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Assessorato alla Cultura 15 Dicembre 1860 - 15 Dicembre 2010 Salò città d’Italia a cura di Giuseppe Piotti

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Opuscolo celebrativo per il 150° del titolo di Città

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Assessoratoalla Cultura 15 Dicembre 1860 - 15 Dicembre 2010

Salò città d’Italiaa cura di

Giuseppe Piotti

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150° ANNIVERSARIO: PERCHE’ FESTEGGIARE?! Quello che avete tra le mani si potrebbe certo definire un “opuscolo

celebrativo” di una ricorrenza che abbiamo voluto sottolineare con ma-nifestazioni e appuntamenti che potrebbero apparire, ad una lettura superficiale, fin troppo enfatizzati.

Ma che bisogno c’era di celebrare questi 150 anni di Salò Città e Capo-luogo di circondario?

E che ci guadagniamo a sentirci più uniti nel vincolo salodiano e, più in generale, in quello italiano?

Di fatto, di sostanza ci preme farVi cogliere quel particolare e, a mio avviso, unico, significato di fare memoria di un passato che ha posto le basi per delineare quella prestigiosa immagine che contraddistingue la nostra Salò, cresciuta in 150 anni di appassionato lavoro: quello degli uomini che hanno costruito la nostra Città, la nostra Nazione, giungen-do con orgoglio e fierezza oggi inimitabili anche al sacrificio supremo.

La ricognizione del passato – che potrebbe apparire quanto mai “re-moto”, ma, in vero, solo “prossimo” – per meglio comprendere il signi-ficato dei comportamenti, delle scelte, delle imprese dei nostri nonni, dei nostri padri ci ha stimolati a rivisitare quel periodo attraverso la len-te attenta del prof. Giuseppe Piotti cui vanno il più sentito plauso e il più sincero dei ringraziamenti.

Non è un’operazione di nostalgia, ma una ricerca doverosa che ci re-stituisce un quadro nel quale ritroviamo date, personaggi, nomi ma anche valori, suggestioni e significati che, rivelando la nostra identità di ieri, ci ribadisce la validità, nella continuità, dell’impegno del quale ci facciamo oggi carico.

Mi auguro che la lettura di queste pagine stimoli quella consapevole memoria di una storia che è di tutti e che seppure domani sarà relegata nell’angolo più nascosto della libreria e della nostra mente, potrà sem-pre riaffiorare come consapevole momento di riflessione, di ricordo affettuoso, talvolta di rimpianto non sopito, comunque di esperienza inalienabile.

Buon compleanno, salodiani! Salò, 15 dicembre 2010

IL SINDACO Barbara Botti

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IL RISORGIMENTO A SALÒ

Il 15 dicembre 1860 il re di Sardegna, non ancora formalmente re d’Italia, attraverso il suo Luogotenente principe Eugenio di Savoia Cari-gnano, conferiva a Salò il titolo di città, insieme alla nomina a capoluo-go di circondario.

A quell’epoca l’unificazione dell’Italia era già in gran parte realizza-ta, attraverso la seconda guerra di indipendenza, che nel 1859 aveva portato all’annessione della Lombardia al Piemonte e grazie all’impre-sa di Garibaldi, che nel 1860 aveva condotto all’acquisizione dell’Italia centrale e meridionale. Mancavano il Veneto, che sarebbe stato guada-gnato con la guerra del 1866 (3^ guerra d’indipendenza), Roma, con-quistata nel 1870, il Trentino Alto-Adige e il Friuli-Venezia Giulia, che sarebbero stati uniti all’Italia in conseguenza della Grande Guerra.

Il 1861 avrebbe visto nascere anche formalmente ed ufficialmente il Regno d’Italia con la seduta inaugurale del primo parlamento italiano il 18 febbraio e la solenne proclamazione della nuova entità statale il 17 marzo.

Perché un riconoscimento così solenne e precoce a Salò dalla corte dei Savoia?

Per trovare risposta a questa domanda ripercorriamo brevemente la storia salodiana degli anni precedenti, che avevano visto realizzarsi an-che nelle nostre terre il movimento risorgimentale.

L’ingresso nel secolo XIX non era stato felice per la nostra città. Nel 1797, con la caduta della Repubblica di Venezia, Salò aveva perso irri-mediabilmente il suo antico ruolo di capitale della Magnifica Patria (la Comunità di Riviera) ed aveva sofferto numerose violenze da parte del-le truppe occupanti, francesi ed austriache, secondo le alterne vicende delle guerre continentali.

