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Gennaio 2011 Gennaio 2011 n. 1 Un mondo dietro le sbarre Poste Italiane S.p.A - Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 2, CNS/AC Roma Segno nel mondo € 1,70 Gennaio 2011 g nel mondo

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Un mondo dietro le sbarre

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Magari l’enfasi può sembrare eccessiva, ma unafrase pronunciata da Kofi Annan, segretario gene-rale delle Nazioni Unite, chiarisce in maniera effica-ce il significato dell’Anno del volontariato, chel’Unione europea ha proclamato per questo 2011:«Se non vogliamo che le nostre speranze di costrui-re un mondo migliore e più sicuro restino vane, ciservirà sempre più l’impegno dei volontari». Leparole di Annan ben si accompagnano a quelle pro-nunciate dal Presidente della Repubblica, GiorgioNapolitano, che in occasione della Giornata interna-zionale del volontariato, celebratasi a dicembre, e invista dell’anno speciale europeo, ha inteso rinnova-re il suo «profondo apprezzamento, a nome dellanazione e delle istituzioni repubblicane, per il ruoloinsostituibile del volontariato e del terzo settorecome punti di riferimento e protagonisti attivi dellanostra società civile».Sulla stessa lunghezza d’onda la commissaria Ueper i diritti fondamentali e la cittadinanza, VivianeReding: presentando programmi e obiettivi dell’an-no ha sostenuto che nell’Unione europea si conta-no non meno di 100 milioni di cittadini impegnatiin qualche forma di attività a favore di altre perso-ne, nel campo assistenziale e caritativo, per latutela dei minori, degli anziani o dei migranti, perla promozione della cultura e dell’educazione, dellosport, per difendere la natura... Il volontariato – didiversa ispirazione - deve quindi, secondo la com-missaria Ue, essere sostenuto, promosso, estesoal maggior numero possibile di persone.È subito evidente che per l’Azione cattolica, asso-ciazione che da quasi 150 anni opera, con lo stiledel volontariato, a servizio della Chiesa e delpaese, il 2011 avrà un significato particolare. Sarà,come conferma la tradizione associativa, un tempodella gratuità, del dono, del “mettersi a disposizio-ne di” e del “mettersi a disposizione per”, mostran-

do che la logica del tornaconto non deve per forzaessere il motore della storia. Per l’Ac il 2011 sarà,ancora una volta, il tempo delle relazioni, dell’an-dare incontro, del costruire rapporti, del sostareper ascoltare chi ha qualcosa da dirci, chi ha qual-cosa da chiederci… In tal senso sarà anche untempo per gli altri, che richiede di uscire da sestessi, di mettersi nella logica dell’esodo, cercan-do di comprendere chi è realmente il nostro pros-simo, cosa ha da insegnarci e a chi (a un Altro) cirimanda la sua esistenza.L’Anno del volontariato sarà anche un tempo dell’e-ducarsi: perché ogni atteggiamento e azione acarattere sociale richiede sensibilità, formazione,competenza: il volontariato, infatti, non è un “dilet-tantismo del buon cuore”, ma si deve configurarequale servizio gratuito, efficace, di qualità. L’annodel volontariato ci aiuterà ad impiantare unacoscienza laicale profonda, che sa leggere inprofondità i segni del passaggio di Dio nella storiae rendere la promessa di «cieli nuovi e terre nuove»credibile agli occhi di un mondo che spesso vive dicorsa e con l’agenda in mano. Su questa linea, il2011 sarà un tempo politico: nel senso che dovràcomprendere una prioritaria tensione verso il benecomune. Per far questo occorre valorizzare la voca-zione sociale del volontariato; il quale non develimitarsi a “tappare i buchi” lasciati dalle istituzionio dai servizi pubblici, ma piuttosto con essi devecollaborare su un piano di pari dignità e da essideve pretendere adeguati riconoscimenti (legislati-vi, economici) per poter svolgere il proprio ruolo. Sipensi solamente, in tal senso, al danno che puòprovocare una decisione come quella di tagliare ifondi del 5 per mille destinati (come hanno richie-sto 15 milioni di contribuenti italiani) proprio alleassociazioni di volontariato e al terzo settore, comesta accadendo nel nostro paese!L’Anno del volontariato non potrà quindi limitarsi a“celebrare” chi si spende per il bene comune; dovràinvece trasformarsi in una buona occasione per farcrescere – in coincidenza con il 150° dell’Unità – lacoscienza individuale, la coscienza civile e l’Italiaintera. Un’opportunità da cogliere al volo. �g

]

Fatti parole

Annoeuropeodelvolontariato:nellostiledell’Ac[

&di GianniBorsae NicolòTempesta

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Mensiledell’Azione Cattolica Italiana

Direttore Franco MianoDirettore Responsabile Giovanni [email protected] Redazione Gianni Di [email protected]

e-mail [email protected]. 06.661321 (centr.) Fax 06.66132360

Hanno collaborato a questo numero:Alberto Bobbio, Giorgia E. Cozza,Simone Esposito,Alessandra Gaetani,Antonella Gaetani, Barbara Garavaglia,Marco Iasevoli, Stefano Leszczynski,Laura Mandolini,Armando Matteo, Paolo Mira,Alessandro Nizegorodcew, Giancarlo Olcuire,Francesco Rossi, Chiara Santomiero,Ada Serra,Paola Springhetti, Nicolò Tempesta, Marco Testi,Matteo Truffelli, Marta Zanella

Editrice Fondazione Apostolicam ActuositatemVia della Conciliazione, 1 - 00193 RomaDirezione eAmministrazioneVia Aurelia, 481 - 00165 Roma

Grafica e impaginazione:Giuliano D’Orsi,Veronica FuscoStampa Mediagraf S.p.a.Viale della Navigazione Interna, 89 - 35027Noventa Padovana - PDReg. al Trib. di Roma n. 13146/1970del 02/01/1970Per le immagini si è fatto ricorso alle agenzieOlycom, SIR e Romano Siciliani

Chiuso in redazione il 13 dicembre 2010

Pubblicazione associata all’USPI(Unione Stampa Periodica Italiana)

Abb.to annuale (12 num.) senza supplemento € 20Abb.to annuale (12 num.) con supplemento € 25Per versamenti: ccp n.78136116intestato a: Fondazione Apostolicam ActuositatemRiviste - Via Aurelia, 481 – 00165 RomaFax 06.6620207(causale “Abbonamento a SegnoPer”)Banca: Credito Artigiano - sede di RomaIBAN: IT88R0351203200000000011967cod. Bic Swift Arti itM2 intestato a:Fondazione Apostolicam ActuositatemVia Aurelia, 481 - 00165 RomaTiratura 154.800 copie

n.1gennaio2011nel mondo

la copertinaUn mondo dietro le sbarre: è il dossier che Segnodedica a chi vive dentro le mura di un carcere maanche a chi svolge attività di volontariato.Storie che raccontano cosa c’è dietro la vitadi un recluso. E quante possibilità abbiadi reinserirsi nell’esistenza di ogni giorno

11E noi diciamo messaa Poggiorealeintervista con

Antonio Spagnoli

di Alessandra Gaetani

12La cooperativache trova il lavorodi Francesco Rossi

13Teatro cheracconta la vitadi F. R.

14Il sorrisodi chi ce l’ha fattaintervista con

Daniela De Robert

di Alessandra Gaetani

famiglia oggi

1Anno europeo delvolontariato:nello “stile” dell’Acdi Gianni Borsa

e Nicolò Tempesta

34Affetto e coccole,adulti più sereniintervista con

Alessandra Bortolotti

di Giorgia E. Cozza

36Mamme sole, che fatica...di Giorgia E. Cozza

economia e lavoro

30Sacchetto di plasticavade retrodi Barbara Garavaglia

fatti e parole 4

sotto i riflettori4Dietro le sbarre.Il tempo del riscattointervista con

Luisa Prodi

di Gianni Di Santo

8Quel vuoto da colmareintervista con

Vittorio Trani

di Stefano Leszczynski

10Ridare dignitàai rinchiusidi Ale. Gae.

sommario

tempi moderni

18Sul ringla vita di tutti i giornidi Marta Zanella

22Sogno Wimbledonintervista con

Erik Crepaldi

di Alessandro Nizegorodcew

24In cammino con la tvdi Ada Serra

26Il valore aggiuntodel doposcuoladi Barbara Garavaglia

28Il sorriso di Paolinodi Marco Iasevoli

cittadini e palazzo

32Non si scherza con la storiadi Matteo Truffelli

le altre notizie

16Dall’Italia e dal mondo

sotto i riflettori

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perché credere

62Gesù, la pienezzadell’umanodi Armando Matteo

la foto

64È sempre tempo di pace

quale Chiesa

som

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faccia a faccia

38In compagnia della Paroladi Francesco Rossi

40Un’agenda da sfogliaredi Alberto Bobbio

43Un emporio dellasolidarietà controil “grande freddo”

44In casa degli anglicanidi Laura Mandolini

46Laici nel mondo,strade di santitàdi Chiara Santomiero

47Nuovi impegniper le donne cattolichedi C. S.

54Cartelli d’Italiadi Paola Springhetti

e Giancarlo Olcuire

55Tricolore con la valigia

giorno per giorno

i titoloni

orizzonti di Ac

58I giovani hannosete di giustiziadi Gianni Di Santo

48Media e parole,strumenti del Messaggiointervista con

Claudio MariaCelli

di Simone Esposito

52Recensionidi Marco Testi

e Antonella Gaetani

56Abbazia vanto dell’astigianodi Paolo Mira

60Aversa, la Campania e unsecolo di storia dell’Acdi Marco Testi

ieri e domani

sulle stradedella fede

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«Il carcere da auspicaresarebbe quello che riescea trasformare in tempo utileanche quello passatoa scontare la pena:un tempo in cui al detenutovengano offerte delleopportunità per rivederei rapporti familiari e socialiin funzione di obiettividi vita diversi da quelliche lo hanno condottoa delinquere. Questo eral’obiettivo della leggepenitenziaria italiana,che il sovraffollamentosta di fatto vanificando».Luisa Prodi, presidentedel Seac (Coordinamentoenti e associazionidi volontariatopenitenziario),racconta a Segno cosac’è dietro la vita di unrecluso. A cominciaredal lavoro dei volontari

Il tempodel riscatto

Dietro le sbarre

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di Gianni Di Santo

Pianeta carcere, anno 2011. Istituti di penache scoppiano, troppi detenuti. E un rein-serimento nella vita di ogni giorno cheancora rimane sulla carta. Un dato per

tutti: da gennaio al 30 settembre 2010 sono statiregistrati 911 tentati suicidi. Un po’ troppi per unsistema penitenziario che ha fatto del recupero deireclusi uno dei suoi obiettivi. E da un’indagineconoscitiva commissionata dal Dipartimento del-l’amministrazione penitenziaria emergono numerinon edificanti: solo il 13% dei cittadini intervistatiha un’idea realistica e precisa di quello che avvieneall’interno delle carceri, mentre il 62% ritiene che ilcarcere sia poco rispettoso dei diritti e il 75% non èin grado di garantire il reinserimento sociale.Insomma, sono pochi gli italiani che pensano che lafunzione principale del sistema penitenziario siaquella di “educare” e “reinserire”. Come pochisanno dell’enorme lavoro che il volontariato compieogni giorno a fianco di chi sconta una pena. Lavorospesso duro, nascosto alla pubblica opinione, mache è la vera scommessa per un’umanizzazione del“pianeta carcere”.Di “rinnovamento” dell’uomo, offrendo a chi hasbagliato una possibilità di riflettere e cambiarevita, parlava del resto Giovanni Paolo II nelle paroleindirizzate ai detenuti nel corso della sua storicavisita a Regina Coeli del luglio 2000. «Il problemadel sovraffollamento carcerario nel nostro paese –spiega Luisa Prodi, presidente del Seac, che ha dapoco concluso il suo 43° Congresso nazionale – èdiventato ormai cronico. Oggi ci sono quasi 70.000detenuti in strutture penitenziarie progettate percontenerne 44.000. Questo stato di cose rendeestremamente lontano quello che Giovanni Paolo IIindicava come uno degli obiettivi primari dellapena: il reinserimento nella società e il cambiamen-to di vita. Nessuno può pensare che un uomo chepassa mesi o anni in celle piccole e malsane, in

condizioni di forzosa inattività e spesso lontanodalla sua famiglia, alla fine della pena esca dal car-cere migliorato e pronto per rientrare in modo posi-tivo nella società. Probabilmente quell’uomo avver-tirà un desiderio di rivalsa rispetto allo Stato che loha tenuto incarcerato in condizioni indegne, e lestatistiche ci dicono che in molti casi tornerà adelinquere». La pena, in questo caso, «non solosarà stata inutile, ma anzi avrà contribuito a perpe-tuare un disagio, aumentando l’insicurezza sociale.Il carcere da auspicare sarebbe quello che riesce atrasformare in tempo utile anche quello passato ascontare la pena: un tempo in cui al detenuto ven-gano offerte delle opportunità per istruirsi, imparareun lavoro, rivedere i rapporti familiari e sociali infunzione di obiettivi di vita diversi da quelli che lohanno condotto a delinquere. Questo era l’obiettivodella legge penitenziaria italiana, che il sovraffolla-mento sta di fatto vanificando».

Ci sembra di capire che ci sia del pessimismo ingiro.Va detto che le cose potrebbero migliorare se siadottassero tipologie di pena diverse dal carcere,almeno per i reati minori, quelli per cui viene con-dannata la maggior parte dei detenuti: lavori di pub-blica utilità e pene pecuniarie potrebbero sostituirein molti casi la reclusione, e il carcere verrebbeusato come extrema ratio per punire reati partico-larmente importanti. Negli ultimi anni, invece, in Ita-lia si sono moltiplicate le fattispecie di reato per lequali è prevista la carcerazione (l’esempio più signi-ficativo è quello della immigrazione clandestina),quindi è aumentato in modo impressionante ilnumero di detenuti e parimenti è diminuita la capa-cità dello Stato di intervenire per un vero reinseri-mento sociale.

L’importanza del volontariato nel recupero umano

La via Crucis nel carcere

minorile di Casal del Marmo

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del detenuto è fondamenta-le. Si possono creare per-corsi di umanizzazioneanche all’interno del carce-re? Nessun processo educativosi può svolgere senza lalibera iniziativa di chi ne è ilprotagonista. Il volontario incarcere non recupera e nonrieduca nessuno, ma si pro-pone come persona a fian-co della persona detenutaper sostenerla durante l’e-

sperienza della reclusione e per accompagnarla inun percorso di riavvicinamento della società, ovvia-mente a condizione che il detenuto lo voglia. Sipotrebbero raccontare testimonianze significativedi uomini e donne che hanno potuto “rinascere”dopo aver fatto errori gravi nella loro vita anche gra-zie alla presenza di qualcuno disposto a farsi pros-

simo per loro. È importante sottolineare che ilvolontariato in carcere non può prescindere da unadimensione di gruppo, e deve poter contare su unforte sostegno del territorio. Per un volontario cheentra in carcere a fare colloqui con i detenuti o agestire attività formative ce ne devono essere alme-no cinque all’esterno che si fanno carico di intratte-nere rapporti con le famiglie, cercare lavoro, procu-rare vestiti e presidi igienici, prendere contatti concomunità terapeutiche o strutture ospedaliere,svolgere adempimenti burocratici e altro. Dobbia-mo liberarci da un’idea un po’ romantica del volon-tario che “salva” il grande delinquente e lo portasulla retta via: la realtà è molto più prosaica, fatta datante piccole azioni che, raccolte tutte insieme,possono mettere il detenuto nelle condizioni diritrovare il suo posto nella società.

La legislazione vigente e le consuetudini attuali cheoperano all’interno degli istituti di pena aiutano inquesto?

Sopra: Luisa Prodi,

presidente del Seac

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La legislazione penitenziariaitaliana è molto avanzata sulpiano delle possibilità. Lo spi-rito con cui fu varata nel 1975era improntato all’attuazionedel dettato costituzionale chevuole la pena finalizzata allarieducazione del condannato.Va detto che tale legge preve-deva la presenza in carcere diassistenti volontari quandoancora la legge sul volontaria-to era lontana da venire. Il pro-gressivo mutamento di unasensibilità sociale, oggi moltopiù attenta che in passato alproblema della sicurezza, hadi fatto trasformato il carcerein un ambiente contenitivopiuttosto che in un’opportu-nità rieducativa. La legge del1975 non è stata sostanzial-mente cambiata, ma la si è

svuotata dal di dentro. Basti pensare che gli educa-tori che operano dentro al carcere, e da cui dipendel’attività di osservazione e trattamento rieducativo,

denunciano da anni di lavorare in condizioni di sottoorganico. Anche il recente decreto legge cosiddetto“svuota carceri”, che prevede l’assunzione di due-mila agenti di polizia penitenziaria, non prevedeinvece l’assunzione di educatori o magistrati di sor-veglianza, necessari alla attuazione del provvedi-mento stesso: segno chiaro della prevalenza di unavisione più improntata alla custodia che alla riedu-cazione.

Dentro o fuori: sembra solo questo il binomio chespiega il carcere. Eppure c’è un universo-vita cheracchiude, dentro le mura, sogni, progetti di vitafutura di chi sconta una pena…In carcere ci sono persone con storie diversissime.Sono persone che attendono un giudizio (molte,troppe...) o che sono già state giudicate per azioniche hanno compiuto. Ma se è giusto che ci sia ungiudizio e una pena, è doveroso operare affinchéemergano anche le potenzialità e le possibilità dibene di coloro che sono stati giudicati. «Dio giudicail colpevole, ma non lo fissa nella colpa identifican-dolo in essa», scrive il cardinale Carlo Maria Marti-ni. E se Dio è capace di non fissare l’uomo nellacolpa, dovremmo fissarcelo noi?

Ci sono percorsi di avvicinamento alla fede cristia-na? E come avvengono?Nelle carceri italiane operano i cappellani, garan-tendo al detenuto un accompagnamento dal puntodi vista spirituale. A volte le chiese diocesane istitui-scono delle vere e proprie cappellanie, nelle qualidiaconi, suore, frati e laici collaborano con il sacer-dote. La carcerazione può essere un momento diripensamento profondo della propria vita, durantela quale si riscoprono l’amore di Dio e dei fratelli. Lecomunità ecclesiali devono curare con particolareattenzione che la proposta di fede sia vissuta libera-mente, senza secondi fini e senza alcun proseliti-smo. Anche per questo è bene che ci sia una divi-sione di compiti fra chi entra in carcere per motivireligiosi e chi invece ha il compito dell’assistenzaper i bisogni materiali, per la ricerca del lavoro e perle attività di reinserimento sociale. �g

Numeri da capogiro, ma che pochi conoscono: 68.278 i detenutinelle carceri italiane (presenze al 30 giugno 2010). Totale capien-

za massima: 44.327. Per le carceri minorili la situazione della capien-za non cambia di molto: 486 presenze possibili, mentre “alloggiano”527 detenuti di cui 318 italiani e 209 stranieri. Gli ospedali psichia-trici giudiziari in Italia sono 6: le presenze sono 1.829 di cui 156 stra-nieri. Capienza tollerata: 955. Detenuti ricoverati per reati contro lapersona: 65%. Mille invece i detenuti che hanno un lavoro qualifica-to su un totale che, appunto, sfiora i 70.000. Interessante la percen-tuale che incide sulla diminuzione del rischio di recidiva per un exdetenuto cha ha un impiego: -90%. I poli universitari penitenziarisono 16 per un totale di 304 detenuti iscritti all’università; 19 dete-nuti si sono laureati nel 2008. Tre miliardi il costo dell’amministrazio-ne penitenziaria nel 2008 (massimo storico) mentre 2 miliardi laspesa prevista del 2010 (minimo storico); 198,4 euro la spesa mediagiornaliera per un detenuto nel 2007 e 113 euro la spesa media nel2010. [Fonte: Avvenire]

Numeri e percentualiSE L’EX DETENUTO TROVA UN IMPIEGO TUTTO CAMBIA

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Se ne sono recentemente lamentati anchei penalisti dell’Unione camere penali: lecarceri italiane sono sovraffollate ancheper l’eccessivo ricorso alla detenzione

cautelare, che vede oggi l’Italia “vantare” il tristerecord negativo europeo con stime prossime al50% della popolazione negli istituti di pena. Questoè solo un aspetto del problema, quello se vogliamo“amministrativo”; quello più grave, e spesso igno-rato, è l’aspetto umano; quello che riguarda il pre-sente e il futuro di chi ha avuto a che fare con la giu-stizia. Ne parliamo con padre Vittorio Trani, consi-gliere ecclesiastico del Seac a Regina Coeli, “stori-co” carcere di Roma.

