rivista di storia contemporaneal’impegno 3 addio, presidente il 29 gennaio scorso ci ha lasciato...

137

Upload: others

Post on 07-Jul-2020

2 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto
Page 2: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

rivista di storia contemporaneaaspetti politici, economici, sociali e culturalidel Vercellese, del Biellese e della Valsesia

l’impegno

Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporaneanel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia

a. XXXII, nuova serie, n. 1, giugno 2012

Page 3: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

l’impegnoRivista semestrale di storia contemporaneaDirettore: Enrico PaganoSegreteria: Marilena Orso Manzonetta; editing: Raffaella FranzosiDirezione, redazione e amministrazione: via D’Adda, 6 - 13019 Varallo (Vc)Registrato al n. 202 del Registro stampa del Tribunale di Vercelli (21 aprile 1981).Responsabile: Enrico PaganoStampa: Gallo Arti Grafiche, VercelliLa responsabilità degli scritti è degli autori.© Vietata la riproduzione anche parziale non autorizzata.

Nuove tariffe per il 2012Singolo numero € 12,00; abbonamento annuale (2 numeri) € 20,00 (per l’estero € 30,00);formula abbonamento annuale + tessera associativa € 32,00.Per i numeri arretrati contattare la segreteria dell’Istituto.

Gli abbonamenti si intendono per anno solare e sono automaticamente rinnovati se noninterviene disdetta entro il mese di dicembre.

Conto corrente postale per i versamenti n. 10261139, intestato all’Istituto.

Il numero è stato chiuso in redazione il 5 giugno 2012. Finito di stampare nel giugno 2012.

In copertina: Anna Marengo “Fiamma” © Archivio fotografico Luciano Giachetti -Fotocronisti Baita (Vercelli).

Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporaneanel Biellese, nel Vercellese e in ValsesiaAderente all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia“Ferruccio Parri”L’Istituto ha lo scopo di raccogliere, ordinare e custodire la documentazione di ognigenere riguardante la storia contemporanea ed in particolare il movimento antifascistanel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia, di agevolarne la consultazione, di promuoveregli studi e la conoscenza della storia del territorio con l’organizzazione di ogni generedi attività conforme ai fini istituzionali.L’Istituto è associato all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazionein Italia.Associazione individuale all’Istituto: soci ordinari € 15,00; soci sostenitori € 30,00; gra-tis per studenti.

Consiglio direttivo: Marcello Vaudano (presidente), Antonio Buonocore (vicepresiden-te), Giuseppe Rasolo (vicepresidente), Mauro Borri Brunetto, Silvia Cavicchioli, Giusep-pino Donetti, Piera Mazzone, Giuseppe Nicolo, Orazio Paggi, Angela Regis, Tiziano ZiglioliRevisori dei conti: Luigi Carrara, Giovanni Cavagnino, Giovanni GualaComitato scientifico: Pierangelo Cavanna, Emilio Jona, Alberto Lovatto, Marco Neiretti,Pietro Scarduelli, Andrea Sormano, Edoardo Tortarolo, Maurizio VaudagnaDirettore: Enrico Pagano

Sede: via D’Adda, 6 - 13019 Varallo (Vc). Tel. 0163-52005, fax 0163-562289E-mail: [email protected]. Sito internet: http://www.storia900bivc.it

Page 4: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

l’impegno 3

Addio, Presidente

Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato OscarLuigi Scalfaro, Presidente della Repubblicaitaliana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto nazio-nale per la storia del movimento di libera-zione in Italia dall’aprile 2002 all’aprile 2011.Pochi fra i media hanno fatto riferimento aquesto incarico, per il quale Scalfaro era sta-to candidato su proposta del senatore Rai-mondo Ricci, che aveva incontrato, come haricordato Claudio Dellavalle, vicepresiden-te dell’Insmli nello stesso periodo della pre-sidenza di Scalfaro, in apertura del Consiglio

generale del 28 aprile scorso, «l’apprezza-mento per un Presidente che nel corso delsuo settennato, uno dei più difficili dellastoria della Repubblica, aveva difeso con in-transigenza l’impianto della Costituzione, ilrispetto delle regole a fronte di spinte pe-santi che volevano forzare il dettato costi-tuzionale». Scalfaro trasfuse nella presiden-za dell’Insmli i suoi valori, consolidati nel-l’esperienza dell’Assemblea costituente,quando si trattò di trovare una sintesi fraschieramenti politici e culturali distanti e

Oscar Luigi Scalfaro a Borgosesia, giugno 1994

Page 5: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

4 l’impegno

lontani ma ugualmente desiderosi di esserecostruttori dello stato democratico, e rinno-vati nei sette anni vissuti da capo dello Sta-to. E trasfuse anche una passione energica,stimolando e incitando i nostri istituti chevivevano una stagione difficile, non ancorasuperata. Ci piace ricordare in quest’occa-sione uno stralcio da un messaggio che il

Presidente Scalfaro ci rivolse nel dicembre2010: «Non cesserò di amare voi e di amaretanto il nostro Istituto finché avrò vita. Mal-grado tutto sono ottimista. Non possiamomai essere pessimisti, mai; perché amiamolibertà e democrazia con la dignità, i diritti ei doveri della persona».

Ricevuto e recepito, Presidente...

Page 6: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 5

Sommario

Monica Schettino, Dalla scintilla nasce la fiamma. Appunti perun’edizione dell’“Autobiografia” di Anna Marengo

Claudio Borio, Il giuramento rifiutato. La vicenda storica e umanadei professori universitari allontanati dall’insegnamento per il ri-fiuto di giurare fedeltà al regime fascista

Davide Spagnoli, Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comuni-sti nella Resistenza francese

Mario Ogliaro, Aminto Caretto, colonnello dei bersaglieri, medagliad’oro al valor militare (1893-1942)

Piero Ambrosio (a cura di), Giustizia partigiana a Vercelli nei gior-ni della Liberazione. La fucilazione di Michele Morsero. Immaginidei Fotocronisti Baita

Angela Regis - Enrico Pagano, Guerra e pane. L’alimentazione inValsesia durante il secondo conflitto mondiale. Prima parte

Alberto Magnani, Il “Bestiaccia”. Un delatore fra storia della Resi-stenza e leggenda popolare

Tiziano Ziglioli, Renata Viganò: “L’Agnese va a morire”

Sabrina Contini, Pensare e insegnare la Shoah. Un’esperienza diformazione al Mémorial de la Shoah a Parigi

Memorie di Piemonte. Intervista a Giacinto Cipriani “Nadir”a cura di Marta Nicolo

Lutti

Libri ricevuti

p. 7

” 17

” 27

” 63

” 73

” 101

” 109

” 115

” 81

” 123

” 131

” 133

Page 7: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

MARCELLO VAUDANO (a cura di)

Dalla parte di chi resiste

Gli scritti di Gustavo Buratti per “l’impegno” (1983-2009)

2012, pp. 171, € 15,00 Isbn 978-88-905952-5-7

Gli articoli che Gustavo Buratti ha pubblicato tra il 1983 e il 2009 nelle pagine de“l’impegno” hanno nel tempo contribuito a realizzare una mutazione fisiologica dellarivista, nei primi anni composta da studi e testimonianze quasi esclusivamente le-gati alla storia della Resistenza, in particolar modo locale, e poi aperta alla trattazio-ne di tematiche diverse, di orizzonte anche nazionale e internazionale. È dunqueanche merito suo se “l’impegno” si è arricchita, raffinata e sprovincializzata, senzamai perdere il riferimento forte all’identità resistenziale e locale.Volendo mettere in relazione gli articoli nella rivista dell’Istituto e il resto della suabibliografia, si può innanzitutto osservare come nelle pagine de “l’impegno” Gusta-vo Buratti abbia scelto a volte di pubblicare “in esclusiva” saggi che sono rimastiin qualche modo definitivi, ossia non sono stati sviluppati ulteriormente in altri suoilavori. Hanno questa caratteristica soprattutto gli studi attinenti i totalitarismi no-vecenteschi, la Resistenza e la drammatica situazione balcanica degli anni novanta,ossia le tematiche più omogenee con la natura dell’Istituto, e pertanto collocati nelcontesto più consono alla loro specificità.In altre occasioni l’articolo ne “l’impegno” ha rappresentato solo una sorta di prefa-zione ad una ricerca che avrebbe poi esteso i risultati parziali qui acquisiti.Una terza tipologia di articoli è poi composta da sintesi di percorsi di studio giàconsolidati e che sono stati proposti in compendi divulgativi o in espansioni chehanno messo a fuoco qualche aspetto particolare della tematica. Si inscrivono facil-mente in questo gruppo i saggi sul movimento operaio e l’anticlericalismo biellesidi fine Ottocento, e pure il cammeo sull’eretico autonomista e federalista valsesia-no Aurelio Turcotti, affrontati da Buratti in relazione stretta con una delle sue pas-sioni culturali più profonde, coltivata per una vita intera, ovvero la storia dei movi-menti ereticali, le rivolte montanare e la Dolcino renaissance di inizio Novecento.Se c’è infine un saggio che, per taglio e interferenza feconda di tematiche e di pianidell’analisi, può considerarsi esemplificativo di molta, se non proprio tutta, la ric-chezza d’interessi di Buratti, questo è senz’altro “La Dichiarazione di Chivasso del1943: premesse e attualità”. Vi si intrecciano storia resistenziale, attenzione per ilvalore identitario della lingua, prospettiva federalista, denuncia della colonizzazio-ne subita dal territorio alpino, condensate in una sorta di lascito testamentario ideale.

Page 8: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

saggi

l’impegno 7

Quando, nel 2001, Tiziano Gamboni inter-vista Anna Marengo e Janos Beck nella casadi riposo di Miskolc Tapolca, nel nord-estdell’Ungheria, dove si sono ritirati per tra-scorrere gli ultimi anni della loro vita, l’exdottoressa della 50a brigata “Garibaldi”1 ri-corda in questi termini il momento in cui in-dossò la divisa perché nominata responsa-bile culturale della XII divisione: «Nessunoaveva voglia di fare il lavoro politico, nessu-no. Però era scritto dal comando che biso-gnava farlo. E allora? “Ci va la Fiamma! Tan-to la Fiamma va in giro per i distaccamenti,intanto fa l’ora politica”. E siccome io misono sempre dichiarata comunista senzasapere mai, nemmeno adesso, che cosa vo-glia dire esattamente... Allora andavo lì e rac-contavo come si viveva nell’Unione Sovie-tica cioè che i maiali correvano per la stradagià belli arrostiti con il coltello e la forchettapiantati nella schiena. Poi quando mi sonoaccorta che non era quello, perché le notizie

arrivavano, avevo cominciato a parlare diStalingrado... Ed è questo che fa capire an-che adesso che cos’è la Russia.

C’è una fotografia di quando a guerra nonancora finita mi hanno mandata a fare uncomizio e io sono andata, disarmata, condue garibaldini armati. E sto con il collo al-lungato per parlare più forte con i due ragaz-zi vicino a me. E quando siamo tornati in-dietro i fascisti ci hanno anche attaccati»2.

La fotografia, conservata ancora oggi nel-l’Archivio fotografico Luciano Giachetti -Fotocronisti Baita di Vercelli, mostra “Fiam-ma” (nome di battaglia della Marengo) men-tre, nel marzo del 1945 e a due mesi dalla finedella guerra, tiene uno dei suoi “comizi vo-lanti”, assumendosi così l’impegno di edu-care culturalmente le formazioni partigianebiellesi. «Era vicina la discesa a Vercelli edovevamo presentarci come garibaldini cheerano formati militarmente, ma erano forma-ti anche culturalmente e politicamente», ri-

MONICA SCHETTINO

Dalla scintilla nasce la fiamma

Appunti per un’edizione dell’“Autobiografia” di Anna Marengo

1 Per le notizie di carattere storico si farà riferimento, di volta in volta, al testo di CLAUDIODELLAVALLE, Operai, industriali e Partito comunista nel biellese. 1940/1945, Milano,Feltrinelli, 1978.

2 Si riportano qui in trascrizione alcune dichiarazioni rilasciate da Anna Marengo nel corsodell’intervista registrata da Tiziano Gamboni per il documentario Fiamma e Janos prodottonel 2001 dalla televisione svizzera; il documentario è stato mandato in onda il 15 ottobre del2001 durante la trasmissione “Storie”.

Page 9: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Monica Schettino

8 l’impegno

corda Argante Bocchio3 “Massimo”, che il25 aprile di quell’anno la vide sfilare a Ver-celli con la divisa e il “triangolino” del co-mando.

Un evento del tutto eccezionale, dunque,se si considera che in quegli anni pochissi-me donne ottengono ruoli di direzione negliorganismi della Resistenza, pur avendosvolto compiti fondamentali in tutte le fasidella guerra di liberazione. Se ne rende con-to anche Francesco Moranino “Gemisto”quando, affidandole l’incarico, riflette inquesti termini sui pregiudizi che ancora re-gnano tra le formazioni partigiane: «La vitain mezzo agli uomini è tanto più dura in quan-to si tratta di sradicare tutto un bagaglio diprevenzione che questi ragazzi ancora con-servano nei confronti delle donne»4.

La dottoressa Marengo aveva già dovutoaffrontare in precedenza questo tipo di pre-giudizi, quel «senso di menomazione»5 - co-me lo definirà lei stessa - che le provenivadall’iniziale diffidenza degli uomini della bri-gata. Era successo un anno prima, nell’au-tunno del ’446, quando, fuggita in montagnada Vercelli insieme con il medico FrancescoAnsaldi, aveva dovuto affrontare la sua“prova del fuoco”.

L’episodio è al centro del racconto “Unastoria non ancora finita”, che diventerà la

sua prima, importante, prova letteraria: «Eroarrivata da poco, i garibaldini a quei tempierano tutti operai e contadini e non manda-vano giù molto facilmente l’idea di farsi cu-rare da una donna. Del resto, tolta un’epide-mia di enterite, erano in salute. Non avevoaltro da fare che togliere qualche dente, ditanto in tanto, e distribuire la pomata controla scabbia. [...] Finché non venne la gangre-na a Cichìn7. Io ero in giro chissà dove neidistaccamenti. Lui stava proprio male. Deli-rava, aveva la febbre alta e, una volta chevennero su i fascisti mentre egli era in quel-le condizioni, avevano dovuto perfino na-sconderlo in una buca nell’orto, sotto lefascine. Ci voleva un chirurgo. Lo mandaro-no a chiamare a Biella, ma ebbe paura e nonvenne. Era chiaro che non si fidavano di mee che mi mandarono a prendere come estre-mo rimedio. Al nostro sopraggiungere il ma-lato era gravissimo: era fuori conoscenza,aveva una gamba da far paura, un polso chesi sentiva appena. Ci guardammo in faccia.Spacciato per spacciato, valeva la pena diamputare la gamba. Mandai a Biella per ilsiero antigangrenoso una delle ragazze deiGruppi di difesa della donna. Ci andarono efecero anche straordinariamente in fretta»8.

Con un coraggio straordinario, Anna am-puta la gamba di “Cichìn” salvandogli la vita

3 Testimonianza di Argante Bocchio “Massimo”, vicecomandante della XII divisioneGaribaldi “Nedo”.

4 C. DELLAVALLE, op. cit., p. 205.5 L’affermazione si trova nel racconto di ANNA MARENGO, Una storia non ancora finita,

in Premio letterario Prato 1952, Prato, Anpi, 1953, p. 28, poi ristampato a cura dell’Anpidi Vercelli. Il motto “Dalla scintilla nasce la fiamma” è presente (per scelta dell’autrice) incalce al racconto già al momento della presentazione del manoscritto al concorso di Prato(vedi note ss.) e viene ripreso nell’edizione a stampa per ricordare il nome di battaglia sceltodalla Marengo durante la Resistenza.

6 C. DELLAVALLE, op. cit., p. 190.7 Si tratta di Francesco Ferragatta, di Ronsecco, classe 1920, della 182a brigata “Garibaldi”.8 A. MARENGO, op. cit., pp. 25-26.

Page 10: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Dalla scintilla nasce la fiamma

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 9

e conquistando, così, la fiducia dei partigia-ni: «Si era trattato di battersi con una pover-tà di mezzi che i ragazzi, affamati di armi co-m’erano, avevano acutamente sentito. Perme, si era trattato di disputare Cichìn allamorte, battendomi contro il senso di meno-mazione che mi veniva dalla loro iniziale sfi-ducia. Se Cichìn fosse morto, non si sareb-bero più lasciati curare nemmeno la scab-bia»9.

Da quel momento Anna sarà “la dottores-sa” e, inizialmente sotto la direzione del dot-tor Delacroix, organizzerà - in maniera stupe-facente se si considerano le difficoltà dellaguerra e la povertà di mezzi dell’epoca - ilsistema sanitario del distaccamento. A Por-tula riesce ad attrezzare con quattordici po-sti letto un piccolo edificio della frazioneScoldo, utilizzandolo come ospedale per ilricovero e la convalescenza degli ammalatipiù gravi; quindi, organizzerà corsi di primosoccorso con l’aiuto di alcune infermiereprofessionali della zona.

«I nostri cadevano e morivano - raccontala Marengo ricordando l’episodio - ne sonmorti tanti dei nostri. Forse contemporanea-mente al Cichìn, due o tre settimane prima,

era rimasto ferito un ragazzo che era un exprigioniero di guerra10, che è morto di can-crena e anche lui era ferito in una gamba. Èstato quello che mi ha indotta a tagliare lagamba a Cichìn. Non che io morissi dallavoglia di farlo, ma sono cose che bisognafare, la vita è fatta di cosa che bisogna fare.Se uno non sa che bisogna fare delle cose,allora... fa soldi»11.

Il senso del dovere, l’etica professionale,la convinzione che la vita è fatta di «coseche bisogna fare» mostrano subito, e in ma-niera inequivocabile, la consapevolezza e ilcoraggio con cui Anna Marengo aderiscealla Resistenza e conduce, negli anni cheseguono la guerra, la propria vita. Un filoconduttore che unisce in maniera coerentele scelte di questa donna e che traspare, net-tamente, nella sua opera letteraria, in parteancora largamente inedita e che qui s’inten-de ora presentare tramite una serie di appun-ti, che speriamo di poter presto raccoglierein maniera più organica in un volume cherenda fruibile a un pubblico più vasto le pa-gine dell’“Autobiografia”12.

Grazie ad essa è stato possibile ricostrui-re le fasi salienti della sua vita, completando

9 Idem, p. 28.10 Si tratta molto probabilmente dell’australiano Leslie (Less) Parker morto di setticemia

il 12 agosto del 1944 nonostante le cure prestategli, a Sala Biellese, dalla Marengo e daFrancesco Ansaldi. L’episodio deve aver colpito profondamente la dottoressa Marengotanto che, alla fine della guerra, lo ricorda in un articolo in cui chiede di assegnare a PietroCamana la medaglia d’oro alla memoria (si vedano gli articoli Primula, in “Vercelli Libera”,5 giugno 1945 e MASSIMILIANO TENCONI, Prigionia, sopravvivenza e Resistenza. Storie diaustraliani e neozelandesi in provincia di Vercelli (1943-1945), in “l’impegno”, a. XXVIII,n. 1, giugno 2008, pp. 27-49.

11 In T. GAMBONI, op. cit.12 Il testo inedito dell’autobiografia è conservato presso l’Istituto per la storia della Re-

sistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia di Varallo,nella sezione dedicata alle memorie, recentemente riordinata dalla dott.ssa Sabrina Contini.Il dattiloscritto consta di centoventuno cartelle e non possiede un titolo specifico se nonquello di “Autobiografia”, che anche noi adotteremo nel corso di questo articolo.

Page 11: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Monica Schettino

10 l’impegno

il quadro attraverso le testimonianze dellepersone che l’hanno conosciuta13, le inter-viste che ha rilasciato14 e i documenti d’ar-chivio15.

Si ritiene importante, dunque, iniziare rac-cogliendo in maniera sistematica i dati dellasua biografia. Innanzitutto, Anna Marengoè nata a Fossano il 29 gennaio del 1915. Ilpadre, Vincenzo Marengo, era un sellaiomentre sua madre, Maria Fruttero, una ca-salinga. La sua propensione per lo studiospinge i genitori, non senza sacrifici econo-mici, a iscriverla a un collegio di religiose diCuneo, dove frequenterà il liceo classico:l’unico modo, affermerà lei stessa, per evita-re le scuole statali ormai completamente mo-nopolizzate dal fascismo.

È soprattutto il padre, di tendenze anar-chico-socialiste, a insegnarle il significatodella libertà: costretto dalle leggi fasciste aiscriversi al partito per continuare a eserci-tare il suo mestiere, decide di chiudere bot-tega e andare in pensione. Una scelta radi-cale, almeno quanto il fervore cattolico del-la madre, che avrebbe voluto per Anna unfuturo da insegnante: «Mia mamma mi di-ceva che per andare in paradiso bisogna“morire per Dio”; mio padre mi ha insegna-to che Dio non c’era. E allora io ho pensatoche bisogna morire per qualche cosa, ma ioero pronta... non è che morissi dalla voglia

di morire, anzi, però la mia fortuna è statatale che io non ho mai dovuto fare delle vi-gliaccherie per non morire. Non so cosaavrei fatto se mi fosse capitato. Non so. Peròio mi preparavo che i tedeschi mi prendes-sero e quando ho avuto una pistola (io nonho mai sparato a nessuno) l’ho avuta perpotermi sparare prima che diventassi vi-gliacca»16.

Contravvenendo così al desiderio mater-no e alle convenzioni sociali che assegna-vano la professione medica a un ambitostrettamente maschile, terminato il liceo An-na si iscrive all’Università di Torino e nel1939 si laurea in Medicina. In questi anniconosce anche l’uomo che determinerà qua-si tutte le sue scelte future: Janos Beck, un-gherese, studente alla facoltà di Chimica.

Ben presto, però, i due dovranno separar-si perché Janos decide di arruolarsi nelleBrigate internazionali e partire per la guerradi Spagna. Dopo qualche mese, Anna vie-ne a sapere che i volontari in partenza per laSpagna si radunano a Parigi e decide di rag-giungerlo. Così, nel 1938, è nella capitalefrancese ed è qui che entrerà in contatto perla prima volta con alcuni rappresentanti delPartito comunista. Il suo trasporto “senti-mentale” verso quelle teorie si rivela alla suacoscienza come una folgorazione duranteun comizio di Dolores Ibárruri, la “Pasiona-

13 A questo proposito è necessario ringraziare l’Anpi di Vercelli e, in particolare, TeresioParelio, Renato Giara, Mimma Bonardo e Argante Bocchio che, con i loro ricordi e i loro sug-gerimenti, mi hanno permesso di ampliare e completare il quadro storico.

14 L’intervista ad Anna Marengo, conservata a Varallo presso l’Istituto per la storia dellaResistenza, è stata registrata su nastro, a Budapest, negli anni ottanta dalle sorelle Nevae Cesarina Bracco; è disponibile in trascrizione e ora anche in digitale grazie all’aiuto diMatteo Bellizzi.

15 Per quanto riguarda i documenti d’archivio, è importante ricordare il “fondo Partigiane”,conservato presso l’Archivio di Stato di Vercelli, in cui si trova anche il faldone sulla Ma-rengo (Partigiane 5, serie 4, mazzo 5).

16 In T. GAMBONI, op. cit.

Page 12: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Dalla scintilla nasce la fiamma

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 11

ria”, grazie alla forza con cui la donna arrin-ga la folla «maternamente vestita di nero,cogli occhi di giaietto brillante»17. Il mede-simo trasporto sentimentale di cui parleràmolti anni dopo descrivendolo in questitermini: «Io mi sentivo comunista, non soloantifascista, comunista perché era la manierapiù assoluta di essere antifascista e non sa-pevo e non so; perché io ho provato a pren-dere il Capitale di Marx ma non sono mairiuscita ad arrivare oltre la cinquantesimapagina. È tutto sentimentale, non c’è micaniente di razionale. Ci si batte perché si è deisentimentali, mica perché si è dei logici. Al-meno io credo»18.

L’esperienza parigina rappresenterà quin-di un passaggio importante: è qui che Annaentra in contatto con parecchi fuorusciti ita-liani che, poi, incontrerà di nuovo negli annidella guerra di liberazione.

Tornata in Italia, nel ’40 si specializza inGinecologia a Siena, ma l’anno successivoviene a sapere che Janos è tornato in Un-gheria dopo aver trascorso un periodo diprigionia «nei campi di concentramento chela Francia aprì ai resti dell’esercito repub-blicano spagnolo dopo la disfatta»19; deci-de, così, di raggiungerlo lasciando l’Ospe-dale Mauriziano presso il quale ha appenainiziato a lavorare. A Budapest, però, la si-tuazione diventa sempre più difficile e conl’occupazione tedesca Janos, di origini e-braiche, è vittima delle persecuzioni razzia-li. Preoccupato per lei, con una scusa la con-

vince a rientrare in Italia e le compra un bi-glietto del treno; una volta tornata a casa,la lettera di un’amica la persuade a non tor-nare in Ungheria. Da questo momento nonavrà più alcuna notizia di Janos e passeran-no molti anni, finirà anche la guerra, primache i due possano di nuovo incontrarsi.

Al centro di queste vicende, abbiamo l’e-sperienza presso il reparto di ostetricia del-l’Ospedale Maggiore di Vercelli. Qui Annaentra in contatto con i Gruppi di difesa del-la donna, conosce Mimma Bonardo20 e Lui-gina Tomatis e, in seguito ad uno sciopero,viene arrestata e processata dal Tribunaledi Torino.

Rilasciata per insufficienza di prove, il di-rettore dell’Ospedale non vuole comunqueriassumerla perché ormai “politicamentecompromessa”. Riesce lo stesso a ottenereun posto in pronto soccorso ed è qui cheaiuterà parecchi militari alleati e parecchicivili dopo l’8 settembre del ’43.

Nell’estate del ’44, però, la sua posizionein ospedale diventa troppo rischiosa e de-cide di “salire in montagna”, unendosi allabrigata di Pietro Camana “Primula”. Qui il suolavoro consiste nello spostarsi tra le variebrigate per visitare e curare i partigiani. Nellaprimavera del ’45, però, le viene affidato il“lavoro politico” e sarà questo l’inizio di unabreve stagione di militanza nelle fila del Par-tito comunista: nel ’46, infatti, è candidataalla Costituente insieme con Togliatti, Fran-cesco Moranino, Francesco Leone, Guido

17 A. MARENGO, Autobiografia, cartella 58.18 In T. GAMBONI, op. cit.19 Il racconto di queste vicende è contenuto in una lunga lettera a Piero Fornara datata

“Fossano, 7-IX-’51” e conservata presso l’Istituto storico della Resistenza e della societàcontemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio-Ossola a lui intitolato.

20 Cfr. MIMMA BONARDO, Le donne di Vercelli in piazza contro il fascismo, in “l’impegno”,a. IV, n. 3, settembre 1984.

Page 13: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Monica Schettino

12 l’impegno

Sola Titetto e Vincenzo Moscatelli21. Nonsarà eletta, ma nello stesso anno la trovia-mo nel Consiglio comunale di Vercelli: pri-ma assessore alla Sanità nell’amministrazio-ne guidata da Francesco Ansaldi, poi comeconsigliere con il sindaco Domiglio. In que-sto ruolo si occuperà di servizi sociali, tra-mite l’istituzione del “Libretto unico di as-sistenza”, e si farà promotrice di un proget-to di “educazione alla pace”22.

La sua vita cambia repentinamente dire-zione quando, nel 1948, viene a sapere cheJanos è ancora vivo ed è in Ungheria. An-cora una volta decide di lasciare l’Italia, dirinunciare all’impiego presso l’ospedale diVercelli (dove aveva ripreso a lavorare) e diraggiungerlo.

La sua permanenza nella nuova Repubbli-ca popolare ungherese sarà, però, ancorauna volta brevissima: nel giugno del ’49 Ja-nos, che all’epoca aveva iniziato a lavorarepresso il Ministero degli Esteri, viene arre-stato perché coinvolto nelle vicende delprocesso Rajk. Condannato, sconterà setteanni di carcere, fino al 1955, quando saràriabilitato.

Sono questi gli anni più duri: pur avendotrovato lavoro in un ospedale della perife-ria di Budapest, alla fine del 1951 Anna de-cide di tornare in Italia, senza aver conosciu-to né i capi di accusa né i motivi dell’arrestodi Janos, del quale non saprà più nulla. Nonsarà mai interrogata, né perseguitata, ma ciòche più la sconvolge è l’assoluta mancanzadi informazioni: «Lo conoscevo per una per-

sona onesta e non ho ancora incontrato nes-suno che mi dica concretamente dove, comee quando aveva mancato [...] al Partito e difronte al suo paese»23.

La situazione in Italia non è certamentemigliore: costretta a tornare a Fossano, apreun piccolo studio privato che, però, non leoffre la possibilità di mantenersi; sarà cosìcostretta a cercare “appoggi” per superareuno dei tanti concorsi ospedalieri ai qualiparteciperà. L’appartenenza politica è l’o-stacolo maggiore. Per questo motivo si rivol-ge, non senza contravvenire ai suoi princi-pi, a Piero Fornara per chiedere aiuto vistoche, come lei, è medico e membro del Partitocomunista24.

In questa situazione, che lei stessa defi-nisce «disperata»25, arriva finalmente unabuona notizia: il suo racconto “Una storianon ancora finita” è stato selezionato dalPremio letterario Prato e si è classificato alprimo posto. La storia di Cichìn, al quale laMarengo aveva salvato la vita tramite l’am-putazione della gamba, colpisce i membridella giuria per l’alto valore morale dei con-tenuti e per lo stile “parlato” che ricorda davicino gli scrittori neorealisti.

Cichìn non aveva ricevuto alcun ricono-scimento per l’opera svolta durante la Re-sistenza. Eppure, il suo impegno aveva unvalore ancora più alto rispetto agli altri par-tigiani perché dopo l’operazione, pur essen-do rimasto invalido, aveva continuato a per-correre le montagne biellesi come staffetta,grazie ad un calesse che “Primula” aveva re-

21 Cfr. “L’Unità”, 11 maggio 1946.22 Cfr. “La Sesia”, ottobre-novembre 1946.23 Lettera a Piero Fornara, cit.24 In realtà, proprio in questi anni, Fornara si ritirerà dalla vita politica. La Marengo con-

tinuerà, invece, la sua militanza perché, dice, «i compagni di partito sono ormai la mia unicafamiglia». Cfr. Lettera a Piero Fornara datata “Fossano, 10-XII-’51”.

25 Lettera a Piero Fornara datata “Fossano, 2-V-’52”.

Page 14: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Dalla scintilla nasce la fiamma

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 13

quisito per lui. La sua storia, allora, diventail simbolo di quelle battaglie per la democra-zia e la giustizia sociale che anche dopo il’45 erano “rimaste a metà”, come quelle ditanti a cui l’Italia repubblicana non avevareso giustizia: «Io ho rivisto Cichìn nel 1948.Lo portarono all’ospedale per un’ulcera ga-strica perforata, bisognò operarlo d’urgen-za che a momenti ci lasciava la pelle. Lo rico-verarono con la carta di povertà del Comu-ne: era disoccupato da tanto tempo, avevafatto un po’ il fattorino al Municipio del suopaese, poi bisognò licenziarlo per riassumereil fattorino di prima che era tornato da Colta-no. L’apparecchio ortopedico non ce l’ave-va, si muoveva su un moncone di legno chesbatteva cupamente sul pavimento dell’o-spedale e spuntava vergognoso dalla gam-ba dei calzoni. Erano in corso le pratiche perla pensione; bisognò ricordarsi la data pre-cisa di quando lo operammo e fargli i certifi-cati medici necessari alla burocrazia. La fi-danzata non ce l’aveva.

A raccontare le cose così, uno finisce peraccorgersi che davvero non è la colpa di chiscrive se la storia di Cichìn pare rimasta amezzo. Il fatto è che la storia, davvero, nonè ancora finita»26.

La consapevolezza che il mondo del do-poguerra non era quello che, durante la Re-sistenza, tutti avevano idealmente immagi-nato, inizia ad affiorare nelle pagine di que-sto racconto e nasce forse dalla delusionedell’esperienza ungherese. In una delle let-

tere inviate a Piero Fornara, Anna Marengoinizia a riflettere sull’esperienza del sociali-smo reale e sul senso della democrazia, par-tendo proprio dalla vicenda di Janos: «Cre-devo che bastassero gli articoli di una co-stituzione e alcuni provvedimenti economi-ci di importanza fondamentale perché dav-vero il socialismo fosse cosa fatta. Ed è quiche ho sbagliato. C’è voluto molto tempoprima che io capissi che non basta solo fareun ordinamento socialista»27.

Il pregio artistico del racconto è confer-mato, poi, da una lettera di Italo Calvino con-servata tra le carte di Lemno Vannini28, al-l’epoca segretario del Premio Prato. Calvi-no, su incarico della casa editrice Einaudi,avrebbe voluto pubblicare il racconto di An-na Marengo, insieme con altri, in un’antolo-gia curata da lui, Franco Antonicelli e Ro-berto Battaglia: «Alcuni ci paiono davverobelli, ma sono troppo pochi i belli per giu-stificare un volume. Leggendoli però c’è ve-nuta l’idea di un’antologia di racconti par-tigiani, che raccolga quanto di meglio è sta-to scritto in questi sette anni ed è stato di-sperso su giornali presto divenuti introva-bili. L’antologia dovrebbe essere impostatacon particolare attenzione, più che ai risulta-ti letterari, al valore di documento, alla since-rità della testimonianza, escludendo a prio-ri le opere di scrittori noti. In un volume cosìconcepito, potrebbe trovare posto un’am-pia scelta dei racconti del Premio Prato, lacui parte di iniziativa nella ideazione del

26 A. MARENGO, Una storia non ancora finita, cit., pp. 32-33.27 Cfr. Lettera a Piero Fornara datata “Fossano, 10-XII-’51”.28 Il premio era stato istituito nel 1948 da Lemno Vannini, che per molti anni ne era stato

il segretario. Tra i giurati compaiono quell’anno i nomi di Silvio Micheli, Corrado Alvaro,Antonio Baldini, Emilio Cecchi, Concetto Marchesi, Armando Meoni, Eugenio Montale,Alberto Moravia, Elio Vittorini e Piero Pancrazi. I documenti relativi al premio si trovano nelfondo Vannini presso la Biblioteca civica “Lazzerini” di Prato.

Page 15: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Monica Schettino

14 l’impegno

volume verrebbe messa in rilievo nella Prefa-zione»29.

Il progetto però naufragherà l’anno suc-cessivo a causa della premura dello stessoVannini e di profonde divergenze sul pro-getto editoriale. Vannini immaginava unvolume dedicato esclusivamente ai raccontidel premio e non, come proponeva Calvino,un’antologia in cui far confluire, insiemecon i premiati, altri racconti dispersi tra leriviste. Il racconto esce, comunque, l’annosuccessivo a cura dell’Anpi in un piccoloformato che include anche i due racconticlassificati al secondo e al terzo posto, perpoi essere ristampato nel ’55 in un volumea cura di Silvio Ramat30.

Tra il gruppo di Prato - tra cui lo stessoVannini e lo scrittore Silvio Micheli - e Annanasce, inoltre, un sentimento di empatia edi amicizia che si concretizza in un breve epi-stolario e in uno scambio di visite che ve-dono l’una e l’altra parte incontrarsi in piùoccasioni, a Torino o a Prato, negli anni im-mediatamente successivi31.

È lo stesso periodo in cui Anna tenta diver-si concorsi negli ospedali di Lucca, Livor-no e Ferrara senza, però, riuscire in alcuno.Questa situazione d’incertezza economicasi protrae fino al 1954 quando, in agosto,finalmente, vince un posto presso l’ospe-dale di Savona. Anche questi anni non sa-

ranno però tra i più felici: sola e senza lapossibilità di avere notizie dall’Ungheria,racconterà ad Argante Bocchio che fu que-sto il momento peggiore della sua vita32.

Verso la fine dell’anno arriva finalmentela notizia che attendeva da anni: Janos èstato rilasciato perché le accuse a suo cari-co sono state dichiarate infondate; nel girodi un anno è “riabilitato” e i due potrannofinalmente sposarsi nel febbraio del 1955.L’anno successivo Anna deciderà di acqui-sire la cittadinanza ungherese mentre Janostornerà a lavorare per il Ministero degli Este-ri. Nominato ambasciatore, dal 1959 lo tro-viamo a Cuba con lei che, in veste di mogliedell’ambasciatore, collabora all’organizza-zione del sistema sanitario cubano. In questianni, intraprenderà, da sola, un viaggio at-traverso l’America Latina di cui lascerà trac-cia in una lunga lettera inviata «ai giovani»pubblicata durante gli anni settanta33.

Lei e Janos torneranno in Ungheria nellaprima metà degli anni ottanta ed è riferibilea questo periodo un viaggio a Fossano du-rante il quale Anna rivedrà i luoghi in cui ècresciuta. Qui, molto probabilmente, inizie-rà la stesura della sua autobiografia.

In un centinaio di cartelle dattiloscritte,Fiamma racconta gli episodi più significati-vi di una vita intessuta di storia e segnatadai momenti più tragici del Novecento. Non

29 La lettera, inviata al segretario del Premio Prato, è dattiloscritta e datata “7 novembre1952”. Intestata “Giulio Einaudi editore”, riporta in calce la firma autografa di Italo Calvino.

30 Cfr. SILVIO RAMAT (a cura di), Scarpe rotte eppur bisogna andar...: racconti del PremioPrato 1951-54, Milano-Roma, Ed. Avanti!, 1955.

31 Segnaliamo, in questa sede, una sola curiosità: nell’ottobre del ’52 Anna Marengo dàa Lemno Vannini l’indirizzo della casa della compagna Neva Bracco in caso non le sia possibileessere a Torino proprio in quei giorni.

32 Testimonianza di Argante Bocchio “Massimo”.33 Non è stato ancora possibile raccogliere notizie precise su questo viaggio, ma sappiamo

con certezza, grazie ad una corrispondenza con l’ambasciata ungherese, che nel 1971 i duesono in Brasile, a Rio de Janeiro.

Page 16: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Dalla scintilla nasce la fiamma

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 15

una “semplice” memoria, quindi, ma un lun-go racconto che ordina la materia in capitoliunitari e che segue da vicino le norme delgenere autobiografico: un punto di vista u-nitario, innanzitutto, e la ricerca di un signi-ficato comune assegnato alle proprie azionidalla voce narrante.

Anna Marengo, che dichiara di aver sem-pre sognato di fare la scrittrice e che dimo-stra di conoscere i classici della letteraturatanto quanto i romanzi a lei contempora-nei34, tenta una rilettura della propria espe-rienza sforzandosi di interpretarla in chiave“storica”: di una storia che è fatta soprat-tutto di fatti e di azioni minori che rispondo-no, però, ad una tensione morale più alta. Ilfatto che questa tensione scaturisca, poi,dalla militanza politica è assolutamente inin-fluente ai fini artistici. L’etica professionalecome il sentimento politico e la passione perJanos fanno da collante a tutto il racconto:«Nella mia vita - scrive - accanto a moltepli-ci cose che mi parvero e, forse, furono gran-di e lasciarono in me impronte, cicatrici oraggi di luce, vi furono quattro amori di im-portanza capitale: la montagna, la medicinaed il Partito comunista. Del quarto non vo-glio parlare: fu quello che determinò prati-camente la mia esistenza di adulta nel tem-po e nello spazio e la determinerà ancora finoa quando durerò»35.

L’intenzione letteraria dell’autrice emerge,poi, anche da altre importanti testimonian-ze. Nel 1990 lo storico Adolfo Mignemi iniziaa studiare la vicenda di “Fiamma e Janos” e

a manifestare l’intenzione di raccogliere epubblicare in un unico volume il raccontodel ’52 (“Una storia non ancora finita”), unalunga intervista rilasciata negli stessi annialle sorelle Neva e Cesarina Bracco e l’auto-biografia con il titolo “Storia di Anna”. Ilprogetto non viene portato a termine e nonsappiamo, al momento, se Anna Marengoabbia mai scritto la seconda parte dell’auto-biografia come Mignemi le aveva chiesto36.

Da questo progetto nasce, forse neglistessi anni, il documentario di Tiziano Gam-boni - girato con ogni probabilità prima del2001 - e che mostra i due coniugi, ormai an-ziani, nella casa di riposo in cui si erano spon-taneamente ritirati.

In quel documentario, condotto con unaprecisione che definirei “filologica”, vedia-mo Fiamma e Janos per l’ultima volta, men-tre ripensano la loro vicenda e la riconside-rano alla luce del presente. Gli eventi ai qualihanno assistito, e ai quali in molti casi han-no preso parte, ci sembrano, oggi, straordi-nari e altrettanto eccezionali, ci sembrano leconclusioni alle quali sono giunti.

L’ultima pagina dell’“Autobiografia” diAnna esprime bene quella tensione etica emorale, quella consapevolezza critica chel’autrice non si stanca mai di esercitare ver-so se stessa e verso la storia e che ci sem-bra sia il risultato artistico più alto del suolavoro: «Nella mia testimonianza, ho comin-ciato a raccontare di dove sono venuta e inche direzione sono andata, in parte per quel-lo che si ha l’abitudine di chiamare il caso -

34 Segnaliamo in questa sede la citazione della Vita di Alfieri e quella di Cent’anni disolitudine di García Márquez.

35 A. MARENGO, Autobiografia, cartella 42.36 La corrispondenza intercorsa tra Adolfo Mignemi, Anna Marengo e Argante Bocchio

è conservata privatamente ed è stato possibile consultarla grazie alla collaborazione dellostesso Bocchio.

Page 17: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Monica Schettino

16 l’impegno

sebbene ubbidisca a leggi ferree di cui pos-siamo essere o non essere coscienti - in pic-cola parte per libera scelta.

Al tramonto della mia vita, mi rendo contoche è valso la pena il tempo che ho impiega-to per studiare ed imparare a dirigere co-scientemente e volontariamente me stessanel torrente in cui sono caduta al momentoin cui mia madre mi ha data alla luce. È statocerto più facile e più comodo quando honuotato secondo la corrente e condivisocon tutti quanti gli errori, le deviazioni, leconseguenze gravi per me e per gli altri: malcomune, mezzo gaudio. Ho saputo talvoltanuotare contro corrente: è stato più difficilee più pericoloso, ma i compagni di stradaerano più disinteressati, più forti, più sele-zionati e mi hanno sostenuta. Sono statiquelli che furono capaci di pagare di persona,

anziché far pagare ad altri e agli innocentigli errori, le deviazioni e le conseguenze gra-vi che non siamo stati in grado di evitare»37.

Janos Beck si è spento nel 2001, Anna seianni dopo, il 21 luglio del 2007. Per gli expartigiani della XII divisione “Garibaldi” re-sta sempre “la dottoressa” Marengo, Fiam-ma, l’unica donna ad avere assunto un ruo-lo di comando tra le brigate delle montagnebiellesi.

Ora è giusto che si valorizzino anche lesue prove letterarie, la profondità delle sueriflessioni e le pagine in cui le ha raccolte.Certo, non ha scritto molto ma, come lei stes-sa ha affermato, era troppo impegnata a vi-vere e a mostrarci come la coscienza degliuomini abbia sempre bisogno di essere diret-ta in maniera consapevole e responsabile.

37 A. MARENGO, Autobiografia, cartella 121.

Page 18: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

saggi

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 17

Nel 1931 l’Università italiana, istituzionemillenaria nata a Bologna nel 1088, vive unodei periodi più tristi ma nello stesso tempopiù nobili della sua storia. L’8 ottobre diquell’anno è pubblicato nella “Gazzetta Uf-ficiale del Regno d’Italia” il regio decretolegge n. 1227 del 28 agosto 1931 il quale,all’art. 18, reca la formula del giuramentoimposto dal regime fascista ai docenti uni-versitari. Il testo così recita: «Giuro di esse-re fedele al Re, ai suoi reali successori e alRegime fascista, di osservare lealmente loStatuto e le altre leggi dello Stato, di eserci-tare l’ufficio di insegnante ed adempiere atutti i doveri accademici col proposito di for-mare cittadini operosi, probi e devoti allapatria e al Regime fascista. Giuro che nonappartengo e non apparterrò ad associazionio partiti, la cui attività non si concili coidoveri del mio ufficio».

La genesi di tale giuramento risale al 1924quando Giovanni Gentile, nell’emanare il Re-golamento generale universitario, introdu-ce «sotto pena di decadenza» anche per iprofessori universitari l’obbligo del giura-mento, dal quale erano stati dispensati finoad allora. L’iniziativa di Gentile s’inseriscein quella che è stata definita la guerra dei

manifesti che contrappone il “Manifestodegli intellettuali del fascismo” dello stes-so Gentile al “Manifesto Croce”. Il primo,corretto personalmente da Mussolini, rias-sume le motivazioni che sono alla base del-l’adesione al fascismo del filosofo siciliano.Il secondo, pubblicato ne “Il Mondo” del 1maggio 1925, si pone esplicitamente comerisposta all’iniziativa fascista. È chiaro loscopo di Gentile e lui stesso lo dichiara: conil giuramento di fedeltà si cercano «nuovevie per meglio fondare il dominio del fasci-smo e asservire le anime degli italiani», comeriporta Gaetano De Sanctis nelle sue memo-rie. E lo stesso Gentile confida all’amico DeSanctis che «aveva egli stesso escogitatoil mezzo del giuramento per invalidare il Ma-nifesto Croce».

Del giuramento richiesto nel 1925, a quan-to si conosce, vi è un solo rifiuto e comun-que le poche voci d’opposizione si perdo-no in uno scenario che vede il governo pro-cedere speditamente nell’approvazione dileggi speciali liberticide. È la prova genera-le che Gentile attende per procedere a «risol-vere la questione delicata e ormai urgentedella fascistizzazione delle Università Italia-ne». Dentro e fuori il parlamento si levano

CLAUDIO BORIO

Il giuramento rifiutato

La vicenda storica e umana dei professori universitari allontanatidall’insegnamento per il rifiuto di giurare fedeltà al regime fascista*

* Le notizie sulle carriere universitarie dei professori che hanno insegnato a Torino sonotratte dall’Archivio storico dell’Università di Torino, a cura di Paola Novaria.

Page 19: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Claudio Borio

18 l’impegno

voci critiche che non distolgono Gentile dalsuo scopo. Lo stesso Mussolini, nel settem-bre 1929, invita il nuovo ministro dell’Edu-cazione nazionale, Balbino Giuliano, a «pre-disporre entro l’anno l’ordinamento giuri-dico per la scuola superiore», affermandoche, «quando lo Stato si allontana dall’am-bito della semplice istruzione per passare aquello dell’educazione, la libertà dell’inse-gnamento torna di nuovo al tappeto». Final-mente, dopo che anche il Gran Consiglio delFascismo interviene sulla formula del giu-ramento, si giunge al testo definitivo e al-l’obbligo del giuramento entro il 31 dicem-bre 1931.

Qualcuno, prima di quel fatale 1931, haperò già detto no al fascismo. Gaetano Sal-vemini fin dal 1923 ha subito l’ostilità del re-gime sul terreno della sua attività di docen-te; arrestato l’8 giugno del 1925 per la pub-blicazione clandestina “Non mollare” e ri-messo in libertà provvisoria il 13 luglio conl’impegno di tenersi a disposizione del tri-bunale, deve decidere. Si convince, dopo ildelitto Matteotti e l’amnistia per i respon-sabili dell’assassinio del leader socialista,che nessun vincolo può ancora tenerlo lega-to allo stato italiano e si rifugia in Inghilter-ra, nonostante le proposte che il ministro Fe-dele gli rivolge e che egli rifiuta sdegnosa-mente.

Scrive da Londra nel novembre 1925:«Sono giunto a questa decisione dopo mol-to doloroso pensarci su. Aspettativa no. Unpermesso non avrebbe risolto niente, e a-vrebbe l’aspetto di un’attesa non esente daqualche piccola speranzella, e disturbereb-be l’ordine degli studi. Tornare no: perchétutti direbbero che è una “provocazione”, ese fossi ammazzato direbbero: lo sapevaquel che gli toccava: perché è tornato? Dun-que, dimissioni per non essere dichiarato di-missionario per abbandono di posto... Inattesa, farò all’estero tutto il possibile per-

ché si volti la carta. Non credo che i fascistiabbiano fatto un buon affare costringendo-mi a questa deliberazione. Avrebbero fattomeglio ad ammazzarmi».

Il 4 dicembre 1925 è destituito dalla catte-dra. Pochi giorni prima aveva scritto al retto-re dell’Università di Firenze: «Signor Retto-re, la dittatura fascista ha soppresso, ormai,completamente, nel nostro paese, quellecondizioni di libertà mancando le quali l’in-segnamento universitario della Storia - qualeio lo intendo - perde ogni dignità perché de-ve cessare di essere strumento di libera edu-cazione civile e ridursi a servile adulazionedel partito dominante, oppure a mere eser-citazioni erudite, estranee alla coscienzamorale del maestro e degli alunni. Sono co-stretto perciò a dividermi dai miei giovani edai miei colleghi, con dolere profondo, macon la coscienza sicura di compiere un do-vere di lealtà verso di essi, prima che di coe-renza e di rispetto verso me stesso. Ritorne-rò a servire il mio paese nella scuola, quan-do avremo riacquistato un governo civile».

Altri nomi illustri in quegli anni rinuncia-no volontariamente alla cattedra chiedendoil prepensionamento; tra questi, Silvio Tren-tin, Francesco Saverio Nitti, Arturo Labrio-la. Le vicende di questi docenti paiono an-ticipare il rifiuto di sei anni dopo. Per rima-nere a Torino, non si può dimenticare Um-berto Cosmo, docente al “D’Azeglio”, doveè stato collega di Augusto Monti e ha avutocome allievi Mila, Bobbio, Giulio Einaudi,Pavese, allontanato una prima volta dall’in-segnamento nel 1925, poi riammesso in mo-do precario a insegnare Letteratura italianaall’Università e definitivamente cacciato nel1932; e ancora Barbara Allason, libero do-cente di Letteratura tedesca, privata dell’in-segnamento «per incompatibilità con le di-rettive politiche del governo» nel 1929, eLeone Ginzburg, nel 1934, libero docente diLetteratura russa.

Page 20: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Il giuramento rifiutato

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 19

Restando nell’ambito torinese, come sipuò non ricordare la figura di Michele Giua?Nato nel 1889 in provincia di Sassari, si lau-rea in Chimica a Roma, dove diviene assi-stente. Nel 1921 passa al Politecnico di To-rino, dove ottiene l’incarico del corso di Chi-mica organica. Pur essendo secondo ternatoal concorso a cattedra a Perugia, nessunafacoltà lo chiama per il suo aperto dissensoal fascismo e, nel 1933, perde anche l’inca-rico d’insegnamento per il rifiuto di iscriversial Partito fascista. Datosi alla lotta clandesti-na con “Giustizia e libertà”, nel 1935 è arre-stato e condannato dal Tribunale specialea quindici anni di carcere, dal quale esce nel-l’agosto 1943. Nel dopoguerra è eletto de-putato all’Assemblea costituente, senato-re per due legislature e, finalmente, nel 1949il mondo universitario rimedia alle ingiusti-zie nei suoi confronti nominandolo profes-sore di Chimica organica industriale e diret-tore dell’omonimo Istituto all’Università diTorino, dove insegna fino al 1964.

Salvemini e gli altri paiono anticipare lescelte che i loro dodici colleghi faranno qual-che anno dopo. Ma già la formula insita nelgiuramento del 1925: «Giuro di essere fede-le al Re [...], di osservare lealmente lo statu-to e le leggi, di osservare i doveri accademi-ci e di educare dei cittadini operosi, leali efedeli alla patria» a qualcuno non piace pro-prio, tanto che il rettore dell’Università diNapoli scrive: «Finché si tratta di una mani-festazione di fedeltà al Re d’Italia, non vi ènessuno che possa negarla [...] ma per quan-to riguarda i professori non crediamo chevi fosse bisogno di una forma siffatta daintrodurre negli ordinamenti universitari,quando per oltre sessant’anni le Universitànon avevano mai dato segno alcuno di menche rispettoso sentimento, verso gli organicostituiti dello Stato, e in particolare versoquella Monarchia, alla quale ci sentiamo tuttiprofondamente e devotamente attaccati».

Parole sacrosante che, tuttavia, in quel 1925scivolano inascoltate, in uno scenario chevede il governo procedere a ritmo serratonell’approvazione di leggi liberticide controle quali, per tre volte, in Senato, si alza la vo-ce coraggiosa di uno dei dodici, FrancescoRuffini.

Torniamo al 1931, il fascismo è all’apicedel potere, superata la crisi del 1924 (delittoMatteotti), il regime mostra il suo vero voltocon l’abolizione della libertà di stampa, l’eli-minazione di ogni opposizione, il rafforza-mento dei poteri del capo del governo, leleggi per la difesa dello Stato, lo scioglimen-to dei partiti. Nulla sembra scuotere la grani-tica sicurezza del regime; dobbiamo attende-re la metà degli anni trenta per sentirne i pri-mi scricchiolii, non tanto all’interno quantoall’esterno, con l’isolamento internaziona-le legato alle imprese coloniali e al riavvi-cinamento alla Germania, ormai nazista.

A prima vista la formula del giuramentonon è di molto diversa da quella che compa-re nei giuramenti degli impiegati pubblicidopo l’unificazione d’Italia e anche il gene-rico impegno di non appartenere ad associa-zioni o partiti inconciliabili con i doveri delproprio ufficio non pare menomare la dignitàdel docente, alla cui coscienza è pur sempredemandato di decidere quali associazioni epartiti non si concilino con i propri doveri.Ma è l’aggiunta della «fedeltà al regime fa-scista» e dell’obbligo di «adempiere a tuttii doveri accademici col proposito di formarecittadini operosi, probi e devoti alla patria eal Regime fascista» che non lascia dubbisull’intenzione del governo di soffocarequalsiasi opposizione, fosse anche ideale oculturale. Tutto deve essere sussunto nelloStato, tutta l’esistenza dell’uomo deve sot-tostare al controllo del regime e, poiché lavita del docente è nell’Università, estromet-terlo da essa vuole dire relegarlo ai limiti dellasopravvivenza, anche fisica.

