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Anton Maria Zanetti il Giovane (Venezia 1706-1778) attr.

Via Crucis, 172913 oli su tela, cm 76 x 54 (ciascuno)PESARO, Chiesa di San Giovanni

Da un documento conservato presso laBiblioteca Oliveriana di Pesaro risulta chenel 1729, nella Chiesa di San Francesco dellastessa città, vennero intraprese alcune inizia-tive di abbellimento e di ristrutturazione; traqueste si colloca anche l’esecuzione dellequattordici tele della Via Crucis (la settimastazione è stata trafugata negli anni Settantadel secolo scorso), costate 4 scudi e 40 baioc-chi il pezzo, pagate da diversi benefattori ecommissionate ad un non meglio indicatoZanetti, pittore veneziano1. Sebbene non pochi siano stati gli artistiveneziani con questo nome2, credo che ilcampo d’indagine debba restringersi ai dueZanetti più importanti e noti in quello scor-cio di secolo: Antonio Maria il Vecchio(1680-1767) e Antonio Maria il Giovane(1706-1778).Il primo di questi è conosciuto per l’attivitàd’incisore, caricaturista e collezionista; for-matosi presso pittori come Nicolò Bambini,Sebastiano Ricci e Antonio Balestra, e suc-cessivamente in ambito bolognese, comeincisore rilanciò in Italia la tecnica dellaxilografia a chiaroscuro, pubblicando nel1749 la Raccolta di varie stampe a chiaroscu-ro, tratte da disegni originali di FrancescoMazzuola, detto il Parmigianino e d’altriinsigni autori, con 71 xilo e 30 calcografie;come caricaturista ironizzò su diversi perso-naggi del suo tempo, come dimostra l’al-bum conservato presso la Fondazione Cinidi Venezia; riguardo all’attività di collezioni-sta, oltre a dar vita ad un’importante colle-zione di dipinti, raccolse in splendidi volu-mi numerosi disegni e stampe (le sue prefe-renze erano rivolte, oltre che ai maestri delRinascimento, agli artisti del Manierismocome Parmigianino, ai visionari comeCastiglione e ai pittori veneti anche con-temporanei). Continuamente in viaggio perl’Europa, in contatto con le personalità piùin vista del collezionismo di grafica, comeJoseph Smith, Pierre Crozat o Mariette, sep-pur pratico di pittura, è difficile pensarloall’opera sulle nostre tele dipinte, ormai a

quelle date ben definiti gli ambiti dei suoiinteressi3.Converrà invece spostare l’attenzione sulsecondo Zanetti, cugino del più anziano,con il quale questi fu spesso confuso. IlGiovane, custode per quarant’anni (dal1738 al 1778) della Biblioteca Marciana diVenezia, si occupò principalmente di storiae critica della pittura veneziana, di cui offrìuna nuova impostazione, aggiornata sullacultura del suo tempo; fu autore dellaDescrizione di tutte le pubbliche pitture diVenezia e isole circonvicine (1733), un rifaci-mento delle Ricche Miniere della PitturaVeneziana del Boschini (1664), dal quale sidistacca solo per una forte posizione antiba-rocca, delle Varie pitture a fresco de’ principa-li maestri veneziani (1760), con incisioni diopere che al tempo erano ancora conservatein città, e soprattutto fu autore Della pittu-ra veneziana e delle opere pubbliche de’Veneziani Maestri (1771), dove, in cinquevolumi, si condensano commenti sensibilis-simi, come quelli dedicati alle opere diTiziano4.Prima di intraprendere l’attività di critico,Anton Maria si era accostato alla pittura,probabilmente appresa nell’ambito della cul-tura cosmopolita del più anziano cugino,con il quale collaborò per la stesura del volu-me dedicato alle Antiche Statue Greche eRomane (1746); di questa formazione, riven-dicata dallo stesso Zanetti che si definisce‘professore’, e non ‘dilettante’, per essersilungamente esercitato nella pittura (fu pro-babilmente anch’egli allievo del Bambini5),non si sono individuate, allo stato, altre testi-monianze. In mancanza perciò di testi pitto-rici con i quali confrontare la Via pesarese, lenostre restano supposizioni, ma è verisimileche all’età di circa ventitré anni, forse anco-ra orientato verso la carriera del pittore, egliavesse accettato una commissione del restoben pagata.Comunque stiano le cose, l’opera, pur nel-l’evidenza di alcune ingenuità specie nellaresa delle figure, risulta essere il frutto di un