Padre, dal carcere si può “tornare indietro” oppureno?Innanzitutto, il carcere in sé e per sé non è unarealtà che permette alla persona detenuta di recu-perare quanto è stato perduto; il disagio e i drammiche ci sono alle spalle di molte persone detenutenon posso venire affrontati nella giusta atmosfera. Ilsecondo motivo è che intorno al carcere c’è il vuoto,non ci sono il più delle volte possibilità opportunitàdi reinserimento sia per quanto riguarda il mondodel lavoro, che è fondamentale, sia per quantoriguarda l’aspetto abitativo. Molti detenuti nonhanno una casa, non hanno una famiglia e, quindi,

quando si affronta il nodo del loro reinserimentoc’è, il più delle volte, il buio completo.

Là dove non riescono a intervenire le istituzioni,supplisce, per quel che può, il volontariato. Nelcaso delle carceri qual è l’importanza che assumequesta realtà?Se dovessimo fare una scaletta da uno a cento l’im-portanza del volontariato in questo settore si atte-sterebbe ad almeno il 90%, perché se oggi sul terri-torio troviamo qua e là delle risposte, quasi sempreesse sono legate alla buona volontà delle persone eal loro impegno. Però il ruolo del volontariato non èsufficiente per dare una risposta adeguata all’enor-me mole di situazioni e necessità che ci sono daaffrontare.

In cosa consiste l’attività dei volontari per quantoriguarda le carceri?Proprio nelle scorse settimane si è svolto il conve-gno del Seac, che è il Segretariato che raccoglietutti i gruppi d’ispirazione cristiana che lavorano

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Il volontariato ha un’enorme importanzaper umanizzare gli istituti di pena e per restituiresperanza a chi vi è rinchiuso; ma «nonè sufficiente per fornire una risposta adeguataall’enorme mole di situazioni e necessitàda affrontare». Un cappellano descrive a Segnouna realtà “vista da vicino”. E sottolinea:«Molti in carcere incontrano la fedee rimettono così un punto fermo nella loro vita»

Quel vuotoda colmare

intervista conVittorio Trani

di Stefano Leszczynski

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nelle carceri a livello nazionale ed è rappresentativo– diciamo così – di quella parte di volontariato conla “V” maiuscola, cioè il volontariato senza compen-si e senza remunerazioni. Quindi, il volontariatonella sua espressione più bella e più alta. Il nostroimpegno è innanzitutto diretto a garantire una pre-senza che sia vicina al detenuto, che è fondamen-tale per un sostegno morale e materiale. Poi ci sonotutte le iniziative che vengono portate avanti a livelloculturale e di accompagnamento verso il reinseri-mento all’esterno del carcere. Il mio gruppo, adesempio, qui a Regina Coeli si appoggia a una casa

d’accoglienza tra le più grandi che esistono a livelloregionale per accogliere i detenuti che non hannoun posto dove andare e che hanno magari ottenutodalle autorità di uscire in permesso premio.

Spesso l’ostacolo più grande è rappresentato dallacosiddetta società civile che non conosce e non rie-sce a comprendere la realtà carceraria. Cosa biso-gna cambiare nella mentalità comune per com-prendere l’importanza del recupero dei detenuti?Direi che c’è bisogno di una virata culturale a tuttocampo, perché il carcere continua a rimanere unarealtà distante, che riguarda “gli altri”; finché non citocca da vicino. Solo allora le persone si trovano aconfrontarsi con la necessità di rivedere un po’ ilproprio quadro mentale. L’approdo di questa men-talità è quello di capire che i detenuti sono dellepersone, dei cittadini, alcuni dei quali hanno sba-gliato, altri invece sono solo accusati di avere sba-gliato e vivono in una situazione di parcheggio.Queste persone sono momentaneamente tiratefuori dalla società, ma devono rientrarvi e quindi illavoro dovrebbe essere fatto in modo tale che undomani, terminato questo momento, possano tor-nare a essere cittadini migliori, non peggiori. Mabisogna constatare con amarezza che l’ambitodella giustizia, un po’ dappertutto, resta semprel’angolo oscuro della società. Non so perché.

Parliamo anche della speranza che caratterizza l’o-perato dei volontari nella realtà carceraria. Lei ram-menta qualche episodio particolare conclusosi feli-cemente?Sono tanti gli episodi, è difficile citarne uno soltan-to. Si tratta di un percorso di vita nel quale interven-gono i fattori più vari: si prende coscienza di averesbagliato, ma c’è anche il fattore religioso. Molti incarcere incontrano la fede e rimettono così unpunto fermo nella loro vita. Ci sono poi le vicendepersonali che vanno spesso in direzione giusta.Proprio questa mattina ho incontrato un ragazzoche non avevo visto per tanti anni. In lui vi era statoun percorso di conversione, poi si è laureato eadesso lavora. Storie come questa ce ne sono tantee sono quelle che danno anche a questa realtà car-ceraria un peso in senso positivo. �g

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Sopra: padre Vittorio Trani,

cappellano a Regina Coeli

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Il problema del sovraffollamento nelle carceri,dei suicidi, il senso della vita dietro le sbarre.Temi che la cronaca spesso ci pone davanti inmodo crudo e breve: pochi minuti in tv o alla

radio, una colonna sul quotidiano. Ma il quotidiano,dietro le sbarre, non si esaurisce in poca cronaca.Ci sono persone e associazioni che lavorano in car-cere per migliorare la vita dei detenuti. L’Ac diLecce opera al supercarcere di Borgo san Nicola,alla periferia nord della città da circa tre anni insie-

me ad alcune associazioni di volontariato ealle parrocchie. La situazione è drammatica: ireclusi sono più del doppio della capienzadella struttura: 1.400 a fronte di un’omologa-zione per 550 posti.Massimo Vergari, presidente diocesano del-l’Ac di Lecce, ci spiega che «i detenuti devonorestare sdraiati per buona parte del giorno conil freddo, il caldo, quando il razionamento del-l’acqua esaspera la situazione». Senza conta-re che «molti, soprattutto immigrati, nondispongono di prodotti per l’igiene personale edi vestiario».

L’Ac diocesana è venuta incontro a queste neces-sità insieme all’associazione di volontariato carce-rario “La Comunità Speranza” stabilendo i dovuticontatti con gli operatori del carcere. Le parrocchieraccolgono i prodotti per l’igiene personale e ilvestiario. Inoltre «scriviamo, nelle varie ricorrenze,un pensiero d’augurio a chi è più solo, cercano diristabilire un rapporto di affettività che troppo spes-so il carcere recide», spiega Massimo Vergari. «Masolo in via eccezionale si riescono a intercettare ibisogni di quanti vivono più drammaticamente ladetenzione. Luigi è stato uno dei tanti reclusi suicididi quest’anno. Si è impiccato con le stringhe dellescarpe all’inferriata della cella nel carcere di Lecce.Scontava una condanna a cinque anni e due mesi.Sarebbe tornato libero tra due anni e mezzo; inveceha interrotto la sua vita il giorno del suo cinquante-simo compleanno».L’Ac, insieme all’arcivescovo di Lecce, mons.D’Ambrosio, si è fatta promotrice di un dibattitopubblico con le istituzioni volendo sostenere l’amo-re per la vita. «Alla condanna della legge non si puòsommare quella della politica che non trova i soldiper tutelare la dignità di chi ha sbagliato e paga»,ribadisce il presidente Vergari. «Solo partendo dalladignità della persona si possono attuare percorsi diriabilitazione e di reintegrazione».Lo scarso numero di operatori carcerari e di poliziapenitenziaria non permette di realizzare opportunitàdi ascolto, di istruzione o di catechesi, nonostante lerichieste. «Si può lavorare bene, invece, con lefamiglie dei detenuti che vivono nel territorio offren-do disponibilità e relazioni amichevoli, con un’at-tenzione particolare all’educazione alla legalità deipiù giovani». Il contributo più alto l’Ac cerca di darlo facendosivoce di chi non ha voce, invitando ogni socio eassociazione a ricordare nella preghiera questepersone tenendo presente ciò che ha detto Gesù:«Ero carcerato e siete venuti a trovarmi». [ale.gae.]

intervista conAntonio Spagnoli

L’Azione cattolicadiocesana, con ilsupporto delleparrocchie edell’associazione“La ComunitàSperanza”, cerca dimigliorare la vitadei detenuti, comespiega ilpresidenteMassimo Vergari

Esperienze/Lecce

Ridare dignità ai rinchiusi

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Napoli, Poggioreale, altra struttura carce-raria pesante. Una realtà che ha destatol’attenzione dell’Azione cattolica dioce-sana che dal 2008 ha avviato un proget-

to. Antonio Spagnoli, membro del consiglio dioce-sano di Ac e coordinatore del “Progetto carcere”spiega a Segno che «un gruppo di Ac ha accoltol’invito di don Franco Esposito, responsabile dellapastorale carceraria di Napoli, di fare formazionecristiana all’interno del penitenziario. Dopo la pre-parazione sulla realtà degli istituti di pena, i volonta-ri di Ac hanno iniziato il loro servizio tra i detenuti diPoggioreale. Ora se ne stanno preparando altri sei».

Come si svolge la vostra attività?Ogni settimana incontriamo i gruppi dei detenuti nelpadiglione Firenze, il reparto che ospita le personerecluse per la prima volta. Sono molto giovani, scon-volti dall’arresto e dalla reclusione. È tra di loro chesi verifica la più alta percentuale di suicidi. Da set-tembre seguiamo anche un gruppo presso il padi-glione Avellino. Il nostro progetto prevede inoltre lapresenza periodica in carcere del consiglio diocesa-no e delle associazioni parrocchiali per l’animazionedelle celebrazioni eucaristiche domenicali.Che significato riveste la presenza di Ac nel carcere?Vuole rappresentare il ponte tra i due mondi: quello

libero, esterno al carcere, e quello interno, riattivan-do il necessario collegamento tra la realtà carcera-ria e la società civile. Tende a coinvolgere la comu-nità cristiana affinché sia attenta alla realtà carce-raria e la senta parte della Chiesa diocesana. Fasentire ogni detenuto inserito nella Chiesa locale,attraverso iniziative e cammini di fede che incarna-no nella realtà del carcere il piano pastorale delladiocesi.Che caratteristiche accomunano i detenuti?Sono persone povere, soprattutto culturalmente,quasi analfabete. Durante gli incontri spesso perspiegarci dobbiamo parlare in dialetto napoletano.Il pensiero dell’Arcivescovo di Napoli, il card. Cre-scenzio Sepe, è da tempo rivolto ai tanti poveri chevivono nella nostra meravigliosa e martoriata terra.Dinanzi a tanta povertà non è possibile restareindifferenti. E poi andiamo in carcere perché sap-piamo che Cristo Gesù è il carcerato che attende diessere visitato. Cosa vi dona l’esperienza tra i carcerati?Incontriamo persone provate che esprimono ram-marico, pentimento per ciò che hanno fatto e doloreper le sofferenze che la loro condizione provoca aifamiliari. Andiamo in carcere per mettere il nostrocuore accanto al loro, per seminare speranza efiducia nel Signore. Torniamo a casa con un caricodi sofferenze che conserviamo nella memoria e nelcuore, che segna i nostri giorni, riempie la nostrapreghiera, consolida la nostra fede. �g

intervista conAntonio Spagnolidi Alessandra Gaetani

E noidiciamomessa aPoggioreale

Esperienze/Napoli

A lato: l’ingresso del carcere

di Borgo San Nicola a Lecce.

Sopra, la messa

a Poggioreale

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Una “casa” per accompagnare i detenutiverso la libertà e la costruzione di unfuturo migliore. La “Casa di accoglienzaSan Francesco”, che si trova a Lucca,

venne inaugurata nel 1990 per iniziativa del localeGruppo volontari carcere, nato qualche anno primadall’esperienza di alcune persone che, per volonta-riato o per lavoro, varcavano la porta della casa cir-condariale. La struttura fu dedicata al vescovoGiuliano Agresti, che assieme ai volontari ne fu unodei principali sostenitori, e costituisce una delleopere diocesane sorte in quegli anni.«Diamo una prima accoglienza a detenuti agli arre-sti domiciliari, in permesso o in semilibertà, i qualirestano da noi fino a quando, scontata la pena, tro-vano un lavoro e una casa», spiega AgneseGaribaldi, figura storica del volontariato carcerariolucchese (nonché dell’Azione cattolica diocesana) eora responsabile della struttura. Una quindicina iposti letto disponibili per gli ospiti, che restano fin-ché non sono in grado di «spiccare il volo». Ma nonc’è solo l’accoglienza, con un pasto caldo e un letto:i volontari che operano a “Casa San Francesco”

hanno un ruolo attivo nella ricerca di un’abitazione eun lavoro, al punto che diversi anni fa venne creatala cooperativa sociale “La Mongolfiera”, senzascopo di lucro. Oggi ha 16 dipendenti e lavora conle istituzioni e i privati: dalla pulizia dei cortili dellescuole alla manutenzione delle strade, all’imbianca-tura. «Quando un ex detenuto va a un colloquio dilavoro – sottolinea Garibaldi – e dice di provenire dalcarcere, più di una volta il colloquio termina lì. Così,invece, passando dalla cooperativa hanno una refe-renza con la quale cercare lavoro».Nella casa «accogliamo persone di ogni religione, lin-gua e patria», ricorda la responsabile, pur essendochiara la matrice cattolica dell’opera. I limiti, semmai,riguardano alcolisti, tossicodipendenti, violenti, per iquali in città ci sono strutture adeguate che unisco-no all’ospitalità un percorso di cura e recupero. Perquesto, recita il regolamento della “San Francesco”,«gli ospiti non devono introdurre né far uso di sostan-ze stupefacenti, sé abuso di bevande alcoliche, néintrodurre alcun tipo d’arma, ed è proibito ogni tipodi violenza verbale o fisica»; la trasgressione «com-porta l’immediata espulsione dalla casa».Con il tam tam delle carceri la conoscenza di que-sta casa va ben al di là della Toscana: «Ci scrivonoda tutti i penitenziari d’Italia per avere ospitalità»,racconta Garibaldi, ricordando però che, per evita-re permanenze eccessive, vengono accolti solodetenuti con una pena residua inferiore all’anno.«Quando accettiamo la richiesta di un detenuto –illustra la responsabile – gli mandiamo una lette-ra, così lui può fare istanza al giudice di sorveglian-za, il quale alla fine decide».E, dopo tanti anni, la prova forse più convincentedella validità di questo progetto viene proprio dagliex ospiti, alcuni dei quali frequentano ancora lacasa, ma da volontari. Perché? «Devo restituirequel che ho ricevuto», rispondono. �g

di Francesco Rossi

La cooperativache trova il lavoro

Esperienze/Lucca

Detenuti giocano a pallone

mentre vengono controllati

a vista da una guardia

penitenziaria

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Fare cultura dietro le sbarre. È la sfida diPaolo Billi, regista e direttore artistico del“Teatro del Pratello” a Bologna. Dove “Pra-tello” indica una storica strada del centro

storico che ospita pub e trattorie, ma anche il car-cere minorile. Ed è proprio insieme ai ragazzi delcarcere che il regista, anno dopo anno, lancia que-sta sfida alla città. «Il progetto – spiega a Segno –nacque nel 1998 grazie alla legge 285 (LeggeTurco) “per la promozione di diritti e opportunità perl’infanzia e l’adolescenza”. Per sei anni abbiamoricevuto i fondi previsti dalla legge, poi sono statestipulate convenzioni con il Comune, la Provincia eil Centro per la giustizia minorile».Al Teatro del Pratello non si fa volontariato, né silavora per il carcere, ma con chi sta dietro le sbarresi costruisce una proposta culturale. «Ogni anno,per quattro mesi – racconta Billi – attiviamo labora-tori di scenotecnica, costruzione degli oggetti discena, sartoria, danza teatro e così via. Con il lavoroquotidiano – tre ore al mattino e tre al pomeriggio,dal lunedì al venerdì – si realizza uno spettacolo in

tutte le sue parti». Quest’anno la Compagnia delPratello ha portato in scena Don Chisciottecollapse, una rivisitazione del romanzo di Cervantescon al centro un don Chisciotte ormai vecchio ecieco che, accompagnato da un ragazzino, va ateatro a vedere la storia della sua vita.«Il mio lavoro – riprende Billi – non si esaurisce inun saggio finale, ma produce uno spettacolo vero eproprio, che quest’anno è stato replicato 15 volte».D’altra parte, che si tratti di un’occupazione a tuttigli effetti lo dimostra il contratto che la cooperativasociale che gestisce il Teatro stipula con i ragazzi,assunti come allievi attori. Perché costoro «nonsono mostri, ma persone che dalla vita non hannoavuto nulla»: solo una minima parte dei minori chehanno a che fare con la giustizia finisce in carcere,e non per la gravità del reato, quanto piuttosto perl’impossibilità di avere un’alternativa, ad esempioperché sono «stranieri non accompagnati» e quindisenza una famiglia che se ne possa prendere cura.«Loro stessi – ricorda il regista – si sorprendono diessere stati in grado di realizzare uno spettacolo: èla prima volta che si sentono gratificati». E i soldi, ilpiù delle volte, vengono subito spediti a casa peraiutare i familiari, o per permettere ai genitori – sevivono in altre parti d’Italia – di venirli a trovare.Da ultimo, quindici repliche – tutte rigorosamenteall’interno del penitenziario – significano che circa1.500 persone sono entrate in carcere «per andarea vedere lo spettacolo, e non “i ragazzacci” chefanno teatro». Così si lavora sui pregiudizi, e difattiun altro degli obiettivi del Teatro del Pratello è «met-terli in crisi, facendo vedere che sul palco ci sonosemplicemente dei ragazzi che fanno gli attori». Ildato sociale e quello culturale non possono esseredisgiunti in quest’esperienza, che serve certamentea chi sta tra le mura del “Pratello”, ma non meno aquanti vivono la città dal di fuori. �g [F. R.]

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Esperienze/Bologna

Teatro cheracconta la vita

Natale del 1958: la storica

visita di Giovanni XXIII tra i

detenuti di Regina Coeli

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La vita dietro le sbarre, una realtà che stridecome una brusca frenata, un mondo cheperò esiste e con cui molti lavorano. L’as-sociazione volontari in carcere, Vic, opera

ormai dal 1994. Partendo da un gruppo di volontaridella Caritas diocesana di Roma, oggi conta circacento elementi che operano nei centri di ascolto ditutti i reparti dei quattro carceri di Rebibbia (tremaschili e un femminile), e nel reparto protetto del-l’ospedale Pertini. Lo scopo del Vic è favorire il rein-serimento sociale dei detenuti. Daniela De Robert,presidente dell’associazione, spiega a Segno che«la gratuità e la continuità sono i due elementi cen-trali della nostra azione di ascolto e di accompagno.Seguiamo i detenuti e le detenute durante l’espia-zione della pena, nella delicata fase di transizioneda modelli comportamentali delinquenziali all’ade-sione ai corretti modelli della civile convivenza».

