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Dicembre 1993 a cura del Gruppo Culturale PROSPETTIVE Comparazioni gratuite e possibili parallelismi puramente speculativi di Roberto Forlivesi “Loro” erano già lì quando “noi” siamo comparsi sulla terra, e probabilmente ci saranno ancora quando noi scomparire- mo. Noi saremo pulviscolo molecolare e “Loro” ci saranno ancora. I “Sassi”. Stolidi, immoti, semplici sas- si. Sasso: Pietra, macigno, roccia, ciotolo, scheggia, frammento, selce, ghiaia. Più piccolo, più rotondo, trasformato in altri piccoli sassi e poi in sabbia, ma ci sarà. E ce ne saranno sempre dei nuovi a sfidare immobili la dinamicità del totale universo. Che rabbia. Un semplice stupido sasso ha una vita incomparabilmente più lun- ga di chiunque si chiami umano. Pensate un pò se anche noi potessimo essere, almeno in parte, come “loro”. Un momento. Niente panico, ragionia- mo. Proviamo a considerare pragmati- SASSI

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Page 1: SASSI - PROSPETTIVEPeccato, vista così non esiste contatto fra il “nostro” modello di vita, e il “loro”. Altra caratteristica del sasso è di essere Pesante. Un sassolino

Dicembre 1993

a cura delGruppo Culturale PROSPETTIVE

Comparazioni gratuite e possibiliparallelismi puramente speculativi

di Roberto Forlivesi

“Loro” erano già lì quando “noi” siamocomparsi sulla terra, e probabilmente cisaranno ancora quando noi scomparire-mo. Noi saremo pulviscolo molecolare e“Loro” ci saranno ancora.

I “Sassi”. Stolidi, immoti, semplici sas-si.

Sasso: Pietra, macigno, roccia, ciotolo,scheggia, frammento, selce, ghiaia.

Più piccolo, più rotondo, trasformato inaltri piccoli sassi e poi in sabbia, ma cisarà. E ce ne saranno sempre dei nuovi asfidare immobili la dinamicità del totaleuniverso.Che rabbia. Un semplice stupido sassoha una vita incomparabilmente più lun-ga di chiunque si chiami umano. Pensateun pò se anche noi potessimo essere,almeno in parte, come “loro”.Un momento. Niente panico, ragionia-mo. Proviamo a considerare pragmati-

SASSI

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camente i vari aspetti della cosa e facciamole debite comparazioni oggettive fra la “vita”del “sasso”, e la vita del-l’”umano”.

Un sasso può essere: Sta-tico, pesante, ruvido,abrasivo, duro, liscio, fra-gile, assorbente,contundente, poroso,vetrificato, fossilizzato,variegato, difforme.

Nessuno degli umani, im-magino, ci tiene a diven-tare sasso, anche perché,visto da noi umani, lo “sti-le” della sua vita ci appare un tantino mono-tono. Siamo franchi, sarebbe una noia mor-tale.Una prerogativa di un buon sasso è di essereStatico. La Staticità è il perfetto contrario didinamicità, mentre quest’ultima è preroga-tiva inalienabile di ogni umano. Tutto ciòche si muove esercita un fascino irresistibileper gli umani, i quali, fra le altre cose, hannola tendenza ad imitare tutto, e in modospeciale le cose che a loro piacciono di più.Non può volare? Inventa l’ aereoplano. Nonpuò nuotare velocemente come un delfino?Si fa la barca, il sottomarino, il transatlanti-co e gli è scappato di mano anche unapetroliera. Non può correre così veloce comeun cavallo o come un ghepardo? Ecco qual’automobile e la serie completa dei suoiparenti grandi e piccoli con poche o molteruote. Tutti corrono, e non bastandogli l’au-tomazione, ci si mettono loro stessi a cerca-re di andare sempre più veloci. A tutte le oresi vedono correre per le strade dei bei tipiche, dopo essersi travestiti, all’incirca, comeRambo, godono profondamente, sudando esbuffando, di poter finalmente incamerareuna grande quantità di pulviscolo atmosfe-rico. Bisogna però essere grati a costoro chesi prodigano con così grande abnegazione,ad abbassare la percentuale di smog dellenostre città. Chiaro quindi che siamo inassoluta opposizione al modello “sasso”.Un abisso. Peccato, vista così non esistecontatto fra il “nostro” modello di vita, e il“loro”.

Altra caratteristica del sasso è di esserePesante. Un sassolino è leggero è vero, maun vero Sasso che si rispetti, è sempre di-scretamente pesante. Quando è pesantissi-mo, allora, si fa chiamare “macigno”. Lapesantezza, non è esattamente oggetto dispasmodica ricerca tra gli umani, anzi, ètendenza generalizzata quella di esaltare laleggerezza in ogni sua possibile forma omanifestazione. Naturalmente l’elefante èun’immagine di forza e di energia ed èpesante e simpatico, ma a nessuno degli

umani piace essere paragonato alpachiderma. Al contrario, l’ideale è rappre-

sentato da una farfalla, unapiuma. A proposito, ci sonoacque minerali sempre piùleggere che, in barba ai cal-coli più elementari, più nebevi e più diventi leggero, alpunto che al minimo alito divento rischi di volare via.Chissà dove vai a finire poi.Ma costoro sono felici e svo-lazzanti. Io sapevo che unlitro d’acqua pesa esatta-mente un chilogrammo, equindi se tanto mi dà tanto,più ingurgito litri d’acqua e

più difficoltà troverò, a fine pranzo, a rimet-termi in posizione verticale per deambulare.Quello che più dispiace è che si perde ilsapore del buon vino. Insomma anche que-sto aspetto ci allontana dalla vita di “sasso”.(che oltretutto, se non vi è costretto a vivaforza, non beve mai vino.).

Un aspetto ulteriore che va considerato at-tentamente è questo: Il sasso è Abrasivo.Non so se l’analogia con gli umani siapossibile, di un uomo è raro sentir dire cheè abrasivo, ma la rarità è la prova che nonesclude aprioristicamente questa analogia.Inciso. Se qualcuno sostiene che esista unsasso liscio, conforti la sua tesi con unaprova. Strofinarselo con energici movimen-ti circolari su tutta la faccia e dopo, avendoancora voglia di parlare, raccontare succin-tamente l’esperienza.Mi sembra che questa volta si possa trovareun punto di contatto tra lo “stile” umano e“sassoso”. Avendo appurato la caratteristi-ca abrasiva del sasso andiamo a vedere seesiste anche nell’umano. Esempio: C’èl’umano Uno che fa tanta fatica a scrivere un“pezzo” decente e originale, ci mette impe-gno, sacrificio, passione e alla fine lo pub-blica convinto di aver fatto un buon lavoro,

aspettandosi qualche commento special-mente dagli amici umani. Umano Uno in-contra Umano Due. Uno butta lì: - Ehi, Due,hai letto il giornale? - Due risponde: - Sì sì.- Umano Uno chiede: - Che ne pensi del mioarticolo? - E Due: - Quale articolo? -. L’Uma-no Due è un umano Abrasivo.Esempi similari ne troveremmo a vagonatee quindi possiamo affermare che c’è almenouna possibilità di relazione fra i due “stili” divita. Ci si schiude una speranza.

Il sasso può essere anche Vetrificato, e quiho la sensazione che non ne caviamo nientedi buono.Il processo di vetrificazione delle rocce,avviene nelle grandi profondità della crostaterrestre, in presenza di pressione e caloreelevatissimi. Questi sassi qui però, non sitrovano dappertutto come capita invece adaltri sassi che sono meglio disposti e sifanno trovare. Siamo lontanissimi. Non homai visto, io, un umano vetrificato.

Possiamo considerare un’altra caratteristi-ca peculiare del “sasso”. Spesso il sasso hauna notevole capacità di Assorbimento e ditrattenimento, specie dei liquidi con cuiviene a contatto, e questo grazie al fatto diessere Poroso. Quello che a prima vistapossono sembrare due diverse capacità opossibilità, in realtà sono due aspetti dellastessa caratteristica. (Le rocce laviche o difusione, ovviamente, non hanno nessunaporosità, la quale, al contrario, è tipica dellerocce calcaree o di sedimentazione). Non èsemplice accostare a queste aggettivazioniil comportamento dell’umano. Ma si puòprovare, e tenterò un esempio. L’umanoUno, (sempre lui, oppure un omonimo, fa lostesso) trascorre mediamente le sue tre oregiornaliere in adorazione della Tivu, e quin-di si “beve” ogni dì una quantità di messaggipubblicitari che possono variare da Quaran-ta minuti a oltre un’ora. Si “scola” tranquil-lamente una ventina di pistole e come mini-

NUMERO UNICOSommario:

R. Forlivesi Sassi pag. 1R. Baiardi Favolando: TIR-NA-N-OG pag. 4I. Fogli La cometa e il cane pag. 6H. Schwardof Grattacapi per Babbo Natale pag. 7T. Maestri “Il Palazzone” pag. 8La Compagnia Dei Serafino: Giochi D'ombre pag. 9G. Brigidi Pascoli Alti pag. 10G. Scarpellini Le Origini della Poesia in dialetto Romagnolo pag. 11G. Galassi Neutroni Ribelli pag. 12C. Colombo A Cuba venderanno le mutande? pag. 13R. Ugolini M'e frol ai Gèmi énca piróca pag. 14

C. Tisselli “Brezza” pag. 16

Ricordiamo per coloro che vogliono trasmetterci articoli, poesie, riflessionipersonali e commenti, di spedirli all’indirizzo di via Don Minzoni n.3/C -Gambettola. La redazione.

