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SCENARI ECONOMICI Dicembre 2013 N. 19 LA DIFFICILE RIPRESA CULTURA MOTORE DELLO SVILUPPO

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Economy & Finance


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Page 1: Scenari economici 19

SCENARI ECONOMICI

Dicembre 2013N. 19

LA DIFFICILERIPRESA

CULTURA MOTORE DELLO SVILUPPO

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In copertina disegno di Domenico Rosa.

La pubblicazione, coordinata da Luca Paolazzi, è stata realizzata da: Pasquale Capretta,Alessandro Fontana, Alessandro Gambini, Giovanna Labartino, Francesca Mazzolari,Cristina Pensa, Matteo Pignatti, Ciro Rapacciuolo, Massimo Rodà, Lorena Scaperrotta eMauro Sylos Labini.

La presente pubblicazione è stata chiusa con le informazioni disponibili al 16 dicembre 2013.

Editore SIPI S.p.A.Servizio Italiano Pubblicazioni InternazionaliViale Pasteur, 6 - 00144 Roma

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CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA Scenari economici n. 19, Dicembre 2013

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INDICE

Premessa ....................................................................................................................... pag. 5

1. Le previsioni ........................................................................................................... » 151.1 L’economia italiana ................................................................................................ » 151.2 Le esogene della previsione ................................................................................. » 105

2. Cultura motore di sviluppo .................................................................................. » 1372.1 Non c’è sviluppo senza cultura ........................................................................... » 1402.2 I numeri della cultura e delle industrie culturali e creative:

l’Italia nel confronto internazionale .................................................................... » 1432.3 I soliti sospetti. Ciò che non funziona nella cultura come specchio

dei mali del Paese .................................................................................................. » 1662.4 Non tutto è perduto: politiche di rilancio per la cultura .................................. » 170

RiquadriSe qualcosa va storto: effetti sull’economia italiana di un quadro meno benigno .............................................................................................................. » 18Italia: traiettorie economiche ad alta incertezza ..................................................... » 19Che “SIA” la strada giusta? ........................................................................................ » 25L’Italia ha perso più del 12% del potenziale pre-crisi. Riforme incisive possono recuperarlo .................................................................................................... » 30L’export italiano vince nella qualità ma è penalizzato dai costi ........................... » 38Il credit crunch prosegue nel 2014, risalita dei prestiti possibile nel 2015 ........... » 54Evasione e alta pressione fiscale spiazzano la competitività italiana ................. » 76Meno burocrazia per rilanciare gli investimenti .................................................... » 87Costoso il “capitalismo pubblico” ............................................................................... » 96Pensioni: è necessario un contributo di vera perequazione .................................. » 97

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PREMESSA

«Qualcosa dovrà pur andare per il verso giusto.»

Charles Dickens, David Copperfield, 1850

«La bellezza salverà il Mondo.»

Fëdor Michajlovič Dostoevskij, L’idiota, 1869

La profonda recessione dell’economia italiana, la seconda in sei anni, è finita. I suoi effetti no.

Il Paese ha subito un grave arretramento ed è diventato più fragile, anche sul fronte sociale.

Rispetto al 2007 il PIL totale è diminuito del 9,1% e quello pro-capite dell’11,5%, cioè di 2.900euro a testa, tornando ai valori del 1996. La produzione industriale è scesa in termini fisici del24,6%, ai livelli del 1986.

Le famiglie hanno tagliato sette settimane di consumi, ossia 5.037 euro in media all’anno. Le per-sone a cui manca lavoro, totalmente o parzialmente, sono 7,3 milioni, due volte la cifra di sei annifa. Anche i poveri sono raddoppiati, a 4,8 milioni1.

L’accumulazione di capitale è al lumicino e i margini di utile sono ai minimi. Si susseguono lechiusure di imprese.

Ci si può chiedere se prima una parte del reddito che si produceva e di cui si godeva non fosse arti-ficialmente sostenuta; in ultimo, dalle condizioni di credito facile e dal rinnovato aumento dellaspesa pubblica. L’ampio disavanzo nei conti con l’estero più che un indizio è la prova che gli ita-liani vivevano al di sopra dei propri mezzi.

Ci si può anche chiedere, in modo retorico, se una migliore preparazione del Paese, attraverso in-terventi che ne avessero rafforzato la competitività, e una migliore gestione della crisi, in sede na-zionale ed europea, non avrebbero potuto rendere più graduale la correzione e, guadagnando tempo,salvare posti di lavoro e capacità produttiva.

Ma qualunque siano, le risposte a tali domande non spostano di una virgola la realtà di fatto: nonstiamo sperimentando normali fasi del ciclo economico bensì cambiamenti strutturali che posi-zionano il Paese su basi e traiettorie più basse e diverse, che ancora non possono dirsi solide.

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1 Dato al 2012, ultimo disponibile. La situazione nel 2013 è sicuramente peggiorata.

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Già erano giudicate deboli e risicate le dinamiche precedenti. Ma rispetto ai valori che si sarebberoraggiunti in base a quelle, il CSC ha calcolato che il PIL italiano è del 12,6% inferiore: una perditache vale 200 miliardi all’anno, 3.500 euro per abitante.

Secondo le stime internazionali, poi, il PIL potenziale è diminuito di circa il 4,5% e la sua crescitanel medio termine si è dimezzata. Ciò limita gli spazi di recupero e quindi contiene lo slancio dellaripartenza.

L’Italia, dunque, si presenta alle porte del 2014 con questi pesanti danni, commisurabili solo conquelli di una guerra.

Con questa nuova condizione bisogna fare i conti. Cominciando con il mutare lessico, se si vuolerappresentarla in modo corretto.

L’uso del termine «ripresa» per descrivere il probabile aumento dell’attività produttiva e della do-manda interna nel prossimo biennio è, infatti, per molti versi improprio.

Sul piano tecnico, perché non si riprenderanno i valori del picco passato in un arco ragionevolmentebreve di tempo, ossia in quei quattro trimestri che in media sono occorsi nel dopoguerra.

Sul piano politico e sociale, perché appare derisorio nei confronti di quanti, imprenditori e lavora-tori, a lungo resteranno in difficoltà.

Molto meglio parlare di inizio di una nuova era e di «ricostruzione».

Nella quale, naturalmente, non si comincia dal nulla. E, accanto alle tante carenze da colmare, sidevono registrare anche molti segni di grande vitalità e buone carte da giocare nella competi-zione globale.

Riguardo alle carenze, va ricordato che si può accelerare il ritmo dell’economia con le riforme. Se-condo uno studio dell’FMI, se pienamente attuati, gli interventi varati nel 2011 e 2012 possono ele-vare di un punto percentuale la crescita dell’Italia.

Riguardo alla vitalità, due importanti aspetti: le imprese italiane hanno confermato negli ultimianni di essere molto brave nell’orientare le vendite all’estero verso i mercati più promettenti e diassicurarsi così un più rapido aumento della domanda potenziale; e sono state talmente aggressiveda guadagnare quote, facendo salire le esportazioni perfino di più dei mercati di sbocco.

Ciò è avvenuto spostandosi verso beni a più alto valore aggiunto e puntando su fattori di com-petitività diversi dal prezzo.

Ma anche mediante il sacrificio dei margini, a fronte di costi unitari, soprattutto del lavoro, chehanno continuato a salire più dei concorrenti: una politica insostenibile.

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Tra i punti di forza del Paese spicca l’elevata vocazione manifatturiera. Su cui far leva quandoin tutto il Mondo si punta sul Rinascimento del manifatturiero per innalzare il ritmo dello svi-luppo in modo sostenibile. Purché la società e le politiche sappiano sfruttarlo.

Nel comporre il mosaico dello scenario economico per il prossimo biennio il CSC ha incorporato imovimenti di fondo appena descritti. Ne risulta un segno positivo alle variazioni del PIL, a co-minciare dal trimestre finale del 2013.

In questa direzione convergono gli indicatori congiunturali (compresi quelli elaborati dalle As-sociazioni Confindustria), alcuni dei quali suggeriscono un’accelerazione a ritmi perfino superioria quelli stimati dal CSC.

Tuttavia, esistono rischi al ribasso, tanto che viene qui presentato uno scenario alternativo, piùpessimistico e non ipotetico, nel quale la risalita del PIL si interrompe già nel 2015 e il peso del de-bito pubblico è più elevato (133,3%, contro 132,0%).

Si tratta, dunque, di una previsione condizionata al radunarsi di una fausta costellazione dieventi. Basta poco perché gli eventi prendano una piega infelice; il pericolo maggiore è il cedimentodella tenuta sociale, con il montare della protesta che si incanali verso rappresentanze che predi-cano la violazione delle regole e la sovversione delle istituzioni.

Il destino dell’Italia che si ripete, con il coagularsi di importanti gruppi politici anti-sistema.

Quali sono le forze a favore del ritorno ad aumenti di domanda, produzione, reddito e occupazione?

La prima è l’accelerazione della domanda mondiale e, soprattutto, di quella potenziale dei pro-dotti italiani; quest’ultima, grazie al ripristino della crescita dell’UE, passa da poco più dell’1%medio nel 2011-13 a oltre il 4% nel 2013-15.

Il cambio di marcia si deve alla robustezza dell’espansione USA (+3% medio annuo), al migliora-mento nell’Area euro (+1,0 e +1,4% il PIL nei due anni) e negli emergenti (oltre il 5%) e alla te-nuta del Giappone.

Va rammentato che a livello globale entriamo nel quinto anno di aumento del PIL e, secondo lanormale longevità dei cicli, grosso modo ce ne sono altrettanti davanti a noi.

La seconda forza sono le politiche di bilancio meno restrittive nell’Area euro e in particolare in Italia.

Questo è un aspetto molto importante. È in corso un lento ma inevitabile aggiustamento dellarotta del rigore sui conti pubblici in Europa. Non si tratta di una vera inversione, ma anzitutto laGermania utilizzerà un po’ di risorse il prossimo anno e in secondo luogo gli obiettivi dovranno es-sere dilazionati.

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Se venisse mantenuto l’attuale target della riduzione del debito pubblico, le correzioni da fare inmolti paesi sarebbero troppo concentrate nel tempo e socialmente inaccettabili, risultando pergiunta inefficaci, come insegna la recente esperienza di sottostima dell’impatto recessivo delle ma-novre varate2.

Inoltre, si parla sempre più di scambiare flessibilità sui parametri del deficit con riforme, attra-verso quelli che sono stati battezzati «contratti di concorrenza». Un riconoscimento implicito, tral’altro, al fatto che le riforme costano; lo sa bene la stessa Germania che sforò il tetto del 3% nel 2003,mentre rivoluzionava welfare, mercato del lavoro e tassazione di impresa.

D’altra parte, è opportuno che ciò avvenga in vista delle prossime elezioni europee, che si stannogià delineando come un referendum popolare sulla moneta unica.

Nel frattempo, ed è la terza forza, la politica monetaria rimarrà ultraespansiva. Sono improbabiliulteriori interventi sui tassi, ma invece ci saranno altre misure per aumentare la liquidità.

La BCE deve fronteggiare un quadro in cui la deflazione più che un rischio è la ricetta per rimet-tere ordine nei conti pubblici e nella competitività.

Beninteso, sarebbe evitabile se ci fosse più simmetria di aggiustamento; in parole povere, se la Ger-mania tornasse in deficit pubblico e concedesse più ampi guadagni alle retribuzioni (un po’ in que-sta direzione va l’introduzione del salario minimo).

Alcune dichiarazioni dei vertice della BCE sembrano incoraggiare proprio incrementi dei prezzitedeschi superiori alla media e, quindi, del target stabilito appena al di sotto del 2%.

Per qualunque banca centrale l’efficacia dell’azione espansiva è già geneticamente scarsa. Per laBCE è diminuita dalla frammentazione dei mercati creditizi. Qui entra in gioco la quarta forza:la maggior fiducia tra banche che deriverà dalla perlustrazione della qualità dei loro bilanci.

Gli istituti italiani hanno poco da temere e molto da guadagnare, sottostando di continuo ai se-veri criteri della Banca d’Italia.

Perciò il CSC ritiene che il credit crunch si allenterà fino a trasformarsi in aumento dei prestiti nel2015. E insieme si ridurrà lo spread BTP-Bund a 150 punti base.

Tornando sul ribilanciamento del carico delle correzioni degli squilibri, occorre negoziare in Europaaffinché il colosso tedesco faccia la sua parte, liberalizzando i servizi e riattivando gli investimentiinfrastrutturali.

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2 Da ultimo da uno studio di un economista della Commissione europea. Si veda Jan in ‘t Veld, Fiscal consolidationsand spillovers in the Euro area periphery and core, Commissione europea, Economic Papers n. 506, ottobre 2013.

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Altre due forze favorevoli sono il dollaro stabile, attorno a 1,35 e il petrolio in calo rispetto ai va-lori correnti.

Molte previsioni indicano la divisa americana in rafforzamento, come effetto dell’aumento deitassi USA, conseguenza della più alta crescita. Ma l’euro è sempre salito quando la costruzione eu-ropea faceva passi avanti, come avverrebbe con la prima concretizzazione dell’unione bancaria.

La settima forza pro ripartenza dell’economia italiana è la chiusura parziale dell’output gap: ilPIL sarà portato ad aumentare più in fretta se verranno riattivati impianti produttivi e si intensifi-cherà l’utilizzo della forza lavoro.

L’ottava e ultima forza è l’aggancio quasi in presa diretta tra aumento del PIL e aumento dell’oc-cupazione: l’economia italiana è adesso più labour intensive, essendosi ridotto il peso di settori amaggiore produttività come il manifatturiero.

Soffieranno, però, anche venti contrari. Il CSC ne evidenzia quattro: la maggiore incertezza cherende prudenti gli operatori nelle decisioni, soprattutto di investimento; la continua erosione dellacompetitività di costo dovuta all’aumento del CLUP; il proseguimento del ripristino dei prezzidelle case a valori in linea con il reddito; le turbolenze nel quadro politico dovute alle elezionieuropee nel 2014 e alle probabili elezioni politiche nel 2015 in Italia.

Il Paese ha già sperimentato a cavallo tra 2012 e 2013 il costo di una campagna elettorale par-ticolarmente accesa e dell’incognita sul suo esito.

L’instabilità della politica ha prodotto alcuni guasti nelle scelte operate dal Governo Letta (si vedala vicenda IMU).

Dopo tanti anni di fortuna avversa (non sempre bendata), «Qualcosa dovrà pur andare per il versogiusto», come suole dire il proverbiale ottimista Wilkins Micawber in David Copperfield.

Camminiamo però sul filo di un rasoio. E molti sono i tasselli che devono andare a posto per com-porre il mosaico qui disegnato. I rischi al ribasso non vanno perciò trascurati.

Il CSC ha, quindi, condotto una simulazione che ingloba un’evoluzione meno benigna: il creditcrunch si protrae nel 2015; l’aumento del commercio mondiale è più contenuto; la debolezza del-l’economia impone una manovra di un punto di PIL per rispettare gli impegni europei; lo spreadnon si restringe; in compenso, il petrolio scende un po’ di più (visto che l’economia globale siespande meno). Il risultato è che l’Italia si blocca nuovamente.

Ma secondo il CSC la bilancia delle probabilità pende verso prospettive meno cupe: la variazione delPIL dell’Italia passa dal -1,8% nel 2013, allo 0,7% nel 2014 e all’1,2% nel 2015. Gli incrementicongiunturali sono attesi cominciare nel quarto trimestre dell’anno in corso.

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La spinta più robusta viene dall’export: +4,1% il prossimo anno e +4,7% il successivo.

Tutte le componenti della domanda interna riprendono a salire: +0,2% e +0,8% i consumi delle fa-miglie; +1,6% e +2,2% gli investimenti (macchinari e mezzi di trasporto: +3,4% e +3,6%). Que-sti ultimi sorretti dai pagamenti degli arretrati della pubblica amministrazione verso le imprese,che se completamente realizzati possono innalzare l’aumento del PIL sopra l’1% nel 2014.

Nel mercato del lavoro si arresta l’emorragia occupazionale (+0,1% e +0,5%) e il tasso di disoc-cupazione si stabilizza oltre il 12%. D’altra parte, pur riducendosi, esiste un fisiologico ritardo trale svolte della produzione e quelle dell’occupazione.

Le retribuzioni mantengono il potere d’acquisto. Va rilevato che il loro andamento è slegato daquello della disoccupazione.

La bilancia corrente, dopo essere stata in attivo quest’anno per la prima volta dal 1999, vede raffor-zarsi il saldo fino all’1,8% del PIL nel 2015. Ciò rende meno vulnerabile il Paese alle tempeste esterne.

L’andamento dell’economia fa centrare l’obiettivo dei conti pubblici fissato per il 2014 (con il de-ficit al 2,7% del PIL), non quello per il 2015 (2,4%). Il saldo strutturale non continua ad avvici-narsi al pareggio (1,0% del PIL tra due anni), nonostante l’ampio avanzo primario (4,5% del PILal netto del ciclo, mezzo punto meno di quanto stimato tre mesi fa).

Questo risultato è stato ottenuto varando manovre per complessivi 109 miliardi (6,9% del PIL)dal 2009 in poi. Di cui 3,0 punti di maggiori entrate e 3,9 di minori spese.

Una stazza ben superiore ai risultati ottenuti nella variazione dei saldi: a riprova che non basta ab-bassare il numeratore, ma occorre innalzare il denominatore, promuovendo la crescita.

Il debito pubblico, al netto dei sostegni europei e in rapporto al PIL, sale ancora nel 2014 (al129,8%) per poi iniziare a flettere nel 2015 (128,2%); una flessione tutta dovuta a un punto di pri-vatizzazioni e dismissioni omogeneamente distribuite.

La pressione fiscale scende marginalmente (43,9% del PIL) dopo aver toccato il record nel 2013 (44,3%).

Per far ripartire il Paese più rapidamente, assecondando e potenziando le forze indicate sopra, sideve agire riallocando risorse a favore della competitività e della domanda interna.

Il CSC ha realizzato approfondimenti per esaminare altrettanti temi caldi. Anzitutto, il pesante far-dello della tassazione accompagnato a un’altissima evasione: eliminando quest’ultima si potreb-bero tagliare le aliquote e mettere in tasca ai dipendenti 1.415 euro e alle imprese 1.711 per addetto.

Ma un’altra piaga della tassazione di impresa in Italia è custodita dal numero e dalla complessitàdegli adempimenti, molti di più e più costosi che negli altri paesi concorrenti. Altrettanto impor-tante, allora, è semplificarli.

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Connesso con tale nodo strutturale c’è il taglio ai lacci e lacciuoli. L’Italia è 65a per facilità di con-durre un’impresa e perde posizioni nei vari confronti internazionali di competitività.

Il DDL semplificazioni contiene buone ma ancora parziali misure e la spending review non si oc-cuperà solo di trovare più soldi ma soprattutto di cambiare il funzionamento della pubblica ammi-nistrazione.

Una sforbiciata importante è quella che riguarda i costi della politica, non solo dei parlamentari(che sono di gran lunga i meglio remunerati in rapporto al PIL pro-capite) ma anche dei variegati ecompositi mondi che vi girano attorno.

Per esempio, l’universo delle partecipate, che fanno sborsare 22,7 miliardi annui dai bilanci pub-blici, di cui 11 destinati ad attività che non rivestono interesse generale.

L’Italia, infine ma non da ultimo, può giocare la competizione dell’economia della conoscenza fa-cendo perno sul vantaggio offerto dall’enorme patrimonio culturale, il più importante al mondo.

È un fattore cruciale per innalzare la crescita potenziale del Paese e renderlo più roccioso nel-l’affrontare i cambiamenti epocali in atto.

La sua rilevanza è sottolineata anche in sede europea, con l’introduzione finalmente della cultura trale key action di Horizon 2020.

Il CSC esplora i legami tra il nucleo e gli altri due cerchi (industrie culturali e industrie crea-tive) che formano l’economia della cultura e guarda a come la migliore e diversa gestione dei beniculturali possa essere un potente motore dello sviluppo economico e civile.

Ne è emersa, anzitutto, una visione distorta o addirittura negazionista della valenza economicadella cultura. Che inficia le politiche che possono essere intraprese.

I beni culturali non vanno paragonati a un giacimento petrolifero, di cui bisogna gestire la ren-dita, ma devono diventare fonte inesauribile di sapere e creatività per il Paese e di produzionedi valore aggiunto.

In particolare per il manifatturiero, che è più esposto alla concorrenza internazionale e che più sipresta alla rielaborazione in chiave economica di spunti che provengono dalla cultura grazie allamaterialità dei suoi prodotti.

Perciò una nuova politica che meglio leghi cultura ed economia si salda perfettamente con la risco-perta della centralità del manifatturiero per lo sviluppo economico, con il suo rinascimento.

Per far giocare pienamente questo ruolo alla cultura, a fruire delle iniziative a essa rivolte non de-vono essere tanto i turisti, quanto tutta la popolazione residente.

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Questo spostamento di asse, dall’attrazione turistica all’arricchimento della conoscenza e delle com-petenze, è una rivoluzione copernicana perché significa passare dalla gestione della rendita allagenerazione di idee e saperi che si trasformano, attraverso l’attività di impresa, in reddito e oc-cupazione.

La chiave di volta è costituita da un approccio alla cultura molto diverso e in linea con quel che ac-cade in altri paesi, dove riescono a mettere a frutto perfino il patrimonio culturale altrui.

Dalla necessità del coinvolgimento della popolazione discende un’indispensabile e altrettanto rivo-luzionaria concezione dei musei e quindi del rapporto con l’arte: da pura rassegna espositiva amomento di esperienza che coinvolga le persone sul piano emotivo-ludico-partecipativo non menoche su quello dell’apprendimento nozionale.

La relazione tra cultura ed economia può essere inquadrata da molti lati. Partendo dal riconosci-mento che la cultura è parte costitutiva dello sviluppo.

Gli italiani sono consapevoli del fatto che il patrimonio storico artistico del Paese sia un fattoredistintivo della qualità del loro stile di vita. Una qualità che all’estero continua a essere ammi-rata, amata ed emulata, insomma ad attrarre verso il Belpaese e i suoi prodotti.

Rispetto agli altri cittadini europei, però, gli italiani partecipano meno ad attività artistiche eculturali e i dati di Eurobarometro, rielaborati dal CSC, rivelano che la crisi economica ha ulterior-mente peggiorato la situazione.

Inoltre, la cultura si dimostra importante sotto il profilo degli effetti positivi che le attività artisti-che, presenti o passate, ossia le componenti del cosiddetto nucleo artistico-culturale, hanno sullosviluppo delle industrie culturali e creative.

La relazione fra il nucleo e queste industrie è simile a quella che intercorre fra ricerca di base e ricercaapplicata: il valore economico è a valle, ma senza un forte nucleo, la crescita e la generazione direddito non sono sostenibili nel lungo periodo.

Secondo le stime elaborate dal CSC, in Italia la cultura rappresenta una fetta importante del-l’economia e il valore economico sale muovendosi dal nucleo artistico culturale verso i cerchi piùesterni del sistema produttivo culturale, molto più di quello che succede negli altri paesi.

Nel 2011 il complesso del sistema produttivo culturale ha dato origine in Italia al 5,6% del valoreaggiunto totale (VA), pari a 78,8 miliardi di euro. Tra i grandi paesi UE il dato è inferiore solo aquello della Gran Bretagna.

Ma il confronto internazionale mette in luce notevoli differenze: in Italia pesano molto di più leindustrie creative (2,2% del VA totale, pari a 30,7 miliardi), mentre sono sottodimensionate le quotesia delle industrie culturali (2,8%) sia del nucleo artistico-culturale (0,6%).

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Indicazioni molto simili si ottengono se si guarda all’occupazione, mentre l’analisi delle esporta-zioni rivela che il sistema cultura è più orientato della media alle vendite all’estero, contribuendoper il 9,0% (34 miliardi nel 2011) al totale dell’export italiano.

Infine, le industrie creative (che includono anche calzature, parte dell’abbigliamento e l’arreda-mento) in Italia contano più che negli altri maggiori Paesi europei e presentano un importante van-taggio di specializzazione.

In breve, la scarsa partecipazione dei cittadini e la debolezza relativa del nucleo artistico-culturale edelle industrie culturali italiani fanno sì che il potenziale economico della cultura resti parzial-mente inespresso.

Ciò è da attribuire all’alleanza perversa fra il predominio di intenti meramente conservativi del pa-trimonio artistico e la logica burocratica che caratterizza la gestione pubblica del patrimonio artistico.

Alleanza che ha trovato terreno fertile nel paradosso dell’abbondanza, dovuto al patrimonio ar-tistico più importante del mondo, nella concezione passiva del rapporto fra domanda e offerta dicultura e nella poca attenzione a collegare saldamente i significati delle produzioni correnti con latradizione culturale.

Come invertire la rotta?

La prima misura da adottare per valorizzare maggiormente il patrimonio storico e artistico è l’a-pertura della governance delle istituzioni culturali alle imprese.

Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo dovrebbe avere compiti meno am-ministrativi e sempre più orientati al governo del sistema, lasciando le chiavi della gestione alle im-prese private attraverso gare di evidenza pubblica, seguendo il modello della délégation de servicepublic francese.

In secondo luogo, va valorizzata l’enorme ricchezza artistica chiusa nei magazzini dei musei. Conquesta finalità si possono ipotizzare sia l’alienazione sia il prestito oneroso di parte delle opere nonesposte, come indicato nel Progetto Confindustria per l’Italia presentato a gennaio 2013; i fondiraccolti andrebbero destinati migliorare il funzionamento dei musei stessi.

D’altra parte, occorre usare tutte le frecce a disposizione dell’arco delle politiche culturali, che sonomolte di più della tutela e valorizzazione del patrimonio storico e della promozione delle arti creative.

In particolare, l’estensione del credito di imposta oggi funzionante nel cinema, non solo agli altricomparti di produzione dell’industria culturale, ma anche a quelli della distribuzione di contenuticulturali rafforzerebbe iniziative imprenditoriali.

Il riconoscimento delle opere dell’ingegno è, inoltre, un presupposto fondamentale per valorizzarei prodotti delle industrie culturali e creative e per remunerare il lavoro di chi crea contenuti creativi.

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Infine, è necessario ridefinire nell’agenda culturale italiana quale debba essere il ruolo della crea-tività plasmandolo sulle necessità del Rinascimento manifatturiero, basato su un mix tra artigia-nato e industria, che fonde nel marchio italiano il “saper fare” tipico dei distretti industriali con lacultura accumulata, il paesaggio, la bellezza, l’arte culinaria, il talento.

Alcuni interventi varati dall’Esecutivo negli ultimi giorni suggeriscono una nuova impostazionenella politica per la cultura: la detrazione fiscale delle spese nell’acquisto di libri; la costituzione diuna commissione di esperti per definire un “Piano nazionale per la promozione della lettura”; laproposta di riportare a imposizione alcune transazioni sul web e di equiparare l’IVA sugli e-booka quella sui libri cartacei (4%).

Qualche dubbio invece emerge dalla cancellazione, secondo la bozza di riforma del MiBACT, dellaDirezione della valorizzazione del patrimonio, se essa significa minori risorse per questa finalità.

Il nostro patrimonio culturale e la nostra tradizione di artigianalità non rappresentano un freno al-l’innovazione ma semmai la indirizzano e il made in Italy può essere considerato come arte dellatrasformazione dei valori culturali in significati che si aggiungano ai valori funzionali e diano ai pro-dotti italiani il carattere dell’unicità.

Se non si cambia la gestione della cultura nella direzione qui suggerita, a beneficio dell’aumentodella conoscenza, il Paese si troverà sempre più, come nel caso di Pompei, a essere mero fornitoredi materia prima culturale valorizzata e pienamente goduta da altri.

Nell’era della totale riproducibilità tecnica delle opere d’arte e dei contesti in cui furono create, perl’Italia può diventare sempre più difficile anche estrarre una rendita dal patrimonio artistico.

Facciamo in modo che la bellezza salvi l’Italia, se non proprio tutto il Mondo.

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LE PREVISIONI

1.1 L’economia italiana

Anche in Italia è fi-nita la recessione, la

seconda dal 2007. Il percorso di risalitasarà lento e difficile: la ridotta capacitàproduttiva, intaccata dalla prolungata ca-duta della domanda interna, rappresen-terà una zavorra nella fase di ripartenza.

Nello scenario CSC, al calo del PILdell’1,8% quest’anno seguirà nel 2014un incremento dello 0,7% e nel 2015dell’1,2%.

Riguardo al 2013, la revisione dellestime diffuse a settembre, quando il PILera atteso diminuire dell’1,6%, deriva dauna variazione congiunturale di un de-cimo peggiore nel secondo trimestre (-0,3% contro -0,2%) e nel quarto (+0,2%contro +0,3%). Questo nuovo profilo tra-smette al 2014 una variazione acquisitadi +0,1 punti percentuali, a fronte deiprecedenti +0,2 punti. Nel corso del-l’anno prossimo il contesto miglioreràgrazie a una politica di bilancio menorestrittiva e all’accelerazione del com-mercio globale, fattori che contribui-ranno a far ulteriormente aumentare lafiducia e alimenteranno così la spesa difamiglie e imprese; nel 2015 interverràanche l‘allentamento del credit crunch(Grafico 1.1).

Tabella 1.1

Le previsioni del CSC per l’Italia

(Var. %)

2012 2013 2014 2015

Prodotto interno lordo -2,5 -1,8 0,7 1,2

Consumi delle famiglie residenti -4,2 -2,5 0,2 0,8

Investimenti fissi lordi -8,3 -5,4 1,6 2,2

di cui: in costruzioni -6,4 -6,3 -0,2 0,8

Esportazioni di beni e servizi 2,0 0,3 4,1 4,7

Importazioni di beni e servizi -7,4 -2,1 3,4 4,2

Saldo commerciale1 1,1 2,3 2,9 3,3

Occupazione totale (ULA) -1,1 -1,7 0,1 0,5

Tasso di disoccupazione2 10,7 12,2 12,3 12,2

Prezzi al consumo 3,0 1,2 1,3 1,5

Retribuzioni totale economia3 0,9 1,3 1,4 1,8

Saldo primario della PA4 2,5 2,4 2,7 3,1

Indebitamento della PA4 3,0 3,0 2,7 2,4

Debito della PA4 127,0 132,6 133,7 132,01 Fob-fob, valori in percentuale del PIL; 2 valori percentuali; 3 per ULA; 4 valori in percentuale del PIL.Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati ISTAT e Banca d’Italia.

Finita la recessione,

resta la fragilità

Grafico 1.1

PIL italiano: risalita lenta e graduale

(Italia, var. % e miliardi di euro, prezzi costanti, dati trimestrali destagionalizzati)

Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati ISTAT.

330 335 340 345 350 355 360 365 370 375 380

-4,0

-3,0

-2,0

-1,0

0,0

1,0

2,0

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Variazioni congiunturali Livello (scala destra)

Page 15: Scenari economici 19

Il ritorno a variazioni positive del PIL è preannunciato dall’andamento dei principali indi-catori congiunturali dell’economia italiana, che hanno registrato progressi sempre più con-sistenti, partendo dai livelli molto bassi raggiunti tra fine 2012 e inizio 2013. In linea con ilmiglioramento dei dati qualitativi, in estate il PIL ha registrato una variazione nulla (da -0,3% del secondo trimestre). E gli stessi dati, seppure con alcune oscillazioni, suggerisconoun incremento del prodotto a partire dai mesi autunnali.

Quello nel quarto trimestre 2013 sarà il primo incremento dal secondo trimestre 2011, dopouna caduta cumulata del 4,8%, provocata dalla riduzione senza precedenti in tempo dipace della domanda interna, in parte compensata dalla performance delle esportazioni.Nella prima recessione della crisi (biennio 2008-2009) il PIL era diminuito del 7,2% in sei tri-mestri, tirato giù soprattutto dal tonfo della domanda estera.

La seconda recessione è iniziata nel terzo trimestre 2011, quando il PIL italiano è diminuitodello 0,2% congiunturale, si è accentuata nel quarto di quell’anno (-0,7%) e ha raggiunto lamaggiore intensità nel primo trimestre 2012 (-1,1%); nei successivi due periodi il ritmo dicontrazione è diminuito (-0,6% nel secondo e -0,4% nel terzo); dopo un peggioramento allafine del 2012 (-0,9%), la velocità di caduta è tornata a diminuire progressivamente fino a in-terrompersi nel terzo trimestre di quest’anno, quando il PIL è risultato inferiore del 9,1%rispetto ai livelli raggiunti nel terzo trimestre 2007, picco pre-crisi.

Secondo le stime del CSC, la risalita nei prossimi due anni proseguirà a un ritmo basso, spe-cie in relazione all’intensità della contrazione: nel 2014 la crescita media trimestrale sarà dello0,25%, nel 2015 dello 0,33%, un po’ più sostenuta nel secondo semestre. Tanto che nel quartotrimestre del 2015 la distanza rispetto al valore massimo del 2007 sarà ancora di -6,8%.

Le prospettive diun’interruzione del

calo del PIL italiano e dell’inversione ditendenza già nel trimestre in corso sonostate delineate da tempo dall’indicatoreanticipatore OCSE, che precorre di circaun semestre i punti di svolta del cicloeconomico: la sua caduta è iniziata nelmaggio 2011, si è intensificata nel corsodell’estate dello stesso anno e da allorasi è gradualmente attenuata; dal settem-bre del 2012 è in aumento. In poco più diun anno (fino a ottobre 2013) l’indice èsalito del 2,5%, riportandosi negli ultimicinque mesi al di sopra di 100, media di

16

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

La svolta nel segnale

anticipatoreGrafico 1.2

PMI e indicatore OCSE anticipano l’aumento del PIL

(Italia, variazioni %, 50=nessuna variazione congiunturale,dati trimestrali destagionalizzati)

PMI composito: manifatturiero+servizi.L'indice anticipatore OCSE è spostato avanti di due periodi. Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Reuters.

30,0

35,0

40,0

45,0

50,0

55,0

60,0

-4,0

-3,0

-2,0

-1,0

0,0

1,0

2,0

2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014

PIL Indicatore anticipatore OCSE PMI composito (scala destra)

Page 16: Scenari economici 19

lungo periodo. Nel bimestre ottobre-novembre, è aumentato dello 0,5% rispetto al terzo tri-mestre, quando aveva registrato una variazione di +0,8% congiunturale (Grafico 1.2).

A disegnare una dinamica positiva per il trimestre in corso e per il pros-simo convergono i principali indicatori congiunturali che riguardano

l’intera economia o suoi grandi segmenti. Il PMI composito (che combina i PMI manifat-turiero e dei servizi) si è attestato nella media di ottobre–novembre a 50,2, in area di mo-derata espansione (soglia neutrale a 50). Nel trimestre precedente era a 52,0; la correzioneè avvenuta nel terziario in novembre. Infatti, il PMI manifatturiero ha registrato un nettomiglioramento (a 51,4 da 50,7 di ottobre), raggiungendo il massimo da due anni e mezzo erimanendo su valori che indicano espansione per il quinto mese consecutivo; le compo-nenti nuovi ordini (50,5) e produzione (53,2) continuano a segnalare incrementi a un ritmoanalogo a quello registrato nei mesi precedenti e preannunciano ulteriori progressi del-l’attività. In novembre il PMI del terziario è sceso a 47,2 (da 50,5 di ottobre); la correzioneè spiegata dal calo degli ordini (per i nuovi, indice a 47,0 da 50,7), sintomo del persisteredella debolezza della domanda interna; le previsioni per l’attività nei prossimi dodici mesisono improntate a ottimismo, anche se meno rosee che in ottobre (indice a 60,1 da 61,2).

Segnali incoraggianti vengono dalle ri-levazioni sulla fiducia negli ultimi mesi:l’indicatore composito di sentimentoeconomico (ESI, elaborato dalla Com-missione europea), che sintetizza la si-tuazione nei principali settori (industria,commercio al dettaglio, costruzioni, ser-vizi e consumatori) è salito in novembrea 93,9 (da 92,0 di ottobre), accumulandoda settembre 2012 un incremento dioltre 13 punti e oscillando intorno ai va-lori più alti da metà 2011 (Grafico 1.3). Èmigliorata, in modo particolare, la fidu-cia tra i consumatori (+19,5 punti in unanno), nonostante la correzione al ri-basso degli ultimi due mesi; quella degli imprenditori è in costante recupero da aprilescorso (+10,8 punti); nel commercio al dettaglio ha guadagnato 15,9 punti da febbraio; nellecostruzioni ha raggiunto il minimo in giugno e da allora ha recuperato 6,4 punti; nei ser-vizi, dove l’indicatore mostra una maggiore variabilità, l’indice è salito di 9,2 punti in cin-que mesi.

17

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Indicatori

congiunturali su

Grafico 1.3

Italia: risale la fiducia

(Italia, indice e saldi delle risposte, dati mensili destagionalizzati, 2005=100)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Commissione europea.

60

70

80

90

100

110

120

130

-50

-40

-30

-20

-10

0

10

20

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

Industria Consumatori Indicatore di sentimento economico (ESI, scala destra)

Page 17: Scenari economici 19

18

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

La previsione per il 2014-2015 descritta in questi Scenari economici è quella che il CSCritiene più probabile. Ma non sono trascurabili le probabilità che si possa materializzareuno scenario più sfavorevole, se si dovessero concretizzare una serie di rischi.

Ricordiamo le ipotesi principali dello scenario base del CSC. Gli elementi favorevoli dellaprevisione sono sei. Primo, grazie all’effetto della valutazione dei bilanci bancari con-dotta dalla BCE, il credit crunch finisce nel 2015. Secondo, il commercio mondiale accelerae la domanda di esportazioni italiane si rafforza proporzionalmente di più. Terzo, la po-litica di bilancio in Italia diventa meno restrittiva e si registra una riduzione dello spreadsui titoli sovrani a 200 punti nel 2014 e 150 nel 2015, con un rendimento del BTP a 3,98%nel 2014 e 4,00% nel 2015 (e il Bund in salita a 2,50% nel 2015). Quarto, il dollaro rimanestabile sui livelli correnti (1,35 dollari per euro) e il prezzo del petrolio cala nel 2014 eresta sostanzialmente fermo nel 2015 (103 e 105 dollari per barile). Quinto, inizia a chiu-dersi gradualmente l’output gap in Italia, grazie a una crescita superiore al potenziale nel2015. Sesto, il mercato del lavoro si riprende e l’occupazione riparte nel 2015, seguendoil PIL. Lo scenario base del CSC presenta anche tre elementi avversi: l’elevata incertezza,la dinamica del CLUP che penalizza la competitività delle imprese italiane e il processodi aggiustamento del settore immobiliare che frena gli investimenti in costruzioni.

Consideriamo qui uno scenario più negativo per l’economia italiana basato sul verifi-carsi di quattro fattori. Primo, il credit crunch prosegue nel 2015 (65 miliardi di prestiti inmeno rispetto allo scenario base). Secondo, la dinamica del commercio mondiale restafrenata (0,7 e 0,9 punti di crescita in meno nei due anni). Terzo, è necessaria una mano-vra restrittiva di finanza pubblica di almeno un punto di PIL per rispettare gli impegnieuropei e in presenza di una dinamica dell’economia inferiore a quella posta a base degliobiettivi del Governo. Quarto, lo spread sui titoli sovrani non si riduce, restando intornoai 235 punti, con il BTP al 4,20% nel 2014 e al 4,55% nel 2015 (+0,22 e +0,55 rispetto alloscenario base). Ipotizziamo che il dollaro si posizioni allo stesso livello incluso nello sce-nario base (1,35 nel biennio) e che il prezzo del petrolio scenda un poco di più (100 dol-lari nel biennio). In tale scenario, la ripartenza del mercato del lavoro e la riduzionedell’output gap saranno più lente.

Simuliamo in base al modello del CSC gli effetti sulla crescita in Italia di questi peggio-ramenti delle variabili esogene dello scenario (Tabella A). L’impatto sulla dinamica delPIL è pari a -0,3 punti nel 2014 e -1,2 nel 2015 rispetto allo scenario base. La crescita si an-nulla, quindi, nel 2015. Tra le componenti della domanda finale, i consumi delle famiglieregistrano un impatto di -0,1% nel 2014 e -0,8% nel 2015, ergo crescono solo del +0,1%

Se qualcosa va storto: effetti sull’economia italiana di un quadro meno benigno

Page 18: Scenari economici 19

19

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

l’anno prossimo e restano fermi nel2015. Gli investimenti sono più colpiti:-2,3 punti percentuali nel 2014 rispettoallo scenario base e -6,2 nel 2015, tantoche in quest’anno si contraggono del4,0%. Le esportazioni di beni e servizisegnano un impatto di -0,6 punti per-centuali nel 2014 e -0,9 nel 2015, convariazioni che si riducono a +3,5% e+3,8%. L’impatto sull’occupazione, in-fine, è pari a -0,2 punti percentuali nel2014 e -0,5 nel 2015, cosicché il nu-mero di occupati cala nel 2014 (-0,1%)e resta piatto nel 2015.

Questa simulazione, tutt’altro cheastratta e ben presente a molti analistidi banche d’investimento internazionali, suggerisce che occorre rimuovere ogni causainterna di turbolenza e incertezza e prendere rapidamente decisioni che elevino il Paesesu un più alto sentiero di crescita.

Tabella A

Lo scenario sfavorevole

(Italia, variazioni % e valori in % del PIL)

Scenario ScenarioBase negativo*

2014 2015 2014 2015

PIL 0,7 1,2 0,4 0,0

Consumi delle famiglie 0,2 0,8 0,1 0,0

Investimenti fissi lordi 1,6 2,2 -0,7 -4,0

Esportazioni di beni e servizi 4,1 4,7 3,5 3,8

Importazioni di beni e servizi 3,4 4,2 1,9 0,1

Occupati 0,1 0,5 -0,1 0,0

Indebitamento della PA -2,7 -2,4 -2,9 -2,4

Debito della PA 133,7 132,0 134,0 133,3* Ipotesi: commercio mondiale frenato, il credit crunch prosegue nel 2015,lo spread sovrano non si riduce, serve una manovra restrittiva sui contipubblici.Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

L’incertezza sulle sorti dell’economia italiana si è un po’ ridotta nelle previsioni deglieconomisti, ma resta alta tra gli imprenditori. Per i quali il futuro appare ancor più ne-buloso, tanto che alla domanda «quando finirà la crisi?» oggi due terzi rispondono «traoltre un anno e mezzo», una quota doppia rispetto al 20101.

Il CSC ha calcolato la forchetta delle previsioni sul PIL per l’anno corrente e quello suc-cessivo a partire dal 2006. Essa ha toccato l’apice a gennaio 2012 per le stime sul 2013 cheè stato confermato a gennaio 2013 per quelle sul 2014: 2,3 punti percentuali tra la stimaminima e la massima. E oggi, che un avvio di recupero è segnalato da tutti gli indicatoricongiunturali, è scesa sì a 1,1 punti per il 2015, ma è ben più elevata di quanto non fossenel 2007 e nel 2008 per l’anno seguente. Ciò testimonia della divergenza di vedute sulledifficoltà del Paese e quindi sulla traiettoria che l’Italia seguirà, date le molte e contra-stanti forze in gioco.

Italia: traiettorie economiche ad alta incertezza

1 Fondazione Nord Est, Nord Est 2013. Rapporto sulla società e l’economia, Marsilio, Venezia 2013.

Page 19: Scenari economici 19

20

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

La misura dell’incertezza nelle previ-sioni è rappresentata dalla differenzain punti percentuali tra la variazioneannua del PIL italiano più alta e quellapiù bassa elaborate da tredici istitutidi analisi economica e raccolte da Con-sensus Forecasts. Quanto più elevato èquesto scarto tanto più ampio è ilrange nelle previsioni di crescita e,quindi, l’incertezza. Ci si attende cheesso sia più largo nell’orizzonte tem-porale meno immediato. Per valutareil livello dell’attuale divario il CSC haricostruito a partire dal 2006 la seriestorica delle stime diffuse a gennaio eriguardanti l’anno corrente e quellosuccessivo (Grafico A)2.

Dai dati emerge che prima della crisi la forbice era relativamente stretta e con poca dif-ferenza tra quella del periodo corrente e quella del periodo seguente; il che denota unarelativa certezza sul fatto che l’Italia avrebbe mantenuto un certo sentiero di marcia. L’ir-rompere della crisi ha accresciuto la variabilità, soprattutto all’inizio. Nel gennaio 2009,infatti, la forchetta è raddoppiata per l’anno corrente (1,8 punti), sopravanzando quellaper l’anno seguente; un’inversione anomala che testimonia della difficoltà di catturarel’effettiva intensità della recessione a pochi mesi dal fallimento di Lehman Brothers e dalcrollo globale della fiducia di famiglie e imprese; comunque le previsioni, anche le piùpessimistiche, si sono rivelate rosee, essendo stato di -5,5% l’esito di quell’anno. Succes-sivamente la dispersione delle stime si è stabilmente mantenuta sopra il valore medio os-servato prima della crisi.

Nei due anni successivi, è rimasta costante per ciascun biennio di previsione: 1,4 puntinel gennaio del 2010 sia per il corrente sia per il seguente e 1,0 nel gennaio del 2011 sem-pre per entrambe le annate.

L’incertezza è aumentata di nuovo per le stime diffuse nel gennaio 2012, nel mezzo della se-conda recessione, specie con riferimento al 2013, anno per il quale la forbice tra la previ-sione migliore e quella peggiore ha raggiunto addirittura i 2,3 punti e, per la prima volta, le

Grafico A

Si amplia la forbice delle previsioni...

(Italia, PIL,variazioni % e dispersione*)

Le previsioni sul PIL sono quelle diffuse nel gennaio di ciascun anno e si rife-riscono all'anno in corso e al successivo. * La dispersione è misurata dalla differenza assoluta tra previsioni mas-sima e minima.Per il biennio 2014-2015 sono state usate le previsioni disponibili a dicembre 2013.Fonte: elaborazioni CSC su dati Consensus Forecasts e stime dei singoli isti-tuti per il 2014-2015.

0,9 1,1

0,6 0,5 0,7 0,8

1,8

1,3 1,4 1,4 1,0

1,0

1,4

2,3

0,9

2,3

1,0 1,1

-3,0

-2,0

-1,0

0,0

1,0

2,0

3,0

2006

2007

2007

2008

2008

2009

2009

2010

2010

2011

2011

2012

2012

2013

2013

2014

2014

2015

Max Min Media Scarto (Max-Min)

2 Si sono considerate le previsioni diffuse a gennaio perché è il primo mese in cui sono disponibili per tutti i pre-visori le stime di variazione del PIL per l’anno corrente e per quello seguente.

Page 20: Scenari economici 19

21

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

valutazioni dei previsori hanno spaziato tra valori ampiamente positivi (+1,2%) e negativi(-1,1%), con un divario per il 2012 (1,4 punti) fisiologicamente inferiore. Nel gennaio 2013 siè registrata una maggiore concordanza nelle previsioni sulla dinamica del PIL per l’anno incorso, che per tutti gli istituti del panel era ritenuto in calo, mentre sul 2014 è rimasta elevatala variabilità che, come l’anno precedente, si è estesa da variazioni positive a negative.

Le previsioni disponibili a dicembre 2013 presentano una dispersione in calo e quasiidentica sul 2014 (dove permane il segno negativo accanto a quello positivo) e sul 2015(solo segno positivo): 1,0 e 1,1, rispettivamente.

L’accresciuta incertezza risulta piùevidente se si calcola la differenzanelle dispersioni delle previsioni dicrescita sottraendo, in ogni tornataprevisiva, al divario tra massimo e mi-nimo per l’anno seguente lo scosta-mento nelle stime per quello corrente(Grafico B). Questo indicatore si èmantenuto pressoché stabile fino al2009, quando è risultato, invece, ano-malmente negativo (-0,5 punti), effettodell’inversione di cui si è detto sopra:i dati diffusi in gennaio avevano evi-denziato una maggiore varianza nelleprevisioni per l’anno in corso e unamaggiore omogeneità in quelle rela-tive al 2010, anno per il quale la maggior parte degli istituti aveva prudentemente indi-cato una crescita intorno al potenziale (sottostimando l’incremento effettivo del PIL).Durante la successiva fase di ripresa tale indicatore è risultato pari a zero, ovvero lo scartotra previsioni era rimasto invariato nei due anni. È, invece, balzato a valori più elevati nel2012 (0,9) e, soprattutto, nel 2013 (1,4), riflettendo una più diffusa dispersione - e quindiuna maggiore incertezza - nelle stime dei previsori sulle tendenze a due anni dell’eco-nomia italiana. A dicembre 2013 è bruscamente rientrato (0,1), denotando una incertezzasostanzialmente uniforme per l’anno più lontano e per quello più prossimo3.

Grafico B

...e segnala grande incertezza sull'uscita dalla crisi

(Dispersione in punti percentuali*)

* La dispersione è misurata sottraendo la differenza tra massimo e minimodella previsione sul PIL a due anni e tra massimo e minimo a un anno.Fonte: elaborazioni CSC su dati Consensus Forecasts e stime dei singoli isti-tuti per il biennio 2014-2015.

0,2 0,1

-0,1

-0,5

0,0 0,0

0,9

1,4

0,1

-1,0

-0,5

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014

3 L’anticipazione a dicembre, rispetto a gennaio, è necessaria per poter aggiornare la dispersione delle previsionie includere così il 2015. In questo caso le previsioni sono state raccolte direttamente dal CSC, anziché ripren-derle da Consensus Forecasts. Il numero delle osservazioni è solo marginalmente meno ampio.

Page 21: Scenari economici 19

La spesa delle famiglie, secondo il CSC, diminuisce del 2,5% quest’annoe, per la prima volta dopo tre anni di cali, torna ad aumentare dello 0,2%

nel 2014, seguito da un +0,8% nel 2015. La dinamica dei consumi prevista per i prossimi dueanni sarà guidata principalmente: dall’allentamento degli effetti restrittivi delle manovre dibilancio (specie nel 2015); dal calo del costo dell’energia nel 2014; dal proseguimento del re-cupero della fiducia; dal miglioramento delle condizioni del credito già dall’anno prossimo.Agiranno da freno la necessità di ricostituire il risparmio a scopo precauzionale e la debo-lezza del mercato del lavoro. Nel 2015 il gap rispetto ai livelli del 2007 sarà di -6,7%.

La riduzione dei consumi delle famiglie è stata particolarmente marcata nel corso della se-conda recessione: -7,8% dal picco del quarto trimestre 2010 al terzo 2013. Il calo si è protratto

22

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Per gli imprenditori, all’opposto, l’in-certezza sulla durata della crisi è salitaregolarmente dal 2010 al 2013. Le inda-gini d’opinione svolte dalla FondazioneNord Est presso 1.059 imprese hanno,infatti, mostrato un progressivo au-mento della quota di quanti si aspettanoche la fine della crisi avvenga in un oriz-zonte temporale superiore a un anno emezzo: nel 2010 era il 34,9%, nel 2013 il66,6%. È calata la percentuale di quelliche la ritengono possibile entro un anno:dal 31,1% al 13,7% (Grafico C). Vista sulpiano puramente statistico, in realtà, c’èuna concentrazione di risposte sullo sce-nario peggiore e ciò denota il radicarsi e il convergere delle valutazioni sulla gravità del qua-dro socio-economico italiano.

Il perdurare della crisi, e in particolare la seconda recessione guidata dal crollo della do-manda interna, ha accentuato l’incertezza (ma che forse sarebbe più appropriato chiamarepessimismo) tra gli imprenditori. Tuttavia, se da una parte la presa d’atto della cifra strut-turale della crisi ha provocato una maggiore prudenza nelle scelte di investimento, dal-l’altra ha indotto le imprese a percorrere strategie nuove e a intraprendere percorsi disviluppo alternativi per sopravvivere in un contesto molto più magmatico che in passato.

Grafico C

Gli imprenditori: l'uscita dal tunnel è più lontana

(Alla domanda: quanto durerà la crisi?Le risposte sono..., dati %)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Fondazione Nord Est.

7,5 11,3 1,1 2,5 8,7 7,2

5,2 4,8

31,1 29,6

24 13,7

17,8 14,4

18,6

12,4

34,9 37,5 51,1

66,6

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

2010 2011 2012 2013

c'è già ripresa ...6 mesi ...1 anno

...1,5 anni oltre 1 anno e mezzo

Timidi aumenti

per i consumi

Page 22: Scenari economici 19

per undici trimestri ed è stato molto più forte di quello registrato nel corso del 2008-09: -2,9% in un anno e mezzo, a partire dal quarto trimestre 2007. Tra le due recessioni si èavuto un recupero del 2,7%.

Disaggregando le componenti, si evidenzia la riduzione particolarmente marcata dellaspesa delle famiglie in beni durevoli (-21,3% dal quarto trimestre 2010, superiore al calodel 15,2% che si è avuto nel biennio 2008-2009), a fronte di una diminuzione molto più con-tenuta della domanda di servizi (-3,3% contro il -0,1%).

Dall’inizio della crisi i consumi sono diminuiti dell’8,0%, meno del reddito disponibilereale, sceso dell’11,1% (quest’ultimo dato si riferisce al secondo trimestre 2013). Tale di-vergenza ha comportato una riduzione del tasso di risparmio, passato dal 12,7% al 9,4%;ma il punto di minimo è stato toccato nel secondo trimestre 2012 (7,7%) e, quindi, è giàstata recuperata un po’ di parsimonia.

Se si osserva la dinamica di questi indi-catori nelle tre fasi della crisi (recessione-recupero-recessione) emerge che: tra2007 e 2009 al calo del 2,9% dei consumiè corrisposta una riduzione del redditodisponibile delle famiglie del 4,2% in ter-mini reali; tra 2009 e 2010 il recuperodella spesa delle famiglie (+2,9%) è av-venuto a fronte di un reddito disponibilerimasto sostanzialmente invariato, cosic-ché è stato ulteriormente sacrificato l’ac-cumulo di risparmio. Negli ultimi treanni i consumi hanno registrato una ca-duta molto profonda (-7,8%), un po’ piùforte di quella del reddito disponibilereale (-7,2% fino al secondo trimestre2013; Grafico 1.4). Nell’ultimo anno, so-prattutto, la riduzione del reddito (-1,3%) è stata molto inferiore a quella dei consumi (-3,2%).Le famiglie hanno risparmiato di più. Se questa tendenza continuasse, la forbice tra consumie reddito sarebbe destinata a chiudersi ulteriormente, frenando l’incremento della spesa.

La diminuzione dei consumi delle famiglie è iniziata nel primo trimestre 2011 e si è inten-sificata fino al primo 2012. Da allora la velocità della contrazione è andata attenuandosifino al -0,2% del terzo trimestre 2013. Le prospettive sono più favorevoli, stando alle de-

23

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.4

La spesa scende più del reddito

per rimpinguare il risparmio

(Italia, indici 1° trim. 2007=100, val. %, dati trimestrali destagionalizzati, prezzi costanti)

* Quota del risparmio lordo sul reddito disponibile lordo delle famiglie con-sumatrici.Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

7,0

8,0

9,0

10,0

11,0

12,0

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2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Reddito lordo disponibile in termini reali Spesa delle famiglie per consumi finali Propensione al risparmio (scala destra)

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terminanti dei consumi: l’indice di fiducia delle famiglie (elaborato dall’ISTAT) è salito almassimo da quindici mesi in settembre (100,8), continuando lungo un trend di progressivomiglioramento iniziato nel marzo precedente; in novembre il livello è rimasto relativamenteelevato (98,3), dopo la correzione di ottobre. Nel terzo trimestre l’indice era aumentato di9,0 punti (a 98,8) rispetto al precedente, raggiungendo il massimo dall’estate del 2011 enella media di ottobre e novembre è sceso di un punto (97,8).

Tra le componenti dell’indice, quelle piùstrettamente connesse con le decisioni dispesa dei consumatori sono ulterior-mente migliorate in novembre: i giudizisulla situazione corrente hanno guada-gnato 4,0 punti in un mese, tornando in-torno al massimo da un anno e mezzotoccato in settembre; il saldo dei giudizisul bilancio familiare è salito a -18 (da -22 di ottobre); le attese sulla situazioneeconomica della famiglia, ben correlatecon la dinamica futura dei consumi,sono in miglioramento da cinque trime-stri e hanno recuperato 23 punti dei 36persi durante la crisi (Grafico 1.5); nellamedia del bimestre ottobre-novembresono diminuite di due punti, rimanendocomunque su livelli relativamente alti.

Una dinamica positiva è anticipata anche dall’incremento dei giudizi sugli ordini interni ri-levati presso i produttori di beni di consumo: +2 punti il saldo nella media ottobre-no-vembre rispetto al terzo trimestre, quando era migliorato di 2 punti sul secondo.

In base a tali dati, tra fine 2013 e inizio 2014 dovrebbe registrarsi un aumento dei consumi.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.5

Migliori attese anticipano più consumi

(Italia, saldi delle risposte e miliardi di euro,dati trimestrali destagionalizzati)

* Spostate avanti di tre trimestri; quarto trimestre 2013: media ottobre-no-vembre.Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

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2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014

Spesa delle famiglie

Attese sulla situazione economicadella famiglia* (scala destra)

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

La crisi ha ridotto la ricchezza prodotta (PIL) e ha colpito in maggior misura i redditibassi, penalizzando soprattutto i lavoratori con minori competenze e retribuzioni. Tra ipaesi membri dell’euro, uno strumento universale di contrasto alla povertà manca soloin Italia e Grecia. Il Sostegno di Inclusione Sociale (SIA), proposto da una commissionedi esperti guidata dal Viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Maria CeciliaGuerra, punta ad aiutare le famiglie disagiate, tenendo sotto controllo gli effetti disin-centivanti la partecipazione al mercato del lavoro e subordinando l’accesso al rispetto dialcune condizioni. La costruzione nel nostro sistema di welfare, il cui ridisegno si persegueda molti anni, di uno strumento nazionale per combattere la povertà favorirebbe l’in-clusione sociale e la produttività1. Come indicato dal Progetto Confindustria per l’Italia,che, a tal fine, elencava azioni specifiche di contrasto alla povertà2. Le intenzioni del Gov-erno sono, per il 2014, di continuare e allargare le sperimentazioni vigenti, che già per-mettono di aiutare molte famiglie disagiate. Esse consentono, inoltre, di valutare cometarare al meglio il SIA, per, eventualmente, avviarlo dal 2015.

Nel 2012 in Italia la percentuale di individui a rischio povertà o esclusione sociale è sa-lita al 29,9% (da 28,2% nel 2011), la quota più alta tra i paesi dell’Eurozona a eccezionedella Grecia (34,6%)3. Il Paese è molto lontano dagli obiettivi di Europa 2020: nel 2012 lepersone a rischio di povertà o esclusione sociale superavano i 18 milioni, il 30% in più ri-spetto al target europeo4.Più di un italiano su tre soffre di almeno uno dei tre disagi che caratterizzano l’indice dirischio di povertà o esclusione sociale: uno su dieci vive in una famiglia con bassa in-

Che “SIA” la strada giusta?

1 Nelle parole di Nelson Mandela “Vincere la povertà non è un gesto di carità. È un atto di giustizia. Come la schia-vitù e l’Apartheid, la povertà non esiste in natura. È fatta dall’uomo e può essere sradicata dall’azione dell’uomo”.La lotta alla povertà è anche una questione di efficienza: la povertà dissipa creatività, energie e intelligenze.

2 Confindustria, Progetto Confindustria per l’Italia: crescere si può, si deve, gennaio 2013.3 La percentuale di individui a rischio di povertà o esclusione sociale sul totale della popolazione è composta dalle

persone che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: sono a rischio di povertà dopo i trasferi-menti sociali (reddito equivalente inferiore o pari al 60% del reddito equivalente mediano delle persone resi-denti); sono in condizione di forte deprivazione materiale (vivono in una famiglia con almeno 4 dei 9 problemiconsiderati sul totale delle persone residenti; i problemi considerati sono: non poter sostenere spese imprevi-ste di 800 euro; non potersi permettere una settimana di ferie all’anno lontano da casa; avere arretrati per ilmutuo, l’affitto, le bollette o per altri debiti come gli acquisti a rate; non potersi permettere un pasto adeguatoogni due giorni; non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione; non potersi permettere una lavatrice o un te-levisore a colori o un telefono o un’automobile); vivono in una famiglia dove in media gli adulti lavorano menodel 20% del potenziale in un anno.

4 La strategia Europa 2020 fissa, tra i suoi obiettivi, quello di far uscire almeno 20 milioni di persone dalla povertàe dall’emarginazione. L’Italia dovrebbe sottrarre 2,2 milioni di persone dalle condizioni di povertà ed esclusionesociale rispetto al 2009.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

tensità di lavoro (10,3% da 10,4% nel 2011), uno su cinque è a rischio di povertà dopo itrasferimenti sociali (19,4% da 19,6%) e uno su sette patisce forti mancanze materiali(14,5% da 11,2%). La marcata crescita di quest’ultimo gruppo è un dato preoccupante: inparticolare si registra che la quota di individui che dichiara di non poter sostenere speseimpreviste è passata dal 38,6% al 42,5%, quella di coloro che riferiscono di non poter ri-scaldare adeguatamente l’abitazione dal 18,0% al 21,2%. Il trend crescente del disagioeconomico delle famiglie è confermato anche dai dati del Censis: nel 2013 il 24,3% dellefamiglie intervistate fa fatica a pagaretasse o bollette.

La crisi ha spinto in su anche la po-vertà assoluta: nel 2012 le famiglie incondizione di povertà assoluta erano1 milione e 725mila (il 6,8% del to-tale), gli individui sfioravano i 5 mi-lioni (l’8,0% della popolazioneresidente)5. Tra il 2011 e il 2012 si è re-gistrato un vero e proprio balzo: ilnumero delle famiglie in condizionedi povertà è salito del 33,0% e quellodegli individui del 41,0% (Grafico A).

Di fronte a questi dati non stupisceche il dibattito politico si sia nuovamente concentrato sull’introduzione di uno strumentodi contrasto alla povertà nazionale.

Varie sono state in questi mesi le proposte sul tavolo. Il SIA si basa su schemi già speri-mentati in alcuni Comuni e Province italiani6. Esso è un intervento nazionale a favoredelle famiglie con reddito sotto la soglia di povertà. Prevede un trasferimento moneta-rio pari alla differenza tra una misura delle risorse economiche della famiglia e il costodi un paniere di beni e servizi ritenuto decoroso secondo gli standard di vita del Paese.Tale livello minimo di riferimento varia a seconda della composizione del nucleo fami-liare, del costo della vita e della disponibilità di servizi collettivi locali. L’accesso al SIAè condizionato a un test sulle effettive disponibilità economiche, reddituali e patrimoniali,

5 Sono in condizione di povertà assoluta le persone appartenenti a famiglie con una spesa complessiva per consumiinferiore al valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna fa-miglia, definito in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza.

6 In particolare si ispira allo schema di reddito garantito istituito nel 2009 dalla Provincia Autonoma di Trento eancora attivo.

Grafico A

La povertà non va in recessione

(Italia, migliaia di famiglie e individui in condizionedi povertà assoluta, dati annuali)

Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

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2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

Famiglie in povertà assoluta

Individui in povertà assoluta

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

della famiglia. Inoltre, l’integrazione al reddito spetterà solo se ci si attiva concretamentea cercare un lavoro e se, nel caso si abbiano figli, li si faccia frequentare la scuola e li siporti alle visite mediche di controllo.

Il SIA sarà erogato dall’INPS, mentre agli enti territoriali di residenza spetta la gestionedel programma: accesso, presa in carico, accertamenti, patti con l’utente, avvio di percorsidi attivazione sociale e controllo della condizionalità. Questi compiti saranno affidati aun raggruppamento distrettuale di Comuni che si dovrà avvalere della collaborazione,ciascuno per le proprie competenze, dei centri per l’impiego, delle istituzioni scolastichee di altre amministrazioni pubbliche.

Proprio nella gestione territoriale stanno le maggiori criticità per l’implementazione delprogramma: l’elevata variabilità di efficienza nell’operare degli enti locali e dei centriper l’impiego potrebbe creare enormi iniquità. Il progetto prevede, per arginare al mas-simo gli effetti distorsivi e i comportamenti di azzardo morale, una costante valutazioned’impatto dell’intervento, da realizzare tramite l’istituzione di una banca dati centraliz-zata per la gestione e l’incrocio delle informazioni. Valutare l’efficacia di un programmadi questo tipo (così come di qualsiasi intervento di politica economica) è fondamentaleal fine di capire se vengono raggiunti gli obiettivi, in questo caso aiutare davvero le fa-miglie più disagiate, generando gli effetti desiderati ma non quelli indesiderati. Per farlooccorre adottare un metodo contro-fattuale: utilizzando indagini campionare su benefi-ciari e non beneficiari, prima e dopo l’ammissione/esclusione dal programma. Non bi-sognerebbe scartare l’opzione di scegliere in modo casuale alcuni aspetti della misuranella fase sperimentale, al fine di garantire una migliore identificazione degli effetti cau-sali e, quindi, una più efficace previsione delle caratteristiche del programma da imple-mentare su scala nazionale. Il SIA va in questa direzione e pone l’accento sull’importanzadella valutazione d’impatto, dimostrando così anche di mettere a frutto le esperienzecondotte a livello locale in questi anni7.

Secondo le stime presentate al Governo dalla commissione di esperti che ha lavorato aldisegno del programma, l’intervento per eliminare completamente la povertà assolutacosterebbe a regime tra i 7 e gli 8 miliardi, che potrebbero, però, ridursi se con la ripresadiminuiranno le famiglie povere. Il costo scenderebbe anche se fossero razionalizzate leattuali misure di sostegno alle famiglie, per esempio attraverso l’introduzione dell’asse-gno unico per i figli in sostituzione delle detrazioni per familiari a carico e dell’assegnoal nucleo familiare.

