcune pro-

ganismi non puo eludere la condizione di procedibilita prevista dal sistema, in Guida al di-ritto, fasc. 17 del 23 aprile 2011, 38.

(5) Circolare del 13 giugno 2011, commentata da MARINARO, Il silenzio dell’Ammi-nistrazione competente equivale a un sı all’accoglimento dell’istanza, in Guida al diritto,fasc. 27, inserto speciale n. 8, del 2 luglio 2011, 29.

(6) Si tratta dal D.M. n. 145 del 6 luglio 2011 che ha modificato il D.M. n. 180/2011.Al riguardo si veda MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio di qualita competenzemultidisciplinari all’altezza della sfida, in Guida al diritto, fasc. 36 del 10 settembre 2011,31 ss.; VACCARI, La disciplina delle spese nella media-conciliazione, in www.judicium.it.

(7) Circolare del 20 dicembre 2011, commentata da MARINARO, Con competenze spe-cifiche e criteri inderogabili piu trasparenza nell’assegnazione degli incarichi, in Guida aldiritto, fasc. 3 del 14 gennaio 2012, XI ss.

(8) Cosı VACCARI, Media-conciliazione e funzione conciliativa del giudice, inwww.judicium.it.

(9) Nel testo si fa riferimento all’art. 2, comma 35 sexies, L. n. 148 del 14 settem-bre 2011, commentata da MARINARO, Mediazione, multata la mancata partecipazione, inGuida al diritto, fasc. 39 del 1o ottobre 2011, 65 ss. Tale norma era stata novellata dall’art.12 del D.L. n. 212 del 22 dicembre 2011 (successivamente abrogato in sede di conversionedel D.L. n. 212/2011 nella Legge n. 10/2012), con commento di MARINARO, Al giudice la va-lutazione sull’assenza delle parti, in Guida al diritto, fasc. 3 del 14 gennaio 2012, 51 ss.;BOVE, Le sanzioni per la mancata cooperazione in mediazione, in www.judicium.it; VACCARI,Media-conciliazione, cit.

(10) Nel teso ci si riferisce alle delibere nn. 160, 161 e 162 del 21 aprile 2011, inforza delle quali il Garante per la protezione dei dati personali autorizzava, in via generale epreventiva, il trattamento dei dati personali, giudiziari e sensibili con particolare riferimentoalla mediazione obbligatoria svolta sia presso organismi pubblici, sia privati. A tal riguardo,occorre pero chiedersi se i mediatori, nell’ambito della mediazione volontaria, potranno co-munque avvalersi della predetta autorizzazione ovvero dovranno, di volta in volta, rivolgerealla descritta Autority la specifica richiesta. In data 24 giugno 2011, sempre la medesima Au-torita Garante per la protezione dei dati personali emanava, altresı, la delibera n. 259, rela-tiva all’« esonero dall’obbligo di notificazione del trattamento di dati genetici effettuato daorganismi di mediazione ».

(11) Nel testo si richiama la circolare n. 24-C-2011 del 23 settembre 2011 che ha in-trodotto le cause di incompatibilita tra coloro che esercitano il ruolo di mediatore e coloroche invece che esercitano quello di avvocato.

(12) Il Parlamento Europeo, in data 13 settembre 2011, ha emanato una risoluzionecon la quale ha effettuato la ricognizione dello stato di attuazione della Direttiva n. 52/2008/UE nell’ambito dei Paesi dell’Unione Europea.

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nunce giurisprudenziali (13) contribuivano ad arricchire il complessivo qua-dro di riferimento ed a fornire ulteriori spunti di riflessione.

D’altra parte, nonostante l’attuale pendenza del giudizio di legittimitacostituzionale sull’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 (14), in relazione agliartt. 3, 24 e 77, comma 1, Cost., il numero degli organismi di mediazioneiscritti nel registro ministeriale, anche a seguito dell’entrata in vigore del-l’obbligatorieta del tentativo per le controversie in materia di condominio edi responsabilita civile connessa alla circolazione stradale (15), appare dav-vero notevole.

A cio va aggiunto come la struttura dei predetti organismi, moltospesso disciplinata da negozi giuridici di diritto privato stipulati tra la sedecentrale e le singole unita locali (c.d. “accordi di gestione delle unita loca-li”) (16), assuma la veste della rete d’impresa (17), favorendo per tal viaun’ampia e diffusa articolazione territoriale.

Poste queste premesse, prima di commentare le principali fonti a cuisi e fatto cenno e di inquadrare, da un punto di vista squisitamente giuri-dico, i menzionati accordi di gestione, appare opportuno muovere — anchealla luce delle diverse ordinanze con la quali nelle more sono state ulterior-mente investite la Consulta (18) ed la Corte giust. U.E. (19) — dalla que-

(13) In particolare si intende far riferimento a: decreto del Trib. Roma, Sez. V,emesso in data 6 luglio 2011, in www.altalex.com; ordinanza del Trib. Palermo, Sez. distac-cata di Bagheria, del 13 luglio 2011, con nota di CORBI, Il rilievo dell’improcedibilita delladomanda giudiziale conseguente all’omesso esperimento del tentativo obbligatorio di media-zione, in questa Rivista, 2012, 89 ss.; ordinanza del Trib. Palermo del 30 dicembre 2011, inGuida al diritto, fasc. 43, 2011, 14 ss., con nota di CASTELLANETA; ordinanza del Trib. Varesedel 20 dicembre 2011, in www.ilcaso.it.

(14) A tal riguardo, si veda CORBI, La mediazione civile ed i sospetti di illegittimitacostituzionale per eccesso di delega, in questa Rivista, 2011, 99 ss.; PAGNI, La mediazione di-nanzi alla Corte costituzionale dopo l’ordinanza del TAR Lazio n. 3202/2011, in Corr. giur.,2011, 995 ss.

(15) L’art. 2, comma 16-decies del D.L. n. 225/2010 (c.d. decreto milleproroghe),convertito in legge n. 10/2011, aveva prorogato il termine di cui all’art. 24, comma 1, delD.Lgs. n. 28/2010 (21 marzo 2011) di dodici mesi, limitatamente alle controversie in mate-ria di condominio e di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e na-tanti.

(16) La citata circolare del CNF n. 24-C-2011 e intervenuta sancendo il divieto pergli studi legali di stabilire altresı al loro interno le unita locali degli organismi di mediazione.

(17) Spunti in GALLETTO, Profili di responsabilita degli organismi di mediazione e deimediatori, in questa Rivista, 2011, 233 ss.

(18) Ordinanza n. 4574, emessa dal Trib. Genova, Sez. III, in data 18 novembre2011, in www.cameracivileveneziana.it; ordinanza del Giudice di Pace di Catanzaro, emessain data 30 agosto 2011 e pubblicata in data 1o settembre 2011, in www.altalex.com; ordinanzadel Giudice di Pace di Parma, emessa in data 1o agosto 2011, in www.diritto24.ilsole24ore.com.

(19) Ordinanza del Giudice di Pace di Mercato S. Severino, emessa e pubblicata in

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stione di legittimita costituzionale, rispetto agli artt. 3 e 24 Cost., dell’art.5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 (20).

2. La mediazione obbligatoria ed altresı onerosa alla luce degli artt. 3 e24 Cost.

L’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 ha introdotto una nuova (21) ediscussa (22) figura di « giustizia condizionata » alla preventiva proposi-zione dell’istanza di mediazione dinanzi agli organismi disciplinati dalD.M. n. 180/2010 (attuativo dell’art. 16 D.Lgs. n. 28/2010) (23).

Al riguardo, se il TAR Lazio (24) si era limitato a censurare l’art. 5,comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 prevalentemente sotto il profilo dell’eccessodi delega (ex art. 77, comma 1, Cost.), alcuni giudici « a quo » (25) hannoinvece ritenuto di dover sollecitare il sindacato di legittimita costituzionaledella citata norma in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. e cio in ragione del-

data 21 settembre 2011, in www.altalex.com; ordinanza del Trib. Palermo del 16 agosto 2011,in www.conciliazione-obbligatoria.com.

(20) CORBI, La mediazione, cit., 99 ss.; PAGNI, La mediazione, cit., 995 ss.; CAPONI,La mediazione obbligatoria a pagamento: profili di incostituzionalita, cit.; SANTANGELI, Lamediazione obbligatoria nel corso del giudizio di primo grado, cit.; SCARSELLI, L’incostitu-zionalita della mediazione di cui al D.Lgs. n. 28/2010, cit., 54 ss.; SCARSELLI, La nuova me-diazione e conciliazione: le cose che non vanno, cit.; SOLDATI, Al vaglio l’obbligo del « pre-vio esperimento », cit., 32 ss.; ZINGALES, La fase di mediazione obbligatoria nel quadro dellegaranzie costituzionali, cit.

(21) Diverse sono le ipotesi di giurisdizione condizionata nel nostro ordinamento.Tra esse si ricorda, a mero titolo esemplificativo, quella prevista nell’ambito dei rapporti traordinamento statale ed ordinamento sportivo. Al riguardo, spunti in CORBI, La giustizia spor-tiva c.d. « tecnica » tra arbitrato irrituale e litisconsorzio necessario, in questa Rivista, 2009,363 ss. Il tema e ampiamente tratteggiato da: CAMPIONE, Il punto sull’arbitrato sportivo, inquesta Rivista, 2010, 509 ss.; LUISO, Natura giuridica delle federazioni sportive nazionali equestioni di giurisdizione, in Giust. civ., 1980, 3 ss.; AULETTA, Un modello per la Camera diConciliazione e Arbitrato per lo Sport, in questa Rivista, 2007, 145 ss.

(22) In senso critico: CAPONI, La mediazione obbligatoria a pagamento, cit.; SANTAN-GELI, La mediazione obbligatoria, cit.; FABIANI, LEO, Prime riflessioni, cit.; FABIANI, Profilicritici, cit.; SCARSELLI, L’incostituzionalita della mediazione, cit., 54 ss.; ZINGALES, La fase dimediazione obbligatoria, cit.; SOLDATI, Al vaglio l’obbligo del « previo esperimento », cit., 32ss.; ALPA, IZZO, Il modello italiano di mediazione: le ragioni di un insuccesso, in www.judi-cium.it.

(23) Amplius LUISO, Diritto processuale civile, cit., passim.(24) Ordinanza del TAR Lazio n. 3202/11, del 12 aprile 2011, con nota di CORBI, La

mediazione, cit., 99 ss. e con nota di PAGNI, La mediazione, cit., 995 ss.(25) Ordinanza n. 4574, emessa dal Trib. Genova, Sez. III, in data 18 novembre

2011, in www.cameracivileveneziana.it; ordinanza del Giudice di Pace di Catanzaro emessain data 30 agosto 2011 e pubblicata in data 1o settembre 2011, in www.altalex.com; ordinanzadel Giudice di Pace di Parma, emessa in data 1o agosto 2011, in www.diritto24.ilsole24ore.com.

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l’onerosita ed altresı dell’obbligatorieta del tentativo di mediazione per letipologie di controversie indicate ex lege (26).

Come noto, il consolidato orientamento giurisprudenziale del Giudicedelle leggi (27) consente di escludere, con ragionevole certezza, la compres-sione del diritto di difesa (28) — e quindi la violazione dell’art. 24 dellaCost. — per il solo fatto che l’accesso alla giurisdizione venga subordinatoad una condizione di procedibilita della domanda (29).

In tal caso, si pone semmai il problema di verificare se l’introduzionedi un filtro processuale di tal fatta sia rispondente ad esigenze di ordine ge-nerale rispetto all’obiettivo di rendere piu « celere » ed « effıcace » la tutelagiurisdizionale.

Orbene, poiche nessun dubbio sussiste relativamente al primo aspetto(interesse generale) — ben potendo ammettersi la temporanea improcedibi-lita dell’azione al fine di realizzare l’effetto deflattivo del contenzioso (30)— eventuali perplessita potrebbero sorgere in ordine ai diversi e richiamatiprofili di « celerita » ed « effıcacia ». Ove, infatti, i regolamenti degli orga-nismi di mediazione introducessero meccanismi caratterizzati da lentezza,macchinosita o insidiosita del procedimento, il giudice adito dovrebbe di-sapplicare la legge (31), ovvero investire la Consulta della relativa que-stione.

Con particolare riferimento alla « celerita », l’art. 5, comma 1, D.Lgs.

(26) LUISO, L’arbitrato e la mediazione nell’esperienza contemporanea, in www.judi-cum.it.

(27) Si veda la nota sentenza della Corte cost. n. 276, del 13 luglio 2000, in Foro it.,2000, I, 2752 ss., relativa all’obbligatorieta del tentativo di conciliazione nelle controversiedi lavoro. La Corte rilevava che l’art. 24 Cost., nel tutelare il diritto di azione, non postulil’assoluta immediatezza del suo esperimento, ben potendo la legge imporre oneri finalizzatia salvaguardare « interessi generali » sotto un duplice profilo: evitare che l’aumento dellecontroversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico del-l’apparato giudiziario e favorire la composizione preventiva della lite. Si veda altresı la sen-tenza n. 113 del 22 aprile 1997, in Giur. cost., 1997, 1087 e ss. In dottrina, spunti in PAGNI,Le controversie tra gli operatori di comunicazioni elettroniche e gli utenti, in www.judiciu-m.it.

(28) In tal senso, seppure in materia di servizi di comunicazione elettronica, si vedala recente sentenza della Corte giust. U.E., 18 aprile 2010, IV sezione, C 317/08, C-318/08,C-219/08, C-320/08, con nota di CALABRESI, Sulla conformita al diritto comunitario del ten-tativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com. in materia di telecomunicazioni: untest per la nuova mediazione?, in questa Rivista, 2010, 633 ss.

(29) Dello stesso avviso CALABRESI, Sulla conformita al diritto comunitario, cit.,662-663.

(30) LUISO, L’arbitrato e la mediazione nell’esperienza contemporanea, cit., inwww.judicum.it.

(31) Spunti in DANOVI, Gli arbitri rituali come i giudici di fronte alla sospetta inco-stituzionalita della legge, in www.judicium.it. Spunti anche in MAIONE, Profili ricostruttivi diuna (eventuale) legittimazione a quo dei Collegi dell’Arbitrato bancario Finanziario, inwww.judicium.it.

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n. 28/2010 sembra poter andare esente da censure, in quanto all’inutile de-corso del termine di cui all’art. 6, comma 1, del citato decreto legislati-vo (32) consegue la procedibilita della domanda giudiziale (33).

Pertanto, l’eventuale compressione del diritto di difesa potrebbe — intesi e come sostenuto dai riferiti giudici « a quo » — derivare non dall’ob-bligatorieta del tentativo di mediazione tout court, bensı dall’onerosita chealtresı lo connota (34) e, quindi, tradursi nella violazione del principio del-l’« effıcacia » della tutela giurisdizionale (35).

Sul punto, alcune pronunce della Consulta (36) hanno affermato lacompatibilita della garanzia costituzionale del diritto di azione con « in-combenti anche di natura economica », quindi diversi da quelli aventi na-tura fiscale, purche « razionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudi-zio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conformealla sua funzione » (37).

Il D.Lgs. n. 28/2010 ha inoltre corredato il nuovo istituto stragiudi-ziale di una serie di benefici fiscali (38) del tutto estranei al processo civi-le (39) ed all’arbitrato, nel duplice scopo di incentivarne la diffusione e diattenuarne (40) l’impatto economico sui cittadini (41).

(32) Il termine di cui all’art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 non e perentorio, bensıordinatorio. Amplius TISCINI, Il procedimento di mediazione, cit.

(33) Cosı TISCINI, Il procedimento di mediazione per la conciliazione, cit.; SCARSELLI,La nuova mediazione e conciliazione, cit.; SANTANGELI, La mediazione obbligatoria, cit.; FA-BIANI, LEO, Prime riflessioni, cit.; FABIANI, Profili critici, cit.; DITTRICH, Il procedimento di me-diazione, cit.

(34) CAPONI, La mediazione obbligatoria a pagamento, cit.; ZINGALES, La fase di me-diazione obbligatoria, cit.

(35) Dello stesso avviso CALABRESI, Sulla conformita al diritto comunitario, cit.,661-662.

(36) Corte cost. 8 aprile 2004, n. 114, in Giur. cost., 2004, 1174. Anche la Corte diGiustizia dell’U.E. ha emanato pronunce del medesimo tenore, tra le quali si veda: 18 marzo2010, C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08, con nota di ARMONE, PORRECA, La media-zione civile nel sistema costituzional-comunitario, in Foro it., 2010, V, 372.

(37) CAPONI, La mediazione obbligatoria a pagamento, cit.(38) L’art. 17 D.Lgs. n. 28/2010: a) esonera tutti gli atti della procedura di media-

zione dall’imposta di bollo e da qualsivoglia altra spesa, tassa o diritto di qualunque natura;b) esonera dall’imposta di registro i verbali di conciliazione da cui derivino obbligazioni perun valore complessivo non superiore ad € 50.000,00 (altrimenti l’imposta e dovuta per l’ec-cedenza); c) accorda a ciascuna parte un credito d’imposta fino ad € 250,00, se la concilia-zione fallisce, e fino ad € 500,00, se invece riesce; d) stabilisce che quando la mediazione econdizione di procedibilita della domanda, la parte che si trovi nelle condizioni per l’ammis-sione al patrocinio a spese dello Stato sia integralmente esonerata dal pagamento delleindennita di mediazione.

(39) Eccezion fatta per l’ammissione al gratuito patrocinio, originariamente previstasolo con riferimento alla giustizia statale.

(40) Dello stesso avviso CALABRESI, Sulla conformita al diritto comunitario, cit., 663.(41) MATTEUCCI, Quanto costa la mediazione, in www.altalex.com.

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Peraltro, il D.M. n. 145/2011 (42) che, come meglio si vedra in se-guito, ha modificato il D.M. n. 180/2010, ha ridotto in maniera significa-tiva l’importo delle “spese di mediazione” nei casi di mediazione c.d. “con-tumaciale” ed obbligatoria (43).

Atteso quanto precede, non appare agevole stabilire — rebus sic stan-tibus — se l’onerosita che connota lo strumento deflattivo in esame deter-mini la “lacerazione del tessuto costituzionale” (44), comprimendo l’ac-cesso alla tutela giurisdizionale e quindi il diritto di difesa del cittadino (45).

A parere di chi scrive, la predetta onerosita, pur connessa all’obbliga-torieta della mediazione, potrebbe apparire costituzionalmente giustifica-ta (46), anche alla stregua dei benefici fiscali e dei moderati costi a cui si efatto cenno (47), dall’esigenza, mai preminente come in questo momentostorico (48), di garantire la maggiore « celerita » ed « effıcienza » della giu-stizia civile (49).

Sotto altro e diverso profilo, pur sempre in relazione all’art. 24 Cost.,il Tribunale di Genova (50) ha di recente statuito come la normativa in temadi mediazione limiterebbe il diritto all’azione del cittadino, non consen-tendo a quest’ultimo di potersi valere, in caso di intervenuta conciliazione,del sistema di tutela dei diritti immobiliari conseguente alla trascrizionedella domanda giudiziale e del relativo provvedimento decisorio. In parti-colare, non essendo normativamente prevista ne la trascrizione dell’istanzaintroduttiva, ne quella dell’accordo conciliativo, colui che esperisce il ten-tativo di mediazione non potrebbe quindi beneficiare, in caso di esito posi-tivo dello stesso, dell’effetto prenotativo previsto dagli artt. 2652 e 2653c.c. e, per tal via, tutelarsi da eventuali atti dispositivi compiuti, mediotempore, dalla parte chiamata nel procedimento.

L’argomento non sembre decisivo. In caso di esito negativo del tenta-tivo stragiudiziale di cui al D.Lgs. n. 28/2010, la parte istante che abbiatrascritto la domanda giudiziale contestualmente al deposito dell’atto intro-

(42) Spunti in SOLDATI, Riduzione dei costi se l’altra parte non compare, in Guida aldiritto, fasc. 3 del 14 gennaio 2012, XVI ss.

(43) MARINARO, Il regolamento degli organismi non puo eludere la condizione diprocedibilita, cit., 38 ss.

(44) La frase nel teso e di ZINGALES, La fase di mediazione obbligatoria, cit.(45) LUISO, L’arbitrato e la mediazione nell’esperienza contemporanea, cit. A parere

dell’Autore, l’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 e in linea con l’art. 24 Cost.(46) Cosı LUISO, L’arbitrato e la mediazione nell’esperienza contemporanea, cit.

Contra, ALPA, IZZO, Il modello italiano di mediazione: le ragioni di un insuccesso, cit.(47) MATTEUCCI, Quanto costa la mediazione, cit.(48) VIETTI, La fatica dei giusti, Milano, 2011, 93 ss.(49) In tal senso, si veda ZINGALES, La fase di mediazione obbligatoria, cit.(50) Con ordinanza n. 4574, emessa in data 18 novembre 2011, in www.altalex.com,

il Trib. Genova, Sez. III, ha investito la Corte costituzionale della questione di legittimitadell’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.

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duttivo della mediazione godrebbe infatti delle ordinarie tutele di cui agliartt. 2652 e 2653 c.c. (51), letti in combinato disposto con l’art. 111, comma4, c.p.c. (52).

Viceversa, nell’ipotesi in cui il chiamato in mediazione alieni a terzi,nelle more della procedura stragiudiziale, il bene immobile oggetto dellalite e si dichiari proditoriamente disposto a conciliare la controversia (bensapendo che la parte istante non potra beneficiare del citato effetto preno-tativo), il problema comunque non sussisterebbe. In tal caso, infatti, l’ac-cordo conciliativo sarebbe invalido e quindi inidoneo a comporre la lite, inquanto il chiamato (e dante causa) non sarebbe titolare, al momento dellasottoscrizione del contratto di transazione, della capacita di disporre del di-ritto controverso (53).

Meritevole di maggiore attenzione, ma altrettanto privo di particolarepregio, appare invece, l’altro e diverso profilo della presunta incostituzio-nalita dell’ex art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010, sollevato d’ufficio dal ci-tato giudice « a quo », in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. (54).

A parere del Tribunale di Genova, l’obbligo della mediazione interes-serebbe, in via esclusiva, le controversie relative ad azioni reali (es. azionedi revindicazione della proprieta) e non anche quelle che, pur avendo adoggetto il medesimo petitum (es. riacquisto della titolarita), fossero relativead azioni personali ex contractu (es. azione di nullita del contratto di com-pravendita).

Tuttavia, dalla disamina dell’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 si ri-cava espressamente che il previo esperimento del tentativo di mediazioneoperi come condizione di procedibilita della domanda giudiziale in riferi-mento alle “controversie in materia di [...] diritti reali”.

Non v’e quindi alcun motivo per restringere l’ambito applicativo dellarichiamata norma alle sole azioni reali, dovendosi viceversa ritenere, ancheal fine di darne una lettura costituzionalmente orientata (55), che rientri nel

(51) Spunti in CORBI, La trascrizione della domanda arbitrale, in questa Rivista,2010, 729 ss.

(52) Spunti in LUISO, Le azioni di restituzione da contratto e la successione nel di-ritto controverso, in www.judicum.it.

(53) Cass. civ., Sez. III, n. 7319, 5 luglio 1993, in BARTOLINI, DUBOLINO, Il Codice ci-vile commentato, Piacenza, 2004, 1607. La riferita pronuncia ascrive la nullita del contrattodi transazione per difetto di capacita di disporre del diritto controverso alla mancanza dicausa.

(54) Si tratta di un aspetto evidenziato anche dall’ordinanza del Trib. Palermo 30 di-cembre 2011, in www.diritto.it.

(55) Spunti in AULETTA, « Le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittimeperche e possibile darne interpretazione non costituzionali, ma perche e impossibile darneinterpretazioni costituzionali »: la disapplicazione del principio in materia di arbitrato e tu-tela cautelare, in questa Rivista, 2002, 89.

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novero dell’obbligatorieta qualunque controversia avente ad oggetto dirittireali, indipendentemente dalla natura delle azioni esperite.

3. L’obbligatorieta della fissazione del primo incontro di mediazione e lacircolare ministeriale del 4 aprile 2011.

Con la circolare (56) del 4 aprile 2011 — attualmente recepita dall’art.7, comma 5, lett. d) del D.M. n. 180/2010, cosı come novellato dall’art. 3del D.M. n. 145/2011 (57) — il Ministero della Giustizia interveniva per ri-badire, tra l’altro, l’obbligatorieta della condizione di procedibilita nellematerie indicate dall’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010.

L’occasione nasceva dal contenuto contra legem dei regolamenti ditaluni organismi di mediazione (58), che autorizzavano il responsabile del-l’ente ad attestare l’intervenuta conclusione del procedimento (59) nelle ipo-tesi in cui: a) la parte invitata non avesse aderito (60) — tempestivamen-te (61) — alla mediazione, ovvero avesse comunicato espressamente di nonvolervi aderire; b) l’istante avesse successivamente dichiarato di voler ri-nunciare al tentativo (62).