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mo un bel paio di trucidi omicidi. Ma tanto,si sa, sono per finta. Si “spazzola”, ebete esonnacchioso due telegiornali con i solitiingredienti; un pò di guerra qui, (...fortunache la fanno lontano) un pò di arresti là, edulcis in fundo, qualche statistica, una “in-formazione medica”, e il rito catartico quo-tidiano si può dire completato. Tutto quelloche viene bevuto e assorbito, grazie allacapillarità, penetra profondamente all’in-terno, e non esce se non in particolari condi-zioni, che raramente si verificano.L’umano Uno, l’abbiamo dimostrato,“beve”. E’ assorbente come una buona spu-gna. L’analogia col sasso,” tiene”. Il fattoche “trattiene”, lo si può verificare allorchèUno, incontrando Due, dice: - Sai che nelGabon meridionale ci sono elefanti che vo-lano? - Due risponde ridacchiando: - Ma vàche non è possibile.- E Uno, risentito: - E’verissimo. L’ hanno detto in Tivù -. UmanoUno è completamente Poroso e una secondasperanza, conforta i nostri cuori.

Facile trovare l’analogia per la proprietàContundente. Da che mondo è mondo, l’u-mano ha sviluppato a dismisura questa la-tente capacità, e ne ha fatto arte e l’ haesportata per ogni dove, non mancando maidi esercitarla se appena si profilava un mini-mo appiglio. Un vero maestro, l’umano, e isignori “sassi” , se vogliono approfondire laproprietà contundente, devono venire a le-zione da noi.

I sassi possono essere anche Variegati nelsenso che sfoggiano una certa quantità dicolori, forse per distinguersi fra di loro, nonso, o forse solo per uninsospettabile sensoestetico. Chi può dire?C’è una tendenza ge-neralizzata al grigio, èvero, ma di tutte le sfu-mature. A volte fannouna capatina nelmarroncino ma esisto-no anche gli stravagan-ti e gli snob a cui piac-ciono colori più decisi:- bianco, rosa, violet-to, rosso, verde cupofino al blu gessato e alnero più profondo.Anche qui i sassi cisomigliano, i coloriparlano da soli.

Rimangono da considerare la difformità e lafossilizzazione. Tratterei però, prima diqueste, la caratteristica della Fragilità. Vor-rei ricordare, per esattezza, come Fragilitànon sia il contrario di Durezza, che ha comesuo opposto la Morbidezza, bensì la Com-pattezza o la Infrangibilità. Un diamante è la

cosa più dura che si conosca, eppure èpiuttosto fragile, in fondo è solo un pezzo dicarbone molto, molto pulito. La Durezzaquindi, non esclude la fragilità. Fatte questeprecisazioni, non ci resta che andare allaricerca di un umano che abbia caratteristi-che di fragilità. Ci sono due modi di vederela cosa; il modo uno è che la fragilità vengariferita alla fisicità reale, e, modo due, chefaccia riferimento in senso figurato alle ca-ratteristiche comportamentali umane. Inambo i casi possiamo trovare materiale asufficienza. Esempio. Un umano che insistea volere usare gli sci, è un prototipo perfettoper dimostrare il primo modo. Prima o poiincontrerà in mezzo ad una pistascivolosissima e con forte pendenza, unmassiccio albero, che malgrado l’avvisoacustico tipo:- Pistaaaaaaa -, fa lo gnorri e,cocciuto, decide di rimanere esattamente lìdov’è. Quello degli sci, si frantumal’ottantasette per cento delle ossa che ha indotazione, e dopo un certo periodo trascorsoin ospedale, spinto da una incontenibilenostalgia, ritorna sulla pista per vedere sel’albero c’è ancora e se putacaso, gli riuscis-se di centrarlo così bene come una volta.(Ma l’uomo non era quell’essere razionaleche doveva tutta la sua civiltà al fatto disaper “ imparare “ dalle esperienze?) Ilmodo due è più difficile e complesso peresemplificarlo in poche righe, ma sono con-vinto che gli esemplari umani effimeri, labili,deboli e insicuri riempiono l’intero pianeta.Sporadicamente è capitato a tutti, non lo sipuò negare, di far parte di questi esemplari.Così va il mondo. Comunque un risultatoconfortante dobbiamo registrarlo; abbiamo

appurato che esisteun’altra possibileanalogia tra lo stile divita del sasso e quellodell’umano.

Riguardo alla Diffor-mità, che dire? Si puòaffermare che nonesiste, in natura, unsasso che sia identicoad un altro. Simili,molto simili, può es-sere, mai però, ugua-li. E qui è come aprireil vaso di Pandora. Sipossono fare conside-razioni a non finire suciò che rappresenta l’

Originalità di ogni Umano, la sua unicità ela sua diversità. Non c’è un umano che siaidentico ad un altro umano. L’analogia finqui calza benino, i problemi vengono subitodopo. Gli è che questi umani danno unsignificato ambiguo alla parola “ Uguale”.Il termine sta a significare spesso che : -Siamo uguali perchè abbiamo la pelle dello

stesso colore.- oppure: - perchè possediamola stessa quantità di denaro, o perchè abbia-mo lo stesso sesso, o perchè abbiamo vissu-to lo stesso numero di anni. Si potrebbecontinuare così per ore. Ancora più ricca diesemplificazioni, se possibile, è la visioneopposta. Esempio: - Siamo Difformi, Di-versi, perchè lui (la colpa è sempre deglialtri) non ha la pelle uguale alla mia, perchélui guadagna più soldi di me, perchè luiguadagna molto meno di me, perchè lui (olei) non ha il mio stesso sesso, perchè luinon ha la mia stessa età, e poi non porta maila cravatta. Sulla diversità, forse è una miaimpressione, ho idea che esista una casisticaben più lunga e articolata. Insomma, gliumani si sentono più Diversi che Uguali.Però è salva la nostra comparazione paralle-la. Un altro punto a favore della similarità“sasso-Umano”.

Resta la Fossilizzazione. Per meglio capir-ci, diamo la parola al dizionario: - Fossile(fig.) arretrato, retrivo, sorpassato.Fossilizzare (fig.) chiudersi. Fossilizzato(fig.) invecchiato, superato. Naturalmente,per quello che concerne il sasso, dobbiamoriferirci all’invecchiato, giacché gli altri ter-mini sono difficilmente applicabili. Vi sietemai imbattuti in un sasso retrivo, o peggioancora, “sorpassato”? Cribbio, un macignoè un macigno e basta. Un sasso idem. Dob-biamo quindi, e possiamo, applicare questie gli altri termini, essendo essi sinonimi, alleumane caratteristiche. Si può dire tranquilla-mente che un umano è invecchiato, quandopresenta dei segni evidenti di obsolescenza,sulla superficie esterna della sua massa cor-porea , prodotti da una certa involuzioneentropica. Insomma, è indiscutibilmente eimprorogabilmente vecchio. Ricordare lacosa, non piace a nessuno, e questo ci riman-da alle parole dette all’inizio a proposito delpulviscolo molecolare. Pare quindi che sia ilsasso che l’umano, si incontrano sul terrenodell’invecchiamento, anche se occorre ne-cessariamente usare un metro diverso permisurarne la quantità. Un umano quando havissuto la sua ottantina di anni, si può ragio-nevolmente definirlo vecchio, ma per defi-nire vecchio un sasso, temo che non bastimoltiplicare per cento o per mille quellaquantità di tempo. Il punto è proprio questo.La quantità del tempo che essi possonoesistere. Esigua quella a disposizione del-l’umano, enorme quella del sasso. Fatto ildebito confronto, credo che non sia giustoaspirare ad una vita “sassosa”; si vivrebbe,o per meglio dire, si continuerebbe ad esi-stere molto più a lungo, ma immersi fino alcollo (si fa sempre per dire, specie in riferi-mento al sasso) in un immobilismo e in unaapatia che ammazzerebbe chiunque. No,non fa per noi umani. Rimanerci di sasso,intendo.

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La mente si alza a caccia di quei ricordi,attraversando l’oceano, planando sulla ver-de Irlanda immersa in un cielo così vasto dinuvole che rincorrono l’orizzonte, diimpervie scogliere sferzate da venti impe-tuosi, di antichi monasteri e cittadinesgargianti , ed ecco che il ricordo diventaracconto:

TIR-NA-N-OGIl Paese della giovinezza

Molto lontano da qui, nella Contea delDonegal, viveva un capitano coraggioso epossente, il suo nome era Finn Mc Cool.Non era alto ma ben piantato, il volto scurocome torba e gli occhi color del muschio. Ilsuo cuore era velato di tristezza poiché era

Ramona è pronta la favola? Si deve uscirecon l’edizione natalizia!Ed è arrivato un altro Natale..... ma come,di già?!Un momento, mi fermo a pensare, il tempomi sfugge dalle mani. Cerco di capire comesia possibile che questi anni corrano cosìveloci. Ore, minuti, secondi che passano ein un istante è già ieri, un capitolo chiuso,inappellabile, che non tornerà.Questa mia riflessione, peraltro così comu-ne, mi riporta alla mente “Tìr-na-n-og” (lamia vacanza più recente), questo termine èin lingua gaelica e significa paese dellagiovinezza perchè vecchiaia e morte nonl’hanno scoperto, nè vi si sono avvicinatelacrime o forti risate.Solamente un uomo vi si recò e ne è ritorna-to.....