Page 21: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Claudio Borio

20 l’impegno

Non mancano le reazioni internazionali:alcuni presidi di facoltà e numerosi docentidell’Università di Ginevra inviano una peti-zione all’Istituto internazionale per la coo-perazione intellettuale di Parigi, chiedendodi valutare quali mezzi si possano adottareper aiutare i professori italiani a difenderela loro libertà d’insegnamento, cui seguo-no le sdegnate reazioni della stampa fasci-sta. Il risultato della petizione è notevole, inpoche settimane aderiscono quasi milletre-cento professori, da Spagna, Stati Uniti, Re-gno Unito, Francia, Svezia. La questionepassa alla Società delle Nazioni, di cui l’Isti-tuto internazionale per la cooperazione in-tellettuale fa parte, la quale se la cava moltosalomonicamente affermando la tesi dellanon ingerenza negli affari interni di ogni Sta-to, anche quando si tratta della tutela di di-ritti irrinunciabili e di fondamentale impor-tanza per gran parte degli studiosi nel mon-do, quali la libertà di coscienza, di pensiero,d’insegnamento e di stampa. La cecità dimo-strata dalla Società delle Nazioni fa ben com-prendere il fallimento dell’istituzione volu-ta dal presidente Wilson all’indomani dellagrande guerra per risolvere pacificamente iconflitti internazionali, che non riuscì a evi-tare lo scoppio del secondo conflitto mon-diale.

Sempre a livello internazionale è bene ri-cordare la posizione assunta da Albert Ein-stein, al quale scrive Francesco Ruffini an-nunciandogli l’intenzione sua e del figlioEdoardo di non giurare: «Non ci resta cheuna speranza, ovverosia che, se mai una vo-ce di solidarietà e di protesta si dovesselevare da parte dei più illustri docenti delleuniversità straniere, il governo desista dallasua sconsiderata decisione, o almeno noninfierisca contro chi dovesse rifiutare di pre-stare tale giuramento». Ruffini finisce : «Giu-dichi Lei stesso, se Le è possibile intrapren-dere qualcosa, per venire in aiuto dei suoi

colleghi in Italia». Einstein si rivolge diret-tamente ad Alfredo Rocco, che aveva con-tribuito efficacemente alla costruzione giu-ridica dello stato totalitario italiano con lascrittura del codice penale, pregandolo dievitare «la crudele sofferenza che minacciagli italiani e di risparmiare quest’umiliazio-ne al fiore dell’intelligenza italiana [...] sulprincipio che la ricerca della verità ha la pre-cedenza su qualsiasi altra aspirazione», af-fermando che la libertà d’insegnamento e diricerca sono i tesori più preziosi dell’intel-letto europeo. La risposta del governo ita-liano è affidata a un allievo di Rocco, il qua-le sostiene che «era stato richiesto ai pro-fessori universitari un giuramento di fedel-tà al nuovo regime... alle leggi della costitu-zione dello Stato senza che con ciò si fossepreteso dai professori che aderissero a que-sto o a quell’indirizzo politico», concluden-do che su milletrecento solo sette o otto a-vevano sollevato obiezioni e che persino iprofessori delle università libere, «che perlegge ne sono dispensati, hanno voluto pre-stare il giuramento». Einstein ringrazia bre-vemente per la risposta che «purtroppo nonha sortito alcun effetto», annotando nel suodiario «eccellente risposta in tedesco, ma lacosa resta comunque un’idiozia da genteincolta», chiosando profeticamente «beitempi ci aspettano in Europa».

Dei circa milleduecento docenti universi-tari che, nei mesi che vanno dall’agosto allafine del 1931, ricevono dai loro rettori l’in-vito a giurare è ormai storicamente noto chesolo dodici rifiutano di sottostare all’attod’imperio del regime. Le motivazioni delperché tanti giurano sono molteplici; unaparte, certamente non ampia, giura per con-vinzione. I cattolici giurano con la formuladella riserva mentale consigliata da Pio XIad Agostino Gemelli, che si è prodigato perottenere la dispensa dal giuramento per i do-centi dell’Università cattolica da lui fonda-

Page 22: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Il giuramento rifiutato

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 21

ta. I pochi comunisti giurano con la convin-zione di potersi maggiormente opporre al fa-scismo rimanendo dentro l’Università, se-condo le indicazioni degli stessi organi delpartito. La maggioranza giura con un’ade-sione formale, forse con leggerezza, incon-sapevole prologo delle ben più gravi misu-re razziali degli anni successivi, che costrin-geranno all’esilio validissimi studiosi e da-ranno inizio a quella fuga dei cervelli versopiù liberi lidi che impoverirà soprattutto lefacoltà scientifiche e sarà una concausa del-la sconfitta dei paesi dell’Asse.

Molti altri giurano. Calamandrei, tra i pri-mi firmatari del Manifesto Croce, una voltagiurato si sente avvilito e ha il cuore strazia-to. La sua decisione è motivata non dal ti-more di perdere il prestigio o lo stipendio,quanto di dover abbandonare l’insegna-mento. Firma il fisiologo Giuseppe Levi, ilcui antifascismo non può essere messo indubbio; dopo una prima decisione di nongiurare, pressato dai suoi assistenti e stu-denti e avuta l’assicurazione del ministroGiuliano che nella formula del giuramentonon è alcun vincolo della sua libertà di pen-siero giura, profondamente turbato. Giusep-pe Levi è figura centrale della cultura tori-nese d’inizio secolo, maestro di una gene-razione di premi Nobel (gli unici tre Nobeltorinesi: Salvador Luria, Renato Dulbeccoe Rita Levi Montalcini), papà di Natalia, chediventa Ginzburg dopo il matrimonio conLeone, perseguitato dal fascismo e mortoper le violenze ricevute nel 1944. L’ambien-te della famiglia Levi e del gruppo di an-tifascisti che intorno ad essa si raduna è de-scritto esemplarmente da Natalia nel suo“Lessico famigliare”.

Giura Gioele Solari, il quale ha saputo daEinaudi che Croce consiglia di giurare, macon il proposito di mantenere sveglio neisuoi studenti lo spirito critico e di resistenzaal fascismo. Giura anche Arturo Carlo Jemo-

lo, il quale quarant’anni dopo confesseràche lo spaventava la paura della miseria. Eglistesso, tuttavia, non cesserà di rammaricarsidi quella decisione. Diversi i casi di AntonioDe Viti De Marco, meridionalista, e di Vitto-rio Emanuele Orlando, che chiedono l’anti-cipato collocamento a riposo, e di GiuseppeAntonio Borgese, docente di estetica che,insegnante negli Stati Uniti, avrebbe benpotuto sottrarsi all’obbligo del giuramentoma, dignitosamente, non nasconde in unalettera a Mussolini la sua totale avversioneal fascismo. Lo stesso Vittorio Emanuele Or-lando, presidente del Consiglio alla fine del-la prima guerra mondiale, non si rifiuta digiurare ma chiede il pensionamento; quandoanni dopo, incontrando Edoardo Ruffini, di-rà: «Noi che non abbiamo giurato», si sen-tirà rispondere: «Credo che tra la Sua richie-sta di pensionamento e il rifiuto di giuraredi mio padre vi sia una certa differenza».

La vicenda dei dodici è rimasta per decen-ni avvolta nell’oblio. Nessuno di loro è po-liticizzato, né hanno una matrice comune. Cisono liberali gobettiani, socialisti, massonirepubblicani, il prete eretico Ernesto Buo-naiuti, professore di cristianesimo all’Uni-versità di Roma, che era già stato allonta-nato dall’insegnamento prima del Concor-dato, in seguito alla scomunica del 1926; nelrifiutare si richiama, con adamantina fierez-za, al rifiuto evangelico; l’ostracismo dellaChiesa nei suoi confronti prosegue dopo lacaduta del fascismo ed è l’unico a non esserereintegrato nell’insegnamento. Tra di essivi è anche l’intransigente filosofo di kantia-no rigore morale Piero Martinetti, che già èincorso nelle ire mussoliniane nel 1926 af-fermando che «la filosofia, quando si subor-dina alla politica, subisce un danno gravis-simo» e non nascondendo la sua avversio-ne per il regime fascista; finirà i suoi giorniin solitudine, in una casa di contadini nelCanavese.

Page 23: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Claudio Borio

22 l’impegno

Forse è per questa mancata collocazionein uno degli schieramenti politici del dopo-guerra, dove anche la memoria, divisa traopposte ideologie, è partitizzata, che l’Ita-lia repubblicana si è dimenticata di loro.Nessuno ha avuto il coraggio, o quantome-no non ne aveva convenienza, di imposses-sarsi della loro memoria. La stessa storio-grafia se n’è dimenticata fino ai recenti lavoridi Helmut Goetz, “Il giuramento rifiutato, edi Giorgio Boatti, “Preferirei di no”.

Almeno un tratto comune lega comunquela maggior parte dei dodici ed è una matricegeografica e culturale. È il Piemonte, è Tori-no, la Torino laica, capitale della cultura ita-liana tra le due guerre, la Torino liberale ecavouriana, roccaforte dell’antifascismo,culla delle proteste operaie di inizio anniventi. A Torino nasce il movimento dell’Or-dine nuovo, da cui sorgerà il Partito comuni-sta, a Torino nascono e operano Piero Go-betti, Antonio Gramsci, Leone Ginzburg, ifratelli Galante Garrone, Vittorio Foa. Il cen-tro dell’antifascismo è il Liceo classico “Mas-simo D’Azeglio” dove, intorno alla cattedradi Augusto Monti, si raduna un gruppo diantifascisti che faranno la storia del paese:Giulio Einaudi, Massimo Mila, Cesare Pave-se, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio. ATorino studiano e si laureano Palmiro To-gliatti e Umberto Terracini, studia ma non silaurea Antonio Gramsci; questi uomini co-stituiranno l’ala torinese del Partito comu-nista, che nascerà nel 1921 a Livorno.

Dei dodici che non giurano, tre (France-sco Ruffini, Lionello Venturi e Mario Carra-ra) insegnano a Torino; Gaetano De Sanctissi è appena trasferito a Roma dopo aver in-segnato per trent’anni Storia antica nell’ate-neo torinese; il figlio di Francesco Ruffini,Edoardo, è piemontese per nascita e forma-zione (era nato a Borgofranco d’Ivrea nel1901); Piero Martinetti, nato a Pont Cana-vese nel 1872, ha studiato al Collegio civi-

co di Ivrea e si è laureato a Torino nel 1893con una tesi sulla filosofia indiana (l’Uni-versità di Torino conserva la sua bibliotecae una fondazione porta il suo nome); Gior-gio Levi Della Vida vince nel 1914 il concor-so di Letteratura araba e dopo la guerra 1915-18 insegna per un anno a Torino; GiorgioErrera si laurea in Chimica a Torino nel 1883,in seguito lavora all’Istituto di chimica, doveottiene la libera docenza nel 1887; BartoloNigrisoli, chirurgo, consegue la libera do-cenza a Torino nel 1900. Infine, Vito Volter-ra, matematico di fama mondiale, fondatoredel Consiglio nazionale delle Ricerche, in-segna Meccanica razionale dal 1893 al 1900e contribuisce alla fondazione del Politecni-co di Torino, prima come componente dellaCommissione per il Politecnico nel 1903 e poicome Regio Commissario del Politecnicoappena costituito, nel 1906.

Coloro che non giurano esprimono pub-blicamente, con lettere ai rispettivi rettori,la loro convinzione. Così Giorgio Levi DellaVida, rifiutando il giuramento perché con-trario alla sua coscienza, pone la fedeltà allesue intime convinzioni e la dignità dell’altacarica da lui rivestita sopra le esigenze pra-tiche della vita e onora la ricerca e la catte-dra. Gaetano De Sanctis, storico dell’anti-chità, afferma che gli sarebbe stato «impos-sibile prestare giuramento che vincoli omenomi in qualsiasi modo la mia libertà in-teriore, la quale io credo mio dovere stret-tissimo di studioso e di cristiano rivendica-re, di fronte all’autorità statale, piena e as-soluta», aggiungendo che la sua decisionenon ha alcun significato politico ma «è sem-plicemente un atto di ossequio all’imperati-vo categorico del dovere compiuto con quel-la rettitudine aliena da ogni infingimento eda ogni riserva mentale che è stata per menorma costante di vita». Il matematico VitoVolterra, brevemente, rifiuta di giurare conqueste parole: «Sono note le mie idee poli-

Page 24: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Il giuramento rifiutato

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 23

tiche, per quanto esse risultino esclusiva-mente dalla mia condotta nell’ambito parla-mentare, la quale è tuttavia insindacabile inforza dell’art. 51 dello Statuto fondamenta-le del regno, [...] come il rettore poteva bencomprendere, gli era pertanto moralmenteimpossibile giurare». E ancora FrancescoRuffini, nel novembre 1931, di fronte all’in-vito del rettore dell’Università di Torino aprestare giuramento, gli comunica il suo ri-fiuto motivandolo così: «Io non posso - incoscienza e per la più elementare coerenzacon il mio passato accademico e politico -prestare il giuramento richiestomi secondola nuova formula testé prescritta. È poi ditutta evidenza che tale giuramento sarebbeper me ostacolo al libero esercizio di quellafunzione politica di Senatore del Regno, laquale non fu finora vincolata da nessunalegge dello Stato, e anzi è tuttora garantitaesplicitamente dal disposto dell’art. 51 delnostro Statuto fondamentale».

Di loro, in realtà, ha già parlato Alessan-dro Galante Garrone nel volume “I miei mag-giori” del 1984, in cui ricorda i maestri di unavita. Alessandro Galante Garrone, nato aVercelli e poi trasferitosi a Torino, dove silaurea in Giurisprudenza e diventa primamagistrato, poi professore universitario, poigiornalista; Galante Garrone, il “mite giaco-bino”, l’intransigente uomo di pensiero e dicultura, protagonista della Resistenza a To-rino, il quale fa dell’opposizione al fascismouna ragione di vita fino a desiderare, ancorprima del 1943, la sconfitta militare dell’Italiase questa portasse alla fine della dittatura,affermazione forte, soprattutto detta da chi,nella prima guerra mondiale, aveva perso glizii materni Eugenio e Giuseppe, caduti nellastessa battaglia sul monte Grappa.

In particolare Galante Garrone ricordaEdoardo Ruffini: «Il suo sacrificio fu piùgrande di quello del padre e dei pochi altricolleghi non giuranti: perché egli aveva

trent’anni, e la sua carriera universitaria, ap-pena agli inizi, ne fu stroncata. Da quel gior-no egli si appartò, silenzioso, in solitudine».E del padre Francesco Ruffini, senatore delRegno, che aveva già ricoperto la carica dipreside della facoltà di Giurisprudenza e ret-tore dell’ateneo torinese, dice: «Non dimen-ticherò mai quella sera di fine novembre (fula mia prima lezione universitaria), quandolo vidi entrare nell’aula: bellissimo, non piùgiovane ma ancora robusto, e agilmente si-curo nel salire su per la scaletta di legno, finoal pulpito dall’alto del quale ancora usava,come pochi altri suoi colleghi, fare lezione;spaziosa la fronte, gli occhi azzurri, la barbafluente sul petto». Lo stesso Galante Garro-ne ricorda che «per molti, in realtà, il timoredella disoccupazione, della fame, forse an-che delle persecuzioni politiche, era tutt’al-tro che immaginario. Non meno dolorosa erala prospettiva di doversi strappare, da ungiorno all’altro, all’insegnamento...».

E ancora settant’anni dopo, nel 2001, inoccasione dell’apposizione di una lapidenel rettorato dell’Università a ricordo deiprofessori torinesi che si rifiutarono di giu-rare, a proposito di Francesco Ruffini, San-dro Galante Garrone ricorda a chi scrive l’or-mai celebre episodio di quando, nel cortiledell’ateneo di via Po, si azzuffò con i fasci-sti che avevano preso di mira il vecchio pro-fessore liberale per le sue posizioni sul Con-cordato, ricevendone in cambio una basto-nata in testa.

Solo l’1 per cento non giura quindi nel1931, confermando le previsioni di Gentilee contribuendo al consolidamento del regi-me fascista. Cosa poteva accadere se nonavessero giurato in molti? Se lo chiede an-che Giorgio Levi Della Vida nel 1961 scriven-do a Galante Garrone: «La cosa più curiosaè che l’azione di quei pochi fu del tutto in-dividuale, senza nessuna intesa comune [...]mi sono spesso domandato se un’iniziati-

Page 25: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Claudio Borio

24 l’impegno

va che fosse stata presa e portata avanti e-nergicamente per un’azione concorde e perun incitamento ai dubbiosi non avrebbe in-dotto il governo a lasciar cadere il provve-dimento». Galante Garrone non ha la solu-zione al quesito, cita invece l’imposizionedel governo di Salò, nel 1944, del giuramen-to di fedeltà per i magistrati i quali, capeggiatida Domenico Peretti Griva, presidente di Se-zione di Corte d’appello a Torino, si oppon-gono energicamente, tanto che il governorepubblichino è costretto a ritirare il provve-dimento. Per inciso, Peretti Griva era il suo-cero di Sandro Galante Garrone avendo eglisposato la figlia Maria Teresa, “Mitì”, chegli sarà compagna per tutta la vita. Ma eranoormai altri tempi. Nel 1931 il fascismo è almassimo della solidità e nulla sembra possascuoterne le fondamenta.

La posizione dei dodici si pone sicura-mente come una discontinuità rispetto al-l’uniformità e all’irreggimentazione degliintellettuali del ventennio e anche in que-sto, nel distinguersi rispetto a canoni piut-tosto consueti di comportamento dell’intel-lettualità italiana non solo circoscritta alventennio fascista ma comune, purtroppoad altri periodi anche parecchio vicini a noi,sta l’eccezionalità del rifiuto. Il loro gesto èun fatto individuale, non si trova alcun di-segno di mobilitazione comune, sono gestisolitari, non rivolti alle masse né speranzo-si di trovare solidarietà dai colleghi che ac-cettano l’imposizione.

Il loro è il tragitto di dodici isolati viaggia-tori che seppero dire “no” senza se e senzama, come si direbbe oggi, pagando a caroprezzo quell’esercizio di dignità. Alcuni diloro furono collocati in pensione avendomaturato l’anzianità minima, ma altri si ritro-varono senza alcuna fonte di reddito e peressi il sacrificio fu doloroso, anche material-mente.

Qualcuno li ha definiti gli antesignani del-

la Resistenza; certo, se per Resistenza in-tendiamo un movimento spontaneo, venu-to dal basso che con la forza delle idee e po-chi mezzi materiali vuole opporsi alla ditta-tura fascista e all’invasore nazista, ebbenepossiamo considerare il gesto nobile di ri-fiuto dei dodici come anticipatore di queglistraordinari venti mesi in cui una parte del-l’Italia rialzò la testa e che contribuirono acostruire lo stato democratico e antifascistache si rispecchia nella Costituzione repub-blicana del 1948.

Per terminare, riporto le parole, dette daGaetano De Sanctis subito dopo il suo ri-fiuto di giurare, ma che possono essere tran-quillamente accostate agli altri undici do-centi: «Il memore affetto dei discepoli è ilmassimo conforto che mi rimane nel momen-to in cui, per non venir meno a quelli che horitenuto essere i miei doveri di scienziato edi cristiano, ho dovuto abbandonare lascuola: la scuola la quale a me, che mi sentosoprattutto maestro, era più cara della stessavita. Ma l’esempio di fermezza e dirittura chemi hanno dato rebus in arduis taluni mieiscolari è stato di grande momento nella deli-berazione. Ad ogni modo nulla andrà perdu-to di ciò che soffriamo: del poco che ho sof-ferto io e del molto che hanno sofferto altri.Questa è la mia fede».

Bibliografia

Aldo Agosti (a cura di), Storico per passio-ne civile, atti del convegno di studi “Ales-sandro Galante Garrone 1909-2003”, Ales-sandria, Edizioni dell’Orso, 2011.Renata Allio (a cura di), Maestri dell’ate-neo torinese dal Settecento al Novecento,Torino, Centro di Studi di Storia dell’Univer-sità di Torino, 2004.Giorgio Boatti, Preferirei di no, Torino, Ei-naudi, 2001.Bruno Bongiovanni - Fabio Levi, L’Univer-

Page 26: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Il giuramento rifiutato

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 25

sità di Torino durante il fascismo, Torino,Giappichelli, 1976.Paolo Borgna, Un paese migliore. Vita diAlessandro Galante Garrone, Roma-Bari,Laterza, 2006.Angelo D’Orsi, La cultura a Torino tra ledue guerre, Torino, Einaudi, 2000.Angelo D’Orsi, Intellettuali del Novecen-to italiano, Torino, Einaudi, 2001.Angelo D’Orsi, Allievi e maestri. L’Univer-sità di Torino nell’Otto-Novecento, Torino,Celid, 2002.Alessandro Galante Garrone, I miei maggio-ri, Milano, Garzanti, 1984.

Helmut Goetz, Il giuramento rifiutato, Mi-lano, La Nuova Italia, 2000.Giordano Bruno Guerri, Eretico e profeta.Ernesto Buonaiuti, un prete contro la Chie-sa, Milano, Mondadori, 2001.Domenico Mirri - Stefano Arieti (a cura di),La cattedra negata. Dal giuramento di fe-deltà al fascismo alle leggi razziali nell’U-niversità di Bologna”, Bologna, Clueb, 2002.Francesco Traniello (a cura di), L’Universi-tà di Torino. Profilo storico e istituzionale,Torino, Pluriverso, 1994.Aa. Vv., “L”Ateneo”, Torino, n. 20, settem-bre-ottobre 2002.

Page 27: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

MARISA GARDONI

Disperso a Cefalonia

Storia di Giovanni Gardoni che non tornò dalla guerra

2012, pp. 77, € 12,00 Isbn 978-88-905952-3-3

L’opera ricostruisce le vicende biografiche di Giovanni Gardoni, zio dell’autrice,inserite nel contesto di una famiglia emigrata dalla provincia bresciana a Borgose-sia per lavoro, passando dalla vita e cultura agricola all’ambiente operaio e indu-striale del primo Novecento.Giovanni Gardoni, benché più volte posto in congedo illimitato dall’esercito, vienerichiamato e inviato a Cefalonia poco tempo prima dell’8 settembre 1943 e dei tragicifatti in cui caddero migliaia di soldati italiani; di lui non si è più saputo nulla ed èstato così annoverato tra i dispersi.L’autrice ricostruisce, sulla base del contesto storico in cui si è svolto l’eccidio, ipossibili ultimi momenti di vita di Giovanni Gardoni, trasferendo il dolore privato inuna dimensione pubblica che costituisce un tributo alla memoria dei soldati italianiche persero la vita all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943 o che furonointernati nei campi di prigionia dai tedeschi.

Page 28: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

saggi

l’impegno 27

Parigi, febbraio-marzo 1942. Un gruppo diventisette persone, eterogeneo per nazio-nalità, età, professione e sesso, viene arre-stato a diverse riprese dalla sinistra “Briga-de spéciale n. 2” della polizia francese. PerRiccardo Rohregger non c’è niente da fare;durante una perquisizione i tedeschi lo han-no potuto collegare a bombe usate dalla Re-sistenza. Anche per Mario Buzzi, nonostan-te tutti i tentativi fatti da Rohregger di sca-gionare il compagno, non sarà possibile evi-tare la fucilazione.

Il processo, noto in Francia come “Procèsde la Maison de la Chimie”1, e che verrà ri-preso dalla propaganda nazista e ritrovatonegli anni ottanta negli archivi tedeschi2, siconcluderà con la condanna a morte di ven-ticinque imputati; per altri due di loro il tri-bunale ordinerà la reclusione rispettivamen-te a cinque anni e, per il più giovane delgruppo, che all’epoca dei fatti ha quindici

anni, André Rossel-Kirschen, a dieci annidi carcere.

Altri italiani caduti nelle mani della poli-zia di Pétain e della Gestapo non potranno,pur facendone parte, essere collegati algruppo guidato da Riccardo Rohregger.Quelli a cui l’Ovra3 dava la caccia da tempoverranno riconsegnati alle autorità fascisteitaliane, mentre altri verranno inviati neicampi di concentramento tedeschi.

Il 25 luglio 1943 (caduta del fascismo) èvicino e gli italiani che si sono salvati a Pari-gi entreranno nella Resistenza, spesso gio-cando ruoli molto importanti, portando consé l’incredibile bagaglio di esperienze diguerriglia vissute in Francia tra il 1940 e il1942.

Non si tratta di un gruppo di raccogliticcie improvvisati, ma di veterani del combatti-mento antifascista per le strade.

Nella stragrande maggioranza dei casi sia-

DAVIDE SPAGNOLI

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comu-nisti nella Resistenza francese

1 Per maggiori informazioni Cfr. ANDRÉ ROSSEL-KIRSCHEN, Le procès de la Maison de la Chi-mie, Paris, L’Harmattan, 2002; cfr. anche http://www.resistance-ftpf.net/chimie/menu.html;http://www.humanite.fr/node/401489; http://www.humanite.fr/node/359487.

2 http://www2.cndp.fr/TICE/teledoc/mire/teledoc_laresistance(1).pdf.3 «Guido Leto, uno degli uomini chiave del ministero dell’Interno durante il periodo Fa-

scista, rivelò nel suo libro “Ovra” (Cappelli, 1951, pagina 52) che Ovra non corrispondevaa nessuna sigla. Fu Benito Mussolini a coniare la parola come derivazione da “piovra” perindicare una Polizia tentacolare che doveva tenere sotto controllo tutto il paese. Mussoliniera convinto che il nome misterioso di Ovra “avrebbe destato curiosità, timore, senso diinafferrabile sorveglianza e d’onnipotenza”», http://it.wikipedia.org/wiki/Ovra.

Page 29: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

28 l’impegno

mo di fronte a persone che hanno vissutol’asprezza e la durezza dell’emigrazione findalla più tenera età, prima al seguito di ge-nitori che fuggivano la miseria estrema del-l’Italia, e che Umberto Levra descrive magi-stralmente ne “Il colpo di stato della borghe-sia”4, per tornare poi dalla carneficina dellaprima guerra mondiale5 a svolgere gli stessilavori con cui rischiavano la vita prima dipartire, ma decisi a costruire un mondo nuo-vo vivendo in prima persona l’effervescen-za rivoluzionaria dell’inizio degli anni ventidel secolo scorso, innanzitutto opponendo-si al fascismo con tutti i mezzi, tanto nell’emi-grazione quanto da clandestini in Italia.

Gli italiani che tra la fine dell’Ottocento el’inizio del Novecento emigrano in Francianel bacino minerario strategico per la pro-duzione transalpina d’acciaio, Longwy, pro-vengono principalmente da due regioni:Marche e Romagna.

È poco noto ma questi manovali, che inItalia lavorano come braccianti nei campi,partecipano in massa all’esperienza del Par-tito socialista rivoluzionario di Romagna(Psrr), fondato a Rimini nel 1881 da AndreaCosta, il primo socialista deputato del par-lamento italiano. Il Psrr confluirà poi nel Par-tito socialista italiano (Psi) nel 1893, di cuirappresenterà l’ala rivoluzionaria, che daràvita al Convegno di Imola del 1920 e saràtra i protagonisti nella scissione del Pcd’Ial Congresso di Livorno nel 1921.

Il programma del Psrr, che trae molti ele-menti da quello del Parti Ouvrier del 1880,che, come noto, è stato scritto a quattromani da Marx e Jules Guesde, è molto sempli-ce: fare la rivoluzione e sostituire la proprie-

tà privata con la socializzazione dei mezzi diproduzione. Si badi bene che questo pro-gramma viene adottato senza che neppureil suo fondatore abbia mai letto Marx, infattiil “Manifesto del Partito comunista” vienetradotto in italiano per la prima volta nel1889, ma Andrea Costa frequenta i comuni-sti francesi e ne assorbe le idee rivoluzio-narie.

I contatti tra il Psrr e l’anima comunistadella Francia si rafforzano ulteriormente conl’elezione del comunardo Amilcare Ciprianial parlamento italiano in un collegio dellaRomagna.

Ma con il cosiddetto colpo di stato dellaborghesia in Italia, che si snoda negli ultimiquattro anni del XIX secolo, tutto il patrimo-nio di grandi conquiste sociali del Psrr, cheriguardano soprattutto la Romagna e le Mar-che, viene travolto da una spaventosa onda-ta di miseria - come mai prima si era vista -per sostenere le spese di una guerra impe-rialista, oltretutto persa.

Basti pensare che nel 1898, nella fertilePianura padana a Reggio Emilia, si registra-no diversi casi di morti per stenti. Le onda-te insurrezionali che scoppiano in seguitoalla fame sono duramente represse nel san-gue: a Milano la folla viene presa a canno-nate dal generale Bava Beccaris. Si stima chei morti siano non meno di trecentocinquanta.Bava Beccaris viene premiato dal re Umber-to I e questa infamia costerà la vita al restesso, giustiziato dall’anarchico Bresci nel1900, proprio per vendicare i morti di Milano.

A milioni di braccianti non resta altra scel-ta che emigrare.

Nel frattempo la Lorena conosce una gran-

4 UMBERTO LEVRA, Il colpo di stato della borghesia, Milano, Feltrinelli, 1975.5 Nella prima guerra mondiale persero la vita, tra militari e civili, 16.563.868 persone, mentre

i soli militari feriti furono 21.228.813.Cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/World_War_I_casualties.

Page 30: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 29

de fame di manodopera per l’improvviso svi-luppo dell’industria dell’acciaio, in seguitoal procedimento di eliminazione del fosforodal minerale di ferro messo a punto dall’in-glese Sydney Thomas nel 1877. Il brevettodell’invenzione viene acquistato dalla fami-glia De Wendel nel 1879 e diventa di domi-nio pubblico quindici anni più tardi.

Così, in tanti scendono nelle miniere dellaLorena, ma questi braccianti portano con sél’esperienza delle lotte rivoluzionarie fattein Romagna e nelle Marche. E infatti alla pri-ma occasione il valore rivoluzionario riaffiora.

Nella Lorena del ferro si registrano scio-peri dei minatori nel 1902 e 1903, ma essi sonoben poca cosa a confronto di quelli del 1905,che impegnano questi manovali al fiancodei compagni francesi per diversi mesi.

La grande guerra rimanda molti emigratiromagnoli e marchigiani a casa, giusto intempo per partecipare al moto insurrezionaledella Settimana rossa che nel giugno 1914fa delle Marche e della Romagna «più di unasemplice dimostrazione, [...] meno di una in-surrezione; [...] qualcosa di intermedio frala dimostrazione e l’insurrezione»6.

I figli degli immigrati passano attraversola tremenda esperienza della guerra, dive-nendo spesso anche loro dei rivoluzionari,così quando il bagliore della rivoluzionebolscevica squarcerà le tenebre della guer-ra, troverà in questa generazione un fertileterreno di solidarietà e identificazione.

Quando molti di questi giovani tornanoin Francia per riprendere il lavoro in minierao nell’altoforno, le generazioni rivoluziona-rie sono diventate due: padri e figli.

La nuova leva rivoluzionaria si distingueda quella dei padri perché rifiuta l’idea dinazione: il capitalismo è il nemico e va com-

battuto ovunque senza tregua. Sono con-vinti che i confini nazionali servano solo aicapitalisti per impedire al proletariato di unir-si in una unica rivoluzione mondiale. Ciò cheinvece li accomuna ai padri è la forte indi-pendenza di giudizio e d’azione, che lo stes-so Stalin faticherà non poco a controllare,senza mai riuscirci completamente, a partiredalla metà degli anni trenta.

Gli italiani non emigrano solo nella Lore-na, ma anche in Lussemburgo, in Belgio ein Germania, soprattutto nella Ruhr.

Gli effetti della rivoluzione bolscevica nontardano a farsi sentire.

Per comprendere appieno quanto succe-de nella Lorena del primo dopoguerra, è ne-cessario riordinare gli avvenimenti inseren-do tra i protagonisti anche quanto avvieneal di là del confine tedesco, nella Ruhr.

I tentativi rivoluzionari in Germania tra il1919 e il 1923 condizionano le azioni anchedei partiti comunisti francese, belga, lus-semburghese, che cercano di coordinare leproprie iniziative con quelle del Partito co-munista tedesco.

In Germania si hanno tre tentativi rivolu-zionari: nel gennaio 1919, nel marzo 1921 enell’ottobre 1923 e, come vedremo in segui-to, la Ruhr gioca sempre un ruolo di primopiano. Ma anche gli altri distretti minerariposti in Belgio, Lussemburgo e Lorena a-vranno forti tensioni rivoluzionarie nellostesso arco di tempo.

Il 6 gennaio 1919 a Berlino si ha la solle-vazione spartachista, che si concluderà tra-gicamente con l’assassinio di Rosa Luxem-burg e Karl Liebknecht il 15 gennaio da par-te dei Freikorps, chiamati dal socialdemocra-tico Gustav Noske a reprimere la rivoluzione.

Nel 1919 in Germania si hanno tentativi

6 STALIN, Strategia e tattica politica dei comunisti russi, http://www.bibliotecamarxista.org/stalin/stratatpolcomrus.htm.

Page 31: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

30 l’impegno

rivoluzionari a Brema, Cuxhaven, Amburgo,Magdeburgo, Duisburg, Norimberga, Man-nheim, Braunschweig, Lipsia. La città chein questa fase resisterà più a lungo è Brema,dove la Repubblica dei consigli nasce il 10gennaio e viene soffocata nel sangue il 4febbraio; nelle altre città il potere rimane inmano agli insorti un paio di giorni.

Il governo della Repubblica di Weimar,dopo aver soffocato le manifestazioni deglioperai berlinesi, dà ordine di liquidare lerepubbliche dei consigli di Brema e di Cuxha-ven. Gli operai di Brema chiedono aiuto aquelli di Amburgo, ma i socialdemocratici didestra del Consiglio di questa città sabotanol’operazione di salvataggio. Un contingen-te armato, al comando di Ernst Thälmann,percorre il tragitto da Amburgo a Brema apiedi, 90 chilometri, perché i socialdemocra-tici che dirigono lo sciopero dei ferrovieririfiutano il trasporto, sostenendo che sareb-be un atto di crumiraggio. Così il distacca-mento non riesce a giungere in tempo a Bre-ma, causando la definitiva sconfitta deglioperai insorti. Successivamente deve pie-garsi anche il proletariato di Cuxhaven.

In Europa, nella primavera del 1919, siavranno anche due repubbliche sovietiche,una in Ungheria e l’altra a Monaco di Ba-viera.

I minatori della Ruhr, dal canto loro, sonoin agitazione già dal novembre 1918 e il 9 gen-naio 1919 le milizie operaie, organizzazionesulla quale verranno in seguito costituite leCenturie proletarie, costringono i Freikorpsdel capitano Lichtschlag a ritirarsi da Ha-gen.

Il problema centrale della Ruhr, come an-che per i distretti minerari di Lorena, Lus-semburgo e Belgio, è la socializzazione del-le miniere e il 13 gennaio 1919 la Conferenzaregionale dei consigli degli operai e dei sol-dati nomina una commissione incaricata dipreparare il passaggio di proprietà delle mi-

niere dai capitalisti ai consigli operai. MaNoske, responsabile dell’assassinio di RosaLuxemburg e Karl Liebknecht, invia di nuo-vo esercito e Freikorps per impedire che lespinte rivoluzionarie della Ruhr e di Bremasi saldino, dando così l’innesco alla solleva-zione in tutta la Germania. La repressione fi-nisce, manco a dirlo, in un bagno di sangue.

L’incendio rivoluzionario si estende an-che ai paesi confinanti e in Lorena porta allacreazione di un Soviet a Thionville e di con-sigli di operai e soldati a Metz e in altre cittàdella Meurthe-et-Moselle. Nel Granducatodel Lussemburgo la tensione rivoluzionariadura tre anni. Inizia nel gennaio 1919 a Lus-sembourgville, con l’istituzione di un So-viet, e sei mesi più tardi si solleva tutto ilSud siderurgico.

Con la crescita del movimento dei consi-gli in Lussemburgo, si moltiplicano i tenta-tivi di creare il Partito comunista francese eitaliano nel bacino di Longwy. Nel maggio1919 nascono i sindacati dei metallurgici, deiminatori di Hussigny e degli edili.

Nel febbraio 1920 gli scioperanti della fab-brica Providence di Rehon cercano di coor-dinarsi con i minatori di Hussigny e con unafabbrica della stessa proprietà posta in Lus-semburgo.

I minatori aderiscono immediatamente allamanifestazione e proclamano lo sciopero adoltranza. Ma gli operai delle fabbriche, ot-tenuto quanto richiesto, cessano la lotta, la-sciando i minatori da soli a sostenere unadura battaglia che si protrae per tre mesi.

Nella Ruhr, nel marzo 1920, in risposta altentativo di colpo di stato di Kapp, i mina-tori costituiscono la Rote Ruhrarmée fortedi centomila uomini.

I minatori della Ruhr chiedono la stessacosa che chiedevano quelli del Lussembur-go, della Lorena e del Belgio, la stessa cosache voleva il Psrr: la socializzazione dei mezzidi produzione attraverso la rivoluzione.

Page 32: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 31

Il padronato dei paesi frontalieri, Francia-Belgio-Lussemburgo, spaventato dalla pie-ga che prendono gli eventi, visto anchequanto accade in Germania, si dà un’orga-nizzazione sovranazionale in grado di con-trastare il movimento operaio, dapprimausando il bastone, spingendo il governonazionale e le autorità locali ad intensifica-re la repressione, e poi la carota, tollerandola creazione dei consigli di fabbrica.

Intanto in Germania continua l’efferve-scenza rivoluzionaria e nel marzo 1921 si hala cosiddetta Azione di marzo. L’insurrezio-ne comunista resta localizzata alla Germaniacentrale: i distretti di Halle e Mansfeld sonoi bastioni della lotta armata dopo che la Ruhrè caduta sotto l’attacco delle forze gover-native.

Le miniere di Mansfeld e le industrie chi-miche di Leuma sono i punti di forza: glioperai sono armati e organizzati militarmen-te dal 1918; solo a Leuma si contano venti-cinquemila operai in armi.

Il 20 marzo la direzione del comitato disciopero lancia l’ordine di insurrezione e ilgoverno socialdemocratico spedisce le trup-pe contro il distretto minerario di Mansfeld.Il 21 il movimento parte dalle fabbriche e siregistrano assalti a tribunali e prefetture aFalkstein, Dresda, Lipsia, Fretsberg. Ma legrandi masse metropolitane restano estra-nee o comunque ai margini del movimento.

Al di fuori della Germania centrale solo adAmburgo ci sono significativi scontri fraoperai e polizia, mentre Berlino tace. Il 24marzo la presidenza del Reich dichiara lostato di emergenza in tutta la Sassonia e lasospensione dei diritti costituzionali. Il 28

la polizia e l’esercito espugnano Leuma alprezzo di quaranta morti e decine di migliaiadi arresti: il 31 viene ritirato l’ordine di scio-pero, e il movimento lentamente si esauri-sce.

Nel vicino Lussemburgo, nello stessomarzo del 1921, i dirigenti della Hadir, situa-ta a Differdange, a tre chilometri da Hussi-gny, vogliono licenziare il 10 per cento del-la forza lavoro. Il Consiglio di fabbrica nonsolo rifiuta i licenziamenti, ma decide la pre-sa del potere dell’impresa, imitato dai con-sigli del bacino del Lussemburgo. La provadi forza inizia nel marzo 1921 e si estendeanche ai bacini frontalieri della Francia.

Il giovane Partito comunista del Lussem-burgo, nato dalla scissione dal Partito socia-lista al Congresso di Differdange il 21 gen-naio 1921, deve affrontare il vasto conflittosociale provocato dalla decisione del padro-nato di licenziare centinaia di operai. Il 18febbraio 1921 i comunisti italiani Pianezza,Giovagnoli e Saviola7 invitano gli operai riu-niti nella piazza del mercato di Differdangea occupare le fabbriche, e il 1 marzo il Con-siglio di fabbrica delle officine di Differdan-ge, diretto dal comunista di origine italianaBernard Zenon, passa all’azione. Rapida-mente lo sciopero si estende all’insieme delbacino minerario.

Denunciando il carattere rivoluzionario diquesto movimento, il governo fa intervenirel’esercito e invoca l’aiuto delle truppe fran-cesi.

Gli industriali del Granducato chiamano inloro soccorso l’esercito, che provvede adespellere il Consiglio operaio di Differdan-ge. A questo punto decine di migliaia di lavo-

7 HENRI WEHENKEL, Le Commissaire et les Italiens. Inventaire des rapports de policeconsacrés aux Italiens du Luxembourg (1900-1940), in Luxembourg-Italie. Hommage aupère Benito Gallo, Ville de Dudelange, Centre de documentation sur les migrations humai-nes, 1999.

Page 33: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

32 l’impegno

ratori decidono lo sciopero generale, e mol-te miniere e acciaierie passano sotto il direttocontrollo operaio.

Dopo quindici giorni la direzione sinda-cale socialdemocratica decide di sospende-re lo sciopero. I minatori, gli operai di Dif-ferdange e di Rodange continuano la lotta,ma invano.

La risposta padronale non tarda a farsisentire. La repressione congiunta dei mili-tari francesi e lussemburghesi provvede asopprimere i consigli operai. Migliaia di la-voratori vengono licenziati e i militanti stra-nieri espulsi.

Il Partito comunista vede i propri dirigen-ti arrestati e trascinati in tribunale, gli archi-vi e le risorse finanziarie sequestrati, i mili-tanti stranieri espulsi, quelli lussemburghesiiscritti nelle liste di proscrizione e in partecostretti ad emigrare.

In questo periodo d’isolamento il Partitocomunista del Lussemburgo si rifugia inuna intransigenza rivoluzionaria che non glipermette di trascinare le masse in vista diobiettivi limitati. Esso perde anche il suo ra-dicamento nei sindacati e nei consigli co-munali di Differdange ed Esch-sur-Alzette.

Dopo lo sciopero del marzo 1921 vengo-no espulsi quattrocento immigrati. Si trattadi militanti comunisti, i cui nomi figurano nel“Protokoll der Kpl” redatto dalla polizia nelmarzo 1921.

Gli industriali lorenesi traggono la conclu-sione che i consigli di fabbrica devono es-sere combattuti come la peste, e non modi-ficheranno più questa linea repressiva e rea-zionaria fino al 1936.

La violenta repressione del padronato lo-renese si fonda sulle simpatie verso il fasci-

smo, sulla xenofobia diffusa nell’opinionepubblica e sull’aperta collaborazione degliapparati dello Stato.

In una lettera del 3 novembre 1922 Camil-le Cavallier, maître de forge, capitano d’in-dustria, fiero della sua impresa e delle suerealizzazioni personali, scrive: «Non so cheavverrà del fascismo, ma per me, che possogiudicare solo leggendo i giornali, trovoquesto movimento ammirevole e se avràsuccesso, è possibile che questo non si li-miti all’Italia: più energia, più sicurezza, piùlavoro»8.

Il fascismo italiano è apprezzato da CamilleCavallier e dalla maggioranza del padrona-to lorenese che vuole resistere ai tentatividi creazione e sviluppo delle organizzazionioperaie, soprattutto quando queste attiva-no la lotta antifascista. Lo spirito del padro-nato è tutto nel motto: «È meglio un fasci-sta italiano antifrancese che un antifascistaitaliano comunista»9.

Il padronato lorenese può esercitare unagrande pressione sulle autorità nazionali elocali perché venga attuata una politica se-veramente repressiva, in virtù del fatto chela regione produce la maggior parte dell’ac-ciaio necessario alla Francia. E il governodi Parigi, sensibile anche alle pressioni di Ro-ma e alla xenofobia dei ceti medi francesi,attua una politica ferocemente anticomuni-sta, soprattutto nei confronti degli immigrati.

Essi non godono dei diritti civili: non pos-sono né votare né essere eletti. Ad esempio,nel comune minerario di Hussigny può eser-citare il diritto di voto meno del 10 per cen-to della popolazione residente ed anche leelezioni sindacali sono fatte calpestando lepiù elementari norme di democrazia. Gli im-

8 YVES MAGRINELLI - JEAN-CLAUDE MAGRINELLI, Antifascisme et Parti communiste enMeurthe-et-Moselle, 1920-1940, Jarville, Imprimerie Snic, 1984, p. 36.

9 Idem, p. 37.

Page 34: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 33

migrati, pur rappresentando la stragrandemaggioranza della forza lavoro - il 60 percento nelle acciaierie e il 90 per cento nelleminiere - non possono nemmeno eleggere ipropri delegati sindacali, cosicché a dirige-re le casse di soccorso sono sempre gli ope-rai francesi, legittimati nel loro ruolo unica-mente dalla volontà padronale di impedireche gli italiani si organizzino.

Tutto ciò a completo vantaggio degli in-dustriali, che possono così evitare tutti icontrolli: per gli incidenti sul lavoro, per leforniture di materiale scadente, per il pesodel minerale estratto, a cui è direttamenteconnessa la struttura del salario dei mina-tori, ecc.

Per impedire ai minatori italiani di entrarenella Casa del popolo di Hussigny, la poli-zia moltiplica le forme d’intimidazione: «[...]ogni volta che si faceva una riunione erava-mo attorniati da poliziotti, anche per le riu-nioni sindacali»10.

E M. Giacomoni, altro militante degli anniventi a Hussigny, ricorda come è stato pu-nito, benché corso, con un’ammenda di 150ff, l’equivalente cioè di due mesi di duro la-voro in miniera, per avere cantato alla Casadel popolo nel 1929.

La polizia si apposta frequentemente vi-cino alla sede del sindacato allo scopo dischedare chi frequenta i locali: «Quando ipolacchi o gli italiani ci venivano la poliziali espelleva verso i paesi di provenienza»11.

Anche i polacchi pagano un tributo allarepressione senza che nessuno in Francia,a parte i comunisti, manifesti un minimo ge-sto di solidarietà. Nel luglio 1926, per esem-

pio, alcuni minatori polacchi, obbligati ascioperare semplicemente per recuperare ipropri passaporti, vengono sequestrati dal-la gendarmeria nella cantina in cui vivono elasciati in mutande per impedire loro la fuga.Qualche giorno più tardi sette di questi, o-diosamente malmenati dai gendarmi perchérifiutano il crumiraggio, vengono espulsi dalpaese manu militari12.

In queste condizioni bisogna immaginareciò che può rappresentare il semplice fattodi prendere una tessera sindacale. Nel 1927il responsabile della Cgtu di Hussigny af-ferma nel suo rapporto al congresso nazio-nale: «Noi sentiamo questa paura che para-lizza gli stranieri, che fa in modo che essi nonvengano più alle riunioni, una situazioneche fa sì che su 417 tesserati solo 250 fre-quentano regolarmente. [...] In aggiunta de-vo dire che mi è totalmente impossibile, al-l’infuori delle riunioni pubbliche, riscuote-re le quote. Gli iscritti abitano nella città dellaminiera, e sono sorvegliati dalla polizia. Ab-biamo avuto dei tesserati espulsi o basto-nati per essere stati visti con il segretariodel sindacato, altri sono stati espulsi sempli-cemente perché avevano la tessera Cgtu intasca. [...] È insomma già il fascismo senzaMussolini che regna qui»13.

Intanto dalla metà di dicembre 1922 il go-verno francese vuole costringere la Germa-nia a fare fronte alle obbligazioni imposte daltrattato di Versailles.

Dal 6 al 9 gennaio 1923, a Essen, si tieneuna conferenza internazionale a cui parteci-pano i comunisti tedeschi, francesi, belgi,lussemburghesi, polacchi e italiani, per lot-

10 GÉRARD NOIRIEL, Longwy, Immigrés et Proletairés 1880-1890, Paris, Presses Univer-sitaires de France, 1984, p. 243.

11 Ibidem.12 Ibidem.13 Ibidem.

Page 35: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

34 l’impegno

tare contro le conseguenze del “diktat di Ver-sailles”. Per il Partito comunista francesepartecipano Cachin, Treint, Antoine Ker,Pierre Sémard e Monmousseau.

L’11 gennaio le truppe francesi occupa-no la Ruhr e arrestano Cachin, Treint, Geor-ges Marrane e Monmousseau, accusandolidi complotto contro la sicurezza dello Stato.

Il Pcf e gli altri partiti comunisti presentialla conferenza di Essen collaborano con icomunisti tedeschi per un piano d’azionecontro l’imperialismo franco-belga. Mauri-ce Thorez ricorda così quei giorni: «A Dui-sbourg, a Dortmund i soldati francesi can-tano l’Internazionale, prendono la direzio-ne delle manifestazioni rivoluzionarie; adEssen, rifiutano di tirare sui disoccupati cheavevano invaso il municipio. La repressio-ne è severa. I dirigenti del Partito e dellaC.G.T.U., Cachin, Monmousseau, Sémard ealtri, sono imprigionati sotto accusa di com-plotto. Alla Santé, Gabriel Péri fa lo sciope-ro della fame. Il Consiglio di guerra che ri-siede a Magonza distribuisce 33 anni di car-cere a 37 giovani soldati»14.

Tanto le autorità occupanti quanto quel-le tedesche cercano di ottenere il consensodegli operai della Ruhr, indispensabile perrealizzare i propri fini. La militante comuni-sta Käte Pohl descrive il conflitto in questitermini: «Era di importanza capitale, sia perla borghesia tedesca sia per i generali fran-cesi, avere dalla propria parte gli operai. Gliuni e gli altri hanno cercato di attrarre nelloro campo il proletariato della Ruhr e nonhanno lesinato sulle spese per riuscirvi. Igenerali francesi sfruttano coscientementel’odio della classe operaia tedesca per i suoi

padroni... I generali francesi non perdonooccasione per ripetere che le truppe france-si sono entrate nella Ruhr contro i borghesie non contro gli operai... Numerosi agentifrancesi percorrono la Ruhr ribadendo lostesso concetto. Da parte tedesca si com-piono gli stessi sforzi. Allorché un direttoreviene arrestato dai francesi, si cerca di co-stituire nella fabbrica una “commissione diliberazione”, composta soprattutto da ope-rai e comprendente, se possibile, un opera-io comunista... Lo sciopero di protesta è an-cor più di moda delle “commissioni di libe-razione”. Qualunque cosa succeda: l’arre-sto di un direttore, la condanna di un sinda-co, l’espulsione di un funzionario, si cercadi provocare uno sciopero, promettendoagli scioperanti il pagamento delle giornatedi sciopero»15.

Ma per i lavoratori, nonostante le minac-ce d’ogni tipo, è decisiva la pressione dellamiseria. Gli operai si rendono conto di nondifendere la propria causa dando solidarie-tà al loro padrone. I consigli di fabbrica del-la Thyssen contestano i delegati che han-no accettato di votare con i padroni una mo-zione per la liberazione di Fritz Thyssen ju-nior, arrestato dagli occupanti. Ma nono-stante la propaganda nazionalista da essistessi sostenuta, gli industriali non perdo-no di vista i propri interessi materiali. Il car-bone non viene distribuito alle famiglie ope-raie, come chiedono il Partito comunista, leorganizzazioni sindacali e i comitati di fab-brica, e resta nei depositi delle miniere finchégli autocarri degli occupanti non lo porta-no via; i padroni si accontentano, nel miglio-re dei casi, di una energica protesta verba-

14 MAURICE THOREZ, Figlio del popolo, Roma, Edizioni di cultura sociale, 1950, pp. 52-53.15 KÄTE POHL, L’occupation de la Ruhr et la lutte du prolétariat allemand, in “Bulletin

communiste”, n. 10, 8 marzo 1923, pp. 158-159, in PIERRE BROUÉ, Rivoluzione in Germania,1917-1923, Torino, Einaudi, 1977, p. 643.

Page 36: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 35

le. La “resistenza passiva” degli industrialiha sempre più l’aspetto di una commedia.

La tragedia si svolge invece nei quartierioperai. L’aumento dei prezzi, la crescente di-soccupazione e la miseria provocano esplo-sioni di rabbia e manifestazioni di piazza re-presse dagli occupanti: a Buer-Reckling-hausen l’esercito franco-belga impiega i carriarmati contro gli operai. A Essen, il 31 mar-zo, i cinquantatremila operai della Krupp insciopero, all’arrivo della notizia che l’eser-cito francese requisisce gli autocarri che ser-vono a trasportare i loro approvvigionamen-ti, manifestano contro gli occupanti: tredicimorti e quarantadue feriti. Gli stessi operaipraticamente non reagiscono quando, qual-che giorno dopo, viene arrestato lo stessoGustav Krupp. Il 13 aprile, a Mülheim, glioperai prendono d’assalto il municipio e,sotto la spinta di militanti comunisti e anar-co-sindacalisti, nominano un Consigliooperaio che decide la distribuzione di vive-ri e la creazione di una milizia operaia. Gli oc-cupanti non intervengono perché l’azionenon è diretta contro di loro, ma autorizzanola polizia tedesca a penetrare nella loro zonaper ristabilirvi l’ordine. La polizia rioccupail municipio di Mülheim il 21 aprile, lascian-dosi dietro una lunga scia di sangue: diecimorti e settanta feriti.

Alla conferenza dei consigli di fabbrica,che si riunisce a Essen l’11 marzo, si insistesulla necessità di lottare contro l’occupazio-ne della Ruhr e il trattato di Versailles, conla propaganda rivoluzionaria nelle file delletruppe d’occupazione, con il disarmo deicontrorivoluzionari, con l’armamento deglioperai, con il governo operaio e la creazionedegli organi del fronte unico proletario, coni comitati di controllo, i consigli di fabbricae, soprattutto, con la creazione delle Centu-rie proletarie (Proletarische Hundertschaf-ten). E sono proprio le Centurie proletarie,organizzazioni paramilitari che ritroveremo

attive l’anno successivo in Francia, la crea-zione più originale dei comunisti della Ruhrdurante il 1923.

Dal 1918 la necessità dell’armamento delproletariato è sempre presente nella mentedei dirigenti del partito. La parola d’ordinedell’organizzazione dell’autodifesa operaiacomincia a concretizzarsi nella Ruhr dell’oc-cupazione franco-belga, dove, in seguitoall’espulsione delle forze di polizia tedeschee alla continua infiltrazione degli uomini deiFreikorps, essa diventa una necessità impel-lente per tutti i lavoratori. L’organizzazionesi estende poi al resto del paese. Le Centu-rie proletarie esistono già prima dell’11 mar-zo in altre località: a Chemnitz dieci di essesono entrate in azione il 9 marzo per impedi-re una riunione nazionalista, a Gera quattroCenturie sono sfilate il 4 marzo, imitate aZella-Mehlis l’11 marzo da quattromila cen-turioni della Turingia meridionale. Nel girodi qualche settimana il movimento si esten-de a tutta la Germania e il 1 maggio a Berlinola tradizionale sfilata è aperta dalle Centurieproletarie, che fanno sfilare al passo venti-cinquemila uomini col bracciale rosso.

