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ANNATA LXXXIX ISSN 0391-5239 RIVISTA BIMESTRALE DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZA GIÀ DIRETTA DA ITALO DE PICCOLI (1924-1940), RENZO PROVINCIALI (1941-1981), ANGELO BONSIGNORI (1982-2000) E GIUSEPPE RAGUSA MAGGIORE (1982-2003) DIREZIONE GIROLAMO BONGIORNO, CONCETTO COSTA, MASSIMO DI LAURO, ELENA FRASCAROLI SANTI, BRUNO I NZITARI , GIUSEPPE TERRANOVA, GUSTAVO VISENTINI Poste italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1 - DCB Milano - Pubblicazione bimestrale - Con I.P. Novembre-Dicembre 2014 N. 6 www.edicolaprofessionale.com/DFSC DIR. FALL. CONTIENE INDICI DELL’ANNATA

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AnnAtA LXXXIX

ISSN 0391-5239

RIVISTA BIMESTRALE DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZAGIà DIRETTA DA ITALO DE PICCOLI (1924-1940), RENZO PROVINCIALI (1941-1981),

ANGELO BONSIGNORI (1982-2000) E GIUSEPPE RAGUSA MAGGIORE (1982-2003)

Direzione

GIroLAmo BonGIorno, ConCetto CostA, mAssImo DI LAuro, eLenA FrAsCAroLI sAntI,

Bruno InzItArI, GIuseppe terrAnovA, GustAvo vIsentInI

Poste italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1 - DCB Milano - Pubblicazione bimestrale - Con I.P.

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Annata LXXXVII Gennaio-Febbraio 2012 N. 1

dir. fall.

RIVISTA BIMESTRALE DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZA

gia diretta da ITALO DE PICCOLI (1924-1940), RENZO PROVINCIALI (1941-1981),

ANGELO BONSIGNORI (1982-2000) e GIUSEPPE RAGUSA MAGGIORE (1982-2003)

DIREZIONE

Girolamo Bongiorno, Concetto Costa,

Massimo Di Lauro, Elena Frascaroli Santi, Lino Guglielmucci,

Bruno Inzitari, Giuseppe Terranova, Gustavo Visentini

CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI - PADOVA - 2012

ISSN 0391-5239

N.1-2012—

IL

DIRITTO

FALLIM

EN

TARE

—AnnataLXXXVII

Prezzo A 42,00

Poste italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 nº 46) art. 1,comma 1 - DCB Milano - Pubblicazione bimestrale - Con I.P.

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Novembre-Dicembre 2014 N. 6

www.edicolaprofessionale.com/DFSC

DIR. FALL.

CONTIENE

INDICI

DELL’AN

NATA

(1) Riconoscimento e disconoscimento del trust interno liquidatorio nel fallimento.

1. – La sentenza in commento è rilevante, non tanto per la sua prima parte, nettamentedistinta dalla seconda, nella quale vengono ribaditi orientamenti ormai consolidati da partedella giurisprudenza, non solo di legittimità, in materia societaria e fallimentare-societaria;quanto e meglio per la sua seconda parte che affronta il tema, divenuto di attualità, del trust-interno-liquidatorio, ma anche e per la prima volta, sia pure in via quasi apodittica, della rico-noscibilità del trust interno.

2. – Dunque, la prima parte. Contro la decisione della corte di Roma, di conferma diquella del locale tribunale, che aveva dichiarato il fallimento della società Zeta, cancellata dalregistro delle imprese dopo essere stata messa in liquidazione, il liquidatore propone recla-mo perché erroneamente (i) lo si era ritenuto legittimato a rappresentare la società cancellatadal registro delle imprese, dunque estinta, per cui i soci erano gli unici legittimati, (ii) era sta-to individuato l’effetto della cancellazione nel momento dell’avvenuta iscrizione nel registrodelle imprese invece che in quello, precedente, della domanda di cancellazione, (iii) era statodichiarato lo stato di insolvenza nonostante l’avvenuto conferimento dell’attivo e del passivonel trust appositamente istituito da esso liquidatore.

Il Collegio investito delle censure osserva (i) di non avere motivo di discostarsi dal prin-cipio affermato dalle Sezioni unite (1), avendo cura di richiamare il «principio» affermato daalcune delle decisioni vertenti su fattispecie del tutto simili... nelle quali è stato ribadito che ilcontradditorio si instaura con l’ultimo rappresentante legale, ossia l’amministratore o il liquida-tore, sul presupposto della continuità aziendale nello stato in cui versava la società al mo-mento della sua cancellazione, adottando la fictio di esistenza del soggetto collettivo, e ciò al

(1) Da ultimo,A.DiMajo,La successione delle società estinte. Profili sostanziali, in Contr. imp., 2014/3/543segg., ove i riferimenti giurisprudenziali e dottrinari, secondo il quale «la decisione delle Sezioni Unite della Cassa-zione colma una profonda lacuna, destinata a superare lo schermo della personalità giuridica, allorquando questoschermo, con la estinzione del soggetto, venga a rappresentare un pregiudizio grave per i diritti dei terzi» (pag. 551).

CASSAZIONE CIVILESez. I, 9 maggio 2014, n. 10105

Pres. U. Vitrone – Est. L. Nazzicone

Fallimento – Fallimento delle società – Trust – Trust interno – Trust in-terno liquidatorio e cancellazione della società in liquidazione – So-pravvenuta dichiarazione di fallimento della società cancellata: con-flitto con la legge fallimentare – Prevalenza della norma fallimentare –Reviviscenza della società cancellata.(Artt. 10 e 15 legge fallim.; 2495 cod. civ. 13, 15, 16, 18, Conv. deL’Aja/L 364/1989)

Nel constatare lo stato di insolvenza e dichiarare il fallimento di una so-cietà cancellata dal registro delle imprese, deve essere, incidenter tantum, di-sconosciuto il «trust liquidatorio» costituito in palese elusione della discipli-na fallimentare, elusione indiziariamente confermata dalla contestuale can-cellazione della società (1).

dichiarato fine dell’istruttoria prefallimentare e delle successive impugnazioni. Sicché, l’ipotesidifensiva che sosteneva la legittimazione passiva dei soci viene rigettata sulla scorta della di-sciplina fallimentare: la loro posizione non è assimilabile in toto a quella del fallito, tanto chenon ne occorre l’audizione se non abbiano compiuto atti di prosecuzione dell’impresa mentreper le società, il contraddittorio con gli organi sociali è funzionale alle esigenze dell’istruttoriaprefallimentare e alla difesa dell’impresa (2);

(ii) l’attuale testo dell’art. 10, legge fallim. è stato uniformato alla decisione del giudicedelle leggi e non si rinvengono ragioni che possano giustificare il disattendere la soluzioneadottata e, quindi, l’individuare il momento da cui decorre il fatidico anno, necessario perdichiarare il fallimento dell’impresa, diverso da quello della avvenuta iscrizione nel registrodelle imprese. Infatti, la funzione pubblicitaria, dichiarativa o costitutiva degli effetti, svoltadal registro delle imprese, impone l’iscrizione dell’evento, ed è solo da questo momento che iterzi ne possono prendere conoscenza. Per avere conferma alla correttezza della conclusio-ne, si può con il noto brocardo constatare che laddove l’ordinamento ha voluto ammettere ef-fetti retroattivi dell’iscrizione rispetto a tale momento, lo ha espressamente previsto e la senten-za ha cura di indicare la fattispecie più vicina a quella in esame: la facoltà di arretrare o posti-cipare gli effetti dell’atto di fusione.

(2) Sono soltanto i rapporti giuridici che fanno capo alla società estinta che si trasferiscono ai soci, per «as-sicurare la permanente devoluzione del patrimonio sociale come residualmente costituito da ogni somma ricevutadai soci in sede di liquidazione ovvero da ogni altra utilità conseguita per effetto della liquidazione e attinta dal pa-trimonio sociale e questo a garanzia dei creditori nonostante l’intervenuta estinzione della società, con chiaro richia-mo al principio di cui all’art. 2740 cod. civ. e analogia meramente descrittiva alla successione», così G. Reg. Bolo-gna, 20 aprile 2014, richiamando Cassazione, sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070, precedente cui si è riportato an-che il Collegio della sentenza in commento.

1. – I motivi. La società fallita deduce:1) la violazione della legge fallim., artt. 10 e 15, art. 2495 cod. civ., e

art. 75 cod. proc. civ., per avere la corte d’appello ritenuto legittimato a par-tecipare al procedimento per la dichiarazione di fallimento, per conto dellasocietà, l’ultimo liquidatore, sebbene la società sia ormai cancellata dal re-gistro delle imprese e dunque estinta, onde l’istanza per la dichiarazione difallimento avrebbe dovuto essere notificata a tutti i soci;

2) la violazione degli artt. 156, 257 e 160 cod. proc. civ., per avere lacorte d’appello reputato valida la notificazione dell’istanza al liquidatore,privo ormai di ogni collegamento con la società estinta, trattandosi di noti-ficazione inesistente;

3) l’omessa o insufficiente motivazione circa la decorrenza del termineannuale di cui alla legge fallim., art. 10, dalla corte territoriale individuata nelmomento dell’avvenuta iscrizione della cancellazione nel registro delle im-prese, in luogo che dalla domanda, risalente al giorno 11 novembre 2010,senza considerare che, invece, l’effetto della cancellazione deve retroagire atale data;

4) la violazione della legge fallim., art. 10, e art. 2495 cod. civ., per averela corte d’appello ancorato la decorrenza del termine in questione all’effetti-va iscrizione nel registro delle imprese della cancellazione della società, con-

Parte II - Giurisprudenza 607

Le diverse fattispecie invocate dal ricorrente, utili alla retorica processuale, non risulta-no producenti, per debolezza intrinseca, quella degli effetti della notificazione degli atti delprocesso, specie se la si attualizza e si constata la quasi simultaneità che si ottiene con le noti-ficazioni a mezzo posta elettronica certificata; per il precedente, prontamente richiamato dalCollegio, che indebolisce la tesi della difesa, di per sé rilevante se si ha presente il «rischio»intoppo processuale che è la costante della processualità, non solo italica (ma questa ben piùsignificativa). La salvaguardia degli interessi contrapposti andrebbe meglio perseguita contra-stando le disfunzioni processuali piuttosto che addossando al creditore il rischio della duratadel relativo procedimento. Ma questo è argomento fin troppo frusto;

(iii) l’essere stato dichiarato lo stato di insolvenza nonostante l’avvenuto conferimentodell’attivo e del passivo nel trust appositamente istituito e dallo stesso liquidatore, è il temacentrale della decisione: tutti gli altri motivi, dal quinto all’ottavo, vertono sull’avvenuta isti-tuzione del c.d. trust liquidatorio e sulla rilevanza del medesimo, al fine di reputare integro ilcontraddittorio nel procedimento per la dichiarazione di fallimento e raggiunti gli effetti checon questo istituto la società ha voluto perseguire.

3. – Ciònonostante, il significato della locuzione «trust interno» (di cui si occupano tan-to la sentenza quanto quelle da questa richiamate) come genere (3), la natura e la conoscenza

(3) Per evidenziare la pluralità di specie si sostiene che il termine andrebbe al plurale (M. Lupoi, Trusts,Milano, 1997 e 2001): sotto il profilo classificatorio, si distinguono le tre specie di (i) trust inglese, (ii) trust inter-nazionale, (iii) trust da Convenzione; in questa specie si distinguono le due sottospecie (a) trust estero, (b) trustinterno [così M. Lupoi, Il trust nell’ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione dell’Aja del 10 luglio1985, in Vita not., 1992, pag. 976; Trusts, Milano, 2001, pag. 536]; assunta la specie «trust da convenzione», che

tro il principio generale, espresso in tema di notificazioni, secondo cui i tem-pi tecnici degli uffici pubblici non possono gravare sulla parte che presental’istanza; e tenuto conto del fatto che il termine annuale per l’imprenditorepersona fisica decorre dal suo venir meno, non dalla data di registrazione del-l’evento, mentre anche l’ipoteca ha effetto costitutivo sin dalla domanda;

5) la contraddittoria motivazione in ordine all’esistenza dello stato didecozione, nonostante la costituzione del trust proprio al fine di liquidarel’ingente patrimonio aziendale, senza tenere conto del fatto che, pur repu-tando inopponibile od invalido il trust, la conseguenza sarebbe l’attribu-zione alla società del patrimonio conferito e l’inesistenza dell’insolvenza;

6) la violazione degli artt. 101 e 102 cod. proc. civ., per non essere statoconvocato nel procedimento anche il trust, dal momento che la corte del me-rito si è pronunciata circa la validità del medesimo, sia pure incidentalmente;

7) la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la corte d’appelloaffermato l’invalidità del trust, sebbene non domandata dalla creditriceistante Equitalia Sud s.p.a.;

8) l’omessa o insufficiente motivazione sui fatti comprovanti la liceitàdel trust, sebbene documentati dalla società, quali la segregazione dei beniconferiti rispetto al patrimonio personale del trustee, la disponibilità deibeni a favore dei creditori, che di esso sono i beneficiari, la condizione riso-

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dell’istituto, che sarebbe da questa designato, rimangono ignoti anche dopo questa decisionedella Corte. Il giudice di legittimità conosce la legge che ha ratificato la Convenzione de L’Aja e,di certo, conosce i lavori che l’anno preceduta e accompagnata e, quindi, sa che il negozio, chegli è sottoposto, in astratto è riconoscibile in forza di convenzione internazionale i cui effetti l’or-dinamento si è impegnato a riconoscere come proprî (4), se rispondente ai requisiti dell’istitutodelineato dal raggiunto accordo dei partecipanti al tavolo dei lavori della Convenzione; come sache da questa, si ritiene, «non possano dedursi in alcun modo né argomenti contrari all’ammissi-bilità astratta nel nostro ordinamento della fattispecie negoziale individuata né tanto meno la suamancata previsione (nel senso di regolamentazione) nel nostro sistema giuridico» (5).

Tuttavia la sentenza, richiamati gli elementi caratterizzanti la figura sorta dal compro-messo raggiunto dalla Convenzione, racchiusi nel suo art. 2 (6), si riporta al proprio prece-

ripropone le due grandi classi, «trust liberale» o «trust con beneficiario» e «trust di scopo», in cui confluirebberotutte le specie del genere trust, che si identificano con le diverse «finalità» e «scopi» perseguiti, la decisione incommento si occupa della sotto-specie «trust liquidatorio» e del suo scopo.

(4) «La convenzione, di cui si propone la ratifica, non è in alcun modo diretta ad introdurre il trust nel nostrosistema giuridico come strumento di autonomia privata aperta a tutti. Il suo scopo è rigorosamente limitato a facili-tare nel nostro territorio le operazioni di trusts costituiti all’estero in conformità con il locale sistema giuridico»,«Relazione al disegno di legge concernente l’autorizzazione alla ratifica e l’esecuzione», Camera 25 marzo 1986,ministro degli affari esteri (Andreotti) di concerto con ministro di grazia e giustizia (Martinazzoli) e con ministrodell’industria (Altissimo), ripresentata, con il n. 1934, il 24 novembre 1987.

(5) L. Gatt, Il trust italiano, la nullità della clausola di rinvio alla legge straniera nei trust interni, inNGCC, 2013, II, pag. 626.