Sia sotto il regime napoleonico sia durante la Restaurazione, la nostra città era stata ridotta ad un ruolo periferico, capoluogo di una piccola circoscrizione locale sotto il controllo di Brescia e questa degradazio-ne politico-amministrativa era stata accompagnata da una progressiva decadenza economica, prodotta dalle sfavorevoli condizioni dei nuovi contesti politici e dalla inadeguatezza tecnologica delle attività produt-tive tradizionali, come la storica manifattura del refe.

Il futuro appariva tristemente caratterizzato da una prospettiva di irri-mediabile declino. Negli anni della dominazione austriaca (1814-1859) Salò visse tra luci ed ombre: ormai consolidato il tramonto politico e sempre più sofferente la lavorazione del lino, la società salodiana go-deva di una relativa ricchezza grazie all’agricoltura specializzata del circondario (vite e olivo), ma soprattutto ad una ancora folta schiera di

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imprese artigianali e commerciali.Purtroppo, alle difficoltà strutturali si aggiunsero ben presto alcune

sfavorevoli contingenze naturali con conseguenze economiche e so-ciali deleterie: nel 1836 imperversò una grave epidemia di colera, che paralizzò ogni attività per parecchio tempo e a più riprese si verificaro-no cattive annate agrarie a causa dell’inclemenza del clima. Per questo nel corso degli anni Trenta le maggiori preoccupazioni della classe diri-gente locale riguardarono la sanità, la povertà e l’assistenza.

Aspetti positivi dell’amministrazione asburgica ci furono, soprattutto nel settore dei trasporti: furono migliora-te le comunicazioni con Brescia e la Val-sabbia, fu costruita la strada delle Zette, che collegava Salò a Desenzano, iniziò la navigazione a vapore sul lago con il varo del piroscafo “Arciduca Ranieri”, che ri-marrà in servizio fino al 1848.

Tuttavia, negli anni Trenta cominciò a manifestarsi un diffuso malcontento an-tiaustriaco, che traeva probabilmente alimento sia dal controllo poliziesco piut-tosto invadente sia dalla scarsa attenzio-ne mostrata dal governo imperiale per lo sviluppo dell’economia locale.

Nel 1830 nacque nella nostra città una sezione della “Società del Casino”, un club r i s e r v a t o alle classi

sociali più elevate, un’occasione di ritro-vo, di svago e di conversazione, in cui co-minciarono a maturare idee e prospettive politiche alternative rispetto al presente.

La Società, che inizialmente si riuniva in una casa privata e poi nella sede dell’Ate-neo, fu presto oggetto delle attenzioni della polizia, che la considerava quasi come una società segreta e ciò suscitò nella classe dirigente i primi sentimenti di insofferenza verso lo Stato.

Negli anni Quaranta si moltiplicarono i segni della incipiente “italianità” salodia-na, come si evince dalle sempre più al-larmate relazioni della polizia locale agli

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uffici superiori di Brescia.Nel 1847, anno molto difficile non solo

per Salò, ma per l’Italia e l’Europa, a causa di una grave crisi economica ed agraria, mentre in vari stati italiani si moltiplicava-no le manifestazioni popolari a sostegno delle riforme e della concessione di sta-tuti, sui muri della città cominciarono ad apparire scritte come “Morte ai tedeschi” o “Viva Pio IX”, segni inequivocabili di una crescente opinione pubblica favorevole al cambiamento e sensibile al mito allora in pieno vigore di un papa liberale e patriot-tico.

La riprova che queste tensioni superfi-ciali fossero indice di un radicamento or-mai diffuso dell’aspirazione indipendenti-

sta si ebbe nella primavera del 1848, quando Milano si ribellò con le armi agli austriaci, cacciandoli dopo cinque giorni di battaglia (le famo-se Cinque Giornate, 18-22 marzo 1848).

Già il 19 marzo Salò reagì alle prime notizie dei moti e, come narra una cronaca del tempo, “il popolo, elettrizzato dalle notizie dei moti di Mi-lano e di Brescia giunte in Salò, mosso da alcuni dei più giovani e arditi che da tempo aspettavano con ansia l’occasione di agire, si portò alla gendarmeria e disarmò e fece prigionieri i gendarmi e i pochi soldati tedeschi che vi erano per rinforzo”.

Il primo atto degli insorti fu la costituzio-ne della Guardia Nazionale, un corpo ar-mato formato da cittadini, nato dall’esem-pio della Francia rivoluzionaria del 1789 e destinato al controllo dell’ordine pubbli-co e alla difesa del territorio, in alternativa alle truppe ed alla polizia dell’impero au-striaco; al comando di essa fu designato il capitano Domenico Grisetti, già combat-tente nell’esercito di Napoleone e poi di Gioacchino Murat.