Il Kpd dedica grande attenzione alle Cen-turie, la cui costituzione e organizzazionepratica sono poste sotto il controllo di unacommissione speciale di tre membri, desti-nata in breve tempo a diventare il Consigliomilitare del partito, sotto la direzione di ErnstSchneller. Le Centurie si sviluppano su largascala solo in Turingia, in Sassonia e nellaRuhr.

I comunisti tedeschi vogliono fare delleCenturie proletarie degli “organi del fronteunico”; cercano perciò di farvi entrare anchemilitanti socialdemocratici e sindacalistisenza partito.

Nel marzo dello stesso anno viene con-vocata a Francoforte una conferenza inter-nazionale alla quale vengono invitati anchei partiti della Seconda Internazionale e i sin-

Page 37: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

36 l’impegno

dacati di Amsterdam. Si presentano pochisocialdemocratici, mentre una larga maggio-ranza dei partecipanti è comunista. L’impor-tanza attribuita a questa conferenza è datadall’alto livello dei delegati sovietici, guidatida Nicolaj Bucharin16, che darà conto dell’e-sperienza con una relazione al Congressodel Partito comunista (bolscevico) del 1923.Brandler, la Zetkin e i delegati francesi e bri-tannici denunciano tutti il trattato di Versail-les e l’occupazione della Ruhr. Le principalirisoluzioni della conferenza sono direttecontro il «pericolo di guerra» e «il fascismointernazionale». Ma da questa conferenzaesce rafforzata anche la parola d’ordine delPcf della secessione dell’Alsazia-Lorena,che dovrà legarsi alla rivoluzione tedescafacendo nascere nel cuore dell’Europa unostato socialista che potrà contare su enormirisorse minerarie.

A partire dal marzo 1923 la Gioventù comu-nista francese conduce un’intensa attivitàantimilitarista e antigovernativa tra le truppefrancesi d’occupazione in Germania. I diri-genti dei giovani comunisti Henri Lozeray,Maurice Laporte e Gabriel Péri vengono ar-restati. Il Pcf si trova immerso in un’atmosfe-ra segnata dalla repressione e dalla rivolu-zione; si hanno grandi manifestazioni: il 1maggio con un morto a Parigi, l’8 maggio perla liberazione di Cachin, divenuto ormai uneroe, e il 17 luglio per la liberazione di AndréMarty, anche lui promosso al rango di eroe.

Il Pcf impegna tutta la sua propagandanell’imminente rivoluzione in Germania enell’auspicata contemporanea secessionedell’Alsazia-Lorena, e nello stesso tempo laGioventù comunista è esaltata da queste e-clatanti manifestazioni d’internazionalismorivoluzionario.

Nel corso della prima fase dell’insurrezio-ne tedesca, il ruolo principale spetta alleCenturie proletarie. La loro proibizione intutto il territorio prussiano, a partire dal 15maggio, ne ha impedito un tumultuoso svi-luppo; esse però si sono conservate e altrene sono state create sotto forme diverse, co-me “servizi d’ordine” o come club giovanilie sportivi, ciò che ha permesso loro di fareesercitazioni, marce in campagna e di adde-strarsi all’uso delle armi, ecc.

In maggio esistono in Germania circa tre-cento Centurie. In ottobre ottocento, per untotale di circa centomila uomini, un terzo deiquali nella sola Sassonia, e la metà comples-sivamente in Sassonia e Turingia riunite,dove sono legalmente autorizzate, e un’al-tra buona parte nella Ruhr.

La sera del 21 ottobre 1923, in un piccoloappartamento operaio di Amburgo, si tieneuna riunione della direzione dell’organizza-zione del Partito comunista del Baltico. Pre-siede Ernst Thälmann. All’ordine del giornoc’è l’elaborazione di un piano insurreziona-le, in cui si prevede uno sciopero generale.Il piano è approvato il giorno seguente.

La dirigenza del partito, con sede a Berli-no, decide però di revocare l’insurrezionearmata nel momento stesso in cui diciotto-mila operai dei cantieri di Amburgo sono giàstati mobilitati. Per tre giorni e tre notti è bat-taglia nelle strade della città contro un ne-mico molto più numeroso. Anche se malearmati, gli insorti applicano una tattica fles-sibile che permette loro di conservare le po-sizioni respingendo gli attacchi dell’eserci-to e della polizia. Le battaglie più violente sisvolgono nei sobborghi. Thälmann dirige leoperazioni militari. Naturalmente, senza ri-cevere gli aiuti attesi la rivolta non può du-

16 La composizione della conferenza è descritta particolareggiatamente da Nicolaj Bucha-rin in Dvenadcatyi s’ezd Rossijskoi Kommunistieeskoj partii (bolshevikov), 1923, p. 265.

Page 38: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 37

rare a lungo. Il Comando militare dà quindil’ordine di ritirarsi.

Ad Amburgo si scatena immediatamenteil terrore controrivoluzionario. L’organizza-zione comunista viene soppressa e i suoibeni confiscati. La sconfitta del proletariatoin questa città è il segnale per l’attacco del-la reazione in tutto il paese. In poco tempocadono i governi operai della Sassonia edella Turingia. Il 23 novembre il Kpd vienemesso fuori legge.

Il forte legame con i fatti tedeschi è testi-moniato anche dal fatto che nel maggio 1924la polizia lussemburghese, su richiesta dellaLegazione d’Italia, perquisisce la casa delmuratore Biancardi, che abita in via Adol-phe-Emile a Esch, condividendo la cameracon altri due italiani, Brunero, anch’egli mu-ratore, e Lena, di orientamento fascista. Nel-le condizioni di promiscuità in cui vivono,le opinioni politiche di Biancardi non resta-no a lungo segrete e Lena ne approfitta perchiedere aiuto alla Legazione italiana pre-sentandosi come fascista perseguitato.Biancardi, che è stato espulso dalla Svizze-ra, si dice membro della Terza Internaziona-le, mentre Brunero si dichiara socialista, manel suo portafoglio vengono rinvenute duefoto, una di Rosa Luxemburg e una di KarlLiebknecht.

Il I Congresso mondiale dell’Ic del marzo1919 dà vita all’Internazionale e ne annunciail programma. Il II, del luglio 1920, coincidecon il maggiore sviluppo dell’influenza delComintern e la fiducia nella rivoluzione mon-diale vittoriosa. Ma nel marzo 1921 si avviala Nep, immediatamente seguita dal disastro-so fallimento della sollevazione comunistain Germania, e nel III Congresso del Comin-tern del giugno-luglio 1921 si sente una notadi compromesso e consolidamento. Il IVCongresso del novembre-dicembre 1922procede ancora più avanti lungo la ritirata.

Dei diversi interventi dei delegati italiani,

desta particolare attenzione quello di Picci-ni (Gustavo Mersù), che è senza dubbio ilpiù significativo a proposito della costitu-zione delle Centurie proletarie: il suo inter-vento al Congresso del Comintern ricevel’avallo dell’Internazionale per la formazionedelle Centurie in Francia, avendo presentel’esperienza tedesca dell’anno precedente.

Gli immigrati comunisti italiani, per difen-dersi dai fascisti, girano con armi facilmen-te reperibili al confine belga-olandese e nonsi limitano alla difesa personale, ma organiz-zano una struttura che permette anche al par-tito stesso di essere difeso.

Le riunioni più importanti sono tenute dinotte e nei boschi, quasi sempre di domeni-ca, per via dei turni di lavoro, ed è imperativofare in modo che queste assemblee non ven-gano attaccate. Quindi si scelgono dei gio-vani militanti, con un’esperienza bellica al-le spalle e ben decisi, che, organizzati in“Squadre”, denominazione che troviamo neirapporti della polizia francese, sono deputatialla difesa delle riunioni.

Questo meccanismo, messo in atto già dal1921, soprattutto in Meurthe-et-Moselle,funziona bene, tant’è vero che le Squadreestendono il loro raggio d’azione e dalla di-fesa del partito passano alla repressione del-le provocazioni fasciste.

La polizia e l’opinione pubblica francese,rese miopi dalla xenofobia, non si accorgonodi quanto sta avvenendo, classificano gliscontri armati contro i fascisti come banalirisse tra italiani, a tutto vantaggio dei comu-nisti italiani, che possono così continuarele azioni militari.

Le Centurie sono la militarizzazione e l’am-pliamento su una scala, che si auspicava,di massa delle Squadre.

L’appello di Piccini - divenuto responsa-bile del lavoro militare del Pcd’I nell’agostodel 1924 - e la risoluzione del Congresso sulfascismo, definiscono l’asse attorno al qua-

Page 39: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

38 l’impegno

le elaborare tutta la politica dell’emigrazionecomunista e segnano l’atto di nascita delleCenturie.

Secondo la Commissione esecutiva deigruppi di lavoro italiani, la formazione delleCenturie proletarie garantisce l’autonomiadi classe del proletariato in modo che i suoiinteressi non si trovino ancora una volta arimorchio di «capi borghesi camuffati in an-tifascisti».

Come sottolineato ne “La Riscossa”, leCenturie proletarie non nascono solo perrimpiazzare il fascismo con qualche governoborghese, socialdemocratico, liberal-costi-tuzionale «che significava sotto un’altraforma l’oppressione e lo sfruttamento perla classe operaia, ma l’instaurazione di ungoverno operaio e contadino, solo garantedi una vera libertà e d’una vera giustizia pertutta la classe dei produttori»17.

I compiti del Partito comunista vengonochiariti da un intervento di Togliatti ne “LaRiscossa”: «Accrescere, rinforzare, organiz-zare in coorti di ferro l’avanguardia dellaclasse operaia ed attorno ad essa raccoglie-re, ordinare, serrare dietro sé sempre più lar-gamente le grandi masse lavoratrici, prepa-randole, guidandole alla battaglia. Da diversimesi lavoriamo a questo fine in Italia. Tutta

la nostra azione, tutta la nostra politica, tut-te le “manovre” che abbiamo compiuto mi-ravano a questo obiettivo [...]. Ed è qui cheil problema delle Centurie si pone, piena-mente, senza riserva. Non v’è nulla da na-scondere. Il fascismo resta al potere perchéha una forza armata organizzata. Le opposi-zioni non cacciano il fascismo dal potereperché esse non vogliono che sparisca que-sta forza armata, perché esse vogliono man-tenerla al servizio della borghesia per la di-fesa dell’ordine capitalista. E noi non sarem-mo che degli idioti, degli irresponsabili se,mentre chiamiamo le masse alla lotta perabbattere il fascismo, il potere della borghe-sia e per instaurare un governo degli operaie dei contadini, non impiantassimo una or-ganizzazione della forza, e della forza arma-ta del proletariato»18.

L’appello a costituire delle Centurie pro-letarie ha poco seguito tra le masse emigra-te, e, oltre ai militanti, rispondono all’appel-lo dei comunisti italiani un centinaio di uo-mini. Questo numero è estremamente picco-lo se lo si confronta con le masse dei lavo-ratori italiani residenti in Francia, tuttavia èsufficiente perché la polizia veda un succes-so immediato: in un rapporto si afferma che«le adesioni a Parigi ammontano a 15 Cen-

17 “La Riscossa”, a. I, n. 14, 18 ottobre 1924.18 PALMIRO TOGLIATTI, La situazione italiana e le Centurie proletarie, in “La Riscossa”,

a. I, n. 23, 20 dicembre 1924. Qualche tempo dopo l’Up del Pcf aveva adottato delle tesi suLa situation italienne in cui sviluppava un argomento identico, precisando che la pro-paganda del partito italiano deve essere «legata alla propaganda in favore dell’armamentodel proletariato e della costituzione delle Centurie proletarie», in “Bulletin communiste”, a.V, n. 42, 17 ottobre 1924.

Questo è sottolineato da un rapporto dei servizi della Prefettura di polizia “ou sujet grou-pements communistes italiens en France”, in Archives nationales de France (Paris), sousséries F/7, Police generale 1789-1978 (d’ora in poi AN, F/7), 13456, 14 febbraio 1925; un altrorapporto anteriore a questo già citato, anch’esso proveniente dai servizi della Prefettura,conferma la cifra di quindici centurie per un totale di millecinquecento uomini; si tratta dellanota “ou sujet des Centuries ou Chemises rouges”, 22 ottobre 1924, AN, F/7, 13455.

Page 40: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 39

turie complete, inquadrate e organizzate se-condo i principi militari»19.

Inoltre «a soli due mesi dalla nascita [...]nel dipartimento della Meurthe-et-Moselle[ci sono] alcuni nuclei particolarmente atti-vi nei confronti dei fascisti italiani»20.

Dall’inizio di settembre 1924, Adamo Za-nelli, che incontreremo tra gli arrestati daitedeschi nella Parigi occupata nel febbraiodel 1942, viene mobilitato per la preparazio-ne della manifestazione del 28 settembre1924, convocata dal Pcf a Puteaux, per com-memorare l’anniversario della fondazionedella Prima Internazionale.

Il giorno della manifestazione millecentoitaliani, cinquecento dei quali indossano lacamicia rossa, con i gradi riconoscibili dauna piccola insegna cucita sulla manica,sfilano divisi in centurie, in silenzio e al passocadenzato.

Un rapporto di polizia indica che «ciascu-na di queste “centurie”, era preceduta da ungagliardetto rosso senza iscrizione ma incra-vattato da una piccola banderuola bordatad’oro sulla quale si leggeva: “...esima cen-turia” e il nome di un capo comunista comeTrotzki, Lenin, Spartaco, ecc...»21. Un altrorapporto precisa che «le Centurie hanno sfi-lato [...] in mezzo alla carreggiata, mentre glialtri manifestanti, francesi e stranieri, si con-centravano su di un controviale. Questi ma-nifestanti applaudivano calorosamente algrido di “Viva l’Armata rossa”»22.

Una manifestazione così plateale come

quella di Puteaux, che mostra la potenza or-ganizzativa degli immigrati comunisti italia-ni, mette in allarme le destre.

Camille Chautemps, radicale, ministro del-l’Interno, in una lettera del 25 ottobre 1924,indirizzata a Gaston Doumergue, presidentedella Repubblica, gli sottopone un progettodi decreto riguardante la regolamentazionedel soggiorno degli stranieri in Francia: «Si-gnor Presidente, la legislazione relativa alsoggiorno degli stranieri in Francia attual-mente si trova sparsa in diversi testi, segna-tamente nel decreto del 2 aprile 1917 che hacreato la carta d’identità, ed in quello del 6giugno 1922 relativo ai lavoratori. Il proget-to di decreto che Le sottopongo vuole consi-derare questa regolamentazione in un testounico. Alcune disposizioni sono state pre-se all’inizio della guerra e sono superflue[...]. Nel regime della legislazione attuale [...]i lavoratori [...] possono entrare in Franciasenza che si esiga alcuna garanzia. In virtùdi questa tolleranza, numerosi sono stati gliindesiderabili che sono entrati nel nostroterritorio. I lavoratori verranno sottoposti al-la regola comune dell’inchiesta preliminaree tenuti a giustificare la loro identità alle stes-se condizioni di tutti gli altri stranieri: cosìla sorveglianza diventerà più facile e più ef-ficace»23. L’inchiesta preliminare di Chau-temps vuole filtrare maggiormente l’entratadegli stranieri sul territorio francese, nellasperanza di bloccare alla frontiera gli indesi-derabili e i sovversivi.

19 LORIS CASTELLANI, L’émigration communiste italienne en France (1921-1928). Orga-nisation et politique, in Fondazione Istituto Gramsci, Annali 1991, Roma, Editori Riuniti,1993, p. 471.

20 SIMONETTA TOMBACCINI, Storia dei fuorusciti italiani in Francia, Milano, Mursia, 1988,p. 30.

21 AN, F/7, 13455, nota del 22 ottobre 1924.22 AN, F/7, 13456, rapporto in data 14 febbraio 1925.23 “Bulletin du ministre de l’Intérieur”, 1924, p. 287.

Page 41: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

40 l’impegno

Il decreto viene promulgato nel 1925 e sta-bilisce che «per i lavoratori stranieri entratiin Francia, la carta d’identità invece di es-sere rilasciata come in passato dai commis-sari speciali di frontiera, sarà rilasciata daiprefetti solo dopo un’approfondita inchie-sta sulla moralità ed identità dell’interessa-to [...]. La loro sorveglianza s’impone anco-ra di più allorché essi si ritrovano in grannumero concentrati in una località, per ilsolo fatto che, non essendo assimilati ai no-stri modi e costumi, essi costituiscono unelemento di turbativa anche se non commet-tono alcun delitto»24.

Il clima che si respira in quei giorni in Fran-cia è ben rappresentato dal processo Bono-mini.

Il 20 ottobre 1924 si apre, davanti all’assi-se della Senna, il processo contro ErnestoBonomini, che il 27 marzo dello stesso annoha ucciso, con due colpi di pistola esplosinella terrazza di un caffè parigino, il primosegretario del fascio italiano a Parigi, NicolaBonservizi che, tra l’altro, ha ospitato Du-mini, uno degli assassini di Matteotti. Il pro-curatore generale Scherdlin, nella sua requi-sitoria, vanta i meriti dell’uomo onesto Ni-cola Bonservizi; fa l’elogio dell’opera e del-l’azione del fascio di Parigi, che ai suoi oc-chi non è che un’associazione di propagan-da e d’assistenza le cui attività sono moltoraccomandabili; infine passa a descrivere legesta del criminale, sedicente vittima dellepretese violenze fasciste in Italia. I fascistiparigini si costituiscono parte civile.

Ernesto Bonomini viene condannato a ot-to anni di lavori forzati e a dieci d’interdizio-ne di soggiorno. Nicola Bonservizi, secon-do la giustizia francese, esce immacolato: sitratta invece di uno dei più violenti gerar-chi, che ha esortato senza sosta le milizie fa-

sciste ad effettuare rappresaglie contro i mi-litanti operai.

Il 19 novembre Adamo Zanelli ritorna infamiglia a Hussigny, sperando così di rien-trare in un salvifico anonimato.

Il 23 novembre 1924 il governo del Bloc-co delle sinistre decide di fare del trasferi-mento delle ceneri di Jaurès al Panthéon unagrande manifestazione. Ma il Pcf oppone al-l’immagine del Jaurès “patriota” e “feroce-mente francese”, quella antimilitarista e in-ternazionalista.

Il Pcf si appella alla classe operaia per ma-nifestare massicciamente dietro il corteo uf-ficiale, per esprimere indignazione e salvarel’onore dell’uomo politico assassinato nel1914, di fronte ai tentativi di accaparrarnel’eredità travisandone la figura.

I militanti dell’emigrazione comunista ita-liana accorrono in forze all’appuntamentoe il numero dei centurioni partecipanti è paria quello della manifestazione di Puteaux.

Le Centurie proletarie sfilano in parata inmezzo ad una nuvola di bandiere rosse,marciando al ritmo dell’“Internazionale” e di“Bandiera Rossa”, lanciando parole d’ordi-ne contro il governo.

La sfilata delle forze comuniste durante lacerimonia ufficiale contribuisce ad alimen-tare i timori di una frangia della piccola bor-ghesia e fornisce il pretesto agli uomini po-litici della destra per attaccare il governo delcartello delle sinistre, al potere da maggio,appoggiando una campagna di stampa chestrombazza ai quattro venti un preteso com-plotto bolscevico in preparazione.

Il rumore dell’affare arriva in Italia e vieneripreso da Mussolini in un discorso al Se-nato. L’attività degli immigrati comunisti ita-liani lo innervosisce. È probabile che denun-ciandola cerchi di spianare la strada alle au-

24 L. CASTELLANI, op. cit., p. 477.

Page 42: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 41

torità consolari fasciste in Francia, per chie-dere ufficialmente al governo del Blocco del-le sinistre di far cessare le manifestazioni an-tifasciste degli immigrati italiani.

Infatti, in seguito alle richieste del baroneAvezzana, ambasciatore d’Italia a Parigi,Herriot mette la polizia francese al serviziodelle autorità consolari italiane, cosicché aifasci viene assicurata protezione.

I fascisti italiani, con l’intermediazione del-le autorità consolari, possono richiedere l’in-tervento della polizia contro gli immigratiantifascisti.

A questo punto il governo francese deci-de l’espulsione dei militanti direttamentecoinvolti nelle Centurie proletarie.

Tra la fine del 1924 e i primi mesi del 1925diverse centinaia di militanti comunisti ita-liani e di altre nazionalità sono espulsi dallaFrancia. I dipartimenti più toccati sono laMeurthe-et-Moselle (in particolare i bacinidi Longwy e Knutange) e le Alpi Marittime.A Longwy, secondo quanto riporta “La Ri-scossa”, il 24 gennaio 1925, in due ore ven-gono effettuate dieci espulsioni.

Le biografie

Finora abbiamo visto l’ambiente nel qualesi muovono alcuni dei protagonisti di que-sta storia; entriamo ora un po’ più nel detta-glio delle singole biografie per le quali mi èstato possibile reperire materiale, a partireda Ilio Barontini, colui che istruirà Rohreg-ger, Buzzi e Zanelli su come costruire lebombe chiamate dai francesi “Giobbe”25.

Barontini ha un curriculum di combatten-te di tutto rispetto. All’inizio degli anni ven-ti è consigliere comunale e segretario dellaCamera del lavoro di Livorno; per sfuggirealle persecuzioni fasciste si rifugia nellaRussia sovietica, dove viene scelto per fre-quentare i corsi alla celeberrima Accademiamilitare Frunze26, conseguendo il grado dimaggiore dell’Armata rossa.

Il suo primo incarico è in Cina in aiuto diMao e in seguito in Spagna come consiglie-re militare. Viene quindi nominato commis-sario politico della brigata “Garibaldi” al po-sto di Randolfo Pacciardi.

Barontini, con le sue invenzioni geniali,gioca un ruolo determinante nella vittoriaitaliana nella battaglia di Guadalajara. Qual-che tempo dopo viene rimosso dall’incarico,che passa nelle mani di Riccardo Rohregger.

Riccardo Rohregger

Riccardo Rohregger (Pola, 2 aprile 1898 -Parigi, 16 aprile 1942) «nel 1916 [...] fu chia-mato alle armi e rientrato dal servizio milita-re nel 1919 mi raccontò della sua diserzionee del suo girovagare per l’Austria con unozaino di moduli e timbri rubati nelle cancelle-rie dell’Imperial Regio Esercito austrounga-rico: gli consentivano di cedere licenze aquanti non se la sentivano di combatterecome lui. Scoperto venne arrestato e trasfe-rito nell’antica prigione-fortezza di Graz, inattesa di venir processato da un Tribunalemilitare. Il crollo lo salvò da severissima con-danna»27. Rientrato a Pola nel 1919 lavora

25 Così chiamate in onore del loro inventore, Ilio Barontini, il cui nome di battaglia all’epocaè proprio “Giobbe”.

26 Si tratta della più prestigiosa accademia militare della Repubblica sovietica, nella qualevengono formati gli ufficiali superiori dell’Armata rossa.

27 CLAUDIO RADIN, Profilo di un comunista polese. Riccardo Rohregger-Ricard “El Longo”un leggendario del movimento operaio (Nuovi contributi), in “Quaderni. Centro di ricer-che storiche, Rovigno”, volume VIII, 1984-1985, p. 329.

Page 43: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

42 l’impegno

nel Genio della Marina ma viene «licenziatoper i suoi aperti sentimenti sovversivi»28.

Nel 1920 viene arrestato per l’incendio del-la direzione del “Lavoratore socialista” diTrieste, per aver tentato di espatriare illegal-mente in Russia, per duplice tentato omi-cidio.

Nel 1921 Riccardo fa parte delle cosiddetteSquadre di difesa - che, come già detto, ri-troveremo con lo stesso nome e funzionenell’emigrazione in Francia -, che per un cer-to periodo aderiscono al movimento degliArditi del popolo, ma che ben presto il Par-tito comunista connota come proprie squa-dre paramilitari di difesa composte da cin-que-sette giovani coraggiosi.

«Le “Squadre di difesa” comuniste opera-vano nei settori Ponte-Siana sotto la guidadi Arturo Fonovich, Castagner-Comunalsotto la guida di Giordano Fabris, nel Centrocittà con alla testa Riccardo Rohregger, nel-la zona di Baracche-Veruda sotto la guidadi Mario Steffè ed a Monte Rizzi sotto la gui-da dei fratelli Vidulich. Coordinatore di tuttele squadre fu dapprima Giuseppe-Bepi Pirze successivamente Riccardo Rohregger»29.

Gli scontri tra squadristi e Squadre di di-fesa sono delle vere e proprie battaglie diguerriglia urbana: «Uno degli scontri piùdrammatici con i fascisti avvenne nellaprimavera del 1923 in via Besenghi, oggi viaJoakim Rakovac. I compagni ebbero sentoreche i “neri” avrebbero tentato di incendiarela Camera del lavoro (la seconda sede, la pri-ma era stata distrutta nel 1920), sita dietrol’Arena, dove una volta c’era il primo cam-

po di pattinaggio. Toni De Luca, uno dei piùnoti dirigenti comunisti polesi fra le dueguerre, fu mandato allora in avanscoperta,ma al ritorno non trovò più i compagni nelposto in cui li aveva lasciati. Si diresse allo-ra in via Besenghi: era già in atto lo scon-tro. I fascisti inseguivano Matteo Glavicic-Mate, il quale, con una “Steyer” per manosparava contro i fascisti. Poi intervenneroArturo Fonovich, Rico Rohregger, Giovan-ni Radolovich, Giordano Fabris, GregorioMacchi, lo stesso De Luca, Giovanni Valh eVittorio Jurcich, e qualche altro compagno.Volarono anche bombe “Sipe” lanciate daFonovich. Per fortuna dei fascisti, nella stra-da erano in corso i lavori per la nuova cana-lizzazione e così poterono gettarsi nel canale,riparandosi dalle rivoltellate»30.

Poche settimane dopo avviene lo scontroche costringerà Rohregger a eclissarsi e in-fine a lasciare Pola: «Un secondo scontroavvenne una domenica di primavera, pochesettimane dopo lo scontro di via Besenghi.Per via Campo Marzio camminavano i giova-ni comunisti Gianni Fiorentin, Rico Rohreg-ger e il prof. Dolce diretti verso il Foro. Perla stessa strada, in senso inverso, alcuni fa-scisti tra cui Dinelli rientravano alla loro se-de, sita in via Sergia, oggi via Primo Maggio,e precisamente nella casa dove ebbe sede,nel secondo dopoguerra, la redazione de “IlNostro Giornale”. Era il mattino. Probabil-mente i fascisti erano stati fuori per una fo-tografia in gruppo, perché il Dinelli imbrac-ciava il treppiede della macchina fotografi-ca e con quello cercò di colpire Rico. Rohreg-

28 Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale (d’ora in poi ACS, Cpc), Ric-cardo Rohregger, Cenno biografico al giorno 16 aprile 1922.

29 GIACOMO SCOTTI, Appunti per una biografia. Riccardo Rohregger di Pola comandantein Spagna, in “Quaderni. Centro di ricerche storiche, Rovigno”, volume IV, 1974-1977, pp.313-314.

30 Idem, pp. 314-315.

Page 44: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 43

ger, però, aveva pronta la pistola nel berret-to che teneva in mano, e sparò fulmineamen-te. Scapparono tutti, meno il famigerato“comandante” Sallustio, capo del Fascio dicombattimento di Pola: ferito al naso, si get-tò a terra tentando di svignarsela su quattrozampe; e Rico a premergli la pistola sul fon-do della schiena. Ma la pistola era inceppa-ta, e fu Rico allora a fuggire. Due guardieregie, di sentinella davanti alla “Banca diSconto”, tentarono di fermarlo; davanti allapistola minacciosa anche se scarica, scap-parono anch’essi rifugiandosi in un porto-ne. Prendendo per un clivo, su per la colli-na del Castello, Rico fece perdere le sue trac-ce. Da allora non fu più visto a Pola»31.

Secondo la polizia politica Rohregger la-scia Pola nel 1922, ma in realtà «sembra [...]che egli abbia lasciato la città appena nel1924 (così almeno ha dichiarato il compagnoAndrea Benussi, residente a Fiume, che eb-be modo di conoscere Riccardo Rohreggerin Francia)»32.

Una volta lasciata Pola, Rohregger si diri-ge a Vienna dove, stando a una testimonian-za di Toni De Luca, attende i documenti delpartito, per poi raggiungere Berlino33 tra il1924 e il 1925. Quando Rohregger raggiun-ge la Germania, come abbiamo visto, le Pro-letarischen Hundertschaften, dopo il disa-stroso tentativo rivoluzionario dell’ottobre1923, sono state messe fuori legge in tuttoil territorio della Repubblica di Weimar.

Il Partito comunista tedesco corre ai ripa-ri costituendo nel 1924 una nuova organiz-zazione paramilitare, la Rotfrontkämpfer-

bund (Rfkb), la Lega dei soldati rossi di pri-ma linea, che diventa la truppa d’assalto delpartito, arrivando nel suo periodo di massi-ma espansione a centotrentamila membri.

La Rfkb, come dice il suo nome, cerca e-splicitamente di coltivare il ricordo dell’e-sperienza della guerra. Pratica il culto dellabandiera, indossa uniformi, inventa comesaluto il pugno chiuso e usa la terminologiamilitare. Proclama con orgoglio che soltantoi soldati di prima linea entrano nei suoi ran-ghi e che nessuno che abbia servito nelleretrovie viene ammesso (i cosiddetti Etap-penschweine: maiali dei quartier generali),nessun ufficiale o cappellano militare è ilbenvenuto. I combattenti rossi di prima li-nea vengono considerati un esercito che di-fende il proletariato.

Gli obiettivi del Kpd vengono combinaticon il culto dell’esperienza della guerra, lalotta di classe con il tradizionale culto deicaduti. Perciò da una parte la Rfkb asseri-sce che la sua missione è di preparare la gio-ventù proletaria per la lotta di classe e allostesso tempo depone corone sulle tombedei caduti e le bandiere vengono consacra-te negli stadi.

È in questa organizzazione che Rohreggermilita e fa esperienza di combattimenti distrada fino al 1930, anno in cui viene espul-so dalla Germania e si reca in Francia. È Ste-fano Schiapparelli testimone della cosa: «Eragiunto a Parigi nel 1931 dalla Germania, e-spulso da Berlino, dove aveva partecipatoalle lotte di strada contro le “camicie brune”di Hitler»34.

31 Idem, p. 315.32 Ibidem.33 Cfr. idem, p. 316.34 STEFANO SCHIAPPARELLI, Ricordi di un fuoruscito, Milano, Edizioni del Calendario, 1971,

p. 202.

Page 45: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

44 l’impegno

Nel 1932 Riccardo è a Mosca alla scuolaleninista35, per un corso di tredici mesi; in-viato di nuovo in Francia, diventa uno deiresponsabili dei gruppi di lingua italiana delPcf per la regione sud-est di Parigi. Nellastessa regione promuove e dirige il Comita-to proletario antifascista (Cpa).

Nel 1936 lo troviamo volontario in Spa-gna, e nel maggio 1937 è commissario di trebatterie di artiglieria; l’8 luglio viene feritoad una gamba nella battaglia di Brunete. Allafine di settembre del 1937 è nominato com-missario politico della brigata “Garibaldi”,in sostituzione di Ilio Barontini36.

Dopo la sconfitta della Repubblica spa-gnola, Rohregger ritorna in Francia con lasua compagna Sonia Bianchi; grazie a leiriesce ad evitare la prigionia in campo diconcentramento e ha così modo di frequen-tare un corso di scuola di partito che si tie-ne in Normandia37.

Sonia Rohregger

Sempre sul finire degli anni venti Sara So-nia Pflaster (Sienawa, Polonia, 1908 - Dra-nem a Ris, Francia, 14 gennaio 1994)38, futu-ra moglie di Riccardo Rohregger, lascia laPolonia.

Nasce in un piccolo villaggio della partetedesca del paese, Sienawa, non lontano daCracovia. Il padre, Marcus Marin, è un ebreoerudito, profondo conoscitore di yiddish etalmud. Dalla madre, Tilla Pflaster, eredita ilil cognome perché gli ebrei non possono

passare attraverso la chiesa cattolica per leregistrazioni dello stato civile.

La coppia, tra il 1901 e il 1910, ha sette fi-gli: Sonia è la sesta.

Frequenta la scuola polacca e parla yid-dish soltanto in famiglia, ma, nonostante ilsostegno del padre e della maestra tedesca,smette presto di andare a scuola, conser-vando per tutta l’esistenza la fame di letturee la frustrazione degli autodidatti.

Abbandona la fede verso i quindici anni,quando inizia a frequentare un circolo dioppositori politici vicino al Bund, studian-do, in letture collettive e rivoluzionarie, au-tori messi al bando come Darwin.

Lascia la Polonia alla fine degli anni venti,passando per la Germania e Strasburgo, pri-ma di stabilirsi nella regione parigina. Que-sta parte della sua vita è segnata dal lavoroin fabbrica: diventa comunista, sindacalistamilitante e prosegue gli studi presso l’Al-leanza francese.

Sonia intende anche integrarsi nella so-cietà francese, e, lottando contro le difficol-tà della lingua, dimentica progressivamen-te i residui del suo essere polacca ed ebrea.

Il suo ideale di laicità e di giustizia socialetrova un senso nelle idee comuniste e nel-l’esaltazione del modello sovietico. Nel 1930Sara Sonia Pflaster, ebrea comunista polac-ca, deve mascherare le sue origini per evi-tare l’esilio, e contrae un matrimonio “bian-co” con un antiquario corso, Jules Bianchi,che sparisce dalla sua vita dopo il servizioreso al partito (1933).

35 Ibidem. Si veda anche ANTONIO ROASIO, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista,1977, p. 93n.

36 PAOLO SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, volume III: I fronti popolari,Stalin, la guerra, Torino, Einaudi, 1967, p. 227.

37 Per maggiori notizie su questa scuola di partito cfr. S. SCHIAPPARELLI, Studenti illegaliin Normandia, in “I comunisti”, a. VI, n. 1, marzo 1970, p. 32.

38 Le notizie su Sonia Bianchi mi sono state fornite da suo figlio, Serge Bianchi.

Page 46: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 45

Mario Buzzi

Alla fine degli anni venti anche altri prota-gonisti della vicenda del gruppo Rohreggerentrano in scena, come Mario Buzzi (Udine,5 ottobre 1906 - Parigi, 16 aprile 1942), che il13 giugno 1928 viene condannato dal Tri-bunale speciale a dieci anni di carcere per«complotto contro lo Stato, istigazione acommettere atti contro lo Stato, appartenen-za al Partito comunista». Uscirà di carceresette anni dopo, nel 1935, per amnistia e saràsottoposto a regime di libertà vigilata. Manel 1936 è a combattere in Spagna nella bri-gata “Garibaldi”.

Dopo la sconfitta della Repubblica tornaa Udine e assieme alla sua compagna, Ame-lia Passon (Udine, 15 maggio 1898), fuggein Francia passando illegalmente la frontierapresso il Col di Tenda il 10 ottobre 1938. Es-sendo senza passaporto, il 21 dicembre del-lo stesso anno vengono entrambi condan-nati a un mese di prigione. Intervengono inloro favore la Lega dei diritti dell’uomo e ilSoccorso popolare. Mario e Amelia vengo-no liberati il 13 gennaio 1939 con l’ordine dilasciare la Francia entro il 17 gennaio, magrazie all’intervento delle due associazioniottengono lo status di rifugiati politici e ilpermesso di rimanere. Buzzi aderirà all’Unio-ne popolare italiana.

Adamo Zanelli

Adamo Zanelli (Pieve di Rivoschio, 1 gen-naio 1899 - Forlì, 10 ottobre 1970) emigra inFrancia con tutta la famiglia a Hussigny,Meurthe-et-Moselle, nel 1910. Il 13 luglio1912 viene assunto in qualità di aiutante fab-bro nella stessa miniera dove già lavora il

padre. Il 1 agosto 1914 tutta la famiglia tor-na in Italia e il 17 febbraio 1917 viene chia-mato alla armi nella 25a compagnia del Ge-nio zappatori e mobilitato in zona di combat-timento, il monte Grappa, il 6 luglio dello stes-so anno; viene posto in congedo il 12 dicem-bre 1920. Nel marzo del 1921 raggiunge lafamiglia di nuovo emigrata a Hussigny e tor-na a lavorare in miniera. Si iscrive al Partitocomunista italiano e a quello francese, di cuiè segretario della federazione locale.

Viene espulso dalla Francia, a causa dellasua attività politica, nel 1923, e di nuovo nel1925. Si rifugia in Lussemburgo, dove fun-ge da agente di collegamento tra il Pci, il Pcf,e il Pkl con Westerne Europäische Büro, l’uf-ficio clandestino dell’Internazionale comuni-sta a Berlino. Verrà espulso anche dal Lus-semburgo, sempre a causa della sua attivi-tà politica, nel 1929, epoca in cui ripara inSvizzera, a Basilea, dove diventa dirigentedel Soccorso rosso internazionale. In que-sto periodo verrà inviato diverse volte clan-destinamente dal Pci in Italia. Allo scoppiodella guerra civile spagnola recluta volonta-ri per le Brigate internazionali e questo, neldicembre del 1936, gli costerà un’ennesimaespulsione.

Tornato clandestinamente in Francia, vie-ne arrestato nel 1940 dalla polizia di Vichy econdannato a tre anni di confino per attivi-tà sovversiva. Il 14 febbraio 1942 viene trat-to in arresto dalla polizia fascista francese econsegnato alla Gestapo.

Ernesto Ferrari39

L’artificiere che nella Parigi occupata dainazisti caricherà le bombe prodotte dal grup-po Rohregger, nel novembre 1928 viene

39 Le notizie biografiche su Ernesto Ferrari sono tratte dal lavoro biografico curato da Mat-teo Cefis e gentilmente fornitomi dall’autore.

Page 47: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

46 l’impegno

chiamato alle armi ma gli viene riconosciutoil titolo di ferma minima e di fatto viene di-spensato dall’obbligo di leva per mancanzadi istruzione premilitare. Entra in contattocon il Pci e nel 1935, su disposizione del par-tito, espatria clandestinamente in Francia,a Parigi. Viene successivamente inviato aMosca per partecipare al convegno inter-nazionale della gioventù comunista; qui locoglie il richiamo alle armi per l’aggressio-ne fascista all’Etiopia. Su consiglio di To-gliatti, rimane in Unione Sovietica e frequen-ta la scuola leninista.

Allo scoppio della rivolta franchista fre-quenta un corso rapido presso l’Accademiamilitare Frunze e decide di partecipare congli allievi più giovani alla difesa della Re-pubblica spagnola.

Nel maggio 1937, all’età di ventotto anni,raggiunge la Francia e assieme ad altri vo-lontari si reca in Spagna su delle barche dapesca.

Raggiunta Albacete, viene incorporatocon il grado di tenente nell’artiglieria repub-blicana con il nome di Francesco Evoli. Com-batte a Villanueva del Pardillo e alla difesadegli approvvigionamenti idrici di Madrid.Ferrari stesso ricorda che gli erano arrivatesolo le canne dei pezzi di artiglieria Skodaprovenienti dall’Urss, mentre fusto e ruoteerano andati perduti nel trasporto via marea causa della guerra sottomarina tedesca.Fece allora montare le canne su tubi fissi aterra, in modo che la batteria potesse co-munque funzionare.

Con gli altri internazionalisti passa in Fran-cia nel febbraio 1939 e viene internato a St.Cyprien, ma su approvazione di Longo eva-de e si rifugia a Parigi. Trova un lavoro a

Montreuil in un’officina di motori elettrici,e vi resterà sino al momento dell’aggressio-ne nazista all’Unione Sovietica. Inizia alloral’attività partigiana: Ferrari diventa artificieredei partigiani e responsabile di tre depositidi armi.

I fratelli Rossetti e Villeparisis40

I fratelli Rossetti - Adriano, Mario e Bru-no, originari di Mongrando nel Biellese -,coloro i quali procureranno l’esplosivo peril gruppo Rohregger, dopo alcune peripeziesi stabiliscono a Villeparisis. Nel 1923 Adria-no si sposa e si trasferisce con la moglie adAulnay sous Bois, e qui è molto attivo nel-l’azione politica e sindacale. Partecipa ascioperi e manifestazioni e comincia a esse-re noto alla polizia. Viene fermato nel corsodi una manifestazione e poi rilasciato; ma neldicembre 1924 viene espulso, come abbia-mo già visto, assieme a molti altri italiani.Torna in Italia.

Il fratello Mario, invece, si stabilisce a Vil-leparisis nel 1928 e cerca d’integrarsi, riu-scendo infine a diventare cittadino france-se, nella nuova patria d’adozione.

Nello stesso anno Adriano ritorna in Fran-cia e si stabilisce vicino al fratello a Villepari-sis, che all’epoca è costituita da poche casecircondate dalla foresta di Bondy e collegatecon la ferrovia a Parigi; non c’è stazione dipolizia e, a differenza di Aulnay sous Bois,gli emigrati italiani qui sono pochi, e nessu-no conosce i suoi precedenti politici.

Adriano cerca di evitare per quanto possi-bile di essere scoperto dagli agenti fascisti.

La casa di Adriano a Villeparisis negli annitrenta non è soltanto un rifugio sicuro per

40 Le notizie biografiche sui fratelli Rossetti sono tratte da FRANCO RAMELLA, Biografiadi un operaio antifascista: Adriano Rossetti. Ipotesi per una storia sociale dell’emigra-zione politica, in “l’impegno”, a. VII, n. 2, agosto 1987.

Page 48: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 47

lui e per la sua famiglia: diventa una vera epropria base logistica per i numerosissimiantifascisti con cui egli entra in contattoattraverso la direzione della sua organizza-zione a Parigi. Intorno ad Adriano si ricosti-tuisce e si amplia nel piccolo centro un’im-portante rete organizzativa del Pci. Fra icompiti primari di Adriano e del suo gruppovi è quello di procurare documenti e lavoroai compagni italiani.

Mario è molto ben inserito nella vita delpiccolo borgo e frequenta soprattutto fran-cesi, con molti dei quali ha non solo rappor-ti di lavoro ma anche di amicizia: fa partedella banda musicale locale ed è sempre pre-sente nelle occasioni grandi e piccole di so-cialità del villaggio. Oltre a lavorare comefabbro ha una seconda attività che lo ponein contatto con molte persone: la domeni-ca, infatti, va a fare il cameriere nel caffè delpaese. Le relazioni molto estese di Mario aVilleparisis sono funzionali al suo grandesogno: integrarsi nel paese di adozione.

Il Fronte popolare e i comunisti italiani

Mentre i compagni di base fanno espe-rienza nel Fronte popolare, esperienza chesarà fondamentale ancora oltre trentacinqueanni dopo quell’esperimento politico perelaborarne un altro, il compromesso stori-co, l’Internazionale scioglie il Comitato cen-trale del Pci. «Gli anni ’34-’39 sono stati annidi lotta e di esperienza ineguagliabile perl’emigrazione politica italiana che si trova-va in Francia. I nostri compagni costretti allagrama vita della emigrazione, animati da unforte spirito di solidarietà internazionale, riu-scirono a stabilire un solido legame politicocon il movimento democratico e comunista

nel paese di residenza, a portare un solidocontributo alla lotta popolare. Questo fattogli (sic) permise di stabilire stretti legami conl’emigrazione economica - oltre un milionesolo in Francia -, di sfuggire al pericolo dirimanere chiusi nei confini nazionali o regio-nali, preda delle beghe locali, sfiduciati neiloro desideri inappagati - situazione questache li avrebbe portati ai margini della vitapolitica. I comunisti organizzati nei “gruppidi lingua italiana” erano oltre 10.000, e piùdi 50.000 italiani erano organizzati nell’Unio-ne popolare, associazione democratica dimassa che univa tutte le forze ed i movimentiantifascisti all’estero; il quotidiano di linguaitaliana “La Voce degli Italiani” vendeva ol-tre 100.000 copie giornaliere, ed entrava inmolte famiglie di italiani; tra 130.000-150.000erano gli italiani iscritti alle organizzazionisindacali di categoria, e portavano un note-vole contributo di lotta, in categorie qualiquella dei minatori e degli edili, dove preva-leva la mano d’opera straniera»41. Ma «men-tre migliaia di comunisti, di antifascisti ita-liani combattevano la loro prima grande bat-taglia contro il fascismo [la guerra di Spa-gna, nda], e accumulavano una grande espe-rienza politica e militare, mentre decine ecentinaia di migliaia di italiani in Francia siattivizzavano in questa battaglia per la pacee la libertà, creando una riserva di forze inim-maginabile da utilizzare verso il nostro paese,il Centro del partito continuava a discuterese il pericolo principale era l’opportunismood il settarismo, si andava alla ricerca di quel-le formule che dovevano garantirci la purez-za ideologica, approfondendo sempre piùquei sintomi di crisi nel centro direzionale,crisi che interessava un ristretto gruppo dicompagni dirigenti, sempre più staccati dal

41 A. ROASIO, Note sulla storia del Partito dal ’37 al ’43, in “Critica marxista”, n. 2-3, marzo-giugno, 1972, pp. 178-179.

Page 49: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

48 l’impegno

vivo della lotta, crisi che non aveva nessu-na influenza diretta verso le migliaia di co-munisti che si trovavano in Francia»42.

È in questo contesto che, nell’estate del1938, l’Internazionale comunista scioglie ilComitato centrale del Pci. «La crisi del cen-tro direzionale, che maturava in un momen-to di grandi lotte popolari, ma anche di de-terioramento della situazione internaziona-le, ebbe il suo sbocco verso la metà del 1938.Una particolare responsabilità dell’aggrava-mento della situazione al Centro del partitoricade sul compagno Berti, il quale, arrivatoa Parigi dopo una permanenza di alcuni anniin Unione Sovietica, introduceva nella vitadel nostro partito quella esperienza di lottaper la “purezza ideologica” che aveva spe-rimentato nella Scuola leninista, di Mosca.In quel clima di “caccia alle streghe”, di vigi-lanza attenta contro i nemici che si infiltra-no nei posti più delicati del partito, era faciletrovare argomenti di critica contro ogni arti-colo, in ogni discussione, per dimostrare lascarsa assimilazione dello stalinismo. E que-sto metodo staliniano di lotta contro l’oppor-tunismo, per la vigilanza rivoluzionaria, dicui Berti si fece allora portabandiera, ebbemodo di attecchire, non solo perché ci eraimposto dall’alto, ma perché al Centro trova-va un terreno adatto, già deteriorato dallepolemiche astratte precedenti dove la lottapolitica si era cristallizzata su posizioni estre-me, mancava la possibilità di un dibattitofranco, aperto, sincero per arrivare ad unasintesi, e diventava una lotta di carattere per-sonale. [...] Questa situazione, che matura-va da diversi anni, ebbe il suo sbocco nel-l’estate del 1938, dopo il dibattito della que-stione italiana alla Segreteria dell’Ic»43.

La crisi del Centro del Pci, che come ab-biamo visto riguarda solo la dirigenza delpartito, rischia di disperdere tutto il patrimo-nio di lotte e militanza che è stato accumu-lato. Per riorganizzare la struttura del parti-to, nella seconda metà del 1939, Togliattiinvia Giorgio Amendola e «in breve tempo,pur mantenendo i contatti coi soli compagnifidatissimi, si arrivò ad avere 100 iscritti perogni settore della grande Parigi (est, sud,ovest, nord e centro)»44.

Tra i compagni fidatissimi troviamo ancheRohregger e Zanelli.

L’arrivo delle truppe naziste nel giugnodel 1940 complica ulteriormente l’opera tan-to faticosamente avviata da Giorgio Amen-dola e dai suoi. Con le truppe naziste allaperiferia di Parigi, molti comunisti italiani,anziché fuggire nella zona del governo diVichy, scelgono di restare e di agire affron-tando i nazisti.

Cesare Campioli, futuro sindaco di Reg-gio Emilia, è a Parigi all’arrivo dei tedeschi:«La Francia era precipitata in una dramma-tica e caotica situazione: un esercito in ritira-ta; circa cinque milioni di parigini si appre-stavano ad evacuare la città con il disordineche si può immaginare. [...] Parigi nello spa-zio di breve tempo si era fatta deserta»45.

Anche Antonio “Ivo” Tonussi ricorda be-ne la Parigi di quei giorni: «Incominciò cosìil tremendo esodo della popolazione chetentava di sfuggire all’invasore nazista, lun-ghe file di uomini e donne disperati che nonsapevano dove andare, trascinandosi dietrovecchi e bambini. La malvagità dei tedeschiarrivò a bombardare e mitragliare la popola-zione inerme in fuga. A S. Denis insieme aRichard assistei a questa terribile tragedia

42 Idem, p. 180.43 Idem, pp. 180-181.44 GIORGIO AMENDOLA, Lettere a Milano, Roma, Editori Riuniti, 1973, p. 23.45 CESARE CAMPIOLI, Cronache di lotta, Parma, Guanda, 1965, pp. 94-95.

Page 50: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 49

che non era che il primo segnale di quantidrammi e sangue sarebbe costata al popolofrancese l’invasione nazista. [...] [la] pauraera evidente nelle strade deserte, chi non erafuggito restava rinchiuso in casa, tutti atten-devano col cuore in gola l’ingresso a Parigidelle truppe tedesche. In questa atmosferai tedeschi entrarono a Parigi, il 14 giugno del’40 [...]. Con Richard e la sua compagna de-cidemmo di recarci ad assistere a questo av-venimento storico, nell’autobus che ci do-veva portare a Parigi eravamo soli, così co-me nel metro che ci portava a Piazza dellaRepubblica. [...] Per ore con grande strazio[...] guardammo sfilare l’armata tedesca. Aun tratto, Richard mi sollecitò a tornare a S.Denis per stampare subito un volantino dadistribuire alle truppe tedesche. Richard a-veva nascosto un vecchio ciclostile ed ave-va a casa un rotolo di carta gialla, larga ven-ticinque centimetri su cui potevamo stampa-re. Tagliai la carta insieme a Sonia, mentreRichard preparava il ciclostile. Riuscimmoa stampare ben novecentottantansette vo-lantini, quei manifestini furono senz’altro iprimi che uscirono dopo l’ingresso delletruppe tedesche in Parigi. Anche la caser-ma di S. Denis era stata occupata dai tede-schi, decidemmo perciò di cominciare daquella caserma, che si trovava al centro delcomune. Sonia faceva da palo per avvertir-ci se sopravvenivano dei pericoli, io e Ri-chard lanciammo i volantini, scritti in tede-sco, lingua perfettamente conosciuta daimiei due compagni di lotta, dietro il muro checingeva la caserma. [...] il volantino fu di-scusso dalla stessa Direzione del Partito efu comunque giudicato un’azione positivache testimoniava la nascita della nostra or-ganizzazione segreta. Con l’invasione tede-sca il nostro lavoro politico si faceva ancora

più difficile. Bisognava passare tra la fittarete di ben cinque corpi di polizia: gli agen-ti, i gendarmi, la polizia politica di Pétain, laGestapo nazista e infine, noi italiani doveva-mo fare i conti con la polizia segreta fasci-sta, l’Ovra. [...] Stampammo altri volantiniche furono distribuiti in vari punti della cit-tà. Dovetti tra l’altro nascondere il nostroprezioso ciclostile in un luogo più sicuro atre chilometri da S. Denis dai compagni Azzo-la, a Panten. Qui stabilii anche il mio secon-do recapito clandestino; la signora Misti-ca, così si chiamava la moglie del compagnoAzzola, lavorava in una fabbrica di bambolee riusciva a fornirci della carta per il ciclosti-le [...]. Dopo un po’ di tempo Richard e So-nia andarono a vivere a St. Oins, alle portedi Parigi per essere più vicini alla Direzioneclandestina del Pcf che stava creando l’or-ganizzazione segreta, l’Os, che aveva giàcompiuto le prime azioni contro i tedeschi.Individuati alcuni compagni italiani che era-no rimasti a Parigi, convocammo una riunio-ne di questi nel bosco di Vincenne[s], perricostituire il gruppo italiano [...] . Dopo l’en-trata dei nazisti a Parigi la nostra situazioneera sempre più precaria non solo sul pianopolitico ma anche dal punto di vista econo-mico. Le fabbriche e le officine erano ferme,i generi alimentari e di vestiario erano requi-siti per essere spediti in Germania. I magaz-zini di abbigliamento erano presi d’assaltodagli ufficiali tedeschi che riempivano bau-li di vestiario per mandarlo alle loro signorein Germania. [...] La situazione economicaera disperata, l’industria francese era total-mente bloccata e solo tre mesi dopo l’occu-pazione il governo collaborazionista del ma-resciallo Pétain, in accordo con gli invasori,decise di riprendere la produzione per le ar-mate tedesche»46.

46 ANTONIO TONUSSI, Ivo: una vita di parte, Treviso, Matteo Editore, 1991, pp. 116-117.

Page 51: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

50 l’impegno

Ma paradossalmente è proprio con l’oc-cupazione che i comunisti italiani vedonoaprirsi inaspettati spazi di manovra; infatti«si seppe in seguito che i tedeschi nelle as-sunzioni di personale per le loro necessi-tà davano la precedenza agli operai italianiche consideravano alleati. Fu così che unabuona parte dei fuoriusciti antifascisti riu-scirono ad essere assunti all’Arsenale fran-cese di Vincennes alle porte di Parigi, ove itedeschi fecero un centro di riparazioni erequisizioni dei mezzi corazzati e automobiliper l’esercito di occupazione. Così ci tro-vammo insieme, compagni che l’occupazio-ne e la guerra ci aveva disperso. Il lavoro,anche sotto l’esercito tedesco ci aveva dinuovo riuniti, potevamo riunirci a gruppi perdiscutere il da farsi»47.

L’occasione è ghiotta. I tedeschi in cam-bio di lavoro offrono documenti validi, chepermettono di scrollarsi di dosso le variepolizie, un salario per sfamare i compagni ele loro famiglie, che già da anni vivono incondizioni di grave disagio, ma soprattuttola possibilità d’infiltrarsi nella macchina daguerra nazista.