(6) È opinione diffusa che l’art. 2 non fornisce la definizione di trust, neppure del trust da Convenzione otrust amorfo o shapeless trust, nonché del termine «trustee» (J.Harris, The Hague Trusts Convention, Scope, Ap-plication and Preliminary Issues, Oxford, Portaland Oregon 2002, pag. 104, il quale cita anche C. Reymond, nt.86, e M. Lupoi, nt. 84) e così di quello di trustee.

lutiva apposta al trust per l’ipotesi di fallimento della società preponente, ilcompimento di una serie di attività in favore della liquidazione e la messa adisposizione del curatore di tutto quanto in possesso del trust.

2. – Società cancellata e fallimento. Il primo ed il secondo motivo, datrattare congiuntamente, in quanto fra di loro connessi, sono infondati.

Come ormai chiarito dalle Sezioni Unite nel 2013 (sez. un., 12 marzo2013, nn. 6070, 6071 e 6072), il legislatore ha operato una fictio limitata al-la procedura fallimentare.

Hanno precisato le Sezioni unite che alla situazione processuale dellasocietà cancellata dal registro delle imprese in seguito a liquidazione la leg-ge pone un’eccezione con la legge fallim., art. 10: ove il fallimento venga di-chiarato entro un anno dalla cancellazione, la società (in persona del legalerappresentante) continua ad essere destinataria della sentenza dichiarativae delle successive vicende impugnatorie: è una fictio iuris che postula la so-cietà esistente, ma ai soli fini del fallimento, nel quale dunque il contraddi-torio si instaura con l’ultimo rappresentante legale, ossia l’amministratoreo il liquidatore. Il principio, che in precedenza era stato già affermato (Cas-sazione, 5 novembre 2010, n. 22547) ed in seguito è stato ribadito in fatti-specie del tutto simili alla presente (Cassazione, sez. I, 30 maggio 2013, n.

Parte II - Giurisprudenza 609

dente in tema di sanzioni amministrative relative alla circolazione stradale (7) per ricavarne laconferma, da un canto, che il trust è privo di soggettività e, dall’altro canto, che alla mancan-za sopperisce il trustee, la cui soggettività non è quella di «“legale rappresentante” di un sog-getto (che non esiste), ma di soggetto che dispone del diritto». E, assumendo come presuppo-sto che l’ordinamento contempli l’istituto trust interno, se ne rileva che la sua «funzione eco-nomico-sociale», al pari del trust convenzionale (o trust amorfo), giusta «la definizione del-l’art. 2, consisterebbe nel costituire una separazione patrimoniale in vista del soddisfacimentodi un interesse del beneficiario o del perseguimento di un fine dato, ovvero causa astratta di se-gregazione patrimoniale» che costituirebbe il proprium del trust.

Dunque, «programma di segregazione» che essendo soltanto lo schema astrattamenteprevisto dalla Convenzione (8), necessita del «programma concreto» che rappresenta e costi-tuisce la ben nota «causa concreta del negozio», la quale si concretizza nel «singolo regolamen-to d’interessi attuato» (9).

Con il termine «segregazione» il testo intende, semanticamente, qualificare la specialitàdella «separazione» (10), che si ottiene con il trust, che proprio per questo la sentenza iscrive

(7) Cassazione, sez. II, 22 dicembre 2011, n. 28363.(8) Sul punto mi permetto di rinviare alla nt. 29 del mio Il trust e la disciplina fallimentare: eccessi di con-

senso, in questa Rivista, 2009/6.(9) Che, peraltro, coincide con l’oggetto di interesse della disciplina di prevenzione del riciclaggio: cfr.

The FATF Recommendations e IV Direttiva CE.(10) Parte della dottrina (M. Lupoi, Trusts, Milano, 2001, pag. 467, e amplius, pag. 571, e altri di cui infra,

ma contra F.Gazzoni, Tentativo dell’impossibile, osservazioni di un giurista «non vivente» su trust e trascrizione,in Riv. not., gen. feb. 2001), e con essa la maggior parte della giurisprudenza, ritiene di agevolare l’intelligibilità delfenomeno con il termine segregazione (per tutti, Tribunale Reggio Emilia, 27 agosto 2011, secondo cui «l’effetto se-gregativo è espressamente previsto dalla Convenzione de L’Aja all’art. 11...», ma a questo proposito, a differenza dialtri, non cita il testo originale: «... the trust property constitutes a separate fund...»); in parte qua neologismo inesi-stente [il cui etimo è composto da se(d) con significato deduttivo di «via» e da grex-gregis ossia «gregge» (M.Cor-

13659; 11 luglio 2013, n. 17208; 26 luglio 2013, n. 18138; 13 settembre2013, n. 21026; 6 novembre 2013, n. 24968), implica una fictio di esistenzadel soggetto collettivo, ai soli fini dell’istruttoria prefallimentare e dellesuccessive impugnazioni.

Né è fondata la tesi della ricorrente, secondo cui la legge fallim., art. 10,postulerebbe la notificazione ai soci, e non alla società, in parallelismo al-l’ipotesi dell’imprenditore individuale, dal momento che in quest’ultimocaso i successori universali sono gli unici soggetti con in quali è ipotizzabilel’instaurazione del contraddittorio, ma la loro posizione non è assimilabilein toto a quella del fallito, tanto che non ne occorre l’audizione se non ab-biano compiuto atti di prosecuzione dell’impresa; laddove, per le società,l’instaurazione del contraddittorio con gli organi sociali è funzionale, altempo stesso, alle esigenze dell’istruttoria prefallimentare e alla difesa del-l’impresa (in termini, la citata Cassazione, sez. I, 26 luglio 2013, n. 18138).

3. – Il dies a quo legge fallim., ex art. 10. Il terzo ed il quarto motivopossono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi vertenti suldies a quo della decorrenza termine annuale di cui alla legge fallim., art. 10,e sono infondati.

610 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 6-2014

alla categoria dei «negozi fiduciari» (11), differenziandolo per il programma, che, oltre a esse-

tellazzo e P.Zolli,Dizionario etimologico della lingua italiana, Bologna, 1988); termine divenuto di attualità conla ben nota sentenza della Suprema corte americana: O.L. Brown v Board of education of Topeka/1954 in materiadi «segregazione raziale»] che non dovrebbe essere stato attinto dal lessico della genetica (ove è nota la seconda leg-ge di Mendel, «legge della segregazione») e neppure da quello della petrografia («segregazione magmatica») o del-la metallurgia. Si trova «segregated» nel lessico finanziario anglosassone che lo usa per lo più in unione con altri ter-mini, «segregated fund», per differenziare questi fondi dai «mutual fund», e «segregated appropriation» in contrap-posizione a «itemized appropriation» che specifica la particolare finalità dello stanziamento cui si dà corso.

Si intende contrapporre il termine segregazione alla presunta limitatezza semantica del termine separazione[dall’etimo se-parare], che si dice possa essere riferito soltanto a «patrimonio» per significare l’affrancamento deltrust fund – del patrimonio-in-trust – dalle pretese dei futuri creditori del disponente e l’insensibilità verso quelledei possibili creditori del trustee (D. Galletti, Commento all’art. 3, in Disposizioni sulla cartolarizzazione deicrediti, Legge 30 aprile 1999, n. 130, in NLCC, a cura di A. Maffei Alberti, 2000, pag. 1067, e C. Scaroni, Il pa-trimonio separato della società veicolo per la cartolarizzazione dei crediti, in Contr. imp., 2005, pag. 1078, nt. 9 e10); e si sostiene che possa essere riferito anche al singolo diritto, mentre il termine «separato» potrebbe essereutilizzato soltanto per il patrimonio (D.Galletti, Commento all’art. 3, cit.), tuttavia, gli atti di destinazione han-no per oggetto «beni immobili» o «beni mobili registrati», mentre in trust può essere trasferito e affidato qualsiasi«bene», inteso il termine nella accezione del codice civile domestico. Però, con il trust, in generale, e con quellodella Convenzione in particolare, il bene o i beni, trasferiti al trustee per realizzare la destinazione dell’atto istitu-tivo, costituiscono quel trust-fund che presenta più le caratteristiche del patrimonio autonomo che non quelle del«diritto (sul bene) segregato», come si vorrebbe. Di questa «estasi performativa» (G. Steiner,Dieci (possibili) ra-gioni della tristezza del pensiero, Milano, 2007, pag. 30) dei trust-interno-sostenitori, tipica «bolla epistemica» intermini di new logic (da ultimo, L.Magnani, Introduzione alla new logic, Genova, 2013), non è vittima il legisla-tore italiano che, a più riprese e in senso appropriato, usa il termine «separazione»: rubrica art. 2647 cod. civ.«costituzione del fondo patrimoniale e separazione di beni»; rubrica art. 22, D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (testounico finanziario); Relazione D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ove si rende conto della delega a introdurre nel siste-ma il «fenomeno di separazione nell’ambito di un patrimonio facente capo ad un unico soggetto... la cui prima ipo-tesi è quella di individuare all’interno del patrimonio della società, di una parte di questo, la sua separazione giuri-dica dall’intero, e la sua destinazione...»; la Convenzione, nel testo in lingua italiana, sia pure con traduzione nonufficiale, usa il termine «separato» (art. 11), mentre le due versioni ufficiali usano rispettivamente i termini «di-stinct» (les biens du trust soient distincts su patrimoine personnel du trustee) e «separate» (the trust property con-stitutes a separate fund); la prevalente giurisprudenza di legittimità, ove il principio di doppia separazione (Cassa-zione, 12 settembre 2008, n. 23560, in NGCC, 2009, I, pag. 243 segg., con nota di P. Bontempi).

Usano il termine «séparation» tanto la legge lussemburghese (cfr. il testo) (au principe de séparation entre lepatrimoine formé), quanto il nuovo art. 2011 code civil francese, (Livre III, Titre XIV «De la fiducie: la fiducie estl’opération par laquelle un ou plusieurs constituants transfèrent des biens... à un ou plusieurs fiduciaires qui, les te-nant séparés de leur patrimoine propre...») ... ma questo è... soltanto un parco abbozzo di catalogo/esemplificativo eragionato... per dirla con Edoardo Sanguinetti.

(11) Il concetto è foriero di ulteriori sviluppi; affermare che il trust, lo strumento in esame, si inserisce nell’am-bito della più vasta categoria dei negozi fiduciari, e specificare che questo si concretizza nell’incarico di svolgere unadata attività per conto e nell’interesse di un altro, affidato a un soggetto officiato di svolgerlo secondo un prestabilitoprogramma, che ha consistenza più continuativa e complessa rispetto al mandato, vuol anche dire che vi si includeanche il «contratto» che il fiduciante stipula con la società fiduciaria, «soggetto» normato ben più specificamentedel trust, ma, al pari di questo, officiato dal fiduciante – prevengo la fin troppo prevedibile obiezione: questo con-cetto di vasta categoria dei negozi fiduciari (che non è più quella che stigmatizzava il grassettiano commento alla mo-nografia di Franceschelli sul trust) non può escludere l’«amministrazione» di cui alla legge 23 novembre 1939, n.1966, per l’evidente contraddizione in cui cadrebbe, a prescindere dal contenuto del «programma» e dalla «sepa-razione» (dal patrimonio del fiduciante, conclamata in quello della società fiduciaria). La differenza tra le due fat-tispecie non è in discussione, questa verte sulla inclassificabilità come «mandato senza rappresentanza».

Il testo originario della legge fallim., art. 10, prevedeva che l’imprendi-tore, che pure avesse «cessato l’esercizio dell’impresa», potesse essere di-chiarato fallito entro un anno (sempre che l’insolvenza si fosse manifestata

Parte II - Giurisprudenza 611

re prestabilito (ma tutti i programmi lo sono, altrimenti non sarebbero programmi, comevuole l’etimo prográpho «scrivo prima»), contempla attività in misura più continuativa e com-plessa, in sintonia con quella giurisprudenza di merito che, sulla scorta di parte della dottri-na, identifica «la causa del negozio istitutivo di trust [con] il programma della segregazione diuna o più posizioni soggettive o di un complesso di posizioni soggettive unitariamente conside-rato (beni in trust) affidate al trustee per la tutela di interessi che l’ordinamento ritiene merite-voli di tutela (scopo del trust)» (12).

A prescindere dal neologismo in voga, la «segregazione» è pur sempre l’effetto derivan-te dall’avere destinato quei beni a conseguire l’obbiettivo del destinate-disponente, e la giuri-sprudenza, che ha deciso la querelle tra i pro e i contro trust-interno-sostenitori evidenzia che«l’effetto segregativo [è] espressamente sancito come “effetto necessario minimo” dall’art. 11[conv.] ... deroga all’art. 2740 cod. civ. che, secondo la gran parte degli autori, è stata introdottanell’ordinamento dalla stessa legge di ratifica» (13).

Il contesto, però, lascia intendere che si sarebbe voluto indicare che, come negli atti didestinazione (dell’art. 2645-ter cod. civ.) il destinare è la causa astratta e la specificazione del-la destinazione giustifica la meritorietà della avvenuta istituzione, così il destinare – a prescin-dere che sia finalità o scopo (14) – è la causa astratta del trust e la destinazione ne è la causaconcreta (15).

(12) Tribunale Reggio Emilia, 27 agosto 2011, www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/7855.(13) Tribunale Bologna, 1o ottobre 2003, n. 4545, che precisa: «...effetto segregativo, che, un’altra autore-

vole dottrina spiega che si verifica perché i beni conferiti in trust non entrano nel patrimonio del trustee se non perla realizzazione dello scopo indicato dal settlor e col fine specifico di restare separati dai suoi averi (pena la mancanzadi causa del trasferimento).» in La giurisprudenza italiana sui trust, Trusts – Quaderni, Milano, 2009; adde (né po-trebbe essere diversamente) Tribunale Reggio Emilia secondo cui «l’effetto segregativo realizzato col trust (e aquesto coessenziale), difatti, non è il fine ma il mezzo (melius, uno dei mezzi) attraverso il quale raggiungere diversie più pregnanti obiettivi corrispondenti ad altrettante esigenze (la segregazione patrimoniale è mero corollario di untrust validamente istituito e l’analisi della validità non può, dunque, avere inizio da questa e/o dagli effetti per i cre-ditori ma dagli scopi del programma negoziale)» (27 agosto 2011).

(14) La ricchezza della lingua italiana consente di esprimere le differenze concettuali con l’opportuno uti-lizzo semantico dei sinonimi.

(15) Ovvero gli «interessi meritevoli di tutela», secondo l’interpretazione prevalente. Se il qualificare «la sepa-razione patrimoniale in vista del soddisfacimento di un interesse del beneficiario o del perseguimento di un fine dato, tan-

anteriormente o nell’anno successivo), con espressione tuttavia non univo-ca, potendo riferirsi sia alla cancellazione della società e sia alla mera di-sgregazione dell’azienda come iniziativa imprenditoriale.

L’orientamento dominante in giurisprudenza reputava non cessatal’impresa collettiva sino a quando esistessero rapporti pendenti, con conse-guente ammissibilità della liquidazione concorsuale; la sentenza della Cor-te cost. 21 luglio 2000, n. 319, dichiarò la norma incostituzionale, nella par-te in cui non prevedeva che il termine annuale per la dichiarazione di falli-mento dell’impresa collettiva decorresse, per le società, dalla cancellazionedal registro delle imprese.

Il nuovo testo della legge fallim., art. 10, risultante dal D.Lgs. 9 gennaio2006, n. 5, art. 9, con l’espressione «cancellazione» ha recepito il portatodel giudice delle leggi divenendo l’iscrizione della cancellazione il dies aquo del termine annuale per la fallibilità delle società cancellate.