rimasto vedovo precocemente, governava iterritori del Nord, da Omagh fino al mare,cavaliere temuto per la spietata saggezzadelle sue decisioni.Egli aveva un figlio unigenito, Oisin che pernulla somigliava al padre. I capelli d’oroluccicavano ed il viso era bello e pieno digioia, gli occhi appassionati color del maree la voce soave come musica. Tutto ciò siaddiceva ben poco ad un Celto destinato pernascita al comando! Passano gli anni come vento che porta nubicariche di pioggia, il fanciullo si fa uomo mail suo cuore resta immutato.Bardo Oisin, cavaliere dall’animo gentile,dove ti conduce il tuo destriero?Lontano dalle battaglie e dall’odio, dallacrudeltà di un mondo che non ti appartienee non ti comprende. E fu così che ci lasciò in

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un assolato mattino d’autunno, mentre lamuta aveva fiutata la preda e tutti i cavalierierano intenti alla caccia. Si allontanò dallafionna(1) non visto verso la Baia di Muckros,e a lungo cavalcò sulla spuma. Nessuno puòdire fin dove giunse ma ad un tratto il ventocadde, non udiva più nulla, neppure il suostesso respiro, ed ella apparve. Niamh, lafanciulla fatata, venne dal mare. Nel mo-mento stesso in cui i loro sguardi s’incontra-rono cadde in preda alla sorte, s’innamorò dilei e il suo cuore smise di battere.Oisin, lontano giunge il tuo canto, io hoascoltato la malinconia dei tuoi pensieri, ladolcezza del tuo cuore. Cavalca con meverso i tuoi desideri.Lo condusse verso la sua terra, oltre i confi-ni di questo mondo, dove la notte non giun-ge mai e boschi ombrosi la ricoprono inperpetuo. Tir-na-n-og un isola nel mare deltempo, dove i due giovani si amarono e laloro gioia fu autentica come un bocciolo chesi schiude alla primavera.Trascorsero nel Donegal trecento anni, nes-suno più ricordava quel giovane che in unremoto mattino cavalcò in fondo al mare.Ma Oisin era un uomo, e la nostalgia siimpadronì di lui, desiderava rivedere la suaterra, cercare i suoi compagni. Invano Niamhtentò di dissuaderlo: tutti coloro che haiconosciuto non sono più, ascoltami, quandometterai piede nella contea la magia di Tir-na-n-og cesserà ed il tempo crudele si ab-batterà su di tè. Ma egli volse lo sguardolontano, non volle crederle.Lacrime scintillanti come stelle per la primavolta discesero sul pallido volto di Niamh.Un tremito percorse la terra e un ombra siinnalzò ad oriente come se una montagnagiganteggiasse oscurando il sole. La fan-ciulla fatata chiamò a se Mithrim, il suopuledro e pose le briglie nelle mani del-l’amato. Vai dunque il mio destriero cono-sce la via.Oisin levò allora lo sguardo incontro agliocchi di Niamh e le disse: Qui ho trovato iltesoro più prezioso di ogni ricchezza, e nonvoglio perderlo, perciò sta sicura che torne-rò da te!Ebbene se lo vorrai allora ricorda, resta ingroppa a Mithrim nel tuo viaggio, non lolasciare mai e ti ricondurrà a Tir-na-n-og. Aquesto punto egli cadde nell’oblio, in unsogno dove vi era solo il rumore degli zoc-coli e il manto caldo di Mithrim sotto di lui,poiché a nessun uomo è dato ricordare qualipercorsi conducano alla terra fuori dal tem-po. Si risvegliò tra boschi di betulle, mentreil suo destriero s’abbeverava nelle limpideacque dello Shannon. Oisin riconobbe lasua terra, ma nessuno dei suoi compagni.Egli cercava domandando del tal cavaliere odel tal altro, ma nessuno sapeva indicarglidove fossero. Trascorsero così tre giorni di

vane ricerche in groppa a Mithrim, quandogiunto sulle rive del Lago Veagh il suodestino lo raggiunse, infallibile, come undardo scoccato da un mirabile arciere.Egli si volle specchiare, il cavaliere che videriflesso sul grigio destriero era assai giova-ne e bello, non era dunque vero tutto ciò cheNiamh gli aveva fatto credere! Così, perspecchiarsi ancor meglio, egli smontò...Nell’attimo in cui toccò terra con il piede isuoi trecento anni gli caddero addosso e sipiegò a metà, la sua barba spazzò il terreno.Prima di morire poté descrivere il suo sog-giorno nella Terra della Giovinezza ad unSanto uomo, Patrizio(2), che lo aveva soc-corso. Col suo ultimo pensiero chiese per-dono a Niamh, a quell’unico amore fuori daltempo che egli aveva tradito.

Eccoci giunti al termine del nostro raccon-to.

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Questa dolce leggenda mi è stata narrata daun amico irlandese, il loro folklore è gremi-to d’una folla di presenze soprannaturaliche discendono in linea diretta dall’anticopaganesimo Celtico. Qualche difficoltà nellatraduzione è stata superata con l’ausiliodella fantasia. Dicono i contadini irlandesiche “Tir-na-n-og è il luogo dove ottenere lafelicità con un penny”, molti l’hanno vistanelle profondità dei laghi o lontano al-l’orizzonte mentre scrutavano dalle sco-gliere occidentali.Proviamo a cercarla noi tutti, così nascostacom’è dentro queste giornate frenetiche.Arrivederci al prossimo appuntamento sul-le ali della fantasia!

(1) Termine gaelico con cui si definisce labattuta di caccia.

(2) San Patrizio, evangelizzatore e futuropatrono d’Irlanda.

GRUPPO CULTURALE

PROSPETTIVEGambettola

Auguri diBuon Natale

e FeliceAnno Nuovo

Festività ‘93/‘94

L'Angolo

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di Italo Fogli

E’ sufficiente rievocare l’infanzia per risen-tire il fascino della cometa, il giorno di S.Lucia quando noi ammiravamo la tradizio-nale mostra dei Presepi. Essi si presentava-no allora con rituale modestia, senza laricchezza dei moderni. La stalla del Bambi-no, fornita di paglia, aveva il tetto insicuroe sbrecciato, sul quale stava l’immancabilecometa costellata di stelline d’argento conqualche sottile filo d’oro appiccicato allacoda: un cromatismo povero con la solaindicazione direzionale per i Re Magi versoil mistico luogo della Natività.I Greci conoscevano la classica Kométes =chiomata, quale corpo celeste viaggianteintorno alla terra, ma io rivedo una insolitacometa che comparve sulla casetta di unpescatore... Di notte durante la pesca con labilancia è consuetudine collocare un fanaleal di sopra della rete. La luce riflessa sull’ac-qua si diffonde suggestivamente con ondevariegate e leggere richiamando dalle vici-nanze il pesce in pastura. Questa fiaccolanotturna offre una confortevole compagniaa chi trascorre in veglia le ore del sonno.Quella cometa la vidi tratteggiata nel suocontorno al chiarore di luce artificiale nel-l’oscurità di un lontano Natale durante ilmio passaggio verso il luogo di caccia. Laprima volta essa fu motivo di sorpresa, chedivenne in seguito di ansiosa curiosità per ilsuo significato sacro e amico nella solitariaradura tra fiume e palude.L’anno dopo quella luce scomparveinspiegabilmente, con mia delusione, cheprovocò il desiderio di conoscerne l’autore.Lasciata la strada-maestra mi avviai lungoun sentiero di erba giallastra e di sterpisecchi fino ad un canale, ove un vecchiobarcone, in disuso alla fonda e situatotrasversalmente, mi aiutò a passare. Scorge-vo non lontana l’abitazione che cercavo,però non incontrai il protagonista di quelrichiamo notturno. Mi informarono dellasua morte alcuni pescatori, che avevano incustodia la sua proprietà e il suo cane, ilquale non aveva abbandonato la abitualedimora.La bestiola, che mi fissava con insistenza,era un bastardino di modesta corporaturacon occhi vivaci e caldi. Il suo mantello dipelo corto era di colore bruno con tenuisfumature chiare sul collo e sulle orecchie.Allungai una carezza accattivante ed egli mirispose leccando con ostinazione la mia

mano e modulando guaiti, forse di sconfor-to. Mi sorpresi coinvolto da quell’animale,che vedevo per la prima volta, quasi in unrapporto umano, per cui inconsciamente fuispinto ad alleviarne la solitudine. Come semi avesse già conosciuto si adagiò al suolocon le zampe anteriori erette; il suo sguardomite mi scrutava come cercando un obietti-vo invisibile. E nel suo sommesso abbaiarevoleva dirmi quello che io non riuscivo acomprendere.Mi domandavo perché l’uomo ancora igno-ra il linguaggio degli animali. Forse nessu-no sa tradurre il comunicare misterioso diessi, nessuno è capace di interpretare le loromanifestazioni vocali. Mi ricollegai alla te-oria del fisico russo Alexander Dubrov, ilquale ammette per ogni essere vivente lapresenza di vibrazioni di diversa frequenza,per cui dall’assonanza o dissonanza di que-ste si provano sentimenti diversi. Egli so-stiene inoltre che le note musicali conl’assonanza producono melodia, mentre conil loro contrasto suoni sgradevoli. Neglianimali esistono reazioni a carattere socialedovute all’intelligenza o ad un senso innatodell’istinto, con libertà interpretativa simile

La cometa e il canea quella dell’uomo. La loro gamma di espres-sioni è però integrata dalla mimica di gestio da diversi comportamenti (1).Forse quell’umile bestia impiegava con meil suo linguaggio per l’intervento di vibra-zioni bioritmiche? Il mio turbamento au-mentava poiché il suo sguardo sembravadonare affetto ad un amico ritrovato. Senti-vo uno strano malessere che intuivo anchein lui, ma fui incapace di consolarlo. Tacevocome se il mio “io” fosse uscito improvvisa-mente alla ricerca del pescatore scomparso.Dai miei vecchi ricordi non scaturì alcunaidea per una soluzione verso un animale inpena.Intanto il cane appoggiò la testa sui mieipiedi e a me questo parve una richiesta diprotezione. Ma dopo tali considerazioni miallontanai con la sensazione di un mio com-portamento ingrato e con un senso di colpaverso quell’animale solitario, per me senzanome e senza passato, che ancora fiduciosoattendeva il ritorno del padrone.