7 Si veda Nadir Zanini, Silvia Girardi, Gianluca Mazzarella e Loris Vergolini (2011), Il Reddito di Garanzia nella Pro-vincia autonoma di Trento: alcune evidenze preliminari a due anni dalla sua introduzione, IRVAPP Progress Report2011-05, IRVAPP, Trento.

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Gli investimenti fissi lordi, secondo le stime del CSC, arretrano del 5,4%nel 2013 (terzo anno di variazione negativa), aumentano dell’1,6% nel

2014 e del 2,2% nel 2015. In particolare, la spesa in macchine e mezzi di trasporto diminui-sce del 4,4% quest’anno, per poi recuperare il 3,4% nel 2014 e il 3,6% nell’anno successivo.Quella in costruzioni continua a calare: del 6,3% quest’anno e dello 0,2% il prossimo; ri-

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Attualmente è ancora attiva la social card introdotta dal Governo Berlusconi nel 2008, cheha come modello di riferimento i food stamps statunitensi. È un trasferimento monetariofisso di 40 euro mensili, accreditati bimestralmente, con vincoli all’utilizzazione. Non è unamisura universale: sono ammesse a riceverlo solo le famiglie con figli fino a 3 anni e/o per-sone over 65. Non contempla interventi di sostegno sociale e di attivazione al lavoro.

Il Governo Monti ha poi introdotto la sperimentazione (nelle grandi città) di una carta diinclusione sociale, rivolta alle famiglie disagiate con almeno un minore e dove sono senzalavoro tutti i componenti in età lavorativa. Pur non essendo universale, questa misura haun importante elemento di comunanza con il SIA, ovvero la previsione di un requisitodi attivazione al lavoro per i beneficiari.

Il Governo Letta punta a estendere a tutto il territorio nazionale le sperimentazioni dellacarta di inclusione sociale, introducendo ulteriori elementi di condizionalità ispirati aquelli del SIA, per poi avviare quest’ultimo nel 2015. A questo fine il disegno di legge distabilità prevede la possibilità di utilizzo di una quota del fondo della vecchia social card(di ammontare da definire con decreto), più altri 40 milioni. In aggiunta, sono stati re-cuperati 168 milioni non spesi dei fondi europei 2007-2013. È previsto inoltre un Pon peril 2014-2020 destinato all’inclusione sociale e da cui il Governo prevede di poter attingereper finanziare misure di inclusione non monetarie (da questo punto di vista solo acces-sorie e complementari al SIA, non sostitutive).

Il progetto di costituzione di uno strumento universale a contrasto della povertà, comeil SIA, va portato avanti insieme ad altre riforme che: migliorino l’impianto degli am-mortizzatori sociali (la cui spesa nel 2012 è aumentata del 19% rispetto al 2011, supe-rando i 22,7 miliardi secondo il bilancio dell’INPS); rendano più equo il sistemapensionistico (si veda il riquadro Pensioni: è necessario un contributo di vera perequazione);ridisegnino le politiche attive (anche attraverso un miglior utilizzo dei fondi sociali eu-ropei). In particolare, l’introduzione di una politica a sostegno delle famiglie più povere,dove la presenza di disoccupati e inattivi è prevalente, deve essere accompagnata da unpotenziamento di tali politiche, anche attraverso una formazione più tarata sulle esi-genze del sistema produttivo.

Investimenti

in recupero

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sulterà in marginale incremento nel 2015 (+0,8%). In particolare, la spesa pubblica in co-struzioni tornerà a registrare variazioni positive già nel 2014, quella privata nel 2015. A so-stenere le decisioni di spesa delle imprese saranno le migliori prospettive sulla domanda,soprattutto estera, un ulteriore miglioramento della fiducia, una minore compressione deimargini e un graduale allentamento della stretta creditizia da fine 2014.

Nel complesso, gli investimenti fissi lordi alla fine del periodo di previsione saranno infe-riori del 24,4% rispetto alla media del 2007. Una forte caduta che agisce negativamente sulpotenziale di crescita e sulla dinamica della produttività.

Dopo essere diminuiti del 16,5% tra terzotrimestre 2007 e terzo 2009, gli investi-menti hanno recuperato solo il 2,2% finoal primo trimestre 2011. Dal successivo,si è avuta una riduzione congiunturaleche ha raggiunto la maggiore intensitànel primo trimestre 2012 (-3,8%) ed è pro-seguita fino alla primavera del 2013,quando la dinamica è stata piatta grazieal marcato incremento degli investimentiin mezzi di trasporto (+6,6%). Nel terzotrimestre 2013 si è avuto un calo margi-nale (-0,6%) che ha portato al -15,3% lavariazione cumulata nel periodo (-27,7%rispetto al terzo trimestre 2007, picco pre-crisi). Per il quarto trimestre 2013 e per ilprimo 2014 gli indicatori congiunturalidescrivono una tendenza più favorevole: la fiducia nel settore manifatturiero, dopo essererimasta pressochè ferma a quota 87 tra maggio 2012 e maggio 2013, è cresciuta per sei mesiconsecutivi, raggiungendo a novembre un livello pari a 98,1; tra i produttori di beni stru-mentali la fiducia è in miglioramento da aprile scorso e in novembre ha recuperato 2,5 punti(a 97,9), grazie ai progressi nei giudizi e nelle attese sulla produzione. Il saldo dei giudizisugli ordini interni, un indicatore che traccia con un trimestre di anticipo la dinamica degliinvestimenti, ha guadagnato 8 punti sui livelli di ottobre e nella media dei due mesi è ulte-riormente migliorato (a -45), dopo essere già salito nel terzo trimestre di 4,0 punti (a -52,0) ri-spetto a quello del secondo (indagine ISTAT sulle imprese manifatturiere). Concorda conqueste tendenze per il breve periodo anche l’indagine trimestrale condotta da Banca d’Italia-Il Sole 24 Ore, che a settembre segnalava un miglioramento delle attese sulle condizioni in cuioperano le imprese nei tre mesi seguenti (saldo delle risposte a -12,3 da -17 del terzo e -39 del

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.6

Investimenti: condizioni più favorevoli

(Italia, saldi delle risposte* date dalle imprese manifatturieree dei servizi privati; variazioni % congiunturali; dati trimestrali)

*Differenza tra % risposte «migliori» e % risposte «peggiori» .Fonte: elaborazioni CSC su dati Banca d'Italia-Il Sole 24 Ore.

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2008 2009 2010 2011 2012 2013

Investimenti fissi lordi (var. %, volumi, scala sinistra) Condizioni per gli investimenti (rispetto a 3 m. prima) Condizioni in cui operano le imprese (prossimi 3 mesi)

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secondo). Tale dinamica si inserisce in un contesto di decisa attenuazione del pessimismodegli imprenditori, in atto dall’inizio del 2013, anche con riferimento ai giudizi sulle condi-zioni per gli investimenti nel trimestre corrente (saldo delle risposte a -13,7 in settembre, da-47,3 in marzo, Grafico 1.6).

Il miglioramento di questi indicatori delinea un recupero degli investimenti già dall’iniziodel 2014.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

In molti paesi dell’Area euro, inclusialcuni dei non periferici, l’attuale li-vello del PIL è ancora molto al di sottodel picco raggiunto prima della crisi(Grafico A).

Questa differenza può essere recupe-rata, come in passato, attraverso unaripresa normale, per quanto ostacolatadagli incompleti aggiustamenti nellafinanza privata e pubblica? Oppurerappresenta, almeno in parte, una per-dita secca di capacità produttiva eforma, quindi, un nuovo punto di par-tenza a cui la struttura produttiva e icomportamenti di spesa si sono in gran parte adeguati? E quanto la lunga crisi ha pie-gato il profilo della crescita potenziale, ossia di lungo periodo?

Le risposte, per quanto riguarda l’Italia sono che: metà della diminuzione del PIL, parial 9,1% rispetto al picco del 2007, sarà più persistente e l’altra metà non verrà recuperataprima del 2019; la crisi ha intaccato nettamente il potenziale di crescita, abbassandolodall’1,1% a meno di mezzo punto percentuale nel medio termine; rispetto alle traiettoriegià modeste del decennio 1997-2007 il livello del PIL potenziale è più basso del 12,6%, inaltre parole sono andati bruciati oltre 200 miliardi di euro di reddito a prezzi 2013, quasi3.500 euro per abitante. Solo con incisive riforme strutturali si può recuperare il terrenoperduto; secondo l’FMI gli interventi varati nel 2011-12, se attuati pienamente, innalze-ranno il PIL del 10% in dieci anni, aggiungendo un punto percentuale all’anno1.

Grafico A

Sono lontani i livelli pre-crisi

(PIL, divario % tra il livello del 3° trimestre 2013 e il picco nel migliore trimestre 2007/2008)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

-10,0 -8,0 -6,0 -4,0 -2,0 0,0 2,0 4,0

Irlanda Italia Portogallo Spagna Finlandia Paesi Bassi Area euro Francia Belgio Austria Germania

L’Italia ha perso più del 12% del potenziale pre-crisi. Riforme incisive possono recuperarlo

1 Per una valutazione sulla perdita di potenziale produttivo nell’insieme dell’industria e nei suoi settori si ri-manda a CSC, Scenari industriali n.4, giugno 2013.

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Da ciò si capisce, dunque, che le risposte alle domande poste sopra sono cruciali per loscenario economico nel futuro prossimo e a medio termine e di conseguenza per la cor-retta calibratura sia della politica monetaria sia di quella di bilancio. Se fossimo di frontea fenomeni di fluttuazione ciclica, per quanto molto intensi, allora nell’uscita dalla re-cessione i sistemi economici potrebbero sfruttare più ampi spazi di recupero e sorpren-dere con brusche accelerazioni. All’opposto, se si trattasse di modificazioni di rottadurevoli, allora ciò costituirebbe di per sé una limitazione e un freno al rilancio, che vin-colerebbe la politica monetaria a un’impostazione molto espansiva per ancora tanti tri-mestri e renderebbe più difficile raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica.

In altri termini, più tecnici, nel primo caso, la diminuzione del prodotto ha automatica-mente portato a un ampliamento degli output gap (così si chiama il divario tra PIL ef-fettivo e PIL potenziale), che verranno però altrettanto automaticamente chiusi con laripresa. Nel secondo caso, si tratta di una riduzione della capacità produttiva, della do-manda e della capacità di crescita2. Perciò è importante riuscire ad avere una correttastima dell’output potenziale, nel suo livello e nella sua dinamica.

Un output gap molto negativo, vale a dire un livello del PIL effettivo molto al di sotto diquello potenziale, implica forti pressioni al ribasso sui prezzi e rende opportune politi-che monetarie aggressivamente espansive. Inoltre, significa che il deficit pubblico è daimputare in maggior misura alla cattiva congiuntura piuttosto che a eccessi strutturalinella spesa e/o difetti sempre strutturali nelle entrate. È quindi un deficit che non ri-chiede politiche correttive e quindi restrittive, che avrebbero anzi l’effetto di allontanareancor più l’economia dal suo potenziale e ampliare ulteriormente il deficit stesso. Se, in-vece, l’output gap è negativo ma più piccolo o addirittura è positivo (il PIL effettivo è su-periore a quello potenziale), allora si presenteranno presto pressioni inflazionistiche esarà bene varare restrizioni delle politiche monetarie, mentre il deficit pubblico sarà dinatura più strutturale e, quindi, andrà corretto con una dose di austerità.

Dunque, basterebbe che l’output gap fosse sufficientemente ampio per garantire tassi diinteresse molto bassi per lunghissimo tempo e diluire nel tempo l’aggiustamento deiconti pubblici.

Pur essendo chiaro come concetto, l’output potenziale non è, tuttavia, un fenomeno di-rettamente misurabile, seppure con approssimazione statistica, nella realtà. Occorre,

2 L’output gap è la differenza percentuale tra PIL effettivo e PIL potenziale, ossia il PIL che si avrebbe con il pienoimpiego della capacità produttiva. In altre parole, il PIL potenziale è il livello di attività che un sistema econo-mico può raggiungere nel caso utilizzi appieno tutti i fattori di produzione disponibili, senza creare pressionisui prezzi. Una riduzione permanente del PIL potenziale posiziona i sistemi economici su un equilibrio di sot-toimpiego dei fattori, a cominciare dal lavoro.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

quindi, affidarsi a stime ottenute indirettamente, basandosi sulla dotazione dei fattori diproduzione, cioè capitale e lavoro, sulla produttività del capitale e del lavoro e sulla ca-pacità di combinarli nel modo più efficiente.

Per stimare l’output potenziale si possono utilizzare diverse metodologie; per esempio, lafunzione della produzione o la separazione dell’effetto ciclo dal trend. Ciò rende, di per sé,la stima in buona parte soggettiva. Ma, peggio ancora, l’attendibilità e la disponibilità deidati di base cui applicare i diversi metodi sono alquanto approssimative. I dati sullo stock dicapitale e lavoro (inteso quest’ultimo non come numero di occupati effettivi, ma di nuovo po-tenziali, incluse cioè anche persone che magari per qualche ragione nemmeno cercano atti-vamente un impiego) non sono, infatti, facili da calcolare e le misure sono spesso riviste ancheradicalmente nei trimestri o addirittura negli anni successivi alla loro iniziale diffusione. Lostesso accade per la produttività totaledei fattori, che è tra l’altro fortementeinfluenzata dal contesto economico enormativo di un paese, entrambi moltovariabili nel tempo. Tali difficoltà distima vengono confermate dalle ampiedifferenze nei dati sull’output gap del-l’Italia pubblicati dai maggiori istitutiinternazionali e dallo stesso Ministerodell’Economia. Ciò è vero, soprattutto,dopo una crisi violenta come quella incui siamo, perché, come detto all’inizio,non è chiaro quanta parte dei danni su-biti siano durevoli (Tabella A).

Al di là delle differenze, tali stime convergono a indicare che: nel 2013 l’output gap ne-gativo dell’Italia si è ulteriormente allargato e, anche se atteso ridursi gradualmente, re-sterà ampio nei prossimi due anni; la riduzione subita dal PIL (-9,1% nel terzo trimestre2013 sul terzo 2007) è per circa metà strutturale, cioè dovuta a perdita di capacità. Attra-verso chiusure di impianti e di imprese; aumento del disallineamento tra richiesta e of-ferta di competenze dei lavoratori, essendo quelli che hanno perso l’occupazionedifficilmente impiegabili altrove (e tanto più lo diventano quanto più a lungo non sonoimpegnati in attività produttive); minor livello di investimenti che riduce l’innovazioneincorporata negli impianti e li rende tecnologicamente obsoleti. Il minore spazio di re-cupero contribuisce a rendere ancor più lenta una ripresa già frenata dalle difficoltà nellafinanza privata. Tanto che, secondo l’FMI, che fa proiezioni di lungo termine, l’Italia nonsarà in grado di chiudere il gap tra output effettivo e output potenziale prima del 2019.

Tabella A

Quanto è grande l’output gap

(Italia, PIL, divario % tra livello effettivo e livello potenziale)2000/ 2008/ 2012 2013 2014 2015 2018

2007 2012

FMI 1,6 -1,8 -3,4 -4,8 -4,0 -3,2 -0,4

OCSE 1,8 -2,5 -4,5 -5,9 -5,3 -4,2

Comm.europea 1,8 -1,7 -3,2 -4,5 -3,7 -2,6

MEF -3,4 -4,8 -4,0 -2,7Nota: il livello potenziale esprime il valore massimo del PIL quando sonopienamente utilizzati i fattori produttivi senza generare inflazione.Fonte: elaborazioni CSC su dati FMI, OCSE, Commissione europea e MEF.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

D’altra parte, è difficile negare che l’economia italiana abbia sperimentato un considere-vole ridimensionamento del suo apparato produttivo, con innumerevoli chiusure di im-pianti e fallimenti di imprese, riduzione delle ore effettivamente lavorate (anche con unmaggior e forzato ricorso al part-time) e deterioramento della qualità della forza lavoro(nel senso detto sopra). La contrazione del credito, in particolare, e gli elevati premi peril rischio, che hanno tenuto alto il costo del denaro, hanno contribuito al calo degli inve-stimenti e alla riduzione dello stock di capitale disponibile in futuro. La mancanza dicredito ha al contempo ostacolato una riallocazione più efficiente del capitale verso atti-vità più produttive e ridotto l’incentivo a investire in ricerca e sviluppo, diminuendoanche per questa via la crescita della produttività.

In effetti, non solo è diminuito il li-vello del PIL potenziale ma si è pie-gata molto all’ingiù la stessa crescitapotenziale dell’economia italiana ri-spetto al periodo pre-crisi, passandoda un incremento medio annuodell’1,1% nel periodo 2000-2007 a un -0,1% nel periodo 2008-2012 (TabellaB). Le stime concordano nell’indicareche il tasso di crescita potenziale sia ri-masto negativo nel 2013 e che tornileggermente positivo solo a partire dal2015, con valori che variano tra un+0,1% e un +0,3%, cioè sempre moltobassi. In assenza di riforme vigorose,l’FMI stima che il tasso di crescita delPIL potenziale del Paese sarà di ap-pena +0,5% ancora nel 2018.

La crisi ha, quindi, prodotto muta-menti strutturali negli stock di lavoroe capitale utilizzabili dal sistema enell’efficienza con cui essi vengonoimpiegati nei processi produttivi. Ciòha conseguentemente contenuto l’am-pliamento dell’output gap su dimen-sioni molto minori rispetto a quelleche si avrebbero avute nel caso di una

Tabella B

Le recessioni hanno intaccato la crescita potenziale

(Italia, PIL potenziale, variazione %)2000 2008 2012 2013 2014 2015 2018

2007 2012

FMI 1,1 -0,1 -0,8 -0,3 -0,1 0,2 0,5

OCSE 1,1 -0,1 -0,3 -0,5 0,0 0,3

Comm.europea 1,1 -0,1 -0,8 -0,5 -0,1 0,1

MEF -0,6 -0,3 0,1 0,3Nota: la crescita potenziale indica la variazione del PIL potenziale, ossia delPIL che si può realizzare utilizzando pienamente i fattori produttivi senzagenerare inflazione.Fonte: elaborazioni CSC su dati FMI, OCSE, Commissione europea e MEF.

Grafico B

Tutte le traiettorie del PIL

(Italia, miliardi di euro e valori %, prezzi costanti)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Reuters e stime Commissione europea.

-20,0

-15,0

-10,0

-5,0

0,0

5,0

1.200

1.300

1.400

1.500

1.600

1.700

1.800

1995

19

96

1997

19

98

1999

20

00

2001

20

02

2003

20

04

2005

20

06

2007

20

08

2009

20

10

2011

20

12

2013

20

14

2015

PIL effettivo Trend PIL potenziale Deviazione dal trend(%, scala destra) Deviazione dal potenziale(%, scala destra)

Page 33: Scenari economici 19

34

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

continuazione della crescita potenziale sullo stesso trend, peraltro molto basso nel con-fronto storico e internazionale, esistente prima della crisi; il divario, infatti, scende dal16,5% nel 2013 ad appena il 4,5%. Vuol dire che, rispetto alle dinamiche pre-crisi, il PILpotenziale è più basso del 12,6% (Grafico B).

Sempre secondo l’FMI, per chiudere il gap negativo nel 2019 il PIL italiano dovrebbe cre-scere a tassi medi annui dell’1,2%, un punto percentuale in più rispetto al ritmo di au-mento del potenziale stimato nel quinquennio 2013-2018 (+0,2%). Ciò non sarebbe, però,neanche sufficiente a riportare il PIL italiano al livello del 2007, rimanendone del 3,0% aldi sotto. Per giunta, la chiusura dell’output gap in presenza di una bassa crescita poten-ziale preclude al Paese anche il ritorno sul trend di crescita seguito nei primi dieci annidi vita dell’euro e fino al 2007 (+1,5% annuo).

Pertanto, l’innalzamento del tasso di crescita potenziale si conferma (lo era già primadella crisi) il nodo cruciale da sciogliere dell’economia italiana, sia per ritrovare il più ra-pidamente possibile i livelli di benessere, reddito e occupazione perduti sia per evitareulteriori inasprimenti della stretta di bilancio, indispensabili alla sostenibilità del debitopubblico. A questo fine servono incisive riforme strutturali che portino a un aumentodelle quantità e della qualità degli investimenti e della forza lavoro e consentano un’ef-ficiente e rapida riallocazione delle risorse verso gli impieghi più produttivi.

Le riforme strutturali possono produrre effetti significativi. In uno studio dell’OCSE delsettembre 2012, l’effetto delle riforme effettuate dal Governo Monti veniva stimato in unaumento della crescita di 0,3-0,4 punti percentuali3. Secondo uno studio effettuato da ri-cercatori dell’FMI e diffuso nel gennaio 2013, se implementate appieno le riforme effet-tuate tra il 2011 e il 2012 (dalle liberalizzazioni di alcuni mercati dei prodotti e del lavoroalle semplificazioni amministrative) sarebbero in grado di generare guadagni conside-revoli e avrebbero la capacità di incrementare il PIL potenziale dell’Italia di circa il 5,5%dopo cinque anni e di oltre il 10% dopo 10 anni4.

3 OCSE, Italy; Reviving Growth and Productivity, settembre 2012.4 L. Lusinyan e D. Muir, Assessing the Macroeconomic Impact of Structural Reforms: The Case of Italy, IMF Working

Papers 13, gennaio 2013.

Page 34: Scenari economici 19

La produzione industriale italiana è aumentata in novembre per il terzomese consecutivo: +0,4% su ottobre (stime CSC), quando c’era stato un

incremento dello 0,5% sul mese precedente (+0,2% congiunturale in settembre). Nel quartotrimestre 2013 la variazione congiunturale acquisita è di +0,9%: se confermata, si tratte-rebbe del primo incremento dopo dieci cali trimestrali consecutivi durante i quali l’attivitàè diminuita del 10,9% cumulato.

Gli indicatori congiunturali disponibiliproiettano ulteriori, più ampi, progressidell’attività nei prossimi mesi: le attese atre mesi di produzione sono in recuperoda maggio e il saldo dei giudizi è al mas-simo da 28 mesi (Grafico 1.7). Sono ul-teriormente migliorate anche le attesesugli ordini (saldo a 6 da -4 di aprile) e igiudizi sugli ordini interni (-38 in no-vembre da -53 di giugno) ed esteri (-16da -34 di marzo). La componente pro-duzione del PMI manifatturiero si è at-testata in novembre a 53,2 da 53,6 (da seimesi è sopra la soglia neutrale di 50);l’indicatore degli ordini, in area diespansione da cinque mesi, è rimastostabile sui livelli di ottobre (50,5). In particolare quello relativo agli ordini esteri è aumen-tato di 1,7 punti (a 57,2), segnalando un significativo ritmo di incremento, specie per lemaggiori richieste di beni d’investimento.

La produzione nelle costruzioni ha recuperato il 6,4% da marzo a settembre, ma è troppopresto per valutare quanto questo aumento, sicuramente in parte sorretto dagli incentivi perinterventi di ristrutturazione ed efficientamento energetico, possa continuare e rafforzarsi.Per il breve periodo indicazioni positive vengono dal clima di fiducia nelle costruzioni:sono migliorati i giudizi sulle attività di costruzione (saldo a -31 da -46 di giugno) e sugliordini (-45 da -56).

Nello scenario CSC la crescita delle esportazioni di beni e servizi, involume, è pari allo 0,3% nel 2013, accelerando nel 2014 al 4,1% e nel

2015 al 4,7%. Le importazioni dopo un calo del 2,1% nel 2013, torneranno ad aumentare del3,4% nel 2014 e del 4,2% nel 2015. La ripartenza dell’import ridurrà il contributo dell’exportnetto al PIL, che comunque rimarrà positivo anche nel biennio di previsione: +0,7 puntipercentuali nel 2013, +0,3 nel 2014 e +0,3 nel 2015.

35

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Risale la produzione

Grafico 1.7

Le imprese si aspettano incrementi di attività

(Italia, indice e saldi, dati destagionalizzati)

Le attese di produzione sono spostate avanti di tre mesi.Produzione industriale di novembre 2013: Indagine Rapida CSC.Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

-30

-20

-10

0

10

20

30

70

80

90

100

110

120

130

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014

Produzione industriale Attese di produzione imprese (saldi, scala destra)

Buone prospettive

per l’export

Page 35: Scenari economici 19

Il ritorno alla crescita degli acquisti dall’estero riflette un miglioramento della dinamicadella domanda interna, destinato a proseguire nel tempo, seppure lentamente. Nel terzo tri-mestre 2013, le importazioni di merci in volume sono aumentate dell’1,8% congiunturale,mettendo a segno la prima variazione positiva dal primo trimestre 2011. È cresciuta, in par-ticolare, la domanda da parte delle imprese, più di quella delle famiglie: le importazioni dibeni di investimento sono aumentate del 3,4%, quelle di beni intermedi del 3,0% e quelledi beni di consumo dello 0,2%.

La debole performance dell’export nel 2013 risente, soprattutto, della caduta nel primo trimestre(-1,2% in volume sul quarto 2012), seguita da un moderato aumento nel secondo (+0,7%) e nelterzo (+0,7%), quando ha accelerato la dinamica delle vendite all’estero di servizi (+2,5% con-giunturale, dal +1,5% nel secondo e dal -2,5% nel primo), sostenuta dalla buona performancedegli altri servizi (tra cui quelli finanziari, assicurativi e altri servizi per le imprese). È rimasta mo-desta, invece, la crescita dell’export di merci (+0,3%, dal +0,5% nel secondo e dal -0,9% nel primo).Hanno influenzato la sua dinamica due fattori contrapposti: in positivo, la ripartenza delle ven-dite nell’Unione europea (+1,4% nel terzo trimestre); in negativo, il calo delle vendite nei paesiextra-UE (-1,7%). In ottobre, inoltre, l’export di merci è diminuito dello 0,3% su settembre a causadelle minori vendite intra-UE (-1,4%) e nonostante l’aumento di quelle extra-UE (+1,1%).

Buone prospettive di crescita dell’export emergono dalla componente ordini esteri del PMImanifatturiero, salita in novembre (57,2) ai massimi da marzo 2011, che preannuncia un’e-spansione sostenuta delle vendite nei prossimi mesi. Segnali positivi provengono anchedai giudizi sugli ordini esteri delle imprese manifatturiere, il cui saldo è rimasto invariatoin novembre sui livelli massimi da aprile 2011.

Più in generale, la dinamica dell’exportdipende da quella della domanda po-tenziale, ossia dalla crescita delle im-portazioni totali nei mercati didestinazione dei beni italiani. Nel trien-nio 2010-2012, infatti, il rallentamentodella dinamica delle vendite di merci al-l’estero è dovuto a quello della do-manda potenziale. In questi anni,peraltro, l’aumento dell’export è statoaddirittura maggiore di quello della do-manda potenziale. Ha frenato, invece,nel 2013: +0,1% l’export di beni e +1,4%la domanda potenziale, secondo il CSC.Nello scenario di previsione, la do-

36

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.8

La domanda potenziale sosterrà l’export italiano

(Dati in volume, merci, variazioni %)

* Crescita delle importazioni totali di 38 partner commerciali, ponderate perle quote delle esportazioni italiane verso quei partner.2013-2015: previsioni CSC.Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati ISTAT, Comtrade, OCSE, FMI e CPB.

-20,0

-15,0

-10,0

-5,0

0,0

5,0

10,0

15,0

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Export italiano Domanda potenziale italiana* Commercio mondiale

Page 36: Scenari economici 19

manda potenziale italiana tornerà a crescere a buon ritmo (+4,1% nel 2014 e +4,7% nel 2015),grazie alla ripartenza della domanda mondiale e, in particolare nel 2014, di quella europea,che assorbe più della metà delle vendite estere italiane (53,8% nel 2012; Grafico 1.8). Infatti,disaggregando la domanda potenziale italiana in una componente interna all’UE e in unaextra-UE, l’accelerazione della sua crescita sarà dovuta sia a quella della componente intra-UE, soprattutto nel 2014 (+0,8% nel 2013, +4,1% nel 2014 e +4,1% nel 2015) sia a quella dellacomponente extra-UE (+2,4% nel 2013, +4,0% nel 2014 e +5,6% nel 2015). Proprio il recuperodell’assorbimento interno all’UE imprimerà un’accelerazione alla domanda potenziale ita-liana superiore a quella del commercio globale.

La vivace dinamica della domanda potenziale favorirà, di pari passo, quella delle esporta-zioni. Le imprese italiane, infatti, hanno dimostrato negli ultimi anni, da un lato, di essererapide nell’orientare le vendite verso i mercati più dinamici, tenendo così alta la crescitadella domanda potenziale, e dall’altro, di saper difendere le proprie quote di mercato neipaesi di destinazione dell’export, soprattutto nelle economie extra-UE, più dinamiche. Gra-zie a una crescente qualità dei prodotti e al rafforzamento della posizione a monte nelle ca-tene globali del valore, e nonostante una forte penalizzazione determinata dall’incrementorelativo del CLUP (si veda il riquadro L’export italiano vince nella qualità ma è penalizzato daicosti). L’andamento di queste determinanti della competitività internazionale delle impreseitaliane è atteso proseguire nello scenario di previsione: in particolare, la dinamica delCLUP rallenterà temporaneamente nel 2014, per accelerare di nuovo nel 2015.

Nel biennio 2014-15 un sostegno alle esportazioni nette italiane di beni e servizi verrà anchedal miglioramento delle ragioni di scambio, grazie al rientro nel 2014 delle quotazioni pe-trolifere. Il CSC prevede, infatti, che la loro variazione passerà dal +2,2% nel 2013 al +1,5%nel 2014 per poi rallentare a +0,6% nel 2015.

La dinamica favore-vole sia delle quan-

tità sia dei prezzi consoliderà l’attivodella bilancia commerciale. Il cui sur-plus, pari al 2,3% del PIL nei primi novemesi del 2013, si attesterà su tale livellonell’intero anno corrente, livello mas-simo dal 1998 (Grafico 1.9). Nel bienniodi previsione il miglioramento dei conticon l’estero continuerà: il saldo com-merciale si attesterà al 2,9% del PIL nel2014 e al 3,3% nel 2015.

37

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Si consolida l’attivo

dei conti con l’esteroGrafico 1.9

Conti esteri italiani: in surplus merci e servizi

(Saldi in % del PIL)

* Primi nove mesi.Fonte: elaborazioni CSC su dati Banca d'Italia e ISTAT.

-4

-3

-2

-1

0

1

2

3

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

*

Trasferimenti unilaterali Redditi Servizi Merci Saldo di conto corrente

Page 37: Scenari economici 19

Nel 2013 è virato in positivo anche il saldo degli scambi di servizi (+0,2% del PIL, desta-gionalizzato, nei primi nove mesi), che non registrava un attivo dal 2004. Ciò è dovuto, inparte, alla diminuzione delle importazioni di servizi di trasporto, a causa della caduta del-l’import di beni, e contemporaneamente all’aumento delle esportazioni di altri servizi alleimprese; un altro contributo positivo al surplus dei servizi proviene dalla voce viaggi, perla diminuzione delle spese turistiche all’estero da parte delle famiglie italiane.

L’ampliamento del surplus negli scambi di merci e servizi ha spinto in attivo il saldo dellepartite correnti: +0,4% del PIL (destagionalizzato) nei primi nove mesi del 2013. Le altre suecomponenti, al contrario, hanno contribuito a contenere il surplus corrente: peggiorano,infatti, sia il saldo dei redditi, a causa dei minori redditi oltreconfine dei residenti italiani,sia quello dei trasferimenti unilaterali, in conseguenza a un minor afflusso di trasferimentidall’estero e a maggiori rimesse degli immigrati. Secondo le previsioni del CSC, l’attivodel conto corrente si attesta allo 0,8% del PIL nel 2013; nel biennio di previsione il surplussi amplierà all’1,5% nel 2014 e all’1,8% nel 2015.

Nonostante l’attuale miglioramento del saldo di conto corrente, la posizione patrimonialenetta estera dell’Italia nel secondo trimestre 2013 (-29,6% del PIL) è peggiorata rispetto alprimo (-27,3%), a causa del rilevante calo del prezzo dell’oro, che ha ridotto il valore delleriserve ufficiali.

38

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Il baricentro della domanda e della produzione dell’economia globale si sposta semprepiù verso le economie emergenti. Che da alcuni anni forniscono oltre il 70% della dina-mica e dal 2013 oltre la metà del livello del PIL mondiale. Ciò ha accentuato la concor-renza tra imprese ed enfatizzato il confronto internazionale tra sistemi paese, mettendoin luce in modo ancor più marcato l’importanza della competitività, che in ultima istanzaè costituita dalla capacità di adattamento e cambiamento e, quindi, è rappresentata dalritmo di sviluppo dei paesi.

Questo spostamento strutturale, che diventerà sempre più evidente nel tempo, è accele-rato dal basso profilo della crescita dell’Area euro, che è previsto durare anche nei pros-simi anni a causa della debolezza della domanda interna. Cosicché l’incremento del suoPIL dipende ancor più dalle esportazioni. Cioè dalla sua competitività internazionale.

I fattori che determinano la “capacità di competere” di un sistema economico sono mol-teplici. A titolo di esempio, basta ricordare: i fattori di costo, prezzo e qualità delle pro-

L’export italiano vince nella qualità ma è penalizzato dai costi

Page 38: Scenari economici 19

39

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

duzioni di merci e servizi; la ricerca e l’innovazione; l’efficienza amministrativa; il con-testo in cui si svolge l’attività di impresa.

Per quanto riguarda la facilità di fare impresa, in particolare, il ritardo italiano è eviden-ziato dal 65o posto nella graduatoria dell’indicatore Doing Business della Banca Mondiale,ben dietro a Francia (38o), Germania (21o) e Stati Uniti (4o).

Un altro indicatore fornisce un quadro diverso. Il livello e l’evoluzione della competiti-vità di un paese, infatti, sono rivelati dalle quote del suo export su quello mondiale. L’I-talia tra il 2000 e il 2012 ha visto ridursi il suo peso di 1,0 punti percentuali. Tuttavia, tuttii paesi avanzati tendono a perdere fisiologicamente porzioni di commercio internazionalea causa dell’avanzata dei paesi emergenti: sempre tra il 2000 e il 2012, hanno visto dimi-nuire la propria fetta la Germania (-1,2 punti percentuali), la Francia (-2,0), il Regno Unito(-2,0) e gli Stati Uniti (-3,5).

Conviene, allora, restringere l’attenzione all’incidenza sulle esportazioni di un gruppo si-gnificativo di paesi avanzati1. Valutata in questi termini, l’evoluzione delle quote di mer-cato indica come l’export italiano abbia consolidato in realtà le proprie posizioni (+0,1 puntipercentuali dal 2000 al 2012), in controtendenza rispetto a ciò che è successo ad altri prin-cipali paesi industrializzati: Francia (-1,4 punti percentuali), Regno Unito (-2,0) e Stati Uniti(-0,3). La Germania ha guadagnato 2,8 punti; la Spagna 0,9, partendo però da una posi-zione più arretrata rispetto all’Italia.

La performance delle esportazioni deiprincipali paesi dell’Area euro rispettoa quella del primo esportatore europeo,la Germania, ribadisce il miglioramentodella dinamica delle vendite all’esterodi Italia e Spagna anche nel periodo piùrecente (Grafico A), nel quale è stato in-terrotto il precedente trend relativo ne-gativo. Negli ultimi tre anni l’exportitaliano è cresciuto in volume in lineacon quello tedesco. Quello spagnolo haaddirittura fatto meglio del tedesco sindall’inizio della crisi, accelerando an-cora il passo relativo nel 2013.

Grafico A

La Spagna cambia passo

(Esportazioni in volume rispetto a quelle tedesche, 2002=100)

* Stima CSC sui primi otto mesi.Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat e ISTAT.

70

75

80

85

90

95

100

105

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

*

Italia

Spagna

Francia

1 Il gruppo dei G-10 (Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti,Svezia e Svizzera) più la Spagna.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Ma quali sono i fattori che stanno die-tro alla performance relativa dell’ex-port dei paesi? I sei principali sono: ilpresidio dei mercati (paesi e settori) piùdinamici, l’evoluzione del CLUP e deiprezzi alla produzione, la qualità deiprodotti, il posizionamento strategicolungo le catene globali del valore e gliinvestimenti in capacità produttiva.

La competitività delle imprese italianeè stata fortemente penalizzata dalmarcato incremento relativo del CLUP(una tendenza che non mostra di in-vertirsi) e, negli anni di crisi, dal crollodegli investimenti, ma è stata e conti-nua a essere favorita da una buona ca-pacità di orientare le vendite verso imercati più dinamici, che si traduce inuna vivace domanda potenziale, dallacrescente qualità dei prodotti vendutiall’estero e dal rafforzamento della po-sizione a monte nelle catene globalidel valore. L’elevato aumento delcosto del lavoro e le condizioni checausano la bassa dinamica degli inve-stimenti rappresentano, però, nodistrutturali da sciogliere al più presto,prima che mettano il sistema Italia pe-ricolosamente fuori gioco nella com-petizione globale.

Il CSC ha stimato l’effetto di ciascunodi questi fattori sull’andamento del-l’export per un gruppo di nove paesidell’Area euro (Tabella A)2. Appli-cando i risultati di queste stime si può

Tabella A

Per la competitività sui mercati internazionali

spicca il CLUP

(Dati trimestrali destagionalizzati in volume, nove paesidell’Area euro1, 1o trimestre 1991-2o trimestre 20132)

Per ogni +1% della variabileconsiderata l’exportdi beni varia del…3

(%)

Domanda estera di beni

Potenziale4 0,99

Mondiale residua5 0,42

Tassi di cambio effettivo

Reale (prezzi alla produzione6) -0,39

Reale (CLUP7) -0,41

Nominale -0,24

Prezzi e costi relativi

Prezzi alla produzione6 -0,22

CLUP7 -0,52

Competitività non di prezzo

Qualità8 0,20

Investimenti fissi 0,06

Catene del valore9:

Posizione 0,08

Partecipazione -0,081 Italia, Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo, Austria, Irlanda,

Finlandia.2 1o trim. 1994-2o trim. 2013 per il CLUP, 1o trim. 1999-2o trim. 2013 per gli

indicatori delle catene del valore.3 Elasticità dell’export.4 Somma delle importazioni totali dei paesi partner, ponderate per le quote

delle esportazioni del paese di riferimento verso i partner.5 Differenza aritmetica tra la crescita dell’export mondiale e quella della

domanda potenziale.6 Prezzi alla produzione nel settore manifatturiero rispetto alla media dei

prezzi in 61 paesi competitor (ponderata in base alla concorrenza deicompetitor in ogni mercato estero).

7 CLUP manifatturiero rispetto alla media del CLUP in 36 paesi competitor(ponderata in base alla concorrenza dei competitor in ogni mercato estero).

8 Differenza tra la crescita dei valori medi unitari e quella dei prezzi allaproduzione (indicatore relativo rispetto ai paesi competitor).

9 La posizione lungo le catene del valore è definita come il rapporto tra exportdi beni intermedi e import di beni intermedi (non oil). La partecipazione comela quota dell’import e dell’export di beni intermedi sull’export totale (non oil).

Fonte: stime CSC su dati Eurostat, Banca d’Italia, Commissione europea,OCSE, CPB e Comtrade.

2 Austria, Francia, Finlandia, Irlanda, Italia, Germania, Spagna, Paesi Bassi e Portogallo.

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41

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

scomporre la crescita effettiva del volume delle esportazioni italiane nelle diverse forzeche l’hanno generata: all’insù l’hanno spinta i mutamenti di domanda potenziale, qua-lità dei prodotti, posizionamento lungo le catene del valore e, in piccola misura, politi-che di prezzo; all’ingiù l’hanno tirata gli andamenti di CLUP e investimenti. Dall’analisi emerge che la variabile quantitativamente più importante è la capacità dipresidiare i mercati che crescono di più. Una variabile che non può essere misurata di-rettamente, ma che può essere ben approssimata calcolando la dinamica della domandaestera potenziale. Il CSC lo ha fatto per ciascuno dei nove paesi considerati, attraversola media, ponderata per la quota sulle esportazioni di ciascun paese, della crescita delleimportazioni in volume dei principali 38 partner commerciali (che costituiscono media-mente più dell’85% dei mercati di destinazione di ogni paese esaminato)3.

Secondo le stime CSC un incremento reale dell’1% della domanda potenziale corrispondea un aumento dello 0,99%, cioè di fatto di pari entità, della quantità delle esportazioni4.

Intercettare la domanda estera piùdinamica, mantenendo al contempocostante la quota sul totale delleesportazioni dei paesi avanzati, rap-presenta un buon sensore della com-petitività, poiché significa che ilPaese è riuscito a tener testa agli altriconcorrenti sui mercati di sbocco,vincendo la sfida in termini diprezzo, qualità e innovazione. Daquesto punto di vista le imprese ita-liane hanno dimostrato di sapersiben riposizionare nei mercati inmaggiore espansione (aumentan-done il peso sul totale dell’export ita-liano), ponendosi in ciò alla paridelle imprese tedesche. In particolare, dal primo trimestre del 2000 al secondo 2013 ladomanda potenziale italiana è cresciuta del 4,4% medio annuo, come quella tedesca epiù di quelle francese (4,1%) e spagnola (3,5%), favorendo così della stessa misura laperformance dell’export (Grafico B). Inoltre, nel triennio 2010-2012 l’export italiano è cre-

Grafico B

La domanda potenziale italiana cresce a ritmi tedeschi

(Tasso di crescita medio annuo)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Comtrade, OCSE ed Eurostat.

0

1

2

3

4

5

6

7

8

1991-2000 2000-2008 2008-2013

Germania

Italia

Spagna

Francia

3 Il sistema di ponderazione varia nei periodi 1990-99, 2000-2008 e 2009-2013.4 In altre parole, l’elasticità dell’export alla domanda potenziale è pari a 0,99.

Page 41: Scenari economici 19

42

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

sciuto più della domanda potenziale e ha guadagnato quote in alcuni dei suoi mercati didestinazione5.

L’Italia, pur mantenendo sostanzialmente inalterata la graduatoria dei paesi di sbocco prin-cipali (che, seppure abbiano perduto peso, restano nell’ordine Germania, Francia e StatiUniti), sta realizzando un efficace processo di diffusione delle esportazioni, le quali dannoprova di una mobilità geografica relativamente più elevata rispetto a quelle degli altri paesieuropei6.

Dal 2000 in poi l’aumento della domanda potenziale ha generato un contributo di 4,56punti percentuali annui alla crescita del volume delle vendite all’estero dell’Italia. Inoltre, diversamente da quanto spesso si afferma, anche la specializzazione settoriale haaiutato l’export italiano, anziché penalizzarlo: in base a un’analisi constant market share,la specializzazione settoriale italiana ha infatti permesso di contenere la perdita fisiolo-gica di quote sugli scambi mondiali evidenziata sopra7.

La prontezza nel cogliere i mutamenti geografici delle fonti della domanda mondiale rappre-senta, quindi, un punto di forza del sistema Paese. Il quadro diventa in chiaroscuro nell’ana-lisi delle altre determinanti strutturali della competitività, di prezzo e non: le tinte positiveoriginano dai fattori non di prezzo e in particolare dalla qualità dei prodotti e dall’integra-zione strategica all’interno delle catene globali del valore; invece, quelle negative provengonodai fattori di costo e di prezzo. Pesa, infine, soprattutto in un’ottica di lungo periodo, la cadutadegli investimenti e quindi del grado di innovazione della capacità produttiva italiana.

Per quanto riguarda la qualità dei beni esportati, una misura indiretta può essere ricavatadal rapporto tra i valori medi unitari (VMU) dell’export e i prezzi alla produzione deibeni destinati ai mercati esteri. L’indicatore riflette tutto ciò che nell’andamento del valorenon è spiegato dalla dinamica dei prezzi; in particolare, un suo aumento rivela la ricom-posizione dei flussi di export verso beni più evoluti (caratterizzati da VMU più elevati).

Secondo questo indicatore, la qualità dell’export italiano aumenta molto più di quella deglialtri principali paesi europei: l’indice italiano è salito dell’1,6% medio annuo a partire dal

5 In particolare nell’area balcanica, in Ungheria, in Ucraina, in Africa settentrionale, in Turchia, in Messico e aHong Kong.

6 Si veda CSC, Scenari industriali n. 3, giugno 2013, capitolo 5. L’indice di mobilità geografica delle esportazioniè definito dalla sommatoria delle differenze tra le frequenze relative dell’export di un paese verso ciascun altroriferite ai due estremi temporali (1995-2011). L’indice varia tra 0 e 1; è pari a 0 se le due distribuzioni sono iden-tiche, mentre risulta uguale a 1 nel caso di massima disuguaglianza.

7 Si veda CSC, Scenari economici n.17, giugno 2013, capitolo 2. L’analisi constant market share suddivide la varia-zione delle quote di mercato in una componente comune a tutti i settori e in altre due che dipendono dallacomposizione settoriale dell’export, iniziale e nel corso del tempo.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

2000, contro il +0,9% tedesco, il +0,6%francese e il +0,5% spagnolo (GraficoC). Ciò è in linea con la dinamica di unaltro indicatore della qualità dell’exportesaminata per settori, sempre basato suivalori medi unitari ed elaborato in unostudio dell’FMI, che segnala l’eccel-lenza dell’Italia in alcuni dei suoi settoritradizionalmente di punta8.

Per quantificare l’importanza dell’upgra-ding qualitativo sull’andamento dell’ex-port italiano, il CSC ha costruito unindicatore relativo della qualità dellevendite all’estero per i nove paesi dell’A-rea euro qui considerati e ne ha stimatol’effetto sulla crescita delle esportazioni,congiuntamente a quello delle altre variabili sopra elencate9. Il risultato è che un incrementodell’1% dell’indicatore di qualità relativa determina un aumento dello 0,20% dell’export. Ap-plicando questa misura al caso italiano, se ne ricava che il forte miglioramento della qualità deibeni destinati all’estero dall’inizio del 2000 in poi ha contribuito per 0,27 punti percentuali mediannui alla crescita dell’export.

Un altro fattore chiave per la performance internazionale di un paese è costituito dallasua partecipazione alle catene globali del valore e dalla posizione da esso occupata in talicatene. L’organizzazione dei processi produttivi, infatti, sempre più dà luogo a relazionitra imprese che travalicano i confini nazionali, cosicché aumenta la rilevanza degli scambidi beni intermedi nel commercio estero. E diventa più complesso discernere quanto va-lore aggiunto nel totale delle esportazioni è attribuibile a un paese e quanto a un altro.

A questo fine è possibile, partendo dai dati di commercio internazionale e utilizzando lematrici input-output, scomporre il valore aggiunto contenuto nelle esportazioni di ognipaese nel valore aggiunto apportato dai vari paesi lungo il processo produttivo globale10.

Grafico C

L’Italia svetta nella qualità

(Rapporto tra valori medi unitari e prezzi alla produzione deiprodotti venduti all’estero, indice 2000=100)

* 2013: media dei primi sette mesi.Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

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2007

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2010

2011

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2013

*

Italia

Germania

Spagna

Francia

8 Si veda C. Henn, C. Papageorgiou e N. Spatafora, Export quality in developing countries, IMF Working Papers 13/108(2013).

9 È stato calcolato un indice dei valori medi unitari relativi di ciascun paese rispetto ai 36 partner commerciali esono stati utilizzati, in assenza dei prezzi all’export per i 9 paesi oggetto di analisi e i 36 paesi partner, i prezzialla produzione relativi come proxy dei prezzi alla produzione relativi dei beni destinati all’estero.

10 Si veda CSC, Scenari industriali n. 4, giugno 2013, capitolo 6.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

La partecipazione di un paese alle catene globali del valore, cioè il suo grado di integra-zione in esse, è data dalla somma del valore aggiunto degli altri paesi contenuto nelle sueesportazioni, via beni intermedi acquistati all’estero, e del suo valore aggiunto contenutonelle esportazioni degli altri paesi, via beni intermedi venduti all’estero. La somma diquesti valori aggiunti va ovviamente rapportata alla stazza di ciascun paese, dividen-dola per il valore totale delle sue esportazioni, e fornisce il metro della sua dipendenzadal processo produttivo globale.

La posizione lungo le catene globali del valore viene, invece, misurata dal rapporto trail valore aggiunto del paese contenuto nelle esportazioni degli altri paesi e il valore ag-giunto estero contenuto nelle esportazioni del paese stesso: più elevato l’indice, più ilpaese si colloca a monte delle catene, ossia svolge prevalentemente un ruolo di fornitoredi beni intermedi, mentre i paesi compratori hanno un livello più basso.

Dal 1995 al 2009, periodo per cui sono disponibili i dati OCSE relativi alla ripartizione delvalore aggiunto dell’export tra i paesi, l’Italia ha aumentato di poco la dipendenza dallecatene globali del valore: +3,0 punti percentuali, rispetto al +8,4 della Germania. Allostesso tempo, le imprese italiane hanno rafforzato la posizione di fornitrici di beni inter-medi (l’indice di posizione è aumentato di 30,6 punti), mentre le imprese tedesche quelladi acquirenti (-33,1).

Tuttavia, i dati OCSE includono solo cinque osservazioni annuali (1995, 2000, 2005, 2008e 2009). Per verificare l’effetto sulla dinamica dell’export di un cambiamento della di-pendenza dalle catene globali del valore e della posizione in esse occorre una serie stati-stica più lunga e continua; così il CSC ha costruito per i nove paesi dell’Area euroesaminati due indici trimestrali proxy, basati sugli scambi internazionali di beni inter-medi11. La stima dell’effetto della variazione di tali indicatori sulla performance delleesportazioni è statisticamente molto significativa. In particolare, risulta che un aumentodell’1% dell’indicatore di posizione, ossia del rafforzamento a monte lungo le catene delvalore, genera un incremento dello 0,08% dell’export. Un aumento dell’1% dell’indica-tore di dipendenza è, invece, associato a una contrazione dell’export dello 0,08%.

Le stime del CSC mostrano che i paesi che si specializzano nelle esportazioni di beni in-termedi e che, quindi, si posizionano a monte lungo le catene globali del valore regi-strano, in media, un migliore andamento dell’export. Al contrario, una maggiore

11 L’indicatore di dipendenza è stato costruito rapportando la somma delle esportazioni e delle importazioni dibeni intermedi non oil alle esportazioni totali non oil. L’indicatore di posizione è calcolato dal rapporto tra leesportazioni e le importazioni di beni intermedi non oil.

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dipendenza dalle catene globali del valore, soprattutto se dovuta a un massiccio ricorsoall’outsourcing, è associata a una dinamica più bassa delle esportazioni.

Ciò perché l’utilizzo di fornitori esteri genera per il paese perdita di conoscenze e com-petenze; nel caso di investimenti diretti all’estero queste competenze sono sì trattenuteall’interno dei confini aziendali, ma non di quelli nazionali, e quindi tendono ad averericadute positive sul tessuto produttivo del paese destinatario. Peraltro, la maggiore di-pendenza dalle importazioni di beni intermedi espone all’aumento dei costi unitari do-vuto alle pressioni inflazionistiche o alla rivalutazione del cambio dei paesi di originedei semilavorati. Questo fattore appare rilevante soprattutto per la Germania: secondouno studio dell’FMI, infatti, una quota elevata e crescente dell’import tedesco di beni in-termedi proviene da paesi con inflazione relativamente alta e, quindi, il guadagno dicompetitività tedesco evidenziato dai tradizionali fattori di costo (CLUP) si attenua se sitiene conto della dinamica del costo dell’import di input intermedi12.

Per l’Italia, in base alle stime CSC, a partire dal 2000 in poi la variazione dell’indicatoredella posizione nelle catene globali del valore ha generato un contributo alla crescita del-l’export di 0,12 punti percentuali medi annui. Nello stesso periodo la variazione dell’in-dicatore di dipendenza, invece, ha originato un contributo di -0,06 punti medi all’annoall’andamento delle esportazioni.

I fattori tradizionali di costo e di prezzo svolgono naturalmente un ruolo decisivo per laperformance dell’export.

La competitività di prezzo di un paese è sintetizzata dalla dinamica del suo tasso di cam-bio effettivo reale, che combina le variazioni del cambio effettivo nominale e di un indicedei prezzi relativi: un apprezzamento del cambio nominale e/o un aumento relativo deiprezzi danno luogo a una perdita di competitività. Il tasso di cambio effettivo di un paeseè la media dei cambi bilaterali ponderati in base alla presenza di ogni paese competitor neimercati di destinazione. Lo stesso ragionamento e gli stessi calcoli possono essere effet-tuati utilizzando i CLUP anziché i prezzi.

Il CSC ha stimato che le variazioni del tasso di cambio effettivo reale deflazionato con iprezzi alla produzione e di quello basato sui CLUP, entrambi prendendo a riferimento ilsettore manifatturiero, hanno effetti molto simili sull’export: un apprezzamento di unpunto percentuale provoca una contrazione del volume delle vendite all’estero di 0,39punti per il cambio calcolato sui prezzi alla produzione e di 0,41 per quello che tieneconto dei CLUP.

12 Si veda T. Bayoumi, M. Saito e J. Turunen, Measuring competitiveness: trade in goods or tasks?, IMF Working Papers13/100 (2013).

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Tuttavia, i due tipi di cambi effettivi reali, quello incentrato sui prezzi e quello sui CLUP,si sono mossi in direzioni opposte e offrono così indicazioni discordanti riguardo all’an-damento della competitività del settore manifatturiero italiano. Stando al cambio reale ba-sato sui prezzi alla produzione, la competitività del manifatturiero italiano rispetto aicompetitor è aumentata di 1,8 punti percentuali negli ultimi dieci anni, mentre era dimi-nuita nei primi anni 2000 a causa dell’apprezzamento dell’euro13. Al contrario, in base alcambio reale che utilizza il CLUP, la competitività è diminuita senza interruzioni e di 15,7punti percentuali complessivi dal 200014.

La differenza nella dinamica dei duecambi è particolarmente evidente se siconfrontano Italia e Germania: nelcaso dei prezzi alla produzione lacompetitività italiana è diminuita di6,9 punti percentuali rispetto a quellatedesca, con un andamento nel tempoche è stato simile nei due paesi; nelcaso del CLUP, invece, le dinamichesono state profondamente diverse e laperdita di competitività dell’Italia siamplia a ben 19,8 punti (Grafico D).

Per distinguere l’impatto sull’exportdei due cambi reali occorre scomporreil tasso di cambio reale nel tasso dicambio effettivo nominale, da un lato,e negli indici dei prezzi o dei CLUPrelativi, dall’altro.

In base alle stime CSC, il fattore nettamente più importante per la performance dell’ex-port è l’andamento del CLUP relativo. Un suo aumento dell’1% provoca, infatti, una ri-duzione dello 0,52% delle esportazioni. Un pari incremento dei prezzi alla produzionerelativi, invece, è associato a una contrazione dello 0,22% dell’export. Un apprezzamentodell’1% del cambio effettivo nominale, infine, riduce dello 0,24% le esportazioni.

Dall’inizio 2000 a metà 2013 il CLUP manifatturiero italiano è aumentato di 2,6 punti per-centuali in media all’anno. Il gap accumulato negli anni 2000 rispetto ai principali paesi eu-

Grafico D

Dal prezzo al CLUP: si allarga il divario di competitività

tra Italia e Germania

(Manifatturiero, indice di competitività*, 2000=100)

* Inverso del tasso di cambio effettivo reale deflazionato con i prezzi alla pro-duzione rispetto a 61 competitor e con il CLUP rispetto a 36 competitor.** 2013: media del primo semestre.Fonte: elaborazioni CSC su dati Banca d’Italia e Commissione europea.

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**

Italia - CLUP Germania - CLUP Italia - prezzi alla produzione Germania - prezzi alla produzione

13 Indicatore elaborato dalla Banca d’Italia rispetto a 61 paesi competitor e definito come l’inverso del tasso di cam-bio reale, cosicché un aumento dell’indice corrisponde a un guadagno di competitività.

14 Indicatore elaborato dalla Commissione europea rispetto a 36 competitor.

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ropei è molto ampio: 2,7 punti all’annorispetto alla Germania, 1,7 verso laFrancia e la Spagna (Grafico E). In par-ticolare, il CLUP in Spagna ha seguitouna dinamica simile a quella italianafino al 2008, per poi diminuire di 12,6punti percentuali cumulati dal 2009 alsecondo trimestre 2013.

Al contrario, la variazione dei prezzi allaproduzione relativi del manifatturieroitaliano è stata negativa (-0,4% medioannuo). Nel confronto europeo i prezziitaliani sono aumentati del 2,0% medioannuo, più di quelli tedeschi (+1,4%) efrancesi (+1,6%), ma meno di quelli spa-gnoli (+2,6%) e olandesi (+3,0%).

A fronte dell’aumento relativo del CLUP, le imprese manifatturiere italiane hanno,quindi, mantenuto competitivi i prezzi, tra l’altro riducendo i margini di profitto. Dal2000 al primo semestre 2013 il MOL manifatturiero, che riflette il mark-up applicato aicosti, è diminuito di 13,5 punti percentuali in Italia, poco più che in Francia (-11,2), men-tre è aumentato di 6,0 punti in Germania e di 9,2 in Spagna.

L’erosione dei margini non è sostenibile nel lungo periodo e quindi costituisce un fat-tore di debolezza del manifatturiero italiano. E contribuisce a spiegare perché la sensi-bilità dell’export alla variazione del CLUP è maggiore di quella al mutamento dei prezzidi produzione, che comprende la dinamica di tutti i costi variabili e del mark-up a essiapplicato. Il contenimento dei prezzi è una condizione necessaria, non sempre sufficiente,per competere nei mercati internazionali.

Secondo le stime CSC dall’inizio del 2000 la perdita di competitività dovuta al CLUP ma-nifatturiero italiano ha causato una minore crescita dell’export di ben 0,95 punti mediannui. All’opposto, il guadagno di competitività via prezzi alla produzione relativi ha ge-nerato un contributo alla crescita delle esportazioni di 0,10 punti medi annui.

Infine, per rimanere competitivi occorre investire in beni capitali, che accrescano la ca-pacità produttiva e favoriscano l’introduzione di innovazioni. E d’altra parte una buonadinamica degli investimenti fissi lordi è indice di una vivace domanda interna e aspet-tative favorevoli, condizioni necessarie per avere un sistema economico in salute.

Grafico E

Non si ferma la corsa del CLUP italiano

(Manifatturiero, costo del lavoro diviso produttività oraria,indici 2000=100)

* Variazione % 2013 = variazione % 1° semestre 2013 su 1° semestre 2012.Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

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2012

2013

*

Italia Spagna Francia Germania

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Il credit crunch che colpisce le imprese italiane è proseguito finora senzanessun segnale di attenuazione. I prestiti sono calati del 9,2% nei due

anni tra settembre 2011 e ottobre 2013, a un ritmo medio di -0,4% al mese (dati destagio-nalizzati), per un totale di -84 miliardi di euro.

Troppe imprese non ottengono i prestitibancari che chiedono: nel manifatturieroin novembre erano il 12,6%, una per-centuale doppia rispetto al 6,9% regi-strato nella prima metà del 2011(indagine ISTAT; Grafico 1.10). Questaquota sta oscillando ampiamente negliultimi mesi, ma non c’è evidenza di unasua riduzione duratura. In gran partedei casi è la banca a negare il credito(84,2%), ma alcune imprese rinuncianoa fronte di un’offerta a costi troppo alti(15,8%). Altre aziende non lo chiedonopiù, e queste non vengono proprio rile-vate. La scarsità di prestiti ostacola l’o-peratività di molte aziende.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Secondo le stime CSC un aumento dell’1% degli investimenti fissi lordi è associato a unincremento dello 0,06% dell’export. Cosicché alla contrazione degli investimenti italianiè attribuibile una mancata crescita delle esportazioni di 0,06 punti medi annui dall’ini-zio del 2000; se si restringe l’analisi a partire dal 2007, l’effetto negativo sull’export di-venta di 0,31 punti all’anno.

I minori investimenti penalizzano la competitività del sistema Italia soprattutto nel lungoperiodo. Inoltre, vanno di pari passo con una deludente dinamica della produttività, cheè la causa principale della corsa verso l’alto del CLUP relativo. Questi sono i nodi strut-turali da sciogliere, tra i fattori analizzati in questo approfondimento, per favorire unamaggiore performance dell’export. Occorre affrontarli al più presto, così da accrescere laleva sui punti di forza delle imprese italiane: la presenza nei mercati esteri più dinamici,le eccellenze nella qualità e la posizione a monte lungo le catene del valore.

Prestiti alle imprese

in caduta libera

Grafico 1.10

Credito: troppe imprese razionate

(Italia, imprese manifatturiere, quota % di aziende che non ottengono il credito bancario richiesto)

Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

5

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2011 2012 2013

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La disponibilità di liquidità sta lentamente risalendo negli ultimi mesi, ma resta ridotta ri-spetto alle esigenze operative: saldo a 18 in novembre nel manifatturiero, da 5 in aprile (32 inmedia nel 2007; indagine ISTAT). Le aziende, peraltro, si aspettano liquidità in calo: le attesea tre mesi sono a -12 in novembre (-18 a gennaio; +3 nel 2007). Il 21,4% delle imprese industrialie dei servizi prevedono liquidità insufficiente nel 4° trimestre (da 25,6% nel 3°); nel settoredelle costruzioni la quota è doppia (48,9%, da 53,0%; indagine Banca d’Italia-Il Sole 24 Ore).

Il miglioramento della liquidità è stato ottenuto grazie al proseguimento dello smaltimentodei debiti commerciali della PA: i pagamenti sono giunti a 16,3 miliardi di euro a fine no-vembre (59,9% dei 27,5 miliardi stanziati per debiti commerciali e rimborsi fiscali per il 2013).A questi si aggiungerà nel 2014 il pagamento di altri 20 miliardi. Il 10,2% di questi fondi èstato utilizzato dalle imprese per accrescere la liquidità (indagine Banca d’Italia). Il resto èandato a pagare arretrati su stipendi, fornitori e tasse (48,1%) e ridurre il debito bancario(19,0%), spiegandone una piccola parte del calo (3,1 miliardi). Il 2,3% è stato utilizzato perfinanziare nuovi investimenti, un dato incoraggiante per gli effetti dei pagamenti PA sullacrescita nel medio termine, se si considera il breve lasso di tempo dall’inizio del processo.

I criteri per la concessione di prestiti alle imprese sono stati ulteriormente irrigiditi nel terzotrimestre 2013, con un’intensità pari a quella del secondo, stando ai dati qualitativi del-l’indagine Banca d’Italia. Le condizioni di accesso al credito sono peggiorate nel terzo tri-mestre per il 20,8% delle imprese industriali e dei servizi (26,9% nel secondo) e per il 38,0%di quelle delle costruzioni (41,5%; indagine Banca d’Italia-Il Sole-24 Ore).

Le banche italiane confermano, anche nel terzo trimestre, che tra i motivi della stretta nonci sono più le difficoltà nel raccogliere fondi sui mercati e nel mantenere livelli adeguati dicapitale, come invece avveniva nel 2011-2012. La disponibilità di liquidità viene ora addi-rittura indicata come un fattore espansivo per l’offerta di credito. Che, però, continua a es-sere razionata per le attese negative sull’andamento dell’economia e di specifici settori eimprese. Ovvero, per il timore di accumulare ulteriori prestiti deteriorati. Le sofferenzebancarie sul credito alle imprese hanno toccato i 101 miliardi in ottobre (12,3% dei prestiti,da 3,0% a fine 2008). Sommando anche quelle sui crediti alle famiglie si arriva a 145 miliardi.

Nel terzo trimestre, come in quelli precedenti, la stretta addizionale sul credito è consistita diquattro elementi: aumento dei margini di interesse per le imprese giudicate più rischiose, ri-chiesta di maggiori garanzie, riduzione dei volumi accordati, accorciamento delle scadenze.

Gli ampi margini applicati dalle banche continuano a impedire alle imprese italiane di be-neficiare della permanenza quasi a zero dei tassi di mercato a breve. Il tasso medio pagatodalle aziende in ottobre era del 3,5%, in modesto calo negli ultimi mesi (3,7% a dicembre2012), ma molto sopra l’Euribor a tre mesi, stabile allo 0,2% da oltre un anno. Lo spread sultasso di riferimento era a +3,3 punti in ottobre (+3,5 a dicembre 2012), cinque volte maggiore

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dei valori pre-crisi (+0,6 nel 2007). Le imprese più piccole pagano ancor di più: 4,5% in ot-tobre il tasso sui prestiti inferiori a un milione di euro, 2,9% per quelli maggiori.

La stretta sul credito in Italia peggiora lecondizioni competitive delle aziende ri-spetto a quelle di altri paesi di Eurolan-dia. Le PMI italiane sopportano un gapdi tassi di interesse pari a +1,5 punti per-centuali in ottobre rispetto alle impreseche operano in Germania (Grafico 1.11).Il divario è in calo dal picco di +2,5punti in aprile (+2,0 in media nel 2013),anche grazie alla riduzione dello spreadsui titoli sovrani.

La domanda di credito delle imprese inItalia è calata ancora nel terzo trimestre2013, ma a un ritmo molto minore diquello registrato nei precedenti. Un’in-dicazione di attenuazione della caduta dell’attività economica. Prosegue, anch’essa a ritmoridotto, la riduzione delle richieste di fondi per finanziare nuovi investimenti fissi. Cresce,invece, la domanda di credito per finanziare scorte e capitale circolante e per ristrutturareil debito. Il calo della domanda di prestiti è dovuto ai costi troppo elevati e alla contrazionedell’attività economica. Contrazione che ha avuto tra le sue cause proprio la stretta del-l’offerta di credito, accentuatasi dall’estate del 2011.