Nel luglio 1940 Rohregger viene assuntoa Vincennes48 e, in virtù dell’ottima padro-nanza del tedesco, diventa addirittura capo-squadra49. Si trasferisce a Montreuil con So-nia e, sempre a partire dal luglio 1940, riescea far assumere a Vincennes altri comunistidi assoluta fiducia; come Zanelli, entrano alavorare nel Parco di artiglieria anche Ma-rio Buzzi, Guglielmo Marcellino, Raffaele

“Lorenzo” Pieragostini, Guglielmo “Paolo”Marconi e altri ancora; non riesce invece asuperare le maglie del controllo tedesco An-tonio “Ivo” Tonussi.

Questo gruppo di comunisti dalla metà diottobre del 1940 inizia a costruire bom-be50 destinate alla Resistenza francese.

Il lavoro di costruzione degli involucri aVincennes comporta, ovviamente, un gran-de rischio: «Eravamo sorvegliati da soldatiaustriaci che conoscevano bene la linguafrancese e quando si trovavano a tu per tucon noi, maledivano Hitler e le Ss, ma appe-na si avvicinava un altro commilitone diven-tavano muti e parlavano solo del lavoro.D’accordo con alcuni compagni francesi efacilitati dalla presenza di un capo operaiocome Richard cominciammo la fabbricazio-ne di ordigni esplosivi da fornire ai Gap cheagivano fuori dello stabilimento»51.

Ivo Tonussi ricostruisce la struttura delgruppo Rohregger: «Richard intanto era riu-scito a creare un gruppo partigiano nellafabbrica di munizioni dove lavorava. Nellostesso tempo, eludendo la sorveglianza deitedeschi, fabbricava al tornio gli involucriper bombe a mano. Bisognava procurarel’esplosivo. Grazie al lavoro svolto nel pas-sato nei gruppi di lingua del Pcf, conosce-vo compagni dislocati in tutta la regione pa-rigina. Nella cittadina di Walparisys (sic)52,dove si trovava una polveriera, abitavano icompagni Rossetti, attraverso questi riusci-vo ad avere alcuni chili di polvere da sparo.Le compagne Sonia e Raisa avevano co-

47 GUGLIEMO MARCELLINO, Italiani a Parigi sotto l’occupazione nazista, in “Patria indi-pendente”, n. 7-8, 23 aprile 1972, p. 17.

48 ACS, Cpc, Zanelli Adamo, 1942.49 G. MARCELLINO, art. cit.50 ADAMO ZANELLI, Autobiografia per l’Istituto Gramsci di Roma, 1960.51 G. MARCELLINO, art. cit.52 Recte Villeparisis.

Page 52: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 51

struito borse col sottofondo con cui traspor-tavano l’esplosivo al magazzino del compa-gno [Ernesto] Ferrari. Questi una volta riem-pite cinque o sei bombe, le nascondeva nellacarrozzella del suo bambino che aveva ap-pena un mese»53.

I mesi intercorsi tra il luglio e l’ottobre 1940sono spesi dal gruppo per studiare i puntideboli dell’apparato produttivo impiantatodai tedeschi a Vincennes.

Nell’estate del 1940, il responsabile dellaMoi54 per il gruppo italiano, il polacco Louis“Bruno” Gronowski, incontra Giorgio Amen-dola55, che gli conferma che i comunisti ita-liani si stanno riorganizzando: «I primi nu-clei di lotta all’invasore nazista furono creatidal Pcf organizzando i nuclei dell’organiz-zazione segreta, le Os, molto simili ai Gapdella Resistenza italiana. I compiti inizialiassunti dalle Os furono di recuperare le armiabbandonate dall’esercito francese in rottae organizzare sabotaggi. Dalla formazionedelle Os il Pcf costituì una nuova organiz-zazione unitaria i Franchi Tiratori PartigianiFrancesi. Il termine tiratore fu assunto dalnome dei combattenti irregolari del 1870 chesi erano opposti all’invasione tedesca e daigiovani rivoluzionari bolscevichi. La strut-tura del Ftpf era costituita da una maglia dicellule composte da tre partigiani, in modoche il membro della cellula conoscesse sol-tanto i due compagni a cui era direttamentecollegato. I partigiani italiani assieme agli al-tri emigrati erano inseriti nei Ftpf con la si-gla MOI, Mano d’Opera Immigrata»56.

Giorgio Amendola, ricordando quegli an-ni, conferma che «i comunisti italiani parte-cipavano, con gruppi autonomi, alla lotta diresistenza dei comunisti francesi»57.

Dall’ottobre 1940 al giugno 1941, infatti,il gruppo di Rohregger, oltre a costruirebombe, compie azioni autonome contro glioccupanti e i collaborazionisti senza unostretto coordinamento con i francesi: «Col-legato con Richard in quel periodo vi fu pureun gruppo di “gappisti” italiani, uno deitanti che operarono con azioni particolar-mente nella Regione Parigina e al quale ap-partenne - in qualità di comandante - ancheil leggendario Piero Pajetta (Nedo), caduto[...] nel febbraio del 1944. Del gruppo face-vano parte i comunisti Ernesto Ferrari di Tre-viglio, ex garibaldino di Spagna con il gra-do di tenente di artiglieria; Barzari Vittorio“Charpier” di Bergamo; Martino Martini diGenova, che [...] gestiva una pasticceria aln. 11 della rue Laferrière, nel 9o Arrondisse-ment [...]. Saltuariamente fecero parte dellostesso gruppo anche Ardito Pellizzari, friula-no, che diventerà poi comandante della “Mi-lizia Patriottica” (equivalente delle S.A.P. inItalia) ed il compagno Bruno Tosin di Vicenza[...]. Una delle “ basi ” del gruppo stesso erala pasticceria di Martino Martini e una se-conda, solidissima, era l’abitazione dellanota famiglia di militanti Diodati della Spezia,al n. 7 Passage du Génie, nel 12o Arrondisse-ment. Il Ferrari lavorò specialmente assiemea Richard, prima dell’arresto di quest’ulti-mo, alla fabbricazione di esplosivi. Cadde

53 A. TONUSSI, op. cit., p. 126.54 Mano d’opera immigrata.55 STÉPHANE COURTOIS - DENIS PESCHANSKI - ADAM RAYSKI, Le sang de l’étranger. Les im-

migres de la MOI dans la Résistance, Paris, Fayard, 1989, p. 100.56 A. TONUSSI, op. cit., p. 119.57 G. AMENDOLA, Storia del Partito comunista italiano, 1921-1943, Roma, Editori Riuniti,

1978, p. 481.

Page 53: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

52 l’impegno

poi anche lui nelle mani del nemico, vennetorturato selvaggiamente al Forte di Ro-mainville e internato in seguito nel campodi concentramento di Compiègne, da doveevaderà.

Lo ritroveremo armato di mitra a Parigi neigiorni dell’insurrezione: agosto del 1944. Ilresto del gruppo pur partecipando ad azio-ni “gappiste”, assicurò per un lungo perio-do, particolarmente tramite la brava compa-gna Louise, il collegamento con una tipo-grafia clandestina sita al n. 4 della rue duMidi - a Vincennes - presso la quale furonostampati migliaia di manifestini, opuscoli,giornaletti ecc. in lingua italiana, francese etedesca. All’inizio del 1941, a causa di unbanale incidente, il Martini e la sua compa-gna, Tosin e lo stesso “Nedo”, furono arre-stati, ma rilasciati alcuni mesi dopo perchéla polizia di Hitler non seppe mai con chi“aveva a che fare”. Tra tutte le azioni com-piute da questo gruppo, vale la pena di ri-cordarne una. Pochi mesi dopo l’occupazio-ne di Parigi da parte dei nazisti, una notte,nei pressi di Montparnasse, fu collocata unabomba sul davanzale d’una delle finestre diun lussuoso bar, requisito e frequentato sol-tanto da tedeschi.

Gli autori furono Piero Pajetta, VittorioBarzari ed altri. Collocata la bomba, ovvia-mente si allontanarono; ma poiché questanon era esplosa nel tempo previsto, il Barza-ri ritornava sui suoi passi per rendersi me-glio conto del motivo della mancata esplo-sione. Ma proprio allora la bomba esplode-va ferendolo seriamente ad un piede. Alboato provocato dalla deflagrazione e alleconseguenze materiali di essa, diecine dinazisti perlustrarono i dintorni con i riflet-

tori. Come mettere al sicuro Barzari, che per-deva abbondantemente sangue dal piedespappolato, e come evitare l’arresto degli al-tri autori dell’attentato? Barzari venne cari-cato sulle spalle, gli si fasciò alla meglio ilpiede con una sciarpa e fu “nascosto” dietroun cespuglio in un giardino adiacente, dovein preda a dolori atroci rimase fino alle seidel mattino quando, cessato il “coprifuoco”,poté essere “prelevato” da Pajetta e da altri,caricato su una bicicletta e condotto pres-so la famiglia Diodati.

Fu rintracciato un medico italiano, un cer-to Brosio, che si dichiarava antifascista; ilBarzari fu medicato alla meglio e soltantodopo due giorni, nella previsione che i na-zisti facessero tempestive ricerche pressogli ospedali per rintracciare eventuali feritia causa della bomba, fu ricoverato in ospe-dale come vittima di un... infortunio sul la-voro. Il compagno Barzari guarì e anch’e-gli, anche se zoppicante, partecipò alla bat-taglia per la liberazione di Parigi»58.

I contatti tra il gruppo italiano e la dirigen-za dell’Os avvengono attraverso ConradoMiret-Muste e Spartaco Guisco.

Conrado Miret-Muste (“Lucien”, “Le-bourchard”, “Miralcamp”) è nato a Barcel-lona il 15 aprile 190659 ed è riparato in Fran-cia dopo aver combattuto per la Repubblicaspagnola. Diventa subito il responsabiledegli stranieri nell’Os.

Spartaco Guisco nasce a Milano pressoil quartiere Precotto, il 20 ottobre 191160. Ilpadre ripara in Francia con tutta la famigliaper sfuggire ai fascisti nel 1923. Spartaco sinaturalizza nel 1932 e nel 1936 è subito vo-lontario in Spagna.

Come ben si vede, tanto da parte italiana

58 S. SCHIAPPARELLI, Ricordi di un fuoruscito, cit., pp. 203-205.59 A. ROSSEL-KIRSCHEN, op. cit., p. 161.60 Idem, p. 125.

Page 54: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 53

quanto da parte francese, nella riorganizza-zione vengono utilizzati comunisti di gran-de esperienza sia sul piano militare che suquello politico.

Ricapitoliamo: Barontini addestra Roh-regger, Buzzi e Zanelli per modificare untornio per costruire i corpi delle bombe chevengono fatti uscire dall’arsenale di Vincen-nes usando tutti gli stratagemmi possibili,tramite l’azione congiunta di Rohregger,Buzzi, Zanelli, Marcellino, Pieragostini eMarconi; i corpi delle bombe sono immagaz-zinati in casa di Richard e Sonia provvede afarli arrivare al magazzino dove lavora - comeguardiano diurno e notturno - Ernesto Fer-rari, ex ufficiale di artiglieria in Spagna; So-nia, in borse con il doppiofondo, da lei stes-sa confezionate, porta l’esplosivo fornitodai fratelli Rossetti ad Ernesto Ferrari, chele carica; una volta pronte, a cinque o seialla volta, Sonia le riporta a casa di Rohreg-ger; Richard e Buzzi ne consegnano unaparte alla Resistenza francese (Miret-Mustee Guisco) e una parte ai gruppi di fuoco ita-liani.

Dall’agosto dello stesso anno e fino atutto gennaio 1942, il reparto della Jeunes-se legato al gruppo di Rohregger compiràsettantuno azioni, attaccando in tutte le ma-niere i nazisti. Vengono prese di mira fab-briche che producono per il nemico, sabo-tati automezzi, fatti deragliare treni, fatti sal-tare locali occupati dalla Wehrmacht ed al-cune officine collaborazioniste; sono inoltreattaccati anche militari tedeschi, in partico-lare gli ufficiali. Queste azioni allarmano ilcomando nazista, seriamente preoccupatoper la sicurezza delle proprie truppe. Gli oc-cupanti iniziano così la politica del terrore,mandando a morte gli ostaggi. Non siamo

di fronte ad azioni individuali dei partigiani,ma a vere operazioni di guerra che hannol’obiettivo d’infondere fiducia nei resisten-ti e di spronare alla lotta gli indecisi, oltre adiffondere il pessimismo tra gli occupanti.Questi combattenti sono consci che in cam-po aperto non ci può essere confronto colnemico, ma sul piano della guerriglia hannodegli innegabili vantaggi, che per molti mesisfruttano con successo. Purtroppo non sihanno dati precisi sulle azioni compiute dalgruppo di italiani legato a Rohregger di cuisi è accennato sopra.

Tra la fine del 1941 e l’inizio del 1942, però,il gruppo guidato da Rohregger commetteun errore fatale. I tedeschi «requisirono tut-te le stufe per riscaldamento nei negozi emagazzini della città e ce le facevano adat-tare sui camions che dovevano andare sulfronte di Mosca. Noi riempimmo quelle stu-fe di manifestini contro la guerra per i soldatisul fronte russo»61, e non tardano molto atrovare le tracce dei responsabili. Il 20 gen-naio viene arrestato Raffaele Pieragostini,e poco dopo «il 2 febbraio 1942 alle 5 delmattino venni arrestato a casa da due po-liziotti tedeschi accompagnati da uno fran-cese e tradotto alla prigione militare di Cher-che-Midi occupata dai tedeschi. Mi comu-nicarono che dovevo essere consegnato, inseguito a richiesta, alla polizia fascista ita-liana»62.

Durante la perquisizione domiciliare, in ca-sa di Guglielmo Marcellino, che abita l’ap-partamento di fianco a quello di Zanelli aMontreuil, a poca distanza da quello di Roh-regger, vengono ritrovati i volantini incrimi-nati.

Ma già prima, nel novembre del 1941, du-rante un incontro davanti all’ospedale Des

61 G. MARCELLINO, art. cit., p. 17.62 Ibidem.

Page 55: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

54 l’impegno

Invalides, sono stati arrestati anche Sparta-co Guisco e Conrado Miret-Muste. I duevengono torturati e nell’interrogatorio del10 febbraio, dopo quasi tre mesi di sofferen-ze atroci, Miret-Muste fa i nomi di Rohreg-ger e Buzzi63, gli unici del gruppo degli italia-ni che, secondo le regole cospirative, cono-sce. Vengono eseguite delle perquisizionitanto nelle abitazioni quanto sul luogo di la-voro. Rohregger «è stato sorpreso in unaofficina meccanica ove sono state rinvenutedelle bombe, ed è stato incolpato di com-plotto comunista»64.

È il 14 febbraio 1942. A casa di Richard vie-ne ritrovato materiale per esplosivi65. Buzzie Zanelli torniscono i corpi delle bombe amano, ma solo il primo viene individuatodalla polizia66.

I tedeschi, a questo punto, decidono digiocare d’astuzia per incastrare altri even-tuali complici: si appostano a casa di Riccar-do e Mario e arrestano tutti quelli che bus-sano alla porta. In questo modo - lo stesso14 febbraio - è catturato Zanelli, che, suc-cessivamente, dichiarerà alla polizia fasci-sta italiana «il mio capo Reparto (sic) a no-me “Riccardo” [...] si assentò dal lavoro eda mezzo giorno (sic) l’Ufficiale tedesco checomandava tutti i reparti mi incaricò di pas-sare dall’abitazione del suddetto Riccardoper conoscere il motivo dell’assenza. [...]Esegui (sic) l’incarico dell’Ufficiale e giun-to davanti all’abitazione del Riccardo dueagenti della Polizia francese mi dichiararo-no in arresto adducendo che avevano rice-

vuto ordine dal capo Ufficio di arrestare tutticoloro che si introducevano in tale abitazio-ne. Solo al momento dell’interrogatorio, av-venuto tre giorni dopo il mio fermo, seppiche Riccardo doveva essere implicato inuna grave faccenda; tanto che ebbi chiestose avessi mai visto lavorare dei tubi al tornioal suddetto (sic) nei locali dell’officina»67.

Nella stessa trappola cadono anche Lo-renzini e Comini, mentre riesce a evitare l’ar-resto Antonio Tonussi: «Avevo ricevutol’ordine di recarmi a casa di Richard alle di-ciannove e trenta proprio del giorno del suoarresto, per prelevare delle bombe a mano.Vicino all’abitazione del compagno notaidelle persone sospette, gli anni di clande-stinità mi avevano ormai costruito un sestosenso che mi permetteva di fiutare il perico-lo. Notai inoltre che al balcone dell’appar-tamento di Richard era appeso uno straccionero, era il segnale convenuto per segnala-re il pericolo»68.

Rohregger è trattenuto in casa con la com-pagna mentre i nazisti studiano le reazioniloro e di quanti bussano per capire se si trat-ta di complici. È testimone oculare la figliamaggiore di Zanelli, Evelina, all’epoca sedi-cenne, che, inviata dalla madre a casa Roh-regger per vedere cosa fosse successo, scorgesuo padre, seduto in mezzo a due agenti69.

Cesare Campioli, invece, recatosi a casadi Buzzi, per pura fortuna non cade nella retetesa dalla polizia tedesca: «Una domenicasera [15 febbraio 1942] verso le ore 18 [...]dovevo consegnare copie di giornali clan-

63 Lettera della Prefecture de Police de Paris all’autore, in data 16 marzo 2004.64 ACS, Cpc, Zanelli Adamo, 26 marzo 1942.65 Prefecture de Police de Paris, Rèpertoire n. 40, 10 marzo 1942.66 Ibidem.67 ACS, Cpc, Zanelli Adamo, Interrogatorio del 16 agosto 1942.68 A. TONUSSI, op. cit., p. 129.69 Evelina Zanelli, conversazione con l’autore.

Page 56: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 55

destini ad un compagno vicino di casa [...].Mi recai dal compagno, che era fra l’altro di-rigente dei gruppi italiani, ma trovai la portachiusa. Nessuno rispose al segno conven-zionale. Discesi in fretta le scale, ma la por-tinaia che mi conosceva, mi avvicinò e miingiunse di fuggire senza perder tempo, per-ché l’altro era stato arrestato cinque minutiprima assieme alla moglie»70.

Gli arrestati vengono portati in Prefettu-ra, dove saranno trattenuti per quindici lun-ghissimi giorni.

È sempre Evelina Zanelli che li vede il 16febbraio 1942, ammanettati, in fila nel corti-le della Prefettura di Parigi71.

Gli interrogatori si fanno pressanti72. Lafoto segnaletica di Rohregger scattata il 17febbraio ci mostra un prigioniero già conforti segni di sofferenza.

Per quindici giorni i prigionieri restano inPrefettura, per essere poi trasferiti al triste-mente noto Hôtel Bradford e messi a dispo-sizione dei tedeschi della Gfp73, che conti-nuano a torturarli con la stessa professio-nalità e mancanza di emozioni già dimostra-te dai colleghi della Brigade spéciale. Dal-l’Hôtel Bradford i prigionieri sono trasferitial carcere della Santé74.

Tutto il pianoterra, cioè quattro divisio-ni, è occupato dai tedeschi, che non hannoalcun rapporto con i secondini francesi. Lecondizioni in cui sono tenuti i prigioniericlassificati come “terroristi” sono inumane:

isolati in celle di un metro per due, hannosempre le mani ammanettate dietro la schie-na e in questo stato dovrebbero dormire emangiare, ma è quasi impossibile, tutt’al piùci si assopisce qualche minuto. Consumarei tre pasti al giorno, ammanettati in quellamaniera, è troppo difficile, al massimo si rie-sce ad addentare un po’ di pane, ma nient’altro. Così, in breve tempo, iniziano le tor-ture del sonno e della fame. Per i “terroristi”non è neanche prevista l’ora d’aria, per cuinon si hanno contatti con gli altri detenuti.Gli interrogatori sono una pena aggiuntivaa quanto già i prigionieri patiscono. In que-sto carcere, nella notte tra il 26 e il 27 feb-braio 1942, muore Conrado Miret-Muste75.La versione ufficiale sarà suicidio per impic-cagione, ma più di un dubbio è lecito.

I tedeschi hanno la certezza di aver cattu-rato un’importante cellula della Resistenza,ma non immaginano quanto lo sia veramen-te. La necessità dei nazisti è di imbastire unprocesso esemplare e questo li fa concen-trare sul gruppo di fuoco della Jeunesse,trascurando i membri dell’Os, anche perché,nonostante le torture, né Rohregger né Buzziparlano. Prova ne è il fatto che, pur avendoin mano tutto il gruppo degli italiani, i tede-schi non riescono a collegarli tra loro, forseanche perché tratti in arresto in circostanzediverse: Marcellino e Pieragostini per i vo-lantini inseriti nelle stufe, catturati tra la finedi gennaio e l’inizio di febbraio, Zanelli, Lo-

70 C. CAMPIOLI, op. cit., p. 100.71 Evelina Zanelli, conversazione con l’autore.72 Per capire cosa avveniva durante gli interrogatori cfr. A. ROSSEL-KIRSCHEN, La mort à

quinze ans, Paris, Fayard, 2003, pp. 137-152.73 Geheime Feld Polizei (Polizia segreta di campagna).74 A. ZANELLI, Ricordi seri, tragici, ma anche allegri della vita dell’emigrante, in ENZO

RAVA (a cura di), I Compagni. La storia del Partito comunista nelle “storie” dei suoi mi-litanti, Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 418.

75 A. ROSSEL-KIRSCHEN, Le procés de la Maison de la Chimie, cit., p. 161.

Page 57: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

56 l’impegno

renzini e Comini perché hanno bussato allaporta di Rohregger, arrestati a metà dellostesso mese. Il silenzio di Riccardo e Mariosarà totale, tant’è che nell’atto di accusa itedeschi non saranno neppure sicuri cheRohregger sia membro del Pcf76 .

Il 7 aprile 1942 si apre il processo per ven-tisei degli arrestati, che sarà filmato dallapropaganda nazista. La sala più grande dellaMaison de la Chimie verrà addobbata conbandiere con la croce uncinata, a fare da lu-gubre sfondo a un pubblico di militari tede-schi (nel 1984 il filmato viene ritrovato e fat-to oggetto di due documentari, uno tedescoe l’altro francese).

L’atteggiamento tenuto dagli imputati èfiero e spesso sprezzante: inquadrati dallacinepresa durante il trasferimento dal Tribu-nale al carcere, pienamente consci della fineche li attende, fanno sberleffi.

Il 14 aprile la sentenza: venticinque con-danne a morte. Quella di Thérese Lefebvreviene commutata in lavori forzati. A suo ma-rito, Pierre Lefebvre, vengono comminaticinque anni di lavori forzati. André Rossel-Kirschen, quindicenne, sarà condannato adieci anni di reclusione. Simone Schloss,l’altra donna imputata, verrà decapitata aColonia il 17 luglio 1942.

Il 17 aprile 1942, alle ore 1777, sarà esegui-ta la sentenza. Ai condannati è riservato unultimo supplizio: sul luogo dell’esecuzione,Mont Valérien78, ci sono solo cinque pali acui legare i condannati, che pertanto dovran-no attendere il proprio turno per essere fu-cilati.

Il colpo inferto al Pci è molto duro, come,con grande calore umano, testimonia Giu-liano Pajetta: «Brutte notizie oggi: a Parigi itribunali militari tedeschi hanno condanna-to a morte una dozzina dei nostri: la senten-za è già stata eseguita. La notizia l’apprendodai giornali del mattino che la danno con unacerta evidenza e si compiacciono di sot-tolineare che si tratta di “terroristi” stranie-ri. Eh sì, son proprio dei nostri: ancora unavolta pagano i nostri italiani. Tra i nomi peròne riconosco uno solo con sicurezza [...].Oltre alla lista dei nomi, a quattro sudicieinsolenze contro i terroristi bolscevichi e alpanegirico dell’abile e intelligente collabo-razione tra polizia “francese” e servizi tede-schi, non trovo altro sui giornali: ma se nel-la lista dei nomi c’è quello di Richard possofacilmente immaginare di cosa si tratta. È ungrosso colpo che abbiamo subito. [...] Que-sta poi non è una caduta come le altre: sonoi primi compagni italiani che vengono con-dannati a morte e fucilati (nello scorso ot-tobre a Parigi avevano condannato a morteil figlio del nostro vecchio Foccardi, ma poinon lo avevano fucilato) ed è, mi pare, laprima volta, nella storia del nostro partito,che la morte ci colpisce così “legalmente”.È una cosa che fa il suo effetto. Sono pienodi dolore e di odio»79.

Gli altri italiani nelle mani del nemico ven-gono restituiti all’Ovra e condannati dal Tri-bunale speciale a diversi anni di carcere econfino, ma il 25 luglio 1943 è alle porte.Dopo tale data, con la caduta del fascismo,i prigionieri torneranno nelle loro città di

76 Idem, p. 156.77 Idem, p. 179.78 In questo luogo i nazifascisti fucileranno millesei patrioti. Cfr. LIONEL VENTURINI, Rési-

stance. Mont-Valérien 1006 noms émergent de la nuit, in “L’Humanité”, 22 settembre 2003.79 GIULIANO PAJETTA, Douce France. Diario 1941-1942, Roma, Editori Riuniti, 1956, pp.

226-231.

Page 58: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 57

origine e daranno inizio alla Resistenza ainazifascisti.

Due giorni dopo l’avvenuta fucilazione,Aldo Lampredi stende una relazione moltocircostanziata sugli avvenimenti, che quiviene riportata integralmente80.

«Rapporto sugli arresti del febbraio 194219 aprile 1942 [esecuzione avvenuta il 17

aprile 1942]L’inchiesta che abbiamo condotto finora

sulle cadute di Febbraio, ci permette soltantodi fissare alcuni punti che potranno esserechiariti in seguito e particolarmente dal P.[artito] F.[rancese] in quanto le nostre ca-dute sono strettamente legate a quelle veri-ficatesi fra comp. Francesi direttamente oindirettamente legati con i nostri. Tali lega-mi, da noi poco conosciuti e che sfuggiva-no completamente al nostro controllo, rap-presentano l’ostacolo più grande per ar-rivare ad una conclusione, ed in definitiva,la nostra inchiesta non potrà servire, prin-cipalmente, che a fornire degli elementi perquella condotta dal P.[artito] F.[rancese].

Prima dell’arresto di (1) [Rohregger] ecompagni, sono avvenuti due fatti che pos-sono avere una relazione fra loro e con lacaduta di (1) [Rohregger]. Il primo fatto è il“fermo” di (2) avvenuto il 7 febbraio. Secon-do quanto egli dichiarò a (3) [Buzzi] il gior-no dopo, la cosa si sarebbe svolta così: an-dato a un appuntamento in un bistrò con uncompagno francese vi trovò i poliziotti chea un certo momento gli chiesero i documen-ti e gli domandarono cosa faceva. Egli rispo-se che attendeva una donna e fu lasciato li-bero. Il comp. (4) invece, dice che parlandocon (2) questi ebbe a dirgli che fermato dai

poliziotti, per salvare i comp. italiani e fran-cesi, si era messo al servizio della polizia. (4)non insistette per avere particolari e preci-sazioni.

Informati della cosa abbiamo cercato dichiarirla e facemmo interrogare (2) da (5). (2)ripetè la versione fatta a (3) [Buzzi] e negòdi aver fatto le dichiarazioni riportate da (4).(5) non fu capace di formarsi un’opinioneprecisa, anzi, possiamo dire che non era benorientato a proposito perché la sua impres-sione era che (2) inventasse o aggravasseil fatto del “fermo” per trovare un pretestoper liberarsi dal lavoro e ciò per paura. Erastato stabilito che (5) gli parlasse ancorauna volta e sulla base anche di alcune con-traddizioni riscontrate nei suoi racconti,cercasse di fare scaturire la verità, ma l’ar-resto di (5) ha impedito di fare ciò. In segui-to non abbiamo più creduto opportuno, permisure di prudenza, di farlo avvicinare di-rettamente da altri compagni.

(2) era molto legato coi comp. francesidello (6) [Arsenale di Vincennes] e di (7)[Montreuil]. Esso faceva un lavoro di distri-buzione della stampa sindacale, probabil-mente aveva altri compiti e ultimamenteaveva posto a noi la questione di essere eso-nerato dal nostro lavoro perché diceva chei francesi volevano affidargli un incaricoimportante e gli avevano detto di troncare ilegami con gli italiani. Quando abbiamocominciato ad utilizzare (2) gli avevamo dettodi troncare coi francesi per ragioni cospira-tive, ma la cosa non era stata realizzata edegli si scusava del ritardo dicendo che nonsapeva liberarsi dalle pressioni che gli veni-vano fatte dai francesi.

80 Fondazione Istituto Gramsci, Archivio Partito comunista (d’ora in poi APC), Mosca,microfilm 293, pacco 35 I, documento 42. La relazione Lampredi al posto dei nomi usa deinumeri. Ho potuto ricostruire con certezza solo alcune delle identità e dei luoghi, che riportotra parentesi quadra.

Page 59: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

58 l’impegno

(2) faceva parte della rete di distribuzionestampa e per tale compito aveva tre contatti:con B. (centro distribuzione), con Parigi città(moglie di (3) [Buzzi]) e con un comp. delSud. Di conosciuti personalmente da lui viera solo la moglie di Buzzi.

Quale opinione abbiamo di (2)? Si è ven-duto alla polizia? Ha provocato la caduta dic. francesi e nostri? È difficile dirlo: quelloche sappiamo e che i c. di (7) [Montreuil]sono stati arrestati quasi tutti e che (2) ave-va dei legami con alcuni di essi; che (2) co-nosceva i nostri c. di (6) [Arsenale di Vin-cennes] e sapeva all’incirca dell’attività di(1) [Rohregger]. Quello che possiamo direè che (2) è sospetto e che la misura presaimmediatamente di isolarlo e rompere ognilegame con lui e di modificare i nostri meto-di di distribuzione della stampa da lui cono-sciuti, sono il minimo che potevamo fare. Asuo favore, se così possiamo dire, vi è il fattoche egli spontaneamente abbia subito in-formato del “fermo” avvenuto. Se egli sifosse messo al servizio della polizia, perchédirlo? Ma anche ciò si può spiegare con lostato d’animo di uno che tradisce per la pri-ma volta e che pensa non darà più di quellogià dato o promesso e che ha ancora certiscrupoli di coscienza.

L’altro fatto è il confronto fatto subire a(8) con un comp. francese di (7) [Montreuil]di nome (9). Il 9 o 10 febbraio i poliziotti sisono recati a casa di (8), poi sul lavoro, lohanno preso e condotto a (7) [Montreuil] emesso in presenza del c. francese. Questiavrebbe detto che (8) non era l’individuo acui si riferiva, ed allora (8) sarebbe stato ri-lasciato. Queste sono le dichiarazioni di (8)il quale spiega inoltre, che questo c. franc.da lui conosciuto quando ambedue lavora-vano a Arsenale di Vincennes, una voltaarrestato avrebbe fatto il suo nome e dettoche esisteva fra essi un legame per la diffu-sione della stampa.

La cosa più sospetta per (8) è questa: èpossibile che un tipo come lui, conosciutodalla polizia come comunista per i suoi pre-cedenti, denunciato da un altro comp. perun’attività di P. (denunciato con l’indicazio-ne del vero nome) anche se vi è stata ritrat-tazione da parte dell’accusante, possa es-sere lasciato libero? Ora, la cosa è poco ve-rosimile a meno che non si voglia servirse-ne per scoprire altri fili. D’altra parte, (8),dopo questo fatto si è dato da fare presso icomp. per cercare contatti col P.[artito], vuoldare attività, mentre nella sua posizione (am-messo che non vi fosse niente di oscuro) lenorme più elementari della prudenza do-vrebbero consigliarlo a starsene tranquillo.Per il momento egli è stato isolato, esclusodall’organiz. e diffidato presso i comp.

Come vediamo anche l’arresto di (8) congli arresti dei c. francesi di (7) [Montreuil] edall’inchiesta del P.[artito] F.[rancese] su talicadute potranno esser chiarite le posizionisue e quelle di (2).

L’arresto di Rohregger è avvenuto nellanotte o nelle prime ore del mattino di saba-to 14 febbraio [1942].

Il pomeriggio di sabato alle 15, P. che èandato a casa sua, si è salvato per miracoloperché ha incontrato per le scale la mogliedi (1) [Rohregger] che lo ha informato chein casa vi era la polizia.

In casa di Rohregger è stato arrestatoanche (10) [Zanelli] il quale vi si era recatoverso le 13 assieme a (3) [Buzzi] per doman-dare notizie di (1) [Rohregger] che non ave-vano visto nella mattinata. (10) [Zanelli] èsalito e (3) [Buzzi] è rimasto nel cortile a vi-gilare le biciclette fino a quando una donnanon lo ha avvertito della presenza della po-lizia. (3) [Buzzi] è andato dalla moglie diMar.[cellino] perché avvertisse la moglie di(10) [Zanelli] quindi si è recato a casa. Ver-so le ore 17 io e (5) siamo passati davanti lacasa di (3) [Buzzi] ed abbiamo incontrata sua

Page 60: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 59

moglie. Con essa ho criticato fortemente laleggerezza che faceva (3) [Buzzi] rimanen-do in casa ed ho detto che doveva andarse-ne subito. (5) si è incaricato di ripetergli ladisposizione perché doveva salire per riti-rare della stampa e così ci siamo lasciati. Èstato certamente un errore aver permesso a(5) di salire da (3) [Buzzi], malgrado che eglidovesse trattenersi poco tempo e malgradoche fino a quel momento nulla fosse acca-duto. Infatti deve essere stato proprio dopopochi minuti che è arrivata la polizia.

La prima notizia che la polizia era andatada (3) [Buzzi] si è avuta da sua moglie la qua-le, ritornata poco dopo si è accorta che sulportone vi erano dei poliziotti. Essa si è fer-mata un po’ distante per vedere cosa si pas-sava. Un poliziotto le ha domandato se eraM.me (3) [Buzzi, Amelia Passon], essa ha ri-sposto di no ed egli non ha insistito. Dopodi ciò la (3) [Amelia Passon, moglie di Buz-zi] si è allontanata definitivamente.

Dopo alcuni giorni abbiamo saputo cheanche (5) e (11) [Vodopivec] erano in prigio-ne senza sapere come era avvenuto il loroarresto. Infatti, un vicino di casa di (3) [Buzzi]affermava che (3) [Buzzi] era stato arrestatosolo, quando la domenica mattina, pensan-do forse che non vi fossero più i poliziotti,aveva tentato di uscire. Il vicino aveva sen-tito quando (3) [Buzzi] era stato ricondottoin casa e quando l’avevano battuto. I poli-ziotti avrebbero fatto una lunga perquisizio-ne.

Dopo una ventina di giorni, (11) [Vodopi-vec] è uscito di carcere ed ha raccontato chequando è arrivata la polizia in casa di (3)[Buzzi] vi era lui (11) [Vodopivec] e (5). (3)[Buzzi] non ha risposto e tutti e tre sono statiarrestati insieme.

Non abbiamo nessun altro elemento checonfermi quanto dichiara (11) [Vodopivec],ma pensiamo che il suo racconto corrispon-da a verità.

A proposito del suo rilascio, (11) [Vodo-pivec] dice che questo è avvenuto perchéha potuto dimostrare che non aveva nulla ache fare con quello che potevano contesta-re a (3) [Buzzi]. Egli avrebbe dichiarato chearrivato dalla Germania in quei giorni, eraandato da (3) [Buzzi] (che aveva conosciu-to sul lavoro) per domandargli di essere te-stimone al suo matrimonio. Circa il passatopolitico e il carcere fatto in Italia, (11) [Vodo-pivec] avrebbe detto essere un nazionalistasloveno che aveva lottato contro l’oppres-sione italiana e per questo condannato. Lapolizia avrebbe controllato le sue dichiara-zioni (anche la fidanzata è stata interrogata)ed in seguito lo ha rilasciato, non solo, maautorizzato anche a ritornare in Germania.

Questa scarcerazione non è affatto chia-ra: è abbastanza strano che la polizia rilascicosì facilmente un elemento come (11) [Vo-dopivec], coi suoi precedenti (ammesso an-che che conosca solo quelli da lui dichiara-ti) che viene trovato in casa di un comunistaaccusato di quello che è accusato, insiemead un altro comunista coi quali passa tuttala notte pur sapendo che questo fatto è pocospiegabile per uno che dice di avere dei sem-plici rapporti di conoscenza.

Bisogna tener conto di queste conside-razioni e del fatto che (11) [Vodopivec] si èsposato in chiesa dai preti di Montr.[euil],cosa che dimostra una posizione di sotto-missione e di compromesso, per valutare ledichiarazioni sue a riguardo di (1) [Rohreg-ger] e di (3) [Buzzi]. Bisogna aggiungere chele informazioni ci sono pervenute attraver-so (4) il quale per due volte ha parlato con(11) [Vodopivec] senza farsi dare più precisiparticolari. Dunque (11) [Vodopivec] avreb-be detto che (3) [Buzzi], col quale era statoassieme, era stato molto picchiato ma si eraportato bene, mentre (1) [Rohregger] avreb-be ammesso di aver fatto certi lavori e diaverli fatti fare anche a (3) [Buzzi], il quale,

Page 61: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

60 l’impegno

però avrebbe negato. La seconda volta (11)[Vodopivec] avrebbe detto invece che (3)[Buzzi] avrebbe ammesso di aver fatto deilavori perché gli erano stati comandati da(1) [Rohregger] che era suo capo e perchécredeva servissero per la pesca. Il respon-sabile degli arresti sarebbe stato uno spa-gnolo legato con (1) [Rohregger].

Queste accuse così gravi verso (1) [Roh-regger] non possono essere ritenute comefondate se non saranno confermate da altrielementi di fatto che provino la loro verità,cosa che fin’ora non abbiamo.

Ciò significa che dovranno essere ricer-cate più a fondo le cause dell’arresto dicomp. che erano legati con (1) [Rohregger]per vedere se esistono delle responsabilitàsue nelle cadute. Da questo punto di vistaoccorre esaminare l’arresto di (12), comp.molto legato con (1) [Rohregger] il di cui la-voro era conosciuto solo da (1) [Rohregger]e da sua moglie e sospettato, forse, da pochialtri. L’arresto di (12) è avvenuto lo stessogiorno 14 febbraio, bisognerebbe ammette-re quindi che (1) [Rohregger] si fosse mes-so subito sul terreno delle confessioni e loavesse denunciato, oppure fosse stata lamoglie a far ciò. Ora, è poco verosimile chesia avvenuto questo perché (1) [Rohregger]e sua moglie non avevano certamente nes-suno interesse a far scoprire del materialeche avrebbe enormemente aggravata la loroposizione. Perché (12) è stato arrestato? Laversione dei comp. del suo gruppo è egli siastato scoperto mentre portava via della robada dove lavorava (Gare d’Austerlitz) e chenella perquisizione gli abbiano trovato an-che altro materiale. I poliziotti che comuni-carono l’arresto di (12) a una sua zia, le dis-sero che il nipote era ladro e terrorista.

Questa versione è poco da credere: biso-gnerebbe ammettere fra l’altro che propriouna coincidenza strana avesse fatto capi-tare l’arresto quasi contemporaneo di (1)

[Rohregger] e (12). La polizia deve aver tro-vato (12) per altre vie: (1) [Rohregger] tenevapresso (12) il rimorchio della bicicletta e pro-babilmente questa cosa era conosciuta dal-la congierge o da qualche vicino che ancheinvolontariamente possono averla detta allapolizia; inoltre è molto probabile che dell’e-sistenza del deposito fossero stati a cono-scenza anche i due dirigenti di (1) [Rohreg-ger] uno dei quali, sicuramente è una caro-gna. Infine, non è da escludere che altri ele-menti legati con (1) [Rohregger] e da noi nonconosciuti siano stati al corrente della cosa,sia pure non in modo preciso. Perciò, ancheper l’arresto di (12) non si hanno per ora deidati che possano farne attribuire la causa aqualcuno ben precisato. Fino ad oggi a ca-rico di (1) [Rohregger] vi sono le dichiara-zioni di (11) [Vodopivec], che sarebbero poiquelle di (3) [Buzzi], e il dubbio a propositodi (12), ma quando si pensi che nessun al-tro comp. legato con (1) [Rohregger] per illavoro, è stato arrestato, ci sembra sia ne-cessario essere prudenti prima di accusaredi tradimento o di debolezza un comp. chedovremo invece ricordare con orgoglio.

La moglie di (1) [Rohregger] è stata sor-vegliata strettamente dalla polizia: un poli-ziotto abitava in casa e l’accompagnava do-vunque. Ci è stato possibile farla avvicinarein una “coda” per alcuni istanti dopo 7-8giorni dall’arresto del marito e poté soltantodire che a (1) [Rohregger] non avevano tro-vato nulla. Da quel momento, benché sianostati fatti tentativi per incontrarla, non è statapiù vista e bisogna considerare come sicuroanche il suo arresto. Cosa abbiano trovatoa suo carico non sappiamo, come non sap-piamo dove si trova.

Quali sono le cause dell’arresto di (1)[Rohregger]? Secondo le informazioni delnostro dirigente, (1) [Rohregger] sarebbestato venduto da un traditore (Spartaco) ita-liano naturalizzato che ha militato sempre

Page 62: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Appunti sul ruolo degli emigrati italiani comunisti nella Resistenza francese

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 61

coi francesi, il quale avrebbe fatto cadereanche altri. Questo Spartaco era da poco di-rigente di (1) [Rohregger] ed aveva succe-duto ad un altro (lo spagnolo) che secondole informazioni di (11) [Vodopivec] sarebbestato invece la causa diretta. È certo che l’ar-resto di (1) [Rohregger] non ha origine diret-ta nel nostro ambiente. Però dei gravi erroricospirativi sono stati commessi nell’orga-nizzare il lavoro di (1) [Rohregger] che pos-sono avere avuta una influenza indiretta nelfatto accaduto. Da parte nostra sono statitrovati dei comp. che dopo essersi fatti pre-sentare a (1) [Rohregger] hanno rifiutato illavoro; altri elementi, anche non comp. tro-vati personalmente da (1) [Rohregger] han-no fatto lo stesso. Del lavoro di (1) [Roh-regger] è stato parlato anche con leggerezzacriminale, in un locale pubblico anche acomp. che nulla sapevano. (2) pure sapevaqualcosa perché (1) [Rohregger] lo avevaadoperato quando lavorava assieme; forseanche (8) doveva sapere qualcosa. Inoltre(1) [Rohregger] aveva degli appoggi fracomp. non italiani e da noi sconosciuti edinfine egli stesso aveva commesso la legge-rezza di far comprendere a varie persone ciòche faceva. Quindi non è affatto da esclude-re che qualcosa non sia arrivato all’orecchiodella polizia ed abbia richiamato la sua atten-zione se non direttamente su (1) [Rohreg-ger] almeno su (6) [Arsenale di Vincennes].

Sull’arresto di (3) [Buzzi] non possiamofare altro che delle ipotesi. Che fosse statoindividuato prima ci sembra da escludereperché l’avrebbero arrestato contempora-neamente a (1) [Rohregger], c’è da ammet-tere che il suo nome sia stato fatto da (1)[Rohregger] o da (10) [Zanelli] oppure chela polizia abbia ricercato quali erano gli an-tifascisti noti che lavoravano assieme a (1)[Rohregger] e lo abbia trovato così. Può es-sere che la concierge o qualche vicino cheaveva visto (3) [Buzzi] nel cortile lo abbia

detto alla polizia e che (10) [Zanelli] non ab-bia negato di essere venuto assieme ad unaltro e abbia fatto il nome. La polizia è arri-vata da (3) [Buzzi] 4-5 ore dopo che egli erastato da (1) [Rohregger] e forse non dovevaavere dei sospetti molto seri sopra di lui per-ché non ha fatto forzare la porta e si è limi-tata ad attendere.

Dal modo come sono avvenuti gli arrestisi può dire che per gli altri la caduta puòessere stata più o meno occasionale. Così èper (10) [Zanelli], (11) [Vodopivec], (5), e for-se anche per (3) [Buzzi]. Per (12) non è daescludere la stessa cosa, ma con molte riser-ve perché per lui vi può essere stata la de-nuncia da parte di qualcuno.

(10) [Zanelli] si trova alla Santé e deveessere stato isolato da tempo dagli altricomp. perché manda a chiedere notizie loro.Dice anche che dai primi momenti non è statopiù interrogato e ha chiesto che la moglievada a domandare di lui alle autorità tede-sche perché, egli pensa, lo dovranno o man-dare in Italia o inviare a un campo di concen-tramento, ma non tenere in carcere in quan-to su di lui non vi sono accuse specifiche.La moglie dovrà ricevere una risposta, aquanto pare precisa, nei prossimi giorni.

Di (5) non sappiamo nulla. Il fatto che eglinon abbia nessuna persona che legalmen-te possa interessarsi di lui rende difficileavere sue notizie. Dobbiamo vedere la pos-sibilità di fare interessare qualche avvoca-to. (11) [Vodopivec] disse che la polizia ave-va dimostrato a (5) di essere bene informa-ta di tutto il suo passato e gli aveva detto inmodo preciso dov’era stato e cosa avevafatto da quando era uscito dall’Italia.

La moglie di (3) [Buzzi] sembra sia ricer-cata dalla polizia e dal carcere hanno man-dato a dire che si metta al sicuro. Abbiamoprovveduto a sistemarla altrove provviso-riamente in attesa di una sua sistemazionemigliore.

Page 63: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Davide Spagnoli

62 l’impegno

Nel processo svoltosi in questi giorni cirisulta esservi compresi solo (1) [Rohregger]e (3) [Buzzi] ma fin’ora non essendoci statopossibile sapere i nomi veri delle moglie di(1) [Rohregger] e di (12) non possiamo as-sicurarvi che anch’essi non vi figurino.

19 Aprile 1942, Foggi (Lampredi)».A questa prima relazione ne segue un’al-

tra, per la quale non conosciamo l’identitàdell’estensore, che ha per oggetto SoniaBianchi, la moglie di Rohregger, e che gettauna luce anche sul comportamento di Ric-cardo durante il processo81.

«Informazioni ricevute dalla moglie diR.[ohregger]82

La moglie di R.[ohregger] [Sonia Pflasternaturalizzata Bianchi] durante il processo sitrovava in carcere con le due accusate [Si-mone Schloss e Thérese Lefebvre] ed haavuto con queste diverse informazioni sul-l’andamento del processo. Secondo la suainformazione risulta che R.[ohregger] è sta-to dato dallo spagnolo [Conrado Miret-Muste]. Risulta pure che R.[ohregger] si ècomportato bene, che al processo aveva unbuon comportamento ed è intervenuto di-verse volte. R.[ohregger] cercò di prender-si la responsabilità delle cose che la poliziasapeva per scaricare gli altri accusati (spe-

cialmente per B.[uzzi]). Il B.[uzzi] è statocondannato perché la polizia ha potuto sta-bilire che alcuni oggetti trovati da loro po-tevano soltanto essere stati fatti dalle mac-chine dove lavorava B.[uzzi], per questo lasua grave condanna, malgrado i tentativi diR.[ohregger] di scagionarlo.

La moglie di R.[ohregger] durante un col-loquio aveva avuto un avvertimento da par-te di R.[ohregger] per S.[?]. Cioè R.[oh-regger] aveva fatto capire che S.[?] doveva,se non l’aveva fatto, sgombrare la sua casada ogni cosa. La moglie di R.[ohregger] an-dò a trovare S.[?] per fare la commissione etrovò nella casa di S.[?] la polizia, per que-sto venne arrestata anche lei».

La parola fine alla storia del gruppo Roh-regger, dimenticata per oltre mezzo secolo eche sta riguadagnando di nuovo la luce, nonè ancora possibile scriverla perché dagli ar-chivi emergono sempre nuovi tasselli chegettano un’ulteriore vivida luce su questogruppo e sulla portata delle sue gesta. Inol-tre i cambiamenti legislativi promessi in tut-ta Europa potrebbero portare alla scopertadi ulteriori elementi che chiarirebbero i puntioscuri che ancora non mi è stato possibileilluminare.

81 Il testo originale riporta i nomi abbreviati, tra parentesi quadre ho completato quelli notied indicato con un punto interrogativo quelli ignoti.

82 Fondazione Istituto Gramsci, APC, Mosca, microfilm 293, pacco 35 I, documento 47.

Page 64: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

saggi

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 63

Aminto Ettore Augusto Caretto nacque aCrescentino da Giovanni e da Emilia Fonta-na il 7 ottobre 18931. Sottotenente nel 1914,fu inserito nel 4o reggimento bersaglieri.Promosso tenente il 5 luglio 1915 e capita-no il 15 febbraio 1916, durante le operazionibelliche della prima guerra mondiale fu feri-to due volte. Dopo una breve degenza pres-so l’infermeria militare, tornò sul frontequale comandante del 4o reparto d’assalto“Fiamme Cremisi”2, indi passò al comandodel 26o reparto e fu inviato in prima linea perl’attività di ricognizione, in seguito alla qua-le, per aver riconquistato le nostre batteriecadute in mano agli austriaci, fu decoratocon una medaglia d’argento e tre di bronzo

al valor militare. Verso il 20 del mese d’ago-sto 1917 gli giunse l’ordine di espugnare lecime del monte Maio, a 1.572 metri d’altez-za, nella zona est di Rovereto. L’attacco furespinto dalle forze austriache e i reparti ita-liani rientrarono con forti perdite, ma ripar-tirono poco dopo mettendo in fuga gli av-versari, mentre Caretto si trovava momen-taneamente all’ospedale per un attacco ditifo.

Quando, dopo la rotta di Caporetto, l’eser-cito italiano si attestò sulla sponda occiden-tale del Piave, furono proprio gli Arditi del-le “Fiamme Cremisi” a condurre le prime azio-ni offensive contro gli austriaci. Passaronoil fiume di notte con il pugnale fra i denti ed

MARIO OGLIARO

Aminto Caretto, colonnello dei bersaglieri,medaglia d’oro al valor militare (1893-1942)

1 La famiglia Caretto, anticamente originaria di Maglione (Torino), si trasferì a Crescentinonel 1652, quando Giulio Caretto sposò nella chiesa parrocchiale di Crescentino, Caterina,figlia di Matteo Beretta di Maglione. La maggior parte delle notizie su Aminto Caretto sonodovute alla relazione inedita del 21 settembre 1952, del generale di divisione Mario Marazzani(1887-1969), comandante della III divisione “Celere”, avuta il 6 ottobre 1963, quando vennea Crescentino in occasione del raduno del 3o bersaglieri reduci dalla Russia, organizzato inmemoria di “papà Caretto”, come veniva famigliarmente chiamato il colonnello. Analogamanifestazione si svolse a Crescentino nel 2002, in occasione del 60o anniversario della suamorte, in presenza della vedova Caretto, signora Anna Castagneris, del figlio Ennio e conla partecipazione del sindaco Fabrizio Greppi, di Gian Carlo Ciberti, presidente dell’Asso-ciazione nazionale bersaglieri in congedo del Piemonte, del colonnello Angelo Giacomino,comandante del 3o reggimento bersaglieri, di Emilio Vio reduce dalla campagna di Russia edello scrivente, che tenne la relazione storica.

2 MARCO DONATO, Come vedo il mio Reggimento in guerra (2o e 14o Bersaglieri), Legna-go, Tip. P. Manani, 1933, p. 127.

Page 65: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Mario Ogliaro

64 l’impegno

assalirono le sentinelle nemiche, catturandoarmi e facendo saltare le postazioni trincera-te. Per quest’azione di coraggio essi furonopoi soprannominati i “Caimani del Piave”.

I reparti degli Arditi formati da bersaglierifurono tre: il 26o, costituito nel 1917 e co-mandato fino al 4 novembre 1918 da Amin-to Caretto; il 23o, sorto in quello stesso anno,alla cui guida si succedettero tre comandanti:il maggiore Domenico Mondelli, il capitanoFrancesco Marotta e il maggiore LorenzoAllegretti; il 72o, nato il 1 maggio 1918, chefu affidato al capitano Ettore Marchand,pronipote dell’ufficiale napoleonico LaurentMarchand, poi al tenente colonnello Uber-to Baldini, indi al tenente colonnello LuigiUbertolli. Il capitano Marchand cadde il 28ottobre 1918 in seguito all’esplosione di unagranata avversaria.

L’azione degli Arditi non fu considerevo-le soltanto sul Piave, ma anche in molti puntinevralgici del fronte, che l’esercito italianoera chiamato a sostenere dopo la travolgen-te avanzata delle armate austroungariche. Il26o, al comando di Caretto, aveva conqui-stato il monte Valbella, a quota 1.312, sottogli occhi di Vittorio Emanuele III, che da unosservatorio aveva seguito tutte le fasi dellalotta3. Il sovrano era rimasto impressionatodalla forte offensiva dei bersaglieri controle massicce difese austriache e volle lui stes-so decorare la bandiera del reparto con lamedaglia d’argento al valor militare. La ceri-monia si svolse a Villaverla, vicino a Thiene,e da allora la fama di Caretto e delle “Fiam-

me Cremisi” si diffuse a tal punto che persi-no il giovane principe del Galles, cioè il fu-turo Edoardo VIII d’Inghilterra, volle cono-scere quei valorosi in occasione di una suavisita alle prime linee.

Per tutta la durata del conflitto, Carettocon il suo 26o continuò a combattere: sulMontello, a Nervesa, a Sernaglia, a Grisole-ra sulla Livenza, a Sette Casoni, dove feceprigioniero un intero reparto di bavaresi, in-di procedette passando il Livenza e il Taglia-mento4, sbaragliando gli austriaci presso ilponte di Mendrisio. Alle sue dipendenze si

3 Al comandante di compagnia Caretto fu conferita la croce di guerra al valor militare (regiodecreto 12 febbraio 1925).

4 Quale comandante del reparto d’assalto, Caretto ricevette due medaglie di bronzo alvalor militare (regio decreto 25 agosto 1919; regio decreto 4 luglio 1920) e una medagliad’argento al valor militare (regio decreto 11 maggio 1922) per aver riconquistato le nostrebatterie respingendo l’avversario. Nello stesso periodo ricevette la croce di guerra dal governobelga con brevetto n. 46069 dell’8 febbraio 1918.

Il colonnello Aminto Caretto

Page 66: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Aminto Caretto, colonnello dei bersaglieri, medaglia d’oro al valor militare (1893-1942)

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 65

trovava il sottotenente Randolfo Pacciardi(1899-1991), futuro ministro della Difesa nelsecondo dopoguerra. Emanuele Filibertod’Aosta, il leggendario “duca di ferro”, co-mandante della 3a armata, aveva una grandeconsiderazione per quel reparto e più voltesi prese cura di segnalarne le azioni al gene-rale Armando Diaz, perché ne fosse fattamenzione sul bollettino di guerra. Nel dia-rio del cappellano militare Reginaldo Giulia-ni, testimone di quei tragici episodi, sonodescritti i grandi sacrifici di sangue compiutida quel reparto.