Per tal via si verificavano due conseguenze di ordine pratico (63): a)

(56) CARINGELLA, Compendio di diritto amministrativo, Roma, 2010, 81-91, spec. 90;GALLI, Corso di diritto amministrativo, Padova, 2007, vol. II, 54 ss.

(57) L’art. 7, comma 5, lett. d) del D.M. n. 180/2010, come modificato dall’art. 3 delD.M. n. 145/2011 recita: « nei casi di cui all’art. 5, comma 1, del decreto legislativo, il me-diatore svolge l’incontro con la parte istante anche in mancanza di adesione della partechiamata in mediazione, e la segreteria dell’organismo puo rilasciare attestato di conclu-sione del procedimento solo all’esito del verbale di mancata partecipazione della medesimaparte chiamata e mancato accordo, formato dal mediatore ai sensi dell’art. 11, comma 4, deldecreto legislativo ».

(58) MARINARO, Il regolamento degli organismi, cit., 38 ss. Il regolamento dell’orga-nismo di conciliazione dell’ordine degli avvocati di X sanciva, all’art. 4, comma 4, lett. b),che l’incontro con il mediatore avrebbe potuto non aver luogo qualora una delle parti chia-mata in mediazione avesse tempestivamente dichiarato di non voler aderire alla procedura.

(59) In tali casi, il responsabile dell’organismo (e non invece il mediatore) redigevae rilasciava in favore della parte istante il verbale di mancata conciliazione per assenza dellaparte chiamata in mediazione.

(60) Cosı MARINARO, Il regolamento degli organismi, cit., 38 ss. In ordine alla distin-zione tra « adesione » e « partecipazione » alla procedura di mediazione si veda CAPONI, Ade-sione e partecipazione, in www.judicium.it.

(61) L’adesione non poteva ritenersi tempestiva qualora il chiamato in mediazionenon avesse manifestato l’intendimento di prender parte al procedimento stragiudiziale entroi termini a tal fine previsti dal regolamento dell’organismo dinanzi al quale era stata deposi-tata l’istanza introduttiva.

(62) MARINARO, Il regolamento degli organismi, cit. 39; CAPONI, Adesione e parteci-pazione, cit.

(63) MARINARO, Il regolamento degli organismi, cit., 40; CAPONI, Adesione e parteci-pazione, cit.

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l’organismo veniva sollevato dall’obbligo di nominare il mediatore (64); b)il costo dell’attivita stragiudiziale veniva circoscritto alle sole « spese diavvio del procedimento » (65).

Nell’ottica ministeriale, disposizioni di tal fatta, sebbene compatibilicon la mediazione volontaria, devono ritenersi illegittime se riferite allematerie per le quali il previo esperimento del tentativo di mediazione siconfiguri come obbligatorio, onde evitare di eludere, tramite statuizioni dirango regolamentare (66), la condizione di procedibilita di cui all’art. 5,comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 (67).

Conseguentemente, il tentativo di mediazione puo ritenersi valida-mente esperito solo all’esito dell’incontro che si deve — in ogni caso —tenere tra le parti ed il mediatore, posto che quest’ultimo e l’unico soggettolegittimato a redigere (anche) il verbale di (mancata) conciliazione (68).

A sostegno della predetta interpretazione, il Ministero della Giustiziaha rilevato in primo luogo come, ai sensi dell’art. 11 D.Lgs. n. 28/2010 edell’art. 7 del D.M. n. 180/2010, il mediatore, se espressamente autorizzatodal regolamento dell’ente, puo formulare una proposta di conciliazione an-che qualora una delle parti chiamate in mediazione abbia disatteso l’invi-to (69).

In secondo luogo, il mediatore, nel corso del primo incontro, puo “ra-gionare” con l’istante sul “ridimensionamento” o sulla “variazione dellapretesa” e, quindi, comunicare alla controparte, rimasta fino a tale mo-mento inerte, l’esito dell’attivita e magari determinarla ad aderire alla pro-posta conciliativa oppure a partecipare ex nunc al procedimento (70).

(64) Tale impostazione risentiva dell’orientamento formatosi in giurisprudenza conriferimento al diritto del lavoro, secondo il quale le disposizioni relative alla condizione diprocedibilita della domanda giudiziale, rappresentando una deroga all’esercizio dell’azione,non potevano essere interpretate in senso estensivo. Pertanto, ai fini dell’espletamento deltentativo di conciliazione dinanzi alle direzioni provinciali del lavoro doveva ritenersi suffi-ciente la presentazione della pertinente richiesta. Sul punto si veda VACCARELLA, GIORGETTI,Codice della procedura civile annotato con la giurisprudenza, Milano, 2007, 1594 ss. Ingiurisprudenza, Cass. civ., Sez. lav., 21 gennaio 2004, n. 967, Impr., 2004, 493.

(65) L’art. 16, comma 1, del D.M. n. 180/2010 precisa che le indennita di mediazionesi distinguono in: a) spese di avvio del procedimento; b) spese della mediazione. Le spese diavvio sono determinate in misura fissa e sono pari ad € 40,00 pro capite. Le spese di me-diazione sono invece parametrate al valore della controversia. Spunti in TISCINI, Il procedi-mento di mediazione, cit.; SCARSELLI, La nuova mediazione e conciliazione, cit.

(66) Nel testo ci si riferisce ai regolamenti interni degli organismi di mediazione.(67) MARINARO, Il regolamento degli organismi, cit., 40.(68) MARINARO, Il regolamento degli organismi, cit., 38 ss.(69) MARINARO, Il regolamento degli organismi, cit., 38 ss.(70) In senso critico si veda TISCINI, Il procedimento di mediazione, cit.; SCARSELLI,

La nuova mediazione e conciliazione, cit.; FABIANI, LEO, Prime riflessioni sulla « mediazionefinalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali » cit.; FABIANI, Profili

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I risvolti economici della descritta impostazione si precisano nel porrea carico della parte istante sia le « spese di avvio », sia le « spese della me-diazione » (71) (quest’ultime comprensive del compenso del mediatore) (72).

Alla luce di tutto quanto precede, la scelta del legislatore di cristalliz-zare in un atto normativo, seppure di rango secondario (D.M. n. 180/2011,mod. dal D.M. n. 145/2011), l’obbligo del primo incontro tra le parti ed ilmediatore nelle materie di cui all’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 —originariamente suggerito in via interpretativa — si pone perfettamente inlinea con l’impianto complessivo della riforma, teso a favorire lo sviluppodella mediazione civile e commerciale ed ad introdurre un filtro all’azionegiudiziaria.

4. L’oggetto della mediazione ed il “cumulo” delle domande giudiziali.

Il legislatore delegato, al momento dell’attuazione dei principi e deicriteri direttivi contenuti nella Legge n. 69/2009, ha trascurato l’altro e di-verso aspetto relativo al rapporto tra le domande oggetto di mediazione ele domande spiegate nel successivo giudizio dinanzi l’autorita giudiziaria,creando in tal modo non poche difficolta interpretative (73).

Ad esempio, potrebbe accadere che l’istanza depositata presso l’orga-nismo di mediazione limiti il petitum all’adempimento del contratto, il ten-tativo stragiudiziale fallisca e l’attore, nel successivo giudizio, chieda, invia alternativa, l’adempimento e la risoluzione del predetto contratto. Postoche tale ultima domanda non era stata precedentemente inclusa nell’istanzadi mediazione, potra comunque essere azionata in via giudiziaria? Ed an-cora: se il chiamato in mediazione non aderisce alla procedura di cui alD.Lgs. n. 28/2010, oppure vi partecipa limitandosi a contestare ed a respin-gere le richieste dell’istante, potra proporre, per la prima volta, nel succes-sivo giudizio, la domanda riconvenzionale non dedotta in mediazione?

L’incipit dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, recitando “chi intende eserci-tare in giudizio un’azione”, non sembra distinguere, in ordine alla modalitadi esercizio, tra domanda principale, domanda riconvenzionale e domandaspiegata autonomamente dal terzo interventore. Del resto, opinando diver-samente, si rischierebbe di incorrere nella violazione dell’art. 3 Cost., ov-

critici del rapporto tra mediazione e processo, cit.; DITTRICH, Il procedimento di mediazione,cit.

(71) In tal senso, CAPONI, Adesione e partecipazione, cit.(72) L’importo di tali ultime spese era originariamente ridotto di 1/3 se « nessuna

delle controparti invitate alla mediazione [avesse] partecipa[to] al procedimento ». Si vedrameglio in seguito come il D.M. n. 145/2011, nel novellare il D.M. n. 180/2010, abbia ridottoulteriormente le « spese di mediazione ».

(73) TISCINI, Il procedimento di mediazione, cit.; SCARSELLI, La nuova mediazione econciliazione, cit.

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vero di interpretare la norma in maniera restrittiva e quindi non conformealla ratio legis del D.Lgs. n. 28/2010 (74).

Al fine di colmare la menzionata lacuna normativa, giova osservarecome nella relazione illustrativa del citato D.Lgs. n. 28/2010, il legislatoresi sia scientemente ispirato (75), nell’introdurre nel nostro ordinamentol’istituto di nuova adozione, allo schema “gia sperimentato nelle controver-sie di lavoro (76) [di cui] agli articoli 410 ss. del codice di procedura ci-vile, o nelle controversie agrarie [di cui all’] art. 46 della legge 3 maggio1982, n. 203”.

Orbene, nell’ambito giuslavoristico (77), la giurisprudenza di legittimi-ta (78) e parzialmente quella di merito (79), con l’avallo della dottrina mag-gioritaria (80), configuravano il tentativo di conciliazione (in precedenza

(74) ZINGALES, La fase di mediazione obbligatoria nel quadro delle garanzie costitu-zionali, cit.

(75) Nell’ambito del giudizio promosso dinanzi al TAR Lazio (R.G. n. 10937/10),l’Avvocatura Generale dello Stato, al fine di argomentare le ragioni della rimessione al Giu-dice « ad quem » della nota questione di costituzionalita relativa all’art. 5, comma 1, delD.Lgs. n. 28/2010, ha dedotto richiamando lo schema seguito per le controversie agrarie.

(76) Come noto gli artt. 410 ss. c.p.c. prima della recente novella, ex Legge n. 183/2010, imponevano alle parti il previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazioneper le controversie giuslavoristiche. La nuova dizione letterale della norma, ponendosi in an-titesi rispetto all’attuale trend legislativo, ha eliminato tale obbligatorieta. Sul punto si veda:VACCARI, Media-conciliazione, cit. Amplius, Il collegato al lavoro, con commento di TRICOMI,In 50 articoli tante novita dalla conciliazione ai termini di impugnazione dei licenziamenti,in Guida al diritto, 2010, Dossier n. 8, 95 ss. Spunti in BORGHESI, L’arbitrato ai tempi delcollegato al lavoro, in www.judicium.it.; spunti in AULETTA, Le impugnazione del lodo nel« Collegato lavoro » (Legge 4 novembre 2010, n. 183), in questa Rivista, 2010, 563.

(77) Spunti in CECCHELLA, La risoluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro,dopo la riforma del 2010: la conciliazione, in questa Rivista, 2011, 373 ss.

(78) Tra tutte, si vedano in particolare: Cass. civ. n. 10993 del 14 del luglio 2003, inGuida al lavoro, 2003, 12; Cass. civ. n. 14900 del 22 ottobre 2002, in Guida al lavoro, 2002,32; Cass. civ. n. 4923 del 23 aprile 1992, in Lav. giur., 1992, 7.

(79) In senso conforme, tra tutte, si vedano: Trib. Voghera, 21 dicembre 2004, in Riv.crit. dir. lav., 2005, 315, con nota di BUSICO, Tentativo obbligatorio di conciliazione e do-manda riconvenzionale, 315 ss.; Trib. Campobasso, 8 ottobre 1999, con nota di TISCINI, Ledomande in corso di causa nelle controversie di lavoro alla prova del tentativo obbligatoriodi conciliazione, in Giust. civ., 2000, 912; Pret. Napoli, 31 marzo 1999, in Guida al lavoro,1999, 14; Pret. Milano, 9 marzo 1999, in Lav. giur.,1999, 575. In senso difforme: Trib. Ta-ranto, Sez. III, ord. 18 aprile 2002, GI, 2003, 78; Trib. Ivrea, 22 dicembre 2004, in Mass.Giur. lav., 2005, 308.

(80) In senso favorevole: LUISO, Il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle con-troversie di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1999, 386; CARRATTA, Controversie in materie di la-voro - Profili processuali, in Enc. G., Agg. IX, Roma, 2000, 7; DE ANGELIS, Le controversiedi lavoro pubblico: profili del tentativo obbligatorio di conciliazione, in Giorn. dir. lav.,1998, 836; DE ANGELIS, in CARPI, TARUFFO, Commentario breve al codice di procedura civile,sub. art. 410, Padova, 2006, 1339; CECCHELLA, Il tentativo di conciliazione nelle controversiedi lavoro privato e pubblico, in Mass. Giur. lav., 1999, 446; PAMIO, Limiti alla necessita deltentativo obbligatorio di conciliazione anche nei confronti del terzo, in Il diritto del lavoro,

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obbligatorio) come prodromico anche alla domanda riconvenzionale, nonapparendo « ragionevole distinguere sul punto tra la domanda proposta invia principale dal ricorrente e quella avanzata in via riconvenzionale dalresistente » (81).

Nell’ambito delle controversie agrarie, non v’era e non v’e, invece,alcuna incertezza: il tentativo di conciliazione condiziona(va) la procedibi-lita di qualsivoglia nuova domanda, eccezion fatta per l’intervento adesivodipendente (82).

Cio posto, le descritte impostazioni possono essere traslate in via ana-logica all’interno della procedura di mediazione?

Se non e revocabile in dubbio che le norme contenute nel D.Lgs. n.28/2010 mirino a conseguire l’effetto deflattivo del contenzioso (83) e, con-seguentemente, a migliorare l’accesso alla giustizia civile (84), sembra do-versi ritenere che, in riferimento alle materie di cui all’art. 5, comma 1,D.Lgs. n. 28/2010, ogni domanda giudiziale — indipendentemente dallemodalita di introduzione nel processo — debba essere, a pena di improce-dibilita, precedentemente dedotta e discussa in mediazione (85).

L’accoglimento della superiore conclusione induce pero a chiedersiquali siano gli effetti conseguenti alla richiamata improcedibilita e se glistessi siano compatibili con il procedimento stragiudiziale di nuova fattura.

2001, 279. In senso contrario: CUOMO VILLOA, La Conciliazione, Modelli di comparizione deiconflitti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 1391 ss.; TARZIA, Manuale del processo del lavoro,Milano, 1999, 40 ss.; BALLETTI, La conciliazione pregiudiziale delle controversie di lavoro, inDir. lav., 1999, 478. I richiamati ultimi Autori rilevavano, da un lato, l’eccessiva farragino-sita di un meccanismo processuale di tal fatta, anche in ragione delle esigenze di concentra-zione del rito del lavoro, e, dall’altro, l’inutile dispersione, in relazione all’avanzato statodella controversia, dell’imposizione del tentativo obbligatorio, sia in riferimento alla do-manda riconvenzionale, sia in riferimento all’intervento del terzo.

(81) Trib. Milano, Sez. lav., 10 marzo 2005, cit.(82) In giurisprudenza, in senso conforme: Cass. civ. n. 194 del 9 gennaio 2001, in

Rep. f. it., 2003, voce « contratti agrari », 76; Cass. civ., Sez. III, n. 10447 del 5 ottobre1995, in www.jus.unitn.it; Trib. Roma, ord. 12 ottobre 2002, DGA, 2003, 118; Trib. Voghera,21 dicembre 2004, in Riv. crit. dir. lav., 2005, 315, cit.; Trib. Campobasso, 8 ottobre 1999,in Giust. civ., 2000, 912, cit.; Trib. Velletri, 7 marzo 2000, in Mass. Giur. lav., 2000, 785. Indottrina, in senso critico: CONSOLO, Su una discutibile e due esatte delimitazioni giurispru-denziali della sfera di rilevanza del tentativo obbligatorio di conciliazione: un fardello da ri-dimensionare, in Riv. dir. agrario, 1987, 169; NAPPI, Domanda riconvenzionale, intervento diterzo e tentativo di conciliazione nel processo agrario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003,1079 ss.

(83) Spunti in PORRECA, La mediazione tra processo e conflitto, in Foro it., 2010, V,96.

(84) GERARDO-MUTARELLI, Sulle cause della « irragionevole » durata del processo ci-vile e possibili misure di reductio a « ragionevolezza », in www.judicium.it.

(85) Cosı Trib. Roma, Sez. distaccata di Ostia, ordinanza del 15 marzo 2012, inwww.diritto24.ilsole24ore.com.

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L’art. 412-bis c.p.c. ante novella (86) imponeva la sospensione delprocesso (87) e la fissazione in favore delle parti di un termine perentorio disessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione in relazione alladomanda che, in precedenza, non era stata esaminata dalla direzione pro-vinciale del lavoro territorialmente competente (88).

Ai fini che qui interessano, un’ipotesi di tal fatta non sembra pero inlinea con il D.Lgs. n. 28/2010 che ha invece espressamente escluso l’isti-tuto della sospensione del processo (89).

Pertanto, a parere di chi scrive, qualora il giudice adito rilevassel’omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione in riferi-mento ad una delle domande portate alla sua cognizione dovra, ai sensidell’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010, concedere alle parti il termine diquindici giorni per il deposito della pertinente istanza dinanzi ad un orga-nismo di cui al D.M. n. 180/2010 e rinviare il giudizio (90).

L’oggetto della nuova mediazione dovra certamente includere le do-mande dichiarate improcedibili in sede giudiziaria, ma potra altresı esten-dersi alla domanda dichiarata procedibile, al fine di favorire la concilia-zione complessiva della lite.

Non sfugge come la soluzione teste prospettata rischi di procrastinarel’esito del processo e quindi di defatigare l’iniziativa dell’attore che abbiapreliminarmente e diligentemente esperito il tentativo di cui all’art. 5,comma 1, D.Lgs. n. 28/2010.

Tuttavia, l’opposta conclusione determinerebbe una vera e propriasfasatura del giudizio posto che, nelle more della successiva mediazione,esso potrebbe gia trovarsi in una fase avanzata.

5. La disciplina del silenzio-assenso e la circolare ministeriale del 13giugno 2011.

Con la circolare del 13 giugno 2011, il Ministero della Giustizia in-

(86) Il riferimento normativo nel testo e alla Legge n. 183/2010.(87) Le pronunce di seguito riportate fanno esplicito riferimento all’improcedibilita

della domanda: Trib. Voghera, 21 dicembre 2004, in Riv. crit. dir. lav., 2005, 315; Trib. Cam-pobasso, 8 ottobre 1999; Trib. Roma, ord. 12 ottobre 2002, DGA, 2003, 118.

(88) La sospensione del processo, avendo pero come effetto quello di procrastinarel’emanazione del provvedimento giudiziale relativo alla domanda proposta in via principalea discapito della parte istante, aveva quindi indotto parte della giurisprudenza a propendereper la pronuncia di inammissibilita e non invece di improcedibilita. Al riguardo, si veda: Trib.Milano, 10 marzo 2005, in Riv. crit. dir. lav., 2005, 634. Il provvedimento giudiziale da ul-timo citato propende per l’inammissibilita della domanda, in un’ottica di favor nei confrontidel ricorrente.

(89) Sul punto, la relazione illustrativa al D.Lgs. n. 28/2010 fuga ogni dubbio.(90) Cosı Trib. Roma, Sez. distaccata di Ostia, ordinanza del 15 marzo 2012, in

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terveniva sull’attivita di tenuta del registro degli organismi di mediazio-ne (91).

Se il D.M. n. 180/2010 aveva disciplinato precipuamente l’iter perl’iscrizione dei predetti organismi (92) all’interno dell’apposito registro,nulla aveva invece previsto in ordine ai termini ed alle modalita di conclu-sione dei procedimenti amministrativi relativi alle ulteriori e diverse istanzeformulate dagli enti gia accreditati (93), aventi ad oggetto le vicende modi-ficative dei requisiti, dei dati e degli elenchi originariamente comunica-ti (94).

Tanto premesso, la soluzione adottata dalla richiamata circolare siprecisa nel ritenere applicabile ai procedimenti amministrativi in esame ladisciplina del silenzio-assenso di cui all’art. 20 della Legge n. 241/1990 (95).

Pertanto, se l’amministrazione competente, nel termine di trenta giornia far data dalla presentazione della domanda, non adotta il provvedimentoformale di autorizzazione, l’organismo potra operare nelle nuove sedi, non-che avvalersi dei nuovi mediatori di cui abbia chiesto l’accreditamento (96).

Cio non esclude, pero, che il Ministero della Giustizia possa co-munque attivarsi in un momento successivo, ed in via di autotutela, perrevocare o annullare (97), in forza del potere connesso alla propria fun-

(91) ARMONE, PORRECA, Sospensione e cancellazione dal registro, in www.judicium.it.(92) L’art. 5 del D.M. n. 180/2010 ha fissato, in quaranta giorni dalla data di presen-

tazione della domanda, la durata massima del procedimento relativo all’iscrizione degli or-ganismi di mediazione e degli enti di formazione. Decorso tale termine in difetto di un prov-vedimento di accoglimento o di rigetto dell’istanza, il Ministero della Giustizia sara comun-que tenuto a procedere all’iscrizione. Ai sensi dell’art. 5, comma 3, del D.M. n. 180/2010, iltermine di quaranta giorni puo essere prorogato di ulteriori venti giorni, per una sola volta,qualora venga richiesta da parte dell’amministrazione ulteriore documentazione ad integra-zione della domanda gia depositata. L’art. 19 del D.M. n. 180/2010, richiamando il citato art.5, ha esteso la superiore previsione anche al procedimento di iscrizione all’elenco degli entidi formazione. Spunti in IZZO, La disciplina di attuazione in materia di mediazione civile ecommerciale, cit., 577 ss.

(93) MARINARO, Il silenzio dell’Amministrazione competente, cit., 29.(94) A mero titolo esemplificativo, la descritta circolare richiama le seguenti ipotesi:

a) modifica della sede dell’organismo; b) modifica del regolamento; c) modifica del numerodei mediatori ovvero dei formatori.

(95) Amplius MARINARO, Il silenzio dell’Amministrazione competente cit., 29. Spuntiin GALLI, Corso di diritto amministrativo, cit., vol. II, 854; CARINGELLA, Compendio di dirittoamministrativo, cit., 366 ss. Gli Autori evidenziano il carattere generale di tale istituto.

(96) MARINARO, Il silenzio dell’Amministrazione competente cit., 30.(97) La circolare del 13 giugno 2011 richiama l’istituto della « revoca » con riferi-

mento al mutamento della situazione di fatto e di diritto o per sopravvenuto interesse pub-blico; menziona invece l’istituto dell’« annullamento » per ragioni di pubblico interesse. Am-plius MARINARO, Il silenzio dell’Amministrazione competente, cit., 32.

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zione di vigilanza (98), monitoraggio e controllo, l’atto amministrati-vo (99) formatosi con il silenzio-assenso (100).

Tuttavia, l’applicazione del richiamato istituto deve essere esclusa nelcaso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni fornite dall’interessato,anche tramite autocertificazione, in ordine ai requisiti necessari per ottenerel’accreditamento (101).

In tale ultimo caso, il privato, oltre a soggiacere alle sanzioni previstedal codice penale, si trova di fatto a svolgere l’attivita di mediazione o diformazione in assenza del necessario titolo abilitativo (102).

Le indicazioni interpretative sin qui descritte denotano l’intendimentodell’amministrazione all’uopo preposta di voler snellire ed agevolare leoperazioni funzionali allo svolgimento dell’attivita di mediazione, anchealla luce delle numerose istanze, attualmente in attesa di essere evase dalMinistero della Giustizia (103).

6. La natura giuridica degli organismi di mediazione.

La circolare appena commentata offre lo spunto per esaminare la na-tura giuridica degli organismi di mediazione.

A tal fine, occorre muovere dall’art. 1, comma 1, lett. f), del D.M. n.180/2010, il quale individua, tra i soggetti abilitati allo svolgimento dellanuova attivita stragiudiziale, anche gli enti privati purche in possesso deirequisiti di cui all’art. 4 del citato decreto (104).

Per poter operare concretamente, tali enti devono ottenere l’iscrizionenell’apposito registro ministeriale e, a tale ultimo fine, depositare presso il

(98) Spunti in SOLDATI, Riduzione dei costi, cit., XVI ss.(99) Alla condotta omissiva dell’amministrazione la legge attribuisce valore provve-

dimentale. Amplius, GALLI, Corso di diritto amministrativo, cit., vol. II, 854; CARINGELLA,Compendio di diritto amministrativo, cit., 366 ss.