I prestiti alle imprese resteranno scarsi nel medio termine, a causa del-l’aumento del rischio di credito, dell’obbligo per le banche di tenere alti

i ratio di capitale, della sfiducia tra le banche, della ricomposizione degli asset bancari asfavore del credito e a favore dei titoli di stato. I bilanci bancari restano legati al rispettivorischio-paese. Una costruzione completa dell’Unione bancaria sarebbe in grado di scio-gliere tale nesso. Anche solo la valutazione approfondita degli asset delle banche da partedella BCE può infondere fiducia contribuendo a rilanciare il credito (si veda il riquadro Ilcredit crunch prosegue nel 2014, risalita dei prestiti possibile nel 2015).

Le decisioni necessarie a completare l’Unione bancaria procedono, però, troppo lentamentee con vari intoppi. Primo, per rendere operativa la vigilanza unica della BCE occorre ancoraquasi un anno (novembre 2014), necessario a completare la chiusura della valutazione deibilanci delle 130 banche che verranno sottoposte alla vigilanza BCE. Secondo, si è trovatoun primo accordo politico sulla proposta della Commissione per un meccanismo europeo

50

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.11

Tassi alti per le PMI italiane

(Imprese, tassi sui nuovi prestiti bancari,fino a 1 milione di euro, durata iniziale tra 1 e 5 anni, valori %)

Fonte: elaborazioni CSC su dati BCE.

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2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Italia Spagna Germania Francia

L’Unione bancaria

si fa attendere

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di risoluzione di singole banche, che comunque sarà operativo non prima del 2015. Re-stano da definire molti dettagli1. Sarà creato un Resolution Board europeo, ma il processo de-cisionale per intervenire in soccorso di singoli istituti appare molto complesso e coinvolgetroppi attori (Commissione, Consiglio europeo, BCE, autorità nazionali). Nascerà il Fondounico di risoluzione finanziato dalle banche, che aveva incontrato forti resistenze, ma conuna lunga fase di transizione per averlo a regime (55-70 miliardi, raccolti in 10 anni). Si di-scute su come reperire risorse nei primi anni: il coinvolgimento di azionisti, obbligazioni-sti e correntisti sopra i 100mila euro (bail-in) è stato anticipato al 2016, ma per il 2014-2015sembra comunque necessario predisporre finanziamenti pubblici, probabilmente tramiteuna rete di fondi nazionali. Questa difficile trattativa si intreccia con quella sui possibiliutilizzi delle risorse (pubbliche) dell’ESM: era stato deciso che il fondo “salva stati” po-tesse ricapitalizzare direttamente le banche dopo l’avvio della vigilanza unica, ma sonoemerse varie posizioni contrarie da parte di diversi paesi. Terzo, per l’assicurazione dei de-positi manca addirittura la proposta per la creazione di un fondo unico europeo. Si sta cer-cando l’accordo per la semplice armonizzazione dei fondi nazionali: su questo terzopilastro, dunque, la costruzione potrebbe restare incompleta.

L’inizio dell’Unione bancaria, peraltro, non sarà necessariamente un rimedio definitivo perspezzare il legame banche-stati sovrani. Potrebbe esserlo se fosse completa e fatta bene (ese venisse affiancata dal consolidamento dei conti pubblici). Invece, ci sono molti rischi le-gati al suo cattivo disegno, frutto della necessità di trovare un compromesso (spesso al ri-basso) sui diversi punti in discussione. Anche il passaggio delle banche sotto lasorveglianza accentrata BCE, che è l’elemento più definito, non sarà un processo semplice,date le diverse culture giuridiche dei vari paesi e dei supervisori nazionali, che restano at-tori importanti seppure con poteri molto più ridotti. Il rischio è che non si riesca a fareun’armonizzazione perfetta della vigilanza in Eurolandia sugli istituti di minori dimen-sioni che la BCE supervisiona indirettamente.

In attesa che le prime tessere del mosaico dell’Unione bancaria vadano a posto, gli sviluppinel credito alle imprese continuano a dipendere anche dall’andamento del rendimento deititoli pubblici nazionali. La relazione è inversa, per cui la sostenibilità delle finanze pub-bliche dipende ancora dalle eventuali necessità di risorse per far fronte a fallimenti e rica-pitalizzazioni di singoli istituti creditizi di ciascun paese. Negli ultimi mesi gli andamentisono stati positivi. Il rendimento del BTP decennale è sceso al 4,15% a dicembre (da 4,43%a luglio). Il suo calo ha abbassato il costo della raccolta bancaria: 3,1% sulle nuove emissionidi obbligazioni nei primi dieci mesi del 2013 (da 4,1% nel 2012). Inoltre, i prezzi in risalita

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1 Si discute ancora se il meccanismo unico di risoluzione includerà solo le 130 banche vigilate direttamente dalla BCEo tutti gli istituti europei. Vari paesi vorrebbero, infatti, tenerne fuori le banche locali.

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dei titoli pubblici attenuano le pressioni sui bilanci degli istituti di credito. Il rendimento sulBund tedesco si è stabilizzato a 1,81% a dicembre. Lo spread BTP-Bund, perciò, si è ridottoa 234 punti base. Il divario è molto sotto il picco del 2012 (472 punti a luglio), ma restaampio rispetto ai valori passati: nella seconda metà del 2010 era a 149 punti, a inizio diquell’anno a 66 punti.

Il contagio al rialzo dai tassi a lunga negli USA a quelli in Germania e Francia, evidente finoa settembre, si è fermato negli ultimi mesi, data l’attenuazione delle attese sul tapering dellaFED. L’aumento dei tassi resta però un rischio dello scenario, visto che la Banca centraleamericana frenerà comunque i suoi acquisti di titoli nei prossimi mesi. Se i tassi a lunga sa-lissero troppo presto nei paesi periferici di Eurolandia, la ripresa sarebbe indebolita2.

Lo scenario CSC ipotizza che lo spread BTP-Bund si riduca a 200 punti in media nel 2014e a 150 nel 2015. Ciò si ottiene grazie a un calo del rendimento BTP a 3,98% in media nel2014 (da 4,32% nel 2013) e 4,00% nel 2015, con una contemporanea salita di quello del Bunda 2,50% nel 2015.

Per finanziare la ripresa prevista per il prossimo biennio è essenziale unrafforzamento degli strumenti finanziari disponibili in Italia. La nuovamoratoria dei mutui può dare un contributo importante, come quelle

che l’hanno preceduta. Vanno rafforzati il sistema dei confidi, essenziale fornitore di ga-ranzie sui prestiti bancari alle PMI, e l’azione del Fondo di Garanzia, anche per coperturesulle emissioni di cambiali finanziarie e obbligazioni. Il piano della BEI, coordinato conBCE e Commissione, lanciato nel corso dell’estate per rivitalizzare il mercato delle carto-larizzazioni di prestiti (specie di quelli alle PMI) e liberare così risorse bancarie per nuovocredito, dovrebbe essere operativo da gennaio 2014; secondo stime BEI, potrebbe generarenuovi prestiti alle PMI europee per 9-14 miliardi all’anno, per sette anni.

Diventa sempre più importante sviluppare i canali finanziari non bancari. I nuovi strumentipiù promettenti varati in Italia per le PMI sono due. Primo, i cosiddetti “mini-bond”, chehanno registrato finora solo poche emissioni. Si sta lavorando, però, per definire ulteriorisemplificazioni regolamentari e interventi fiscali idonei a favorirne l’utilizzo per l’intera pla-tea potenzialmente in grado di emetterli (10.500 imprese, stando alle stime CRIF). Secondo,il mercato azionario Aim-Mac, che nel 2013 ha già registrato un andamento dei prezzi mi-gliore di quello della Borsa principale, e ha varato diverse nuove quotazioni di PMI.

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Cruciali interventi

su credito e finanza

non bancaria

2 Gli acquisti illimitati di titoli pubblici da parte di BCE e ESM sono in grado di impedire tale risalita, ma non pos-sono essere attivati senza una richiesta esplicita da parte del singolo paese di Eurolandia.

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I prestiti alle fami-glie italiane si ridu-

cono meno di quelli alle imprese. Lostock è calato in totale dell’1,9% dalmassimo di gennaio 2012 (pari a -8 mi-liardi di euro), a un ritmo medio di -0,1% al mese (dati destagionalizzati;Grafico 1.12).

Un segnale di possibile svolta nell’an-damento del credito alle famiglie, nonancora concretizzatosi nei dati effettivisui prestiti, è fornito dall’indagine Bancad’Italia. Le banche indicano che nelterzo trimestre 2013 i criteri di offertasono stati allentati, marginalmente, per i mutui: non accadeva dal 2007. Per il credito alconsumo i criteri sono rimasti invariati, dopo le strette degli ultimi trimestri. Le banchehanno alzato ancora i margini di interesse sui prestiti giudicati più rischiosi e gli oneri ad-dizionali, ma non hanno stretto su valore delle garanzie e scadenze.

Gli istituti creditizi non segnalano più timori per il deterioramento del settore immobiliareo del merito di credito dei consumatori e non indicano difficoltà nel costo della provvistao vincoli di bilancio nell’erogazione di credito. Per la prima volta dall’inizio della crisi, l’an-damento dell’economia in generale non è considerato un rischio, ma un fattore (marginal-mente) favorevole all’espansione del credito alle famiglie.

Sia per i mutui sia per il credito al consumo, inoltre, nel terzo trimestre si è arrestato il fortecalo della domanda, che era in atto dal 2011. La fine della caduta delle richieste di fondi èstata favorita dal recupero della fiducia, il cui calo in precedenza era stato la causa princi-pale della flessione della domanda. Le famiglie, tuttavia, restano prudenti negli acquisti equindi nelle richieste di finanziamento a causa dei vincoli di bilancio e delle prospettive in-certe del mercato immobiliare.

Le richieste ancora basse di finanziamenti riflettono anche i costi che restano troppo alti. IlTAEG (tasso annuo effettivo globale) per i nuovi mutui era fermo al 3,9% in ottobre (4,1%un anno prima). Lo spread sull’Euribor era a +3,7 punti (da +3,9 punti), un livello triplo ri-spetto al 2007 (+1,3 punti). Il TAEG sul credito al consumo era sceso al 9,3% in ottobre, daun picco a 9,9% a febbraio, con uno spread sul tasso di riferimento a +9,1 punti (da +9,6),quattro punti più che nel 2007 (+5,2).

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3

4

5

6

Più credito

alle famiglie in vistaGrafico 1.12

Prestiti alle famiglie in lento calo

(Italia, famiglie consumatrici, indici gennaio 2011=100)

Include: mutui, credito al consumo, altri prestiti.Fonte: elaborazioni CSC su dati Banca d'Italia.

100

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2011 2012 2013

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Il credit crunch in Italia è partito dai problemi dal lato dell’offerta. Per capire per quantotempo proseguirà il calo dei prestiti bancari è perciò cruciale guardare ai probabili svi-luppi che, all’interno del sistema bancario, avranno il rischio di credito (oggi ai massimi),la capacità di generare utili (ai minimi), i ratio di capitale e la raccolta. Simulazioni CSCsulla base di un bilancio bancario aggregato indicano che l’andamento dei prestiti dellebanche alle imprese italiane resterà un freno alla ripresa nel prossimo anno. Tali prestitipossono ricominciare ad aumentare dal 2015, nella misura in cui la valutazione dei bilancibancari da parte della BCE infonderà fiducia nel sistema e abbasserà l’avversione al ri-schio delle banche. Il credito alle imprese resterà, in ogni caso, ampiamente sotto i valoridel 2011. I prestiti sono già diminuiti più del PIL nominale nel 2012-2013; il rapporto pre-stiti/PIL si è ridotto rapidamente e nei prossimi anni potrebbe scendere ancora: il gradodi indebitamento bancario delle imprese, quindi, è sempre più lontano dal picco. L’in-sufficienza dei prestiti bancari fa sì che per soddisfare il fabbisogno finanziario creatodalla ripresa nel prossimo biennio bisognerà sviluppare con forza i canali non bancari1.

Ratio di capitale in linea, leva bassa

La posizione patrimoniale delle principali banche italiane è buona nel confronto inter-nazionale. Il ratio di capitale di migliore qualità (core tier 1) è pari al 10,9%, in linea conquello delle banche dei principali paesi occidentali2 (Tabella A). I maggiori istituti ita-liani negli ultimi anni sono riusciti ad accrescere il ratio in misura marcata (+2,7 punti,dall’8,2% nel 2010). La BCE ha fissato per la Asset Quality Review (AQR) su 130 grandibanche europee, che è appena partita e che si chiuderà nell’ottobre 2014, una soglia mi-nima dell’8,0% in termini di common equity tier 1 (CET1). La definizione di CET1 è più re-strittiva di quella di core tier 1: per le maggiori banche italiane, Mediobanca calcola un

Il credit crunch prosegue nel 2014, risalita dei prestiti possibile nel 2015

1 In CSC, Scenari economici n. 16, dicembre 2012, si stima che per finanziare la ripartenza degli investimenti delleimprese italiane occorreranno 90 miliardi di euro su un orizzonte di 5 anni.

2 Le banche spagnole hanno in bilancio circa 50 miliardi di Deferred Tax Assets (DTA). Con le regole prudenzialiprecedenti a Basilea 3 le DTA contavano come capitale e tenevano alti i ratio. Basilea 3 alza la qualità del capi-tale richiesto e le DTA cadono fuori dal calcolo dei ratio, che quindi si abbassano. La mossa del Governo spa-gnolo, di intesa con le banche, è convertire le DTA in qualcosa che vale come capitale per Basilea 3. La scelta èstata di convertirle in crediti fiscali, che lo Stato si obbliga a pagare, anche in caso di fallimento, e quindi hannoqualità più elevata delle DTA. Le DTA possono nascere dal trattamento fiscale della svalutazione di creditidelle banche, in particolare se a fini fiscali il credito vale più del valore iscritto in bilancio: nell’anno della sva-lutazione la banca paga imposte maggiori, ma nei bilanci degli anni successivi le DTA possono essere utilizzateper abbassare il reddito lordo da tassare e quindi pagare imposte minori. In sostanza, si sposta il peso fiscaleda un anno all’altro. Nel caso delle banche spagnole, le DTA sono nate per lo più dalla perdita di valore deimutui residenziali.

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CET1 al 9,9%3. Se si guarda all’interosistema bancario italiano, le categorieche hanno in media i ratio più bassisono le banche popolari (core tier 1 al9,5% a giugno 2013) e le banche in cuile fondazioni hanno una quota supe-riore al 20% (9,2%). Le altre banchehanno, in aggregato, un ratiodell’11,4%. Un altro elemento positivodelle banche italiane è che sono strut-turalmente meno rischiose in quantooperano con una leva più bassa:quella dei grandi istituti è pari a menodella metà di quella delle maggioribanche tedesche.

I principali istituti italiani, tuttavia, re-gistrano nel 2013 perdite su creditipiuttosto elevate nel confronto internazionale e utili di esercizio decisamente peggiori. Lebanche italiane medie e minori presentano analoghe problematiche di bilancio. Il conti-nuo aumento delle perdite sullo stock dei crediti erogati rischia di erodere il capitale ban-cario. Gli stress test condotti di recente dall’FMI, sull’orizzonte 2013-2015, sonoabbastanza rassicuranti. In uno scenario base di crescita debole (-1,5% nel 2013, +1,2% nel2014 e nel 2015) il capitale delle banche italiane è valutato adeguato. Tuttavia, in uno sce-nario avverso, con una crescita cumulata di 4,2 punti più bassa nei tre anni, servono 6-14 miliardi di nuovo capitale, concentrati per lo più tra le banche popolari4 e tra gli istituticreditizi in cui le fondazioni hanno una quota rilevante.

Una montagna di sofferenze blocca i prestiti

In Italia le sofferenze sui prestiti alle imprese sono salite a 101 miliardi nell’ottobre 2013(12,3% del totale dei prestiti), da 25 miliardi nel 2008. Anche quelle sui crediti alle fami-glie crescono (31 miliardi, da 10) e quelle sui prestiti alle famiglie produttrici sono salite

3 Il CET1 all’8,0% fissato dalla BCE è pari al 7,0% chiesto da Basilea 3 (per tutte le banche, dal 2019) più un 1,0%di buffer per la rilevanza sistemica degli istituti coinvolti nella AQR. Nel 2012 la EBA aveva chiesto alle banchemaggiori un core tier 1 del 9,0%.

4 Le popolari rappresentano quasi un quinto del sistema bancario italiano in termini di sportelli (17,5%), di cre-diti erogati (17,0%) e di occupati (17,3%).

Tabella A

Banche italiane: capitale ok e leva bassa, ma pochi utili

(Grandi istituti, valori %, bilanci del 1° trimestre 2013)

Capitalizzazione Redditività

Core tier 1* Leva** Perdite Risultatosu crediti*** netto***

Germania (2) 11,8 41,0 -5,2 13,1

Spagna (2) 11,0 20,4 -19,6 18,6

Italia (2) 10,9 18,2 -24,0 7,6

Francia (3) 10,3 29,5 -13,8 12,4

Svizzera (2) 15,0 38,3 -0,3 15,3

Regno Unito (4) 11,8 22,7 -10,9 22,4

USA (7) 10,6 19,7 -6,5 18,7

Tra parentesi il numero di istituti di credito per ogni paese.Dati ordinati per core tier 1.* (Capitale di migliore qualità / attivo ponderato per il rischio)*100.** Totale attivo tangibile / patrimonio netto tangibile (dati 2012).*** In % dei ricavi.Fonte: elaborazioni CSC su dati Mediobanca R&S.

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a 13 miliardi (da 6). Ciò rende più prudenti le banche nell’erogazione di nuovi finanzia-menti. Il rischio di credito, infatti, sale con le sofferenze in quanto viene misurato ex-postproprio dal loro ritmo di accumulo: il tasso di ingresso in sofferenza è salito al 2,9% annuonel 2° trimestre 2013, dallo 0,9% nel 2007. Questa è attualmente la causa principale del cre-dit crunch in Italia, che così ha prolungato e approfondito la recessione partita propriodalla stretta creditizia cominciata a inizio 2011. La determinante del rischio di creditooggi è la recessione stessa. Siamo, quindi, immersi in un circolo vizioso credit crunch-re-cessione che si auto-alimenta. Solo l’uscita dell’economia dal lungo tunnel recessivo afine 2013 può appiattire il profilo delle sofferenze. Ciò attenuerà il rischio di credito perle banche. Ci vorrà tempo, però, per smaltire lo stock di prestiti deteriorati5 e ridurnel’assorbimento di capitale, così da liberare risorse per nuovi prestiti. Perciò il credito re-sterà frenato. Ecco perché si moltiplicano gli appelli dei banchieri centrali europei affin-ché gli istituti tornino a destinare più risorse ai prestiti, per sostenere la ripresa.

A fronte delle eventuali nuove perdite su crediti, la Banca d’Italia continua a ricordare agliistituti di credito l’importanza di accantonamenti adeguati a tenere alto il tasso di co-pertura6. In parte, le sofferenze sono anche coperte da garanzie fornite dalla clientela. Suqueste voci di bilancio nella AQR in corso la BCE ha adottato criteri in linea con quelli,severi, seguiti dalla vigilanza italiana e ciò confermerà il quadro già noto della situazionedelle banche italiane.

Per far ripartire i prestiti bancari, inoltre, è fondamentale la generazione di risorse in-terne che alimenti la dotazione di capitale bancario. La priorità è alzare la redditivitàbancaria, caduta negli ultimi anni ai minimi. Lo si deve fare soprattutto attraverso l’ul-teriore contenimento dei costi operativi, incluse le spese per il personale. La Banca d’I-talia esorta anche alla cessione di attività non strategiche e alla limitazione delladistribuzione di dividendi nei prossimi anni.

Ricomposizione degli asset: meno prestiti, più titoli

L’aumento dei ratio di capitale registrato negli ultimi anni dalle banche italiane è spiegato,in parte, dalla ricomposizione degli impieghi: più titoli di stato e mutui casa ipotecari,5 Lo smaltimento può avvenire tramite mercato, con la cessione a operatori specializzati: un canale difficile da

utilizzare finché non si ferma l’accumulo di sofferenze e non scende l’incertezza sul loro “prezzo”. Oppure construmenti come quello utilizzato di recente in Spagna, dove le sofferenze sono state cedute a un fondo (Sareb)che ha dato in cambio liquidità alle banche; in questo caso occorre impegnare risorse pubbliche: esperienzepassate mostrano che non sempre questi interventi nel lungo periodo si chiudono in perdita.

6 Va nella giusta direzione la misura inserita nella Legge di Stabilità che intende accelerare la deducibilità fiscaledelle coperture delle perdite su crediti: 5 anni, dai 18 precedenti. L’FMI ha sostenuto l’importanza di misure diquesto tipo come incentivo per maggiori accantonamenti a difesa del capitale e, quindi, dell’erogazione di credito.

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meno credito alle imprese e al consumo. È salita così la quota degli asset con più bassaponderazione per il rischio e quindi minore assorbimento di capitale, in base ai criteri diBasilea 3. Ciò ha ridotto l’attivo ponderato per il rischio (RWA), a parità di valore nomi-nale dell’attivo. Dato il capitale, questa ricomposizione fa aumentare il ratio, calcolatocome capitale su RWA. La quota dei prestiti alle imprese sul totale dell’attivo è scesa dal22,0% nel 2011 al 20,1% nel 2013, un punto all’anno. I titoli di stato italiani sono saliti dal5,2% al 9,5%, oltre due punti all’anno. La messa a punto di Basilea 3 nel dicembre 2010può aver indotto una ricomposizione dell’attivo mirata ad accrescere i ratio. Fitch in unrecente studio sui primi 16 istituti europei afferma che il fenomeno della ricomposizionenon è limitato a quelli dei paesi periferici, ma è evidente anche tra i principali istituti te-deschi e francesi, perché le regole prudenziali si applicano in tutti i paesi dell’area7.

La storia recente ha mostrato che, in fasi turbolente, anche i titoli di stato sono soggettiad ampie oscillazioni di prezzo e, quindi, pongono dei rischi. È cruciale come verrannovalutati nello stress test BCE: i criteri saranno resi noti a gennaio 2014. Il Presidente dellaBCE Mario Draghi ha anticipato che i titoli di stato saranno sottoposti a stress negli eser-cizi della Banca Centrale, come ogni altro tipo di asset. Il membro del Board BCE PeterPraet ha sottolineato che nella AQR bisognerà tener conto anche dei rischi posti dai titolisovrani in portafoglio. L’EBA (European Banking Authority) a fine 2011 aveva imposto lavalutazione a prezzi di mercato, in un momento in cui questi erano molto bassi8.

Vi sono altre due possibili ragioni per la ricomposizione dell’attivo bancario, oltre alla ri-duzione del RWA. Prima ragione: i titoli di stato, secondo alcuni analisti, sono stati scelticome parcheggio per i fondi prestati dalla BCE con le aste triennali a dicembre 2011 e feb-braio 2012 (+117 miliardi netti alle banche italiane), in attesa di utilizzarli per altri impie-ghi9. Allocazione temporanea, che in alcuni casi è divenuta permanente per i fattori chestanno frenando l’erogazione di prestiti. Va detto che l’acquisto di titoli sovrani da partedelle banche, nelle fasi più acute della crisi, ha contribuito a calmare i mercati, tenendo afreno i rendimenti. In Italia e Spagna i titoli pubblici nel portafoglio delle banche hannoiniziato a crescere in coincidenza con la prima maxi-asta BCE: gli istituti italiani avevano

7 Fitch calcola che le principali 16 banche europee (1 italiana) tra 2010 e 2012 hanno ridotto di poco gli asset (-0,9%,-121 miliardi) realizzando però una forte ricomposizione, che ha consentito loro un calo quattro volte maggioredel RWA (-4,1%) e il ridimensionamento del capitale richiesto da Basilea 3 (-15 miliardi). La ricomposizione è con-sistita in meno credito alle imprese (-441 miliardi), al consumo (-172) e interbancario (-167) e meno cartolarizza-zioni (-169), in cambio di più titoli di stato (+552) e mutui casa (+277). Si veda Fitch Ratings, Basel III: Shifting theCredit Landscape, 4 novembre 2013.

8 Il Presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha proposto di modificare Basilea 3 inserendo il riconoscimentoche i titoli sovrani non sono tutti risk-free. Ciò ridurrebbe per le banche l’incentivo a comprarli. Ma creerebbeun bisogno addizionale di capitale, che è già una risorsa molto scarsa.

9 I bond sovrani sono utilizzati dalle banche anche come collaterale per le aste di liquidità della BCE.

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210 miliardi di titoli di stato nazionalinel dicembre 2011, nell’ottobre 2013sono saliti a 399 (+189). Inoltre, hannoacquistato bond a scadenze medie, tra1 e 5 anni, vicine alla durata dei fondiBCE10. Tra luglio e settembre 2013 gliistituti italiani avevano ridotto di 8 mi-liardi lo stock di titoli di stato italiani,dopo due anni di acquisti (a 394); magià in ottobre sono risaliti di 5 miliardi.

Seconda ragione: i rendimenti elevatidei titoli sovrani periferici, figli dellacrisi del debito. Nei paesi più in diffi-coltà si è aperto un ampio differen-ziale di rendimento tra titoli di stato eprestiti alle imprese, una volta corretto il rendimento nominale per le rettifiche di valore(ovvero, per il rischio misurato ex-post). In Italia i rendimenti “netti” erano allineati finoal 2010, mentre dal primo semestre 2012 i titoli hanno iniziato a dare un rendimento nettomolto superiore ai prestiti. Nel primo semestre 2013 il gap era di poco meno di un punto(Grafico A). La scelta di un asset si basa sulla combinazione rendimento-rischio: se un’at-tività rende di più dopo aver conteggiato il rischio sarà preferita11. Il divario tra rendi-mento lordo e netto mostra quanto le sofferenze bancarie (ovvero le perdite attese suicrediti) gravino sull’erogazione di nuovi prestiti. Il divario era ancora ampio a metà 2013e continua a incentivare l’acquisto di titoli e altri asset percepiti come meno rischiosi.

Meno prestiti, fine del funding gap

Le banche italiane sono state tradizionalmente caratterizzate da un funding gap nel loro corebusiness, ovvero una carenza di raccolta via depositi rispetto agli impieghi sotto forma diprestiti. Il funding gap è stato in parte storicamente coperto dall’emissione di obbligazionisottoscritte dalla clientela. Nel 2011 la somma di depositi e obbligazioni al dettaglio era in-feriore di 100 miliardi rispetto ai prestiti a imprese e famiglie. Nel 2012 questo gap si èchiuso, passando a +6 miliardi. Con il proseguire del calo dei prestiti e dell’aumento dei

10 I titoli di stato a breve-media durata tendono ad avere oscillazioni di prezzo meno ampie rispetto ai titoli a piùlungo termine.

11 Nel Rapporto sulla Stabilità Finanziaria del novembre 2013 la Banca d’Italia sostiene che il nesso causale tra au-mento dei titoli pubblici in portafoglio delle banche e riduzione dei prestiti è debole. Sottolinea, invece, l’a-pertura del divario nei rendimenti netti, suggerendola come possibile causa di entrambi gli andamenti.

Grafico A

La crisi ha divaricato i rendimenti netti degli asset

(Banche italiane, valori %, rendimenti lordi e al netto delle rettifiche di valore)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Banca d’Italia.

1,5

2,0

2,5

3,0

3,5

4,0

4,5

5,0

1° sem. 2° sem.2009

1° sem. 2° sem.2010

1° sem. 2° sem.2011

1° sem. 2° sem.2012

1° sem.2013

TitoliTitoli - netto Prestiti a residenti Prestiti a residenti - netto

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depositi, il segno positivo si è rafforzato nel 2013: +32 miliardi la raccolta al dettaglio sugliimpieghi all’economia reale12. Si attenua quindi un tradizionale elemento di debolezzadel core business bancario. Gli istituti, però, non utilizzano tutta la raccolta al dettaglio pererogare prestiti a imprese e famiglie, destinandone parte ad altri asset.Va detto che, nonostante i recenti miglioramenti, la raccolta all’ingrosso sui mercati in-ternazionali resta difficile per le banche italiane. Specie in termini di volumi, mentre icosti sono in discesa dai picchi del 2011, in particolare per l’emissione di bond13. Il canaleinterbancario rimane sottodimensionato rispetto ai valori pre-crisi. I fondi resi disponi-bili dalla BCE, specie quelli a tre anni, restano perciò molto importanti per sostenere l’at-tività bancaria nel suo complesso e la posizione di liquidità del sistema. Come dimostral’ammontare contenuto di rimborsi anticipati alla BCE.

Che accadrà al credito nei prossimi anni?

Secondo alcuni analisti, dal 2014 il credito tornerà ad affluire alle imprese, dopo due annidi contrazione. Ma i ritmi resteranno contenuti e decisamente inferiori a quelli pre-crisi(+12,7% nel 2007). Stime CER e Prometeia, ad esempio, indicano concordemente un+1,6% per i prestiti nel 2014, +2,6% nel 2015 e +3,5% nel 2016. Bassa redditività e soffe-renze in crescita vengono indicate come cause di questo andamento frenato, nonostantel’uscita dell’Italia dalla recessione14. Altri analisti, invece, ritengono che il credit crunchproseguirà. La Banca d’Italia a novembre ha previsto prestiti alle imprese in calo per al-meno altri 6 mesi, cioè anche nella prima parte del 2014. Il tasso di crescita a 12 mesi ri-sulterebbe pari a -1,5% nel 4° trimestre 2014 (da -4,9% nel 3° 2013). Si possono fare varieipotesi sul profilo dei prestiti che può condurre a un tale esito: il proseguire della cadutanel 4° trimestre 2013 e nel 1° 2014 al ritmo di -0,4% al mese, con una stabilizzazione in se-guito; oppure una caduta più lunga, ma a un ritmo più lento.12 La Banca d’Italia adotta una definizione di funding gap più ampia, che include i prestiti a tutti i residenti, non

solo a imprese e famiglie (oltre a varie correzioni per sofferenze, cartolarizzazioni, etc.; Rapporto sulla StabilitàFinanziaria, novembre 2012). La definizione della raccolta al dettaglio è simile (eslcude i bond bancari compratida imprese, pari a 5 miliardi nel 2013). Ciò comporta un funding gap più elevato, sebbene il profilo risulti pari-menti in forte calo: 180 miliardi nel settembre 2013, da 300 nel 2011.

13 Il coinvolgimento dei detentori di obbligazioni bancarie in eventuali risoluzioni di singoli istituti (bail-in) rischiadi avere un impatto più rilevante per le banche italiane, che tradizionalmente raccolgono molte risorse sia aldettaglio sia all’ingrosso tramite bond, strumenti reputati generalmente a basso rischio prima della crisi. Se-condo gli ultimi accordi europei, il bail-in partirebbe da inizio 2016, ma potrebbe avere riflessi già prima sullapropensione degli investitori ad acquistare tale tipo di asset.

14 Fin da inizio 2012 l’FMI aveva previsto la forte riduzione dei prestiti nei paesi periferici di Eurolandia, a causadelle difficoltà delle banche (Global Financial Stability Report). Nell’ottobre 2012 ha quantificato in un -9,0% lariduzione nel periodo settembre 2011-dicembre 2013 in uno scenario senza ulteriori interventi dei governi eu-ropei (-18,0% con politiche che si andavano indebolendo, -5,0% viceversa con interventi più forti come l’U-nione Bancaria). Nell’ottobre 2013 ha aggiornato l’esercizio, trovando che la caduta del credito, inizialmentevicina allo scenario di politiche invariate, si sta spostando verso il sentiero implicato da politiche più deboli.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Capitale, avversione al rischio e raccolta guidano i prestiti

L’andamento dei prestiti alle imprese nei prossimi anni dipenderà da tre determinanti: do-tazione di capitale degli istituti, composizione degli asset bancari e raccolta. Per illustrarequesta relazione, il CSC simula gli effetti sul credito alle imprese nel 2014-2015 di una seriedi ipotesi su quei tre fattori, utilizzando il bilancio aggregato delle banche italiane, sempli-ficato per evidenziare le voci di maggior interesse. Nei prossimi anni ci si attende che la rac-colta al dettaglio cresca, nella misura in cui la ripresa sosterrà i redditi. La simulazione CSCparte dall’ipotesi di un aumento dei depositi in banca (+2,0% nel 2014 e +3,0% nel 2015;+1,3% nel 2013) e di una ripresa graduale per le obbligazioni al dettaglio (stabili al netto deirimborsi nel 2014, +2% nel 2015, dopo il -7,8% nel 2013). Variabile chiave della simulazionesono le possibilità di capitalizzazione delle banche, dipendenti dagli utili non distribuiti(molto bassi negli ultimi anni) e dalle risorse fresche reperibili sul mercato. L’altra variabileè cosa le banche decidono riguardo alla composizione dell’attivo, in base alla loro maggioreo minore avversione al rischio; nel bilancio semplificato, misuriamo questo comportamentocon la quota dei titoli di stato sul totale attivo. Assumiano che resti costante la quota dellealtre attività (compresi i prestiti alle famiglie) e delle altre passività (inclusi i fondi BCE).

Consideriamo due scenari. Nel primo ipotizziamo che le banche riescano a tenere costantela quota del capitale sul passivo, che è in espansione. Ciò significa far crescere il capitale (+6miliardi nel 2014 e +11 nel 2015) e tenere invariata la leva nel biennio. I risultati dell’analisiBCE sui bilanci bancari possono accrescere l’interesse degli investitori verso gli istituti ita-liani e incentivare questi ultimi a varare nuovi aumenti di capitale. In questo scenario, il to-tale del bilancio del sistema bancario sale di 63 miliardi nel 2014 e di altri 116 nel 2015(Tabella B). Le banche possono mettere in portafoglio asset addizionali per 179 miliardi nelbiennio. Ipotizziamo, inoltre, che la fiducia diffusa nel sistema dalle valutazioni BCE (fine2014) riduca l’avversione al rischio di credito e, quindi, che si fermi gradualmente la ri-composizione dell’attivo bancario (la quota di titoli di stato sale di mezzo punto nel 2014 eresta invariata nel 2015). Risulta che i prestiti alle imprese cadono di altri 8 miliardi nel 2014.Ma tornano a crescere nel 2015 (+22 miliardi). Ciò evidenzia l’importanza per la dinamicadei prestiti che l’operazione di verifica condotta dalla BCE abbia un effetto positivo15, seb-bene questo non arrivi prima del 2015, quando comunque il credito bancario resterebbe di51 miliardi sotto i livelli 2011, mentre la raccolta supererebbe i prestiti di 55 miliardi16.

15 Sull’intero progetto dell’Unione Bancaria restano rischi legati al cattivo disegno. Relativamente alla vigilanzaunica, di cui la AQR è premessa, non è possibile escludere resistenze da parte delle autorità nazionali di vigi-lanza dei vari paesi di Eurolandia, custodi di culture giuridiche tradizionalmente differenti.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Nel secondo scenario, molto più negativo, restano identiche le ipotesi sull’andamento dellaraccolta, mentre si considera che le banche non riescano ad alimentare il capitale, la cuiquota sul passivo si riduce di mezzo punto all’anno. Ciò a causa dell’insufficienza deglisforzi sulla redditività e della scarsità di risorse fresche. Questa ipotesi implica una ridu-zione del capitale (-20 miliardi nel 2014 e -16 nel 2015) e una risalita della leva, il che accre-sce il rischio complessivo dell’attività bancaria. Immaginiamo, inoltre, che l’avversione alrischio di credito resti elevata, nonostante l’operazione di valutazione della BCE. Le bancheproseguono perciò la ricomposizione degli asset, anche per sostenere i ratio erosi dalla per-dita di capitale: la quota di titoli di stato cresce di un punto nel 2014 e di mezzo punto nel2015. Il bilancio totale aumenta di 5 e 56 miliardi nel biennio. Queste ipotesi conducono auna pesante caduta dei prestiti alle imprese nel 2014 (-40 miliardi) e fanno proseguire il cre-

Tabella B

Più capitale e meno avversione al rischio valgono 65 miliardi di prestiti in più

(Bilancio delle banche italiane, stock di fine periodo, miliardi di euro)

Scenario 1 Scenario 2

Capitale su, Capitale eroso,titoli in frenata titoli in salita

2011 2012 2013 2014 2015 2014 2015

ATTIVOPrestiti alle imprese ita. 894 865 829 821 843 789 778

Prestiti alle famiglie ita. 618 610 604 613 630 605 613 Titoli di stato italiani 210 331 394 421 433 436 463 Altro attivo 2.341 2.415 2.300 2.335 2.400 2.303 2.334 Totale attivo 4.063 4.220 4.127 4.190 4.306 4.132 4.188

PASSIVODepositi imp.+fam. 1.031 1.100 1.115 1.137 1.171 1.137 1.171 Obbligazioni imp.+fam. 382 380 351 351 358 351 358 Capitale 380 373 383 389 400 363 347 Altro passivo 2.270 2.367 2.278 2.313 2.377 2.281 2.312 Totale passivo 4.063 4.220 4.127 4.190 4.306 4.132 4.188

Funding gap -100 6 32 54 55 94 138

Leva 10,7 11,3 10,8 10,8 10,8 11,4 12,1

Scenario 1. Capitale (var. quota % sul passivo): 0,0 nel 2014 e 0,0 nel 2015; titoli di stato (var. quota % sull’attivo): +0,5 nel 2014 e 0,0 nel 2015.Scenario 2. Capitale (var. quota % sul passivo): -0,5 nel 2014 e -0,5 nel 2015; titoli di stato (var. quota % sull’attivo): +1,0 nel 2014 e +0,5 nel 2015.Le simulazioni sono state elaborate con i dati al settembre 2013. Simulazioni CSC per 2014 e 2015.Fonte: elaborazioni CSC su dati Banca d’Italia.

16 Le ipotesi sulla raccolta sono importanti: se assumessimo che nel 2014 crescesse del doppio rispetto allo scenarioqui descritto (+4% i depositi, +2% i bond), risulterebbe una risalita dei prestiti (+8 miliardi) invece che una ca-duta (-8). Ma ciò sarebbe incoerente con lo scenario CSC di lenta ripresa dell’economia italiana.

Page 61: Scenari economici 19

Con l’economia arrivata al punto di svolta, si è esaurito anche il calodella domanda di lavoro, che ricomincerà a crescere da inizio 2014.

L’occupazione (calcolata sulle ULA, unità di lavoro equivalenti a tempo pieno), dopo avertoccato nel secondo trimestre 2013 un nuovo punto di minimo dall’inizio della crisi (-1 mi-lione e 810mila unità rispetto a fine 2007, -7,2%), è rimasta ferma nella seconda metà del-l’anno. Le variazioni congiunturali torneranno positive nel primo trimestre 2014 el’intensità del recupero, dapprima molto debole, si rafforzerà progressivamente, determi-

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

dit crunch anche nel 2015 (-11 miliardi). A fine 2015 i prestiti alle imprese sarebbero di 65 mi-liardi inferiori rispetto al livello raggiunto nel primo scenario (e di 116 sotto i valori 2011).La raccolta al dettaglio supererebbe di valori crescenti il credito (+138 miliardi nel 2015).

Il confronto tra i due scenari mostra come il rafforzamento del capitale e la riduzionedell’avversione al rischio di credito sono cruciali per sostenere i prestiti.

Indebitamento bancario delleaziende non esplosivo

I prestiti alle imprese in Italia stanno ca-lando più del PIL nominale già da dueanni: il rapporto prestiti/PIL è sceso a53,8% nel 3° trimestre 2013, da 58,3% nel3° 2011, tornando ai livelli di inizio2008. Se prolunghiamo al biennio 2014-2015 l’andamento dei prestiti con i ri-sultati delle simulazioni qui realizzate equello del PIL nominale con lo scenariodi previsione CSC, risulta che in entrambiil rapporto continuerebbe a scendere nel2014 (Grafico B), mentre nel 2015 si sta-bilizzerebbe nello scenario positivo e ca-lerebbe ancora in quello negativo.Il grado di indebitamento bancario delle imprese italiane appare ormai lontano dai picchiraggiunti nel 2011, pur restando sopra i valori di fine anni 90. In Spagna è molto più alto,anche se scende più rapidamente (72% nel 2013, da un picco di 95% nel 2009; 44% nel 1999).In Germania, viceversa, è molto più basso (29% nel 2013, da 37% nel 1999).Con il calo dei prestiti bancari, le imprese italiane hanno sempre più necessità di reperirerisorse da fonti alternative per finanziare la prevista ripartenza degli investimenti neiprossimi anni.

Grafico B

Imprese: indebitamento bancario molto sotto il picco

(Italia, prestiti alle imprese su PIL, valori %,dati annuali, prezzi correnti)

Scenario 1. Capitale (var. quota % sul passivo): 0,0 nel 2014 e 0,0 nel 2015;titoli di stato (var. quota % sull'attivo): +0,5 nel 2014 e 0,0 nel 2015.Scenario 2. Capitale (var. quota % sul passivo): -0,5 nel 2014 e -0,5 nel 2015;titoli di stato (var. quota % sull'attivo): +1,0 nel 2014 e +0,5 nel 2015.2014-2015: previsioni CSC.Fonte: elaborazioni CSC su dati Banca d'Italia, ISTAT.

35

40

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1999

2000

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2003

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2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015

Scenario 1

Scenario 2

Lavoro: ripartenza

in vista

Page 62: Scenari economici 19

nando un aumento delle ULA di222mila unità dal quarto trimestre 2013al quarto 2015, +1,0% (Grafico 1.13).

In media d’anno, dopo il -1,1% del 2012e il -1,7% nel 2013, le ULA rimarrannopressoché piatte nel 2014 (+0,1%; -0,1%acquisito al primo trimestre), mentre re-gistreranno un +0,5% nel 2015. Il bien-nio 2014-2015 si chiuderà con 1milionee 578mila ULA occupate in meno ri-spetto a fine 2007 (-6,3%).

La caduta occupa-zionale più ampia si

registrerà nell’industria e sarà in largamisura strutturale. In quella in senso stretto, nel terzo trimestre 2013 le ULA, a fronte diun’ulteriore contrazione congiunturale (-0,3%), sono 836mila in meno rispetto a fine 2007(-16,5%). Il calo rappresenta oltre i due terzi di quello registrato nell’intera economia e ri-flette l’ampia contrazione del valore aggiunto (-15,4%).

Questa dinamica negativa appare in esaurimento, a giudicare dalle indicazioni fornite dai piùrecenti dati congiunturali e dagli indicatori qualitativi anticipatori. Il PMI del manifatturiero re-lativo ai livelli di manodopera ha superato la soglia neutrale di 50 a novembre (50,6 da 49,2 aottobre e 48,6 medio in luglio-settembre). In netta risalita anche le attese delle imprese mani-fatturiere sulla manodopera nei successivi tre mesi, rilevate dall’ISTAT: il saldo delle risposte èpassato a -7 in novembre da -10 in ottobre(valore a cui era ancorato da giugno, dopoaver fluttuato attorno a -12 da metà 2011).

La ripresa della domanda di lavoro, tut-tavia, si tradurrà in prima battuta in rias-sorbimento dei cassaintegrati e inallungamento degli orari. D’altronde,durante la crisi le imprese industrialihanno mantenuto elevato il labor hoard-ing (trattenimento dei lavoratori da partedelle aziende), come evidenziato dal-l’ampio e persistente gap tra il calo delleposizioni lavorative e quello delle ULA.Le prime erano sotto di 636mila unità nel

63

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.13

Il lavoro segue il PIL

(Italia; PIL a prezzi costanti e unità di lavoro equivalentia tempo pieno; dati destagionalizzati; 1° trim. 2007=100)

Stime CSC dal 4° trimestre 2013.Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

90

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100

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2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

ULA PIL

Calo strutturale

nell’industria

Grafico 1.14

È ampio l’eccesso di manodopera nell’industria

(Italia, industria in senso stretto; dati destagionalizzati,indici 1° trim. 2008=100)

* A prezzi costantiFonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

76

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104

2008 2009 2010 2011 2012 2013

Valore aggiunto* ULA Posizioni lavorative

Page 63: Scenari economici 19

terzo trimestre 2013 rispetto al quarto 2007 (-12,0%), le seconde di 836mila unità (Grafico1.14). Le 200mila ULA perse in più sono principalmente spiegate dal ricorso alla CIG. Sim-metricamente al suo effetto di ammortizzatore nella fase recessiva, questo ampio bacino dilavoro non utilizzato, ma formalmente impiegato, spiazzerà la ripresa del processo di crea-zione di posti di lavoro.

Solo quando si sarà chiuso il divario tra ULA e posizioni lavorative, queste ultime potrannotornare a crescere. Ma non recupereranno i livelli pre-crisi, a causa dell’ampia perdita di po-tenziale produttivo del manifatturiero3.

La riduzione di ma-nodopera nelle co-

struzioni è stata ancora più intensa chenell’industria in senso stretto. Dal quartotrimestre 2007 al terzo 2013 il settore haperso 418mila ULA (-20,8%), una cadutain linea con quella registrata dai posti dilavoro (-395mila, -17,6%) e che rappre-senta quasi un quarto (23,2%) del calo re-gistrato nell’intera economia, seppure ilsettore impiegasse solo l’8,0% del totaledelle ULA a inizio crisi (quota nel frat-tempo scesa al 6,8%). Il crollo dell’occu-pazione si è fermato nel terzo trimestre2013, quando le ULA hanno registratoun +1,7% sul trimestre precedente (Grafico 1.15). Nei dati sull’occupazione non si legge an-cora, però, un’inversione di tendenza (né in quelli sul valore aggiunto). Il settore potrebberimanere in stallo per tutto il 2014, dato che gli investimenti residenziali e non continue-ranno a essere frenati, rispettivamente, dal persistere della crisi del mercato immobiliare edall’elevata capacità produttiva inutilizzata. Non c’è, infatti, nessun segnale di svolta dagliindicatori qualitativi anticipatori: anzi, in novembre il saldo delle previsioni sull’occupa-zione nei successivi tre mesi è sceso tra le imprese edili a -21, sotto il livello di giugno (-20).

L’occupazione è calata anche nei servizi al netto di PA, istruzione e sa-nità (-227mila ULA dal quarto trimestre 2007 al terzo 2013, -1,8%), afronte di una contrazione più contenuta del valore aggiunto (-5,1%).

64

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Ripresa nell’edilizia

rimandata al 2015Grafico 1.15

Tregua per il crollo dell’edilizia

(Italia, costruzioni; dati destagionalizzati,indici 1° trim. 2008=100)

* A prezzi costantiFonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

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2008 2009 2010 2011 2012 2013

Valore aggiunto* ULA Posizioni lavorative

3 Per un approfondimento su questo tema, si veda il paragrafo 1.3 (Eccessi di capacità e potenziale produttivo per set-tori e paesi) in CSC, Scenari industriali n.4, giugno 2013.

Resta ferma

l’occupazione

nei servizi

Page 64: Scenari economici 19

Anche nel biennio 2012-2013, seppur si sia intensificato il calo dell’attività dei servizi (-3,1%),l’input di lavoro ha registrato una buona tenuta (-0,6%).

I più recenti indicatori congiunturali e anticipatori non segnalano, tuttavia, nessuna ripresaimminente dell’occupazione. Anzi, il PMI dei servizi ha rilevato in novembre ulteriori di-minuzioni dei livelli occupazionali, di intensità superiore che nei mesi precedenti (indicea 46,9 da 47,2 di ottobre e 48,0 di settembre). Ancora negative, ma in miglioramento, in-vece, le aspettative occupazionali per i prossimi mesi rilevate dall’indagine ISTAT pressole aziende dei servizi di mercato: saldo delle risposte a -10,8 in novembre, in progressivarisalita dal -16,2 di luglio.

Dopo il calo estivospiegato da fattori

stagionali, le richieste di autorizzazionedi CIG hanno ripreso a crescere in au-tunno e le unità di lavoro a tempo pienoequivalenti complessivamente coinvoltesono tornate a 330mila, lo stesso livellostimato per il primo trimestre 20134. Inaumento gli interventi straordinari (chea fine 2013 assorbono 153mila unità, il46,3% del totale), ma rimangono elevatianche quelli ordinari (96mila unità,29,0%) e in deroga (82mila unità, 24,7%;Grafico 1.16). Nelle stime CSC il ricorsoalla CIG comincerà lentamente a sgon-fiarsi da inizio 2014. Il processo conti-nuerà per tutto il biennio, riportando le ULA coinvolte in CIG verso le 200mila unità, unlivello di poco superiore a quello di inizio 2009.

I dati INPS sul numero di lavoratori in mobilità si fermano a giugno 2013: 176mila, di cui32mila (il 18,0%) beneficiavano di interventi in deroga. Questo gruppo di beneficiari è di-minuito nei primi quattro mesi dell’anno, da un massimo di 67mila unità raggiunto a fine2012 (33,9% del totale) a 26mila unità in aprile, ma con il rifinanziamento della deroga haricominciato a salire.

65

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

4 Il calcolo delle ULA in CIG è effettuato assumendo che nel 2013 la quota di ore autorizzate effettivamente utiliz-zata dalle imprese sia stata pari a quella stimata dall’INPS per il 2012 (50,9% per gli interventi ordinari e 55,9% perquelli straordinari e in deroga).

La CIG si sgonfia

da inizio 2014…Grafico 1.16

Resta alta la CIG, scende la mobilità

(Equivalente forza lavoro a tempo pienocalcolata sulle medie mobili a 3 mesi delle ore

utilizzate e beneficiari di mobilità; migliaia)

Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati INPS.

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150

200

250

300

2008 2009 2010 2011 2012 2013

CIGO CIGS CIG in deroga Mobilità

Page 65: Scenari economici 19

L’andamento dell’occupazione è strettamente legato al ricorso alla CIG, inquanto il riassorbimento in azienda dei cassaintegrati precede e rallenta la

creazione di nuovi posti, mentre il loro mancato reintegro si traduce in disoccupazione. Dato ilprofilo atteso per la domanda di lavoro e per il ricorso alla CIG e ipotizzando che non tutti i cas-saintegrati saranno riassorbiti5, il numero di persone occupate comincerà ad aumentare lieve-mente da primavera 2014, dopo essere rimasto per due trimestri pressoché fermo sul livello toc-cato nel terzo 2013 (22 milioni 400mila unità, -1 milione e 51mila unità dal picco del 2° trime-stre 2008). Dopo il -1,9% nel 2013, la variazione in media d’anno rimarrà di segno negativo nel2014, pari a -0,1% (-0,2% acquisito al primo trimestre), mentre registrerà un +0,3% nel 2015. Ilbiennio 2014-2015 si chiuderà con 823mila persone impiegate in meno rispetto a fine 2007 (-3,5%).

Dopo una salita iniziata a maggio 2011 e durata 9 trimestri, la disoccu-pazione in Italia ha raggiunto un massimo in autunno. Le persone at-

tivamente in cerca di lavoro a settembre-ottobre 2013 erano quasi 3milioni e 200mila (ildoppio che a fine 2007) e rappresentavano il 12,5% della forza lavoro. Il tasso di disoccu-pazione non crescerà oltre, ma rimarrà alto, sul 12,3%, per tutto il 2014. Scenderà solo di undecimo di punto nel 2015 (12,2% in media d’anno). Contemporaneamente alla lieve ripresadell’occupazione, infatti, ricomincerà ad aumentare, seppur debolmente, anche la forza la-voro (+0,2%, dopo la sostanziale stabilità nel 2014 e il -0,2% nel 2013).

La crisi ha provocato un forte aumento non solo della disoccupazione in senso stretto, chesi riferisce ai senza lavoro che compiono azioni di ricerca attiva, ma anche del numero disottoccupati, ovvero i cassaintegrati e lavoratori part-time involontari, e delle persone chenon cercano ma sarebbero disponibili a lavorare. Questi fenomeni vanno presi in conside-razione sia per valutare il deterioramento del mercato del lavoro causato dalla crisi sia perprevedere le dinamiche dell’occupazione nel prossimo futuro.

Se, oltre ai disoccupati, si considerano anche le ULA equivalenti in CIG, il CSC stima chel’incidenza della forza lavoro inutilizzata sia pari al 13,6% nel quarto trimestre 2013 (ri-spetto al 12,3% del tasso di disoccupazione) e che scenderà al 13,3% a fine 2014 e al 12,9%a fine 2015 (contro rispettivamente il 12,3% e il 12,1% del tasso di disoccupazione).

Le fila degli occupati part-time involontari sono cresciute del 94,8% dal terzo trimestre 2007al terzo 2013 (+1milione 162mila individui). L’aumento è stato più marcato al Nord(+121,0%) e al Centro (+113,0%) rispetto al Sud (57,7%); come d’altronde lo è stato anchequello dei disoccupati (+140,5%, +125,5% e +76,1% rispettivamente). Anche l’allungamentodegli orari per una parte di questi lavoratori, oltre al riassorbimento della CIG, rallenteràla creazione di nuovi posti nel prossimo biennio.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

…e frena la ripresa

dell’occupazione

Si appiattisce

la disoccupazione

5 Sulla base dei dati ISTAT, tra inizio 2011 e inizio 2012 il riassorbimento dei cassaintegrati è stato pari al 51,7% (ul-timo dato disponibile), ovvero inferiore rispetto al 77% circa osservato nei due anni precedenti.

Page 66: Scenari economici 19

I senza lavoro che sarebbero disponibili a lavorare ma non hanno compiuto azioni di ricercaattiva perché scoraggiati sono aumentati del 54,1% (+533mila individui), mentre quelli chestanno aspettando l’esito di passate azioni di ricerca sono saliti del 50,7% (+195mila). La di-saggregazione per macroaree conferma che anche per questo fenomeno la crescita è statasuperiore al Centro-Nord. La velocità di ritorno alla ricerca attiva per questi individui alconsolidarsi della ripresa influenzerà la crescita della forza lavoro nel prossimo biennio erallenterà la discesa del tasso di disoccupazione.

Anche nell’Areaeuro nel suo com-

plesso la disoccupazione appare averraggiunto un punto di massimo: 12,1%della forza lavoro in ottobre, un livelloche mantiene da aprile (tranne il 12,2%in settembre) e su cui rimarrà ancoratanel prossimo biennio. Le previsioni rac-colte da Consensus Forecasts, infatti, regi-strano un tasso di disoccupazionemedio pari al 12,1% nel 2013 e al 12,2%nel 2014 (Grafico 1.17).

Tra le principali economie in ottobre ladisoccupazione era al 10,9% della forzalavoro in Francia (dall’11,1% di settembre) e al 26,7% in Spagna (da 26,6%). In Germania erastabile al 5,2%, minimo storico.

Nonostante l’avviodel recupero, nel

2014 la crescita delle retribuzioni di fattoper ULA in Italia rimarrà sui livelli del2013 (+1,4% da un +1,3%). Sulla dina-mica nell’intera economia, continuerà apesare il blocco delle procedure nego-ziali nel settore pubblico (che rappre-senta circa un quarto del monteretributivo totale), che il disegno dilegge di stabilità ha prolungato fino al31 dicembre 2014 per tutti i comparti aeccezione della scuola. Il CSC stima chenel 2015 la crescita delle retribuzioni di

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Disoccupazione

alta nell’EurozonaGrafico 1.17

Si appiattisce la disoccupazione

(In % della forza lavoro; dati destagionalizzati)

Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati ISTAT, INPS, Eurostat e ConsensusForecasts.

4,0

6,0

8,0

10,0

12,0

14,0

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Eurozona Italia Italia con CIG erogata Germania

Retribuzioni

a passo costanteGrafico 1.18

Settore privato: nella crisi salari a ritmo invariato

(Italia, retribuzioni per ULA, indici 2000=100)

2013: stime CSC.Fonte: elaborazione CSC su dati ISTAT.

90

100

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150

2000

2001

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2005

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2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

Settore pubblico

Settore privato

Page 67: Scenari economici 19

fatto salirà all’1,8%, assumendo che nella seconda metà dell’anno si concludano i primi rin-novi contrattuali nel settore pubblico.

D’altronde, nel settore privato la crisi sembra aver solo debolmente inciso sul ritmo di cre-scita salariale. Nonostante il tasso di disoccupazione sia raddoppiato dal 2008 al 2013, la va-riazione media annua delle retribuzione di fatto per ULA è stata pari al 2,3%, non moltoinferiore rispetto al 2,9% del periodo 2001-2007 (Grafico 1.18).

Dopo il +0,8% regi-strato nel 2013, il

CLUP nel totale dell’economia italianacrescerà di un altro 0,6% nel 2014 edell’1,1% nel 2015.

Dato che il mercato del lavoro ripartiràcon due trimestri di ritardo e debol-mente, l’aumento della produttività sirafforzerà nel 2014 (+0,8% da +0,3%) eciò permetterà un rallentamento delCLUP rispetto all’anno precedente. Nel2015, tuttavia, a fronte di un altro +0,7%per la produttività, la dinamica delCLUP accelererà di nuovo di pari passocon quella del costo del lavoro (+1,8%da +1,3%; Grafico 1.19).

La caduta del mark-up industriale in Ita-

lia va avanti ormai da 18 anni.L’erosione è proseguita durante la crisi aun ritmo simile a quello del decennioprecedente. È stata determinata in al-cune fasi più dall’espansione del CLUP,in altre più dai rincari degli input inter-medi, specie materie prime.

Tra 2008 e 2013 il mark-up industriale èsceso del 2,0% cumulato (-0,4% in mediaall’anno). I prezzi di vendita sono cre-sciuti dell’1,4% annuo, meno dei costi(+1,8%, Grafico 1.20). Già nel decennio

68

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

CLUP ancora

in aumentoGrafico 1.19

Ancora su il CLUP

(Italia, totale economia; costo del lavoro e produttività per ULA;1° trim. 2007=100; dati destagionalizzati)

Stime CSC dal 4° trimestre 2013.Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

90

95

100

105

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2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

CLUP Costo del lavoro Produttività

Mark-up industriale

sempre più sottile

Grafico 1.20

CLUP e costo degli input schiacciano il mark-up(Italia, industria in senso stretto, indici 2005=100)

Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

97,0

97,5

98,0

98,5

99,0

99,5

100,0

100,5

95

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130

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Deflatore della produzione Costi intermedi CLUP Mark-up (scala destra)

Page 68: Scenari economici 19

precedente si era avuto un forte calo del mark-up (-2,8% cumulato dal 1997 al 2007), a unritmo simile a quello osservato durante la crisi (-0,3% medio annuo). I prezzi di venditaerano cresciuti al +2,2% medio annuo, superati dai costi (+2,5%).

Analizzando vari sotto-periodi, sia della fase pre-crisi sia di quella di crisi, risulta che ilcontributo delle due componenti di costo non è stato omogeneo negli anni (Tabella 1.2).CLUP e prezzo degli input intermedi si sono continuamente alternati nel sostenere la di-namica dei costi e, quindi, nel ruolo di maggior responsabile dell’erosione del mark-up in-dustriale. Nel 2011-2013 il calo è imputabile più alla elevata dinamica del CLUP (+4,0%medio annuo, contro il +1,8% dei costi intermedi). Non così nel 2010 (-0,8% e +7,6%). Pe-culiari le dinamiche nel biennio di recessione 2008-2009, quando sia i prezzi di vendita siai costi totali sono calati, ma tra questi ultimi il CLUP ha registrato un balzo (+5,0% annuo),legato al crollo della produttività del lavoro. Nell’intero periodo di crisi, comunque, il CLUPè salito del doppio rispetto agli input intermedi. Nel corso del decennio pre-crisi, il mark-up veniva eroso dal rincaro dei costi intermedi nel 2005-2006 (+4,1% medio annuo, -0,3% ilCLUP). L’opposto accadeva nel 2001-2004, quando era il CLUP a crescere di più.

69

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Tabella 1.2

Il mark-up è penalizzato da CLUP e input intermedi

(Italia, industria in senso stretto)

Var. % cumulate Pre-crisi Crisi Pre-crisi Crisi

1997- 2008- 1997- 2001- 2005- 2007 2008- 2010 2011-2007 2013 2000 2004 2006 2009 2013

Mark-up -2,8 -2,0 -1,0 -1,2 -0,6 -0,1 -0,3 -0,8 -0,9

Deflatore della produzione 28,0 7,6 8,0 6,1 6,5 4,9 -1,3 5,5 3,3

Costi variabili unitari 31,6 9,8 9,0 7,4 7,1 5,0 -0,9 6,3 4,3

CLUP 5,0 19,6 -8,1 10,6 -0,7 4,1 10,3 -0,8 9,3

Costi intermedi 32,2 8,9 9,7 5,6 8,5 5,2 -2,9 7,8 4,1

Var. % medie annue Pre-crisi Crisi Pre-crisi Crisi

1997- 2008- 1997- 2001- 2005- 2007 2008- 2010 2011-2007 2013 2000 2004 2006 2009 2013

Mark-up -0,3 -0,4 -0,2 -0,3 -0,3 -0,1 -0,2 -0,8 -0,4

Deflatore della produzione 2,2 1,4 1,9 1,5 3,1 4,8 -0,6 5,4 1,4

Costi variabili unitari 2,5 1,8 2,2 1,8 3,4 4,9 -0,5 6,1 1,9

CLUP 0,4 3,4 -2,1 2,5 -0,3 4,0 5,0 -0,8 4,0

Costi intermedi 2,5 1,6 2,3 1,4 4,1 5,1 -1,5 7,6 1,8Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

Page 69: Scenari economici 19

I prezzi al consumo in Italia hanno rallentato in misura marcata nel 2013.La variazione annua è scesa a novembre al +0,7% (da +3,2% nel settem-

bre 2012; indice NIC). Nello scenario CSC la crescita dei prezzi si stabilizza e poi registra unarisalita molto graduale nel prossimo biennio, sulla scia della ripartenza dell’economia ita-liana. Il rialzo dell’IVA contribuisce a sostenere i prezzi nel prossimo anno, frenati però dalcalo della quotazione del petrolio tradotta in euro. In media, l’incremento dei prezzi al con-sumo si attesta al +1,3% nel 2014 (da +1,2% nel 2013) e sale al +1,5% nel 2015.

L’aumento della componente core dei prezzi, calcolata escludendo energia e alimentari, èsceso su valori molto ridotti, a seguito della debolezza della domanda interna: +1,0% annuoin novembre (+1,6% a inizio 2013). Frenano i prezzi dei servizi (+1,2% in novembre, da+2,1%). Quelli dei beni industriali, invece, hanno già da tempo una crescita estremamentebassa (+0,6% a novembre), risentendo maggiormente della concorrenza estera.

Negli ultimi mesi la crescita totale dei prezzi è scesa sotto i ritmi della core. Gli alimentari,sebbene abbiano frenato dopo l’estate, continuano a sostenere la dinamica generale. Ab-bassata, però, dal forte calo dei prezzi dell’energia.

I prezzi alimentari sono cresciuti dell’1,4% annuo a novembre (da +3,0% a luglio). Quellidegli alimentari freschi, più direttamente legati alle quotazioni delle commodity, hannofrenato vistosamente negli ultimi mesi (+0,4%, da +4,4%). La dinamica dei prezzi dei la-vorati si mantiene stabile (+2,0% a novembre).

I beni energetici, invece, hanno prezzi in calo (-3,2% annuo in novembre, +15,9% nel set-tembre 2012). In Italia l’andamento dei prezzi energetici segue le quotazioni del petrolio tra-dotte in euro (-6,4% annuo in novembre il Brent) con un ritardo di 1-2 mesi. Nello scenarioCSC i prezzi dell’energia scenderanno ancora nel 2014, data la previsione di un Brent in calo(-6,9% annuo in euro). Questa spinta alribasso cesserà, però, nel 2015 (+1,9% ilBrent in euro).

I consumatori italiani si attendono una ri-duzione del livello generale dei prezzi: anovembre -4 il saldo delle risposte (da +28a fine 2011). Tali attese sono fortementeinfluenzate dall’andamento della com-ponente energetica, la sola a registrareuna discesa dei prezzi. Il rincaro IVA inottobre ha temporaneamente alzato le at-tese sui prezzi, diminuite però già a no-vembre (Grafico 1.21).

70

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

I prezzi frenano,

non è deflazione

Grafico 1.21

Attese sui prezzi guidate da energia e IVA

(Italia, saldo delle risposte e var.% a 12 mesi)

Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

-6 -4 -2 0 2 4 6 8

10 12 14 16 18

-10

-5

0

5

10

15

20

25

30

2011 2012 2013

Attese dei consumatori sui prezzi

Prezzi dell'energia (scala destra)

IVA al 22%

IVA al 21%

Page 70: Scenari economici 19

La brusca frenata della dinamica totale dei prezzi e le attese di ribassi da parte dei consu-matori alimentano il dibattito sul rischio deflazione nel Paese. La previsione CSC escludeil materializzarsi di una deflazione conclamata in Italia, ovvero un processo prolungato egeneralizzato di riduzione dei livelli dei prezzi.

Da ottobre l’aliquota ordinaria IVA è stata alzata di un punto (da 21% a 22%). Le aliquote IVA ri-dotte sono rimaste invariate. L’IVA ordinaria incide su circa la metà del paniere di beni e servi-zi su cui si calcola l’indice dei prezzi al consumo. Le misure fiscali potranno avere, quindi, di nuo-vo un’influenza significativa sull’andamento dei prezzi al consumo in Italia. In ottobre l’impat-to massimo teorico degli incrementi delle imposte indirette è stato calcolato in +0,5 punti percentuali(stime ISTAT). Gli effetti potenziali sono maggiori per i prezzi dei beni industriali (+0,7 punti) eper quelli dell’energia (+0,5), meno forti per alimentari lavorati (+0,2 punti) e servizi (+0,3).

Lo scenario CSC ipotizza che l’impatto effettivo dell’innalzamento dell’IVA sulla varia-zione dei prezzi sia minimo nel 2013 (+0,1 punti). Sia perché assorbito dai margini delleimprese sia perché in vigore solo su tre mesi. Il rincaro IVA sosterrà, invece, la dinamica deiprezzi nel 2014 (+0,3 punti). Man mano che la congiuntura migliora, le condizioni meno de-boli della domanda interna renderanno possibile un certo grado di trasferimento a valle,sui prezzi finali, dell’incremento dell’IVA.