Cosa vi ha fatto capire questa esperienza?Il carcere è sempre più solo un luogo di espiazione

e di sofferenza e sempre meno unapena tesa al reinserimento della per-sona condannata, come vuole invecela nostra Costituzione. Mancano glispazi, il personale, l’attenzione, gliinvestimenti.

Come è cambiato nel tempo il rappor-to con i detenuti e le loro necessità?Oggi i detenuti sono quasi 70 mila, inuno spazio per 44 mila. Dietro le sbar-re ci sono in maggioranza coloro chevivono ai margini: stranieri, tossicodi-pendenti, malati di mente, poveri ingenere. Hanno bisogno di tutto. Ognisettimana portiamo circa ottanta pac-chi vestiario per chi non ha nulla, e

generi per l’igiene personale. Ma ciò di cui c’è piùbisogno è l’ascolto. In carcere non c’è mai tempoper ascoltare. È anche per questo che esiste tantoautolesionismo: un modo per far gridare il propriocorpo e provare a farsi notare, a farsi ascoltare.

Come lavorate per favorire il reinserimento?È un impegno lungo, complesso e delicato, fatto dicadute e di riprese. Per favorire i contatti con l’e-sterno abbiamo una casa alloggio per ospitare idetenuti durante i permessi premio insieme ai lorofamiliari. Abbiamo dato vita a una serie di attività disensibilizzazione della città. Quando si riesce adandare oltre la paura e la diffidenza tutto diventa piùfacile. Penso alla vicenda di quattro detenuti chelavoravano nella cucina del carcere, che hannochiesto, e ottenuto, di andare per una settimana inpermesso all’Aquila nei giorni del dopo terremoto.La Croce Rossa ha creduto in loro e quella fiducia èstata ripagata. Ne è nato un rapporto di lavoro, conun’assunzione regolare, ma anche di fiducia e dicrescita reciproca. Questa testimonianza ha lascia-to tracce anche tra i loro compagni in carcere.

Quali sono i fattori che determinano un cambia-mento di rotta nel detenuto secondo la sua espe-rienza?Ogni persona ha la sua storia. È importante cercaredi favorire una riflessione su proprio passato, conuna presa di coscienza su quel che si è fatto. Pren-dere sul serio sé stessi, senza nascondersi dietroad alibi, senza sentirsi per questo giudicati e con-dannati.Ricordo la gioia di Marcello, quando ha detto: “perla prima volta mi guardo allo specchio e sono fierodi me”; la fatica di Maurizio, che ha trascorso la suagiovinezza in carcere, che sta affrontando i suoidemoni e le sue fragilità; la rinascita di Gianfranco

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Il sorrisodi chi ce l’ha fatta

Marcello, fiero di sé.Maurizio, che affrontai suoi demoni e le suefragilità. Gianfranco,che si sta laureando,e lo stupore di Lucianoche ha dovuto impararedi nuovo a muoversifuori dopo oltre 30 annidi galera. Per loro, e pertanti altri, c’è statoun volontario che li haaffiancati nei momentidel dolore. Segnoincontra la presidentedel Vic-Caritas

di Alessandra Gaetani

intervista conDaniela De Robert

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che si sta laureando, lo stupore di Luciano che hadovuto imparare di nuovo a muoversi fuori dopooltre 30 anni di galera. Per loro, e per tanti altri, c’èstato un volontario che li ha affiancati nei momentidi angoscia, di dolore, di gioia, nella fatica, nel con-fronto, nella riscoperta delle piccole cose. Senzaarrendersi davanti alle difficoltà.

Che peso ha il senso di colpa e che significato ha ilperdono?Prendere coscienza di ciò che si è fatto può esseremolto difficile. Rita Borsellino, in una riflessionefatta insieme ai volontari del Vic, ci ha invitato apensare alle parole di Cristo sulla croce: “Padreperdona loro perché non sanno quello che fanno”. Èproprio così. Quando ci si rende conto di quello chesi è fatto, si può anche soccombere. Negare è la viapiù facile.Il perdono però passa per questa tappa. È solo dalla

coscienza del malefatto che può nascerela voglia di rinascere.E la riconciliazione,quando arriva, è unvero momento di rina-scita, tanto per gliautori del reato cheper le vittime. Ma que-sta giustizia fatta solodi carcere non dànulla alle vittime, enon aiuta a cambiarechi sta scontando unapena.

Che rapporto c’è tragiustizia e vendetta?Spesso si scambia larichiesta di vendettaper richiesta di giusti-

zia. Ma la Costituzione dice un’altra cosa: “Le penedevono tendere al reinserimento del condannato”.In nome della giustizia e della sicurezza personalesi chiede il carcere duro. Ma sono le stesse statisti-che del Ministero della giustizia a indicarci la stra-da: tra le persone che scontano la pena fino all’ulti-mo giorno la percentuale della recidiva è del 69%;tra coloro che scontano la pena con misure alterna-tive la recidiva scende al 19%.

Quali sono i problemi maggiori del pianeta carcere,quali le emergenze?La prima emergenza è il sovraffollamento. Le con-dizioni di vita sono inaccettabili, come ha stabilitoanche una sentenza della Corte di Strasburgo cheha condannato l’Italia per comportamenti degra-danti e inumani a causa dello spazio ristretto in cuisono costretti i detenuti. Noi chiediamo un maggio-re ricorso alle misure alternative, una revisionedelle leggi sull’immigrazione e sulla tossicodipen-denza che producono criminalità e contribuiscono ariempire le carceri; un minore ricorso alla custodiacautelare, e un aumento degli educatori e degliassistenti sociali che sono rispettivamente 800 e1.140 contro i 42.268 poliziotti.g �g

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Noi chiediamoun maggiorericorso allemisurealternative,una revisionedelle leggisull’immigrazionee sullatossicodipendenzache produconocriminalitàe contribuisconoa riempirele carceri;un minore ricorsoalla custodiacautelare, e unaumento deglieducatori e degliassistenti sociali

Nella foto:

Benedetto XVI in visita al

carcere minorile di Casal del

Marmo il 18 marzo 2007

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Si chiamerà “Eliber” la primapiattaforma web cattolica per

la distribuzione e vendita di e-book, realizzata dal “Messaggerodi sant’Antonio” in partnershipcon LibreriadelSanto.it e Messag-gero distribuzione. Dal 15 dicem-bre su LibreriadelSanto.it è possi-bile acquistare i primi e-book dieditori cattolici. Al lancio parteci-pano, con titoli scelti, EdizioniMessaggero Padova, Libreria edi-trice vaticana, Elledici, Cittànuova, edizioni Paoline, Cantagalli, Queriniana eMarcianum press. «Ogni libro – viene spiegato in unanota diffusa dall’ufficio stampa del Messaggero disant’Antonio – sarà disponibile per l’acquisto e l’im-mediato download in 2 formati: ePub e pdf. La scelta

del doppio formato nasce dall’at-tenzione per teologi, filosofi, let-terati, storici, ricercatori, docenti euomini di studio in genere, chehanno l’esigenza di un testo di rife-rimento paginato, del tutto fedelealla pubblicazione cartacea, ancheper poter citare correttamente l’o-riginale». L’iniziativa, si leggeancora nel comunicato, «non èrivolta soltanto al libro. Eliber,infatti, fin dal suo avvio includerànel proprio progetto anche la realtà

editoriale delle riviste teologiche e di attualità reli-giosa». Per ora saranno acquistabili Credere Oggi,Rivista Liturgica e Parole di Vita, in formato pdf oePub: l’intero fascicolo o uno o più articoli al suointerno”. Info: www.libreriadelsanto.it. �g

Fatti e situazioni di discriminazione e intolleranza aidanni dei cristiani nei diversi Paesi europei. Li riporta

il Rapporto stilato dall’“Osservatorio sull’intolleranza e ladiscriminazione contro i cristiani in Europa”, presentatoa Vienna lo scorso 10dicembre. Dal tentativo diadottare nel Consigliod’Europa un provvedimen-to che avrebbe limitato ildiritto dei medici all’obie-zione di coscienza in casodi aborto al caso del pri-mate della Chiesa cattolicabelga, mons. André Leo-nard, accusato in novem-bre di omofobia per averespresso una posizionecontroversa sull’Aids, finoa episodi di mancato

rispetto verso i luoghi pubblici religiosi. I cristiani sonodiscriminati anche nei luoghi di lavoro secondo il Rappor-to, che cita la sospensione comminata a un giudice spa-gnolo nel 2008 per non aver accolto la richiesta di ado-

zione di una bambina da partedel partner dichiaratamentelesbica.Sotto i riflettori dell’Osserva-torio anche i mezzi di comuni-cazione, soprattutto quandofavoriscono il diffondersi distereotipi negativi nei riguar-di dei cristiani, e le vicendelegate alla rimozione dei sim-boli religiosi. Da ultimo, laviolenza che colpisce diretta-mente i cristiani, come l’as-sassinio, in Turchia, delvescovo Luigi Padovese. �g

UN RAPPORTO SULL’INTOLLERANZA PRESENTATO A VIENNA

InEuropasonosempredipiùicristianidiscriminati

UN’INIZIATIVA REALIZZATA DAL MESSAGGERO DI SANT’ANTONIO

Eliber,piattaformacattolicaper laditribuzionedie-book

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Èincerta - al momento di andare in stampa con questonumero di Segno - la sorte di Asia Bibi, la donna cri-

stiana pachistana di 37 anni, sposata e madre di 4 figli,arrestata e condannata a morte da un tribunale delPunjab per blasfemia. Ad accusarla, alcune colleghe dilavoro con le quali aveva avuto un violento diverbio,legato proprio alle loro forti insistenze per convertirsiall’islam. Venuta alla luce la vicenda, forte è stato ilrichiamo – soprattutto dei cattolici – per tener destal’attenzione e chiedere la liberazione della donna.D’altra parte la legge sulla blasfe-mia, introdotta nel 1986 dal ditta-tore pakistano Zia-ul Haq, èdiventata uno strumento di discri-minazioni e violenze: la normapunisce con l’ergastolo chi offen-de il Corano e con la condanna amorte chi insulta Maometto;secondo i dati della Commissionenazionale di giustizia e pace dellaChiesa cattolica (Ncjp), dal 1986all’agosto del 2009 almeno 964persone sono state incriminate.Al termine dell’udienza generaledel 17 novembre lo stesso Bene-detto XVI ha espresso «vicinanza

spirituale» ad Asia Bibi e ai suoi familiari, chiedendo che«le sia restituita la piena libertà» e richiamando «la dif-ficile situazione dei cristiani in Pakistan, che spessosono vittime di violenze e discriminazione». Pochi giornidopo si è parlato di una “grazia” concessa dal presidentepachistano, notizia poi smentita: il caso andrà avanticon il ricorso in appello. «Siamo favorevoli al processoperché vogliamo che Asia sia dichiarata innocente unavolta per tutte, senza alcuna macchia e senza ambi-guità», ha dichiarato mons. Sebastian Shaw, vescovo

ausiliare di Lahore. Ma la sua vitaresta comunque in pericolo, siaqualora venisse confermata lacondanna, sia in caso di assolu-zione poiché, tornando in libertà,potrebbe finire vittima dei terro-risti estremisti islamici chehanno minacciato di morte pureil ministro pachistano per leminoranze, il cristiano ShahbazBhatti, per la sua presa di posi-zione in favore di Asia Bibi. Unatriste conferma di come, in Paki-stan ma non solo, sia dura la vitaper chi si professa cristiano. �g

Francesco Rossi

LA BLASFEMIA IN PAKISTAN È ANCORA UNO STRUMENTO DI VIOLENZA

AsiaBibi,perdifenderela libertàreligiosa

GLI ADOLESCENTI SUL WEB

Seinternetsorpassalatelevisionele

altr

eno

tizie

Il web batte il piccolo schermo. È quanto emerge dal-l’indagine su Abitudini e stili di vita degli adolescenti

che la Società italiana di pediatria (Sip) conduce daquattordici anni su un campione nazionale di 1.300 stu-denti delle scuole medie inferiori di età compresa tra gli12 e i 14 anni. Per la prima volta, secondo l’indagine, siassiste tra gli adolescenti al sorpasso di internet sullatelevisione e si conferma la tendenza a un uso semprepiù “privato” dei media. Ma in crescita sono pure i com-portamenti a rischio nella rete, come dare il numero dicellulare a uno sconosciuto.

«Internet – rileva Alberto Ugazio, presidente della Sip– è una straordinaria finestra sul mondo, con un enor-me potenziale di arricchimento culturale e di crescita,soprattutto se rapportato a ciò che oggi propone latelevisione. Ma tutto dipende da come si usa». Infatti«se il web viene usato prevalentemente per chattare,per sostituire ai rapporti reali una comunicazione vir-tuale, se aumentano sul web i comportamenti poten-zialmente a rischio, allora sorge qualche dubbio suquesto sorpasso». �g

Sir

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In un magazzino nascosto in un cortile sulla cir-convallazione esterna, scaldato dal tiepido sole dimezza stagione, sta per cominciare un nuovoturno di allenamenti. Due ragazze, in un angolo, si

piegano dei loro esercizi addominali. Giovanni, infor-matico trentacinquenne, prova un gancio sinistro alsacco. E Oliver si allena con Luca, lassù, sul ring,mentre sotto le corde il maestro Hector grida i suoiconsigli. L’aria sa di sudore, polvere e canfora. È laboxe che oggi ancora sopravvive a Milano. La Boxe

Ursus è una delle ultime palestre storiche rimaste incittà, sul confine del Molise Calvairate, quartierepopolare: il ring, due strisce di parquet intorno per gliallenamenti, sacchi appesi un po’ ovunque, specchie tante fotografie di pugili che hanno scritto la storiacinquantennale della Boxe Ursus.Se si vuole un assaggio di quello che è stato lo “sportdei poveri” per eccellenza, qui si ritrova ancora qual-cosa di quel mondo crudo e affascinante che haattratto generazioni di ragazzi dei caseggiati popolaridurante tutto il ‘900. A salire sul ring oggi sono dilet-tanti ventenni, che danno l’anima per la loro disciplinama il cui nome difficilmente finirà mai sui giornalisportivi.A vederli, tutte le volte, c’è un gruppetto di irri-ducibili vecchietti del quartiere, di quelli che non siperdono un match dai tempi di Duilio Loi. «Ma, a parteloro, che sono l’unico nostro pubblico vero, nessuno siinteressa più alla boxe», spiega amareggiato Stefano

tempimoderni

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di MartaZanella

La storia della boxe a Milano è fatta da immigrati,da quei ragazzi che dal Sud sbarcavano nellanebbia milanese della stazione Centrale,e che avevano ben poche possibilità di emergere.Qualche volta palestre e guantoni facevanola differenza. Oggi il pugilato ha cambiato faccia,ma ha ancora tanto da raccontare…

Sul ring la vitadi tutti i giorni

Sport/1

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Bandini, 30 anni, uno dei gestori della palestra.Qualcosa è rimasto: in provincia, per esempio, doveci sono ancora le vecchie palestre che insegnano laboxe. I pugili che si affrontano sul ring vengono dallesocietà di San Donato, Sesto San Giovanni, CiniselloBalsamo, anche da Varese e da Pavia. Tra il pubblicosi sente parlare rumeno; sul ring, insieme ai cogno-mi italiani, se ne sente chiamare anche qualcunonordafricano e dell’Est Europa. È ancora sport diimmigrati, ma molto meno rispetto a un paio didecenni fa.Eppure la storia della boxe a Milano è fatta da immi-grati, da quei ragazzi che dal Sud sbarcavano nellanebbia milanese della stazione Centrale, con le lorovaligie di cartone, e che avevano ben poche possibi-lità di emergere se non attraverso le palestre dipugilato. Ragazzi come quelli della famiglia Parondi,ritratti mezzo secolo fa nel capolavoro di LuchinoVisconti Rocco e i suoi fratelli.

«Bel film quello, l’hanno girato in una palestra cheormai non c’è più, era la Lombarda di via Bellezza.Non è rimasto quasi nulla di quel mondo – a parlareè un mito della boxe italiana, il Maestro per eccellen-za, che ha allenato otto titoli mondiali: Ottavio Tazzi,82 anni e una malattia che lo sta rallentando –. Lapalestra che frequentavo quand’ero giovane era col-locata dove c’era la Casa del fascio. Poi, alla finedella guerra, hanno sloggiato tutti e hanno sfruttato ilocali come sede della polizia, della finanza, poi deivigili urbani». Finché si sono usati spazi demaniali, leassociazioni di pugilato non pagavano l’affitto, e iragazzi potevano boxare senza pagare nulla. «Poi ilmio vecchio maestro ha trovato un accordo conun’osteria in viale Corsica che ci lasciava il retro dellocale per allenarci. Oggi, con gli affitti così cari inquesta città, nessuno concede più gli ingressi gra-tuiti o almeno agevolati. E non ci sono nemmenosovvenzioni pubbliche».Parla del passato con nostalgia, il “nonno” Tazzi, e siillumina quando racconta dei suoi “ragazzi”. Ma noni suoi otto campioni del mondo, preferisce ricordare i“brocchi”, come li chiama lui, quelli che salivano sulring sapendo di perdere, ma con il cuore gonfio dicoraggio, pronti a sfidare e battersi fino all’ultimo.«Avevano una passione immensa per il pugilato,avevano il coraggio di salire sul ring ad affrontarel’avversario e a prendere le botte, e in cuor loro desi-deravano ogni tanto ricevere gli applausi. Non eragente ricca, erano figli di operai...».Anche Giacobbe Fragomeni, campione del mondonella categoria dei massimi leggeri nel 2008, allena-to proprio dal Maestro Tazzi, la cui storia è sicura-mente più recente, è «venuto su dalla strada». LoStadera è un quartiere di case popolari a sud diPorta Ticinese, luogo di raccolta di diverse immigra-zioni, di delinquenti, di un’umanità precaria e disa-giata. È qui che è nato, cresciuto e ha sempre vissu-to “Giaco”, arrivato alla palestra Doria a 21 anni conil proposito di dimagrire e di provare a lasciarsi allespalle una vita che si poteva definire un disastro.Con il padre alcolista e violento, la madre succube,una sorella scappata di casa e l’altra morta per over-dose, lui era cresciuto a sua volta alcolizzato e tossi-codipendente. I guantoni sono diventati, quasi percaso, la motivazione a voltare pagina, la sua autodi-

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sciplina, la sua determinazione a migliorarsi sem-pre, che l’hanno portato a superare anche un bruttoinfortunio, a diventare campione del mondo e sim-bolo del riscatto dello Stadera.Ma queste favole a lieto fine sono ormai casi unici.«Le palestre oggi sono altro, piene di macchinari,hanno la sauna. Il ring è relegato in fondo, e lo capi-sci che al gestore non gliene frega del pugilato – sisfoga Tazzi –, l’importante è che si paghi l’abbona-mento». Oltre alla Boxe Ursus di viale Umbria, in cittàresiste la Forza e Coraggio, un capannone in zonasud. La provincia stringe i denti – e i pugni – e difen-de i suoi spazi: a volte può contare ancora su un pic-colo palazzetto, ma bisogna guardare a Bergamo, aVigevano.«Il pugilato non è più sport del popolo. Del resto,dove vado io adesso – spiega el maester –, tra iscri-zioni e tariffe varie si spendono 900 euro l’anno.Bisogna abbassare i costi, incentivare i ragazzi». Ilnonno Tazzi rivela di essersi offerto, tempo fa, di alle-nare gratis in una palestra comunale vicino a casa,

Le foto delle palestre sono

di Roberto Colombo

tempimoderni

Emozione, orgoglio, coraggio e rispetto. Soprattutto rispetto. Sono ivalori chiave della “nobile arte”, i tanti che oggi fanno boxe dal Venetoalla Sicilia. Tre milioni di praticanti e quasi 10mila atleti tesserati, secon-do i dati – aggiornati all’ottobre 2010 – della Federazione pugilistica ita-liana, che racconta di come questa disciplina sia in crescita, e coinvolgaormai tutte le fasce d’età e di tutte le estrazioni sociali. E non solo: tiraredi boxe non è più solo una cosa da uomini, se è vero che solo nell’ultimoanno le ragazze tesserate sono aumentate del 15%. «Ovviamente il pugi-lato occupa ancora un posto di tutto rispetto per quanto riguarda le alter-native alla strada – raccontaMichela Pellegrini, che ha sott’occhio la situa-zione dall’Ufficio stampa della Fpi – e per molti giovani disagiati è ancorauno strumento privilegiato di riscatto».Duemila tesserati in Lazio, mille in Lombardia, 700 in Campania e inPiemonte: migliaia di storie diverse, che raccontano la stessa etica. «Ilmondo del pugilato nasconde delle grandi lezioni di vita, dietro all’ap-parenza di uno sport violento – racconta Pavel, russo, ma che vive datempo a Torino, dove pratica boxe alla storica palestra Ilio Baroni – Hoiniziato per caso tre anni fa, partecipando a un “incontro di strada”organizzato da amici. In quell’occasione mi hanno gonfiato di botte, maho capito che non si trattava solo di picchiare, quanto piuttosto diimparare una disciplina». A Napoli, invece, è Lino Silvestri, figlio d’artee lui stesso allenatore e fondatore della Napoli Boxe, a spiegare cometra i vicoli del quartiere Avvocata «il pugilato sia ancora un’alternativaalla strada e un’occasione di rivalsa sociale. Un’energia che si incanalanel rispetto per l’avversario, il pubblico, la disciplina che ha le sue rego-le, i compagni di team, se stessi». [m.z.]