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artista colto, fortemente influenzato da unatradizione importante ed impegnativa comequella veneta, intenzionato a marcare la pro-pria appartenenza anche nella scelta di uncontesto ambientale ricco di suggestioniveneziane, come la pseudo Basilica di SanMarco coronata dai suoi cavalli, nello sfon-do per la prima caduta di Cristo sotto il pesodella croce, o la Torre dell’Orologio nellaquinta stazione.Nella prima tela, dove si registrano nostalgi-ci riferimenti alla magniloquenza architetto-nica dei dipinti del Veronese congiunti acostruzioni prospettiche di carattere bibiene-sco, ben evidenti anche nella stazione succes-siva, l’artista aderisce ad un modello icono-grafico di origine nordica, dove la condannaa morte di Cristo prevede la raffigurazione diGesù atterrato e martirizzato dai suoi aguzzi-ni, mentre dall’alto della scalinata, Pilato (oCaifa) assiste alla conseguenza del suo ver-detto. Nella diffusione di questo modelloebbe certo un peso importante la serie diotto fogli tratti dall’opera di ChristoffSwartz, pubblicata nel 1589 da Joan Sadelercon il titolo: Precipua Passionis D.N. IesuMysteria ex serenissimae Principis BavariaeRenatae sacello desumpta, nota anche attra-verso copie successive6; almeno nell’areaconsiderata e nel corso del terzo decenniodel Settecento, a questa iconografia sembrasostituirsi una rappresentazione menocruenta dell’episodio narrato, dove la figuradi Cristo appare in piedi al cospetto del pro-curatore romano, nel momento in cui que-st’ultimo decreta la condanna. Nelle stazioni che seguono, una folla schia-mazzante e curiosa accompagna il percorsodi Cristo entro uno spazio cittadino costrui-to come una vera e propria scenografia pro-spettica, ove si affastellano edifici e statuevariamente combinati, dove trovano postoinserti realistici come il selciato della viadella quinta stazione, composto da diversimateriali; fuori dalla città, il paesaggio, sca-bro teatro dei gesti più efferati, è percorso danubi sempre più cupe, che si addensano finoad un totale oscuramento nella Crocifissionedove, per la folla variamente atteggiata, perquel sollevamento non ancora del tuttocompiuto di una delle tre croci, l’autorepotrà essersi giovato di suggestioni desunteda uno dei più importanti testi venezianidedicati a questo soggetto: la grandeCrocifissione di Tintoretto nella Scuola diSan Rocco.