1) Konrad Lorenz, “E l’uomo incontrò ilcane” Ed. Adelphi.

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di Hannelore Schwadorf

L’uomo dalla barba bianca sta gia preparan-do la sua slitta. Che cosa porterà ai bambiniquest’anno?I nostri figli si aspettano gio-cattoli ed hanno ragione. E’stato detto infatti che i gio-chi sono le vitamine dellafantasia. Regaliamo peròqualcosa che aiuti a svilup-parla. Come noto in tedescogiocare si traduce “spielen”,in francese “jouer” ed in in-glese “to play”, tre verbi chehanno anche un secondo si-gnificato: suonare, una pa-rola che richiama 1a creati-vità, perché suonare è anchecreare con la fantasia. Comeun gioco.Quali sono i giocattoli invoga attualmente ?Per quanto possa sembrareparadossale, vista la grande gamma di pos-sibili regali, esposti in vetrina, la scelta èsempre più difficile.Questo non vale ancora per i bambini da Oa 5 anni, in quanto “tutti i giocattoli di marcaper l’età prescolare sono di ottima qualità,mi riferisce una assistente per l’infanzia.Hanno precise finalità didattiche e rispetta-no rigorose norme di sicurezza.” Negli ulti-mi anni sono tornati di moda i giochi dilegno. “Infatti cubi, trenini e puzzles diquesto antico materiale sono atossici e piac-ciono a piccoli e grandi”, precisa un riven-ditore. Quindi almeno per i più giovaniandiamo sul sicuro.Ma vediamo la fascia di età successiva: ibambini da 5 a 10 anni. “I giochi devonoessere uno strumento per migliorare le ca-pacità intellettive e mantenere un buon equi-librio psicologico e fisico”, si legge in unaguida all’uso e alla funzione del giocattolodi una nota casa produttrice. Fra i giochifavoriti delle bambine continua a trionfare“Barbie”, la migliore amica delle femmineormai da due generazioni. Peccato che gliideali che rappresenta siano solo la bellezzaesteriore, la ricchezza, il successo monda-no. “Spetta ai genitori il compito di evitareche le bimbe si identifichino troppo con laloro bambola nel suo mondo fittizio - spiegauna neuropsichiatra infantile -. E’ bene che

il bambino sia guidato nel gioco”. Il discor-so vale anche per gli eroi che combattonoeterna guerra fra il bene ed il male nelmondo, preferiti da molti maschi. “Per miofiglio non compro questi brutti pupazzi, -sostiene un padre -, perché insegnano che

per sopravvivere bisogna difendersi col-pendo per primi”.La pubblicità ha un’influenza determinantenella scelta dei giocattoli. “La televisionecondiziona il 99% delle richieste e purtrop-po spesso consiglia male, - afferma un inse-gnante elementare. - Molti giochi funziona-no da soli senza che il bambino vi partecipiattivamente. Cosi i ragazzini diventano sem-pre più pigri. Io consiglio giochi di società ecostruzioni che richiedono impegno, stimo-lano l’intelligenza e favoriscono lasocializzazione”. Un esempio di quanto in-cide la pubblicità è l’amore dei ragazzi per

i dinosauri, creato dal film Jurassic Parc etutta la promozione connessa. Questi mostriruggenti di plastica molliccia con la feritastaccabile, più fanno ribrezzo più sono “bel-li” agli occhi dei bambini.Sempre richiestissimi anche per Natale sono

i videogiochi. C’è chi so-stiene che siano utili a scari-care la tensione. Altri sonod’accordo con la sociologaamericana Sherry Turkleche scrive: “I videogiochinascondono il pericolo dialienazione del ragazzo dal-la realtà e possono comun-que creare dipendenza comeuna droga. Gli effetti sonocomunque legati alla fre-quenza d’uso”. Spesso i gio-chi si basano sull’elimina-zione, in genere per uccisio-ne, dell’avversario e con-tengono quindi molta vio-lenza.Come possiamo muoverciallora?

“La cosa più importante - conclude la dotto-ressa di neuropsichiatria - è ascoltare conattenzione i desideri e cercare di capire benei bambini prima di scegliere i regali. Biso-gna anche sfatare certi miti: se un maschiettodesidera una bambola o una femmina unfucile non è necessariamente un segno diperversione. Tutto va considerato in un con-testo più ampio come l’ambiente in cui ilbambino vive”.In ogni caso non dimentichiamo di metteresotto l’albero, insieme ai regali, una buonadose di affetto e di tempo da dedicare ainostri bambini.

Grattacapi per Babbo Natale

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di Tilde Maestri

Oh vecchio palazzone del mio paese!io ti ricordo grande, massiccio e senza pretese,dominavi, con la tua mole, il paese e gli abitantie di anni ne avevi tanti e poi tanti.

Si diceva che eri stato costruito nel medio evocome casa di caccia per un conte, per suo svago e sollievo.La tua sagoma si vedeva anche in lontananzae per colui che partiva eri una cara rimembranza.

Eri dimora per famiglie povere e abbandonateche nelle tue grandi sale si eran sistemate,eri l’asilo pel povero e il neglettoche trovava conforto sotto il tuo tetto.

Tu eri come un gigante buono e addormentatoche vegliava sulla gente e l’abitato.Quante corse e gridi di gioia per le tue vecchie scaledi noi bambini che andavamo in alto per vedere il mare.

Poi scoppiò la guerra, piena di amarezza,ed anche per te s’iniziò una sorte di tristezza;le bombe e le granate ti colpivano senza posa,ma tu resistevi, proteggendo gente ed ogni loro cosa;

ma la fine purtroppo era sicurache ti doveva portare a sepoltura.Fosti ridotto a un cumulo di pietrefumanti e tristi come le nostre ore nere,

le ore nere della nostra disfatta e disperazioneche vedeva rovine e desolazione.Così, o vecchio palazzone, il tuo fu un ultimo atto d’amore,il donare alla gente le tue pietre con tutto il cuore

perché la gente si ricostruisse la sua dimorae godesse in tanto sfacelo la pace di qualche ora.Ma tu cadesti ed or non ci sei piùed i giovani di oggi non san nemmeno chi sei tu,

però resterai sempre nel pensiero delle vecchie generazioniperché a te legati sono ricordi lontani e buoni.

POESIE

L'Angolo

Il palazzone

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a cura De La Compagnia Dei Serafino

Dominique Séraphin, questo è l’artista cheimportò le ombre cinesi in Europa e creò ilvero e proprio teatro di ombre a Versaillesnel 1774. E’ rimasto in attività, attraverso isuoi eredi, a Parigi, fino al 1859; seguironopoi altri grandi maestri, che si occuparono diombre e, nel 1950, Paul Vieillard con il suoteatro “Noir Et Blanc” arricchì di straordi-narie soluzioni tecniche questo tipo di tea-tro.La nostra neo Compagnia formatasi all’albadel 1993, dopo la fatidica cena di Capodan-no ed il giro di auguri fra gli amici, ha voluto

omaggiare il primo maestro Serafino, conuno spettacolo di ombre, tratto dalla “Favo-la d’Amore di Hermann Hesse” che si terrànella sala del cinema Metropol nei giorni:sabato 18 dicembre per la Scuola Media “I.Nievo” e per la Scuola Elementare“G.Pascoli” di Gambettola e domenica 2gennaio 1994, rivolto ad un pubblico adul-to, perché il linguaggio delle ombre è anticoe moderno allo stesso tempo, è un gioco chediventa spettacolo che ha il sapore del giocoe la fantasia non ha età.Teniamo a sottolineare che l’offerta è libera

e verrà devoluta in beneficenza alla Legadei Filo D’Oro, un Istituto do Osimo(Ancona) che ospita e cura i bambini audio-video lesi, con programmi didattici appro-priati, che li riporta a comunicare con ilmondo esterno, a capire la cognizione tem-po-spazio di cui sono sprovvisti, ad identi-ficare le persone e cose, insomma a viverefuori dal loro isolamento costrittivo.Ringraziamo il Comune per la sua collabo-razione, senza la quale non sarebbe statapossibile la manifestazione, un grazie parti-colare a Massimo Guidi, assessore alla cul-tura fino a pochi mesi fa, che ha accolto lanostra proposta ed ha incoraggiato i nostri

primi passi, ed a Vincenzo Franciosi checoordina i nostri movimenti organizzativi.La nostra Compagnia formatasi come unosplendido gioco di fantasia, ha travolto icomponenti in questo stupore di ricerca e diimpegno quotidiano e, in quell’alba del 1993,ognuno di noi vedeva la propria ombramagica, dissolversi nella nebbia mattutina.Le ombre cinesi costituiscono una tecnicavalida di comunicazione, perché è il risulta-to di più persone e, quindi, utilizza diversimezzi espressivi; qui parlerà il taciturnodalla matita facile che disegnerà sagome o

GIOCHI D’OMBRE

L'Angolo

fondali, l’appassionato di fotografia chelavorerà su diapositive e coordinerà l’usodei proiettori; l’ingegnoso dei lavorimanuali che inventerà soluzioni mecca-niche per il movimento delle sagome ola sistemazione della scena, e così via,quindi la capacità “Artistica” di ognisingolo elemento non viene mai disper-sa. Tutto ciò che vedrete, dal teatrinoalle scenografie, alle sagome, è intera-mente costruito su questo principio.Vi aspettiamo per poter giocare insiemea noi.

