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Samuel Taylor Coleridge Biographia Literaria cap. XIV Durante il primo anno che Mr. Wordsworth e io fummo vicini, le nostre conversazioni volsero spesso intorno ai due punti cardinali della poesia, al potere che ha di suscitare il consenso del lettore mediante fedele aderenza alla verità di natura, e all'altro potere di dar l'emozione della novità trasfigurando con i colori dell'immaginazione. L'improvviso fascino che vicende di luce e di ombra, quali il chiaro di luna o il tramonto, diffondono sopra un paesaggio noto e familiare, sembra voglia significare la possibilità di conciliare ambedue. Essi sono la poesia della natura. Ci venne in mente (a chi di noi non ricordo) che si sarebbe potuto comporre una serie di poesie secondo le due maniere. Nell'una gli incidenti e gli agenti sarebbero stati, almeno in parte, soprannaturali; e l'eccellenza perseguita consisterebbe nel suscitare gli affetti mediante la drammatica verità di tali emozioni, così come accompagnerebbero naturalmente quelle situazioni supponendole reali. E reali in questo senso sarebbero state per qualunque essere umano che, a causa di un motivo qualsiasi di disinganno, si crede allo stesso tempo soggetto a un'azione soprannaturale. Per la seconda specie i soggetti sarebbero stati scelti nella vita ordinaria; i caratteri e gli incidenti sarebbero stati di quelli che si possono trovare in ogni villaggio e nelle sue adiacenze dove ci sia una mente meditativa e sensibile a farne ricerca oppure a rilevarli quando si presentano. In questo ordine di idee nacque il piano delle Ballate liriche; nel quale fu convenuto che i miei sforzi dovessero essere diretti alle figure e ai caratteri soprannaturali, o almeno fantastici; beninteso in modo da trasferire dalla nostra intima natura un interesse umano e una sembianza di verità bastevoli a produrre, dinanzi a quelle larve dell'immaginazione, quella volontaria e momentanea sospensione dell'incredulità che costituisce la fede poetica. Mr. Wordsworth, d'altro canto, si sarebbe proposto come oggetto di dare il fascino della novità alle cose di ogni giorno e di suscitare sentimenti analoghi al soprannaturale risvegliando l'attenzione della mente dal letargo dell'abitudine e rivolgendola alla vaghezza e alle meraviglie del mondo dinanzi a noi; tesoro inesauribile, ma per il quale, a causa del velo della familiarità e della sollecitudine per noi stessi, abbiamo occhi, eppure non vediamo, orecchie che non odono, e cuori che non sentono né intendono.

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Page 1: Samuel Taylor Coleridge - quattrosecoli | Il mondo … · Web viewSamuel Taylor Coleridge Biographia Literaria cap. XIV Durante il primo anno che Mr. Wordsworth e io fummo vicini,

Samuel Taylor Coleridge

Biographia Literaria cap. XIV

Durante il primo anno che Mr. Wordsworth e io fummo vicini, le nostre conversazioni volsero spesso intorno ai due punti cardinali della poesia, al potere che ha di suscitare il consenso del lettore mediante fedele aderenza alla verità di natura, e all'altro potere di dar l'emozione della novità trasfigurando con i colori dell'immaginazione. L'improvviso fascino che vicende di luce e di ombra, quali il chiaro di luna o il tramonto, diffondono sopra un paesaggio noto e familiare, sembra voglia significare la possibilità di conciliare ambedue. Essi sono la poesia della natura. Ci venne in mente (a chi di noi non ricordo) che si sarebbe potuto comporre una serie di poesie secondo le due maniere. Nell'una gli incidenti e gli agenti sarebbero stati, almeno in parte, soprannaturali; e l'eccellenza perseguita consisterebbe nel suscitare gli affetti mediante la drammatica verità di tali emozioni, così come accompagnerebbero naturalmente quelle situazioni supponendole reali. E reali in questo senso sarebbero state per qualunque essere umano che, a causa di un motivo qualsiasi di disinganno, si crede allo stesso tempo soggetto a un'azione soprannaturale. Per la seconda specie i soggetti sarebbero stati scelti nella vita ordinaria; i caratteri e gli incidenti sarebbero stati di quelli che si possono trovare in ogni villaggio e nelle sue adiacenze dove ci sia una mente meditativa e sensibile a farne ricerca oppure a rilevarli quando si presentano.

In questo ordine di idee nacque il piano delle Ballate liriche; nel quale fu convenuto che i miei sforzi dovessero essere diretti alle figure e ai caratteri soprannaturali, o almeno fantastici; beninteso in modo da trasferire dalla nostra intima natura un interesse umano e una sembianza di verità bastevoli a produrre, dinanzi a quelle larve dell'immaginazione, quella volontaria e momentanea sospensione dell'incredulità che costituisce la fede poetica. Mr. Wordsworth, d'altro canto, si sarebbe proposto come oggetto di dare il fascino della novità alle cose di ogni giorno e di suscitare sentimenti analoghi al soprannaturale risvegliando l'attenzione della mente dal letargo dell'abitudine e rivolgendola alla vaghezza e alle meraviglie del mondo dinanzi a noi; tesoro inesauribile, ma per il quale, a causa del velo della familiarità e della sollecitudine per noi stessi, abbiamo occhi, eppure non vediamo, orecchie che non odono, e cuori che non sentono né intendono.

Page 2: Samuel Taylor Coleridge - quattrosecoli | Il mondo … · Web viewSamuel Taylor Coleridge Biographia Literaria cap. XIV Durante il primo anno che Mr. Wordsworth e io fummo vicini,

Samuel Taylor Coleridge

Kubla Khan (1798) ovvero visione di un sogno. Frammento.