Il giorno successivo, in un ambiente sempre più in fibrillazione per le notizie esaltanti che giungevano da Milano, i ri-voltosi si diressero verso il palazzo muni-cipale, da cui rimossero le insegne asbur-

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giche, accompagnati da rumorose mani-festazioni dell’entusiasmo popolare.

La Guardia Nazionale di Salò, nonostan-te la sua scarsa esperienza ed improvvisa-ta organizzazione (era nata il 21 marzo!), ebbe modo di distinguersi in un scontro a fuoco con un reparto dell’esercito au-striaco presso Gavardo, nella località nota col nome di Budellone, nella notte tra il 22 ed il 23 marzo, mentre si dirigeva verso Brescia per dar man forte alla locale ribel-lione.

Come si legge in un rapporto del 25 marzo al comando di Salò, un drappello di ottanta salodiani ed alcune guardie di Villanuova, sotto il comando dell’ufficiale Carlo Rossini, “s’incontrò con un corpo di

militari di circa trecento individui, tutti forniti di armi e bagaglio, i qua-li si qualificarono per soldati italiani, ma essendo col chiaro della luna riconosciuti per austriaci, il comandante, dopo di aver disposto le guar-die nei vicini campi, ordinò di far fuoco, al quale avendo risposto vigo-rosamente il militare di triplice numero, venne continuato fino a che gli austriaci si diressero verso Nuvolento ed indi verso Gavardo, spiegando al comparir della luce il segnale bianco”.

Lo scontro si concluse con un ferito grave nelle file degli austriaci, i quali poi si diressero in ritirata verso la Valsabbia.

Intanto, mentre anche Brescia si libe-rava, Salò cominciava a darsi un assetto amministrativo da città libera, con una municipalità guidata da due deputati che avrebbero ancora fatto parlare di sé: Carlo Filippini, che aveva aperto nel 1836 una cereria tuttora esistente, e Giovanbattista Bellini, un patriota che avrebbe pagato con il temporaneo esilio la sua ribellione, ma che sarebbe stato in seguito un auto-revole uomo politico nella nostra città.

Il 27 marzo il regno di Sardegna entrò in guerra e l’esercito sabaudo penetrò in Lombardia dirigendosi verso oriente per incontrare e battere gli austriaci.

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Ciò conferì alle speranze di libertà dei patrioti gardesani una promettente con-cretezza, ma la ritirata degli austriaci fece sentire ai nostri concittadini il peso della guerra, poiché le truppe asburgiche, ac-campatesi vicino a Salò, si abbandona-rono a saccheggi ed imposero alla muni-cipalità pesanti esborsi. All’arrivo dei vo-lontari italiani che affiancavano le truppe piemontesi gli austriaci si allontanarono e il territorio di Salò fu liberato.

Decisiva, a questo proposito, fu la batta-glia di Goito, in cui Carlo Alberto riportò un’importante vittoria, che gli permise di controllare, provvisoriamente, la Lombar-dia.

Cominciò un periodo, breve, di organiz-zazione della nuova realtà politica e militare. Continuò il reclutamento della Guardia Nazionale, a cui aderirono molti salodiani e rivieraschi, molti dei quali saranno protagonisti della vita sociale, economica e po-litica di Salò nei decenni successivi.

I salodiani parteciparono con entusiasmo agli eventi di quelle dram-matiche settimane e molti ne troviamo nelle file della Guardia Nazio-nale e dei diversi corpi di volontari che combatterono nel circondario e si impegnarono a sorvegliare le frontiere, soprattutto verso nord, da cui ci si attendeva, come dalle acque del lago, la reazione aggressiva del nemico.

Con altrettanto motivato zelo diedero vita alle numerose manifesta-zioni pubbliche con cui celebrarono la rivoluzione in corso e cercarono di diffonderne lo spirito all’intera popolazione.

Una di esse, la benedizione della bandiera, la bandiera italiana, in cui il comune coinvolse anche l’arciprete di Salò, monsignor Giovanni Curti, ci viene descritta dal diario di un volontario salodiano dell’epoca, Gior-gio Pirlo: “Rivoluzione in Salò: presenzio alla benedizione della bandie-ra nazionale e dell’albero della libertà, per la prima volta sento il grido “Viva Pio IX” mentre in parrocchia viene cantato il “Te Deum” dall’arci-prete Curti alla presenza delle autorità e della Guardia Nazionale; arrivo dei volontari della colonna Manara; tutti noi bambini riceviamo nella casa delle Salesiane dolci e caramelle”.