612 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 6-2014

Ed è alle circostanze del caso di specie, da cui desumere la causa concreta dell’operazioneche deve essere rivolta l’attenzione per valutarne la liceità, in modo particolare trattandosi distrumento estraneo alla nostra tradizione di diritto civile ma che, pur estraneo, si affianca, inmodo particolarmente efficace, ad altri esempi di intestazione fiduciaria volti all’elusione di

to che i beni vengono separati dal restante patrimonio ed intestati ad altro soggetto, parimenti in modo separato dal pa-trimonio di quest’ultimo come una delle caratteristiche in generale del trust, secondo la definizione dell’art. 2 della Con-venzione» può essere condivisibile, non lo è l’affermare che è lo scopo di costituire una separazione patrimoniale; e ciòanche se la «causa» del negozio trust è un altro dei temi controversi (si veda, tra i tanti interventi A.Palazzo, in Trust:opinioni a confronto, a cura di E.BarladeGuglielmi,Trusts, Quaderni, Milano, 2006, pag. 268).

Quasi contemporaneamente, sia pure in campo penale, la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che «ilfenomeno della destinazione per sua natura comporta, sul versante civilistico, che il patrimonio separato diventi insen-sibile alle vicende personali del soggetto cui formalmente appartiene, atteso che i beni oggetto del vincolo sono sottrat-ti alla garanzia patrimoniale generica incombente sull’intestatario di tali beni e si è avuto cura di precisare che la fun-zione destinatoria deve costituire la legittima espressione dell’esercizio di un potere dispositivo di cui il c.d. negozio didestinazione costituisce l’atto programmatico iniziale, con la conseguenza che siffatto potere ordinante, nel conforma-re l’uso del bene, non si esaurisce nel solo momento programmatico, ma si articola attraverso un procedimento attuati-vo che, pur diversamente graduabile a seconda delle concrete vicende negoziali, deve comunque rendere effettiva e rile-vante la destinazione anche nei confronti dei terzi. Specificazione cui si aggiunge che la destinazione quale indice es-senziale del collegamento fra patrimonio ed attività, costituisce, in generale, una tecnica di funzionalizzazione dei benied acquista oggettività quando è attuata in fatto, ossia attraverso la manifestazione di una concreta attività che ne realiz-zi il vincolo» (Cassazione pen., 27 maggio 2014, n. 21621, l’evidenza è aggiunta). In dottrina si obietta che all’atto didestinazione e così alla destinazione in sé rileva la mancanza del «requisito della expressio causae» (P.Manes, Lanorma sulla trascrizione di atti di destinazione è, dunque, norma sugli effetti, in Contr. impr., 2006, pag. 632, ove inadesione a Tribunale Trieste, 7 aprile 2006); la giurisprudenza di merito si confronta sulle due antitetiche posizionisulla esistenza-inesistenza del «negozio di destinazione puro» (la cui causa è insita nella «volontà destinatoria» del co-stituente sorretta da meritevolezza) negata da Tribunale Reggio Emilia, 27 gennaio 2014, che adde a Tribunale Reg-gio Emilia, 22 giugno 2012, e affermata da Appello Venezia, 10 luglio 2014, secondo la quale è divenuto «possibilenel nostro ordinamento attribuire rilevanza ed efficacia ai più disparati vincoli di destinazione impressi dall’autonomiaprivata, senza pretendere che gli interessi sottesi siano gìà selezionati come meritevoli di riconoscimento da una normapositiva, e, comunque, anche in assenza di atti traslativi dei beni stessi».

Nessun elemento autorizza ad interpretare la disposizione con riferi-mento alla diversa data di presentazione della domanda di iscrizione. Il re-gistro delle imprese, per la sua funzione pubblicitaria, dichiarativa o costi-tutiva degli effetti, impone l’iscrizione dell’evento; e la legge prevede il pro-dursi degli effetti proprio dal momento in cui l’iscrizione è avvenuta (cfr.già gli artt. 2193 e 2448 cod. civ.), a tutela dei terzi; mentre l’esigenza di se-guire un procedimento amministrativo per giungere all’iscrizione stessa re-sta irrilevante i fini predetti, che possono dirsi raggiunti soltanto con il suoperfezionamento.

Del resto, laddove l’ordinamento ha voluto ammettere effetti retroatti-vi dell’iscrizione rispetto a tale momento, lo ha espressamente previsto (art.2504-bis cod. civ., che pone il criterio generale ex lege di decorrenza deglieffetti dalla data dell’ultima iscrizione dell’atto di fusione, derogabile, nelrispetto di determinati presupposti, con pattuizione di una data anteceden-te o posteriore e solo riguardo a specifici profili; art. 2504-decies cod. civ.).

Né, come assume invece la ricorrente, può operarsi alcuna analogia, at-tese le rationes affatto distinte, con gli effetti della notificazione di un atto

Parte II - Giurisprudenza 613

norme imperative, da cui sembra di capire che la particolarità della sua efficacia consistereb-be nel suo tendenziale essere «volto» alla elusione di norme imperative.

È intrigante questa osservazione della Corte per chi, come chi scrive, va sostenendo datempo che accanto al tentativo in atto di unificare le fattispecie «elusione» e «evasione» percontrastare la «tax avoidance», resiste la corretta interpretazione che distingue l’elusione le-cita dalla elusione illecita e il «fatto fiduciario» con la «intestazione in fiducia», la sua più no-ta evidenza, non tende di necessità ad aggirare norme imperative. Intrigante perché, pur as-sumendo, con questa sentenza, che vi sarebbero strumenti, voluti dall’ordinamento, votati aeludere con particolare efficacia norme imperative – ipotesi che non condivido (16) – tuttavialo «strumento» non ne viene demonizzato e posto all’indice ma se ne segnala soltanto la si-tuazione di pericolo per chiedere di rivolgere attenzione all’uso (peraltro, sempre più con-trollato dalla disciplina di prevenzione del riciclaggio: cfr. The FATF Recommendations eProposta di IV direttiva, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di ri-ciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo).

4. – Come in una sorta di riepilogo di ciò di cui si intende proporre il proseguimento,la motivazione richiama quelli che ritiene essere i propri precedenti, le decisioni imperniatesul c.d. trust interno, dei cui «profili» la Corte ha avuto modo di occuparsi, pur senza pro-nunciarsi sulla legittimità della sua presenza (17) nell’ordinamento interno, adducendo le ra-gioni che lo giustificano: la sentenza «13 giugno 2008, n. 16022 verte sul trust familiare», isti-tuito in Inghilterra, con riferimento al Trust of Land and Appointment of Trustee Act del

(16) Nego, e lo faccio da tempo, che il fatto fiduciario sia di per se stesso, in quanto tale, fattispecie illecita;sostengo che è l’uso, quindi il motivo, che può essere illecito, ma la fiducia è il rimedio a situazioni di necessità o,anche, di mera opportunità, come la consolidata tradizione giurisprudenziale del «negozio fiduciario» attesta.

(17) Con ciò non intendo sostenerne la illegittimità o la illiceità o la irriconoscibilità, mi limito al constatareil fatto, in linea puramente fenomenica.

del processo, ove vige il principio della scissione del momento perfeziona-tivo della notificazione per il richiedente e per il destinatario, o con l’ipote-si dell’imprenditore persona fisica, ove non è certo l’evento formale dellaiscrizione – a differenza che per le società di capitali – a produrre l’effettoestintivo.

In modo speculare, questa Corte ha già statuito che la fallibilità del-l’imprenditore purché la dichiarazione pervenga entro il termine di un an-no dalla cancellazione dal registro delle imprese, pur ponendo a carico delcreditore che ha tempestivamente presentato istanza di fallimento il rischiodella durata del relativo procedimento, non è in contrasto con gli artt. 3 e24 Cost.: ed ha osservato in particolare come, con riferimento al diritto didifesa, la previsione di un termine annuale rappresenta il punto di media-zione nella tutela di interessi contrapposti, quali, da un lato, quelli dei cre-ditori, e, dall’altro, quello generale alla certezza dei rapporti giuridici (Cas-sazione, sez. I, 12 aprile 2013, n. 8932).

La stessa esigenza di certezza si pone con riguardo alla questione al-l’esame, in ordine alla quale deve, in conclusione, affermarsi il principioche, ai sensi della legge fallim., art. 10, ai fini della decorrenza del termine

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1996, la cui materia del contendere era la condotta dei due trustee, ex coniugi, ma, come vie-ne dichiarato, si è trattato di «un trust internazionale e non interno»; la sentenza 8 ottobre2008, n. 24813, il cui thema decidendum è l’accettazione dell’eredità da parte di una fonda-zione costituita per testamento, con nomina dell’ente in qualità di erede universale; la sen-tenza 22 dicembre 2011, n. 28363 sfiora il tema de quo nel rigettare il secondo motivo del ri-corso con il quale era stata denunciata la «violazione e falsa applicazione della L. 16 ottobre1989, n. 364, artt. 1, 2, 11, 12, di ratifica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabileai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1 Luglio 1985 rilevando che la responsa-bilità della ricorrente deriva dall’intestazione formale del bene (in conformità alla L. n. 364 del1989, art. 2, di ratifica della convenzione dell’Aja sulla legge applicabile ai trusts, comma 2,lett. b laddove si stabilisce che “i beni del trust sono intestati a nome del trustee”)» e null’altro;l’ordinanza 19 novembre 2012, n. 20254, ha cassato la sentenza della Commissione tributariaregionale del Lazio per non avere esaminato le ragioni economiche e familiari dedotte percontestare il carattere elusivo dell’operazione posta in essere con il conferire al trust istituitoun immobile a uso prima abitazione in seguito rivenduto con il conseguito risparmio fiscale;infine, la sentenza «24 gennaio 2011, n. 13276 si è occupata della confisca dei beni in trust,qualora esso risulti una mera apparenza (il c.d. sham trust)» (18).

(18) Secondo la quale il trust, «tipico istituto di diritto inglese», consiste nell’affidare determinati beni a un ter-zo perché «li amministri e gestisca quale “proprietario” (nel senso di titolare dei diritti ceduti) per poi restituirli, alla fi-ne del periodi di durata del trust, ai soggetti indicati dal disponente. Presupposto coessenziale alla stessa natura dell’isti-tuto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri chepossano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perditadel controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto se-gregativo che gli è proprio. Tale situazione di mera apparenza, che sul versante civilistico sarebbe causa di radicale nul-lità, è stata argomentatamente ritenuta dal giudice della cautela, per inferire che, al di là delle forme, l’O., trustee eglistesso, continuava ad amministrare i beni, conservandone la piena disponibilità. Di talché, la costituzione in trust sa-

annuale entro il quale può essere dichiarato il fallimento di un’impresasvolta in forma societaria, occorre fare riferimento alla data della sua effet-tiva cancellazione dal registro delle imprese, a nulla rilevando nei confrontidei terzi il diverso momento in cui la relativa domanda sia stata presentatapresso il registro delle imprese.

4. – Il trust. I rimanenti motivi, dal quinto all’ottavo, vertono sull’avve-nuta istituzione del c.d. trust liquidatorio e sulla rilevanza del medesimo, alfine di reputare integro il contraddittorio nel procedimento per la dichiara-zione di fallimento e raggiunti gli effetti che con questo istituto la societàha voluto perseguire.

5. – Insussistenza della soggettività del trust. In ordine al sesto motivo,da trattare con priorità per ragioni d’ordine logico-giuridico, nessuna vio-lazione degli artt. 101 e 102 cod. proc. civ., sussiste, per non essere statoconvocato nel procedimento il trust, dal momento che, a tacer d’altro, que-sto non costituisce un soggetto a sé stante, ma un insieme di beni e rapporticon effetto di segregazione patrimoniale.

Secondo l’art. 2 della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, relativaalla legge applicabile ai trust ed al loro riconoscimento, resa esecutiva in

Parte II - Giurisprudenza 615

La serie ha tralasciato le sentenze, emesse in sede penale: 18 dicembre 2004, n. 48708;30 dicembre 2004, n. 49974 (19); 3 dicembre 2009, n. 46646; 14 maggio 2010, n. 18494; 9 lu-glio 2010, n. 26311; 30 marzo 2011, n. 13276; 8 giugno 2012, n. 25520, che riprende il pro-prio precedente 49974/2004 con una nota di larvato criticismo al «sofisticato strumento dellacostituzione di un trust assunto come chiaro indice della volontà degli imputati di distrarre ibeni» e alla «elevata abilità distrattiva dimostrata dagli imputati, già con lo stesso ricorso al so-

rebbe stato mero espediente per creare un diaframma tra patrimonio personale e proprietà costituita in trust, con evi-dente finalità elusiva delle ragioni creditorie di terzi, comprese quelle erariali. Se tale era la finalità dell’iniziativa, risul-ta irrilevante, contrariamente a quanto assume la difesa, che il trust sia stato costituito il 2 novembre 2010, quando l’O.non sapeva neppure di essere indagato». Su cui M.Lupoi,La Cassazione e il trust sham, in Trusts, 2011, 469; G.Pa-lasciano, Sequestro (e confisca) di beni in trust autodichiarato, in Il fisco, 20/2011, 2, pag. 3219; F.Fontana,Utiliz-zo del trust come schermo abusivo alle pretese del Fisco, in RGT, 2011, pag. 688; F.DiMaio, Trust interno, trust au-to-dichiarato e confisca dei beni (in trust), in Il Notaro, maggio-giugno 2011.

(19) «... è risaputo infatti che l’istituto del “trust” di origine anglosassone, introdotto nel diritto comunitarioeuropeo a seguito della Convenzione dell’Aia del 1 luglio 1985, ratificata dal Governo Italiano con legge 16 ottobre1989, n. 364, non trova specifica disciplina nel nostro ordinamento civile, se non attraverso quelle norme del codicecivile, che disciplinano i negozi giuridici dispositivi di beni mobili e immobili. Tale istituto è finalizzato nella mag-gior parte dei casi alla formazione di patrimoni separati rispetto a quello del disponente e si articola attraverso la de-voluzione al fiduciario (c.d. “trustee”), che ne accetta la piena proprietà, di determinati beni del disponente, i qualidi conseguenza diventano in aggredibili sia dai creditori personali del trustee, sia dai creditori del disponente. Nelcaso in esame, per come si legge nei rogiti allegati agli atti, qui trasmessi, la costituzione dei trusts, i cui beni costitui-scono oggetto del sequestro, appaiono all’evidenza, finalizzati, per la fretta con cui si è ricorso a tali sofisticati negozigiuridici in coincidenza con il deposito del lodo sfavorevole agli indagati e la messa in mora per l’adempimento degliobblighi da esso derivanti e per lo stretto vincolo di parentela tra fiduciante e fiduciario, ad ostacolare e paralizzare leazioni del creditore-querelante, non garantite neppure dal diritto in capo a quest’ultimo alla menzionata azione re-vocatoria, perfettamente inutile di fronte ad una eventuale alienazione dei beni a terzi da parte del trustee», citatada M. Atzori, Riflessioni finali sui trust liquidatori, in T&AF, 2004, pag. 573; Cons. Naz. Notariato, Note sultrust istituito da imprese in crisi (in funzione liquidatoria).

Italia con L. 16 ottobre 1989, n. 364, per trust s’intendono «i rapporti giuri-dici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa– qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’inte-resse di un beneficiario o per un fine determinato», caratterizzato dal fattoche «i beni in trust costituiscono una massa distinta e non sono parte delpatrimonio del trustee» venendo essi «intestati al trustee o ad un altro sog-getto per conto del trustee», che ha il potere e l’obbligo, «di cui deve ren-dere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alledisposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee».