La frenata dei prezzi regolamentati (+0,8% annuo a novembre, da +5,6% a giugno 2012)sta procedendo insieme a quella dei non amministrati (+0,6%, da +2,9%). Tra i servizi è an-cora elevata la dinamica dei prezzi a regolamentazione locale (+4,1% annuo in novembre),rispetto a quella dei prezzi definiti a livello nazionale (+1,8%). Le tariffe di elettricità e gassono in calo (-2,7% annuo), mentre gli altri beni regolamentati rincarano (+1,2%).

In Italia la dinamica dei prezzi al consumo è stata in novembre di 0,3punti inferiore a quella media dell’Eurozona (+0,9%, indici armoniz-

zati IPCA). In Eurolandia i beni energe-tici scendono meno (-1,1% annuo) e glialimentari crescono di più (+1,6%) ri-spetto a quanto avviene in Italia. I prezzicore, invece, hanno una crescita (+1,0%a novembre) vicina a quella italiana.

L’incremento dei prezzi in Italia è diven-tato, in particolare, molto più basso diquello in Germania (Grafico 1.22). A no-vembre l’incremento dei prezzi tedeschiè stato dell’1,6% annuo, con un divariodi un punto su quelli italiani. Ciò evi-

71

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

In Italia inflazione

inferiore alla Germania

Grafico 1.22

Prezzi al consumo, si inverte la forbice Italia-Germania

(Indici IPCA, var. % a 12 mesi, dati mensili)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

-1,0 -0,5 0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0 4,5

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Italia Germania

Page 71: Scenari economici 19

denzia una netta inversione della forbice dei prezzi, storicamente a sfavore dell’Italia (+1,7punti il differenziale di dinamica tra Italia e Germania nel luglio 2012). La componente corein Germania (+1,0% in ottobre) è in linea con quella italiana. A tenere più alta la variazionetotale in Germania rispetto all’Italia sono gli energetici, che hanno prezzi stabili (-0,1% annuoa novembre) invece che in caduta, e gli alimentari, che rincarano molto di più (+3,4%).

Il CSC stima un in-debitamento netto

pari al 3,0% del PIL per il 2013, al 2,7%per il 2014 e al 2,4% nel 2015 (Tabella 1.3)per lo più in linea con lo scenario di set-tembre. La previsione incorpora una di-namica del PIL nominale di -0,4% que-st’anno, di +2,2% il prossimo e +2,8%nel 2015, al di sotto di quanto indicatodal Governo nella Nota di Aggiorna-mento del Documento di Economia e Fi-nanza (DEF). Ciò giustifica un deficitper i prossimi due anni sensibilmentepiù elevato di quanto indicato nella Notama comunque in riduzione. Il migliora-mento l’anno prossimo e nel 2015 è il ri-sultato del ritorno alla crescita e delle imponenti manovre adottate tra il 2012 e il 2014. Pren-dendo il valore facciale di tutti gli interventi approvati dal 2009 a oggi, la correzione nettaè nell’ordine di 6,9 punti di PIL, di cui 0,9 nel 2013, e 1,4 nel 2014 (Tabella 1.4). Complessi-vamente, nel periodo, l’importo delle manovre supererà i 109 miliardi di euro e, secondo idocumenti predisposti dal Governo, finirà per essere prevalentemente concentrato sullespese. Nel 2015 la politica di bilancio sarà sostanzialmente neutrale. L’importo delle corre-zioni si riferisce all’andamento tendenziale di entrate e spese, cioè quello previsto sulla basedella legislazione vigente. Ciò significa che le correzioni non vanno intese come riduzionidella spesa e aumenti di entrata rispetto ai valori registrati a consuntivo l’anno precedente.Inoltre, la quantificazione degli effetti riportata nelle relazioni tecniche ai provvedimenti,essendo basata sulle dinamiche economiche previste in quel momento, può risultare su-periore o inferiore a quella effettiva a causa dell’andamento delle variabili macroeconomi-che diverso da quello su cui si sono costruite le manovre di finanza pubblica. Ciò vale, inparticolare, per gli interventi in aumento delle entrate che, in considerazione della dinamicanegativa dell’economia, hanno avuto effetti inferiori a quelli inizialmente stimati.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Scende il deficit

pubblico Tabella 1.3

Il quadro della finanza pubblica

(Valori in % del PIL)

2012 2013 2014 2015

Entrate totali 48,2 48,7 48,5 48,0

Uscite totali 51,2 51,7 51,2 50,4

Pressione fiscale apparente 44,0 44,3 44,2 43,9

Pressione fiscale effettiva 52,9 53,3 53,2 52,8

Indebitamento netto 3,0 3,0 2,7 2,4

Indebitamento netto strutturale 1,5 1,0 0,9 1,0

Saldo primario 2,5 2,4 2,7 3,1

Saldo primario strutturale 4,0 4,4 4,5 4,5

Debito pubblico 127,0 132,6 133,7 132,0

Debito pubblico (netto sostegni)* 124,2 129,0 129,8 128,2

* Prestiti diretti a paesi euro e quota di pertinenza dell'ESM.Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

Page 72: Scenari economici 19

Al netto della componente ciclica e delle una tantum, il deficit pubblico sarà pari all’1,0%del PIL nel 2013, allo 0,9% nel 2014 e all’1,0% nel 2015.

Il saldo primario è stimato al 2,4% del PIL quest’anno (dal 2,5% del 2012), il valore più altotra i 27 paesi dell’Unione. Salirà al 2,7% il prossimo e al 3,1% nel 2015. In termini struttu-rali toccherà il 4,4% del PIL nel 2013, per stabilizzarsi al 4,5% nel 2014 e nel 2015.

73

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Tabella 1.4

Più di 100 miliardi le correzioni nette tra 2012 e 2015 ma si va verso un allentamento

(Effetti delle manovre nette sul deficit per anno; milioni di euro)

Anno approvazione manovre1: 2009 2010 2011 2012 2013 Totale

Effetti a partire dal 2012

Manovre nette su entrate 11.293 -2.542 37.645 -3.280 0 43.116

Manovre nette su spese -14.586 -2.543 -8.426 -3.994 0 -29.549

Riduzione deficit 25.879 1 46.071 714 0 72.665In % PIL 1,7 0,0 2,9 0,0 0,0 4,6

Effetti a partire dal 2013

Manovre nette su entrate -4.499 -27 11.892 -3.208 -861 3.297

Manovre nette su spese -4.460 -26 -14.944 -2.787 11.391 -10.826

Riduzione deficit -39 -1 26.836 -421 -12.252 14.123In % PIL 0,0 0,0 1,7 0,0 -0,8 0,9

Effetti a partire dal 2014

Manovre nette su entrate 0 0 1.520 -3.352 1.359 -473

Manovre nette su spese 0 0 -4.060 -3.483 -15.545 -23.088

Riduzione deficit 0 0 5.580 131 16.905 22.616In % PIL 0,0 0,0 0,3 0,0 1,1 1,4

Effetti a partire dal 2015

Manovre nette su entrate 0 0 0 0 906 906

Manovre nette su spese 0 0 0 -664 1.892 1.228

Riduzione deficit 0 0 0 664 -985 -321In % PIL 0,0 0,0 0,0 0,0 -0,1 0,0

Effetti cumulati 2012 - 2015

Riduzione deficit 25.840 0 78.487 1.088 3.667 109.082In % PIL 1,6 0,0 5,0 0,1 0,2 6,9

Manovre nette su entrate in % PIL 0,4 -0,2 3,3 -0,6 0,1 3,0

Manovre nette su spese in % PIL -1,2 -0,2 -1,7 -0,7 -0,1 -3,9I dati in percentuale del PIL sono calcolati sulla base del PIL nominale indicato nel DEF per il 2013, 2014, 2015.La quantificazione degli effetti delle manovre è stimata relativamente all'andamento tendenziale delle spese e delle entrate.1 Le manovre, per anno di approvazione, sono le seguenti: nel 2009 DL 78/09, L. Finanziaria 2010; nel 2010 DL 78/10, L. Stabilità 2011; nel 2011 DL 98/11,

138/11, L. Stabilità 2012, DL 201/11; nel 2012 DL 95/12 e L. Stabilità 2013; nel 2013 DL 35/13, DL 54/13, DL 63/13, DL 69/13, DL 76/13, DL 91/13,DL 101/13, DL 102/13, DL 104/13, DDL Stabilità 2014 approvato dal Senato.

Fonte: elaborazioni CSC su relazioni tecniche ai provvedimenti.

Page 73: Scenari economici 19

Il fabbisogno di cassa delle amministra-zioni pubbliche è salito a ottobre a 83,3miliardi di euro, superiore di 8,8 mi-liardi rispetto ai primi dieci mesi del2012 (Tabella 1.5). Risulta in calo di 1,9miliardi se si tiene conto degli introiti dadismissioni (che riducono il fabbiso-gno), dei sostegni finanziari erogati aipaesi UEM (che lo accrescono), di alcuneoperazioni straordinarie e dello sbloccodei pagamenti dei debiti della PA versole imprese (che non riguarda il 2012).L’aumento di un punto percentuale del-l’aliquota ordinaria IVA (al 22% dal 21%)a partire da ottobre e il completamentodi alcune dismissioni immobiliari previste fanno prevedere un miglioramento del fabbi-sogno, rispetto al 2012, negli ultimi mesi dell’anno per circa 2,6 miliardi di euro.

Il debito pubblico nel 2013 è previsto salire al 132,6% del PIL al lordo dei sostegni ai fondidi stabilità europei6 (129,0% al netto di questi esborsi) e al 133,7% nel 2014 (129,8% al netto).Inizierà a calare nel 2015, quando sarà al 132,0% del PIL (128,2% al netto dei sostegni). Lastima include 0,5 punti di PIL di privatizzazioni e dismissioni immobiliari per il 2014 e il2015, come indicato dal Governo nella Nota di Aggiornamento al DEF, dimezzando laquantificazione prevista ad aprile. A fine ottobre le entrate derivanti da dismissioni eranocomunque ancora ferme a 1,9 miliardi per cui, per quest’anno, si ritiene difficile il rag-giungimento dell’obiettivo.

La spesa pubblica in rapporto al PIL si attesterà al 51,7% nel 2013 (dal51,2% del 2012), al 51,2% l’anno prossimo e al 50,4% nel 2015. Dopo tre

anni in diminuzione torna in leggero aumento la spesa primaria. Quest’anno l’aumento invalore della spesa complessiva (+0,6%) è da imputare alla dinamica delle spese per presta-zioni sociali (+3,0% quest’anno) e della spesa in conto capitale (+4,9%) mentre saranno in di-minuzione tutte le altre voci di spesa corrente, inclusa la spesa per interessi che scenderà al5,4% del PIL, in linea con quanto indicato dal DEF. Nel 2014 l’aumento della spesa pubblica(+1,3%) sarà legato anche alla spesa per interessi che salirà al 5,5% del PIL per effetto del-l’aumento dello stock del debito. Nel 2015 torneranno moderatamente a crescere anche la

74

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Tabella 1.5

Fabbisogno in calo

(Periodo gennaio-ottobre; milioni di euro)

2012 2013

Fabbisogno PA 74.447 83.283

Dismissioni (+) 1.877

Prestiti a EFSF e paesi membri (-) 17.083 5.981

Contributi a ESM (-) 5.732 5.733

Totale al lordo di operazioni

straordinarie 51.632 73.446

Operazioni straordinarie 6.300 -3.600

Pagamenti debiti alle imprese* ~ -13.800

Totale 57.932 56.046* 16,3 miliardi di euro a fine novembre.Fonte: elaborazioni CSC su dati Banca d’Italia.

Torna in aumento

la spesa primaria

6 Sono escluse le passività connesse con i prestiti in favore di Stati Membri dell’UEM, erogati sia bilateralmente siaattraverso l’EFSF (European Financial Stability Facility), e con il contributo al capitale dell’ESM (European StabilityMechanism).

Page 74: Scenari economici 19

spesa per redditi da lavoro dipendente e acquisti di beni e servizi. La spesa in conto capi-tale sarà pari al 3,2% del PIL quest’anno (di cui circa lo 0,5 dovuto al pagamento degli arre-trati della PA) dal 3,1% del 2012, per poi scendere al 3,0% nel 2014 e al 2,8% l’anno seguente.

La spesa per interessi è poco al di sopra di quanto indicato dal Governo nella Nota di Ag-giornamento al DEF. Il tasso di rendimento del BTP decennale scenderà al 3,98% nel 2014e rimarrà sostanzialmente fermo nel 2015. Il costo medio del debito scenderà quest’anno al4,2% e rimarrà stabile nei prossimi anni. Per effetto dell’aumento dello stock di debito laspesa tornerà al 5,5% del PIL nel 2014 e nel 2015, dopo essere scesa al 5,4% quest’anno.

L’incidenza delle entrate totali sul PIL nello scenario CSC si attesta al48,7% nel 2013 (dal 48,2% del 2012), al 48,5% l’anno prossimo e al 48,0%

nel 2015. Quest’anno gli incassi cresceranno dello 0,7%, per accelerare il prossimo (+1,8%)e nel 2015 (+1,9%). La pressione fiscale sale al 44,3% del PIL nel 2013 e al 44,2% nel 2014,per poi scendere al 43,9% nel 2015. La misura effettiva della quota di entrate fiscali e con-tributive sul PIL depurato dal sommerso toccherà il 53,3% quest’anno, per scendere al53,2% il prossimo e al 52,8% nel 2015.

Il rallentamento degli incassi per il 2013 è confermato dall’andamento delle entrate tributarieregistrato nei primi dieci mesi dell’anno: -0,3% rispetto allo stesso periodo del 2012. Le impo-ste dirette sono aumentate dell’1,7% mentre le indirette hanno registrato una flessione (-2,4%).

Tra le imposte dirette, la dinamica positiva riflette principalmente l’incremento delle im-poste sostitutive sui redditi da capitale (+31,3%) e dell’imposta sostitutiva sulle riserve ma-tematiche dei rami vita (+63,1%). Anche l’IRES risulta in aumento (+2,0%), mentre l’IREregistra un -1,1% per effetto dell’andamento negativo dei versamenti in autoliquidazione.

Per quanto riguarda le indirette, è in flessione il gettito dell’IVA (-3,9%), per effetto dellacontrazione degli incassi sugli scambi interni (-0,9%) ma soprattutto per la diminuzionedel prelievo sulle importazioni (-19,7%) che continua a risentire dell’andamento negativodel valore delle merci importate. Da segnalare che nel solo ottobre l’IVA ha registrato unacrescita positiva del 3,3% rispetto a ottobre 2012, rafforzando il recupero di settembre(+0,4%). L’andamento è da imputare agli scambi interni (+5,3%), in particolare nei settoridel commercio degli autoveicoli, del commercio all’ingrosso e dei servizi privati, e rifletteanche gli effetti dell’aumento di un punto percentuale dell’aliquota ordinaria.

In diminuzione il gettito dell’imposta di fabbricazione sugli oli minerali (-2,3%) e dell’impo-sta di consumo sul gas metano (-1,9%) in seguito al calo dei consumi dei prodotti energetici.Negativo anche l’andamento del gettito dell’imposta sull’energia elettrica e relative addizio-nali (-16,8%) per effetto del conguaglio sui consumi relativi all’anno 2012 e di una parziale ri-modulazione nelle aliquote dell’accisa per gli usi industriali a partire dal 1° giugno 2012.

75

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Pressione fiscale

meno pesante

Page 75: Scenari economici 19

Il gettito delle imposte sulle transazioni nel complesso cresce dell’8,8%, ma è da imputareesclusivamente all’aumento dell’imposta di bollo (+24,5%), dovuto ai versamenti affluiti nelmese di aprile a titolo di acconto per l’anno 2014 nonché ai versamenti bimensili. Ancorain diminuzione, invece, gli incassi dell’imposta di registro (-5,7%), dei diritti catastali e discritturato (-7,7%) e delle tasse e imposte ipotecarie (-8,0%).

Anche il gettito delle attività da gioco (lotto, lotterie e altre attività di gioco) è in lieve calo(-0,7%); una flessione maggiore è registrata da quello dell’imposta sul consumo dei tabac-chi (-5,2%).

76

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Il livello, la composizione e la complessità della tassazione italiana creano un contesto sfa-vorevole all’attività d’impresa. La comparazione europea del livello di tassazione sulreddito aziendale e sul lavoro evidenzia un divario sostanziale, che si traduce in minorecompetitività e minore attrattività del Paese per gli investimenti, non solo dall’estero. Ildivario riguarda tutte le imposte che incidono sull’attività di impresa, ma in modo par-ticolare quelle sul lavoro. Al contrario i consumi sono meno tassati che negli altri paesieuropei. Un riequilibrio da lavoro a consumi appare necessario per trasferire parte del ca-rico fiscale sui beni e servizi importati, ridurre gli oneri delle aziende italiane e aumen-tare le retribuzioni nette. Se si tiene conto dell’evasione, la pressione fiscale e contributivaa carico delle imprese che sono rispettose degli obblighi verso l’Erario, e che sono anchequelle maggiormente presenti sui mercati internazionali, è molto superiore a quel cheraccontano le statistiche ufficiali. L’industria in senso stretto e il settore del credito, me-diamente, presentano livelli minimi di evasione. Gli spazi per ridurre il carico fiscale de-vono essere individuati nella revisione della spesa pubblica e nella lotta, con ogni mezzo,all’evasione fiscale e contributiva. Anche il modo in cui viene effettuato il prelievo pe-nalizza il fare impresa in Italia, con normative molto più complesse che negli altri Paesiche assorbono risorse e che lasciano un alea di incertezza.

Per confrontare il carico fiscale tra paesi si fa riferimento all’incidenza del gettito impo-sitivo e contributivo sul PIL. Questa misura da sola non è, però, in grado di indicarequanto le differenze di gettito dipendano dalle aliquote oppure dall’ampiezza della baseimponibile. Per tale ragione, per quantificare l’onere medio effettivamente pagato daicontribuenti è opportuno utilizzare anche l’aliquota implicita, data dal rapporto tra ilgettito fiscale e la relativa base imponibile. Questa, infatti, tiene conto della definizionedella base imponibile, dell’aliquota legale e delle agevolazioni previste. Nelle statisticheEurostat, i dati di gettito e di base imponibile sono calcolati utilizzando i dati di Conta-bilità nazionale coerenti con il sistema europeo dei conti.

Evasione e alta pressione fiscale spiazzano la competitività italiana

Page 76: Scenari economici 19

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

La tassazione dei redditi d’impresa inItalia è superiore alla media dell’Euro-zona e dell’UE-27 (Tabella A). L’onerefiscale gravante sui profitti, nel 2011, èstato pari al 2,8% del PIL contro unamedia di 2,5% nell’Eurozona e di 2,6%nell’UE-27. Per l’Italia il gettito in-clude, oltre all’IRES, anche l’IRAP sulvalore aggiunto al netto del costo dellavoro (escludendo per quest’ultima laparte pagata dai lavoratori autonomi).Tra i quattro più importanti partnereuropei, Francia, Germania, RegnoUnito e Spagna, solo il Regno Unito haregistrato un’incidenza del gettito sulPIL superiore a quella dell’Italia: 3,1%.L’aliquota implicita italiana è statapari al 24,8%, inferiore, tra i paesi euro,solo a quelle di Portogallo (36,1%),Francia e Cipro (26,9%). Dal 1995 al2011 l’Italia ha visto crescere in misuramaggiore l’aliquota implicita.

L’incidenza del prelievo fiscale e contri-butivo sui redditi da lavoro, misuratacon l’aliquota implicita, è stata in Italiaseconda solo al Belgio, tra i paesi euro:42,3% nel 2011 contro il 42,8% del Bel-gio, il 37,7% dell’Eurozona e il 35,8%della media dei 27 paesi dell’Unione(Tabella B). I più importanti partner eu-ropei hanno registrato valori molto inferiori all’Italia: Francia 38,8%, Germania 37,1%, Spa-gna 33,2%, Regno Unito 26,0%. In Italia ai contributi sociali più elevati che altrove e legatiall’ingente spesa pensionistica (si veda il riquadro Pensioni: è necessario un contributo di veraperequazione), si aggiunge a carico delle imprese anche la quota di IRAP calcolata sul costodel lavoro. Ciò determina un onere per le imprese che, nel 2011, è stato pari al 10,7% delPIL, inferiore solo a quello registrato in Francia (12,9%) ed Estonia (11,2%).

Tabella A

Italia: sopra la media europea la tassazione dei redditid’impresa

Imposte sui redditi Aliquota implicitad’impresa

(Gettito in % del PIL) (%)

2011 Differenza 2011 Differenza1995-2011 1995-2011

Cipro 6,8 2,6 26,9 2,6Malta 6,0 3,3 – –Lussemburgo 5,0 -1,5 – –Portogallo1 3,2 0,9 36,1 –Belgio 3,0 0,6 17,0 -3,3Italia 2,8 0,0 24,8 5,9

Finlandia 2,7 0,4 16,9 -1,5Slovacchia 2,6 -4,1 17,5 -33,7Germania 2,6 0,6 – –Irlanda 2,4 -0,3 – –Austria 2,3 0,7 22,0 -2,9Francia 2,3 0,5 26,9 4,3Paesi Bassi 2,2 -1,1 7,1 -12,7Grecia 2,1 -0,2 – –Spagna2 1,9 0,0 21,8 –Slovenia 1,7 1,2 19,7 3,1Estonia 1,3 -1,2 5,8 –Eurozona 2,5 0,3 20,8 -0,3

Regno Unito 3,1 0,4 18,8 -2,4UE-27 2,6 0,3 – –1 Dato riferito al 2008; 2 dato riferito al 2009.

Le imposte sui redditi d’impresa non comprendono le imposte sul lavoro

autonomo, ma includono anche imposte indirette riferite al reddito d’im-

presa qualora ve ne siano. Per l'Italia i dati si riferiscono all'IRES e alla quota

di IRAP (privata) relativa al valore aggiunto al netto del costo del lavoro,

esclusa quella pagata dai lavoratori autonomi. L'aliquota implicita è calco-

lata facendo il rapporto percentuale tra il gettito e il margine operativo lordo

(dati di Contabilità nazionale).

Dati ordinati in senso decrescente rispetto al gettito del 2011.

Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

Page 77: Scenari economici 19

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Il livello dell’imposizione sullavoro in Italia da metà deglianni 90 si è innalzato inmodo netto al di sopra diquello dei principali partnereuropei (Grafico A), aprendocosì un divario sostanziale,in termini di costo del lavoro,che ha effetti negativi sullacompetitività delle imprese.Con l’insorgere della crisi,l’aliquota implicita sul lavoroè cresciuta ancora, toccandoil picco del 42,9% nel 2008,per poi tornare nel 2011 al li-vello del 2007. Negli altriprincipali paesi europei e inmedia nell’Eurozona, nel2011 l’aliquota implicita erainvece a un livello inferiore aquello registrato nel 2007.Ciò significa che il divario tral’Italia e gli altri paesi, con lacrisi, si è ampliato, seppure letendenze più recenti sem-brino indicare una conver-genza.

Livelli elevati di imposizioneriguardano anche altri fattoriproduttivi; in particolare, l’e-nergia. L’imposizione suiprodotti energetici in Italia,nel 2011, è stata più elevata (270,3 euro per tonnellata di petrolio equivalente controquella media dell’Eurozona 196,6) e, tra i 27 paesi dell’UE, seconda solo alla Danimarca(382,2)1.

Tabella B

Italia: elevata la tassazione sul lavoro a carico delle imprese

A carico dei datori A carico dei Aliquota implicita di lavoro lavoratori sul lavoro

(Gettito in % del PIL) (%)

2011 1995-2011 2011 1995-2011 2011 1995-2011

Belgio 8,6 0,0 13,4 -0,3 42,8 -0,8

Italia 10,7 2,2 8,4 0,7 42,3 4,5

Austria 9,5 -0,5 11,7 0,0 40,8 2,3

Finlandia 8,9 -1,0 11,2 -0,8 39,6 -4,7

Francia 12,9 0,4 8,3 -0,7 38,6 -1,9

Paesi Bassi 5,1 3,1 14,0 -1,8 37,5 2,7

Germania 6,7 -0,8 12,3 -1,5 37,1 -1,8

Estonia 11,2 -0,9 5,5 -2,6 36,2 -2,4

Slovenia 5,7 -2,3 12,7 -0,7 35,2 -3,3

Spagna 8,5 0,3 7,4 0,4 33,2 –

Lussemburgo 4,8 0,2 10,4 1,2 32,8 3,5

Slovacchia 6,6 -2,9 5,3 -0,5 31,9 -6,5

Grecia 4,8 0,5 6,1 1,1 30,9 –

Irlanda 3,5 0,6 8,5 -1,8 28,0 –

Cipro 6,9 2,4 5,6 0,3 26,7 4,6

Portogallo 5,3 1,3 7,4 0,6 25,5 3,1

Malta 2,8 -0,2 7,3 1,4 22,7 3,9

Eurozona 8,9 0,4 10,0 -0,9 37,7 -1,1

Regno Unito 3,9 0,6 10,1 -0,1 26,0 0,1

UE-27 8,0 0,2 10,0 -1,0 35,8 -1,4

Le imposte considerate si riferiscono principalmente alle imposte sul reddito da lavoro eai contributi sociali ma includono anche imposte indirette che incidono sul lavoro. Sono esl-cuse le imposte e i contributi a carico dei lavoratori autonomi ma inclusi quelli relativi aiparasubordinati. Per l'Italia, sono incluse anche la quota di IRAP relativa al costo del lavorodipendente e le imposte e i contributi relativi ai co.co.co.. Le aliquote implicite sono otte-nute facendo il rapporto percentuale tra il gettito derivante da imposte e contributi e i red-diti da lavoro dipendente (dati di contabilità nazionale).Dati ordinati in senso decrescente rispetto all'aliquota implicita.Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

1 Non sono disponibili dati di confronto europeo sul gettito derivante dalle imposte sui prodotti energetici pa-gate dalle imprese, quindi i dati riportati si riferiscono al gettito prelevato su tutta l’economia.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Anche la tassazione delle proprietàimmobiliari, con l’IMU, ha raggiuntoe superato nel 2012 la media dei paesidell’Eurozona e dell’Unione: il gettitoderivante dalle imposte ricorrentisulle proprietà è stato pari in Italiaall’1,5% del PIL; nella media dell’Eu-rozona l’anno prima era allo 0,9% delPIL e nell’Unione europea, nellostesso anno, all’1,3%2. Se per il 2013 èstato sospeso il pagamento dell’IMUsu abitazione principale e terreni agri-coli, così non è stato per le altre tipo-logie di immobili, soprattutto quellilegati all’attività d’impresa.

Un altro modo per confrontare il livello della tassazione tra paesi è quello di fare riferi-mento a una impresa-tipo. Questo è ciò che fa annualmente la Banca Mondiale, nel rap-porto Paying taxes, quantificando il total tax rate, l’ammontare complessivo delle impostepagate da imprese aventi caratteristiche standard, ma residenti nei 189 paesi considerati3.Nel calcolo sono incluse le imposte, locali e statali, su profitti, immobili, autoveicoli e car-buranti, tenendo conto di deduzioni e detrazioni e i diversi contributi sociali versati; men-tre sono escluse le imposte sui consumi e quelle raccolte per conto delle autorità fiscali inqualità di sostituto d’imposta. Per il 2012, il complesso delle imposte pagate dalle impreseitaliane è il 16esimo più elevato al mondo: pari al 65,8% degli utili (Tabella C). E soprattuttoè il più elevato tra i più importanti paesi avanzati, seguito dalla Francia (64,7%) e, a di-stanza, dalla Spagna (58,6%). Questi numeri sono calcolati supponendo che l’impresa ri-spetti la normativa fiscale del suo paese quindi confrontano il carico fiscale e contributivodi imprese che effettivamente assolvono ai propri obblighi fiscali.

2 Non sono disponibili dati di confronto europeo sul gettito derivante dai soli immobili utilizzati dalle imprese,quindi i dati riportati si riferiscono al gettito prelevato su tutta l’economia.

3 L’impresa-tipo considerata è una società a responsabilità limitata (nella forma più frequente in ciascun paese),di proprietà di 5 soci, tutti del paese di residenza dell’impresa, con 60 dipendenti di cui 4 manager (uno è pro-prietario), 8 assistenti e 48 operai. Si ipotizza che questa impresa-tipo operi nel settore dell’industria o del com-mercio, nella città con il PIL più elevato, sia al secondo anno di vita, possieda due terreni, un edificio, unmacchinario, attrezzature da ufficio, computer e due camion di cui uno a noleggio. Si suppone, inoltre, cheessa abbia un fatturato pari a 1.050 volte il reddito pro-capite, che paghi i premi assicurativi per un’assicura-zione medica integrativa a favore dei suoi dipendenti, che spenda per il carburante due volte il reddito pro-ca-pite del paese, che sia in perdita nel primo anno di vita, mentre nel secondo abbia un margine operativo lordodel 20% e distribuisca il 50% dei profitti ai suoi soci al termine del secondo anno di vita.

Grafico A

Italia: alta tassazione sul lavoro

(Aliquota implicita, %)

Le aliquote implicite sono ottenute facendo il rapporto percentuale tra il get-tito derivante da imposte e contributi sociali e i redditi da lavoro dipendente(dati di Contabilità nazionale).Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

30,0

32,0

34,0

36,0

38,0

40,0

42,0

1995

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

Italia Germania Francia Spagna Eurozona

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80

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Gli indicatori Eurostat commentati inprecedenza sono calcolati rappor-tando il gettito fiscale a quantifica-zioni di base imponibile o PIL cheincludono sia la parte emersa dell’e-conomia, cioè quella da cui sono statieffettivamente generati imposte e con-tributi, sia la parte sommersa. Poichéquest’ultima non dà origine a introitiper il fisco, i rapporti percentuali chemisurano la pressione fiscale risultanopiù bassi di quelli che effettivamenteincidono sui contribuenti onesti.Le ultime stime ufficiali ISTAT dell’e-conomia sommersa in l’Italia si riferi-scono al 2008. In quell’anno il som-merso era in aumento rispetto al 2007 dicirca il 3,5% ed era compreso tra un mi-nimo di 255 miliardi, il 16,3% del PIL, eun massimo di 275 miliardi, il 17,5%del PIL. A giugno 2010 il CSC quantificòl’economia sommersa utilizzando comebase di partenza l’imponibile IVA nondichiarato. Secondo questi calcoli, l’e-conomia sommersa nel 2009 era cre-sciuta ancora, del 21,9% rispetto al-l’anno precedente.In mancanza di aggiornamenti daparte dell’ISTAT e per confrontarel’incidenza del sommerso a livello eu-ropeo si possono utilizzare le ultimestime elaborate da Friedrich Shneider,basate su una metodologia diversa daquella ISTAT, ma riconosciuta a livellointernazionale da Banca Mondiale edEurostat4. Tali stime indicano che in

Tabella C

Per le imprese italiane il prelievo più alto dal fisco

(Total tax rate in % dei profitti, 2012)

Aliquota Aliquota Imposte Altreeffettiva effettiva sul lavoro imposte

complessiva sui profitti

Italia 65,8 20,3 43,4 2,1

Francia 64,7 8,7 51,7 4,3

Spagna 58,6 21,2 36,8 0,6

Belgio 57,5 6,4 50,3 0,8

Austria 52,4 15,3 34,7 2,4

Giappone 49,7 27,2 17,9 4,6

Germania 49,4 23,0 21,8 4,6

Stati Uniti 46,3 27,9 9,9 8,5

Grecia 44,0 11,2 32,0 0,8

Portogallo 42,3 15,1 26,7 0,5

Finlandia 39,8 14,1 24,5 1,2

Paesi Bassi 39,3 20,8 18,2 0,3

Regno Unito 34,0 21,6 10,6 1,8

Irlanda 25,7 12,3 12,1 1,3

La definizione delle tasse è uniforme tra paesi. Per esempio, nelle tasse suiredditi sono incluse anche quelle sui profitti e sul reddito di impresa.Dati in ordine descrescente per il total tax rate.Fonte: elaborazioni su dati Banca Mondiale, Paying Taxes 2014.

4 Si veda Friedrich Shneider, The Shadow economy in Europe, 2013.

Grafico B

L'evasione fiscale e contributiva è in risalita in Italia...

(Italia, in % del PIL)

La pressione fiscale effettiva è calcolata facendo il rapporto percentuale trail gettito derivante da entrate tributarie e contributi sociali e il solo PILemerso.Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat e stime F. Shneider (2013).

52,0

52,5

53,0

53,5

54,0

54,5

55,0

55,5

56,0

56,5

11,0

11,5

12,0

12,5

13,0

13,5

14,0

14,5

15,0

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

Gettito evaso

Pressione fiscale effettiva (scala destra)

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Italia l’economia sommersa nel 2012era pari al 21,6% del PIL, il valore piùelevato dell’Eurozona (dopo Estoniae Cipro). Considerando questa entitàdi sommerso, la pressione fiscale ef-fettiva che grava sui contribuenti one-sti in Italia sarebbe pari al 56,2% delPIL: la più alta in Europa e ben supe-riore a quella ufficiale (apparente)pari al 44,0% (Tabella D). Il gettito fi-scale evaso, stimato applicando lapressione fiscale effettiva alla quota diPIL sommerso, sarebbe pari a circa190 miliardi, il 12,1% del PIL; circa 9miliardi in più del 2011 (Grafico B).

Questa metodologia non consenteperò di stimare l’evasione per ciascuntipo di imposta. Perciò per il 2009, uti-lizzando una diversa metodologia distima del sommerso, il CSC ha quan-tificato il gettito fiscale complessiva-mente evaso in 124,5 miliardi, l’8,2%del PIL. Il mancato gettito IRPEF èstato valutato in 31,5 miliardi (2,1%del PIL), quello IRES in 8,0 miliardi(0,5%) e quello IRAP in 6,3 miliardi(0,4% del PIL), mentre 43,2 miliardi(2,8%del PIL) è la stima dei minori in-cassi dovuti all’evasione sui contributisociali, sulle altre imposte indirette esui tributi locali. L’eliminazione dell’evasione, tenuto conto di questi dati, porterebbe auna riduzione media delle aliquote pari al 15,9%. Con tale diminuzione e sulla base deidati OCSE riferiti al 2012, la retribuzione netta annua di un lavoratore-tipo aumente-rebbe di 1.415 euro e, a parità di retribuzione lorda, il costo del lavoro comprensivo diIRAP si ridurrebbe di 1.711 euro all’anno5.

Tabella D

...ed è a i massimi nel confronto internazionale...

(Anno 2012)

Economia Pressione Pressione Gettito fiscale

sommersa fiscale fiscale evaso

apparente effettiva

(In % del PIL) (Milioni (In % di euro) del PIL)

Estonia 28,2 32,5 45,3 2.223 12,8

Cipro 25,6 35,3 47,5 2.153 12,2

Italia 21,6 44,0 56,2 190.065 12,1

Slovenia 23,6 37,6 49,2 4.101 11,6

Malta 25,3 33,8 45,2 782 11,4

Grecia 24,0 33,9 44,7 20.765 10,7

Belgio 16,8 45,2 54,4 34.332 9,1

Portogallo 19,4 32,4 40,2 12.865 7,8

Spagna 19,2 32,5 40,3 79.555 7,7

Finlandia 13,3 44,2 51,0 13.061 6,8

Germania 13,3 39,4 45,4 161.027 6,0

Francia 10,8 45,0 50,4 110.608 5,4

Slovacchia 15,5 28,3 33,5 3.697 5,2

Irlanda 12,7 28,7 32,9 6.851 4,2

Paesi Bassi 9,5 39,0 43,1 24.543 4,1

Austria 7,6 43,2 46,7 10.907 3,6

Lussemburgo 8,2 39,3 42,8 1.508 3,5

Eurozona 14,9 40,5 47,6 679.042 7,2

Regno Unito 10,1 36,5 40,6 79.150 4,1

Stati Uniti 7,0 25,0 26,9 237.670 1,9

Giappone 8,8 28,5 31,3 127.735 2,8La pressione fiscale effettiva è calcolata facendo il rapporto percentuale trail gettito derivante da entrate tributarie e contributi sociali e il solo PILemerso. Nella pressione fiscale ufficiale il gettito è rapportato al PIL inclu-sivo del sommerso. Dati ordinati in senso decrescente rispetto all'incidenza del gettito evasosul PIL.Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat e stime di F. Shneider (2013).

5 Si veda OCSE, Taxing wages, 2013. L’elaborazione si riferisce a una persona singola con retribuzione media esenza carichi di famiglia.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Un’analisi effettuata dall’ISTAT nel 2011 disaggrega la quota di economia sommersa in per-centuale del valore aggiunto nei diversi settori, con riferimento al 20056. Per tutta l’economiaitaliana la quota di sommerso era pari al 17,8% (Tabella E). L’agricoltura presentava la per-centuale maggiore di “nero”, pari al 31,1% del valore aggiunto prodotto; nei servizi, esclusiquelli del credito, delle assicurazioni e della pubblica amministrazione, il sommerso era al29,4%; nelle costruzioni al 28,4%. Per l’industria in senso stretto l’ISTAT stimava solo un 7,3%di sommerso. Valore molto vicino al minimo di 6,4% nel settore creditizio e assicurativo.

L’industria in senso stretto è, quindi, il settore dove la tassazione incide su una quotamolto ampia di valore aggiunto (quasi il 93%) e perciò la pressione effettiva è molto vi-cina a quella statistica. È anche il settore più esposto alla concorrenza internazionale e cheha bisogno più degli altri di contenere i costi. Tutto ciò rende urgente, anche a fini di ri-

Tabella E

…ma è bassa nell'industria in senso stretto

(Valore aggiunto sommerso in % del totale, scenario con ipotesi massima 2005)

Agricoltura, silvicoltura e pesca 31,1

Industria Industria in senso stretto Alimentari, bevande e tabacco 10,7

Tessili, abbigliamento, pelli e calzature 13,7

Coke, petrolio e prodotti chimici 6,0

Prodotti metalmeccanici 5,0

Altri prodotti industriali 11,0

Elettricità, gas e acqua 1,8

Totale industria in senso stretto 7,3

Costruzioni 28,4

Totale industria 11,7

Credito e assicurazione 6,4

Commercio 32,1

Alberghi e pubblici esercizi 56,8

Trasporti e comunicazioni 33,9

Servizi Altri servizi Servizi alle imprese 21,5

Istruzione, sanità e altri servizi sociali 36,8

Servizi domestici 52,9

Totale altri servizi 29,4

Totale servizi 27,3

Pubblica amministrazione 0,0

Totale economia 17,8

Fonte: elaborazioni CSC su stime ISTAT.

6 L’analisi è inserita nel Rapporto sull’economia non osservata elaborato dal Gruppo di lavoro costituito pressoil Ministero dell’Economia e delle Finanze.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

lancio del manifatturiero e quindi di politica industriale, che si proceda a ridurre l’eva-sione fiscale e contributiva, destinando il gettito recuperato alla riduzione delle aliquote.

Si tratta di affrontare la lotta all’evasione in un modo diverso da come si è fatto sinora:non limitando i controlli ai grandi contribuenti. Servono maggiori risorse e tecnologie piùraffinate per combattere l’evasione come fenomeno di massa.

Il contrasto all’evasione non è la solapriorità. Essa, infatti, determina unaforte distorsione nel carico fiscale: afronte di chi paga meno, perché evade,c’è chi paga moltissimo per garantire,attraverso elevate aliquote, il gettitonecessario all’Erario. La riduzione del-l’evasione fiscale, quindi, riequilibre-rebbe la distribuzione del carico fiscalema, seppur accompagnata dall’abbas-samento delle aliquote, non ridur-rebbe la pressione fiscale complessivae la lascerebbe a un livello nettamentesuperiore a quello medio dei concor-renti europei, come evidenziato dallestatistiche Eurostat.

È dunque necessario recuperare ri-sorse da destinare alla riduzione dellapressione fiscale e contributiva attra-verso la revisione della spesa pubblica.Questa deve consentire un’ulteriore di-minuzione delle uscite del bilanciopubblico, oltre al miglioramento deiservizi offerti dalla pubblica ammini-strazione. In questo modo la spendingreview permetterebbe anche di ridurreil divario di competitività che le im-prese italiane sopportano nei confrontidelle imprese estere a causa della maggiore burocrazia (si veda il riquadro Meno burocra-zia per rilanciare gli investimenti).

Tabella F

Italia: bassa la tassazione dei consumi

(Anno 2011)

Gettito Aliquota implicita

(In % del PIL) (%)

Lussemburgo 10,2 27,2

Finlandia 14,0 26,4

Paesi Bassi 11,7 26,3

Estonia 13,6 26,1

Slovenia 14,0 23,0

Irlanda 10,1 22,1

Austria 11,7 21,2

Belgio 10,7 21,0

Germania 10,9 20,1

Francia 11,1 19,9

Malta 13,4 19,0

Slovacchia 10,5 18,7

Portogallo 12,2 18,0

Cipro 12,7 17,7

Italia 10,8 17,4

Grecia 12,5 16,3

Spagna 8,4 14,0

Eurozona 10,8 19,4

Regno Unito 11,9 19,5

UE-27 11,2 20,1

Le imposte sui consumi considerate si riferiscono a: IVA, dazi sulle impor-tazioni e accise. Le aliquote implicite sono ottenute facendo il rapporto per-centuale tra il gettito e la spesa per consumi delle famiglie (dati diContabilità nazionale).Dati ordinati in senso decrescente rispetto all'aliquota implicita.Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

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La legge di stabilità, un’occasionemancata

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Infine, è importante sottolineare che, per quanto riguarda i consumi, la tassazione nel2011 era in Italia più bassa della media dell’Eurozona e dell’Unione europea, superioresolo a quella della Grecia e della Spagna: l’aliquota implicita era del 17,4%, contro il 16,3%in Grecia e il 14,0% in Spagna (Tabella F).

Sebbene l’aliquota legale ordinaria dell’IVA sia stata aumentata di un punto nel settem-bre del 2011 ed elevata ancora di un punto, al 22%, nell’ottobre del 2013, sembra esserviancora spazio, in Italia, per un trasferimento parziale del carico fiscale dai redditi da la-voro e d’impresa ai consumi, riducendo la base imponibile sottoposta ad aliquote ridotte.Ciò farebbe aumentare i prezzi dei beni importati, mentre quelli dei beni prodotti inter-namente beneficerebbero della riduzione del cuneo. Recenti stime dell’FMI indicano cheuna riduzione delle imposte sui redditi finanziata con l’aumento di un punto della tas-sazione sui consumi ha come effetto, in media, un aumento del PIL di 0,167 punti per-centuali7. Un simile spostamento sarebbe ancora più efficace in un contesto europeo comequello attuale, caratterizzato da mer-cati nazionali molto integrati tra loro.

In Italia non sono soltanto l’evasionee l’alta tassazione a frenare la compe-titività. Queste si associano a un’ac-centuata incertezza normativa cherende difficile assolvere gli obblighifiscali e contributivi. La complessitànormativa è riconducibile all’ecces-sivo numero di regole che spessosono confuse e contraddittorie. Inol-tre, le norme vengono cambiate fre-quentemente e spesso applicateretroattivamente. Ciò rende partico-larmente onerosi gli adempimenti. Ilrapporto Doing business della BancaMondiale, per cogliere la complessitàdegli adempimenti fiscali, fa riferi-mento a due indicatori che, pur nonriuscendo a catturare interamente ilfenomeno, forniscono un quadro de-solante per l’Italia: il numero dei pa-

Tabella G

Italia: adempimenti fiscali troppo onerosi

(Numero di pagamenti e tempi per assolvere gli obblighi fiscali e contributivi, anno 2012)

Numero di Tempo di

pagamenti adempimento

(per anno) (ore per anno)

Giappone 14 330

Portogallo 8 275

Italia 15 269

Germania 9 218

Grecia 8 193

Stati Uniti 11 175

Spagna 8 167

Austria 12 166

Belgio 11 160

Francia 7 132

Paesi Bassi 9 123

Regno Unito 8 110

Finlandia 8 93

Irlanda 9 80

Dati in ordine descrescente rispetto al tempo complessivo di adempimento.Fonte: elaborazioni CSC su dati Banca Mondiale, Paying Taxes 2014.

7 Fondo Monetario Internazionale, Fiscal monitor, ottobre 2013.

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Le previsioni incorporano gli effetti del disegno di legge di stabilità2014-2016 (DDL Stabilità) attualmente in discussione alla Camera dei

Deputati nella versione approvata dal Senato. In questa versione, il DDL Stabilità, secondole quantificazioni indicate dal Governo, comporterebbe un peggioramento dell’indebita-mento netto nel 2014 per circa 2,6 miliardi, un miglioramento, nel 2015, di 3,5 miliardi e, nel2016, di 7,3 (Tabella 1.6).

Complessivamente si tratta di un intervento modesto sul 2014 che ritocca marginalmente ildeficit: in termini di PIL si tratta di qualche decimale (0,2%). Per il 2015 e 2016 la correzionedel disavanzo coincide sostanzialmente con la dimensione delle clausole di salvaguardia.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

gamenti che un’impresa-tipo deve effettuare in un anno per assolvere agli obblighi fi-scali e contributivi è pari a 15, il più elevato tra i principali paesi avanzati; per prepararei documenti necessari ed eseguire materialmente i pagamenti delle imposte sul redditod’impresa, dei contributi sociali e dell’IVA occorrono 269 ore l’anno, più del doppio deltempo richiesto nel Regno Unito (110), in Francia (132) e inferiore solo a quello necessa-rio in Giappone (330) e Portogallo (275) (Tabella G).

Perciò occorre intervenire urgentemente per semplificare la normativa e alleggerire il ca-rico di adempimenti, che si aggiunge a quello della pressione fiscale nel penalizzare lacompetitività delle imprese che operano in Italia.

La legge di stabilità,

un’occasione mancata

Tabella 1.6

Effetti del disegno di legge di stabilità 2014-2016 sul deficit

(Milioni di euro)

2014 2015 2016

Iniziale Emendamento Totale Iniziale Emendamento Totale Iniziale Emendamento TotaleSenato Senato Senato

Maggiori entrate 6.091,8 1.196,0 7.287,8 6.880,9 1.026,0 7.906,9 10.178,9 911,9 11.090,8

Minori entrate 5.119,3 857,7 5.977,0 7.376,8 417,9 7.794,7 8.999,5 627,6 9.627,1

Totale entrate 972,5 338,3 1.310,8 -495,9 608,1 112,2 1.179,4 284,3 1.463,7

Maggiori spese 7.318,8 924,6 8.243,4 1.881,0 938,9 2.819,9 1.994,4 525,2 2.519,6

Minori spese 3.631,1 669,3 4.300,4 5.883,5 346,5 6.230,0 8.078,4 264,7 8.343,1

Totale spese 3.687,7 255,3 3.943,0 -4.002,5 592,4 -3.410,1 -6.084,0 260,5 -5.823,5

Manovra netta -2.715,2 83,0 -2.632,2 3.506,6 15,7 3.522,3 7.263,4 23,8 7.287,2

Valori negativi indicano un peggioramento del deficit viceversa se positivi.Fonte: elaborazioni CSC su relazione tecnica al DDL di Stabilità approvato dal Senato.

L’intervento principale proposto è quello sul cuneo fiscale, ma le risorse stanziate non sonoin grado di incidere significativamente. Dal lato dei lavoratori, consiste in un aumento delle

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detrazioni IRPEF per lavoro dipendente e, dal lato delle imprese, nella riduzione dei con-tributi INAIL, un incentivo IRAP per le nuove assunzioni e la restituzione integrale delcontributo addizionale ASPI sul lavoro a tempo determinato in caso di trasformazione atempo indeterminato.

Sono previste inoltre: dal lato delle entrate, la deducibilità parziale dell’IMU sugli immo-bili strumentali ai fini delle imposte sul reddito (di imprese e professionisti), la prorogadelle detrazioni fiscali per interventi di efficienza energetica e recupero del patrimonio edi-lizio e la deducibilità fiscale ai fini IRAP e IRES delle rettifiche e delle perdite su creditidegli intermediari finanziari e, dal lato della spesa, l’inasprimento del patto di stabilità in-terno per le Regioni, l’allentamento dello stesso patto per i Comuni (limitatamente allaspesa in conto capitale) e la deindicizzazione delle pensioni sopra soglie determinate.

Le due clausole di salvaguardia appaiono in grado di attenuare i flebili effetti prodotti sulcuneo fiscale. La prima prevede una revisione delle detrazioni IRPEF per le diverse tipo-logie di oneri ovvero, in alternativa, una riduzione dell’aliquota della detrazione che po-trebbe compensare, parzialmente, gli effetti della maggiore detrazione da lavorodipendente. La seconda impone di recuperare 3 miliardi nel 2015, 7 nel 2016 e 10 miliardinel 2017 intervenendo sulle aliquote e/o operando un taglio di agevolazioni, detrazioni, re-gimi di esclusione, esenzione e favore fiscale (le c.d. tax expenditures) e/o attraverso la ri-duzione della spesa pubblica. È cruciale che questa clausola sia soddisfatta attraverso lacontrazione della spesa anziché tradursi in un ulteriore aumento della pressione fiscale.Questa sembra essere l’intenzione del Governo e del Commissario per la revisione dellaspesa, nominato a ottobre scorso.

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L’Italia continua a permanere nelle posizioni di bassa classifica nel confronto internazio-nale che riguarda il contesto amministrativo in cui operano le imprese. Ciò riduce gli in-vestimenti, non solo dall’estero, eriduce la capacità del sistema paese dicrescere. Occorre sciogliere i nodidella burocrazia: troppe e complesseregole, tempi di risposta lunghi e costiinsostenibili, anche della politica.

Secondo il Global CompetitivenessIndex 2013-2014 (GCI1) del World Eco-nomic Forum (WEF) l’Italia occupa il49° posto nella classifica dei 148 paesiconsiderati. Fanno meglio i principaliconcorrenti: Germania (4°), Stati Uniti(5°), Regno Unito (10°), Francia (21°),Spagna (35°). Rispetto alla graduato-ria precedente il Paese perde 7 posi-zioni, a causa dell’instabilità politicache ha incrementato l’incertezza e lasfiducia, oltre che per le consuete ri-gidità strutturali (Tabella A).

Il World Competitiveness Index (WCI2) dell’International Institute for Management Deve-lopment (IMD) colloca l’Italia al 44° posto nel 2013, in peggioramento rispetto al 2012quando figurava in 40a posizione. A parità di paesi considerati le posizioni perse sonotre3. Mentre i competitor europei risultano stabili (come la Germania al 9° posto e il RegnoUnito al 18°) o migliorano la posizione relativa (la Francia passa al 28° dal 29° posto); gliStati Uniti tornano al vertice della classifica.

Meno burocrazia per rilanciare gli investimenti

Tabella A

Italia poco competitiva

nelle classifiche internazionali…

Posizione Posizioni Best dell'Italia1 perse o acquisite performer

dall'annoprecedente2

GCI 2013-2014 49 (148) -7 1. Svizzera(WEF) 2. Singapore

3. Finlandia

WCI 2013 43 (60) -3 1. Svizzera

(IMD) 2. Hong Kong

3. Svezia

DB 2014 65 (189) 8 1. Singapore

(WB) 2. Hong Kong

3. Nuova Zelanda1 In parentesi il numero di paesi oggetto dell'indagine.2 Calcolate sul numero di paesi dell'anno precedente.Fonte: elaborazioni CSC su dati Banca Mondiale, IMD e WEF.

1 Il GCI stima le prospettive di crescita di un paese nel medio-lungo termine (5-8 anni), analizzandone, oltre airequisiti di base (istituzioni pubbliche, infrastrutture, quadro macroeconomico, salute e istruzione primaria),anche i fattori in grado di sviluppare maggiore efficienza (istruzione secondaria e formazione, efficienza deimercati dei beni e del lavoro, sviluppo del mercato finanziario, tecnologia e dimensioni del mercato) e quelliche creano innovazione (la qualità delle reti aziendali globali e delle strategie di impresa).

2 I fattori che compongono l’indicatore sintetico dell’IMD sono la performance economica, l’efficienza del go-verno, l’efficienza delle imprese e le infrastrutture.

3 Nel 2013 i paesi considerati sono 60, nel 2012 59.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Nella graduatoria stilata dalla Banca Mondiale nell’indagine Doing Business 2014 (DB) ilPaese avanza, invece, di 2 posizioni: al 65° posto su 189 paesi, dal 67° nel 2013 (su 185paesi), sempre molto indietro rispetto ai principali concorrenti: Stati Uniti (4° posto),Regno Unito (11°), Germania (19°), Francia (35°) e Spagna (46°)4.

L’inefficienza pubblica causa bassa competitività

L’inefficienza dell’amministrazionepubblica e dei processi decisionali aqualunque livello di governo influen-zano, con intensità diversa ma sem-pre elevata, la competitività dell’Italiain tutte le comparazioni internazio-nali. In ciò rappresentano un pro-blema strutturale. Ciò è ancor piùevidente se si osserva al posiziona-mento dell’Italia nel lungo periodo(Grafico A). Dal 2001 (anno dellaprima edizione dell’indagine WEF)l’Italia continua a mantenere una po-sizione di metà classifica (37° posto), aparità di paesi considerati (75 paesi);il recupero messo a segno nel 2011,quando ha raggiunto la 32a posizione, si è rivelato effimero. Nella storia raccontata dal-l’IMD l’Italia fa addirittura peggio. Negli ultimi venti anni ha perso 9 posizioni, pas-sando dal 27° al 36° posto su 45 paesi rilevati fin dall’indagine nel 1993, toccando ilminimo nel 2006 (42°). Anche per la Banca Mondiale l’Italia rimane negli anni nella partebassa della classifica, evidenziando forti resistenze al cambiamento5.

Quali sono le maggiori criticità?

Il pesante carico fiscale, il difficile accesso al credito, l’inefficienza della burocrazia, l’in-certa applicazione delle norme sul mercato del lavoro, gli elevati livelli di corruzione e

4 La classifica del Doing Business 2013, che vedeva l’Italia al 73° posto, è stata rivista in seguito alle modifiche me-todologiche inserite nella nuova edizione e per l’introduzione di ulteriori quattro paesi nell’indagine (Birma-nia, Libia, San Marino e Sudan del Sud).

5 È impossibile creare un indice standardizzato (a parità di paesi) della classifica Doing Business della Banca Mondialein quanto ogni anno viene rivista la metodologia utilizzata nell’indagine, oltre al numero dei paesi considerati.

Grafico A

...un problema strutturale

(Indicatori di competitività paese; posizione dell'Italianelle graduatorie mondiali*)

* A parità di paesi considerati (45 per IMD, 75 per WEF).Fonte: elaborazioni CSC su dati IMD e WEF.

1

15

30

45

1

15

30

45

60

75

1992

19

93

1994

19

95

1996

19

97

1998

19

99

2000

20

01

2002

20

03

2004

20

05

2006

20

07

2008

20

09

2010

20

11

2012

20

13

2014

n° paesi nella classifica IM

D n°

pae

si n

ella

cla

ssifi

ca W

EF

Growth Competitiveness Index (WEF)

World Competitiveness Index(IMD; scala destra)

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la percepita mancanza di autonomia del sistema giudiziario sono i fattori che rendonopoco attrattivo il Paese secondo il WEF6. Stando alle opinioni degli esperti intervistatidall’IMD, a questi fattori negativi vanno ad aggiungersi la bassa autorevolezza del Go-verno, l’instabilità politica e l’inadeguatezza delle infrastrutture.

La Banca Mondiale sottolinea che l’alta pressione fiscale sulle imprese e il peso delle pro-cedure burocratiche sono le urgenze maggiori che il Paese deve risolvere. In un announ’impresa impiega 269 ore di lavoro amministrativo per effettuare 15 pagamenti, che pe-sano per il 65,8% sul suo profitto7. E su questo tema l’Italia vede nuovamente peggiorareil suo ranking, scendendo quest’anno al 138° posto dal 135°. Si aggrava sensibilmenteanche la graduatoria relativa alle autorizzazioni e ai permessi necessari a realizzare opereedili (al 112° posto dal 101°), con 233,5 giorni necessari per 11 procedure a un costo del186,4% del reddito pro-capite. Mentre migliora nettamente, seppur rimanendo nella partebassa della classifica, la posizione per quanto riguarda le procedure di esigibilità degli ob-blighi contrattuali (al 103° posto dal 140° dello scorso anno), grazie a una maggiore re-golazione delle spese legali e allo snellimento di alcuni procedimenti giudiziari. In attesa,si può aggiungere, che la riforma dei distretti giudiziari e la specializzazione dei tribu-nali per le imprese diventino pienamente efficaci.

Necessario tagliare i costi della burocrazia…

L’attrattività degli investitori esteri ma anche lo slancio degli imprenditori italiani a in-traprendere nuove iniziative sono fortemente condizionati dal numero e dalla comples-sità delle pratiche amministrative, dai tempi e dai costi necessari al loro svolgimento.L’inefficienza della pubblica amministrazione (PA) influenza ogni ambito della vita so-ciale ed economica del Paese, ostacolandone la crescita e creando un enorme svantaggiocompetitivo.

L’urgente necessità di misure di semplificazione che puntino alla sburocratizzazionedella PA è rivelata non solo dal confronto internazionale. Secondo il rapporto PROMOPA 2012 le micro e piccole imprese impiegano 30,2 giornate/uomo l’anno per gli adem-pimenti burocratici, in aumento rispetto alle 28 del 2011. Il dato peggiora soprattutto nel-l’industria (37 giornate/uomo), mentre rimane stabile nel commercio (poco più di 28) enei servizi (25). Se includiamo anche i costi esterni, quindi consulenze e parcelle di pro-

6 La domanda posta agli intervistati è: <Nel suo paese, in quale misura la giustizia è indipendente da influenzedi membri del governo, cittadini o imprese?>. In una scala da 1 (pesantemente condizionata) a 7 (completa-mente indipendente) l’Italia ottiene 3,7, cioè sotto la media.

7 Si considerano le imposte pagate da un impresa tipo (sui redditi d’impresa, i contributi sociali e previdenzialie le altre imposte).

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fessionisti, si arriva a un costo per la burocrazia pari quasi a 12mila euro l’anno perazienda, con un’incidenza sul fatturato aziendale pari al 7,4%. Moltiplicando tale costoper il totale delle micro e piccole imprese presenti in Italia, l’onere complessivo da bu-rocrazia della PA è quantificabile in 10,7 miliardi di euro (circa lo 0,9% del PIL).

Una PA più efficiente genera impatti rilevanti sullo sviluppo economico del Paese: secondoil CSC una diminuzione dell’1% dell’inefficienza della PA (misurata dalla difficoltà a rag-giungerne gli uffici) è associata a un incremento dello 0,9% del livello del PIL pro-capite ea un aumento dello 0,2% della quota dei dipendenti in imprese a partecipazione estera sultotale dell’occupazione privata non-agricola (tale quota era nel 2008 pari al 5,1%)8.

La cattiva burocrazia ha radici profonde, che richiedono radicali riforme della macchinaamministrativa in grado di assicurare effetti duraturi alle politiche di semplificazione. Inquesta direzione si muove anche il progetto di spendig review presentato dal Commissa-rio Carlo Cottarelli. Occorre ridurre sensibilmente il numero delle amministrazioni inbase al principio dell’unicità delle funzioni: abolire le Province, istituire le città metro-politane (senza farle proliferare come sta accadendo ora: dalle 10 originarie si è già arri-vati a 18), riorganizzare l’amministrazione periferica dello Stato, aumentare la sogliadimensionale dei piccoli Comuni (elevandola almeno a 5.000 abitanti). È quanto è statoindicato nel Progetto Confindustria per l’Italia e nel documento di Genova elaborato diconcerto con i sindacati. È necessario, tra l’altro, intervenire sull’assetto istituzionale e, inparticolare, sul Titolo V della Costituzione, che ha creato un “federalismo della compli-cazione”, indebolendo la capacità delle politiche centrali di incidere sulle principali que-stioni di rilevanza strategica nazionale (tra cui infrastrutture, comunicazioni, energia), acausa delle maggiori competenze attribuite a livello regionale.

Accanto alla riorganizzazione della macchina pubblica, è vitale l’implementazione dellepolitiche di semplificazione dei procedimenti amministrativi. Il DDL “Semplificazioni”approvato lo scorso giugno dal Consiglio dei Ministri e attualmente all’esame del Parla-mento si concentra su misure che incidono direttamente sul rapporto tra PA e imprese, inpiena continuità con il Decreto “del Fare”. Si interviene, infatti, sugli ambiti più “sensibili”per chi fa impresa, tra cui il riassetto normativo e la riduzione degli oneri amministrativi,la salute e la sicurezza sul lavoro, il tutor d’impresa, l’edilizia, il fisco (Tabella B), e si adot-tano soluzioni basate sull’esperienza e sulle concrete difficoltà incontrate nel rapporto traPA e imprese; in tal senso il confronto con le associazioni imprenditoriali è stato cruciale.Si tratta di misure, in gran parte a costo zero, che non richiedono atti esecutivi e incidonoin modo immediato sul “fare impresa”. Confindustria condivide l’approccio seguito e neauspica il rafforzamento soprattutto in materia di fisco, sicurezza sul lavoro e ambiente. 8 Si veda CSC, Scenari economici n. 14, giugno 2012.

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Tuttavia, la semplificazione è un processo complesso, faticoso, che non può ne deve fi-nire mai e che facilmente può tradursi in un continuo stop and go, con un decreto cheblocca e fa un passo indietro rispetto a una misura precedentemente stabilita da un altrodecreto. È il caso, ad esempio, dell’autorizzazione paesaggistica, la cui efficacia è stata li-mitata dal Decreto “Valore Cultura” dopo essere stata estesa dal Decreto “del Fare” ap-pena un mese prima.

Confindustria ritiene che una moderna politica di semplificazione, soprattutto nell’at-tuale fase di spending review, debba agire sui procedimenti e sulle strutture amministra-tive, in modo da: 1) ridurre il numero delle procedure e delle amministrazioni che se neoccupano; 2) riordinare le competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settoriomogenei e sopprimendo gli organi superflui; 3) standardizzare i procedimenti dellostesso tipo che si svolgono presso amministrazioni diverse. È necessario, inoltre, porre at-tenzione alla qualità della regolamentazione. Regole chiare sono facilmente fatte proprie

Tabella B

Il DDL "Semplificazioni" punta ad alleggerire il carico burocratico sulle imprese

Fonte: elaborazioni CSC su DDL 958/S.

Tematiche Obiettivo

Riassetto normativoe riduzione oneriamministrativi

Riordino e semplificazione della legislazione ambientale.

Revisione delle disposizioni in tema di beni culturali e paesaggio.

Diffusione dell'e-government per la trasmissione dei dati tra le PA.

Potenziamento del programma di misurazione e taglio degli oneri amministrativi (MOA).

Adozione annuale di una Agenda condivisa tra Stato, Regioni e autonomie locali per evitarela sovrapposizione di competenze e il policentrismo normativo.

Salute e sicurezzasul lavoro

Riordino in materia di sorveglianza sanitaria e di diritto al lavoro dei disabili.

Allineamento della disciplina delle certificazioni mediche di infortunio sul lavoroe malattie professionali a quella di certificazione di malattia comune.

Tutor d'impresa Istituzione della figura del tutor d'impresa presso gli sportelli unici per le attività produttive (SUAP)per assicurare assistenza alle imprese nella gestione delle procedure.

Edilizia Riduzione dei termini istruttori per i progetti di costruzione meno complessi.

Semplificazioni per le varianti al permesso di costruire che non configurino variazioni essenzialie siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie.

Contratti pubblici Snellimento delle procedure di gara per l'affidamento dei contratti pubblici.

Privacy Riduzione degli oneri connessi all'esercizio dell'attività d'impresa.

Fisco Sfoltimento degli adempimenti inutili a carico delle imprese, in particolare per gli obblighidi comunicazione all'Agenzia delle entrate e alcune autorizzazioni.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

e rispettate da cittadini e imprese, creando rapporti di “leale collaborazione” tra questie le amministrazioni. Ciò si traduce in una effettiva diminuzione dei costi e dei tempi ne-cessari per gli adempimenti burocratici.

…e quelli della casta

Una seria riforma della burocrazianon può che partire dalla testa che im-partisce le direttive alla stessa pub-blica amministrazione, ossia devecominciare con l’abbattimento deicosti della politica. I parlamentari ita-liani sono, in base alla dimensionedell’indennità in rapporto al PIL pro-capite, di gran lunga i più pagatid’Europa; ciò fa pensare che molto piùfacilmente si è portati a far politica perla carriera e l’arricchimento personale,più che per il bene comune9. Nel 2012lo stipendio da deputato in Italia erapari a 4,7 volte il PIL pro-capite, con-tro l’1,8 del Regno Unito. Contandoanche i rimborsi spese (con e senzadocumentazione), i contributi aigruppi parlamentari, i rimborsi elet-torali e le spese di trasporto tale rapporto sale al 9,8 per il deputato italiano e al 6,6 perquello inglese10 (Tabella C).

I costi della politica, intesa come organi legislativi ed elettivi, hanno toccato complessi-vamente i 2,5 miliardi di euro nel 2012, secondo le stime prodotte recentemente da Ro-berto Perotti. Come per la pubblica amministrazione in genere, i rimedi stanno nel taglionetto dei costi e nella riorganizzazione delle procedure. Si può risparmiare fino a 1 mi-liardo riducendo del 30% l’indennità dei parlamentari, ridimensionandone il numero,riformando le loro pensioni e abolendo i contributi ai gruppi parlamentari, i rimborsielettorali e le spese di trasporto ma mantenendo la diaria (rimborso spese per l’esercizio

9 Si veda CSC, Scenari economici n. 4, dicembre 2008.10 Si veda Perotti, R., Un deputato costa molto di più di uno britannico e I costi della politica, lavoce.info, novembre 2013.