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PASCOLI ALTISensazioni di un camminatore solitario

lunare, con l’ombrello aperto nella sinistra eil bastone nella destra : ero così solo che hoiniziato a parlare ad alta voce con me stes-so...come i matti. Ma andavo ugualmen-te...La solitudine ( quella volontaria ) ticostringe a convergere le tue attenzioni suidettagli e ad esteriorizzare le tue sensazioni.Così discutevo tra me e me sulle pignemorsicate dagli scoiattoli, sul muschio vel-

lutato che sembrava asciutto e invece miaveva bagnato tutto il fondo-schiena duran-te una pausa ( ma tant’è, acqua più, acquameno... ). Esternavo anche, sempre a mestesso, quel sottile piacere di essere immer-so in una natura un pò ostile e un pò protet-tiva, visto che mi aveva allontanato le tormedi turisti che ti pe-stano i calli ovun-que in montagna. Poiho provato anche losmarrimento, la pau-ra : quel minimo diangoscia che ti pren-de quando, da soloin montagna, non saipiù dove cammina-re. Mi ero perso. Sa-lendo oltre il bosco,non avevo più ritro-vato il sentiero suipascoli alti. Sembraridicolo perdersi adue passi da Moena,ma vi assicuro, ba-sta un attimo di di-strazione, un gran nebbione e un ambientein cui non hai punti di riferimento nè visivinè sonori... E mi sono reso conto di quantosiamo disabituati, noi cittadini, a cercare il

nostro personale cammino di risalita ( inte-so in senso reale di sentiero ma anche insenso figurato ) : siamo intruppati e andia-mo acriticamente dove indica la segnaleti-ca...finchè riusciamo a vederla. Per fortunanon era una zona impervia, per cui arrampi-candomi per prati ( casualmente? ) ho ritro-vato il sentiero e infine il Rifugio, che rap-presentava quel giorno la meta. Qui, oltre adogni mia aspettativa, mi sono ripagato ditutti i disagi ( atmosferici ) che avevo sop-portato per salire. Il Rifugio era ( è ) picco-lino, pulitino, nuovo e, quel giorno, soprat-tutto vuoto. Per due ore sono stato l’unicoospite dei gestori, due simpatici vecchiettiin pensione, ( marito e moglie ) che manda-no avanti la baracca per passione e concompetenza. Oltre al conforto alimentare (purtroppo per loro, quel giorno hanno acce-so il fuoco e cucinato solo per me ) mi hannointrattenuto piacevolmente con grappe, conrievocazioni della loro vita e con il ricordodella Seconda Guerra che aveva visto ilproprietario ( proprio cinquant’anni fa )prima in fuga dall’inverno Russo, quello del’42, poi in fuga dai tedeschi dopo l’ottoSettembre ’43. Di nuovo è riaffiorato quelsottile piacere di vivere sensazioni ed emo-zioni per me uniche e non più riproducibili( chissà ). Incontrare persone sconosciuteche hanno vissuto quel giorno per aspettare,accogliere e nutrire me, e per creare unrapporto occasionale ma spontaneo legato aidentiche mentalità e visuali di vita. Scen-dendo a valle ero leggero e allegro ( che

fossero le grappe? ) e, nonostante la pioggiacontinuasse imperterrita, oltre che con mestesso, ho parlato ad alta voce anche con lemucche sui pascoli.

di Giuliano Brigidi

Persino il buon Woytila e il rude ReynoldMessner hanno trovato da dire ( a distanza,ovviamente, e sulla carta stampata ) sullemotivazioni che spingono gli umani a salirele vette di montagne impegnative o menoche possano essere. Ognuno di noi, cheprova soddisfazione a frequentare quegli

ambienti, si è senz’altro posto la stessadomanda dei due illustri di cui sopra; ma lerisposte sono tante e varie e personali chenon mi ci provo neppure ad elencarle o adiscuterle. Sarebbe lungo, noioso e fine a sèstesso. Mi piace, invece, rivivere breve-mente coi lettori, una simpatica esperienzadi risalita di una valle dolomitica, accadutaqualche mese fa, che mi ha costretto a rima-nere con mè stesso per varie ore e a pensarea quelle piccole sensazioni che normalmen-te vengono rimosse dalle più varie distra-zioni. Un bel panorama, la compagnia chiac-chierona e soprattutto la ressa di turisti cheimmancabilmente ti accompagnano ( o tiopprimono ) nei periodi di stagione buonasulle Dolomiti. E’ successo che, durante leultime ferie in Val di Fassa, dopo tre giornidi vana attesa di sole, mi sono deciso adandare ugualmente e a salire ad un rifugio,per me nuovo, posizionato in una vallesecondaria del Gruppo dei Monzoni : ilRifugio Vallaccia. Nulla di eroico o compli-cato, anzi, in condizioni normali è una pas-seggiata di due ore circa, ben segnalata etranquilla...però, quel giorno, pioggia, fred-do e nuvole basse a livello di suolo, hannotrasformato radicalmente la situazione. Misono ritrovato completamente solo, avvoltoin una ovatta impalpabile e in un silenzio

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fatto che un dialetto così aspro come quelloromagnolo (molte consonanti e pochissimevocali o dittonghi) venga così abilmentepiegato alla versificazione pur essendo lon-tano dalla lingua fiorentina assai più portataall’endecasillabo piano.

La produzione letteraria in dialettoromagnolo pur avendo un’origine tanto re-mota e rilevante vive un lunghissimo perio-do di stasi: secondo il più autorevole studio-so dei dialetti della nostra regione (il filologoaustriaco F. Schurr) tutte le opere pubblica-te in dialetto romagnolo tra la fine del ‘500e la prima metà dell’800 possono interessa-re solo il dialettologo in quanto risultanoprive di connotati artistici tali da inserirlenel contesto di una vera e propria storialetteraria.

Perciò dal Pulon Matt in avanti bisognaattendere le opere di Olindo Guerrini (aliasLorenzo Stecchetti) e di Aldo Spallicci.Il primo è una figura di primo piano dalpunto di vista culturale e politico della se-conda metà del ‘800: la sua opera poetica, incui il dialetto si alterna alla lingua, sembrariallacciarsi a quella dell’anonimo poeta diS.Vittore: il protagonista principale dellapoesia stecchettiana è il romagnolo chiasso-so e repubblicano, il contesto è quello

iperrealistico della Forlì del secondo ‘800 ela vena prevalente è quella satirica. Poesiaspesso molto colorita, condita dai toni diuna polemica che si fa denuncia apparetalvolta come opera priva di un suo progettocomplessivo e confinata in gran parte alirica d’occasione.Più completa risulta la produzione letterariadi Aldo Spallicci, promotore di una rinasci-ta della tradizione culturale romagnola neisuoi diversi aspetti e la cui vena poeticainiziata nel 1909 con la raccolta Rumagna,rimarrà attiva fino al secondo dopoguerra.Dal punto di vista letterario il maggior pre-

gio di Spallicci sta nell’elemento di rotturacon la tradizione veristico-satirica a lui pre-cedente: la sua opera, specie nella fase ini-ziale, si colloca su un piano parallelo aquella contemporanea in lingua, legittiman-do dunque il dialetto quale moderna lingualetteraria.

Tema prevalente della produzionespallicciana è il forte legame che uniscel’uomo alla natura ed in questo il poetaforlivese raggiunge toni spesso di grandeliricità che ricordano il Pascoli di Myricae;a volte invece si ha l’impressione che tendaa creare gli stereotipi di un paesaggio “sola-re” e di una Romagna arcadica in totaledisarmonia con la realtà sociale ed econo-mica dell’epoca.Ma è grazie a Spallicci e al suo immensoimpegno per la presa di coscienza del valoredella tradizione romagnola (assieme aBeltramelli e Pratella fu il fondatore dellarivista di studi romagnoli “La Piè”) che si èresa possibile, nell’immediato dopoguerra,la fioritura di una produzione poeticadialettale tra le più alte della letteraturacontemporanea e che vive ancora oggi nelleopere di Tonino Guerra, Raffaello Baldini eTolmino Baldassari.

dal PULON MATT:

A voi cantar al Mrosij e i RagazzunDla Piè d’San Vutor, i spess e l’algriaCh’fu cmanzend dl’an uttanta unPar dchina tant ch’la dsina scapò via,(...)A drò d’Pulon tutt quant ant una bottaConsa, ch’n’s’ trova ans nsuna scarturaC’u suò zarvell pr’amor dis bona nottaEss andò asiun zarchend la suò ventura

(Voglio cantare le morose e i ragazzoni/della Pieve di san Vittore, gli spassi e l’alle-gria/ Che furono cominciando l’anno ottan-ta e uno/ per sino a tanto che la decinascappò via/ (...) / Dirò di Paolone tuttoquanto in una volta/ Cosa che non si trova innessuna scrittura/ Che il suo cervello peramore disse buona notte/ E andò attornocercando la sua ventura ....)