Come questa Corte ha già ritenuto (Cassazione, sez. II, 22 dicembre2011, n. 28363, in tema di sanzioni amministrative relative alla circolazionestradale), il trust non è un soggetto giuridico dotato di una propria perso-nalità ed il trustee è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi,non quale «legale rappresentante» di un soggetto (che non esiste), ma co-me soggetto che dispone del diritto.

L’effetto proprio del trust validamente costituito è dunque quello nondi dar vita ad un nuovo soggetto, ma unicamente di istituire un patrimoniodestinato al fine prestabilito.

616 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 6-2014

fisticato strumento del trust»; 30 marzo 2011, n. 13276; 8 ottobre 2013, n. 41670 (20) e 27maggio 2014, n. 21621 (21); in tema fiscale, Cassazione pen., 16 settembre 2013.

(20) Il Collegio ritiene «con riguardo alla pretesa applicabilità, in favore del Trust Nipoti di L.G., del princi-pio affermato con riferimento al fondo patrimoniale dalla sentenza di questa Corte n. 598 del 2004, richiamata nelricorso, [che è] da escludere, ove si consideri che, a prescindere dalla maggiore o minore intensità ed estensione del“vincolo di segregazione” derivante dalla creazione del “trust” rispetto a quello derivante dalla creazione del fondopatrimoniale, nel caso cui si riferiva la citata sentenza non risultava in alcun modo messa in dubbio la reale ed effet-tiva costituzione del fondo patrimoniale laddove, nella fattispecie in esame, si sostiene, da parte dell’accusa (pocoimporta, in questa sede, se a torto o a ragione), il carattere fittizio del trust e, quindi, la effettiva disponibilità dei re-lativi berti da parte degl’imputati».

(21) «... Ne consegue, pertanto, che ai fini del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalenteben possono rilevare tutte quelle situazioni, giuridiche o di fatto, nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degliinteressi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi (arg. ex sez.III, 8 marzo 2012, n. 15210, dep. 20 aprile 2012, Rv. 252378).

Al riguardo, inoltre, giova richiamare, per l’affinità dell’epilogo decisorio, la sostanza della linea interpretati-va già tracciata da questa Suprema Corte (sez. V, 24 gennaio 2011, n. 13276, dep. 30 marzo 2011, Rv. 249838), al-lorquando ha avuto modo di affermare, sia pure in relazione alla diversa ipotesi della confisca di cui all’art. 11 dellaL. n. 146/2006 e del sequestro preventivo ad essa direttamente funzionale, che sono assoggettabili al sequestro pre-ventivo finalizzato alla confisca per equivalente beni rientranti nella disponibilità dell’indagato, ancorché conferitiin trust, che l’indagato trustee continui ad amministrare conservandone la piena disponibilità.

Si è infatti osservato, sul punto, che il trust, tipico istituto di diritto inglese, si concreta nell’affidamento ad unterzo di determinati beni perché questi li amministri e gestisca quale “proprietario” (nel senso di titolare dei diritticeduti) per poi restituirli, alla fine del periodo di durata del trust, ai soggetti indicati dal disponente.

Presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il disponente perda la disponibilità di quanto ab-bia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale con-dizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo ap-parente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio.

Nell’ipotesi or ora menzionata si è avuto modo di precisare che quella situazione di mera apparenza, che sulversante civilistico sarebbe causa di radicale nullità, era stata argomentatamente ritenuta dal giudice della cautela,per inferire che, al di là delle forme, l’imputato, trustee egli stesso, continuava ad amministrare i beni, conservando-

6. – Rilevabilità d’ufficio dell’illiceità. È infondato il settimo motivo del ri-corso, perché la rilevabilità d’ufficio dell’inefficacia o nullità dell’atto istituti-vo del trust, su cui la società fallita pretende fondare l’insussistenza dei requi-siti del fallimento, escluderebbe già la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., daparte della sentenza impugnata (e si ricorda qui l’ampiezza della rilevabilitàd’ufficio di tale vizio, secondo Cassazione, sez. un., 4 settembre 2012, n.14828); mentre, più precisamente, di non riconoscibilità si tratta (v. infra).

7. – Trust liquidatorio e insolvenza. Il quinto e l’ottavo motivo possonoessere trattati congiuntamente, ponendo entrambi, sotto il profilo del viziodi motivazione di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, la questionedella liceità ed efficacia del trust in esame e degli eventuali effetti della suailliceità, ravvisata dalla corte d’appello, con riguardo al requisito dell’insol-venza della società al fine di fondare la dichiarazione di fallimento.

7.1. – La Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, resa esecutiva in Italiacon la citata L. n. 364 del 1989, quale convenzione di diritto internazionaleprivato, regola la possibilità del riconoscimento degli effetti in Italia ad unparticolare strumento di autonomia negoziale proprio dei sistemi di

Parte II - Giurisprudenza 617

Ponendosi come prosieguo del medesimo orientamento deve essere parso superfluo,pleonastico, il preoccuparsi di giustificare il già giustificato, tanto da aderire al diffuso orien-tamento presso i giudici di merito di quella forma di trust interno che avrebbe ben potuto pre-sentare il dubbio di legittimità e che, viceversa, si deve essere ritenuto implicitamente supe-rato dall’assumere il trust quale regolamento di interessi veicolato da negozio in astratto rico-noscibile in forza di convenzione internazionale. Ignorate le tesi che negano alla «convenzio-ne» la capacità di introdurre il trust in ordinamenti no-trust (22).

5.1. – L’interesse di questa decisione è tutto polarizzato sull’ultima, in ordine di creati-vità, evoluzione del trust interno, «il c.d. trust liquidatorio», in virtù del quale il liquidatoredella società istituisce il trust e gli conferisce l’intero patrimonio aziendale, attivo e passivo,«per provvedere, in forme privatistiche, alla liquidazione»; operazione, per lo più accompa-gnata dalla successiva cancellazione della società dal Registro delle imprese.

Rileva la Corte che la giurisprudenza di merito (23), quasi unanime nell’ammetterne lafigura, è in prevalenza orientata a sanzionarne la nullità «allorché [il trust] abbia l’effetto disottrarre agli organi della procedura fallimentare la liquidazione dei beni in contrasto con lenorme imperative concorsuali, secondo le espresse regole di esclusione previste dagli artt. 13 e15, lett. e), della convenzione dell’Aja del l luglio 1985»; orientamento che essa dichiara dicondividere, sia pure relativizzandolo a seconda che il «motivo» (non lo «scopo») del trust li-quidatorio istituito lo caratterizzi come (i) trust endo-concorsuale, (ii) trust anticoncorsuale,(iii) concorsuale-equipollente. Lo «scopo» dichiarato è pur sempre il conseguire la liquidazio-ne della società, ma la modalità prescelta esclude di seguire l’ordinario procedimento di li-quidazione, anche concorsuale.

ne la piena disponibilità. Di tal ché, la costituzione in trust aveva rappresentato un mero espediente per creare undiaframma tra il patrimonio personale e la proprietà costituita in trust, con evidente finalità elusiva delle ragionicreditorie dei terzi, ivi comprese quelle erariali».

(22) La giurisprudenza di merito, opportunamente se ne è data pensiero: «si è obiettato, tuttavia, che laConvenzione de L’Aja rientra tra le norme di diritto internazionale privato (secondo l’opinione prevalente e con al-cuni dubbi sulla reale natura degli artt. 11 e 12) e che, dunque, non sarebbe ammessa la possibilità di ricorrere aduna disciplina straniera del trust (invocando anche le disposizioni convenzionali sull’effetto segregativo) in mancan-za di elementi di estraneità della fattispecie. Tale tesi – pur sostenuta in dottrina – contrasta con la tendenza degliordinamenti moderni a consentire alle parti l’assoluta libertà di scelta della legge regolatrice dei loro rapporti nego-ziali» (Tribunale Reggio Emilia, 27 agosto 2011).

(23) G. Fanticini, Il trust liquidatorio e il conflitto con il fallimento: confronto sui pro e i contro, inTrusts,2009, pag. 533 segg.; Notariato, Note sul trust istituito da imprese in crisi (in funzione liquidatoria), Studio n.161-2011/I – 1 marzo 2012.

common law, il trust. L’eventuale riconoscimento comporta che il trust siaregolato dalla legge scelta dalle parti o da quella individuata secondo le re-gole della stessa convenzione (art. 6-10); l’atto di trasferimento dei beni intrust resta, invece, regolato dalla lex fori (art. 4).

Peraltro, in ragione della estraneità dello strumento agli istituti giuridi-ci di molti ordinamenti, la Convenzione dell’Aja contiene plurimi limiti diefficacia per il trust nell’art. 13, art. 15, comma 1, lett. e), artt. 16 e 18.

La prima norma, nell’ambito di quelle deputate proprio a regolare lecondizioni del riconoscimento, prevede: «Nessuno Stato è tenuto a ricono-scere un trust i cui elementi significativi, ad eccezione della scelta della leg-ge applicabile, del luogo di amministrazione o della residenza abituale del

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Nel giustificare l’esposta esigenza di relativizzare il realizzato alla luce del motivo sottaciu-to allo scopo dichiarato, la sentenza, suscitando sorpresa, esclude uno dei requisiti che la mag-gior parte della giurisprudenza di merito pretende per ammettere il trust interno, il possedere«un quid pluris rispetto a quelli già a disposizione dell’autonomia privata nel diritto interno» (24),adducendo che «non sembra però che l’ordinamento imponga questo limite, alla luce del sistemarinnovato dalle riforme attuate negli ultimi anni, che ammettono la gestione concordata delle stes-se crisi d’impresa». L’alternativa che pone l’affermazione è il ritenere che si è omessa la premes-sa, mutuata dal lessico legislativo attuale, «ai fini di», il cui unico fine sarebbe quello di limitarela valutazione della meritevolezza della causa «concreta» al solo confronto con la disciplina falli-mentare e il mantenere la esigenza della vantaggiosità del trust interno, ceteris pari bus, con tut-ti gli altri istituti del diritto interno, oppure il considerare che la meritevolezza della causa «con-creta» prescinda dalla vantaggiosità, essendo questa rimessa alla valutazione soggettiva di coluiche intenda avvalersene preferendola ad altre possibilità parimenti concessegli.

Tuttavia, nel rilevare, puntualmente, che «la ricerca di soluzioni alternative, che riescanoa scongiurare il fallimento, è vista con favore dal legislatore degli ultimi due lustri» se ne limital’applicabilità a quelle che, comunque, si svolgano «sotto il controllo del ceto creditorio o delgiudice», poiché questo sarebbe proprio quello evitato (secondo il testo) con l’affidare la li-quidazione al trustee; argomento che omette di considerare che l’operato del trustee sarebbepur sempre soggetto alla vigilanza, quando non all’espresso consenso, del protector, presenzaimprescindibile appartenendo il trust liquidatorio alla classe trust di scopo, e così al controllodiretto del ceto creditorio ove questi sia stato designato, nell’atto istitutivo, ad assumerne l’uf-ficio, ovvero al controllo indiretto del ceto creditorio ove l’atto istitutivo abbia designato unafigura super partes dotata di comune affidabilità.

5.2. – Ammessa la specie, trust liquidatorio, e indicatane la teorica tipologia, la motiva-zione considera l’eventualità che il trust possa essere istituito per sostituire in toto la procedu-ra liquidatoria, al fine di realizzare con altri mezzi il risultato equivalente di recuperare l’attivo,pagare il passivo, ripartire il residuo e cancellare la società.

Tipologia di trust che sotto il profilo della gradualità della specie non rispetta il requisi-to del «quid pluris rispetto a quelle già a disposizione dell’autonomia privata nel diritto inter-

(24) Si veda, ad esempio, «la predetta valutazione deve essere compiuta esaminando non tanto la causa “astrat-ta” del trust quanto piuttosto la meritevolezza della causa “concreta”, costituita dal “programma negoziale” fissato daldisponente nell’atto istitutivo (così anche Tribunale Trieste, 23 settembre 2005; in dottrina: “la causa del negozio isti-tutivo di trust è il programma della segregazione di una o più posizioni soggettive o di un complesso di posizioni sogget-tive unitariamente considerato (beni in trust) affidate al trustee per la tutela di interessi che l’ordinamento ritiene me-ritevoli di tutela (scopo del trust)”); nell’ambito della medesima indagine, poi, occorre considerare che – come affermaun autore – il trust è uno strumento “residuale”, al quale è possibile ricorrere solo quando gli ordinari strumenti civili-stici non consentono di conseguire il medesimo obiettivo (il quale, comunque, deve rappresentare interessi meritevolidi tutela e non ripugnanti per il sistema)» (Tribunale Reggio Emilia, 27 agosto 2011).

trustee, siano collegati più strettamente alla legge di Stati che non ricono-scono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione». Essa è dun-que rivolta agli Stati e costituisce una norma di preventiva chiusura.

Le altre, collocate fra le disposizioni generali, a loro volta prevedonoalcune condizioni, e su di esse si tornerà oltre.

7.2. – Ciò che caratterizza in generale il trust, secondo la definizionedell’art. 2 della Convenzione, è lo scopo di costituire una separazione pa-trimoniale in vista del soddisfacimento di un interesse del beneficiario o

Parte II - Giurisprudenza 619

no» e, quindi, dovrebbe essere ritenuto inammissibile o irriconoscibile; mentre, sotto il pro-filo comparatistico, si dovrebbe constatare che l’ordinamento, per quanto concerne la disci-plina della gestione concordata delle crisi d’impresa non impone «questo limite».

Deduzione che, tuttavia, non può non essere a sua volta relativizzata alle condizioni detta-te dalla « regola del procedimento di cancellazione dal registro di una società di capitali», di cui agliartt. 2492 e 2495 cod. civ., ben riassunte dal decreto del tribunale di Milano (25): (i) il compiutoprocedimento liquidatorio, consistente nel realizzare l’attivo patrimoniale della società per sod-disfare i suoi creditori e restituire per equivalente ai soci – postergati ex lege ai creditori – l’even-tuale residuo di quanto conferito, (ii) il conseguente redigere e sottoporre ai soci e, quindi, il de-positare nel registro delle imprese, il bilancio finale di liquidazione che documenti le attività svol-te e indichi la parte eventualmente spettante a ciascun socio o azione nella divisione dell’attivo,(iii) l’approvare, in maniera espressa o tacita, il bilancio finale di liquidazione stesso, (iv) il chie-dere di cancellare la società dal registro da parte del liquidatore; e che «la cancellazione con il suoeffetto estintivo è la conclusione di una fattispecie a formazione progressiva la quale, per realizzar-si, non può prescindere da alcuno dei suoi elementi costitutivi come delineati dal tipo legale sopra in-dicato pur rimanendo ferme le regole individuate dalla giurisprudenza di legittimità a chiusura delsistema per l’ipotesi di sopravvenienze attive o di residui attivi non liquidati o addirittura non appo-stati né nel primo né nei successivi bilanci di liquidazione ex art. 2490 cod. civ. sino a quello finale (lequali costituiscono comunque una evenienza eccezionale e non una declinazione alternativa del pro-cedimento di liquidazione».

Ricorda il decreto che il liquidatore della società aveva depositato e sottoposto ai soci ilbilancio finale di liquidazione nel quale aveva rappresentato che (i) l’intero attivo patrimo-niale era stato affidato al trustee mediante apposito negozio di trust, (ii) nessuna sua posta

(25) Sezione specializzata in materia d’impresa, 22 novembre 2013, n. 8851.

del perseguimento di un fine dato. I beni vengono separati dal restante pa-trimonio ed intestati ad altro soggetto, parimenti in modo separato dal pa-trimonio di quest’ultimo.