Il seguente frammento viene qui pubblicato su richiesta di un poeta di grande e meritata celebrità, 1 e, per quanto almeno concerne le intenzioni dell'autore, più come una curiosità psicologica, che sulla base di un qualsiasi presunto merito poetico.

Nell'estate dell'anno 1797 l'autore, all'epoca in non buone condizioni di salute, si era ritirato in una fattoria solitaria tra Porlock e Linton, sul confine di Exmoor tra Somerset e Devonshire. In conseguenza di una leggera indisposizione gli venne prescritto un calmante2, per effetto del quale egli si addormentò sulla sedia mentre stava leggendo la seguente frase, o comunque parole di questo tenore, nel Purchas's Pilgrimage: «Qui il Khan Kubla ordinò che venisse costruito un palazzo, con intorno un giardino. E pertanto dieci miglia di fertile terreno vennero cinte da mura»3. L'autore continuò a dormire profondamente per circa tre ore (o almeno così esternamente appariva), tempo durante il quale egli ha la più sicura certezza di avere composto non meno di due o trecento versi. Se, in verità, può essere chiamata composizione uno stato in cui tutte le immagini sorsero davanti a lui come cose, con la simultanea produzione delle espressioni corrispondenti e senza alcuna sensazione o consapevolezza di sforzo. Risvegliandosi, gli sembrò di avere un ricordo preciso di tutto ciò, e prese penna inchiostro e carta, con foga, egli immediatamente scrisse i versi che sono qui conservati. A questo punto egli fu purtroppo disturbato da una visita di Porlock, e trattenuto per circa un'ora, al suo ritorno nello studio constatò con non poco stupore e rammarico che, pur se ancora gli restava un vago e oscuro ricordo del tenore generale della visione, tuttavia, con l'eccezione di otto o dieci versi e immagini sparse, tutto il resto era passato via come immagini sulla superficie di un ruscello in cui è stato gettato un sasso, e senza, ahimè, che si potesse ricostruire la situazione precedente!

Ciò nondimeno l'autore si è sovente riproposto di valersi dei frammenti che sopravvivono nella sua memoria per terminare di propria mano quel che in origine gli fu per così dire donato. Aurion adion aso: ma il domani è ancora da venire.

KUBLA KHAN4

Kubla khan fece in Xanadù5

Un duomo di delizie fabbricare:Dove Alfeo6, sacro fiume, verso un mareSenza sole fluiva giùPer caverne che l'uomo non può misurare.Per cinque e cinque miglia di fertile suoloLo circondò con torri e mura;C'erano bei giardini, ruscelli sinuosi,Alberi da incenso in fioritura;C'erano boschi antichi come le collineE assolate macchie di verzura.

1 Il poeta è lord Byron che rimase molto colpito da una lettura che Coleridge fece della poesia.2 In un manoscritto autografo, Coleridge scrive di aver assunto due grani di oppio per curare una dissenteria e che in quella occasione venne composto il Frammento poetico.3 Il libro di Samuel Purchas, Purchas his Pilgrimage, or Relations of the World and the Religions Observed in All Ages, fu pubblicato nel 1613. Il passo riassume un brano del Milione di Marco Polo. La citazione di Coleridge non è comunque fedele: nel testo di Purchas si legge di Cublai Can che fa costruire un palazzo e che fa racchiudere sedici miglia di terreno pianeggiante con un muro.4 E' un'ode irregolare, in cui, nel testo originale inglese, si alternano versi di varia misura e di vario ritmo (tripodie, tetrapodie, pentapodie) secondo uno schema di rime che comprende rime baciate, alternate, incrociate, ritardate, nel quale però ciascun verso rima almeno una volta con un altro. L'effetto musicale che si ha ascoltando la lettura del testo inglese è altamente suggestivo.5 Si tratta di un nome inventato, ripreso per assonanza da Giandu, citato da Marco Polo nel Milione. Il nome rimanda immediatamente a una immaginaria città orientale.6 Anche in questo caso il nome è inventato; il fiume richiama Alfeo, personaggio della mitologia classica che insegue dalla Grecia alla Sicilia, per vie sotterranee, l'amata Aretusa: Alcuni critici hanno collegato questo fiume al Nilo, padre di tutti i fiumi (alfa e alef sono rispettivamente le prime lettere dell'alfabeto greco ed ebraico).

Page 3: Samuel Taylor Coleridge - quattrosecoli | Il mondo … · Web viewSamuel Taylor Coleridge Biographia Literaria cap. XIV Durante il primo anno che Mr. Wordsworth e io fummo vicini,

Ah quel romantico7 abisso che sprofondavaObliquo la verde collina in un folto di cedri!Luogo selvaggio! Luogo santo e fatatoQuale fu mai visitato a una luna calanteDa una donna in sospiri per il suo dèmone-amante!E dall'abisso, fremente in continuo tumulto,Quasi scotesse la terra un cupo affanno di palpiti,Una possente fontana d'un tratto sprizzò:E tra i suoi scrosci semintermittentiBalzavano enormi frammenti come di grandineO di grano che salta battuto dal battitore:E in questa danza di pietre-cristalliIl fiume sacro nasceva improvviso.Per cinque miglia serpeggiando fluivaIl fiume sacro fra boschi e piccole valli,Giungeva a caverne che l'uomo non può misurare,Poi sfociava in tumulto a un oceano senza vita:E nel tumulto Kubla udì le voci remoteDegli antenati che predicavano la guerra!L'ombra di deliziaFluttuava sull'acqua a mezza via,Dove si confondeva il ritmo sovrappostoDella fontana e delle grotte.Era un prodigio di rara maestria:Antri di ghiaccio e cupola solatia!