Certo, la guerra aveva anche un aspetto meno entusiasmante, che tuttavia Salò sopportò con pazienza e speranza: le contribuzioni chie-ste dall’esercito per sostenere le operazioni militari, i finanziamenti e le

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forniture alla Guardia Nazionale, l’accoglienza e la cura dei moltissimi feriti delle battaglie combattute a sud del lago, che impegnò duramen-te l’ospedale salodiano, in cui nel solo 1848 furono ricoverati 5.922 mi-litari e 3.157 volontari.

Tuttavia le sorti della guerra erano destinate a volgere al peggio, fin-chè la battaglia di Custoza, in cui i piemontesi furono duramente scon-fitti il 26 luglio, determinò l’irrimediabile fallimento del sogno unitario, almeno in quella fase storica. Carlo Alberto si ritirò e il 9 agosto firmò l’armistizio con l’Austria, il cui esercitò rientrò trionfalmente a Salò il 16 agosto.

Il decennio successivo fu per Salò, e non solo, molto tormentato. In-nanzittutto il rapporto con l’Austria apparve molto più difficile, special-mente dopo le ulteriori fiammate rivoluzionarie del 1849, che videro Brescia in prima linea contro gli occupanti con le famose e tragiche “dieci giornate”.

Salò, un po’ pavidamente, cercò di distinguersi in quei giorni dalla cit-tà, facendo professione di fedeltà agli Asburgo, ma non riuscì ad evitare le misure punitive imposte dall’Austria alle terre ribelli, consistenti in una gravosissima penale e in un controllo poliziesco molto più oppri-mente. Dopo i moti del ’48 non pochi salodiani erano emigrati in Pie-monte, seguendo le truppe di Carlo Alberto ed avevano trovato impie-go nell’armata sabauda o, comunque, nel Regno di Sardegna.

Alcuni di essi avevano fatto poi ritorno in patria, grazie ad un’amnistia concessa dall’imperatore, altri erano rimasti in esilio, subendo a Salò la confisca dei beni. Tra gli “emigrati illegali”, come li definiva la polizia au-striaca, ricordiamo Andrea Rotingo, Lorenzo Archetti, Andrea Cattaneo, Paolo Ficca, Agostino Lanfranchi, Giuseppe Butturini, Carlo Caravaggi, Giovanni Battista Ambrosi e Carlo Vitalini.

D’altra parte, l’economia soffrì a metà degli anni Cinquanta per le in-temperanze del clima e per una malattia delle viti, che ridusse drastica-mente la produzione del vino, una delle colonne portanti del sosten-tamento del sistema produttivo locale. Infine, nel 1855, come in altre regioni italiane, anche sul Garda si ripresentò il colera con i suoi funesti effetti.

La società salodiana visse pacificamente fino al 1859, ma non senza manifestare segni di insofferenza per la dominazione austriaca, come dimostra simmetricamente l’attenzione della polizia per fenomeni che, almeno indirettamente, potevano esprimere la divergenza dei sudditi dal governo imperiale.

Uno di questi eventi fu la nascita della Società di Mutuo Soccorso ar-tigiana e operaia, che, dopo un periodo di preparazione e di complesse pratiche burocratiche iniziato nel 1857, vide la luce il 2 gennaio 1859

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con la prima assemblea sociale nella chiesa di Santa Giustina.L’associazione, la prima del genere nella provincia di Brescia, aveva

un’ispirazione liberale e patriottica, anche se, strettamente vigilata an-cor prima del suo nascere dalla polizia, doveva dissimulare il suo pen-siero; tuttavia, basterebbe osservare che il più attivo ed influente dei suoi fondatori e poi primo presidente, destinato a rimanere in carica per circa cinquant’anni, era l’avvocato Pietro Zanoli, già ufficiale della Guardia Nazionale nel 1848 e partecipe della difesa di Venezia nel 1849, per capire quale fosse il suo orientamento.

La domanda di costituzione della società fu a lungo esaminata dalla burocrazia imperiale e la bozza dello statuto a più riprese corretta e, una volta che queste pratiche furono espletate, lo Stato impose la pre-senza di un “commissario politico” che controllasse da vicino gli atti del sodalizio.

La Mutuo Soccorso, che raccolse centinaia di iscritti e si diffuse attra-verso le sue sezioni fino a Toscolano, manifestò la sua vocazione pa-triottica partecipando nel 1860 ad una colletta nazionale per sostenere l’impresa di Garibaldi in Sicilia e nel 1862 affidando al Generale la pre-sidenza onoraria. Durante la sua lunga vita, che, con identità parzial-

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mente diversa, prosegue ancora ai giorni nostri, svolse una funzione di soccorso rispetto ai bisogni delle classi lavoratrici (artigiani e operai, appunto) e di educazione popolare; tra le sue opere ricordiamo la fon-dazione della Banca Popolare di Salò.