Quello enunciato costituisce, tuttavia, lo schema generale (se si vuole,la causa astratta) di segregazione patrimoniale propria dello strumento inesame, che si inserisce nell’ambito della più vasta categoria dei negozi fidu-ciari, e nel quale quindi un soggetto viene incaricato di svolgere una dataattività per conto e nell’interesse di un altro, secondo un prestabilito pro-gramma ed in misura più continuativa e complessa rispetto al mandato; diconseguenza, ne sono sovente oggetto non solo singoli beni, ma anche uncomplesso di situazioni soggettive unitariamente considerato, comel’azienda, che viene intestata ad altri.

Tuttavia, il «programma di segregazione» corrisponde solo allo sche-ma astrattamente previsto dalla Convenzione, laddove il programma con-creto non può che risultare sulla base del singolo regolamento d’interessiattuato, la causa concreta del negozio, secondo la nozione da tempo recepi-ta da questa Corte (tanto da esimere da citazioni). Quale strumento nego-ziale «astratto», il trust può essere piegato invero al raggiungimento dei piùvari scopi pratici; occorre perciò esaminare, al fine di valutarne la liceità, le

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era stata a quella data liquidata, (iii) nessun creditore era stato sempre a quella data soddi-sfatto, per cui la effettiva liquidazione dell’attivo e l’estinzione del passivo costituivano loscopo del trust liquidatorio istituito e dell’avvenuto conferimento (26) dell’intero e intatto pa-trimonio della società in liquidazione, da cui al Collegio « pare evidente che, nonostante la di-chiarata volontà del liquidatore e dei soci (con l’avallo dei sindaci) di assolvere per tale via al-l’obbligo di ottemperare al procedimento liquidatorio e di considerare pertanto quello approva-to quale bilancio finale della liquidazione stessa, che di tali procedimento e documento contabi-le quelli redatti e posti in essere dal liquidatore e dai soci hanno avuto il mero nomen iuris manon il contenuto legale tipico, realizzandosi così in realtà la dilazione a data futura ed incertadella liquidazione in senso proprio, la quale pertanto a detta data doveva ritenersi non solo noncompiuta ma neppure iniziata; per cui si può affermare che, redigendo ed approvando un taledocumento e procedendo sulla sua scorta a richiedere la cancellazione della società, i liquidatorie i soci della DPI hanno posto in essere fatti ed atti che non corrispondono se non nominalmen-te al tipo normativo “liquidazione e cancellazione di società di capitali”, onde quest’ultima è sta-ta senz’altro iscritta in difetto delle condizioni minime previste dalla legge a tale scopo», inquanto si assume che «la cancellazione dell’ente (e la connessa estinzione) non consegue imme-diatamente al verificarsi di una causa di scioglimento ma è il risultato di una fattispecie a forma-zione progressiva, articolata nell’accertamento ad opera degli amministratori della causa di scio-glimento (art. 2484 cod. civ.), nella nomina assembleare del liquidatore (art. 2487 cod. civ.),nella attività di liquidazione in senso proprio, culminante nella redazione del bilancio finale di

(26) Il provvedimento, a questo proposito, cede al lessico preponderante e usa, come la sentenza in com-mento, il termine «segregazione» in modo non appropriato (ammettendo che lo si possa considerare, comunque,appropriato): «costituendo tale futura liquidazione dell’attivo ed estinzione del passivo per l’appunto lo scopo deltrust liquidatorio posto in essere e della segregazione mediante tale strumento negoziale dell’intero ed intatto patri-monio della DPI»; anche se il senso di quello che si intendeva affermare è diverso da quello che la formulazionelascia intendere, la «segregazione», non è lo scopo ma uno degli effetti del trust.

circostanze del caso di specie, da cui desumere la causa concreta dell’operazio-ne: particolarmente rilevante in uno strumento estraneo alla nostratradizionedi diritto civile e che si affianca, in modo particolarmente efficace, ad altriesempi di intestazione fiduciaria volti all’elusione di norme imperative.

7.3. – Questa Corte ha avuto occasione di pronunciarsi su taluni profilidell’istituto: così Cassazione, sez. I, 13 giugno 2008, n. 16022, sul trust fa-miliare, qualificato munus di diritto privato, che si sostanzia non nel com-pimento di un singolo atto giuridico, bensì in un’attività multiforme e con-tinua, peraltro arrestandosi la sentenza su profili di inammissibilità e ri-guardando un trust internazionale e non interno; Cassazione, sez. II, 8 ot-tobre 2008, n. 24813, che, nell’escludere ricorresse un patto successoriovietato ex artt. 458 e 589 cod. civ., in ordine alle disposizioni testamentarieposte in essere da due soggetti e dirette a costituire un’unica fondazionenominandola erede universale, ha riflettuto sulla tendenza alla progressivaerosione della portata del divieto dei patti successori, evidenziata, salvi i di-ritti dei legittimari, dal recepimento nella normativa nazionale dell’istitutodi common law del trust; la già menzionata sentenza Cassazione, sez. II, 22dicembre 2011, n. 28363, che ne ha negato la soggettività; Cassazione,

Parte II - Giurisprudenza 621

liquidazione (art. 2492 cod. civ.) recante l’indicazione della “parte spettante a ciascun socio oazione nella divisione dell’attivo”, bilancio solo all’approvazione del quale può poi far seguito larichiesta di cancellazione della società dal Registro delle imprese». Di conseguenza la attivitàliquidatoria è indefettibile (27).

Tuttavia, la sentenza in commento, senza renderne ragione, prescinde da questo princi-pio di diritto per interessarsi soltanto del rapporto del trust liquidatorio con la disciplina fal-limentare, al cui riguardo ritiene che il trust liquidatorio del tipo endo-concorsuale non si po-ne in contraddizione con la natura officiosa della procedura e con la sua funzione di tutelarel’ordine economico, anche perché la soluzione concordata non investirebbe tutte le fasi dell’ac-certamento dei crediti, dell’acquisizione dell’attivo, del riparto, ma solo taluni momenti specifi-ci e tenuto, altresì, conto che le novelle fallimentari hanno ampliato l’ambito dell’autonomianegoziale; cosicché sembrerebbe che la pre-condizione sia che la società (in liquidazione)non venga cancellata e vi sia il consenso, anche tacito, dei creditori, come prevedono le solu-zioni concorrenti alle quali fa riferimento la sentenza in relazione alla lettera «e» del comma3 dell’art. 67 legge fallim. (28).

A diversa conclusione si deve pervenire per il tipo anticoncorsuale, che si confronta conla situazione di evidente insolvenza dell’azienda in liquidazione, al cui accertarsi verrebbemeno, la garanzia della par condicio creditorum.

Tuttavia, è meramente teorica la distinzione posta dalla sentenza tra istituti che perde-rebbero il loro carattere privatistico, laddove il trust sarebbe ancorato a regole e interessi co-munque privati del disponente, e la procedura concorsuale, destinata a sopravvenire nel caso diinsolvenza a tutela della par condicio creditorum, che rivestirebbe natura schiettamente pub-

(27) Giusta anche le decisioni delle Sezioni Unite che il Collegio milanese ha cura di richiamare.(28) Il concordato e gli accordi di ristrutturazione, nonché i trattamenti differenziati fra creditori apparte-

nenti a classi diverse nell’ambito delle proposte di concordato fallimentare e preventivo, su cui, Tribunale Ra-venna, 22 maggio 2014.

sez. VI-V, ord. 19 novembre 2012, n. 20254, la quale ha ritenuto necessarioaccertare se, in caso d’intestazione di beni immobili al trust, esso rispondaanche a ragioni economico-sociali, o se invece non abbia l’esclusiva funzio-ne di consentire un risparmio fiscale; sotto il profilo penale, Cassazionepen., sez. V, 24 gennaio 2011, n. 13276 si è occupata della confisca dei beniin trust, qualora esso risulti una mera apparenza (il c.d. sham trust).

Non si è ancora pronunciata, invece, questa Corte sul trust liquidatorio.È peraltro diffuso, presso i giudici di merito, l’orientamento secondo

cui il c.d. trust liquidatorio segregazione patrimoniale di tutto il patrimonioaziendale istituita per provvedere, in forme privatistiche, alla liquidazionedell’azienda sociale – è nullo, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., allorché abbial’effetto di sottrarre agli organi della procedura fallimentare la liquidazionedei beni in contrasto con le norme imperative concorsuali, secondo leespresse regole di esclusione previste dall’art. 13, e art. 15, lett. e), dellaconvenzione dell’Aja del 1 luglio 1985.

A questa tesi aderisce anche la sentenza impugnata.Reputa la Corte che l’orientamento vada condiviso, con le precisazioni

che seguono.

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blicistica, tale da non essere surrogabile da strumenti che (ove pure siano trasferiti al trusteeanche i rapporti passivi) non garantiscono tale parità, non escludono procedure individuali, nonprevedono trattative vigilate con i creditori al fine della soluzione concordata della crisi, noncontemplano alcun potere di amministrazione o controllo da parte del ceto creditorio o di un or-gano pubblico neutrale. Poiché, non può non aversi per pacifico che il sopravvenire della di-chiarazione di insolvenza è pur sempre il pericolo al quale vanno incontro tutte le «soluzionialternative» che si propongono come possibili rimedi della crisi aziendale; per cui sarebbeutile porre come discrimine, da un canto, lo stato di tensione di liquidità, attestando che lasemi-illiquidità o quasi-illiquidità in se stessa non costituisce insolvenza, dall’altro canto cheil fallimento dichiarato per la riottosità di qualche creditore non determina la risoluzione deltrust, ma soltanto la sostituzione del trustee.

Il presumere che con il trasferire attivo e passivo della società in crisi al trust si intendeeludere il procedimento concorsuale e gli interessi più generali alla cui soddisfazione questo èpreposto, travisando l’avvenuta nomina dei creditori come beneficiarî della liquidazione conl’intento di escluderli dal governo del patrimonio insolvente, in una situazione per essi priva diutilità in ragione dell’insindacabile amministrazione del fondo in trust, è quanto dire che iltrust è sham, perché l’intento non sarebbe stato quello di realizzare la liquidazione in modopiù conveniente per i creditori e per gli stessi soci come invece si riteneva nel privilegiare lacapacità del trustee e la minore burocratizzazione dell’iter processuale, senza nulla togliereagli obblighi di corretta amministrazione che gli incombono come, ben ha indicato il Tribu-nale di Milano (29) nella sentenza confermata dalla corte territoriale e da quella di legittimi-tà (30).

È poco probabile, se gli estensori non sono degli sprovveduti, che se l’intento è quellodi «segregare tutti i beni dell’impresa, a scapito di forme pubblicistiche quale il fallimento» lo siricavi dall’atto istitutivo che reca il programma della destinazione e quindi lo scopo del trustliquidatorio, la causa concreta. Se il motivo che ha indotto la causa concreta è l’evadere la di-

(29) Tribunale Milano, 21 novembre 2002, in I Contratti, 10/2003/921, con nota di F.Di Maio, La revocadel trustee di un trust inglese da parte del giudice italiano.

(30) Cassazione, 13 giugno 2008, n. 16022, su cui F.Di Maio, In tema di diligenza del trustee, in Il notaro,15-30 novembre 2009.

7.4. – Ove il trust intervenga con finalità di liquidazione del patrimoniosociale segregato, in astratto tre le situazioni che possono configurarsi: a) iltrust viene concluso per sostituire in toto la procedura liquidatoria, al finedi realizzare con altri mezzi il risultato equivalente di recuperare l’attivo,pagare il passivo, ripartire il residuo e cancellare la società; b) il trust è con-cluso quale alternativa alle misure concordate di risoluzione della crisid’impresa (c.d. trust endo-concorsuale); c) il trust viene a sostituirsi allaprocedura fallimentare ed impedisce lo spossessamento dell’imprenditoreinsolvente (c.d. trust anticoncorsuale).

Nel primo caso, potrebbe dirsi lo strumento vietato, qualora si esigache esso, per essere riconosciuto nel nostro ordinamento, assicuri un quidpluris rispetto a quelli già a disposizione dell’autonomia privata nel dirittointerno. Non sembra però che l’ordinamento imponga questo limite, allaluce del sistema rinnovato dalle riforme attuate negli ultimi anni, che am-mettono la gestione concordata delle stesse crisi d’impresa.

Parte II - Giurisprudenza 623

sciplina fallimentare lo si comprenderà a posteriori, probabilmente quando l’iniziativa non èandata a buon fine. Tema sul quale si ritornerà.

6.1. – Il contrasto tra i giudicati di merito sulla validità del trust istituito, essendo l’al-tro tema che il Collegio si è proposto di svolgere, sulla scorta delle ragioni addotte dal Tribu-nale di Milano e del Tribunale Reggio Emilia in parziale contrasto (31), non avrebbe potutonon constatare che il trust, interno o esterno che sia, è regolato dalla legge scelta dal dispo-nente, una delle prerogative su cui questi può fare affidamento nel decidere di avvalersene;non coessenziale all’atto istitutivo, di cui può anche disinteressarsi, ma indispensabile, giac-ché è alle sue regole che dovrà determinarsi la destinazione impressa ai beni sottoposti alcontrollo del trustee, tanto che la decisione su quale debba essere sarà assunta alla luce diquella posta dall’art. 7 Convenzione, nel momento in cui si renderà necessario decidere sulle

(31) «I sospetti di nullità (o non riconoscibilità) del trust sollevati... trovano fondamento in alcuni precedentigiurisprudenziali. Secondo l’ordinanza del Tribunale di Milano del 16 giugno 2009 (identiche argomentazioni sirinvengono in Tribunale Milano, 30 luglio 2009, Tribunale Milano, 17 luglio 2009, Tribunale Milano, 22 ottobre2009), il trust liquidatorio istituito da un imprenditore insolvente è nullo, per contrasto con l’art. 15 Conv. L’Aja,poiché l’unica strada percorribile da tale soggetto costituita dal ricorso ad una delle inderogabili procedure concor-suali delineate dalla legge fallimentare, mentre il medesimo trust, se istituito da un imprenditore in bonis, è valido erisponde a interessi meritevoli di tutela ma, in caso di sopravvenuto fallimento, l’insolvenza costituisce causa soprav-venuta di scioglimento dell’atto istitutivo, analogamente a quelle ipotesi negoziali la cui prosecuzione è incompatibi-le con la dichiarazione di fallimento; ancor più incisiva è l’argomentazione posta a fondamento della sentenza delTribunale di Milano del 29 ottobre 2010, secondo cui è nullo per la sua natura di limite all’esplicazione della indero-gabile procedura concorsuale l’atto istitutivo di un trust liquidatorio che non contenga “delle clausole che ne limiti-no la operatività nel caso di insolvenza conclamata, in modo da restituire i beni comunque alla procedura inde-rogabile e di carattere pubblicistico prevista per questi casi”. Le pronunce sopra indicate si basano su un “postu-lato” che, però, non trova chiaro riscontro nell’ordinamento: 1’assoluta inderogabilità, per atto di autonomia priva-ta (e in questo si giustifica il richiamo all’art. 15 Conv. L’Aja, il quale delimita l’applicabilità del testo convenzionalea favore delle norme interne in tema di insolvenza “quando con un atto volontario non si possa derogare ad esse”,delle procedure previste dalla Legge Fallimentare» (Tribunale Reggio Emilia, 2 maggio 2012).