(100) Il ruolo di controllo e vigilanza del Ministero e stato preso in considerazionedal D.M. n. 145 del 6 luglio 2011 che, modificando il 2o comma dell’art. 3 del D.M. n. 180/2010, ha stabilito: « [...] Il direttore generale della giustizia civile, al fine di esercitare la vi-gilanza, si puo avvalere dell’Ispettorato generale del Ministero della giustizia. Ai fini dellavigilanza sulla sezione del registro per la trattazione degli affari in materia di rapporti diconsumo di cui al comma 3, parte i), sezione C e parte ii), sezione C, il responsabile eser-cita i poteri di cui al presente decreto sentito il Ministero dello sviluppo economico ».

(101) MARINARO, Il silenzio dell’Amministrazione competente, cit., 29.(102) MARINARO, Il silenzio dell’Amministrazione competente, cit., 29.(103) MARINARO, Il silenzio dell’Amministrazione competente, cit., 29.(104) MINELLI, TARRICONE, La mediazione per la composizione delle controversie ci-

vili e commerciali, cit., passim; ARMONE, PORRECA, Sospensione e cancellazione dal registro,cit.

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Ministero della Giustizia l’apposita istanza approvata con decreto del 4 no-vembre 2010 (105).

Sotto il profilo normativo, alla posizione autoritaria dell’amministra-zione ed al potere ad essa attribuito, in una prospettiva temporalmente illi-mitata per curare l’interesse pubblico (106), fanno da contraltare posizionigiuridiche soggettive di interesse legittimo (107), dirette a salvaguardarel’interesse dell’istante (ente) ad una concreta vicenda della vita (iscrizionenell’apposito registro).

Una volta accreditati, gli organismi di mediazione instaurano invececon i mediatori, il personale dipendente, le sedi locali ed infine con i clienti,rapporti giuridici di diritto privato (108).

Il modello sin qui descritto, apparentemente privo di aspetti peculiari,contiene in se un maggiore grado di complessita.

In primo luogo, il mediatore in possesso della relativa qualifica nonpuo operare autonomamente, dovendo (far) presentare la propria richiestadi “accreditamento” tramite uno o piu enti, per un numero massimo di cin-que (109), a loro volta iscritti all’interno del registro ministeriale (110). Nonviene infatti riconosciuto in capo alla figura professionale di nuova intro-duzione la titolarita di alcun interesse legittimo nei confronti dell’ammini-strazione.

In secondo luogo, l’attivita di mediazione, seppure svolta da soggettiprivati, e pur sempre diretta a perseguire l’interesse generale (111), avendocome finalita intrinseca l’effetto deflattivo del contenzioso ed il migliora-mento dell’efficienza della giustizia statale.

(105) CAPONI, La giustizia civile alla prova della mediazione, cit., 92; PAGNI, Media-zione e processo nelle controversie civili e commerciali, cit., 620; TISCINI, Il procedimento dimediazione, cit.

(106) Spunti in VERDE, Nuove riflessioni su arbitrato e pubblica amministrazione, inquesta Rivista, 2007, 5; VERDE, Pubblico e privato nel processo arbitrale, in questa Rivista,2002, 633 ss.; VERDE, Arbitrato e pubblica amministrazione, in questa Rivista, 2001, 407 ss.

(107) ROMANO TASSONE, Giurisdizione amministrativa ed arbitrato nella Legge n. 205/2000, in questa Rivista, 2000, 632-633; VERDE, Arbitrato e pubblica amministrazione, cit.,407 ss.

(108) FABIANI, Profili critici, cit.; TISCINI, Il procedimento di mediazione, cit.; JULINI,La mediazione nelle controversie civili e commerciali, cit., 72.

(109) Cosı ex art. 6, comma 3, del D.M. n. 180/2010. Amplius JULINI, La mediazione,cit., 43 ss.

(110) TISCINI, Il procedimento di mediazione, cit.(111) Da conferma di cio la circolare ministeriale del 13 giugno 2011 che recita: il

regolamento costituisce « l’atto interno regolatore cui l’organismo e tenuto ad uniformarsi,a tutela dell’interesse generale, nonche dell’interesse specifico sia delle parti che del media-tore ». Successivamente: « il riscontro, dunque, anche in un momento successivo, di previ-sioni regolamentari in contrasto con specifiche norme primarie e secondarie legittima un in-tervento della amministrazione vigilante nel senso dell’annullamento dell’atto (anche tacito)di approvazione: e, infatti, in gioco l’interesse pubblico a che l’attivita dell’organismo dimediazione sia svolta nel pieno rispetto delle regole predisposte dal legislatore ».

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E proprio la particolare tipologia dell’interesse sotteso alla descrittaattivita stragiudiziale ha indotto il legislatore ad adottare una serie di “cau-tele” del tutto estranee alle ordinarie vicende privatistiche e societarie, chesi riassumono nel ruolo di vigilanza e di controllo esercitato dal Ministerodella Giustizia.

In tale ottica, la normativa di riferimento ha, da un lato, attribuito aglienti di mediazione la “potesta regolamentare” e, dall’altro, predeterminatoil contenuto del regolamento (112), la cui approvazione da parte dell’ammi-nistrazione rileva ai fini dell’accreditamento dell’ente stesso (113).

Come precisato dalla circolare del 13 giugno 2011, il regolamento,“indica[ndo] e descrive[ndo] le modalita nonche i criteri tramite cui l’or-ganismo intende svolgere la suddetta attivita [di mediazione]”, costituisce“l’atto interno regolatore cui [...] e tenuto ad uniformarsi, a tutela dell’in-teresse generale nonche dell’interesse specifico sia delle parti che del me-diatore”.

Consegue che l’eventuale contrasto tra le previsioni regolamentari de-gli organismi di mediazione e la legislazione primaria e/o secondaria legit-tima l’intervento della pubblica amministrazione vigilante che, di fronte adun atto di natura privata (qual e il regolamento), e sfornita del potere di an-nullarlo in via di autotutela, dovendo invece annullare l’atto, anche tacito(formatosi a seguito del silenzio-assenso) (114), di approvazione del regola-mento stesso.

D’altra parte, l’attivita di vigilanza (115), di monitoraggio e di con-trollo effettuata costantemente dal Ministero implica che l’amministrazionecompetente possa in qualunque momento intervenire per annullare e revo-care le autorizzazioni concesse, chiedere informazioni e chiarimenti, so-spendere o cancellare gli organismi dal pertinente registro (116).

Tirando le fila del discorso, il ruolo del Ministero della Giustizia equello di “funzionalizzare per principi” l’attivita degli organismi di media-zione secondo il modulo organizzativo del “soggetto privato in controllopubblico” (117), lasciando quindi inalterata la loro natura privata e le posi-zioni giuridiche soggettive coinvolte.

(112) In particolare l’art. 7 del citato D.M. n. 180/2010 stabilisce espressamente cioche il regolamento deve e cio che invece puo contenere.

(113) Amplius TISCINI, Il procedimento di mediazione, cit.(114) Sul punto, si veda la circolare ministeriale del 13 giugno 2011.(115) Spunti in SOLDATI, Riduzione dei costi, cit., XVI ss.(116) ARMONE, PORRECA, Sospensione e cancellazione dal registro, cit.(117) Nell’ambito dei rapporti tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo, si

ravvisa una situazione analoga con particolare riferimento ai rapporti tra il C.O.N.I. e le fe-derazioni sportive nazionali. Al riguardo, spunti in CAMPIONE, Il punto sull’arbitrato sportivo,cit., 509 ss.; LUISO, Natura giuridica delle federazioni sportive, cit., 3 ss.; AULETTA, Un mo-dello per la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, cit., 145 ss.; CORBI, « La giu-

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Ne deve meravigliare che il nostro ordinamento, alla luce di un dirittoamministrativo in costante evoluzione, persegua finalita pubblicistiche tra-mite soggetti privati (118).

In tale direzione, si muovono, infatti, il principio di sussidiarieta oriz-zontale sancito dall’art. 118, comma 4, Cost. (119), nonche l’art. 11 dellaLegge n. 241/1990 (120). In particolare, quest’ultimo, avendo definitiva-mente incrinato la concezione “autoritaria” dei rapporti tra amministrazionee cittadino, ha previsto che il privato possa partecipare allo svolgimentodelle funzioni pubbliche ed alla determinazione del contenuto della deci-sione amministrativa (121).

7. Le novita introdotte dal D.M. n. 145/2011 e la circolare ministerialedel 20 dicembre 2011.

L’emanazione del D.M. n. 145/2011 (122), probabilmente sollecitataanche dalle numerose critiche rivolte al nuovo istituto dagli operatori deldiritto, nonche dai rilievi formulati dal TAR Lazio nella nota ordinanza dirimessione alla Consulta (123), ha principalmente inciso sui seguenti aspetti:a) vigilanza sulla tenuta del registro degli organismi di mediazione e del-l’elenco degli enti di formazione; b) requisiti di formazione, qualificazionee selezione dei mediatori; c) riduzione delle “spese di mediazione” (124)nelle materie di cui all’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 e nei casi in cuinessuna delle controparti partecipi al procedimento (125); d) obbligatorietadella fissazione del primo incontro tra le parti, pur a fronte della mancataadesione del chiamato (di cui si e gia detto) (126).

stizia sportiva c.d. « tecnica », cit., 363-380; AA.VV., Lineamenti di diritto sportivo, Milano,2008, 9 ss.

(118) Spunti in VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 24-27.(119) Il quarto comma dell’art. 118 della Carta costituzionale cosı recita: « Stato, Re-

gioni, Citta metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei citta-dini, singoli e associati, per lo svolgimento di attivita di interesse generale, sulla base delprincipio di sussidiarieta ».

(120) Il citato articolo ha, infatti, introdotto i c.d. « accordi sul procedimento » al finedi « determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ». Amplius, GALLI, Corsodi diritto amministrativo, cit., vol. II, 834 ss.

(121) VERDE, in AA.VV., Diritto dell’arbitrato rituale, Torino, 2000, 35. L’Autoreprecisa che sarebbe in atto « un procedimento di osmosi per il quale l’interesse pubblico sistempera nell’interesse della collettivita ».

(122) MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio di qualita, cit., 31 ss.(123) CORBI, La mediazione, cit., 99 ss.; PAGNI, La mediazione, cit., 995 ss.(124) Spunti in VACCARI, La disciplina delle spese nella media-conciliazione, cit.;

SOLDATI, Riduzione dei costi, cit., XVI ss.(125) SOLDATI, Riduzione dei costi, cit., XVI ss.(126) MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio di qualita, cit., 31 ss.

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Sotto il primo profilo (sub a), il decreto in commento ha esteso al-l’Ispettorato generale del Ministero della Giustizia il ruolo di vigilanza sul-l’attivita stragiudiziale svolta dai soggetti accreditati (127).

Al riguardo, la circolare ministeriale del 20 dicembre 2011 (128) haprecisato che l’attivita di controllo investe, da un lato, la verifica della re-golarita delle istanze proposte e, dall’altro, le modalita tramite le quali gliorganismi gestiranno concretamente l’iter procedimentale (129), con partico-lare attenzione al raggiungimento di « standard minimi di qualita ».

Le descritte previsioni confermano, ancora una volta, come gli enti dimediazione e di formazione, pur nella loro veste di soggetti di diritto pri-vato, perseguano altresı finalita pubblicistiche (effetto deflattivo del conten-zioso), tali da giustificare un siffatto controllo da parte dell’amministra-zione all’uopo preposta.

Sotto il secondo profilo (sub b), sono state accolte le obiezioni diquella parte della dottrina (130) che ravvisava la necessita di introdurre cri-teri specifici per l’assegnazione degli affari di mediazione ai singoli media-tori ed in particolare di stabilire un collegamento tra la competenza profes-sionale di quest’ultimi e la materia oggetto della controversia.

L’art. 3 D.M. n. 145/2011, nel novellare l’art. 7, comma 5, D.M. n.180/2010, ha a tal fine obbligato gli organismi di mediazione ad inserire neipropri regolamenti “criteri inderogabili [...] predeterminati, rispettosi dellaspecifica competenza professionale [...] desunta anche dalla tipologia dilaurea universitaria posseduta” (131).

La successiva circolare ministeriale del 20 dicembre 2011 ha, seppurein via interpretativa, riempito di contenuto la norma, da un lato, distin-guendo l’“idoneita tecnica in materia di mediazione” (132) dalla “specifica

(127) MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio di qualita, cit., 31 ss.(128) MARINARO, Con competenze specifiche e criteri inderogabili piu trasparenza,

cit., XI ss.(129) La circolare in commento esemplifica e menziona la tempestivita di provvedere

alle comunicazioni, la fissazione della prima sessione entro il termine di giorni quindici dalladata di deposito dell’istanza di mediazione, il rispetto dei criteri di assegnazione degli inca-richi, ecc.

(130) CAPONI, La giustizia civile alla prova della mediazione, cit., 92; CAPONI, La me-diazione obbligatoria, cit.; DITTRICH, Il procedimento di mediazione, cit.; FABIANI, LEO, Primeriflessioni sulla « mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e com-merciali » cit.; JULINI, La mediazione nelle controversie civili e commerciali, cit.; SANTANGELI,La mediazione obbligatoria, cit.; SCARSELLI, L’incostituzionalita della mediazione, cit., 54 ss.;SCARSELLI, La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, cit.; ZINGALES, Lafase di mediazione obbligatoria, cit.

(131) MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio, cit., 31 ss.(132) La circolare in commento precisa che per « capacita tecnica in tema di media-

zione » si intende « la conoscenza specifica degli strumenti che devono essere attuati percondurre e svolgere adeguatamente il percorso di mediazione ».

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competenza professionale” (133), e, dall’altro, precisando (134) che i predetticriteri possono considerarsi “inderogabili” e “predeterminati” qualora siano“certi” (135) ed “oggettivi” (136).

Orbene, indipendentemente dalla ridondanza delle formule linguisti-che adoperate dalla citata circolare, non v’e dubbio che il responsabile del-l’organismo, nel procedere alla ripartizione interna degli incarichi di media-zione, debba compiere la valutazione delle competenze tecniche posseduteda ogni singolo mediatore, avendo riguardo sia all’attivita professionaledallo stesso esercitata e quindi alla tipologia di laurea universitaria posse-duta, sia alla conoscenza specifica degli strumenti necessari per condurre ilpercorso di mediazione (137).

Anche alla luce di quanto appena detto, si registra una netta inver-sione di tendenza rispetto all’originaria, seppure criticabile, impostazionedel legislatore delegato che, nell’attuare i principi ed i criteri direttivi con-tenuti nell’art. 60 Legge n. 69/2009, aveva tradotto i requisiti di “compe-tenza” e “professionalita” di cui al citato articolo, lett. b), nei principi di“serieta” ed “effıcienza” di cui all’art. 16, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 (138).

In altre parole sembra che, sull’onta dello scetticismo generale e deirilievi del TAR Lazio (139), si stia gradualmente abbandonando l’idea di un

(133) La circolare in commento precisa che per « competenza professionale » si in-tende « il complesso delle specifiche conoscenze acquisite in relazione al percorso universi-tario svolto e soprattutto alla luce dell’attivita professionale esercitata ».

(134) MARINARO, Con competenze specifiche e criteri inderogabili piu trasparenza,cit., XI ss.

(135) Il requisito della certezza esclude che l’assegnazione degli incarichi possa av-venire « in modo arbitrario e privo dell’effettiva giustificazione ».

(136) Il che comporta, nell’ottica ministeriale, che non puo rinviarsi ad un momentosuccessivo la loro concreta determinazione, dovendo quindi essere indicati « ex ante ed inmodo oggettivo e quindi valevoli come parametro di riferimento per poter, di volta in volta,procedere alla ripartizione degli incarichi tra i mediatori ».

(137) MARINARO, Con competenze specifiche e criteri inderogabili piu trasparenza,cit., XI ss.

(138) MARINARO, Con competenze specifiche e criteri inderogabili piu trasparenza,cit., XI ss.

(139) CORBI, La mediazione, cit., 99 ss. Nel citato contributo si evidenziava come, aparere del TAR Lazio, il legislatore delegato avesse, nel costruire l’istituto della mediazione,« lasciato aperto l’interrogativo di quale [fosse] il ruolo che l’ordinamento giuridico nazio-nale intenderebbe effettivamente affıdare » all’istituto in esame, determinando quindi una di-cotomia tra due diversi e distinti modelli possibili. Il primo, fondato sull’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, inquadrerebbe la mediazione, per un vasto ambito di materie, come strumento preven-tivamente obbligatorio per l’esercizio del diritto di difesa, « suscettibile, in ogni suo sviluppo,di conformare definitivamente i diritti soggettivi in essa coinvolti ». In tal caso, il mediatorenon potrebbe essere scevro dai canoni tecnici e professionali richiesti dalla legge delega,onde evitare di pregiudicare la residua giustiziabilita, nelle sedi istituzionali, dei diritti sog-gettivi azionati. Il secondo, fondato sull’art. 16 del D.Lgs. n. 28/2010 e sull’art. 4 D.M. n.

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mediatore scevro da canoni tecnici e professionali in favore di una figuraaltamente qualificata ed in grado di “corrispondere il piu possibile alla na-tura della controversia insorta tra le parti” (140).

In tale ottica, si colloca l’obbligo — introdotto dall’art. 2 D.M. n.145/2011, che ha modificato l’art. 4, comma 3, lett. b) D.M. n. 180/2011— della “partecipazione, da parte dei mediatori, nel biennio di aggiorna-mento ed in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazionesvolti presso organismi iscritti” (141). A tal fine, il citato art. 4 del D.M. n.180/2010 ha stabilito che i regolamenti degli organismi di mediazione, ol-tre a dover consentire la fruizione gratuita della descritta attivita formativa,dovranno disciplinarne, concretamente, le modalita e la durata (142).

L’approssimazione con cui era stata formulata la norma in esameaveva posto non pochi problemi di ordine interpretativo, finche il Ministerodella Giustizia e intervenuto, a distanza di qualche mese dall’emanazionedel D.M. n. 145/2011, per fornire chiarimenti (143).

A ben vedere si tratta di un tirocinio a posteriori (144), in quanto ilmediatore non e tenuto a svolgerlo nella fase antecedente all’acquisizionedella qualifica, bensı durante ogni biennio di aggiornamento (a far data dal-l’accreditamento presso un organismo), del quale rappresenta “un ulterioree distinto obbligo formativo” (145). Nell’ottica ministeriale, le ragioni di taleprevisione vanno ricercate nel difetto dell’esperienza pratica del mediatoreiscritto e nella necessita del confronto con il modus operandi degli altrimediatori (146).

La circolare ministeriale del 20 dicembre 2011 ha inoltre chiarito una

180/2010, delineerebbe invece la mediazione come uno strumento di carattere generale, nor-mativamente predisposto, che lasci tuttavia impregiudicata la liberta del privato ad utilizzarlaed a sopportarne i relativi costi. In tale ottica, il profilo della competenza tecnica del media-tore sbiadirebbe ed « il diritto positivo [verrebbe] in evidenza solo sullo sfondo, come cor-nice esterna ovvero come limite generale alla convenibilita delle posizioni giuridiche in essacoinvolte ».

(140) L’espressione nel testo e contenuta nella circolare ministeriale del 20 dicembre2011. MARINARO, Con competenze specifiche e criteri inderogabili piu trasparenza nell’asse-gnazione degli incarichi, cit., XI ss. L’Autore ritiene che in tal modo la figura del mediatoreperda centralita e diventi residuale rispetto ad altre figure professionali fino a degradarnel’attivita a part-time.

(141) MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio, cit., 31 ss.(142) MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio, cit., 31 ss.(143) La circolare ministeriale del 20 dicembre 2011 menziona diffusamente il tiro-

cinio assistito. Amplius MARINARO, Con competenze specifiche e criteri inderogabili piu tra-sparenza nell’assegnazione degli incarichi, cit., XI ss.

(144) MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio, cit., 37. Sottolinea l’Autore,che il mediatore, non appena accreditato all’intero di un organismo di mediazione, potra ri-cevere e svolgere incarichi, pur non avendo mai partecipato o assistito ad alcun procedimentostragiudiziale di tal fatta.

(145) Il corsivo nel testo e tratto dalla circolare ministeriale del 20 dicembre 2011.(146) Amplius, si veda la circolare ministeriale del 20 dicembre 2011.

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serie di aspetti pratici, quali ad esempio: la partecipazione in forma di tiro-cinio assistito esclude che il mediatore possa prender parte attivamente allaprocedura, dovendosi viceversa limitare ad assistere ai venti incontri dimediazione (147); l’obbligo formativo si considera assolto anche a frontedella mancata partecipazione all’incontro della parte chiamata (148), mentrenon lo si puo considerare tale qualora il tirocinante si limiti a studiare gliatti del singolo affare di mediazione (149).

Cio nonostante, residuano ancora talune perplessita.In primo luogo, il numero dei procedimenti stragiudiziali di nuova

fattura svolti sino ad oggi potrebbe non essere sufficiente per consentire aimediatori la partecipazione a venti casi pratici di mediazione (150).

In secondo luogo, poiche l’art. 4, comma 3, D.M. n. 180/2011 parladi tirocinio “presso organismi iscritti”, non si comprende se la norma in-tenda riferirsi all’ente presso cui il mediatore-tirocinante e iscritto oppuread altri e diversi (151). Qualora si optasse per la seconda interpretazione, sa-rebbe difficile ipotizzare che soggetti tra loro competitors possano metteregratuitamente a disposizione di altri mediatori il proprio know-how e favo-rire il contatto con i propri clienti.

In terzo luogo, non e chiaro su chi gravi il compito di attestare l’in-tervenuta partecipazione del tirocinante all’incontro di mediazione e se essadebba risultare dal verbale di conciliazione. In difetto di diverse indica-zioni, spettera al regolamento di ciascun organismo disciplinare i descrittiaspetti.

Sotto il terzo profilo (sub c), il D.M. n. 145/2011 ha ridotto le c.d.“spese di mediazione” — seppure relativamente alle sole materie per lequali il tentativo stragiudiziale si pone come condizione di procedibilitadella domanda giudiziale — di un terzo, per i primi sei scaglioni di cui allatabella allegata al D.M. n. 180/2011, e della meta, per gli scaglioni succes-sivi al sesto (152).

Sempre nell’ambito di cui all’art. 5, comma 1, D.Lgs. 28/2010 il D.M.n. 145/2011 ha inoltre escluso gli aumenti previsti in caso di complessitadella controversia e di formulazione della proposta da parte del mediatore,

(147) MARINARO, Con competenze specifiche e criteri inderogabili piu trasparenza,cit., XI ss.

(148) MARINARO, Con competenze specifiche e criteri inderogabili piu trasparenza,cit., XI ss.

(149) MARINARO, Con competenze specifiche e criteri inderogabili piu trasparenza,cit., XI ss.

(150) MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio, cit., 37.(151) MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio, cit., 37.(152) SOLDATI, Riduzione dei costi, cit., XVI ss.; MARINARO, Per raggiungere un effet-

tivo servizio, cit., 31 ss.

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pur lasciando inalterato l’aumento — che da un quinto viene elevato ad unquarto — dovuto in caso di conciliazione della lite (153).

D’altra parte, con riferimento alla mediazione c.d. “contumaciale”, lanuova formulazione dell’art. 16, comma 4, lett. e) ha eliminato l’obbligodell’istante di corrispondere in favore dell’organismo l’intera somma pre-vista dallo scaglione di riferimento (154). In tal caso, infatti, la parte che in-troduce il procedimento dovra versare, oltre alle c.d. “spese di avvio” (155),l’ulteriore e diversa somma a titolo di c.d. “spese di mediazione”, determi-nata forfettariamente in € 40,00, se il valore della lite e riconducibile alprimo scaglione, ovvero in € 50,00, se riconducibile agli scaglioni succes-sivi al primo (156).

Tuttavia, il citato art. 16 — subordinando la riduzione delle “spese dimediazione” alle descritte somme forfettarie solamente nell’ipotesi in cui“nessuna delle controparti di quella che ha introdotto la mediazione, par-tecip[i] al procedimento” — induce a ritenere che, a fronte di un tentativostragiudiziale plurisoggettivo, la presenza di una sola delle controparti neripristini la quantificazione secondo lo scaglione di riferimento.

Probabilmente in omaggio a tale ultima statuizione, il nuovo art. 16,comma 9, D.M. n. 180/2011 ha introdotto la facolta per gli organismi diesigere complessivamente le “spese di mediazione” al momento del rilasciodel verbale di conciliazione o di mancata conciliazione (157).

Per completezza, si rileva come il nuovo art. 16, comma 8, D.M. n.180/2011 stabilisca che per le controversie di valore indeterminato l’orga-nismo potra successivamente adeguare le “spese di mediazione” allo sca-glione effettivamente individuato all’esito dell’attivita stragiudiziale (158).