Dal 1922 al 1926 Caretto fu in Eritrea e inLibia. Da quest’ultima regione passò in Cire-naica, dove partecipò a vari fatti d’armi e,dopo l’occupazione dell’oasi di Giarabub,gli fu conferita un’altra medaglia di bronzo5.Promosso maggiore il 1 gennaio 1928, tenen-te colonnello il 31 dicembre 1936 e colonnel-lo il 1 gennaio 1940, Caretto si trovò all’ini-zio della seconda guerra mondiale coman-dante del 3o reggimento bersaglieri6. Non

appena assunse il comando, impose una ri-gorosa ma corretta disciplina, cercando diamalgamare i nuovi reparti che erano afflui-ti al reggimento con il proposito di conferirequella necessaria preparazione che avreb-be giovato al comportamento dei bersaglieri.Dai suoi soldati fu definito l’«uomo dallosguardo e dal gesto carismatico, con quelsuo bastone che di tanto in tanto arrivavain testa a qualche mariuolo, nell’intento dicorreggere le cattive interpretazioni in unarigorosa quanto necessaria disciplina direparto, tanto più che doveva sbrigarselacon più di tremila uomini, anzi, tremila sca-tenati ma addestratissimi bersaglieri»7. Egliera uomo deciso, coriaceo, severo e moltoattento ai problemi organizzativi.

In Bosnia, nella primavera del 1941, ci fu-rono pochi combattimenti, così il nostroufficiale si dedicò a perfezionare l’addestra-mento delle sue truppe. Com’è noto, quan-do von Ribbentrop comunicò a Ciano chele ostilità contro la Russia sarebbero state

5 Regio decreto 25 giugno 1925, per essersi distinto sull’altipiano cirenaico con «parti-colare perizia e valore» nelle azioni militari di Maraua, Belihuse, Bosco Mteifla, Gate el Haiol,Huad el Gil.

6 I bersaglieri furono istituiti con regio decreto di Carlo Alberto del 18 giugno 1836, surichiesta dell’allora capitano Alfonso La Marmora. Il motto del 3o reggimento bersaglieri è:Maiora viribus audere (osare con le proprie forze cose più grandi). Tale corpo trae originidal Comando bersaglieri del 3o corpo d’armata, con sede a Mantova, ma fu costituito for-malmente il 31 dicembre 1861. Partecipò alle campagne del brigantaggio, alla 3a guerra d’in-dipendenza del 1866, alla presa di Roma nel 1870, alla spedizione in Eritrea nel 1895, allacampagna di Libia del 1911 e alla prima guerra mondiale. Per effetto della circolare ministerialen. 3760 del 7 luglio 1924, il corpo fu trasformato in ciclisti. L’11 marzo 1926, con la legge n.396, il reggimento fu ricostituito e nel 1940 fu inquadrato nella III divisione Celere “PrincipeAmedeo Duca d’Aosta”, schierandosi sul fronte alpino occidentale. Nel 1941 partecipòall’occupazione di Spalato, nonché alla campagna contro la Jugoslavia in Bosnia e il 24 lugliodi quello stesso anno partì per la campagna di Russia. Al 3o bersaglieri, con delibera del 28novembre 1998, il Comune di Milano conferì la cittadinanza onoraria. Nel 1992 il 3o ritornòad essere reggimento e partecipò alla forza di pace in Somalia (1993-1994), in Bosnia (1996)e in Albania (1997). Esso è decorato di due ordini militari di Savoia, tre medaglie d’oro, tremedaglie d’argento, tre medaglie di bronzo e una medaglia di bronzo al valor civile.

7 DANTE MERCALLI [tenente colonnello], Il “Terzo” e il suo comandante, sl, sn, sd, p. 12e ss.

Page 67: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Mario Ogliaro

66 l’impegno

imminenti8, il primo pensiero del duce fuquello di arrivare sul fronte russo il più pre-sto possibile. Egli era convinto che il «sa-crificio di sangue italiano» sarebbe statoutile e necessario, onde partecipare al futuroassetto europeo. Per tale ragione inviò tredivisioni: “Celere”, “Pasubio” e “Torino”,al comando del generale Giovanni Messe,sostituito poi alla fine del 1942 con Italo Ga-riboldi. Il quotidiano “La Stampa” di Torinone dava l’annuncio con un reboante titolo9,cui fece seguito l’opera di propaganda persottolineare che «l’idealità animatrice diquella vera, nuova crociata, doveva neces-sariamente portare l’Italia fascista a schie-rarsi sul fronte antibolscevico»10, anche seil führer avrebbe preferito l’impegno italia-no nel rafforzamento delle posizioni del-l’Africa settentrionale.

Questa folle e tragica campagna militare,come già quella di Grecia, fu definita da al-cuni storici come la “guerra dei colonnelli”,perché il numero dei comandanti di reggi-mento con tale grado che vi persero la vitacombattendo alla testa dei loro reparti fuelevatissimo. Fu una delle spedizioni piùsanguinose di quella guerra che - secondole previsioni - si sarebbe dovuta conclude-re assai presto. Il 10 luglio partì da Verona ilprimo convoglio militare del “Csir” (Corpodi spedizione italiano in Russia)11. Il 24 del-lo stesso mese, sempre da Verona, partìanche il colonnello Caretto, sotto il coman-

do del generale di divisione Mario Maraz-zani, comandante della III divisione “Cele-re”, che raggruppava il 3o reggimento ber-saglieri del nostro colonnello, il reggimen-to “Savoia Cavalleria”, i “Lancieri di Nova-ra”, un reggimento d’artiglieria a cavallo eun gruppo di carri armati leggeri L6/40.Giunti in Romania, si diressero verso la Rus-sia e, dopo faticosissime marce, raggiunse-ro il fronte del Dnieper12, fiume che in quelperiodo aveva straripato perché i sovieticiavevano fatto saltare le dighe di Kremen-cium. La nostra divisione si affiancò alle uni-tà avanzate del Panzergruppe del feldma-resciallo Ewald von Kleist e partecipò allabattaglia di Petrikowka, svoltasi negli ulti-mi tre giorni di settembre. Ai primi d’otto-bre i bersaglieri di Caretto riattraversaronoil Dnieper con i gommoni, al fine di predi-sporsi per le successive operazioni militari.Si fece un primo bilancio delle perdite, chenon furono elevate, ma si doveva control-lare un gran numero di prigionieri russi ap-partenenti alle truppe poste alla difesa d’al-cune zone dell’Ucraina e delle vie che por-tavano il petrolio dal Caucaso.

Secondo il generale tedesco Heinz Gude-rian, Hitler avrebbe affermato che i suoigenerali non capivano «nulla di economiadi guerra»13. Pertanto, le forze militari di que-sto ufficiale tedesco, sordo a tutte le esorta-zioni dei suoi consiglieri, il cui obiettivo eraMosca, dovettero invece lanciarsi al tergo

8 LEONARDO SIMONI, Berlino Ambasciata d’Italia, Roma, Migliaresi, 1946, p. 245 e ss.9 “La Stampa”, n. 155, 29 giugno 1941.

10 Il secondo anno di guerra, a cura del Ministero della Cultura popolare, Roma, sd [1941],p. 59.

11 Nel 1942, com’è noto, fu creata l’Armata italiana in Russia (Armir) con duecentoven-tinovemila uomini inquadrati in dieci divisioni.

12 LUCIO LAMI, Isbuscenskij: l’ultima carica, Milano, Mursia, 1970, p. 39.13 HEINZ GUDERIAN, À la tête des panzers: souvenirs d’un soldat, Paris, Librairie Plon, 1954,

pp. 183-186.

Page 68: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Aminto Caretto, colonnello dei bersaglieri, medaglia d’oro al valor militare (1893-1942)

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 67

dei difensori del Dnieper14. Per tale ragio-ne, al 3o bersaglieri giunse l’ordine di ap-poggiare la 1a armata corazzata tedesca perl’occupazione del grande bacino carboniferodel Donetz, ricco d’industrie e materie pri-me. La temperatura, essendosi fatta improv-visamente rigida, costrinse Caretto a darel’ordine di tenere un autocarro con il moto-re acceso durante la notte, onde aggancia-re gli altri al mattino con il motore gelato. No-nostante il freddo intensissimo e le pioggetorrenziali che avevano trasformato le pistein enormi pantani, i quali aggravavano siagli spostamenti delle truppe che il traspor-to dei rifornimenti logistici, il 9 ottobre ini-ziò l’avanzata della “Celere”. Essa, piuttostoabituata a spostamenti improvvisi e veloci,s’impegnò con un’azione contro la testa diponte di Pavlograd, una città situata nellaparte orientale dell’Ucraina con alcune fab-briche e una stazione da cui passava la li-nea ferroviaria da Carcov alla Crimea. Nellostesso tempo, i bersaglieri di Caretto ebbe-ro il compito di occupare la cittadina di So-fja e l’importante nodo ferroviario di Stali-no sul fiume Kalmius15, dove riuscirono adinfrangere le tenaci resistenze russe anchecon lotte corpo a corpo, soprattutto nellazona aeroportuale e in quelle dov’eranoconcentrati i vari complessi industriali. Raf-forzata la posizione, Caretto dovette proce-dere senza indugio nel cuore del bacino,dove entrò il 20 successivo, prima dei tede-schi, sostenendo duri scontri contro le for-ti retroguardie russe. La città cadde proprio

grazie all’irresistibile offensiva dei bersa-glieri, ma il completamento del controllo diquell’immensa area prevedeva anche l’oc-cupazione delle città di Rykowo, Gorlowkae della stazione di Trudowaja.

Con un siffatto obiettivo, il 22 ottobre la“Celere” riprese la marcia, scontrandosi mol-to spesso in aspri combattimenti con i rus-si, che utilizzavano la tecnica della guerri-glia per infliggere agli italiani le maggioriperdite possibili. Caretto, dunque, si trovòall’avanguardia e gli stessi alleati germanici,che pure avevano alle spalle travolgenti vit-torie, dovettero riconoscere che quei soldaticon la piuma sull’elmetto erano davvero do-tati di grande resistenza. I procedimenti tat-tici dei bersaglieri s’indirizzarono in un’azio-ne organica destinata ad infrangere la resi-stenza di tre divisioni sovietiche che presi-diavano Rykowo e le aree limitrofe16. Per so-praffare l’organizzazione difensiva russa, inmezzo ad una tempesta di fuoco, Caretto com-prese che si rendeva necessaria una mano-vra a tenaglia, ma di sorpresa. Il 1 novembre,con un’audace azione, estese progressiva-mente il fronte di combattimento, sbaraglian-do il forte presidio, il quale, dato il terrenoquasi impraticabile per il fango, non si a-spettava di essere attaccato sul fianco edalle spalle. Il giorno successivo, i reggimenti79o e 80o della “Pasubio” occuparono Gor-lowka17, vincendo una resistenza particolar-mente dura e con combattimenti pressochécasa per casa. Eliminati gli ostacoli superfi-ciali e le ultime resistenze per merito dei te-

14 CARLO CIGLIANA, Operazione Barbarossa (giugno 1941-marzo 1942), in “RivistaMilitare”, n. 5, maggio 1971, p. 663.

15 Le operazioni delle unità italiane al fronte russo, 1941-1943, a cura dello Stato maggioredell’esercito italiano-Ufficio storico, Roma, Sme, 2000, p. 568.

16 BENIGNO CRESPI, La battaglia di Natale dal diario di un ufficiale del Corpo di Spe-dizione Italiano in Russia (CSIR), Milano, Longanesi, 1965, p. 127 e ss.

17 Le operazioni delle unità italiane, cit., p. 116.

Page 69: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Mario Ogliaro

68 l’impegno

nenti Mario Dettori e De Larderel dei Lan-cieri di Novara, si apriva l’interminabile step-pa gelata, da dove giunse improvvisamen-te la prima violenta controffensiva russa or-ganizzata per arrestare l’avanzata tedesca eper sottoporre poi l’esercito invasore ad unintenso logoramento nel corso dell’inverno.

L’80o reggimento di fanteria della “Pasu-bio”, meglio conosciuto come “Colonna Chia-romonti”, che aveva occupato Nikitowka, fuimprovvisamente accerchiato dai russi18. Suordine del generale Mario Marazzani, Caret-to dovette portarsi in quella città con i suoibersaglieri per soccorrere i compagni d’arme.Per raggiungere tempestivamente l’obietti-vo, eseguì di notte e su terreno fangoso unamagistrale “marcia di fianco”, sottraendosialla vista dei russi. Non appena giunse neisobborghi di Nikitowka, lanciò un durissi-mo attacco contro il nerbo delle forze asse-dianti, subendo gravi perdite: quarantaquat-tro morti, ventidue feriti e dieci dispersi, inconsiderazione del terreno completamentescoperto ed intensamente battuto. Tra i mor-ti cadde eroicamente anche il tenente Fede-rico Rossi19, che si era offerto volontario perun colpo di mano sulla stazione di Wolinye,da cui i russi sferravano micidiali attacchicontro gli italiani. I sovietici reagirono conuna subitanea offensiva contro il fianco de-stro dei nostri reparti, rimasto scoperto dal-le perdite dovute all’impeto dello scontropressoché frontale. Infine, dopo ventiquat-tro ore di combattimenti, Caretto riuscì a ri-stabilire i contatti con i fanti italiani e a ri-solvere lo sblocco del corpo accerchiato. Il

colonnello Epifanio Chiaromonti stese unarelazione che costituì un vero e proprio apo-logo per gli uomini del 3o e per il loro coman-dante. Messe si associò a questa segnala-zione, così a Caretto fu conferita la medagliad’argento al valor militare “sul campo”.

Poco dopo, la divisione si spostò in unsettore laterale con solo il 3o bersaglieri edue battaglioni della “Tagliamento”. Dopoaver conquistato vari villaggi, dovette fra-zionarsi per vanificare diversi capisaldi di re-sistenza, attestati nelle città vicine. Al co-lonnello Carlo Lombardi fu affidato il settoredi sinistra, mentre a Caretto quello di de-stra20 con appena due battaglioni e duecompagnie di bersaglieri motociclisti. Nellostesso tempo fu disposta una linea di difesache permettesse di mantenere le posizioniraggiunte, con la convinzione che, per stan-chezza, esaurimento ed ingenti perdite su-bite, anche i russi sarebbero stati costrettia riassestarsi. Essi, invece, avevano decisodi passare alla controffensiva proprio inprossimità delle feste natalizie e, dopo unaserie d’attacchi d’assaggio e d’azioni diver-sive, il 25 dicembre scatenarono contro lelinee italiane tre divisioni, un corpo di caval-leria, con l’appoggio dell’artiglieria e dei carriarmati. Verso l’alba di Natale, un pallido rag-gio lunare aveva rotto la foschia, mentre ilvento gelido, che trasportava il nevischioghiacciato, sembrava si stesse smorzandoper lasciare il posto ad una cortina di bruma.La battaglia si prospettò subito difficile ecruenta, come risulta anche da due lettereinviate dal fronte21, sia per la bufera di neve

18 La “Colonna Chiaromonti” era composta da un battaglione del 79o e tre dell’80o fanteria“Roma”.

19 Federico Rossi, medaglia d’argento al valor militare, era nato a Monza il 12 settembre1916 e morì l’11 novembre 1941.

20 GIOVANNI MESSE, La guerra al fronte russo, Milano, Rizzoli, [1947], p. 138.21 BIANCA CEVA, Cinque anni di storia italiana 1940-1945: dalle lettere e diari dei

caduti, Milano, Edizioni di Comunità, 1964, p. 60.

Page 70: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Aminto Caretto, colonnello dei bersaglieri, medaglia d’oro al valor militare (1893-1942)

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 69

che aveva ripreso la sua consueta intensitànelle prime ore del mattino, sia perché i com-battimenti ebbero per teatro la steppa privad’ostacoli naturali e con i fronti troppo al-largati per poterli coprire adeguatamente. Insoccorso degli italiani intervennero duereggimenti tedeschi sull’estrema sinistra delfronte, quando i soldati della “Tagliamen-to” erano stati pressoché decimati dall’ur-to offensivo. Anche i bersaglieri di Carettosi stavano oramai dissanguando da dodiciore, spesso all’arma bianca.

Nel pomeriggio dello stesso giorno, il 18o

battaglione dei bersaglieri, dopo un’acca-nita resistenza, fu costretto a ripiegare, men-tre il 25o si batteva disperatamente a Rossi-naja. Caretto accorse con il 20o per ristabili-re l’equilibrio della situazione. Solo versol’imbrunire, quando molte posizioni eranostate perdute, s’intravidero i cingolati alleati,ma Caretto, da quanto afferma il generale

Marazzani, non perse mai completamente ilcontrollo della situazione, rimanendo sem-pre nelle primissime posizioni «dove mag-giore era il pericolo, dove più bisogno ur-geva», come scrisse il giornalista ManlioBarilli. Il giorno di Santo Stefano, i russi, chesi erano battuti con grande valore, furonocostretti a retrocedere dall’intero settoredivisionale, a diversi chilometri di distanzadalla base italiana. Battaglia sanguinosissi-ma, il cui esito fu dovuto alla capacità di te-nuta dei comandanti, primo fra tutti Caret-to, che nella circostanza fu insignito dellaseconda medaglia d’argento al valor militare“sul campo”. Per la stessa ragione furonodecorati con due medaglie d’oro alla memo-ria il tenente Violetti ed il bersagliere Cas-sinelli. L’eco del rigoroso comportamentomilitare di Caretto giunse anche al generalevon Kleist, che volle personalmente insigni-re con la croce di ferro l’occhialuto colon-nello italiano. Nei giorni che seguirono icombattimenti continuarono ininterrotta-mente. I bersaglieri, che furono le unità piùprovate, con l’appoggio dell’aeronauticaitaliana, passarono al contrattacco, fino allafine della battaglia, che si concluse il 30 di-cembre.

Ai primi di gennaio del 1942, mentre i bat-taglioni Vestone e Verona, con parte del Val-chiese si preparavano per dare l’attacco al-l’abitato di Nikolajewka, il 3o bersaglieri con-tava i suoi morti, fra i quali vi era anche ilsuo cappellano militare, don Giovanni Maz-zoni, già medaglia d’oro durante la primaguerra mondiale. Contro gli inviti a nonmuoversi, questo sacerdote, sprezzante delpericolo, uscì dal suo riparo per portare l’ul-timo viatico ad un soldato morente sulla ne-ve, ma a sua volta fu falciato dal fuoco av-versario. Gli sarà concessa una seconda me-daglia d’oro. Don Enelio Franzoni, cappella-no più giovane, ricorda che don Mazzonicadde con le braccia spalancate e dovette-

Il colonnello Aminto Caretto visita la tombadi don Giovanni Mazzoni

Page 71: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Mario Ogliaro

70 l’impegno

ro seppellirlo in quella posizione, essendo-si irrigidito dall’intenso freddo. Il suo postofu preso da don Davoli.

Sempre a cavallo tra Natale e Capodannocaddero numerosi altri ufficiali e soldati, iquali sarebbero stati poi inumati ad OrlowoIwanowka. Caretto, accanto al generale Ma-razzani, guardando ad uno ad uno i suoi ca-duti, mormorò con le lacrime agli occhi: «An-che tu povero ragazzo». Dopo pochi giornid’apparente tranquillità, i russi attaccarononuovamente con forza il caposaldo italianodi Woroschilowka, difeso dal 18o battaglio-ne del 3o bersaglieri di Caretto. Caddero inquesta circostanza il nuovo cappellano donDavoli, il tenente colonnello Nigra, il capi-tano Tedeschi ed il valoroso tenente Taral-li, insieme a moltissimi soldati. In primaverae in estate i sovietici, sempre attivi, non ab-bandonarono la controffensiva, né si disgre-gavano facilmente, anzi, ritirandosi, distrug-gevano sistematicamente tutto ciò che inqualche modo poteva servire al nemico. Nonsolo, ma in tutti i territori persi essi organiz-zarono una sistematica resistenza per col-pire le retrovie avversarie. Il cedimento ini-ziale della loro prima linea aveva spinto learmate tedesche su di un fronte che oramaisuperava i 1.600 chilometri dal confine e, pa-radossalmente, ciò cooperò alla salvezzadella Russia. Infatti, il successo tedesco erastato formidabile, ma proprio nel momentoin cui le forze germaniche si apprestavanoad investire la capitale, cominciò il grandeinverno russo, che creò enormi problemi lo-gistici.

Ai primi di luglio il reggimento di Carettopassò al contrattacco e sfondò il fronte diNikitino, puntando su Facewka. Nei giornisuccessivi l’intero grande bacino industrialedi Krenskji Lutc fu occupato e rastrellatodalla divisione, quando giunse l’ordine diportarsi sul Don, cioè ad oltre 400 chilome-tri di distanza, per conquistare l’ansa di Se-

rafimovich, ridotta a testa di ponte dai russia sud del fiume, indi coprire il fianco sini-stro dell’armata del generale Von Paulus,diretta ad assediare Stalingrado. Carettoconquistò posizioni dominanti e fortemen-te munite. Le acque del grande fiume scor-revano calme, con un mormorio cupo e sor-do, mentre in esse si specchiavano gli anno-si alberi cresciuti lungo le rive spoglie. Quii bersaglieri, protetti dall’oscurità della not-te, avevano tracciato camminamenti copertiper potersi muovere durante il giorno senzaessere visti dai sovietici che si annidavanolungo la costa opposta. Nonostante tuttele precauzioni tattiche, i bersaglieri furonosorpresi dai carri armati russi. Essi si dife-sero cercando di annientare gli equipaggicon bombe a mano. La steppa aveva l’aspet-to di un manto grigio e sterminato. I rinforziche giungevano dall’Italia non possedeva-no l’equipaggiamento adeguato ad un taleclima. Fra le altre cose, i soldati erano dotatidi scarponi chiodati che avevano già pro-vocato il congelamento di parecchie centi-naia di militari durante la breve guerra con-tro la Francia. L’offensiva tedesca controStalingrado era in pieno svolgimento, ma siavvertiva che la partita era durissima. Sulfronte del Don, nel settore tenuto dai ber-saglieri, gli attacchi e i contrattacchi si fa-cevano sempre più serrati e parecchie cen-tinaia di soldati del 3o furono fatti prigionieri:di essi ne ritorneranno solo ventinove allafine del 1947. I sovietici impiegavano carriarmati senza parsimonia, e arrivavano adattaccare anche venti volte al giorno.

Caretto fu costretto dagli eventi ad orga-nizzarsi continuamente, a tamponare le fal-le, a rincuorare i soldati e a guidare i con-trassalti. I russi avevano affibbiato a quel-l’ufficiale dal volto eternamente calmo, aquel piemontese che sembrava possedereil dono dell’ubiquità, un appellativo di trelettere che scolpiscono il personaggio me-

Page 72: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Aminto Caretto, colonnello dei bersaglieri, medaglia d’oro al valor militare (1893-1942)

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 71

glio di un discorso: “vot”, cioè “uomo corag-gioso”. E Caretto fu veramente un uomo co-raggioso, perché dopo tre giorni d’intensis-simo fuoco, il 3o, pur essendosi assottiglia-to, resisteva ancora con stupefacente tena-cia. Il 1 agosto il generale Marazzani incon-trò nuovamente Caretto ed insieme proce-dettero alla visita dei feriti, tra cui il capita-no Sassetti ed il maggiore Valvassori. Il gior-no successivo, da una piccola altura in vi-sta del Don, a quota 197,4, Caretto indicò aisuoi ufficiali una distesa cespugliosa che sistendeva a qualche centinaio di metri di di-stanza. Di là sarebbero sbucati i micidialicarri armati russi T34: «Nemmeno uno diloro dovrà arrivare fin qui», commentò il co-lonnello, aggiungendo: «Comunque, se maiqualcuno ce la facesse, non dovrà tornareindietro a raccontarlo agli altri». Dopo qual-che istante, tutta la zona si trasformò im-provvisamente in un inferno di spari e dischianti. La terra tremava sotto lo sferraglia-re dei cingolati, sconvolta da una miriade digranate e dai tonfi dei mortai, mentre i ber-saglieri cercavano di opporsi, gettandosicontro i giganti d’acciaio. I sovietici proba-bilmente non immaginavano una simile rea-zione, cosicché la battaglia si fece veramen-te terrificante. Caretto seguì in primo pianol’andamento delle operazioni e, come si ac-corgeva che un reparto rimaneva senza co-mandante, lo raggiungeva fulmineamenteper rimpiazzarlo. Non solo, ma volle sfrutta-re il successo iniziale, spingendo i suoi sol-dati al limite d’ogni possibilità umana, me-diante una manovra continuata con ineso-rabile energia, fino a far desistere i tratti an-cora travolgenti del sistema offensivo so-vietico. Trascorse poco tempo, e sul suo

volto flemmatico comparve un lieve sorri-so: il cerchio di fuoco si stava diradando ei russi stavano ritornando indietro.

Il colonnello Caretto non avrebbe pur-troppo potuto conoscere la fase conclusivadi quella memorabile giornata. Una scheg-gia di granata lo colpì improvvisamente aduna gamba. Non volle che i suoi si accorges-sero che era ferito: si appoggiò ad una spe-cie di dosso, continuando a dare ordini conil suo bastoncino22, come se nulla fosse ac-caduto. Quando vide che i russi non eranopassati e che i loro carri armati stavano re-trocedendo, solo allora permise di esseretrasportato nell’ospedale da campo, ma eratroppo tardi. La ferita era già in cancrena eper lui non ci sarebbe stato più nulla da fare.Il 5 agosto, verso le ore 12, il generale Ma-razzani ricevette un fonogramma con il qualelo si avvisava che il Caretto versava in gra-vissime condizioni. Infatti sarebbe mortoqualche ora più tardi, ed il giorno successi-vo sarebbe stato sepolto nel cimitero di guer-ra del 3o bersaglieri di Werkne-Forminskij23.La bandiera del reggimento vegliò sulla suasalma e il colonnello Ercole Felici, assumen-do il comando del reggimento in quel gior-no stesso, ebbe, di fronte ai suoi bersaglieri,nobili parole di stima e d’amarezza per la“magnifica figura” del soldato caduto. Il me-se successivo, le sue spoglie mortali furo-no traslate nel cimitero delle medaglie d’orodella divisione di Stalino, ma poi di qui fu-rono riprese durante la ritirata e, nella gran-de confusione che seguì, esse andaronoperdute in una plaga imprecisata, nel fermoe smisurato silenzio della steppa russa, dovei nostri soldati con le mani e i piedi rattrap-piti, gli occhi sperduti in un biancore sem-

22 TEMISTOCLE PALLAVICINI [sottotenente medico], Ricordo di Caretto, in “Cronaca pre-alpina”, 3 ottobre 1942.

23 GIULIO BEDESCHI (a cura di), Fronte russo, c’ero anch’io, Milano, Mursia, 1983, p. 204.

Page 73: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Mario Ogliaro

72 l’impegno

pre più lattiginoso, marciavano disperati,feriti, laceri ed affamati, per ritornare in Ita-lia.

A lui fu concessa la medaglia d’oro al va-lor militare con la seguente motivazione:«Soldato di tempra purissima e di indomitovalore di tre campagne da lui vissute a capodi unità scelte e d’assalto, comandante abi-le ed audace che a carattere integerrimouniva le risorse più esaltatrici del sentimen-to, in ogni prova, in ogni rischio, in ognievenienza di guerra, dava testimonianza disé delle sue doti inestimabili di comando edi azione. Alla testa di un reggimento, cheall’impronta del suo personale ardimento,ragguagliava ovunque i vertici di nobili tra-dizioni e di storia superba, si distinguevaper sagace perizia ed elette qualità guerrie-

re per le operazioni sul fronte jugoslavo esu quello russo, dove la sua unità meritavauna seconda medaglia d’oro (29 maggio1942). Dopo impari lotta era ricacciato oltreil Don, soccombeva per ferita, consacran-do col supremo sacrificio il suo destino dieroe»24. Dopo la Liberazione, il comune diCrescentino gli intitolò la piazza antistanteal municipio, già “Piazza di Città”, e un mo-numento in viale IX Martiri. Le città di Mi-lano e di Rovato gli dedicarono una via,mentre il comune di Melzo la “fanfara deibersaglieri”, sezione “Angelo Pignarca”. Ilmaresciallo Leandro Bertuzzo, direttore del-la fanfara del 3o reggimento bersaglieri, suincarico del capo di stato maggiore della 3a

brigata di Goito, scrisse un brano (parole emusica) in onore di Aminto Caretto:

E passa e va il ReggimentoCon il vessillo alto garrisce il ventoE passano con volti fieriSon tutti son bersaglieri.

È il terzo di papà CarettoChe come al Piave ancor rinnova il suo valorÈ l’ideal che l’accompagnaÈ un sol grido “vincere o morir” bersaglier.

E va vessillo sacro vaSolo chi muor si può fermarE va sfidando l’avvenirChi per la patria muor vissuto è assai.

Marcian seguendo un sol destinLa nostra fede mai si spegneràOgnor riuniti nel camminIl comandante ci troverà “bersaglier”.

Tomba provvisoria del colonnello Caretto

24 In memoria del colonnello Aminto Caretto, a cura del comando 3o bersaglieri, sl, sn,[1943], p. 2.

Page 74: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

documenti

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 73

Fin dagli ultimi giorni dell’aprile 1945, nel-le province del Nord Italia finalmente libe-rate, i tribunali militari partigiani iniziarono iprocedimenti contro gerarchi e ufficiali fa-scisti imputati di tradimento e di collabora-zione con il tedesco invasore.

A Vercelli furono giustiziati i responsabilidei più gravi crimini, tra cui l’ex capo dellaprovincia, Michele Morsero, di cui i Foto-cronisti Baita documentarono il processo ela fucilazione1.

Michele Morsero era giunto a Vercelli conl’incarico di capo della provincia della neo-costituita Repubblica sociale italiana il 25ottobre 1943.

Nato a Torino il 9 ottobre 1895, diplomatoin ragioneria, interventista, combattentenella prima guerra mondiale con il grado disottotenente in un reparto di fanteria, erastato ferito e decorato di medaglia d’argen-to.

Poi una vita dedicata al fascismo: squa-drista dal 1921, aveva partecipato alla mar-

PIERO AMBROSIO (a cura di)

Giustizia partigiana a Vercelli nei giorni della Liberazione

La fucilazione di Michele Morsero

Immagini dei Fotocronisti Baita

cia su Roma; ufficiale della Milizia dalla fon-dazione, comandante di reparti di Roma e,successivamente, delle legioni di Cremonae di Torino, aveva partecipato come volon-tario alla campagna d’Etiopia (dove avevacomandato, con il grado di seniore, un bat-taglione della Milizia ed era nuovamentestato decorato di medaglia d’argento) e allaguerra di Spagna (sempre al comando di unbattaglione di Camicie nere, ottenendo lapromozione a console).

Durante la seconda guerra mondiale, ave-va prestato servizio nell’esercito in Africasettentrionale e sul fronte greco-albanese,col grado di tenente colonnello. Il 1 novem-bre 1942 era stato nominato segretario fe-derale del partito a Lucca, dove, pochi mesidopo, l’aveva colto il crollo del regime.

Nella nostra provincia si era subito im-pegnato energicamente per la riorganizza-zione della Federazione fascista, per la rico-struzione delle forze armate e per reprimereil nascente movimento partigiano2.

1 Alcune immagini della fucilazione sono ben note, quelle del processo sono invece per-lopiù inedite, forse a causa della scarsa qualità.

Per una lettura delle immagini e un inquadramento sull’attività dei Fotocronisti Baita nel1945, a partire dalla fine di aprile, si rinvia al testo di Laura Manione nel numero 1 del 2009della rivista, in occasione della pubblicazione di immagini della liberazione di Vercelli.

Per le fotografie © Archivio fotografico Luciano Giachetti - Fotocronisti Baita (Vercelli).Riproduzione vietata.

2 Sulla sua attività si vedano le introduzioni della trilogia PIERO AMBROSIO - GLADYS MOTTA

Page 75: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Piero Ambrosio

74 l’impegno

Fuggito da Vercelli il 26 aprile, arrestato aCastellazzo Novarese il 28 e rinchiuso nelcampo sportivo di Novara assieme agli altriappartenenti alla “colonna”3, era stato dap-prima processato dal Tribunale militare diNovara4, che lo aveva rinviato, per compe-tenza territoriale, al Tribunale militare di Ver-celli: giudicato per direttissima il 2 maggioper il reato di collaborazionismo, fu condan-nato alla fucilazione, in base a decreto delClnai5, e giustiziato nel pomeriggio al cimi-tero di Biliemme6.

Vi fu chi, a proposito delle esecuzioni difascisti nei giorni successivi alla Liberazio-

(a cura di), Sui muri del Vercellese. Settembre 1943 - aprile 1945; Sui muri della Valsesia;Sui muri del Biellese, editi dall’Istituto rispettivamente nel 1985, nel 1986 e nel 1989; e variarticoli editi ne “l’impegno”. Al termine di un’ispezione effettuata per ordine di Mussolini,nel febbraio 1945, il sottosegretario agli Interni Giorgio Pini così lo descrisse: «Smilzo, asciut-to, nervoso. Evidentemente molto impegnato nel suo compito che assolve con ferrea mano,intelligenza e iniziativa personale accentratrice. Temperamento di soldato, ma anche poli-tico. Domina i suoi collaboratori [...] È uno dei migliori capi provincia da me finora incontrati».

3 Si veda P. AMBROSIO, La resa dei tedeschi e dei fascisti nel Vercellese. Immagini deiFotocronisti Baita, in “l’impegno”, a. XXXI, n. s., n. 1, giugno 2011, pp. 81-90.

4 Cfr. Il processo di Morsero, in “Corriere Valsesiano”, a. L, n. 8, 14 maggio 1945. Il tribunale,costituito dal Comando militare di piazza, si avvalse della consulenza giuridica dell’avvo-cato Oscar Luigi Scalfaro.

5 Il Comitato di liberazione per l’Alta Italia nel decreto per l’amministrazione della giustizia,emanato il 25 aprile 1945, aveva inflitto la condanna alla pena di morte ai membri del governo,ai gerarchi fascisti e a chiunque dopo l’8 settembre 1943 avesse in qualunque forma colla-borato con il tedesco invasore e con le forze nazifasciste.

6 Cfr. La fucilazione di Morsero, in “Vercelli libera”, 3 maggio 1945. Commentò l’anonimoarticolista: «Scompare così la figura bieca di quest’uomo che [...] ha scatenato la guerra civilein provincia, che ha messo la sua firma in calce ai peggiori bestiali eccidi di inermi, che haaizzato i suoi feroci giannizzeri della brigata nera e dell’Upi a gesta ed azioni che più nullaavevano di umano».

7 Ad esempio Gianni Zandano e Mario Grato Ferraris, che riportano, senza controllarli, datidesunti dalla pubblicistica neofascista.

8 Fra gli altri furono giustiziati l’ex podestà di Vercelli, Angelo Mazzucco, e altre novepersone, nonché sette appartenenti all’Upi; sedici condanne a morte furono comminate dalTribunale militare della XII divisione il 28 aprile.

9 Dello stesso parere è ROSALDO ORDANO, Cronache vercellesi. 1910-1970. La vita po-litica, Vercelli, La Sesia, 1972. Lo storico vercellese, riferendosi ai dati sopra citati, ritieneche «la spaventosa cifra [...] super[i] notevolmente la realtà» e che, approssimando pereccesso, nel Vercellese dopo la Liberazione «non siano state passate per le armi più diduecentocinquanta persone».

ne, sostenne che vi furono settecento “as-sassinati” nel Vercellese e trecento nel Biel-lese: cifre inattendibili7. È vero che - oltread alcune decine di condanne a morte, de-cise dai tribunali militari8 - vi furono ucci-sioni per iniziativa di singoli o di gruppi (dicui è difficile il conteggio) ed è altrettantovero che vi fu, in seguito alle stragi di San-thià e di Cavaglià, un clima di rabbia e di ten-sione: cinquantuno fascisti furono fucilatiper ritorsione a Vercelli, altri venticinque aGraglia. Il totale è sicuramente di molto in-feriore alle cifre che alcune fonti hanno ten-tato di accreditare9.

Page 76: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

La fucilazione di Michele Morsero

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 75

Il processo a Morsero. Sono presenti Quinto Antonietti e Franco Moranino

Page 77: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Piero Ambrosio

76 l’impegno

Morsero e monsignor Picco. In basso, di spalle, Quinto Antonietti

Page 78: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

La fucilazione di Michele Morsero

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 77

Don Mario Casalvolone, cappellano della XII divisione “Nedo”, accompagna Morsero

Page 79: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Piero Ambrosio

78 l’impegno

Morsero giunge al cimitero di Biliemme, tra i due sacerdoti

Page 80: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

La fucilazione di Michele Morsero

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 79

Il plotone d’esecuzione schierato e il momento della raffica

Page 81: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Piero Ambrosio

80 l’impegno

Quinto Antonietti spara il colpo di grazia, mentre la folla si avvicina

Page 82: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

saggi

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 81

Introduzione

A livello nazionale sono pochi gli studimonografici sull’alimentazione dei civilidurante la seconda guerra mondiale. Nullaesiste a livello locale.

Questa ricerca analizza gli effetti che laguerra ha avuto sull’alimentazione in unavalle alpina, la Valsesia. La fonte principaledel lavoro è costituita da un settimanale lo-cale, il “Corriere Valsesiano”. Sono staticonsultati tutti i numeri usciti dal 1940 al19451 con risultati più che soddisfacenti.Dopo un’accurata analisi del materiale di-sponibile, sono stati intervistati alcuni te-stimoni che durante la guerra abitavanonella media valle, a monte di Varallo.

Questo lavoro, finalizzato alla definizionedelle modalità di approvvigionamento ali-mentare in Valsesia durante il secondo con-flitto mondiale, è basato sull’integrazione diqueste fonti.

Prima della guerra

L’introduzione della carta annonariaLa guerra per l’Italia ebbe inizio il 10 giu-

gno 1940, ma la lunga storia dei divieti edelle restrizioni in campo alimentare iniziaqualche mese prima, il 10 gennaio, quandotutti gli italiani furono dotati di una cartaannonaria individuale che regolava il razio-namento del cibo.

Pochi giorni dopo, il 13 gennaio 1940, il“Corriere Valsesiano” spiegava ai lettori che«La carta annonaria - che è valida solo perla persona cui è intestata, e non è cedibile -si compone di una parte fissa (troncone) -contenente l’indicazione dell’intestatario eil suo indirizzo - e di una parte staccabile,mediante taglio, composta:

1 - di 9 cedole (di cui 3 per prelievi mensi-li) contrassegnate da numeri a ciascuno deiquali corrisponderà un determinato prodot-to;

ANGELA REGIS - ENRICO PAGANO

Guerra e pane

L’alimentazione in Valsesia durante il secondo conflitto mondiale*

Prima parte

* Il saggio è stato presentato alla XXI edizione degli Incontri tra/montani (La cucina delleAlpi tra tradizione e rivoluzione, Valsesia, 23-25 settembre 2011) ed è pubblicato in ROBERTOFANTONI - SERGIO DEL BELLO - GIANCARLO MACULOTTI - JOHNNY RAGOZZI (a cura di), La cucinadelle Alpi tra tradizione e rivoluzione. Atti della XXI edizione degli Incontri tra/montani,Carcoforo, Gruppo walser, 2011, scaricabile dal sito: http://www.cucinadellealpi.it.

La prima parte è stata curata da Angela Regis.1 La stampa è stata sospesa dal febbraio del 1944 al mese di maggio 1945.

Page 83: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Angela Regis - Enrico Pagano

82 l’impegno

2 - di buoni di prelevamento, di cui 3 men-sili, affiancati alle cedole di prenotazione».

L’introduzione della carta è ricordata an-che dai testimoni: «La tessera annonaria fudistribuita a tutte le famiglie dal Comune die-tro rigoroso controllo dei burocrati: camicienere e podestà. La tessera era composta datanti bollini staccabili diversi per ogni tipodi genere alimentare. La durata di un foglioera di un mese. I bollini non utilizzati veni-vano caricati sulla nuova tessera» (Pc)2.

L’articolo continua con una lunga spiega-zione sull’uso pratico della tessera annona-ria: «Ove sia disposto il razionamento di unprodotto, l’intestatario della carta annona-ria che intende provvedersene dovrà pre-sentare la carta al suo abituale fornitore didetto prodotto nei giorni che verranno sta-biliti, dopo aver firmato, trasversalmente, lacedola di prenotazione corrispondente algenere razionato. L’esercente, all’atto dellapresentazione della carta, staccherà [...] lacedola di prenotazione firmata dall’intesta-tario (o chi per lui) e apporrà il timbro dellasua ditta, o la sua firma, sul buono di prele-vamento [...]. Tale buono [...] deve rimanereattaccato alla carta fino al momento in cuil’intestatario della carta effettuerà l’acqui-sto della razione del genere spettantegli.Questo acquisto potrà effettuarsi, secondoi casi, ogni mese, ogni settimana od ognigiorno. All’atto della consegna della razione,l’esercente ritirerà il relativo buono di pre-levamento». Tutto era soggetto ad un asso-luto rigore. Rigore per chi acquistava e ri-gore per chi vendeva: «L’esercente è obbli-gato a fornire le quantità prenotate durante

l’intero orario di apertura del negozio e inqualunque giorno del mese»; inoltre «è as-solutamente vietata la cessione delle cedo-le di prenotazione mensile e dei buoni diprelevamento».

In un altro articolo, sempre della stessasettimana, si precisava che «le misure adot-tate dall’Italia hanno [...] quel carattere diprudenza e di precauzione richiesto dalla po-sizione di vigile attesa che il nostro Paeseha assunto».

Dati i rapporti fra Italia e Germania era in-fatti impensabile che la “non belligeranza”italiana potesse trasformarsi in neutralità:bisognava essere pronti all’intervento ar-mato.

I surrogati del caffèLa tessera annonaria in un primo momen-

to serviva solo per l’acquisto del caffè, cheormai scarseggiava. «Trovare il caffè veroera un problema» (Mv)3.

Al suo posto si usavano l’orzo, il malto,la cicoria ed anche le ghiande delle querce.I testimoni lo ricordano bene.

«Il caffè era caffè per modo di dire, caffèche diventava nero mettendo l’olandese el’orzo che si comperava e poi si tostava nelcamino, con il brusat. Mi ricordo anche cheil papà metteva nel forno della stufa la radi-ce della cicoria, ben pulita. Mi ricordo chediventava nera, l’affettava e la macinava perfare il caffè d’la casarola. La cicoria si com-perava anche nelle scatole» (Mv).

«Il caffè si faceva con la cicoria o con l’o-landese: vendevano un caffè fatto con le ra-dici della cicoria, nelle scatolette, il caffè

2 Giuseppe Cucciola detto Pino, nato a Borgosesia (frazione Agnona) l’8 luglio 1926;durante la guerra residente a Boccioleto (frazione Oro). Intervista del 22 luglio 2011, Boc-cioleto, frazione Oro.

3 Maria Valenti, nata a Scopa il 27 aprile 1932; durante la guerra residente a Scopa (frazioneScopetta). Intervista del 4 maggio 2011, Scopa, frazione Scopetta.

Page 84: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Guerra e pane

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 83

Frank. Oppure si usava l’olandese: era duro,si tagliava a pezzetti e si metteva nel caffèper farlo diventare nero. Il caffè forte miamamma lo ha fatto solo per le mucche, quan-do avevano l’afta» (Mna)4.

«Il caffè si faceva con l’orzo maturo, chenoi seminavamo, che si tostava in un appo-sito strumento, il brusat, poi si macinava esi otteneva un ottimo caffè. Il caffè si otte-neva pure con le ghiande della quercia es-siccate, tostate e poi macinate. Veniva me-scolato con l’orzo perché era molto amaro.Questa miscela la si beveva quasi amara:solo quelli che possedevano le api poteva-no addolcirla un po’. Si usava anche la ci-coria; la comperavamo nei pacchetti: eranotavolette lunghe, pressate, era come un ca-ramello e si tagliava a pezzettini» (Pc).

Al posto del caffè si usavano anche mi-scele, di cui troviamo la pubblicità nelle pa-gine del “Corriere Valsesiano”: «Cafital, to-stato speciale per caffè e caffè e latte», conil quale si otteneva «una bevanda econo-mica e squisita» aggiungendo «1/3 di caffècoloniale a 2/3 di cafital»5; «la Miscela Spe-ciale Edera, frutto della secolare esperienzadella S.A. Luigi Rossa, la prima fabbrica ita-liana di surrogati [...] prodotto squisitamenteautarchico»6; «la Miscela superiore La Per-la», con cui si otteneva «un’eccellente be-vanda che non ha nulla da invidiare al caffècoloniale [...] una bevanda sana, aromaticae nutritiva, che è squisita anche nel caffe-

latte e che, data la forte quantità di zuccheriche contiene [...] consente un notevole ri-sparmio di zucchero nella dolcificazione»7.

E il risparmio dello zucchero era d’obbli-go visto che «dal 1o febbraio, oltre al caffè,sarà razionato anche il consumo dello zuc-chero. La razione individuale è fissata in gr.500 al mese [...]. La prenotazione dello zuc-chero per il mese di febbraio deve essere fat-ta presso l’abituale fornitore entro oggi 27gennaio mediante la presentazione dellacarta annonaria»8.

Il carnevale del 1940Erano tempi duri, ma era anche tempo di

carnevale in tutti i paesi della valle, e al car-nevale non si poteva rinunciare. Alcuni co-muni cercarono di ridimensionare le mani-festazioni: «Anche se i tempi sono come sidice, tristi e inducono poco all’allegria, tut-tavia non si è voluta lasciar perdere la bellatradizione della Paniccia»9. «Il nostro car-nevale sarà un carnevaletto così così, sen-za niente, all’infuori di qualche fagiolata inpaese e nelle frazioni e di qualche veglia dan-zante Dopolavoro»10.

Altri invece non badarono al risparmio:«Il bilancio della tradizionale Paniccia si èchiuso con la distribuzione di trecento ab-bondanti razioni di carne, salami, pane, mi-nestra e vino, che hanno formato la gioia ditante famiglie»11.

A carnevale non si poteva certo rinunciare

4 Maria Noemi Arcardini, nata a Rossa il 22 settembre 1920; durante la guerra residentea Vocca (frazione Molliane). Intervista del 28 aprile 2011, Vocca, frazione Molliane.

5 “Corriere Valsesiano”, 6 aprile 1940.6 “Corriere Valsesiano”, 14 dicembre 1940.7 “Corriere Valsesiano”, 20 gennaio 1940.8 “Corriere Valsesiano”, 27 gennaio 1940.9 Roccapietra, “Corriere Valsesiano”, 10 febbraio 1940.

10 Serravalle, “Corriere Valsesiano”, 3 febbraio 1940.11 Mollia, “Corriere Valsesiano”, 10 febbraio 1940.

Page 85: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Angela Regis - Enrico Pagano

84 l’impegno

alle panicce, ma neppure ai balli, e quello piùimportante era, e ancora rimane, il ballo d’laLum, che si svolgeva allora presso il TeatroCivico di Varallo.

Una pubblicità, nel “Corriere Valsesiano”del 3 febbraio 1940, invitava tutti al ballo conuna poesia dialettale che inizia con questiversi: Passu j’agn a cent a cent/ Ven la paso fan la guerra/ Passa ’l fort e ’l preputent,/Ma però ’ntla nostra terra/ Resta sempri ’lBal dla Lum/ Cumé al temp dal bun cu-stum12.

Verso il conflittoIl tempo passava, l’entrata in guerra si av-

vicinava, e le restrizioni aumentavano.La carne, ad esempio, in un primo momen-

to non si poteva più vendere o somministra-re nei ristoranti e nelle trattorie il giovedì e ilvenerdì; poi, a partire dal 24 aprile, neppureil mercoledì13.

Due settimane dopo, il 4 maggio, nel “Cor-riere Valsesiano” il divieto venne commen-tato con tono polemico nel seguente artico-letto: «Ridurre il consumo della carne... mol-to bene, soprattutto per la salute. Però que-sta limitazione dovrebbe essere regolata contesseramento e non con i giorni di vendita.Se no, chi ha denaro e una buona ghiacciaiapuò avere tutti i giorni la sua bella bistecca».

Apparentemente la vita procedeva comesempre; in realtà si respirava ormai l’aria diguerra. Il 22 aprile 1940 a Varallo si svolse lafiera di San Marco, la prima fiera varallesedell’anno, che vide «una notevole affluen-za di genti dalle valli e dalla bassa», ma gliaffari non furono proporzionati alla grande

affluenza di ambulanti perché, spiega il “Cor-riere Valsesiano” del 27 aprile, «persistonole difficoltà del momento e gli affari non pos-sono essere stati abbondanti».

Nulla era più come prima.

L’Italia entra in guerra

Le nuove restrizioniCon l’inizio del conflitto contro la Fran-

cia e la Gran Bretagna furono emanati i prov-vedimenti di guerra, con l’imposizione di ul-teriori restrizioni e il conferimento obbliga-torio dei generi alimentari. Inoltre entrò invigore il blocco dei prezzi di beni e servizi.

Restrizioni e tesseramento facevano ormaiparte della quotidianità.

A partire dal 30 luglio, la vendita delle car-ni e la somministrazione di pietanze a basedi carne venne vietata anche il martedì, conla precisazione che «sabato, domenica e lu-nedì nessuna limitazione sussiste per quantoconcerne la vendita delle carni in genere;martedì è permessa soltanto la vendita delprosciutto, delle carni insaccate e salate, dipollame, coniglio, cacciagione e frattaglie;mercoledì, giovedì, venerdì è permessa lavendita soltanto delle frattaglie e del coni-glio»14.

Con l’arrivo dell’inverno, per fortuna, lavendita delle carni ovine e caprine, per con-cessione del Ministero delle Corporazioni,venne permessa in tutti i giorni della setti-mana.

Con il passare del tempo le restrizioni au-mentarono: alcune pesavano, di altre invece,come la vendita di pasticceria fresca e di ge-

12 Passano gli anni a cento a cento/ Viene la pace o fanno la guerra/ Passa il forte e il pre-potente/ Però nella nostra terra/ Resta sempre il Ballo della Lum/ Come nel buon tempo pas-sato.

13 “Corriere Valsesiano”, 20 aprile 1940.14 “Corriere Valsesiano”, 3 agosto 1940.

Page 86: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Guerra e pane

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 85

lati solo nei giorni di sabato, domenica e lu-nedì, forse non ci si accorgeva neppure, in-fatti, scriveva il “Corriere Valsesiano” del 28giugno 1940, «si tratta di una lieve rinunciaa generi niente affatto indispensabili, rinun-cia imposta dall’opportunità di destinarematerie prime importantissime per l’alimen-tazione, come farine, uova, zucchero e bur-ro, ad altri usi più necessari».

Anche per i dolci fatti in casa ci si dove-va adattare. Significativa è la ricetta dellatorta Lorena ricordata da Enzo Barbano nelsuo diario: «Impastare bene i 500 g. di fari-na con 100 g. di burro fresco che avrete fat-to fondere prima. 25 g. di zucchero, 3 rossid’uovo, e una bustina di lievito alsaziano.Aggiungete 10 cucchiai di latte, 3 bianchid’uovo battuti a neve e un po’ di scorza dilimone. Mettete la pasta così ottenuta entrouno stampo a bordi bassi e imburrato. Poimettete in forno per 25 minuti circa». Sem-brerebbe una normale ricetta se non fosseper la seguente precisazione: «In caso dieventi bellici e di razionamento alimentareusate farina di polenta. Ingozza un po’ ma,se avete fame e tredici anni, la troveretesquisita»15.

A partire dal 1 ottobre il tesseramento fuesteso a burro, olio, lardo e strutto, che, se-condo quanto precisava il “Corriere Valse-siano” del 5 ottobre 1940, non potevano «es-sere venduti o acquistati se non colla cartaannonaria», con razioni individuali mensilimolto limitate, che si aggiravano intorno ai150/200 grammi di burro, 1 o 2 decilitri di olio,50/70 grammi di lardo.

Racconta Maria Noemi che con la tesserasi poteva comperare un olio di semi moltoscadente, olio di raviciun, probabilmenteolio di colza. In casa però si consumava l’oliodi noci di produzione familiare; la raccoltaera molto abbondante e la produzione arri-vava ad alcuni quintali.

Anche altri testimoni ricordano l’olio dinoce fatto in casa. «C’era poco olio e allorasi faceva l’olio di noci. Olio di noci e insala-ta dei prati: oh che cosa buona! Mangiavoanche il nosuggio, quando facevamo l’olio:diventava duro e poi si tagliava» (Cg)16.«L’olio d’oliva non c’era. Per l’insalata si u-sava l’olio di noci» (Mv).

Pino ricorda che l’olio, oltre che dalle no-ci, si ricavava anche dalle nocciole ed «erabuono!». La famiglia di Pino però, a diffe-renza di quanto raccontano gli altri testimo-ni, non faceva l’olio in casa. «I gherigli siportavano alla frazione Nosuggio di Crava-gliana, passando dalla bocchetta di Vocca,ma bisognava fare molta attenzione, perchénon era legale. Lì venivano pressati e tosta-ti. Si otteneva un ottimo olio che usavamoper condire l’insalata di tarassaco e per frig-gere. Una parte veniva usata anche per l’il-luminazione nelle case, visto che il petrolio,soggetto a calmiere, era scarso» (Pc).

L’uso del burro era limitato. «Per condireusavamo il lardo e il grasso di maiale, pocoburro» (Mv).

Il burro serviva per il baratto: in genere losi scambiava con il sale. «Durante la guerrac’era poco sale. A volte i carrettieri porta-vano farina e sale. Passavano e si faceva lo

15 ENZO BARBANO, Il paese in rosso e nero. Diario 1943-1945, Varallo, Comune, 1985, p.35.

16 Carlo Guglielmina, nato a Varallo (frazione Scopelle) il 17 agosto 1934; durante la guerraresidente a Varallo (frazione Scopelle). Intervista del 4 maggio 2011, Scopa, frazione Sco-petta.