Nelle altre due fattispecie, poi, la causa concreta va sottoposta ad unvaglio particolarmente attento e, in caso di esito negativo, il trust sarà nonriconoscibile, non potendo l’ordinamento fornire tutela ad un regolamentodi interessi che, pur veicolato da negozio in astratto riconoscibile in forzadi convenzione internazionale, in concreto contrasti con i fini di cui sianoespressione norme imperative interne.

La ricerca di soluzioni alternative, che riescano a scongiurare il falli-mento, è vista con favore dal legislatore degli ultimi due lustri, svolgendosiperaltro pur sempre tali iniziative negoziate sotto il controllo del ceto cre-ditorio o del giudice; e qui potrebbe inquadrarsi il fenomeno sub b), nellalogica di una valorizzazione negoziale, che non contraddice comunque lanatura officiosa della procedura e la sua funzione di tutelare l’ordine eco-nomico, anche perché la soluzione concordata non investirebbe tutte le fa-si dell’accertamento dei crediti, dell’acquisizione dell’attivo, del riparto,ma solo taluni momenti specifici e tenuto, altresì, conto che le novelle falli-mentari hanno ampliato l’ambito dell’autonomia negoziale (escludendo al

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sorti dell’atto istituito o su qualcuno dei momenti del trust (32) ivi inclusa la sua estinzione.Ed è alla legge di ciascun atto istitutivo che deve farsi riferimento per decidere in merito allasua validità, come ben è evidenziato (nel paragrafo 7.5.).

Ed è a questo proposito che la Corte ritiene di dover mettere ordine, constatando che alvaglio di validità, giusta la legge regolatrice scelta dal disponente o applicabile secondo la re-gola della Convenzione (33), è preliminare la formulazione del giudizio di riconoscibilità deltrust nel nostro ordinamento. Giudizio che dovrebbe essere prodromico a quello di merite-volezza, il grimaldello usato per giustificare il trust interno, dovendo accertare che il negozioistituito – «che si inserisce nell’ambito della più vasta categoria dei negozi fiduciari» – abbia irequisiti per essere riconosciuto come trust, giusta la finalità stessa della Convenzione. E, in-fatti, il riconoscimento è il pomo della discordia con coloro che lo limitano ai trust istituiti inPaesi trust compatibili (34).

(32) Con riferimento alla competenza giurisdizionale le Sezioni Unite, con successiva decisione, richia-mando il Regolamento(CE) 44/2001 del 22 dicembre 2000, ne hanno limitato la operatività: «la previsione del-l’art. 5, n. 6, del citato regolamento 44/2001, nonché la corrispondente disposizione della pure citata Convenzionedi Lugano, consentono di convenire taluno in giudizio in uno stato membro diverso da quello del proprio domicilio“nella sua qualità di fondatore, trustee o beneficiario di un trust costituito in applicazione di una legge o per iscrittoo con clausola orale confermata per iscritto, davanti ai giudici dello Stato membro nel cui territorio il trust ha domi-cilio”, ma non dettano una regola di competenza giurisdizionale esclusiva, onde l’esistenza anche di un foro diversoed alternativo consente all’attore di privilegiare quest’ultimo; nella presente causa sono state convenute in giudiziopersone aventi pacificamente il proprio domicilio in Italia, per le quali dunque risulta applicabile il criterio generalestabilito dall’art. 2 del medesimo regolamento, che attribuisce la competenza giurisdizionale ai giudici dello Statomembro in cui è domiciliato il convenuto» (Cassazione, sez. un., 20 giugno 2014, n. 14041, ord.). Come è noto lagiurisprudenza – intesa in senso onnicomprensivo – conosce l’istituto «trust», come attestano, per la dottrina, F.Franceschelli, Il «trust» nel diritto inglese, Padova, 1935, e per la giurisprudenza le decisioni puntualmente ri-portate in La giurisprudenza italiana sui trust (dal 1899 al 2006), Trusts-Quaderni, Milano, 2006; la «novità», insenso etimologico, è il «trust interno», di cui l’ordinanza delle Sezioni unite non si occupa.

(33) Così, implicitamente, confermando la giurisprudenza di merito, Tribunale Bologna, 1o ottobre 2003,cui si riporta Tribunale Reggio Emilia, 27 agosto 2011.

(34) «Si deve ribadire – con la giurisprudenza di merito che ha già affrontato la medesima problematica – chel’art. 13 consente agli Stati aderenti alla Convenzione (senza riserve, come accaduto per l’Italia) di negare il ricono-scimento di un trust “interno” nel caso in cui il ricorso all’istituto e alla disciplina straniera appaia fraudolento e ri-pugnante: occorre, però “un intento in frode alla legge, volto, cioè, a creare situazioni in contrasto con l’ordinamento

cuni pagamenti dall’area di quelli revocabili, mediante i piani di risanamentoattestati di cui alla legge fallim., art. 67, comma 3, lett. d), il concordato e gliaccordi di ristrutturazione legge fallim., ex art. 67, comma 3, lett. e), e poten-dosi prevedere trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi di-verse nell’ambito delle proposte di concordato fallimentare e preventivo leg-ge fallim., ex art. 124, comma 2, lett. b), e art. 160, comma 1, lett. d)).

Al contrario, l’alternatività degli strumenti lecitamente utilizzabili vaesclusa, qualora – come nel caso sub c) – non due istituti privatistici si com-parino, ma strumenti di cui l’uno, quale il trust, ancorato a regole ed inte-ressi comunque privati del disponente, e l’altro di natura schiettamentepubblicistica, qual è la procedura concorsuale, destinata a sopravvenire nelcaso di insolvenza a tutela della par condicio creditorum e che non è surro-gabile da strumenti che (ove pure siano trasferiti al trustee anche i rapportipassivi) né garantiscono tale parità, né escludono procedure individuali, né

Parte II - Giurisprudenza 625

Tuttavia la Corte non è di questo dibattito che si preoccupa quanto di stabilire aquale dei «plurimi limiti di efficacia» ammessi dalla stessa Convenzione debba farsi rife-rimento per il riconoscere il negozio istituito come trust (interno) liquidatorio; e, seguen-do l’articolato, il primo di essi è l’art. 13 con quel «aucun Etat n’est tenu de reconnaîtreun trust dont...» che nella versione in lingua inglese prevede «no State shall be bound torecognize a trust the...», al quale la prevalente giurisprudenza di merito, coerente alladottrina, e in aderenza al Rapporto di Von Overbeck (35), si riporta proprio per la fon-damentale valutazione del riconoscimento. La Corte, invece, esclude che si possa fare ri-ferimento (i) tanto all’art. 13, che si rivolge allo Stato (36), e così implicitamente negandoche si tratti di norma self-executing, ma meglio specificando che la valutazione, dovendoessere condotta non sulla scorta della «causa astratta» del negozio ma alla luce della«causa concreta» induce la meritevolezza (37), (ii) quanto all’art. 16, il quale richiama lenorme di «applicazione necessaria», ossia di norme della lex fori operanti come limite al-l’applicazione del diritto straniero eventualmente richiamato da una norma di conflitto, ese è così lo è perché entrambe presuppongono il trust già riconosciuto nell’ordinamento –deduzione che per essere ragionevole non può non constatare la contraddizione «sebbe-ne in parte regolato comunque da tali norme» che ritiene sia, comunque superata dai

in cui il negozio deve operare” (così Tribunale Bologna, 1 ottobre 2003)» (Tribunale Reggio Emilia, 27 agosto2011).

(35) A.E. Von Overbeck, Rapport explicatif, in Actes et documents de la Quinzième session (1984), tomoII, Trust – Loi applicable et reconnaissance, II, La Haye, Olanda, 1985, « La faculté prévue par l’article 13 estouverte aux juges de tous les Etats contractants, mais il est évident qu’il s’agit en fait d’une clause de sauvegarde enfaveur des Etats ne connaissant pas le trust»; e «On notera encore que cette disposition permet au juge d’un Etat neconnaissant pas le trust de refuser la reconnaissance du trust parce qu’il estime qu’il s’agit d’une situation interne»; e«La clause sera surtout utilisée par les juges qui estiment que la situation a été abusivement soustraite à l’applicationde leur propre loi», § 123 e § 124, pag. 397.

(36) La giurisprudenza di merito intende il combinato disposto degli artt. 11 e 13 Conv. rivolto al giudiceal quale sarebbe così consentito di «qualificare la tipologia di trust concretamente adottata al fine di apprezzarne ilprogramma negoziale... e di vagliare la compatibilità del trust e degli atti collegati (nonché della legge straniera pre-scelta dalle parti) con l’ordinamento giuridico italiano» (ex plurimis, Tribunale Trieste, 19 settembre 2007, decr.).

(37) Tribunale Trieste, 23 settembre 2005, cui adde Tribunale Reggio Emilia, 27 agosto 2011.

prevedono trattative vigilate con i creditori al fine della soluzione concor-data della crisi, né contemplano alcun potere di amministrazione o control-lo da parte del ceto creditorio o di un organo pubblico neutrale.

Del pari, altro è rispetto alle soluzioni negoziali delle crisi d’impresa ilrealizzare un’operazione – come il trasferimento in trust dell’azienda socia-le – elusiva del procedimento concorsuale e degli interessi più generali allacui soddisfazione esso è preposto: operazione che, sotto le vesti di attribui-re ai creditori la posizione di beneficiari, non permetta loro la condivisionedel governo del patrimonio insolvente, in una situazione per essi priva diutilità in ragione dell’insindacabile amministrazione del fondo in trust.

Ove, pertanto, la causa concreta del regolamento in trust sia quella disegregare tutti i beni dell’impresa, a scapito di forme pubblicistiche quale ilfallimento, che detta dettagliate procedure e requisiti a tutela dei creditoridel disponente, l’ordinamento non può accordarvi tutela. Il trust, sottraen-do il patrimonio o l’azienda al suo titolare ed impedendo una liquidazione

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precedenti, è questo il senso semiotico della parentesi – (iii) quanto all’art. 18, che ri-guarda specifiche disposizioni della stessa Convenzione.

Interpretazione, anche questa, controcorrente (38). Invocare come norma di riferimen-to quella dell’art. 15 che nel ragionamento di meritevolezza, si è visto, fornisce la giustifica-zione dell’escludere il negozio riconosciuto come trust convenzionale, in quanto in conflittocon la disciplina inderogabile interna o per l’intento in frode alla legge, volto a creare situazio-ni in contrasto con l’ordinamento in cui il negozio deve operare, vuol dire riconnettere il ri-fiuto del riconoscimento alla inderogabilità della disciplina concorsuale (39) che inderogabi-

(38) Notariato, Studio n. 161-2011/I – 1 marzo 2012, cit. (nt. 17) par. 3.(39) La giurisprudenza di merito che «a più riprese ha sancito la meritevolezza degli interessi perseguiti (sal-

vo casi di frode che sono stati opportunamente stigmatizzati e concernano i beni della stessa azienda che si trova instato di insolvenza)», infatti, richiama la regola dell’art. 15 Conv. Cfr. Tribunale Mantova, 18 aprile 2011: «Untrust liquidatorio che si ponga come dichiarato scopo quello di tutelare i creditori ricorrendo alla segregazione patri-moniale di tutto il patrimonio aziendale, quando l’impresa si trova già in stato di insolvenza (ed avrebbe pertantodovuto accedere agli istituti concorsuali), è incompatibile con la clausola di salvaguardia di cui all’art. 15, lettera e)della convenzione dell’Aja 1 luglio 1985. Un trust attuato in tale situazione costituisce un atto privatistico che miraa sottrarre agli organi della procedura concorsuale la liquidazione dei beni in assenza del presupposto sul quale pog-gia il potere dell’imprenditore di gestire il proprio patrimonio, ossia che l’impresa sia dotata di mezzi propri. Se cosìnon fosse a qualunque imprenditore insolvente che intende evitare il fallimento potrebbe essere consentito lo spos-sessamento di tutti i propri beni mediante conferimento in trust rendendoli non aggredibili dai creditori. In questocaso, la causa in concreto perseguita dal disponente si pone in contrasto con le norme di cui agli articoli 13 e 15, let-tera e) della citata convenzione e comporta la nullità dell’atto istitutivo del trust o comunque la nullità dell’effettosegregativo che ne scaturisce. Lo scopo di protezione dichiarato dal trust costituisce pertanto non un mezzo di tuteladel patrimonio nell’interesse dei creditori bensì un abusivo utilizzo del trust finalizzato a sottrarre il disponente allalegislazione concorsuale italiana e comunque un atto negoziale in frode alla legge ex art. 1344 cod. civ. in quanto mi-rante a realizzare effetti (la sottrazione del patrimonio dell’imprenditore insolvente ai creditori) ripugnanti per l’or-

vigilata – in quanto rimette per intero la liquidazione dell’attivo alla discre-zionalità del trustee – determina l’effetto, non accettabile per il nostro ordi-namento, di sottrarre il patrimonio del debitore ai procedimenti pubblici-stici di gestione delle crisi d’impresa ed all’attivo fallimentare della societàsettlor il patrimonio stesso.

7.5. – Ciò posto, occorre determinare le conseguenze di tale contrastocon i richiamati principi e discipline dell’ordinamento.

Come sopra accennato, secondo la Convenzione dell’Aja il trust è rego-lato dalla legge scelta dal disponente (art. 6) o, ma solo in mancanza di scel-ta, dalla legge con la quale ha collegamenti più stretti in dipendenza delluogo di amministrazione del trust, dell’ubicazione dei beni, della residen-za o domicilio del trustee e del luogo in cui lo scopo va realizzato (art. 7),disciplinando la legge così determinata la validità, l’interpretazione, gli ef-fetti e l’amministrazione del trust (art. 8).

Ove pertanto, come si desume nella specie dal ricorso, il trust sia rego-lato dalla legge di Jersey (Channel Islands), la validità del medesimo, se losi vuole riguardare quale atto istitutivo, andrebbe vagliata alla stregua diquella disciplina (nata per permettere con una certa ampiezza il ricorso allostrumento fiduciario).

Parte II - Giurisprudenza 627

le non è e, soprattutto, sottovalutare il fatto sostanziale che il negozio è già sorto cometrust (40).

Se la coerenza impone di escludere la sanzione di nullità al negozio istituito, poichéquesta presuppone che l’atto sia stato riconosciuto, si deve anche ammettere che il vaglio delgiudice interviene quando il negozio liquidatorio, sia o non sia riconosciuto come trust, è giàstato istituito, la legge regolatrice scelta o, comunque vigente, il trustee nominato, il patrimo-nio della liquidazione conferito (41). È soltanto a conferimento avvenuto che il creditore nonconvinto eccepisce la illegittimità del trust oppure contesta la insolvenza della società confe-rente. In assenza di una di queste due situazioni, la destinazione è raggiunta.

La sentenza segue il percorso meno aderente al concetto stesso di trust: il giudice pro-nuncia la sentenza dichiarativa del fallimento e disconosce il trust istituito (42), perché finisce

dinamento giuridico italiano» e Tribunale Reggio Emilia, 14 marzo 2011: «non appare meritevole di tutela il trustcostituito dal liquidatore mediante conferimento dell’intero patrimonio societario attivo e passivo con lo scopo di-chiarato di agevolare “l’eventuale commercializzazione del patrimonio, prevenendo eventuali azioni revocatorieconcorsuali” ed altresì di provvedere al pagamento dei creditori sociali nel rispetto della par condicio qualora, dal-l’analisi complessiva dell’atto istitutivo, si possa affermare che il trust in esame non fornisca alcuna utilità aggiunti-va alla liquidazione della società se non quella di sgravare il liquidatore dei compiti ad esso imposti dalla legge e diassegnargli la posizione di trustee”)», Tribunale Ravenna, 4 aprile 2013.