di Gianluca Scarpellini

Il rapporto conflittuale tra lingua italiana edialetto in ambito letterario ha origine findal periodo in cui il volgare, prendendodecisamente il sopravvento sul latino, rele-ga quest’ultima lingua esclusivamente adidioma del clero, della burocrazia e dellescienze giuridiche.Infatti la superiorità del fiorentino e la suaassunzione a lingua nazionale per eccellen-za (Bembo, Prose della volgar lingua), seda un lato ratifica il bisogno di codificazionedella lingua letteraria, non può contrastaredall’altro il conservarsi di una serie di innu-merevoli parlate locali che manifesta unavarietà e vivacità linguistica unica nel con-testo europeo.L’unica ragione apparente che assegna alfiorentino il ruolo di lingua letteraria pereccellenza è il fatto che proprio in quelparticolare volgare avevano espresso la loroartisticità prima Dante, poi soprattuttoPetrarca e Boccaccio. Ma già nel ‘500 na-scono le prime polemiche contro l’autoritàdel Bembo e del fiorentino letterario e levoci di Ruzante e di Folengo che scelgonodeliberatamente di scrivere le proprie operenel loro dialetto sono il segnale della nascitadi una tradizione letteraria “parallela” aquella ufficiale nella lingua nazionale.

E’ in questo periodo, attorno al1591, che si ha notizia dellaprima opera in dialettoromagnolo. Si tratta di un poe-ma anonimo, composto nel vivodialetto di S. Vittore di Cesena,e che trae spunto dall’OrlandoFurioso del quale imita sia latecnica (il metro scelto è quellodell’ottava rimata), sia il tonoepico: si tratta del Pulon Matt (Paolonematto).Pur essendo conservato solo in parte (trecanti e mezzo rispetto ai dodici originari),questo poema è classificabile come unavera e propria opera poetica sia per la con-sapevole parodia del Furioso compiuta dalpoeta, sia per la presenza di una esemplarevena ironica misurata sul metro ariostesco.All’ironia dell’Ariosto l’anonimo poeta diS. Vittore oppone la propria, senza per que-sto diminuire l’autenticità del suo mondopoetico.Dal punto di vista stilistico è interessante il

LE ORIGINI DELLA POESIAIN DIALETTO ROMAGNOLO

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“Come è difficile riuscire a dare unaocchiata alle carte di Dio. Ma non credoper un solo istante che Lui giochi a dadi”A.Einstein (21 marzo 1942)

Neutroni Ribelliovvero: Sete di Energia!

di Gabriele Galassi

La materia che noi conosciamo e tocchiamocon mano tutti i giorni è composta principal-mente da tre particelle: protone, neutrone edelettrone. Ognuna di queste particelle vienedescritta in modo diverso a seconda delleproprietà fisiche e chimiche, per esempio, ilmoto degli elettroni genera una correnteelettrica a cui è associato un piccolo campomagnetico (caratteristiche fisiche). Consi-derando sempre l’elettrone, abbiamoche ogni atomo ha possibilità di ave-re legami più o meno forti con altriatomi in base al numero di elettronipresenti nel livello esterno (valenza);così, certe combinazioni di atomi(molecole) sono possibili e stabili,altre, al contrario, sono solamentestati si transizione per arrivare amolecole con forti legami (caratteri-stiche chimiche).Il protone, nel mondo fisico e chimi-co ha una particolarità: il suo numeroindividua e distingue un atomo dal-l’altro, per cui, l’atomo che ha unsolo protone è stato chiamato idroge-no, quello che ne ha due Elio e cosìvia ..... tanti altri fantasiosi nomi.I protoni sono il combustibile nucleare dellestelle, poiché nel grande reattore nucleareche è il nostro sole, la fusione degli elementisemplici sviluppa energia, così due atomi diidrogeno che si uniscono (fondono) forma-no un nuovo atomo di Elio e irradiano nellospazio quell’energia che rende possibile lavita sul nostro pianeta. Un protone (perconvenzione) ha carica elettrica positivaesattamente uguale e di segno contrario aquella dell’elettrone.Per ultimo, nella nostra veloce carrellata, avolo di gabbiano, prendiamo in considera-zione l’amico/nemico “neutrone”. Ilneutrone ha all’incirca la medesima massadel protone e si distingue da quest’ultimoperché non ha carica elettrica, L’ho chiama-to nostro amico/nemico, perché nella tecno-logia del XX° secolo ha fatto e sta facendotuttora la parte del leone e come questo, chein definitiva è un animale nobile, fiero e

potente come un Re, ma pericoloso, ilneutrone, purtroppo, può anche ferire.

La nostra tecnologia ha fatto in un solotrentennio passi da gigante che noi, moltevolte, non ce ne rendiamo conto. Questogrande passo, però, non è stato recepito datutti in maniera uguale e soprattutto concoscienza e civiltà; così, l’uomo di oggi habisogno di elettricità, ha sete di correnteelettrica, perché senza di essa non può piùfar funzionare i tanti giochini più o menoutili che ha inventato.

Ed eccoci di nuovo al “neutrone“, mezzo emotore dell’attuale tecnologia energetica dimolte nazioni del nostro pianeta. Dopo lascoperta di quest’ultimo, avvenuta nel 1932al Cavendish Laboratory per merito di James

Chadwick, i fisici hanno utilizzato questaparticella, non deviabile da campi magneti-ci perché neutra, per bombardare altre so-stanze, giungendo alla conclusione che lesostanze (atomi) si eccitano e diventanoartificialmente radioattive. Da questa primaverifica sperimentale si è cominciato a pen-sare alla prospettiva di spaccare atomi perprodurre più energia.Il termine “fissione”, quindi, indica propriol’operazione di spaccatura di un atomo.Nel nostro pianeta sono attualmente opera-tivi solo reattori nucleari a “fissione“, ipochi reattori nucleari a “fusione” sono tut-tora in fase sperimentale, poiché l’innescodel processo di fusione comporta ilconfinamento magnetico dell’idrogeno atemperature altissime e quindi è come cer-care di creare una stella in casa.I reattori a “fissione”, nonostante comporti-no grossi rischi di gestione, sono stati co-

struiti per avere energia a buon mercato esoprattutto per non dipendere dagli umoridei venditori di petrolio. RicordateChernobyl (Ucraina) e Three Miles Island(Pensylvania)?La reazione nucleare una volta innescata siautoalimenta: un sassolino ne colpisce unaltro e lo spacca in due, questo ne colpiscealtri ed il processo così prosegue ed aumen-ta in modo vertiginoso. Il problema grossoè quindi quello di fermare questi sassoliniche continuando a rompersi l’uno con l’al-tro causano sempre più confusione e posso-no esplodere.Fisici ed ingegneri hanno in parte risoltoquesto problema mettendo il combustibilenucleare in barre mobili, che possono essereestratte o inserite dal reattore per aumentareo ridurre il processo di fissione.L’incidente di Chernobyl non sarebbe potu-to accadere se una serie consecutiva di erro-ri non fosse stata volutamente eseguita perscopi militari. La corretta costruzione e ge-stione di una centrale elettronucleare nonpuò arrivare alla fusione del nocciolo (esplo-sione).Un nuovo progetto, che può ovviare allalentezza del processo di attenuazione (estra-zione delle barre di combustibile dal reatto-re), è stato recentemente presentato dal Prof.Rubbia, il quale, con molta cautela, ha spie-gato la sua idea, chiarendo che occorrestudiarci ancora per avere garanzie difattibilità.Questo nuovo progetto comporta semprel’utilizzo del neutrone, la differenza sta nelfatto che mentre nelle attuali centrali vengo-no utilizzate sostanze radioattive naturali, ilreattore ideato dal Prof. Rubbia prevedel’utilizzo di un atomo non radioattivo (Torio232) e di un acceleratore lineare per sparareneutroni nel reattore. Il vantaggio primariodel processo è che in caso di aumento ecces-sivo della reazione, basta spegnere l’accele-ratore per bloccare la reazione a catena; insecondo luogo, un reattore di questo tipoprodurrebbe poche e meno pericolose scorieradioattive.Chissà, forse questa sarà la strada buona perimbrigliare quel ribelle di “neutrone”, ma laricerca ha altri tempi e, noi, possiamo soloaspettare e sperare che questo progetto, de-rivato dallo studio e dalla scoperta di ulte-riori mattoni atomici e dai loro processi dicombinazione per ricomporre le particelledi materia “stabile”, venga calato nel nostroquotidiano diventando, per l’uomo, l’albadi una nuova era e di una nuova civiltà.