Page 87: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Angela Regis - Enrico Pagano

86 l’impegno

scambio: uno o due chili di burro per un chilodi sale» (Cg). «Ci mancava il sale. Tante vol-te la mamma andava a Varallo, a piedi, conun chilo di burro e faceva cambio con il sale»(Mv). «Il sale era introvabile. Io ho avuto lafortuna di conoscere il figlio del guardianodella fabbrica Zerboni dove facevano stoffaper i militari e il sale lo usavano per fissare icolori. Mi presentavo con la parola d’ordine“bocia” e mi aprivano; mi davano 3 o 4 chilidi sale rosso, sporco, che si doveva poi la-vare, proveniente dal fondo delle saline. Io,in cambio, portavo un chilo di burro» (Pc).

Le restrizioni non riguardavano solo i pri-vati, ma anche coloro che avevano esercizipubblici. Onde evitare inutili sprechi, il Mi-nistero delle Corporazioni decise infatti di«disciplinare il consumo del pane nei risto-ranti, nelle trattorie e nelle osterie con cuci-na», dando precise disposizioni riguardo alquantitativo di pane che poteva essere for-nito ad ogni consumatore per ogni pasto:«80 grammi negli esercizi di lusso e di 1a ca-tegoria; 150 grammi nei ristoranti, trattorieed osterie di 2a, 3a e 4a categoria». Si preci-sava inoltre che «la disposizione si riferisceal pane di qualsiasi forma, compresi i grissi-ni»; e ancora: «Il pane dev’essere servitoin forme non superiori ai 50 grammi o in pic-cole dosi bene affettate o tagliate»17.

Dal 1 febbraio 1941 il tesseramento dellapasta, della farina e del riso venne estesoanche «ai pubblici esercizi e assimilati, epertanto la somministrazione della minestraai clienti potrà farsi soltanto previa presen-tazione della carta annonaria per pasta, fa-rina e riso, che è unica [...]. Dato che il buo-no è giornaliero, la sua validità è limitata aduna sola volta, e perciò il cliente che se ne

sarà valso per il pasto del mezzogiorno nonpotrà consumare la minestra di pasta, fari-na e riso nel pasto serale e viceversa18.

Le scorte alimentariAl fatto che la guerra potesse essere di

breve durata ormai non credeva più nessu-no ed era chiaro a tutti che avrebbero vis-suto tempi sempre più difficili. Chi potevaprovvedeva facendo scorte di cibo. Non pernulla il “Corriere Valsesiano” del 3 agosto1940 pubblicava il seguente articolo, dal ti-tolo “Preciso dovere dei consumatori”: «Lacontinuazione della guerra fino alla vittoriacompleta impone precisi doveri, non solo al-le categorie produttive e commerciali, maanche ai consumatori. Le disposizioni con-cernenti i consumi non significano affattoriduzione o mancanza di disponibilità deigeneri razionati o disciplinati ma doverosaoculatezza nell’evitare sperperi [...] le nor-me che disciplinano i consumi non possonoe non devono venire frustrate da quei con-sumatori i quali, valendosi di un più elevatopotere d’acquisto, credono di fare cosa daprevidenti costituendosi notevoli scorte diderrate non deperibili».

Maria Noemi ricorda che suo padre ave-va fatto scorta di cibo prima dell’inizio dellaguerra: riso, che avevano messo in damigia-ne perché si conservasse, e pasta Agnesi,in cassette da 5/10 kg. «Quando è finita laguerra avevamo ancora una damigiana diriso da 50 litri» (Mna). Era tutto nascosto inuna piccola cantina, alla quale si accedevadalla cucina, la cui porta era celata da unacredenza.

Il padre di Maria Noemi, reduce della primaguerra mondiale, fu previdente e fece scorta

17 “Corriere Valsesiano”, 3 agosto 1940.18 “Corriere Valsesiano”, 1 febbraio 1941.

Page 88: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Guerra e pane

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 87

di cibo con largo anticipo; altri invece la fe-cero appena appresero la notizia dell’iniziodel conflitto. «Quando è scoppiata la guer-ra [...] ognuno ha cominciato a pensare dinascondere ciò che aveva, di accaparrarepiù che poteva, specialmente da mangiare,anche se Mussolini era da tempo che facevala sua propaganda falsa di non accaparrareniente, che non mancava niente»19.

La panificazioneA settembre il Ministero delle Corporazio-

ni dispose che «la farina da impiegare nellapanificazione venga estratta dal grano in ra-gione dell’85%. Questa disposizione ha loscopo di rendere possibile una notevole e-conomia nel consumo del frumento, in rela-zione con le necessità dell’attuale periododi guerra. Il nuovo tipo della farina darà luo-go alla produzione del pane integrale»20.

Fu l’inizio della degenerazione della pro-duzione del pane. Dal 1 dicembre, in segui-to a proposta della Corporazione dei cerea-li, il pane venne confezionato con farina digrano e di granoturco. La notizia, comparsanel “Corriere Valsesiano” del 30 novembre,fu accompagnata dalla seguente rassicura-zione: «L’introduzione di una percentuale difarina di granoturco non altera le qualità pa-nificabili della farina, né quelle nutritive delpane».

Il problema della panificazione non era co-munque nato con la guerra, ma aveva origi-ni lontane, perché il frumento in Italia, no-nostante la “battaglia del grano” perseguitadal regime fascista per cinque anni21, non

aveva prodotto risultati adeguati. Già alla fi-ne del 1937 il governo aveva imposto di pa-nificare mescolando alla farina di frumentoil 10 per cento di farina di granturco. E, nel-lo stesso periodo, alcuni studi presero inconsiderazione la possibilità di usare anchealtre farine, meno nobili, come la segale, ilsorgo, il grano saraceno, in dosi però limi-tate: non più del 10 per cento22.

D’altra parte il pane era l’alimento più dif-fuso tra la popolazione italiana, tanto chegià nel 1928 il regime istituì la giornata della“Celebrazione del Pane”. Per quell’occasio-ne Mussolini compose un poemetto, ovvia-mente dedicato al pane: Italiani/ Amate ilpane/ cuore della casa/ profumo della men-sa/ gioia dei focolari.// Rispettate il pane/sudore della fronte/orgoglio del lavoro/poesia di sacrificio.// Onorate il pane/ glo-ria dei campi/ fragranza della terra/ festadella vita.// Non sciupate il pane/ ricchez-za della patria/ il più soave dono di Dio/il più santo premio alla fatica umana.

Mai e poi mai avrebbe potuto immaginareche, tanti anni dopo, sarebbe stato derisodagli italiani attraverso una barzelletta cheparla proprio di pane. Ce la racconta EnzoBarbano nel suo diario.

«Mussolini chiama il capo dell’Ovra e silamenta.

- Ma come? Tu sei il capo della polizia se-greta e non mi riferisci mai niente. Non vie-ni mai a sapere nulla. Mi lasci assolutamen-te disinformato. Per esempio: il pane. Ecco,dimmi, cosa dicono gli italiani del pane?

- Ah! Duce, gli italiani del pane parlano

19 Testimonianza di Carlo Viani, in ANGELA REGIS, Storia e memoria di una comunità inguerra. Boccioleto nella seconda guerra mondiale, Varallo, Isrsc Bi-Vc, 2006, p. 40.

20 “Corriere Valsesiano”, 28 settembre 1940.21 Dal 1926 al 1931.22 ARTURO MARESCALCHI, L’agricoltura italiana e l’autarchia, Torino, Einaudi, 1938.

Page 89: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Angela Regis - Enrico Pagano

88 l’impegno

proprio male. Dicono che è scarso, nero, du-ro, immangiabile. Dicono che il pane è unoschifo...

- Ah sì? E di me, dimmi, cosa dicono di me,gli italiani?

- O di Te, Duce, gli italiani sono entusiasti.Sono tutti pronti a morire per Te. Ti ammira-no e Ti venerano. Dicono che sei buono co-me il pane!»23.

Durante la guerra il pane era davvero«scarso, nero, duro, immangiabile». Il panebuono, quello impastato interamente con lafarina di frumento, non si poteva più fare.Così imponeva il regime. Quando potevanoperò, quando cioè riuscivano a procurarsifarina bianca, i fornai cuocevano pane bian-co. In genere per sé, o per pochi amici.

Racconta Maria Noemi che in famiglia era-no amici dei proprietari del negozio-panette-ria del paese e potevano comperare, senza ilimiti della tessera, tutto ciò che serviva loro.La tessera era solo pro forma. Anche quan-do dovevano fare la spesa più consistenteper andare all’alpeggio non avevano pro-blemi. «Ogni tanto la Linda racimolava qual-che sacco di farina bianca e allora faceva ilpane bianco e ce ne dava un po’». Altrimenti«il pane era solo pane di nome: era duro,nero, con farine mischiate» (Mna).

A volte però il pane fatto interamente conla farina di frumento veniva messo in vendi-ta. Chi poteva comperarlo faceva festa, chinon poteva magari denunciava il fatto. Nel“Corriere Valsesiano” del 14 agosto 1941possiamo leggere la seguente notizia: «De-nunciato un panettiere che produceva panebianco». E relativo commento. «Vendere pa-ne bianco in questo periodo è cosa troppopoco comune, perché non dia subito nel-l’occhio».

Ma come si poteva rinunciare all’acqui-sto di pane buono quando ogni giorno simangiava pane «fatto con ogni farina pos-sibile. Il più appetitoso era quello fatto conla farina di riso, bianco, croccante, se man-giato entro 10 minuti dalla cottura. Dopo di-ventava marmo, lo si rompeva col martello,e ci si rompevano i denti»24.

«Il pane era un misto di grano duro e gran-turco, oppure veniva fatto solo con farinadi riso. Era un pane pesante, duro e insipi-do» (Pc). Inoltre era scarso: «Ci davano for-se un panino a testa, non di più» (Mv).

Anche se il pane non era buono, lo si man-giava ugualmente: o per fame, o come alter-nativa alla solita polenta. «Facevano il panecon la farina di riso, pane con la farina digranoturco. Era molto secco e non era tantobuono. Però... altrimenti si mangiava polen-ta!» (Mv).

Vendite lecite e vendite illeciteI commercianti sapevano benissimo che

erano obbligati a vendere solo attraverso letessere annonarie e sapevano anche di do-ver rispettare i prezzi imposti, ma non sem-pre ciò avveniva, anzi, in base al numero didenunce e di processi subiti dai rivenditoririportati dal “Corriere Valsesiano”, viene dapensare che i contravventori fossero pro-prio tanti. Il 30 novembre 1940 il giornalescriveva: «La settimana scorsa sono statidiscussi alla Pretura di Varallo i procedimentia carico di commercianti della città e dellavalle messi in contravvenzione per aver ven-duto a prezzi superiori a quelli di listino, ge-neri alimentari e soggetti al calmiere».

Il fenomeno non era sicuramente limitatoalla Valsesia, ma era generalizzato, se l’11gennaio 1941 tutti i commercianti all’ingros-

23 E. BARBANO, op. cit., p. 129.24 PIER GIORGIO MORA, La grande casa rossa, Rivoli, Neos, 2008, p. 125.

Page 90: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Guerra e pane

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 89

so e al minuto di generi alimentari, in tuttaItalia, furono «convocati a rapporto percomunicare loro importanti decisioni inte-ressanti la categoria»25.

Le infrazioni però continuavano.Il 12 luglio 1941 il “Corriere Valsesiano”

scriveva che una commerciante di Serraval-le «ha dovuto comparire dinanzi al Tribu-nale di Vercelli [...] per rispondere d’infrazio-ne del listino dei prezzi, avendo vendutomezza dozzina di uova in ragione di £ 14,10la dozzina, anziché £ 11,50 come fissato dalistino. Il Tribunale l’ha condannata a £ 75di multa, tasse e spese processuali».

Il 19 luglio dello stesso anno riportava ladenuncia fatta ad una negoziante «perchévendeva pane di segala al prezzo raggua-gliato di £ 4,50 al chilo». Specificando: «Unpo’ troppo, veramente!».

Per ovviare al problema «il segretario delpartito ha disposto che, per ogni Fascio diCombattimento, sia istituito un Comitatocomunale per il controllo dei prezzi»26.

Nelle varie edizioni dei mesi successivicompaiono elenchi di negozianti in contrav-venzione.

Per tenere sotto controllo la situazionefurono create squadre di vigilanza annona-ria; nel mese di febbraio del 1942 a Grigna-sco venne «creata una squadra di vigilanzasu tutto quanto concerne il funzionamentodi vendita di derrate, prezzi, ecc»27.

A Varallo «girò la voce che [...] stava traf-ficando una spia della polizia annonaria laquale bussava a tutte le porte e offriva il caf-fè. Chi accettava veniva poi denunciato»28.

Le contravvenzioni comunque non riguar-davano solo i prezzi delle derrate, ma ancheil libero mercato, tanto che nel “Corriere Val-sesiano” del 13 settembre 1941, nella paginadi Serravalle, troviamo scritto: «È proibitod’ordine dell’autorità comunale, acquista-re prodotti alimentari e ortofrutticoli dai pro-duttori diretti. Le massaie rurali devonovendere i loro prodotti soltanto ai negozi,sul mercato o sulla bancarella nei luoghi oveè consentito. È proibito pure ai venditori am-bulanti portare la merce nelle case degli ac-quirenti».

Nonostante le proibizioni il commercio il-lecito continuava, anche perché certi pro-dotti sembravano assolutamente introvabiliseguendo le vie lecite. Da Quarona, ad e-sempio, scrivevano: «Il latte è diventato nelnostro paese l’argomento del giorno. Sem-bra sia sparito come la proverbiale araba fe-nice. [...] Non si sa proprio dove battere latesta per poterlo trovare»29.

Dalla montagna alla pianuraQuando il cibo scarseggiava, e non era

più possibile sfamarsi ricorrendo solo agliacquisti fatti attraverso la carta annonaria,si ricorreva al mercato nero: era una praticalargamente diffusa ovunque, anche in Val-sesia.

Si comperava e si vendeva. In genere era-no gli abitanti della montagna che scende-vano in pianura con burro e formaggio perbarattarli con riso e farine.

Qualche volta, però, avveniva anche ilcontrario. Nel dicembre del 1941«i carabinie-

25 “Corriere Valsesiano”, 18 gennaio 1941.26 “Corriere Valsesiano”, 9 agosto 1941.27 “Corriere Valsesiano”, 28 febbraio 1942.28 E. BARBANO, op. cit., p. 110.29 “Corriere Valsesiano”, 4 luglio 1942.

Page 91: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Angela Regis - Enrico Pagano

90 l’impegno

ri di Varallo avevano avuto sentore che unagricoltore di Brina faceva clandestinamen-te commercio di generi alimentari razionati.Uno di questi giorni, in seguito ad apposta-mento, l’uomo è stato fermato [...] egli ven-ne trovato in possesso di una valigia conte-nente un pane di burro, 12 chili di farina e 3chili di riso. [...] il burro trovatogli egli l’ave-va avuto da una donna di Parone in cambiodi farina»30.

Sulle edizioni dei mesi seguenti compaio-no denunce per trasporto illecito o venditaillecita, tanto che «per ovviare a talune for-me di evasione della disciplina dei generisoggetti a razionamento, severe operazionidi controllo sono state e vengono tuttoraeseguite alle stazioni ferroviarie da parte diagenti»31.

Visto che le stazioni erano così controlla-te, molti usavano la bicicletta. A Serravalle«i nostri carabinieri hanno sorpreso altragente a trasportare, soprattutto in bicicletta,generi annonari razionati (patate, grano, ri-so, ecc)» e, ovviamente, «hanno sequestra-to la merce»32.

«Mio papà in tempo di guerra è andatopiù di una volta a Lenta e a Ghislarengo inbicicletta a prendere riso e farina» (Mv).

«Una volta, con un mio amico di Quaronache conosceva il gestore di un ristoranteche riforniva merce al mercato nero, sonoandato a Lenta. Avevo nello zaino del bur-ro e, sul portapacchi, una cesta con del for-maggio. Passando dalla postazione fascistaall’entrata di Varallo nessuno mi ha dettoniente, neppure durante il tragitto. A Lentaho consegnato il burro e le tome e il gestoredel ristorante mi ha dato 6 chili di riso e 10chili di farina e la moglie mi ha dato un bel

pezzo d’oca. Quando sono arrivato a Varal-lo, alla postazione è uscito un fascista chemi ha ordinato di fargli vedere quello cheavevo. Mi voleva sequestrare tutto perchédiceva che lo portavo ai partigiani. Poi è u-scito un tedesco che ha allontanato il fasci-sta e mi ha preso il riso, la farina invece mel’ha lasciata. Allora tutto spaventato mi so-no allontanato di corsa per evitare il peg-gio». «Tutta la compravendita era control-lata, anche la legna dovevamo portarla a Va-rallo, e pagavano un prezzo basso, tanto perdare qualcosa. C’erano i gerarchi fascisti checontrollavano» (Pc).

Occorreva fare molta attenzione perché icontrolli erano parecchi e i processi, per co-loro che non rispettavano le regole, non era-no cosa rara. Ricorda Maria Noemi che unasignora di Scopelle, andata in valle, in unalpeggio, a prendere un po’ di burro, era sta-ta fermata e aveva subito un processo a Ver-celli.

A volte bastavano però un po’ di corag-gio e tanta faccia tosta. «Io portavo il burroa Varallo, ad un amico di mio papà, un capodella fabbrica Rotondi. Una volta mi hannofermata e mi hanno chiesto se avevo burro.Ho risposto di no, decisa e mi hanno lascia-ta andare» (Mna).

Ci voleva anche una buona dose di for-tuna.

I furtiI costi dei generi alimentari venduti attra-

verso il mercato nero erano tali che spessosi cercavano altre soluzioni al problema: furtie furtarelli di varia entità vengono raccon-tati di frequente nelle pagine del “CorriereValsesiano”.

30 “Corriere Valsesiano”, 13 dicembre 1941.31 “Corriere Valsesiano”, 11 aprile 1942.32 “Corriere Valsesiano”, 14 novembre 1942.

Page 92: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Guerra e pane

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 91

Un abitante di Cellio «ha denunciato aicarabinieri che nella notte di sabato scorsogli sono stati rubati otto conigli dalla coni-gliera [...] i conigli erano belli e grassocci, esono oggi tanta grazia di Dio»33. «In questigiorni che precedono le feste di Natale è se-gnalata una certa recrudescenza di furti dipollame: roba che, naturalmente, va tantobene per la mensa natalizia»34.

Ancora a Cellio un contadino lamentava«un furto di 40 cavoli, piantati nella suacampagna»35. A Borgosesia una signora«ha denunciato ai carabinieri che nella not-te di venerdì scorso ignoti hanno asportatoda un suo campo [...] circa due quintali dipatate». Il cronista precisa: «Un furto chein questi tempi ha la sua importanza»36.Ancora: «Un grosso tacchino è stato ruba-to durante le passate feste ad una bottegaquaronese»37.

Non sempre i furti rispondevano ad imme-diata necessità, a volte erano eseguiti conaltri scopi, infatti a Varallo venne rubata«una cassa contenente 46 chili di burro con-ferito all’ammasso e riposta in una delle cellefrigorifere della fabbrica di ghiaccio artificia-le in Sottoriva»38, sicuramente per esserevenduta.

A Isolella dei ladri entrarono in una stal-la, staccarono una vitella di dieci mesi e di190 chili di peso dalla greppia e la macella-rono a 300 metri dalla stalla, lasciando sulposto solo «la testa, le quattro zampe, gliintestini, la pelle e perfino la catena»39.

La vita in montagna

Allevamento di polli e conigli in casaPiù il reperimento di generi alimentari di-

ventava difficile, più aumentava la necessi-tà di inventarsi ogni possibile modo perprocurarsi il cibo. Durante il conflitto, oltreai famosi orti di guerra, presero piede anchegli allevamenti casalinghi di polli e conigli.In nome della politica autarchica e dellaguerra, le brave massaie venivano invitatead allevare in casa polli e conigli. Anche ledonne varallesi raccolsero l’invito, tantoche, nell’estate del 1940, la Sezione delleMassaie rurali del Fascio femminile di Va-rallo, che aveva circa mille socie, poteva«vantare la migliore “Conigliera di Gruppo”,con gabbie di forma moderna e razionale, innumero sufficiente per un proficuo alleva-mento, provviste delle migliori razze da car-ne e da pelliccia»40.

Qualche mese più tardi, a novembre, laFederazione dei Fasci femminili istituì pre-mi di incoraggiamento per le massaie ruraliche avevano migliorato le conigliere o chene avevano istituite di nuove. Il premio eraesteso anche alle massaie che possedeva-no apiari41.

Possiamo immaginare invece che i pollaidi guerra a Varallo non abbiano avuto lastessa fortuna, visto che il segretario delpartito, nel “Corriere Valsesiano” del 5 luglio1941, comunicava: «È necessario che siasvolta assidua e fattiva azione per diffonde-

33 “Corriere Valsesiano”, 19 luglio 1941.34 “Corriere Valsesiano”, 24 dicembre 1941.35 “Corriere Valsesiano”, 2 gennaio 1943.36 “Corriere Valsesiano”, 28 agosto 1943.37 “Corriere Valsesiano”, 8 gennaio 1944.38 “Corriere Valsesiano”, 18 luglio 1942.39 “Corriere Valsesiano”, 2 gennaio 1943.40 “Corriere Valsesiano”, 27 luglio 1940.41 “Corriere Valsesiano”, 23 novembre 1940.

Page 93: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Angela Regis - Enrico Pagano

92 l’impegno

re piccoli allevamenti di animali da cortile eparticolarmente polli anche nei centri urbaniusufruendo dei cortili, terrazzi e soprattuttogiardini. Queste iniziative, opportunamentecoordinate e sollecitate, potranno assicurarealle famiglie residenti nella città un sicurocontributo alimentare, con conseguente gio-vamento dell’economia famigliare».

E il 4 ottobre del 1941 compariva, semprenel “Corriere Valsesiano”, la seguente esor-tazione a caratteri cubitali: «Donne allevategalline in casa! Farete il vostro utile e aiute-rete la Nazione in guerra. Rivolgetevi alla Fe-derazione dei Fasci Femminili, alle SezioniMassaie Rurali. Vi saranno dati consigli edistruzioni. Tutte debbono e possono alleva-re galline».

Censimento del bestiame ed ammassoGli allevatori, quelli veri, non quelli casa-

linghi, dopo l’entrata in guerra, oltre a do-ver denunciare il numero dei capi di bestia-me, furono obbligati anche, con decreto delMinistero per l’Agricoltura e per le Foreste,a «tenere vincolata fino al 30 giugno 1941-XIX una quota del 30 per cento del peso vivodi bestiame posseduto superiore ai kg 180per capo, per soddisfare al fabbisogno del-le Forze armate e della popolazione civile».Inoltre, entro il limite della quota del 30 percento, i detentori erano tenuti a «conferireobbligatoriamente il bestiame stesso al set-tore per la zootecnia, il quale [...] provvede-rà [...] ad eseguire i necessari controlli, laraccolta e il ritiro dei capi e la vendita perconto dei rispettivi detentori”42.

In altre parole, gli allevatori non poteva-no più disporre liberamente di una parte delloro bestiame ed erano costretti a consegna-re periodicamente un animale vivo. Ovvia-

mente, trattandosi di animali vivi, era impos-sibile rispettare la quota del 30 per cento e,non potendo certo consegnare una quotainferiore, si “sacrificava” più del dovuto.

«Tu avevi tre, quattro, cinque, mucche:arrivava il momento che dovevi darne una,non potevi evitarlo e prendevano la più bel-la. Con preavviso di otto giorni arrivavanodei funzionari fascisti con un macellaio aprelevare una bovina a loro piacere, mai unavacca vecchia, dando una misera ricompen-sa. Ho visto gente alla disperazione, veden-dosi portare via una manza giovane: perquesti poveretti era il loro futuro, la speran-za che desse poi un vitello e in seguito illatte» (Pc).

«Una volta - avevamo già portato diver-se bestie - è arrivato l’avviso che bisogna-va andare ancora. Avremmo dovuto porta-re una bella vitella, che era da allevare, e miamamma era disperata. Piangeva. Allora hopreso le carte di quello che avevamo già datoe la denuncia degli animali che avevamo esono andata giù. È risultato che avevamogià dato di più di quello che dovevamo da-re!» (Mna).

Qualche volta però si riusciva ad evade-re i controlli.

«I propri animali non si potevano macella-re: bisognava portarli al macello, ma lo si fa-ceva clandestinamente, in accordo con al-tre famiglie; visto che era molto rischioso sifaceva di notte. Questo valeva solo per glianimali grossi, compresi i capretti. Non vale-va per i conigli e le galline» (Pc). «All’am-masso si portava anche la lana delle pecore.Noi ne avevamo una sola e, visto che miamamma andava all’alpe, io ho detto in co-mune che di pecore non ne avevamo» (Mna).

Tutti gli animali di media e grossa taglia

42 “Corriere Valsesiano”, 28 giugno 1940.

Page 94: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Guerra e pane

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 93

dovevano essere registrati presso gli ufficicomunali. Infatti, nel “Corriere Valsesiano”del 6 luglio 1940, nella pagina della città diBorgosesia, si legge che il podestà, «con-siderata la necessità di fare il censimento ge-nerale del bestiame bovino, ovino e suinodel comune, ordina ai possessori di bestia-me di consegnare all’ufficio comunale en-tro il 15 luglio corr. tutto il bestiame posse-duto». Questo avveniva in tutti i comuni,ma a Borgosesia forse qualcuno aveva con-segnato, nel senso più letterale del termine,all’ufficio comunale qualche mucca o qual-che pecora, visto che il corrispondente pun-tualizzava: «I possessori di bestiame sonoinvitati a non prendere alla lettera l’ordinan-za, al fine di non trasformare l’ufficio comu-nale incaricato del censimento predetto, inun’arca di Noè».

Ricordi di sopravvivenzaNella poesia di Luigi Peco intitolata “Ri-

cordi di sopravvivenza”43, troviamo gli sten-ti della guerra, le privazioni, la quotidiana ri-cerca del cibo, che si concretizzano in im-magini dai contorni nitidi.

La borsa nera: Cinquanta chilometri /inbicicletta/ per comperare/ sui campi diPratosesia/ trenta/ chili di patate.

La paura di essere scoperti: Giri contor-ti/ per evitare/ il controllo/ dell’annonaria.

Le lunghe code per gli acquisti: L’eternapazienza/ di mia madre/ che sta in coda/con cento persone/ per mezzo chilo/ di fa-rina gialla/ al posto del pane.

Gli orti improvvisati: e passa poi/ la suagiornata/ nell’orto/ fonte/ della possibilesopravvivenza.

I “pollai di guerra”: L’uovo delle galline/dell’improvvisato pollaio.

Le merci introvabili: Il sale acquistato/talvolta/ di straforo/ come pietra preziosa,/contrabbandato,/ si diceva/ d’oltre fron-tiera.

L’accontentarsi di ogni tipo di cibo: Lanera/ forma/ del sangue coagulato/ in bloc-chi rettangolari,/ deglutito lentamente/ alposto/ della carne/ sempre assente.

Gli espedienti per avere qualcosa in più:Gli avari/ frutti/ delle nostre/ tre piante/mai potate,/ le marmellate/ fatte in casa/con saccarina/ o con niente.

Il cibo autarchico: Il cioccolato/ autar-chico alla nocciola/ mangiato al mattino.

Barbano parla spesso di cibo e di mancan-za di cibo nel suo diario. In un brano rac-conta: «Il Lupi: alias Luigi Peco, mio cugi-no. Più anziano di me di due anni. Alto emagro era anch’egli nel periodo dello svi-luppo. La sua preoccupazione fondamenta-le in quegli anni erano le esigenze dello sto-maco. Aveva sempre fame. Sognava in con-tinuazione: fette di pane e burro e piatti diriso»44. Sognare ciò che non si poteva averenon era sicuramente una cosa strana, per-ché per i più, durante la guerra, la carenza dicibo era stata una realtà quotidiana: dove ilreperimento dei generi di prima necessità erabasato solo sull’acquisto delle varie derra-te alimentari, la fame si faceva sentire ine-sorabilmente.

La reazione della montagnaDiversa era invece la realtà per coloro che

non erano costretti ad acquistare tutto il ci-bo che serviva quotidianamente perché pro-ducevano parte di ciò che necessitava peril loro sostentamento.

Era questa la condizione tipica delle gen-ti di montagna, che vivevano dei prodotti

43 In E. BARBANO, op. cit., p. 68.44 Idem, p. 71.

Page 95: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Angela Regis - Enrico Pagano

94 l’impegno

della terra di loro proprietà - più o meno ab-bondanti a seconda del territorio, a volteaddirittura scarsi, ma comunque esistenti -e di allevamento. Infatti, per i testimoni ascol-tati per questa ricerca, la guerra non fu si-nonimo di fame. «Noi con la campagna nonabbiamo sentito la crisi del cibo. Avevamole mucche, quindi il latte e il formaggio, legalline, i conigli, il maiale, che veniva ucci-so tutti gli anni. Avevamo poi l’orto e i cam-pi. A noi personalmente non è mai mancatoniente, spiace persino dirlo per i poveri chehanno patito la fame» (Mna).

«Fame non ne abbiamo fatta perché ave-vamo le bestie: i conigli, le galline, le muc-che, il maiale, le capre e le pecore» (Mv).«Noi avevamo mucche, pecore, capre e ilmaiale. Fame non ne abbiamo patita» (Cg).

«In tutte le case c’erano una o due muc-che; in tutte le famiglie c’era anche un ma-iale; e poi capre e pecore» (Mv). «A chi ave-va del bestiame non mancavano il latte, ilformaggio, il burro. Chi aveva del pollameaveva uova e un po’ di carne. I più fortunatierano quelli che allevavano il maiale: ne ri-cavavano salami, sanguinacci, cotechini,lardo» (Pc).

E poi c’erano i campi, la cui produzioneserviva sia per la famiglia che per gli anima-li. «Avevamo tanti campi: a Scopelle, all’ini-zio di Varallo e a Cervarolo. Coltivavamo pa-tate, rape e verze. Anche granoturco, sega-le e frumento. La segale si dava alle muccheche avevano partorito, poi si usava la pagliaper coprire le due cascine che avevamo co-perte così, i taragn. Io andavo a scuotere iltetto in paglia della cascina per prendere ighiri da mangiare. Si facevano in umido, conle patate, come lo spezzatino. E come erabuona quella carne! Mangiavo anche i ricci.

Li prendevo e poi mia zia me li faceva cuo-cere» (Cg).

«Piantavamo segale, mais e patate e poi,per le bestie, anche le rape e i ravogn»45.

Il granoturco veniva coltivato perché ser-viva per fare farina da polenta, ma venivautilizzato anche come mangime per le galli-ne. «Per fare la polenta si macinava il nostrogranoturco: avevamo tanti campi» (Mv). «APiaggiogna, al mulino di Giulio Pianta, por-tavamo a macinare la segale, il frumento, l’or-zo, la melga, cioè il granturco, prodotti neinostri campi, e le castagne. La farina di se-gale la usavamo per il bestiame, quella di fru-mento per le miacce, gli sparoi, e i tortelli;quella d’orzo per il caffè e le minestre, quel-la di meliga per fare polenta, e così purequella di castagne, che si usava anche peril castagnaccio» (Pc).

Anche la produzione di frutta era impor-tante. «Si coltivavano anche peri e meli, i cuifrutti venivano conservati per l’inverno. Ilpapà faceva anche il vino con le mele: eraun vino leggero, un po’ acerbo. Ne facevapoco. Non si conservava tanto. Si bevevacon le castagne, non a tavola. Si usavanole mele più acerbe, quelle che non si poteva-no mangiare» (Mv). «Avevamo anche tan-te mele e poi con la nostra uva facevamosempre sei o sette brente46 di vino, vino a-mericano che si beveva volentieri d’estate,ben fresco» (Cg).

Ci si sfamava anche con i frutti che cre-scevano spontaneamente. «Quando anda-vamo a guardare le capre mangiavamo le ci-liegie selvatiche e le fragole» (Mv). «E poic’erano le castagne, a quintali» (Cg), che perla media valle furono uno degli alimenti piùimportanti della dieta quotidiana, infatti qua-si tutte le sere si mangiavano castagne: fre-

45 Rape grosse, arancioni, che si davano ai maiali e alle mucche.46 Una brenta equivale a 55 litri.

Page 96: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Guerra e pane

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 95

sche in autunno e secche, “barguletti”, nelrestante periodo dell’anno. «Quando arri-vava l’ora delle castagne, immancabilmen-te, tutte le sere c’era il caudroo, la marmitta,delle castagne bollite» (Mna). A me piacevatanto la minestra con le castagne secche eil latte: si facevano cuocere le castagne epoi si metteva il latte e dopo il riso» (Mv).Ciò che emerge chiaramente dalle testimo-nianze è il fatto che «c’era poco da mangia-re, ma non si pativa la fame» (Cg).

La dieta degli abitanti della montagnaLa dieta dei montanari è sempre stata

povera, fatta di cibi semplici: in epoche lon-tane l’alimentazione coincideva con la pro-duzione alimentare; negli ultimi secoli simangiava in prevalenza ciò che si produce-va e si comperava solo ciò che non venivaprodotto in loco, come ad esempio il riso, oquello che si produceva solo in minimaquantità, come i cereali47. Era una dieta che,prima della guerra poteva essere considera-ta povera e sempre uguale a se stessa, mache durante la guerra acquistò un valore ine-stimabile: permetteva di sfamarsi nonostanteil razionamento del cibo, le carte annonariee i vari divieti.

Per coloro che possedevano campi, orti eanimali la guerra quindi non significò fame.Sicuramente non possedevano tutti lo stes-so patrimonio: i più fortunati possedevanomolti animali - due, tre o quattro mucche,qualche capra e qualche pecora, il maiale, legalline e conigli - campi di cereali, patate,fagioli, rape, verze - e orti, dove coltivava-no le verdure che servivano prevalentemen-te per le minestre. Altri possedevano moltomeno; alcuni solo l’indispensabile. I menoabbienti ad esempio non avevano le muc-

che, tanto che un proverbio dice «La craval’è la vacca dal pouru», cioè la capra è lamucca del povero. Ma il modo di alimentar-si era, più o meno, lo stesso: non c’era gran-de differenza fra chi aveva di più e chi ave-va di meno. I cibi erano sempre gli stessi;cambiavano sicuramente le quantità e i con-dimenti, ma il tipo di dieta non variava.

«I pasti erano sempre i soliti: polenta, pa-sta o riso, minestra e castagne» (Mna).

La colazione«A colazione solo i giovani bevevano il

latte, una scodella di latte e mezzo panino;per tutti gli altri, invece, c’era minestra dellasera riscaldata, alla quale, a volte, si aggiun-geva una manciata di farina bianca o giallae un poco di latte, per renderla più consi-stente, e si faceva cuocere ancora» (Pc). In-vece Maria, che in tempo di guerra era bam-bina, dice: «A casa mia il caffelatte non lomangiavo» (Mv).

A colazione si mangiava spesso la polen-ta del giorno prima. «Mi ricordo che il papàtagliava la polenta, la faceva bella secca nelforno e al mattino la mangiava con il caffè»(Mv).

Maria Noemi invece dice che, a casa loro,il caffè e il latte non sono mai mancati e nonc’era l’abitudine di mangiare minestra a co-lazione. Anche Carlo ricorda che «il lattenon è mai mancato» (Cg).

Maria Noemi ricorda anche che verso lenove del mattino si faceva una seconda co-lazione a base di caffè e burro.

Il pranzo«A pranzo c’era la polenta con il formag-

gio o la polenta arrostita. A volte pasta conil burro e con l’aglio. Non c’era il parmigiano.

47 R. FANTONI - S. DEL BELLO - G. MACULOTTI - J. RAGOZZI, op. cit.

Page 97: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Angela Regis - Enrico Pagano

96 l’impegno

A volte, quando era bella dura, si grattugia-va la toma» (Mna). Maria invece ricorda chenon mangiava la pasta. «A pranzo si man-giava polenta tutti i giorni. Pasta non c’era,non c’era l’abitudine di mangiare pasta. Simangiava polenta, riso e patate» (Mv). «Apranzo si mangiava polenta o riso. Pochevolte pasta» (Cg).

Pino fa un elenco dettagliato: «A pranzo,fino a quando si aveva farina, si mangiavapolenta con il latte parzialmente scremato,di rado con della panna, oppure con formag-gio, ricotta o con due uova al burro o conpatate lesse condite con del lardo fuso, rara-mente con un pezzo di salame o salsiccia;in estate con cornette, arrostite o lessate ein insalata. A volte si mangiava polenta epucia: si mettevano in una padella poca ac-qua, burro e formaggio, si faceva fonderebene il formaggio amalgamando tutto e poisi intingeva tutti la polenta calda nella stes-sa padella.

Quando c’era brutto tempo, e non si usci-va in campagna, si facevano le miacce, conpoca acqua, latte, panna, farina bianca e unamanciata di farina da polenta; si farcivanocon pezzetti di lardo, formaggio o ricotta,oppure si mangiavano con il latte.

A volte la polenta si faceva in modo diver-so: con della polenta appena cotta si forma-va una palla e in mezzo si mettevano delburro e del formaggio. Ben chiusa si nascon-deva poi sotto la cenere e le braci fin tantoche prendesse un bel colore dorato e bru-ciacchiato.

Altre volte si mangiava la polenta con del-la cotica del maiale abbrustolita sulle braci,oppure con del formaggio duro anch’essoabbrustolito sulla brace o con salsiccia dicapra dura. Buona era anche la crosta dellapolenta: si versava del latte nel paiolo e lacrosta si staccava.

La polenta “concia” invece si faceva po-co, perché costava troppo: si adagiava sul

fondo di una pentola di ferro del burro, unostrato di fette di polenta di tre centimetri,uno strato di burro e formaggio, poi un altrostrato di polenta e così via, a piacere. Sichiudeva la pentola, la si adagiava sul foco-lare coperta di ceneri e braci e la si lasciavaper più di un’ora, finché tutto si era fuso esi era formata una crosta dorata» (Pc).

La merenda e la cenaMaria Noemi ricorda che a merenda si fa-

ceva di nuovo il caffè e si metteva la panna.«La sera si mangiavano castagne o patatebollite» (Cg). «La sera immancabilmente simangiava minestra con il latte, i fagioli e lepatate, oppure con pasta o riso. A volte simangiava minestrone di verdura. Il formag-gio c’era sempre. Quando iniziava l’ora del-le castagne, immancabilmente, tutte le sere,c’era il caudroo delle castagne bollite e poila minestra e bon» (Mna). «A cena la mine-stra era quasi d’obbligo: riso e latte; riso,castagne e latte; riso e patate a pezzetti; risoed erbe dei prati; riso e rape; pasta e fagioli;patate e fagioli; minestra di verdure; mine-stra d’aglio e cipolle (ava coccia); zuppacon pane di segale; all’alpe riso e bargoi,cioè spinaci selvatici, con latte. Le minestresi condivano con burro, o lardo fuso, o lardotritato, oppure cotenna del maiale. Oppuresi faceva il buiet, cioè la polenta molle con-dita con il latte e la panna (poca) o con ilburro o il formaggio; se si metteva il burrofuso e conservato nei vasi era più buono.Oppure castagne bianche (castagne sec-che) cotte nel latte. O verdure bollite confrattaglie fritte. Con la farina di castagne sifaceva anche una polenta: era un po’ dolce,ma con il latte freddo era buona. Ne faceva-mo tanta» (Pc).

I pasti degli abitanti della montagna era-no sempre gli stessi; alcune cose variava-no a seconda della stagione, ma ci si nutri-va sempre di polenta e polentine, minestre,

Page 98: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Guerra e pane

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 97

patate, castagne, latte, formaggio, uova, ver-dure degli orti o selvatiche. Pochi erano gliinsaccati e pochissima la carne.

Il risparmio quotidianoComunque, anche quando non c’era ca-

renza di cibo, non si sprecava, si risparmia-va, a volte si lesinava.

«Nonostante le mucche, a colazione c’erala minestra della sera con una manciata difarina per allungarla. Mi ricordo quando hofatto la prima comunione, abbiamo fatto co-lazione dal parroco: ho mangiato una bellascodella di caffelatte. A casa mia non lo man-giavo. La carne si mangiava quando morivaqualche vitello, di due, tre giorni. Era carnesana e si mangiava. Galline e conigli si ucci-devano per le feste. Però c’erano le uova,più che altro strapazzate con la polenta ostrapazzate con i pomodori, quando c’era-no» (Mv). «Si uccideva una gallina soloquando non faceva più le uova: il brodo erabuono, ma la carne di legno. I conigli si alle-vavano solo per la carne: ma se ne uccidevauno ogni tanto, alle feste principali e quan-do venivano i parenti. La carne di mucca simangiava solo a Natale e a Pasqua» (Pc).

E non si sprecava nulla: ad esempio, lepatate venivano lessate con la buccia, per-ché dopo la cottura si scartava solo unasottile pellicola. Si recuperava tutto ciò chesi poteva recuperare, come le bucce dellerape che venivano essiccate, in genere sullastufa, e poi conservate per mesi (garusli);poi, prima di essere cucinate, con il lardo opezzetti di cotica, venivano messe in ammol-lo in acqua. Risparmiare era normale, primae durante la guerra, era la forma mentale deimontanari: bisognava sempre pensare aitempi peggiori. Forse per questo la gente dimontagna seppe affrontare le difficoltà del-la guerra: vivere con poco, risparmiare, nonsprecare non erano una novità ma una con-suetudine antica.

Chi pativa la fameAnche nei paesi c’era chi pativa la fame.«Quelli che facevano più fatica erano gli

anziani. Qui c’erano due o tre persone an-ziane e la mamma ogni tanto ci mandava conun pentolino con dentro un po’ di minestra,oppure brodo o patate, perché non aveva-no proprio niente, non erano più in gradodi fare niente, neanche di zappare l’orto.Purtroppo era così» (Mv).

La sopravvivenza era garantita dalla col-tivazione dei campi e degli orti e dall’alleva-mento: chi aveva terreni, animali e bracciaper lavorare se la cavava discretamente; chinon aveva niente di tutto ciò pativa la fame.«Chi non aveva terra, cioè non aveva la pos-sibilità di coltivare e allevare bestiame pati-va la fame: ho visto gente che ha fatto mi-seria, ho visto famiglie povere che doveva-no sfamarsi solo con minestre di erbe deiprati e della clemenza della gente che dona-va. C’era chi si sfamava catturando volpi,ghiri e perfino topi» (Pc). Dalle testimonian-ze emerge chiaramente che «chi non avevaniente faceva miseria» (Pc).

Per fortuna nei paesi ci si aiutava, i pove-ri non erano abbandonati a se stessi: nonsolo era consuetudine portare il pentolinodella minestra, il burro, il formaggio, o altrigeneri di prima necessità a chi aveva biso-gno, ma in alcuni paesi era sopravvissutala pratica della spigolatura: «Per tradizione,tutti i possidenti dei campi, al momento delraccolto ne lasciavano una parte, così i biso-gnosi potevano recarsi nei campi a recupe-rare quel poco lasciato» (Pc).

Questo consentiva almeno di non moriredi fame.

Il superfluoIn tempo di guerra tutto era misurato. Bi-

sognava risparmiare su ogni cosa. Ci si con-cedeva ancora qualche divertimento, manulla era più come prima. Neppure i matri-

Page 99: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Angela Regis - Enrico Pagano

98 l’impegno

moni. I banchetti nuziali, i “signorili ricevi-menti”, lasciavano ormai spazio a semplicirinfreschi serviti in casa.

Tutto veniva visto con gli occhi della fa-me, anche i più innocenti divertimenti. Ri-corda Barbano: «Non so più in che ricorren-za, forse per la festa dell’Oratorio, cioè di S.Luigi, si svolgeva di solito il gioco delle pi-gnatte. [...] Alcune piene di cenere, o di ac-qua. Altre con dentro piccole cose. Per lopiù un salamino. [...] Non so come una voltaio vinsi un salamino. Era un salamino da farcuocere veramente buono. Ebbi l’impressio-ne che non si avesse avuto piacere che ilsalame l’avessi vinto io. Alcuni pensavanoche giustamente sarebbe stato meglio cheil salame l’avesse vinto qualcuno più affa-mato di me»48.

Neppure il carnevale era lo stesso. Il 15febbraio del 1941 si leggeva nel “CorriereValsesiano”: «La vecchia benefica tradizio-ne varallese torna anche quest’anno, ma so-lo per compiere la sua azione di attesa caritàpresso i poveri, i cronici e i carcerati. Essasi sfronda quest’anno di tutte le vivaci alle-grie, che l’hanno sempre caratterizzata, e del-la secolare usanza carnevalesca rimarràsoltanto ciò che è soccorso, è aiuto, è bon-tà [...] La Paniccia verrà cotta in piazza Car-lo Boccioloni domenica 23 febbraio (e nonmartedì, giacché quest’anno il martedì gras-so e la giobiaccia devono venire cancellatianche dal ricordo, tanta è la severità dei tem-pi che si vivono)».

Nel 1942 il carnevale varallese scompar-ve del tutto: «È passato, anche quest’anno,il carnevale. È passato inosservato, dimen-

ticato [...] Già l’anno scorso il carnevale erapassato in silenzio. Però, in esso era soprav-vissuta un’usanza benefica: la Paniccia. Emolte centinaia di persone poterono, per ungiorno, avere un gustoso abbondante piattodi minestra, oltre ad una buona razione dicarne ed altri generi di conforto»49.

Pino Cucciola ricorda che anche a Boccio-leto il carnevale venne sospeso, come in altripaesi della valle.

Le mense scolasticheA Varallo e in molti paesi della valle fun-

zionava la refezione scolastica, generalmen-te attiva solo nei mesi invernali, di cui be-neficiavano gli alunni delle scuole elemen-tari, bisognosi e non. Per i bisognosi era unpasto assicurato, per gli altri una comodità:quando c’era la neve non sempre era possi-bile rientrare a casa per il pranzo e poi tornarea scuola in tempo utile.

Da Rimella scrivevano: «Quest’anno, perla prima volta, la GIL del nostro paese puòbeneficare i suoi piccoli organizzati con labenefica assistenza della refezione. Prepa-rata con assiduo lavoro dei dirigenti dellaGIL essa ha avuto inizio il 19 gennaio, collaripresa della scuola. Ben 40 sono i bimbi chetutti i giorni ricevono minestra in nome delnostro Duce»50.

Maria racconta che «la mensa a Scopac’era per l’asilo. Quando d’inverno c’eratanta neve c’era la refezione anche per lascuola elementare. A cucinare c’erano lesuore e una signora. Facevano la minestra.La minestra era più buona di quella di casa.Al mattino invece a scuola portavamo un

48 E. BARBANO, op. cit., p. 118.49 “Corriere Valsesiano”, 21 febbraio 1942.50 “Corriere Valsesiano”, 31 gennaio 1942; A. REGIS, Rimella durante la seconda guerra

mondiale, in AUGUSTO VASINA (a cura di), Storia di Rimella in Valsesia, Borgosesia, Centrostudi walser, 2004, p. 415.

Page 100: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Guerra e pane

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 99

pezzettino di formaggio; a volte c’era un ficoe bon. O uno o l’altro» (Mv).

La refezione consisteva principalmente inun piatto di minestra, preparato dalle bidel-le o dalle suore; a volte venivano distribuitianche pane e marmellata. «Alla mensa man-giavamo pastasciutta o minestra o risotto.Non c’era tanto, solo un piatto e un pezzodi pane» (Cg).

Nell’anno scolastico 1941-42 venne pro-tratta fino alla fine delle scuole, e l’anno se-guente, per ordine diretto del duce, iniziò

con la riapertura delle scuole. Il 10 ottobre1942, nella pagina di Varallo, il “CorriereValsesiano” riportava: «Alle ore 12 è statainaugurata nel palazzo delle scuole in piaz-za Ferrari la refezione scolastica [...]. Il fattoche la refezione scolastica abbia avuto ini-zio ovunque con l’anno scolastico, cioè condue mesi di anticipo sulla data abituale, èpieno di un alto significato morale, che staa testimoniare la vasta portata cui è assuntal’assistenza all’infanzia voluta dal Partito».

Page 101: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

La Shoah

Frammenti di immagini

Percorsi della memoria 2009/2012

2012, pp. 64, € 10,00 Isbn 978-88-905952-2-6

Il catalogo è una sintesi fotografica di un progetto didattico svolto negli anni 2009-2012 nelle classi del triennio del Liceo artistico dell’Istituto superiore “D’Adda” diVarallo sul tema della Shoah, che si è proposto di coinvolgere criticamente e consa-pevolmente gli studenti in un’operazione attiva di cui essere protagonisti per con-to della storia, lontano dalle retoriche commoventi che lavano le coscienze lascian-do però le stesse tracce dell’acqua sui vetri.L’invenzione artistica su tema storico obbliga chi crea e chi guarda la creazione aduno sforzo di interiorità che non può prescindere dalla conoscenza degli eventi edella loro problematicità. In questo risiede la valenza peculiare dell’attività didatti-ca pluriennale di cui questo catalogo, costituito da una selezione di diciotto tra lepiù significative opere artistiche (pittoriche, plastiche e installazioni) accompagna-te da schede esplicative e testi di carattere storico-letterario, costituisce contempo-raneamente l’esito e lo strumento comunicativo per tenere aperta la riflessione.L’Istituto ha accolto favorevolmente la proposta di pubblicazione pervenuta dallascuola nella convinzione profonda della fecondità dell’interazione fra ciò che parlacontemporaneamente alla ragione e al cuore quando vi sia una seria mediazionescientifica.

Page 102: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

saggi

l’impegno 101

Possiamo dire che non è, questo anche, nel-l’uomo?Che non appartenga all’uomo?

Elio Vittorini, Uomini e no

Nell’agosto del 1944, un delatore provo-cò una retata, che disarticolò una rete dellaResistenza attiva sulla riva sinistra del Tici-no. Cadde così un importante centro di re-clutamento di partigiani, destinati a infolti-re i ranghi delle formazioni della Valsesia. Laretata giunse a lambire Milano: vi rimase im-pigliato, fra gli altri, Melchiorre De Giuli, ungappista della prima ora, tra gli artefici di unpiano - in realtà, piuttosto velleitario - voltoa suscitare una vasta insurrezione in soste-gno dell’Ossola.

Seguirono incarcerazioni, esecuzioni som-marie, deportazioni nei lager nazisti - moltesenza ritorno. Il responsabile di tutto ciò eraun ragazzo di diciannove anni, Luigi Cucchi,soprannominato “Bestiaccia”. La sua vicen-

ALBERTO MAGNANI

Il “Bestiaccia”

Un delatore fra storia della Resistenza e leggenda popolare

da permette di addentrarsi in un tema, quel-lo delle delazioni durante la Resistenza, che,secondo Mimmo Franzinelli, «attende anco-ra un’analisi approfondita», in quanto tra-scurato, o rimosso, «tanto dalla storiogra-fia resistenziale, quanto dalle ricostruzionifilofasciste»1. Ma la storia del Bestiacciapresenta ulteriori motivi di interesse: attornoalla sua figura la cultura contadina alimen-tò un’autentica leggenda, capace di soprav-vivere alle profonde trasformazioni indottedal processo di industrializzazione.

Per ricostruire la reale identità di LuigiCucchi, liberandola dal personaggio leg-gendario che le si è sovrapposto, dobbia-mo partire dai documenti. Questi attestanoche Cucchi nacque nel 1925 e crebbe a Cerel-lo, frazione di Corbetta, nella campagna traMilano e il Ticino. Il soprannome di “Be-stiaccia” glielo avrebbe imposto la madre,solita inveire contro di lui sin da bambino:«Bestia d’una bestiasa!». Da parte sua, il

1 MIMMO FRANZINELLI, Delatori. Spie e confidenti anonimi: l’arma segreta del regimefascista, Milano, Mondadori, 2002, p. 198. La presente ricerca permette di soddisfare tuttigli elementi indicati da Franzinelli per un lavoro di tale genere: «L’attenta verifica dellesituazioni, la contestualizzazione in sede locale, l’interpretazione della documentazione coe-va, il raffronto delle testimonianze orali» (ibidem). Al Bestiaccia ho già dedicato un opuscolo,Il Bestiaccia. Diceva di essere un partigiano, ma i partigiani veri lo cercavano, Abbiate-grasso, Società storica abbiatense, 2000, basato soprattutto sulle fonti orali e, dunque, conun prevalere della dimensione leggendaria sui fatti reali.

Page 103: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Alberto Magnani

102 l’impegno

sedicenne Luigi le avrebbe sparato un colpodi rivoltella, mancandola, ma uccidendo unamucca. Qui, però, già stiamo per essere irre-titi dalla leggenda.

A un’infanzia difficile, trascorsa in unambiente degradato, alludono comunque lecarte processuali che riguardano il Cucchi2.Possiamo aggiungere con una certa sicurez-za che il giovane fece il muratore, occupa-zione diffusa tra gli abitanti della zona: inmolti, sin dagli inizi del Novecento, si tra-sferivano di prima mattina nei cantieri di unaMilano in espansione.

Seguirono la guerra, l’armistizio, la nascitadella Repubblica sociale. Il 10 novembre1943, la classe 1925 fu richiamata alle armi.Come tanti coetanei, Cucchi non rispose allachiamata. Un rifugio molto usato dai reni-tenti era il bosco di Riazzolo, una macchiaboschiva particolarmente estesa in mezzoalla pianura, in cui si nascondevano giovanirenitenti di Corbetta, Albairate e Abbiate-grasso.

All’inizio del 1944 alcuni di questi giova-ni entrarono a far parte di un gruppo pro-mosso da Pierino Beretta, ventitreenne diCorbetta. Beretta riuscì a entrare in contattocon il Comando milanese delle brigate “Mat-teotti” attraverso l’avvocato Mario DavidLevi, che, con il nome di battaglia di “Co-lonnello Vittorio”, tentava di organizzare unaformazione nell’Est Ticino. Prese pertanto

forma una brigata, la 9a “Matteotti”, che co-stituiva un elemento di collegamento traMilano e la Valsesia.