Note

1. Memorie della chiesa di San Giovanni Battista,1735, Ms 456, II, c. 383; sul documento cfr.anche C. Ortolani, Pesaro. Il “Mio bel SanGiovanni”, Pesaro 1930, p. 126 e G. Dassori,Chiesa di San Giovanni Battista. Storia e descrizio-ni, in L’Isauro e la Foglia. Pesaro e suoi Castelli neidisegni di Romolo Liverani, Pesaro 1986, pp. 271-299, in part. pp. 287-288.2. E. Favaro, L’arte dei pittori in Venezia e i suoi sta-tuti, Firenze 1975.3. Sullo Zanetti senior rimando alla seguentebibliografia: G. Lorenzetti, Un dilettante incisoreveneziano del XVIII secolo: Antonio Maria Zanettidi Girolamo, Venezia 1917; Disegni di una collezio-ne veneta del Settecento, catalogo della mostra(Venezia 1966) a cura di A. Bettagno, Venezia1966; Caricature di Anton Maria Zanetti, catalogodella mostra (Venezia 1969) a cura di A. Bettagno,Vicenza 1969; M. Santifaller, Un problemaZanetti-Zompini in margine alle ricerche tiepolesche,“Arte Veneta”, 1973, pp. 189-200; C. Karpinski,in The Illustrated Bartsch, 48, 1983, pp. 269-342;A. Bettagno, Brief Notes on a Great Collection.Anton Maria Zanetti and his Collection ofDrawings, “Festschrift to Erick Fischer. EuropeanDrawings from Six Centuries”, Cöbenhan 1990,pp. 101-108; L. Maggioni, Anton Maria Zanettitra Venezia, Parigi e Londra: incontri ed esperienzeartistiche, in Collezionismo e ideologia. Mecenati,artisti e teorici dal classico al Neoclassico (Quadernidi Studi sul Settecento Romano) 7, 1991, pp. 91-110; S. Prosperi Valenti Rodinò, in Il Disegno. Igrandi collezionisti, Milano 1992, pp. 116-119; A.Bettagno, Una vicenda tra collezionisti e conoscito-ri: Zanetti, Mariette, Denon, Duchesne, in Mélangeen hommage à Pierre Rosemberg. Peintures et dessinsen France et en Italie. XVIIe-XVIIIe siècle, Parigi2001, pp. 82-86.4. Sullo Zanetti junior si vedano: N. Ivanoff,Anton Maria Zanetti critico d’arte, “Atti dell’Isti-tuto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, CXI,1952-1953, pp. 29-48; F. Borroni, I due AntonMaria Zanetti, “Amor di Libro”, III, 1955, pp.195-208; VI, 1956, pp. 12-21; F. Bernabei, Storiadella cultura veneta: il Settecento, Vicenza 1985, pp.485-508; L. Grassi, Teorici e storia della criticad’arte. Il Settecento in Italia, Roma 1997, pp. 181-186.5. Cfr. U. Thieme e F. Becker, Allgemeines Lexikonder Bildenden Künstler, XXXVI, 1947, p. 404; G.Dillon, in Dizionari Enciclopedico Bolaffi, XI,1976, p. 406; F. Bernabei, in The Dictionary of Art,33, 1996, pp. 612-613.6. Dalla serie incisa dal Sadeler derivano anchealcuni dipinti conservati nella Pinacoteca Civica diFossombrone, provenienti dalla Chiesa dell’An-nunziata della stessa cittadina; cfr. scheda n. 12.

Bibliografia essenziale

C. Ortolani, Pesaro. Il “Mio bel SanGiovanni”, Pesaro 1930, p. 126; G. Dassori, Chiesa di San Giovanni Battista.Storia e descrizioni, in L’ Isauro e la Foglia.Pesaro e suoi Castelli nei disegni di RomoloLiverani, Pesaro 1986, pp. 271-299, in part.pp. 287-288.

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Alessandro Gallucci(Pesaro 1897-1980)

Via Crucis, 197216 oli su tela, cm 70 x 50 (ciascuno)PESARO, Chiesa di San Carlo Borromeo