Una fanciulla con salterio8

Io vidi in una visione:Era una giovane AbissinaE col suo salterio sonava,Del monte Abora9 cantava.Potessi resuscitare Quel suo canto e melodia,vinto di gioia ne sarei,Di piena musica nell'ariaQuel duomo anch'io fabbricherei,Quelle grotte di ghiaccio, la cupola del sole!E ognuno che ascoltasse li vedrebbe,Tutti gridando: attento! attenti!I suoi occhi di lampo, le sue chiome fluenti!Fagli tre volte attorno un cerchio,Chiudi gli occhi con santo timore,Perché con rugiada di miele fu nutritoE bevve latte di paradiso.

(dalle Ballate liriche, trad. di G. Giudici 1987)

7 All'epoca in cui la poesia fu scritta il termine romantico non designava ancora il movimento letterario, ma aveva valore di arcano, orrido, misterioso.8 Strumento triangolare a corde metalliche, suonate da piccoli martelletti.9 Anche in questo caso si ha la trasformazione di un nome di luogo (monte Amara) citato nella tradizione letteraria da Milton, Johnson e Purchas. Il monte si trova in Abissinia.

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Samuel Taylor Coleridge

La ballata del vecchio marinaio (1797-98)

Facile credo, plures esse Naturas invisibiles quam visibiles in rerum universitate. Sed horum omnium familiam quis nobis enarrabit? et gradus et cognationes et discrimina et singulorum munera? Quid agunt? quae loca habitant? Harum rerum notitiam semper ambivit ingenium humanum, nunquam attigit. Juvat, interea, non diffiteor, quandoque in animo, tanquam in tabula, majoris et melioris mundi imaginem contemplari: ne mens assuefacta hodiernae vitae minutiis se contrahat nimis, et tota subsidat in pusillas cogitationes. Sed veritati interea invigilandum est, modusque servandus, ut certa ab incertis, diem a nocte, distinguamus.

T. BURNET, Archaeol. Phil. p. 68.

[Credo facilmente che siano più le Nature invisibili che quelle visibili, in tutto l'universo. Ma chi ci racconterà di tutte quelle famiglie? e i gradi e le parentele e le differenze e i doni di ognuna? Cosa fanno? che luoghi abitano? L'intelligenza umana ha sempre aspirato ad avere notizia di loro, ma mai l'ha raggiunta. E' buona cosa, frattanto, non lo nego, contemplare di tanto in tanto nell'animo, come pure su una tavola, un'immagine di un mondo più grande e migliore: non si contragga troppo la mente assuefatta alle minuzie della vita odierna e non si sieda tutta in riflessioni piccine. Tuttavia bisogna vigilare sulla verità e conservare il metodo, per distinguere le cose certe dalle incerte, il giorno dalla notte.]

ARGOMENTO

Come un vascello, oltrepassato l'Equatore, fu spinto dalle tempeste fino alla fredda regione verso il polo Sud; e come di là fece rotta verso la linea dei Tropici nell'Oceano Pacifico; e delle cose meravigliose che avvennero; e in che modo il vecchio marinaio fece ritorno al suo paese.

PARTE PRIMA

Un vecchio marinaio s'imbatte in tre giovanotti invitati a nozze e ne trattiene uno.

È un vecchio marinaio, trattiene uno dei tre.«Per la tua barba grigia e l'occhio ardente, perché ti afferri a me?

La casa dello sposo apre le porte, sono un parente stretto; tra gli ospiti la festa è incominciata, sento l'allegro strepito e il diletto. »

Quegli l'afferra con la scarna mano: «C'era una nave... » incominciò. «Lasciami, non toccarmi, vagabondo!» Subito la sua mano cadde giù.

Il convitato subisce l'incanto dell'occhio del lupo di mare, ed è costretto ad ascoltare il suo racconto.

Ma lo tiene con l'occhio sfavillante -

il convitato resta immoto, ascolta come un bimbo di tre anni: il marinaio è pago nel suo voto.

Il convitato siede su una pietra:non ha scelta, deve ascoltare; e così disse il vecchio uomo di mare, il vegliando dagli occhi chiari.

«La nave salutata uscì dal porto, allegramente ci lasciammo andare sotto la chiesa, sotto la collina e la punta del faro.

Il marinaio racconta come la nave salpò verso sud con vento favorevole e tempo chiaro, finché raggiunse l'Equatore.

Il sole si levò dalla sinistra, venne fuori dal mare! e lucido rifulse, e sulla destra si rituffò nel mare.

Alto ogni giorno più, sempre più alto, a mezzogiorno fino sopra l'albero... -»

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Sospira il convitatoche ascolta il suono del fagotto giungere.

Il convitato sente la musica nuziale; ma il marinaio prosegue il racconto.

Ecco, la sposa è apparsa nella sala, rossa come una rosa, e con ilari moti della testa i musici le fanno strada.

Dà un profondo sospiro il convitato, non ha scelta, deve ascoltare; e così disse il vecchio uomo di mare, il vegliando dagli occhi chiari.

Il vascello è spinto dalla tempesta verso il polo Sud.

«E si levò in quel punto la TEMPESTA furiosa, prepotente; percossi dalle sue ali ci spinse lungamente nel sud.

Con le antenne inclinate e con la prora, come chi se inseguito con grandi urla calpesti ancora l'ombra del nemico, china avanti la testa, la nave si rubava alla tempesta e fuggivamo sempre verso sud.

Poi vennero nel cielo nebbia e neve e un freddo tanto saldo che il ghiaccio a blocchi andava galleggiando verde come smeraldo.

La terra del ghiaccio e dei rumori sinistri dove non si scorgeva essere vivente.