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girandomi e rigirandomi nel mio letto. Alle7.30, dopo aver svegliato il mio amico, cisiamo vestiti, abbiamo fatto colazione esiamo partiti alla volta dell’aeroporto. Ar-rivo a Roma-Ciampino un po’ prima delle9 per sbrigare le formalità d’imbarco sul-l’aereo che sarebbe partito alle ore 11.Tutto regolare, fatto il check-in, visto che cisono due ore da aspettare ne approfitto perandare a comperare un paio di mutande chenella fretta ho dimenticato a casa. Con lasolita fretta, mi sono lanciato dentro al pri-mo negozio, senza rendermi conto che pote-va essere un po’ troppo caro, infatti le mu-tande mi sono costate circa 34.000 lire.Quanti soldi ho in tasca, ho pensato, micatanti, almeno non troppi in lire italiane, chein teoria non dovrebbero servirmi più fino almio rientro in Italia. Contento di avere lemie benedette mutande di riserva, rientro inaeroporto alle 10,18 dove vedo un aereodecollare, e pochissima gente nella salad’attesa. Mi dirigo verso il posto di control-lo bagagli, metto il mio zaino sul nastro chelo farà passare sotto il vigile strumento e,

prima che questo arrivi dall’altra parte, misono sentito domandare: “dove sta andan-do?” con l’aria di chi si stupisce di fronte aduna domanda che esige una risposta ovvia,mi sono affrettato a mostrare la mia cartad’imbarco e aggiungo: “a Cuba!”.La voce di una donna poliziotto però miraggela: “è già partito un minuto fa” diceindicandomi l’aereo che si stava ormai al-lontanando. Non sarà il mio, penso, e corroallo sportello delle informazioni. E inveceera proprio il mio!Ma quando mai un aereo parte prima del-l’orario previsto e per di più con un bagaglio

a bordo senza il relativo proprietario?Potrebbe essere molto rischioso e le normedi sicurezza infatti lo vietano. Tutto puòsuccedere, anche di sbagliare a contare ipasseggeri che sono seduti sulle poltronedell’aereo che invece di 45 sono solo 44.Da Ciampino non partono altri aerei perMilano, dove l’aereo farà scalo per un’ora emezza per far salire a bordo gli altri aspirantiviaggiatori, come fare? Prima di tutto cal-marsi, riprendere coscienza e poi organiz-zarsi per tentare il tutto per tutto.Lì vicino c’è lo scalo degli Aeroporti Gene-rali di Roma gestito da privati, da dovepartono gli Aerotaxi. Perché non tentare difarsi dare un passaggio?Detto fatto. Per fortuna qualcuno va a Mila-no, mi spiegano che sono voli un tantinellocostosi, ci vogliono circa 3 milioni per anda-re da Roma a Milano. STUNF! questo éstato il rumore che ho sentito forte forte nelmio petto, doveva essere lo sballo del cuore.Ho cominciato a domandare a destra e asinistra e, con l’aiuto di Sabrina e del CapoScalo, che ringrazio vivamente, riesco a

partire per Linate dove arriviamo inun’ora circa e precisamente alle 12.L’aereo era stupendo, uno di quelli cheavevo visto solamente in TV suDINASTY. Poltrone regolabili in tuttele posizioni, Computer per lavorare epiccoli schermi su cui era indicata larotta, insomma un lussuoso passaggio!Come viaggiare in Rolls Royce. Misento molto in imbarazzo, vorrei dareuna mancia al pilota e agli altri (trepersone d’equipaggio e due passeggeridi cui uno ospite), ma quanto posso maidar loro? in tasca ho poche centinaia dimigliaia di lire, devo prendere un taxiper andare a Malpensa (circa 60 Km),se li do a loro come faccio? Decido dinon dare niente a nessuno, per non farebrutta figura ed esco. Il pilota dell’ae-

reo privato, che insieme al passeggero haacconsentito a darmi il passaggio, prima dilasciarmi andare, telefona gentilmente aMalpensa per assicurarsi se il mio aereo èatterrato regolarmente e, saputo che c’è eche sarebbe ripartito alle 13 e 30, mi preci-pito fuori a prendere un taxi che in 50 minutimi scarica davanti all’ingresso dell’aero-porto dove io riesco a risalire sul mio aereo.Decollo perfetto, il comandante forniscealcune informazioni sul volo e il mio viag-gio ha finalmente inizio. A bordo tutto bene,personale simpatico e attento, finalmenteun pò di relax.

a Cuba venderanno le mutande?meglio non rischiare

di Cristoforo Colombo

Diario di un viaggio avventuroso

Partenza per Cuba! Il mar dei Caraibi è unameta molto affascinante, per la prima voltaho un biglietto che comprende anche unasettimana con la sistemazione in Hotel.Me lo ha procurato Silvia dell’Agenzia Viag-gi Myricae di Gambettola che io ho stressatoper farmi trovare un luogo lontano e checostasse poco. Lei ce l’ha messa tutta peròcon 1.000.000 di lire è riuscita a farmiandare nei Caraibi con un volo di andata eritorno (il ritorno in Business Class) valido3 settimane e con la prima settimana in unHotel ****, con la mezza pensione compre-sa nel prezzo, niente male, o meglio, chefortuna! Meglio prendere l’offerta “al volo”.La Silvia si era raccomandata tanto di esserepuntuale e di andare subito al banco dellacompagnia aerea per ritirare il biglietto efare il check in. Alle 9 di mattina a Roma....,“quasi quasi ci vado la sera prima, dormo acasa del mio amico e la mattina mi sveglioalle 7.30, gli chiederòdi accompagnarmi inaeroporto, così non do-vrò fare nessunalevataccia” - avevopensato! A dire il veroparte di questo proget-to l’ho anche messa inpratica. Nella casa dovesiamo andati a dormi-re, però non c’era unasveglia che funzionas-se e, siccome era in tra-sloco, aveva anchedisattivato il telefono,perciò non era poi tan-to chiaro come avrem-mo fatto a svegliarci.“Normalmente mi sve-glio presto, però se poi proprio domattinanon riuscissi a svegliarmi?” E’ ormai l’unadi notte, quindi bisogna andare a nannasperando bene! Sono sprofondato subitonelle braccia di Morfeo e mi sono immersonei sogni dove già mi vedevo sdraiato alsole, con una bibita caraibica “sventolato”dalla brezza marina e ombreggiato dallepalme. All’improvviso, forse perché avevosognato di perdere l’aereo, dopo appenaun’ora sono saltato in piedi sul letto con gliocchi sgranati e.... addio al sonno. “Pazien-za, dormirò in aereo”, ho pensato, e cosìsono rimasto zitto zitto ad aspettare l’alba,

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di Rinaldo Ugolini

Noun a sèmi “cvéi dla piaza adcioura”, chis géiva énca “cvéide prit” par véid che edopmezdè,dop a la scola,andasemi a fe i badarél da e prit,cioè in paròchia. An faz par déimo a semi una bèla sqvèdra. U iera Vitorio e la Margherita dlaPii ad Binaci, Berto e la Foscadl’Angiuléina, Pino, la Candidae la Luvisa de Cécc, Giovaninoe la Marì ad Nondi, Carlo deBachén e Piero e la Milvia dlaMaréina. E po ui era al burdèliad Fantòin, cl’era la Peina, caigèmi la Bòunci, e la Ines. LaBòunci la géiva avoi qvatar ozoincv en, la aveiva i cavél bionde i ócc cér cér, e paréiva unabambuzéina ad cvèlli che parbélèza als mitéiva soura e cumò.La Bòunci l’era propi una bèlaburdèla mo noun an la vlèmiparchè a gémi che li la era tropaznéina par avnéi sa noun e lialoura las avnéiva dri, a du trimetar ad distènza, e e paréivache cun i su ucióun célést lasgés: “Tuléim sa vuit, a so encame dla sqvèdra”.Da chi dè, a gemi les de ’46, la

Noi eravamo “quelli della piaz-za disopra” e ci chiamavanoanche “quelli del prete” perchénel pomeriggio, dopo la scuola,andavamo a giocare dal prete,cioè in parrocchia. Non faccioper vantarmi, ma eravamo unabella squadra. C’erano Vittorioe la Margherita della Pia diBinaci, Berto e la Foscadell’Angiolina, Pino, la Candi-da e la Luisa de Cecc,Giovannino e la Maria di Nondi,Carlo de Bachèn e Piero e laMilvia della Marina. E poi c’era-no le figlie di Fantòin, che era-no la Pina, che noi chiamavamola Bounci, e la Ines. La Bouncidoveva avere quattro o cinqueanni, aveva i capelli biondi e gliocchi chiari chiari, sembravauna bambolina di quelle che,per ornamento, si mettevano sulcomò. La Bounci era propriouna bella bambina ma noi nonla volevamo perché dicevamoche era troppo piccola per veni-re con noi e lei allora ci venivadietro, a due tre metri di distan-za, e sembrava che con i suoiocchioni celesti ci dicesse:

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M’E FROL AI GÈMI ÉNCA LA PIRÓCAIL FRULLO LO CHIAMAVAMO ANCHE PIRÓCA

nosta strèda, cl’era po la strèdadla Barcaza, l’era una strèdapeina ad bóusi e ad pòrbia, duche par tot la zurneda ui paséivasultènt Simòun et Condo adRudaròin. Simòun l’avnéivaoulta da la Vióla e e purtéiva alpigri a pasculè. Condol’andaséiva cun e saidacar a coiso è fèr vècc. Dop cl’era passSimòun e Condo un paséiva piònisóun e nóun a sèmi i padróundla strèda. Ai putèmi zughé tot izug c’a vlèmi mo cvèl c’uspiaséiva piò di tot l’era e zug defról, c’ai gèmi enca la piróca. Efról al cumprèmi da Bertacini,che da chi dè l’avéiva la butégate cantòun dla piaza dla cisa, moi piò brév i se faséiva da par lou.Tla pounta ai mitèmi semprauna bròca par véid c’uns’arviness te cuntat cun la strèda.Par met in mot e fról, alinguplèmi tla frosta e pu dop,cun un colp sèc, ai dasèmi lamola. E fról, liberè, e partéiva araz e e ranviéiva a frulé. Nounaloura ai dasèmi una gransavarneda sla frósta e e fról usalzéiva praria, e faséiva qvelkmétar, sèmpra praria, e po ecaschéiva zo. E bel de zug l’eraa fe in manira che e fról, dopcl’era chésk ma tèra, e cuntinvessa frulé. Noun ai curèmi dri ecvand cai sèmi a mez métar aidasèmi un’enta savarnéda slafrósta e e fról us alzéiva d’arnova praria, e fruléiva e po ecaschéiva e e cuntinuéiva a frulé.A la soira, qvand c’as ardusèmia ca, la frósta la era gvénta adstopa a forza ad déi.