In tre milioni, da Torino a NapoliUNA VALIDA ALTERNATIVA ALLA STRADA

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nella zona multietnica di via Padova. Il nome di Otta-vio Tazzi avrebbe potuto essere una bella occasionedi aggregazione sportiva per i giovani e una risorsasociale preziosa in questo spicchio di città. Gli hannodetto di no. Stefano Bandini spiega che alla Ursus cercano diridurre, per quel che possono, le tariffe: il risultato è

una clientela molto varia: «C’è il dentista del centroche scherza negli spogliatoi col ragazzo delle casepopolari. C’è il ricco imprenditore che arriva con laPorsche e lo studente che attraversa tutta la cittàcon il filobus. C’è lo zingaro che combatte con “l’av-vocatone”». Oggi a Milano l’agonista medio non èpiù il ragazzo di periferia, ma lo studente universita-rio. Anche perché non è più un’attività che riesce atirare fuori la gente dalle grane. Non paga più.«Prima era relativamente facile prendere 50mila lireper un incontro e, per un ragazzo che arrivava dallaperiferia, era un modo di dare una mano alla famiglia– è ancora Stefano a parlare –. Adesso un dilettanteprende 30 euro a incontro, se va bene. Se avessenecessità di combattere per soldi, andrebbe a farealtro». Chi va avanti lo fa unicamente per passione.Come Riccardo, ventisei anni, per cui la boxe «non èsolo picchiare, usare le mani: la boxe è una filosofia

di vita. Il ring rispecchia la vita ditutti i giorni, in cui non si deve maiabbassare la guardia, in cui deviriuscire a dare tutto quello chehai sudato e sofferto negli allena-menti, devi mettere tutto te stes-so, tutto quelli che hai imparato.E se non lo fai, perdi». O comeJoseph, che lavora tutte le notti ascaricare camion all’ortomerca-to, e ha messo da parte un po’ disoldi per volta pur di riuscire acomprarsi casco e guanti.«Io non vorrei che la gente venis-se da me perché costo meno,sono sicuro che vengano da noiper il clima che si respira nellanostra palestra – spiega Stefano–. L’ambiente è familiare, nessu-no guarda come sei vestito, sesei alta o bassa, magro o grasso.

La persona vale per quello che è: se sei uno “stron-zo” lo sei anche se hai l’auto bella, e quando prendile botte le prendi chiunque tu sia. Non è uno sportdove avere i soldi cambia i risultati». E se è vero chela lotta sul ring rispecchia le lotte della vita, almenosul quadrato chiamarsi Ambrogio, Salvatore oMohammed non ha mai fatto differenza. �g

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Il tennis non è per tutti. Non è solamente unosport individuale, ma è quello che ti mette più ditutti a contatto con te stesso. I tempi morti tra unpunto e l’altro, i lunghi cambi di campo, i dubbi,

le certezze; una moltitudine di pensieri che si rincor-rono e che influiscono, inevitabilmente, sulle tueprestazioni. Il livello medio, inoltre, è cresciuto tantis-simo; emergere nel tennis è quanto mai complesso eanche raggiungere i primi 100 della classifica mon-diale appare, per i nostri giovani, un’irraggiungibilechimera. Erik Crepaldi ha vent’anni, 600 Atp (ovveronumero seicento nelle classifiche mondiali), 1 metroe 75 di altezza e un talento (mancino) invidiabile. Ilsuo sogno è entrare nel gotha del tennis...

Quando si è avvicinato per la prima volta al tennis?Tutto è cominciato quando ero molto piccolo, circa 4anni, nel cortile di mio nonno, che è ancora adessonei miei ricordi più profondi. Sono nato a Vercelli il 4maggio del 1990, figlio d’arte. Siamo una famigliache ha sempre vissuto in questo mondo e anche miofratello fa il maestro, così come sua moglie. Diciamoche il tennis ci piace parecchio.Torniamo per un momento in quel cortile…In quel cortile enorme, ricordo nitidamente unaparete bianca, dalla quale sono stato attratto fin dasubito. Appena trovata una racchetta e anche unapallina completamente sporca, che usavamo per fargiocare il cane, mi sono messo a palleggiare contro

il muro; tutti i giorni, per oree ore. Da subito il mio cuoreè stato catturato dai colpi diquesto sport, che mi face-vano sentire al settimo cielo.Un giorno, non distante dallamia “prima volta”, miononno si avvicinò a papàLuigi dicendogli: «Sono stufo

di ripitturare questa parete bianca, tuo figlio lasporca sempre con la pallina del cane!» Mio padre,ignaro di questa mia passione, fu sorpreso erispose: «Lo porterò in campo». La stessa sera miopadre, pieno di commozione, prima di addormentar-si sussurrò a mia madre: «Erik ha iniziato a gio-care...». Un sogno si era realizzato. Così ha inizio lamia storia.E da allora è cominciata la sua grande avventura nelmondo del tennis...Ho iniziato a giocare con mio padre e mio fratelloMaurizio e si stava in campo per ore, fino al tramon-to. I primi campi che ho calcato sono stati quelli delcircolo “Le Acacie” di proprietà di mio nonno. È quiche il mio amore per il tennis si è consacrato e con-

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di AlessandroNizegorodcew

L’amore per il tennis da partedi una delle maggiori promesseitaliane. Un giovane cheracconta a Segno i suoi desiderie tutto ciò che ruota intorno almondo della racchetta.Compreso quel famoso e tantoambito prato inglese...

SognoWimbledon

intervista conErik Crepaldi

Sport/2

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Nelle foto:

il tennista Erik Crepaldi

in azione

solidato. Sin da subito il mio sogno è stato quello didiventare forte ed entrare nei primi 100 giocatori delmondo, quello cioè che è considerato il gotha diquesto sport. Crescendo, questa passione è diven-tata parte fondamentale, direi anzi primaria, dellamia vita. Ho cominciato con i tornei provinciali,regionali, quindi nazionali e internazionali, scopren-do nuove emozioni e vivendo splendide esperienze.Il tennis è uno sport che dà la possibilità di viaggiaremolto. Quanto è stato importante per la sua crescita,come tennista e come uomo?Ho 20 anni e ho già visitato tantissimi paesi nei varicontinenti. Sono stato in Thailandia, Kuwait, Grecia,Repubblica Dominicana, Spagna, Stati Uniti, Slovac-chia e in ogni altro angolo dell’Europa. Ho visitatocittà come Madrid, Parigi, Bratislava, Miami, oltre aRoma, Napoli, Milano, Trento, Palermo e tantissimealtre. Sono stato a contatto con culture e religioni diogni genere e vissuto le tradizioni di tutti questipopoli. C’è solo un aggettivo per descrivere tutto ciò:meraviglioso. Non c’è cosa più bella di poter vivere esperimentare ogni cosa: dal mangiare con le bac-chette in Thailandia (minimo tre ore a pasto perché èdifficilissimo!) al congiungere le mani di fronte alproprio viso a fine partita per salutare l’arbitro a finepartita, invece della classica stretta di mano. In ogniangolo delle terra si possono trovare persone straor-dinarie con cui trascorrere settimane indimenticabilie portare via con sé ricordi unici.Viaggiare praticamente per 52 settimane all’anno,non è però faticoso?Molte persone pensano che sia una vita dura o fati-

cosa, mentre io preferisco dire che è impegnativo sì,ma non posso dimenticare che il tennis è ciò cheamo di più e quindi ogni sofferenza svanisce.Riconosco di essere un privilegiato. La gioia dientrare in campo e sentirsi al proprio posto è la sen-sazione più bella del mondo. Quest’anno ho viaggia-to moltissimo da solo, ma fortunatamente ho sem-pre trovato grandi compagni come Claudio Grassi,ragazzo intorno al numero 350 Atp, che mi ha datouna grande mano per gestire le situazioni extra-ten-nis, insegnandomi qualche trucchetto del mestiere.Trenta giorni di trasferta consecutivi non sono sem-plici. Viaggiare da solo forma la persona e rende leidee più chiare su tutto. Noi tennisti siamo fortunati,perché facciamo ciò che amiamo e abbiamo sempreuna connessione aperta con il nostro cuore.Il suo lato spirituale è rilevante. L’aiuta molto?Sì, sono religioso. Tanti pensano che credere in Gesùsia sciocco oppure che renda la persona debole,incapace di camminare da sola. A mio avviso sisbagliano di grosso, perché ciò che ti dà la fede ècoraggio, umiltà, gentilezza e benessere generale.Credere vuol dire amare. Credere vuol dire essereumili, riconoscendo le nostre capacità al 100%.Il suo sogno nel tennis?Il mio sogno nel cassetto è quello di vincere Wimble-don. Il cammino è appena iniziato e il supporto tecni-co e morale non mi manca. Ho un grande staff, chemi segue e che mi vuole bene. Mio padre Luigi è ilmio allenatore, “nonno” Peppino è il preparatoreatletico, Emanuele Marcato il mio osteopata nonchéallenatore in palestra, Andrea Curà è l’omeopata einfine, ultima ma non meno importante, mia mammaPiermaria che... fa la mamma.Grazie Erik e in bocca al lupo per tutto.Grazie. Crepi! L’augurio che faccio a me stesso èquello di poter godere ogni singolo momento dellemie avventure e conoscere più gente possibile eovviamente vincere. Ho capito che i sogni a occhiaperti, quelli fatti da bambini, sono i più veri e quindicontinuo a sognare. �g

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Il deserto, una stella, le ombre di sei viaggiatoricon lo zaino in spalla: è il logo di 6 in cammino, ilnuovo programma per le famiglie di Boing, laprima tv tematica gratuita per ragazzi in Italia.

Fino al 13 febbraio, ogni domenica alle 14.30 verràraccontata una tappa del viaggio di cinque adole-scenti bolognesi in Terra santa. I viaggiatori hannoletto il Vangelo sui luoghi del Vangelo:«Leggere il brano della chiamatadi Pietro e degli altri pescatoricon i piedi ammollo nellago di Tiberiade è un’e-sperienza unica, pococomune anche per ipellegrini», racconta-no entusiasti i prota-gonisti. L’hanno medi-tato: «Gli interventi deiragazzi non erano pre-parati, non avevano uncopione», precisa a Segno ilconduttore televisivo Manolo

Martini, il “sesto” incammino, che ha fatto loro daguida (volto noto per l’Ac dal momentoche ha presentato C’è di più il 30 otto-bre a Roma). «Il risultato è frutto delleriflessioni e delle emozioni che hannoprovato» aggiunge. Poi, la Parola èstata attualizzata grazie a una serie diincontri speciali: «Mi ha colpito quellocon il gestore del kibbutz dove abbia-mo dormito una notte: un ebreo italia-

no che tanti anni fa si è trasferito in Israele perseguire la propria fede», dice Riccardo, l’unico mag-giorenne dei cinque. «Per me, invece, è stata moltoforte la visita all’orfanotrofio La Creche di Betlem-me», si inserisce Carlotta, 15 anni, la più piccola delgruppo. «Conoscere quei bambini è stato toccantema anche un po’ frustrante, al pensiero di non poterfar nulla per aiutarli».Ideatori del programma sono i francescani dell’An-

toniano di Bologna che, dopo tanti anni di Zecchinod’Oro, hanno voluto provarsi in una forma comuni-cativa nuova. La loro idea ha incontrato la volontàdell’editore Turner Italia, proprietaria, insieme aMediaset, del canale Boing. Due esperienze diverseche mettono in comune obiettivi importanti: «Ilnostro scopo non è fare catechesi ma suscitare

curiosità», dice padre AlessandroCaspoli, direttore dell’Antoniano

di Bologna. «La tv crea uninteresse su quelle che per

noi non sono pietre, maluoghi vivi», aggiunge. Jaime Ondarza èamministratore dele-gato della Turner Italiae responsabile edito-

riale di Boing: «Il nostroè un programma laico.

Ci crediamo molto perchésiamo convinti che il Vangelo

abbia un messaggio interessan-te per la vita e le domande fonda-

mentali di chiunque». Un grande contributo èvenuto dai frati della Custodia di Terra Santa, chehanno reso possibile la realizzazione del progetto inun territorio difficile come Israele e Palestina. «Lacosa che mi è rimasta più impressa – ricorda a que-sto proposito Ricky – è stata la visita al Muro delpianto: prima di entrare ci hanno perquisiti e fattipassare attraverso un metal detector. È come se tuttiavessero paura che da un momento all’altro succe-desse qualcosa». Grazie a una videocamera amatoriale, anche iragazzi si sono divertiti a filmare la “loro” Terra santa,per mostrare con i loro occhi le immagini e i momen-ti più intensi. «Israele e Palestina sono tanti mondi»,inizia a descrivere Pietro, il “filosofo” della compa-gnia. «Penso alla tensione ai checkpoint e alla pacesurreale del Getsemani. A Jericho, dove i luoghi rac-contano una delle storie più antiche della terra e, allostesso tempo, ospitano persone che a stento riesco-

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In cammino con la tvdi Ada Serra

Grazie a un’idea deifrancescanidell’Antoniano diBologna alcuni ragazzi,videocamera amatorialealla mano, viaggianoattraverso la Terra santa.Raccontando in tv imomenti pù intensi

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Nella foto: i ragazzi della

trasmissione tv

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no a sopravvivere.Però, non mi sonosentito straniero in

questa comples-sità». Gli fa eco Sara,

l’“artista”, che ha pre-stato la voce per la sigla

del programma. «La realtà poli-tica, sociale e religiosa di questi luoghi in un certosenso ti affonda, sembra quasi ti prenda da dentro.Ho imparato che ogni tanto bisogna sapersi fermare,per guarire dalla malattia del tempo che passa e glianni porta via, come canto nella sigla». 6 in cammino è dunque il racconto di un percorsopersonale, in cui però le telecamere sono più discre-te di quelle dei reality show e capiscono quando è ilmomento di spegnersi. Un valore aggiunto è datodalla condivisione in gruppo: «Ho subito avuto lasensazione di stare bene con gli altri, anche se non

ci conoscevamo prima», spiega “l’impulsiva” MariaClara. Anche i telespettatori vengono chiamati incausa: «Tu sei esattamente come noi», ci dice Pietro,a cui chiediamo di “vendere” il programma ai lettoridi Segno. «È come se guardassi un tuo amico in tv.Non a caso anche tu 6 in cammino!». E i protagonistidel viaggio verso dove “sono in cammino”? Carlotta:«Faccio fatica a risponderti: punto a un futuro checostruirò passo passo, sperando un giorno di dire:“Questo è il mio posto”, anche se la vita è imprevedi-bile». Sara: «Io penso non sia importante la meta macome ci arrivi e con chi». Riccardo: «Spero di diven-tare un uomo ma mi sa che ho ancora molto dacamminare». E ride. Pietro: «Spero tanto che per i 6 ilcammino non finisca il 13 febbraio, con l’ultimapuntata: c’è ancora tanta strada da fare». Lo spera-no anche i produttori del programma, che già pen-sano di ripetere l’esperienza, magari in Africa o negliStati Uniti. �g

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Successo scolastico o esclusione? Tempodi lezioni, di compiti da fare, ma non sem-pre gli scolari e gli studenti hanno allespalle conoscenze e persone che li possa-

no aiutare a svolgere il proprio “dovere”. È unadomanda urgente, perciò, quella di un supporto dafornire a bambini e ragazzi che frequentano le scuo-le, anche di secondo grado. Una domanda alla quale

le parrocchie, le Caritas e ilmondo del volontariato daanni danno una risposta.Non senza dover superaredifficoltà: infatti, per orga-nizzare un servizio di dopo-scuola, occorrono spaziadeguati, volontari, e fondiper gestire un’azione edu-cativa che travalica il confi-ne del sostegno allo studio,

diventando un supporto alla crescita globale dellepersone.Da Nord a Sud, sono centinaia le parrocchie impe-gnate in questo servizio. I doposcuola costituisconoun’area di particolare impegno, ad esempio, per laCaritas ambrosiana che da molti anni oramai svolge,attraverso il lavoro dell’Area minori, una attività diricerca e di studio in quest’ambito, oltre che un ser-vizio di promozione, formazione e di accompagna-mento delle realtà che in diocesi operano con ragaz-zi cha manifestano forme di disagio nel rapporto conla scuola e nei percorsi di apprendimento. Superanoi 160 i doposcuola attivi nella diocesi di san Carlo,dei quali una cinquantina nella sola Milano. I dopo-scuola sono accomunati da un legame, più o menostretto, con gli oratori condividono alcune linee pro-gettuali fondamentali.Nei doposcuola della diocesi ambrosiana, così comein quelli di altre diocesi italiane, la percentuale dei

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di Barbara Garavaglia

Da Nord a Sud sono centinaiale parrocchie e leorganizzazioni di volontariatoche aiutano i ragazzi a “farei compiti”. Si pongono al fiancodei giovani, stabilendo un pattocon gli studenti e le famiglie e,in alcuni casi, diventando uninterlocutore qualificato anchenei confronti della scuola stessa

Il valore aggiuntodel doposcuola

Ci sono parrocchie che offrono un servizio di doposcuola da un quarto di secolo, ma ogni annonuove comunità si buttano in quest’opera educativa, dalla forte valenza preventiva. La Caritas

della diocesi di Milano fotografa la realtà di questa azione di volontariato sociale e la supporta:all’interno dell’Area minori, è attiva infatti una specifica segreteria che offre servizi di consulenzae di formazione dei volontari stessi. «La maggior parte dei doposcuola – spiega Matteo Zappa,responsabile dell’Area minori della Caritas – mantiene la caratteristica di seguire gli studenti in unrapporto uno a uno, in un percorso che, oltre all’accompagnamento allo studio, presenta caratteri-stiche di socializzazione. I volontari coinvolti sono numerosi: si contano adulti, e una buona per-centuale di giovani e di adolescenti che aiutano i più piccoli. Prevalentemente i doposcuola sonorivolti agli alunni delle medie, poi delle elementari ed esistono esperienze di sostegno allo studioper ragazzi delle superiori».Le parrocchie e le realtà di volontariato, nel corso degli anni, hanno percepito l’esigenza di struttu-rare meglio la propria offerta: «Abbiamo verificato – racconta Zappa – come tutti i doposcuolaabbiano un coordinatore. In alcuni casi si tratta di un volontario, oppure di un professionista, cioèdi un educatore stipendiato. Sono richiesti alla Caritas percorsi di accompagnamento e di forma-zione dei volontari. Per quest’opera – specifica il responsabile dell’Area minori della Caritas –occorrono competenze e la capacità di comprendere quale sia il tipo di bisogno al quale risponde-re». I “fruitori” di questo servizio sono sia studenti italiani che stranieri. Giungono o direttamentedalla scuola, oppure perché conosciuti in parrocchia. Alcuni hanno oltre a difficoltà in campo scola-stico, situazioni difficili in famiglia o a livello sociale. «È importante portare avanti una progettua-lità condivisa fra scuola, doposcuola e famiglie», aggiunge Zappa. [b.g.]