Picchi, di là dal turbine nevosi mandavano un bagliore triste - non ombra d'uomo o d'animale -ghiaccio, soltanto ghiaccio e il suo nitore.

Il ghiaccio era dovunque, era qua, là, era tutto all'intorno; crepitava, gemeva ed ululavacome, svenuti, s'ode un vano rombo.

Finché un grande uccello di mare, chiamato l'Albatro, venne attraverso la nebbia nevosa, e fu accolto con grande gioia e ospitalità.

E finalmente un Albatro passò, attraverso la nebbia era venuto; come se fosse un'anima cristiana

in nome del Signore gli demmo il benvenuto.

Mangiò il cibo non mai prima mangiato, con lunghi giri ci ruotò sul capo. Il ghiaccio si spaccò con un boato; il timoniere ci guidò fra mezzo.

Ed ecco, l'Albatro si rivela uccello di buon augurio e segue il vascello come questo ritorna verso nord fra la nebbia e i ghiacci galleggianti.

Da sud il vento si levò propizio; l'Albatro ci seguiva e ogni giorno per cibo o per diletto al richiamo dei marinai veniva.

Con nebbia o nube, all'albero o alle vele venne per nove sere; le notti intere al bianco fumigare scintillava il riverbero lunare. »

Il vecchio marinaio contro la legge dell'ospitalità uccide il sacro uccello di buon augurio.

«Che Dio ti salvi, vecchio marinaio, dai demoni che tanto ti tormentano!- Perché guardi così ? » - « Con la balestra io stesi morto l'ALBATRO.

PARTE SECONDA

Il sole ora sorgeva dalla destra, venne fuori dal mare, celato dalle nebbie, e alla sinistra si rituffò nel mare.

E il buon vento del sud spirava ancora, ma più non ci seguiva il dolce uccello, né per cibo o per gioco più veniva dei marinai all'appello.

I compagni imprecano contro il vecchio marinaio perché ha ucciso l'uccello di buon augurio.

Io avevo fatto un'infernale cosa, e questo arrecherebbe molto male: disse ognuno che avevo ucciso l'Albatro che faceva spirare il vento australe. "Empio!" dissero, "uccidere l'uccello che faceva spirare il vento australe! "

Ma quando la nebbia si dirada, gli danno ragione e si rendono così complici del misfatto.

Non opaco, non rosso, come il capo

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d'un Dio, glorioso il sole si levò: e dissero che avevo ucciso l'Albatro che portava la nebbia e la foschia."Giusto", dissero, "uccider tali uccelli che portano la nebbia e la foschia".

Il buon vento continua; la nave entra nell'Oceano Pacifico e veleggia verso nord finché giunge all'Equatore.

Lieve la brezza spirava, la spuma bianca volava, la scia ci seguiva; noi fummo i primi che irrompemmo in seno a quel mare silente.

Improvvisamente la nave è fermata dalla bonaccia.

Cadde la brezza, caddero le vele,fu triste quanto può cosa esser triste; noi parlavano solo per spezzare il silenzio del mare.

In un cielo cocente, arso, di rame stava il sole sanguigno a mezzogiorno a picco sopra l'albero e il sartiame non più grande che luna.

Giorni e giorni, l'un giorno dopo l'altro, stemmo fermi, non vento o movimento;immoti come una dipinta nave in un mare dipinto.

E l'Albatro comincia a esser vendicato.

Acqua soltanto, acqua d'ogni parte, e le tavole aride e contorte; acqua soltanto, acqua d'ogni parte, non una goccia per la nostra arsura.

Anche il profondo imputridiva, o Cristo! Che dovesse accaderci tale cosa! Strisciavano vischiosi sulle zampe corpi informi per l'acqua vischiosa.

Intorno, intorno, con ridda mai stanca fuochi fatui danzavano la notte; l'acqua simile all'olio delle streghe bruciava tutta, verde, azzurra e bianca.

Uno Spirito li aveva seguiti; uno degli invisibili abitatori di questo pianeta, non anime di trapassati, né angeli; intorno ad essi si potrebbero consultare il dotto Giuseppe Ebreo e Michele Psello il Platonico di Costantinopoli. Sono assai numerosi, e non c'è clima o elemento che non ne contenga uno o più.

E qualcuno nel sogno ebbe certezza dello Spirito tanto tormentoso;nove tese profondo ci seguiva dal paese di nebbia e dal nevoso.

Ciascuna lingua asciutta nella strozza, seccata alla radice; non potevamo più parlare, come la fuliggine avesse fatto groppo.

I compagni, in quella loro disdetta, vorrebbero gettare la colpa sul vecchio marinaio; in segno di ciò gli appendono al collo il morto uccello di mare.

Ah tutti quali occhiate, quale atroce sguardo volsero a me, giovani e vecchi!L'Albatro al collo in luogo della croce m'appesero i compagni.

PARTE TERZA

Tempo grave. La gola era bruciata e l'occhio di ciascuno fatto vitreo. Un tempo grave fu, un tempo grave! Come vitreo a ciascuno l'occhio grave quando, volto a ponente, all'improvviso vidi alcunché nel cielo.

Il vecchio marinaio vede un segno nel cielo lontano.

Parve alla prima una minuta macchia, poi apparve come un velo; e muoveva e muoveva e prese infine una forma sicura contro il cielo.

Una macchia, una nebbia, una figura, e sempre più vicino, più vicino: come a eludere un fantasma marino si tuffava, virava, bordeggiava.

Mentre s'avvicina, gli pare un vascello; e a caro prezzo scioglie la lingua dall'intoppo dell'arsura,

Con la gola assetata e le arse labbra non potevamo ridere né piangere, ma per l'arsura stemmo tutti muti! E io mi morsi il labbro e succhiai sangue, e gridai: "Una vela, una vela!"