(40) Constatazione già in Tribunale Emilia, 2 maggio 2012; ma non per argomentare quanto in seguito,sebbene, per indicare, in accordo con quella dottrina alla quale aderisce, una modalità di trasferimento dei beniin trust al curatore del fallimento dichiarato.

(41) Non si è ancora verificato il caso di «accertamento negativo preventivo» o di «ricorso in prevenzione»contro l’atto istituendo, ma, sia pure in astratto, si deve escluderli poiché, come ben si coglie dalla sentenza incommento, e si è detto, è alla «causa concreta» che si deve fare riferimento, quindi all’atto già definito la cui rea-lizzazione si è poi mostrata non rispondente: si dice, infatti, l’atto è stato istituito in costanza di insolvenza.

(42) Incidenter tantum. Però, si disconosce ciò che è stato già riconosciuto, perché il trust è già stato

Ma al vaglio di validità secondo il diritto straniero prescelto è prelimi-nare la formulazione di un giudizio di riconoscibilità del trust nel nostroordinamento, nel raffronto con le norme inderogabili e di ordine pubblicoin materia di procedure concorsuali. E poiché il trust – secondo gli accerta-menti di merito della sentenza impugnata, che ha ravvisato come esso fucostituito in una situazione di insolvenza – si palesa oggettivamente incom-patibile con queste, lo strumento, ponendosi in deroga alle medesime, sarà«non riconoscibile» ai sensi dell’art. 15 della Convenzione.

Tale norma, invero, espressamente prevede che la Convenzione nonpossa costituire «ostacolo all’applicazione delle disposizioni della legge de-signata dalle norme del foro sul conflitto di leggi» in tema di «protezione deicreditori in caso di insolvenza» (ed applicandosi a società italiana disponen-te le disposizioni della legge fallimentare interna), e l’ultimo comma aggiun-ge che «qualora le disposizioni del precedente paragrafo siano di ostacolo alriconoscimento del trust, il giudice cercherà di attuare gli scopi del trust inaltro modo», così dunque palesando che proprio al giudice compete, e pro-prio per i motivi elencati nel primo comma, denegare il disconoscimento (eche dar corso alla procedura fallimentare costituisce appunto un modo com-patibile con l’ordinamento di realizzare il fine liquidatorio).

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per eludere artificiosamente le disposizioni concorsuali sottraendo al curatore la disponibilitàdell’attivo societario: pero, l’eludere disposizioni concorsuali e così sottrarre a quella discipli-na e al suo ufficio la disponibilità dell’attivo societario è espressamente ammesso dal sistema,tant’è che non lo si accetta soltanto se l’obiettivo è perseguito artificiosamente. Il requisitodella artificiosità appartiene all’area del motivo, non anche a quella della causa, specie se in-tesa come causa concreta. La causa concreta del trust liquidatorio esprime anche la modalitàcon cui si intende perseguire il risultato di liquidare in forma ordinata l’attivo aziendale, dinon immediata monetizzazione, per soddisfare il passivo al meglio (o al meno peggio) dellecondizioni del mercato; scelta, quella così proposta – liquidazione condotta dal trustee, af-francato da obblighi procedurali pur sempre rispettoso delle attese dei beneficiarî, come tu-telate dal sistema trust – che sulla scorta del giudizio controfattuale di fattibilità si confermapiù producente rispetto a quelle offerte dall’ordinamento.

La sopravvenuta irrealizzabilità della destinazione per lo stato conclamato di insolvenzacomporta per la Corte che se ne deve accertare – ora per allora – la coesistenza al momentodel conferimento in trust; coesistenza che, pur non impedendo all’imprenditore insolventedi evitare le procedure concorsuali, previste dalla stessa legge fallimentare, e di perseguire al-tri accordi con i creditori (i quali potrebbero, anche nel conclamato stato di insolvenza, ac-cettare la cessio bonorum), fissa la frattura, il discrimen fra il lecito e l’illecito nella artificiositàcon la quale sarebbe stato istituito il trust. E, a quanto si legge, l’artificio sarebbe costituitodal tacere l’insolvenza (43).

istituito nel momento in cui il giudice del merito lo esamina per disconoscerlo, a posteriori con effetto extunc.

(43) Sorprende la ragione con la quale si raffronta negativamente la soluzione negoziale della crisi d’impresacon il trasferimento in trust dell’azienda sociale che risulterebbe «elusiva del procedimento concorsuale e degli interes-si più generali alla cui soddisfazione esso è preposto in quanto sotto le vesti di attribuire ai creditori la posizione di bene-ficiari non permetterebbe loro di condividere il governo del patrimonio insolvente, mettendoli nella situazione per

Non sembra invece potersi fare riferimento all’art. 13, che si rivolge al-lo Stato; né all’art. 16, il quale richiama le norme di «applicazione necessa-ria», ossia di norme della lex fori operanti come limite all’applicazione deldiritto straniero eventualmente richiamato da una norma di conflitto, e chedunque presuppongono il trust già riconosciuto nell’ordinamento, sebbe-ne in parte regolato comunque da tali norme («onde, in presenza di similifattispecie, il giudice deve porre in disparte la regola di conflitto competen-te e fare spazio alla norma di applicazione necessaria nei limiti che essa sta-bilisce»: Cassazione, sez. I, 28 dicembre 2006, n. 27592; Cassazione, sez.un., ord. 20 febbraio 2007, n. 3841); lo stesso quanto all’art. 18, che riguar-da specifiche disposizioni della stessa Convenzione.

La conseguenza è che il giudice che pronuncia la sentenza dichiarativadel fallimento provvede incidenter tantum al disconoscimento del trust li-quidatorio, il quale finisce per eludere artificiosamente le disposizioni con-corsuali sottraendo al curatore la disponibilità dell’attivo societario; unavolta accertata la non riconoscibilità, lo strumento non produce alcun ef-fetto giuridico nel nostro ordinamento, in particolare non quello di creareun patrimonio separato, restando tamquam non esset; in tal caso, posto

Parte II - Giurisprudenza 629

Con un salto logico e temporale, sfuggito nello svolgere il ragionamento argomentati-vo, la sentenza conclude che il postumo accertamento comporta la non riconoscibilità, che asua volta determina la caducità degli effetti giuridici voluti dalla Convenzione (e dalla leggedi ratifica), «in particolare non quello di creare un patrimonio separato[non doveva essere se-gregato], restando tamquam non esset»; e, per rafforzare il proprio argomento, adduce «chela Convenzione ex art. 15 cit. non può costituire “ostacolo” all’applicazione della disciplina del-l’insolvenza, è quest’ultima a porsi, all’inverso, come ostacolo al riconoscimento del trust».Ma il trust è stato riconosciuto nel momento in cui si è ritenuto che i suoi interessi erano me-ritevoli di tutela, giusta quel «vaglio particolarmente attento» al quale è stata sottoposta lacausa concreta, da notaio e dal trustee nell’accettare l’ufficio. Superato il giudizio di merite-volezza, il passepartout del trust interno, si chiude lo spazio al successivo disconoscimen-to (44). Questo è un altro dei momenti che la sentenza non esplora (45).

essi priva di utilità; dove la ragione della dichiarata carenza di utilità consiste nell’insindacabile amministrazione delfondo in trust». Assodato che le sentenze risolvono sempre il singolo fatto, così come esposto e con le ragioni addot-te dalle parti, quindi ben può essere che quello affrontato dal Collegio abbia le caratteristiche che si descrivono, «al-tro è» affrontare a livello di principio di diritto la fattispecie «trust liquidatorio», il cui protector o enforcer potrebbeessere costituito dal «comitato dei creditori», di cui all’art. 40 segg. legge fallim. con i maggiori «poteri fiduciarî» dicui, in genere dispone, questa figura nel «trust di scopo», in primis proprio quello di sindacare l’amministrazione delfondo in trust; amministrazione il cui esito dovrebbe essere proprio quello di attribuire ai creditori quanto loro spet-ta in veste di beneficiarî del trust istituito: si veda, ad es. Tribunale Reggio Emilia, 14 maggio 2007.

(44) Nel ragionamento complessivo si inserisce la non indifferente questione, che appartiene alla discipli-na fallimentare, dell’individuare il discrimine tra lo «stato di crisi», che apre la strada delle soluzioni propositivee lo «stato di insolvenza» che obbliga la dichiarazione di fallimento.

Trovato il consenso sul limite, va anche considerato se la società è già in liquidazione, poiché la valutazionedel giudice, per l’art. 5 legge fallim., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimoniosociale consentono di soddisfare i creditori sociali in modo uguale e integrale, e ciò in quanto, non proponendosil’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddi-sfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali, e alla distribuzione dell’eventuale residuo

che la Convenzione ex art. 15 cit. non può costituire «ostacolo» all’applica-zione della disciplina dell’insolvenza, è quest’ultima a porsi, all’inverso, co-me ostacolo al riconoscimento del trust.

La sanzione della nullità (ex artt. 1343, 1344, 1345 e 1418 cod. civ.) pre-suppone che l’atto sia stato riconosciuto dal nostro ordinamento; il conflit-to con la disciplina inderogabile concorsuale determina invece la stessainesistenza giuridica del trust nel diritto interno.

Il trust deve essere disconosciuto dal giudice del merito, ogni volta chesia dichiarato il fallimento per essere accertata l’insolvenza del soggetto,ove l’insolvenza preesistesse all’atto istitutivo.

Dalla dichiarazione di fallimento deriva, quindi, l’integrale non ricono-scimento del trust, ai sensi dell’art. 15, comma 1, lett. e), della Convenzio-ne, ponendosi esso oggettivamente in contrasto con il principio di tuteladel ceto creditorio e per il fatto stesso che non consente il normale svolgi-mento della procedura a causa dell’effetto segregativo, il quale impedireb-be al curatore di amministrare e liquidare l’azienda ed, in generale, i beniconferiti in trust.

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6.2. – Si è già rilevato che la sentenza assume come uno dei suoi «postulati» che le uni-che soluzioni alternative, capaci di scongiurare il fallimento, viste con favore dal legislatoredegli ultimi due lustri, sono quelle negoziate sotto il controllo del ceto creditorio o del giudi-ce, donde deduce e adduce l’assoluta inderogabilità che giustifica il richiamo all’art. 15 Conv.L’Aja, il quale delimita l’applicabilità del testo convenzionale a favore delle norme interne intema di insolvenza; ma non rende ragione della implicita dichiarazione di falsità della contro-tesi di chi sostiene che siffatto «postulato» non trova riscontro nell’ordinamento e che ivi nonè rinvenibile il divieto di affrontare la crisi aziendale per atto di autonomia privata (46), men-tre afferma che «ciò che può evitare la situazione d’insolvenza non è in sé l’istituzione del trust,ma, semmai, l’attuazione del programma, con l’avvenuto pagamento dei creditori e la soddisfa-zione delle obbligazioni originariamente in capo al debitore» (par. 7.5.).

Constatando che l’interpretazione prevalente, allo stato attuale, in tema di trust internoindividua il «giudizio di meritevolezza» come momento del valutare sia la riconoscibilità siala liceità del trust liquidatorio – e nessuna delle sentenza di legittimità la ha sconfessata – ci sideve chiedere se il principio di diritto che emerge dalla sentenza determini che il notaio e lo

tra i soci, non è più richiesto che disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi diliquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (Cassazione, 14 ottobre 2009, n. 21834).

È ben vero che la sentenza in commento pone l’accento sulla artificiosità della soluzione attuata, che, comepar di capire, dovrebbe riferirsi al suo insieme: messa in liquidazione, istituzione del trust, trasferimento dell’at-tivo e del passivo al trustee, per cui lo stato di crisi andrebbe valutato a liquidazione non deliberata, ma rimaneancora da considerare la consapevolezza del trustee sul carattere pregiudizievole dell’atto, che non può non inte-grare la attribuita artificiosità. Il trust è una sorta di sistema complesso che è vero che ogni sua componente si de-termina in ragione di autonome motivazioni egoistiche, ma il cui risultato è la liceità o l’illiceità dell’insieme, tan-to che non è dichiarabile sham per la sola intenzione fraudolenta del disponente.

(45) La giurisprudenza, tutta quella finora formatasi, assume in modo implicito, che il vaglio di meritevo-lezza le appartenga come competenza esclusiva; poiché, però non è prevista una procedura come quella della exomologazione, quel vaglio appartiene – con la connessa responsabilità, che è il suo rovescio – sia al notaio sia altrustee: su cui Notariato, 2007, Il trust: diritto interno e Convenzione de L’Aja, Ruolo e responsabilità del no-taio.

(46) Tribunale Reggio Emilia, 2 maggio 2012.

La non riconoscibilità permane, sebbene il trust indichi fra i suoi scopiproprio quello di tutelare i creditori dell’impresa ricorrendo alla segrega-zione patrimoniale ed alla liquidazione, per la denegata equivalenza delledue procedure.

Invero, l’insolvenza, come non è nelle fattispecie generali esclusa dallamera capienza del patrimonio del debitore, così non è nella specie scongiu-rata dalla destinazione di quel patrimonio al soddisfacimento dei creditori.Ed infatti, ciò che può evitare la situazione d’insolvenza non è in sé l’istitu-zione del trust, ma, semmai, l’attuazione del programma, con l’avvenutopagamento dei creditori e la soddisfazione delle obbligazioni originaria-mente in capo al debitore.

Nelle ipotesi in cui, come nel caso in esame, l’atto istitutivo contenga laclausola (riportata dalle parti) di risoluzione allorché sopravvenga una vi-cenda concorsuale nei confronti della disponente (c.d. clausola di salva-guardia), essa resta inoperante, come tutto il negozio, privo in via assolutadi effetti in quanto non riconosciuto ab origine.

Parte II - Giurisprudenza 631

stesso trustee, specie se professionista, debbano essere chiamati a rispondere in responsabili-tà o, quanto meno, in via disciplinare per avere male valutato le condizioni dell’avvenuto ri-conoscimento. Perché non può essere messo in dubbio che il trust esiste, nella sua concretez-za operativa, nel momento in cui viene disconosciuto dal giudice fallimentare: è il dis-cono-scimento del riconosciuto, dal momento che l’atto istitutivo non è condizionato ad alcunasorta di «omologazione».

7. – Se il trust non è riconoscibile, per la accertata pre-insolvenza, i beni – l’attivo e ilpassivo – trasferiti al trustee perderebbero il beneficio di essere «patrimonio destinato» o«patrimonio separato» (47); il che val quanto dire che sarebbero aggredibili presso il trustee.Aggredibilità, però, a sua volta, limitata dalla avvenuta dichiarazione di fallimento, dato che«il trust deve essere disconosciuto dal giudice del merito, ogni volta che sia dichiarato il falli-mento per essere accertata l’insolvenza del soggetto» (48).

Il negozio di trasferimento, che è condizionato dal regime di circolazione del bene tra-sferito, regime che appartiene alla lex fori (e lo sarebbe anche se non vi fosse la disposizionedella Convenzione richiamata non solo dalla Corte), si è comunque perfezionato e i «beni»sono stati effettivamente trasferiti al trustee; sicché se l’atto istitutivo non esiste per l’ordina-mento, il negozio di trasferimento deve essere considerato tamquam non esset, essendone ve-nuta a mancare la causa (però, rimane pur sempre, come «fatto»), con la conseguenza, ricor-data dalla sentenza, della sanzione di nullità portata dalla disposizione della prima parte delcomma 2 dell’art. 1418 cod. civ. (49).