L’impegno della Caritas ambrosiana«OLTRE I COMPITI, CI OCCUPIAMO DELLE PERSONE»

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bambini e dei ragazzi stranieri che richiedonoil servizio è alta. Alcune parrocchie milanesi,ad esempio, hanno valutato che gli studentistranieri rappresentino quasi il 50% dei fruito-ri del doposcuola. Nel prossimo mese di feb-braio, la Caritas ambrosiana presenterà unaaccurata indagine che fotografa il mondo deldoposcuola nella vasta diocesi.In campo, per aiutare scolari e studenti asuperare difficoltà di apprendimento o piùsemplicemente a “fare i compiti” con la pre-senza di un adulto, scendono anche le istitu-zioni locali, le associazioni di volontariato e le

Fondazioni. Negli anni trascorsi, la Regione Liguria ela Conferenza episcopale ligure avevano siglato unaccordo per la valorizzazione delle attività in favoredi bambini e di ragazzi. La Fondazione Cassa dirisparmio di Parma, nell’ambito del Programma pro-vinciale oratori, con la partecipazione di enti locali,ha sostenuto progetti a Parma, Fidenza e Piacenza,che contemplano anche lo svolgimento di dopo-scuola.

Esempi di sostegno allo studio si contano in Piemon-te, Veneto, Toscana, Abruzzo, Umbria, a Roma, eanche in realtà di forte marginalità. La parrocchia diSant’Anna a Palazzo, nei Quartieri Spagnoli di Napo-li, ha ospitato il progetto per esempio Educainfanzia,affidato al mondo del volontariato, che ha fornitogratuitamente un servizio di doposcuola. In localitàLibrino di Catania, con “Talità Kum”, la diocesi rivol-ge la propria attenzione ai giovani, anche con l’aiutonei compiti e nello studio. I cooperatori salesiani diPiedimonte Matese, in Campania, propongono atti-vità di doposcuola.I volontari, infatti, appartengono sia ad associazioni,come in alcuni casi alla conferenza di San Vincenzo,oppure al tessuto delle comunità stesse. Studenti,mamme con disponibilità di tempo, docenti in pen-sione, educatori professionali stipendiati per dareuna continuità ai progetti, si pongono al fianco dibambini e di ragazzi delle scuole, stabilendo un“patto” con gli studenti e le famiglie e, in alcuni casi,diventando un interlocutore qualificato anche neiconfronti della scuola stessa. �g

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In campo, per aiutarescolari e studentia superare difficoltàdi apprendimentoo più semplicementea studiare conla presenza di unadulto, scendonoanche le istituzionilocali, le associazionidi volontariatoe le Fondazioni

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Nelle foto: Paolino

insieme ai suoi amici

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Lo scorso 28 ottobre, Giosy, una delle ami-che più care di Paolino, si presenta davantial cortile di casa sua. Sono le otto menocinque della sera. Bussa al portone. Paolino

raggiunge la cucina con la carrozzina elettrica, e conle dita della mano destra schiaccia il pulsante messoin casa giusto per lui. «Si è aperto?». «Sì». «Sali».Giosy percorre il cortile, va su per due rampe di scalee arriva davanti alla porta di casa. Per aprirla, Paoli-no deve fare un ulteriore piccolo sforzo: raggiungereun altro tasto, che si trova un po’ più in alto. A volte

rinuncia, preferisce arrivare alla manigliae girarla facendo forza con la testa. Giosysa che deve attendere qualche minuto.Però ne passano troppi. Si preoccupa,raggiunge la mamma di Paolino, cherientra di corsa. Lo trovano proprio lì, incucina. È morto. Un attacco cardiaco ful-minante, sospettano i medici. Qualchegiorno dopo, nella commozione generale,la famiglia e gli amici si accorgono chePaolino questa scena l’aveva già “vissu-ta” due anni prima, mettendola in versi,

come amava fare per ogni piccolo avvenimento dellasua vita: «Bussa il citofono/chi sarà mai?/una miaamica mi viene a trovare/ma attraverso di lei è unAltro/che mi viene a trovare/e l’Incontro si rinnova». Parole leggere, figlie mature di una mente agile e diun corpo imprigionato dalla distro-fia muscolare progressiva. Parolebattute sul pc lentamente, di più,con una lentezza spasmodica,quasi a marcarle d’eternità, sillabemesse insieme per narrare a séstesso e al mondo trentatré anni dilotta, di rabbia, di pace, di fede.Paolino ha davvero messo nero subianco ogni evento della sua vita.Nomi e volti inondano qualsiasigiorno del calendario. Il primonome è quello del fratellone, Feli-ce, morto per arresto cardiaco il14 agosto di 6 anni fa, durante

una vacanza in Sardegna. Distrofia muscolare pro-gressiva, anche lui. «Quando vidi la sua bara bianca,piansi tantissimo, gli dissi: “Ci vediamo in paradi-so”», scrive Paolino. Poi c’è Nina, la sorella «che bra-vissima a scuola/per me ha rinunciato all’univer-sità». Il nipotino Antonio, 12 anni. E infine loro, papàGiovanni («uno dei “piccoli”/di cui Gesù parla nelVangelo») e mamma Maria («stai sotto la croce/con

dolore ma senza paura»). Di figliimmobilizzati dal male ne hannoaccuditi due, non uno. E li hannopersi entrambi.La distrofia ha cominciato a pres-sare presto il corpo di Paolino (conFelice era stata giusto un po’ piùclemente). A 8-9 anni i passicominciano a essere incerti. Interza media le gambe crollano, civuole la sedia a rotelle. Paolinoinsorge. Non la vuole, la detesta. Èil segno della resa. Ci si devesedere per forza, non per scelta.Con quella elettrica cerca di vin-

di Marco Iasevoli

Il dolore di unamalattia dura, comela distrofia muscolare.E l’incontro atteso consorella morte. Ma lasperanza cristiana nelDio della vita e dellabellezza non ha mailasciato Paolino Iorio,amico di tutti

«Guardando il Crocifissoho trovato il significatodella mia sofferenzaaccolta e vissutaalla Sua lucestrumento di salvezza»

«Mi sveglioe i miei occhivedono il sole che brillae il cielo azzurroprovo gratitudineperché tuttomi fa desideraredi vivere»

ALCUNI VERSI

tempi moderni

Il sorrisodi Paolino

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cere la sfida della normalità. Scende in strada,affronta la malattia, le paure, i pregiudizi. La suaadolescenza è serena, ma vorrebbe avere una fidan-zata. Quando sarà più grande metterà in versi anchequesto piccolo dolore.Un giorno, scarrozzando qua e là per Nola, si imbattein Ciccio, presidente dell’Azione cattolica della par-rocchia “Stella”. Stanno preparando una recita, glioffre un ruolo. Paolino ripete la parte per ore e ore. Èun successo. Anche Shyla, la cagnetta amica dellasua infanzia, applaude entusiasta. A impresa con-clusa, Paolino dalle quinte lancia un urlo memorabi-

le. È a questo punto che l’elenco diventa sempre piùlungo. Don Sebastiano, don Antonio, don Alessan-dro, don Domenico (don Domenico Sorrentino, oravescovo di Assisi, ha seguito la sua crescita spiritua-le), don Erasmo, don Luca. E don Mariano, l’attualeparroco della “Stella”. E poi gli amici, amici veri, nonper compassione o ipocrita pietismo: Monica e Anto-nio, Ottavio, Paola, Giosy, Rosa, Mariange-la,Francesco, Andrea, Concetta, Pina, Paoletta,Mina, Francesco e Giovanna, Rosa, Ciro, Rosalbina eLuigi, Adele, Marco, Angela, Giovanna, Nicola, Ema-nuele... Ragazzi che vanno e vengono da casa sua,per rivelare un segreto, per ricevere un consiglio, perleggere l’ultima poesia. O per decidere qualcosa diimportante per la parrocchia. Già, perché Paolino,pur essendo alle prese per dodici ore al giorno conun ventilatore polmonare, si rende conto che tuttoquell’affetto lo rende fortunato, e che dunque deverestituire quello che ha avuto. E allora ecco un altroelenco. Partecipa a tutti gli incontri di formazione.Impara e insegna a stimare tutte le realtà presenti inChiesa: Azione cattolica, Comunione e liberazione,Scout, Caritas. Prega da solo, in famiglia, con gliamici. Diventa responsabile dell’Acr. Segue gruppi dibambini. Forma gli educatori. Partecipa al consigliopastorale. Cura il giornalino parrocchiale. Organizzaraccolte alimentari. È attento alla vita della città. Sispende per la storica festa dei Gigli, distintivo di Nolanel mondo. È sensibile verso i poveri. Apre la casaper tutte le feste di compleanno degli altri. Raccogliein giro per la città i disabili che se ne stanno chiusi incasa. Progetta grandi viaggi per i suoi amici. «Paoli-no, ma tu come fai con la carrozzina?». «Non tipreoccupare, noi lo facciamo per gli altri, mica perme…». E se avesse potuto, il 30 ottobre avrebberaggiunto Roma con i piccoli della parrocchia perl’incontro dell’Ac con papa Benedetto XVI. «Per i gio-vani di questa diocesi è già un modello di santità»,ha detto il vescovo di Nola, mons. Beniamino Depal-ma, nella celebrazione a due settimane dalla suamorte. Su facebook c’è un gruppo dove ciascunoriporta il messaggio, la lettera, la poesia, la mail chePaolino gli ha dedicato. Così continua a vincere il suoamore per la vita. �g

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Paolino Iorio è nato il 3 marzo 1977 ed è morto lo scorso 28 ottobre. Èil terzo e ultimo figlio di Giovanni e Maria. Anche il fratello mag-

giore, Felice, è morto nel 2004 a causa della distrofia muscolare pro-gressiva. Paolino ha scritto un libro di poesie intitolato Il cantico dellacreazione. A scrivere la prefazione il vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino, che l’ha a lungo accompag-nato spiritualmente. Nella prefazione mons. Sorrentino scrive che «lapoesia di Paolino trasuda umanità. Questi versi sono uno choc liberantee rigenerante. Lì dove ci si aspetterebbe il lamento sgorga invece uncanto di gioia, un invito alla speranza, un inno alla vita. Incoscienza? O,piuttosto, magia di un incontro: quello che Paolino ha avuto conCristo». I testi sono semplici, raccolgono le sue riflessioni sull’amicizia,sulla famiglia, sulla fede, sulla vita e sulla morte. Insieme al libretto halasciato una dettagliata autobiografia in cui racconta gli episodi essen-ziali della sua vita.

Canto alla vitaUN LIBRO PER CHI NON SI È MAI ARRESO

tempi moderni

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di Barbara Garavaglia

economia e lavoro

Sacchetto di plasticavade retro

C’è chi è entrato – come la città di Fos-sano – nel Guiness dei primati, utiliz-zandolo per realizzare una sculturache riprende il profilo del Monviso, ma

il sacchetto di plastica, tra le svariate caratteristicheche ha, non vanta certo quella dell’artisticità. Anzi,ormai, lo shopper in plastica è un “fuorilegge”, la cui

via segnata, dopo quella del riciclo, è quella dell’e-stinzione. Anche se la vita di un sacchetto è lunga –almeno un centinaio d’anni –, e nei più remoti angolidel pianeta se ne trovano frammenti o intere colonie.Le borse in plastica volano, e a volte alzando losguardo, le si vedono ondeggiare come bandieresugli alberi, e poi galleggiano nei mari, li inquinano e

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sono fonte di morte per molti pesci e per uccelli, cheli ingeriscono credendoli cibo, oppure accidental-mente, rimanendone soffocati. La loro dispersionenell’ambiente è uno dei dati più negativi che li carat-

terizza. In Italia è stato calcolato che cia-scun abitante consumi 300 sacchetti diplastica all’anno.La normativa tecnica comunitaria En13432 ne vieta l’utilizzo e anche l’Italia,dal primo gennaio 2011, ha detto stop(chi non lo ha fatto si dovrà adeguare)allo shopper di plastica. Da molto temponei supermercati i sacchetti della spesain plastica sono a pagamento, e nonmancano gli esempi di catene dellagrande distribuzione che hanno propostoalternative ai propri clienti. Conad,Despar, Esselunga, Il Gigante, Pam,Sma, Unes, Iper, Selex, Auchan, Coop,Crai, Carrefour, Tigros, Leroy Merlin, maanche Decathlon e Ikea: con modalità

diverse, negli esercizi di queste catene i consumato-ri hanno trovato, già dagli ultimi mesi del 2010, inve-ce delle borse in plastica, contenitori riutilizzabili,sacchetti in carta o in materBi, shopper biodegrada-bili. Insomma, la vecchia sporta riutilizzabile, alposto delle decine di sacchetti in plastica che ognimassaia accumula nel corso di un anno.Spazio alla fantasia: c’è chi rispolvera borse in tela,cucite in casa da qualche solerte zia o nonna, chiacquista sporte in juta, in cotone, personalizzate,colorate, divertenti o “impegnate”, oppure reti incotone, resistenti, lavabili e ovviamente riutilizzabili.La shopping bag potrebbe diventare un elemento ditendenza… Per ora, sono state avviate campagneper sensibilizzare la popolazione sul tema dell’aboli-zione delle sporte in plastica, da Vota il sacco diLegambiente, che ha proposto un referendum perdire no al sacco in plastica e per decretarne il degnosuccessore, alla campagna lanciata dall’associazio-ne Comuni virtuosi sul sito www.portalasporta.it.Anche regioni e province si sono mosse per pro-

muovere alternative al sacchetto della spesa in pla-stica.Il Conai (Consorzio nazionale imballaggi) da annipremia e mette in vetrina le aziende che con sensibi-lità adottano imballaggi tesi a risparmiare materiali ea favorirne lo smaltimento e il riciclo.Ovviamente alle spalle di un sacchetto di plastica,c’è un settore industriale che ha evidenziato alcuneperplessità riguardo all’abbandono definitivo del tra-dizionale sacchetto. Unionplast, nel mese di novem-bre del 2010, ha ricordato in un memorandum,alcune conseguenze riguardanti l’adozione dellanormativa europea. Per il consorzio di Confindustria,infatti, occorre sottolineare come per fabbricare isacchetti in plastica si utilizzino come materie primei rifiuti, che diventano da “problema” una risorsa,mentre per la confezione di shopper in biopolimeri sidebbano utilizzare risorse alimentari. Inoltre, gliindustriali rimarcano come i sacchetti di plasticasiano più volte utilizzati per mettere la spesa e ancheper i rifiuti (data la loro resistenza) e sia possibile illoro smaltimento da parte del Conai, per non tacerepoi le conseguenze economiche che la riconversio-ne degli impianti potrebbe portare nel settore. Pun-tuale è stata la risposta di Legambiente, che haribattuto agli industriali della plastica, mettendo inevidenza possibili contraddizioni, lacune del lorodossier e ribadendo i vantaggi della sporta riutilizza-bile. Tra l’altro, il sacchetto in biopolimero – nono-stante sia meno resistente rispetto alla plastica –può essere usato per lo smaltimento della frazioneumida dei rifiuti. Inoltre, questo tipo di sacco sedisperso nell’ambiente, si degradano naturalmente,mentre lo shopper di plastica ha una lunga vita.La strada, comunque, è tracciata. Adeguandosi alresto dell’Europa, anche l’Italia dimenticherà loshopper in plastica. Forse sarà un’occasione ulterio-re per diffondere la cultura del riciclo, del riutilizzo edella difesa dell’ambiente che si rivela una carta vin-cente per conservare il Creato e per consegnarloalle future generazioni come uno scrigno prezioso esempre meno come una insana discarica. �g

Adeguandosi al restodell’Europa, anchel’Italia dimenticheràpresto (si spera) loshopper in materialenon riciclabile.Un segnale verso ladifesa ambientale e delCreato, per consegnarloalle future generazionicome uno scrignoprezioso e non comeuna insana discarica.E c’è chi rispolvera laborsa di tela

economia e lavoro

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Il 2011 è l’anno del centocinquantesimo anniver-sario dell’Unità d’Italia. Gli italiani, almenosecondo le speranze di alcuni, saranno invitati apartecipare alle celebrazioni in programma per

trarne una rinnovata consapevolezza delle ragionidella convivenza democratica nel paese unito. Il percorso preparatorio alle iniziative dell’anno cheinizia è stato scandito, nel corso del 2010, da unaserie di importanti discorsi del Presidente dellaRepubblica, ma anche da diversi eloquenti interventi

dei Vescovi italiani e della Santa Sede,oltre che da tanti segnali di attenzionealla ricorrenza da parte dell’associazioni-smo. Proprio alla fine del 2010, significa-tivamente, il centocinquantesimo è statoil tema del decimo Forum del Progettoculturale della Chiesa italiana, conimportanti relazioni e un ricco dibattito(vedi box).Ora ci siamo. Le varie iniziative program-mate ai diversi livelli dalle istituzionisapranno aiutare il paese a guardare allapropria storia come a un terreno comu-ne, su cui costruire il proprio futuro?Proprio questo, infatti, sembra essere ilmodo di celebrare l’anniversario senzafarne uno sterile esercizio retorico. Lo ha

ricordato chiaramente il presidente Giorgio Napolita-no, spiegando a tutti che le celebrazioni del centocin-quantesimo non possono essere considerate «tempoperso e denaro sprecato, ma fanno tutt’uno con l’im-pegno a lavorare per la soluzione dei problemi oggiaperti dinanzi a noi». «Ieri – ha proseguito Napolitano– volemmo farla una e indivisibile, come recita lanostra Costituzione, oggi vogliamo far rivivere nellamemoria e nella coscienza del paese le ragioni diquell’unità e indivisibilità come fonte di coesionesociale, come base essenziale di ogni avanzamentotanto del Nord quanto del Sud in un sempre più arduocontesto mondiale». Affermazioni che hanno trovatosignificativa corrispondenza nelle parole del cardina-le Angelo Bagnasco, il quale, alcuni giorni prima,aveva invitato il paese a fare della ricorrenza dell’U-nità «una felice occasione per un nuovo innamora-mento del nostro essere italiani, dentro l’Europa unitae in un mondo più equilibratamente globale».La convinzione di molti che un modo corretto di cele-brare i centocinquant’anni di cammino unitariopotrebbe rappresentare una significativa opportu-nità per il nostro paese, tuttavia, ha dovuto e dovràfare i conti con la sensazione di una diffusa tendenzaa svalutare il senso della ricorrenza e delle iniziativepensate per ricordarla. Non a caso, lungo il camminodi preparazione degli appuntamenti previsti per il