Un lampo di gioia;

Con la gola assetata e le arse labbra,

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a bocca aperta udirono, il mio grido: "Sia lode al cielo!" dissero in un ghigno, e tutti insieme inalano il respiro quasi stessero bevendo.

e segue l'orrore. Perché, può essere un vascello questo che viene senza vento né corrente?

Su, guardate, "gridai," non vira più! Viene al nostro soccorso; senza un filo di vento o di corrente la chiglia dritta qua dirige il corso. "

Tutta una fiamma l'onda occidentale. Il giorno era già quasi tramontato! Quasi a fiore dell'onda occidentale stava sospeso un gran lucido sole;quando la strana forma si frappose a un tratto fra noi e il sole,

Gli pare che non sia altro che lo scheletro di una nave.

Subito il sole si rigò di sbarre(che la Madre del cielo ci dia grazia!), come se prigioniero da una grata spiasse con la grande ardente faccia.

E i suoi fianchi si vedono come sbarre sulla faccia del sole calante.

Ahimè! (pensavo, e il cuore sussultava) come lesta si fa sempre più avanti! Son quelle le sue vele lustre al sole come ragne vibranti?

La Donna-spettro e lo Scheletro e nessun altro a bordo della nave.

Sono quelli i suoi fianchi da cui il sole guardava come dietro un'inferriata? E' quella donna tutta la sua ciurma?Forse quella è la MORTE? e sono in due? E' MORTE che alla donna s'è accoppiata?

Quale il vascello, tale l'equipaggio.

Le labbra rosse, gli occhi erano audaci. I ricci erano biondi come l'oro:con una pelle bianca di lebbrosa l'incubo VITA-IN-MORTE era, l'esosa che fa gelare il sangue.

Morte e Vita-in-Morte hanno giuocato ai dadi l'equipaggio, e questa (la seconda) vince il vecchio marinaio.

La squallida carcassa s'avanzava,le due gettano i dadi intente al rischio;"Il giuoco è fatto! Ho vinto, ho vinto io!"ella disse, e mandò un triplice fischio.

Nessun crepuscolo intorno al sole.

Il sole spare, sgorgano le stelle; a un tratto si fa buio; con un remoto mormorio sul mare quella nave spettrale trascorreva.

Al levar della luna,

Noi ascoltavamo e guardavamo fisso! Al cuore come al fondo di una coppa la paura attingeva tutto il sangue! Le stelle cupe, densa era la notte, il volto del nocchiero raggia esangue presso la sua lanterna; dalle vele stillava giù rugiada, finché s'alzò sul ciglio dell'oriente col corno della luna una splendente stella vicino alla sua punta inferna.

uno dopo l'altro,

Sotto la luna e il suo corteggio astrale, senza il tempo per un sospiro o un grido, si volse ognuno in agonia spettrale e mi malediceva con lo sguardo.

i suoi compagni cadono giù morti,

Quattro volte cinquanta uomini vivi(e non udii né un grido né un lamento) caddero, massi inerti, con un tonfo a uno a uno giù sul pavimento.

Ma Vita-in-Morte comincia la sui opera sul vecchio marinaio.

Le anime volaron via dai corpi, volarono alla gioia ed allo strazio! Ciascuna d'esse mi passava accanto con un sibilo d'arco nello spazio! »

PARTE QUARTA

Il convitato teme che sia uno Spirito che parli;

«Mi fai spavento, vecchio marinaio! mi fa spavento la tua scarna mano! e tu sei magro bruno e stranocome rena increspata in riva al mare.

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ma il vecchio marinaio lo rassicura della sua vita fisica e seguita a raccontare la sua orribile espiazione.

Di te ho spavento, dei tuo occhio acceso, della tua mano magra, così scura.» «Non temere, sii calmo, o convitato! questo corpo non cadde in quell'arsura.

Solo, solo, io solo in quel deserto, solo nella distesa ampia del mare! E non un santo mai mosso a pietà del mio lento agonizzare.

Egli disprezza le creature della bonaccia,

Tanti uomini, tanti e tanto belli! tutti morti giacevano; e mille e mille esseri vischiosi vivevano, e vivevo anch'io fra quelli.

e pensa con invidia che esse vivono mentre tanti sono morti.

Guardavo sopra il mare imputridito, tosto gli occhi stornavo via sconvolti; guardavo sopra il cassero marcito, e là stavano i morti.

Guardai il cielo, tentavo di pregare, ma prima che sgorgasse una preghiera un orrido bisbiglio usciva, e il cuore arido come polvere era fatto.

Le ciglia chiusi e tenni strette e chiuse; le pupille battevan come polsi; perché il cielo ed il mare, il mare e il cielo stavano come un peso sui miei occhi; mi giacevano ai piedi tanti morti.

Ma la maledizione vive per lui nell'occhio dei morti.

Fondeva il sudor freddo dalle membra, non erano né sfatte né corrotte: lo sguardo con cui m'ebbero adocchiato stava immoto dì e notte.

Maledizione d'orfano può trarre uno spirito giù dall'alto cielo; ma oh! maledizione anche più orrenda sta nell'occhio d'un morto!La vidi sette giorni e sette notti, non potevo pregare, stavo assorto.

Nella sua solitudine e immobilità egli si strugge per la luna che viaggia nel cielo e le stelle che sempre stanno e pur sempre si muovono e dovunque l'azzurro cielo appartiene loro ed è il luogo destinato al loro riposo, patria loro e loro naturale dimora, nella quale entrano senz'essere annunziate come signori sicuramente aspettati, eppure nasce una gioia silenziosa al loro arrivo.