“Gallucci non ha intenzione di fare unamostra, è un pittore estremamente scrupo-loso. E dice che a distanza di un anno gliriesce impossibile presentarsi dando a vede-re progressi tangibili. Lui non lavora per ilpubblico e per la critica, ma per qualcosa dipiù, che potrebbe essere la testimonianzadella sua anima. È bello ma è terribile. Senon si ha, come ha lui, i mezzi di campare(ne ha di esigui ma gli bastano), si crepa difame”; così da Pesaro Dino Garrone, nel-l’agosto 1930, al napoletano EdoardoPersico, collaboratore a Milano delle riviste“Casabella” e “Belvedere”1.Un anno prima Gallucci aveva partecipatoall’Esposizione Internazionale di Barcellonae ormai aveva raggiunto qualche notorietà,ché già aveva aderito a diverse mostre sinda-cali regionali e nazionali e alla Biennale diVenezia: un’attività espositiva che avrebbecontinuato nel corso degli anni. Aveva studiato all’Istituto di Belle Arti diUrbino al tempo di Diomede Catalucci eDomenico Iollo, all’Accademia di Roma e aquella di Venezia dove gli fu maestro EttoreTito, e dal ‘44 al ‘55 avrebbe insegnatoall’Istituto d’Arte Mengaroni di Pesaro.L’attenzione verso le tendenze artistiche eculturali emergenti nei diversi momenti chesi trovò ad attraversare, sono ben testimo-niate da alcuni lavori. L’annegato del 1926 oLe angurie del ‘30 rispondono ad una sugge-stione neocaravaggista, aggiornata sullenuove posizioni della critica nei confrontidel pittore seicentesco; Il mercato del 1938manifesta invece una tarda adesione alla cul-tura ‘novecentesca’ del ritorno all’ordine,nutrita nel suo caso di riflessioni sull’operadi Felice Carena o sulla Metafisica di DeChirico2; altre opere invece, specialmenteritratti o nature morte, risentono delle espe-rienze espressioniste della Scuola romana,così come certi paesaggi e altre composizio-ni, di quelle neoimpressioniste di De Pisis odi Semeghini.Pittore colto ed aggiornato, criticamenteconsapevole, scelse di esprimersi entro lacondizione, spesso vissuta negativamente,

della provincia, praticando, come sottoli-neava Grazia Calegari, “la pittura comeesperienza di una quotidianità vissutamomento per momento, con timidezza eironia”.Frequentò i generi più tradizionali di chi siconfronta con la realtà: paesaggio, naturamorta, ritratto, a proposito del quale, com-mentando ne “L’Ora” la partecipazione deigiovani pittori pesaresi alla terza mostra delSindacato Belle Arti delle Marche del 1935,scriveva: “essi si stanno tutti dedicando, chipiù chi meno, al ritratto e questo è un otti-mo sintomo, perché vuol dire che non solosi avviano tutti verso un auspicato ritornoalla realtà, ma lo fanno con buona com-prensione. Realtà e non obbiettività, ritrattoe non fotografia, difatti questi pittori vedo-no il soggetto ciascuno attraverso il suoideale artistico, sicché ognuno ha il suomodo di ritrarre (vorremmo dire ‘rifare’)una persona ed è per questo che si può par-lare di gruppo senza che ciò significhi com-briccola o scuola o maniera”3.Anche l’arte sacra occupa un posto impor-tante nella sua produzione, intesa, come glialtri soggetti, entro il confine di una religio-sità intima e privata, racchiusa in quadri daparete e non esibita su grandi dimensioni;nel 1962 fu tra i promotori della primaRassegna d’Arte Religiosa tenutasi a Pesaro.Il primo dipinto dedicato al sacro è laSant’Anna con la quale Gallucci partecipaalla seconda Quadriennale del 1935, inau-gurata al Palazzo delle Esposizioni alla pre-senza di Mussolini e del re d’Italia, dove,scelto dal segretario Cipriano Efisio Oppo,partecipò un nutrito gruppo di marchigiani(oltre a Gallucci, Cagli, Fazzini, Mannucci,Bucci, Caffè, Tozzi, Licini, Tamburi).Quest’opera che canta il silenzioso e mestogiorno di due donne qualunque sedute,assorte in un pensiero lontano che ha rapitoentrambe, la madre sospendendo il lavoro amaglia e la figlia la lettura, costituisce quasiun manifesto del modo in cui Gallucciintende, a quelle date, avvicinarsi al sacro,rappresentando una religiosità calata entro