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cittadini e palazzo

Non si scherza con la storia

Quest’anno si celebranoi 150 anni dell’Unitàd’Italia. Si tratta di unabuona occasione peraiutare il paese aguardare al propriopassato come a unterreno comune, sulquale costruire ilfuturo. Ma occorreevitare ricostruzionifaziose einterpretazioni “diparte”. I richiami delpresidente Napolitanoe del card. Bagnasco

di Matteo Truffelli

Icattolici sono «soci fondatori» del nostro paese, e l’Unità d’Italia «resta una conquista preziosa e un ancoraggio irrinunciabi-le». Sono questi i due binari principali attorno a cui si è articolato il saluto con cui il card. Angelo Bagnasco, presidente della

Cei, ha aperto il 2 dicembre il decimo Forum del Progetto culturale sul tema Nei 150 anni dell’Unità d’Italia. Tradizione e proget-to. «Cogliere il contributo cristiano rispetto al destino del nostro paese – ha affermato il presidente della Cei – richiede unalettura della storia scevra da pregiudizi e seriamente documentata, lontana dunque tanto da conformismi quanto da revisio-nismi». Nel 1861, «veniva generato un popolo», e soprattutto veniva dimostrato che «lo Stato in sé ha bisogno di un popolo,ma il popolo non è tale in forza dello Stato, lo precede in quanto non è una somma di individui ma una comunità di persone, euna comunità vera e affidabile è sempre di ordine spirituale ed etica, ha un’anima. Ed è questa la sua spina dorsale». Ma «sel’anima si corrompe, allora diventa fragile l’unità del popolo, e lo Stato si indebolisce e si sfigura», ha denunciato il presidentedei Vescovi, secondo il quale ciò accade «quando si oscura la coscienza dei valori comuni, della propria identità culturale». Diqui la tesi centrale del cardinale: «Lo Stato non può creare questa unità che è pre-istituzionale e pre-politica, ma nello stessotempo deve essere attento a preservarla e a non danneggiarla». La riflessione di Bagnasco ha poi percorso altri temi. «Quantopiù l’uomo – ha osservato – si ripiega su se stesso, egocentrico o pauroso, tanto più il tessuto sociale si sfarina, e ognuno tendea estraniarsi dalla cosa pubblica, sente lo Stato lontano. […] Ma è anche vero che quanto più lo Stato diventa autoreferenziale,chiuso nel palazzo, tanto più rischia di ritrovarsi vuoto e solo, estraneo al suo popolo». Bagnasco ha quindi auspicato che«possa sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici che sentono la cosa pubblica come fatto importante e decisivo,e credono fermamente nella politica come forma di carità autentica perché volta a segnare il destino di tutti». [Sir]

Forum del progetto culturale CATTOLICI AL SERVIZIO DELLA“COSA PUBBLICA”

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2011 si sono registrate difficoltà, polemiche e malu-mori, silenzi imbarazzanti e smarcamenti strumen-tali da parte di certi settori della cultura e di alcuneforze politiche. I motivi di ciò, le responsabilità, leragioni e le colpe, come sempre, non sono univochee non appartengono a una sola parte. In ogni caso,sembra evidente che il punto di partenza imprescin-dibile per ogni richiamo al passato che voglia rivelar-si fruttuoso per affrontare i problemi del presente epensare la costruzione del futuro sia costituito da unesercizio corretto della memoria storica. «L’unicacosa che dobbiamo temere», ha ricordato in questosenso il card. Bagnasco a Genova, «è una cattivaricerca storica, una propaganda ideologica – diqualsiasi segno – spacciata per verità storica». Questo non significa, ovviamente, tacere le ombre, ilimiti, i nodi lasciati irrisolti da un percorso storicodifficile e complesso. Quel che preoccupa non sonole analisi, anche impietose, che possono emergeredal sempre necessario lavoro di riesame critico delpassato. «È giusto», ha sottolineato anche Napolita-no, «ricordare i vizi d’origine e gli alti e bassi di quellacostruzione, mettere a fuoco le incompiutezze del-l’unificazione italiana e innanzitutto la più grave traesse che resta quella del mancato superamento deldivario tra Nord e Sud». Quel che preoccupa, invece,è che sempre più diffusamente, nel circuito mas-smediatico, nei discorsi politici, nelle boutade diuomini di cultura e di spettacolo, si faccia ricorso a

modi di raccontare il passato tutt’altro che rigorosa-mente scientifici e, soprattutto, funzionali a piegarela vicenda storica alle esigenze ideologiche o agliinteressi politici ed economici dell’oggi. E non ècerto un caso che ad essere presi di mira da questotipo di discorsi siano i momenti fondativi della nostrastoria unitaria: il Risorgimento e la Resistenza. Pas-saggi cruciali della nostra storia, la cui eredità èrifluita nei principi portanti della Carta costituzionale,base comune indispensabile per rinsaldare ognigiorno la coesione della nazione.Anche l’esercizio corretto della memoria storica,insomma, richiede di essere educato. E perché que-sto avvenga, occorre che ci si abitui a considerarloun elemento essenziale della formazione culturale,civile e spirituale delle generazioni. �g

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cittadini e palazzo

L’Azione cattolica sta investendo molte energieattorno al 150° dell’Unità. Il tema è stato solleva-to in più occasioni ufficiali (discorsi, convegni, arti-coli, prese di posizione pubbliche) nel 2010. Per que-st’anno sono in calendario varie iniziative. La rivistaculturale Dialoghi (4/2010) dedica il dossier all’ar-gomento: vi si trovano una riflessione di AlbertoMonticone sul senso del “celebrare” un cosìimportante fatto storico e un confronto su questotema tra Paolo Pombeni e Bartolomeo Sorge. Mau-rilio Guasco si sofferma sulle “strumentalizzazio-ni” della storia a fini politici; Giorgio Campaninisul contributo delle diverse culture politiche all’u-nità. Luciano Caimi si concentra sull’associazioni-smo giovanile cattolico quale luogo di elaborazio-ne attorno al tema della costruzione del paese. Larivista riporta quindi un testo dello scomparsoPietro Scoppola sul rapporto tra unità d’Italia eResistenza.L’11 e 12 febbraio l’Istituto Bachelet proporràinvece, alla Domus Mariae di Roma, un convegnosu L’Unità della Repubblica oggi. Tra solidarietànazionale, autonomie e dinamiche internazionali.La casa editrice Ave ha in cantiere dal canto suoun volume sempre dedicato alla costruzione del-l’unità e ai suoi risvolti attuali, con una specificasottolineatura sul contributo dei cattolici alla sto-ria nazionale, che si intitolerà Fare l’Italia, fare gliitaliani (curatore Matteo Truffelli). Interessante e molto ricca (per l’approfondimentopersonale e per un lavoro di gruppo) anche la sche-da intitolata “d’Italia, fratelli?” approntata dal set-tore Adulti di Ac e disponibile sul sito all’indirizzohttp://www.azionecattolica.it/settori/Adulti.

Dossier, convegni, libri D’ITALIA FRATELLI? LE INIZIATIVE DELL’AC

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Affetto, tenerezza ed empatia. Ecco ilsegreto per aiutare i nostri bimbi a cre-scere sereni e per favorire la loro fiduciain se stessi e nella realtà che li circonda.

Studi e ricerche scientifiche confermano quello cheil cuore sapeva già: coccolare i propri piccoli, accor-rere al loro pianto e accogliere i loro bisogni è fonda-mentale per il loro benessere psico-emotivo nell’im-mediato, ma anche a lungo termine. Le cure affet-tuose ricevute nella prima infanzia restano infattiquale prezioso tesoro nei recessi più segreti dellanostra mente e contribuiscono in modo determinan-te alla formazione della nostra personalità. Un datodi fatto che fatica un po’ a farsi strada nella nostracultura, ostacolato da vecchi luoghi comuni ormaisuperati che esortano i genitori a non coccolaretroppo il bebè per timore di dargli dei vizi. Di pregiu-dizi culturali e veri bisogni del bambino si parla nellibro fresco di stampa E se poi prende il vizio? Pre-giudizi culturali e bisogni irrinunciabili dei nostribambini, edito lo scorso dicembre da Il leone verde,che è il frutto degli studi e dell’esperienza personale

di Alessandra Bortolotti, fioren-tina doc, psicologa perinatale emamma di due bimbe, Biancache ha 6 anni e Irene, 2 anni emezzo.

Dottoressa Bortolotti, nel suolibro lei si rifà alle ultime sco-perte delle neuroscienze e alleconoscenze scientifiche relativeallo sviluppo psico-emotivo dei

piccolissimi, per chiarire il fatto che rispondere aibisogni affettivi di base dei bambini non ha nulla ache vedere con i vizi.Un accudimento ad alto contatto, in cui il piccoloviene tenuto in braccio, può dormire vicino ai genito-ri, viene allattato al seno, risponde alle esigenze dicontenimento, rassicurazione e calore che accomu-na tutti i bambini. Eppure sull’argomento ci sono pareri contrastanti:non è raro (anzi!) che i genitori vengano rimproveratise coccolano troppo i loro bimbi.La nostra è una società a basso contatto, dove lemamme vengono esortate a non tenere in braccio ibimbi, a insegnare loro a dormire da soli, a interrom-pere l’allattamento quando il bebè non è più picco-lissimo. Si pensa, infatti, che in questo modo il cam-mino verso l’autonomia sia favorito, quando in realtàè vero proprio il contrario. I bimbi che possono con-tare sulla vicinanza e sulla sollecitudine di genitoriamorevoli e che vedono i loro bisogni soddisfatti cre-scono più sicuri di sé e più fiduciosi nei confronti diquanti li circondano. Nelle società dove il modellogenitoriale prevede più contatto (pensiamo ai paesiin via di sviluppo, ma anche alla vicina Svezia) i bimbipiangono il 40% in meno, si registrano tassi di

In una società “a bassocontatto” le mamme vengonoesortate a non tenere inbraccio i bimbi, a insegnareloro a dormire da soli...Si pensa, infatti, chein questo modo il camminoverso l’autonomiasia favorito.In realtà è vero il contrario

di Giorgia E. Cozza

Viviamo in una società che impone tempi e spazi basati sulla logica della produttività e del consumismo e non sicura a sufficienza di proteggere lo sviluppo affettivo dei più piccoli. E se poi prende il vizio? Pregiudizi culturali e

bisogni irrinunciabili dei nostri bambini (Il leone verde, 2010) è un libro dalla parte dei bambini, in cui si chiariscequali sono i loro bisogni irrinunciabili e quali i pregiudizi culturali della nostra società. “I nostri figli – si legge neltesto – crescono in un mondo adultocentrico che spesso si è dimenticato di loro e pretende che diventino subito auto-nomi, grandi e indipendenti, che non disturbino, che ignorino fin dai primi istanti di vita i propri istinti e necessità».Attraverso l’analisi dei bisogni primari e universali di ogni bambino, la psicologa Alessandra Bortolotti, approfondiscevarie tematiche, dall’allattamento al sonno dei neonati e dei bambini più grandi, dall’esigenza di contatto alle più effi-caci forme comunicative fra genitori e figli. Con un unico monito per i genitori… quello di seguire il cuore e fidarsi dise stessi e dei propri bambini.

E se poi prendo il vizio?UN LIBRO DALLA PARTE DEI PIÙ PICCOLI

famiglia

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i

Affetto ecoccole,adulti più

sereniintervista con

Alessandra Bortolotti

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aggressività più bassi ed è minore l’in-cidenza di suicidi e omicidi. A dimo-strazione dell’importanza delle curericevute nella primissima infanzia perl’equilibrio emotivo dell’individuo. Lecure amorevoli che il genitore rivolge alsuo bambino sono quindi condizioneindispensabile per il suo benesserepsico-fisico e garanzia di stabilità emo-tiva per il futuro. I vizi sono altri...Ovvero? Il discorso dei vizi è legato agli oggetti

non agli affetti. Bambini cresciuti come piccoli con-sumatori, abituati a ricevere in dono gadget e gio-

cattoli sempre nuovi, che trascorrono buona partedel loro tempo libero assorbiti dalla televisione e daigiochi elettronici. A volte si ha paura a dire di no, nonsi vuole far mancare nulla (intenso in senso di benemateriale) ai propri figli.La paura di dire no si può riflettersi anche sul fronteeducativo, sfociando in un permissivismo privo diregole. Il bambino, però, ha bisogno di una guida equesto ruolo compete al genitore.Sulla base delle più recenti conoscenze scientifiche,qual è il suo consiglio per i neogenitori che voglionorispondere al meglio ai bisogni del loro bambino?Di seguire il proprio istinto. E di fidarsi del propriobambino e di se stessi. Spesso pensiamo ai bimbicome a soggetti da “impostare” e dimentichiamoche si tratta di persone che hanno già una lorocompetenza e sono in grado di manifestare i pro-pri bisogni. Se i genitori si mettono in ascolto pianpiano imparano a sintonizzarsi con il proprio pic-cino, riescono a interpretarne il pianto e i segnalie a comprenderne le esigenze. Ricordiamo chequando si parla di un bimbo, non c’è miglioresperto dei suoi genitori. Oggi invece, c’è la ten-denza a cercare tutte le risposte nei manuali oaffidandosi agli esperti. In pratica si delega adaltri e si cerca all’esterno, qualcosa che possiamotrovare dentro di noi. Non esistono metodi o rego-le universali, non sarebbe possibile, perché ognibambino è diverso e ogni famiglia è diversa. Ognigenitore deve trovare il “suo” modo di stare con ilproprio bambino, di entrare in relazione con lui.Una relazione favorita dal rispetto e dalla fiduciareciproci. �g

Viviamo in una società che impone tempi e spazi basati sulla logica della produttività e del consumismo e non sicura a sufficienza di proteggere lo sviluppo affettivo dei più piccoli. E se poi prende il vizio? Pregiudizi culturali e

bisogni irrinunciabili dei nostri bambini (Il leone verde, 2010) è un libro dalla parte dei bambini, in cui si chiariscequali sono i loro bisogni irrinunciabili e quali i pregiudizi culturali della nostra società. “I nostri figli – si legge neltesto – crescono in un mondo adultocentrico che spesso si è dimenticato di loro e pretende che diventino subito auto-nomi, grandi e indipendenti, che non disturbino, che ignorino fin dai primi istanti di vita i propri istinti e necessità».Attraverso l’analisi dei bisogni primari e universali di ogni bambino, la psicologa Alessandra Bortolotti, approfondiscevarie tematiche, dall’allattamento al sonno dei neonati e dei bambini più grandi, dall’esigenza di contatto alle più effi-caci forme comunicative fra genitori e figli. Con un unico monito per i genitori… quello di seguire il cuore e fidarsi dise stessi e dei propri bambini.

E se poi prendo il vizio?UN LIBRO DALLA PARTE DEI PIÙ PICCOLI

famiglia

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A lato: la psicologa Alessandra Bortolotti

con marito e figlie.

Sotto, il suo ultimo libro

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Diventare mamma, aspettare un figlio,accoglierlo, da sola. Non è un’esperienzafacile quella che si trova a vivere la donnache non può contare sulla vicinanza di un

partner e non può condividere con lui le emozioni, leansie, le gioie e le paure della gravidanza. E le ansie,quando il futuro padre di fronte all’annuncio inattesodi un bimbo in arrivo, preferisce tirarsi indietro, sonodavvero tante. Le scelte, le responsabilità, le deci-sioni diventano tutte della donna. E la prima scelta èquella di accettare la vita, di accogliere un figlio chegiunge inaspettato, nonostante la situazione non siaquella ideale. Di questa scelta Segno ha parlato con DanielaMaglio, 28 anni, oggi mamma felice del piccoloAndrea che con la sua nascita le ha regalato quel-la forza e quel coraggio che di giorno in giornol’aiutano ad affrontare le tante difficoltà – emoti-ve, organizzative, economiche – che sono comunialla maggior parte delle donne che devono cre-

scere un figlio da sole.Daniela non è single perscelta e ha sofferto molto,nei mesi della gravidanza,per l’assenza del papà delsuo bambino. «Quandodovevo sottopormi a visite econtrolli – ricorda – nellasala d’attesa del medicoc’erano sempre coppie feli-

ci. Io ero sola. E anche nei momenti più belli, comequello dell’ecografia in cui potevo vedere il miobambino, la gioia era solo a metà perchè nonpotevo condividerla. Non riuscivo ad accarezzare ilpancione, non riuscivo a parlare con il mio bimbo.Mi trascinavo faticosamente avanti, cercando di

non farmi schiacciare dal peso della solitudine». Ma nella testimonianza di Daniela, a pesare non èsolo l’assenza del partner. Purtroppo, a mancare, èstato anche il sostegno della comunità. «Fortunata-mente io ho un lavoro – racconta – ma proprio per-chè avevo un impiego non ho avuto diritto ad alcunaiuto economico da parte di enti o associazioni. Ilproblema è che far quadrare il bilancio, quando almutuo e alle bollette si aggiungono le spese legatealla gravidanza e alla nascita di un bambino e lo sti-pendio è un solo non è per niente facile! Durante lagravidanza mi sono rivolta al Comune e ho contattodelle associazioni di volontariato, senza però riceve-re alcun supporto pratico. Ma la cosa che mi è pesa-ta di più è stata la mancanza di solidarietà e di inte-ressamento». Non solo. Mamma Daniela, che abita in un piccolocentro del modenese, non ha dimenticato gli sguardie, purtroppo, anche i commenti giudicanti ricevutida parte di una comunità che non ha saputo valoriz-zare e incoraggiare la sua scelta di portare avanti lagravidanza. Un contesto sfavorevole che ha accre-sciuto incertezze e timori. «Una settimana prima cheil mio bimbo nascesse ripetevo a mia madre che l’a-vrei dato in affido. Pensavo che non sarei riuscita aessere una brava mamma, non mi sentivo abba-stanza forte», ricorda Daniela. «Poi, con tre settima-ne di anticipo, all’improvviso, Andrea è nato. Per unacomplicazione fortunatamente non grave, ha avutobisogno dell’incubatrice e ricordo di aver chiesto alSignore di lasciarmelo e di aver giurato che mi sareiimpegnata a essere una brava mamma per lui. Ecosì è stato». Sono trascorsi dieci mesi da allora. Andrea è unosplendido bambino ed è il grande amore della suamamma. Recentemente il suo papà ha espresso il

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Nella foto: mamma Daniela

e suo figlio Andrea

Storia di Daniela e di un figlioappena nato. Senza potercontare su un maritoche ti sta accanto e ti sostiene.Ma con la gioia di essere dallaparte della vita e con l’orgoglioe la dignità di farcela,pur tra mille difficoltà

di Gorgia E. Cozza

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Mamme sole,che fatica...