Pochi mesi dopo la nascita della società, il movimento risorgimentale italiano subì una nuova accelerazione: il 26 aprile 1859, a conclusione di un iter diplomatico piuttosto complesso, iniziava la seconda guerra d’indipendenza, che vedeva il Regno di Sardegna schierato insieme alla Francia di Napoleone III contro l’Austria.

Come dieci anni prima, la guerra si svolse in terra lombarda ed ebbe il suo momento cruciale vicino alle rive del lago di Garda con le battaglie di San Martino e Solferino, in cui i franco-piemontesi sconfissero le ar-mate di Francesco Giuseppe d’Asburgo.

Di nuovo, Salò e gli altri centri della riviera gardesana furono coinvolti: numerosi salodiani militarono nelle file della rinata Guardia Nazionale e nel corpo dei Cacciatori delle Alpi, che, sotto la guida carismatica di Giuseppe Garibaldi, affiancò l’esercito regio. Di ciò sono testimonianza gli elenchi di ex combattenti che all’inizio degli anni Ottanta vennero redatti per conferire agli interessati una onorificenza speciale.

I Cacciatori delle Alpi entrarono in Salò il 17 giugno, guidati da Nino

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Bixio e il giorno seguente arrivò anche il Generale, che alloggiò presso l’albergo Sirena; sarebbe poi tornato nella nostra città ai primi di luglio, prima che l’armistizio di Villafranca ne bloccasse l’iniziativa.

La presenza di Garibaldi a Salò suscitò grande entusiasmo nella po-polazione e lasciò una traccia in via Garibaldi (allora Borgo Bel-fiore), dove venne apposta in seguito una lapide celebrativa del suo ingresso in città.

Salò venne sfiorata dalle ope-razioni militari e visse il suo mo-mento più pericoloso proprio il 18 giugno, quando un pirosca-fo da guerra austriaco entrò nel golfo e cannoneggiò il paese, pur senza causare danni: la presenza di Garibaldi la rendeva obiettivo delle attenzioni bellicose del nemico.

Tuttavia, il vero contributo della nostra città a quella guerra consistette in azioni di retrovia in appoggio al fronte: in particolare si impegnò sul piano sanitario, inviando sul campo di battaglia di San Martino quattro medici del locale ospedale e ricoverando nello stesso ed in ospedali di fortuna migliaia di feriti.

La conclusione, questa volta fortunata, della guerra permetteva final-mente a Salò e alla sponda occidentale del Garda di mutare radical-mente la propria situazione politica, entrando a far parte del Regno di Sardegna prima e del Regno d’Italia poi.

Il 31 agosto 1859 si riunì il primo Consiglio Comunale della Salò “libe-rata”, che qualche mese dopo, nel 1860, elesse il primo sindaco nella persona di Augusto Rotingo, iniziando così una nuova fase della pro-pria storia.

Nel Regno d’Italia Salò riguadagnò in parte una posizione di centralità rispetto ad un territorio significativo, grazie alla presenza del tribunale giudiziario: in realtà, questa istituzione fu fortemente e tenacemente voluta dagli amministratori salodiani, che interpretarono la svolta sto-rica italiana anche come occasione per ricostruire l’identità e la dignità politica del paese.

A questo punto si colloca il riconoscimento ufficiale da cui siamo par-titi: il conferimento del titolo di “città” da parte della Corona suonava, perciò, come attestazione di un contributo di uomini, di sangue, di fati-ca e di entusiasmo alla causa dell’unificazione, che corrispondeva, sep-pure formalmente, ad un sentimento patriottico largamente diffuso e convintamente sostenuto dai cittadini salodiani.

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Il dopoguerra permise il rientro di molti esuli e consentì a Salò di iniziare nuovamente la faticosa e lunga marcia dello sviluppo, che alle classi dirigenti poneva innan-zitutto il problema della scelta di una strategia, della ridefinizione di un’identità, in primo luogo econo-mica, della città: opera non facile, che impegnò generazioni di ammi-nistratori, spesso dialetticamente contrapposti gli uni agli altri.

Nel 1866 si verificò l’ultimo episo-dio dell’epopea risorgimentale, la terza guerra di indipendenza, che vide il Regno d’Italia alleato con la Prussia del cancelliere Bismarck

contro l’Austria per la conquista del Veneto. Se questa guerra fu per molti versi sfortunata e contraddittoria da parte italiana, a Salò signi-ficò una nuova ondata di entusiasmo provocata da un nuovo arrivo di Garibaldi.