La luna errante salì su nel cielo, e mai non indugiava; lentamente saliva, lentamente lei qualche rara stella seguitava.

I1 suo raggio irrideva il mare afoso, come primaverile brina sparsa; dove stagnava l'ombra della nave l'acqua per incantesimo bruciava d'un acceso rossore immoto sparsa.

Al lume della luna osserva le creature della bonaccia.

Oltre l'ombra spiavo della nave i serpenti marini; muovevano con scie lustre di bianco, e quando si drizzavano, quel lume magico ricadeva in fiocchi candidi.

Nell'ombra della nave contemplavo la veste variopinta; era turchina, verde lucida, nera vellutata; nuotando si torcevano; la scia uno sprazzo di fuoco era, dorata.

Loro bellezza e felicità. Egli le benedice in cuor suo.

O felici creature! lingua umana quella loro beltà non può lodare; un impeto d'amore sorse in me, inconsciamente io le benedissi: certo, il mio santo ebbe pietà di me, inconsciamente io le benedissi.

L'incantesimo comincia a rompersi.

Mi fu dato a quel punto di pregare; e dal mio collo alfine liberato l'Albatro cadde giùe come piombo profondò nel mare.

PARTE QUINTA

Oh il sonno! il sonno è una soave cosa,

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da un capo all'altro amabile nel mondo! Sia lodata la Vergine Maria!Ella mandò dal cielo il dolce sonno che scese nell'anima mia.

Per grazia della Madonna il vecchio marinaio è rinfrescato dalla pioggia.

Quelle inutili secchie sulla tolda che inerti erano state così a lungo, sognai ch'erano colme di rugiada; e, dopo, quando mi svegliai, pioveva.

Fresca la gola e umide le labbra, i vestimenti avevo tutti intrisi; certo, avevo bevuto nei miei sogni e ancora tutto il corpo mio beveva.Mi mossi, non sentivo più le membra, ero tanto leggero, dubitavo d'esser morto nel sonno e mi credevo un'anima beata.

Ode suoni e vede strane visioni e moti in cielo e in mare.

E udii subito il vento sibilare; e non s'avvicinava; ma col sonito suo scosse le vele così tenui e corrose dall'arsura.

L'aria profonda esplose di vivezza! Cento vessilli in fiamme luminosi guizzavano su e giù, di qua, di là, e gli astri vi danzavano nel mezzo.

Il vento emise un sibilo più forte, stormivano le vele come biada; e la pioggia crosciava giù dal nembo oscuro che la luna bianca orlava.

La densa e nera nuvola fu rottaed ancora la luna era al suo fianco: come acque cadenti d'alta roccia il fulmine sfrecciò giù senza un guizzo, tale un fiume spazioso cade a picco.

Le salme dell'equipaggio si animano e la nave si muove;

Il forte vento mai investì la nave, eppure era la nave in movimento! Sotto il fulmine e sotto l'alta luna gli uomini morti emisero un lamento.

Si riscossero tutti e si levarono, senza parlare, senza batter ciglio: sarebbe stato strano anche in un sogno

aver visto quei morti sollevarsi.

Il nocchiero alla barra dà di piglio; la nave si muoveva, non un soffio; i marinai si misero alle funi, ciascuno al proprio posto; muovevano le membra come ordigni morti, eravamo una spettrale ciurma.

I1 corpo d'un nipote mio, d'un figlio di fratello, mi stava stinco a stinco; il corpo ed io tirammo ad una corda e non mi disse verbo. »

ma non per opera delle anime degli uomini, non per opera di demoni della terra e dell'aria, ma per una schiera beata di spiriti angelici mandati dal cielo per intercessione del santo patrono.

«Mi fai spavento, vecchio marinaio!» «Non temere, sii calmo, o convitato! Non erano fuggite anime in pena che afflitte ritornassero alle salme, ma una schiera di spiriti beati:

poiché all'alba dimisero le braccia e si fecero stretti intorno all'albero; suoni soavi usciron dalle labbra e volarono via dai loro corpi.

Aleggiava d'intorno a me ciascuna voce, saliva al sole; lentamente scendevano di nuovo ora confuse, ed ora ad una ad una.

Qualche volta scendendo giù dal cielo ho ascoltato l'allodola cantare; tutti, a volte, gli uccelli che vi sono parevano riempire l'aria e il mare col loro dolce frastuono!

Ed ora erano tutti gli strumenti, ed ora un flauto a solo; ed ora era un'angelica canzone che gli spazi faceva essere intenti.

Tacque, e ancora mandarono le vele un ronzio lieve fino a mezzogiorno; un ronzio come d'un nascosto rivo nel frondoso mese di giugno, che alle selve dormienti per l'intera notte mandi una quieta melodia.

E veleggiammo fino a mezzogiorno, mai un alito di vento sospirò: lenta e calma la nave procedeva sospinta dal profondo.

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Il solitario Spirito dell'Antartide porta la nave fino all'Equatore obbedendo alla schiera angelica, ma esige ancora vendetta.

A nove tese giù sotto la chiglia dal paese di nebbia e dal nevosolo Spirito scorreva; era lui stesso che muoveva il veliero silenzioso. Morì il canto alle vele a mezzogiorno, e di nuovo la nave si fermò.

Il sole alto sull'albero maestro l'aveva ora confitta nell'oceano: ma subito riprese ad agitarsi con un breve e affannoso dondolio - avanti e indietro, mezza la lunghezza, con un breve e affannoso dondolio.

Come un cavallo ardente alfine sciolto diede un subito balzo; il sangue m'affluì tutto alla testa, io venni meno e caddi giù di schianto.