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desiderio di vederlo e,Daniela, per amor del suobambino, ha messo daparte i propri sentimenti esta cercando di favorire lanascita di una relazione trapadre e figlio. Il peggio èsicuramente passatoanche se la situazione nonè comunque delle più facili.«Da quando Andrea è natoè cambiato tutto – conclu-de Daniela – se avessiimmaginato quanta forza equale gioia mi avrebberegalato forse sarei riuscitaa vivere con più serenitàanche la gravidanza. Quel-lo a cui ho dovuto rinuncia-re, gli sguardi della gente,l’amarezza, tutto è passatoin secondo piano quandoho potuto stringere tra lebraccia il mio bambino.Ecco perchè alle future

madri che stanno vivendo una situazione come lamia e magari si chiedono se accogliere il loro bambi-no io dico solo due parole: “Andate avanti”!». Certo, sarebbe bello che non dovessero andareavanti da sole. Sarebbe auspicabile che la comunità,soprattutto quella cristiana, fosse capace di farsiprossimo per queste mamme e offrire loro il calore ela vicinanza che possono aiutarle a vivere la mater-nità con più serenità. �g

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La realtà delle mamme sole che si trovano ad affrontare una gravi-danza senza il sostegno di un partner è purtroppo in aumento. «Nel

90% dei casi le future mamme che si rivolgono a noi sono sole, non c’è ilfuturo padre al loro fianco» conferma Giorgio Gibertini, presidente delCentro aiuto alla vita (Cav) di Roma. «E negli ultimi due anni, sonoaumentate in misura significativa le richieste di aiuto da parte dimadri italiane. Una conseguenza della crisi economica in corso, che haportato un aumento consistente anche nel numero delle interruzioni digravidanza: nella sola città di Roma, ogni anno gli aborti sono circa13mila». In molti, troppi casi a determinare questa scelta sono la soli-tudine e la povertà. «La gravidanza è di per sé un periodo particolare,delicato, nella vita di una donna – riprende il presidente del Cav roma-no – se poi la futura mamma è sola, con uno stipendio che non le per-mette di arrivare a fine mese o un lavoro a tempo determinato e non èsostenuta da quanti la circondano, tutto sembra spingerla a rinunciareal suo bambino». In questa situazione difficile, il Centro di aiuto allavita può rappresentare un importante punto di riferimento. «La futuramamma che si rivolge al Centro può ricevere, a secondo della situazionee delle sue necessità, un supporto di tipo psicologico, abitativo e/o eco-nomico» conclude Gibertini. «Ma prima di tutto, quello che le vieneofferto è l’ascolto. Un ascolto che si fa accoglienza, empatia, abbraccio.Perchè in molti casi è di questo che la donna ha bisogno, di essere rassi-curata e incoraggiata. Può essere un “ce la farai, stai tranquilla, evedrai che sarà bello...” ad aiutare una donna a scegliere la vita».Per saperne di più sull’operato del Cav è possibile visitare il sitowww.cavroma.org; è inoltre possibile contattare il Centro telefonica-mente chiamando il numero 06/50514441.

L’esperienza del Centro aiuto alla vitaUN ASCOLTO CHE SI FA ACCOGLIENZA E ABBRACCIO

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Una proposta d’incontro, preghiera e con-divisione nel segno di fratel Carlo Carret-to. «Dopo la consegna all’Ac dell’ex con-vento di San Girolamo, che per anni fu il

luogo dove Carretto condusse un’esistenza scanditadalla preghiera, dall’ascolto della Parola e dall’acco-glienza, ora l’associazione vuol proprio riprenderequei cardini della vita e della spiritualità di fratel

Carlo, e farne la base di una propo-sta che, da Spello, si ponga al ser-vizio della Chiesa italiana», spiegail presidente nazionale dell’Azionecattolica, Franco Miano. «Questo –prosegue – era uno degli obiettivipiù impegnativi che ci eravamoposti nella scorsa assembleanazionale, e siamo lieti di averloportato a termine prima della con-clusione del triennio. Ora, però, lascommessa sta nel far “fruttifica-re” questa risorsa, che chiamiamo“casa” San Girolamo per sottoli-nearne l’aspetto laicale, di un

luogo nel quale si vuol costruire uno stile di vita quo-tidiana».Presa “in mano” la struttura a inizio ottobre, le primeiniziative si sono concretizzate nel periodo natalizio:due momenti rivolti ai giovani di Ac in preparazioneal nuovo anno, con riflessioni sul Benedictus e sulMagnificat, nonché sul messaggio del Papa per laGiornata mondiale della pace. A febbraio, invece, lacasa aprirà le porte dal venerdì alla domenica perquattro appuntamenti di riflessione e approfondi-mento biblico, mentre dalla primavera dovrebbe

essere tutto pronto per passare alla fase dell’acco-glienza quotidiana, con un sacerdote e un laico (ouna famiglia) stabilmente presenti. Dal 4 al 6 marzosi svolge uno degli incontri de “I Seminari di Spello”,questa volta dedicato a Vita buona e fragilità, attra-verso la riflessione guidata da Donatella Pagliacci,dell’Università di Macerata.Quando la proposta sarà a regime «la giornata –racconta il segretario nazionale di Ac, Gigi Borgiani –verrà scandita dalla liturgia delle ore, con la Messa amezzogiorno per indicarne la centralità nella vita enella quotidianità del cristiano. Poi si alternerannomomenti di lavoro, ascolto, silenzio e condivisioneper mettere in comune riflessioni e suggestioni natedalla meditazione».«Casa San Girolamo accoglie e propone»: questi idue verbi con cui Luigi Alici, chiamato dall’associa-zione a collaborare alla costruzione delle proposteche fanno capo all’iniziativa di Spello, sintetizza loscopo della nuova realtà. Accoglienza, sottolineaAlici, di «singoli e gruppi che vogliono trascorrerequalche tempo secondo lo stile della casa»; propo-sta di «percorsi strutturati di elaborazione spirituale»

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In compagniadella Parola

di Francesco Rossi

Riconsegnata all’Azionecattolica, la casa SanGirolamo di Spello decolla –sulle orme di fratel CarloCarretto – come “polmonespirituale”, perl’associazione ma non solo.A febbraio quattro weekendbiblici. E un seminarioa marzo su “vita buonae fragilità”. Segno ne parlacon Franco Miano,Gigi Borgiani e Luigi Alici

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che vanno dalla «ricer-ca spirituale» (lectiodivina o riscopertadella Parola di Dio,riscoperta dei maestridello spirito e della tra-dizione cristiana,riscoperta della fede) a«tematiche legate aparticolari situazioni divita» (come la malattiao la morte, oppure dif-ficoltà nella vita di cop-pia). Ancora, vi saran-no «proposte di discer-

nimento spirituale, vocazionale, ecclesiale», e altre«rivolte a quanti sono impegnati nel civile, nel socia-le o nella sfera politica, per trovare le radici spiritualidel loro impegno e rimotivarli».A febbraio, in particolare, i quattro fine settimanaavranno per tema La vita del laico in compagniadella Parola e verranno guidati da altrettanti biblisti:Rosanna Virgili, don Maurizio Marcheselli, don Mau-

rizio Girolami e don Salvatore Santoro.Il clima di casa San Girolamo è di semplicità, essen-zialità, fraternità e condivisione: ognuno è chiamatoa viverne la gestione ordinaria come fosse casa pro-pria, dal fare la spesa al lavare i piatti. «Non ci sonocamerieri o altri servizi, ma ciascuno – ricorda Bor-giani – è corresponsabile». E, sebbene a ogni inizia-tiva l’Ac sia presente, la proposta supera i confiniassociativi. «Casa San Girolamo – precisa il segreta-rio di Ac – è aperta a tutti, da qualunque parte d’Ita-lia provengano, e non solo agli aderenti». A favorire il clima di raccoglimento e fraternità con-tribuisce la capienza della struttura, che ha una ven-tina di posti letto. Non grandi numeri, dunque, mauna scelta che permetterà a quanti s’incontrerannoa Spello di essere «amici in grado di costruire rela-zioni nuove». Oltre che ritemprare lo spirito con unaventata di aria fresca, dal momento che la dimora difratel Carretto si propone di essere un “polmone spi-rituale”. E proprio in questo clima di quiete «l’ospite– conclude Borgiani – potrà per un po’ estraniarsidal caos quotidiano e respirare tranquillità silenzio epreghiera». �g

Nella foto:

una veduta di Spello

Il clima di casaSan Girolamoè di semplicità,essenzialità,fraternità econdivisione:ognuno è chiamatoa viverne lagestione ordinariacome fosse casapropria, dal farela spesa al lavarei piatti

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Vanno riprese, eccome. E vanno trattate condelicatezza e grande attenzione. Le inquie-tudini dei cattolici non paralizzano lo sce-nario e non frenano alcuna dinamica. Anzi

dovrebbero stimolare la ricerca di nuove rotte per ilpaese e correggere quelle che già sono navigate.Vale la pena insomma ripensare alla parole di Reg-

gio Calabria, quarantaseiesi-ma Settimana sociale dei cat-tolici italiani, per evitare chefiniscano soltanto nel volumedegli Atti o in un documento disintesi e là rimangano. Invecequelle parole sono un segna-le, che può trasformarsi inavviso circa il fatto che i catto-lici non intendono perdere l’I-talia e far perdere all’Italiadignità per il futuro. C’è una

frase di Edo Patriarca, segretario generale delle Set-timana sociale, che va meditata e inchiodata sullacoscienza dei singoli e su quella delle associazioni edei movimenti dei laici della Chiesa: «A Reggio Cala-bria abbiamo costruito la dorsale strategica dell’Ita-lia». Ma l’agenda ora va sfogliata e gli appunti diReggio colmati di nuove idee e azioni. Le parolechiave sono due: famiglia e lavoro. Esse aprono ogniporta e permettono di ragionare attorno a una nuovacultura politica dove sia la passione per la vita ilpunto centrale. È la vita in Italia che fatica, perché la politica non rie-sce a uscire dalla retorica e guardare in faccia i pro-blemi reali delle persone. Mancano tutele ai redditi,soldi per servizi e welfare. Dei proclami la gente èstufa e osserva con terrore una situazione dramma-tica. Bisogna raddrizzare la spina dorsale del paesee darle conformazione strategica. Poco prima dellaSettimana sociale era stata la Caritas, nel suo Rap-

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Fisco e lavoro: dopo laSettimana sociale di ReggioCalabria, sono i due temi chei cattolici mettono in primopiano nell’attuazione di“un’agenda di speranza”.L’Ac ha cominciato subito,riunendo gli amministratorilocali vicini all’associazioneper un confrontofranco e diretto

di Alberto Bobbio

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Un’agendada sfogliare

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porto annuale sulla povertà, in collaborazione con laFondazione Zancan, ad avvertire che il paeserischiava di avvitarsi nella spirale della caduta libera.Oggi non sembra più reggere l’argine fragilissimodegli ammortizzatori sociali, che costano all’annooltre 19 miliardi di euro, con in testa la cassa inte-grazione. Se non si aiutano le famiglie a trovare lavo-ro dalla spirale non si esce. Poi a Reggio Calabrial’analisi è stata approfondita e ed è uscita l’immagi-ne di un paese affaticato da situazioni che è ora diaffrontare, perché lacerano la società: da un lato c’èla preoccupazione del degrado che da anni percorrela politica, dall’altro la preoccupazione altrettantodrammatica di una sorta di “sindrome intimistica”che, sempre da anni, sta lambendo gran parte delcattolicesimo italiano. A Reggio Calabria è andata in scena un’altra storia ei cattolici hanno detto che vogliono un’altra politica eanche un’altra generazione di politici. Chi si aspetta-

va un ritiro dei cattolicisull’Aventino dellasocietà e una dichiara-zione di disistima per lapolitica ha dovuto ricre-dersi. Dunque occorreripensare alla parole diLorenzo Ornaghi, Retto-re dell’Università catto-lica, sulla qualità dellademocrazia, quando hadenunciato il fatto cheoggi si rischia una“controdemocrazia” inmano a oligarchie che«inquinano il normale ecorretto funzionamen-to» della democraziaper cui anche «il votoviene considerato unascelta di terz’ordine».Sono le distorsioni chedevono stimolare l’at-tenzione e la loro corre-

zione a guidare le scelte. Il cardinale Angelo Bagna-sco, presidente della Cei, ha parlato di «giungla dilibertà autodistruttive e arbitrarie», l’esatto contrariodell’impegno per il «vero benessere» dei cittadini.Occorre un’agenda di riforme sull’economia, sullavoro e anche sul potere. I cattolici hanno avvertitoche i vecchi trucchi sono ormai impraticabili. Insom-ma il potere non stupisce più e non prende più ingiro nessuno con annunci di investimenti e di opereche riempiono libri dei sogni, i quali non finiscononeppure sugli scaffali, ma direttamente nel cestino.A Reggio Calabria i cattolici hanno avvertito il potereche non si può più sottrarre alla propria responsabi-lità di dar conto e, nel caso, di essere soggetto a un«efficace regime di imputabilità» (parole del sociolo-go Luca Diotallevi, vice-presidente del Comitato cheorganizza le Settimane sociali) se su qualcosa scivo-la e sbaglia. Eppure i cattolici non si sono limitati all’analisi. C’è

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C’è una “parscostruens” chela Settimanasociale harilanciato conproposte precisesul lavoro,la legge dicittadinanza agliimmigrati,un fisco “familyfriendly”,un federalismoche non si risolvain una miriade dimicrostatalismi,la legalitàe le mafie,la finanzae i capitali,l’evasione fiscale

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una “pars costruens” che la Setti-mana sociale ha rilanciato con pro-poste precise sul lavoro, la legge dicittadinanza agli immigrati, un fisco“family friendly”, un federalismoche non si risolva in una miriade dimicrostatalismi, sulla legalità e lemafie, sulla finanza e i capitali, sul-l’evasione fiscale. Ma hanno anchedetto che solo la politica puòaffrontare i problemi. La societàcivile è uno stimolo, ma tale resta.È stato escluso un nuovo partito deicattolici e ogni nostalgia per unastagione passata. Ma è anche statodetto che una nuova generazionedi politici cattolici non si improvvisae che ci vuole tempo. Eppure nes-sun tempo sarà sufficiente se nonsi riprende l’impegno dell’educa-zione alla politica dal basso, cioèdalle parrocchie e dalle associazio-ni. E la prima educazione possibile è convincersi chei cattolici che fanno politica non vanno tenuti lontanodalle chiese e dagli oratori perché creano divisioninella comunità cristiana ora che l’unità politica deicattolici non c’è più. L’Azione cattolica ha dimostrato di non aver pauradei politici, né delle polemiche, né dei pareri diversie, poche settimane dopo l’appuntamento di ReggioCalabria, ha riunito amministratori locali vicini all’as-

sociazione per unconfronto francocome pochi se nesono visti in questianni. È l’unica via: sesi ama la politica siamano anche i politi-ci, quindi li si correg-

ge, se è il caso, quindi si dà loro una mano, quindi lisi ascolta, anche se a volte può essere drammaticoe sconveniente per alcuni. Una nuova classe politicanasce così, con la vicinanza, la confidenza, la fidu-cia, la franchezza e la correzione a chi in politica ci

sta. Altrimenti si riempiono pagine e titoli di procla-mi, affascinanti certo, ma alla fine sterili. Non sarà facilissimo convincersi che questa è unavia e che non si tratta di inventare niente di nuovo.Negli anni passati non c’è stata grande fiducia per ilaici cristiani, per il loro impegno, secondo i criteridel Concilio, anche in politica. Tuttavia per molti tra ilaici è andato bene così e si sono ritirati nella riser-va, che sembrava più protetta, della società civile,lasciando che la politica alla fine si sfasciasse con ilgrave rischio di sfasciare il paese. Ora l’inquietudi-ne alla vista della sorte tragica che sta toccando alpaese ha scosso menti e coscienze. La Settimanasociale di Reggio Calabria ha dimostrato che i cat-tolici non ci stanno alla distruzione sistematica eprogrammata della tradizione politica dell’Italia edella sua Costituzione. Il rigore morale, il giudizioculturale, la competenza, la passione civile nonsono uno scudo dietro cui proteggersi, come qual-che volta in passato è accaduto. Ma sono una sfidada lanciare e da praticare. E forse questa è oggi lavera alternativa. �g

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È l’unica via: se si ama la politica siamano anche i politici, quindi li sicorregge, se è il caso, quindi si dà lorouna mano, quindi li si ascolta, anchese a volte può essere drammaticoe sconveniente per alcuni

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Anche una delle regioni con il più alto indicedi qualità della vita sta facendo i conti conla recessione economica e un aumentodella povertà preoccupante. Ecco perché

la Caritas diocesana di Bolzano-Bressanone ha pre-sentato la nuova campagna di sensibilizzazione sulle“povertà invisibili” in provincia, organizzata con il

patrocinio del Comune di Bolza-no e intitolata Nel mezzo delcammin di nostra vita. Obiettivodell’iniziativa, l’ultima del 2010,Anno europeo di lotta allapovertà e all’esclusione sociale,suscitare nei passanti, spieganoi promotori, “un momento diriflessione” attraverso «un utiliz-

zo urtante delle immagini: sulla pavimentazione delmarciapiede sono state incollate sei fotografie di seipersone, diverse ma accomunate dall’invisibile pesodelle diverse forme di povertà». Una sinergia chevede insieme Caritas di Bolzano-Bressanone ecomune. In Alto Adige la povertà è in aumento.Secondo lo studio Astat, Persone e famiglie a rischiopovertà, il 16% della popolazione ha un redditofamiliare al di sotto della soglia di povertà (pari a10.257), contro il 14% dell’ultima rilevazione di cin-que anni fa. Nel 2008 le famiglie a rischio erano36.000 pari al 17,9%; percentuale che oggi arrive-rebbe al 25,3%, se si prendessero in considerazionei redditi depurati delle prestazioni sociali.Da Bolzano alla capitale. Aperto a Roma un nuovo“Emporio della solidarietà”, gestito dalle parrocchiedel settore sud della diocesi di Roma in collaborazio-ne con il coordinamento della Caritas diocesana diRoma. È stato inaugurato il 17 dicembre, nei localimessi a disposizione dal 12/mo municipio in via Avo-lio 60. L’Emporio è un centro di distribuzione di gene-ri alimentari e prodotti di prima necessità per famigliein difficoltà. Un’iniziativa fortemente voluta da mons.Feroci, direttore della Caritas, e il vescovo ausiliareper il Settore sud, mons. Paolino Schiavon, con leamministrazioni locali. Intanto già sono iniziate le ini-ziative straordinarie a favore dei senza dimora pro-mosse dalla Caritas di Roma per l’emergenza freddo.Nell’ambito del piano freddo del Comune di Roma,sono stati attivati 100 posti letto nel centro di acco-glienza Ferrhotel in via del Mandrione. Ad Ostia, incollaborazione con il XIII Municipio, sono disponibili30 posti letto aggiuntivi nella strutture di LungomareToscanelli e presso lo Stabilimento balneare “L’Arca”.Le iniziative, che saranno aperte fino al 31 marzo2011, si svolgeranno in orario serale e notturno. Chi è interessato a partecipare come volontario:06.88815150 o [email protected]. �g

[Sir]

Un emporio della solidarietàcontro il “grande freddo”

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Al via la nuova campagnasulle “povertà invisibili”a Bolzano. Mentre a Romac’è un centro didistribuzione di generialimentari. La Caritasin prima fila nell’assistenzaa chi ha più bisogno

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Un buon sandwich bacon può stuzzicarel’appetito e magari, chissà, la curiosità diconoscere un po’ più da vicino i preti equanto ruota attorno a essi. Il coffee chur-

ch, una sorta di baretto ecclesiale dove non suonamale domandarsi “cos’è la Chiesa”, è soltanto laprima delle tante sorprese in un viaggio alla scoper-ta della Chiesa d’Inghilterra. Tanto più se le guidesono due tipi come la reverenda Jules Cave, fino a

qualche settimana fa acapo della segreterianazionale anglicana dellevocazioni, ora tra i respon-sabili del seminario diOxford e suo marito, il reve-rendo Anders Bergquist,archeologo svedese daquarant’anni in Inghilterra,parroco a Saint John’s