Tabella C

Deputati italiani strapagati

(Spesa per deputati, 2012)

In euro In rapportoal PIL pro-capite

Italia Regno Unito Italia Regno Unito

Remunerazione 121.040 54.029 4,7 1,8

Rimborsi spesedocumentate 27.846 120.517 1,1 4,0

Contributiassicurativie previdenziali 930 16.916 0,0 0,6

Contributi ai gruppiparlamentari 34.357 0 1,3 0,0

Rimborsiai partiti 68.901 8.552 2,7 0,3

Totale spesa

per deputati 253.074 200.014 9,8 6,6

PIL pro-capite 25.700 30.500Fonte: elaborazioni CSC su stime di Roberto Perotti e dati Commissione europea.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

del mandato parlamentare), oppure eliminandola e introducendo un tetto massimo allespese rimborsabili.

I costi della politica, ovviamente non si esauriscono con la remunerazione dei rappre-sentanti parlamentari e con il costo di funzionamento delle due Camere, ma ricompren-dono anche tutte le altre istituzioni elettive (Comuni, Regioni, dando per abolite leProvince) nonché quelle attività improprie svolte da una moltitudine di società parteci-pate dalla pubblica amministrazione (sono più di 7.700 e costano, in termini di ripianodelle perdite, circa 22 miliardi). E i cerchi del vivere di politica (anziché per la politica) siampliano ulteriormente se si includono consulenze e assunzioni clientelari che pesano suibilanci delle società pubbliche.

Maggiori sforzi per affrontare le rigidità strutturali e politiche del Paese appaiono fon-damentali per rafforzare la competitività. Le inefficienze e il peso della burocrazia in Ita-lia drenano risorse, pubbliche e private, e costituiscono una vera e propria tassa occulta,che sottrae ricchezze a famiglie e imprese. Inoltre, e questo è forse il costo maggiore, coni suoi ritardi impedisce di cogliere opportunità e realizzare investimenti, abbassandoquindi PIL e occupazione. Di ciò deve rispondere chi governa l’Italia. Le riforme di sem-plificazione proposte nell’ultimo anno sono un passo importante per affrontare alcune diqueste sfide. Ma molto va ancora fatto, alleggerendo il carico su imprese e lavoratori etagliando i costi eccessivi della politica.

Se per la prima voltanel dopoguerra la

spesa pubblica al netto degli interessi èdiminuita, in termini nominali, per treanni consecutivi (2010-2012), la spesapensionistica non ha conosciuto rallen-tamenti e nel medesimo periodo è salitadi 17,6 miliardi, unica voce di spesa inaumento (Grafico 1.23). Tra il 2013 e il2016 il Governo prevede che cresca an-cora di ulteriori 19,8 miliardi. Insiemealla spesa per interessi costituisce quindilo zoccolo duro della spesa pubblica sucui occorre intervenire per liberare ri-sorse da destinare ad altri programmidi politica sociale e alla riduzione del carico contributivo sul lavoro. Questo è ciò che gli ul-timi (tre) Governi hanno tentato di fare bloccando l’indicizzazione delle pensioni elevate.

Occorre attaccare

la spesa pubblicaGrafico 1.23

Dal welfare la crescita della spesa

(Spesa pubblica al netto di interessi, miliardi di euro)

2013-2016: quadro programmatico da Nota tecnica illustrativa al DDL Stabilità.Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT e stime MEF.

0

200

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2010

2011

2012

2013

2014

2015

2016

Pensioni

Altre prestazioni sociali

Pubblico impiego

Acquisto di beni e servizi

Altre spese primarie correntiSpese in conto capitale

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Ma l’ammontare delle risorse recuperate non appare risolutivo. Interventi mirati possonorisultare più efficaci e avere impatti redistributivi meno iniqui (si veda il riquadro Pensioni:è necessario un contributo di vera perequazione).

Nel complesso, al netto della spesa per pensioni e interessi, la spesa pubblica in Italia sipresenta in rapporto al PIL tra le più basse dei paesi euro. Perché intervenire allora? Inrealtà, due grandi nodi attendono da tempo di essere sciolti. Entrambi interessano la spesapubblica.

Il primo riguarda l’elevato livello raggiunto dalla pressione fiscale e l’assoluta necessità diridurre il prelievo su lavoratori e imprese (si veda il riquadro Evasione e alta pressione fiscalespiazzano la competitività italiana). Ciò può essere fatto solo riducendo i compiti oggi svoltidal settore pubblico. È sul perimetro dell’intervento pubblico che occorre operare perchésolo arretrando la Pubblica Amministrazione (PA) si potranno reperire le risorse necessa-rie per ridurre il carico fiscale e finanziare l’enorme debito pubblico accumulato. Nella so-stanza, si tratta non solo di privatizzare ma anche di affidare la gestione di attività almercato laddove sino a oggi si è creduto che solo la PA potesse intervenire. In questo senso,il primo e imprescindibile ambito di intervento è quello delle società partecipate (si vedail riquadro Costoso il “capitalismo pubblico”).

Ma non è questo il solo ambito. La PA attualmente è composta da circa 21mila enti. È dif-ficile credere che tutte queste amministrazioni rivestano un ruolo essenziale di cui il Paesenon può privarsi. Eppure tutte, al momento, incidono sulla spesa.

Il secondo nodo riguarda la qualità dei servizi pubblici che non è neanche lontanamente pa-ragonabile a quella di paesi, come Svezia e Finlandia, che hanno una pressione fiscale si-mile a quella italiana. Ciò significa che accanto all’azione di riduzione dei confini del settorepubblico (i cui proventi devono essere finalizzati a reperire risorse per ridurre la pressionefiscale) occorre procedere a una riorganizzazione delle PA tesa a migliorare i servizi offerti(si veda il riquadro Meno burocrazia per rilanciare gli investimenti).

In questo senso, sono molte le aspettative derivanti dall’insediamento del Commissariostraordinario chiamato a razionalizzare e rivedere la spesa pubblica. Gli obiettivi, secondoquanto indicato nel suo programma presentato a novembre scorso, consisteranno sia in ri-duzioni di spesa sia in miglioramenti della qualità dei servizi. Il Commissario svolgerà unruolo di proposta sulla base delle indicazioni del Governo. Sarà coadiuvato da un gruppomolto ristretto di persone e l’attività di revisione della spesa sarà organizzata per gruppidi lavoro in grado di coinvolgere i responsabili delle amministrazioni sottoposte a revi-sione. Dal punto di vista delle scadenze temporali, l’attività di ricognizione che impegneràil Commissario nei prossimi mesi verrà formalizzata nel Documento di Economia e Finanzaper la formulazione degli obiettivi. Nel DEF, inoltre, verranno assunte le decisioni finali

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sulla destinazione delle risorse rese disponibili, che dovrebbero essere indirizzate priori-tariamente a non far scattare le clausole di salvaguardia.

È auspicabile che tale processo non segua le linee di quella che negli ultimi anni è stata er-roneamente chiamata spending review. Sinora questa attività si è tradotta, in larga parte, intagli lineari applicati alle diverse amministrazioni senza alcun intervento volto a modificaregli ambiti di azione della PA, i processi e le modalità organizzative. In questo modo sonostati penalizzati gli enti virtuosi e si rischia, come è già accaduto in passato, che i tagli si ri-velino temporanei.

Alcuni dei risparmi di spesa sono stati ottenuti creando una disciplina ad hoc e di favore perle PA, in violazione delle regole in vigore tra privati. È questo il caso del taglio sulle loca-zioni e del diritto di recesso concesso alle PA sui contratti di fornitura di beni e servizi.

Al contrario, la revisione della spesa, come accade normalmente nelle ristrutturazioni azien-dali, dovrebbe tendere ad accrescere l’efficienza dei diversi centri di spesa. Non vannoesclusivamente reperite risorse. Più che altro occorrerà riallocarle nell’ambito del bilanciopubblico verso i settori che si riterranno più convenienti.

Vanno rivisti i processi, le regole interne e l’organizzazione al fine di rendere efficienti iservizi offerti. È un terreno questo su cui è molto difficile intervenire perché bisogna cam-biare l’organizzazione del lavoro, lo statuto dei dipendenti, le responsabilità dei dirigentie soprattutto la mentalità dei burocrati.

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La banca dati CONSOC, istituita presso il Ministero per la Pubblica Amministrazione e laSemplificazione, indica che, nel 2012, erano 39.997 le partecipazioni possedute da ammi-nistrazioni pubbliche in 7.712 organismi esterni. L’onere complessivo sostenuto dalle Pub-bliche amministrazioni per il mantenimento di questi organismi è stato paricomplessivamente a 22,7 miliardi, circa l’1,4% del PIL. Si tratta di cifre consistenti che me-ritano attenzione. Infatti, gran parte di questi organismi sono nati, a livello locale, per ag-girare i vincoli di finanza pubblica, in particolare il patto di stabilità interno, e comestrumento per mantenere il consenso politico attraverso l’elargizione di posti di lavoro.Naturalmente non tutti gli organismi rispondono a queste logiche. Di certo, però, il modoe l’intensità con cui il fenomeno si è sviluppato confermano l’anomalia.

In generale, sarebbe prioritario dismettere gli enti o comunque azzerare i costi per lepubbliche amministrazioni di quegli organismi che non producono servizi di interessegenerale.

Incrociando la banca dati CONSOC, che riporta le società partecipate da tutte le PA, laquota di partecipazione, la PA partecipante e l’onere a carico di quest’ultima, con la bancadati AIDA è stato possibile associare alle partecipate i loro bilanci e il codice ATECO per ca-pire cosa realmente producono.

I dati mostrano che oltre la metà degli organismi non sembra svolgere attività di interessegenerale, pur assorbendo nel 2012 il 50% degli oneri sostenuti per le partecipate: circa 11miliardi di euro.

Più in generale, considerando anche gli organismi che producono servizi di interesse ge-nerale, oltre un terzo delle partecipate ha registrato perdite nel 2012, e ciò ha comportatoper la PA un onere stimabile in circa 4 miliardi. Il 7% degli organismi partecipati ha regi-strato perdite negli ultimi tre anni consecutivamente con un onere a carico del bilanciopubblico che è stato pari a circa 1,8 miliardi. Sono numeri straordinari che il Paese non puòpermettersi.

Costoso il “capitalismo pubblico”

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Le riforme varate in Italia nella prima metà degli anni 90 hanno avuto successo nello stabi-lizzare nel lungo termine la spesa previdenziale in percentuale del PIL, ma avevano previ-sto un periodo di transizione troppo lungo per l’entrata a regime delle nuove, più sostenibili,regole di calcolo dei trattamenti pensionistici. Ciò aveva scaricato il costo del riequilibrio delsistema in maggior parte sulle generazioni più giovani, sebbene si sia intervenuti anche sullerendite previdenziali di pensionati e pensionandi, agendo più volte sull’età minima dellepensioni di anzianità (per esempio, prevedendo una combinazione di anni di contribuzioneed età) e sull’indicizzazione (abolendo quella alle retribuzioni e limitando quella ai prezzi).La transizione è stata nettamente accelerata dalla Riforma Fornero, varata a fine 2011.

Resta il fatto che le generazioni attualmente al lavoro sono soggette a regole molto menogenerose rispetto a chi li ha preceduti e a oneri contributivi molto elevati. Gli ultimi Go-verni, anche per le pressanti condizioni di stress finanziario dei conti pubblici, si sono resiconto dell’urgenza di correggere lo squilibrio generazionale. Tuttavia, gli interventi pre-visti, che limitano l’indicizzazione all’inflazione, compreso quello inserito nel disegnodi legge di stabilità 2014, sono di portata limitata e potenzialmente iniqui, lasciando ope-rare la tassa occulta dell’inflazione sugli assegni superiori a un certo importo. Come sefosse di per sé ingiustificato avere pensioni alte, indipendentemente da come si sono ot-tenute. All’opposto e parafrasando la terminologia in voga, che tra l’altro è semplifica-toria e demagogica, è più “d’oro” una pensione di 700 euro per cui si sono versati pochicontributi rispetto ai redditi da lavoro, piuttosto che una di 7.000, ottenuta a fronte dielevate contribuzioni. Il metodo più corretto per valutare la congruità delle singole pen-sioni è quello di prendere a riferimento il metodo di calcolo contributivo, così da indivi-duare chi percepisce una prestazione pensionistica molto elevata rispetto a quantoversato e calibrare meglio un contributo di solidarietà. Tenendo conto dell’effettiva ca-pacità, includendo ogni forma di reddito, anche quella esclusa dalla tassazione IRPEF, edello stato patrimoniale. Sarebbe, inoltre, opportuno introdurre una più stringente provadei mezzi per le integrazioni al minimo. Tutto ciò non solo per liberare risorse per altriprogrammi di politica sociale, ma anche per ridurre il costo del lavoro e favorire così ilrilancio dell’occupazione.

In Italia la spesa pubblica previdenziale è la più elevata tra i paesi europei: 15,3% del PILnel 2010, contro il 12,2% medio nell’Eurozona e il 10,8% in Germania. La tassazione deitrattamenti pensionistici varia tra paesi e ciò ha un impatto sul livello di risorse effettiva-mente assorbite dal pagamento delle pensioni. Tuttavia, l’Italia mantiene il primato ancheconsiderando la spesa previdenziale netta di imposte dirette: 12,8% del PIL, contro il 10,3%medio e il 9,1% della Germania (Grafico A). Una spesa previdenziale così elevata spiazza

Pensioni: è necessario un contributo di vera perequazione

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altre voci importanti di spesa sociale(per esempio, quella destinata a mi-sure di contrasto alla povertà; si vedail riquadro Che “SIA” la strada giusta?)e soprattutto mantiene elevata la con-tribuzione sul lavoro, incidendo nega-tivamente sulla competitività (si vedail riquadro Evasione e alta pressione fi-scale spiazzano la competitività italiana).

L’elevata spesa previdenziale attuale èl’eredità di un variegato sistema di cal-colo retributivo che garantiva assegnitroppo generosi a partire da un’etàtroppo bassa. Fino al 1992 la pensioneper un lavoratore dipendente del set-tore privato con 40 anni di anzianitàera pari all’80% della retribuzione media degli ultimi 5 anni di lavoro e le pensioni eranoindicizzate al tasso di crescita dei salari. Nel periodo 1987-1992 i lavoratori italiani (nonsolo i dipendenti privati) si ritiravano dal mercato del lavoro in media a 61 anni, le italianea poco più di 58, contro i 64-62 anni della media OCSE e i 62-60 della media europea.

La Riforma Amato del 1992 ha ridotto i tassi di sostituzione (rapporto tra pensione e ul-tima retribuzione) allungando a dieci anni il periodo sul quale calcolare la pensione diriferimento, aumentato gradualmente l’età legale di pensionamento (per le pensioni divecchiaia) e indicizzato le pensioni ai prezzi, non più ai salari. L’intervento sul metododi calcolo faceva salvi quanti avessero già maturato almeno 15 anni di contribuzione. LaRiforma Dini del 1995 ha modificato interamente l’architettura del sistema previdenziale,trasformando il calcolo da retributivo in contributivo, ma salvaguardando sempre co-loro che avevano allora 18 anni di contribuzione.

La formula retributiva legava l’importo della pensione a una media delle ultime retri-buzioni (di solito le più elevate della carriera lavorativa) e al numero di anni di contri-buzione, senza contare l’età di uscita dal lavoro e con molte differenziazioni tra i regimiapplicati a diverse categorie di lavoratori. Cosicché per tutte, e in particolare per alcune(come quella dei lavoratori autonomi, che hanno goduto di tassi di contribuzione moltobassi1), il sistema pensionistico pubblico è risultato troppo generoso. Rispetto a quella

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1 La legge 233 del 1990 ha esteso ai lavoratori autonomi il regime di calcolo retributivo vigente per i lavoratoridipendenti, pur in presenza di aliquote contributive sensibilmente più basse.

Grafico A

Italia: spesa pensionistica record

(Spesa pubblica per pensioni in % del PIL; 2010)

* Dato mancante per i paesi che non hanno comunicato l'informazione allaCommissione europea.Fonte: elaborazioni CSC su dati Commissione europea.

0,0

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Netta (da imposte e contributi)*

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retributiva, la formula contributiva ha il duplice pregio della maggiore sostenibilità fi-nanziaria e dell’uniformità di trattamento: l’importo della pensione dipende, per tutti, di-rettamente dall’ammontare dei contributi versati nell’arco della vita lavorativa e dall’etàdel pensionamento.

La Riforma Dini, oltre a fissare una forchetta di pensionamento ancora bassa (58-65 anni),prevedeva l’applicazione del metodo contributivo pieno solo per coloro che nel 1995 nonerano ancora entrati nel mercato del lavoro. A quelli con anzianità contributiva inferioreai 18 anni veniva applicato il nuovo metodo contributivo pro-rata, dal 1996. A tutti i la-voratori che avevano maturato almeno 18 anni di contribuzione veniva garantito il cal-colo della pensione interamente con la vecchia formula retributiva. La Riforma Forneroha esteso il contributivo pro-rata anche a quest’ultimo gruppo, divenuto, però, nel frat-tempo esiguo. Ha inoltre abolito le pensioni di anzianità, eliminando le cosiddette“quote”, cioè quella somma tra età anagrafica e anzianità contributiva da raggiungere perottenere la pensione2.

Soltanto nel lungo periodo, quando la pensione sarà pienamente calcolata secondo il metodocontributivo, ciascuno riceverà sotto forma di pensione l’equivalente dei contributi versatinel corso della vita lavorativa, che la legge stabilisce saranno rivalutati a un tasso di rendi-mento commisurato alla crescita del PIL. Gli attuali pensionati beneficiano, invece, di pre-stazioni che, essendo calcolate in tutto o in parte in base al metodo retributivo, spessocomportano una rendita molto superiore a quella a cui avrebbero avuto diritto in base ai con-tributi versati. Questa “maggiorazione” è a spese della collettività (attraverso un trasferi-mento dalla fiscalità generale all’INPS) e dei lavoratori (attraverso contributi molto alti).

Gli ultimi Governi sono intervenuti introducendo temporaneamente dei contributi, detti“di perequazione”, a carico degli assegni previdenziali oltre una certa soglia e/o azze-rando l’indicizzazione all’inflazione dell’ammontare delle pensioni superiore a un certonumero di volte l’importo del trattamento minimo INPS3. Si tratta di provvedimenti nonparticolarmente incisivi in termini di riduzione della spesa, giacché riguardano una pla-

2 La Riforma Fornero ha introdotto, invece, la pensione anticipata che, nel 2013, è concessa a chi ha un’anzianitàcontributiva di almeno 42 anni e 2 mesi se uomo o 41 anni e 2 mesi se donna, requisiti che dal 2014 saranno ade-guati alla speranza di vita.

3 La legge 111/2011 (Governo Berlusconi IV) ha previsto, dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014, un “contributodi perequazione” pari al 5% dell’importo di pensione compreso tra i 90 e i 150mila euro annui e del 10% sullaparte eccedente (la Corte Costituzionale, con sentenza del 5 giugno 2013, n. 116, ha successivamente dichiaratol’illegittimità costituzionale di tale contributo). Ha inoltre azzerato per il biennio 2012-2013 l’indicizzazione al-l’inflazione della parte della pensione mensile eccedente il valore di cinque volte il trattamento minimo. Il de-creto Salva-Italia (legge 214/2011) ha abbassato tale soglia a tre volte il minimo. Il DDL stabilità (nella versionein discussione alla Camera) prolunga il blocco dell’indicizzazione al 2014, ma eleva la soglia a sei volte il trat-tamento minimo.

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tea ristretta e per un periodo limitato di tempo (sebbene la minor indicizzazione ai prezziproduca risparmi duraturi). E senza guardare minimamente al rapporto tra monte pen-sione atteso e monte contributi versati rivalutato. Perché, invece, non chiedere di più achi ha beneficiato maggiormente della formula retributiva?

D’altronde, esistono studi che hanno documentato l’entità del “regalo” del sistema retri-butivo. Questo “regalo” può essere calcolato, per esempio, attraverso un indicatore sin-tetico che riporta, al momento del pensionamento, il valore attuale atteso dei beneficipensionistici ai quali l’individuo ha diritto a fronte di un montante contributivo capita-lizzato (calcolato tenendo conto dei contributi rivalutati di tutta la vita lavorativa). Fattoquest’ultimo pari a 1004, per i dipendenti privati l’indice è mediamente pari a 162 per gliuomini e 188 per le donne, cioè il “regalo” ammonta al 60-90% di quanto versato. L’entitàdel “regalo” è tanto più alta quanto più bassa è l’età a cui l’individuo si ritira dal mondodel lavoro e tanto più dinamico è il profilo di carriera. Sempre con riferimento ai lavora-tori dipendenti privati, l’indicatore del valore attuale dei benefici pensionistici passa da150 a 178 se l’età del pensionamento è anticipata dai 60 ai 55 anni. Gli individui che hannogoduto di tassi di crescita del proprio profilo di reddito più bassi hanno un indice dei be-nefici previdenziali medi pari a 159, contro il 165 per quelli con carriere più dinamiche.

Il “regalo”, poi, differisce molto inbase alla gestione previdenziale di ap-partenenza. I dipendenti pubblici per-cepiscono in media due volte e mezzoquanto sarebbe giustificato sulla basedei criteri di equità attuariale: indice a268 per gli uomini e 249 per le donne.I lavoratori autonomi addirittura oltretre volte e mezza: indice a 346 per gliuomini e 368 per le donne (Tabella A).

La formula di calcolo retributiva e lapossibilità di anticipare il pensiona-mento rispetto al limite di vecchiaia potevano determinare pensioni molto basse, a causadi un reddito dichiarato contenuto e un accorciato periodo di contribuzione e, quindi, darluogo a un ulteriore regalo, sotto forma di integrazione alla pensione minima. Ciò è av-valorato dal fatto che la quota di integrazioni al minimo è molto più elevata nella ge-

4 Si vedano i contributi di Michele Belloni e Flavia Coda Moscarola, per esempio in “Il regalo del retributivo”,lavoce.info, 25 ottobre 2011.

Tabella A

Il “regalo” del regime retributivo

(Valore attuale atteso dei benefici pensionistici, al momento del pensionamento, a fronte di un montante

contributivo rivalutato fatto pari a 100)Dipendenti Dipendenti Artigiani/

settore privato settore pubblico commercianti

Uomini Donne Uomini Donne Uomini Donne

Regimepre-1992 162 188 268 249 346 368

Regimecontributivo 97 102 97 101 97 102Fonte: simulazioni CeRP.

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stione dei lavoratori autonomi (36,8%,29,4% medio per i soli artigiani e com-mercianti) che in quella dei lavoratoridipendenti (23,5%), quando i primihanno sempre contribuito in propor-zione molto più bassa (su redditi au-todichiarati5) rispetto ai secondi(Tabella B).

L’evidenza sembra, dunque, indivi-duare precisi gruppi di pensionati chericevono molto più di quel che hannocontribuito al sistema previdenzialepubblico: quelli che hanno avuto car-riere dinamiche, che sono andati inpensione giovani, che appartengono acerte categorie. Tuttavia, si può fare dimeglio che chiedere un contributo ainteri gruppi, sulla base di valori medi.A questo fine è necessario ricostruirela storia contributiva individuale e calcolare l’ammontare della pensione che sarebbe spet-tata a ciascun italiano con qualche rendimento standard, il più vicino possibile alle regoledell’attuale sistema contributivo6. A questo compito difficile e impegnativo devono es-sere chiamati l’INPS e gli altri enti sostitutivi della previdenza obbligatoria. Da questi cal-coli sarebbe possibile individuare chi percepisce una prestazione pensionistica diammontare magari elevato, ma commisurato ai contributi versati, e quindi non dovrebbeessere chiamato a pagare nessun contributo aggiuntivo, e chi percepisce una prestazionepensionistica, magari di ammontare contenuto ma molto elevata rispetto a quanto versato,e dovrebbe, perciò, pagare un contributo, a questo punto propriamente “di perequazione”.Naturalmente il versamento di tale contributo andrebbe sottoposto a un test sulle effettivedisponibilità economiche, reddituali e patrimoniali, per non creare nuovi poveri.

Essendo un intervento di contrasto alla povertà, l’integrazione delle pensioni al trattamentominimo (ma un discorso analogo vale per le pensioni ai superstiti e per quelle di invalidità)

5 Si ricordi che l’evasione fiscale è più ampia tra i lavoratori autonomi; si veda il riquadro Evasione e alta pressionefiscale spiazzano la competitività italiana.

6 Dal 1996 in avanti, sono disponibili i coefficienti INPS del contributivo (legati al PIL); per gli anni precedentisi potrebbero rivalutare i contributi usando il tasso ufficiale di sconto della Banca d’Italia.

Tabella B

Meno contributi,

ma più integrazioni al minimo per gli autonomi

(Pensioni IVS* integrate al trattamento minimoe aliquote contributive)

Numero % % reddito versatosul totale in contributi

nellagestione

2003 2013

Lavoratori autonomi

Coltivatori, coloni

e mezzadri 867.951 49,0 20,3** 22,0**

Artigiani 454.673 28,5 16,80 21,75

Commercianti 415.996 30,5 17,19 21,84

Totale 1.738.620 36,8 - -

Lavoratori dipendenti

nel settore privato

Totale 2.272.069 23,5 32,7 33,0

* Invalidità, vecchiaia e superstiti.** Sono previste aliquote contributive più basse per gli individui sotto i 21anni e per quelli residenti in aree svantaggiate.Fonte: elaborazioni CSC su dati INPS.

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dovrebbe prevedere una prova dei mezzi più stringente di quella attuale, che includa tuttele fonti di reddito, anche quelle soggette a tassazione separata, e le voci patrimoniali7. D’al-tronde, per le pensioni di vecchiaia liquidate con il sistema contributivo non è prevista al-cuna integrazione. Anzi, le riceveranno solo coloro che avranno cumulato almeno 20 annidi contributi e un assegno pari o superiore a 1,5 volte la pensione sociale.

Alcune riflessioni conclusive. Il passaggio a un sistema di calcolo contributivo delle pen-sioni, al pregio della maggiore sostenibilità finanziaria, unisce quello dell’equità di trat-tamento. Un sistema previdenziale sostenibile dovrebbe restituire al lavoratore, nell’arcodella sua vita da pensionato, quanto da lui pagato negli anni di attività lavorativa, op-portunamente rivalutato nel tempo (nell’esempio fatto sopra, il montante capitalizzatoè posto pari a 100).

Per ragioni di equità, il sistema dovrebbe ammettere eccezioni a tale regola per i lavora-tori più “sfortunati” (per esempio, quelli con salari bassi e carriere discontinue). Chi,avendo versato nel corso della vita lavorativa contributi capitalizzati pari a 100, se nevede restituire sotto forma di pensione, per esempio, 162 o addirittura 368, ottiene un“regalo” che rappresenta un onere per i lavoratori attuali e futuri, i quali subiscono unacontribuzione molto elevata, che li penalizza nell’occupazione e nella retribuzione netta.

Appare, perciò, opportuno comin-ciare a ragionare su come ridurre que-sto “regalo”. In considerazione anchedel fatto che i giovani sopportano ildoppio fardello di finanziare le ele-vate pensioni in essere e di percepiredomani pensioni molto inferiori, sep-pure sostenibili ed eque, e che si riti-reranno dal lavoro a un’età molto piùelevata di quelli che si sono pensio-nati finora o lo faranno nel prossimofuturo.

Ciò è confermato dalle proiezionidella Commissione Europea sull’etàeffettiva di uscita dal mercato del la-

102

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

7 Attualmente, invece, l’integrazione al trattamento minimo viene concessa se il pensionato non possiede redditipersonali assoggettabili all’IRPEF per un importo superiore a 2 volte l’ammontare del trattamento minimo (5volte cumulando i redditi del coniuge).

Grafico B

Italia: fine della "ricreazione" pensionistica

(Uomini, età media effettiva di uscitadal mercato del lavoro*)

* Proxy per l’età di pensionamento.Fonte: elaborazioni CSC su dati OCSE e stime Commissione Europea.

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2000

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2060

Page 102: Scenari economici 19

103

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

voro. Per gli uomini, da un minimo di59,6 toccato nella prima metà deglianni 90 e un valore oggi pari a 61,4,essa è attesa superare nel 2020 il li-vello dei primi anni 70 (65 anni) e rag-giungere i 66,8 nel 2060 (Grafico B).Nel confronto europeo, passeremo daessere il Paese con età di uscita dalmercato del lavoro tra le più basse(61,4 per gli uomini e 61,1 per ledonne, livelli inferiori solo a quelli diAustria e Francia) a uno di quelli conl’età più elevata al momento del ritirodal lavoro (66,8-66,7; tabella C).

Tabella C

Italia: pensionamento rinviato

(Età media effettiva di uscita dal mercato del lavoro)

Uomini Donne

2010 2060 2010 2060

Francia 60,1 62,7 60,1 62,7

Austria 61,3 62,5 60,2 62,3

Italia 61,4 66,8 61,1 66,7

Belgio 61,4 61,4 61,5 61,5

Polonia 61,8 64,0 58,6 60,7

Media Eurozona 62,2 64,4 62,0 64,4

Grecia 62,4 63,9 62,3 63,8

Spagna 62,5 65,0 63,7 65,5

Portogallo 63,4 64,7 63,7 64,6

Danimarca 63,6 65,4 62,1 65,1

Germania 63,9 65,1 63,1 64,9

Paesi Bassi 63,9 63,9 62,2 62,2

Regno Unito 64,2 65,3 62,9 65,3

Irlanda 64,4 64,4 65,8 65,7

Svezia 64,6 65,1 63,8 64,12010: età di uscita dal mercato del lavoro per lavoratori over 40 nel periodo1995-2010; 2060: previsioni per 2055-2060.Paesi ordinati (in senso crescente) in base all'età effettiva di uscita dal mer-cato del lavoro degli uomini nel 2010.Fonte: elaborazioni CSC su dati e stime Commissione Europea.

Page 103: Scenari economici 19

105

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

1.2 Le esogene della previsione

Nel terzo trimestre2013 la crescita del

commercio mondiale ha accelerato:+1,1%, dal +0,3% nel secondo. L’aumentoacquisito rispetto alla media del 2012 èpari a +2,0%. Nel complesso le prospettiveper i prossimi mesi restano positive, comeconferma la componente ordini esteri delPMI manifatturiero globale, salita in no-vembre a 52,8 (massimo da marzo 2011) ein area espansiva da marzo scorso.

I dati positivi del terzo trimestre e le in-dicazioni di accelerazione nei prossimimesi determinano, pur in presenza diun’incertezza ancora elevata, uno sce-nario del volume degli scambi globali inleggero miglioramento rispetto alla pre-visione CSC di settembre: +2,5% nel2013 (da +2,1%) e +4,6% nel 2014 (da+4,4%; Tabella 1.8). Nel 2015 il commercio mondiale tornerà a crescere ai ritmi di lungo pe-riodo (+5,8%, pari al tasso di crescita medio annuo tra il 1991 e il 2012), sebbene al di sottodi quelli nel periodo di massima espansione (+6,9% tra il 2003 e il 2008).

La dinamica seguita dalle quantità di beniscambiate internazionalmente dal 2008 inpoi ha determinato la brusca interruzionedel forte aumento del grado di aperturadel sistema economico globale, misuratodal rapporto fra commercio e PIL mon-diali; dopo la caduta nel 2009 il rimbalzonel biennio 2010-2011 non è stato suffi-ciente a recuperare né i livelli né tanto-meno il trend pre-crisi. Nello scenarioprevisivo CSC, il peso del commerciomondiale sul PIL globale aumenterà gra-dualmente nel biennio 2014-2015, avvici-nandosi al livello del 2007 (Grafico 1.24).

Commercio mondiale

in accelerazione Tabella 1.8

Le esogene internazionali della previsione

(Variazioni percentuali)

2012 2013 2014 2015

Commercio mondiale 2,0 2,5 4,6 5,8

Prezzo del petrolio1 112,0 108,7 103,0 105,0

Prodotto interno lordo

Stati Uniti 2,8 1,8 2,9 3,2

Area euro -0,6 -0,4 1,0 1,4

Paesi emergenti 4,9 4,5 5,0 5,2

Cambio dollaro/euro2 1,29 1,33 1,35 1,35

Tasso FED3 0,25 0,25 0,25 0,31

Tasso di interesse

a 3 mesi USA3 0,43 0,27 0,24 0,30

Tasso BCE3 0,88 0,56 0,25 0,25

Tasso di interesse

a 3 mesi Area euro3 0,57 0,22 0,15 0,15

1 Dollari per barile; 2 livelli; 3 valori percentuali.Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati Eurostat, FMI, CPB.

Grafico 1.24

Il peso del commercio mondiale lontano dal trend

(Dati in volume, in % del PIL mondiale)

* Previsioni CSC.Fonte: elaborazioni CSC su dati CPB e FMI.

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20

13*

2014

* 20

15*

Commercio di beni Trend 1990-2007

Page 104: Scenari economici 19

Nel ventennio 1990-2010 le variazioni degli scambi internazionali sono state molto piùampie di quelle del PIL, sia in aumento (il caso prevalente) sia in riduzione, di un fattoredi circa 2,3 (cioè per ogni punto percentuale di variazione del PIL mondiale, il commercioglobale è variato del 2,3%). Ciò è dovuto alla crescente integrazione internazionale delleproduzioni attraverso la costituzione di catene globali del valore, che è uno dei fenomenidella globalizzazione, ma è anche spiegato dal fatto che la domanda di gran parte dei pro-dotti oggetto degli scambi internazionali è più sensibile della media alle variazioni del red-dito. Questa sensibilità (o elasticità) spiega completamente la caduta verticale delcommercio mondiale all’inizio della crisi.

La lunghezza del periodo di minor aumento degli scambi mondiali, però, potrebbe ancheessere un segnale dell’avvio di una nuova fase della globalizzazione, successiva a quella cheha portato a intensi processi di delocalizzazione o multi-localizzazione all’estero tra la finedegli anni 90 e la prima metà degli anni 2000. Un ulteriore indizio di ciò è visibile nella di-namica degli IDE, che dal 2007 (anno di picco dei flussi di IDE nel Mondo) al 2012 sono di-minuiti del 7,6% medio annuo. La contrazione degli IDE sembra essere continuata nellaprima metà del 2013: in USA si è registrato un -22% rispetto ai primi sei mesi del 2012. Unaspiegazione di questo andamento può essere rintracciata nel fatto che molti dei vantaggicompetitivi dei paesi emergenti dal lato del costo di produzione, e del lavoro in particolare,si stanno attenuando e contemporaneamente si rileva una discesa dei prezzi dell’energia neipaesi avanzati. Anche se questo dovrebbe redistribuire i flussi di IDE e non farli calare.

Permane come ri-schio al ribasso della

previsione sul commercio mondiale ilmaggior ricorso al protezionismo, so-prattutto nelle sue forme occulte, non fa-cilmente rintracciabili e quantificabili.Nonostante i reiterati appelli e i solenniimpegni assunti nei vertici internazio-nali, da una recente analisi del GlobalTrade Alert emerge che il varo di misureprotezionistiche è più diffuso tra i paesidei G-20 (Grafico 1.25). Nel 2013, se-condo una stima del Global Trade Alert, iltotale degli interventi protezionistici èrisultato in linea a quello del 2012. Lemisure adottate riguardano sia un aumento dei sussidi diretti alle esportazioni e dei dazisulle importazioni sia soprattutto interventi molto più difficili da monitorare, sebbene ab-

106

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Continua il rischio

protezionismoGrafico 1.25

Il protezionismo avanza, tirato dai G-20

(Numero di misure protezionistiche attuate)

* Stima Global Trade Alert.Fonte: elaborazioni CSC su dati Global Trade Alert.

0

100

200

300

400

500

600

700

2009 2010 2011 2012 2013*

Non G-20 G-20

Page 105: Scenari economici 19

biano ugualmente un effetto distorsivo sulla competizione internazionale. Per fare un esem-pio apparentemente distante da questioni di commercio internazionale, il diverso modo incui nei vari paesi vengono caricati sulla collettività i costi dei sussidi alle fonti energeticherinnovabili crea vantaggi o svantaggi competitivi enormi; un aspetto su cui l’armonizza-zione nell’Unione europea è molto lontana da essere raggiunta e ciò inficia il concetto stessodi mercato unico.

Nell’ambito della cooperazione internazionale, inoltre, dopo il fallimento del Doha Round, è au-mentato il ricorso a negoziazioni bilaterali, le quali, sebbene abbiano un effetto positivo per ilcommercio tra i paesi coinvolti, producono anche fenomeni di deviazione dei flussi commer-ciali a scapito dell’efficiente allocazione delle risorse. L’accordo multilaterale firmato a Bali in di-cembre potrebbe dar nuova forza al ruolo globale del WTO, pur avendo un campo di azione perora limitato alla facilitazione burocratica degli scambi internazionali.

Durante la lungacrisi si sono molto

ridotti gli squilibri nei conti con l’esterodei principali protagonisti del commer-cio mondiale: gli Stati Uniti, maggioredebitore estero, e la Cina, principale cre-ditore, hanno molto diminuito i saldidelle loro bilance correnti (Grafico 1.26).Il deficit di parte corrente americano insei anni si è dimezzato (dal 4,9% del PILnel 2007 al 2,4% nei primi sei mesi del2013); il surplus cinese è sceso a meno diun quarto, passando da più del 10% delPIL nel 2007 al 2,3% nel 2012 (+2,4% nel2013 la stima dell’FMI).

L’aggiustamento degli Stati Uniti è stato favorito all’inizio della crisi dalla riduzione delleimportazioni, determinata dalla debolezza della domanda interna, e in seguito dalla buonadinamica delle esportazioni. In Cina la forte crescita economica ha contribuito ad alimen-tare le importazioni sia di beni intermedi incorporati in prodotti venduti all’estero, all’in-terno delle catene globali del valore, sia, più recentemente, per effetto dell’aumento delladomanda interna.

La riduzione del surplus corrente giapponese (dal 4,9% del PIL nel 2007 all’1,0% nel 2012) èstata determinata dal deterioramento del saldo commerciale, che dal 2011 è negativo (-1,4%del PIL nel 2012); non accadeva dal 1980.

107

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Conti con l’estero

meno squilibratiGrafico 1.26

I conti con l'estero verso l'equilibrio in alcuni paesi e...

(Saldo di conto corrente in % del PIL)

* Stime FMI e Commissione europea.Fonte: elaborazioni CSC su dati FMI ed Eurostat.

-12

-8

-4

0

4

8

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2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

* Cina Giappone Stati Uniti

Italia Spagna

Page 106: Scenari economici 19

Nei paesi dell’Area euro coesistono realtàe soprattutto dinamiche differenti. I paesiin deficit, per lo più i “periferici”, stannomigliorando i conti con l’estero, mentre ipaesi in surplus, cioè quasi tutti i core,mantengono elevati attivi. L’asimmetriadell’aggiustamento contribuisce ad ali-mentare tensioni politiche e sociali, creauna deriva deflazionistica e mantiene in-variato lo squilibrio dell’Area euro nei con-fronti del resto del Mondo. In particolare,l’Italia e la Spagna sono tornate in attivonelle partite correnti grazie alla forte ridu-zione delle importazioni, a cui si aggiungela buona performance delle esportazioni;allo stesso tempo la Germania e i Paesi Bassi hanno conservato un ampio surplus, tanto che a no-vembre la Commissione europea ha avviato un’indagine su tale squilibrio (Grafico 1.27).

I paesi in surplus traggono vantaggio anche da un tasso di cambio più debole rispetto a quelloche avrebbero con un’ipotetica valuta nazionale, proprio perché l’euro rappresenta un’areamonetaria eterogenea. Secondo stime Morgan Stanley, il tasso di cambio di equilibrio per laGermania è pari a 1,53 dollari per euro, sensibilmente più alto di quello attuale (1,37).

Per favorire una ripresa più robusta ed equilibrata dell’Area euro è auspicabile che i paesiin surplus attuino politiche espansive della domanda interna, così da sostenere anche leimportazioni dai paesi periferici.

Il PIL dell’Area euroè aumentato di ap-

pena lo 0,1% congiunturale nel terzo tri-mestre 2013, un ritmo più basso diquello registrato nel secondo (+0,3%,Grafico 1.28). In valore assoluto, si situaal di sotto del picco pre-crisi di inizio2008 (-3,0%) e del livello di un annoprima (-0,4%). La variazione finora ac-quisita per il 2013 è di -0,5%. Molto dif-ferenziata è risultata la performance deimaggiori paesi dell’area: è continuatal’espansione in Germania (+0,3%, dal

108

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.27

...in altri no

(Saldo di conto corrente in % del PIL)

* Stime Commissione europea.Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

-8

-4

0

4

8

12

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013*

Germania Irlanda Paesi Bassi Regno Unito Francia

Nell’Area euro

partenza a rilento…Grafico 1.28

Parte debole la ripresa nell'Eurozona

(PIL trimestrale, variazioni %)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

-6,0

-5,0

-4,0

-3,0

-2,0

-1,0

0,0

1,0

2,0

3,0

2008 2009 2010 2011 2012 2013

Congiunturali

Tendenziali

Page 107: Scenari economici 19

+0,7% del secondo trimestre); è ripartita, dopo ben nove trimestri negativi, la Spagna(+0,1%); è tornata a flettere la Francia (-0,1%, dopo il +0,5%). La nuova caduta del PIL fran-cese è essenzialmente dovuta all’andamento delle esportazioni (-1,5% sul secondo trime-stre) e alla diminuzione degli investimenti (-0,6%) ed è sintomatica delle difficoltàcompetitive dell’apparato produttivo francese.

In complesso, la ripresa sta continuando a ritmi lenti nell’ultimo quartodel 2013 e accelererà solo a poco a poco nei prossimi trimestri. Ciò gra-

zie a politiche fiscali meno restrittive (che diventeranno leggermente espansive nel 2015),mercati internazionali in crescita e bassa inflazione. In media d’anno, la variazione del PIL,ancora negativa quest’anno (-0,4%), tornerà positiva nel 2014 (+1,0%) e si consoliderà nel2015 (+1,4%). Tra i paesi periferici, migliorano le prospettive di Spagna, Portogallo e Irlanda.Si intensificano le difficoltà di alcuni paesi core, in particolare quelle di Francia e Olanda.

La modestia dei numeri riflette il solo parziale recupero di competitività di molti paesi, lepersistenti difficoltà di accesso al credito, specialmente nei paesi periferici, la forza del-l’euro e l’elevata disoccupazione. Il proseguimento della ripresa nel corso del 2014 resta,inoltre, appeso alle decisioni politiche sull’unione bancaria. Il mancato progresso versoquesto obiettivo avrebbe effetti devastanti sulla fiducia degli operatori, solleverebbe ten-sioni politiche e sociali e rischierebbe di vanificare gran parte dei sacrifici fin qui fatti sulfronte dell’aggiustamento dei conti pubblici. Le elezioni europee costituiscono un impor-tante test per le politiche seguite finora nell’affrontare la crisi.

Torna ad ampliarsi il divario tra i due maggiori paesi dell’area. In Fran-cia, in particolare, l’incertezza sulle politiche di bilancio indurrà le im-

prese a rinviare ulteriormente gli investimenti, già penalizzati dall’ampia capacitàinutilizzata, dai bassi margini e da prospettive di domanda molto incerte. I consumi sa-ranno frenati dalla debolezza del mercato del lavoro e dalla poca fiducia. L’aumento dellealiquote IVA previsto per gennaio 2014 potrebbe indurre molte famiglie ad anticipare gli ac-quisti con effetti positivi sulla crescita di fine 2013, ma negativi su quella di inizio 2014.

In Germania, i consumi dovrebbero, invece, accelerare grazie al buon andamento dell’oc-cupazione, ai consistenti aumenti salariali e a un clima di fiducia molto elevato. L’alto uti-lizzo della capacità produttiva (l’economia sta marciando a piena velocità) indurrà leimprese a investire in nuovi impianti e macchinari. Tra le aziende tedesche sale, però, lapreoccupazione per le possibili conseguenze dell’accordo tra i partiti di coalizione su re-golamentazione del mercato del lavoro ed energie rinnovabili. Temono che vengano vani-ficate alcune delle riforme del mercato del lavoro e del sistema di welfare che, adottate neiprimi anni 2000, hanno consentito al paese, nell’ultimo decennio, di acquisire un largo van-taggio di competitività rispetto ai partner europei.

109

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

…e resterà faticosa

Germania e Francia

più distanti

Page 108: Scenari economici 19

Per l’intera Area in novembre è nuova-mente salito, per il settimo mese consecu-tivo, l’indice del sentimento economicorilevato dalla Commissione, ora al livellopiù elevato da agosto 2011 (98,5 da 97,7;Grafico 1.29) e appena sotto la media dilungo periodo (100). È però scesa la fidu-cia tra i consumatori (a -15,4 da -14,5),dopo undici mesi consecutivi di incre-mento, a causa, principalmente, dell’ele-vata disoccupazione (12,1% della forzalavoro in ottobre) e della crescita conte-nuta del potere d’acquisto delle famiglie,per via della bassa dinamica dei salari edegli inasprimenti fiscali. Tra le imprese,il miglioramento della fiducia ha interessato tutti i settori, con la sola eccezione delle costru-zioni. Nel manifatturiero la fiducia è ormai stabilmente sopra il livello di lungo periodo. Neidue maggiori paesi, tuttavia, i dati sono alquanto contrastanti: continua a migliorare la Ger-mania, dove anche l’indice IFO sulla fiducia delle imprese è balzato a novembre a 109,3 (da107,4 in ottobre), ai massimi da aprile 2012, con la componente relativa alle aspettative in forteascesa. In controtendenza, invece, la Francia, in cui l’indice di sentimento economico è scesodi quasi un punto per il deterioramento della fiducia, sia tra le imprese sia tra le famiglie.

In dicembre l’indice PMI flash compositodi manifatturiero e servizi per l’Eurozonaè salito a 52,1 (da 51,7 in novembre), se-gnalando un’accelerazione, seppur mar-ginale, dell’attività, che viaggia comunquea ritmi moderati. Il PMI è salito nel mani-fatturiero (52,7 da 51,6), ma è sceso nei ser-vizi (51,0 da 51,2). Gli indici PMI flashconfermano la solidità dell’economia te-desca e le difficoltà di quella francese(Grafico 1.30). In Germania si confermal’espansione: in decisa salita il PMI mani-fatturiero (54,2 da 52,7), mentre deceleraquello dei servizi (54,0 da 55,7). In nettacontrazione, invece, i PMI in Francia. Il livello di attività nel manifatturiero si è ridotto ulte-riormente e a ritmi più rapidi che in novembre (indice a 47,1 da 48,4); nei servizi è calato ulte-

110

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.29

Area euro: la fiducia risale senza slancio

(Sentimento economico; indici 2005 = 100)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Commissione europea.

65

70

75

80

85

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100

105

110

115

120

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Germania

Francia

Area euro

Grafico 1.30

Germania e Francia a ritmi diversi

(Indice PMI composito, 50=nessuna variazione)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Markit.

30

35

40

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50

55

60

65

2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Francia

Germania

Page 109: Scenari economici 19

riormente, ai minimi da sei mesi (indice a 47,4 da 48,0). In complesso, i PMI confermano l’at-tuale debolezza e fragilità della ripresa nell’area.

Nei mercati immobiliari dell’Unione europea permangono forti squili-bri. In alcuni paesi l’aggiustamento dei prezzi delle case non è ancora

completato e costituisce, perciò, un fattore di ostacolo alla ripresa economica. Sia diretta-mente, deprimendo l’attività nelle costruzioni e nei servizi immobiliari, sia indirettamente,riducendo la ricchezza delle famiglie e frenando così la dinamica della spesa. Si tratta di unfattore di rischio dello scenario economico nella UE. Per questo motivo, tra gli indicatori disquilibrio macroeconomico (Macroeconomic Imbalance Procedure Scoreboard) elaborati dallaCommissione europea è inclusa la variazione del prezzo delle case.

Negli ultimi due anni la dinamica delle quotazioni immobiliari ha seguito percorsi diver-genti nei paesi europei. Dal terzo trimestre 2011 al terzo 2013, i prezzi sono diminuiti del14,4% in Spagna, del 12,6% nei Paesi Bassi, del 9,2% in Irlanda e del 3,0% in Francia; sonoaumentati, invece, del 5,6% nel Regno Unito e del 13,2% in Germania, ancora più che negliStati Uniti (+12,7%). In Italia, dal secondo trimestre 2011 al secondo 2013 (ultimo dato di-sponibile) le quotazioni si sono ridotte del 7,8%.

Nei paesi in cui i prezzi delle case sonoscesi di più si è ridotta, allo stesso tempo,anche la capacità di spesa delle famiglie,misurata dal reddito disponibile pro-ca-pite: dal secondo trimestre 2011 al se-condo 2013 è diminuita del 4,2% inSpagna, del 3,2% nei Paesi Bassi, del 2,7%in Irlanda e del 2,2% in Italia. Di conse-guenza, le quotazioni immobiliari in rap-porto al reddito delle famiglie (unrapporto che costituisce una misura dellapossibilità di comperare casa) si sono ri-dotte meno che in termini nominali. Illoro livello, sempre in relazione al red-dito, rimane nel terzo trimestre 2013sopra la media di lungo periodo nei PaesiBassi (+22,9%), in Spagna (+12,6%) e inItalia (+9,9% nel secondo 2013, ultimo dato disponibile); è invece sceso sotto la media in Irlanda(-7,5%), dove infatti il calo dei prezzi si è interrotto nel 2013 (Tabella 1.9). Un completo aggiu-stamento del settore immobiliare richiede, quindi, un’ulteriore riduzione dei prezzi, soprat-tutto nei Paesi Bassi, tanto più forte quanto meno rapida è la ripresa dei redditi delle famiglie.

111

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

In Europa prezzi

delle case ancora alti

Tabella 1.9

Case: prezzi ancora in correzione in molti paesi europei

(Rapporto prezzo/reddito; media di lungo periodo=100)

2000 2007 3° trimestre

2013*

Francia 82,9 136,1 129,1

Regno Unito 93,1 147,3 125,1

Paesi Bassi 125,7 149,6 122,9

Spagna 94,1 161,5 112,6

Italia 84,3 116,2 109,9

Irlanda 109,5 160,2 92,5

Stati Uniti 90,0 107,2 86,2

Germania 95,0 77,0 83,6

Giappone 92,3 71,4 59,8* Secondo trimestre 2013 per l'Italia.Fonte: elaborazioni CSC su dati OCSE ed Eurostat.

Page 110: Scenari economici 19

Le quotazioni delle case, sempre in rapporto al reddito disponibile procapite, sono moltoalte in Francia (+29,1% rispetto alla media di lungo periodo) e nel Regno Unito (+25,1%):in questi paesi, quindi, è ancora presente il rischio di una caduta dei prezzi. In Germania,al contrario, il livello delle quotazioni rimane del 16,4% sotto la media di lungo periodo, no-nostante il recente aumento in termini nominali, anche grazie a una dinamica favorevoledei redditi delle famiglie (+4,4% in termini procapite dal secondo trimestre 2011 al secondo2013): la crescita dell’attività immobiliare è, quindi, robusta e continuerà a sostenere l’eco-nomia tedesca.

L’Europa emergente ha risentito degli effetti della crisi dell’Eurozonavia minori esportazioni e disponibilità di credito, essendo il sistema

bancario di proprietà per lo più di istituti dell’Area euro. Sperimenterà una moderata ri-presa proprio in virtù del lento recupero dell’Euroarea, iniziato nel secondo trimestre 2013,e del ritorno a condizioni di accesso al credito più favorevoli. La crescita accelererà dal+1,4% nel 2012 al +2,3% nel 2013, fino al +2,7% nel 2014 e al +3,3% nel 2015. Tuttavia, le di-namiche saranno molto differenti all’interno dell’area. Russia e CSI freneranno dal 3,4%del 2012 al 2,0% nel 2013 per la debolezza della domanda estera di commodity e degli in-vestimenti interni; il graduale recupero globale e la stabilizzazione del prezzo del petroliopermetteranno l’accelerazione sopra al 3,0% nel 2014 e 20151. La crescita sarà più sostenutanelle economie esportatrici nette di energia: il Kazakistan crescerà di oltre il 5,0%.

In Polonia il PIL, dopo la frenata nella prima metà dell’anno (+0,7%annuo dal +1,9% nel 2012), ha accelerato nel terzo trimestre (+1,9%)

grazie non solo alle esportazioni nette, che continuano a essere il principale sostegno all’e-spansione dell’economia, ma soprattutto al ritorno alla crescita degli investimenti (+0,6%)e dei consumi delle famiglie (+1,0%), dopo rispettivamente quattro e cinque trimestri con-secutivi di contrazione. Il PMI manifatturiero in novembre ha segnato la quinta espansioneconsecutiva e la più robusta da aprile 2011 (54,4). Gli ultimi dati di produzione industriale(+4,4% annuo in ottobre, dal +5,0% medio del terzo trimestre) e vendite al dettaglio (+3,2%in ottobre dal +3,9% in settembre) suggeriscono che il recupero continuerà nel quarto tri-mestre. Il CSC stima che il 2013 si chiuderà con un +1,3% per il PIL; il 2014 registrerà un in-cremento del 2,5% e il 2014 del 2,9%.

In Russia, che contribuisce per il 3,0% alla formazione del PIL mondiale espresso in PPA eper il 6,0% a quello degli emergenti, dopo il +3,4% del 2012 il PIL rallenta, secondo le stime

112

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Europa emergente:

crescita disomogenea

Frenano Polonia

e Russia,...

1 I paesi emergenti europei sono, secondo la classificazione dell’FMI: Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croa-zia, Kosovo, Lettonia, Lituania, Macedonia, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Turchia e Ungheria. Il CSC con-sidera nell’aggregato anche i paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI): Armenia, Azerbaijan, Bielorussia,Georgia, Kazakistan, Kyrgikistan, Moldavia, Mongolia, Russia, Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina, Uzbekistan. Tradi essi sono esportatori netti di energia: Azerbaijan, Kazakistan, Russia, Turkmenistan e Uzbekistan.

Page 111: Scenari economici 19

del CSC, all’1,4% nel 2013, a causa della debolezza della domanda estera di prodotti ener-getici e degli investimenti interni, per poi riaccelerare al 2,4% nel 2014 e al 2,8% nel 2015 gra-zie alla ripresa dell’Eurozona e all’implementazione di un nuovo programma diinvestimenti pubblici su progetti infrastrutturali. Si tratta per la Russia di un rallentamentostrutturale. Nelle previsioni del Ministero dell’economia russo, allo stato delle cose, cioèesaurito il rialzo di prezzi energetici pre-crisi e senza che vengano intraprese le riformestrutturali da tempo invocate per rilanciare la competitività del paese e attivare investi-menti interni e dall’estero, la crescita media annua fino al 2030 non sarà superiore al 2,5%,poco più di un terzo di quella sperimentata nel periodo 2000-2007 (7,2%).

Il PIL russo è salito dell’1,2% annuo nelterzo trimestre 2013 e dell’1,3% nei priminove mesi dell’anno, sostenuto dai con-sumi privati, che stanno però decele-rando: da gennaio a ottobre 2013 levendite nominali al dettaglio sono cre-sciute del 10,7% medio annuo (+12,1%nello stesso periodo del 2012 e +9,4% inottobre; Grafico 1.31). La produzione in-dustriale in ottobre si è contratta dello0,1% (+0,3% in settembre) ed è rimastainvariata nei primi 10 mesi dell’anno(+2,9% annuo da gennaio a ottobre2012). Segnali positivi arrivano dal PMIdei servizi che in novembre ha toccato ilmassimo da aprile 2013 (52,9), mentre il PMI manifatturiero è tornato a indicare contrazionedell’attività (49,4), dopo un solo mese in area di espansione (51,8 in ottobre; 49,3 la media delterzo trimestre). Per il rilancio dell’economia, e soprattutto dei consumi, non è possibile ta-gliare i tassi, perché la Banca centrale punta a riportare l’inflazione (6,5% annuo in novem-bre) all’interno della banda obiettivo del 5-6% per il 2013 e del 5% per la fine del 2014.

Il PIL turco è cresciuto del 4,0% su base annua nel corso dei primi tretrimestri del 2013, accelerando rispetto al +2,2% del 2012. L’espansione

nel terzo trimestre (+4,4%) è stata supportata dalla robusta performance della domandainterna, avvantaggiata dalla politica monetaria restrittiva ma non aggressiva della Bancacentrale: +4,8% i consumi privati (+5,3% nel primo semestre) e +6,0% gli investimenti fissilordi (+3,3%); giù, invece, le esportazioni: -2,2% (+2,4% nel primo semestre). Il CSC stimache l’anno finirà con una crescita del 3,6%, con un’accelerazione al 3,8% nel 2014 e al 4,3%nel 2015. Nell’orizzonte di previsione gli investimenti continueranno a fornire un impor-

113

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.31

In Russia rallentano anche i consumi

(Variazioni % annue, medie mobili a 3 termini, dati mensili)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Reuters.

-10,0

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

-3,0

0,0

3,0

6,0

9,0

12,0

15,0

18,0

2011 2012 2013

Produzione (volume) Vendite al dettaglio Esportazioni (scala destra)

...accelera

la Turchia...

Page 112: Scenari economici 19

tante contributo, mentre la modesta frenata dei consumi sarà compensata dall’attesa ri-presa della domanda di esportazioni dall’Europa e dal Medio Oriente.

Gli ultimi dati congiunturali danno indicazioni positive: +0,7% annuo la produzione in-dustriale in ottobre (+4,0% nel terzo trimestre e +3,0% nei primi nove mesi del 2013) e 55,0il PMI manifatturiero in novembre, ai massimi da marzo 2011, grazie soprattutto alla com-ponente nuovi ordini esteri, ai massimi da 22 mesi (54,7). I punti deboli dell’economia turcarestano l’inflazione (7,3% annuo in novembre, da 7,7%), attesa rimanere ben al di sopra deltarget del 5% nel corso dei prossimi due anni, e il deficit corrente, che è previsto dall’OCSEaumentare al 7,1% del PIL nel 2013 (dal 6,0% nel 2012) e ha causato, insieme alle tensionipolitiche verificatesi nei mesi estivi, l’indebolimento della lira turca. La politica non suffi-cientemente aggressiva delle autorità monetarie turche non favorisce un più veloce rientrodel deficit di partite correnti e la fuoriuscita di capitali, che potrebbe scaturire dall’atte-nuazione del quantitative easing americano, resta un rischio elevato.

I mercati emergenti dell’Europa centrale, accomunati dall’elevato con-tributo dell’export alla crescita e dalla debolezza della domanda in-

terna, stanno sperimentando nel corso del 2013 una moderata ripresa grazie alla fine dellarecessione nell’Eurozona e non cambieranno con decisione passo nell’orizzonte di previ-sione. In Ungheria, uscita dalla recessione nel 2° trimestre 2013 grazie alla politica mone-taria molto espansiva iniziata nell’aprile 2012, il PIL ha accelerato nel terzo trimestre (+1,7%annuo, da +0,5%) e registra una crescita dello 0,7% nel 2013 che salirà all’1,8% nel 2014. LaRomania ha sperimentato nei primi nove mesi del 2013 un incremento annuo del PIL del2,7%, grazie al +19,1% delle esportazioni, a fronte di modesto +0,2% dei consumi privati;il PIL sale del 2,2% nel 2013 accelerando poi al 2,4% nel 2015. In Bulgaria il recupero saràpiù lento per il ritardo con cui la domanda interna risponde al dinamismo delle esporta-zioni: nel 2013 la crescita rimane al di sotto dell’1,0% e salirà all’1,5% nel 2014.

I Balcani sono l’area europea in cui il rilancio risulterà più graduale. Il PIL della Croazia, alquinto anno di recessione, si è contratto per l’ottavo trimestre consecutivo nel terzo trime-stre 2013 (-0,6% su base annua) e diminuirà dello 0,7% nell’intero 2013; tornerà a espandersidello 0,5% nel 2014 e dell’1,2% nel 2015.

Continueranno a correre le repubbliche baltiche: in Lettonia il PIL ha mostrato anche nelterzo trimestre 2013 la più forte variazione annua all’interno dell’UE (+4,5%) e crescerà in-torno al 4% nel 2013 e nel 2014. La dinamica sarà leggermente più contenuta ma comun-que robusta in Lituania (+3,4% nel 2013, +3,6% nel 2014 e +3,9% nel 2015).

Nel terzo trimestre 2013 il PIL USA è aumentato a un tasso congiuntu-rale annualizzato del 3,6%, in ulteriore forte accelerazione rispetto al 2,5%

del trimestre precedente (Grafico 1.32). La crescita, maggiore dell’atteso, è stata significati-

114

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

...e corrono

le repubbliche baltiche

È solida

la ripresa USA

Page 113: Scenari economici 19

vamente influenzata da un considere-vole contributo delle scorte (1,7 puntipercentuali). Hanno rallentato i consumidelle famiglie (+1,4%, dal +1,8% del 2°trimestre) e anche gli investimenti nonresidenziali (+3,5%, da +4,7%), frenatidalla stagnazione della spesa per mac-chinari e attrezzature. Sono continuati,invece, a ritmi sostenuti, gli investimentiin fabbricati residenziali (+13,0%), in unmercato immobiliare in ulteriore espan-sione. È tornato leggermente positivo,dopo due trimestri negativi, il contributodel settore estero (+0,1%), con esporta-zioni (+3,7% da +8,0%) e importazioni (+2,7% da +6,9%) in forte decelerazione rispetto al tri-mestre precedente.

La crescita del PIL è attesa continuare, seppur a ritmi più moderati, nel quarto trimestre. Pe-seranno sull’attività economica degli ultimi mesi dell’anno gli effetti negativi dei sedicigiorni di shutdown del governo federale in ottobre, probabilmente minori di quanto ini-zialmente preventivato. Qualche decimo di punto alla crescita dell’ultimo quarto dell’annopotrebbe, inoltre, essere sottratto da un possibile decumulo di scorte, qualora il loro livelloattuale si rivelasse superiore a quello giustificato dalle aspettative di domanda degli ope-ratori. Nel 2013, il PIL registra una dinamica media annua pari a +1,8%. Sospinta dall’ac-celerazione di consumi e investimenti, la ripresa USA riprenderà vigore a inizio 2014,raggiungendo un tasso di crescita tendenziale del 3% nel quarto trimestre. In media d’anno,il PIL degli Stati Uniti salirà del 2,9% nel 2014 e del 3,2% nel 2015, ben sopra, quindi, alritmo potenziale stimato dall’OCSE (2,5%).

L’ipotesi di accelerazione dell’economia americana a partire da inizio2014 si basa innanzitutto sul presupposto che il Senato americano rati-fichi l’accordo sul budget federale raggiunto alla Camera. Occorre inol-

tre un’intesa sull’innalzamento del tetto del debito. Tuttavia, solo il varo di un piano credibiledi rientro graduale dal deficit scongiurerà il ritorno dell’incertezza nel medio-lungo periodo.Ciò rafforzerebbe la fiducia, già sostenuta dai miglioramenti dei fondamentali per consumie investimenti. È sensibilmente aumentata, infatti, la capacità di spesa delle famiglie, in ter-mini sia di reddito disponibile sia di ricchezza. Oltre all’aumento dei salari, peraltro ancoracontenuto (+2,0% quelli orari in novembre rispetto a un anno prima), il potere d’acquistodelle famiglie è sostenuto dal calo dell’inflazione (1,5% in ottobre, da 2,0% a settembre). Il

115

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.32

Si consolida la crescita negli Stati Uniti

(PIL trimestrale, variazioni %)

Fonte: elaborazioni CSC su dati BEA.

-9,0

-7,0

-5,0

-3,0

-1,0

1,0

3,0

5,0

2008 2009 2010 2011 2012 2013

Congiunturali annualizzate

Tendenziali

Migliorano

le prospettive

per i consumi…

Page 114: Scenari economici 19

prezzo della benzina, in particolare, èsceso di quasi 50 centesimi al gallone dainizio marzo (-13,0%). Si stima che, inbase alle caratteristiche della spesa dellefamiglie nel 2012, ogni 10 centesimi diminore costo della benzina lasci circa 10miliardi di dollari a disposizione dellefamiglie. Il maggiore sostegno al redditoverrà, tuttavia, dall’occupazione: nel set-tore non agricolo è aumentata di 203milaunità in novembre (+189mila al mese inmedia nell’ultimo anno); è attesa seguirecon uno o due trimestri di ritardo l’acce-lerazione del PIL (Grafico 1.33).

È molto migliorata anche la situazione finanziaria delle famiglie, grazie al ridimensiona-mento del loro debito (tornato, in rapporto al reddito disponibile, ai livelli di fine 2002) eal calo degli esborsi per interessi, scesi ai minimi storici. Si è in larga parte ricostituita la ric-chezza sia finanziaria, con il recupero dei corsi azionari (+25% circa l’indice S&P500 da ini-zio anno), sia quella immobiliare, con i prezzi delle case aumentati di oltre il 16% nel corsodel 2013 (+1,0% in settembre su agosto).

Nonostante l’anda-mento dei profitti

estremamente favorevole, gli investi-menti non hanno ancora mostrato tassidi crescita soddisfacenti. Se, infatti,quelli in strutture residenziali sono au-mentati a un ritmo medio superiore al13% annualizzato nei primi tre trimestri2013, gli investimenti produttivi sonoancora sotto il livello del primo trime-stre 2008 e ben lontani dai valori pre-crisi in rapporto al PIL (Grafico 1.34). Leragioni di un aumento così modestosono diverse, non ultima la capacità inu-tilizzata presente nel sistema. Ha, inol-tre, pesato sulle decisioni di spesa delle imprese l’incertezza sulla solidità della ripresa.Tutto ciò ha avuto un impatto negativo anche sugli investimenti in capitale umano e por-

116

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

…e per

gli investimenti

Grafico 1.33

USA: sulla scia del PIL sale l'occupazione...

(Variazioni % tendenziali)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Reuters.