I demoni compagni dello Spirito polare, gli invisibili abitatori dell'elemento, prendono parte alla sua offesa; e due di essi riferiscono che espiazione lunga e dura per il vecchio marinaio fu accordata allo Spirito polare, che ritorna verso il sud.

Quanto a lungo mi giacqui in quello statonon posso assicurare;ma la vita non era anche tornata,che udii nella mia anima distintedue voci vaghe per l'aria.

" E' lui," diceva l'una, "è questo l'uomo?per colui che morì sopra la croce,è lui che uccise l'Albatro innocente con la mano feroce.

Lo Spirito che abita da solola terra della nebbia e della neve, gli era caro l'uccello amico all'uomo che lo trafisse con la sua balestra."

Quell'altra era una più dolce voce, dolce come stillante miele, e disse: "Costui già fece dura penitenza, ma più dura l'attende. "

PARTE SESTA

Prima voce

"Ma dimmi, dimmi ancora, la tua dolce risposta reiterando -che muove così lesta questa prora? Il mare, dimmi, che fa?"

Seconda voce

"Come schiavo al cospetto del signore sta immobile l'oceano e non respira; il suo grande occhio luminoso mira fisso la luna silenziosamente -

per conoscer la strada da seguire; perché, quieto o infuriato, essa lo guida. Vedi, fratello, vedi con che grazia dall'alto essa lo guarda quasi rida.

Il marinaio è caduto in letargo; perché il potere angelico fa procedere la nave verso nord con una velocità che la vita umana non può sopportare.

Prima voce

"Ma perché sopra lui va così lesta la nave senza vento né corrente?"

Seconda voce

"L'aria dinanzi a lei tutta si fende e dietro si richiude in un istante.

Vola, fratello, vola, alto, più alto!o giungeremo tardi e troppo stanchi: perché la nave andrà sempre più lenta allor che il marinaio si rinfranchi."

Il moto soprannaturale rallenta; il marinaio si sveglia e la sua espiazione ricomincia.

Io mi svegliai, stavamo veleggiando come a un vento propizio: era notte, una notte calma, stando la luna in alto; i morti erano insieme.

Stavano ritti, accolti sopra il ponte, pronti per un ossario: fissavano su me gli occhi di pietra che nella luna avevano un divario.

Quella maledizione e quel terrore ch'ebbero nella morte, sussisteva:

non potevo distogliere il mio cuorené alzare gli occhi per una preghiera.

La maledizione è finalmente espiata.

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E ora l'incantesimo fu rotto:anche una volta vidi il mare verde, e guardai lontanissimo; ma poco di quanto avevo visto ora m'apparve

com'uno per una deserta via cammina inquieto d'orridi spaventi, e una volta guardatosi alle spalle, prosegue ma non volge più la testa perché sa che un terribile nemico l'incalza da vicino e non s'arresta.

Ma un vento repentino m'investì, e non aveva suono o movimento: la strada sua non era sopra il mare, nelle pieghe o nel vivido fermento.

Mi sollevò i capelli, con respiro di praterie primaverili punse le mie guance, s'unì coi miei terrori, pure, io lo sentii, propizio giunse.

Rapidamente volava la nave,e pure navigava liscia e calma: lieve spirava il vento, lieve, lieve - su me solo spirava.

E il vecchio marinaio rivede il suo paese.

Sogno di gioia! E' veramente il faro? E' la punta del faro ch'io rivedo? e quella è la collina, ed è la chiesa? e questa è la mia patria?

Alla bocca del porto la derivaci spingeva, pregavo tra i singhiozzi: "Fa, mio Signore, ch'io sia sveglio o viva senza più risvegliarmi."

Era limpido il golfo come vetro, tale la sua tranquillità diffusa! La luce della luna ivi con l'ombra riposava confusa.

La roccia scintillava, era abbagliante al pari della chiesa che sovrasta: il chiarore immergeva nel silenzio la banderuola ferma in cima all'asta.

Gli spiriti angelici abbandonano i morti corpi,

La baia bianca e viva al lume quieto era quando ne emersero molte forme, e non erano che ombre, e in colori di cremisi a me vennero.

e appaiono nelle loro forme di luce,

A piccola distanza dalla prora quelle parvenze cremisi si tennero:allora volsi gli occhi sopra il ponte - oh Cristo, che spettacolo!

Ogni corpo giaceva inerte e piatto, e, in nome della Croce, un uomo tutto luce, un serafino, presso ciascuno stava senza voce.

Di quella schiera ognuno salutava con le mani, visione celestiale! come segnali fatti a una città, ciascuno un puro lume.

Di quella schiera ognuno salutava con le mani, non voce, né clamore - nessuna voce, ma il silenzio scese come musica al cuore.

Ma ecco, a un tratto udii un tonfo di remi e il grido del pilota;e mi fu forza volgere la testa:una barca era apparsa, non remota.

Il pilota ed il mozzo del pilota, udii la loro celere venuta: o Signore del cielo! era una gioia che i morti non avrebbero sperduta.

E vidi un terzo, ne sentii la voce: era il buon eremita!Cantava grave i suoi inni devoti che compone nel bosco più profondo. L'anima mia assolverà, del sangue dell'Albatro egli mi renderà mondo.

PARTE SETTIMA

L'eremita del bosco

Il pio eremita vive in mezzo al bosco che scende verso il mare: come grave egli modula la voce! Coi marinai gli piace di parlare che vengono da lontane contrade.

Al mattino, al meriggio ed alla sera piega i ginocchi; ha un soffice guanciale: il muschio che ricopreil ceppo d'una quercia secolare.