Nel corso dell’estate, alcuni partigiani sa-lirono in montagna da dove, periodicamen-te, scendevano per ricevere e accompagna-re altri giovani intenzionati a raggiungere leformazioni della Valsesia e dell’Ossola. Unodi essi era Pierino Oldani, che ricorda: «Viag-giavamo con le Ferrovie Nord per andare su,in un primo momento si arrivava a Miazzina,facevamo il traghetto di Laveno, andavamoda Intra a Verbania, da lì c’era un trenino checi portava su in montagna, poi da lì si marcia-va»3. Da Milano giungevano alcune armi,procurate dal tenente Enrico Carreras, capodi un nucleo di infiltrati delle “Matteotti”nella caserma dell’aeronautica di piazza Bal-bo. Il gruppo compiva inoltre azioni di pro-paganda e qualche sabotaggio4.

Luigi Cucchi faceva parte del gruppo diPierino Beretta, anche se, in questo perio-do, la sua attività consisteva soprattutto infurti, condotti nelle cascine della zona. Fuun grave errore accettarlo tra i partigiani. Èvero che non era considerato un elementotroppo fidato, come ricorda Oldani, secon-do il quale nessuno avrebbe pensato di in-viarlo in Valsesia. A maggior ragione, però,lo si sarebbe dovuto isolare e tenere lonta-no dalla lotta partigiana. Invece il Bestiac-cia era fin troppo al corrente di ciò che face-

2 Archivio di Stato di Milano, Corte di Assise, 21 gennaio 1947/2986, registro IX (d’orain poi ASM, Cas).

3 Testimonianza di Pierino Oldani, resa a Corbetta il 28 ottobre 1998.4 Sul gruppo di Pierino Beretta, si veda: ALBERTO MAGNANI, I partigiani del bosco di

Riazzolo, in AA. VV., Un quarto di secolo. Albairate tra le due guerre mondiali 1920-1945,Albairate, Biblioteca civica, 1999; ID, Cinque lunghi anni: 1940-1945, in Corbetta. Storiadella comunità dal 1861 al 1945, Corbetta, Comune, 2003. Testimonianza di Franco Vit-torio, già comandante della 9a brigata “Matteotti”, resa a Novara il 22 ottobre 1996, pubbli-cata in parte in ALBERTO MAGNANI - YOLANDA GODOY, I venti mesi della città di Abbiategras-so, Abbiategrasso, Società storica abbiatense, 1997. Ulteriori conferme sono giunte da EnricoCarreras, ormai generale in congedo, interpellato in data 19 aprile 2012.

Page 104: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Il “Bestiaccia”

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 103

va o progettava il gruppo. Probabilmentecontribuì il fatto che gli stessi Beretta, Olda-ni e altri, compaesani e coetanei di Cucchi,cresciuti insieme a lui, bene o male lo senti-vano come uno di loro.

Il 9 agosto 1944 il Bestiaccia venne arre-stato mentre tentava di rubare lardo e sala-me. Condotto nelle carceri di Magenta, ven-ne identificato come renitente alla leva, dun-que “ribelle”, e interrogato dalla Guardianazionale repubblicana. Cucchi «forniva inominativi di un gruppo di partigiani e fa-voreggiatori capeggiati da un certo PozziGiampiero di Vittuone, e del quale facevaparte anche un ufficiale di Marina di Sedria-no»5. Quest’ultimo si chiamava LeopoldoFagnani: entrambi erano elementi di spiccodella locale brigata “Garibaldi”, entrati incontatto con il gruppo di Beretta, segno cheil Bestiaccia era bene informato su quantoavveniva nel bosco di Riazzolo.

Mentre scattavano i primi arresti, dellaquestione si interessò il colonnello dellaGuardia nazionale repubblicana Gianni Pol-lini, esponente dell’ala intransigente e filo-nazista del fascismo repubblicano milane-se. Cucchi si prestò ad attirare altri giovaniin una trappola: sparse la voce che il Colon-nello Vittorio aveva convocato una riunio-ne in un’osteria di Abbiategrasso, ove mol-ti si recarono, e li fece così cadere nelle manidei fascisti. «Su indicazione del Cucchi, ve-nivano pure riportati sei moschetti e seque-strato ingente quantitativo di alcool, olio

cotto, acqua ragia, acetone e altri materialiprecedentemente sotterrati»6.

Durante gli interrogatori, gli arrestati eb-bero la spiacevole sorpresa di ritrovarsi da-vanti il Bestiaccia, «con una pistola che glipendeva dal fianco», che smentiva le lorodichiarazioni «opponendo fatti e dichiara-zioni a lui ben noti»7. Gli interrogatori ven-nero condotti senza risparmiare brutalità.Qualcuno cedette, e spuntarono altri nomi.Il 26 agosto venne stilato un rapporto, conuna lista contenente diciassette nomi8 . Nontutti erano effettivamente partigiani: la mo-glie di De Giuli, per esempio, Maria Breso-lin, era certamente al corrente dell’attività delmarito, ma la sua appare una complicità piut-tosto passiva. Altri erano giovani soltantodesiderosi di unirsi alla Resistenza, comeLeopoldo Cislaghi, che aveva uno zio, Ago-stino Rossi, comandante in Valsesia, e spe-rava di raggiungerlo.

Ai nomi inclusi nella lista ne vanno ag-giunti sicuramente altri. Uno è quello diPaolo Garanzini, referente di Fagnani per losmistamento della stampa clandestina. Inol-tre, due arresti avvenuti a Sedriano vannomessi in relazione con la retata provocatadal Bestiaccia9. Giampiero Pozzi, uno dei pri-mi il cui nome era emerso, riuscì a mettersiin salvo: verrà ucciso nel Comasco dalla fa-migerata banda Tucci.

Dei venti arrestati, tre - Fagnani, Berettae Garanzini - vennero prelevati dalle celle lanotte fra il 31 agosto e il 1 settembre, portati

5 Archivio di Stato di Milano, Gabinetto di Prefettura, II versamento, 1944-1945 (d’ora inpoi ASM, Gp, II), b. 352, rapporto in data 17 agosto 1944.

6 Ibidem.7 ASM, Cas.8 ASM, Gp, II, b. 352, rapporto in data 26 agosto 1944.9 MASSIMILIANO TENCONI, “Il numero non era che il nostro unico nome”. Deportati e

rastrellati nel sud-ovest milanese, in Il quaderno di Carla. I ricordi di Carla Moranideportata ad Auschwitz, Magenta, La Memoria del Mondo, 2008, p. 107.

Page 105: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Alberto Magnani

104 l’impegno

in mezzo alla campagna, uccisi con un col-po in testa e abbandonati vicino a un cimi-tero. Gli altri furono deportati in Germania,soprattutto nel lager di Dachau. Sei riusci-rono a tornare. Gli altri undici passarono peril camino dei forni crematori10.

Come già segnalato, uno degli arrestatiera Melchiorre De Giuli, singolare figura diantifascista. Nato a Motta Visconti nel 1906,De Giuli da giovanissimo era stato uno squa-drista fascista. Ben presto, però, aveva ma-turato differenti scelte politiche: fiancheg-giatore di “Giustizia e libertà”, incarcerato,confinato a Ponza, nel 1943 si era unito alGruppo di azione patriottica “Mandel”, unnucleo armato attivo a Milano, ma collega-to con l’Ossola11.

Ruggero Brambilla, comandante del grup-po, nell’estate del 1944 elaborò un avven-turoso piano, finalizzato alla «creazione diuna testa di ponte, appoggiata al confinesvizzero, con effettivi di qualche migliaio diuomini con armamento leggero e pesan-te»12. Il piano prevedeva una serie di colpidi mano in caserme del Milanese, condotticon l’appoggio di elementi infiltrati nelleforze fasciste. In seguito, gli uomini si sa-rebbero concentrati con le armi a NovateMilanese, da dove si sarebbero diretti suautocarri a Miazzina e, quindi, nell’Ossola.

Il piano venne giudicato con scetticismoda Dionigi Superti. Da parte sua, la Federa-

zione milanese del Partito comunista guar-dava con sospetto al Gap “Mandel”, le cuiposizioni politiche apparivano poco chiaree poco affidabili. Viceversa, progetti del ge-nere incontravano l’interesse degli ambientisocialisti: Bonfantini ne avrebbe propostouno simile al gerarca Niccolò Nicchiarelli,nel quadro dei contatti detti del “ponte” frasocialisti e repubblichini13. Possibile, quin-di, che il “Mandel” trovasse interlocutori trale “Matteotti”. Una delle caserme in cui eraprevisto un colpo di mano si trovava a Cor-betta e De Giuli potrebbe aver stabilito con-tatti con il gruppo di Beretta.

Gruppo che, dopo la retata dell’agosto1944, risultò praticamente disperso14. Unodei pochi superstiti, Giuseppe Grassi, rimi-se insieme i cocci, ma non sarebbe ricom-parso sulla scena prima della Liberazione,capeggiando una brigata insurrezionale, poidivenuta la 203a Matteotti “Pierino Beretta”.

Quanto al Bestiaccia, in base alle testimo-nianze orali, rimase signore incontrastatodel bosco di Riazzolo, assillando con le sueruberie le cascine del circondario: «Vivevarintanato nel bosco, uscendone di notte perfare razzia nelle cascine attorno», affermaAlessandra Trezzi, che viveva in una di que-ste cascine. «Il bosco di Riazzolo era il re-gno del Bestiaccia», conferma Luigia Mar-mondi. Prosegue la Trezzi: «Una volta, coisuoi compagni, venne anche da noi, preten-

10 I morti nei lager furono: Pietro Attilio, Marino Bianchi, Luigi Bottini, Gaetano Cameroni,Leopoldo Cislaghi, Melchiorre De Giuli, Antonio Grolla, Carlo Melles, Marcello Pianta,Adriano Sesti e Ferruccio Torri.

11 M. TENCONI - A. MAGNANI, Melchiorre De Giuli dallo squadrismo alla Resistenza, in“Storia in Lombardia”, n. 3, 2007.

12 Relazione sull’attività cospirativa svolta dal gruppo, in Archivio Istituto milanese perla storia dell’età contemporanea, fondo Anpi, b. 2, fasc. 11.

13 STEFANO FABEI, Tentativi di conciliazione tra fascisti e socialisti nella Repubblica diMussolini, Milano, Mursia, 2011, p. 153.

14 Rimanevano attivi un nucleo ad Abbiategrasso e uno a Magenta, che costituivano la9a brigata “Matteotti”.

Page 106: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Il “Bestiaccia”

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 105

dendo che gli venisse dato del latte. Un’altravolta andò a Riazzolo, prese una bestia dal-la stalla e la abbatté in mezzo alla campagna.Temendo che ci rubasse il granturco, nostropadre lo mise in damigiane, che nascose sulcapascé». «Di notte entravano nelle case etiravano su tutto quello che poteva far como-do», aggiunge Guido Ornati, che specifica:«Tutto questo accadeva nell’inverno tra il1944 e il 1945», finché i soldati tedeschi or-ganizzarono una ronda per tenere alla largai visitatori notturni15.

La leggenda ha preso di nuovo il soprav-vento. Cucchi compì certamente furti nell’in-verno precedente, il cui ricordo si mescolacon l’insicurezza vissuta in quello successi-vo. Qualunque episodio, ormai, veniva at-tribuito a lui e magari amplificato. Dopo ladelazione, le autorità fasciste chiusero unocchio sui trascorsi del Bestiaccia, ma gli im-posero di adempiere agli obblighi di leva.Luigi Cucchi si arruolò nella “Decima Mas”e fu assegnato ai reparti schierati in Roma-gna per fronteggiare l’avanzata degli Allea-ti. Nell’inverno 1944-1945, dunque, si trova-va nel settore delle foci del Po.

Nell’aprile 1945 le truppe britanniche siaprirono la strada con aspri combattimenti.Cucchi combatté con i suoi camerati nellazona di Comacchio, poi, quando le linee ce-dettero, disertò e si mise in salvo. Le testi-monianze orali lo segnalano di nuovo dalleparti di Corbetta, nei giorni successivi allaLiberazione. Venne scovato, imprigionato aMagenta, sottoposto a un tribunale del po-polo e condannato a morte. Pierino Oldaniafferma di averlo visitato in cella. «Lo por-tarono lungo il Naviglio appena prima diCassinetta, vicino alla Cascina Piatti, dove

il canale curva un po’», spiega, con doviziadi particolari, Guido Ornati. «L’intenzioneera di sparargli, così che cadesse nel Navi-glio e venisse portato via dalla corrente - daquelle acque furono ripescati molti cadave-ri, in quei giorni, vittime di quella giustiziasommaria. Era sera, ma, prima che gli sparas-sero, il Bestiaccia riuscì a gettarsi nel canalee, nuotando sott’acqua, sparì. Inutilmentecercarono di colpirlo sparando alla cieca nel-la corrente»16.

Fu organizzata una caccia all’uomo. Olda-ni ricorda di averlo individuato che si aggi-rava in mezzo ai campi. Il Bestiaccia tentò difuggire, gli spararono. Fu visto cadere. Mail corpo non si trovò: il Bestiaccia era riu-scito di nuovo a dileguarsi.

Non saremo di nuovo scivolati nella di-mensione leggendaria? Forse. Se, infatti, ri-prendiamo in mano le carte processuali, nerisulta che il Cucchi, dopo aver gettato alleortiche la divisa fascista, si diresse versonord, riparando in Veneto. Qui riuscì a infi-larsi in una formazione di partigiani, in tem-po per terminare la guerra dalla parte giu-sta. In seguito si trasferì a Scandiano, pres-so Reggio Emilia, dove rimase circa un anno.Il 19 aprile 1946 venne individuato ed arre-stato.

Certo, non si può escludere che, reducedal Veneto, Cucchi se ne tornasse a casamunito di qualche attestato, con timbro efirma di un comando partigiano, convintodi essersi rifatto una verginità; e che i suoiex compagni superstiti si affrettassero ametterlo in cella e al muro. Di tutto questo,comunque, non vi è traccia nei documentiin questione.

Nel corso di un primo interrogatorio, con-

15 Testimonianze riportate in AA. VV., Un quarto di secolo, cit., alle pp. 259 (Marmondi),245 (Trezzi) e 213 (Ornati).

16 Testimonianza citata, pp. 213-214.

Page 107: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Alberto Magnani

106 l’impegno

17 ASM, Cas.18 Ibidem.19 Nella zona in questione, il patrimonio orale è andato pressoché del tutto perduto. Un

interessante documento è rappresentato dal Diario di un parroco di campagna, un testomanoscritto redatto da don Ambrogio Palestra, mentre era parroco di Fagnano (1955-1957),di cui alcune pagine sono riportate in MORENO VAZZOLER (a cura di), Ambrogio Palestra,Sant’Angelo Lodigiano, Società storica abbiatense, 2001, pp. 68-71. Il sacerdote registraracconti popolati da streghe, che a volte si trasformano in animali, di fuochi notturni e prodigivari, ascoltati dalla viva voce dei parrocchiani.

20 Una ricerca è stata svolta a Cerello nel 2009. Devo ringraziare, per la collaborazione, PaolaBianchi, giovane musicista di Cerello, che appartiene alle nuove generazioni cui è giuntala fama del Bestiaccia.

dotto a Scandiano, Cucchi sostenne di esse-re stato costretto a rivelare i nomi dei com-pagni. Tradotto a Milano e incarcerato a SanVittore, venne processato all’inizio del 1947.Inchiodato dalle testimonianze dei pochisopravvissuti ai lager, fu dichiarato «nondelatore coatto, ma accusatore volontario».La giovane età e l’esser cresciuto in un am-biente difficile lo salvarono dalla pena capi-tale. Il 21 gennaio 1947, Cucchi Luigi vennecondannato ad anni trenta di carcere17.

L’anno seguente, il 25 febbraio 1948, laCassazione, mediante l’applicazione esten-siva delle norme contenute nel decreto To-gliatti sulle amnistie, annullò la sentenza erimise il carcerato in libertà18. Il Bestiacciatornò a Cerello di Corbetta, dove trascorseindisturbato il resto della sua vita. E dovesi consacrò definitivamente la sua leggenda.

La cultura contadina, ancora negli annicinquanta, era dominata da tradizioni anti-che e da una forte capacità immaginativa19.Attorno al Bestiaccia fiorì una ricca aned-dotica, che si sviluppò seguendo le dina-miche proprie dell’oralità, quali l’assorbi-mento di episodi inizialmente attribuiti adaltri personaggi20. In tale aneddotica, pos-siamo individuare un filo conduttore, con-sistente nel ripetersi di un medesimo sche-ma: il protagonista sembra destinato a mor-te certa, o appare morto, e invece sopravvi-

ve. Potrebbe trattarsi dell’espressione, a li-vello popolare, dell’idea che il male è sem-pre fra noi, e non c’è modo di liberarsene.

Abbiamo già riscontrato lo schema neiracconti relativi al vero o presunto ritorno acasa di Cucchi subito dopo la Liberazione.Possiamo aggiungere un paio di altri esem-pi. Si dice che il Bestiaccia si dedicasse adasportare parti metalliche dai pali della luceper poi rivenderle: nel corso di un’impresadi tal genere, sarebbe rimasto fulminato daun cavo della tensione, eppure sarebbe so-pravvissuto alla disavventura. Si dice an-che che il Bestiaccia si divertisse a insulta-re e sbeffeggiare gli operai diretti al lavoro:qualcuno avrebbe reagito, picchiandolo asangue. Un medico, chiamato sul posto, a-vrebbe affermato che non c’era più nulla dafare e si sarebbe offerto di concludere l’a-gonia con una iniezione. Invece il Bestiac-cia si riprese.

Quello che sembra certo è che Cucchi vi-vesse sostanzialmente di espedienti, in po-sizione marginale rispetto alla comunità, manon del tutto emarginato. Nei racconti, nonfigura mai o quasi mai solo: c’è sempre qual-che complice con lui, in posizione subordi-nata. Cucchi frequentava assiduamente leosterie ed è ricordato bere in compagnia dialtri. Il vino lo portava a improvvise esplo-sioni di collera. Negli ultimi anni veniva

Page 108: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Il “Bestiaccia”

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 107

spesso arrestato per ubriachezza molesta.La sua morte si colloca negli anni ottanta.

Il mito del Bestiaccia è sopravvissuto alungo nelle pieghe di una società ormai postindustriale. Soprattutto a Cerello, la frazionedove abitava, anche i nati negli ultimi decen-ni del XX secolo non di rado hanno sentitoparlare di lui. La persistenza del mito è con-

fermata da una recente diceria. Sepolto inuna tomba nella terra, il cadavere del Be-stiaccia è stato riesumato perché le sue ossafossero collocate in un loculo. Ciò è avvenu-to all’inizio del XXI secolo.

Ebbene, qualcuno dice, molto convinto,che, quando la bara fu aperta, il cadaveredel Bestiaccia era intatto.

Page 109: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Biella verso l’Unità d’Italia

1815-1856

Un’esperienza di ricerca didattica

Progetto coordinato da Marcello Vaudano

Testi di Stefania Biscuola, Matteo Botto Poala, Davide Cavagnetto, Jo-shua Confortini, Francesca Farina, Eleonora Geda, Marco Gremmo, Eleo-nora Guido, Anna Maiorana, Luca Nobili, Valentino Pistore, Andrea Ti-grino, Giovanni Valente, Tommaso Vanzan, Mattia Zorzan, Edoardo Zu-lato

2011, pp. 187, € 20,00 Isbn 978-88-905952-1-9

Il libro è il risultato finale di un progetto di ricerca coordinato dal prof. MarcelloVaudano, presidente dell’Istituto, e realizzato da un gruppo di sedici studenti fre-quentanti differenti istituti superiori biellesi in occasione del 150o anniversario del-l’Unità d’Italia.Pubblicato con il contributo della Fondazione Crt e con il patrocinio di Comune diBiella e Prefettura di Biella, è frutto di una ricerca archivistica e bibliografica protrat-tasi per un anno e mezzo. Assistiti nel loro impegno da insegnanti tutor, gli studentisono stati introdotti alla metodologia della ricerca storica sul campo e, dal punto divista dell’obiettivo storiografico, sono stati indirizzati a indagare la realtà cittadinabiellese nel periodo che va dalla Restaurazione all’epoca cavouriana. Oltre a riper-correre aspetti di quel quarantennio già noti, come la partecipazione di biellesi aimoti del 1821, i legami tra Mazzini, Ruffini e Rosazza, la figura di monsignor Losana,la prima guerra d’indipendenza e l’arrivo del treno nel 1856, il lavoro d’indagine hariguardato temi sinora poco indagati quali l’analisi degli strumenti di acculturazio-ne dell’epoca (giornali, scuole, libri, collegamenti con il capoluogo piemontese), lerelazioni tra ceti sociali e orientamenti politici, gli organi amministrativi e il loro fun-zionamento, le modalità con cui si sono riverberati a livello locale i grandi eventinazionali e internazionali.

Page 110: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

saggi

l’impegno 109

«Una sera di settembre l’Agnese tornan-do a casa dal lavatoio col mucchio dei pan-ni bagnati sulla carriola, incontrò un solda-to nella cavedagna. Era un soldato giova-ne, piccolo e stracciato. Aveva le scarpe rot-te, e si vedevano le dita dei piedi, sporche,color di fango. Guardandolo, l’Agnese sisentì stanca. Si fermò, abbassò le stanghe.La carriola era pesante».

L’Agnese ci viene incontro fin dalla pri-ma pagina del romanzo con questo caricopesante e con questa stanchezza, che d’orain poi l’accompagnerà sempre e che sembrapassare da lei al soldato come un segnod’elezione, lo stigma di un destino.

È questa l’immagine di lei che incontrere-mo per tutto il romanzo: quella di una donnaquasi anziana, grossa, pesante, lenta, chetrasporta senza sosta fagotti, sporte, sacchi,pesi di ogni genere per rifornire la lotta clan-destina; e intanto porta dentro di sé il pesodel dolore per i morti, l’odio freddo per i tede-schi e i loro amici, la fatica delle responsa-bilità sempre più assillanti che le vengonovia via assegnate dal Comando partigiano.

È un peso che cresce sempre di più sopradi lei, fino a diventare quasi il peso stessodella guerra, che è, tra le altre cose, faticaspossante e lavoro continuo, freddo e sudo-re, pioggia e polvere, poco sonno e moltapazienza, spostamenti repentini e lunga im-mobilità.

Davanti a questa fatica incessante l’A-gnese non molla mai, va avanti testarda, so-lida, coscienziosa, sempre in silenzio, conla sua faccia larga e pallida, «bruciata dal-l’aria», poco espressiva, «come di pietra»;e con quel suo corpo grasso e un po’ rigido,che però sembra capace di assorbire dosiincredibili di fatica e di sopportazione.

Una forza immensa, la sua, più morale chefisica; e poche parole da spendere con pu-dore e cautela, da popolana scontrosa e unpo’ limitata quale lei è, abituata a parlare po-co e a pensare molto a quello che va fatto.

Di solito l’Agnese si dimostra risoluta etranquilla, ma ha i suoi momenti di timidez-za quasi infantile (davanti al Comandante,ad esempio) e momenti di incertezza: «Sesarò buona», cioè se ne sarò capace, diceogni volta che le viene affidato un incaricoimpegnativo, che comunque non rifiuta mai.

Le bastano però poche parole di Palita, ilmarito ucciso dai tedeschi che di tanto intanto la visita in sogni tranquilli e rassere-nanti, per ritrovare la sua fiducia solida, tuttaconcentrata sul presente, senza illusioni,perché l’Agnese sente che il futuro non lariguarda: «Non pensava mai a quello cheavrebbe fatto dopo la guerra».

L’Agnese non ha paura per se stessa, nonteme la morte: da quando Palita le è statoportato via è come se si fosse congedatasenza rimpianti dalla vita tranquilla e ope-

TIZIANO ZIGLIOLI

Renata Viganò: “L’Agnese va a morire”

Page 111: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Tiziano Ziglioli

110 l’impegno

rosa che aveva condotto prima: «La primaparte, la più semplice, la più lunga, la piùcomprensibile, era ormai di là da una barrie-ra, finita, conclusa. Là c’era stato Palita, epoi la casa, il lavoro, le cose di tutti i giorni,ripetute per quasi cinquant’anni: qui comin-ciava adesso, e certo era la parte più breve;di essa non sapeva che questo».

L’Agnese teme solo per i compagni, so-prattutto per i più giovani, i “ragazzi” che lachiamano “mamma Agnese” e che lei con-forta con i suoi robusti pranzi e con il suolavoro incessante: «Era stata con loro comela mamma, ma senza retorica, senza dire: iosono la vostra mamma. Questo doveva ve-nire fuori coi fatti, col lavoro. Preparargli damangiare, che non mancasse niente, lavarela roba, muoversi sempre perché stesserobene».

La sua unica paura è quella di sbagliare,danneggiando i compagni, e di essere rim-proverata dal Comandante, come quandonon resiste all’impulso di dare due ceffoniad una ragazza che a Capodanno ha passa-to la notte con i tedeschi e si è lasciata ba-ciare da loro: «L’Agnese la teneva forte, gri-dò: - Questi doveva darteli tua madre! - econ la mano libera le dette due schiaffi, unodi qua e uno di là, misurati, grossi, pesanti.

Si guardavano in silenzio, erano quasistupite, tremanti tutte e due. L’Agnese aprìla porta, guardò fuori: non c’era nessuno.Andò vicino col viso alla ragazza, mormorò.

- E adesso vallo a dire, e io ti ammazzo.Ricordatelo -.

[...] Tutto il giorno l’Agnese pensò: “Hosbagliato. Questa volta ho sbagliato davve-ro”. [...] Decise di raccontare l’incidente alComandante, che fosse sull’avviso, se acca-deva qualche guaio: questo però la facevatremare, perché non era svanita la vecchiasoggezione. “Maledetta me - pensava - e lamia testa matta”».

Comunque, paura o no, l’Agnese non si

tira mai indietro: «Quello che c’è da fare, sifa», dice nel momento in cui la situazionesembra più insostenibile e persino l’infati-cabile Comandante della brigata si sente in-certo, nel terribile inverno del ’44-45, quan-do gli Alleati arrestano la loro avanzata e conil messaggio del generale Alexander chiedo-no alle formazioni partigiane di sciogliersi.

«Disse [è il Comandante che parla]: - Sen-ti. Per quello che hanno mandato fino ades-so possiamo anche farne a meno. È tantoche promettono un lancio di armi. Non abbia-mo mai visto niente: soltanto bombe. E allo-ra di che cosa ti lamenti? Faremo da noi -. Sivolse all’Agnese che friggeva la carne, edera tutta rossa ed accaldata per la fiammadella stufa: - Tu che cosa ne dici, mammaAgnese? - Io non capisco niente, - risposelei levando dal fuoco la padella, - ma quelloche c’è da fare, si fa».

L’Agnese vive tutta nel presente: per lavo-rare, per resistere, per vendicarsi dei tede-schi, per fare bene e fino in fondo quello cheva fatto. Tutto quello che la riguarda diret-tamente invece non conta niente per lei; tut-to il caldo, il freddo, la pioggia o la neve chesi prende, a piedi, in bicicletta o sull’acquaputrida della “valle”: tutto questo non le im-porta. La sua vicenda è anche quella di unprogressivo annullamento personale checulmina in una morte annunciata fin dal ti-tolo ma preparata a lungo, in un lento itine-rario fisico e morale che va di pari passo conla conquista dell’idea, cioè di un’elementa-re coscienza politica.

Descritto in questo modo, il personaggiodell’Agnese potrebbe sembrare un po’ trop-po idealizzato: quasi il modello dell’eroe par-tigiano in versione femminile. Infatti si èspesso parlato di questo romanzo della Viga-nò come di un’opera didascalica, un po’“catechistica”: una specie di “libro di lettu-ra” edificante sulla Resistenza.

Il personaggio dell’Agnese però non ha

Page 112: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Renata Viganò: “L’Agnese va a morire”

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 111

proprio nulla di idealizzato, di astratto, diforzato. Tutto quello che fa, lo fa con natu-ralezza, secondo la sua natura di contadinasemianalfabeta, testarda, dotata di una gam-ma limitata di sentimenti e di un linguaggiomolto semplice.

Ad esempio, quando viene a sapere cheil marito è stato deportato in Germania e siconvince che non lo rivedrà più, il suo do-lore, per quanto profondo, non le impediscedi sentire il bisogno di mangiare, e le suelacrime si mescolano alle cucchiaiate di mi-nestra, in una scena che non potrebbe esserepiù vera e più umana, del tutto coerente conil personaggio.

«Davanti alla casa del fascio si raschiò lagola, raccolse in bocca la saliva e sputò perterra. A metà della cavedagna posò la sportae il fagotto, sedette sull’erba, si levo le scar-pe che le facevano male. Sentì che era di-giuna dalla mattina: prese la pentolina e ilcucchiaio e mangiò la minestra. Pensava:“Palita non torna. Palita muore. Palita è mor-to”. Cominciò a piangere, e le lacrime cade-vano sulle cucchiaiate piene».

Anche la sua ideologia, se così possiamochiamarla, è altrettanto spontanea ed elemen-tare, e perciò tanto più sincera e verosimile:l’Agnese non parla il linguaggio della poli-tica ma quello molto più antico e concretodella giustizia, della fratellanza e della pacenella forma in cui i poveri le hanno sempresognate per generazioni, magari senza ave-re le parole adatte per affermarle.

È vero che l’autrice le affida, poco primadella conclusione della vicenda, il messag-gio più importante di tutto il romanzo, unaspecie di discorso politico, ma si tratta an-cora una volta di un messaggio espressocon le parole più semplici e piane, quelle piùfedeli ai sentimenti basilari dei combattentidella stoffa dell’Agnese: ai pensieri di que-gli uomini e di quelle donne che lottavanoperché tutto dopo fosse, semplicemente,

«un’altra cosa», cioè per un sogno conta-dino di giustizia e di rigenerazione socialepiù antico di ogni ideologia, di ogni proget-to politico.

«Fecero un lungo tratto in silenzio, poil’Agnese disse: Tu lo credi che la guerrafinisca presto? - non so - rispose Clinto -Speriamo. Perché, se non finisce la guerra,finiamo noi.

- Noi non finiamo, - assicurò l’Agnese -Siamo troppi. Più ne muore e più ne viene.Più ne muore e più ci si fa coraggio. Invecei tedeschi e i fascisti, quelli che muoiono siportano via anche i vivi. - Magari se li por-tassero via tutti, - osservò Clinto. L’Agne-se disse: - Dopo sarà un’altra cosa. Io sonovecchia, e non ho più nessuno. Ma voialtritornerete a casa vostra. Potrete dirlo, quel-lo che avete patito, e allora tutti ci pense-ranno prima di farne un’altra, di guerre. E aquelli che hanno avuto paura, e si sono ri-fugiati, e si sono nascosti, potrete sempredirla la vostra parola; e sarà bello anche perme. E i compagni, vivi o morti, saranno sem-pre compagni. Anche quelli che non eranoniente, come me, dopo saranno semprecompagni, perché potranno dire: ti rammentiquesto, e quest’altro? Ti rammenti il Cino, eTom, e il Giglio, e Cinquecento...».

Qui l’Agnese ha raggiunto il punto cul-minante della sua lenta maturazione politi-ca e trova finalmente, poco prima della mor-te, le parole per formulare un pensiero “dif-ficile” che si è formato in lei a poco a poco;ma è un pensiero in perfetta sintonia con tut-ta la sua storia, con il suo altrettanto fatico-so e lento cammino per “andare a morire”affinché gli altri tornino a casa e raccontinoe vivano.

Ma il personaggio di Agnese - mi sembra- non è tutto qui, e una lettura più appro-fondita ci permette di vederne gli aspetti piùcomplessi e meno evidenti.

Agnese, pur non essendo un personag-

Page 113: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Tiziano Ziglioli

112 l’impegno

gio idealizzato, una proiezione ideologica,un modello ideale di combattente partigia-no, è però dotata sicuramente di un forte va-lore simbolico e il suo realismo, la sua con-cretezza contadina non escludono affatto lapossibilità di trovare in lei questa valenza.

Proviamo dunque a tornare indietro percercare nel testo i segnali, neanche tropponascosti, della presenza di questo livellosimbolico.

Fin dal titolo il romanzo si presenta comela storia di un sacrificio annunciato, una vi-cenda che nella sua inesorabilità ha qualco-sa di sacro, di mitico e di fatale, a partire dal-l’apparizione improvvisa e - a leggerla bene- un po’ inquietante del soldato giovane, pic-colo, dagli «occhi chiari e lieti», «molto alle-gro», che appare e scompare in modo altret-tanto improvviso, e che insomma ha tuttala leggerezza e l’inafferrabilità di un messag-gero celeste, che reca ad Agnese l’annun-cio di un destino doloroso ma necessario.

Poi ci sono le frequenti apparizioni in so-gno di Palita, che conforta l’Agnese, la gui-da, la consiglia ma anche - si direbbe - la pre-para al suo destino sacrificale, come una diquelle voci che visitano i predestinati: «Co-m’è dura, vero? Lo so che non ne puoi più.Ma non è ancora l’ora di liberarsi, Agnese.È lontana l’ora».

L’uccisione del soldato tedesco, che è unfatto cruciale nella vicenda di Agnese, nonsembra tanto un gesto dettato dall’ira, quan-to qualcosa che ha la «forma cupa e sacraledi un rito» (Sebastiano Vassalli), e che sirealizza in un’atmosfera sospesa, solenne,in cui tutti i gesti si fanno lenti e definitivi:«Il suo passo si fece a un tratto leggero esenza strepito: sfiorò appena le pietre delpavimento, la portò vicino alla madia. Lei al-lungò una mano e toccò l’arma fredda, conl’altra afferrò il caricatore. Ma non era praticae non ci vedeva. Lo mise a rovescio, non fubuona a infilarlo nell’incavo. Allora prese

fortemente il mitra per la canna, lo sollevò,lo calò di colpo sulla testa di Kurt, comequando sbatteva sull’asse del lavatoio i pe-santi lenzuoli matrimoniali, carichi d’acqua.

Il rumore le sembrò immenso, e nell’ecodi quel rumore corse fuori, traversò l’aia, tra-versò il canale sulla passerella, corse dietrol’argine opposto. Più lontano si distese interra, lungo la pendenza dell’argine, alzò pia-no piano la testa, guardò verso casa: era buia,silenziosa. Le parve di addormentarsi».

Da questo momento Agnese comincia adattendere la morte con tranquilla mansue-tudine e con perfetto distacco, come si at-tende il compimento di un destino compre-so e accettato.

È significativo che per due volte Agnesecada in mano dei tedeschi e rischi di morire,di essere fucilata; il suo tempo però non èancora venuto, il momento del sacrificio perlei non è ancora arrivato; infatti, del tuttoinaspettatamente, quasi miracolosamente,tutte e due le volte Agnese si salva.

Il compimento si realizza significativa-mente solo la terza volta, quando, dopo es-sere stata arrestata in un rastrellamento edessere stata di nuovo liberata senza conse-guenze, proprio all’ultimo momento il mare-sciallo del soldato tedesco che lei aveva uc-ciso nella primavera precedente la ricono-sce e le spara.

Come in un mito antico, il caso diventa lostrumento del destino, starei per dire delfato, e Agnese, prima di morire, ha la visio-ne del cerchio che si chiude, del suo desti-no sacrificale che finalmente si compie:«L’Agnese non intese la voce, vide soltan-to chiaro il disegno di un nome: Kurt. Videanche il maresciallo, questa stessa faccia,seduto sul muretto con la Vandina, risentìl’odore di quella sera, odore di erba bagna-ta sotto il pesco».

A sacrificio compiuto, nell’immagine chechiude il romanzo, il corpo grosso e volumi-

Page 114: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Renata Viganò: “L’Agnese va a morire”

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 113

noso di Agnese sembra essersi consuma-to, svanito in quel «mucchio di stracci nerisulla neve» che richiama il «mucchio di pan-ni bagnati» con cui il romanzo inizia. Sem-bra che nel finale l’autrice abbia voluto chiu-dere in un cerchio simbolico, attraverso dueimmagini correlate, l’entrata e l’uscita di sce-na del personaggio principale, conferendo-gli così un’ancora più evidente valenza sim-bolica.

A questo punto è lecito chiedersi: checos’è l’Agnese? «Quale simbolo comples-so o mito si cela dietro questo personaggioapparentemente tanto semplice?» (Seba-stiano Vassalli).

Ogni risposta troppo definita sarebbe in-genua e inadeguata, perché i simboli attin-gono la loro forza suggestiva anche dallaloro stessa indeterminatezza e inafferrabilità.

Vassalli suggerisce che «Agnese è la con-tadina protagonista del romanzo ed è ancheun’immagine collettiva, è uno e molti, è sog-getto e oggetto del sacrificio, è un perso-naggio assai reale sotto certi punti di vista,ma poi disumano per la sua grandezza, perla sua capacità spinta fino all’assoluto di an-nullarsi nei fatti e nelle vicende».

Dunque Agnese potrebbe essere vistacome il simbolo del sacrificio di tutti coloroche hanno lottato e sono morti perché altrivivessero e cambiassero il mondo, dopo lafine della guerra: un’immagine collettiva, ap-punto.

Effettivamente dove ci sono gli altri, i com-pagni, lei quasi sempre sembra scomparire,contenta di stare tra loro senza distinguer-si, quasi invisibile, come nell’episodio del-le nozze di Tom con Rina, tra le capanne dicanne della “valle”, episodio che troviamonella prima parte del romanzo: «Versavanoil vino levando in alto il bicchiere per distin-guere quando era pieno. Ridevano e diceva-no delle frasi, qualcuna un po’ ardita. Clintodomandò: - E l’Agnese? Non c’è? Non si ve-

de la vestaglia dell’Agnese! - Sono qui, -rispose lei. Era una grossa cosa bruna, con-fusa con l’ombra. Per fare onore agli sposis’era tolta la vestaglia e aveva indossato ilsuo logoro vecchio vestito di casa».

In questa scena Agnese si dissolve dav-vero in mezzo agli altri, come se la sua esi-stenza fosse solo collettiva e il suo logorovestito fosse fatto della stessa stoffa di cuiè fatta la vita di tutti i poveri e gli oppressi:un vestito che li rappresenta tutti e li rias-sume, rendendo invisibile il singolo poichélo fonde con i compagni di lotta e di ideali.

Io però mi azzardo ad andare un po’ più inlà, osservando che Agnese, anzi “mammaAgnese”, come la chiamano tutti (madre ditutti ma senza figli propri), ci appare comeuna figura ben piantata nella terra e nell’ac-qua, «come una statua non finita», dice l’au-trice, ma anche come un seme, che muoreperché l’idea possa vivere e dare frutto:«Un’idea bella, nascosta, una forza istinti-va, per risolvere tutti gli oscuri perché, checominciano nei bambini e finiscono nei vec-chi quando muoiono [...] Lei adesso lo sape-va, lo capiva».

Un’idea per la quale «valeva la pena difarsi ammazzare». Proprio per questa ideafaticosamente conquistata lei va a morire,deve morire, come il seme di grano deve mo-rire nell’inverno, sotto la neve, per mettereradici e dare frutto nella bella stagione cheverrà.

«Siamo vicini alla paga, appena verrà labuona stagione», dice Agnese proprio po-co prima di morire: una frase dal sapore qua-si evangelico, pronunciata mentre lei si tro-va al centro di una folla confusa e spaven-tata, con i soldati che incalzano e minaccia-no, in una scena che ricorda in maniera irre-sistibile quella dell’arresto di Gesù nellanotte che precede la sua passione e morte.

Agnese si presenta allora come una figuraestremamente complessa, in parte mitica e

Page 115: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Tiziano Ziglioli

114 l’impegno

in parte cristica: come la grande madre degliantichi miti di morte e rinascita, come la vitti-ma sacrificale predestinata, e infine come ilseme che muore per rivivere nel frutto del-l’idea e nella parola dei compagni-discepo-li. Rileggiamo ancora una volta le parole delsuo dialogo con Clinto, quasi alla fine delromanzo: «Dopo sarà un’altra cosa. Io sonovecchia, e non ho più nessuno. Ma voialtritornerete a casa vostra. Potrete dirlo quelloche avete patito, e allora tutti ci penserannoprima di farne un’altra, di guerre. E a quelliche hanno avuto paura, e si sono nascosti,potete sempre dirla la vostra parola; è saràbello anche per me».

Cos’è dunque l’Agnese? Una contadina

senza terra, una donna senza femminilità,una madre senza figli, una partigiana senzaarmi, un personaggio che si annulla «per ac-cumulazione di virtù negative: semplicità,umiltà, abnegazione eccetera» (Vassalli); maè anche una potente immagine mitica del sa-crificio e una figura del Cristo, per quantolaicizzata, storicizzata e radicata nella sua ter-ra e nel suo tempo.

Un personaggio umanissimo e nello stes-so tempo disumano: la personificazione diun’arcaica figura materna, di un antico mitodi morte e rinascita; ma anche una personaconcretissima, dolente, carica di stanchezzae di sofferte speranze, un po’ come noi tutti.

Page 116: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

didattica

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 115

Il mio primo ingresso al Mémorial de laShoah è avvenuto la mattina del 2 gennaioalle 8.30 con una luce ancora timida, favori-ta sia dal levar del sole più tardivo sia dallaleggera nebbiolina e dalla sottile pioggia cheha accompagnato quasi tutta la mia perma-nenza a Parigi. Dopo i necessari controlli disicurezza (al momento mi sono chiesta sefossero davvero così necessari) ho attraver-sato i pochi metri prima dell’ingresso del-l’edificio dando uno sguardo veloce al mu-ro in pietra scolpita che riporta i nomi deisettantaseimila ebrei deportati dalla Franciatra il ’42 e il ’44, cercando di non urtare al-cuni lumini rossi lasciati alla base da qual-che visitatore che mi aveva preceduto.

Nel corso della settimana trascorsa al Mé-morial per il seminario di formazione orga-nizzato per insegnanti italiani dal 2 al 6 gen-naio 2012, sono passata più volte davanti aquel muro e ogni volta un particolare in piùha colpito la mia attenzione: dapprima l’ef-fetto ottico di tanti nomi scritti in modo cosìfitto mi ha dato una sensazione di stordi-mento, quasi di sopraffazione, pensando alfatto che a ognuno corrispondesse una per-sona uccisa nei campi di sterminio; poi, con-

centrandomi sui singoli nomi, mi sono ac-corta che ciascuno era seguito dalla data dinascita, così ho potuto avere chiaro che sitrattava di uomini e donne, anziani e, soprat-tutto, anche di bambini di pochi anni. Allar-gando lo sguardo dal singolo nome a quellivicini, è stato inevitabile rendermi conto chesi trattava di intere famiglie strappate conla violenza dalle loro case e dalla loro vitaquotidiana. Ogni tanto, tra un nome e l’altro,si notavano degli spazi bianchi, dati da unainspiegabile, almeno in un primo momento,cancellazione. Si trattava forse di errori? Dinomi ripetuti o trascritti in modo sbagliato?L’incontro con un collaboratore del Mémo-rial ha poi chiarito i miei dubbi: alcuni eranorealmente errori di trascrizione, altri nomi,invece, risultavano tra i deportati dai docu-menti d’archivio, ma, da quando è stato a-perto il Mémorial nel 2005 e inaugurato ilMuro dei nomi, è successo più volte che sisiano presentate persone a testimoniare chenei momenti concitati delle retate riuscironoa sfuggire all’arresto, o perché nascoste daivicini di casa e dai famigliari o perchè sal-vate da altri arrestati al posto loro. Trovandoil proprio nome scolpito, dunque, hanno se-

SABRINA CONTINI

Pensare e insegnare la Shoah

Un’esperienza di formazione al Mémorial de la Shoah a Parigi*

* I materiali raccolti durante questa esperienza sono stati depositati presso l’archivio del-l’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Ver-cellese e in Valsesia e sono a disposizione di chi li volesse consultare.

Page 117: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Sabrina Contini

116 l’impegno

gnalato l’errore, raccontando la propria vi-cenda e aggiungendo così particolari utilialla ricostruzione degli eventi1. Gli aggiorna-menti sono stati inseriti in fondo all’elencodel 1944: si tratta di un numero molto più li-mitato, a dimostrazione che, più ci si allonta-na nel tempo dagli eventi, più diminuisco-no le possibilità di trovare ancora notizie.«L’aggiornamento dell’elenco dei nomi scol-piti ci dà il senso di quanto la memoria dellaShoah sia una memoria ancora viva», ci haspiegato la guida prima di iniziare il raccontodelle modalità con cui avvennero le depor-tazioni dalla Francia. Nel suo discorso hasottolineato soprattutto che le numerose re-tate (la più famosa è quella detta del Velodro-mo d’Inverno del 16 luglio 1942, quando fu-rono arrestati circa tredicimila ebrei e per laprima volta anche donne e bambini) furonoorganizzate logisticamente tra il 1941 e il1943 non dai nazisti in prima persona, madall’amministrazione del regime collabora-zionista di Vichy, con i suoi corpi di poliziae i funzionari della pubblica amministrazio-ne, che sapevano dove trovare gli ebrei gra-zie agli schedari dello stato civile.

Sempre davanti a quel muro, nei giorni se-guenti, ho visto più volte proprio squadredi poliziotti francesi di oggi seguire quellostesso racconto, con il volto serio e attentodi chi riflette su come i membri di ieri dellapropria categoria professionale si siano

comportati durante il periodo delle deporta-zioni e forse si interroga in questo modo: iocosa avrei fatto? Questa stessa domanda miha tormentato in diversi momenti: mentreosservavo nell’esposizione permanente al-l’interno dell’edificio lo “schedario degli e-brei” e i documenti amministrativi con i qualise ne predisponeva dal punto di vista logi-stico la deportazione, ma anche mentre leg-gevo i fogli che invitavano gli ebrei a presen-tarsi spontaneamente in commissariato persemplici controlli, trasformati poi in arrestie invii ai campi di internamento, e gli ordinidi servizio ai poliziotti con le istruzioni daseguire per svolgere le retate nel modo piùefficace; e ancora mi risuonava nella mentela stessa domanda mentre mi soffermavosulle poche righe scritte nelle lettere di de-nuncia di privati cittadini che, seguendo“diligentemente” le indicazioni della legisla-zione antiebraica, dichiaravano la presenzadi “pericolosi” ebrei tra i loro vicini.

Non tanto diversamente da quanto è suc-cesso in Italia dopo l’approvazione delleleggi razziali, quando ogni particolare dispo-sizione legislativa in materia di discrimina-zione giuridica e civile è stata applicata allalettera da una burocrazia storicamente lentae inefficiente, che in quel caso singolarmen-te fu veloce ed estremamente efficace2. Intutte queste situazioni ho provato un sensodi inquietudine, perché ho visto incarnata

1 All’esterno del Mémorial, sulla via laterale, si trova il Muro dei giusti, coperto da targheche ricordano i nomi di coloro che rischiarono la propria vita per salvare anche solo un ebreo.

2 Su questo tema è stata molto interessante la conferenza tenuta da Ilaria Pavan, ricerca-trice di storia contemporanea alla Scuola Normale di Pisa, dal titolo Le responsabilità italia-ne nella deportazione degli ebrei (1943-1945), nella quale è stato sottolineato come essesiano maggiori di quanto la storiografia fino a qualche decennio fa abbia potuto fare emerge-re, sia per difficoltà puramente archivistiche (a causa della dispersione della documentazio-ne e del fatto che le carte delle questure e dei comandi locali delle forze dell’ordine nonsempre sono accessibili), sia per la persistenza di paradigmi interpretativi duri a scomparire

Page 118: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Pensare e insegnare la Shoah

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 117

in quelle carte la “banalità del male” di cuiparla Hannah Arendt quando sottolinea chea compiere i mostruosi delitti del nazismofurono uomini “normali”, svolgendo i lorocompiti quotidiani secondo una “cieca ob-bedienza”3. Ho provato anche dolore, manon fisico, è stato più un dolore della ragio-ne, smarrita di fronte all’impossibilità dicomprendere i motivi più profondi di tantoaccanimento, un dolore diverso da quellotutto emotivo provato nella cripta davantialla grande stella di David in pietra, sotto laquale riposano le ceneri degli ebrei recupe-rate nei campi di sterminio dai sopravvissutie sepolte nel dopoguerra, e soprattutto nelcontemplare i volti infantili delle circa tre-mila fotografie esposte nel “Memoriale deibambini”, che ti osservano e sembrano chie-derti: «Perché?».

Durante la visita dei vari spazi del Mémo-rial, è stato più volte segnalato che gli ebreirastrellati a Parigi e nelle altre zone dellaFrancia erano stati concentrati a Drancy dadove poi erano partiti verso i campi di ster-minio. La visita a Drancy, nel pomeriggio delsecondo giorno di seminario, è stato un altrodei momenti forti della settimana: convintache mi sarei ritrovata di fronte a immaginigià viste (il filo spinato, le torrette, le barac-che, una sala museale con documenti e fo-tografie) ho dovuto ricredermi già duranteil viaggio in pullman dal Mémorial verso lalocalità a pochi chilometri da Parigi. Ho avu-to un primo presentimento che mi sarei tro-

vata di fronte a un’altra realtà già all’arrivonei pressi di Drancy, quando la guida ci hainvitato ad osservare dal pullman la stazio-ne di Bobigny: al di là di un cavalcavia, inmezzo a edifici di nuova costruzione, palaz-zi squadrati, grigi, in cemento armato, tipicidi molte periferie di grandi metropoli, spic-cava una costruzione di mattoni rossi di fineOttocento, con le persiane delle finestre rot-te, visibilmente abbandonata. Quella vistami ha lasciato una sensazione di impoten-za: possibile che un luogo della memoria del-la deportazione come quello possa restarecosì, senza nemmeno una targa a ricordarei ventimila ebrei che da lì sono stati caricatisu treni della compagnia ferroviaria pubbli-ca francese per essere deportati verso Au-schwitz? All’altro punto di partenza verso icampi, la stazione ancora attiva di Drancy-Le Bourget, è stata messa solo da pochi anniuna targa a ricordo dei deportati. Allora èdavvero così difficile conservare la memo-ria, anche materiale, di quei tragici fatti... l’ar-rivo a Drancy me lo ha ulteriormente con-fermato.

L’enorme caseggiato che si presenta agliocchi del visitatore non ha nulla che facciapensare a un campo di concentramento, al-meno nell’immagine che tutti possono ave-re in mente. Si tratta di un complesso abita-tivo progettato negli anni trenta come quar-tiere a basso costo di affitto, denominato“cité de la Muette”, costituito da un edificioa forma di “U”, con uno sviluppo di 440 metri

che sottolineano la totale subalternità, politica e ideologica, delle forze della Repubblica so-ciale italiana all’alleato nazista ed enfatizzano il ruolo di “salvatori” di ebrei svolto da molticomuni cittadini italiani. Un particolare approfondimento è stato riservato anche al tema del-la deportazione nel periodo tra il 25 luglio e l’8 settembre, con il governo Badoglio, e al com-portamento delle forze fasciste nelle zone di occupazione di Croazia, Albania, Grecia e Fran-cia meridionale.

3 Cfr. HANNAH ARENDT, Le origini del totalitarismo, Milano, Edizioni di Comunità, 1967e, ID, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano, Feltrinelli, 2003.

Page 119: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Sabrina Contini

118 l’impegno

a quattro piani. Ventidue scaloni danno ac-cesso alle varie parti e ai piani, nei quali nel1939, quando l’amministrazione francese de-cise di trasformarlo in un campo di interna-mento, non erano ancora stati ricavati gli al-loggi. I due bracci dell’edificio racchiudonoun cortile di circa 40x200 metri, che oggi sipresenta come un’area verde, con alberi,fontanelle e qualche panchina, e che fu pre-disposto con il lavoro degli stessi internati.

Subito accanto, nel dopoguerra, hannocostruito un centro sportivo e altri comples-si residenziali; l’unico edificio già presenteall’epoca in cui lì c’era il campo di transito èuna piccola casa a due piani, che era un al-bergo-osteria, dalle cui finestre i parentidegli internati potevano sperare di vedere ipropri cari almeno da lontano. Tutta l’areaera circondata da una triplice barriera di filospinato, con torri di controllo e un ingressoprincipale con un corpo di guardia, dove orac’è l’ufficio dell’amministrazione delle casepopolari. Il personale (alcune dozzine digendarmi francesi, con le famiglie) alloggia-va immediatamente a est della cinta, in cin-que edifici a più piani, abbattuti nel dopo-guerra. Attualmente è abitato da circa cin-quecento persone, poiché dopo la guerra siè deciso di concludere il progetto iniziale edi inserire il caseggiato tra gli altri adibiti adedilizia popolare, mettendo tra parentesi ilperiodo in cui lì le persone, tra cui moltissi-mi bambini, vissero in prigionia in pessimecondizioni igienico-sanitarie e di vita, in at-

tesa di essere deportate. Dal racconto dellaguida si capisce che la convivenza dei resi-denti con la memoria di cosa fu quel luogotra il ’39 e il ’44 non è stata e continua a nonessere facile soprattutto da quando, prima,nel 1976, è stato eretto un monumento nellapiazza antistante vicino alla strada principa-le4 e poi, nel 1988 è stato aggiunto un vago-ne che riproduce quelli dei treni della depor-tazione, all’interno del quale si trova una pic-cola esposizione museale, segnalando cosìin modo esplicito un luogo di particolare ri-lievo per la memoria collettiva. Certo è chela percezione di quanto sia difficile rappor-tarsi con la memoria della deportazione esvolgere attività di formazione in un conte-sto simile è stata molto forte, soprattuttoquando la guida ci ha spiegato che, di fronteal caseggiato, la Fondazione per la memoriadella Shoah ha acquistato un terreno e ini-ziato i lavori di costruzione, tuttora in cor-so, di una sede distaccata del Mémorial, dadove poter far osservare la zona ai visitatorie spiegare tutta la storia del campo senza“invadere” lo spazio della vita quotidianadei suoi attuali abitanti.

La riflessione sulla memoria e la sua tra-smissione e sulla didattica della Shoah èstato uno dei filoni di approfondimento dimolte tra le conferenze che nel corso dellasettimana si sono susseguite, insieme allaricostruzione accurata dell’ideologia nazistae della “soluzione finale”5, all’approfondi-mento della cultura ebraica in Europa prima

4 Per una descrizione accurata dei significati simbolici con i quali l’autore del monumento,Shlomo Selinger, ha voluto rappresentare le porte di accesso al campo, considerato l’anti-camera di Auschwitz, cfr. il link http://www.camp-de-drancy.asso.fr/fr/totchd.htm.

5 Sul tema del nazismo sono state molto interessanti le conferenze di Johann Chapoutot,L’ideologia nazista e di Laura Fontana, La lingua nazista, dalla lingua del Terzo Reichalla lingua dei lager; per quanto riguarda la “soluzione finale”, quella di Tal Bruttman, Letappe della soluzione finale, e quella di Iannis Roder, L’Aktion Reinhard (1941-1943).