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una dimensione umana e familiare, dove laspiritualità è data dalla sospensione cheinveste la scena, per una scelta (Calegari)antiretorica, antiaccademica, anticelebrati-va4. Le opere più tarde, come la Deposizionedel ‘47 o la Crocifissione del ‘515, lo costrin-gono ad un confronto con iconografie piùtradizionali, con la riflessione sulla sculturalignea medievale o sulla pittura del ‘400,risolto nell’asciuttezza di “gesti esemplari, dicui si rende piuttosto lo scatto potenzialeche la gestualità narrata”6. Nel corso deltempo il tocco si fa sempre più rapido edessenziale; le figure, appena tratteggiate,esplodono in una espressività caricata che,passando attraverso l’Ultima Cena del ‘617,giunge alla potente Pietà con la qualeGallucci vince il premio Motta alla XIIIBiennale d’Arte Sacra Contemporanea del19708; ancora una volta un modo inconsue-to di trattare un tema abusato. Tutto èormai compiuto, Madre e Figlio si fondonoin un abbraccio quasi incorporeo che ricor-da le croci “di spirito” disegnate dall’ultimoMichelangelo, in contrasto, là come qui,con la saldezza della croce che definisce ilconfine di un orizzonte rosso di sangue.Agli inizi degli anni ‘70, quasi certamente al1972, risale invece la Via Crucis per laChiesa di San Carlo9, costituita da 16 tele,dove l’artista compie un’ulteriore scelta dicampo, abbandonando il colore per il bian-co e nero: le scene sono occupate da pochefigure (per undici volte compaiono solo trepersonaggi) serrate come sagome entro saldicontorni; nella sospensione di una dramma-ticità contenuta, di un dialogo senza parole,ognuno compie mestamente il propriodestino in un paesaggio assolato desolato edesertico, privo di ogni segno vitale, di ognirifugio, nella solitudine dell’uomo senzaDio. La tecnica assomiglia a quella di unbozzetto preparatorio; il risultato è inveceintenso come un’opera a lungo meditata,suggerita più che precisata, nella consapevo-lezza, forse, dell’ineffabilità di un mondodove all’uomo è consentito solo raramentedi entrare. Anche in questo caso l’artistainterpreta il tema con molta autonomia eintroduce due tele non previste nell’icono-grafia tradizionale della Via Crucis, dovesono rappresentati i simboli del martirio. Varrà la pena sottolineare che nella elabora-zione del progetto per San Carlo, unicaopera destinata alla fruizione pubblica oltreai cartoni per le vetrate del Duomo diPesaro del 1950, va collocato lo Studio per

Note

1. Cfr. D. Garrone, Carteggi con gli amici (1922-1931), a cura di T. Mattioli e A.T. Ossani, Urbino1994, II, p. 861.2. Su quest’opera si veda anche G. Calegari, sche-da in Il filo di Arianna. Raccolte d’Arte delleFondazioni Casse di Risparmio Marchigiane Jesi-Macerata-Pesaro, catalogo della mostra (Ancona2000) a cura di A.M. Ambrosini Massari, Milano2000, p. 291.3. Traggo la citazione dai Materiali antologici, acura di S. Cuppini Sassi, in Alessandro Gallucci:‘topoi’ e luoghi, catalogo della mostra (Pesaro1987), Rimini 1987, p. 199.4. Cfr. Alessandro Gallucci, cit., n. 121.5. Ivi, cat. nn. 124, 127.6. G. Calegari, I soggetti sacri, in AlessandroGallucci, cit., p. 64.7. Ivi, n. 133.8. Ivi, n. 139.9. In questa chiesa, inaugurata nel 1971, operadell’architetto Carlo Borgiotti, amico di Gallucci,si conservano altre interessanti opere di RenatoBertini e di Angelo Biancini.

Bibliografia essenziale

G. Calegari Franca, Alessandro Gallucci, inArte e immagine tra Ottocento e NovecentoPesaro e provincia, catalogo della mostra(Pesaro 1980), Urbino 1980, pp. 243-247;Alessandro Gallucci: ‘topoi’ e luoghi, catalogodella mostra (Pesaro 1987), Rimini 1987;E. Binucci, Alessandro Gallucci: nuoveacquisizioni, “Pesaro città e contà”, 1, 1991,pp. 97-104.

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Via Crucis da me rintracciato in una colle-zione privata pesarese, datato al 1971, dove,oltre ad alcune delle scelte definitive, comelo sfondo bianco della tela da cui le figureemergono come sagome, s’indulge ancorasull’uso del colore, come il rosso della vestedi Cristo, quel rosso che Gallucci aveva pre-diletto per tanti quadri.

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