La disamina delle novita introdotte dal D.M. n. 145/2011, unitamenteai benefici fiscali a cui gia si e fatto cenno, dimostra l’intendimento del le-gislatore di voler attenuare, in maniera incisiva, l’impatto economico dellamediazione a carico del cittadino, soprattutto nei casi in cui il procedimentostragiudiziale non si concluda con la conciliazione della lite.

(153) Spunti in VACCARI, La disciplina delle spese nella media-conciliazione, cit.;SOLDATI, Riduzione dei costi, cit., XVI ss.

(154) SOLDATI, Riduzione dei costi, cit., XVI ss.; MARINARO, Per raggiungere un effet-tivo servizio, cit., 31 ss.

(155) La circolare in commento ha distinto le c.d. « spese di avvio » dalle « spesevive » effettivamente sostenute dall’organismo (es. spese di corrispondenza), stabilendo cheesse possono essere ripetute direttamente dalle parti che partecipano alla mediazione.

(156) SOLDATI, Riduzione dei costi, cit., XVI ss.; MARINARO, Per raggiungere un effet-tivo servizio, cit., 31 ss.

(157) SOLDATI, Riduzione dei costi, cit., XVI ss.; MARINARO, Per raggiungere un effet-tivo servizio, cit., 31 ss.

(158) MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio, cit., 40; SOLDATI, Riduzione deicosti, cit., XVI ss.

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8. La trascrizione dell’accordo di conciliazione e l’usucapione. Il de-creto del Tribunale di Roma del 6 luglio 2011.

Come precedentemente osservato, il D.Lgs. n. 28/2010 annovera i di-ritti reali tra le materie per le quali la mediazione si pone come condizionedi procedibilita della domanda giudiziale (159).

Pertanto, l’azione di accertamento avente ad oggetto l’acquisto dellaproprieta (o di altro diritto reale di godimento) per intervenuta usucapionedi un bene immobile deve necessariamente essere preceduta dal tentativostragiudiziale in esame (160).

Al riguardo, il Tribunale di Roma (161) ha negato la trascrivibilita diun verbale di conciliazione di tal fatta, qualificandolo come “negozio di ac-certamento con effıcacia dichiarativa e retroattiva, finalizzato a rimuoverel’incertezza, mediante la fissazione del contenuto della situazione giuridicapreesistente” e certificandone l’estraneita rispetto all’elenco contenuto nel-l’art. 2643 c.c. (162).

Ne a tale scopo potrebbero assolvere, a parere dei giudici romani,l’art. 2651 c.c., che prevede la trascrizione delle “sentenze” con cui si ac-certa l’acquisto di un diritto per intervenuta usucapione, ovvero l’art. 2657c.c., che non contempla, tra i diversi titoli menzionati, l’accordo conciliati-vo (163).

Alla luce della descritta e discussa (164) impostazione, l’interessatodovra, pur qualora l’attivita di cui al D.Lgs. n. 28/2010 abbia favorito lacomposizione stragiudiziale della lite, adire comunque l’autorita giudiziariaper ottenere un titolo suscettibile di essere trascritto (165).

Tuttavia, in tale ambito, la trattazione e l’istruzione della causa,avendo ad oggetto “fatti non contestati” dalle parti (166) e quindi posti al di

(159) Spunti in VACCARI, La disciplina delle spese nella media-conciliazione, cit.;MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio, cit., 37.

(160) MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio, cit., 37; BOVE, L’accordo con-ciliativo, in www.judicium.it.

(161) Nel testo si fa riferimento al decreto del Trib. Roma, Sez. V, emesso in data 6luglio 2011, in www.altalex.com. Cosı anche Trib. Catania, Sez. I, decreto del 24 febbraio2012, in www.ilcaso.it.

(162) L’art. 2643 c.c. prevede infatti la trascrizione di quegli atti, ovvero dei contrattidi transazione, che realizzano effetti modificativi, estintivi o costitutivi. Amplius BOVE, L’ac-cordo conciliativo, cit., in www.judicium.it.

(163) BOVE, L’accordo conciliativo, cit.(164) BOVE, L’accordo conciliativo, cit.(165) Spunti in VACCARI, La disciplina delle spese nella media-conciliazione, cit.;

MARINARO, Per raggiungere un effettivo servizio, cit., 37.(166) Sulla distinzione con i « fatti ammessi » si veda VERDE, Profili del processo ci-

vile, vol. II, Napoli, 2008, 70-72. Spunti in SASSANI, L’onere della contestazione, in www.ju-dicum.it.

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fuori del thema probandum (167), saranno semplificate e se non fosse per lanatura del provvedimento decisorio di cui all’art. 702-ter, comma 5, c.p.c.(ordinanza) (168) — della cui trascrivibilita si discute (169) — si potrebbe,persino, ipotizzare di utilizzare, ai fini di cui all’art. 2651 c.c., il procedi-mento sommario di cognizione (170).

Alternativamente, si potrebbe intentare un giudizio ai sensi dell’art.216, comma 2, c.p.c. ed ottenere, all’esito, una sentenza (171) che accertil’autenticita delle sottoscrizioni apposte in calce al verbale di concilia-zione.

D’altra parte, la migliore dottrina (172), in aperto disaccordo con ladecisione assunta dal Tribunale di Roma, ha gia avuto premura di eviden-ziare come “il contratto con cui si risolve una lite sia sempre un atto dinormazione concreta privo della funzione dichiarativa” (173), in quantol’ordinamento giuridico attribuisce ai privati, ex art. 1321 c.c. (174), il po-

(167) VERDE, Profili del processo civile, cit., 70-72.(168) LUPOI, Sommario (ma non troppo), in www.judicium.it. L’Autore rileva come la

domanda introduttiva del procedimento sommario non sia trascrivibile.(169) In senso favorevole, LUISO, Il processo sommario di cognizione, in www.judi-

cium.it; LUPOI, Sommario (ma non troppo), cit.; VOLPINO, Il procedimento sommario di cogni-zione, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, 54.

(170) BRIGUGLIO, Le novita sul processo ordinario di cognizione nell’ultima, ennesimariforma in materia di giustizia civile, in Giust. civ., 2009, II, 260; LUISO, Il processo somma-rio di cognizione, cit.; CAPPONI, Note sul procedimento sommario di cognizione (art. 702-bise segg. c.p.c.), in www.judicium.it; LUPOI, Sommario (ma non troppo), cit.; ARIETA, Il rito« semplificato » di cognizione, in www.judicium.it; BIAVATI, Appunti introduttivi sul nuovoprocesso a cognizione semplificata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 188 ss.; CARRATTA,Nuovo procedimento sommario di cognizione e presupposto dell’« istruzione sommaria »:prime applicazioni, in Giur. it., 2010, 905; DITTRICH, Il nuovo procedimento sommario di co-gnizione, in Riv. dir. proc., 2009, 1582; VOLPINO, Il procedimento sommario di cognizione,cit., 77; CAPONI, La riforma della giustizia civile, a cura di BALENA, CAPONI, CHIZZINI, MEN-CHINI, Torino, 2010, 198. Con particolare riferimento al procedimento sommario di cogni-zione in relazione alla mediazione obbligatoria, si assiste ad un contrasto nell’ambito dellagiurisprudenza di merito. Il Trib. Palermo, Sez. distaccata di Bagheria, con ordinanza del 16agosto 2011, in www.ilsole24ore.com, aveva affermato che l’azione giudiziale, pur se eserci-tata nelle forme di cui all’art. 702-bis c.p.c., debba essere comunque proceduta dal tentativoobbligatorio di mediazione. Di contrario avviso il Trib. Firenze, Sez. III, con ordinanza del22 maggio 2012, in www.ilsole24ore.com.

(171) Cosı VERDE, Profili del processo civile, cit., 87-88.(172) BOVE, L’accordo conciliativo, cit.(173) BOVE, L’accordo conciliativo, cit.(174) Ai sensi del citato art. 1321 c.c., il contratto e l’accordo con cui due o piu parti

costituiscono, regolano o estinguono tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. Sul punto,si veda LIEBMAN, Risoluzione convenzionale del processo, in Riv. dir. proc., 1932, I, 260 ss.,spec. 281-282; FURNO, Accertamento convenzionale e confessione stragiudiziale (1948) rist.1993, 18 ss., 37, 103, 114; SANTORO PASSARELLI, L’accertamento negoziale e la transazione,in Riv. trim. dir. proc. civ., 1956, 1 ss., spec. 4-5.

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tere negoziale di “disporre” e non anche quello di “accertare” (175) che in-vece e proprio della sentenza (176).

In altre parole, l’accordo conciliativo con cui si attribuisce un dirittoreale e sussumibile all’interno della fattispecie “contratto di transazio-ne” (177), differendo da esso sotto un profilo meramente quantitativo: ilprimo (accordo conciliatorio) non sarebbe infatti caratterizzato dalle “reci-proche concessioni” di cui all’art. 1965 c.c. (178).

Tirando quindi le fila del discorso, appare condivisibile l’opinione se-condo cui l’accordo conciliativo ex art. 11, D.Lgs. n. 28/2010 “e trascrivi-bile, non certo ai sensi dell’art. 2651 c.c., bensı ai sensi dell’art. 2643 n.13 c.c.” (179).

Vero e che il Tribunale di Roma (180) e recentemente tornato sullaquestione, precisando che si dovra ricorrere al procedimento obbligatorio dimediazione solo in presenza di una controversia effettiva tra le parti in or-dine alla proprieta del bene. Ne consegue che ove il fatto risulti pacifico,l’istante che agisce per ottenere l’accertamento dell’intervenuta usucapionepotra direttamente adire l’autorita giudiziaria, senza dover preventivamenteagire ai sensi del D.Lgs. n. 28/2010 (181).

9. La struttura giuridica degli organismi di mediazione ed i c.d. “accordidi gestione delle unita locali”.

In linea con i principi di “serieta” e di “effıcienza” di cui all’art. 16,

(175) BOVE, L’accordo conciliativo, cit. A parere dell’Autore, « nella prassi, accantoalla transazione contenente reciproche concessioni rispetto alle pretese originarie, si parladi un “contratto di accertamento” ove quelle reciproche concessioni non vi siano. Mal’espressione e, se si vuole convenzionale, ma tecnicamente impropria e comunque da pren-dere col classico grano di sale [...] ».

(176) BOVE, L’accordo conciliativo, cit. L’Autore rileva come nell’accordo concilia-tivo vi sia, al pari di qualsivoglia contratto di transazione, « solo la posizione di un comandoconcreto senza un presupposto di verita e giustizia, insomma in esso si ha semplicemente iltitolo attributivo di un effetto giuridico ».

(177) BOVE, L’accordo conciliativo, cit.(178) BOVE, L’accordo conciliativo, cit.(179) BOVE, L’accordo conciliativo, cit.; cosı anche DALFINO, Note in tema di negozio

di accertamento e trascrivibilita dell’accordo di conciliazione sull’intervenuta usucapione, inwww.judicium.it.

(180) Trib. Roma, Sez. V, decreto del 8 febbraio 2012, in www.ilcaso.it.(181) In senso parzialmente difforme, Trib. Varese, 20 dicembre 2011, in www.

ilcaso.it, il quale ha puntualizzato come l’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 debba essereinterpretato secundum constitutionem e, dunque, debba essere esclusa la mediazione obbliga-toria ogni qual volta essa non sia, per sua natura, idonea ad operare come filtro processualeper evitare il processo. In tale ultimo caso, infatti, l’istituto diverrebbe « un’appendice for-male imposta alle parti con irragionevolezza », rischiando di determinare la violazione del-l’art. 3 Cost. Pertanto, in tema di usucapione, la mediazione non si configurerebbe come ob-bligatoria, in quanto la sentenza di accertamento non puo essere surrogata dall’accordo diconciliazione.

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comma 1, D.Lgs. n. 28/2010, l’art. 4 D.M. n. 180/2010 ha previsto, tra irequisiti necessari per ottenere l’accreditamento, la c.d. “capacita organiz-zativa”, consistente nell’attestazione da parte degli organismi di “potersvolgere l’attivita di mediazione in almeno due regioni italiane o in almenodue province della medesima regione” (182).

Sulla scorta di tale riferimento normativo, gli enti iscritti nel registrodi cui all’art. 16 D.Lgs. n. 28/2010, al fine di raggiungere un’ampia dislo-cazione territoriale (network), tendono a stipulare i c.d. “accordi di gestionedelle unita locali” con altri e distinti soggetti (persone fisiche o giuridiche),detti “gestori”, aventi sede in altre regioni, province o zone della stessacitta.

In forza di tali accordi, quest’ultimi si impegnano a mettere a dispo-sizione dei primi, verso il pagamento di un corrispettivo, il necessario sup-porto logistico ed organizzativo (locali, personale di segreteria, ecc.), non-che a promuovere ed a divulgare l’attivita di mediazione svolta da quel de-terminato organismo.

Per poter procedere in tal senso, gli enti accreditati sono tenuti a pre-sentare al Ministero della Giustizia la richiesta di ampliamento del noverodelle articolazioni territoriali (c.d. unita locali) (183) attivando, a tal fine, ilprocedimento amministrativo di cui si e precedentemente detto (184).

Da un punto di vista logistico, l’attivita di mediazione si svolge anchepresso le unita locali, le quali, non potendo operare autonomamente, sonotenute a trasmettere alla sede centrale l’istanza ivi depositata e quindi adavvalersi dei mediatori da essa designati.

A conclusione del procedimento, l’organismo, che ha quindi percepitodirettamente dalle parti le “indennita di mediazione”, corrisponde in favoredel gestore il compenso pattuito per l’attivita organizzativa svolta local-mente (185).

Il modello contrattuale sin qui descritto, nonostante talune analogie,non puo ritenersi assimilabile al contratto di franchising, introdotto nel no-stro ordinamento dalla Legge n. 129/2004 (186).

(182) TISCINI, Il procedimento di mediazione, cit.; DALFINO, Dalla conciliazione socie-taria alla « mediazione finalizzata alla conciliazione cit.; JULINI, La mediazione, cit., 52 e 57;ARMONE, PORRECA, Sospensione e cancellazione dal registro, cit.

(183) Il soggetto « gestore » e tenuto a conferire all’organismo la disponibilita giuri-dica dei locali presso i quali si svolgera l’attivita stragiudiziale di nuova fattura. Tali localiverranno quindi indicati, nella visura camerale a carico dell’organismo di mediazione, comesingole unita locali.

(184) MARINARO, Il silenzio dell’Amministrazione competente, cit., 40.(185) Generalmente il compenso del gestore viene predeterminato, in misura percen-

tuale, sulle complessive « indennita di mediazione ».(186) Spunti in FRIGNANI, La giurisprudenza sul franchising in Italia prima e dopo la

Legge n. 129/2004, Rimini, 2011, 350 ss.; BONANI, ANGELI, Guida al Franchising, Milano,2004, 37 ss.; FRIGNANI, Il franchising, Torino, 1990, passim.

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I soggetti che gestiscono le sedi operative, pur essendo giuridicamenteautonomi ed indipendenti, non sono infatti legittimati a svolgere in propriol’attivita di mediazione e cio in quanto essi sono sforniti del necessario ac-creditamento ministeriale ed il loro oggetto sociale e, come detto, limitatoal mero supporto logistico ed organizzativo.

Inoltre, il corrispettivo che l’organismo corrisponde in favore dellasede locale — seppure determinato in misura percentuale sulle indennita dimediazione — non ha siffata natura rappresentando viceversa una mera re-munerazione per l’attivita svolta.

I c.d. “accordi di gestione delle unita locali” integrano, pertanto, verie propri negozi giuridici atipici di cui all’art. 1322, comma 2, c.c. (187).

Sotto altro e diverso seppure contiguo profilo, assume particolare ri-lievo la problematica (ancora oggi irrisolta) relativa al foro territorialmentecompetente (188) per l’omologazione dei verbali resi all’esito dell’attivita dimediazione svolta presso le unita locali (189).

Al riguardo, l’art. 12 D.Lgs. n. 28/2010 stabilisce che l’istanza per ot-tenere l’“exequatur” deve essere depositata presso il “tribunale nel cui cir-condario ha sede l’organismo” (190).

Orbene, se per “sede dell’organismo” si intende la sede centrale (191),allora la richiesta di omologazione del verbale di conciliazione sottoscrittopresso l’unita locale non potra essere presentata dinanzi al tribunale nel cuicircondario si e svolto con successo il tentativo di mediazione; con conse-guente aumento dei costi e dei tempi necessari per ottenere la spedizione informa esecutiva dell’accordo.

Nel caso contrario, la competenza territoriale ai fini dell’omologa-zione dell’istanza ex art. 12 D.Lgs. n. 28/2010 si radichera nel circondariodel tribunale in cui l’unita locale ha stabilito la propria sede. Tale ultimainterpretazione aderisce maggiormente alla ratio del D.Lgs. n. 28/2010.

10. L’obbligo dell’effettivo svolgimento della mediazione e la sanzioneper la mancata partecipazione al procedimento di mediazione.

Dopo aver sancito l’obbligo della fissazione del primo incontro tra le

(187) BIANCA, Diritto civile, vol. III, Milano, 2000, 477; BARBERO, Il sistema del di-ritto privato, Torino, 1998, 21 ss.; MESSINEO, Il contratto in genere, Tratt. dir. civ. e comm.,I, Milano, 1973, 45 ss.; SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002,79 ss.

(188) Amplius si veda TISCINI, L’esito positivo della mediazione civile e commercialedel D.Lgs. n. 28/2010: il verbale di accordo, tra requisiti formali e pregi/difetti sostanziali,in www.judicium.it.

(189) TISCINI, Il procedimento di mediazione, cit.(190) JULINI, La mediazione, cit., 77.(191) Si noti bene che la sede centrale puo non coincidere con la sede legale dell’or-

ganismo.

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parti ed il mediatore anche a fronte della mancata adesione del chiama-to (192), il legislatore e nuovamente intervenuto per garantire l’effettivosvolgimento del tentativo di mediazione nelle materie in cui essa opera, exlege ovvero ex contractu (193), come condizione di procedibilita della do-manda giudiziale (194).

A tal fine, l’art. 2, comma 35-sexies, Legge n. 148/2011 (195) ha postoa carico della controparte che, senza giustificato motivo, ritenga di non vo-ler aderire al procedimento stragiudiziale — ma lo stesso vale per l’istanteche propone direttamente l’azione giudiziaria — l’obbligo di corrisponderein favore dell’erario il pagamento di una somma pari all’importo del con-tributo unificato dovuto per il giudizio.

E cio in quanto la mancata partecipazione ha rappresentato, e forseancora oggi rappresenta, una delle concause del fallimento di numerositentativi di mediazione (196).

Nel dichiarato scopo di rafforzare il descritto precetto, l’art. 12 D.L.n. 212/2011 (197) (succesivamente abrogato in sede di conversione) (198)aveva anticipato il momento dell’irrogazione della sanzione economica,originariamente correlato alla data di pubblicazione della sentenza conclu-siva del giudizio, alla prima udienza di comparizione, ovvero all’udienzasuccessiva di cui all’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010. In tali occasioni,il giudice provvedeva, d’ufficio, con ordinanza non impugnabile (199).

A seguito dell’intervenuta abrogazione del citato art. 12 D.Lgs. n.212/2011, resta comunque ferma la menzionata sanzione prevista dall’art.2, comma 35-sexies Legge n. 148/2011, i cui presupposti applicativi sono

(192) MARINARO, Il regolamento degli organismi, cit., 38 ss.(193) Contrario ad interpretazioni estensive delle norme in tema di mediazione, FA-

BIANI, Profili critici del rapporto tra mediazione e processo, cit. In senso contrario, VACCARI,Media-conciliazione, cit.

(194) LUISO, L’arbitrato e la mediazione nell’esperienza contemporanea, cit.; MARI-NARO, Mediazione, multata la mancata partecipazione, cit., 65 ss.; MARINARO, Al giudice lavalutazione sull’assenza delle parti, cit., 51 ss.; BOVE, Le sanzioni per la mancata coopera-zione in mediazione, cit.; VACCARI, Media-conciliazione, cit.

(195) MARINARO, Mediazione, multata la mancata partecipazione, cit., 65 ss.(196) ALPA, IZZO, Il modello italiano di mediazione: le ragioni di un insuccesso, cit.

Gli Autori richiamano in particolare l’ambiguita del disegno sottostante al D.Lgs. n. 28/2010.Al riguardo, LUISO, L’arbitrato e la mediazione nell’esperienza contemporanea, cit., rilevacome sulle cause dello scetticismo in tema di mediazione incida « una visione ieratica e sa-crale della giurisdizione ».

(197) Avvenuta con L. n. 10 del 17 febbraio 2012.(198) MARINARO, Al giudice la valutazione sull’assenza delle parti, cit., 51 ss.; BOVE,

Le sanzioni per la mancata cooperazione in mediazione, cit.; VACCARI, Media-conciliazione,cit.

(199) Sull’interpretazione del tenore della norma si veda BOVE, Le sanzioni per lamancata cooperazione in mediazione, cit.

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dupplici: a) il convenuto deve costituirsi in giudizio; b) ivi non deve ad-durre un « giustificato motivo » (200).

Con riferimento al primo aspetto, si registra ancora una volta il trat-tamento di favor riservato dal legislatore a coloro che ritengono di disinte-ressarsi del processo (201); con riferimento al secondo aspetto, appare evi-dente la necessita di definire il contenuto del c.d. “giustificato motivo” (202).

A tal ultimo riguardo, la relazione illustrativa del D.Lgs. n. 28/2010indica espressamente “la mancata partecipazione a una mediazione propo-sta davanti a un organismo senza alcun collegamento con la residenza osede delle parti, con il loro domicilio o con i fatti oggetto di conflitto”,nonche la mancata partecipazione ad una mediazione proposta davanti adun organismo diverso da quello convenuto pattiziamente dalle parti.

Le altre e diverse ipotesi di “giustificato motivo” dovranno invecesoggiacere al vaglio discrezionale da parte del giudice (203).

11. Conclusioni.

Ricostruito il quadro complessivo delle fonti che, ad oggi, discipli-nano l’istituto della mediazione, appare ancora piu evidente come la verainnovazione sottesa al D.Lgs. n. 28/2010 non consista nell’aver introdottotout court un filtro processuale all’azione giudiziaria, bensı nell’aver de-mandato la funzione dell’“amministrazione” della giustizia (204) (anche) aiprivati (205) e di aver ripartito i relativi costi tra lo Stato ed il cittadino (206).

Nonostante i risultati (207) della nuova riforma siano inferiori alleattese — vuoi perche l’obbligatorieta della mediazione e di recente eparziale applicazione, vuoi per lo scetticismo generale del ceto forenseda tempo in attesa della pronuncia della Corte costituzionale (208) — nonv’e dubbio che un ipotetico ritorno allo status quo ante non sarebbe co-munque auspicabile (209). E cio anche tenendo conto dell’impatto nega-

(200) In senso critico LUISO, L’arbitrato e la mediazione nell’esperienza contempora-nea, cit.; BOVE, Le sanzioni per la mancata cooperazione in mediazione, cit.

(201) LUISO, L’arbitrato e la mediazione nell’esperienza contemporanea, cit.; BOVE,Le sanzioni per la mancata cooperazione in mediazione, cit.

(202) VACCARI, Media-conciliazione, cit.(203) VACCARI, Media-conciliazione, cit.; BOVE, Le sanzioni per la mancata coopera-

zione in mediazione, cit.(204) CAPOBIANCO, I criteri di formulazione della c.d. proposta « aggiudicativa » del

mediatore, in www.judicium.it.; GERARDO-MUTARELLI, Sulle cause della « irragionevole » du-rata del processo civile, cit.

(205) In tal senso, milita il principio di sussidiarieta di cui all’art. 118 Cost.(206) Spunti in ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Torino, 1992, 180 ss.(207) Le statistiche sono disponibili sul sito www.giustizia.it.(208) CALABRESI, Sulla conformita al diritto comunitario, cit., 664.(209) LUISO, L’arbitrato e la mediazione nell’esperienza contemporanea, cit.

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tivo (210) — stimato nella perdita annuale di un punto percentuale delprodotto interno lordo (211) — che l’attuale stato della giustizia civileimprime all’economia del Paese.

D’altra parte, l’impianto complessivo del D.Lgs. n. 28/2010 e dei suc-cessivi provvedimenti attuativi, pur non brillando per chiarezza e tecnicalegislativa, segna una netta inversione di tendenza dei ruoli sin qui giocati,dallo Stato e dagli operatori del diritto nell’amministrazione della giusti-zia (212).

Sembra infatti che, fermo ed indiscusso il diritto di difesa costituzio-nalmente garantito e riconosciuto in favore di ciascun cittadino, siano or-mai maturi i tempi per poter guardare al processo statale (213) come stru-mento esperibile, in via residuale (214) e non principale, ogni qualvolta lediverse forme di risoluzione negoziale della lite (215) non abbiano consen-tito la composizione stragiudiziale della stessa (216).