Page 120: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Pensare e insegnare la Shoah

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 119

della Shoah6, delle modalità della deporta-zione e dell’internamento nella realtà italia-na7 e, infine, all’analisi, anche dal punto divista giuridico, dei crimini di genocidio e delsempre più diffuso fenomeno del negazio-nismo8. In una delle tante sale-conferenzadel Mémorial, ben attrezzata (con cuffie perla traduzione simultanea, un pc a nostra di-sposizione per il collegamento internet, unoschermo per la proiezione di filmati, una col-laboratrice a nostra disposizione per ogniesigenza) e dotata di tutti i comfort (com-preso angolo coffee-break), ho potuto assi-stere, insieme agli altri trenta insegnanti ita-liani, a lezioni di approfondimento condotteda esperti di alto livello, tra storici, ricerca-tori universitari, pubblicisti, giuristi, che cihanno accompagnato in intense giornate distudio. Le conoscenze apprese sono statearricchenti e sono state mediate dalle grandicapacità comunicative dei relatori, ancheperché quasi tutte le lezioni sono state o-rientate costantemente non solo alla fedelericostruzione del passato, ma anche ad un

costante dialogo con il presente. Ascolta-re, per esempio, la relazione sulla definizio-ne giuridica di genocidio, sul negazionismo,sul rapporto tra Israele e la memoria dellaShoah, il riferimento al ripresentarsi nellarealtà francese di episodi di antisemitismo(e allora ho capito il motivo dei controlli cosìpuntuali all’ingresso...) è stato utile ad ac-quisire strumenti interpretativi e di analisidella realtà attuale, di fatti e dichiarazionipolitiche nazionali e internazionali (dallaposizione dell’Iran nei confronti del genoci-dio armeno alla questione israelo-palestine-se e ai continui conflitti etnici che insangui-nano molti paesi africani) che ogni giornocampeggiano nei titoli dei nostri giornali.

Un costante dialogo con il presente, dun-que, che si è accompagnato alla riflessionesul futuro, su come rispondere alla sfida diinsegnare la Shoah davanti alla consapevo-lezza che gli ultimi testimoni di quello che èstato l’universo concentrazionario nazistastanno morendo e che i cambiamenti dellasocietà europea sempre più multietnica in

6 Le condizioni di vita delle comunità ebraiche europee sono state presentate da PhilippeBoukara in due momenti, uno collettivo, in una conferenza dal titolo La vita delle comunitàebraiche in Europa prima della Shoah, e uno seminariale dal titolo Gli ebrei nella Resi-stenza e la resistenza ebraica.

7 Della realtà italiana si sono occupati, oltre al già citato intervento di Ilaria Pavan, quellidi Carlo Spartaco Capogreco, I campi del duce. L’internamento nell’Italia fascista (1940-1943), quello di Fanny Levin Gallina, Le leggi razziali in Italia: storiografia, dibattiti enuove prospettive di ricerca, e quello di Tristano Matta, dell’Istituto regionale per la storiadel movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia che, nella conferenza intitolata L’Ozake la Shoah sul Litorale Adriatico, ha evidenziato una certa continuità tra le operazioni disterminio condotte dalle Ss nell’azione Reinhard in Polonia e quelle nelle regioni nord-orientali d’Italia, in particolare nella Risiera di San Sabba, poiché l’incarico fu svolto da ungruppo di “specialisti” guidati da Odilo Globocnik con il compito di reprimere il movimentopartigiano e rendere il territorio judenfrei.

8 Sul crimine di genocidio è stato molto esaustivo l’intervento Sugli usi del concetto digenocidio di Yann Jurovics, dottore in giurisprudenza e giudice della Camera d’appello deiTribunali penali internazionali, mentre per il negazionismo quello di Yves Ternon Negare ilgenocidio: per una lettura comparata.

Page 121: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Sabrina Contini

120 l’impegno

un mondo sempre più globalizzato rendononecessari nuovi approcci9. Si tratterà, dun-que, sempre più di tramandare una memoria“istituzionalizzata”, non legata a esperienzedi singoli individui, che si nutrirà inevitabil-mente di simboli, luoghi e riti, ma che dovràessere fatta evitando di trasformare i viaggiad Auschwitz in pacchetti già pronti di un“marketing della memoria”, come li ha defi-niti Annette Wieviorka, e tenendo conto chetra i soggetti destinatari di questa memoriaaumentano sempre di più i giovani originaridi altre culture10.

La descrizione delle esperienze acquisitenegli anni da formatori nella didattica dellaShoah provenienti da diversi paesi (tra cuila Germania) mi ha permesso di raccoglieremolti spunti di riflessione, di ripensare le miepoche esperienze condotte in ambito sco-lastico alla luce di nuovi stimoli e di pensar-ne altre che possano riunire l’aspetto cono-scitivo e quello emotivo. Essi vanno neces-sariamente legati e fatti dialogare in un cor-

retto approccio didattico a questi temi, man-tenendo il giusto equilibrio tra il rigore scien-tifico e il dovere della memoria connesso allacostruzione di una maggiore coscienza ci-vica nei giovani. Al contrario, il prevalere delsecondo sul primo può portare alla “derivapedagogica” denunciata da alcuni dei re-latori, per cui alla fine si pensa che portare iragazzi ad Auschwitz sia equivalente a vac-cinarli contro il ripetersi dei crimini e fornireloro un antidoto all’indifferenza, mentrecontemporaneamente si lascia che l’inse-gnamento della storia diventi sempre menoimportante nei curricula scolastici, non per-mettendo agli studenti di costruirsi gli stru-menti cognitivi e interpretativi per compren-dere il passato e interpretare il presente.

Come da molti dei relatori è stato eviden-ziato con una serrata critica, anche la stessalegge che ha fissato in modo istituzionalela Giornata della Memoria ha un suo ruoloin questa tendenza, poiché da una parte hapermesso lo sviluppo di validi progetti, ma

9 L’intervento più esaustivo, a questo proposito, è stato quello di Enzo Traverso intitolatoLa memoria della Shoah in Europa. Letture comparate, che ha evidenziato proprio lanecessità di tenere conto di come la memoria della Shoah agisca in tre campi distinti (quellooccidentale, che si è modellato sul ricordo di essa, quello orientale dominato dall’eredità delcomunismo, quello postcoloniale, che rielabora il passato imperiale del continente) comeparadigma attorno al quale o, a volte, contro il quale si costruiscono le altre memorie.

10 L’intervento di Annette Wieviorka, a questo proposito, è stato molto critico: «Ausch-witz, che riassume in un luogo e in un nome la criminalità del regime nazista, è diventato oggiilleggibile: è diventato una sorta di schermo su cui gli individui e le collettività proiettanoi loro incubi o le loro speranze di pace; il luogo delle commemorazioni ufficiali, dei pellegri-naggi. Ora, tutto questo ha finito per stancare i nostri contemporanei e per offuscare la realtàdel campo che, sconnesso dalla sua storia, si è trasformato in un semplice concetto, in unsimbolo, nella metonimia della Shoah. [...] Affinché Auschwitz non diventi un luogo muto,è indispensabile metterne in luce la specificità, analizzando quelli che sono stati gli elementifondamentali dell’impresa di distruzione degli ebrei e affrontare le questioni complesselegate alla sua conservazione e alla sua memoria». L’importanza di capire come relazionarsicon giovani provenienti da altre culture è emerso dall’intervento di Wolf Kaiser, direttoredella Casa-museo della conferenza di Wannsee e del centro educativo, inaugurati nel 1992dopo il superamento di molti ostacoli, legati anche alla difficoltà di rielaborazione della me-moria del nazismo nella società tedesca.

Page 122: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Pensare e insegnare la Shoah

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 121

11 Laura Fontana è da anni impegnata in progetti sul tema per il Comune di Rimini e sioccupa di formazione degli studenti e di aggiornamento degli insegnanti con moltepliciiniziative in ambito nazionale e internazionale.

12 Georges Bensoussan, uno dei maggiori storici contemporaneisti esperto di storia dellaShoah, è stato uno dei relatori più coinvolgenti, anche perché ha saputo ricostruire, svol-gendo quasi un’operazione di archeologia intellettuale, le radici storiche del fenomenodell’antisemitismo e della brutalizzazione a cui si assiste con la Shoah, che è apparsa cosìun «evento senza precedenti, ma non senza radici». Un evento, quindi, che non può essereconsiderato un semplice incidente nella marcia continua del progresso, ma che si inseriscein una storia di lungo periodo di cui forse siamo ancora parte. Queste considerazioni sonoben espresse nel suo volume Genocidio. Una passione europea, Venezia, Marsilio, 2009.

dall’altra ha lasciato spazio anche a comme-morazioni e iniziative all’insegna della reto-rica delle buone intenzioni, che banalizzano,spesso a fini politici, l’evento della Shoah.La sfida, ben illustrata da Laura Fontana, laresponsabile italiana per il Mémorial, con-siste, dunque, proprio «nel coniugare un in-segnamento storico, basato su una cono-scenza puntuale e rigorosa dei fatti, e una

educazione morale, centrata sulla riflessio-ne attorno al nostro senso di responsabili-tà e alla nostra libertà di scelta»11. Solo co-sì si potrà conoscere e comprendere unevento che rappresenta, per dirla con le pa-role dello storico Georges Bensoussan, unavera e propria cesura della storia, in cui èstata distrutta la nozione stessa di umani-tà12.

Page 123: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

WILLIAM VALSESIA

Un antifascista europeo

Dai fuoriusciti di Parigi ai partigiani del Biellese

a cura di Pierfrancesco Manca

Alessandria, Le Mani-Isral, 2011, pp. 269, € 16,00Isbn 978-88-8012-577-8

«A diciannove anni sognavo un’Italia che fosse come la Francia, innanzitutto libe-ra e democratica. Pensavo che la vittoria finale sul nazifascismo avrebbe cambiatoil mondo, lo avrebbe reso migliore, senza più guerre, con più fratellanza, tolleranzae più giustizia sociale».William Valsesia nasce a Parigi nel 1924 da genitori comunisti, espatriati per sfuggi-re alla persecuzione fascista. Le sue memorie si snodano in una trama fitta di eventi,di frequentazioni, di entusiasmi e di scelte: dalla spensierata vita parigina della drô-le de guerre all’occupazione nazista della Francia fino alla decisione di tornare inItalia per combattere il fascismo tra i garibaldini del Biellese. Un libro sincero e ap-passionato, che con buona scrittura ci accompagna in uno snodo fondamentaledella storia del Novecento e ci aiuta a comprenderlo.Membro dell’emigrazione politica in Francia, partigiano, strenuo difensore dei va-lori della Resistenza e storico, William Valsesia è stato il fondatore e il primo diret-tore dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in pro-vincia di Alessandria. È stato in contatto con i principali esponenti del Partito co-munista italiano emigrati in Francia, contribuendo attivamente, con tutta la sua fa-miglia, al mantenimento della struttura clandestina, che non fu mai scoperta. Al ri-torno in Italia, si è distinto soprattutto nella lotta partigiana della zona del Biellese,di cui la sua famiglia era originaria.

Page 124: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Memorie di Piemonte

l’impegno 123

“Memorie di Piemonte” è la denominazio-ne di un progetto avviato dagli istituti pie-montesi per la storia della Resistenza in col-laborazione con l’Università degli Studi diScienze enogastronomiche di Pollenzo e laFondazione Nuto Revelli, con il contributodell’Assessorato alla Cultura della Regio-ne Piemonte. La finalità è quella di salvare edivulgare la memoria collettiva connessaalla Resistenza, intervenendo a vari livelli.

Il primo prevede la realizzazione di un cen-simento degli archivi audiovisivi degli isti-tuti e di altri soggetti che hanno raccolto te-stimonianze, in modo da mettere a disposi-zione della comunità i repertori necessari perconoscere la consistenza del patrimonioacquisito nel tempo e valorizzare un’attivi-tà che non ha avuto particolari clamori mache rappresenta uno dei maggiori meritiscientifici e civili ascrivibili agli istituti ne-gli ormai numerosi decenni di lavoro. Lemigliaia di ore di testimonianza, registrate sudiversi tipi di supporto, hanno infatti la va-lenza di fonti per la ricostruzione storica masono anche strumenti unici per la conser-vazione della dimensione umana ed emoti-va dei fenomeni storici di riferimento; sono,in altre parole, parte essenziale della memo-ria collettiva, fondamentale per conservarela consapevolezza della nostra identità.

Il secondo livello d’intervento è di caratte-re tecnico: occorre trasferire la memoria re-

gistrata in passato su nastri magnetici, di ra-pida deperibilità, su nuovi supporti che pos-sano fornire garanzie di durata e di agevoleriproducibilità, per mettere in sicurezza que-sto patrimonio. Sarebbe opportuno, a que-sto riguardo, anche provvedere alla trascri-zione delle interviste, operazione di colos-sale portata ma in parte già realizzata all’epo-ca della raccolta.

Se i due livelli di intervento descritti rien-trano prevalentemente nelle esigenze con-servative, bisogna rimarcare anche la neces-sità che la memoria conservata possa diven-tare memoria attiva, capace cioè di rinnova-re i propri messaggi nel tempo, rimettendoal centro la narrazione, dinamica che, per es-sere efficace, necessita della presenza, oltreche del narratore, di chi ne ascolta il raccon-to: in questo senso occorre impiegare glistrumenti più moderni e di più diffuso utiliz-zo, rendendo accessibili gli archivi sul webo perlomeno trasferendovene una parte si-gnificativa, in modo che possano essere or-ganizzate azioni di sensibilizzazione rivolteal pubblico della rete.

È ancora possibile, peraltro, operare unanuova campagna di raccolta di memorie dellaResistenza: le caratteristiche anagrafiche deipotenziali testimoni spingono ad affrontarequesto obiettivo come emergenza antropo-logica, utilizzando sistematicamente lo stru-mento della videointervista, tecnica ormai

Memorie di Piemonte

Page 125: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Memorie di Piemonte

124 l’impegno

di facile praticabilità, che certamente utiliz-za codici e linguaggi diversi dalle anticheaudioregistrazioni, configurando il prodot-to finale in termini molto diversi. Se un tem-po il registratore raccoglieva racconti utilisoprattutto come fonti per la ricostruzionestorica di eventi non altrimenti documenta-ti o per le verifiche critiche rispetto alle fon-ti cartacee, oggi la videointervista assumeuna valenza più accentuata di “memoria”,non pura documentazione di fatti attraver-so il racconto, ma rielaborazione, selezionee attribuzione di nuovo senso, o confermadell’antico, ai ricordi. In questa prospettivaè interessante il confronto tra le intervistedello stesso testimone a distanza di anni, maè altrettanto significativo che l’individuazio-ne dei soggetti da intervistare, che un tem-po avveniva in base a criteri selettivi chehanno escluso molti fra i protagonisti rite-nuti “minori”, sia diventata un’operazionenon più assegnata esclusivamente all’arbi-trio dell’intervistatore: ne sortiranno nuo-ve suggestioni, punti di vista magari non tra-dizionali né ortodossi, senza contare che illinguaggio delle immagini aggiungerà valo-ri semantici, sebbene possa indurre a regi-stri espressivi molto controllati (l’esperienzainsegna tuttavia che i testimoni sono piutto-sto disinvolti anche di fronte alla videoca-mera, effetto forse dei cambiamenti cultura-li degli ultimi anni).

Insomma, c’è piena consapevolezza che inuovi materiali non porteranno a riscriverela storia della Resistenza, quanto piuttostoad arricchire il quadro umano delle testimo-nianze intorno ad un momento così fonda-

mentale della nostra storia; c’è da conside-rare anche che i materiali raccolti, schedatie indicizzati, potranno costituire un impor-tante strumento didattico integrativo, utilis-simo soprattutto quando non sarà più pos-sibile, per ragioni anagrafiche, utilizzare te-stimoni.

Il nostro Istituto ha concluso le operazionidi censimento dell’archivio interno, grazieall’opera di Sabrina Contini, e ha avviato laraccolta di videointerviste, avvalendosi del-la collaborazione di Marta Nicolo per il Biel-lese, il Vercellese e la Valsesia e, per l’areadi Crescentino e del basso Vercellese, diMarilena Vittone ed Elisa Ravarino. Alcunedelle videointerviste realizzate saranno pub-blicate sul portale “I granai della memoria”,gestito dall’Università di Pollenzo, che de-dica una sezione apposita alle memorie del-la Resistenza piemontese; al momento del-la pubblicazione di questo numero della ri-vista dovrebbe essere attivo e disponibilesul web.

Abbiamo comunque ritenuto importanteriportare la trascrizione delle videointervi-ste, con interventi di adattamento dei testie inserimento della punteggiatura, per ren-derle leggibili e favorire lo scopo divulgati-vo senza alterarne il significato. Per gli sto-rici, cui necessita l’analisi della fonte nellasua pura integrità, i materiali sono conser-vati nell’archivio dell’Istituto. La rubrica“Memorie di Piemonte” è affidata a MartaNicolo e nelle nostre intenzioni vuole diven-tare un appuntamento fisso della rivista econtemporaneamente una finestra per co-municare gli sviluppi del progetto.

Page 126: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Memorie di Piemonte

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 125

Nel 1940 iniziai a lavorare al lanificio Albi-no Botto di Strona come annodafili. Lì co-nobbi dei tessitori che ogni tanto mi dava-no dei volantini ciclostilati da distribuire emettere nelle ceste e nei telai; mi ricordo del-le intestazioni: “Spartaco e l’Unità”.

A dire il vero lo facevo volentieri ma capi-vo ben poco di ciò che era scritto.

Nel 1942 per la prima volta venni invitatoa partecipare a una riunione clandestina, erocontento perché incominciavano ad averefiducia in me. Ero allo stesso tempo un po’spaventato; a scuola mi avevano sempreinsegnato di stare lontano da certa genteperché erano sovversivi e ad ogni anniver-sario fascista ne prendevano qualcuno e loportavano in prigione.

Insieme a me in quei primi momenti ricor-do Nicola, che fu poi segretario del Pci diStrona, Pastore, il primo sindaco di Stronadopo la Liberazione, Ferrero tessitore e poidirigente sindacale, Oriano Ercole (Giorgio)che allora era il coordinatore e responsabi-le dell’attività clandestina, e il mio grandeamico Antonio Gasparetto.

Eravamo soliti riunirci ogni volta in posti

diversi per non essere individuati: alla fra-zione Prea Marcia di Valle Mosso, alla Pia-na di Crocemosso, a casa di Ferrero a Bul-lianova di Trivero e via dicendo.

Nel 1943 ricordo che organizzammo consuccesso un grande sciopero contro la guer-ra e il carovita.

Dopo la caduta del fascismo il 25 lugliodel 1943, in fabbrica ci fu grande entusia-smo, eravamo convinti della fine imminentedel conflitto. Qualche fascistello che lavo-rava nella ditta ebbe paura, ma decidemmodi non toccarli, li compativamo.

Con l’8 settembre ci accorgemmo che laguerra non stava affatto per finire ma cheanzi per noi iniziava.

Nella settimana di Natale del 1943 ci fu unaltre grande sciopero; uscimmo tutti dallefabbriche e ci dirigemmo verso Valle Mos-so. Ci riunimmo tutti davanti al comune, inpiazza c’era un pullman con i partigiani euno di loro stava tenendo un comizio. Adun tratto si sentì una voce che gridava: «Ar-rivano i fascisti, i tedeschi». Ci fu un fuggifuggi generale, noi giovani ci affiancammoai partigiani. Lì vicino c’era un magazzino

Intervista a Giacinto Cipriani “Nadir”*

a cura di Marta Nicolo

* L’intervista è stata rilasciata a Marta Nicolo a Cossato nel gennaio 2012.Giacinto Cipriani “Nadir” è nato a Lusia (Ro), il 26 febbraio 1926; all’epoca del riconosci-

mento della qualifica partigiana era residente a Strona ed era tessitore. Partigiano nella XIIdivisione Garibaldi “Nedo”, 50a brigata “Edis Valle”.

Page 127: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Memorie di Piemonte

126 l’impegno

edile, facemmo subito passamano con il ma-teriale di costruzione e formammo una bar-riera bloccando la strada nel tentativo difermarli. Noi eravamo disarmati; chiedemmoarmi ai partigiani ma ci risposero che non neavevano a sufficienza per tutti. Un partigia-no che conoscevo, di Strona, Aldo Buffa,mi diede un pistolotto, oserei dire innocuoe allora decidemmo che la cosa migliore eradi organizzarsi con i mucchi di pietre. For-tunatamente si rivelò essere un falso allar-me, o meglio una voce falsa fatta appostaper creare scompiglio e impedire il comizio.

Io e Antonio chiedemmo ai partigiani dipoterli seguire in montagna, ma ci rispose-ro che per il momento era meglio se porta-vamo avanti il nostro lavoro in fabbricaanche perché non c’erano ancora abbastan-za armi a disposizione.

Dopo qualche giorno, però, i fascisti arri-varono sul serio e per rappresaglia fucila-rono due partigiani a Cossato e tre operai aValle Mosso.

Il collegamento tra la fabbrica e i partigia-ni continuò. Fino a che un giorno ci comu-nicarono che i collegamenti con la monta-gna erano saltati. Io e Antonio fummo man-dati su per cercare di scoprire cosa stavasuccedendo, ci diedero dei documenti falsie ci avviammo.

Salendo ci accorgemmo che dietro la bai-ta del Margas c’era stato un combattimen-to perché era pieno di linguette di bombe amano. Girammo tutto il giorno ma non tro-vammo nessuno. Seppi poi più avanti cheavevano combattuto contro forze prepon-deranti fasciste e si erano ritirati in Valsesiapresso Rassa.

I collegamenti ripresero a fatica nei giornisuccessivi. Decidemmo poi di programmareinsieme un’azione, volevamo sapere quan-ti fascisti c’erano nel presidio di Valle Mos-so e quante “pesanti” avevano a disposi-zione, perché avevamo sentore di un immi-

nente rastrellamento. Noi avevamo l’ordinedi fermare una pattuglia fascista e di farlacantare. Eravamo d’accordo di trovarci aStrona, ma mentre aspettavamo la pattugliapartigiana sentimmo una sparatoria versoCrocemosso e ci insospettimmo. L’ora del-l’appuntamento era passata da un po’ e nonarrivava nessuno. Noi da soli non eravamoattrezzati, avevamo solo qualche pistola. Ri-nunciammo.

Al mattino arrivato in fabbrica trovai adaspettarmi al mio telaio la moglie di Nicola,che mi disse: «Giacinto scappa e avverti glialtri compagni che siete stati traditi e ven-duti, mio marito l’hanno già preso».

Seppi più tardi chi era il nostro traditore eche ci aveva venduti per trentamila lire.

Antonio non fece in tempo a scappare evenne preso. Tentarono di tutto per farloparlare, lo torturarono e lo portarono nellapianetta vicino a Ronco di Cossato. Vole-vano tramite lui il nostro dirigente, Giorgio.Quando capirono che le torture non sareb-be servite a farlo parlare, lo finirono e logettarono giù per la ripa. Aveva solo diciot-to anni.

Io, invece, quel mattino corsi subito a ca-sa, per avvertire i miei compagni e la mia fa-miglia, anche perché i miei genitori erano al-l’oscuro della mia attività clandestina. Erosperso, non sapevo cosa fare, i collegamen-ti con la montagna erano difficoltosi e capiiche avrei dovuto arrangiarmi da solo. Deci-si di andare a Quarona dai miei nonni, maanche lì non era così semplice, i miei parentiavevano saputo della situazione e aveva-no paura. Mia nonna a letto malata stavapeggiorando, preoccupata per la mia situa-zione, eravamo molto legati. In pochi giornimorì e io mi convinsi che fosse morta percolpa mia. Furono giorni molto duri, sottotutti i punti di vista.

Dopo qualche giorno, mio zio decise dipresentarmi a un tenente dei repubblichini

Page 128: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Memorie di Piemonte

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 127

di Vercelli che mi chiese di arruolarmi. Io nonvolevo, ma in quel periodo Moscatelli inmontagna non accettava più nessuno permancanza d’armi e per paura dei tradimenti.I fascisti erano riusciti a comprarsi diversespie e i partigiani si trovavano in grossadifficoltà. Mio zio mi convinse che era l’uni-ca soluzione e che quando i partigiani sifossero riorganizzati io avrei potuto scap-pare in montagna con altri giovani che sitrovavano nella mia stessa situazione. Ac-cettai, anche perché quando mi fecero laproposta era presente mia madre e io capiiche se mi fossi rifiutato scappando, la pri-ma a rischiare la vita sarebbe stata lei.

Mi spedirono subito in Germania. Entrainella divisione bersaglieri, trovai con stupo-re dei miei amici di Strona, Aldo ed Elio Buf-fa, che credevo in montagna. Erano finiti lìdopo l’attacco di Rassa; sopravvissuti, sitrovarono sbandati e anche per loro fu inquel momento una scelta obbligata quantosofferta.

Scrivevo sempre a casa e tramite mio pa-dre capii che i partigiani si stavano riorga-nizzando. Ricordo una lettera di mia madreche mi raccontava quanto fosse bello in cor-riera passare per Ponzone e vedere bandie-re rosse e i partigiani per strada. Queste let-tere mi davano la forza, eravamo entusiastidi quello che stava succedendo nel Bielle-se. Non ci perdemmo d’animo, anche se ifascisti ci riempivano la testa di bugie dicen-doci che i “banditi” e i “ribelli” erano allestrette e che li stavano decimando. Noi sa-pevamo che non era così.

Un giorno, girando per il campo, vidi coluiche ci aveva traditi e venduti. Quando mivide sbiancò e io non seppi trattenermi e loaffrontai riversandogli contro tutto la miarabbia. Intervenne un tenente, mi prese perun braccio e mi allontanò dicendomi che sisarebbe dimenticato di quello che avevasentito perché capiva il mio stato d’animo

ma che se volevo tornare in Italia era me-glio tranquillizzarmi e tornare nel mio repar-to. Ero fuori di me. Ricordo che tornai inbaracca e caricai il “mauser”, volevo uccider-lo per vendicare i miei amici, per vendicareAntonio. Intervennero dei miei compagniche cercarono di farmi ragionare e dovette-ro addirittura prendermi a schiaffi. Aveva-no ragione, non sarebbe servito a niente.

Dopo un mese rientrò in Italia la “Monte-rosa” perché c’era bisogno di artiglieria.Nella “Monterosa” c’erano dei compagni,degli amici, tra cui i fratelli Buffa. Ricordoche prima di partire gli facemmo mille racco-mandazioni, di non scappare subito perchédovevamo poter rientrare anche noi. Ci la-sciammo con l’augurio di ritrovarci in mon-tagna. Abbiamo poi saputo che appena ar-rivati in Italia riuscirono a scappare e a ri-congiungersi ai partigiani.

Qualche giorno dopo tre militari dellanostra divisione tentarono la fuga. Li tro-varono nella foresta nera a 40 chilometri dalconfine con la Svizzera. Furono avvistati efatti fucilare dal loro stesso reparto.

I primi di dicembre del ’44 finalmente cirichiamarono in Italia. Il tenente del nostroreparto venne da noi e ci disse: «Ragazzi houna bella notizia per voi. Rientriamo in Ita-lia e con le nostre divisioni andremo fino inSicilia e butteremo i nemici in mare e con ilnostro plotone festeggeremo la vittoria nelmio paese» (era siciliano). Gli Alleati eranogià a Montecassino, altro che la Sicilia.

Ricordo che la sera prima di partire io e ilmio plotone festeggiammo. Decidemmo diusare la birra per lavarci i piedi. Basta birra,tornavamo in Italia dove si beveva il vino.

Durante il rientro ai confini del Brennerosubimmo i bombardamenti e i mitragliamen-ti degli Alleati. Ci presero di soprassalto nelsonno. Ci furono dei morti, solo il mio re-parto rimase indenne.

Con la tradotta arrivammo a Mantova, alla

Page 129: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Memorie di Piemonte

128 l’impegno

stazione ci aspettavano le ausiliarie fasci-ste per darci il benvenuto. Io intanto pen-savo già a come scappare.

Ci spostavamo di notte per evitare i mi-tragliamenti degli Alleati. Io cercavo sempredi rimanere indietro per fuggire, facevo fin-ta di essere stanco e non farcela più a cam-minare, ma il sergente Scogliarini mi tenevasempre sotto controllo.

Una sera, mentre riposavamo in una gran-de casa, venne a cercarmi mio cugino Bru-no - anche lui tentava la fuga e aveva sapu-to che ero lì. Mi disse: «Domani mattina pre-sto io e miei compagni passiamo di qui conla scusa che dobbiamo recuperare del ma-teriale in un cascinale dove siamo stati ac-campati e tentiamo la fuga, vuoi venire?».Non aspettavo altro.

Scappammo, ma arrivati al cascinale tro-vammo un reparto. Il sergente capì subitola situazione e cercò di farci ritornare suinostri passi spaventandoci e minacciandoritorsioni verso le nostre famiglie. Ci con-vinsero a salire sui camion per riportarci alComando. Durante il tragitto discussi conmio cugino, io non volevo arrendermi men-tre lui aveva paura. Saltai giù, mi nascosi inun fosso e li lasciai allontanare. Non seppipiù nulla di mio cugino.

Iniziò la mia fuga.Di giorno mi spostavo a piedi e di notte

dormivo nelle stalle, ho sempre trovato gen-te disponibile ad aiutarmi e a indicarmi lastrada più sicura per arrivare a Vercelli.

Arrivato a Parma, incontrai un contadinoche mi spiegò come arrivare in modo sicurofino a Piacenza. Dovevo seguire la lineadell’alta tensione per non sbagliare strada.Aveva ragione, ma la strada era piena di zoneimpervie, torrenti e scoli da passare.

Lungo la strada incontrai due tedeschiche per fortuna erano un po’ alticci e quindinon troppo attenti alle mie spiegazioni. Glidissi che ero in congedo perché mia madre

era malata e che mi muovevo a piedi perchénon c’erano trasporti fino a Piacenza. Albivio per Piacenza vidi una chiesa e abban-donai i tedeschi con la scusa di dover par-lare con il parroco. Entrato in chiesa raccon-tai tutto al parroco che mi insegnò comeevitare di passare da Piacenza per non ri-schiare di trovare di nuovo i tedeschi e sioffrì anche di regalarmi i suoi abiti per pas-sare i posti blocchi, ma non accettai.

Riuscii a evitare Piacenza e tutti i princi-pali centri città. Il prete mi aveva consiglia-to di passare da Pavia, ma per farlo dovevosuperare il Po. Il problema era che non c’era-no ponti e quelli che rimanevano erano con-trollati. Arrivato a Stradella mi fermai in ungrosso cascinale, lì incontrai diversi giova-ni che, per fortuna mia, lavoravano sull’al-tra sponda. Si offrirono di aiutarmi l’indo-mani mattina nascondendomi nel barconeche li portava a lavorare. Furono molto gen-tili e mi regalarono anche un pacco con den-tro del pane, del formaggio e del lardo. Cam-minai per tutto il giorno senza fermarmi earrivai a Pavia.

Arrivato a Pavia vidi in fondo alla stradaun posto di blocco, non sapevo come fare;vidi un’osteria, entrai e mi sedetti in un an-golo. Si avvicinò l’oste per chiedermi cosavolevo, io gli risposi che volevo solo ripo-sarmi un attimo. L’oste capì la situazione, miportò un piatto con pane e salame e mi dis-se di stare tranquillo e che mi avrebbe avvi-sato lui quando se ne fossero andati i fasci-sti dalla strada. E così fece.

Uscito da Pavia vidi un camion parcheg-giato in una piazzetta, chiesi all’autista doveandava e mi rispose nei pressi di Vercelli,salii ma insieme a me anche un gruppo dirumorosi fascisti. Mentre aspettavamo dipartire scesi con la scusa di dover andare afare i miei bisogni. Ritardai e il camion partìsenza di me. Decisi di continuare a piedi inmezzo alla campagna.

Page 130: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

Memorie di Piemonte

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 129

Arrivai a Caresanablot, era sera e mi riparaiin una stalla; ad un tratto la padrona vennea chiamarmi e mi disse che fuori c’erano deipartigiani. Appena uscito vestito da repub-blichino i partigiani mi puntarono contro lepistole. Poi per fortuna con loro c’era unaragazza, Nora, che lavorava con me alla Bot-to Albino. Mi riconobbe e mi chiese spiega-zioni. Le raccontai tutta la mia vicenda e leiconcluse dicendo: «Ragazzi lo conosco be-ne è più partigiano di noi». Li ricorderò sem-pre: erano Drago, Pioggia e Nora Pilon, chesi trovavano lì per un rifornimento di viveri.

Diventai così a tutti gli effetti un partigia-no, tolsi la divisa da repubblichino e salii fi-nalmente in montagna. Entrai nella 50a “Ga-ribaldi”, battaglione “Lazzarotto”, il mio co-mandante era “Narvik” e il mio nome di bat-taglia “Nadir”.

Dopo un anno andai di nuovo a casa. Pri-ma di partire dalla Germania avevo scritto aimiei che in un modo o nell’altro sarei riusci-to a tornare da loro.

Ricordo che riabbracciai subito mia madree le dissi orgoglioso: «Guarda mamma comesto bene adesso con questa divisa!».

Page 131: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

ALESSANDRO ORSI

Ribelli in montagna

Itinerari lungo valli e cime di Valsesia, Valsessera e Valstrona,attraverso la memoria delle lapidi, sulle tracce dei “ribelli” dimontagna: dolciniani, partigiani garibaldini, patrioti, operai,sessantottini

2011, pp. 256, € 20,00 Isbn 978-88-905952-0-2

Il volume propone venticinque itinerari dislocati prevalentemente sul territorio val-sesiano e scelti in base alle valenze storiche resistenziali. L’autore delinea per ognunodi essi luoghi di partenza e di passaggio, i tempi di percorrenza, l’altitudine, il nume-ro dei segnavia fissato dal Cai, l’eventuale presenza di rifugi accompagnando leinformazioni escursionistiche con ricche descrizioni delle emergenze artistico-reli-giose ed ambientali, annotazioni etimologiche, riferimenti storici generali.La parte più caratterizzante del volume è dedicata alla ricostruzione delle vicendeche si svolsero durante i venti mesi della lotta partigiana, per la cui piena compren-sione appare sempre più importante ripristinare il nesso fra conoscenze storiche edesperienze di visita del territorio. In questo senso il libro si colloca a pieno titolonell’attività dell’Istituto legata al progetto “La memoria delle Alpi” nato sulla pro-posta di considerare le Alpi come un grandissimo museo diffuso nel cuore dell’Eu-ropa, ricco di testimonianze di una storia millenaria, produttore di culture, luogo ditransiti migratori e scambi, a volte anche barriera facilmente valicata da eserciti ostili,in tutte le direzioni.Il volume è corredato da una significativa serie di immagini storiche di protagonistidella lotta di liberazione e di persone che hanno accompagnato l’autore sui varipercorsi.Come afferma nella prefazione Roberto Placido, vicepresidente del Consiglio regio-nale del Piemonte, «il libro di Alessandro Orsi ha il merito di valorizzare e far cono-scere, soprattutto ai giovani, gli ideali che ispirarono quanti scelsero consapevol-mente di partecipare alla Resistenza contro la dittatura nazifascista e condusseroalla rinascita delle istituzioni democratiche. Si tratta di un patrimonio di storia e dimemoria certamente unico, quello racchiuso tra boschi, sentieri e rifugi di monta-gna che altrimenti, senza valide ricerche e pubblicazioni storiche, rischierebbe dicadere nell’oblio».

Page 132: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

lutti

l’impegno 131

È mancata a Gaglianico il 4 gennaio 2012Cesarina Bracco, figura eminente della Re-sistenza biellese.

Era nata nel 1920 a Tollegno, dove avevainiziato a lavorare in fabbrica all’età di tre-dici anni; nell’ambiente operaio del centrotessile biellese aveva maturato profondisentimenti antifascisti, che la portarono acollaborare con le prime bande partigiane sindalla loro costituzione: staffetta garibaldi-na del distaccamento “Bandiera”, poi delComando della 2a brigata “Biella” e succes-sivamente, fino alla Liberazione, della 75a

brigata “Giuseppe Boggiani Alpino” inqua-drata nella V divisione “Maffei”; dopo laguerra le era stata riconosciuta la qualificadi partigiana combattente.

Dell’esperienza resistenziale, e non solo,Cesarina Bracco ha lasciato memoria in di-versi scritti pubblicati ne “l’impegno” e nelvolume “La staffetta garibaldina”, pubblica-to dall’Istituto nel dicembre 1976 in edizio-ne illustrata con i disegni di Francesco Lea-le e con la presentazione di Luigi Longo, chescrive: «Cesarina fu tra le prime staffette dicui poterono disporre i distaccamenti che

andavano in quei giorni costituendosi nelBiellese [...]. I partigiani avevano bisognodi tutto: di armi per combattere, di indumen-ti, di medicinali, spesso di viveri, e questeprime staffette provvidero al reperimento diquanto occorreva e a trasportarlo in mon-tagna. Più tardi, col crescere delle formazio-ni partigiane e della loro capacità operati-va, crebbero anche i compiti delle staffette,per rendere celeri i collegamenti tra i repartie tra questi e i comandi, per raccogliere efornire le informazioni sui movimenti delnemico. Cesarina Bracco fece tutto questonei venti mesi della guerra partigiana, conpassione e con coscienza, sfidando perico-li di ogni sorta, dissimulando la paura conun contegno disinvolto, spesso spavaldo,vincendo la fatica dei lunghi viaggi e deipesanti, per una donna, trasporti di armi edi materiale, con l’entusiasmo dei suoivent’anni». Un entusiasmo che mantenneanche dopo, rielaborando le memorie resi-stenziali con particolare attenzione agliaspetti umani e regalandoci pagine toccan-ti e convincenti, degne di essere tramanda-te con cura.

Lutti

Page 133: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

ENRICO MILETTO

Arrivare da lontano

L’esodo istriano, fiumano e dalmatanel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia

2010, pp. 288, € 15,00

Il volume raccoglie un approfondito lavoro di ricerca che con rigore metodologicoe grande passione l’autore ha svolto attingendo sia alle fonti archivistiche e docu-mentarie, sia a un significativo numero di interviste raccolte presso i protagonistidell’esodo. Questa ricerca segue quella analoga che lo stesso autore aveva giàcondotto qualche anno fa, nel territorio torinese.Difficile riannodare i fili che hanno tessuto le storie di quanti da un lato si sonosentiti rifiutati da una terra improvvisamente non più patria e dall’altro sradicati dallaterra d’origine.Nei molti anni di silenzio sono emersi da un lato solo le memorie dolorose e perso-nali degli esuli, dall’altro solo contributi con un marcato taglio polemico-politico;in entrambi i casi tali documenti non hanno contribuito a creare una coscienza storicanel Paese.Il lavoro presentato è invece un equilibrato intreccio tra i ricordi personali, gli al-bum di famiglia e i documenti ufficiali, gli articoli di giornale, le illustrazioni dell’epoca,da cui emergono le condizioni degli esuli in un territorio in precario equilibrio trasentimenti di collettiva diffidenza e di soggettiva umanità. Una integrazione lentama effettiva, una progressiva conquista di legittimità ad essere un comune cittadino.Negli ultimi anni va detto che si è ricominciato a scrivere dell’esodo con un approc-cio più scientifico che, pur partendo dalla memoria dei singoli, cerca di collocare ilsentire soggettivo in un contesto di più ampio respiro, che affronta anche l’imba-razzo di una certa storiografia.È quanto viene evidenziato nella ricerca di Enrico Miletto, che nell’analisi della real-tà vercellese ritrova le dicotomie della più complessa storia dell’esodo costituita dadolore e gioia, disperazione e speranza, rifiuti e umiliazioni, accoglienza e solidarie-tà. Pagine di storia per alcuni aspetti ancora molto vicina a noi e per altri già lontana;proprio per questo è necessario dedicare spazio e tempo non solo per commemora-re, ma anche per rileggere e riflettere con maggiore oggettività, riprendendo il temaassai più ampio e sempre attuale dei confini e delle separazioni (Gianni Oliva).

Page 134: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

in biblioteca

l’impegno 133

Libri ricevuti

AGOSTI, GIORGIO - BIANCO, DANTE LIVIOUn’amicizia partigianaLettere 1943-1945A cura di Giovanni De LunaTorino, Bollati Boringhieri, 2007, pp. 430.AUGERI, NUNZIALe repubbliche partigianeNascita di una democraziaMilano, Spazio tre, 2010, pp. 154.BALCET, GIOVANNI - VALLI, VITTORIO (a cura di)Potenze economiche emergentiCina e India a confrontoBologna, Il Mulino, 2012, pp. 264.BERTACCHINI, ENRICO - SANTAGATA, WALTER (a curadi)Atmosfera creativaUn modello di sviluppo sostenibile per il Piemontefondato su cultura e creativitàBologna, Il Mulino, 2012, pp. 333.BONOLA, MASSIMO (a cura di)Alla scuola dell’Italia unitasl, Rotary Club Valsesia-Gattinara, 2011, pp. 96.BOTTERI, INGE (a cura di)Osservatorio e progetti europei, nazionali, pro-vinciali sull’educazione civileBrescia, Archivio storico della Resistenza brescia-na e dell’età contemporanea-Ufficio scolasticoprovinciale, 2011, pp. 118.BREZZI, CAMILLO (a cura di)“Si combatte contro i tedeschi”La Divisione “Acqui” a Cefalonia e CorfùL’Istituto storico della Resistenza dei militari ita-liani all’estero tra storia e memoriaFirenze, Polistampa, 2008, pp. 115.BRUNO, ROBERTO«Ci chiamano barbari»Lotte sociali e movimento sindacale in Sicilia nelsecondo dopoguerra (1943-1950)Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2011, pp.287.BURAT, TAVOParlé an salitaA cura di Daniele GambaBiella, Ieri e oggi, 2010, pp. 383.CAPACCIONI, ANDREA (a cura di)Archivi, biblioteche e musei nei 150 anni del-l’Unità d’ItaliaFoligno, Editoriale Umbra-Isuc, 2011, pp. 78.CASSETTI, MAURIZIOPagine sparseTorino, sn, 2001, pp. XXV, 730.

CORBETTA, PIERGIORGIO - COLLOCA, PASQUALE -RICUCCI, ROBERTA - TAGLIAVENTI, MARIA TERESACrescere assiemeGenitori e figli nell’adozione internazionaleBologna, Il Mulino, pp. 256.CORTELLAZZO, SARA - QUAGLIA, MASSIMO (a cura di)Cinema e RisorgimentoTorino, Celid-Consiglio regionale del Piemonte,2010, pp. 110.CORTELLAZZO, SARA - QUAGLIA, MASSIMO (a cura di)CinemafieGiovani in primo pianoTorino, Celid-Consiglio regionale del Piemonte,2011, pp. 111.DE MATTEO, LYNDAL’idiota in politicaAntropologia della Lega NordMilano, Feltrinelli, 2011, pp. 266.FONZI, PAOLOLa moneta nel grande spazioIl progetto nazionalsocialista di integrazione eu-ropea1939-1945Milano, Unicopli, 2011, pp. 469.GIACONE, ALESSANDRO - VIAL, ÉRIC (a cura di)I fratelli RosselliL’antifascismo e l’esilioRoma, Carocci, 2011, pp. 254.MARTINO, ANTONIOAntifascisti savonesi e guerra di Spagna“Miliziani rossi” e altri “sovversivi” nelle cartedella Regia Questura di SavonaSavona, Isrec, 2009, pp. 318.MILETTO, ENRICO (a cura di)Senza più tornareL’esodo istriano, fiumano, dalmata e gli esodinell’Europa del NovecentoTorino, Seb 27, 2012, pp. 300.MILETTO, ENRICO - NOVARINO, MARCO«...senza distinzione politica e religiosa»Repertorio bibliografico e archivistico sull’asso-ciazionismo laico a Torino e provincia1848-1925Torino, Centro studi Piero Calamandrei, 2011. pp.345.ODDONE, CLAUDIOBaraggeLe terre incolte: dalle grandi bonifiche all’occu-pazione militare, dalle lotte ambientaliste allasalvaguardiaBiella, Eventi & Progetti, 2009, pp. 255.

Page 135: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

in biblioteca

134 l’impegno

OGLIARO, MARIOCrescentinesi protagonisti del RisorgimentoA cura di Magda BalboniCrescentino, Associazione culturale “Le Grange”-Artigrafiche Jolly, 2011, pp. 76.OGLIARO, MARIOUn ignorato garibaldino e mazziniano vercelle-se: Domenico Narratone (1839-1899)Crescentino, Associazione culturale Franco Fran-cese, 2011, pp. 58.OGLIARO, MARIOL’ultimo sussulto di un re: abdicazione ed arrestodi Vittorio Amedeo IICrescentino, Artigrafiche Jolly, 2011, pp. 124.PERONE, UGO (a cura di)Filosofia e spazio pubblicoBologna, Il Mulino, 2012, pp. 290.ROSSI, ERNESTO - SPINELLI, ALTIERO“Empirico” e “Pantagruel”Per un’Europa diversaCarteggio 1943-1945A cura di Piero S. GragliaMilano, Franco Angeli, 2012, pp. 334.RUZZA, STEFANOGuerre contro terziAziende di sicurezza e privatizzazione della fun-zione militareBologna, Il Mulino, 2011, pp. 245.SAVEGNAGO, PAOLALe organizzazioni Todt e Pöll in provincia di Vi-cenzaServizio volontario e lavoro coatto durante l’oc-cupazione tedesca (novembre 1943-aprile 1945)Sommacampagna (Vr), Cierre; Vicenza, Istrevi,vol. I, 2012, pp. 307.

TONELLA REGIS, FRANCAIn Napoli non troverò dei compatrioti. 1836-1837Il viaggio di uno studente dalla Valsesia a Lon-dra. Giuseppe RolandiBorgosesia, Società Valsesiana di Cultura-Soropti-mist International d’Italia, 2011, pp. 104.TRINGALI, SEBASTIANOUniti nell’Italia unitaMutuo soccorso e cooperazione in Liguria: unpercorso di valoriGenova, Ames, 2011, pp. 239.

VAQUERO PIÑEIRO, MANUELDa fattori a periti agrariFormazione professionale e modernizzazione del-l’agricoltura in Umbria (1884-1929)Foligno, Editoriale Umbra-Isuc, 2011, pp. 158.

VICINELLI, CLAUDIAFrancesco ToniPistoia, Isrpt, 2011, pp. 182.

VINACCIA, ANTONIOLa classe della vittoriaPistoia, Isrpt, 2011, pp. 274.

Gli archivi fotografici delle fondazioni: gestionee valorizzazioneAtti del workshop 25 e 26 febbraio, Città Studi -BiellaBiella, Eventi & Progetti, 2012, pp. 67.

IndesiderabiliAzzano San Paolo, Edizioni Junior, 2010, pp. 93.La suora partigianaStoria di Lucia Brusa, religiosa delle nostre terreA cura dell’Anpi di Trino, ricerca e testo di PierFranco Iricosl, sn, 2012, pp. 12.

Page 136: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

biografie

a. XXXII, n. s., n. 1, giugno 2012 135

Gli autori

Piero AmbrosioDirettore dell’Istituto dal 1980 al 31 agosto2009, è stato direttore de “l’impegno” fino al2010. Vicepresidente dell’Archivio fotografi-co Luciano Giachetti - Fotocronisti Baita (Ver-celli) dal 2002, ne è il presidente dal 2004.Ha pubblicato, nelle edizioni dell’Istituto,volumi di storia della Resistenza, del fasci-smo e dell’antifascismo, tra i quali “I notizia-ri della Gnr della provincia di Vercelli all’at-tenzione del duce” (1980); “In Spagna per lalibertà. Vercellesi, biellesi e valsesiani nellebrigate internazionali. 1936-1939” (1996);“Un ideale in cui sperar. Cinque storie di anti-fascisti biellesi e vercellesi” (2002). Inoltre,numerosi suoi articoli sono comparsi inquesta rivista ed è stato curatore di alcunemostre per l’Istituto.

Claudio BorioLaureato in storia, è dirigente all’Universitàdegli Studi di Torino, dove si occupa di ricer-ca scientifica, relazioni internazionali e siste-ma bibliotecario. I suoi temi di studio sonola storia dell’università, con particolare rife-rimento ai rapporti tra università, fascismo eantifascismo, e la storia locale, con attenzio-ne alla Resistenza nel Monferrato e alle tradi-zioni e culture locali.

Sabrina ContiniArchivista diplomata all’Archivio di Statodi Torino e storica di formazione, dal 2004coniuga l’attività di ricerca e la partecipazio-ne a progetti di riordino di archivi storici evalorizzazione del patrimonio culturale all’at-tività di insegnante di storia e filosofia neilicei. Collabora con l’Istituto occupandosidella gestione del settore archivistico.Ha pubblicato il volume “Matrimoni e patri-moni in una valle alpina. Il sistema dotale inValsesia nei secoli XVIII e XIX” (2011).

Alberto MagnaniLaureato in Storia del movimento operaio aPavia, ha svolto attività di ricerca sul socia-

lismo in età giolittiana pubblicando, nel 1991,la biografia di Luigi Montemartini. In segui-to ha esteso i suoi interessi alle vicende del-l’antifascismo, della guerra di Spagna e dellaResistenza. Collabora con enti e istituti di ri-cerca in Italia e Spagna.Tra i suoi libri: “I venti mesi della città di Ab-biategrasso” (1996); “Emilio Grossi. Da vo-lontario negli Alpini a generale dei partigia-ni” (2004); “Comunisti pericolosi” (2006);“Piero Francini. Un operaio nella storia delNovecento” (2011); “Partigiani tra le casci-ne” (2012).

Mario OgliaroStorico, saggista, specializzato in storia me-dioevale e moderna, membro del Consigliodirettivo della Società storica vercellese dal-la sua fondazione, collabora con riviste stori-che italiane e straniere.Ha pubblicato numerosi libri e saggi storicidi ambito piemontese; nella sua produzionepiù recente si segnalano: “L’ultimo sussultodi un Re: abdicazione ed arresto di VittorioAmedeo II” (2011); “Un ignorato garibaldi-no e mazziniano vercellese: Domenico Nar-ratone (1839-1899)” (2011); “Guerre e diplo-mazia ai primordi del regno sardo-piemonte-se”, in “Il Risorgimento vercellese e l’impron-ta di Cavour” (2011); “L’auteur de l’Imita-tion de Jésus-Christ: une longue controver-se”, in “Édition et diffusion de l’Imitation deJésus-Christ (1470-1800)”, a cura della Bi-bliothèque Nazionale de France (2012).

Angela RegisInsegnante all’Istituto alberghiero “Pastore”di Varallo. Componente della commissionedidattica dell’Istituto, è consigliere dal 1998.Ha pubblicato con l’Istituto, il volume “Storiae memoria di una comunità in guerra. Boccio-leto nella seconda guerra mondiale” (2006)e alcuni saggi in questa rivista, tra i quali “Ledonne vercellesi e biellesi nella Resistenza”,n. 1, 1995; e “Rimella durante la secondaguerra mondiale”, n. 2, 2006.

Page 137: rivista di storia contemporaneal’impegno 3 Addio, Presidente Il 29 gennaio scorso ci ha lasciato Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 e dell’Istituto

biografie

136 l’impegno

Monica SchettinoLaureata in Lettere moderne a Torino nel 2002con una tesi in Letteratura greca, nel 2006 haottenuto il titolo di dottore di ricerca in Ita-lianistica presso l’Università di Urbino “CarloBo” con una ricerca sulla Scapigliatura pie-montese, in seguito pubblicata nel volumeAchille Giovanni Cagna - Giovanni Faldella,“Un incontro scapigliato: carteggio 1876-1927”. Dal 2006 al 2008 è stata assegnista diricerca alla Facoltà di Lettere e Filosofia diVercelli e ha lavorato ai diari inediti di AmedeoAvogadro. Dal 2008 è docente a contrattodella Facoltà di Lingue dell’Università di To-rino, dove insegna nei laboratori di Letteratu-ra italiana. È inoltre docente di materie lette-rarie nelle scuole superiori della provincia diVercelli.Tra le sue pubblicazioni si annoverano arti-coli sulla letteratura dell’Ottocento (Leopardi,Alfieri, Giusti e Carducci) e del Novecento(in particolare un saggio su alcune lettereinedite di Giuseppe Ungaretti) e, nel 2011,un saggio su Giuseppe Mazzini e FrancescoDe Sanctis uscito nel numero unico di “Italia-nistica” dedicato al 150o dell’Unità d’Italia.

Davide SpagnoliLaureato in Scienze politiche all’Universitàdi Bologna, dopo la laurea inizia ad occuparsidella biografia di Adamo Zanelli, segretariodella Federazione del Pci di Forlì durante laResistenza e, seguendo le sue tracce anchein Francia, Belgio, Svizzera e Germania, si im-

batte nella straordinaria storia dei comunistidi quella generazione, oggetto dell’articoloqui pubblicato.È autore di articoli per “Il Calendario del Po-polo”, “Giornale di storia contemporanea”,“Quaderni del Centro di ricerche storiche diRovigno” (Croazia), “Zapruder”, e “Rinasci-ta della sinistra”. Nel 2007 ha partecipato,con un intervento scritto dal titolo “Hussi-gny carrefour révolutionnaire 1920-1925, lerôle des immigrés communistes italiens”, allaconferenza internazionale “Migrants fromCity to Citizenship: An Inventory of the cur-rent state of European research”, organizzatadall’Università del Lussemburgo e dalla cittàdi Metz. Nel 2010 ha tenuto due conferenzein Francia, su invito del Pcf, sulla storia di-menticata degli emigrati comunisti, una al-l’Università di Nancy e l’altra ad Hussigny(Meurthe-et-Moselle).

Tiziano ZiglioliLaureato in Lettere classiche a Pavia, tra il1994 e il 1998 è stato amministratore del Co-mune di Varallo come assessore alla Culturae vicesindaco. Ha fatto parte del Consigliodirettivo della Pinacoteca e della Bibliotecacivica di Varallo. Consigliere dell’Istituto,collabora all’attività scientifica e didattica,con particolare interesse per la letteraturadella Resistenza e i temi di etica sociale e cit-tadinanza. Dal 1989 insegna lettere, latino egreco all’Istituto superiore “D’Adda” di Va-rallo.