-6,0 -5,0 -4,0 -3,0 -2,0 -1,0 0,0 1,0 2,0 3,0 4,0 5,0 6,0

1990

19

91

1992

19

93

1994

19

95

1996

19

97

1998

19

99

2000

20

01

2002

20

03

2004

20

05

2006

20

07

2008

20

09

2010

20

11

2012

20

13

Occupati - settore non agricolo PIL

Grafico 1.34

...e si rafforzano gli investimenti

(Investimenti non residenziali, dati destagionalizzati)

Fonte: elaborazioni CSC su dati BEA.

10,5

11,0

11,5

12,0

12,5

13,0

13,5

14,0

1.400

1.500

1.600

1.700

1.800

1.900

2.000

2.100

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Miliardi di dollari 2009annualizzati In % del PIL (scala destra)

Page 115: Scenari economici 19

tato al rinvio di assunzioni di manodopera. Il graduale diradarsi di questi ostacoli consen-tirà un più forte slancio degli investimenti nei prossimi anni. Vanno in questa direzioneanche i dati rilevati a novembre dagli indici ISM, che vedono il settore manifatturiero in ac-celerazione (57,3 da 56,4) e quello dei servizi sempre in espansione (53,9 da 55,4).

L’economia nippo-nica nel terzo 2013 è

cresciuta per il quarto trimestre conse-cutivo, ma ha rallentato molto: +1,1%congiunturale annualizzato il PIL, dopoil +3,6% nel secondo e il +4,5% nelprimo (Grafico 1.35).

Positiva la performance di tutte le com-ponenti della domanda meno le espor-tazioni (-2,4%), che si sono contrattedopo due trimestri di espansione acausa di una domanda estera debole,specialmente nei mercati emergentiasiatici. Il contributo alla crescita degliinvestimenti pubblici (1,2 punti percen-tuali) e dell’accumulo di scorte (0,7),sono stati compensati da quello negativo delle esportazioni nette (-1,9). Piatti gli investi-menti delle imprese e in forte rallentamento i consumi privati (+0,8% da +2,7%), per il pro-gressivo trasferimento dell’aumento dei prezzi dai beni importati a quelli domestici e lafiacca dinamica di salari e quotazioni azionarie. I consumi delle famiglie sono previsti riac-celerare nel quarto 2013, prima cioè che scatti l’aumento della tassa sui consumi dal 5%all’8% deliberato in ottobre. Nel 2014 il rilancio delle esportazioni, favorito da deprezza-mento dello yen e ripresa del commercio mondiale, controbilancerà solo in parte la frenatadella spesa delle famiglie e di quella pubblica, per la conclusione della ricostruzione post-terremoto. Il paese crescerà al 2,0% nel 2013, per poi rallentare all’1,4% nel 2014 e all’1,2%nel 2015.

Gli indicatori congiunturali segnalano un’attività vivace nel quarto trimestre: in novem-bre il PMI manifatturiero ha toccato il massimo da luglio 2006 (55,1), trainato dalle com-ponenti produzione (59,0; massimo da settembre 2009) e nuovi ordini interni (58,4; massimofebbraio 2006) ed esteri (57,2; massimo da giugno 2010), mentre hanno rallentato dai mas-simi assoluti segnati in ottobre il PMI dei servizi (51,8 da 55,3) e quello composito (54,0 da56,0). A ottobre sono cresciute la produzione industriale (+1,0% mensile, da +1,2%) e leesportazioni in volume (+2,5%, da -1,1%), mentre è risultata piatta la dinamica dei con-

117

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.35

Il Giappone rallenta

(PIL, variazioni %, dati trimestrali destagionalizzati)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Cabinet Office.

-20,0

-15,0

-10,0

-5,0

0,0

5,0

10,0

15,0

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Congiunturali annualizzate

Tendenziali

Giappone a bassi giri

Page 116: Scenari economici 19

sumi delle famiglie (da +1,6%). L’indice azionario Nikkei in novembre, sostenuto dallanuova debolezza dello yen, ai minimi da sei mesi sul dollaro, ha toccato il massimo di chiu-sura da dicembre 2007.

La lotta alla deflazione in Giappone continua con successo: l’indice coredei prezzi al consumo (che esclude i beni alimentari ma non l’energia)

è cresciuto dello 0,9% annuo in ottobre, segnando la quinta variazione positiva consecutivae la più forte da novembre 2008. L’indice che esclude anche i beni energetici ha registratola prima variazione annua positiva da ottobre 2012 (+0,3%). La prossima sfida da vincereper il Governo Abe è l’equilibrio tra la crescita e il consolidamento delle finanze pubbliche:dopo l’aumento della pressione fiscale indiretta, l’Esecutivo nipponico ha annunciato unpacchetto di stimoli che prevede spese addizionali per 40 miliardi di euro e che dovrebbecompensare gli effetti negativi sui consumi del nuovo regime fiscale. La decisione di al-zare ancora la tassa sui consumi dall’8% al 10% nell’ottobre 2015 dipenderà dalle condizionieconomiche del paese. Appaiono sempre più necessarie le riforme strutturali promesse dalterzo pilastro dell’Abenomics, ma ancora di là da venire.

Il PIL del RegnoUnito ha accelerato

ancora nel terzo trimestre 2013: +0,8%congiunturale (da +0,7% nel secondo e+0,4% nel primo; Grafico 1.36). La crescitaè ancora guidata dai consumi privati(+0,8% da +0,3% nel secondo trimestre),che sono aumentati per l’ottavo trimestreconsecutivo beneficiando della maggioreoccupazione e della fiducia dei consuma-tori ai massimi da 70 mesi in settembre.Le esportazioni nette hanno sottratto 0,9punti percentuali alla variazione del PIL acausa della deludente performance delleesportazioni (-2,4% da +3,0%), condizio-nate dalla modesta domanda interna del-l’Eurozona.

Continua il recupero del settore delle costruzioni, che è cresciuto di un ulteriore 1,7% nelterzo trimestre, dopo il +1,9% nel secondo (-1,3% il calo nel primo e -7,9% quello nell’intero2012). Nel quarto il relativo PMI ha segnato in novembre il massimo da agosto 2007 (62,4da 59,4 in ottobre). L’output industriale è cresciuto dello 0,1% nel terzo trimestre e dello0,4% mensile in ottobre (da +0,9%); l’indice PMI manifatturiero ha segnato in novembre

118

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

La deflazione

è alle corde

Regno Unito:

la ripresa si consolidaGrafico 1.36

Regno Unito: nuova accelerazione

(PIL, variazioni %, dati trimestrali destagionalizzati)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Office for National Statistics.

-8,0

-6,0

-4,0

-2,0

0,0

2,0

4,0

6,0

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Congiunturali

Tendenziali

Page 117: Scenari economici 19

l’espansione dell’attività più forte dal febbraio 2011 (58,4). Il contributo più importante allacrescita (0,5 punti percentuali) è stato fornito nel terzo trimestre ancora una volta dal set-tore dei servizi, che rappresenta il 75% dell’economia britannica, il cui PMI in novembre hacontinuato a indicare crescita sostenuta, pur scendendo a 60,0 da 62,5 in ottobre (massimoda maggio 1997). Sul fronte dei consumi la seconda frenata dell’indice di fiducia dei con-sumatori (-12 in novembre, da -11 in ottobre e -10 in settembre) e il calo delle vendite aldettaglio in ottobre (-0,7% mensile, da +0,6%) risentono di una crescita dei salari (0,7%annuo nel terzo trimestre) ancora al di sotto dell’inflazione (2,2% in ottobre) e ridimensio-nano le aspettative sulle prospettive dell’economia. Il PIL salirà dell’1,4% nel 2013 e acce-lererà al 2,2% nel 2014 e al 2,4% nel 2015.

Il recupero dell’economia britannica è il risultato di un mix tra le poli-tiche di austerità finanziaria e spending review perseguite dal Cancel-

liere Osborne e la serie di misure volte al sostegno dell’economia. Il taglio della corporate taxporterà l’aliquota fiscale sui redditi d’impresa dal 24% di inizio 2013 al 20% nel 2015. Il pro-gramma “Funding for lending”, lanciato da Banca d’Inghilterra e Tesoro nell’estate 2012 perfacilitare l’accesso al credito di imprese e famiglie, è stato prorogato fino a gennaio 2015 eda gennaio 2014 sarà ristretto solo alla concessione di prestiti alle piccole e medie impresee non più ai mutui ipotecari, la cui crescita ha alimentato nel 2013 anche quella dei prezzidelle case e risvegliato i timori per una nuova bolla immobiliare. La politica monetaria ac-comodante della Banca d’Inghilterra continuerà a sostenere l’economia: i tassi di interesserimarranno invariati all’attuale minimo storico dello 0,5% e il piano di acquisto di titolipubblici per 375 miliardi di sterline non sarà ridotto fino a che la disoccupazione non scen-derà al di sotto del 7,0%, il che non dovrebbe avvenire prima della metà del 2015.

La crescita dei paesiemergenti ha dece-

lerato nel corso del 2013, ma ci sonosegni di rilancio nel quarto trimestre: ilPMI composito ha segnato in novembrel’espansione dell’attività più robusta daotto mesi (52,1 da 51,7 in ottobre). ll CSCrivede al ribasso l’incremento del loroPIL al 4,5% nel 2013 e al 5,0% nel 2014 estima un +5,2% nel 2015 (Grafico 1.37).

La dinamica prevista, sebbene inferiorea quella registra negli anni Duemila finoalla crisi (6,6% medio annuo nel 2000-07), continuerà a essere nettamente su-

119

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Mix vincente:

austerità e più credito

Emergenti

in sorpassoGrafico 1.37

Negli emergenti crescita più vivace

(PIL reale, var. %, primi 7 paesi emergenti per pesosul PIL mondiale calcolato a PPA nel 2012)

Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati FMI.

0,0

2,0

4,0

6,0

8,0

10,0

12,0

Cin

a (1

4,7%

)

Ind

ia (5

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)

Rus

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(3,0

%)

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(2,8

%)

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(2,2

%)

Ind

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,4%

)

Turc

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(1,3

%)

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le e

mer

gent

i (4

9,6%

)

Media 2000-07 2012 2013 2014 2015

Page 118: Scenari economici 19

periore a quella dei mercati avanzati e fornirà un robusto traino all’economia mondiale.Tanto che dai nuovi mercati proverrà nell’orizzonte di previsione oltre il 70% della crescitaglobale e nel 2013 supereranno gli avanzati, contribuendo per la prima volta per più dellametà (50,4%, da 49,6% nel 2012) alla formazione del PIL mondiale calcolato a parità di po-teri di acquisto (PPA).

La revisione al ribasso delle stime del CSC, rispetto a quelle elaborate a settembre, scontala doppia sfida cui dovranno far fronte le economie emergenti. Da un lato l’aggiustamentofisiologico verso un potenziale di sviluppo più basso, dall’altro la mancanza di insufficientiriforme strutturali e la carenza di infrastrutture adeguate. Inoltre, le condizioni monetariesaranno meno favorevoli rispetto a quelle che finora hanno portato a un grande volume dicapitali in entrata nei mercati emergenti. La prossima riduzione del quantitative easing daparte della FED e, non prima della seconda metà del 2015, il probabile rialzo dei tassi ame-ricani rappresentano un rischio al ribasso per la crescita e la stabilità finanziaria di queipaesi, soprattutto se presentano importanti deficit delle partite correnti che li rendono mag-giormente dipendenti dal finanziamento estero.

L’Asia emergente produce poco più della metà del PIL degli emergenti calcolato in PPA econtribuirà per il 56,9% alla crescita mondiale nel 2013, nonostante il rallentamento dei duegiganti, Cina e India.

La Cina centrerà nel 2013 l’obiettivo esplicito di crescita del governo parial 7,5%. Secondo le stime del CSC il PIL cinese aumenterà del 7,6% que-st’anno per rallentare al 7,3% nel 2014 e al 7,0% nel 2015. Nel terzo tri-

mestre 2013 l’economia è cresciuta del 7,8% annuo grazie all’efficacia delle mini-misureespansive varate dal governo di Li Keqiang dopo il rallentamento al +7,5% nel secondo tri-mestre. La moderazione della velocità al di sotto della crescita media del periodo 2000-07(10,5%) è in parte fisiologica per un’economia che sta riducendo il gap con i paesi avanzati,per altro con una dinamica di crescita della popolazione in rallentamento, e che deve rie-quilibrare la struttura della domanda finale dagli investimenti ai consumi privati, ma è anchein parte dovuta a una riduzione del potenziale di crescita nell’economia globale post-crisi.

Gli ultimi indicatori congiunturali segnalano un miglioramento: il PMI manifatturiero innovembre ha indicato una moderata espansione dell’attività (50,8 da 50,9), grazie alle com-ponenti produzione (52,2) e nuovi ordini interni (51,7), ai massimi da otto mesi. La mode-sta espansione della componente ordini esteri (50,2 da 51,3) suggerisce che la crescitadell’attività è trainata dalla domanda interna. Il PMI dei servizi è rimasto in area di espan-sione per il quarto mese consecutivo (52,5 da 52,6), mentre quello composito è salito al mas-simo da aprile (52,3). Nei primi undici mesi del 2013 la produzione industriale è cresciutadel 9,7% annuo, con un +10,0% in novembre, da +10,3% in ottobre; le vendite al dettaglio

120

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Per la Cina

un potenziale

più basso…

Page 119: Scenari economici 19

del 13,0%, con un +13,7% a novembreche ha segnato la più elevata variazioneda inizio anno (Grafico 1.38). Le espor-tazioni in novembre sono salite del+12,7% annuo, rimbalzando rispetto al+5,6% di ottobre e al -0,3% di settembre;la performance, al di sopra delle attese,è stata guidata dall’accelerazione delladomanda di Stati Uniti ed Eurozona.

L’inflazione in no-vembre si è mante-

nuta al di sotto dell’obiettivo del 3,5%(3,0%), mentre i prezzi delle case hannoaccelerato ancora in ottobre (+9,6%annuo; +5,9% nei primi dieci mesi del-l’anno). I dati positivi del quarto trimestre e la preoccupazione per il surriscaldamento deiprezzi fanno escludere nuove manovre espansive nei prossimi mesi, anche se continue-ranno marginalmente gli effetti benefici di quelle annunciate nei mesi scorsi.

Il Plenum del Partito Comunista cinese ha deciso in ottobre la nuova agenda delle riformeeconomiche e sociali che dovranno permettere una crescita sostenibile nel prossimo de-cennio. Nelle parole del comunicato ufficiale il mercato dovrà assumere un ruolo decisivonell’allocazione delle risorse: le aziende statali dovranno diventare più profittevoli e tra-sferire allo Stato il 30% dei loro utili (attualmente 15%, da incrementare gradualmente);sarà consentito istituire banche private di piccole e medie dimensioni e verranno allentatii controlli sui tassi di interesse sui depositi bancari, attualmente soggetti al tetto imposto dalgoverno; verrà istituto uno schema di assicurazione sui depositi; sarà accelerata la conver-tibilità del renminbi e la riforma del tasso di cambio. Tra le riforme sociali avranno impor-tanti conseguenze per l’economia del paese quella che riguarda il sistema dell’hukou, lostatus di residente che ha finora posto un grande freno alla mobilità del lavoro sul territo-rio, e quella della politica del figlio unico: le coppie cinesi potranno avere due figli se unodei genitori è a sua volta figlio unico. Si tratta di una decisione che punta a uno sviluppobilanciato nel lungo termine della popolazione cinese, che sta rapidamente invecchiandoe che entro il 2050 sarà composta per un terzo da ultrasessantenni.

L’economia indiana è attesa accelerare gradualmente nell’orizzonte diprevisione, anche se la dinamica del PIL si manterrà ben al di sotto del

ritmo registrato nel periodo 2000-07 (+7,2%). Dopo la peggiore performance del PIL dal 1991messa a segno nel 2012 (+3,2%; i dati sono a prezzi di mercato e si riferiscono all’anno so-

121

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.38

Cina: l'export è più dinamico

(Variazioni % annue, medie mobili a 3 termini, dati mensili)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Reuters.

0,0

5,0

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25,0

30,0

35,0

5,0

8,0

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14,0

17,0

20,0

2011 2012 2013

Produzione (volume) Vendite al dettaglio Esportazioni (valore, scala destra)

…e una nuova

agenda di riforme

L’India riparte

dopo l’estate

Page 120: Scenari economici 19

lare), il CSC stima +3,9% nel 2013, +5,0% nel 2014 e +6,3% nel 2015. Nel terzo trimestre 2013la crescita del PIL ha accelerato al +5,6% annuo (da +2,4% nel secondo) grazie agli effettipositivi della buona stagione dei monsoni sulle produzioni agricola ed energetica e al forterecupero delle esportazioni (+16,3%, con 4,1 punti percentuali di contributo alla crescita);queste ultime sono tornate a salire, dopo tre trimestri consecutivi di contrazione, grazie alforte deprezzamento della rupia causato dalle turbolenze estive sui mercati finanziari.

Nel terzo trimestre il deficit delle partitecorrenti è diminuito all’1,2% del PIL(4,9% nel secondo trimestre), in seguitoall’introduzione di restrizioni alle im-portazioni di oro e al miglioramentodella dinamica delle esportazioni, che èproseguito in ottobre (+13,5% su baseannua) e novembre (+5,9%). La produ-zione industriale nei primi dieci mesi del2013 è cresciuta dello 0,7% annuo (-1,8%in ottobre), dall’1,1% nello stesso pe-riodo del 2012 (Grafico 1.39). Il PMI ma-nifatturiero è tornato in novembre interritorio espansivo (51,3 da 49,6), trai-nato da produzione e nuovi ordini in-terni, mentre sono rimasti al di sotto della soglia neutrale di 50 il PMI dei servizi (47,2 da47,1) e quello composito (48,5 da 47,5).

In futuro la crescita dell’economia dipenderà molto dalla capacità delle autorità indiane diconciliare il contrasto all’inflazione (7,5% su base annua in novembre, massimo da quattordicimesi) e al deprezzamento della rupia con gli obiettivi di contenimento del deficit commerciale(obiettivo fissato al 2,5% del PIL nel più breve tempo possibile, rispetto al 4,8% nel 2012) e diquello di bilancio (4,8% del PIL l’obiettivo del governo per il 2013 rispetto al 7,3% registratonel 2012). Tutto senza strozzare la ripresa appena avviata. La Banca centrale ha già alzato insettembre e ottobre il tasso di riferimento per un totale di 50 punti base (al 7,75%) e potrebbeintervenire ancora all’inizio del 2014 prima di riprendere il percorso di taglio dei tassi cheaveva avviato nei primi mesi del 2013. Le riforme strutturali per modernizzare il sistema ban-cario e aprirlo agli operatori esteri, sburocratizzare gli investimenti su progetti a lungo ter-mine, migliorare le infrastrutture e liberalizzare i mercati dovranno necessariamente essereportate a termine dal governo che uscirà dalle elezioni di maggio 2014, pena il declassamentodel debito sovrano, nuove fughe di capitali e l’ulteriore indebolimento della rupia.

122

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.39

India: l'export ridà fiato alla produzione

(Variazioni % annue, medie mobili a 3 termini, dati mensili)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Reuters.

-10,0

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10,0

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50,0

-2,0

0,0

2,0

4,0

6,0

8,0

10,0

2011 2012 2013

Produzione (volume)

Esportazioni (scala destra)

Page 121: Scenari economici 19

La crescita nelle altre economie emergenti asiatiche è sostenuta da unasolida domanda interna ma ha rallentato, a causa della debolezza di

quella estera, dal 6,2% nel 2012 al 5,0% quest’anno: riaccelererà al 5,4% nel 2014. La nuovafuoriuscita di capitali che potrebbe seguire alla riduzione del quantitative easing nei paesiavanzati resta un rischio al ribasso per i paesi dell’area. Anche l’Indonesia che, sostenutada una sempre brillante domanda interna, continua a essere l’economia più resistente dellaregione, ha gradualmente frenato nel 2013 (+5,6% annuo il PIL nel terzo trimestre da +5,8%nel secondo e +6,0% nel primo); manterrà un ritmo di crescita tra il 5,5% e il 6% annuo nel-l’orizzonte di previsione.

L’America Latina, che produce il 17,5% del PIL calcolato in PPA degliemergenti e contribuisce per l’8,0% all’aumento del PIL mondiale, ral-

lenterà nel 2013 a causa del contesto globale meno favorevole, con prezzi più bassi dellecommodity. Il PIL dell’area crescerà del 2,7% quest’anno, dal 2,9% nel 2012, e accelereràsopra il 3% nell’orizzonte di previsione grazie al rafforzamento atteso della domanda estera.

Il Messico, cresciuto nel 2012 del 3,6%, frenerà all’1,3% nel 2013 a causa del forte e inattesorallentamento nella prima metà dell’anno (+1,0% tendenziale il PIL) attribuibile alla sensi-bile riduzione della spesa pubblica e alla fiacca domanda degli Stati Uniti, destinataridell’80% dell’export messicano. Il ritmo di crescita accelererà nel 2014 al 3,0% e nel 2015 al3,5% grazie al recupero della domanda estera e ai primi effetti benefici delle riforme strut-turali in parte approvate alla fine 2012 e in parte in attesa di ratifica. Il PMI manifatturieroin novembre è salito al massimo da otto mesi (51,2), pur rimanendo al di sotto della mediadi lungo periodo (53,6).

La dinamica economica non sarà uniforme tra i paesi del Sud America. Il Cile ha rallentatonei primi tre trimestri del 2013 (+4,5% annuo il PIL da +5,3% nello stesso periodo del 2012)e crescerà tra il 4% e il 5% nell’orizzonte di previsione. Anche il Perù sta lentamente fre-nando: la crescita del terzo trimestre 2013 (+4,4% annuo) è stata la più bassa da 14 trime-stri per il rallentamento della domanda privata; il 2013 si chiuderà con una crescita del5,3% e per il 2014 è previsto un +5,7%. Il rallentamento più marcato si verificherà in Vene-zuela, condizionato da una produzione elettrica insufficiente e veicolata da una rete infra-strutturale inadeguata, controlli eccessivi sui mercati dei capitali e delle valute e un tassoatteso di inflazione per il 2014 del 46,9% annuo, molto più alto degli aumenti salariali. IlPIL crescerà dell’1,4% nel 2013 e del 2,0% nel 2014.

Il Brasile (2,8% del PIL mondiale in PPA e 5,6% del PIL emergenti) hachiuso il 2012 con un deludente +1,0%, molto al di sotto della media

pre-crisi (+3,5% nel 2000-07). Nei primi tre trimestri del 2013 i consumi privati e pubblicihanno guidato l’accelerazione al 2,4% annuo, con un +1,9% nel primo trimestre, un +3,3%

123

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Robusta la domanda

interna asiatica

America Latina:

frena il Messico

Brasile

al piccolo trotto

Page 122: Scenari economici 19

nel secondo e un +2,2% nel terzo. Il CSC stima che l’anno corrente terminerà con un +2,3%e il 2014 registrerà un’accelerazione al 2,8% grazie all’aumento degli investimenti e dellaspesa pubblica; l’incremento di quest’ultima sarà presumibilmente concentrato nella primaparte dell’anno, tenuto conto delle elezioni presidenziali in ottobre.

Gli indicatori congiunturali danno se-gnali contrastanti. In novembre il PMImanifatturiero è tornato in territorio re-cessivo (a 49,7 da 50,2) con la compo-nente nuovi ordini al di sotto dellasoglia neutrale per il quinto mese con-secutivo (49,3 da 49,9), mentre il PMI deiservizi ha segnato una moderata espan-sione dell’attività (52,3 da 52,1). La pro-duzione industriale è cresciuta dell’1,6%in media nei primi dieci mesi dell’anno,con un +1,0% in ottobre (da +1,9% insettembre) e le vendite reali al dettagliodel 4,0%, con un +5,3% in ottobre (da+4,1% in settembre); la fiducia dei con-sumatori è al di sotto della media di lungo periodo ormai da nove mesi (Grafico 1.40). Leattese di cambiamento della politica monetaria della FED hanno provocato la svalutazionedel real nei mesi estivi, ridando così slancio alle esportazioni (+4,9% annuo in ottobre e+5,0% in settembre, dal -0,9% medio da gennaio a ottobre) e alimentando l’inflazione (5,8%annuo in novembre e ottobre). Per contenere la dinamica dei prezzi, che insieme alla qua-lità e al costo del sistema del welfare pubblico minaccia la pace sociale, e mantenere la sta-bilità dei mercati finanziari la Banca centrale è intervenuta per ben sei volte tra aprile enovembre sul tasso ufficiale (+275 punti base cumulato, a 10,00%).

L’Africa sub-sahariana, che contribuisce per il 2,5% alla formazione delprodotto mondiale e per il 5,1% a quello dei nuovi mercati, è la regione

meno contagiata dal rallentamento globale. Nel 2012 il PIL dell’area è cresciuto del 4,9%,appena al di sotto del 5,0% nel 2011, e nell’orizzonte di previsione è atteso salire a un ritmotra il 5% e il 6% annuo, beneficiando della solida domanda interna nella gran parte deipaesi, sostenuta dagli investimenti in progetti infrastrutturali. Tra i rischi al ribasso c’è il ral-lentamento di quei paesi, come la Cina, che sono partner cruciali per il commercio e gli in-vestimenti. Tra i paesi dell’area esportatori di petrolio, la Nigeria (1,1% del PIL emergenti)crescerà intorno al 7% nel biennio 2014-2015; tra quelli a reddito intermedio, il Sudafrica(1,4% del PIL emergenti) rallenterà nel 2013 al 2,0%, dal 2,5% del 2012, per poi riaccelerare

124

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.40

Frena la produzione industriale in Brasile

(Variazioni % annue, medie mobili a 3 termini, dati mensili)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Reuters.

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2011 2012 2013

Produzione (volume) Vendite al dettaglio (volume) Esportazioni (valore, scala destra)

L’Africa accelera

anche nel 2013

Page 123: Scenari economici 19

al 3,0% nell’orizzonte di previsione grazie agli effetti benefici sulle esportazioni del de-prezzamento del rand e della ripresa del commercio mondiale.

La crescita dei paesi del Nord Africa e Medio Oriente è attesa ridursi nel2013 (+2,1% il PIL, dal +4,6% nel 2012), a causa della debole domandaglobale e degli impedimenti interni alla capacità produttiva di petrolioche colpiranno particolarmente i paesi esportatori netti di greggio e de-

rivati (+1,9% il PIL nel 2013, da +5,4% nel 2012). Un’accelerazione si verificherà nel 2014(+3,8% per l’intera area e +4,0% per i paesi esportatori) quando al recupero della domandaglobale corrisponderà un aumento delle estrazioni in Arabia Saudita, Iraq e Libia. Nei paesiimportatori di petrolio il diradarsi dell’incertezza politica, il progressivo ritorno alla nor-malità e i primi segni di miglioramento nel commercio internazionale e nel turismo pro-durranno un’accelerazione della crescita nell’intero periodo di previsione (+2,8% nel 2013e +3,1% nel 2014, da +2,0% nel 2012)2. L’area contribuisce per il 10,3% alla formazione delPIL emergenti e per il 5,1% a quella del PIL globale.

Il sorpasso dell’offerta di greggio sulla domanda mondiale nel 2014 faràscendere il prezzo del Brent a 103 dollari al barile nello scenario CSC

(da 108,7 in media nel 2013). Ciò lo avvicina all’obiettivo di prezzo dell’Arabia Saudita (100dollari). Nel 2015 il maggior incremento della domanda sosterrà le quotazioni (105 dollari).Questo scenario ipotizza che il rialzo dei prezzi visto nell’ultimo mese sia temporaneo per-ché si attenueranno i fattori geopoliticiche hanno frenato la produzione nelcorso del 2013, causando ripetuti calid’offerta in vari paesi.

A guidare al ribasso il prezzo sarà la ri-salita della capacità inutilizzata OPEC:2,0 mbg in ottobre (2,2% del consumomondiale), da un minimo di 1,6 mbg inagosto (1,7%), e prevista in ulteriore cre-scita nel 2014 (3,4 mbg), man mano chegli impianti bloccati torneranno opera-tivi (Grafico 1.41). L’intero cuscinettoOPEC è concentrato nei paesi del Golfo,in particolare in Arabia Saudita.

125

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Nord Africa

e Medio Oriente:

sale la produzione

di petrolio...

…e scende

il suo prezzo

Grafico 1.41

La capacità OPEC guida il prezzo del petrolio

(Milioni di barili al giorno e dollari per barile)

2014: previsioni CSC e EIA.Fonte: elaborazioni CSC su dati EIA, Thomson Reuters.

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2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014

Capacità inutilizzata OPEC

Prezzo del Brent (scala destra)

2 I paesi del Nord Africa e Medio Oriente esportatori netti di petrolio sono, secondo la classificazione dell’FMI: Ara-bia Saudita, Algeria, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Oman, Qatar e Yemen. Le previsioni con-tenute nel World Economic Outlook dell’FMI di ottobre 2013 escludono la Siria a causa dell’incerta situazione politica.

Page 124: Scenari economici 19

Il prezzo del Brent è sceso a 103,8 dollari a metà novembre (da 117,3 afine agosto), risalendo a 110,5 dollari a dicembre. L’attenuarsi delle ten-

sioni in Egitto e Siria avevano favorito la discesa. Il nuovo rincaro è stato dovuto a una ca-duta dell’offerta in diversi paesi produttori OPEC (Libia, Iraq) e non-OPEC, perlopiù acausa di tensioni politiche. La capacità produttiva OPEC è scesa a 31,6 mbg in ottobre, da32,9 a maggio. I movimenti delle quotazioni del petrolio sono da anni accompagnati da en-trate e uscite di capitali finanziari nei mercati; tali flussi ampliano le fluttuazioni delle quo-tazioni petrolifere rispetto ai movimenti indotti dai fondamentali del mercato fisico. I prezzidel Brent sono oltre i 100 dollari per il terzo anno consecutivo: 108,7 dollari in media neiprimi undici mesi del 2013. La ragione di fondo di questi prezzi elevati sono i maggioricosti marginali di estrazione del greggio, sia non convenzionale (con una quota crescentenell’offerta) sia tradizionale, specie nei giacimenti off-shore.

Si è di nuovo ampliato il divario tra il prezzo del Brent europeo e quello del WTI americano,greggi molto simili qualitativamente: +16,8 dollari al barile a dicembre, da un minimo di+3,2 dollari a luglio. La costruzione di nuovi oleodotti ha attenuato il problema del tra-sporto della crescente produzione di shale oil dalle nuove zone di produzione nell’internodel continente americano fino alle raffinerie della costa sud-est. Problema che negli ultimianni ha determinato a tratti un anomalo accumulo di scorte al punto di formazione delprezzo negli USA, tenendolo più basso. Tuttavia, ora si manifesta appieno l’effetto del-l’aumento dell’offerta di greggio estratto in USA, dato il permanere del divieto di espor-tarlo. Tutto ciò si traduce in un minor costo sia del petrolio sia dei derivati, pari al 17,5%sul non raffinato rispetto alle quotazioni europee, favorendo così la competitività delle im-prese americane su quelle che operano nel Vecchio Continente.

La domanda mondiale di greggio è prevista in crescita di +1,1 mbg nel2014 (+1,1 mbg nel 2013; stime Energy Information Administration, EIA).L’incremento si realizza tutto nei paesi emergenti (+1,3 all’anno nel

2014). Cala invece il consumo negli avanzati (-0,2 mbg).

L’offerta mondiale accelera nel 2014 (+1,4 mbg, +0,8 nel 2013; previsioni EIA), superando iconsumi. Cresce in particolare l’estrazione non-OPEC: +1,5 mbg nel 2014 (+1,5 nel 2013).Prosegue il boom negli USA: +1,1 mbg nel 2014 a 13,3 mbg (14,5% della produzione mon-diale). Gli investimenti nello shale oil, incoraggiati dai prezzi alti, condurranno la prima eco-nomia mondiale all’autosufficienza energetica. Già oggi i produttori USA chiedonol’abolizione dello storico divieto di esportazione di greggio. La produzione OPEC, invece,nel 2014 resterà piatta, dopo essersi ridotta nel 2013 (-0,8 mbg, a 35,9 mbg) giacché l’ArabiaSaudita ha abbassato i livelli estrattivi (9,8 mbg in ottobre, da un massimo di 10,2 in agosto);in Libia, a causa delle tensioni politiche, si è registrata una seconda fase di calo (0,6 mbg inottobre, da 1,5 in aprile); in Iraq l’estrazione è scesa a 2,8 mbg a ottobre, da un picco di 3,3

126

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Prezzi in altalena,

più alti in Europa

Offerta di greggio

sopra la domanda

nel 2014

Page 125: Scenari economici 19

in agosto; in Iran si è stabilizzata a ritmi ridotti (2,8 mbg in ottobre; 3,7 nel 2011), per la pe-nuria di investimenti a seguito delle sanzioni. L’OPEC sta perdendo quote di mercato sullaproduzione mondiale (39% nel 2014, da 41% nel 2012). Tuttavia, detiene gran parte delle ri-serve di petrolio (72,6% nel 2012), perciò nel medio termine resterà la guida del mercato.

In base a tali andamenti, nel 2014 la produzione supererà la domanda di 0,15 mbg, deter-minando un mercato fisico mondiale ben rifornito (nel 2013 la domanda aveva eccedutol’offerta di 0,15 mbg). Secondo le stime EIA, le scorte di greggio nei paesi OCSE cresce-ranno di 27 milioni di barili nel 2014 (-62 milioni nel 2013).

Nel 2015, sulla scia del rafforzamento della ripresa globale, la domanda di greggio regi-strerà un nuovo deciso aumento, specie da parte degli emergenti. L’offerta farà fatica a te-nere il passo, nonostante il proseguire dell’espansione dell’estrazione negli USA. Questotenderà a sostenere i prezzi. I maggiori previsori internazionali si attendono un gradualeaumento dei corsi del petrolio all’uscita dalla crisi. Aumento che sarà spinto dalla crescitadi lungo periodo della domanda non-OCSE. Nello scenario di lungo periodo dell’EIA, adesempio, il prezzo del Brent sale di poco nel 2015 (105 dollari) e poi segue un trend di rialzinegli anni successivi (129 dollari nel 2020).

Le quotazioni dei cereali continuano a calare: a novembre -40,9% il maisdai livelli di giugno, -10,4% in un mese il grano. Tra i metalli non fer-

rosi, il rame registra un ribasso del -12,3% a novembre su febbraio. Tra le fibre tessili, ilprezzo del cotone ha ripreso a scendere (-11,3% da agosto). Nella media del 2013, dunque,gran parte delle commodity non-oil registra un calo dei prezzi. Le quotazioni vanno versole medie di lungo periodo, anche se restano molto superiori: +25% il cotone sui livelli del1990-2009, +38% il grano, +58% il mais, +130% il rame.

La domanda mondiale di commodity è cresciuta poco nel 2013, tirata solo dagli emergenti.In molti mercati l’offerta, invece, cresce molto. La produzione di cotone è salita del 22,1%in tre anni, toccando il massimo storico nel 2013/2014. Il raccolto di mais USA è atteso a li-velli record quest’anno. Grazie al mix di prezzi in calo e disponibilità abbondante di mais,negli USA se ne sta rilanciando l’utilizzo per la produzione di bio-combustibili. Le scortedi mais sono salite nella stagione 2013/2014 al 17,7% del consumo mondiale, dal minimodi 15,1% nel 2010/2011 (stime United States Department for Agriculture, USDA). Gli stock dicotone sono ai massimi: 87,4% del consumo nel 2013/2014 (da 39,6% nel 2009/2010). Quellidi grano, viceversa, continuano a calare: 25,5% della domanda, da 31,0% nel 2009/2010.

La domanda mondiale di commodity accelererà nel 2014. La produzionedi materie prime alimentari crescerà almeno altrettanto per cui le quota-zioni resteranno in calo (-2,8%; previsioni Banca Mondiale), anche se l’e-

quilibrio di tali mercati resta esposto ai fenomeni atmosferici. In altri mercati, come nel caso

127

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Commodity non-oil:offerta in eccesso

Prezzi alimentari

giù nel 2014, metalli

non ferrosi più cari

Page 126: Scenari economici 19

dei metalli non ferrosi e delle fibre tessili,la produzione di commodity diventeràscarsa rispetto alle richieste addizionali,provenienti soprattutto dall’economia ci-nese. Ciò determinerà un’inversione ditendenza dei prezzi: +1,6% i metalli nonferrosi e +4,1% le commodity agricolenon-food (Grafico 1.42).

Nel 2015 proseguiranno le dinamiche del2014. Crescerà ancora di più il consumomondiale, sulla scia del rafforzamentodella ripresa globale. Secondo le stimedella Banca Mondiale, le quotazioni dellecommodity alimentari continueranno ascendere, segnando un ulteriore -2,1%,grazie a una brillante performance della produzione. Le materie prime non-food di origineagricola, invece, segneranno un +2,3% dei prezzi e i metalli non ferrosi un +1,2%.

Nello scenario CSCla BCE manterrà il

tasso di riferimento allo 0,25% in tutto l’o-rizzonte previsivo. Il taglio realizzato a no-vembre (da 0,50%) era incluso nelleprevisioni CSC di settembre. Francoforteha voluto spegnere le attese al rialzo suitassi che si erano formate in Eurolandiacome contagio dell’andamento negli USA.Il taglio, comunque, era da tempo giustifi-cato dalla perdurante debolezza dell’eco-nomia, dalla carente domanda di credito edalla dinamica molto bassa dei prezzi alconsumo che in ottobre hanno spiazzato alribasso le previsioni, raffreddandosi ulte-riormente tanto da far emergere timori dideflazione. In novembre la dinamica dei prezzi al consumo è rimasta fiacca: quelli core, esclusienergetici e alimentari, hanno registrato un +1,0% annuo, l’indice totale un +0,9%. La dinamicadei prezzi, quindi, è oltre un punto sotto l’obiettivo BCE (+2,0%), nonostante l’attività econo-mica in Eurolandia sia in risalita. Per sostenere la ripresa è cruciale che la Banca riesca a mante-nere basso il tasso in termini reali, che viene invece alzato dal calo dell’inflazione (Grafico 1.43).

128

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 1.42

Commodity: alimentari meno cari, metalli quasi fermi

(Prezzi in dollari correnti, indici 2010=100)

* Di provenienza agricola: cotone, legno, gomma.2014-2015: previsioni Banca Mondiale.Fonte: elaborazioni CSC su dati Banca Mondiale.

85

90

95

100

105

110

115

120

125

2010 2011 2012 2013 2014 2015

Alimentari

Materie varie*

Metalli non ferrosi

Dalla BCE tassi

ai minimi storici Grafico 1.43

Tassi reali: BCE più espansiva, non come la FED

(Tassi di interesse ufficiali meno inflazione core*, valori %)

* Indice dei prezzi al consumo esclusi energia e alimentari.Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Reuters, Eurostat, BLS.

-2,5 -2,0 -1,5 -1,0 -0,5 0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Eurolandia

USA

Page 127: Scenari economici 19

A dicembre la BCE ha ribadito che i tassi resteranno a lungo ai livelli attuali o più bassi (forwardguidance). Proprio quale tentativo di fronteggiare il rischio di deflazione, vari analisti ipotizzanoun ultimo taglio dei tassi nel 2014 (a zero). Il CSC ritiene che ciò possa avvenire nel caso, esclusodalla previsione di base, di peggioramento dello scenario (si veda il riquadro Se qualcosa va storto:effetti sull’economia italiana di un quadro meno benigno).

L’Euribor a tre mesi è salito allo 0,25% a dicembre (minimo a 0,20% a maggio). Dopo l’ul-timo taglio BCE, si trova allineato al tasso ufficiale. In termini reali (tolta l’inflazione core)il tasso interbancario è a -0,8%. Nello scenario CSC l’Euribor si manterrà appena sotto iltasso BCE: 0,15% in media nel 2014 e nel 2015 (0,22% nel 2013). Le indicazioni di rialzo chevengono dai future si sono molto ridotte rispetto a qualche mese fa, anche grazie all’azionedella BCE: ora pongono l’Euribor allo 0,35% nel marzo 2015, mentre a inizio agosto lo in-dicavano a 0,60% per fine 2014. In estate, il Presidente della BCE, Mario Draghi, aveva do-vuto sottolineare che le attese di rialzo erano (e restano), del tutto infondate. In terminireali il tasso di mercato si posizionerà a -0,9% nel 2014 (da -1,0% medio nel 2013) e a -1,1%nel 2015, valori molto espansivi.

Il mercato interbancario resta frammentato e, nel complesso, i fondi che vi transitano sonomolto meno abbondanti di quanto fossero prima della crisi, nonostante i miglioramentinegli ultimi trimestri. Per le banche italiane il canale di finanziamento interbancario è ri-salito al 12,0% del passivo nel 2012, dall’8,3% nel 2009 (ma era al 14,1% nel 2007); in Irlandaè al 5,5%, dal 4,6% nel 2011 (15,8% nel 2010). In Spagna il recupero è stato minimo (7,8%,da 7,6% nel 2011; 9,0% nel 2009). Ancora giù in Portogallo (4,5%, da 10,2% nel 2007) e Gre-cia (2,2%, da 8,5% nel 2008). La circolazione interbancaria della liquidità resta frenata acausa della persistenza di dubbi sulla qualità degli attivi delle banche dei paesi PIIGS. È uningranaggio fondamentale del sistema bancario che la valutazione approfondita della BCEpuò aiutare a sbloccare da fine 2014.

La BCE ha annunciato in novembre che continuerà a effettuare le astea importo illimitato e a tasso fisso almeno fino a metà 2015, per colmarei vuoti lasciati dal canale interbancario ostruito. I prestiti alle banche

erano pari a 718 miliardi a fine novembre (1.261 a metà 2012; 432 nella prima metà del2007). Le aste straordinarie a medio termine (LTRO, longer term refinancing operation), com-prese quelle a tre anni di fine 2011-inizio 2012, forniscono 631 miliardi. Le operazioni tra-dizionali erogano gli altri 87 miliardi. La Banca si è più volte dichiarata pronta a mettere incampo ulteriori misure non standard. Molti analisti ritengono necessario, e molto probabile,il lancio nel 2014 di un’ulteriore LTRO, per far fronte alla scadenza a dicembre 2014 e feb-braio 2015 delle due operazioni triennali che lascerebbe molti istituti in una situazione dicarenza di raccolta. Nella conferenza stampa BCE di dicembre Draghi ha sottolineato che,se verrà varata una nuova LTRO, questa avrà durata minore (probabilmente tra 1 e 2 anni)

129

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Prestiti BCE

a rubinetto, le banche

restituiscono

Page 128: Scenari economici 19

e si inserirà un meccanismo affinché tali fondi fluiscano verso l’economia reale (come haprovato a fare la Banca d’Inghilterra con il Funding for Lending).

Il calo dei prestiti alle banche è dovuto alle restituzioni di parte dei fondi triennali, noncerto a una minor disponibilità a prestare da parte della BCE. Il flusso di rimborsi ha dinuovo accelerato da fine agosto, dopo essersi quasi fermato in estate. Da gennaio 2013 gliistituti hanno rimborsato in tutto 389 miliardi di euro, oltre un terzo dei 1.019 miliardi ori-ginari. Le banche dei paesi core hanno restituito rapidamente i fondi alla BCE, cui avevanoattinto per lo più per motivi precauzionali. Negli ultimi mesi sono state quelle dei paesi pe-riferici a restituire liquidità alla BCE. Tali banche avevano ricevuto la maggior parte deiprestiti triennali e molte di esse ne dipendono ancora in misura marcata. Le italiane hannoin bilancio a ottobre 230 miliardi di fondi BCE (5,6% del loro passivo), in calo dai 281 di feb-braio (6,7%). Gli istituti greci ne hanno 70 miliardi (16,8% del loro passivo), in calo dai 96di febbraio (22,4%).

Non è escluso che nel corso del 2014 la BCE decida nuovi allentamenti dei criteri per il col-laterale nelle sue aste, per alimentare la liquidità nel sistema bancario. Negli ultimi anni liha già allentati più volte, riducendo il rating minimo e ammettendo nuove tipologie di ti-toli. A luglio ha ampliato la lista di ABS (Asset Backed Securities) accettabili, per sostenere ilmercato delle cartolarizzazioni. Questo ha consentito di prestare anche alle banche che nonavevano più asset di alta qualità da dare in garanzia3.

Gli istituti creditizi dell’Eurozona stanno diminuendo il parcheggio difondi presso la BCE, sulla spinta della remunerazione nulla decisa daFrancoforte: a novembre detenevano nel complesso 44 miliardi nella

deposit facility (346 nell’agosto 2012) e 218 miliardi nel current account (da 541). I deposititotali si sono ridotti a meno di un terzo rispetto al picco (262 miliardi, da 887), pur restandosopra i livelli pre-crisi (182 nella prima metà del 2007). Il continuo calo dei depositi in BCEpuò anche indicare un progressivo ritorno della fiducia.

Il valore dei prestiti BCE al netto dei depositi degli istituti misura la liquidità netta immessanel sistema bancario. Questi prestiti netti si mantengono ai massimi storici: 456 miliardi anovembre (da 143 a fine 2011; 258 nel 2007; Grafico 1.44). In molti paesi, essi non si tradu-cono in un flusso di nuovo credito a imprese e famiglie. Tali fondi, però, restano necessariper sostenere il sistema bancario.

130

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Liquidità parcheggiata

ai minimi, prestiti

netti BCE ai massimi

3 Nonostante ciò, all’apice della crisi in alcuni paesi le banche si sono finanziate direttamente presso la Banca cen-trale nazionale, attraverso la Emergency Liquidity Assistance (ELA): è accaduto a Cipro nella prima parte del 2013,in Grecia nella seconda metà del 2012.

Page 129: Scenari economici 19

Le banche di alcuni paesi PIIGS hannoancora difficoltà nella raccolta. I depositibancari del settore privato hanno ripresoa calare in Spagna (-37 miliardi in otto-bre da fine 2012); in Grecia e Portogallosono piatti; in Italia, viceversa, i depositisono cresciuti di 30 miliardi. In vari paesiperiferici, nei primi nove mesi del 2013le emissioni di bond bancari sono stateinferiori ai titoli in scadenza: in Spagna -106 miliardi lo stock di titoli (+60 nel2012), in Italia -66 miliardi (+44).

In assenza di richie-ste da parte dei go-verni nazionali, la

BCE non ha proceduto all’acquisto di titoli pubblici secondo le modalità annunciate nelsettembre 2012 (OMT, Outright Monetary Transactions). La Corte Costituzionale della Ger-mania ha rinviato al 2014 il suo giudizio su tale strumento4. L’annuncio delle OMT ha con-tribuito a preservare l’integrità dell’euro e ha funzionato da scudo anti-spread, arginandola speculazione sui mercati all’apice della crisi e contenendo i rendimenti dei titoli sovraniperiferici rispetto ai picchi del 2011. Tali rendimenti, però, devono scendere ancora per ri-pristinare pienamente il meccanismo di trasmissione della politica monetaria all’economia.

La BCE aveva ancora in portafoglio a novembre 241 miliardi di titoli acquistati con pro-grammi precedenti alle OMT. Uno stock che si va lentamente assottigliando (284 miliardia inizio 2012) per il loro progressivo giungere a scadenza. Tra questi, molti sono titoli so-vrani (184 miliardi a novembre), per lo più di paesi periferici, messi in portafoglio con il Se-curities Market Program (SMP), cessato nel settembre 2012. La liquidità creata con gli acquistiSMP viene costantemente sterilizzata, con operazioni di segno opposto. Vari analisti hannoproposto che la BCE smetta di effettuare tali operazioni, con l’effetto di immettere 184 mi-liardi di liquidità nel sistema bancario. La Banca Centrale, inoltre, ha in bilancio titoli per57 miliardi dei due programmi di acquisto di covered bond5.

131

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

4 Le OMT sono state disegnate dalla BCE ponendo molti limiti: acquisti solo sul mercato secondario, con scadenzeda 1 a 3 anni, sterilizzando la liquidità immessa con aste di segno contrario, interrompendo gli acquisti se il paesebeneficiario non rispetta gli impegni presi.

5 Banca d’Italia stima che l’insieme delle misure non convenzionali della BCE (SMP, LTRO, annuncio OMT) hannoavuto nel periodo 2011-2013 un forte effetto positivo sul PIL italiano, pari a tre punti percnutali. Due punti per-centuali grazie a tassi di interesse meno alti rispetto ai livelli che si sarebbero toccati in assenza di interventi, unpunto grazie a una minore caduta dei prestiti. Si veda Marco Casiraghi, Eugenio Gaiotti, Lisa Rodano e Alessan-dro Secchi, The impact of unconventional monetary policy on the Italian economy during the sovereign debt crisis, Questionidi Economia e Finanza, Banca d’Italia, settembre 2013.

Grafico 1.44

Al top l'immissione netta di liquidità BCE per le banche

(Eurozona, miliardi di euro, dati settimanali, prezzi correnti)

* Deposit facility + Current account.** Prestiti netti = prestiti - depositi.Fonte: elaborazioni CSC su dati BCE.

100

150

200

250

300

350

400

450

500

100

300

500

700

900

1.100

1.300

2008 2009 2010 2011 2012 2013

Prestiti BCE alle banche Depositi delle banche in BCE* Prestiti netti della BCE** (destra)

OMT inutilizzate,

molti titoli

nel bilancio BCE

Page 130: Scenari economici 19

Il tasso ufficiale FED è fermo allo 0,25% da cinque anni. Nonostante ilproseguire della crescita USA, la disoccupazione resta elevata (7,0% in

novembre). La dinamica dei prezzi non desta preoccupazioni (+1,0% annuo in ottobre,+1,7% la core). Le attese di inflazione negli USA sono stabili: quelle misurate sui titoli pub-blici a 10 anni indicizzati ai prezzi erano al +2,2% a novembre, stesso valore di agosto, ap-pena sopra l’obiettivo del 2,0%. Perciò la FED lascerà i tassi ai minimi storici ancora a lungo:per tutto il 2014 e gran parte del 2015. Nello scenario CSC, la Banca opererà un rialzo di unquarto di punto (a 0,50%) nel quarto trimestre 2015, per segnalare ai mercati il raggiungi-mento degli obiettivi sul mercato del lavoro.

Ai ritmi di riduzione visti finora, la so-glia del 6,5% per il tasso di disoccupa-zione verrebbe raggiunta nell’autunno2014 (Grafico 1.45). I disoccupati scen-derebbero contemporaneamente a 10milioni, livello dell’ottobre 2008(quando il tasso di disoccupazione eraal 6,5%). Da allora in poi la FED po-trebbe, stando alle attuali indicazioni,far scattare un rialzo dei tassi. Tuttavia,altri indicatori del mercato del lavorosuggeriscono prudenza: il tasso di par-tecipazione ha un trend decrescente, sindal 2009, e si osserva una dinamica piùbassa della forza lavoro, che riduce lacrescita del PIL potenziale. Nei verbalidella FED si riporta un’ampia discussione sulle diverse misure: alcuni membri sollevanoil dubbio che il solo tasso di disoccupazione non sia in grado di cogliere a pieno gli anda-menti del mercato del lavoro; altri ribattono che tale indicatore è ancora valido, anche con-siderato da solo. Nel comunicato ufficiale della FED resta la frase secondo cui, oltre aguardare al tasso di disoccupazione, si considereranno altre misure del mercato del lavoro,prima di decidere un eventuale rialzo dei tassi. Alcuni membri del FOMC hanno propostodi abbassare la soglia per la disoccupazione, rispetto al 6,5% attuale, una decisione che haqualche probabilità di essere attuata nei prossimi mesi.

Da fine 2013 si è annullata la differenza tra il tasso ufficiale FED e quello BCE. Quindi è ve-nuto meno il sostegno offerto all’euro rispetto al dollaro. Il differenziale tra i due tassi èstato di 0,31 punti percentuali in media nel 2013. Nello scenario del CSC il differenzialeresta nullo fino a fine 2015, quando sarà di 0,25 punti percentuali a favore del dollaro.

132

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Tassi FED

fermi a lungo

Grafico 1.45

Disoccupazione sotto la soglia FED dall’autunno 2014

(USA, valori %, dati mensili)

Da dicembre 2013: previsioni CSC.Fonte: elaborazioni CSC su dati BLS.

3

4

5

6

7

8

9

10

11 19

99

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015

Soglia FED

Page 131: Scenari economici 19

Il tasso interbancario negli USA è sceso allo 0,24% a novembre (da 0,31% a fine 2012), alli-neandosi con quello FED. Il CSC prevede che si attesterà a 0,24% in media nel 2014 (da0,27% nel 2013) e a 0,30% nel 2015.

La terza fase del quantitative easing (QE3) della FED sta proseguendo apieno ritmo, con l’acquisto di titoli pubblici e privati. L’obiettivo è te-

nere a freno i tassi a medio e lungo termine, per sostenere la crescita, senza alimentare l’in-flazione o bolle sui mercati. Il QE3 è in atto da 12 mesi, meno dei 13 del QE1 (2009-2010),ma già più degli 8 del QE2 (2010-2011).

A ottobre-novembre lo stock di titoli in mano alla FED è cresciuto di 88 miliardi di dollari almese (43 di Treasury e 45 di Mortgage Backed Securities), anche più degli 85 miliardi mensiliannunciati. Il rallentamento degli acquisti di titoli (tapering), sulla base delle comunicazionidella FED, dovrebbe iniziare nei prossimi mesi, in ritardo rispetto alle attese precedenti alloshutdown federale di ottobre6. Gli acquisti dovrebbero cessare intorno alla metà del 2014.

A novembre l’ammontare di Treasury nelportafoglio FED è salito a 2.143 miliardidi dollari (54,4% dell’attivo). La Bancapossiede inoltre 1.433 miliardi di MBS,per un totale di 3.576 miliardi di dollariin titoli (Grafico 1.46). Con il QE3 la di-mensione del bilancio è arrivata a 3.942miliardi, quasi cinque volte quella del2007 (872 miliardi). La FED reinveste innuovi titoli le somme incassate dal rim-borso di quelli giunti a scadenza. Unadelle ipotesi formulate dagli analistisulle possibili modalità di riduzionedello stimolo monetario è che la FEDsmetta di rimpiazzare i titoli scaduti, in-troducendo quindi una riduzione “automatica” del suo stock di bond.

La FED agisce anche sulla composizione per durata dei titoli in portafoglio: negli ultimimesi sta acquistando per lo più titoli federali a scadenze medie (1-5 anni) e sta riducendola quota dei titoli con scadenze tra 5 e 10 anni. Ciò è coerente con l’ipotesi appena descrittadi modalità di tapering. A novembre l’ammontare di Treasury con scadenza tra 1 e 5 anni èsalito al 33,5% del totale, quelli tra 5 e 10 anni sono al 40,4% e quelli oltre i 10 anni al 26,1%.La FED non detiene titoli con durata inferiore a un anno.

133

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Il QE3 si allunga

Grafico 1.46

Acquisti FED di titoli a pieno ritmo ma rendimenti più alti

(USA, valori % e miliardi di dollari, dati settimanali)

Fonte: elaborazioni CSC su dati FED.

400 600 800

1.000 1.200 1.400 1.600 1.800 2.000 2.200 2.400 2.600 2.800 3.000 3.200 3.400 3.600 3.800

1,0

1,5

2,0

2,5

3,0

3,5

4,0

2009 2010 2011 2012 2013

Rendimento Treasury a 10 anni

Titoli detenuti dalla FED (scala destra)

6 Si veda CSC, Scenari economici n.17, giugno 2013, il riquadro Politica monetaria USA iper-espansiva almeno per un altro anno.

Page 132: Scenari economici 19

L’attenuazione delle attese di tapering da parte dei mercati ha favorito una stabilizzazionedei tassi lunghi USA, su livelli comunque superiori ai minimi della primavera 2013. Gli ac-quisti FED di titoli continuano a esercitare una pressione al ribasso sui rendimenti, mentrele prospettive di rafforzamento della crescita tendono ad alzarli. Il rendimento sul Treasurytrentennale era al 3,8% a novembre e quello sulle obbligazioni tripla A di pari durata emesseda imprese USA erano al 4,6%, stessi livelli di settembre ma di 0,9 punti sopra i valori diaprile. Il rendimento del Treasury decennale è al 2,7%, da 2,8% a settembre e 1,8% in aprile.I tassi a lunga in termini reali sono scesi, rafforzando lo stimolo fornito all’economia: quellimisurati sui titoli decennali indicizzati all’inflazione erano allo 0,5% a novembre (da 0,7%a settembre).

Le quotazioni azio-narie negli USA pro-seguono l’ascesa:

+10,2% a novembre rispetto ai livelli digiugno (indice Standard&Poor’s 500).Wall Street è ormai ben oltre i livelli pre-crisi (+25,3% sopra i prezzi del gennaio2007) e sta aggiornando ripetutamente imassimi storici (Grafico 1.47).

La volatilità del mercato azionario USAè scesa a valori in linea con quelli pre-crisi. L’indice VIX, che riflette la pro-pensione degli operatori a costruirsi unacopertura a fronte delle oscillazioni delmercato, è a 12,9 a novembre, in calo da35,0 nell’agosto 2011 (13,1 nella prima metà del 2007). Questo andamento segnala una ri-duzione dei timori da parte degli operatori e, quindi, un aumento della propensione al ri-schio. Storicamente ciò è associato a una fase di risalita delle quotazioni, come staavvenendo ora.

L’aumento dei prezzi delle azioni è anche più forte nei mercati europei. In Germania si èregistrato un +16,8% a novembre su giugno, in Italia l’aumento è stato del +19,5% da luglio.In Europa, però, resta molto ampio il gap tra i diversi mercati nel confronto con i valoripre-crisi: le quotazioni di Borsa in Germania sono del 68,7% sopra i livelli di inizio 2007, inItalia ancora del 54,3% inferiori. Ciò influisce sui costi di raccolta del capitale di rischio,penalizzando la competitività delle imprese italiane.

134

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Prezzi di Borsa

in salita, volatilità

a livelli pre-crisi

Grafico 1.47

Borsa: incertezza nella norma, prezzi in salita

(USA, volatilità e quotazioni azionarie)

* Prezzo in dollari di un paniere di opzioni a fini di copertura sul S&P 500.Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Reuters.

600 700 800 900

1.000 1.100 1.200 1.300 1.400 1.500 1.600 1.700 1.800 1.900

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

CBOE VIX*

Indice S&P 500 (scala destra)

Page 133: Scenari economici 19

Nel corso del 2013 l’euro si è apprezzato nei confronti delle altre valute(+6,6% in termini effettivi nominali). In particolare, si è rivalutato moltonei confronti dello yen (+30,7%), meno verso la sterlina (+2,8%). L’im-

ponente impegno della Banca centrale giapponese per risollevare l’economia nipponica haavuto effetti significativi sul tasso di cambio: lo yen è arrivato a quota 141,9 per un euro afine 2013 (da 96,2 nell’agosto 2012), avvicinandosi sempre di più ai livelli pre-crisi (149,6nell’ottobre 2008).

Nella seconda metà del 2013 l’euro si èrafforzato anche nei confronti del dol-laro (+4,7% dal minimo di maggio; Gra-fico 1.48). Tuttavia, in termini di cambioeffettivo nominale il dollaro e l’euro sisono apprezzati entrambi da inizio 2012,ovvero rispetto agli altri principali part-ner commerciali.

Tre delle principali valute occidentali,dollaro, euro e sterlina, hanno tassi dicambio determinati liberamente dalleforze del mercato. Le altre principali va-lute, invece, hanno tutte un maggiore ominore grado di fluttuazione manovratadalle autorità monetarie del rispettivo paese. In queste condizioni, ad esempio, affinchèl’euro si svaluti c’è bisogno che qualche altro paese decida di lasciar apprezzare la propriavaluta. Se ciò non avviene, l’euro può rimanere sopravvalutato sebbene i fondamentalispingano al ribasso, e questo penalizza l’export.

Il cambio dell’euro negli ultimi anni si è svalutato nelle fasi di maggior incertezza circal’assetto dell’Unione Monetaria, toccando i minimi quando è stata messa in discussionel’integrità stessa dell’area. Ad esempio, nel luglio 2012 è sceso al minimo di 1,23, per poirafforzarsi dopo la dichiarazione del Presidente BCE Mario Draghi secondo cui la BancaCentrale avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per preservare la moneta.

Nel prossimo anno gli effetti delle politiche monetarie di FED e BCE, entrambe iper-espan-sive, tenderanno a compensarsi. L’effetto netto sul tasso di cambio dollaro/euro sarà, per-ciò, nullo. Il differenziale tra i tassi ufficiali di interesse sarà pari a zero per tutto il 2014 egran parte del 2015. Nel 2015 gli interventi espansivi di politica monetaria si attenuanonello scenario CSC. I fondamentali guideranno maggiormente il cambio. La crescita saràpiù sostenuta negli Stati Uniti rispetto a Eurolandia e ciò sosterrà il dollaro. Tuttavia, il di-

135

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Dollaro/euro stabile

nel biennio

di previsione

Grafico 1.48

Cambio $/E sui livelli medi degli ultimi anni

(Dollari per euro)

Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Reuters.

1,15

1,20

1,25

1,30

1,35

1,40

1,45

1,50

1,55

1,60

2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Media 2006-2013

Page 134: Scenari economici 19

savanzo corrente USA, in riduzione ma ancora significativo, contro un avanzo correntedell’Area euro, tenderà a indebolire la divisa americana.

Nello scenario CSC si assume un cambio di 1,35 dollari per euro in tutto il biennio di pre-visione (1,33 nella media del 2013). Negli ultimi otto anni, dal 2006 al 2013, il tasso di cam-bio tra dollaro e euro ha oscillato intorno al livello di 1,35.

136

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Page 135: Scenari economici 19

CULTURA MOTORE DI SVILUPPO

La capacità della cultura di generare sviluppo è mal compresa sia da chi la paragona a un giacimentopetrolifero sia da chi, ancor peggio, ritiene che con essa non si mangi. Riguardo a questa seconda tesil’incomprensione è tanto evidente quanto è radicale il negazionismo che la caratterizza.

La visione dei beni culturali come giacimento non è, però, meno insidiosa nel limitare la valenza econo-mica della cultura, perché la confina al pur rilevantissimo settore turistico, mancando così il punto cru-ciale: farne una fonte inesauribile di sapere e creatività per il Paese, un grande vantaggio nellacompetizione globale basata su conoscenza e talenti. Questa competizione investe tutti i settori. In par-ticolare il manifatturiero, che è più esposto alla concorrenza internazionale e che al contempo più si pre-sta alla rielaborazione in chiave economica di spunti che provengono dalla cultura grazie alla materialitàdei suoi prodotti. Perciò una nuova politica che meglio leghi cultura ed economia si salda perfettamentecon la riscoperta della centralità del manifatturiero per lo sviluppo economico e con il suo rinascimento.

Per far giocare pienamente questo ruolo alla cultura, i fruitori principali delle iniziative a essa rivoltenon sono tanto i turisti, quanto la popolazione residente. Questo spostamento di asse, dall’attrazioneturistica all’arricchimento della conoscenza e delle competenze, è una rivoluzione copernicana perchésignifica passare dalla gestione della rendita, foriera in molti casi di una mentalità parassitaria, allagenerazione di idee e saperi che si trasformano, attraverso l’attività di impresa, in reddito e occupa-zione. La chiave di volta è costituita da un approccio alla cultura molto diverso e in linea con quel cheaccade in altri paesi, dove riescono a mettere a frutto perfino il patrimonio culturale altrui.

Dalla necessità del coinvolgimento della popolazione discende un’indispensabile e altrettanto rivo-luzionaria concezione dei musei e quindi del rapporto con l’arte: da pura rassegna espositiva a mo-mento di esperienza che coinvolga le persone sul piano emotivo-ludico-partecipativo non meno chesu quello dell’apprendimento nozionale, facendo rivivere sensazioni dell’epoca in cui furono pro-dotte le opere, imparando e facendo sperimentare le tecniche usate per realizzarle.

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2

Il capitolo è stato elaborato da Alessandro Gambini (CSC) e Mauro Sylos Labini (CSC e Università degli Studi diPisa) con il coordinamento, la supervisione e la collaborazione di Luca Paolazzi (CSC). La stesura del capitolo siè avvalsa dei preziosi suggerimenti di Patrizia Asproni (Confcultura), Antonio Barreca (Federturismo), Fabio DelGiudice (Confindustria Cultura Italia) ed Enzo Rullani (Venice International University, TeDIS). Gli autori ringrazianoFrancesca Grimaldi (FIMI), Thalita Malagò (AESVI), Francesca Medolago Albani (ANICA), Gianni Peresson (AIE)e Chiara Sbarigia (APT) per le indicazioni relative ai dati delle industrie culturali. Uno stimolo importante a trat-tare il tema della cultura è venuto dalle relazioni di Marco Trimarchi (Università di Bologna) e Salvo Nastasi (MiBACT) presentate durante il Comitato scientifico di Confindustria del 9 ottobre 2013. Si ringraziano tutti i par-tecipanti e, in particolare, Marco Cammelli per gli utilissimi commenti e osservazioni.

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Il CSC da tempo sta esplorando l’importanza della cultura nel sostenere le esportazioni di un insieme di benidi consumo legati alla persona. In questo approfondimento inizia a indagare la forte relazione tra cultura edeconomia in generale e come questa relazione rappresenti un’enorme occasione per il rilancio del Paese.

Una relazione complessa che può essere inquadrata da molti lati. Anzitutto, dal lato del riconosci-mento che senza le arti, la musica e la letteratura la vita sarebbe meno degna di essere vissuta equindi la cultura è prima di tutto parte costitutiva dello sviluppo. Gli italiani riconoscono alla cul-tura questo ruolo e sono consapevoli del fatto che il patrimonio storico-artistico del Paese, il più im-portante al mondo anche se non è valorizzato come dovrebbe, sia un fattore distintivo della qualitàdel loro stile di vita. Una qualità che all’estero continua a essere ammirata, amata ed emulata, in-somma ad attrarre verso il Belpaese e i suoi prodotti. Rispetto agli altri cittadini europei, però, gliitaliani partecipano meno ad attività artistiche e culturali e i dati di Eurobarometro, rielaborati dalCSC, rivelano che la crisi economica ha ulteriormente peggiorato la situazione: analisi econometri-che descrittive suggeriscono che la negativa performance economica degli ultimi anni spiega circa lametà della distanza nell’indice di partecipazione che separa l’Italia dalla Spagna.