(210) Spunti in PICARDI, I grandi modelli socio-culturali per la giusta risoluzionedelle controversie civili internazionali e nazionali, in questa Rivista, 2011, 365 ss.

(211) VIETTI, La fatica dei giusti, cit., passim.(212) LUISO, L’arbitrato e la mediazione nell’esperienza contemporanea, cit.(213) LUISO, Giustizia alternativa o alternativa alla giustizia?, in Il giusto processo

civile, 2011, 325 ss.; BOVE, La conciliazione nel sistema dei mezzi di risoluzione delle con-troversie civili, in www.judicium.it.

(214) Dello stesso avviso CALABRESI, Sulla conformita al diritto comunitario, cit.,669. L’Autore afferma che « nella societa dei consumi il processo dovrebbe essere visto comeuna extrema ratio ». Cosı anche PORRECA, La mediazione e il processo civile: complementa-rieta e coordinamento, in Le Societa, 2010, 632.

(215) Tale impostazione viene ricavata da quella statunitense c.d. « multi-door courthouse » che esprime la concezione di un tribunale dalle molte porte in cui e possibile utiliz-zare le diverse modalita di accesso alla giustizia, in modo da garantire la scelta dello stru-mento piu adatto alle caratteristiche della lite. Amplius, JULINI, La mediazione, cit., 53 ss.

(216) VIETTI, La fatica dei giusti, cit., 93 ss.

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Il ruolo del consulente tecnico nel processo arbitrale

FRANCESCA TIZI

1. Introduzione.

La sempre maggiore attenzione che l’arbitrato sta ricevendo nell’at-tuale quadro giurisprudenziale e normativo, segno della crescente fortunanonche del mutato atteggiamento del legislatore nei confronti della giusti-zia privata (1), comporta la necessita di estendere lo studio anche al ruoloassunto dai diversi soggetti della procedura. Il presente contributo ha, inparticolare, ad oggetto la figura del consulente tecnico nel processo arbi-trale.

La trattazione relativa al ruolo del consulente tecnico nell’arbitrato ecosa di per se complessa, in quanto comporta non solo la risoluzione diproblematiche relative alla consulenza tecnica in genere, ma anche la lorotrasposizione al processo privato (2).

Occorre, innanzitutto, evidenziare come anche prima della novelladell’arbitrato del 2006, pur in assenza di una disposizione quale l’art. 816-ter, comma 5, c.p.c., non sia mai stata messa in dubbio la facolta dei giu-dici non togati di impiegare la consulenza tecnica nel processo arbitrale (3).L’impiego della consulenza tecnica nell’arbitrato deriva, infatti, dalla stessa

(1) I motivi di un tale mutato atteggiamento devono essere rinvenuti nella presa dicoscienza del legislatore dell’incapacita dello Stato a rispondere, efficientemente ed adegua-tamente, alla domanda di giustizia della societa civile. V. in proposito, per tutti, CAPONI, L’ar-bitrato amministrato della Camere di commercio in Italia, in questa Rivista, 2000, 663 ss.,spec. 664.

(2) Sulla consulenza tecnica nel processo civile v.: FRANCHI, La perizia civile, Pa-dova, 1959, passim; GIUDICEANDREA, Consulente tecnico, in Enc. dir., IX, Milano 1961, 531;VELLANI, Consulenza tecnica nel diritto processuale civile, in Dig. IV ed., disc. priv., sez. civ.,III, Torino, 1988, 525; CAVALLONE, Le iniziative probatorie del giudice: limiti e fondamento.Ispezione giudiziale e consulenza tecnica, in Il giudice e la prova nel processo civile, Padova,1991, 238 ss.; AULETTA, Il procedimento di istruzione probatoria mediante consulente tec-nico, Padova, 2002, passim; COMOGLIO, L’utilizzazione processuale del sapere extragiuridiconella prospettiva comparatistica, in Riv. dir. proc., 2005, 1145 ss.; BOVE, Il sapere tecnico nelprocesso civile, in Riv. dir. proc., 2011, 1431 ss.

(3) Secondo RICCI E.F., La prova nell’arbitrato rituale, Milano, 1974, 63, l’ammis-sibilita, nel silenzio della legge, di un tale mezzo di accertamento si fondava sulla mancanzadi ostacoli « capaci di escluderne l’impiego in radice ».

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struttura logica del giudizio, destinato, alla stregua di quello statale, alla ri-soluzione della lite (4). Conseguentemente, in questo come in quello, puo difatto mostrarsi necessaria, allorche si presentino questioni tecniche chefuoriescono dalla sua scientia, l’integrazione dell’attivita del giudicante at-traverso l’opera dell’esperto (5).

Invero, pero, se nessuno ha mai dubitato dell’impiego della periziatecnica nell’arbitrato, questa, applicata a un giudizio diverso da quello sta-tale, mostra delle difficolta di adattamento dovute alla peculiarita della giu-stizia privata. Segnatamente, posto che il Tribunale arbitrale e sovente com-posto, in tutto o in parte, da arbitri in possesso di conoscenze scientificheo tecniche, si pone, in maniera ancor piu stringente che nel giudizio statalela necessita di risolvere la questione relativa alla possibilita del giudicantedi accertare le questioni di carattere tecnico senza ricorrere alla nomina diun consulente, nonche, di contro, se, mancando di conoscenze giuridiche,questi possa, invece, ricorrere ad una c.t.u per la risoluzione della quaestioiuris.

Dubbi sorgono, poi, anche in ordine a chi — arbitri o parti — instauricon il consulente il rapporto contrattuale relativo all’espletamento della pe-rizia necessaria alla decisione della controversia e, conseguentemente, chisia direttamente obbligato a corrispondergli il compenso.

Al fine di risolvere le questioni proposte, appare necessario, pero,pregiudizialmente, offrire un inquadramento della consulenza tecnica nelprocesso civile alla luce del vigente sistema normativo.

2. Funzione del consulente tecnico nel processo civile.

La funzione del consulente tecnico nell’arbitrato e, infatti, fortementelegata all’opera di teorizzazione iniziata dalla dottrina processualcivilisticache, gia a partire dal XIX secolo, nell’indagare sulla funzione del perito nelprocesso civile, metteva in evidenza come la perizia potesse essere rico-struita in termini di mezzo di prova in senso proprio, da collocare nelcampo del sistema probatorio, ovvero, di mezzo diretto a sopperire ad unvizio di conoscenza del giudicante, conoscenza necessaria per la decisionedella controversia, dando cosı prevalenza alla figura del perito quale ausi-liario del giudice.

(4) La presente trattazione ha, invero, ad oggetto il solo giudizio arbitrale rituale,mentre nessun riferimento e fatto all’utilizzo della c.t.u. nell’arbitrato libero, la cui partico-lare e autonoma struttura rispetto alla forma rituale comporterebbe la necessita di una speci-fica riflessione anche sul tema in questione, impossibile in questa sede.

(5) Specificamente sulla consulenza tecnica nell’arbitrato v. BERNARDINI, Arbitrato econsulenza tecnica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, 613 ss.; RICCI F.G., La consulenza tec-nica nell’arbitrato, in questa Rivista, 2003, 1 ss.; VIGORITI, Arbitrato e consulenza tecnica, inquesta Rivista, 1993, 183 ss.

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Il codice di rito del 1940, a differenza di quello del 1865 (6), che di-sciplinava espressamente la perizia inserendola tra i mezzi prova, regola-menta l’attivita del consulente tecnico, non anche la consulenza tecnica,mettendone in evidenza la funzione di ausiliario del giudice civile. Cio eespresso negli artt. 61 ss. e 191 ss. c.p.c. che, nel regolamentare l’attivitadel consulente, mettono in evidenza il carattere soggettivo del fenomeno. Inparticolare, tali attivita di assistenza giudiziaria appaiono non solo dall’art.61, comma 1, c.p.c. a norma del quale il giudice puo farsi assistere « per ilcompimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o piu consulenti »,ma anche dall’art. 194 c.p.c. che dispone l’assistenza del consulente alleudienze istruttorie o alle indagini di cui all’art. 259 c.p.c. (7), ovvero, dal-l’art. 197 c.p.c. che ne disciplina, invece, l’attivita quando questo e invitatodal giudice a presenziare alla discussione o ad esprimere il suo parere incamera di consiglio.

Se, dunque, da quanto indicato appare indubbio come le funzioni delconsulente, piu che su di un piano probatorio, si muovano, invece, sulpiano dell’assistenza giudiziaria, la dottrina ha, tuttavia, posto il problemadi individuare quale sia la funzione del perito quando non e chiamato adassistere il giudice, ma a svolgere la sua principale e piu comune attivita,ovvero, l’indagine tecnica devolutagli (8).

Senza pretesa di effettuare in questa sede un approfondito esame dellamateria, si ritiene necessario ricordare come, di contro all’impostazioneprevalente che colloca la consulenza tecnica al di fuori dei mezzi di pro-va (9), sta l’idea, anch’essa notevolmente accreditata in dottrina, che l’inda-gine del consulente sostanzi una vera e propria fonte di prova (10).

(6) Il codice di rito del 1865 non parlava, infatti, di consulenza tecnica, ma di peri-zia. Sul punto v. artt. 252 ss. c.p.c. 1865, nonche per tutti MORTARA, Manuale della proce-dura civile, I, Torino, 1929, 438 ss. Secondo GIUDICEANDREA, op. cit., 532, perizia e consu-lenza tecnica non rappresenterebbero sinonimi, posto che il consulente tecnico sarebbe chia-mato a svolgere funzioni piu ampie di quelle del perito: egli non svolgerebbe solo un’auto-noma indagine tecnica, in cui si dovrebbe ravvisare la vera e propria perizia, ma anche atti-vita di assistenza giudiziaria. Nel seguito della presente trattazione si e scelto di utilizzare in-distintamente i termini, perito/consulente, perizia/consulenza.

(7) Tale ipotesi e espressamente citata da SATTA, Commentario al codice di proce-dura civile, rist., 1966, II, 1, 259, il quale vi ravvisa l’unico caso in cui il consulente assisteil giudice nelle indagini.

(8) Cosı RICCI G.F., Le prove atipiche, Milano, 1999, 244.(9) LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile (Principi), a cura di COLESANTI -

MERLIN - RICCI, Milano, 2002, 317 s., 347 s.; CARNELUTTI, La prova civile, 1915 ora rist., Mi-lano, 1992, 74 ss.; GIUDICEANDREA, op. cit., 531; VELLANI, op. cit., 525; VERDE, Profili del pro-cesso civile. Processo di cognizione, Napoli, 2006, 140; MANDRIOLI, Diritto processuale ci-vile. II. Il processo ordinario di cognizione, Torino, 2009, 200; BOVE, Il sapere tecnico nelprocesso civile, cit., 1432.

(10) DENTI, Perizie, nullita processuali e contraddittorio, in Dall’azione al giudicato,Padova, 1983, 295; ID., Scientificita della prova e libera valutazione del giudice, in Riv. dir.

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Al fine di prendere posizione in ordine ai citati orientamenti, si ritienedi dover distinguere le diverse attivita che il consulente tecnico in concretoe chiamato a svolgere (11).

Infatti, come chiaramente appare anche dall’analisi della giurispruden-za (12), accanto a situazioni in cui al consulente e demandata un’operazionedi mera “lettura” dei fatti che risultano da mezzi di prova, da mancate con-testazioni ovvero da mezzi di presunzione, il consulente puo anche essereincaricato della vera e propria percezione del fatto, che, se ne avesse le co-noscenze tecniche, avrebbe dovuto essere accertato direttamente dal giudiceattraverso l’ispezione (13). Piu precisamente, come da altri evidenziato, intale ultima ipotesi « si immagina un consulente che diventa egli stessostrumento di percezione e, quindi, di acquisizione della prova del fatto nelprocesso, eventualita che si prospetta quando un simile accertamento epossibile solo se compiuto da un soggetto che abbia determinate cono-scenze specialistiche » (14).

Mentre, il carattere probatorio dell’attivita del consulente appareescluso nella prima ipotesi sopra descritta, ove lo stesso e chiamato solo aduna traduzione per il giudice di fatti gia provati (15), questo e, invece, evi-

proc., 1972, 414; FRANCHI, op. cit., 296. In tal senso sembra anche RICCI E.F., op. ult, cit., 8s., che, pur palesando dubbi ricostruttivi sulla figura del consulente, afferma che l’« equipa-razione della consulenza ad una “prova” puo costituire un accorgimento logico utile all’im-postazione di molti problemi sia al fine di configurare come “istruttori” anche quegli atti delconsulente che pur non abbiano a loro oggetto la formazione o l’acquisizione di una prova,sia per studiare con l’aiuto dell’antitesi fra “libero apprezzamento” e “regole di prova le-gale” la situazione del giudice difronte a quanto il consulente riferisce ed afferma ».

(11) La distinzione riportata nel testo e molto chiara in PROTO PISANI, Appunti sulleprove civili, in Foro it., V, 1994, 49 ss. spec. 71.

(12) Invero, la distinzione fatta nel testo e tratta dall’analisi della giurisprudenza che,gia dal secolo scorso, distingue la consulenza tecnica c.d. “deducente” da quella c.d. “perci-piente”: « al consulente puo infatti essere affıdato non solo l’incarico di valutare i fatti ac-certati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi(consulente percipiente), ed in tal caso e necessario e suffıciente che la parte deduca il fattoche pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richiedaspecifiche cognizioni tecniche ». Sono parole di Cass., 13 marzo 2009, n. 6155. Conformi:Cass., 13 marzo 2008, n. 6754, in Dir. & Giust., 2008; Cass., 30 maggio 2007, n. 12695;Cass., 30 novembre 2005, n. 26083; Cass., 22 giugno 2005, n. 13401; Cass., 19 agosto 2004,n. 16256; Cass., 6 giugno 2003, n. 9060; Cass., 16 maggio 2003, n. 7635; Cass., Sez. un., 04novembre 1996, n. 9522, in Danno e Resp., 1997, 15, con nota CARBONE, in Studium Juris,1997, 185 e in Il civilista, 2009, 4, con nota CAMPAGNOLI; Cass., 26 marzo 1986, n. 2771;Cass., 7 aprile 1987, 3351.

(13) Sulla possibilita che la consulenza tecnica supplisca all’ispezione giudiziale nel-l’ipotesi un cui questa necessiti delle conoscenze specifiche di un consulente v., tra piu:Cass., 18 aprile 1988, n. 3064.

(14) Sono parole di BOVE, Il sapere tecnico nel processo civile, cit., 1434.(15) Cosı PROTO PISANI, Appunti sulle prove civili, cit., 72, che esclude il carattere

probatorio della consulenza, oltre che nel caso indicato nel testo, anche ove al consulente sia

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dente nella seconda, che rappresenta, pero, a detta della giurisprudenza,un’eccezione alla regola (16). Infatti, la consulenza tecnica acquisisce, adetta della giurisprudenza, la funzione di fonte oggettiva di prova, sola-mente quando l’accertamento di determinate situazioni e rilevabile solo conil concorso di specifiche cognizioni tecniche (17), dirette, peraltro, sola-mente ad integrare gli oneri di allegazione ed istruttori delle parti che,giammai, potranno fondarsi semplicemente su di essa, rimettendo « l’accer-tamento dei propri diritti all’attivita del consulente », attraverso l’accerta-mento di determinate situazioni di fatto (18).

Dunque, la consulenza tecnica non e, almeno normalmente e comun-que secondo l’ottica del codice di procedura civile, nonche dell’interpreta-zione di questo offerta dalla giurisprudenza, un mezzo di prova in se, maun mezzo per aiutare il giudice a formare il suo convincimento sui fatti.

A ben vedere, infatti, la funzione di ausiliario del giudice del consu-lente non viene meno neanche ove la consulenza assolva alla funzione distrumento di percezione dei fatti, posto che un giudice che avesse le cono-scenze tecniche necessarie sarebbe egli stesso, alla stregua del perito, fontedi prova (19).

demandata la sola indicazione delle regole tecniche, riservandosi il giudice di provvedere eglistesso all’impiego di tale regole nella valutazione delle prove. Secondo l’Autore la consu-lenza tecnica assolverebbe, invece, alla funzione di prova ove al consulente fosse chiesta solouna percezione dei fatti da riferire al giudice, ovvero, accanto a questa, anche un’attivita dideduzione diretta a trarre, dal fatto secondario certo, fatti principali ignoti.

(16) Il principio e, invece, quello espresso da Cass., 13 marzo 2008, n. 6754, cit., se-condo cui « la consulenza tecnica d’uffıcio non costituisce un mezzo di prova, in quanto none diretta a determinare il convincimento del giudice in ordine alla verita o alla non verita dideterminati fatti, ma svolge unicamente la funzione di integrare l’attivita del giudice offren-dogli le cognizioni tecniche necessarie o utili per la decisione ».

(17) In altri termini, la giurisprudenza ammette la consulenza tecnica d’ufficio c.d.“percipiente” unicamente quando l’accertamento non si potrebbe effettuare senza specifichecognizioni tecnico-scientifiche. Cosı anche: Cass., 14 febbraio 2006, n. 3191, in Il civilista,2009, 10, 35, con nota VILLA; Cass., 5 maggio 2005, n. 9353, in D&G - Dir. e Giust., 2005,26, con nota PAPALEO; Cass., 21 aprile 2005, n. 8297, in Foro padano, 2005, I, 593.

(18) V., in tal senso, Cass., 26 novembre 2007, n. 24620; Cass., 4 novembre 1996, n.9522.

(19) Ove la consulenza assolva alla funzione di percezione dei fatti secondo PROTO

PISANI, Appunti sulle prove civili, cit., 71, l’attivita del consulente non sarebbe sostanzial-mente dissimile da quella del testimone da cui si distinguerebbe solo sotto l’aspetto formale,ovvero, per il fatto che il c.t.u. sarebbe nominato dal giudice, la sua attendibilita sarebbe inmassima parte preventiva e, infine, la sua attivita sarebbe tipizzata, dovendo la consulenzasempre seguire forme prestabilite. Viceversa, secondo BOVE, Il sapere tecnico nel processocivile, cit., 1436, consulente e testimone non si possono confondere, in quanto mentre la co-noscenza del testimone non e sostituibile con la conoscenza che di quel fatto il giudice hapersonalmente, viceversa il consulente assolverebbe sempre la funzione di ausiliare del giu-dice e, dunque, di strumento per integrare le sue conoscenze. Inoltre, mentre il testimone do-vrebbe narrare la realta senza valutazioni, il consulente « (in chiave “deducente”) valuta ac-

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Sebbene, dunque, la consulenza tecnica possa anche assolvere la fun-zione di mezzo di prova, questa non sembra mai perdere la funzione dimezzo di ausilio del giudice alla formazione del suo convincimento, rima-nendo, sempre e comunque, strumento di comprensione del fatto, sostitu-tivo, o meglio, integrativo degli strumenti conoscitivi del giudice.

3. Il ruolo del consulente tecnico nell’arbitrato.

Cio appare riscontrabile anche nel processo arbitrale, ove la funzionedi ausiliario del giudice del consulente tecnico nominato d’ufficio si profilain tutto il suo carattere strumentale.

Se, invero, ad una prima analisi potrebbe apparire che la consulenzatecnica sia da collocare unicamente nel campo del sistema probatorio, po-sto che la facolta degli arbitri di « farsi assistere da uno o piu consulentitecnici » e prevista all’art. 816-ter, comma 5, c.p.c., norma espressamenteintitolata istruzione probatoria, un’analisi piu approfondita mostra, invece,l’esatto contrario (20).

Innanzitutto, infatti, la previsione della consulenza tecnica nellanorma che disciplina l’istruzione probatoria non e di per se sufficiente afarle perdere il carattere di mezzo di ausilio del giudice nella formazionedel suo convincimento. Cio non solo perche, come sopra indicato, si e del-l’idea che la consulenza tecnica, anche quando funge da mezzo di prova,non perda mai funzione di ausilio del giudice alla formazione del suo con-vincimento, ma anche perche nell’espressione « istruzione probatoria » sidevono comprendere non soltanto le norme che disciplinano i mezzi diprova propriamente detti, ma anche quelle relative ai mezzi di istruzionedella causa, tra i quali e indubbiamente ricompresa anche la c.t.u.

Ma e soprattutto dall’art. 820, comma 4, c.p.c., come novellato nel2006, che si puo trarre una conferma del fatto che la consulenza tecnicarappresenti un ausilio per il giudice nella conoscenza della quaestio facti.

La citata norma risolve, invero, definitivamente il problema posto,prima della novella del processo arbitrale del 2006, dall’art. 820 c.p.c. che

cadimenti che si sono accertati nel processo come accaduti in base ad altri mezzi di prova,presunzioni o ammissioni o, al piu, e chiamato egli stesso (in chiave “percipiente”) ad ac-certare dei fatti attuali (e non passati) per la cui stessa acquisizione e necessario avere dellespecifiche cognizioni tecniche ». Alla base di una tale ricostruzione e l’idea, a cui, come in-dicato nel testo, si aderisce, che anche nel caso in cui la consulenza assolva funzione proba-toria, questa non perda mai, comunque, la funzione di ausilio del giudice nella conoscenzadei fatti.

(20) L’art. 816-ter, comma 5, c.p.c. dopo aver previsto la facolta degli arbitri di no-minare uno o piu consulenti tecnici, aggiunge « possono essere nominati consulenti tecnicisia persone fisiche, sia enti », tra i quali ultimi si pensi, ad esempio, ad una societa di revi-sione, un istituto universitario o un ente di ricerca.

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ammetteva la possibilita di proroga del termine per la pronuncia del lodosolo quando nel processo arbitrale dovessero essere assunti « mezzi diprova ». E, infatti, tale norma distingue le diverse fattispecie dell’assun-zione, nel processo arbitrale, dei mezzi di prova e della disposizione, nellostesso, della consulenza tecnica d’ufficio.

Se, dunque, nel vigore della previgente disciplina si poneva la que-stione di comprendere la c.t.u. nell’espressione « mezzi di prova » conte-nuta nell’art. 820 c.p.c. (21), oggi il problema appare completamente supe-rato. E, infatti, il nuovo comma 4 dell’art. 820 c.p.c., mentre alla lett. a)ammette, non piu di una volta nello stesso procedimento, la proroga deltermine per la pronuncia del lodo, salvo diversa disposizione delle parti,« se debbono essere assunti mezzi di prova », alla lett. b) distingue tale si-tuazione da quella in cui « e disposta la consulenza tecnica d’uffıcio », am-mettendo, anche in tal caso, la proroga di 180 giorni per la pronuncia deldictum arbitrale.

In altre parole, proprio la citata norma, prevedendo autonome possibi-lita di proroga del termine per la pronuncia del lodo, riconosce a chiare let-tere la distinzione tra le due fattispecie e, dunque, la diversita e autonomiadella consulenza tecnica dai mezzi di prova (22).

4. Liberta o obbligo di nomina del consulente tecnico.

Individuato, dunque, il ruolo del consulente tecnico, occorre a talpunto chiedersi se, in presenza di una fattispecie che richieda la compren-sione di una questione tecnica, spetti al giudice, pubblico come privato, va-lutare, nella sua piena discrezionalita, l’opportunita di ricorrere all’ausiliodi un esperto ovvero se questi sia vincolato alla sua nomina.

La questione, che si puo porre anche difronte al giudice statale (23),assume una particolare valenza nell’arbitrato ove gli arbitri vengono so-vente nominati in virtu di una loro specifica competenza tecnica in ordineal tema della controversia.

(21) La questione era, invero, superata, grazie a un’interpretazione estensiva, fondatasulla qualificazione della c.t.u. come mezzo di istruzione della causa V., per tutti: Cass., 7marzo 1967, n. 532, in Giust. civ., 1967, I, 892; App. Firenze, 16 ottobre 2003, in questa Ri-vista, 2004, 2, 320, con nota UNGARETTI DELL’IMMAGINE, Riflessioni sul termine di emanazionedel lodo rituale.

(22) Quello che si vuole dire e che la norma permette di evidenziare il carattere nonesclusivamente probatorio della c.t.u.

(23) Come espressamente evidenziato da BOVE, Il sapere tecnico nel processo civile,cit., 1437, « certo, qui siamo di fronte, non ad un sapere comune dell’uomo medio in un certomomento storico, bensı a conoscenze specialistiche. Ma non si puo escludere che il giudice,pur non essendo professionalmente tenuto ad avere quelle conoscenze, tuttavia nel caso con-creto le abbia. In una simile eventualita, pur non comune, il giudice non ha bisogno di affı-darsi ad un consulente ».

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Molto diffusa e, infatti, nella pratica, in presenza di contese che coin-volgono problemi medici, la devoluzione della risoluzione della lite a col-legi di sanitari, ovvero in relazione a controversie riguardanti questioni dimeccanica o edilizia, ad ingegneri o controversie concernenti aspetti conta-bili, ad arbitri aventi qualifica di ragioniere o commercialista ecc.