La città era importante, come nelle precedenti occasioni, per la sua posizione strategica, alle porte del Veneto e come punto di appoggio per un’azione militare contro le fortezze austriache del Quadrilatero. Garibaldi vi giunse nell’estate per iniziare la marcia che doveva portarlo alla conquista di Trento, poi vanificata dall’armistizio.

Il Generale, accolto dal tripudio della popolazione, prese alloggio in un albergo presso l’orologio e stabilì il suo quartier generale in casa Bruni, da dove dirigeva le operazioni dei suoi volontari in Valsabbia e sul Garda. Le truppe di terra erano affiancate da una flottiglia da guerra, che, nonostante il suo carattere improvvisato, riuscì a tenere impegna-te le forze austriache, che minacciavano un’incursione sulla riva occi-dentale del lago dopo la sconfitta italiana a Custoza.

Al termine del conflitto, Salò riprese la via della modernizzazione, che puntò soprattutto sul miglioramento delle vie di comunicazione: nei decenni successivi si aprirono e riadattarono strade, si realizzò la linea tranviaria e, grazie a ciò, iniziò gradualmente a svilupparsi l’economia turistica, che caratterizzerà progressivamente il secolo successivo.

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COSA RIMANE A SALÒ DI QUEGLI ANNI?

Quali segni rimangono a Salò di quanto realizzato dai salodiani nell’Ottocento?

Certo, le tracce più visibili sono rappresentate dall’assetto urbanisti-co, dagli edifici, dalla cultura che ha sedimentato le numerose e spesso drammatiche esperienze storiche.

Tuttavia, nella vita salodiana sono rintracciabili anche delle presenze, che presero origine in quegli anni e, magari sotto mutate sembianze, sono ancora tra noi.

• La Cappelleria Mirandi: è l’erede della nu-merosa schiera di artigiani di cui Salò era ricca nei secoli scorsi; in particolare, nel 1857 i cap-pellai erano quattro.

• La Tassoni: prosegue oggi un’antica at-tività, la produzione dell’acqua di cedro, tra-dizionale in Salò fino alla fine del secolo XIX. Tra i laboratori attivi in quegli anni si registra la “Farmacia Tassoni” del chimico farmacista Paolo Amadei.

• Le farmacie Pirlo, De Paoli 1793 e Bignetti: sono eredi di farmacie ottocentesche e si ricollegano alla lunga e prestigiosa tradizione delle spezierie salodiane di epoca veneta.

• La Banda cittadina: prende vita come Società Filarmonica nel 1818 e viene riconosciuta come banda dal governo del Regno Lombardo Ve-neto nel 1823, assumendo uniforme e bandiera.

• La Società di Mutuo Soccorso: nata il 2 gennaio 1859 nella chiesa di Santa Giustina, fu la prima società di mutuo soccorso della provincia di Brescia. Riuniva artigiani e operai, che, pagando una quota mensile, potevano godere di una cassa malattie, di aiuti in caso di infermità e morte e di una forma di pensione. I fondatori furono: l’avvocato Pietro Zanoli, il dottor Giovanni Capra, Domenico Castelli, Luigi Partesana e il sacerdote Francesco Monselice.

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• La Cereria Filippini: fondata nel 1836 a Polpenazze dai fratelli Filippini, viene trasferita a Salò nel 1860 e dal 1895 ha la sua sede in via Garibaldi, dove opera tuttora.

• La Casa di Riposo: fondata nel 1876 come casa di riposo femminile, gestita dall’ospedale civile, nacque da un lascito della signora Francesca Leopardi, vedova Rini.

• L’Hotel Salò: nasce verso la fine dell’Ottocento, negli anni in cui ini-ziava per Salò e la Riviera l’afflusso dei turisti, soprattutto tedeschi. Nel 1891 fu dotato di uno stabilimento balneare idroterapico.

• La Società Canottieri: associazione originariamente chiamata “Ca-nottieri Benacensi”, vede la luce nel 1891 con lo scopo statutario di “promuovere essenzialmente a fine ginnastico fra gli abitanti del lago di Garda lo sviluppo del canottaggio”.

• L’Istituto Tecnico “Cesare Battisti”: è l’erede della “Scuola Tecnica” fondata nel 1869 dal sindaco Fabio Tracagni. Intitolato nel 1920 all’eroe trentino, nel 1923 si trasformò in “Istituto Tecnico Comunale sezione di Ragioneria e Commercio” e divenne statale nel 1947.