Qvand cl’avnéiva avréil a fasèmi

“Prendetemi con voi, sono an-ch’io della squadra”.In quei giorni, dovevamo esseredel ’46, la nostra strada, cheera poi la strada dellaBarcaccia, era una strada pie-na di buche e di polvere doveper tutta la giornata ci passava-no soltanto Simòun e Condo adRudaròin. Simòun veniva dallaViola e portava le pecore alpascolo. Condo andava con ilside-car a raccogliere il ferrovecchio. Dopo che erano passa-ti Simòun e Condo non passavapiù nessuno e noi eravamo ipadroni della strada. Vi poteva-mo fare tutti i giochi che voleva-mo ma quello che ci piaceva dipiù era il gioco del frullo che noichiamavamo anche piroca. Ilfrullo lo compravamo daBertaccini, che allora aveva ilnegozio all’angolo della piazzadella chiesa, ma i più bravi se lofacevano da soli. Nella punta cimettevamo sempre un chiodoaffinché non si rovinasse a con-tatto con la strada. Per metterein movimento il frullo, lo avvol-gevamo nella frusta e poi, conun colpo secco, lo lasciavamoandare. Il frullo, liberato, parti-va a razzo e cominciava a frul-lare. Noi allora gli davamo unagran botta con la frusta e ilfrullo si sollevava per aria, fa-ceva qualche metro, sempre peraria, e poi cadeva. Il bello delgioco era fare in maniera che ilfrullo, dopo che era caduto aterra, continuasse a frullare. Noigli correvamo dietro e quandogli eravamo a mezzo metro glidavamo un’altra botta con lafrusta e il frullo si sollevava dinuovo per aria, frullava e poicadeva e continuava a frullare.Alla sera, quando tornavamo acasa, la frusta era diventata distoppa a forza di darci.

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la cumèta e a la mandèmi in tecantir ad Fantòin e l’era unabélèza a cor dri ma la cumèta claandeaséiva sempra piò so in tezil. La cumèta as la fasèmi dapar nóun e l’era propi una robagranda. Andasèmi da Bertacinia to la chèrta, cla era blo, voirda,rossa e zala, e po a curèmi a ca afe la cóla cun l’aqua e la faròina.A taiemi la chèrta in manira daavoi un bel quadrè, presa pocd’un métar, pu dop andasémi tecantir ad Barbòun a to do canipar fei e tlèr. Una cana a lamitemi dréta pre long, clèlta a lapighèmi a èrc e po a li inculèmima la cumèta.E bel l’era lasqvadradoura parchè se al docani al n’era in sqvedar la cumètala andaséiva zo e un gnera versad fela ste so. Cvand e lavourl’era finéi, ma la cumèta aitachèmi la còuda e e chèplavourl’era prount par ciapè e vòul.

E nost teritori l’andaséiva dal’Argosa féna ad qva dla Vióla.Ad ciota dla Vióla, noun dlapiaza ad ciòura, an gnandasemimai. Ad ciòta dla Vióla eranviéiva e teritori ad cvéi deStaz e par noun l’era pruvibei:cvéi de Staz i vléiva póca aquate vòin e nóun, c’ai cnussèmiben, a tulèmi mei ste dalong dache cunfoin. Cvéi de Staz l’erauna gran sqvèdra,u i era e Gagad Canarèl, Céti d’Aldéind’Stopa, Renzo dla Togna e toti Sanolla, chi era za una sqvèdrapar count su. Noun par lou a iavemi squisi dl’admiraziòun.Lòu i era una spézi ad diévalch’in avéiva pavoura ad gnent ead nissóun. I era cme e ragaz decino di caplóun c’andasèmi avdoi e sabat soira da Gigéin adFurminènti.

Una soira andaséssum a vdoi uncino du che e ragaz us ciaméivaBandolero. E e lòun dopmezdè,cvand c’as truvessum tla piazadla cisa par zughé ai caplóun,Bétacia e gét: “Bandolero al fagme”, e da aloura ma Bétacia aigéssum Bandolero.

E chèp arcnussou dla nostasqvèdra l’era Carlo de Bachènche noun ai gèmi e Bacanéinparchè e Bachèn l’era e su ba.Carlo l’avéiva propi la gréinta e

Quando arrivava aprile faceva-mo l’aquilone e lo mandavamonei campi di Fantoin ed era unabellezza correre dietro all’aqui-lone che andava sempre più sunel cielo. L’aquilone ce lo face-vamo da noi ed era proprio unagrande cosa. Andavamo daBertaccini a comperare la car-ta, che era blu, verde, rossa egialla, e poi correvamo a casa afare la colla con l’acqua e lafarina. Tagliavamo la carta inmodo da avere un bel quadratodi un metro circa, poi andava-mo in quello di Barbòun a pren-dere due canne per fare il telaio.Una canna la mettevamo drittain lungo, l’altra la piegavamoad arco e poi le incollavamoall’aquilone. Il bello era lasquadratura perché, se le duecanne non erano in squadro,l’aquilone andava giù da unaparte e non c’era verso di farlostar su. Quando il lavoro erafinito gli attaccavamo la coda eil capolavoro era pronto perspiccare il volo.

Il nostro territorio andava dallaRigossa fino alla parte di quadella Viola. Sotto la Viola, noidella piazza disopra, non anda-vamo mai. Sotto la Viola comin-ciava il territorio di quelli delloStaggio e per noi era proibito:quelli dello Staggio volevanopoca acqua nel vino e noi, che liconoscevamo bene, preferiva-mo stare alla larga da quel con-fine. Quelli dello Staggio eranouna grande squadra, c ‘erano eGag ad Canarel, Céti d’Aldéind’Stopa, Renzo dla Togna e tuttii Sanulli, che erano già una squa-dra per conto loro. Noi per loroavevamo quasi dell’ammirazio-ne. Loro erano una specie didiavoli che non avevano pauradi niente e di nessuno. Eranocome l’eroe del cinema dei filmwestern che andavamo a vedereil sabato sera da Gigein adFurminènti.

Una sera andammo a vedere unfilm nel quale l’eroe si chiama-va Bandolero. E il lunedì pome-riggio, quando ci ritrovammonella piazza della chiesa pergiocare al film western, Bétaciadisse: “Bandolero lo faccio io”,

la dòuga de cmandent. Enca lo,cme cvéi de Staz, e vléiva pocaaqua te voin e cvand cl’avéivadet un cvèl l’era quèll e unsdiscutéiva. Am arcord una voltauna gran bataia s’una sqvèdradla piaza ad ciòta chi era rivétinféna sla piaza ad ciòura. Carlol’era in testa a tot e cun di granrógg e una gran téa e daséival’esempi,e noun dri ma lo acumbatemi cun un gran curagg.A stasèmi par voinz e cvéi dlapiaza ad ciòta ins sarebsgavagné, cvand Carlo,te piobel,us fasét mèl e e cnétabandunè la bataia. Senza pio enos chèp, noun as sbandessum ea ciapessum vi vers l’Argosa. Idéis dal volti cvèl ch’e vo dei echèp. Robi d’una volta, incù ans’ousa piò.

e da allora Bétacia lo chia-mammo Bandolero.

Il capo riconosciuto della no-stra squadra era Carlo deBachen, che noi chiamavamo eBacanéin perché e Bachen erasuo padre. Carlo aveva propriola grinta del comandante. An-che lui, come quelli delloStaggio, voleva poca acqua nelvino e quando aveva detto unacosa era quella e non si discute-va. Mi ricordo una volta unagrande battaglia con una squa-dra della piazza disotto che eraarrivata fino alla piazza diso-pra. Carlo era in testa a tutticon dei grandi urli e una granrabbia dava l’esempio, e noi,dietro a lui, ci battevamo congrande coraggio. Stavamo pervincere e quelli della piazza di-sotto non se la sarebbero cava-ta, quando Carlo, sul più bello,si fece male e dovette abbando-nare la battaglia. Senza più ilnostro capo noi ci sbandammo escappammo via verso laRigossa. Si dice delle volte l’im-portanza del capo! Cose di unavolta, oggi non si usano più.

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Abbiamo ricevuto, epubblichiamo davvero con pia-cere, una poesia della nostraaffezionata lettrice che ci seguedalla Riviera Adriatica. Haavuto parole lusinghiere perchi si sforza di rendere questogiornale sempre più interes-sante e ricco di stimoli, ma, inparticolare, ha manifestatogrande stima per la nostra“...splendida cittadina avvoltadal folclore e ricoperta di caloreumano...”. Un grazie di cuorea nome della redazione e ditutti i gambettolesi.

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E FOTO IN STUDIO

“BREZZA”

Lieve brezzache lenta

intoni soffusi cantioscilli intornoalla battigia

e muovi l’onda,

spargi l’acresapore del mare

salsedine incolore,

respiri e inebrid’azzurro il cuore

nel sole che muore...

CATERINA TISSELLI