Orbene quanti considerano la consulenza tecnica un mezzo di provagiungono alla conclusione che il giudice, come l’arbitro, di fronte ad unaquestione tecnica non possa esimersi dal nominare il consulente, quand’an-che fosse un perfetto conoscitore della specifica materia (24).

Invero, pero, considerando, come sopra ampiamente indicato, la con-sulenza tecnica, in ogni caso, mezzo per sopperire a vizi conoscitivi delgiudicante in ordine a questioni di carattere tecnico-scientifico, si puo giun-gere all’esatto opposto e riconoscere al giudice come all’arbitro piena fa-colta di omettere la nomina del consulente ogni qualvolta ritenga, in virtudella propria scienza, di potere risolvere da solo la questione (25).

Questa ultima soluzione sembra, peraltro, avallata dal dato letterale,dato che tanto l’art. 61 che l’art. 816-ter c.p.c., utilizzando l’espressione ilgiudice ovvero l’arbitro « puo farsi assistere » e non « deve farsi assi-stere », considerano completamente discrezionale la nomina del consulentetecnico.

Invero, la dottrina, che si e interessata di questo aspetto in riferimentoal giudice statale, e di diverso avviso. Questa, infatti, mette in evidenzacome la distinzione tra necessita o facolta per il giudice di risolvere diret-tamente questioni tecniche, non vada confusa con quella della mancanza diun obbligo di nominare il consulente tecnico: l’art. 61 c.p.c. sarebbe da in-terpretare come diretto a regolare il solo caso in cui il giudicante decida dinon avvalersi del consulente, non perche intenda risolvere da solo la que-stione tecnica, ma perche, invece, ritenga la questione non avente caratte-

(24) Il giudizio del giudice sarebbe, in altri e piu precisi termini, limitato all’ammis-sibilita e rilevanza del mezzo probatorio. In tale senso SATTA - PUNZI, Diritto processuale ci-vile, 3o ed., Padova, 2000, 321 s.; FRANCHI, op. cit., 296 ss. e DENTI, Perizie, nullita proces-suali e contraddittorio, cit., 295 ss., ma v., anche, LUISO, Diritto processuale civile, II, Mi-lano, 2011, 94 ss., che fonda pero, come meglio di seguito indicato, l’obbligo del giudice dinominare il c.t.u. sulla necessita di ricreare anche nell’accertamento tecnico il contradditto-rio presente difronte al giudice.

(25) In tal senso sembra anche essere la giurisprudenza v.: Cass., 26 giugno 2007, n.14759, in Il civilista, 2009, 10, con nota VILLA, secondo cui « il giudice di merito, per la so-luzione di questioni di natura tecnica o scientifica, non ha alcun obbligo di nominare unconsulente d’uffıcio, ma puo ben fare ricorso alle conoscenze specialistiche che abbia acqui-sito direttamente attraverso studi o ricerche personali ». Conforme: Cass., 15 luglio 1963, n.1922.

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ristiche tecniche e, dunque, risolvibile ricorrendo alle normali regole diesperienza (26).

La distinzione tra conoscenze rientranti nel patrimonio dell’uomo me-dio e costituenti il c.d. sapere generale sempre utilizzabile dal giudice, econoscenze a questo estranee e, pero, difficilissima da un punto di vistapratico, posto che, nel singolo caso, non si riesce a stimare la presenza diun sapere specialistico ovvero generale (27). Conseguentemente, anche co-loro che, partendo dall’idea che la consulenza tecnica si esaurisca in unmezzo di prova, sostengono che il giudice debba procedere alla nomina diun consulente anche quando sia in possesso di cognizioni specialistiche ne-cessarie per la decisione della lite, si trovano poi di fatto difronte alla dif-ficolta di comprendere la linea di demarcazione fra regole di esperienza eregole tecniche e, dunque, la legittimita o meno della scelta di non nomi-nare un esperto (28).

Per tutto quanto sin qui esposto sembra, dunque, che non possa ri-scontrarsi in capo al giudicante, pubblico come privato (29), un obbligo dinomina del consulente, anche se richiesta da una delle parti (30).

Peraltro, la possibilita del giudicante di ricorrere alla nomina del con-sulente tecnico solo ove ritenga di non avere le conoscenze necessarie alladecisione della lite anche quando la consulenza sia disposta su istanza diparte comporta delle ulteriori complicazioni causate — come indicato —dalla natura in taluni casi probatoria della c.t.u.

In riferimento a tale situazione la giurisprudenza e, infatti, dell’avvisoche il giudice non possa imputare all’istante il mancato assolvimento del-

(26) V. in tal senso BOVE, Il sapere tecnico nel processo civile, cit., 1437, nota 20;RICCI G.F., La consulenza tecnica nell’arbitrato, cit., 19, nota 11.

(27) Come evidenziato da BOVE, Il sapere tecnico nel processo civile, 1437, nota 20,infatti, ogni « lettura » della realta fattuale richiede il possesso di cognizioni pregiuridiche, ocomuni alla collettivita degli uomini o tecniche, non esistendo accertamenti di fatto che si ri-solvano in una mera percezione senza una razionalizzazione del dato percepito.

(28) Sulla linea di demarcazione fra regole di esperienza e regole tecniche, v. RICCI

G.F., Principi di diritto processuale generale, Torino, 2001, 226 e s.(29) In particolare, per quanto riguarda l’arbitro occorre precisare come l’utilizzo

della sua scienza per la risoluzione dalla quaestio facti, comporti in ogni caso, ovvero, anchein presenza di organo collegiale, la necessita che le conoscenze tecniche indispensabili per larisoluzione della lite appartengano a tutti i componenti il Tribunale, dato che in presenza diun Tribunale arbitrale avente una composizione mista — ove, ad esempio, il ruolo di arbitrodi parte sia assunto da tecnici e quello di Presidente da un giurista — e altamente probabileche il collegio si trovi nell’impossibilita di prende una posizione in ordine alla questione tec-nica a causa di due opposte e contrastanti ricostruzioni di parte della questione di fatto (inquanto operate dagli arbitri di parte). In tal senso v. REDENTI - VELLANI, Diritto processualecivile, III, Milano, 1999, 588, che riconosce agli arbitri di servirsi della loro scienza privata,purche scienza dell’intero collegio.

(30) Cass., 15 aprile 2002 n. 5422, dispone che una tale istanza non e soggetta pre-clusioni, avendo la sola funzione di sollecitare il potere del giudice di disporre ex offıcio lac.t.u.

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l’onere della prova ove la perizia, unico mezzo idoneo ad acquisire la provadel fatto nel processo, pur richiesta, non sia stata ammessa (31).

Un tale principio espresso in riferimento al giudice statale puo, invero,essere riferito anche all’arbitrato, ove, nel caso concreto, si sostanzi unaviolazione del principio del contraddittorio ravvisabile nella violazione del-l’uguale facolta delle parti di difendersi anche in ordine alla questione difatto, posto che in tal caso la consulenza tecnica, oltre al normale ruolo dimezzo d’integrazione della conoscenza del giudice, acquisisce anche ilruolo di mezzo diretto alla prova oggettiva dei fatti.

Viceversa, quando, invece, non possa ravvisarsi una violazione del di-ritto al contraddittorio delle parti, qui inteso come diritto alla prova, il prin-cipio espresso in riferimento al giudice statale, ancorche teoricamente rife-ribile anche all’arbitrato, non trova in quest’ambito, tuttavia, gli stessi limitidel giudizio pubblico, dal momento che la soluzione della questione di fattoofferta dall’arbitro appare inattaccabile. Infatti, mentre i poteri discrezionalidel giudice statale in relazione alla nomina del consulente sono censurabiliin sede di legittimita (32) sotto il profilo del vizio di motivazione (33), quellidell’arbitro restano insindacabili in sede d’impugnazione del lodo, non esi-stendo tra i motivi di cui all’art. 829, comma 1, c.p.c., una disposizione chepermetta di attaccare il responso arbitrale in ordine alla risoluzione dellaquaestio facti (34).

5. Libero convincimento e consulenza tecnica.

Il discorso appena fatto e pero piu complesso e piu ampio: questo none limitato alla sindacabilita della scelta di non procedere alla nomina delc.t.u. richiesta dalle parti, ma si estende anche alla sindacabilita della valu-tazione operata dall’arbitro della consulenza tecnica.

Se normalmente, il giudice, come l’arbitro, ove mancanti della com-petenza scientifica necessaria per sindacarne le risultanze tecniche (35), fi-

(31) Cass., 21 aprile 2005, n. 8297, in Dir. e Giust. 2005, 51; Cass., 8 gennaio 2004,n. 88, in Il merito, 2006, 10, 5.

(32) V. Cass., 16 aprile 2008 n. 10007, in Dir. & Giust. 2008, con nota VECCHI; Cass.,28 febbraio 2007, n. 4743, in Guida al diritto 2007, 46.

(33) Cfr.: Cass., 4 giugno 2007, n. 12930; Cass., 18 settembre 2007, n. 19365, inGuida al diritto, 2007, 78; Cass., 11 maggio 2007, n. 10849. Cass., 21 agosto 2003, n. 12304,specifica come il giudice, avente le necessarie e specifiche cognizioni tecniche per la risolu-zione della lite, se puo decidere la causa senza ricorrere alla consulenza tecnica, deve, tutta-via, motivarne la non ammissione. Cfr. in dottrina GIUDICEANDREA, op. cit., 533; VELLANI, op.cit., 527.

(34) In tal senso v., per tutti, BOVE, La giustizia privata, Verona, 2009, 120.(35) Sul punto v. TARUFFO, Le prove scientifiche nella recente esperienza statunitense,

in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, 218 ss. e 244 ss.; ID., voce Libero convincimento del giu-

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niscano per conformarsi all’esito della consulenza, l’operativita della regoladel libero convincimento, gli consente sempre, tuttavia, la possibilita di di-scostarsi dagli esiti della perizia (36).

In tale ultimo caso, invero, mentre la valutazione del giudice statalein ordine alla coerenza del ragionamento condotto dal consulente comportasempre un obbligo — piu o meno rigoroso a seconda che intenda discostar-si (37) ovvero conformarsi (38) alle risultanze tecniche — di motivazione e,dunque la possibile censura in sede di legittimita, cio non vale anche perl’arbitro. Infatti, pur riconoscendosi in astratto l’obbligo dell’arbitro di mo-tivare in modo espresso le ragioni per cui non intende seguire le conclu-sioni raggiunte dal consulente d’ufficio, il lodo arbitrale, pronunciato di-sconstandosi dalle risultanze peritali, non e, invero, sindacabile in seded’impugnazione, posto che, come indicato, nell’attuale formulazione del-

dice (dir. proc. civ.), in Enc. giur., XVIII, 1990, 4, ove l’Autore afferma che, anche se si ri-tenesse il giudice dotato di una cultura scientifica media, tale di potergli permettere di indi-viduare, sia pure a grandi linee, gli errori del consulente, una tale soluzione non sarebbe, co-munque, di fatto praticabile. Cio avverrebbe a causa tanto della difficolta di comprenderequal e il livello medio di cultura, quanto dell’impossibilita che il possesso di cognizioni tec-niche per cosı dire medie riescano ad offrire effettiva garanzia della capacita d’individuare ivizi che inficiano indagini scientifiche complesse. Cfr. anche RICCI G.F., La consulenza tec-nica nell’arbitrato, cit. 14; BOVE, Il sapere tecnico nel processo civile, cit., 1445 e s.

(36) V. per tutti Cass., 18 ottobre 1988, n. 5665, secondo cui « la decisione di far ri-corso alla consulenza tecnica, quale strumento tecnicamente piu funzionale ed effıcace perl’accertamento dei fatti essenziali ai fini del giudizio non vincola per questo il giudice al pa-rere espresso dal consulente, potendo egli dissentire dallo stesso qualora nel suo libero ap-prezzamento ritenga le conclusioni dell’ausiliare non sorrette da adeguata motivazione o peraltre convincenti ragioni ». Va in proposito, peraltro, rilevato come SATTA, Diritto proces-suale civile, cit., 345, fondi la natura probatoria della perizia proprio sulla sua non vincola-tivita per il giudice. Segnatamente l’Autore argomenta sostenendo che, ove questa fosse ef-fettivamente uno strumento volto ad integrare le conoscenze del giudice, questi ne sarebbeastretto, come lo e dalla sua stessa scienza. Il fatto, invece, che possa discostarsi dalle risul-tanze peritali dimostrerebbe, di contro, che la consulenza tecnica e oggetto di apprezzamentogiudiziale alla stregua di ogni altra fonte di prova.

(37) In ordine a tale ultimo profilo, occorre sottolineare come la giurisprudenza im-ponga al giudice, che non intenda seguire la consulenza, l’obbligo di un’attenta motivazione.Cfr.: Cass., 10 dicembre 2001, n. 15590; Cass., 6 aprile 1998, n. 3551; Cass., 29 marzo 2001,n. 4652; Cass., 4 dicembre 2001, n. 15318; Cass., 3 marzo 2001, n. 3093; Cass., 24 marzo2000, n. 3517.

(38) La giurisprudenza attenua, invece, il rigore della motivazione ove il giudiceaderisca alle risultanze peritali. Infatti, se sono riscontrabili pronunce che richiedono al giu-dice un’analitica confutazione dei precisi e circostanziati rilievi di parte (Cass., 16 giugno2001, n. 8165), tuttavia, l’opinione maggioritaria si dirige verso il riconoscimento della le-gittimita del semplice richiamo del giudice alla consulenza, ritenendosi legittima la sentenzache, accogliendo i rilievi tecnici del consulente, non tenga in alcuna considerazione i rilievieffettuati dai periti di parte. V. in tal senso Cass., 27 novembre 2001, n. 15028. Un appro-fondito esame delle citate posizioni giurisprudenziali e offerta da SALOMONE, Sulla motiva-zione con riferimento alla consulenza tecnica d’uffıcio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002,1017 ss.

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l’art. 829, comma 1, c.p.c. non vi e spazio per attaccare la soluzione chegli arbitri abbiano dato alla questione di fatto (39).

Se, dunque, non e possibile sindacare la valutazione effettuata dall’ar-bitro delle risultanze tecniche, la regolarita dei suoi aspetti procedurali, che,in ultima analisi, si risolve nella verifica del rispetto del principio del con-traddittorio durante lo svolgimento delle operazioni tecniche, appare, in-vece, sempre sindacabile anche in sede d’impugnazione del lodo (40). E, in-fatti, l’attuazione del principio del contraddittorio deve essere rispettatanello svolgimento delle operazioni peritali non solo difronte al giudice sta-tale, ma anche di fronte al giudice non togato: il n. 9 dell’art. 829, comma1, c.p.c. prevede l’impugnazione per nullita del lodo reso all’esito di unprocedimento in cui non e stato osservato il principio del contraddittorio,principio da riferire indubbiamente anche alla fase relativa allo svolgimentodelle operazioni peritali.

6. Lo svolgimento della consulenza tecnica e il rispetto del principio delcontraddittorio: verbalizzazione dell’attivita e intervento di consulentitecnici di parte nel procedimento arbitrale.

L’importanza del rispetto, anche nell’analisi degli aspetti tecnici svoltinel processo arbitrale, dell’attuazione del principio del contraddittorio, neimpone, dunque, ancorche brevemente, la trattazione.

Tuttavia, prima di verificare se l’attuazione di un tale principio possasubire delle modifiche per effetto del potere conferito al giudice privatodall’art. 816-bis c.p.c., si ritiene opportuno precisare come gli arbitri sianotenuti a dare attuazione al principio del contraddittorio nelle operazionitecniche anche ove, avendo le conoscenze necessarie, decidano di non pro-cedere alla nomina del c.t.u. Il punto si mostra particolarmente importate,dal momento che parte della dottrina fonda l’obbligo del giudice statale di

(39) Ne tanto meno in tal caso puo pensarsi ad un’impugnazione del lodo per il mo-tivo di cui al n. 5, comma 1, dell’art. 829 c.p.c., che rinviando, tra l’altro, anche al n. 5 del-l’art. 823, comma 1, c.p.c. prevede che il lodo debba contenere un’esposizione sommaria deimotivi, cosa ben diversa dall’obbligo di motivazione a cui e soggetto il giudice statale. Sul-l’obbligo di motivazione dell’arbitro v., per tutti, LA CHINA, L’arbitrato (il sistema e l’espe-rienza), cit., 124. Contra BERNARDINI, op. cit., 627, secondo cui cui, mentre « il giudice nonha bisogno di motivare la propria divergenza dal parere del c.t.u. o di confutare gli argo-menti dei consulenti di parte, egli (arbitro) ha invece l’obbligo di argomentare il suo dissensodalle conclusioni del c.t.u. onde consentire il controllo “circa la coerenza, l’adeguatezza e lalogicita delle decisione”. Ove l’arbitro ometta di motivare adeguatamente la mancata ade-sione alle conclusioni del consulente, la sentenza arbitrale potra essere suscettibile di ricorsoper nullita in base all’art. 829, n. 5, c.p.c. ».

(40) Il vizio del lodo che viene denunciato in sede d’impugnazione in tal caso nonriguarda un error in iudicando, ma un error in procedendo, trattandosi di un vizio procedu-rale.

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nomina del consulente, anche ove possieda le cognizioni specialistiche ne-cessarie per la decisione della causa, proprio sulla necessita di ricreare inordine a dette questioni un contraddittorio analogo a quello che « sussisteall’interno del processo tra attore, convenuto e giudice » (41). Invero pero,la necessaria garanzia del contraddittorio tra le parti in condizioni di paritanon appare impedita da un giudice che, perito della questione tecnica, nonintegri la propria scienza con quella di un terzo soggetto, potendosi, anzidovendosi, difronte a questo ricreare lo stesso contraddittorio che si cree-rebbe difronte al consulente nominato d’ufficio (42).

Chiarito tale aspetto, in relazione all’espletamento della consulenzatecnica si ritiene che, nonostante nel processo arbitrale viga il principiodella liberta delle forme, i giudici privati non siano esonerati dall’assicurareil pieno rispetto del principio del contraddittorio e della parita delle partinell’espletamento delle operazioni peritali. E, infatti, se la mancata previ-sione di regole specifiche non rende necessaria l’applicazione nei giudiziarbitrali di tutte le norme previste per la c.t.u. nel giudizio ordinario, postoche, in assenza di esplicita determinazione delle parti (43), gli arbitri pos-sono regolamentare il procedimento nel modo che ritengono piu opportuno,si ritiene, invero, necessaria anche nel giudizio arbitrale l’applicazione dialcune norme sulla consulenza tecnica (44).

Piu in particolare, mentre alcune norme che regolano la consulenzatecnica d’ufficio, quali ad esempio, quelle sul giuramento del consulente osul suo obbligo di accettazione (45), sono palesemente incompatibili con il

(41) Sono parole di LUISO, Diritto processuale civile, II, cit., 95. In tal senso v., an-che LOMBARDO, Prova scientifica e osservanza del contraddittorio nel processo civile, in Riv.dir. proc., 2002, 1083 ss., spec. 1094 e 1113 ss.

(42) Diversa e, invece, la questione relativa alla proroga del termine per la pronun-cia del lodo di cui alla lett. b) dell’art. 820, comma 4, c.p.c. Una tale questione, secondo chiscrive, deve, invero, essere risolta negativamente, dal momento che, in tal caso, non si con-cretizza il presupposto della stessa proroga ovvero la delega ad un terzo dello svolgimentodelle operazioni peritali.

(43) Sulla determinazione a opera delle parti delle regole procedurali e dei limiti al-l’utilizzo della c.t.u. v. infra § 8.

(44) La nomina del c.t.u. si ritiene debba essere disposta dagli arbitri, alla stregua diquanto previsto nel giudizio statale, con ordinanza, nella quale l’arbitro o gli arbitri provve-dono anche alla formulazione dei quesiti, la cui stesura e, per lo piu, il frutto di una consul-tazione con le parti. L’ordinanza di nomina contiene generalmente anche il termine entro cuiil consulente dovra terminare la propria attivita. In relazione al mancato rispetto del termineper il deposito della c.t.u. cfr. Cass., 3 gennaio 1986, n. 22, secondo la quale la tardivita dellodo arbitrale, ai sensi ed agli effetti degli artt. 820, 821 ed 829 n. 6 c.p.c., perche pronun-ciato dopo la scadenza del termine all’uopo assegnato, non puo essere esclusa in relazionealla mera circostanza che gli arbitri abbiano nominato un consulente tecnico che abbia, a suavolta, reso la consulenza fuori dal termine assegnatogli.

(45) A differenza del G.O., che sceglie il c.t.u. tra le persone iscritte in appositi elen-chi, nell’arbitrato ad hoc la sua nomina e in genere rimessa alla libera scelta del Tribunale

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carattere privato del giudizio arbitrale, nonche con la carenza in capo agliarbitri di poteri autoritativi tali da consentire la pronuncia dell’ordinanza dicui all’art. 191 c.p.c., altre invece in quanto funzionali all’indagine tecnica,nonche all’attuazione del contraddittorio devono, invece, trovare attuazioneanche nel processo arbitrale (46).

In quest’ultima categoria rientrano indubbiamente gli artt. 63 e 192c.p.c., che richiamano l’art. 51 c.p.c. in materia di ricusazione del giudice.Dette norme, che estendono al consulente nel giudizio statale, in quanto suoausiliario, le garanzie di terzieta del giudice, devono trovare applicazioneanche al consulente tecnico nominato nel giudizio arbitrale, perche an-ch’esse funzionali all’attuazione del principio del contraddittorio, esercita-bile solo difronte ad un soggetto ugualmente distante da tutte le parti incontesa (47).

Nel giudizio arbitrale l’esigenza di attuare il contraddittorio si ritieneconsenta, inoltre, di utilizzare le norme sulla nomina dei periti di parte,nonche quelle che impongono al consulente l’obbligo di fornire ai conten-denti ogni opportuna informazione sulle modalita di tempo e di luogo disvolgimento delle operazioni tecniche di cui agli artt. 90 e 91 delle disp. att.c.p.c., in quanto norme funzionali all’esercizio del diritto di difesa (48).

Occorre, invero, sottolineare che, se dall’analisi del dato giurispru-denziale risulta indubbia nell’arbitrato la garanzia del contraddittorio,questa si ritiene raggiunta anche ove il diritto al contraddittorio vengaposticipato nel tempo rispetto all’attivita del consulente (49) o in unaprima fase non sia ammessa la presenza dei tecnici di parte (50) o, co-

arbitrale, mentre nell’arbitrato amministrato il ricorso a elenchi tenuti presso le Camere arbi-trali e, per lo piu, imposto dallo stesso regolamentare camerale.

(46) RICCI G.F., in Arbitrato, a cura di CARPI, Bologna, 2001, 397.(47) Inoltre il c.t.u. puo sempre scegliere, ancorche nominato, di non assumere l’in-

carico. Cio tanto ove esistano giusti motivi di incompatibilita con una delle parti o con l’og-getto del contendere, quanto ove non voglia assumere il compito affidatogli. Infatti, se il c.t.u.nominato nell’ambito di un giudizio statale puo rifiutare l’incarico solo quando manchi dellalegittimita al suo svolgimento, perche non iscritto negli appositi albi, ovvero quando ritenga,pur in assenza di una qualsivoglia tipizzazione, esista un giusto motivo di astensione, il con-sulente nominato nel giudizio arbitrale sara, invece, piu libero di rifiutare l’incarico. Questi,infatti, — come indicato — non essendo iscritto ad alcun albo professionale, non ha un ob-bligo di accettazione. Il problema dell’obbligo di accettazione del perito si potrebbe semmaiporre nel caso di arbitrato amministrato.

(48) In tal senso in relazione al giudizio difronte al giudice pubblico v.: Cass., 18aprile 1997, n. 3340; Cass., 21 maggio 1997, n. 4511, in Giur. bollettino legisl. tecnica, 1997,4313.

(49) V. Cass., 11 gennaio 1988, n. 64, secondo cui il contraddittorio e attuato« quando gli arbitri hanno consentito alle parti di esporre i loro assunti, di conoscere (...) lerisultanze del processo, di presentare entro il termine fissato memorie e repliche e di cono-scere in tempo utile le istanze e le richieste avverse ».

(50) Secondo Coll. Arb., 2 dicembre 1993, in questa Rivista, 1994, con nota BERLIN-

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munque, il contraddittorio venga adeguato alle esigenze concrete dellaprocedura arbitrale (51).