Tuttavia, i «beni» – l’attivo e il passivo della società in liquidazione – sono stati trasferitial trustee, la liquidità è confluita sul conto bancario aperto per il trust, gli immobili e i mobiliregistrati sono stati intestati al trust (50), e il trustee ha iniziato a compiere gli atti per realizza-

(47) L’«inefficacia» della «separazione» o «destinazione» non sarebbe scongiurata dalle eventuali «clauso-le che ne limitino l’operatività in caso di insolvenza conclamata» (Tribunale Mantova, 18 aprile 2011) o che preve-dano la consegna dei beni al nominato curatore.

(48) Come, ormai, è ovvio «ove l’insolvenza preesista all’atto istitutivo».(49) «Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’articolo 1325, ...».(50) «Contro il disponete a favore del trust con unica formalità di trascrizione senza che ciò presupponga la

soggettività del trust» (Tribunale Torino, 18 marzo 2014, decreto; 10 febbraio 2011; Appello Venezia, 10 luglio

Ove, inoltre, la Società sia stata cancellata dal registro delle impresedopo l’istituzione del trust, essa è estinta ma, per quanto sopra esposto, aisensi della legge fallim., art. 10, opera la fictio iuris dell’esistenza dell’ente:rispetto a questa va, pertanto, valutato il requisito dell’insolvenza.

In conclusione, il trust liquidatorio in presenza di uno stato preesisten-te di insolvenza non è riconoscibile nell’ordinamento italiano, onde il ne-gozio non ha l’effetto di segregazione desiderato; l’inefficacia non è esclusané dal fine dichiarato di provvedere alla liquidazione armonica della socie-tà nell’esclusivo interesse del ceto creditorio (od equivalenti), né dalla clau-sola che, in caso di procedura concorsuale sopravvenuta, preveda la conse-gna dei beni al curatore.

7.6. – Se l’atto istitutivo del trust è tamquam non esset, occorre poi con-siderare quale sorte abbia il trasferimento dei beni o dell’azienda operatoin favore del trustee.

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re lo scopo, vendere il vendibile per pagare i creditori; il liquidatore ha presentato il bilanciodi finale liquidazione e la società è stata cancellata dal Registro delle imprese (51): dunque, (i)irriconoscibilità del negozio come trust, (ii) nullità del negozio di trasferimento, (iii) illegitti-mità della cancellazione o (iv) diversità del chiamato a rappresentare la società cancellata, (v)liceità delle operazioni compiute dal trustee (52) e (vi) legittimità dei terzi acquirenti dal tru-stee, fatta salvezza di eventuali azioni revocatorie se e in quanto proponibili (e, dunque, an-cora, se e in quanto sia accertabile la consapevolezza del trustee). Ossia, una parte del per-corso, del «programma concreto», che si dice legittimato dal «programma di segregazione», ègià stato compiuto. Questa variante del tema non è stata presa in considerazione dalla deci-sione e la soluzione potrebbe essere proprio quella indicata dalla giurisprudenza di meritocon la citata clausola di sopravvenuta dichiarazione di insolvenza che impone al trustee diconsegnare i beni al curatore o a chi per esso (53).

2014, secondo cui «la Convenzione dell’Aja, cui il nostro Stato ha aderito, nel descrivere il trust non lo circoscrivead atti esclusivamente traslativi dei beni che no vengono assoggettati, stabilendo solo che ad essi venga data una spe-cifica destinazione e scopo, sicché la valutazione di compatibilità con la legislazione interna va riferita alla ammissi-bilità nell’ordinamento di ipotesi di sottoposizione a vincoli di beni determinati anche al di fuori di fenomeni sepa-rativi della proprietà, o disponibilità, dei beni stessi dal disponente... all’interno di un siffatto quadro normativo, efatta salva la condizione di liceità e compatibilità prevista dall’ultima parte dell’art. 12 della Convenzione dell’Aja,non vi sono disposizioni espresse né principi del nostro ordinamento che, ponendosi come limiti interni all’applica-bilità dell’art. 12 stesso, configurino un divieto di trascrizione del trust, anche nella forma del trust interno autodi-chiarato, che non comporti effetti traslativi dei beni e per la cui ammissibilità, ad eccezione del divieto dell’illiceità,deve considerarsi richiesto il solo rispetto delle condizioni stabilite dalla Convenzione»; contra, Tribunale ReggioEmilia, 25 marzo 2013; 25 febbraio 2014).

(51) Sul punto cfr. infra par. 8.(52) Quelle di cui la corte territoriale ha contestato la mancanza: «il mancato compimento di qualsiasi con-

creta attività di liquidazione (non essendo indicato nel c.d. libro degli eventi quali di tali attività siano state avviatenei confronti dei creditori sociali)» attestabili in qualunque modo, non essendo prescritto di istituire alcun librodegli eventi, sia dalla Convenzione sia dalla «legge regolatrice» [anzi, sconosciuto dalla quasi totalità delle leggiregolatrici]: è la stessa contabilità del trust che le documenta.

(53) «... Dunque tutte le volte che il trust liquidatorio contenga nelle sue regole e nel suo programma una pre-tesa di sopravvivenza rispetto all’apertura della procedura concorsuale i vizi dell’atto istitutivo sarebbero originari e

Secondo l’art. 4 della Convenzione, questa non si applica alle questionipreliminari relative alla validità degli «atti giuridici in virtù dei quali dei be-ni sono trasferiti al trustee». Alla stregua, dunque, della legge interna, dalmomento che il negozio istitutivo del trust si pone come antecedente cau-sale (almeno dal punto di vista logico-giuridico, anche qualora contestuale)dell’attribuzione patrimoniale operata con l’atto di trasferimento dei beni,ove non riconoscibile il primo diviene privo di causa il secondo (nullo exart. 1418 cod. civ., comma 2, prima parte, perché operato in esecuzione dinegozio non riconoscibile).

In tal modo, il curatore, per effetto dello spossessamento fallimentareche priva il fallito della disponibilità di suoi beni, tra i quali sono da ricom-prendere tutti i diritti patrimoniali inefficacemente trasferiti, può material-mente procedere all’apprensione di essi.

7.7. – La corte d’appello ha accertato, in punto di fatto, che il trust èstato costituito dalla società insolvente, affidando il ruolo di trustee allo

Parte II - Giurisprudenza 633

8.1. – Le due osservazioni finali suscitate dal testo sono rivolte, l’una, alla avvenutacancellazione della società in liquidazione dal Registro delle imprese; l’altra, alla fattispecie«trust autodichiarato».

L’effetto della cancellazione è condizionato, si è già visto, da un canto, dal momento incui questa viene annotata; dall’altro canto, dalla regola di cui all’art. 2191 cod. civ.

Per il primo, il decorso dell’anno serve come discrimine per la legittimazione soggettivadel chiamato al contraddittorio, il liquidatore se entro l’anno, i soci se trascorso l’anno dalmomento della annotazione della avvenuta cancellazione.

Per il secondo, si ha che può essere disposta, anche «d’ufficio» (54), la cancellazione del-la iscrizione relativa alla cancellazione dal Registro delle imprese, se è avvenuta «senza cheesistano le condizioni richieste dalla legge», in particolare quando il bilancio finale di liquida-zione non presenta il contenuto richiesto dall’art. 2492 cod. civ. per essere (i) stata deliberatala nomina del liquidatore, (ii) stato disposto il conferimento di tutto il patrimonio attivo epassivo dell’ente all’apposito trust liquidatorio costituito nella stessa giornata, (iii) stato sot-toposto all’assemblea dei soci il bilancio finale di liquidazione, privo di qualsiasi indicazionesull’esito delle attività liquidatorie, ossia l’avvenuta integrale liquidazione dell’attivo con ilpagamento dei creditori e dei finanziatori postergati ex art. 2467 cod. civ., il residuo attivo dadistribuire pro quota ai soci, residuo che delimita, ex art. 2495, comma 2, cod. civ., la misuradella responsabilità patrimoniale personale degli (ex) soci rispetto agli eventuali creditori so-ciali rimasti insoddisfatti (55).

Questa interpretazione – per la quale «restano irrilevanti eventuali considerazioni in or-dine alla mancanza di interesse del fallimento (che ha chiesto nell’ambito di distinto procedi-mento contenzioso declaratoria di nullità/inefficacia dell’atto di istituzione del trust)» – è un

non sopravvenuti, con riverbero su tutti gli atti di disposizione del disponente ed anche su quelli medio temporecompiuti dal trustee. Naturalmente anche tale rigorosa impostazione non esclude che il curatore agendo nell’interes-se della massa ben potrebbe decidere, attraverso un percorso transattivo, di approfittare del trust, ove più convenien-te dell’esperimento delle azioni giudiziarie, laddove l’opzione fosse condivisa dai creditori concorrenti», M.Atzori,Riflessioni finali sui trust liquidatori, in Aa.Vv.,Moderni sviluppi del trust, Padova, 2011, pag. 549 segg.

(54) Come indicherebbe la rubrica dell’art. 2191 cod. civ., «cancellazione d’ufficio».(55) Tribunale Milano, sez. specializzata in materia d’impresa, 22 novembre 2013, n. 8851; e Giudice regi-

stro, 12 settembre 2013.

stesso liquidatore sociale e che è mancato il compimento di qualsiasi con-creta attività di liquidazione, non essendo indicate nel c.d. libro degli even-ti quali di tali attività siano state avviate in favore dei creditori sociali.

Sulla base di tali elementi e degli altri rilevati – l’entità del debito neiconfronti di Equitalia Sud s.p.a., gli infruttuosi tentativi di pignoramento,il ridotto attivo indicato dalla società per contestare il suo stato di insolven-za, l’immediata cancellazione della società dal registro delle imprese – lacorte d’appello ha ravvisato il concreto pericolo che il trust sia stato utiliz-zato al solo fine di eludere la disciplina imperativa concorsuale.

La ricorrente contrappone (sotto il profilo del vizio motivazionale) laconsiderazione secondo cui, al contrario, una serie di indizi, che assumeprovati innanzi ai giudici di merito, rendevano palese la piena liceità deltrust, ovvero: la segregazione dei beni conferiti rispetto al patrimonio per-sonale del trustee e la costituzione del trust proprio a beneficio dei credito-

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altro aspetto della medesima questione originata dalla ammissibilità del «trust liquidatorio»,in particolare del momento in cui se ne determina la riconoscibilità. Infatti, se lo scopo è ilsostituirsi alla «liquidazione», che pretermetterebbe il procedimento endosocietario, nasce-rebbe irriconoscibile e lo dovrebbe essere anche per il notaio (56) chiamato a redigere l’atto eper il liquidatore che lo istituisce e per il trustee che ne accetta l’ufficio (57).

Tuttavia, (anche se questa è soluzione forse meno interessante per i cultori del trust li-quidatorio) il liquidatore, trasferito l’intero patrimonio sociale, attivo e passivo, all’istituitotrust, potrebbe attendere di vedere realizzato lo «scopo» per presentare il bilancio di finaleliquidazione e chiedere la cancellazione della società (58).

8.2. – Sulla fattispecie trust-auto-dichiarato, che nel caso esaminato viene escluso in ra-gione della alterità soggettiva, la sentenza ripropone il disfavore della Corte, osservando chela corte del merito aveva assunto, correttamente, la circostanza come indizio significativo dellailliceità dell’atto, in quanto manca nella sostanza un vero affidamento intersoggettivo dei beni.

In precedenza aveva confermato la decisione del giudice a quo il quale aveva ritenuto,con motivazione pertinente e plausibile, che «in ragione del peculiare regime del trust in que-stione, la relativa costituzione sarebbe avvenuta in frode ai diritti dei creditori... osservandoche in sostanza, si sarebbe trattato di un mero espediente giuridico, posto in essere dall’O. al fi-ne precipuo di tenere distinti i beni in questione dal proprio patrimonio personale, di fatto peròmantenendo la disponibilità dei beni conferiti, in quanto egli stesso era trustee, ossia soggettofiduciario incaricato della gestione (in definitiva, fiduciario di se stesso), senza vincolo di sortaod obbligo di giustificare i propri poteri, dunque al di là di qualsivoglia controllo da parte dei be-neficiari. E si precisa è appena il caso di osservare che il trust si sostanzia nell’affidamento ad

(56) Il tema è stato ben affrontato dal Consiglio Nazionale del Notariato, nello Studio citato (nt. 17), il cuipar. 6 è destinato ad «alcune conclusive riflessioni sulla posizione del notaio chiamato a ricevere siffatti trust» voltea evidenziare quello che potrebbe essere il rischio del professionista qualora non adottasse particolare attenzioneall’atto che gli si chiede di redigere e che «rende consigliabile l’estrema cautela nel ricevere siffatti atti istitutivi ditrust». l’approfondito «Studio» non si occupa dell’aspetto funzionale dell’accettazione del trustee all’ufficio chegli è proposto. È ben vero che, al pari della sentenza in esame, lo Studio è influenzato dalla casistica in cui preva-le, il cosiddetto «trist-interno-auto-dichiarato», però la consapevolezza del trustee nell’accettare l’ufficio è argo-mento forte per delimitare l’area di responsabilità del notaio e lo stesso accertamento dello «stato» dell’aziendanel momento del conferimento.

(57) Non anche per il protector, per la sostanziale differenza del rispettivo ufficio.(58) L’effetto destinazione-separazione potrebbe comunque conseguire il risultato voluto, poiché i credi-

tori potrebbero accettare la moratoria proposta dal trustee.

ri; la condizione risolutiva apposta al trust per il caso di declaratoria di fal-limento della società preponente; il compimento di varie attività liquidato-rie; l’avere il trust posto a disposizione del curatore tutto quanto in suopossesso. Ne deriva, nell’assunto, che non sussiste lo stato di decozione,anche tenuto conto della circostanza che, ove sia invalido e privo di effettiil trust, la conseguenza sarebbe l’attribuzione alla società del patrimonioconferito.

Le censure in esame sono in parte inammissibili, laddove, sotto la vestedel vizio motivazionale, mirano a riproporre un giudizio sul fatto: come èreso evidente dalla stessa riproduzione, nel corpo del ricorso, di alcuni do-cumenti, da cui dovrebbe trarsi la prova della liceità del trust. L’inammissi-

Parte II - Giurisprudenza 635

un terzo di determinati beni perché questi li amministri e gestisca quale «proprietario»... pre-supposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il detto disponente perda la disponibi-lità di quanto abbia conferito... condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perditadel controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (shamtrust)...» (59).

Federico Di Maio

Avvocato in Milano

(59) Cassazione pen., 30 marzo 2011, n. 13276, l’evidenza è di chi scrive.

bilità del sindacato di merito sulla decisione impugnata impedisce, tutta-via, alla Corte la conoscenza diretta dei documenti depositati dalle parti neiprecedenti gradi, anche qualora essi vengano riprodotti mediante fotoco-pia all’interno del ricorso stesso; mentre il giudice del merito ha asserito es-sere rimaste indimostrate le predette circostanze.

Per il resto, alla stregua dei principi esposti, la sentenza impugnata nonsi presta a nessuna delle censure formulate; quanto alla coincidenza dellapersona del trustee con quella del liquidatore, se da un punto di vista for-male non qualifica il trust come «auto dichiarato» in ragione della alteritàsoggettiva, la circostanza è stata però correttamente assunta dalla corte delmerito come indizio significativo della illiceità dell’atto, mancando nellasostanza un vero affidamento intersoggettivo dei beni.

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