Inoltre, la cultura si dimostra importante sotto il profilo degli effetti positivi che le attività artisti-che, presenti o passate, uniche o difficilmente riproducibili, ossia le componenti del cosiddetto nucleoartistico-culturale, hanno sullo sviluppo delle industrie culturali e creative. Queste ultime si diffe-renziano da quelle del nucleo perché producono beni e servizi il cui aspetto funzionale è almeno tantoimportante quanto lo è quello artistico. La relazione fra il nucleo e queste industrie è simile a quellache intercorre fra ricerca di base e ricerca applicata: il valore economico è a valle, ma senza un fortenucleo, la crescita e la generazione di reddito non sono sostenibili nel lungo periodo. Il vasto patri-monio storico italiano fa parte a pieno titolo del nucleo.

Secondo le stime elaborate dal CSC, in Italia la cultura rappresenta una fetta importante dell’econo-mia e il valore economico con essa generato cresce considerevolmente muovendosi dal nucleo verso icerchi più esterni del sistema produttivo culturale, molto più di quello che succede negli altri paesi:nel 2011 il complesso della cultura ha dato origine in Italia al 5,6% del valore aggiunto totale (VA),pari a 78,8 miliardi di euro. Tra i grandi paesi UE il dato è inferiore solo a quello della Gran Breta-gna, ma il confronto internazionale mette in luce notevoli differenze tra i settori che lo compongono:in Italia pesano molto di più che negli altri paesi le industrie creative (2,2% del VA totale, pari a 30,7miliardi), mentre sono relativamente sottodimensionate le quote delle industrie culturali (2,8%) edel nucleo artistico-culturale (0,6%), che hanno però parato meglio i colpi della crisi; il nucleo arti-stico è addirittura riuscito a crescere dal 2008 al 2011. Indicazioni molto simili si ottengono se invecedel VA si utilizza l’occupazione, mentre l’analisi del valore delle esportazioni ha rivelato che il sistemacultura è più orientato alle vendite all’estero rispetto alla media del resto dell’economia, avendo unaquota sul totale dell’export italiano (9,0%, pari a 34 miliardi di euro) superiore a quella che ha sul VA.Infine, le industrie creative, che in Italia contano più che negli altri maggiori paesi europei, presen-tano un importante vantaggio di specializzazione, ma hanno risentito di più della crisi.

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Le evidenze empiriche suggeriscono, quindi, che la scarsa partecipazione dei cittadini e la debolezza rela-tiva della produzione sia del nucleo artistico-culturale sia delle industrie culturali italiani, rispetto ai cor-rispondenti settori dei partner europei, fanno sì che il potenziale economico della cultura resti parzialmenteinespresso. Tali fragilità sono da attribuirsi principalmente all’alleanza perversa fra il predominio di in-tenti meramente conservativi e la logica burocratica che caratterizzano la gestione pubblica del patrimo-nio artistico. Alleanza che ha trovato terreno fertile in tre elementi: il paradosso dell’abbondanza, dovutoal patrimonio artistico più importante del mondo; il predominio di una concezione passiva della domandadi cultura; e, in alcuni casi, l’incapacità di utilizzare appieno la qualità del vivere e del lavorare nei con-testi tipici dell’italianità per dare significati che valorizzino i beni e i servizi correntemente prodotti.

Come invertire la rotta? La prima misura da adottare per valorizzare maggiormente il patrimonio sto-rico e artistico è l’apertura della governance delle istituzioni culturali alle imprese. Il Ministero deiBeni e delle Attività Culturali e del Turismo dovrebbe avere compiti sempre meno amministrativi esempre più orientati al governo del sistema, lasciando le chiavi della gestione alle imprese private; il mo-dello ideale per l’assegnazione è la délégation de service public francese. In secondo luogo occorrecomprendere che le frecce a disposizione dell’arco delle politiche culturali sono molte di più rispetto aquando il loro orizzonte d’azione era limitato alla tutela e valorizzazione del patrimonio storico e allapromozione delle arti creative. In particolare, l’estensione del credito di imposta, reso permanente peril settore del cinema dalla Legge “Valore Cultura”, non solo agli altri comparti di produzione dell’in-dustria culturale, ma anche alla distribuzione rafforzerebbe le iniziative imprenditoriali. Il riconosci-mento delle opere dell’ingegno è, inoltre, un presupposto fondamentale per valorizzare i prodotti delleindustrie culturali e creative e per remunerare il lavoro di chi crea contenuti creativi.

Infine, va riscoperta la centralità dell’industria manifatturiera secondo gli schemi di un vero e propriorinascimento manifatturiero che trova nella cultura e nella creatività le leve per lo sviluppo sostenibile.In ciò il Paese parte con un vantaggio costituito da un lato dalla forza del suo “artigianato industriale”,che fonde nel marchio italiano il “saper fare” tipico dei nostri distretti industriali con la cultura accu-mulata, il paesaggio, la bellezza, l’arte culinaria, il talento e dall’altro dall’enorme patrimonio storico eartistico che può divenire fonte inesauribile di nuovi contenuti e significati da incorporare nei beni ma-nufatti. Così il made in Italy può essere vincente essendo arte della trasformazione dei valori culturaliin significati che si aggiungano ai valori funzionali e diano ai prodotti italiani il carattere dell’unicità1.

Se non si cambia la gestione della cultura nella direzione qui suggerita, a beneficio dell’aumentodella conoscenza, il Paese si troverà sempre più, come nel caso di Pompei, a essere fornitore di ma-teria prima culturale valorizzata e pienamente goduta da altri. E diventerà sempre più difficile anchericavare una rendita dal patrimonio artistico.

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1 Paradossale il rovesciamento dei termini della questione recentemente effettuato da un importante industriale cal-zaturiero italiano, secondo il quale «la più grande risorsa del Paese è il turismo», mentre i beni del made in Italy «sononicchie che fanno da ambasciatori» nell’attrarre flussi turistici. Portato agli estremi questo rovesciamento conducealla totale deindustrializzazione. E ignora il fatto che è proprio nei luoghi turistici e durante le vacanze che le per-sone hanno il tempo e l’occasione per acquistare i beni considerati tipici del made in Italy, il che è come dire che sonoquesti ultimi a beneficiare del turismo, ovunque sia praticato (tant’è che i grandi marchi della moda italiani hannoaperto negozi nelle vie commerciali delle città di tutto il mondo méte privilegiate del turismo internazionale).

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2.1 Non c’è sviluppo senza cultura

L’affermazione che la cultura è motore dello sviluppo può suonare ovvia e negli anni 80 èstato coniato l’accattivante termine «giacimenti culturali» per indicare un vantaggio che l’Ita-lia vanta nel panorama internazionale e che potrebbe rendere, alla stregua di un giacimentopetrolifero, in termini di reddito e occupazione. Tuttavia, negli anni più recenti si è all’oppo-sto sostenuto che la cultura non si mangia2. Per andare oltre i luoghi comuni e gli slogan è al-lora importante identificare le ragioni e i limiti del nesso causale tra cultura e sviluppo3.

La cultura intesa in senso lato è importante per lo sviluppo attraversoil suo impatto sui comportamenti che contribuiscono al buon funzio-

namento della società. In contrasto con una rappresentazione angusta dell’agire umanomotivato esclusivamente dagli interessi, evidenze qualitative e quantitative mostrano chei comportamenti, anche in ambiti economici, sono influenzati dai valori e dalle convinzioniprevalenti all’interno di una comunità4. Gli effetti della cultura così definita sono determi-nanti, per esempio, per l’etica del lavoro, la responsabilità individuale, l’imprenditorialitàe le attitudini manageriali e la propensione al rischio. Lo stesso funzionamento dei mercati,soprattutto quando tra chi domanda e chi offre non ci sono legami personali preesistenti,dipende dalla fiducia reciproca e, senza forti norme sociali che lo favoriscono, nessuna re-gola formale e tribunale possono scoraggiare comportamenti scorretti.

Certo sarebbe un errore considerare la cultura, in tale accezione, come l’unica spiegazionedel comportamento economico e delle sue motivazioni, che dipendono invece anche dallaqualità delle istituzioni formali (leggi, tribunali, sistema educativo) e, naturalmente, da va-riabili economiche. Inoltre, per quanto cambino lentamente, i valori e le convinzioni nonsono immutabili e interagiscono con lo sviluppo stesso. È bene quindi, dopo aver ricono-sciuto la loro importanza, non cadere in una sorta di determinismo culturale che lega ine-sorabilmente il successo o il fallimento economico di un paese (o di un’area geografica) aivalori e alle convinzioni prevalenti fra i suoi cittadini5.

La cultura, intesa invece in senso stretto e vicino al modo in cui il ter-mine è utilizzato in questo capitolo, fa bene allo sviluppo perché è parte

2 La frase pronunciata il 14 ottobre 2010 dall’allora ministro Giulio Tremonti sarebbe stata: “Di cultura non si vive:vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia”.

3 Per una discussione su “come” la cultura è importante per lo sviluppo economico si veda Sen Amartya, How doesculture matter, in Vijayendra Rao e Michael Walton (a cura di), Culture and public action, Stanford University Press,Stanford CA, 2004.

4 Su questi temi si veda per esempio Guiso Luigi, Sapienza Paola e Zingales Luigi, Does Culture Affect Economic Out-comes?, in Journal of Economic Perspectives, 20(2), pp. 23-48, 2008.

5 Per una discussione su questi temi si veda Sen, 2004 (opera citata nella nota 3).

Cultura

e comportamenti

Cultura e benessere

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costitutiva del miglioramento delle condizioni di vita. Il benessere e le libertà individuali,ossia i fini ultimi del progresso economico, dipendono infatti anche dalla possibilità diavere accesso a letteratura, musica, arti visive e altre attività artistiche e culturali. Senzaqueste opportunità, anche se appaiono solo in modo limitato nei conti nazionali, la vita sa-rebbe sicuramente meno degna di essere vissuta. Per questo il patrimonio culturale, in-sieme al paesaggio, costituisce una delle 12 dimensioni identificate da ISTAT e CNEL nelrecente progetto che ha provato ambiziosamente ad andare oltre il PIL e a misurare il be-nessere equo e sostenibile (BES) del Paese6. In una consultazione online legata al progetto,alla domanda che chiedeva di individuare gli aspetti che caratterizzano in positivo l’Italiarispetto al resto del mondo in termini di qualità della vita la risposta più frequente è statail patrimonio artistico-culturale (46,6%).

L’importanza economica della cultura discende, infine, dai benefici chealcuni settori produttivi ricavano, direttamente o indirettamente, dalla

presenza di un forte nucleo artistico-culturale: un insieme di attività artistiche o creative,presenti o passate, uniche e/o difficilmente riproducibili. Fanno parte del nucleo i prodottidelle arti visive (pittura, scultura, fotografia,…), quelli delle arti performative (opera, mu-sica dal vivo, teatro, danza…) e il patrimonio storico, artistico e culturale (musei, luoghi sto-rici, siti archeologici, biblioteche…).

In alcuni casi, l’opportunità di utilizzare il nucleo artistico-culturale a scopi commerciali di-retti è messa in dubbio da considerazioni etiche o relative alla conservazione e alla tuteladel patrimonio storico. In altre circostanze, invece, la creazione di valore economico ha no-tevoli sinergie con le attività del nucleo artistico-culturale. Il recente sviluppo delle indu-strie creative ha reso queste sinergie molto evidenti, tanto da trasformare profondamentela natura e il ruolo delle politiche culturali: al loro vecchio obiettivo di cercare i fondi ne-cessari per promuovere le arti e preservare e tutelare il patrimonio storico si è aggiuntoquello di rafforzare la competitività delle industrie creative e culturali e il loro ruolo pro-pulsivo per l’innovazione dell’intero sistema economico7. Che, come detto nella sintesi ini-ziale, per essere massimizzato deve passare attraverso una diversa focalizzazione deidestinatari della politica culturale: non tanto i turisti, quanto i cittadini, in modo da arric-chirne conoscenza e competenze.

Anche se i confini sono tutt’altro che netti, è utile distinguere fra diversi settori a conte-nuto creativo a seconda della loro distanza dal nucleo artistico-culturale e della loro capa-cità relativa di creare valore economico e culturale (Grafico 2.1). Quest’ultimo tipo di valoreè più difficile da definire e dipende da qualità di tipo estetico, simbolico, spirituale o sto-

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6 Si veda ISTAT-CNEL, Il benessere equo e sostenibile in Italia, Roma, 2013.7 Si veda Throsby David, The Economics of Cultural Policy, Cambridge University Press, Cambridge, Regno Unito, 2010.

Cultura

e settori produttivi

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rico. Tutte caratteristiche che possonoanche avere un effetto sulla valutazioneeconomica individuale (la disponibilitàa pagare), ma che implicano che il va-lore pubblico sia diverso dalla sommadei valori privati. Valore pubblico che,insieme a quello economico, guida emotiva le decisioni politiche. L’esempiotipico è quello di monumenti e opered’arte che rappresentano l’identità diuna nazione o di una civiltà e per questovanno tutelate.

Le industrie culturali sono quelle più vi-cine alle attività artistiche ma, a diffe-renza di quelle localizzate nel nucleo,producono beni che possono essere replicati in una serie di copie uguali fra loro e quindiessere venduti a più clienti ed esportati. Esempi tipici sono l’editoria, le industrie cinema-tografica e musicale, la radio e la televisione, i videogiochi. Si tratta di attività ad alto va-lore simbolico, la cui dipendenza dalla creatività e dalla produzione artistica, presente epassata, è evidente, ma per le quali, proprio grazie alla riproducibilità del loro output, è piùfacile realizzare reddito, cioè profitti e retribuzioni. In molti casi, questo reddito dipendedalla possibilità di tutelare i beni dell’industria culturale con il diritto d’autore, attribuibileagli individui o alle imprese che li producono.

Le industrie creative, come suggerisce il nome, dipendono anch’esse da attività dal fortecontenuto creativo. Ma, a differenza di quelle culturali, producono beni e servizi il cuiaspetto funzionale è almeno altrettanto importante rispetto a quello artistico. Come con-seguenza, il valore economico dei loro prodotti tende a essere relativamente più impor-tante di quello culturale. Ne fanno parte il design nelle sue diverse forme (industriale,moda, grafica e arredamento), l’architettura e la pubblicità.

La classificazione a cerchi concentrici presentata ha molte sovrapposizioni: il nucleo arti-stico-culturale, le industrie culturali e le industrie creative non sono separati in comparti-menti stagni8. Al contrario, interagiscono continuamente e il loro dinamismo è interdipen-dente. Per esempio, il nucleo culturale, la cui quota di valore aggiunto è in genere modesta,produce contenuti e competenze senza i quali le industrie creative sarebbero meno com-

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 2.1

Cultura: il modello a cerchi concentrici

Fonte: elaborazioni CSC su Throsby (2008).

Architettura

Design

Cinema, film e video

Musica Radio-tv

Editoria e stampaVideogiochi e software

Comunicazionee branding

Produzionedi stile

Patrimonio,arti visive e

performative

Arredamento

8 Si veda per maggiori approfondimenti Throsby David, The Concentric Circles Model of the Cultural Industries, inCultural Trends, 17, pp. 147-164, 2008.

Page 141: Scenari economici 19

petitive. La relazione tra il primo e le seconde è simile a quella che intercorre fra ricerca dibase e ricerca applicata: il valore economico è a valle, ma senza un forte nucleo artistico-cul-turale, le cui motivazioni non sono primariamente di natura economica, la crescita e la ge-nerazione di reddito sarebbero insostenibili nel lungo periodo.

È possibile, infine, allargare ulteriormente il campo e individuare altre attività economicheche godono degli effetti positivi diretti e indiretti della presenza di un forte nucleo arti-stico-culturale. Si tratta sia di attività produttive in cui la componente creativa non giocanecessariamente un ruolo preponderante, per esempio il turismo, sia di singole funzioniaziendali trasversali a più comparti economici come la comunicazione e le relazioni con iclienti. Ma, come detto, la cultura è in generale la matrice della conoscenza e quindi dei sa-peri che sono indispensabili per essere competitivi, sia a livello di singola impresa sia a li-vello di intero sistema economico.

2.2 I numeri della cultura e delle industrie culturali e creative: l’Italia nel confrontointernazionale

La cultura in senso stretto è quindi fondamentale per lo sviluppo sia perché è parte costi-tutiva dei suoi principali obiettivi sia perché ha un impatto su importanti attività econo-miche sia, infine, perché essa alimenta la conoscenza. Come funzionano in Italia imeccanismi descritti? Quali sono le principali caratteristiche del Paese rispetto ai partnereuropei e ai principali paesi avanzati? Sono domande che non prevedono risposte univo-che, anche perché le statistiche su questi temi sono per natura piuttosto elusive. Per primacosa, misurare l’importanza della cultura per aspetti non economici del benessere richiedenecessariamente l’utilizzo di indicatori qualitativi e soggetti a più interpretazioni. In se-condo luogo, nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, esistono problemi di defi-nizione e armonizzazione nelle classificazioni internazionali delle industrie creative eculturali. Infine, sia il valore economico sia quello culturale dei settori vicini al nucleo ar-tistico-culturale sono misurabili solo a patto di notevoli semplificazioni9. Tutto ciò è ancorapiù vero se estendiamo ulteriormente la relazione tra cultura ed economia abbracciandoanche la generazione di conoscenza.

Per quanto riguarda il valore economico, occorre riconoscere che i beni culturali sono inparte privati e in parte pubblici10. Per esempio, molte performance artistiche o esposizioni

143

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

9 Si veda Hutter Michael e Throsby David, Beyond price. Value in culture, economics, and the arts, Cambridge Univer-sity Press, Cambridge, Regno Unito, 2008.

10 Secondo la teoria economica, un‘importante caratteristica dei beni pubblici è quella di non poter escludere alcuniindividui dal suo godimento attraverso il pagamento di un prezzo.

Page 142: Scenari economici 19

museali hanno un valore economico che va al di là del classico “prezzo del biglietto”, chequindi non può essere l’unica misura del loro valore. Molti individui infatti attribuisconovalore economico ai beni artistici e culturali, indipendentemente dall’effettivo “consumo”,per il solo fatto che esistono, per l’opzione di poterne fruire e per la possibilità di traman-darli alle future generazioni11.

In relazione al valore culturale, dato che è impossibile trovare un’unica unità di misura e ununico ordinamento per le sue molteplici componenti (estetica, simbolica, storica o spirituale),una possibilità è quella di affidarsi al parere degli esperti12. Nonostante questi limiti, il ten-tativo di confrontare anche quantitativamente il sistema cultura italiano con quello dei prin-cipali paesi avanzati consente di mettere in evidenza i suoi punti di forza e di debolezza.

Cultura importante nella vita dei cittadini, ma bassa partecipazione

L’importanza dellacultura come parte

costitutiva dello sviluppo umano e del be-nessere individuale può essere misuratacon l’aiuto dei sondaggi demoscopici. Se-condo i risultati di Eurobarometro13, l’in-dagine della Commissione europea cheregistra le opinioni dei cittadini del-l’Unione, l’88% degli italiani considera lacultura importante (molto importante oabbastanza importante) nella propria vita(Tabella 2.1). La percentuale è superiore dipiù di 10 punti rispetto a quella UE-27(77%) e di più di 20 punti rispetto a quelledi Germania (65%) e Regno Unito (67%).Questo primo confronto, quindi, con-ferma come l’identità anche personaledegli italiani sia legata come poche altre all’importanza delle tematiche culturali.

Come abbiamo visto sopra, la parola cultura ha diversi significati e, sempre secondo i ri-sultati di Eurobarometro, esistono notevoli differenze nel modo in cui i cittadini di ciascun

144

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Cultura importante…

11 Si veda il numero speciale del Journal of Cultural Economics (vol. 27, 2003) dedicato agli studi che stimano la di-sponibilità a pagare per i beni culturali.

12 Per una discussione più approfondita su questi temi si veda Throsby, 2010 (opera citata nella nota 7).13 Si veda Commissione europea, Cultural access and participation, Special Barometer 399, 2013 e European cultural va-

lues, Special Barometer 278, 2007.

Tabella 2.1

In Italia la cultura è importante ma non è sinonimo di arte

(Risposte, valori %, 2007)

Quando pensi alla cultura hai in mente1

Cultura Le arti visive L’educazione Tradizione,importante e performative e la famiglia lingua, usiper la vita e costumi

sociali

Francia 88 38 13 10

Italia 88 18 39 22

Spagna 85 25 36 19

Paesi Bassi 78 51 7 33

UE-27 77 39 20 24

Regno Unito 67 20 7 33

Germania 65 60 18 27Paesi ordinati per Cultura importante per la vita.1 Più risposte possibili.Fonte: elaborazioni CSC su dati Commissione europea.

Page 143: Scenari economici 19

paese la interpretano. Per esempio, una quota relativamente alta di italiani (39%) la iden-tifica con “educazione e famiglia”; al contrario, è bassa la percentuale di chi la utilizza perindicare le “arti visive e performative” (18%), che invece risulta essere la risposta più fre-quente nella media dei cittadini dell’Unione (39%).

Un modo meno soggettivo per cogliere l’importanza delle attività arti-stiche e culturali nella vita delle persone è concentrarsi sulla partecipa-

zione, misurata con la percentuale di intervistati che, almeno una volta nel corso dell’ultimoanno, hanno visitato un museo o un sito storico oppure hanno assistito a un’opera lirica o aun balletto. Alte percentuali di cittadini coinvolti in queste attività, oltre a segnalare che lacultura è costitutiva per il benessere, sono indispensabili affinché il nucleo artistico-culturalepossa avere un impatto positivo sullo sviluppo delle industrie culturali e creative. Infatti iltalento artistico, che è il loro input più importante, dipende proprio dal coinvolgimento diampi settori della popolazione nella fruizione delle attività del nucleo. La partecipazione,inoltre, consente ai cittadini di sviluppare le abilità cognitive necessarie, tra le altre cose, peruna robusta domanda di mercato di beniculturali e creativi e allo sviluppo dellaconoscenza e delle competenze 14.

Nel complesso delle attività artistiche eculturali considerate da Eurobarometro,la percentuale di italiani che parteci-pano, anche tenendo conto del fatto cheil livello di reddito pro-capite dell’Italianon è più fra i più alti dell’Unione, è re-lativamente bassa. Sorprende in parti-colare che, nel paese conosciuto nelmondo per Venezia, il Colosseo e laTorre di Pisa, solo il 41% di cittadiniabbia visitato negli ultimi dodici mesiun monumento o un sito storico, controil 71% degli olandesi e il 65% dei britan-nici (Tabella 2.2).

Hanno invece livelli di partecipazione culturale molto elevati la Svezia e le repubbliche baltiche.In particolare, l’Estonia che, con un reddito pro-capite che è meno della metà di quello italiano,

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

14 Uno studio recente basato su un esperimento controllato nel quale alcuni studenti hanno visitato un museo diarti figurative mostra che l’esposizione alle arti ha un effetto positivo sulla successiva capacità di impegnarsi indiverse forme di pensiero critico. Si veda per maggiori approfondimenti, Bowen Daniel H., Greene Jay P. e KisidaBrian, Learning to Think Critically. A Visual Art Experiment, in Educational Researcher, 42(8), 2013.

…ma poco

partecipata

Tabella 2.2

Gli italiani partecipano e spendono poco in cultura

(Risposte, valori %, 2013)

Almeno una volta nell’anno hai

Assistito Visitato Visitato Spesaa un balletto, un monumento un museo delle famiglie

spettacolo o sito storico o galleria in attivitàdi danza, opera ricreative

e culturali(% consumi)

Regno Unito 22 65 52 10,6

Paesi Bassi 23 71 60 9,8

Germania 25 63 44 9,0

UE-27 18 52 37 8,7

Spagna 15 48 29 8,1

Francia 25 54 39 8,1

Italia 17 41 30 7,1

Paesi ordinati per Spesa.Fonte: elaborazioni CSC su dati Commissione europea ed Eurostat.

Page 144: Scenari economici 19

ha un indice di partecipazione del 35% piùalto15. Le ragioni dichiarate per le quali gliitaliani non visitano più spesso monumentio siti storici sono simili a quelle degli altripaesi europei: mancanza di tempo (33%) emancanza di interesse (32%). Non è quindisemplice identificare le ragioni specifichedella bassa partecipazione.

Un confronto tra performance econo-mica e le variazioni nella partecipazioneculturale fra il 2007 e il 2013 indica chenei paesi dove la crisi economica è statapiù profonda la partecipazione culturaleè scesa maggiormente (Grafico 2.2).

Nei paesi UE-15, più omogenei nella loro performance economica, una diminuzione di unpunto percentuale di PIL è statisticamente correlata con una diminuzione dell’indice dipartecipazione culturale di circa 0,4 punti percentuali. Interpretando questo come un ef-fetto, la performance economica degli ultimi anni spiega circa la metà della distanza nel-l’indice di partecipazione che ci separa dalla Spagna.

La grande e lunga recessione rischia quindi di ridurre la partecipazione culturale dei cit-tadini e di indebolire le abilità cognitiveessenziali per il successo delle industriecreative. E quindi anche per questa via,oltre che per la minore accumulazionedi capitale fisico e umano, diminuisce ilpotenziale di crescita del Paese.

Il dato che emerge dalle evidenze presen-tate è quindi quello dell’Italia come un pae-se i cui cittadini, rispetto ai partner del-l’Unione, dichiarano di dare molto peso allacultura come componente costitutiva del-la loro identità, ma che, a conti fatti, parte-cipano poco alle attività artistiche e cultu-rali (Grafico 2.3)16.

146

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 2.2

La crisi frena la partecipazione

(Indici, 2007 e 2013)

1 Depurato per gli effetti di eterogeneità dei livelli di sviluppo tra paesi al 2007.2 Per la definizione si veda la nota 15 nel testo.Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurobarometro 2007 e 2013.

AT

BE

BG

CZ

DE DK EE

EL

ES

FI

FR

HU

IE

IT

LT

LU

LV

MT

NL

PL

PT

SE

SI

SK

UK

-22,0

-17,0

-12,0

-7,0

-2,0

3,0

8,0

-30,0 -25,0 -20,0 -15,0 -10,0 -5,0 0,0 5,0 10,0 15,0 20,0

Ind

ice

par

teci

paz

ione

cul

tura

le2

PIL reale1

Grafico 2.3

Cultura importante, partecipazione alta

(Indici, 2007)

1 Per la definizione si veda la nota 16 nel testo.2 Per la definizione si veda la nota 15 nel testo.Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurobarometro 2007 e 2013.

AT

BE

BG

CZ

DE

DK

EE

EL

ES FI

FR

HU

IE

IT

SI LU

LV

MT

NL

PL

PT RO

SE

LT SK

UK

1,5

1,7

1,9

2,1

2,3

2,5

2,5 2,7 2,9 3,1 3,3 3,5

Ind

ice

par

teci

paz

ione

cul

tura

le2

Indice importanza della cultura1

15 L’indice di partecipazione culturale varia da 1 (bassa partecipazione) a 4 (alta partecipazione) ed è calcolato da Eu-robarometro 2013 sulla base della partecipazione a un insieme di attività culturali e ricreative.

16 L’indice di importanza della cultura varia da 1 (per nulla importante) a 4 (molto importante) ed è costruito sullabase delle opinioni dei cittadini riportate da Eurobarometro 2007.

Page 145: Scenari economici 19

Patrimonio, attività culturali e creatività: evidenza empirica

La componente del nucleo che riguarda il patrimonio storico, artisticoe culturale italiano è molto ampia. Secondo i dati del Ministero dei Beni

e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT) i “Luoghi della Cultura” nel 2012 com-prendevano: 420 istituti statali (200 musei, 108 aree archeologiche e 112 monumenti apertial pubblico) e 4.340 istituti non statali (3.409 musei, 802 monumenti, 129 siti archeologici);27 musei d’arte contemporanea di cui 3 statali e 4 fondazioni partecipate o vigilate dal MiBACT; 5.668 beni immobili e 46.025 beni architettonici vincolati fino al 2004, 100 archividi Stato con 1.603.937 metri lineari di scaffalature e 925.576 pezzi consultabili; 12.609 bi-blioteche, tra cui le due biblioteche nazionali centrali e le 44 biblioteche pubbliche statali,accolgono 197.554 manoscritti e 24.271.244 stampati.

Numericamente i musei francesi (1.218) e spagnoli (1.530) sono rispettivamente un terzo emeno della metà di quelli italiani (3.609), mentre le biblioteche italiane sono più del triplodi quelle francesi (3.410) e quasi il doppio di quelle spagnole (6.608)17.

L’Italia è il paesecon il patrimonio

artistico e culturale più importante delmondo; è una frase che viene spesso ri-petuta e che, anche se in misura menoampia rispetto ad alcune dichiarazionidei nostri politici18, trova riscontro nel-l’evidenza empirica. Fanno parte del pa-trimonio mondiale dell’UNESCO, checomprende 981 siti culturali e naturali di160 paesi differenti a cui l’organismo in-ternazionale attribuisce “eccezionale va-lore universale”, 49 siti italiani, il 14% diquelli europei e il 5% di quelli in tutto ilmondo, percentuale che sale al 6% se siconsiderano solamente i siti culturali(45; Tabella 2.3)19.

147

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

17 Per la Francia i dati del Ministere de la Culture et de la Communication sono aggiornati al 2012, mentre per la Spa-gna quelli del Ministerio de Cultura al 2010.

18 Si veda Stella Gian Antonio e Rizzo Sergio, Vandali, Rizzoli, Milano, 2011.19 Il riconoscimento di “eccezionale valore universale” viene attribuito in base alla Convenzione per il patrimonio

mondiale UNESCO del 1972, ratificata dall’Italia nel 1977 e da 190 Stati fino al 2012.

I numeri del nucleo

artistico-culturale

Primi nel patrimonio

universale…Tabella 2.3

Italia la più ricca in heritage(Patrimonio UNESCO, numero siti*)

Siti % Culturali Naturali Misti

Italia 49 5,0 45 4 0

Cina 45 4,6 31 10 4

Spagna 44 4,5 39 3 2

Francia 38 3,9 34 3 1

Germania 38 3,9 35 3 0

Messico 32 3,3 27 5 0

India 30 3,1 24 6 0

Regno Unito 28 2,9 23 4 1

Russia 25 2,5 15 10 0

Stati Uniti 21 2,1 8 12 1

Mondo 981 100,0 759 193 29* Primi 10 paesi per numero di siti.Fonte: elaborazioni CSC su dati UNESCO.

Page 146: Scenari economici 19

Tale percentuale, che già da sola certifica il primo posto del patrimonio italiano, potrebbeperaltro essere un’approssimazione per difetto per due ordini di ragioni. La classificazionenon tiene conto della “densità” di beni culturali all’interno di un singolo sito; ad esempioi centri storici di Roma e Firenze, bacini enormi di ricchezze archeologiche, artistiche e cul-turali, rientrano nella classificazione UNESCO con valore uno, alla stregua della GrandeMuraglia cinese o del complesso del Machu Picchu in Perù. Tuttavia, una ponderazionestatisticamente rigorosa, che attribuisca un equo valore a tutti i beni contenuti in un sito, èoggettivamente difficile da compiere data l’assenza di un inventario sia nazionale sia mon-diale dei singoli beni del patrimonio culturale. Inoltre, la selezione dei patrimoni inseritinella lista è soggetta a pressioni politiche, che fanno spesso prevalere gli interessi nazionalia quelli globali di protezione dei siti di maggior interesse20. In tal senso il conteggio dei pa-trimoni nella lista UNESCO dipende almeno in parte dalla capacità di ciascun paese di farelobbying a livello mondiale e la capacità italiana è senz’altro meno forte di quella di altripaesi come la Francia o il Regno Unito.

Un riconoscimento al patrimonio ita-liano arriva anche dal Country brandIndex elaborato dall’agenzia di consu-lenza FutureBrand, che vede l’Italia alprimo posto nella dimensione “Cultura epatrimonio” e, in particolare, nei campi“Arte e cultura” e “Storia” (Tabella 2.4).Tuttavia l’11° posto per “Bellezza natu-rale” e il posizionamento al di fuori daiprimi 15 paesi (su un totale di 118 ana-lizzati) per “Autenticità culturale” indi-cano che il brand culturale Italia e,quindi, anche il nucleo artistico-culturaleitaliano brillino di una luce che arrivadal passato piuttosto che dal presente edal futuro. L’impressione è confermata dal fatto che l’Italia arretra nelle dimensioni dell’in-dice riferite a sfere non culturali (ad esempio siamo al 21° posto in “Qualità della vita”) e nel-l’indice generale (15° posto, perdendo 5 posizioni rispetto al 2012).

Un altro dato che fa riflettere è che, nonostante il vantaggio fornito dalpatrimonio artistico e culturale l’Italia non primeggia per numero di vi-sitatori dei propri istituti. Se consideriamo i primi cinque siti più visitati

148

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Tabella 2.4

L’Italia vive del patrimonio passato

(Country brand Index, Cultura e patrimonio*)

Cultura e patrimonio

Arte Storia Autenticità Bellezzae cultura naturale

Italia 1 1 - 11

Francia 2 4 15 -

Giappone 3 8 1 -

Svizzera 10 - 3 1

Regno Unito 5 5 - -

Perù 8 9 14 -

Germania 6 7 7 -* Primi 7 paesi ordinati per posizione in classifica.Il trattino indica che il paese è fuori dai primi 15 per il campo in oggetto.Fonte: elaborazioni CSC su dati FutureBrand.

…non nel suo

sfruttamento

e coltivazione

20 Si veda Frey Bruno e Steiner Lasse, World Heritage List, in Handbook of the Economics of Cultural Heritage, a curadi Rizzo Ilda e Mignosa Anna, Edward Elgar, Cheltnam, Regno Unito, 2013.

Page 147: Scenari economici 19

Francia e Regno Unito raccolgono un nu-mero quasi doppio di presenze (23,6 e21,9 milioni rispettivamente) di quellodell’Italia (11,8 milioni) e il secondo sitopiù visitato in Francia, la reggia di Ver-sailles, ha staccato nel 2011 6,5 milioni dibiglietti, oltre 1 milione in più del sito ita-liano più visitato, il Circuito ArcheologicoColosseo e Palatino di Roma (5,4 milioni;Tabella 2.5). Restringendo il campo ai solimusei, secondo The ArtNewspaper ilLouvre di Parigi nel 2012 ha totalizzato9,7 milioni di presenze, mentre la Galle-ria degli Uffizi, il più visitato in Italia, èsolo al 22° posto della classifica mondiale,con poco più di un quinto dei visitatoridel museo parigino21.

Paradossale il caso degli scavi di Pom-pei, il secondo sito italiano più visitato,il cui degrado dovrà essere auspicabil-mente fermato dal “Grande ProgettoPompei”, inserito nella Legge “ValoreCultura” (L. 112/2013) e finanziato con105 milioni di euro tra fondi europei enazionali. Con 250 pezzi provenienti dagli scavi campani il British Museum di Londra haorganizzato una mostra speciale che ha fruttato 11 milioni di euro. Si prevede che gli incassiraddoppieranno, sempre a favore degli inglesi, ovviamente, grazie al film-documentario tri-dimensionale “Pompeii”: solo in Italia ha registrato nelle prime due giornate di proiezione,lunedì 24 e martedì 25 novembre, l’incasso per copia proiettata più alto22.

149

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Tabella 2.5

Visitatori: la Francia doppia l’Italia

(Siti e visitatori per paese, 2011*)

5 siti più visitati Visitatori

Francia Musée du Louvre 8.663.992

Château de Versailles 6.743.195

Centre Georges Pompidou 3.613.076

Musée d’Orsay 3.144.449

Musée du Quai Branly 1.457.028

Totale 23.621.740

Regno Unito British Museum 5.569.949

Tate Modern Gallery 4.735.178

National Gallery 4.688.000

Natural History Museum 4.103.375

Science Museum 2.765.930

Totale 21.862.432

Italia Circuito Colosseo e Palatino 5.391.978

Scavi Vecchi e Nuovi di Pompei 2.329.375

Galleria degli Uffizi 1.766.692

Galleria dell’Accademia 1.252.506

Cattedrale Sienae Libreria Piccolomini 1.070.291

Totale 11.810.842* Regno Unito 2009.Fonte: elaborazioni CSC su dati EGMUS.

21 Il numero di visitatori per misurare il successo dell’offerta museale ha il pregio di essere una variabile oggettiva,tuttavia il suo utilizzo è discutibile perché, oltre a essere solo indirettamente legato al valore culturale dell’offertamuseale, non tiene conto della differente dimensione dei musei che condiziona la ricettività degli stessi e, quindi,il flusso massimo di visitatori che un’esposizione può ospitare quotidianamente. Come riportato nel «Bollettinodegli Uffizi» di settembre 2013 il Louvre è circa dodici volte più grande degli Uffizi per dimensioni fisiche (60.600metri quadrati contro 5.500), ospita un numero di opere d’arte 76 volte più alto e registra un numero di presenzedi poco più di cinque volte più elevato. Facendo, dunque, le dovute proporzioni, non è la Galleria degli Uffizi chedeve aumentare i propri visitatori, ma piuttosto il Louvre.

22 Fonte Cinetel, dati al 30 novembre 2013.

Page 148: Scenari economici 19

La gestione del patrimonio è tutt’altro che ottimale e i problemi sono diversi23. Nonostanteil gran numero di musei, aree archeologiche e monumenti presenti sul territorio, la capa-cità espositiva è inferiore a quella di custodia e conservazione: solo il 42,9% dei museiespone oltre il 90% del patrimonio conservato. Carente è pure l’inventariazione: il 52,1% deibeni è inventariato, il 20,3% è catalogato e l’11,5% riprodotto in formato digitale. La dota-zione di strutture e servizi è ampia, ma è basso l’utilizzo delle lingue straniere: le visite gui-date sono disponibili nel 77,8% dei musei e istituti similari, la prenotazione di biglietti evisite nel 58,3%, caffetteria e ristorazione nel 13,4%, mentre solamente nel 42,5% delle strut-ture è presente personale in grado di fornire informazioni in inglese. La tecnologia digitalenon è sfruttata al meglio: se la metà degli istituti ha una pagina web, solo nel 16,3% dei casiè possibile l’accesso online ai beni esposti. Sebbene l’ingresso sia gratuito in una strutturasu due e i visitatori paganti siano stati nel 2011 il 52,7% dei quasi 104 milioni registrati inentrata, gli under 25 anni rappresentano solo un quinto (21,1%) del pubblico, anche per lamancanza di politiche tariffarie a loro favore, penalizzando così un bacino di utenza cru-ciale per accrescere conoscenza e competenze della popolazione. Ciò rappresenta uno svan-taggio nel confronto europeo: in Francia, ad esempio, l’entrata è libera fino al compimentodel 26° anno per i cittadini dell’Unione europea.

Ulteriore sintomo di scarsa attenzionealla coltivazione nel presente dellagrande eredità culturale del passatoemerge dalle statistiche che riguardanoil grado di istruzione in materie artisti-che e i professionisti in campi che sonodirettamente riferibili alla creatività ealla cultura. In Italia si dedicano 390 oreall’anno all’insegnamento dell’educa-zione artistica nei primi due gradi diistruzione, poco meno che in Spagna(440), ma circa la metà rispetto a Ger-mania (750) e Francia (760; Tabella 2.6).Il 3,3% degli studenti universitari ita-liani studia arte, meno della media UE-27 (3,8%); nel Regno Unito sono più deldoppio in termini percentuali (7,0%). Il ritardo relativo dell’Italia continua anche dopo il ter-mine degli studi: gli artisti professionisti e gli scrittori rappresentano lo 0,5% del totale degli

150

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Tabella 2.6

Arte: in Italia pochi studenti e pochi professionisti

(Valori assoluti e %)

Ore annue Studenti Scrittoridi educazione universitari e artisti2

artistica1 in arte (% occupati(2008) (% 2011) 2009)

Regno Unito n.d. 7,0 0,7

Spagna 440 5,4 0,5

Paesi Bassi n.d. 4,4 1,3

Francia 760 4,2 0,7

UE-27 n.d. 3,8 0,7

Italia 390 3,3 0,5

Germania 750 3,1 0,81 Nei primi otto anni di istruzione obbligatoria. 2 Include autori, giornalisti, scultori, pittori, compositori, musicisti, cantanti, coreografi, ballerini, attori.

Fonte: elaborazioni CSC su dati Commissione europea ed Eurostat.

23 Il rapporto dell’ISTAT I musei, le aree archeologiche e i monumenti in Italia, pubblicato nel novembre 2013, contiene irisultati della rilevazione censuaria condotta in collaborazione con MiBACT, Regioni e Province autonome sugliistituti a carattere museale presenti in Italia.

Page 149: Scenari economici 19

occupati, percentuale inferiore a quella europea (0,7%) e dei paesi con un simile livello disviluppo e paragonabile solo a quella della Spagna.

Infine, anche i numeri che riguardano la rappresentazione di opere li-riche rivelano che il nucleo artistico-culturale italiano può contare su

una straordinaria eredità del passato che non prosegue nel presente. Secondo i dati di Ope-rabase, un portale che raccoglie i dati di oltre 300 dei principali teatri del mondo, la Traviatadi Giuseppe Verdi risulta l’opera maggiormente programmata nelle ultime 5 stagioni liri-che (dal 2008/09 al 2012/13 ben 553 programmazioni). Delle prime 10 opere più pro-grammate, 6 sono di compositori italiani (3 di Puccini, 2 di Verdi e 1 di Rossini), 3 dicompositori austriaci e 1 di un francese. La situazione cambia radicalmente quando si passaai numeri e alle produzioni del presente: nella graduatoria del numero di recite messe inscena nella stagione 2012/13, l’Italia è solo 6a al mondo e diventa addirittura 20a quando sicontrolla per il numero di abitanti, preceduta da paesi come l’Estonia, la Slovenia e la Croa-zia con meno tradizione e un PIL pro-capite notevolmente più basso. Sorprende anche che,fra i compositori viventi, il primo italiano per numero di opere programmate è al 10° postoe il 2° solo al 31°.

Il primato italiano a livello internazionale nel patrimonio storico sem-bra cedere il passo quando si considerano le industrie culturali, quelle

che dal nucleo dovrebbero trarre i maggiori vantaggi e che dovrebbero valorizzare il pa-trimonio storico ereditato da un punto di vista sia economico sia culturale.

L’industria cinematografica italiana presenta nel confronto internazionale numeri relati-vamente bassi sia per l’offerta sia per la domanda (Tabella 2.7). Nel 2011, ultimo anno percui è possibile un confronto grazie ai dati dell’Osservatorio europeo dell’audiovisivo, sono

151

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Opera:

lo splendore che fu

I numeri delle attività

cuIturali…

Tabella 2.7

Cinema: in Italia basse l’offerta e la domanda

(Cinema, valori assoluti ed euro correnti, 2011)

Film di produzione Schermi Incassi Entrate Prezzo medionazionale al botteghino pro-capite biglietto

(milioni)

Italia 155 3.837 695 1,8 6,3

Spagna 199 4.040 630 2,1 6,6

Germania 205 4.640 958 1,6 7,4

Francia 272 5.464 1.370 3,4 6,3

Regno Unito 233 3.767 1.040 2,7 7,0Fonte: elaborazioni CSC su dati Osservatorio europeo dell’audiovisivo.

Page 150: Scenari economici 19

state prodotte 155 pellicole italiane (132 integralmente italiane e 23 coprodotte), meno chein Francia (272), Regno Unito (233), Germania (205) e Spagna (199)24. Gli incassi al botte-ghino (698 milioni di euro) sono superiori a quelli registrati in Spagna (630, che però haquasi venti milioni di abitanti in meno) ma molto inferiori a quelli di Germania (958, con20 milioni di abitanti in più), Regno Unito (1.040) e Francia (1.370), solo in parte per unmaggior costo medio del biglietto in questi paesi (7,4; 6,3 e 7,0 euro rispettivamente contro6,3 in Italia), e comunque a fronte di una diffusione degli schermi sul territorio superioresolo a quella britannica (3.873 in Italia contro 3.767 nel del Regno Unito e 5.464 in Francia).

D’altronde la partecipazione degli italiani è stata relativamente più bassa; in media hannovisto nel 2011 1,8 pellicole a testa spendendo 11,3 euro, praticamente la metà dei francesiche hanno assistito a 3,4 visioni pro-capite spendendo 21,4 euro e meno degli spagnoli (2,1per un spesa di 13,9 euro) e dei cittadini del Regno Unito (2,7 entrate e 18,9 euro di spesa).I tedeschi hanno visto in media meno film (1,6 per abitante), spendendo di più (11,8 euro)a causa del più alto costo medio del biglietto, cresciuto da 6,1 euro a 7,4 tra il 2008 e il 2011(il totale di incassi tedeschi è accresciuto dalla più ampia popolazione).

Il settore audiovisivo italiano, pur producendo programmi che ottengono in genere livellidi audience più elevati della media di rete (in particolare fiction e intrattenimento leggero),sta soffrendo in Italia più che all’estero, anche per un quadro normativo che lo svantaggiarispetto ai competitor europei, la drastica riduzione della sua quasi esclusiva fonte di fi-nanziamento: gli investimenti delle emittenti televisive. La riduzione del 33,0% tra il 2008e il 2012 del fatturato delle aziende di produzione audiovisiva italiane fa fronte a quella del46,1% degli investimenti delle imprese emittenti, un calo più alto di quello verificatosi pergli investimenti francesi (-12,2%) e bri-tannici (-31,5%).

Secondo i dati della Federazione Inter-nazionale dell’Industria Fonografica(IFPI) nel 2012 il valore delle vendite delmercato musicale in Italia è stato di circa169 milioni di euro, quasi identico aquello dei Paesi Bassi, più alto che inSpagna (130), ma molto più basso ri-spetto a quelli francese (706), tedesco(1.010) e britannico (1.053; Tabella 2.8).Tra i paesi considerati la Germania è

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

24 Secondo i dati dell’Unità di studi congiunta MiBACT-ANICA nel 2012 in Italia sono stati prodotti 166 film di na-zionalità italiana, di cui 129 interamente italiani, 20 in coproduzione maggioritaria, 16 in coproduzione minorita-ria e 1 in coproduzione paritaria.

Tabella 2.8

Italia piccola per mercato musicale

(Mercato della musica, vendite; milioni euro 2012 e valori %)

Vendite Mercato Mercato Diritti di Altrifisico digitale pubblica diritti

esecuzione

Regno Unito 1.053 49 39 10 2

Germania 1.010 75 19 5 1

Francia 706 64 23 11 2

Italia 169 62 27 9 2

Paesi Bassi 168 58 27 14 1

Spagna 130 53 27 19 1Fonte: elaborazioni CSC su dati IFPI.

Page 151: Scenari economici 19

quello con la più alta percentuale di vendite legata al supporto fisico (75%, in Italia 62%),il Regno Unito quello con la più alta quota del mercato digitale (39%, in Italia 27%), la Spa-gna quello in cui è più elevata la percentuale riservata ai diritti di pubblica esecuzione (19%,in Italia 9%).

Nel campo dell’editoria libraria nel 2010 in Italia sono state pubblicate circa 63.800 operecon una tiratura di 213 milioni di copie e 19.884 titoli di e-book in commercio. I libri sonocirca il 20% in meno rispetto agli 81.300 editi in Francia, con 620 milioni di esemplari pro-dotti da 261 case editrici. Di particolare interesse per misurare la produzione creativa let-teraria è la statistica sui nuovi titoli: 39.898 in Italia nel 2010; meno, secondo i dati dellaFederazione europea degli editori, che nel Regno Unito (circa 149.800), Germania (82.048),Spagna (circa 44.000) e Francia (41.902)25. In termini di fatturato, l’editoria italiana (3,1 mi-liardi nel 2012) è più piccola di quelle tedesca (9,5 miliardi) e britannica (3,9), ma più grandedi quelle spagnola (2,8) e francese (2,8).

I dati riflettono la scarsa propensione alla lettura degli italiani: nel 2012 solo il 46,0% della po-polazione ha dichiarato di aver letto almeno un libro, anche se si tratta di una percentuale inaumento rispetto al 2006 (44,1%) e al 2000 (38,6%). Solo il 52,1% delle persone con 6 anni e piùha dichiarato di leggere il giornale almeno una volta alla settimana, mentre il 36,7% dice difarlo almeno cinque giorni su sette.

I dati trovano riscontro nella modestadiffusione dei quotidiani (a pagamentoe gratuiti; Grafico 2.4). Nel 2011 ognimille abitanti con 15 anni e più sonostate diffuse 161,9 copie di quotidiani,un valore al di sotto della media UE-27(229,1), pari alla metà di quello dei PaesiBassi (322,2) e, peraltro come in altripaesi, in diminuzione nel corso deltempo (185,2 nel 2007). Un ritardo cheviene accentuato dal minor utilizzodella tecnologia, e quindi della rete, perla lettura online di giornali, news o rivi-ste: nel 2011 il 30,0% della popolazionetra i 16 e i 74 anni ha utilizzato il webper questi scopi, contro il 40,0% della media UE-27. Sul versante dell’uso delle tecnologiedigitali, comunque, si registrano segnali di miglioramento: secondo Eurobarometro 2013,

153

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

25 Per Francia, Regno Unito e Spagna il numero include anche le nuove edizioni.

Grafico 2.4

Editoria e stampa: in Italia si legge poco

(Copie di quotidiani a pagamento e gratuite diffuse, valori per 1.000 abitanti di 15 anni e oltre)

Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

0

100

200

300

400

500

600

700

800

Luss

emb

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S

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Page 152: Scenari economici 19

nonostante la bassa partecipazione culturale, la quota di Italiani che usano Internet per mo-tivi culturali è superiore rispetto alla media continentale (il 35% lo ha utilizzato almenouna volta alla settimana, contro il 30% degli europei).

Sono molti, invece, gli italiani che utilizzano la tecnologia digitale per giocare: le consoleper videogioco sono presenti in 11,5 milioni di case e il loro numero è cresciuto del 2,0% nel2011 rispetto all’anno precedente. Secondo i dati elaborati da Retail GfK Retail and Techno-logy il mercato italiano di videogiochi valeva quasi un miliardo di euro (993 milioni) nel2011, posizionandosi al 4° posto tra i primi cinque mercati europei, davanti alla Spagna(830), ma molto più indietro di paesi come Francia (2.099) e Regno Unito (2.587), che hannouna popolazione poco più numerosa di quella italiana. Sul 2010 la performance in valoredel mercato italiano (-7,1%) è stata peggiore di quella del mercato tedesco (-1,1%), ma menonegativa di quelle francesi (-7,3%), britanniche (-12,4%) e spagnole (-14,7%).

Tecnologia, talento e tolleranza sono, secondo il filone di studi sull’econo-mia creativa inaugurato da Richard Florida, le leve (le 3T) per competere

nella società globale in cui viviamo, che è sempre più caratterizzata dalla creatività, intesa comecapacità di produrre idee, contenuti creativi, conoscenze, nuove tecniche e innovazione26.

Il fondamentale valore economico della creatività, secondo Florida, è complementare aquello derivante dal ruolo di conoscenza e informazione nella New Economy. In una “eco-nomia creativa” i lavoratori dotati di talento, apertura mentale e, appunto, creatività rap-presentano per le imprese ciò che il carbone rappresentava per quelle che hanno vissuto ilpassaggio dall’economia agricola a quella industriale. La trasformazione in atto oggi nel-l’economia creativa è basata sull’ascesa della nuova “classe creativa”, un nucleo di profes-sionisti che lavorano in campi come la scienza, l’ingegneria, la ricerca e sviluppo, le industrietecnologiche, ma anche l’arte, la musica, la cultura e il design. L’ascesa della classe creativarappresenta un’evoluzione del concetto di proprietà dei mezzi di produzione: a differenzadell’aristocrazia feudale che derivava potere dal possesso ereditario delle terre, i compo-nenti della classe creativa si identificano come produttori di idee e creatività e, quindi, di va-lore aggiunto nel capitalismo post-crisi, che richiede alle imprese più idee da scambiare eapplicare trasversalmente a vari settori dell’economia e sempre meno pure merci da vendere.Ossia sono gli artefici della smaterializzazione come fonte del valore dei beni prodotti.

L’Italia, nonostante l’immagine di estro e inventiva che ha proiettato e continua con qual-che difficoltà a proiettare nel mondo, non eccelle per creatività e, secondo i dati del GlobalCreativity Index (GCI) elaborato dal Martin Prosperity Institute nel 2011, dimostra un ri-tardo nei confronti dei più diretti partner commerciali. Il GCI valuta le prospettive di cre-scita sostenibile futura di 82 economie sulla base delle 3T. L’Italia è al 19° posto della

154

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

...e quelli

dell’economia creativa

26 Si veda per maggiori approfondimenti Florida Richard, The Rise of the Creative Class, Basic Books, New York, 2002.

Page 153: Scenari economici 19

graduatoria generale, dietro non solo agliStati Uniti e alle economie scandinaveche costituiscono il cluster di paesi vicinialla frontiera della competitività27, maanche alle economie europee con cui tra-dizionalmente si è trovata a competere:Regno Unito (13° posto), Francia e Ger-mania (insieme al 15° posto), Spagna (17°posto; Tabella 2.9). Il ritardo è più rile-vante nelle leve della Tecnologia (26°posto) e della Tolleranza (23° posto). Unabuona notizia viene invece dall’indica-tore del Talento, che la pone al 18° postodavanti a tutti i suoi più diretti competitorinternazionali. L’indice del Talento è ali-mentato in Italia dal 18° posto nell’inve-stimento in capitale umano (tasso diiscrizione a istituti universitari e post-secondari) e dal 16° posto della classe creativa, chetra il 2004 e il 2007 era pari al 39,3% della forza lavoro, come in Francia, più che in Spagna(31,0%) ma meno che nel Regno Unito (41,3%), in Germania (41,6%) e nei Paesi Bassi(46,2%).

Il quadro descritto era già emerso in un’altra pubblicazione meno recente di Florida in cui l’Ita-lia risultava al 13° posto tra 15 paesi analizzati (i 14 principali europei più gli Stati Uniti) sia nellaclassifica dell’Euro Creativity Index, davanti solo a Grecia e Portogallo, sia in quella dell’Euro Crea-tivity Trend Index, che valuta i progressi dei paesi nel campo della creatività28. In questo secondocaso l’Italia precede Regno Unito e Francia ed è preceduta all’11a e 12a posizione da Paesi Bassie Germania, un segnale che le tradizionali potenze europee, che hanno usufruito di un vantag-gio storico sul continente, vedono diminuire il proprio primato nell’era della creatività.

Indicazioni precise, in assoluto e relativamente ai diretti concorrenti, sulla creatività del Paesee, quindi, sulla capacità di produrre nuove idee e tecniche provengono dall’evidenza empi-rica sulla registrazione a livello comunitario dei diritti di proprietà intellettuale su disegni,marchi e brevetti29. Ovviamente la dimensione economica dei paesi condiziona la quantità di

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Tabella 2.9

Creatività: Italia sostenuta dal talento

(Global Creativity Index, graduatoria e quota %)

GCI Classecreativa

Generale Tecnologia Talento Tolleranza (%)

Svezia 1 5 2 1 43,9

Stati Uniti 2 3 8 8 35,2

Finlandia 3 1 1 19 43,4

Paesi Bassi 10 17 11 3 46,2

Regno Unito 13 18 19 10 41,3

Svizzera 14 6 22 20 44,8

Francia 15 14 23 16 39,2

Germania 15 9 26 18 41,6

Spagna 17 24 28 6 31,0

Italia 19 26 18 23 39,3

Fonte: elaborazioni CSC su dati Martin Prosperity Institute.

27 Oltre al 1° posto della Svezia e al 3° della Finlandia, la Danimarca si piazza al 4° posto e la Norvegia al 7°. 28 Si veda Florida Richard e Tinagli Irene, The Europe in the Creative Age, Demos, 2004.29 Un disegno o modello comunitario registrato è un diritto esclusivo di proprietà intellettuale conferito sull’intero

territorio dell’Unione europea per l’aspetto esteriore di un prodotto o di una sua parte quale risulta dalle caratte-ristiche, in particolare, delle linee, dei contorni, dei colori, delle forme, della struttura superficiale, dei materialie/o del suo ornamento.

Page 154: Scenari economici 19

risorse investite in ricerca e sviluppo espiega in parte il dominio innovativodella Germania, che ha registrato 167miladisegni dal 2003 al 2012, 208mila brevettidal 2002 al 2010 e 200mila marchi dal 1996al 2012 (Tabella 2.10).

È significativo, però, che la posizione del-l’Italia sia di leggero ritardo rispetto aicompetitor, a eccezione della Spagna, peri brevetti (41mila registrati dal 2002 al2010 contro i 75mila francesi e i 49milabritannici) e di chiaro vantaggio per i di-segni (96mila dal 2003 al 2012, più di tuttigli altri, Germania a parte). Il dato con-ferma il quadro fornito dal Global Creativity Index: l’Italia è debole dove l’innovazione è es-senzialmente tecnologica e contano molto le risorse investite in R&S, mentre ha unaposizione di vantaggio dove è rilevante quella che Paul Stoneman definisce “soft innova-tion”30, che riguarda più gli aspetti estetici dei prodotti che quelli funzionali.

L’applicazione del talento e della creati-vità è trasversale a più settori dell’eco-nomia. Nell’alimentare la ricchezzadell’Italia trova conferma nella supre-mazia del Belpaese nella registrazione,ai sensi della regolamentazione europea,dei prodotti agricoli con Denominazionedi origine protetta (DOP) e Indicazionegeografica protetta (IGP). Al novembre2013 risultavano registrate e sollecitate275 domande di DOP e IGP per prodottiagricoli italiani, più che in Francia (225)e Spagna (177), paesi maggiormente pa-ragonabili al nostro non solo per dimensione ma anche per le condizioni climatiche ne-cessarie alla coltivazione (Tabella 2.11). Nello stesso periodo 605 vini italiani sono statiinseriti nei registri DOP (476) e IGP (129), più dei concorrenti vini francesi (451 in totale:376 DOP e 75 IGP).

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Tabella 2.10

Proprietà intellettuale: tutti dietro la Germania

(Richieste di protezione, migliaia e % su mondo)

Disegni1 Brevetti2 Marchi1

2003-12 % 2002-10 % 1996-2012 %

Germania 167 24,1 208 18,2 200 17,4

Italia 96 13,9 41 3,6 90 7,9

Francia 59 8,5 75 6,6 79 6,9

Regno Unito 46 6,7 49 4,3 120 10,5

Spagna 40 5,8 12 1,0 88 7,7

Paesi Bassi 22 3,2 31 2,7 39 3,4Paesi ordinati per Disegni.1 Comunitari registrati all’OHIM; 2 Comunitari registrati all’EPO.Fonte: elaborazioni CSC su Eurostat e OHIM.

Tabella 2.11

Italia leader per marchi enogastronomici

(Denominazioni DOP e IGP, 2013)

Prodotti agricoli1 Vini2

Italia 275 605

Francia 225 451

Spagna 177 144

Germania 116 39

Regno Unito 62 4

Paesi Bassi 15 121 Domande registrate e presentate fino a novembre.2 Domande registrate fino a novembre. Fonte: elaborazioni CSC su dati DOOR e E-BACCHUS.

30 Si veda per maggiori dettagli Stoneman Paul, Soft Innovation - Economics, Product Aesthetics, and the Creative Indu-stries, Oxford University Press, New York, 2010.

Page 155: Scenari economici 19

La descrizione dei settori culturali fin qui elaborata grazie a indicatoriqualitativi e a variabili statistiche quantitative (non omogenee e di fontedifferente) racconta un Paese in cui è forte l’eredità del passato, ma che

non riesce a gestire tale eredità al meglio perché non attiva le importanti ricadute che de-rivano dal patrimonio storico a favore delle attività culturali e, conseguentemente, econo-miche. Un Paese dove la scarsità delle risorse investite condiziona sempre più la capacitàdi innovare, ma non ha ancora tarpato le ali del talento e della creatività, molto rinomatanel mondo. Si tratta solo della luce effimera di un glorioso passato, che permette all’Italiadi essere riconosciuta come il luogo che ha dato i natali e ha ispirato Leonardo e Miche-langelo, oppure esiste uno spazio in cui poter costruire un percorso di crescita e sviluppo?Il CSC risponde misurando con un’analisi statistica più rigorosa, basata su variabili eco-nomiche confrontate internazionalmente, il peso della cultura sull’economia e la perfor-mance del sistema produttivo culturale italiano e delle sue componenti31.

Il sistema produttivo culturale: perimetro e peso sull’economia

Quanto pesa la cultura per l’economia italiana? Cosa rivela il confrontocon i principali paesi europei? Quale quota del valore economico di-

scende direttamente dall’eredità del passato e quale dalla capacità di creare nuovi signifi-cati e simboli, che sollecitino l’emotività degli acquirenti, e di abbinarli ad aspetti funzionalidei beni? Qual è stato l’impatto della crisi sul settore?

Il valore economico del “sistema culturale” è spesso ignorato, così come le sue enormi poten-zialità. In una economia creativa la produzione di nuovi contenuti è la chiave del successo e ilvalore generato cresce muovendosi dal nucleo artistico verso i settori esterni nel modello deicerchi concentrici. Tuttavia, non è certo che tale gerarchia sia valida per tutte le economie e, so-prattutto, che la capacità relativa dei singoli settori di generare reddito sia la stessa in tutti i paesi.

Per rispondere alle domande iniziali il primo passo è misurare il valore economico dei pro-dotti culturali utilizzando tre variabili: valore aggiunto, e quindi contributo al PIL, occu-pazione ed esportazioni. Seguendo il modello dei cerchi concentrici visto sopra,scomponiamo il sistema produttivo culturale in tre macrosettori: il nucleo artistico-cultu-rale, che contiene al suo interno produzioni che non è possibile definire industriali e chesono, dunque, meno direttamente rivolte all’obiettivo della creazione di valore economico;le industrie culturali; e i settori creativi. Il campo d’analisi non considera altre attività eco-nomiche che, pur usufruendo dei benefici dell’esistenza del nucleo artistico-culturale, nonhanno nella creazione di nuovi contenuti il valore aggiunto essenziale, ma usufruisconodell’associazione degli aspetti emozionale e immateriale con quello funzionale. Tra di essi

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

31 Un simile approccio alla misurazione del sistema produttivo culturale è stato adottato dalla Commissione euro-pea in The Economics of Culture in Europe, 2006.

Solo eredità

del passato

o c’è un futuro?

Cultura: un’analisi

statistica

Page 156: Scenari economici 19

ci sono molte altre industrie manifatturiere e c’è il turismo, che rappresenta un settore im-portante per l’economia del Paese, incidendo nel 2012 per il 10,3% del PIL e l’11,7% del-l’intera occupazione nazionale32.

La definizione elaborata dal CSC del perimetro delle attività economiche appartenenti alsistema produttivo culturale si ispira alla recente letteratura che punta non solo a misurareil valore economico della cultura ma anche ad armonizzare le definizioni e le classifica-zioni a livello internazionale; in particolare per l’Italia le ricerche Unioncamere e Fonda-zione Symbola e a livello europeo il rapporto finale della struttura di coordinamentoeuropea ESSnet-Culture creata dall’Eurostat e finanziata dalla Commissione europea e dacinque ministeri della cultura corresponsabili del progetto33 34. Tale definizione non puònon passare, come già ricordato, per evidenti ma necessarie semplificazioni, come quelladi misurare con il prezzo del biglietto pagato dagli spettatori il valore economico dei museio di una performance teatrale.

Nel 2011 il complesso del sistema produttivo culturale rappresentavain Italia il 5,6% del valore aggiunto (VA), pari a 78,8 miliardi di euro

(Tabella 2.12)35. Di questi il 10,9% è stato prodotto dal nucleo, il 50,1% dalle industrie cul-

158

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Il valore aggiunto

culturale,…

32 Per maggiori dettagli sull’incidenza del settore turistico allargato si veda World Trade & Tourism Council, Travel& Tourism Economic Impact 2013 – Italy, 2013.

33 Si veda Unioncamere e Fondazione Symbola, L’Italia che verrà. Industria culturale, made in Italy e territori, 2011, 2012e 2013 e Commissione europea, ESSnet Culture Final Report, 2012.

34 La definizione statistica delle attività economiche “culturali” è basata per valore aggiunto e occupazione sul sistemadi classificazione definito in ambito europeo delle attività economiche (NACE rev. 2 che in Italia trova corrispondenzanell’ATECO 2007) e per le esportazioni sul sistema armonizzato (SH) di classificazione merceologica utilizzato a li-vello internazionale per il commercio con l’estero. In particolare, sono stati utilizzati i dati Eurostat di Contabilità na-zionale (CN) per il valore aggiunto a prezzi correnti dal 2008 al 2011 e quelli del Labor Force Survey (LBS) perl’occupazione dal 2008 al 2012. Inoltre, lo Structural Business Survey e il dataset Prodcom sono stati utilizzati per il cal-colo, laddove necessario, dei pesi necessari alla ponderazione a 4 e 5 cifre dei dati a 2 cifre disponibili in CN e LBS.Per le esportazioni l’utilizzo della banca dati UNCTAD sull’economia creativa (disponibile alla pagina webhttp://unctadstat.unctad.org/) è stato integrato con i dati Comtrade per i settori dell’abbigliamento esterno e cal-zature al fine di costruire un perimetro delle esportazioni delle industrie creative coerente e confrontabile con quellodel valore aggiunto e dell’occupazione (si veda la tabella in Appendice). Per la Spagna vengono presentate statisti-che solo per l’occupazione per l’indisponibilità di dati sufficientemente disaggregati del valore aggiunto.