Cio non convince: per essere effettive, le difese delle parti devono es-sere contestuali allo svolgimento delle operazioni peritali e divenire oggettodi verbalizzazione (52). Non appare, invece, sufficiente consentire alle partila possibilita di presentare osservazioni e richieste solo all’esito delle risul-tanze tecniche, dal momento che il mancato controllo nello svolgimentodelle operazioni peritali comporta, gia di per se, un’indubbia compressionedel diritto al contraddittorio (53). In altri termini, non sembra possibile cheil contraddittorio si realizzi solo a posteriori attraverso la presentazione diuna relazione successiva, dovendo, invece, trovare attuazione gia nel corsodelle singole operazioni del consulente d’ufficio (54) attraverso la verbaliz-zazione non solo dello svolgimento delle operazioni, ma anche delle even-

GUER, Contraddittorio e consulenza tecnica, « non vi e violazione del principio del contrad-dittorio e del diritto di difesa se il collegio arbitrale munisce — senza sentire le parti — ilconsulente tecnico dei fondi necessari all’espletamento dell’incarico. Neppure vi e violazionedi tale principio ove il consulente abbia dato un breve preavviso delle operazioni peritali ele parti — avutane comunicazione — non abbiano contestato la congruita di quel preav-viso ».

(51) Cfr. Cass., 18 marzo 1981, n. 1595, che considera rispettato il diritto delle partial contraddittorio quando, « nonostante la mancata fissazione di un apposito termine, le partiabbiano comunque avuto la possibilita di provvedere alla tutela dei loro interessi mediantel’esplicazione dell’attivita difensiva »; ovvero Cass., 29 gennaio 1992, n. 923. in Foro it.,1992, I, 1385 e in Foro Pad., 1993, I, 40, con nota RUBINO SAMMARTANO, secondo cui noncostituisce violazione del contraddittorio « la mancata comunicazione alle parti dell’avve-nuta disposizione di consulenza tecnica, in quanto, ad avvenuto deposito delle stesse erastato consentito alle parti di formulare osservazioni ». Cfr. in tal senso anche Cass., 16 mag-gio 2000, n. 6288; Cass., 27 ottobre 2004, n. 20828, in D&G - Dir. e Giust., 2004, 41, 25,con nota GENOVESE, Error in procedendo rilevabile d’uffıcio, che afferma che « il principio delcontraddittorio e centrale e insopprimibile anche nella procedura arbitrale; ne consegue chee viziato da nullita il lodo pronunciato senza che sia stato fissato alle parti un termine peresporre le difese conclusionali e replicare alle conclusioni del consulente tecnico d’uffıcio ».

(52) Sulla necessita di verbalizzare i rilievi di parte v. RICCI G.F., La consulenza tec-nica nell’arbitrato, cit., 10; LA CHINA, L’arbitrato (il sistema e l’esperienza), cit., 123.

(53) V. Corte App. Trieste, 26 aprile 2006, in questa Rivista, 2007, 59, con nota VIL-LECCO, Sulla nullita del lodo per vizi logici della motivazione e per violazione del contrad-dittorio nell’espletamento della consulenza tecnica, in cui, per la prima volta, si afferma che« la disciplina normativa dell’arbitrato rituale non detta regole speciali in tema di c.t.u. Neconsegue che se le parti non hanno stabilito regole convenzionali per lo svolgimento dellaconsulenza tecnica o non hanno richiamato le specifiche disposizioni dettate dal codice dirito, gli arbitri sono liberi di regolarne lo svolgimento nel modo piu opportuno nel rispettodel contraddittorio. A tale scopo, gli arbitri debbono non soltanto consentire alle parti di co-noscere l’esito della disposta consulenza tecnica, ma anche di esporre le loro ragioni pre-sentando entro prefissati e congrui termini memorie e repliche ».

(54) Nulla cambia se in tal caso le operazioni peritali siano poste in essere diretta-mente della stesso giudice privato.

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tuali ragioni di dissenso espresse dalle parti o dai loro consulenti sulle ri-sultanze delle indagini (55).

7. La consulenza tecnica su questioni di diritto.

Le peculiarita del processo arbitrale comportano la necessita di affron-tare la questione relativa alla possibilita per l’arbitro, che — come indicato— a differenza del giudice statale, puo anche non essere un giurista, di av-valersi della consulenza tecnica in materia giuridica.

Il problema della consulenza tecnico-giuridica di fronte al giudice or-dinario e da sempre stato risolto in senso negativo (56) sulla base della po-sizione istituzionale d’indipendenza da questo assunta nella Costituzionedel ’48 e che trova la massima realizzazione nella sola soggezione del giu-dice alla legge (art. 101, comma 2) (57). E, infatti, sebbene in apparenzal’art. 106 Cost., che subordina l’accesso alla magistratura al superamentodi un pubblico concorso, non incida direttamente sul profilo della qualifi-cazione professionale, e, tuttavia, radicata nella tradizione giuridica l’opi-nione che una piena subordinazione del giudice alla legge sia possibile soloin presenza di un’accurata e specifica preparazione tecnico-giuridica, checonsente ai titolari degli uffici giudiziari, di dare applicazione alla leggestatale senza sovrapporvi interessi e valori estranei (58).

(55) In tal senso v. anche RICCI G.F., La consulenza tecnica nell’arbitrato, cit., 9 se-condo cui l’esigenza di verbalizzare le operazioni tecniche attiene al rispetto del principio delcontraddittorio, posto che solo in tale modo se ne possono cogliere le eventuali irregolarita.Contra: VIGORITI, Arbitrato e consulenza tecnica, cit., 1993, 185 ss., nonche MONTESANO -ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, II, 2, Padova, 2002, 1683, che considerano ilcontraddittorio attuato anche nel caso in cui questo si realizzi solo all’esito della c.t.u.

(56) Cfr. FRANCHI, op. cit., 91 ss.; CARNELUTTI, Diritto e processo (trattato del pro-cesso civile diretto da Carnelutti), Napoli, 1958, 81; ID., Non collaborazione del giudice, inRiv. dir. proc., 1951, I, 265 ss.; DONES, Struttura e funzioni della consulenza tecnica, Milano,1962, 136 ss.; MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, Torino, II, 159, nota 5; SATTA,Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1959, II, I, 102; GIUDICEANDREA, op. cit.,537; LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1968, II, 94; COSTA, Manuale didiritto processuale civile, Torino, 1973, I, 687. In giurisprudenza v.: Cass., 5 luglio 1971, n.2087; Cass., 13 ottobre 1972, n. 3044; Cass., 12 dicembre 1980, n. 6422; Cass., 16 dicem-bre 1981, n. 6666; Cass., 22 gennaio 1985, n. 2470; Cass., 16 dicembre 1986, n. 7557; Cass.,13 aprile 1985, n. 2470. Viceversa Cass., Sez. un., 3 ottobre 1973, n. 2472, in Giust. civ.,1974, I, 930, specifica come l’ammissibilita del ricorso ad un consulente tecnico d’ufficio siapossibile quando il legislatore impieghi mezzi espressivi propri del linguaggio tecnico di unadeterminata materia, al fine di interpretare il dato normativo nel modo piu chiaro.

(57) Diversamente l’abrogato codice di rito consentiva al giudice di ricorrere all’au-silio di uno o piu giureconsulti per risolvere questioni di diritto nazionale in alcune forme diprocesso volontario, sul punto v. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli,1965, 493, nota 2.

(58) Di qui le eccezioni rappresentate dall’ammissione della consulenza giuridica per

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L’arbitro a differenza del giudice statale non occupa, pero, una posi-zione istituzionale (59). La fonte del suo potere nasce, infatti, dalla volontadelle parti. Conseguentemente, come di fatto avviene, egli non deve neces-sariamente avere conoscenze giuridiche.

Ciononostante la soluzione al problema offerta dalla dottrina (60) edalle scarse pronunce giurisprudenziali (61) e generalmente quella di esclu-dere la consulenza giuridica anche nel processo arbitrale, sul presuppostoche, operando anche per l’arbitro il principio dello iura novit curia (62), aquesti, come al giudice statale, sarebbe fatto divieto di delegare a terzi lasoluzione giuridica del caso. La consulenza tecnica in materia giuridicaviene interpretata (63), infatti, come una delega a terzi delle funzioni deci-sorie della lite del tutto inammissibile, in quanto contrastante con la volontaespressa dalle parti nella scelta del giudice (64), che, comportando l’attribu-

il diritto straniero. Cfr. VELLANI, op. cit., 336; GIUDICEANDREA, op. cit., 537; LIEBMAN, Manuale,cit., 687.

(59) In proposito e il caso di sottolineare come l’arbitro rituale, ancorche chiamato arisolvere il conflitto secondo un modo giurisdizionale e non negoziale, non assume una po-sizione identica a quella del giudice pubblico, posto che il potere gli deriva occasionalmentedalle parti ed e limitato dalla loro stessa volonta. L’arbitrato rappresenta, infatti, una formadi giurisdizione fondata sul consenso, in cui il giudice e chiamato a disciplinare la contro-versia sulla base delle regole individuate dalle stesse parti in lite. L’arbitro, in altre parole,non e, alla stregua del giudice pubblico, subordinato alla legge dello Stato: il giudice ordina-rio, precostituito per legge, che amministra la giustizia in nome del popolo italiano, e unostrumento della volonta generale, sottoposto alla legge che appunto esprime quella stessa vo-lonta, l’arbitro, invece, pur essendo un giudice riconosciuto all’interno dell’ordinamento sta-tale, non assume per cio solo posizione identica a quella del giudice pubblico, dal momentoche e e resta un privato cittadino investito solo occasionalmente dalle parti della risoluzionedella controversia. Egli non subisce la stessa soggezione alla legge del giudice statale, per-che per lui fondamentale nella disciplina del rapporto controverso e la volonta manifestatadai privati che determina i limiti e l’ampiezza dei poteri dell’arbitro nel regolamentare il rap-porto controverso, individuando il criterio di giudizio da seguire. In tal senso v. BOVE, Gliarbitri di fronte alla questione di legittimita costituzionale (riflessioni sulla sentenza dellaCorte costituzionale 28 novembre 2001, n. 376), in Riv. critica dir. priv., 2002, 307.

(60) BERNARDINI, op. cit., 617; PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, cit., 667;AULETTA, in Diritto dell’arbitrato rituale, a cura di VERDE, cit., 213.

(61) Cass., 7 giugno 1989, n. 2765, in Giust. civ., 1989, I, 2345; Corte App. Genova,15 marzo 1994, in Giur. merito, 1995, 3, 501, con nota ODORISIO, Nomina di un consulentetecnico per la soluzione delle questioni giuridiche sorte nel corso di un giudizio arbitrale:nullita del lodo e limiti del giudizio di rinvio (nuova critica alla teoria del giudicato impli-cito).

(62) Sulla non operativita per l’arbitro di tale principio v. G.F. RICCI, La consulenzatecnica nell’arbitrato, cit., 16.

(63) ODORISIO, op. cit., 501 ss.(64) Sull’intuitu personae dell’arbitro v. REDENTI, Compromesso (diritto processuale

civile), in Noviss. dig. it., III, Torino, 1959, 786 ss., spec. 796, secondo cui « trattandosi diincarico strettamente personale (intuitu personae), e da escludersi qualunque possibilita diassumere o esercitare l’incarico per mezzo di rappresentanti (legali o negoziali) ».

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zione della potestas decisoria a un soggetto diverso da quello indicato daicontendenti, provocherebbe la nullita del lodo (65).

Una tale ricostruzione non appare convincente. Ed infatti, l’affievoli-mento nell’arbitro della presunzione di conoscibilita del diritto propria delgiudice statale, non puo comportare che l’adozione di una consulenza giu-ridica porti, di per se, ad un lodo invalido (66), non sussistendo ragioni dicarattere generale tali da escludere la delega della ricerca della regulae iu-ris a un giurista (67).

Cio non solo perche la nomina di arbitri non giuristi dimostra comenel giudizio privato non possa valere il principio dello iura novit curia, maanche e soprattutto perche, in tal caso, non si potrebbe parlare di delega,contraria alla volonta delle parti, della funzione giudicante, sostanziandosil’attivita del consulente in una mera integrazione della scienza dell’arbitro.

Il lodo pronunciato all’esito di un procedimento all’interno del qualee stata disposta la consulenza giuridica non e, in altri e piu precisi termini,atto riferibile ad un soggetto, il perito, carente della potestas iudicandi, maatto in ogni caso riferibile all’arbitro che — come il giudice — e peritusperitorum ovvero libero di valutare, anche nel caso di consulenza giuridica,la bonta della perizia a cui decide di conformarsi nel risolvere la lite (68).

Se, dunque, sembra che la nomina del consulente-tecnico in materiagiuridica non comporti problemi di validita del dictum arbitrale, ci si deve,di contro, domandare se questa — in assenza di espressa autorizzazionedelle parti ovvero in presenza di un loro espresso divieto — possa, invece,comportare problemi in ordine ai rapporti sostanziali parti-arbitri (69).

(65) La qualificano nullita insanabile: PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, I,cit., 667; AULETTA, in Diritto dell’arbitrato rituale, a cura di VERDE, cit., 213; Cass., 7 giugno1989, n. 2765, cit., 2345. Sul punto v. anche Corte App. Genova, 15 marzo 1994, cit., 501secondo cui « la nullita del procedimento arbitrale, provocata dal ricorso ad una consulenzatecnica per la soluzione di quesiti giuridici rilevanti ai fini della decisione, non puo esseresanata ex art. 157, comma 2 c.p.c. La sua natura e tale da inficiare l’intero iter logico delladecisione, riflettendosi interamente sulla decisione arbitrale ».

(66) BRIGUGLIO, Due questioni in tema di delibazione del lodo straniero e ordinepubblico, in questa Rivista, 1991, 805 ss., spec. 813.

(67) V. in tal senso v. SCHUTZE - TSCHERNING - WAIS, Handbuch des Schiedsverfahrens,Berlin-New York, 1985, 519, secondo cui sarebbe addirittura consigliabile l’utilizzo da partedegli arbitri che non abbiano formazione giuridica di una consulenza giuridica per la deci-sione della lite.

(68) La situazione e, in altri termini e sempre mutatis mutandis, analoga a quella chesi verifica nel caso di consulenza in materia tecnica, posto che, allo stesso modo dell’arbitronon giurista, il giudice non ha le conoscenze tecniche necessarie alla decisione della contro-versia.

(69) Cfr. BRIGUGLIO, op. ult. cit., 813; RICCI G.F., La consulenza tecnica nell’arbi-trato, cit., 17.

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8. Poteri delle parti in ordine alla c.t.u. arbitrale.

Invero, le problematiche afferenti i rapporti sostanziali parti-arbitri nelcaso di nomina di un consulente, in assenza di autorizzazione dei conten-denti o meglio in presenza di un loro espresso diniego, non si limita all’uti-lizzo della consulenza tecnica in materia giuridica, estendendosi, piu in ge-nerale, ad ogni caso di disposizione della perizia tecnica in senso stret-to (70).

La questione coinvolge, innanzitutto, la risoluzione della problematicarelativa al potere concesso alle parti dall’art. 816-bis, comma 1, c.p.c. diinfluire, con la loro volonta, sullo svolgimento del giudizio e, in particolare,di limitare o impedire il ricorso degli arbitri alla consulenza tecnica.

Invero, pur avendo, grazie all’art. 816-bis, comma 1, c.p.c., assolutasovranita nella determinazione delle regole del gioco processuale, i conten-denti appaiono a chi scrive, tuttavia, mancanti della facolta di limitare l’ac-cesso degli arbitri alla perizia.

Cio sembra, infatti, impedito non tanto, o meglio non solo, dal ruolodi ausiliario del giudice (71), assolto anche dal consulente dell’arbitro, maanche dalla presenza nel giudizio arbitrale del principio del libero convin-cimento, in virtu del quale si deve disconoscere alle parti il potere conven-zionale di limitare l’acquisizione delle cognizioni ritenute dall’arbitro es-senziali per la decisione della lite: una limitazione della facolta del giudiceprivato di provvedere alla nomina di un consulente d’ufficio ne comporte-rebbe la compressione delle cognizioni essenziali per la giusta decisionedella controversia (72).

(70) Cosı BRIGUGLIO, Due questioni in tema di delibazione del lodo straniero e ordinepubblico, 814, nota 19.

(71) Occorre, invero, sottolineare come, riconoscendo alla c.t.u. carattere probatorio,la dottrina abbia anche riconosciuto la possibilita di vincolare l’arbitro a scelte limitativedelle facolta probatorie delle parti. Un tale vincolo e generalmente ammesso sul presuppostoche, se il sistema consente ai contendenti la scelta dei giudici e del rito, questo non puo li-mitarne la scelta di regolamentare l’afflusso del materiale probatorio al processo, vincolando,oltre se stessi, anche gli arbitri. In tal senso v. RICCI E.F., La prova nell’arbitrato rituale, cit.93 s. Tuttavia, si deve, in proposito, notare come una tale tesi si fondi sul principio disposi-tivo secondo cui, se le parti sono libere in un processo di contestare o non contestare deter-minati fatti, non si vede perche non possano disporre, prima del processo, di quello stessopotere di contestazione. Invero una tale teoria non puo essere accolta in quanto, come da al-tri notato (BOVE, La perizia arbitrale, Torino, 2001, 165 s.), questa si fonda sull’equivoco diconfondere l’operativita del principio dispositivo con l’individuazione delle norme proces-suali dispositive.

(72) V. in tal senso AULETTA, in Diritto dell’arbitrato rituale, a cura di VERDE, cit.,213. VIGORITI, Arbitrato e consulenza tecnica, cit., 186 s., diversamente, mentre mette in evi-denza come le parti non abbiano il potere di vincolare l’arbitro a non disporre d’ufficio laconsulenza, riconosce, invece, la possibilita che queste si impegnino a non chiedere la con-sulenza tecnica.

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Conseguentemente, se — come indicato — l’eventuale divieto che leparti rivolgono agli arbitri di limitare o escludere la c.t.u. non appare averealcuna influenza sul lodo, frutto di una decisione coaudiuvata dall’apportodi un perito tecnico come giuridico, ci si puo, tuttavia, chiedere se questopossa comportare delle conseguenze in ordine al rapporto parti-arbitri rela-tive alla verifica dell’esatto adempimento del mandato (73).

La dottrina ha, invero, ravvisato nella nomina del perito in contrastocon l’espressa volonta delle parti un inesatto adempimento della presta-zione degli arbitri tale da giustificare la stessa revoca dall’incarico ovveroil rifiuto di corrispondere, in tutto o in parte, il compenso arbitrale a causa,non gia di una mancata esecuzione della prestazione, quanto piuttosto, della« vulnerazione, non necessitata, della essenziale riservatezza del procedi-mento arbitrale » (74).

Tuttavia, l’esigenza, importantissima nel giudizio arbitrale, di garan-tire la massima riservatezza in merito alla controversia sembra a chi scrivecedere il passo a quella di avvalersi dell’opera di esperti nella valutazionedi aspetti tecnici o giuridici relativi alla decisione della lite, posto che —come indicato — la natura procedimentale dell’arbitrato rituale e caratteriz-zata dal principio del libero apprezzamento, « il cui presupposto e la dispo-nibilita e/o fruibilita delle conoscenze che ne consentono un esercizio effet-tivamente libero » (75).

Senza giungere, dunque, a configurare, nella nomina della c.t.u. incontrasto con la volonta delle parti, un giusto motivo di risoluzione delcontratto parti-arbitri, sembra, tuttavia, possibile aderire alla ricostruzionein parola nella parte in cui ritiene che la nomina di un c.t.u. in contrastocon la volonta dei contendenti possa giustificare il rifiuto a sostenere lespese di consulenza, sul presupposto di non essere tenuti a remunerare ilperito, chiamato, invero, allo svolgimento di un’attivita che avrebbe do-vuto, invece, essere compiuta dagli arbitri. Cio e, tuttavia, possibile soloquando la nomina degli arbitri sia avvenuta in considerazione di loro spe-cifiche competenze tecniche o giuridiche necessarie alla risoluzione dellalite e, ciononostante, questi abbiano disposto una consulenza tecnica o giu-ridica non approvata, o meglio, ostacolata dai contendenti.

(73) Distingue i due piani BRIGUGLIO, Due questioni in tema di delibazione del lodostraniero e ordine pubblico, cit., 813.

(74) Sono parole di BRIGUGLIO, op. ult. cit., 813 che evidenzia come gli arbitri ancheove ammettano una c.t.u. contro la volonta delle parti assolvano in ogni caso il loro compitoprincipale di pronunciarsi sulla controversia. Sulla revoca del mandato arbitrale per inido-neita degli arbitri allo svolgimento del loro incarico in presenza della nomina di un c.t.u.giuridica, v. anche RICCI G.F., La consulenza tecnica nell’arbitrato, cit., 17.

(75) Sono parole di VIGORITI, Arbitrato e consulenza tecnica, cit., 186.

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9. Il contratto di prestazione d’opera professionale arbitri-consulente: laliquidazione del compenso del consulente tecnico.

Il ruolo di ausiliario assunto dal consulente permette, infatti, di consi-derarlo contrattualmente legato ai soli arbitri: gli unici soggetti con cuil’esperto instaura il rapporto contrattuale relativo all’espletamento della pe-rizia sono gli arbitri che, pertanto, sono anche direttamente obbligati a cor-rispondergli il compenso.

Cio — occorre specificare — si crede cosı non solo quando la consu-lenza sia predisposta dagli arbitri in assenza di istanza di parte, ma ancheove a stimolarne la disposizione siano stati gli stessi contendenti, dal mo-mento che spetta sempre alla valutazione discrezionale del giudice privatostabilire se sia o meno necessario integrare, grazie all’ausilio del consu-lente, la propria scienza.

Occorre, invero, sin da subito sottolineare come, a differenza dell’ono-rario spettante al segretario del Tribunale arbitrale, la ricostruzione che lagiurisprudenza offre della qualificazione del compenso del perito, non ap-pare affatto chiara. E, infatti, accanto all’affermazione (76) secondo cui larichiesta di pagamento delle spese e dell’onorario, inviata dal consulentetecnico alle parti dell’arbitrato, implica l’accettazione per facta concluden-tia della liquidazione dell’onorario operata dagli arbitri, facendo in talmodo intendere che la spesa per il consulente tecnico e trattata alla streguadi ogni altra spesa del procedimento arbitrale e che, quindi, tra parti e con-sulente non si instauri alcun diretto rapporto contrattuale, si pone l’afferma-zione secondo cui il « professionista ha diritto al pagamento delle spese edell’onorario verso le parti del giudizio » (77), facendo, cosı di contro, in-tendere che tra parti e consulente si instauri un rapporto contrattuale diretto.

La quasi totale assenza di contributi tanto dottrinali che giurispruden-ziali sul tema dimostrano come questo non abbia mai acquisito importanzacentrale. Cio e, in particolare, dovuto dal consolidarsi, nella disciplina co-mune dell’arbitrato, di una prassi virtuosa (78), che grazie all’imposizione

(76) Trib. Roma, 2 maggio 1995, in Gius, 1995, 1415.(77) Trib. Roma, 2 maggio 1995, cit. In tal senso sembra anche essere TAR Lazio,

11 giugno 2002, n. 5432, in Foro amm. - TAR, 2002, 2104 secondo cui « l’art. 10 comma 7,d.m. 2 dicembre 2000 n. 398 (recante le norme di procedura del giudizio arbitrale in mate-ria di lavori pubblici ai sensi dell’art. 32, Legge 11 febbraio 1994 n. 109), nella parte in cuisancisce il vincolo di solidarieta passiva delle parti per il pagamento delle spese del giudi-zio arbitrale e di consulenza tecnica, non contrasta con gli artt. 91 ss. c.p.c., che tale vin-colo escludono, ponendosi invece in linea con l’art. 814 comma 1, dello stesso codice, pro-prio in tema di arbitrato ».

(78) In proposito v. l’art. 11.7 Regolamento di arbitrato nazionale A.I.A. secondo cui« qualora l’arbitro nomini un consulente tecnico, l’attivita dello stesso non potra aver iniziofino a che le parti, od una di esse, non abbiano effettuato il deposito richiesto dalla segrete-ria nell’ammontare prevedibilmente suffıciente a coprire l’onorario e le spese del consu-

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alle parti della liquidazione anticipata delle spese di consulenza (79), hasemplificato e superato ogni dubbio in ordine a un loro inquadramento, omeno, tra le passivita correlate allo svolgimento dell’arbitrato (80).

Come anticipato, la giurisprudenza ha, invece, offerto una specificaricostruzione del rapporto intercorrente tra gli arbitri e l’altro ausiliario delprocesso privato, il segretario del Tribunale. In proposito, infatti, si affermache gli arbitri nominano il segretario ove ritengano che la sua presenza siautile per il funzionamento dell’arbitrato. Con la nomina, s’instaura tra icomponenti il collegio arbitrale ed il segretario un rapporto di prestazioned’opera intellettuale del tutto estraneo alle parti litiganti, per cui gli uniciad essere contrattualmente obbligati nei confronti del segretario sono gliarbitri (81). In quest’ottica il compenso dovuto al segretario e inquadratodalla giurisprudenza quale passivita correlata allo svolgimento dell’attivitadegli arbitri, integrante un onere gravante sulle parti. La sua liquidazione,nel caso di arbitrato ad hoc, e effettuata dagli arbitri e ove non accettatadalle parti, e determinata dal presidente del Tribunale (82) su domanda de-gli arbitri (83), non anche dello stesso segretario (84), che con le parti noninstaura alcun rapporto contrattuale. L’accoglimento della domanda, nonchela determinazione dell’entita del compenso, sono condizionati, infine — inconsiderazione del fatto che sono gli arbitri, e non le parti, a scegliere dinominare il segretario — alla valutazione discrezionale del presidente del

lente ». (Conformi art. 42.5 Regolamento Camera arbitrale di Bari; art. 26.3 Regolamentodella Camera arbitrale di Bergamo; art. 16.7 Regolamento della Camera arbitrale di Cagliari).