La barca s'appressò, li udii parlare:

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"E' strano veramente!Dove sono le luci così chiareche or non è molto fecero un segnale ?

s'avvicina con stupore alla nave.

"Strano davvero!" disse l'eremita -e non hanno risposto al nostro grido! Vedo le assi contorte! e quelle vele, guardale, così fragili e corrose! Cosa non vidi mai che le assomigli se non forse nel bosco

quei macerati scheletri di foglie che indugiano alle prode del ruscello allor che greve è l'edera di neve, ed urla il gufo al lupo sottostante mentre divora il piccolo alla lupa."

"Ha un aspetto d'inferno, mio signore!"(il pilota rispose)"ne ho spavento!" "Accosta, accosta" disse l'eremita contento.

Ecco, la barca s'accostò al vascello,io non dissi parola né mi mossi;la barca si portò sotto il vascelloe d'improvviso un suono mi percosse.

Il vascello improvvisamente affonda.

Rombava sotto l'acquasempre più grave, sempre più tremendo: poi raggiunse la nave, ruppe il golfo, ed il vascello andò giù come piombo.

Il vecchio marinaio è tratto in salvo nella barca del pilota.

Stordito da quel suono grave e orrendo che squassò cielo e mare, com'uno che sia stato sette giorni affogato, il mio corpo galleggiava; ma poi con la rapidità di un sogno mi trovai nella barca del pilota.

Sul gorgo ove la nave era affondata, la barca roteava;tutto era quieto fuor che la collina che il suono ripeteva e rimandava.

Mossi il labbro, il pilota mandò un urlo ,e cadde giù di schianto;l'eremita levò le sante cigliae pregava raccolto là in un canto.

Io presi i remi: il mozzo del pilota,

che ora uscì di senno, ruppe in risate lunghe e forti mentre i suoi occhi ruotavano qua e là. "Ah! ah!" diceva, "vedo chiaramente, il demonio sa l'arte di remare."

E finalmente proprio al mio paese stavo, su terra ferma!L'eremita discese dalla barca,e la sua andatura era malferma.

Il vecchio Marinaio ardentemente supplica l'eremita perché lo confessi; e lo raggiunge la penitenza della vita.

"Confessami, confessami, sant'uomo!"Egli si fece il segno della Croce. "Di' presto," fece, "dimmi,te lo ingiungo - chi sei, che specie d'uomo?

E tale animo mio fu presto stretto da un'atroce agonia che mi costrinse a dire la mia storia;e poi mi lasciò quieto in mia balia.

Di quando in quando per il resto della vita un'agonia lo costringe a errare di terra in terra.

Sempre d'allora in poi, di quando in quando, quell'agonia ritorna;finché l’orrida storia non sia detta,il cuore brucia, il fuoco vi soggiorna.

Di terra in terra migro come l’ombra;strano potere è nelle mie parole;subito, appena ch’io ne veda il volto,so l’uomo che mi deve ascolto:a lui fo il mio racconto.

Quale fragore esce da quella porta!I convitati sono là, raccolti:ma all’ombra della pergola, nell’orto,odi, la sposa e le fanciulle cantano.E’ il vespro, odi la piccola campanache mi chiama a pregare!

O convitato! questa anima miain un mare di deserto è stata sola;tanto fu derelitta che Dio stessoa mala pena parve che vi fosse.

Oh assai più dolce che festa nuziale,assai più dolce per me,andare insieme alla chiesain santa compagnia!

Andare insieme alla chiesa

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e tutti insieme a pregare,mentre ciascuno al Padre suo s’inchina:vecchi, bambini, amici affettuosie giovinette e giovani festosi.

e a insegnare col suo esempio amore e rispetto a tutte le cose che Dio ha fatto e ama.

Addio, addio! Ma questo tieni a mente,tu, invitato alla festa!Prega bene benevolo chi amasia l’uomo, sia l’uccello e l’altre bestie.

Meglio prega chi meglio ama le cosesiano grandi o modeste;perché quel Dio d’amore che ci assiste

fece ogni cosa e l’ama.»

Il marinaio dall’occhio luminosodi cui la barba è candida per gli anniè sparito: ora l’ospite si volgelontano dalla casa dello sposo.

Se n’andò come uomo sbigottito,fuor dei sensi caduto:e l'indomani si levò diverso,più triste ma più saggio divenuto.

(traduzione di Mario Luzi)

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SAMUEL TAYLOR COLERIDGE

TIME, REAL AND IMAGINARYAn allegory

On the wide level of a mountain's head,(I knew not where, but 'twas some faery place)Their pinions, ostrich-like, for sails out spread,Two lovely children run an endless race,

A sister and a brother!This far outstripp'd the other;

Yet ever runs she with reverted face,And looks and listens for the boy behind:

For he, alas! is blind!O'er rough and smooth with even step he passed,And knows not whether he be first or last.

TEMPO, REALE E IMMAGINARIOAllegoria

"Per Tempo immaginario, intendevo lo stato mentale di uno scolaro quando, ritornando da scuola, egli proietta il suo essere nel sogno ad occhi aperti, e vive pertanto nelle future vacanze con sei mesi d'anticipo. E questo io l'ho posto in opposizione al Tempo reale". (S.T. Coleriche)

Sull'ampio spazio di una montagna in cima,(dove, non so, in qualche posto di fate)- le ali, come struzzi, spiegate a far vela -due cari bambini corrono in gara infinita:sorella e fratello!L'una di molto quell'altro sorpassa;ma sempre lei corre col viso rivolto all'indietroe guarda ed ascolta il ragazzo:perché egli è cieco, ahimè!Su scabro e su liscio terreno con passo costante si

muovené sa se sia ultimo o primo.

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