35 Le piccole differenze che emergono per l’Italia rispetto alla pubblicazione Unioncamere e Fondazione Symbola(2012) sono interpretabili sia con una revisione dei dati utilizzati in comune sia con una definizione del perime-tro del sistema produttivo culturale, che risulta diversa in alcuni casi limitati. Ciò per tenere in considerazione leindicazioni emerse a livello europeo (ad esempio, non si considerano tra le attività creative quelle degli studi diingegneria) o per motivi legati alla mancante disaggregazione dei dati alla 4a cifra NACE che emerge nel caso delnucleo artistico-culturale. In particolare, non è possibile escludere dalla divisione NACE 91 (Attività di bibliote-che, archivi, musei e altre attività culturali) il settore 91.04 (Attività degli orti botanici, dei giardini zoologici edelle riserve naturali), mentre il settore 90.03 (Creazioni artistiche e letterarie) è qui inserito tra le arti performa-tive e visive e non tra le attività culturali come in Unioncamere e Symbola (2012); tutto ciò porta a un maggior va-lore prodotto dal nucleo artistico-culturale, nel cui calcolo vengono aggiunti i settori 91.04 e 90.03, e a un minorvalore prodotto dalle industrie culturali, alla cui quota viene sottratto l’apporto del settore 90.03.

Page 157: Scenari economici 19

turali e il 39,0% dalle industrie creative.Tra i paesi considerati, solo nel RegnoUnito il totale della cultura pesa di più,cioè il 6,9% del VA totale, ma con unacomposizione molto differente36: è moltoampia la quota delle industrie culturali(il 4,8% del VA totale) grazie soprattuttoal risultato del settore editoria e stampacon un valore aggiunto quasi quattrovolte superiore a quello italiano. L’Italia èinvece il paese in cui pesano di più le in-dustrie creative (2,2% del VA totale, pari30,7 miliardi) grazie non solo all’impor-tanza dei settori paste alimentari, abbi-gliamento esterno e calzature, ma anchea quelle di altri comparti a forte conte-nuto creativo come le lavorazioni artistiche di vetro, ceramica e marmo in cui il valore ag-giunto aggregato (1,7 miliardi) rappresenta il 34,1% di quello prodotto dall’intera UE-2737.

D’altra parte, in Italia le quote del VA di nucleo artistico-culturale (0,6%) e industrie cultu-rali (2,8%) sono le più basse. Considerando, dunque, la produzione del nucleo artistico-culturale, invece che la disponibilità della sua componente che riguarda il patrimoniostorico, l’Italia passa dal primo all’ultimo posto.

Gli effetti della crisi sono stati pesanti. Dal 2008 al 2011 il valore aggiunto del totale dellacultura nell’UE-27 si è ridotto dell’1,3%, mentre l’economia nel suo complesso nello stessoperiodo è cresciuta solo dell’1,1% cumulato (Grafico 2.5). Il peso dei settori creativi e cul-turali è diminuito in tutti i paesi considerati, tranne che in Germania dove è aumentato dicirca 0,1 punti percentuali, grazie alle industrie culturali (+0,2 punti). Il Regno Unito, dovenel 2008 la cultura pesava per circa il 7,4% del PIL, è il paese in cui la quota è scesa di più(0,51 punti percentuali), come conseguenza della diminuzione del peso di tutti e tre i sot-toinsiemi; la perdita di VA del settore culturale è stata pari all’11,1% (13,5 miliardi di euro),

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Tabella 2.12

Cultura: solo nel Regno Unito pesa più che in Italia sul PIL

(Valore aggiunto a prezzi correnti, % sul totale e miliardi di euro; 2011)

Nucleo1 Industrie Industrie Totale Totaleculturali2 creative3 cultura cultura

(livello)

Regno Unito 0,8 4,8 1,3 6,9 108,8

Italia 0,6 2,8 2,2 5,6 78,8

UE-27 0,7 3,2 1,6 5,5 618,6

Germania 0,7 3,1 1,4 5,2 121,8

Paesi Bassi 0,6 3,2 1,1 4,9 26,4

Francia 0,7 2,8 1,3 4,8 86,01 Patrimonio storico-artistico, arti performative e arti visive.2 Film, video, radio-tv, musica, libri e stampa, videogiochi e software.3 Architettura, comunicazione e branding, design, arredamento, produzionedi stile. Fonte: elaborazione CSC su dati Eurostat.

36 D’ora in avanti in questo paragrafo l’espressione “totale della cultura” viene usata come sinonimo di sistema pro-duttivo culturale comprendente al suo interno nucleo artistico-culturale, industrie culturali e industrie creative.

37 Il settore della produzione di paste alimentari fresche e secche, di cuscus, e di prodotti farinacei e simili (NACE10.73) è un sottoinsieme dell’industria alimentare e viene inserito nelle industrie creative per motivi di compara-bilità con le altre analisi già pubblicate sul settore produttivo culturale italiano (Unioncamere e Fondazione Sym-bola 2013 e precedenti) e perché gode più di altri appartenenti al settore alimentare dei benefici derivanti dallatradizione e arte culinaria italiana e dall’immagine all’estero dello stile di vita italiano.

Page 158: Scenari economici 19

performance nettamente peggiore diquella dell’intera economia, il cui VA è ca-lato del 4,7%.

In Italia la quota del sistema produttivoculturale è scesa di 0,26 punti, dal 5,8%del VA totale nel 2008. La perdita di va-lore aggiunto culturale nello stesso pe-riodo è stata pari al 4,7%, 3,9 miliardi dieuro, quasi il doppio nei livelli rispetto aquella subita dall’intera economia, il cuivalore aggiunto nel periodo osservato èdiminuito di 2,2 miliardi, cioè dello0,2%. La crisi ha colpito, come negli altripaesi, soprattutto le industrie creative, ilcui peso è diminuito di 0,30 punti per-centuali. La contrazione del loro valoreaggiunto in quattro anni (4,3 miliardi) è stata in parte compensata dall’incremento di 1,1 mi-liardi del VA del nucleo artistico-culturale, che dal 2008 al 2011 ha guadagnato 0,08 puntipercentuali di quota sul totale dell’economia. La perdita delle industrie culturali nello stessoperiodo è risultata pari a 0,7 miliardi, equivalenti all’1,7%. In tempo di crisi, dunque, le at-tività del segmento creativo sono state le più colpite, mentre le industrie culturali hanno pa-rato il colpo e il nucleo artistico è addirittura riuscito a crescere.

La seconda variabile con la quale è possibile misurare l’importanza delsistema produttivo culturale è l’occupazione. Questa consente un con-

fronto del peso relativo dei settori culturali che non dipende dal valore economico generato;quest’ultimo è un aspetto rilevante, avendo chiarito che il valore economico è superiorenelle parti più esterne del modello a cerchi concentrici, nelle quali l’aspetto economico èpreponderante su quello culturale sia perché include la funzionalità (il valore d’uso) delbene sia perché gli operatori si confrontano in modo diretto con il mercato. Nel 2012 il set-tore cultura nel suo complesso ha impiegato in Italia il 5,9% degli occupati, circa 1.360.000persone (Tabella 2.13). Le industrie creative danno luogo al maggiore assorbimento occu-pazionale, con il 47,3% del totale (643mila occupati) contro il 42,7% (581mila) delle indu-strie culturali e il 10,0% (137mila) del nucleo artistico-culturale. La quota degli occupatiattribuibile alle industrie creative in Italia (2,8% sul totale dell’occupazione nel Paese) è lapiù alta tra quelle dei paesi analizzati. I lavoratori delle industrie creative risultano anchei più produttivi: a loro si deve il 2,2% del VA totale. Sarebbe, tuttavia, impreciso utilizzare

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 2.5

Le industrie creative più colpite dalla crisi

(Valore aggiunto a prezzi correnti, var. % 2008-11)

1 Patrimonio storico-artistico, arti performative e arti visive.2 Film, video, radio-tv, musica, libri e stampa, videogiochi e software.3 Architettura, comunicazione e branding, design, arredamento e produzione

di stile.Fonte: elaborazione CSC su dati Eurostat.

-30,0

-20,0

-10,0

0,0

10,0

20,0

30,0

Regno Unito Italia UE-27 Germania Paesi Bassi Francia

Nucleo1 Industrie culturali2 Industrie creative3 Totale cultura

…l’occupazione

culturale…

Page 159: Scenari economici 19

la produttività apparente del lavoro perconfrontare l’efficienza dei tre settori in-dividuati (nucleo, industrie culturali e in-dustrie creative). Infatti, tra di essi alledifferenze relative alla misurazione delvalore economico della cultura si ag-giungono quelle legate alla diversa in-tensità di capitale.

L’Italia spicca nelle performance relativedelle paste alimentari (che fanno parte delleindustrie creative), con 26mila addetti, ossiapiù del 50% degli occupati europei del set-tore, e della fabbricazione di prodotti carto-tecnici (che è ricompresa nelle industrieculturali), con il 39,3% del valore aggiuntoUE-27 e il 32,7% degli occupati europei.

Per quota di occupazione nella cultura fanno meglio dell’Italia i sistemi britannico (6,3%) e olan-dese (6,1%). In entrambi i casi la composizione è molto differente da quella italiana: pesano dipiù il nucleo artistico-culturale (0,9% per il Regno Unito e 1,2% per i Paesi Bassi) e le industrieculturali (4,0% e 3,4% rispettivamente), mentre è circa la metà di quella italiana la quota delle in-dustrie creative (1,4% e 1,5%). In Spagna e Francia le industrie culturali pesano quanto la sommadel nucleo e delle industrie creative.

Dal 2008 al 2012 l’occupazione culturalenell’UE-27 è diminuita del 2,4% cumu-lato, un risultato migliore di quello del-l’intera economia (-3,4%), il che dimostrala capacità di tenuta a livello occupazio-nale del settore anche nei periodi di crisi(Grafico 2.6). Il peso occupazionale dellacultura sull’economia nello stesso pe-riodo è diminuito in tutti i paesi conside-rati, tranne che in Francia e Regno Unitodove è aumentato di 0,25 e 0,13 puntipercentuali, principalmente grazie aicontributi delle industrie culturali per laFrancia (+0,16 punti) e di quelle creativeper il Regno Unito (+0,05). La Spagna è

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Tabella 2.13

Più occupati culturali in Regno Unito e Paesi Bassi

(Occupati, % sul totale e migliaia; 2012)

Nucleo1 Industrie Industrie Totale Totaleculturali2 creative3 cultura cultura

(livello)

Regno Unito 0,9 4,0 1,4 6,3 1.847

Paesi Bassi 1,2 3,4 1,5 6,1 512

Italia 0,6 2,5 2,8 5,9 1.360

Germania 0,8 3,4 1,5 5,7 2.290

UE-27 0,8 2,9 2,0 5,7 12.230

Spagna 0,5 2,7 2,0 5,2 901

Francia 0,8 2,3 1,5 4,6 1.186Per i Paesi Bassi 2011 ultimo anno disponibile. 1 Patrimonio storico-artistico, arti performative e arti visive.2 Film, video, radio-tv, musica, libri e stampa, videogiochi e software.3 Architettura, comunicazione e branding, design, arredamento, produzionedi stile. Fonte: elaborazione CSC su dati Eurostat.

Grafico 2.6

Il nucleo ha difeso l’occupazione durante la crisi

(Occupazione, var. % 2008-12)

Per i Paesi Bassi 2011 ultimo anno disponibile. 1 Patrimonio storico-artistico, arti performative e arti visive.2 Film, video, radio-tv, musica, libri e stampa, videogiochi e software.3 Architettura, comunicazione e branding, design, arredamento e produzione

di stile.Fonte: elaborazione CSC su dati Eurostat.

-30,0

-20,0

-10,0

0,0

10,0

20,0

30,0

Regno Unito

Paesi Bassi Italia Germania UE-27 Spagna Francia

Nucleo1 Industrie culturali2

Industrie creative3 Totale cultura

Page 160: Scenari economici 19

l’economia che ha registrato il più forte calo della quota culturale sull’occupazione (-0,36punti percentuali): la perdita di occupati del settore culturale è stata pari al 20,1% (-227milapersone), una performance peggiore di quella dell’intera economia, la cui occupazione è ca-lata del 14,7% nel medesimo periodo.

In Italia la quota di occupazione del totale della cultura è scesa di 0,36 punti, dal 6,3% nel2008. La perdita di occupazione nella cultura nel periodo è stata pari al 7,8%, circa 115milaoccupati, un risultato peggiore rispetto a quello dell’economia totale (-2,2%, equivalenti acirca 506mila persone)38. Per le industrie creative il peso sull’occupazione totale è diminuitodi 0,42 punti percentuali, giacché la crisi ha causato la perdita di 113mila occupati in quat-tro anni (-14,9% cumulato); nei livelli tale calo determina quasi interamente quello registratodal sistema produttivo culturale nel suo insieme; la variazione negativa del numero di oc-cupati nelle industrie culturali (17mila) è, infatti, compensata da quella positiva nel nucleoartistico-culturale. L’Italia non è il solo paese in cui il nucleo ha avuto una performance oc-cupazionale positiva dal 2008 al 2012; aumenti degli occupati nel nucleo culturale si sonoavuti anche in Germania e Francia. In tutti i paesi qui considerati, con l’eccezione del RegnoUnito, è comunque salito il peso del nucleo culturale sull’occupazione totale.

Per analizzare lacompetitività inter-

nazionale delle industrie culturali e crea-tive, che riverbera gli effetti della forzadel nucleo, in modo non lineare, pren-diamo in considerazione le esportazioni.È una misura della competitività rivelata,non certo di quella potenziale. Nel 2011 ilsistema produttivo culturale ha espor-tato il 9,0% dei beni venduti dall’Italia al-l’estero, per un valore pari a 34,0 miliardidi euro (Tabella 2.14)39. Di essi il 94,3%viene dalle industrie creative, il 4,6% daquelle culturali e l’1,1% dal nucleo arti-stico-culturale (dato quest’ultimo che

162

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

…e l’export culturale

38 Il calo dell’occupazione dal 2008 al 2012 in termini di unità di lavoro a tempo pieno (ULA) è più ampio (pari al -4,8%),dato che le ULA riflettono anche le riduzioni di orario di varia natura, per esempio generate dal maggiore ricorsoalla Cassa Integrazione Guadagni.

39 La somma include gli incassi dei flussi turistici dall’estero solo per la parte costituita dagli acquisti di biglietti pervisitare musei o siti archeologici (258 milioni di euro è il valore dei servizi culturali acquistati da non residenti nel2010), non potendo essere il turismo considerato integralmente come produzione culturale (sebbene contribuiscain una parte, rilevante ma non quantificabile, alla formazione culturale). Per avere un termine di paragone, nel 2011la spesa in Italia di famiglie non residenti è ammontata a 30,9 miliardi.

Tabella 2.14

Export culturale: per l’Italia conta di più che altrove

(Export in valore, % sul totale paese e miliardi di euro, 2011)

Nucleo1 Industrie Industrie Totale Totaleculturali2 creative3 cultura cultura

(livello)

Italia 0,1 0,4 8,5 9,0 34,0

Regno Unito 1,1 1,1 2,5 4,7 17,1

Spagna 0,1 0,4 3,7 4,2 9,3

Francia 0,3 0,6 3,3 4,1 17,8

Mondo 0,2 0,5 3,1 3,7 490,6

Germania 0,1 0,8 2,1 3,0 31,9

Paesi Bassi 0,1 0,5 1,7 2,3 11,01 Arti visive.2 Film, musica, libri, stampa, videogiochi.3 Design, arredamento, artigianato artistico, abbigliamento esterno e calzature.Fonte: elaborazioni CSC su dati UNCTAD e Comtrade.

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non tiene conto dell’attrattività turistica che promana da questo nucleo). Tra quelli consi-derati l’Italia è il paese in cui l’export culturale è più elevato: risulta di poco superiore aquello tedesco, circa il doppio di quelli francese e britannico e più del triplo di quelli spa-gnolo e olandese. Inoltre, in Italia le esportazioni del sistema produttivo culturale pesanomolto di più sul totale dell’export: circa il doppio rispetto a Regno Unito, Spagna e Fran-cia e il triplo rispetto alla Germania. Un risultato che è dovuto interamente alla quota delleindustrie creative (8,5% dell’export totale, con 32,1 miliardi); infatti, le quote sull’exportitaliano del nucleo (0,1%, con 0,4 miliardi) e delle industrie culturali (0,4%, con 1,6 miliardi)sono le più basse tra le nazioni qui esaminate40. Per il Regno Unito il notevole peso delle artivisive (1,1%) dipende dalle esportazioni di antichità e dipinti verosimilmente commerciatinell’ambito delle aste di preziosi, opere e oggetti culturali (ciò significa che a esso corri-sponde anche un import quasi equivalente, la differenza essendo i redditi d’asta).

In Italia, inoltre, il settore culturale è più orientato alle esportazioni rispetto al resto del-l’economia: il rapporto tra la quota culturale sull’export nazionale (9,0%) e la quota cultu-rale sul valore aggiunto totale (5,6%) è maggiore di 1 (1,62). Le industrie creative sonoorientate all’esportazione in Italia (3,88) molto più che all’estero (Francia 2,60, Germania1,45). Mentre il nucleo e le industrie culturali per tutti i paesi si confermano come produt-tori di beni poco commerciabili internazionalmente, con l’importante eccezione del RegnoUnito che, riguardo al nucleo, è il paese di origine, per i motivi già ricordati, del 29,2% deglioggetti di antichità e del 27,0% dei dipinti esportati nel mondo e che, riguardo all’editoria,gode del vantaggio linguistico (come del resto gli Stati Uniti, qui non presi in considera-zione), tanto da aver dato luogo, sempre nel 2011, al 15,0% dell’export mondiale di libri(14,9% gli Stati Uniti).

I dati UNCTAD e Comtrade consentono di analizzare la dinamica delle esportazioni cul-turali su un periodo di tempo ragionevolmente lungo. Dal 2002 al 2011 le esportazioni mon-diali della cultura sono cresciute a un tasso medio annuo del 9,6%, ossia meno delleesportazioni totali che, in valore e nello stesso arco di tempo, sono cresciute del 12,2% annuo(Grafico 2.7). Solo nei Paesi Bassi (+12,6%) e in Francia (+9,0%) le esportazioni culturalisono cresciute più di quelle totali (che hanno conseguito un +11,8% e +6,7%, rispettiva-mente), cosicché è cresciuto il peso della cultura sull’export (+0,14 punti percentuali neiPaesi Bassi e +0,71 punti in Francia), grazie al contributo delle industrie creative (+0,24 e+0,76 punti rispettivamente). In Italia l’export culturale è cresciuto meno (+5,6%) di quello

163

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

40 Le statistiche qui illustrate derivano dall’integrazione dei dati Comtrade per abbigliamento esterno e calzature conil dataset UNCTAD sull’economia creativa che considera le industrie creative al netto di quei due settori. Il pesodi abbigliamento esterno e calzature sull’export totale italiano è pari al 3,8%, più alto di quello osservato in tuttigli altri paesi per l’intero settore delle industrie creative. Anche al netto del loro contributo le quote italiane perindustrie creative (4,7%) e sistema produttivo culturale (5,2%) sarebbero le più alte in assoluto.

Page 162: Scenari economici 19

totale (+8,3%) e al ritmo più basso tra ipaesi considerati. In particolare, sono levariazioni delle esportazioni italiane delnucleo artistico-culturale (+4,1%) e delleindustrie culturali (+4,3%) ad essere stateinferiori alle corrispondenti voci dell’ex-port mondiale.

L’ampiezza e la dinamica delle quote dimercato detenute da un paese sono im-portanti indicatori rivelatori della suacompetitività internazionale. A frontedi una quota per l’insieme delle ven-dite all’estero pari al 2,9% dell’exporttotale mondiale, che colloca l’Italia tra ipaesi analizzati davanti solo a RegnoUnito (2,7%) e Spagna (1,7%), nel 2011l’export culturale italiano è stato pari al6,9% di quello mondiale, l’incidenzamaggiore tra quelle dei paesi conside-rati (Tabella 2.15)41.

Il primato è confermato per l’exportdelle industrie creative (7,9%), mentre ilPaese si colloca davanti solo alla Spagnaper le esportazioni delle industrie cultu-rali (2,5%) e ai Paesi Bassi e ancora allaSpagna per le vendite all’estero del nu-cleo artistico-culturale (1,6%). La dina-mica delle quote indica però una perditadi competitività (Grafico 2.8): la quotadell’export culturale italiano su quellomondiale ha ceduto nel periodo 2002-11 2,8 punti percentuali, una perdita maggiore diquella relativa all’export totale (-1,1 punti) e la più forte tra quelle delle economie conside-rate. Tale variazione negativa ha risentito della caduta della quota di mercato delle industriecreative (-3,7 punti), oltre che di quelle delle industrie culturali (-0,4) e del nucleo artistico

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 2.7

Export culturale: nei Paesi Bassi è cresciuto di più

(Export in valore, var. % media annua, 2002-2011)

1 Arti visive.2 Film, musica, libri, stampa, videogiochi.3 Design, arredamento, artigianato artistico, abbigliamento esterno e calzature.Fonte: elaborazioni CSC su dati UNCTAD e Comtrade.

-2,0

0,0

2,0

4,0

6,0

8,0

10,0

12,0

14,0

16,0

Paesi Bassi Mondo Germania Francia Spagna Italia Regno Unito

Nucleo1 Industrie culturali2 Industrie creative3 Totale cultura Totale

Tabella 2.15

L’export culturale italiano

pesa più degli altri nel mondo…

(Export paese sul totale mondo, valori %, 2011)

Nucleo1 Industrie Industrie Totale Totaleculturali2 creative3 cultura

Italia 1,6 2,5 7,9 6,9 2,9

Germania 5,7 14,0 5,4 6,5 8,0

Francia 5,9 3,9 3,4 3,6 3,3

Regno Unito 17,9 6,5 2,2 3,5 2,7

Paesi Bassi 1,2 3,8 2,1 2,3 3,6

Spagna 1,0 1,5 2,0 1,9 1,7Paesi ordinati per totale cultura.1 Arti visive.2 Film, musica, libri, stampa, videogiochi.3 Design, arredamento, artigianato artistico, abbigliamento esterno e calzature.Fonte: elaborazioni CSC su dati UNCTAD e Comtrade.

41 Al netto di abbigliamento esterno e calzature le quote delle industrie creative e della cultura scendono a 6,0% e7,3% rispettivamente. In questo caso la classifica ci vedrebbe ancora al primo posto nelle industrie creative e al se-condo posto dopo la Germania per l’insieme della cultura.

Page 163: Scenari economici 19

culturale (-0,6). Tra i paesi analizzati, chehanno tutti perso quote sull’export totalemondiale, nell’orizzonte temporale di ri-ferimento, per l’emergere dei nuovi com-petitor nel commercio internazionale,solo i Paesi Bassi hanno registrato un in-cremento del peso dell’export culturalesul totale mondiale (+0,5 punti) e la va-riazione positiva ha interessato tutte e trele ripartizioni del sistema produttivoculturale.

Il grado di specializzazione dell’Italianella cultura può essere esaminato conl’indice di vantaggio comparato rive-lato, definito come rapporto tra la quota di un paese sulle esportazioni mondiali di culturae la quota dello stesso paese sulle espor-tazioni mondiali totali42.

L’Italia ha un vantaggio comparato rive-lato nel totale cultura (rapporto pari a2,4) e nelle industrie creative (2,8), che siè leggermente ridotto rispetto al 2002 (2,5e 3,0 rispettivamente), mentre non pre-senta una specializzazione produttivanegli altri settori del sistema produttivoculturale43 (Tabella 2.16). Non godono diuna specializzazione nel totale culturaGermania (0,8) e Paesi Bassi (0,6), chepresentano però una specializzazione ri-velata nelle industrie culturali (con 1,7 e1,1 rispettivamente). La debole specializ-

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

42 L’indice di vantaggio comparato rivelato, meglio noto in letteratura come indice di Balassa, misura la specializ-zazione relativa di un’economia in una determinata produzione attraverso le esportazioni di quella produzione.L’indice rivela una specializzazione relativa in un settore quando assume valori maggiori di 1. L’indice può ancheessere calcolato come rapporto tra la quota della cultura sull’export di un paese e la quota del totale delle espor-tazioni mondiali di cultura sulle esportazioni mondiali totali. Nella definizione data nel testo è il rapporto tra i nu-meri contenuti nella quarta e quinta colonna della Tabella 2.15, mentre nella definizione data in questa nota è ilrapporto tra il valore nazionale e il valore mondo nella quarta colonna della Tabella 2.14.

43 Al netto di abbigliamento esterno e calzature l’indice di Balassa conferma la specializzazione italiana nelle indu-strie creative (2,6) e nella media del settore culturale completo (2,1).

Grafico 2.8

...ma perdiamo posizioni

(Export sul totale mondo, var. 2002-11, punti percentuali)

1 Arti visive.2 Film, musica, libri, stampa, videogiochi.3 Design, arredamento, artigianato artistico, abbigliamento esterno e calzature.Fonte: elaborazioni CSC su dati UNCTAD e Comtrade.

-9,0

-6,0

-3,0

0,0

3,0

Italia Regno Unito Francia Germania Spagna Paesi Bassi

Nucleo1 Industrie culturali2 Industrie creative3 Totale cultura Totale

Tabella 2.16

Il vantaggio viene dalle industrie creative

(Vantaggi comparati rivelati*, 2011)

Nucleo1 Industrie Industrie Totaleculturali2 creative3 cultura

Italia 0,6 0,9 2,8 2,4

Regno Unito 6,5 2,4 0,8 1,3

Francia 1,8 1,2 1,1 1,1

Spagna 0,6 0,9 1,2 1,1

Germania 0,7 1,7 0,7 0,8

Paesi Bassi 0,3 1,1 0,6 0,6* Quote settoriali dell’export dei paesi su totale mondo.1 Arti visive.2 Film, musica, libri, stampa, videogiochi.3 Design, arredamento, artigianato artistico, abbigliamento esterno e calzature.Fonte: elaborazioni CSC su dati UNCTAD e Comtrade.

Page 164: Scenari economici 19

zazione del Regno Unito nel settore della cultura (1,3) dipende dalla forte specializzazionenel settore delle arti visive (6,5) e da quella nelle industrie culturali (2,4), entrambe au-mentate dal 2002 (da 5,9 e 2,2 rispettivamente) per le ragioni spiegate sopra.

L’analisi statistica effettuata dal CSC mostra che in Italia la cultura rap-presenta una fetta importante dell’economia in termini di valore ag-

giunto, occupazione ed esportazioni. Il valore economico prodotto cresce muovendosi dalnucleo artistico culturale verso i cerchi più esterni del sistema produttivo culturale, moltopiù di quello che succede negli altri paesi. A fronte di un nucleo e di un’industria culturaleche pesano meno sull’intera economia rispetto ai partner europei ma che difendono con de-cisione il proprio posizionamento nonostante la pesante recessione, le industrie creativecontano di più che all’estero, presentano un importante vantaggio di specializzazione nelleesportazioni, ma hanno risentito di più dei colpi inferti dalla crisi.

In questa analisi il CSC ha seguito, per ragioni di confrontabilità internazionale, una defi-nizione convenzionale di industrie creative, che include solo una parte di quei settori pro-duttivi di beni di consumo che direttamente o indirettamente richiamano nell’immaginariodegli acquirenti aspetti del nucleo artistico o che applicano il design44. Rimane esclusa unaparte importante del settore della moda che riguarda l’abbigliamento intimo e gli accessorinei quali l’Italia ha posizioni di testa nel commercio mondiale. Se tenessimo conto anche diquesti ultimi la specializzazione italiana nelle industrie creative salirebbe ulteriormente eaumenterebbero ancora di più il valore economico e l’occupazione passando dal nucleo aqueste ultime.

2.3 I soliti sospetti. Ciò che non funziona nella cultura come specchio dei mali del Paese

I confronti internazionali mostrano che, grazie anche ai molti punti di forza ereditati dalpassato, la cultura offre enormi potenzialità per lo sviluppo dell’Italia. D’altra parte, lascarsa partecipazione dei cittadini, l’indebolimento del nucleo artistico-culturale e l’au-mento, grazie alle tecnologie ICT, della possibilità di altri paesi di mettere il patrimonioculturale mondiale (e quindi anche quello italiano) al servizio della creatività e del conte-nuto di conoscenza in un crescente numero di settori economici sono fattori essenziali chefanno sì che quelle potenzialità restino in parte inespresse nel Belpaese, con il rischio chel’Italia diventi una nazione con un grande futuro culturale alle spalle45.

166

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Che quadro

abbiamo dipinto?

44 Le produzioni di questi settori si legano idealmente non tanto alle grandi opere della pittura e della sculturaquanto a quegli oggetti di uso quotidiano realizzati su commissione da grandi artisti per rendere più sfarzosa lavita di corte. Veri e propri capolavori come la saliera di Benvenuto Cellini. Su questo punto, con riferimento ai di-stretti industriali italiani, si veda Becattini Giacomo, Il calabrone Italia. Ricerche e ragionamenti sulla peculiarità eco-nomica italiana, Bologna, Il Mulino, 2007.

45 Un altro aspetto riguarda l’allentamento dei legami culturali con il passato nelle nuove produzioni di beni di consumo.

Page 165: Scenari economici 19

Quali sono le cause di questo arretramento? Perché il Paese dove, secondo i suoi stessi abi-tanti, la cultura è parte integrante della qualità della vita non riesce a utilizzare meglio lacultura come motore di sviluppo per le produzioni creative?

Una prima risposta deriva dal fatto che in Italia il patrimonio storico,oltre che rappresentare una enorme opportunità, è all’origine di un fe-

nomeno simile a quello conosciuto come “maledizione delle risorse”: i paesi e le regioni conabbondanti risorse naturali, soprattutto se non rinnovabili, tendono ad avere uno sviluppoinferiore rispetto a quelli che ne hanno meno46. Il paradosso dipende spesso dal fatto chelo sfruttamento della rendita indebolisce e corrompe le istituzioni e quindi favorisce la cat-tiva amministrazione.

Passando dalle risorse naturali a quelle culturali, la disponibilità di un patrimonio storicoricco e diffuso su tutto il territorio ha creato in Italia molteplici incentivi alla mera gestionedella rendita. Un primo esempio è quello del turismo di massa, che porta sì benefici eco-nomici, ma rischia di distruggere la capacità di generare valore culturale e, in prospettiva,anche economico di molte città d’arte. Venezia, per citare un caso eclatante, i cui abitanti silamentano spesso per gli eccessivi flussi turistici, si è adattata a vivere di rendita sul patri-monio ereditato dalla Serenissima, trascurando tutto ciò che richiede investimenti sul fu-turo. Le difficoltà a realizzare, con tempi e costi ragionevoli, il ponte di Calatrava o ilsistema di dighe del Mose si spiegano anche con la tendenza a negare il contemporaneodato che l’antico basta e avanza47. Alzando ulteriormente gli ostacoli che normalmente in-tralciano la realizzazione delle infrastrutture in Italia.

In molti altri casi, poi, i pezzi pregiati del patrimonio sono stati utilizzati come mezzo dilegittimazione per ottenere fondi pubblici, che purtroppo non sono serviti nemmeno allaloro tutela. Il caso di Pompei è l’esempio emblematico di questo fenomeno, ampiamente uti-lizzato dai media internazionali come specchio dei problemi del Paese e dell’inefficienzadella sua burocrazia48.

Un secondo fattore che spiega la difficile relazione fra economia e cultura,anche se rischia di sembrare un gioco di parole, è un diffuso atteggia-mento culturale che le impedisce di funzionare: in Italia domina una con-

cezione passiva del valore della cultura che determina una netta separazione fra fruitori eproduttori. Da una parte l’eredità del passato che attira clienti, dall’altro la produzione cultu-rale del presente. Questa concezione rafforza il paradosso dell’abbondanza discusso sopra,

167

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

46 Si veda Auty Richard, Sustaining Development in Mineral Economies: The Resource Curse Thesis, Routledge, Londra, 1993.47 Esempi simili sono quelli offerti dalle polemiche relative alla pensilina per gli Uffizi progettata da Arata Isozaki

(mai realizzata) o alla nuova teca dell’Ara Pacis disegnata da Richard Maier. 48 Si veda per esempio Rowland Ingrid, The Wrong Way for Pompeii, New York Review of Books, 2013.

La maledizione

delle risorse

Separazione

tra produzione

e fruizione

Page 166: Scenari economici 19

dato che fa apparire il patrimonio storicocome un giacimento la cui sola esistenzaè sufficiente a generare reddito. La cul-tura, invece, anche quella passata, generavalore soprattutto grazie agli effetti che ilnucleo artistico-culturale ha sui processicognitivi e identitari del presente. Questieffetti si generano solo se la concezionepassiva lascia il posto a una proattiva,nella quale domanda e offerta culturalinon sono due mondi separati. Come con-fermano i risultati di Eurobarometro2013, i paesi dove la partecipazione alleattività artistiche e culturali è maggioresono gli stessi dove le arti sono praticate in prima persona dai cittadini (Grafico 2.9). In altreparole l’eredità del passato deve essere valorizzata non tanto o soltanto a beneficio dei visita-tori stranieri (ricordiamo che per molti anni il turismo è stato soprattutto quello praticato dal-l’estero in Italia, mentre gli italiani poco si recavano oltre confine, cosicché il saldo attivo dellavoce turismo dava un fondamentale apporto alla bilancia corrente) quanto e soprattutto a van-taggio della popolazione locale, per accrescerne le competenze da trasferire in ogni genere diproduzioni, ma soprattutto in quelle delle industrie creative.

Il corollario dell’atteggiamento passivo è invece una sterile contrapposizione fra le dueconcezioni, entrambe erronee, di “mecenatismo” e “mercatismo”49. Fra chi crede cioè chele arti e la cultura, per essere davvero libere, debbano essere tenute al riparo dalle forzeeconomiche e chi, invece, ritiene che l’unico modo per migliorare l’offerta artistica e cultu-rale sia affidarsi alla domanda del mercato.

Una separazione, quindi, per così dire ideologica. Le cui radici non sono difficili da rin-tracciare in un paese dove la libera iniziativa privata e il mercato non hanno mai goduto digrandi simpatie nel mondo della politica e nella stampa e dove le leve del controllo dellacultura erano (e perlopiù restano) saldamente in mano a chi verso il mercato e in generaleverso l’utilizzo delle opere d’arte a fini economici nutre una forte e convinta avversione.Una forma di pregiudizio che porta a interpretare la conservazione come totale intangibi-lità che spesso condanna monumenti ed edifici al deperimento.

Un terzo fattore che spiega le difficoltà descritte è la distanza, non semprepienamente colmata, tra la ricca tradizione culturale del Paese e i signifi-

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Grafico 2.9

La partecipazione rende attivi

(Indice e valori %, 2013)

1 Per la definizione si veda la nota 15 del testo.Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurobarometro 2013.

AT BE

BG

CY CZ

DE

DK

EE

EL ES

FI

FR

HR HU

IE

IT

LT

LU

LV

MT

NL

PL

PT RO

SE

SI

SK UK

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

70,0

80,0

1,4 1,6 1,8 2,0 2,2 2,4 2,6 Att

ivi i

n al

men

o un

a p

ratic

a ar

tistic

a o

cultu

rale

Indice partecipazione culturale1

49 Le due espressioni sono utilizzate fra gli altri in Caliandro Christian e Sacco Pierluigi, Italia reloaded. Ripartire conla cultura. Bologna, Il Mulino, 2011.

La distanza

tra prodotti e significati

Page 167: Scenari economici 19

cati che danno valore ai beni e ai servizi nelle produzioni contemporanee. Significati partico-larmente importanti proprio nei settori del made in Italy nei quali, insieme all’aspetto funzionaledel bene prodotto, sono decisivi l’identità e l’esperienza che lo accompagnano. Per essere “bellie ben fatti” gli abiti, i mobili, gli oggetti di arredamento devono entrare in relazione col mododi vivere e di lavorare delle persone, richiamando il senso e il contesto che essi danno al mondoin cui abitano50. E i consumatori nel mondo acquistano beni italiani “belli e ben fatti”, contrad-distinti da design e qualità dei materiali e delle lavorazioni, anche perché ammirano l’Italian styleof life, il buon gusto e il bel vivere italiani di cui vogliono sentirsi partecipi e di cui la cultura deveessere veicolo. Anche perché i beni artistici e le città d’arte sono il miglior spot pubblicitario alsenso del bello e al gusto italiani. Ma poi a questo potentissimo spot deve corrispondere unaproduzione altrettanto densa di richiami e di rimandi, altrettanto bella e di qualità.

È vero che esistono imprenditori, stilisti, inventori e designer che sviluppano la loro crea-tività appoggiandosi a contesti locali pieni di suggestione, come le città storiche e i luoghid’arte (chiese, edifici, musei, teatri ecc.) di cui l’Italia è ricca. Ma spesso questo rapporto nonè reso in modo sufficientemente esplicito e vincente, cosicché c’è ma è poco riconoscibile ericonosciuto dal cliente che acquista prodotti e servizi del made in Italy. L’immagine del-l’Italia all’estero può far leva su attivatori culturali e devono essere coltivate e realizzate si-nergie più forti tra i settori appartenenti ai diversi cerchi concentrici della cultura51.

Inoltre, se da un lato gli studiosi della fortuna di molti distretti industriali italiani hanno in-dicato nell’alta artigianalità artistica una delle importanti componenti del saper fare e delleconoscenze contestuali, cioè racchiuse nel capitale umano che nasce dalle tradizioni tra-mandate all’interno di una comunità locale e viene via via arricchito attraverso le espe-rienze produttive rivolte al soddisfacimento dei bisogni sempre meno standardizzati diuna clientela ormai evoluta ed esigente, dall’altro c’è chi non ha mancato di evidenziare chequelle stesse tradizioni abbiano costituito un giacimento tutt’altro che inesauribile ma taleda fornire una rendita di posizione che ha disincentivato l’investimento in nuovi saperi enel rinverdire e aggiornare i vecchi. In altre parole, nel generare nuova cultura attraversoun più consapevole e lungimirante sfruttamento del patrimonio storico52.

169

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

50 Per un approfondimento del concetto di prodotto “bello e ben fatto” si veda CSC, Esportare la dolce vita (2013 e pre-cedenti).

51 A proposito del rapporto tra etica dell’estetica e valore dei prodotti è tradizione della principale impresa del lussofrancese, Hermes, di inviare ogni anno a rotazione un certo numero di dipendenti in giro per il Mondo a nutrirsidi bellezza, con l’unica richiesta di compilare un taccuino di impressioni, sottoforma di frasi o di disegni, che poiva a far parte del patrimonio aziendale.

52 Per il legame tra alta artigianalità e distretti industriali si rimanda ancora al citato lavoro di Becattini Giacomo, Ilcalabrone Italia. Ricerche e ragionamenti sulla peculiarità economica italiana, Il Mulino, Bologna, 2007. Per una interpre-tazione dell’uso del sapere contestuale come sfruttamento di una rendita che ha assopito la vitalità imprenditorialeperché l’ha protetta dalla concorrenza internazionale, data l’unicità e la non trasferibilità codificata di quel sapere,si rimanda a Nardozzi Giangiacomo, Miracolo e declino. L’Italia tra concorrenza e protezione, Laterza, Roma-Bari, 2004.

Page 168: Scenari economici 19

Esistono ovviamente alcune eccezioni: nell’agro-alimentare, nella gastronomia e nella ri-storazione la tradizione italiana sembra ormai avviata a integrarsi con successo con i pro-dotti che da essa discendono. Nella moda, il rapporto fra il gusto italiano e l’artigianalitàdel lavoro di qualità è più consolidato. Altri settori, invece, faticano a cogliere questa op-portunità, proprio quando l’economia della conoscenza spinge tutte le produzioni a cercareun rapporto più stretto con la qualità, che non è data solo dalla performance tecnico-fun-zionale (durata, confort, prestazioni) ma che ha anche nella raffinata bellezza dei dettagliuna fonte di valore immateriale, con i significati e le matrici identitarie che la definiscono.

Il paradosso dell’abbondanza che deriva dal patrimonio artistico piùimportante del mondo, la concezione passiva del rapporto fra domandae offerta di cultura e la distanza fra tradizione culturale e significati dei

prodotti costituiscono il terreno sul quale si è rafforzata un’alleanza perversa fra il predo-minio di intenti meramente conservativi e la logica burocratica che caratterizzano la ge-stione pubblica del patrimonio artistico. Solo grazie a questa alleanza si spiegano la cronicamancanza di personale qualificato, le opere chiuse nei depositi, l’abbassamento della qua-lità e della quantità nella fruizione pubblica dei beni, la tutela carente per mancanza difondi e la diffidenza verso coloro che – in un modo o nell’altro – pensano che tali problemipossano essere risolti utilizzando il patrimonio disponibile per generare valore (anche eco-nomico) attraverso il suo uso, turistico, culturale o produttivo che sia.

2.4 Non tutto è perduto: politiche di rilancio per la cultura

Il primo passo per invertire la rotta è comprendere che le frecce a disposizione dell’arcodelle politiche culturali sono molte di più rispetto a quando il loro orizzonte d’azione eralimitato alla tutela del patrimonio storico e alla promozione delle arti creative53. Alla lucedella nuova frontiera della competizione globale fondata sulla conoscenza, la creatività ei talenti e dell’enorme potenziale offerto dall’ICT tutti i settori che formano la cultura as-sumono una rilevanza strategica. Si allargano enormemente gli obiettivi, la platea degli at-tori rilevanti e gli strumenti della politica culturale e acquista nuovo significato l’articolo9 della Costituzione secondo cui: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura edella ricerca scientifica e tecnica». Una promozione che va intesa per elevare in modo so-stenibile il benessere dei cittadini. Ciò comporta, come detto nelle pagine precedenti, unarivoluzione copernicana del modo di intendere e mettere in pratica i rapporti tra culturaed economia.

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Scenari economici n. 19, Dicembre 2013 CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Alleanza perversa

tra burocrazia

e conservatorismo

53 Si veda ancora Throsby, 2010 (opera citata nella nota 7).

Page 169: Scenari economici 19

L’obiettivo economico tradizionale delle politiche culturali è quello del-l’efficienza allocativa54. Infatti, le esternalità positive delle arti e della cul-tura e le loro caratteristiche di beni parzialmente pubblici rendono

domanda e offerta di mercato insufficienti a produrne una quantità adeguata rispetto a quellasocialmente desiderabile. È questo uno dei motivi principali per cui, in tutti in paesi avanzati,lo Stato dà direttamente supporto e/o incentiva il finanziamento privato alle arti e alla conser-vazione del patrimonio artistico e cultu-rale. In Italia il sostegno diretto alla culturaè risultato strutturalmente più basso chenell’UE-15 e nei principali partner europei:la spesa pubblica in cultura e ricreazione èscesa dallo 0,8% del PIL nel 1995 allo 0,6%nel 2011, ed è salita in termini pro-capitemeno che negli altri paesi (Tabella 2.17). Itagli alla spesa pubblica, che hanno colpitonell’ultimo decennio i bilanci di tutti i mi-nisteri, hanno generato nel caso del MiBACT una riduzione del bilancio previ-sionale da 2,10 miliardi di euro nel 2003 a1,55 miliardi nel 2013 (-26,5%).

Un secondo e importante obiettivo dellepolitiche culturali è diventato quellodella crescita economica: in contesti in cui conoscenza e creatività rivestono un ruolo sem-pre maggiore, lo sviluppo del nucleo artistico e delle industrie culturali è sempre più rile-vante per il dinamismo dell’economia. Questo è vero a livello locale, nazionale esovranazionale55. Al fine di favorire l’internazionalizzazione e la circolazione internazionaledei contenuti culturali e creativi il Parlamento UE ha approvato a novembre 2013 il pro-gramma quadro Europa Creativa 2014-2020 dedicato ai settori culturale, creativo e audio-visivo e finanziato con 1,46 miliardi di euro, di cui 824 milioni andranno alla sezione media,455 alla cultura e 183 a un Fondo di garanzia a sostegno dei prestiti alle micro, piccole emedie imprese del settore. Purtroppo in passato, come del resto in altri campi, anche i fondieuropei per la cultura sono stati spesi poco e in modo inefficiente dall’Italia. La pubblicaamministrazione italiana deve dotarsi di strumenti nuovi per evitare che ancora una voltai soldi di Bruxelles tornino al mittente.

171

Scenari economici n. 19, Dicembre 2013CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

54 Con il termine efficienza allocativa si indica una situazione nella quale non è possibile migliorare la condizionedi un individuo senza peggiorare quella degli altri.

55 Si veda il libro verde della Commissione europea, Unlocking the potential of cultural and creative industries, 2010.

Nuovi obiettivi

per le politiche

culturali

Tabella 2.17

Spesa pubblica in cultura: Italia sempre più ultima

(Spesa pubblica in cultura e ricreazione, valori % ed euro correnti*)

% del PIL Pro-capite1995 2011 1995 2011 Var. %

cumulata

UE-15 1,0 1,1 216 388 79,4

Germania 0,8 0,8 190 261 37,2

Spagna 1,3 1,5 155 343 121,1

Francia 1,0 1,4 193 431 122,9

Italia 0,8 0,6 121 144 18,8

Paesi Bassi 1,5 1,8 318 631 98,4

Regno Unito 0,9 1,0 138 288 109,0* Comprende, dove presente, il supporto a organizzazioni religiose. Fonte: elaborazioni CSC su dati Eurostat.

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Dal punto di vista della crescita, le politiche culturali diventano ancora più importanti perla loro capacità di generare e diffondere valore culturale. In particolare, è possibile indivi-duare quattro canali di azione distinti: lo stimolo alla produzione e al consumo delle artida parte dei cittadini; il rafforzamento dei simboli e delle identità culturali; la difesa delladiversità culturale; la preservazione e la continuità dei valori civili anche attraverso la tu-tela del patrimonio storico e artistico e l’insegnamento della storia dell’arte.

Le politiche culturali sono molto importanti anche per un terzo obiettivo: difendere e in-nalzare i livelli di occupazione. Oltre ad avere un tasso di crescita potenzialmente soste-nuto, infatti, le industrie culturali e le arti creative sono tradizionalmente labor intensive e,quindi, il contributo marginale in termini di occupazione del capitale investito è superiorerispetto a quello di altri settori. I posti di lavoro creati inoltre hanno un basso impatto am-bientale, richiedono spesso alti livelli di istruzione e danno benefici non pecuniari mag-giori per chi li svolge.

I cambiamenti descritti, oltre ad aver aumentato il numero degli obiet-tivi, hanno anche allargato la platea degli attori, i cui interessi sono ri-

levanti per valutare l’efficacia delle politiche culturali. In tutti i paesi avanzati, gli attoritradizionali ai quali tocca il compito di definizione e coordinamento delle politiche cultu-rali sono le istituzioni pubbliche nazionali e locali. Il Ministero dei Beni e delle Attività Cul-turali (MiBAC) è stato istituito dal D.lgs. 368/1998 sulle ceneri del Ministero per i beniculturali e ambientali, nato nel 1975 con l’aspirazione, in parte delusa, di rappresentare unDicastero lontano dai bizantinismi della burocrazia italiana e vicino al mondo accademicoe alle esigenze del mondo culturale del Paese.

In poco più di dieci anni il MiBAC (che ha assunto la denominazione Ministero dei Beni edelle Attività Culturali e del Turismo, MiBACT, nel 2013) ha subito altre tre riforme orga-nizzative (nel 2004, 2007 e 2009 e una quarta è in preparazione per il 2014), che hanno ten-tato di ricomporre, con poco successo, la frammentazione del potere decisionale traapparato centrale, direzioni e sovraintendenze territoriali. Nessuna riforma, però, è stata fi-nora in grado di liberare il MiBACT dall’appesantimento burocratico e dalla complicazionenormativa e amministrativa che impediscono la spesa rapida ed efficiente delle risorse a di-sposizione, né ha modificato il suo problematico rapporto con il privato e con il mondodelle imprese, dominato ancora da contrasti di tipo ideologico.

In una politica culturale che non è più solo difesa del patrimonio artistico ma che punta allacreazione di nuovi contenuti che, partendo dall’arte, si irradiano a tutte le industrie più omeno limitrofe al nucleo in una relazione di contaminazione incrociata che arricchisce ilsaper fare, accanto al MiBACT, principale attore per quasi quarant’anni dell’amministra-zione dei beni e delle attività culturali, assumono ruoli cruciali anche in Italia altri prota-

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Attori vecchi

e nuovi della cultura

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gonisti e stakeholder. Anzitutto, le imprese commerciali che producono beni e servizi cultu-rali, la cui principale motivazione, insieme alla generazione di profitti, è la generazione divalore culturale56. In secondo luogo, i lavoratori delle industrie culturali, molti dei qualihanno mansioni con un alto contenuto creativo. Poi, le organizzazioni no profit, tra le qualiin Italia spicca il ruolo delle fondazioni, che operano in ambiti molto vicini alle arti e ai ser-vizi legati al patrimonio storico. Ancora, le istituzioni pubbliche culturali, sia di livello na-zionale sia di livello locale, che posseggono o gestiscono direttamente musei, gallerie,biblioteche, compagnie teatrali e emittenti radio televisive che producono contenuti cultu-rali. Inoltre, scuole, università, conservatori e accademie, il cui ruolo è quello di istruire eformare i cittadini nei campi delle arti e delle attività culturali. Infine, i consumatori di con-tenuti artistici e culturali e le loro associazioni.

I nuovi obiettivi e la più larga platea di attori rilevanti ha reso la gammadi strumenti a disposizione delle politiche molto più vasta. Soprattuttoper fini espositivi, è possibile distinguere fra nuovi strumenti di politi-

che culturali i cui obiettivi principali sono quelli tradizionali, ossia la tutela e la valorizza-zione del patrimonio, l’efficienza allocativa e la sensibilizzazione dei cittadini per le arti, equelli che invece puntano alla crescita delle industrie culturali e creative, più facilmente ri-conoscibili come politiche industriali.

Tra gli strumenti che perseguono gli obiettivi tradizionali delle politiche culturali partico-lare importanza rivestono: • Apertura alle imprese della governance delle istituzioni culturali. La presenza ingombrante

dello Stato nella gestione del patrimonio artistico-culturale impedisce una gestione ma-nageriale dei beni culturali. Il tipico esempio è quello dei musei statali, in cui l’affida-mento in concessione dei servizi al pubblico prevista dalla Legge 433/1992 prevede,dopo venti anni, ancora forti limiti all’autonomia amministrativa, gestionale e finanzia-ria (ad esempio l’operatore concessionario non può assumere decisioni circa gli orari ei calendari di apertura dei siti e sul prezzo di vendita dei biglietti). Il MiBACT è uno deipochi ministeri a gestire direttamente i beni di sua pertinenza, cosicché le potenzialità,in termini di competenze e “saper fare” dei privati, la cui partecipazione è limitata allavalorizzazione e non anche alla gestione, non sono pienamente utilizzate e si realizzanoinefficienze e ritardi nella spesa delle risorse.

È necessaria, dunque, un’articolazione delle strutture centrali e periferiche del ministeroche favorisca la semplificazione e l’accelerazione delle procedure amministrative, attra-verso sia l’estensione su scala nazionale dei poli museali d’eccellenza sia un vero e pro-

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Nuovi strumenti

per obiettivi

tradizionali

56 Queste imprese rischiano di apparire sottocapitalizzate, dato che la maggior parte dei loro asset è immateriale, e,anche per questo, meritano condizioni di accesso al credito favorevoli.

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prio cambiamento sostanziale nelle funzioni del MiBACT, che dovrebbe trasformarsi inMinistero della Cultura, con compiti sempre meno amministrativi e sempre più orien-tati al governo del sistema, lasciando le chiavi della gestione all’impresa privata attra-verso gare di evidenza pubblica.

Il modello ideale per l’assegnazione della gestione è la délégation de service public francese,ovvero il processo per cui il sistema pubblico affida in assoluta trasparenza la gestionedei beni culturali ai privati attraverso bandi di gara. La parola chiave è appunto “de-lega”, che, diversamente dalla “concessione” italiana, basa i propri fondamenti sulla fi-ducia reciproca. Lo stato francese valuta il progetto globale di gestione, corredato da unbusiness plan di sviluppo pluriennale. Una volta scelto il progetto, la gestione viene com-pletamente delegata e allo Stato resta la funzione di controllo e monitoraggio.

• Valorizzazione dei magazzini dei musei. Sopra si è detto dell’enorme ricchezza artistica nonfruita perché chiusa nei magazzini dei musei. Per valorizzarla si possono immaginare sial’alienazione sia il prestito oneroso di parte delle opere d’arte non esposte, come previ-sto dal “Progetto CONFINDUSTRIA per l’ITALIA” del 2013, al fine di finanziare l’atti-vità e la gestione dei musei57.

• Costituente della Cultura. La promozione di una “Costituente della cultura” partecipatada soggetti pubblici e privati può dare l’avvio a un ripensamento e riordino complessivodella materia e all’istituzione presso la Presidenza del Consiglio di un organismo inter-ministeriale dedicato ai beni e alle attività culturali che abbia come obiettivo specifico lapartecipazione all’Agenda europea per la Cultura, raccordato all’omologo organismodedicato all’Agenda Urbana 2020.

• Più arte nella scuola e nell’università. Il rafforzamento dell’orario di storia dell’arte, l’inse-rimento della disciplina nelle scuole di ogni ordine e grado e la riqualificazione dell’of-ferta formativa post-diploma nei campi del restauro, della valorizzazione, della gestionedei beni culturali e in quello della gestione delle attività culturali e del turismo vannoconcertati tra MiBACT, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Con-ferenza dei rettori. In Italia secondo una visione distorta del ruolo del patrimonio arti-stico del Paese l’insegnamento della storia dell’arte è stato invece notevolmente ridotto.

• Intervento dei privati. In ogni paese avanzato l’intervento dei privati a favore del nucleodella cultura viene sostenuto dallo Stato proprio perché ha esternalità positive molto ri-levanti. In Italia ciò dovrebbe essere ancora più vero data la carenza cronica di fondipubblici. Tuttavia, ha avuto poco successo l’introduzione con la Legge 342/2000 del re-gime fiscale che stabilisce la completa deducibilità dal reddito d’impresa senza limiti di

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57 Per maggiori dettagli si veda Confindustria, Progetto CONFINDUSTRIA per l’ITALIA: crescere si può, si deve, 2013,disponibile alla pagina web http://www.confindustria.it/ProgettoConf/Docxsito%20def%2014-5-13.pdf.

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importo delle erogazioni liberali delle imprese nei confronti delle istituzioni culturali58:le erogazioni sono state pari a 28,5 milioni di euro nel 2012 e hanno toccato il picco mas-simo nel 2005 con 32,2 milioni. Perciò è importante l’ultima iniziativa a favore del “me-cenatismo d’impresa” contenuta nel recente decreto ‘’Valore cultura’’, convertito inottobre con Legge 112/2013, che all’articolo 12 prevede: la semplificazione del mecca-nismo delle donazioni private di modico valore (fino a 10.000 euro) destinate ai beni ealle attività culturali, con l’esclusione di qualsiasi onere amministrativo a carico del pri-vato; la garanzia della destinazione della liberalità allo scopo indicato dal donante; lapiena pubblicità delle donazioni ricevute e del loro impiego. È necessario, però, un ul-teriore intervento per eliminare le incertezze interpretative sulla deducibilità delle spon-sorizzazioni.

• Project financing per il recupero, restauro e valorizzazione dei beni culturali. L’articolo 197del Codice degli appalti prevede per il restauro, recupero e fruizione dei beni culturalil’istituto del project financing, che nella sua versione relativa alla valorizzazione dei beniculturali prende il nome di «concessione di valorizzazione». Nonostante non prevedaoneri per lo Stato, questo istituto viene spesso trascurato dalle amministrazioni per ilrecupero e la gestione di beni culturali al fine di una pubblica fruibilità e va dunquemaggiormente promosso così da fornire al patrimonio artistico-culturale gli investimentinecessari alla realizzazione delle infrastrutture materiali e immateriali che ne consen-tano maggiori modalità di utilizzo, minori costi di gestione e massima valorizzazione.

Tra i nuovi strumenti delle politiche culturali rientrano quelli che le av-vicinano alle politiche industriali e che hanno come obiettivo il miglio-

ramento della competitività delle industrie culturali e creative: • Estensione del tax credit ad altri settori. L’articolo 8 della Legge Valore Cultura (112/2013)

rende permanente a partire dal 1° gennaio 2014 il pacchetto di incentivi fiscali concessisotto forma di crediti d’imposta e finalizzati allo sviluppo delle attività di produzione ci-nematografica (già previsti dalla Legge 244/2007 e dalle sue successive modificazioni)59.Il tax credit, il cui tetto complessivo è pari a 110 milioni l’anno, è stato inoltre esteso ai pro-duttori indipendenti di opere audiovisive e alla valorizzazione di nuovi talenti italianidella musica. È indispensabile estendere il beneficio agli altri comparti di produzione

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58 Un regime di deducibilità al 19% era già previsto dagli articoli 15 e 100 del TUIR (Testo Unico delle Imposte suiRedditi).

59 Le disposizioni sul tax credit prevedono la possibilità di compensare debiti fiscali con il credito maturato a seguitodi un investimento nel settore cinematografico. Destinatari sono le imprese di produzione e distribuzione cine-matografica, gli esercenti cinematografici, le imprese di produzione esecutiva e post-produzione (industrie tecni-che), nonché le imprese non appartenenti al settore cine-audiovisivo associate in partecipazione agli utili di un filmdal produttore di quest’ultimo. Il credito di imposta è pari al 15% del costo complessivo di produzione e fino al-l’ammontare massimo di 3,5 milioni di euro per periodo d’imposta.

Strumenti nuovi

per obiettivi innovativi

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dell’industria culturale e alla distribuzione. Il basso livello di consumo della cultura inItalia, infatti, è indice da un lato della debolezza della distribuzione tradizionale, con-centrata nelle grandi città, dall’altro dell’ancora scarsa penetrazione di canali distribu-tivi alternativi a quelli fisici, sui quali l’iniziativa pubblica è completamente assente equella privata lasciata alle multinazionali con sedi all’estero e poco interessate alla cre-scita della diffusione di prodotto nazionale.

• Tutela della proprietà intellettuale. Il riconoscimento delle opere dell’ingegno e dei dirittidi sfruttamento economico, anche in ambito digitale, è il presupposto fondamentale pervalorizzare i prodotti delle industrie culturali e creative e per remunerare il lavoro dichi crea contenuti. Si tratta della condizione essenziale affinché le aziende possano in-vestire nella creazione di ricchezza culturale. L’applicazione del diritto d’autore è cru-ciale per le opere del design industriale: la questione non riguarda poche impresemultinazionali o élite produttive contrapposte a una miriade di piccole realtà imprendi-toriali, bensì un gran numero di imprese, tutte di medie e di piccole dimensioni, chehanno fatto della creatività il core business. La difesa del design industriale ha impor-tanti ripercussioni sull’innovazione degli schemi produttivi e distributivi, sulla compe-titività basata sull’originalità delle creazioni, sull’attrazione di investimenti e talentianche stranieri.

• Agenda digitale. Nonostante le imprese culturali stiano investendo molto in nuove tec-nologie, l’Agenda digitale italiana contiene pochi riferimenti ai contenuti culturali e per-ciò si auspica un maggiore confronto con l’industria culturale. Tra i punti cardinedell’Agenda digitale deve esserci il prodotto culturale e la sua distribuzione, con effettipositivi su tutti i consumi digitali. Nel mercato italiano, più che altrove, la collabora-zione tra le industrie culturali e le aziende tecnologiche può costituire un valore per ac-crescere la competitività del Paese, a fronte della pressione internazionale derivante daicolossi dell’innovazione globale. Il contributo dei produttori culturali è determinante inquesto processo, dal momento che la loro competenza è proprio quella di trasformare lacreatività in prodotti di consumo ad alto tasso di innovazione. L’economia digitale offre,quindi, ampi margini per generare sviluppo. Per trasformare, tuttavia, questi margini increscita sostenibile, nuova cultura e nuovi posti di lavoro è necessario riconoscere ilruolo delle imprese che investono in opere dell’ingegno e in piattaforme digitali per l’e-commerce della cultura, nonché investire nella digitalizzazione dei cataloghi e degli ar-chivi dell’industria culturale, per la loro diffusione anche oltre i confini nazionali.

• Apertura internazionale. La promozione del sistema paese all’estero va adeguatamentesostenuta. L’industria culturale italiana può amplificare l’eccellenza del made in Italy e delpatrimonio storico-artistico e paesaggistico nel mondo, testimoniata dal successo dellesue industrie creative. Il comparto è presente e competitivo nei mercati globali ma non

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gioca ad armi pari poiché il sostegno di cui gode non è comparabile a quello fornito daaltri paesi. Le istituzioni e le Agenzie nazionali (ICE, Agenzia nazionale del Turismo e Isti-tuti italiani di cultura) devono supportare con maggior forza e coordinamento l’export intermini di sostegno e rafforzamento dei servizi alle imprese, sia individuando strumentidi promozione integrati per l’intera filiera culturale sia definendo modalità di esporta-zione che tengano presente l’attrattività dei prodotti culturali e le potenzialità di assor-bimento del prodotto italiano da parte dei mercati esteri.

• Rinascimento manifatturiero. La riscoperta della centralità dell’industria manifatturieraper lo sviluppo economico in molti paesi sta avviando un vero e proprio rinascimentomanifatturiero. In ciò il Paese parte con un vantaggio costituito da un lato dalla forza delsuo “artigianato industriale”60, che fonde nel marchio italiano il “saper fare” tipico deinostri distretti industriali con la cultura accumulata, il paesaggio, la bellezza, l’arte cu-linaria, il talento e dall’altro dall’enorme patrimonio culturale che può divenire fonteinesauribile di nuovi contenuti e significati da incorporare nei beni manufatti. Così ilmade in Italy può essere vincente essendo arte della trasformazione dei valori culturaliin significati funzionali.

In conclusione, è necessario creare un’agenda culturale italiana e ridefinire il ruolo dellacreatività per il benessere del Paese. Cultura e creatività sono le leve per lo sviluppo soste-nibile in un sistema economico in cui conta sia il valore culturale dei contenuti creativi siail loro valore economico, che diventa fondamentale per rispondere ai colpi della crisi. Inquesto ambito il Paese parte da una posizione di vantaggio che va sfruttato.

Rimettere la cultura al centro dei valori della società italiana apre la porta di uno svilupposostenibile, senza il quale il Paese si troverà, come nel caso di Pompei, fornitore di materiaprima culturale valorizzata e beneficiata da altri.

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60 Micelli Stefano, Futuro artigiano. L’innovazione nelle mani degli italiani, edizioni Marsilio, Venezia, 2011.

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Appendice statistica

Definizione del sistema produttivo culturale

Cod. Nace Nucleo artistico-culturale

90 Attività creative, artistiche e di intrattenimento

91 Attività di biblioteche, archivi, musei ed altre attività culturali

Cod. Nace Industrie culturali

17.23 Fabbricazione di prodotti cartotecnici

18 Stampa e riproduzione di supporti registrati

26.40 Fabbricazione di prodotti di elettronica di consumo audio e video

26.70.2 Fabbricazione di apparecchiature fotografiche e cinematografiche

47.61 Commercio al dettaglio di libri in esercizi specializzati

47.62 Commercio al dettaglio di giornali e articoli di cartoleria in esercizi specializzati

47.63 Commercio al dettaglio di registrazioni musicali e video in esercizi specializzati

58.11 Edizione di libri

58.13 Edizione di quotidiani

58.14 Edizione di riviste e periodici

58.19 Altre attività editoriali

58.21 Edizione di giochi per computer

59 Attività di produzione cinematografica, di video e di programmi televisivi, di registrazioni musicali e sonore

60 Attività di programmazione e trasmissione

62.01 Produzione di software non connesso all’edizione

62.02 Consulenza nel settore delle tecnologie dell’informatica

62.09 Altre attività dei servizi connessi alle tecnologie dell’informatica

63.91 Attività delle agenzie di stampa

74.20 Attività fotografiche (laboratori per lo sviluppo e la stampa)

77.22 Noleggio di videocassette e dischi

·/·

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·/·

Cod. Nace Industrie creative

10.73 Produzione di paste alimentari, di cuscus e di prodotti farinacei simili

11.01 Distillazione, rettifica e miscelatura degli alcolici

11.02 Produzione di vini da uve

14.13.2 Sartoria e confezione su misura di abbigliamento esterno

15.12 Fabbricazione di articoli da viaggio, borse e simili, pelletteria e selleria

15.20.1 Fabbricazione di calzature

23.19.2 Lavorazione di vetro a mano e a soffio artistico

23.19.9 Fabbricazione di altri prodotti in vetro (compresa la vetreria tecnica)

23.41 Fabbricazione di prodotti in ceramica per usi domestici e ornamentali

23.70.2 Lavorazione artistica del marmo e di altre pietre affini, lavori in mosaico

26.52 Fabbricazione di orologi

31.01 Fabbricazione di mobili per ufficio e negozi

31.02 Fabbricazione di mobili per cucina

31.09 Fabbricazione di altri mobili

32.12 Fabbricazione di oggetti di gioielleria e oreficeria e articoli connessi

32.20 Fabbricazione di strumenti musicali

32.40 Fabbricazione di giochi e giocattoli

32.50.5 Fabbricazione di occhiali (da sole, correttivi, protettivi o altri) e montature per occhiali o parti di montature

70.21 Pubbliche relazioni e comunicazione

71.11 Attività degli studi di architettura

73.11 Agenzie pubblicitarie

73.12 Attività delle concessionarie pubblicitarie

74.10 Attività di design specializzate

74.30 Traduzione e interpretariato