(79) ORLANDI, Diritti degli arbitri, in Arbitrato commentario, a cura di CARPI, cit.,196 s.

(80) Ove la perizia e disposta contro la volonta delle parti, queste potrebbero consi-derare di avere soltanto anticipato l’onorario al perito e imputare all’onorario degli arbitri ilrelativo ammontare. Cosı BRIGUGLIO, Due questione in tema di delibazione del lodo stranieroe ordine pubblico, cit., 813, nota 18.

(81) V. in tal senso Cass., 28 luglio 2004, n. 14182.(82) Cfr. Cass., 27 maggio 1984, n. 4722, in Arch. Giur. oo. pp., 1987, 1325; Cass.,

22 aprile 1994, n. 3839, in questa Rivista, 1995, 75, con nota BRIGUGLIO, Questioni varie intema di liquidazione delle spettanza arbitrali.

(83) Cass., 22 aprile 1994, n. 3839, cit.; Cass., 8 settembre 2004, n. 18058, in que-sta Rivista, 2005, 83 con nota AULETTA, La tutela giurisdizionale dei diritti del segretariodell’arbitrato.

(84) Sul punto v. Cass., 26 maggio 2004, n. 10141, in Corr. giur., 2004, 874 e inForo it., 2005, I, 782, con nota CAPONI, Orientamenti giurisprudenziali in tema di procedi-mento di liquidazione delle spese e dell’onorario arbitrali (art. 814 c.p.c.), secondo cui« l’importo della spesa del segretario, costituente esborso affrontato per il funzionamento delcollegio (e riconoscibile nei limiti in cui esso sia ritenuto necessario), puo essere liquidatosoltanto agli arbitri, e non direttamente al segretario ». Conforme Trib. Roma, 12 settembre1995, in Giur. Merito, 1996, 682.

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Tribunale circa l’effettiva utilita dell’opera prestata dallo stesso ausiliarioper il funzionamento dell’arbitrato (85).

Si ritiene che analogo discorso possa essere fatto anche in ordine allafigura del consulente tecnico d’ufficio in quanto soggetto che, alla streguadel segretario, assolve il ruolo di ausiliario dell’arbitro.

Cio appare confermato dal fatto che le spese di consulenza sono col-locate tra le passivita correlate allo svolgimento dell’arbitrato, non solodalla quasi totalita dei Regolamenti delle Camere Arbitrali (86), ma anchedalla normativa speciale sull’arbitrato in materia di contratti pubblici di cuiagli artt. 241 ss. D.Lgs. n. 163/2006 (87). In particolare, infatti, tanto ilcomma 13 dell’art. 241 (88), quanto il comma 9 dell’art. 243 (89), comemodificati dal D.Lgs. n. 53/2010, predisponendo la liquidazione degli ono-rari e delle spese di consulenza tecnica, ove disposta, ad opera rispettiva-

(85) Cfr. Cass., 26 maggio 2004, n. 10141, cit.; Cass., 27 maggio 1987, n. 4722, cit.;Cass., 22 aprile 1994, n. 3839, cit.

(86) V., per tutti, l’art. 11.2 Regolamento di arbitrato nazionale A.I.A. secondo cui« le spese di arbitrato comprendono l’onorario e le spese dell’arbitro (incluse le spettanzedell’eventuale segretario) (...) ed i diritti amministrativi determinati in conformita alla tariffadei servizi arbitrali, nonche l’onorario e le spese del consulente eventualmente nominatodall’arbitro ».

(87) La materia dei pubblici appalti e attualmente regolata dagli artt. 241 ss. delD.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163, conosciuto come « Codice dei contratti pubblici » o « CodiceDe Lise ». Tale Codice e stato fortemente condizionato dall’impianto normativo della Leggen. 418/1998 e, soprattutto, dalle vicende giudiziarie (cfr.: Cons. Stato, 17 ottobre 2003, n.6335, in questa Rivista, 2003, 743, con nota LUISO, Il Consiglio di Stato interviene sull’arbi-trato nei lavori pubblici) e legislative a questa conseguenti (v. l’art. 5, comma 16-sexies, deld.l. 14 marzo 2005 n. 35, convertito in legge 14 maggio 2005 n. 80). Segnatamente, il Co-dice dei contratti pubblici che, dopo aver previsto all’art. 241, comma 3 « un collegio arbi-trale (...) composto da tre membri », ha, sotto il profilo strutturale, proposto una forma dua-listica di arbitrato. In particolare, solo ove, nonche in via residuale, le parti non riescano araggiungere un accordo sulla nomina della persona del presidente del collegio, questa, ex art.241, comma 15, del D.Lgs. n. 163/2006, e affidata, su istanza della parte piu diligente allaCamera arbitrale che seguira le regole di cui all’art. 242 del decreto n. 163/2006. Il tratto pe-culiare dell’arbitrato nella contrattualistica pubblica e, dunque, rappresentato dalla presenzadi due modelli: un primo, utilizzabile nel caso di nomina consensuale del terzo arbitro, percosı dire, meno amministrato e piu vicino alla disciplina dell’arbitrato di diritto comune (art.241) e un secondo, applicabile solo in via residuale, per il caso di mancata intesa dei com-promittenti sulla persona del terzo arbitro, che riproponendo lo schema della Legge n. 418/1998, e caratterizzato da un procedimento speciale, amministrato dalla Camera arbitrale isti-tuita presso l’Autorita di Vigilanza dei lavori pubblici.

(88) A norma del quale « il compenso del consulente tecnico e di ogni altro ausilia-rio nominato dal collegio arbitrale e liquidato, dallo stesso collegio, ai sensi degli articolida 49 a 58 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spesedi giustizia, di cui al D.P.R., 39 maggio 2002, n. 115, nella misura derivante dall’applica-zione delle tabelle ivi previste ».

(89) A norma del quale « la camera arbitrale provvede alla liquidazione degli ono-rari e delle spese di consulenza tecnica, ove disposta, con i criteri di cui all’art. 241, comma13 ».

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mente dello stesso Collegio ovvero della Camera Arbitrale, le considerano,come ogni altra passivita correlata allo svolgimento dell’attivita arbitrale,onere gravante sulle parti relativo al corretto funzionamento della proce-dura.

Se, dunque, il compenso del consulente deve essere ricompreso tra lepassivita correlate al funzionamento dell’arbitrato, spettera alle parti, sucui, in ultima analisi, grava ogni spesa della procedura, valutarne l’effettivautilita per il concreto funzionamento del processo, non accettandone, overitenute inutili, la liquidazione. In altri termini, sembra giusto consentire alconsulente, come al segretario, la possibilita di ottenere la liquidazione delcompenso solo quale spesa del procedimento che, effettuata dagli arbitri,ove non accettata dalle parti, e determinata dal presidente del Tribunale sudomanda degli stessi arbitri, non anche del consulente, che non instaura al-cun rapporto contrattuale diretto con le parti (90).

Conseguentemente, sempre in analogia a quanto statuito in merito allafigura del segretario, anche in tal caso, si potrebbe pensare che tanto la de-terminazione dell’entita del compenso, che la stessa possibilita di onerarnele parti siano rimessi alla valutazione discrezionale del presidente del Tri-bunale circa l’effettiva utilita dell’opera prestata dall’ausiliario per il fun-zionamento dell’arbitrato, disconoscendo, pertanto, al consulente la propo-nibilita di autonoma domanda giudiziale nei confronti dei contendenti (91).

Infatti, sebbene i poteri del presidente del Tribunale adito ex art. 814,comma 2, c.p.c. non si estendono ne all’accertamento dell’esatto adempi-mento della prestazione degli arbitri (92) ne tanto meno al sindacato sullavalidita del lodo (93), essendo limitati alla sola quantificazione del com-

(90) BERNARDINI, op. cit., 626, afferma che « la decisione finale dell’arbitro, nel di-sporre in ordine all’attribuzione delle spese del procedimento arbitrale, provvede ad inclu-dere in tali spese anche l’importo del compenso dovuto al consulente », aggiungendo che « ilconsulente tecnico puo agire per il pagamento del compenso nei confronti di chi ha richie-sto la prestazione della sua attivita senza attendere la fine del processo ».

(91) Se indubbiamente (cfr. per tutti VIGORITI, L’onorario degli arbitri, in questa Ri-vista, 2005, 189 ss., spec. 192) il consulente non puo chiedere la liquidazione del compensodirettamente alle parti attraverso lo speciale procedimento di cui all’art. 814 c.p.c., la dottrinagli ha, invece, riconosciuto la possibilita di agire direttamente nei confronti dei contendentiper ottenere il pagamento del proprio compenso. In tale ultimo senso v. ORLANDI, op. cit., 197,che avanza l’idea che il professionista possa agire direttamente nei confronti delle parti, siautilizzando il procedimento per ingiunzione che instaurando un processo ordinario di cogni-zione.

(92) Cass., 14 marzo 1996, n. 2124; Cass., 4 aprile 1990, n. 2800, in questa Rivista,1991, 87, con nota PUNZI, Liquidazione ex art. 814 c.p.c. degli onorari di arbitro: limiti alpotere di cognizione; Cass., 6 marzo 1998, n. 2494, in questa Rivista, 1998, 541 (707), connota GROSSI, I limiti del procedimento di liquidazione del compenso degli arbitri ex art. 814c.p.c.

(93) Secondo Cass., 17 ottobre 1996, n. 9074, in Foro it., 1996, I, c. 3578; Cass., 26maggio 2004, n. 10141; Cass., 29 novembre 1996, n. 10660; Cass., 26 novembre 1999, n.

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penso e delle spese della procedura, il presidente del Tribunale si ritienepossa, invero pero, valutare l’utilita della consulenza, al fine non solo dioperarne la quantificazione, ma anche di onerarne le parti. Cio puo essereripetuto anche all’esito, dopo quasi cinquanta anni, del nuovo orientamentodella Sezioni Unite della S.C. (94), secondo cui la statuizione resa nel giu-dizio di reclamo dell’ordinanza presidenziale di cui all’art. 814 c.p.c. nonsarebbe impugnabile con ricorso straordinario in cassazione, ma, stante lanatura sostitutiva della volonta delle parti dell’intervento giurisdizionale,direttamente contestabile in sede di opposizione all’esecuzione. Ed, infatti,tale nuovo orientamento non sottrae ne al presidente del Tribunale ne, con-seguentemente, al giudice del reclamo (95) poteri in ordine alla valutazionedell’utilita della consulenza ai fini tanto della quantificazione del compensospettante al c.t.u. che della sua imputabilita alle parti.

13174, in Foro it., 2000, I, c. 326; Cass., 26 maggio 2004, n. 10141, in Foro it., 2005, I, c.782, anche in presenza di cause di nullita e/o inesistenza del lodo, il presidente del Tribunaledeve, comunque, procedere alla liquidazione del compenso arbitrale.

(94) Cass., Sez. un., 3 luglio 2009, n. 15592, in Foro it., 2009, I, 3340, dopo quasidi cinquant’anni (Cass., 2 maggio 1967, n. 808, in Foro it., 1967, I, 808; Cass., 18 ottobre1967, n. 2511, in Foro it., 1968, I, 459) hanno rivisitato la propria tradizionale impostazionesecondo cui l’accertamento presidenziale sulla quantificazione del compenso e delle spesedell’arbitrato, in quanto statuizione definitiva, incidente su diritti soggettivi, potesse essereoggetto di sindacato in Cassazione ex art. 111 Cost. Cio e avvenuto grazie alla ricezione intoto della c.d. teoria contrattualistica di VECCHIONE, L’arbitrato nel sistema processuale civile,Milano, 1971, 465 ss. Una tale teoria ravvisa nella manifestazione di volonta del presidentedel Tribunale in sede di liquidazione del compenso un atto integrativo della volonta delleparti ex art. 1349 c.c.: il presidente del Tribunale, nella liquidazione di cui all’art. 814 c.p.c.,opererebbe quale organo di giurisdizione non contenziosa, deputato ad integrare la volontadelle parti nella quantificazione dell’ammontare del compenso dovuto agli arbitri. In quest’ot-tica, l’attivita del presidente del Tribunale risulta non di natura giurisdizionale contenziosa,ma essenzialmente privatistica. Questa si esprime in una manifestazione di volonta privadella vocazione al giudicato, in quanto sostitutiva, alla stregua della volonta di un arbitratore,della volonta delle parti: « il contratto di arbitrato (...) e automaticamente integrato, ex art.814 c.p.c., con clausola devolutiva della pertinente determinazione al presidente del tribu-nale; questi (...) in alternativa all’arbitratore, svolge funzione giurisdizionale non conten-ziosa, adottando un provvedimento di natura essenzialmente privatistica, privo, in quantotale, di vocazione al giudicato e, quindi, insuscettibile d’impugnazione con ricorso straordi-nario per cassazione » (sono parole di Cass., Sez. un., 31 luglio 2009, n. 15592, cit.).

(95) Invero, la Cassazione si e espressa in merito ad una questione a cui era appli-cabile la disciplina anteriore al 2006, che qualificava l’ordinanza presidenziale di cui all’art.814 c.p.c. non impugnabile, tuttavia i rilievi fatti si crede possano essere riferiti anche alnuovo art. 814 c.p.c. che, invece, assoggetta a reclamo tale ordinanza.

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L’esperienza della « Commissione di garanziadell’assicurato » (ovvero di un arbitrato sui dirittidei soci assicurati nei confronti della Mutua assicuratrice) (*)

MARIO GARAVELLI

La relazione che mi e stata affidata descrivera per sommi capi l’ormaiultradecennale esperienza di un organismo creato dalla Reale Mutua di As-sicurazioni di Torino sulla scia di analoghe iniziative spagnole, non imitatoda alcun’altra Compagnia, e denominato Commissione di Garanzia dell’As-sicurato. Il suo scopo, come si desume dall’art. 1 del relativo Regolamento,e quello di « tutelare i Soci-Assicurati per il rispetto dei diritti loro spettantinei confronti della Societa in base ai contratti stipulati ».

Il procedimento, come vedremo, presenta notevoli somiglianze con ilprocesso civile ordinario e si conclude, in una buona parte dei casi, con unadecisione; non si puo quindi parlare di mediazione ai sensi del D.Lgs. 2marzo 2010, n. 28 che, secondo il suo art. 1, viene qualificata come « l’at-tivita svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o piu sog-getti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di unacontroversia ». Si puo invece parlare di arbitrato assicurativo?

Io credo che una panoramica sulla Commissione di Garanzia dellaReale Mutua rientri a buon diritto in un contesto come quello di oggi inquanto tale Commissione, nella sua singolarita originaria, ed ancor piunello sviluppo delle sue prassi, presenta un profilo che la fa rientrare nel-l’alveo di quelle alternative al ricorso diretto al giudice alle quali appartieneanche l’arbitrato, inserendosi pienamente nell’attuale tendenza a delegaread organi diversi da quelli della giurisdizione statale compiti di riduzionedel contenzioso e di ricerca di soluzioni meno traumatiche.

Tutto cio dovrebbe risultare piu evidente da una breve descrizionedell’organismo e del suo concreto operare, che potrebbe servire anche al-l’attivita professionale di chi ci ascolta nell’eventualita di rapporti conl’Ente assicurativo torinese.

La Commissione di Garanzia e ora presieduta dal prof. Gustavo Za-

(*) Relazione tenuta all’Incontro di formazione per avvocati organizzato in Torino il4 giugno 2012, per iniziativa della Fondazione dell’Avvocatura « Fulvio Croce ».

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grebelsky, gia Presidente della Corte costituzionale, ed e composta da altroex magistrato dello stesso calibro e dall’ex magistrato di calibro piu ridottoche vi parla. Essa ha una propria sede in via Arcivescovado 1, separatadalla sede della Reale, ed una sua segreteria. Oltre alla sua totale indipen-denza rispetto agli organi della Compagnia, i suoi punti di forza sono la to-tale gratuita della procedura per l’assicurato e l’obbligo, per la Compagniastessa, di accettare integralmente le decisioni della Commissione, segno digrande fiducia nel suo operato e vero segno distintivo di una politica azien-dale di tutela della controparte piu debole. In un ambito di competenza di€ 60.000 per le persone fisiche e di € 160.000 per le associazioni e le so-cieta, il procedimento e introdotto da un ricorso, del tutto libero nellaforma, inoltrato dall’assicurato che si ritenga leso da un provvedimentodell’assicuratore e che non si sia ancora rivolto al giudice; naturalmenteegli sara libero di adire l’Autorita giudiziaria dopo la decisione a lui sfavo-revole della Commissione. Questa emana una decisione in un termine assaibreve dopo aver ricevuto le controdeduzioni della Reale ed avere effettuatoeventuali (ma assai rari) ulteriori accertamenti, tra cui l’altrettanto rara ese-cuzione di perizie.

Per gli appassionati dei numeri, la Commissione ha esaminato com-plessivamente, dal suo esordio, 588 ricorsi, quasi 60 all’anno.

Negli anni recenti i ricorsi sono aumentati, raggiungendo il numero di72 nel 2010, per scendere a 61 nel 2011, dove pero le decisioni sono state66, riguardando anche una parte dei ricorsi dell’anno prima. I tempi sononotevolmente ristretti, con una media di 75 giorni dall’apertura del proce-dimento al suo termine; per esempio, nell’anno 2010 sono stati decisi 57dei 72 ricorsi pervenuti, pari al 79 %.

Un elemento significativo e rappresentato dalla tipologia delle decisioni,che vede un costante e rilevante prevalere dei ricorsi respinti, indice della so-stanziale correttezza dei comportamenti della Societa assicuratrice: per esem-pio, nel 2011, 35 sono state le decisioni di rigetto, 9 quelle di accoglimento,5 quelle di inammissibilita, mentre le 17 dichiarazioni di cessazione della ma-teria del contendere segnalano un’importante tendenza a trovare una soluzionetransattiva, magari stimolata dalla stessa presenza del ricorso. Per gli amantidel dettaglio, le materie trattate nel 2011 sono state la responsabilita civileauto (7 ricorsi), la responsabilita civile generale (15), gli infortuni (5), le ma-lattie (5), l’incendio, voce che in realta riguarda i danni dovuti all’acqua (23)e il furto (6). Come si vede, una composizione variegata, di differente com-plessita ed entita economica.

Le decisioni sono redatte in forma di vere e proprie sentenze; essecomprendono l’esposizione del fatto, lo svolgimento del procedimento e lemotivazioni a base del dispositivo, che puo essere di rigetto, di accogli-mento pieno, di accoglimento nei limiti della motivazione, di inammissibi-lita, di accertamento della cessazione della materia del contendere.

Dopo questa panoramica sul funzionamento della Commissione mi

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siano consentiti alcuni brevi commenti sul merito, che dovrebbero ulterior-mente dimostrare i collegamenti tra questa esperienza e la filosofia dell’ar-bitrato.

In primo luogo deve essere ascritto all’attivo un innegabile effetto diimmagine a favore della Compagnia, data l’originalita dell’iniziativa, unica,come si e detto, nel panorama assicurativo italiano; e chiaro che una clau-sola, inserita in tutte le polizze, che segnala un rafforzamento della tuteladell’assicurato attraverso la possibilita di rivolgersi senza spese ad un or-gano in posizione di terzieta costituisce un non trascurabile incentivo, chesi aggiunge ai benefici della mutualita inerenti alla struttura istituzionaledella Reale. Possiamo assimilare questa opportunita ad una clausola com-promissoria, senza alcun aspetto di obbligatorieta e solo con vantaggi per ilcontraente meno forte. Ma vi sono anche ritorni di particolare rilievo sulpiano strettamente finanziario: infatti, in prima battuta, anche le decisionidi accoglimento del ricorso, che di norma rivelano una posizione di debo-lezza della Reale nei confronti dei ricorrenti, finiscono per evitare un con-tenzioso giudiziario che diventerebbe molto piu oneroso qualora, in questicasi di alta probabilita di vittoria della controparte, la soccombenza in unacausa porti con se anche la condanna al pagamento degli interessi e di tuttele spese.

Ovviamente il vantaggio maggiore per la Societa consegue al rigettodei ricorsi: non si tratta soltanto di non dover cedere immediatamente allepretese degli assicurati, ma di ottenere una sorta di garanzia, dotata di forteprobabilita, che i soccombenti non amplieranno ulteriormente il conten-zioso, evitando di rivolgersi all’Autorita giudiziaria come pure e loro di-ritto. Questo effetto dei rigetti risulta confermato dalla notizia, a noi fornitadagli uffici della Societa, che in questi casi non vi e stato alcun ulterioreseguito giudiziario, con un intuibile risparmio per la Societa stessa; si tratta,in sostanza, di evitare un buon numero di cause davanti al giudice, con gliinevitabili strascichi in termini di aleatorieta, di tempi e soprattutto di co-sti. Una possibile spiegazione di questi benefici effetti puo rinvenirsi nelleampie motivazioni delle decisioni e nella loro efficacia persuasiva (essendo,tra l’altro, molti ricorsi redatti da avvocati), che inducono a prevedere unprobabile ricalco della stessa opinione da parte del magistrato, e che, inol-tre, possono convincere lo stesso interessato dell’infondatezza della sua do-manda.

Dall’attivita della Commissione di garanzia discendono ancora altrepositive conseguenze: la sola presenza del ricorso ha spesso indotto l’assi-curatore a rivedere le sue posizioni in favore del ricorrente, e questo spiegagli elevati numeri delle deliberazioni di cessata materia del contendere;succede talvolta di incontrare difficolta di interpretazione delle clausole dipolizza per talune loro oscurita o non chiare interazioni con altre parti delcontratto, e cio piu volte ha dato luogo a segnalazioni alla struttura socie-taria, che spesso ha rivisto i relativi prodotti assicurativi, migliorandone la

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forma. Ancora, la redazione, da parte dei decidenti, di massime tratte dailoro elaborati nei casi piu interessanti consente alla Compagnia e agliAgenti, mediante la pubblicazione delle massime stesse nei periodici delGruppo, di orientarsi meglio per la loro attivita.

La Commissione, inoltre, essendo destinataria di lamentele sugliaspetti piu diversi della vicenda assicurativa, provenienti da persone di ognicategoria sociale e da tutta Italia, ha un poco il polso dell’immagine chedella Reale Mutua e delle sue Agenzie si formano i soci-assicurati; e non sitratta solo di opinioni generiche, ma anche di specifici e concreti addebitiche vengono mossi a certi comportamenti, specie in tema di completezzadell’informazione dopo l’apertura di un sinistro. Pur dando la tara ad unaipersensibilita di chi ritiene, quasi sempre infondatamente, che siano lesisuoi inesistenti diritti, restano talvolta espressioni di disagio delle quali laCommissione si e fatta tramite con la Societa, che ha assunto le sue deter-minazioni nel modo ritenuto piu opportuno, sempre nel quadro di un mi-glioramento del clima complessivo dei rapporti con la clientela.

Da tutte le caratteristiche di questo anomalo organismo che ho cercatodi sintetizzare mi pare si possa confermare quanto gia detto: possiamo dirciin presenza di una forma speciale di arbitrato, dove le garanzie si sposanoad un ampio spirito di liberalita da parte dell’Ente che lo ha istituito e adun suo apprezzabile intento di trasparenza che ne fanno un modello auspi-cabilmente da imitare.

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DOCUMENTI E NOTIZIE

Notizie libri

La terza pubblicazione della serie « Quaderni dell’Arbitrato » dell’ISSA (La-pis ed., Roma, 2012) e dedicata a « La circolazione dei lodi arbitrali » e raccogliegli atti di un interessante Congresso romano svoltosi il 30 settembre 2011 (ed or-ganizzato dalla stessa ISSA con la collaborazione dell’ICC e dell’AIA).

Dopo i saluti di rito, spetta a Carmine Punzi la Introduzione (sue sono anchele conclusioni), e ad una nutrita schiera di studiosi di varia estrazione scientifica eprofessionale la trattazione di pressoche tutte le questioni piu rilevanti attraverso lequali si declina la complessa tematica. Si leggono pertanto relazioni ed interventidi Herbert Kronke, Piero Bernardini, Sergio M. Carbone, Giuseppe De Palma, An-drea Carlevaris, Giuseppe Ruffini, Elisa Picozza, Mauro Gigante, Peter Wolrich,Ferdinando Emanuele, Jean-Yves Garaud, Claudia Annacker. [A.B.]

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