• Il Museo Storico del Nastro Azzurro, ospitato nel prestigioso pa-lazzo Fantoni: anche se viene aperto nel XX secolo, ci pare, comunque, significativo poichè custodisce nelle sue sale cimeli e preziosi docu-menti sulla guerra dal periodo napoleonico alla seconda guerra mondiale e alla guerra di liberazione.

• La Cedrinca: fino a pochi anni or sono occupava la sede storica in via Marco Enrico Bossi e oggi, in attesa di ritorno, è situata a Polpenazze. Ha festeggiato nei primi giorni di dicembre i suoi 150 anni con il lancio della caramella “Ondina”, omaggio alla città.

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SINDACI DI SALÒDALL’UNITÀ AD OGGI

• Augusto Rotingo (1860-1862): membro di una delle famiglie stori-che di Salò, fu il primo sindaco dopo l’unificazione italiana.

• Bernardino Maceri (1863-1868): consigliere comunale dal 1860, as-sessore, deputato, presidente dell’Ateneo, divenne sindaco nel 1863. tra l’altro, sostenne la sopravvivenza del monastero della Visitazione, minacciato di soppressione.

• Conte Fabio Tracagni (1869-1872): esponente di una storica e no-bile famiglia salodiana, abituata ad occuparsi del governo della città, fu sindaco per tre anni. La sua amministrazione si distinse per la scelta di istituire la scuola tecnica.

• Marco Leonesio (1872-1877, 1892-1899, 1901-1906): giovanissimo combattente nei moti antiaustriaci del 1848-49, attivista mazziniano negli anni Cinquanta, entrò in Consiglio comunale nel 1860 e fu sin-daco per la prima volta nel 1872. Fu un vero e proprio timoniere della comunità salodiana: più volte richiamato a ricoprire il ruolo di primo cittadino, fu protagonista in particolare della rinascita di Salò dopo il terremoto del 1901, permettendo alla città di inaugurare il XX seco-lo con un nuovo assetto urbanistico ed una più moderna vocazione economico-sociale.

• Giuseppe Castelli e Paolo Gritti (1892-1901): sindaci per breve tempo tra i due mandati di Leonesio, non ebbero la possibilità di inci-dere nella storia amministrativa di Salò.

• Donato Fossati (1906-1910): già pro-sindaco alla morte di Leone-sio, poi sindaco a tutti gli effetti, si distinse come buon amministratore e come uomo di raffinata ed estesa cultura.

• Alfredo Guastalla (1910-1914): sindaco nel 1910, accompagnò la città dalla celebrazione del 50° anniversario dell’Unità d’Italia alla vigi-lia della prima guerra mondiale.

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• Giacomo Frera (1914-1920): notaio come il padre, ebbe la ventura di guidare Salò attraverso la tragica tempesta della guerra, che tanto profondamente incise sulle sorti della nazione. Nel tormentato dopo-guerra fu uno dei fondatori del Partito Popolare Italiano a Salò.

• Pietro Castagna (1920-1923): guidò una giunta liberal-socialista, composta di persone nuove all’attività politico-amministrativa in un periodo non facile e nel 1923 abbandonò l’incarico.

• Alessandro Belli (1924-1940): fu il “reggente” di Salò più longevo, anche perché in pieno regime fascista la sua carica non era più eletti-va, ma di nomina prefettizia. Prima sindaco dal 1924 al 1927, poi po-destà dopo l’autoritaria riforma fascista del sistema amministrativo, si guadagnò la ripetuta conferma dell’incarico da parte del regime, ma anche la fiducia dei cittadini, contrastando, tra l’altro, la fusione di Salò con Gardone Riviera, che avrebbero dovuto costituire la città di “Bena-co”, secondo l’immaginifico progetto di D’Annunzio.

• Donato Fossati (1945-1946): ormai anziano, venne nominato sin-daco dal CLN e contribuì a traghettare Salò verso la democrazia repub-blicana.

• Luigi Sbarbari (1946-1951): venne eletto plebiscitariamente dal Consiglio comunale dopo il ritiro del Fossati per motivi di salute e ri-scosse il plauso dei sostenitori e degli avversari politici.

• Mario Frera (1951-1956): un altro membro della famiglia Frera si fece generosamente carico della guida amministrativa della nostra cit-tà.

• Vittorio Pirlo (1956-1960): personalità poliedrica, dal carattere forte e dai molteplici interessi, passato attraverso l’esperienza della guerra, guidò la città per cinque anni e fu poi a lungo presidente del locale Ateneo.

• Francesco Zane (1960-1970): ex partigiano, senatore della Repub-blica e uomo di punta della Democrazia Cristiana, resse per dieci anni

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le redini della città, contribuendo a formare una nuova generazione di amministratori.

• Riccardo Marchioro (1970-1990): raccolse giovanissimo l’eredità del senatore Zane e fu sindaco per vent’anni di una Salò che percorre-va la controversa via dello sviluppo.

• Giuseppe Mongiello (1990-1995): dopo il ventennio di Marchioro, in una situazione politica e sociale diversa e complessa, gestì l’ammini-strazione navigando in acque talvolta tempestose e, nel corso del suo mandato, fu sostenuto da due diverse maggioranze politiche.

• Giovanni Cigognetti (1995-1999): fu il primo sindaco eletto diret-tamente dai cittadini e il primo espresso da una maggioranza di cen-tro-sinistra.

• Giampiero Cipani (1999-2009): venne eletto sindaco per due man-dati e dovette affrontare nel 2004 la drammatica esperienza del terre-moto, che scosse la città e il territorio con conseguenze pesanti.

• Barbara Botti (2009-): la prima donna sindaco della città.

Medaglia coniata dal Comune per celebrareil 150° anniversario del decreto che conferisce a Salò il titolo di città

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PRESENZE RELIGIOSE

La Chiesa salodiana ha fatto il suo ingresso nel secolo XIX portando un grave carico di sofferenza.

Il 14 aprile 1797 Salò fu sottoposta dai francesi ad un feroce saccheg-gio, che colpì anche le chiese e, in particolare, lasciò il duomo spoglio di tutte le antiche e preziose suppellettili sacre.

Successivamente venne decretata la soppressione degli ordini religio-si, la chiusura di conventi e monasteri e la confisca dei loro beni.

Clero e fedeli soffrirono anche per la soppressione di quasi tutte le confraternite, che assicuravano messe e servizi religiosi a vantaggio dei fedeli e dei sacerdoti.

Negli anni della dominazione francese sparirono istituti che vantava-no a Salò una tradizione anche plurisecolare e cambiò radicalmente il rapporto tra sfera religiosa e sfera politica nella vita della città.

Nella seconda metà dell’Ottocento, sotto l’egida del regno d’Italia, la sopravvivenza delle istituzioni religiose fu di nuovo minacciata, in una stagione politica caratterizzata da notevole sofferenza delle finanze statali, che rendeva utile la confisca dei beni ecclesiastici, e da una viva-ce polemica tra lo stato liberale e la Santa Sede.

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Quali presenze religiose rimangono oggi a Salò a testimoniare della storia spirituale e culturale della nostra comunità?

• La Parrocchia di Santa Maria Annunziata, la più antica istituzione salodiana, certamente molto più che millenaria; e le sue chiese, quasi tutte ancora operative e, soprattutto, il duomo, che ancora oggi testi-monia la storia e l’identità di Salò, anche perché, lo ricordiamo, fu volu-to e costruito dal Comune.

• Il convento dei Cappuccini di Barbarano dedicato a San Giovanni Evangelista, nato nel 1580, più volte soppresso (1797, 1868), ma tuttora presente, ultimo vessillo in Salò dell’universo francescano, un tempo rappresentato da diversi ordini.

• Le suore Ancelle della Carità, giunte nella nostra città per la prima volta nel 1851 per servire nell’ospedale ed animatrici nei decenni suc-cessivi di iniziative assistenziali ed educative.

• Il monastero della Visitazione, nato nel 1712, ricollocato negli anni Settanta del Novecento in collina, dopo il suo sradicamento dalla sua originaria e naturale sede cittadina. Fu voluto tenacemente dal Comu-ne e dalla sua classe dirigente, fu amato dalla popolazione, si salvò, uni-co istituto religioso salodiano, dalla bufera rivoluzionaria e dalle insidie ottocentesche ed è giunto indenne e vivo fino al terzo millennio. Nel 2012 conterà trecento anni di vita nella nostra città e il Comune, la Par-rocchia, l’Ateneo ed il popolo di Salò si apprestano a celebrarne il pre-stigioso anniversario, riconoscendolo come una … costola dell’identità salodiana.

Un sentito ringraziamento a quanti hanno collaborato alla buona riuscita della celebrazio-ne, in particolare ai relatori prof. Alfredo Bonomi, Angelo D’Acunto, Giuseppe Piotti, al mae-stro pianista Gerardo Chimini, al gruppo filatelico numismatico di Salò e al sig. Cesare Bordini per la disponibilità dimostrata.

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Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitanoha conferito alla celebrazione

una propria targa commemorativa