Wood, un bel quartiere nel centro di Londra.Jules è ormai di casa nelle Marche e ogni anno èmolto attesa per la sua profondità di pensiero e lasua intensa spiritualità. Da quattro anni è un po’ l’a-nima della settimana di preghiera per l’unità dei cri-stiani che, almeno a gennaio, mette al centro dellariflessione e dei buoni propositi quell’ecumenismoancora troppo marginale nella sensibilità dellenostre comunità. Gli anglicani, per gran parte di noi,sono quelli che fanno parte della Chiesa creata sumisura dal re Enrico VIII, stanco di aspettare il per-messo di papa Clemente VII di sposare Anna Bolena.Padre Neil Batckock vive a Blekeney, la prima tappadel nostro percorso. È una parrocchia rurale compo-sta da alcuni villaggi, immersa nella meravigliosacampagna del Norfolk. Il coffee church che ci haaccolto vorrebbe essere un tentativo per accorciarele distanze tra Chiesa e popolo. Sono i non pratican-ti, gli unchurched, si potrebbe dire gli “schiesati”, idestinatari dell’invito e in tanti casi al caffé segue unriavvicinamento alla parrocchia. Ed è sempre il fan-tasioso Neil a sperimentare la sua Missy church, ter-mine quasi intraducibile che vuole dire, più o meno,“messa disordinata, informale, alla mano”. Una litur-gia fresca, animata, fuori dalle rigide tradizioni angli-cane, a volte più conservatrici di quelle romane,nella quale fare spazio al calore che la fede condivi-sa sa creare.Lasciamo il verde abbagliante del Norfolk non senzafatica. Pochi, intensi giorni in una immersione totalenella tranquilla e allo stesso tempo vivace quotidia-nità di questi villaggi, nei quali l’ecumenismo è prag-maticamente ispirato al motto “fare insieme ciò chesi può fare insieme”. Ed è per questo che ogni setti-mana anglicani, metodisti e cattolici trovano deltempo per incontrarsi e studiare la Bibbia. La scuoladel villaggio è appena al di là del recinto dell’abba-zia. Sono proprio le scuole il bacino più immediato diincontro tra la Chiesa e i ragazzi, i giovani. Ognidomenica c’è la catechesi e la pastorale giovanile èpensata e organizzata a livello di decanato. «Forse

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Tra bar e coffee church, la vitaattorno agli impegni ecumenicidella Chiesa d’Inghilterra. Sulleorme del recente viaggio diBenedetto XVI: un’altra stradaper introdurre la Settimanadi preghiera per l’unitàdei cristiani che quest’annosi svolge dal 18 al 25 gennaio

In casa degli anglicanidi Laura Mandolini

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dovrei cresimarli, almeno poi se ne vanno via». Neilsta parlando dei tanti pipistrelli che hanno presocasa in una delle abbazie. Fulminante e molto briti-sh, la battuta rimanda alla fatica di rendere la fedequalcosa di bello e interessante per gli adolescenti egiovani. È il punto debole della Chiesa inglese, lasfida più impegnativa di ogni Chiesa, specie nel vec-chio continente. La scuola di Saint Nicholas è pubblica, ma nessunosi straccia le vesti se padre Neil, in quanto parroco,ha il diritto/dovere di far parte del comitato di gestio-ne e dà inizio alle lezioni, ogni mattina, con una pre-ghiera. Anche da qui si comprende il particolare rap-porto tra la Chiesa anglicana e la società civile. E sel’intrecciarsi di questioni storiche, diplomatiche edottrinali tra Roma e Londra ha reso tutto più com-plicato, la stessa intrigata storia ha lasciato in ere-dità alla Chiesa anglicana qualcosa di prezioso eassai necessario anche oggi: l’essere un ponte tra i

due mondi cristiani ancora lontani, il cattolicesimo eil protestantesimo.I giorni londinesi sono intensi e si concludono ladomenica pomeriggio, con i vespri nella Westmin-ster Abbey. Nel luogo più significativo della religio-sità e della nazione inglese, che abbiamo conosciutograzie all’accoglienza della canonica Jane (la stessache qualche giorno dopo avrebbe accolto nell’Abbeyil Papa) viene spontaneo sentirsi parte dell’unicafamiglia di Gesù Cristo. Il motto del card. Newman,richiamato dal Papa durante la sua visita inglese Corad cor loquitur, “il cuore parla al cuore”, «ci permettedi penetrare nella sua comprensione della vita cri-stiana come chiamata alla santità, sperimentatacome l’intenso desiderio del cuore umano di entrarein intima comunione con il Cuore di Dio. Egli ci ram-menta che la fedeltà alla preghiera ci trasforma gra-dualmente nell’immagine divina». Questo è forse ildesiderio che unisce di più. �g

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L’amicizia tra cattolici e anglicani è stata al centro della visita, nel settembre 2010, di Benedetto XVI all’arcivescovo diCanterbury, Rowan Williams, a Lambeth Palace, Londra. «Non è mia intenzione parlare oggi delle difficoltà che il cam-mino ecumenico ha incontrato e continua a incontrare. Tali difficoltà sono ben note – ha ammesso il Pontefice –; vorreipiuttosto rendere grazie per la profonda amicizia che è cresciuta fra noi e per il ragguardevole progresso fatto in moltis-sime aree del dialogo in questi 40 anni trascorsi da quando la Commissione internazionale anglo-cattolica ha cominciatoi propri lavori». Il Papa ha, poi, parlato del mutato contesto nel quale ha luogo il dialogo fra anglicani e cattolici, evolu-tosi «in maniera impressionante» dall’incontro privato fra Giovanni XXIII e l’arcivescovo Geoffrey Fisher nel dicembre1960. Sullo sfondo la recente decisione di cinque vescovi anglicani di unirsi alla Chiesa cattolica, secondo la Costituzioneapostolica Anglicanorum Coetibus di Benedetto XVI.

Dopo la visita del PapaDIALOGO DIFFICILE CHE PROSEGUE CON SPERANZA

Nella foto a sinistra un

battesimo anglicano e sopra

padre Neil Batckock

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Avevate pensato alla politica, all’economia,all’intervento nel sociale? Tutte sottoli-neature giuste, tuttavia «il servizio almondo coincide in primo luogo con la

santità, che non è mai una questione privata ma hauna rilevanza pubblica». È quanto sostiene StellaMorra, tutor del corso Ordinare le cose del mondosecondo Dio: strade di santità laicale che avrà inizioa febbraio presso la Pontificia Università Gregorianadi Roma promosso dal Centro interdisciplinareLaikos, dal Forum internazionale di Azione cattolicae dall’Azione cattolica italiana in collaborazione conComunità di vita cristiana (Cvx).Il corso, che ha il patrocinio del Pontificio Consiglioper i laici, è giunto alla terza edizione seguendo la

progressione logica «di una sot-tolineatura dei contenuti generalidel Concilio vaticano II sul laicatoper il primo anno, mentre per ilsecondo anno si è insistito sullediverse forme di servizio dei laiciall’interno della comunità eccle-

siale». Per il nuovo appuntamento «si è scelto diaffrontare la chiamata alla santità – spiega Morra –con una riflessione tematica accompagnata dallapresentazione di alcune figure di santi laici». Uominie donne, giovani e anziani, coniugati, consacrati ecelibi, docenti universitari e studenti, di varie nazio-nalità, «proprio perché le vie della santità laicalesono molte e molto differenti tra loro come dimo-strano le esperienze di Gianna Beretta Molla e Stani-slaw Starowieyski, di Lolo Lozano Garrido e MariaSagheddu». Il corso è strutturato come un ciclo di conferenzeaperte al pubblico con una lezione iniziale riservataai soli studenti iscritti. Nove gli appuntamenti dal 24febbraio al 12 maggio: «ad ogni incontro – affermaMorra – interverranno due relatori che abbinerannola riflessione teologica all’esperienza pastorale peroffrire un raccordo con le applicazioni concreterichieste dall’esperienza ordinaria nelle parrocchie enelle aggregazioni laicali».«Iniziative di formazione sui temi del laicato –aggiunge Morra – fortunatamente non mancano,ma la scommessa, in questo caso, è offrire un itine-rario su questo argomento in una Università pontifi-cia con l’obiettivo di coinvolgere anche i presbiteriche, terminati i loro studi a Roma, saranno chiamatia collaborare con i laici nelle proprie chiese locali,oltre che ad aver cura della crescita e formazionepermanente di tutti i battezzati».Tra i relatori interverranno i teologi Salvador Pié-Ninot, Donna Orsuto, Cristina Simonelli, CataldoZuccaro, docenti di economia, sociologia, filosofiacome Leonardo Becchetti, Mauro Magatti e LuigiAlici, responsabili di associazioni e istituzioni comePaolo Beccegato e Augusto Reggiani.Quale il tema di apertura del corso? Facile: i laici e lavocazione universale alla santità. Parla la LumenGentium. �g

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di Chiara Santomiero

Prosegue l’esperienza deicorsi, alla Gregoriana diRoma, sui temi conciliaripromossi da Laikos, Fiac,Azione cattolica e Cvx.Prima lezione il 24 febbraio

Nella foto: una sessione del

Concilio Vaticano II

Laici nel mondo,strade di santità

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Love in action, carità nell’azione, è lo sloganche sintetizza il programma di lavoro per ilprossimo quadriennio che si è dato l’Umofc– Unione mondiale delle organizzazioni

femminili cattoliche, nell’ultima assemblea generalesvoltasi a Gerusalemme nello scorso ottobre. Unnuovo programma e una nuova presidente, l’italianaMaria Giovanna Ruggieri, che è stata vice presidenteper il settore Adulti di Ac nel periodo 1999-2002.A Gerusalemme sono stati anche festeggiati i 100anni di vita dell’organizzazione nata nel 1910 perincoraggiare il protagonismo delle donne nella Chie-sa e nella società. «Oggi – spiega la neo presidente– l’Umofc conta oltre 5 milioni di aderenti in associa-zioni, tra le quali l’Azione cattolica italiana, di 60paesi dei 5 continenti». Assumerne la guida implica

una grande responsabilità verso«una continuità storica che devetrovare nell’oggi rinnovate forme diespressione e verso una estensio-ne geografica che annove-ra realtà molto diverse». Unpanorama di Stati davverovariegato che va dal Cana-da al Sud Africa, dagli StatiUniti alle Isole Tonga, dal

Ghana alla Danimarca, dal Pakistan all’Uru-guay, con una grande pluralità di situazionipolitiche, economiche, sociali e anche dicredo religiosi.Sono diversi, di conseguenza, i modelli delle orga-nizzazioni femminili cattoliche che aderiscono all’U-mofc. Alcune, sul modello dell’Ac, curano maggior-mente la formazione dei laici e la corresponsabilitànella vita delle chiese locali; altre, richieste dal con-testo in cui vivono, si occupano anche di promozio-ne umana. «In Africa – spiega Ruggeri – le associa-zioni aderenti all’Umofc sono attive nella formazio-ne professionale e provano a progettare strategieoccupazionali attraverso forme cooperativistiche,

come in Senegal, dove hanno promosso una coope-rativa per la pesca”. In Argentina sono state capofiladella campagna Lucha contra el hambre – la lottacontro la fame – mentre in Europa, aggiunge MariaGiovanna Ruggeri, «l’impegno verso il bene comu-ne della collettività si traduce non raramente inimpegno attivo nella politica come è accaduto inOlanda e Lituania, anche se non si tratta di un’e-sclusiva del nostro continente e lo stesso avviene,

per esempio, in Nigeria».L’agenda delle priorità fissate dall’as-semblea di Gerusalemme prevede,oltre alla cura della formazione delledonne e all’impegno per la elaborazio-ne culturale nelle realtà di riferimento,«una attenzione privilegiata al mondodelle giovani, anche in relazione algrande tema delle migrazioni nel

mondo di oggi». Va inoltre intensificato in senso pro-positivo «il ruolo dell’Umofc nelle Agenzie internazio-nali nelle quali siamo presenti, come la Fao e l’Une-sco, e all’interno del Consiglio d’Europa». Quello deiprossimi quattro anni, infine, sarà per l’Umofc uncammino di riscoperta e puntualizzazione dei conte-nuti del Concilio vaticano II: «Occorre farlo conosce-re soprattutto alle nuove generazioni – conclude lapresidente – perché in esso le donne possano trova-re le coordinate per il proprio impegno nella Chiesa enella società”. �g [c.s.]

Nuoviimpegniper le donnecattoliche

Maria Giovanna Ruggieri,già vice presidentenazionale Ac, è stata elettaalla guida dell’Umofc,l’Unione mondiale delleorganizzazioni femminilicattoliche. Iniziative neicinque continenti

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«Una delle grandi prospettive delnostro camminare è questa: lapassione per l’uomo, per l’essereumano. E la Chiesa deve espri-

mere fortemente questa passione. Quando gliuomini guardano alla Chiesa oggi, mi domando sela maggioranza vede questa ricerca appassionataper l’uomo...». Domanda cruciale, quella che si faad alta voce Claudio Maria Celli. Riminese («in

seminario mi ci ha messo don Oreste Benzi»),sacerdote dal 1965 e vescovo dal 1996 («l’hu-mus, il substrato esperienziale che mi ha aiutato acapire la mia vocazione è stata l’Ac, e gliene saròsempre grato»), monsignor Celli arriva dalla car-riera diplomatica e da un lungo servizio vaticano,prima alla Segreteria di Stato e poi all’Ammini-strazione del patrimonio della Santa Sede. Dal2007 è stato chiamato da Benedetto XVI alla guida

del Pontificio consiglio delle comu-nicazioni sociali: in pratica è il“ministro” delle comunicazioni delPapa. Nell’era della cultura digitale,un ruolo decisivo per la missionedella Chiesa.Lei si occupa della diffusissimarealtà dei media cattolici di tutto ilmondo: qual è il loro compito oggi?

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intervista conClaudio Maria Celli

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Giornali, tv, internet possono essere – senza sottovalutarnelimiti e problemi – “punti di incontro” fra le persone, creandoconoscenza e relazioni. Una presenza cristianamente ispiratanella realtà mediatica è oggi essenziale anche perl’evangelizzazione. Segno ne parla con il presidente delPontificio consiglio delle comunicazioni sociali, che afferma:«La ricerca della verità dell’uomo e sull’uomo non può cheportare a riscoprire la verità di Dio»

di Simone Esposito

Media e parole,strumentidel Messaggio

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È innanzitutto quello di essere strumenti del Mes-saggio, con la emme maiuscola, perché una cosa ècerta: il cristianesimo non è un’ideologia, ma è l’in-contro esistenziale con un fatto. E quindi coloro cheoperano nei media e hanno un cuore cattolico nonpossono dimenticare che nella loro vita hanno avutoun incontro con questo fatto. Però c’è una secondadimensione: i media cattolici devono essere unmomento di incontro, ovvero devono dialogarerispettosamente con gli altri uomini che fanno partedella società, perché il cammino di ogni uomo èquello di far sì che la società assuma sempre piùcaratteristiche umane e nello stesso tempo gli uomi-ni devono trovare punti di intesa per fare in modoche questo loro convivere sia sempre più ricco uma-namente, sia sempre più favorevole a uno sviluppoumano. E quindi i media devono avere questadimensione: essere punti di incontro, dove colui che

ha un cuore cattoliconon si camuffa,esprime veramenteciò che è, ma nellostesso tempo ècapace di dialogareanche con gli altriuomini. Come dicevail Papa, parlando agliuomini di cultura delPortogallo in un suodiscorso pronuncia-to il 12 maggio

2010, la Chiesa deve fare un apprendistato persaper dialogare nel rispetto delle verità altrui, masenza dimenticare ciò che è.In sintesi, quello che il Papa, nel suo ultimo discorsoalla Federazione italiana della stampa cattolica, haribadito nell’espressione «palestre di confronto fra leopinioni». Oggi non è così?Non sempre. Dipende di che orientamento sono imedia. A mio avviso molti media laici non sonorispettosi della posizione di coloro che hanno uncuore cattolico. Avviene forse più il contrario: direiche in casa nostra c’è più attenzione alle posizionialtrui. Purtroppo questa è una realtà. Su questo punto la Chiesa, e in particolare i mediacattolici, possono essere d’aiuto e di stimolo almondo della comunicazione? Sicuramente: la prima, grande linea-guida da offrireè la ricerca della verità. Solo questa è la strada,come suggerisce il tema di quest’anno della Giorna-ta mondiale delle comunicazioni sociali, per l’auten-ticità e per una testimonianza credibile. Io credo chequesto vada a toccare non solamente l’atteggia-mento e la posizione dei media cattolici o degli ope-ratori nei media cattolici, ma piuttosto direi che èdiscorso di vasta apertura. Perché se l’uomo, qua-lunque uomo che opera nei media non porta in séquesta ricerca di verità, che alla fin fine è la dimen-sione della sua dignità di essere uomo, e se poi que-sta ricerca di verità non è vissuta con un atteggia-mento di autenticità, e quindi di testimonianza dicerti valori, si corre il rischio di suonare a vuoto. Cifaccia caso: tutti i grandi servizi giornalistici passati

Nella foto a sinistra: mons.

Claudio Maria Celli,

presidente del Pontificio

consiglio delle

comunicazioni sociali

La prima, grandelinea-guida daoffrire è la ricercadella verità. Soloquesta è la strada,come suggerisce iltema di quest’annodella Giornatamondiale dellecomunicazionisociali, perl’autenticità e peruna testimonianzacredibile

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alla storia, quelli che certamente hanno colpitoprofondamente l’opinione pubblica, ci sono riuscitiperché cercavano e toccavano l’uomo. E la ricercadella verità dell’uomo e sull’uomo non può che por-tarmi a riscoprire la verità di Dio. Io dico sempre:dobbiamo andare al cuore delle questioni e risco-prirne le profonde dimensioni umane. Credo chequesto sia un grande cammino da percorrere: laChiesa deve essere annunciatrice di verità, dellaVerità, ma deve farlo camminando accanto all’uomoperché deve sentire profondamente e vivere questapassione per l’uomo stesso. È anche la missione deimedia. E soprattutto è una sfida pastorale.Ci sarebbe bisogno di formazione specifica per glioperatori pastorali: ci sono le occasioni?Non sono molte. Il Pontificio consiglio sta facendo ungrosso investimento proprio in formazione. Dobbia-mo aiutare le persone a comunicare e a farlo bene.Questo non è facile. Penso per esempio ai giovanisacerdoti, che corrono il rischio di non sapere checosa sia la comunicazione. Magari sanno usare ilcomputer, sanno usare certe nuove tecnologie, ma ilproblema è vedere se sono capaci di parlare almondo di oggi. È proprio questa la “diaconia dellacultura” di cui parla spesso il Papa. E poi c’è un altrotema che a me piace molto e che mi affascina, che èil “cortile dei gentili”. Il Papa auspica nel suo ultimo

messaggio per la Giornata mondiale delle comuni-cazioni sociali (Il sacerdote e la pastorale nel mondodigitale: i nuovi media al servizio della Parola), che siè celebrato il 24 gennaio 2010, che quest’incrociodelle grandi autopiste della Rete possano essere illuogo, il “cortile dei gentili”, dove gli uomini si ritro-vano nella ricerca della verità, nella comunicazione,nell’incontro, nell’amicizia, per creare una cultura didialogo, di rispetto e di amicizia.È un incrocio sterminato, quello di internet e dellenuove tecnologie...Le nuove tecnologie hanno aperto delle possibilitàprima inimmaginabili e presentano uno stile di esse-re, di fare notizia, di percepire fatti e parole che finoa poco tempo fa sarebbe stato inimmaginabile: oggitelefonino, e-mail, tutta la multimedialità cambiano ilnostro orizzonte, anche psicologico. Possiamo par-lare tranquillamente di “cultura digitale”: dobbiamoprendere consapevolezza di questa realtà. Ecco,direi che in “casa nostra”, ma anche in una prospet-tiva mondiale, perché è questa la competenza delPontificio consiglio, la Chiesa si muove con diversevelocità, anche perché è marcata dalla diversità diapproccio e di possibilità: penso alle differenze tramondo occidentale, dove queste tecnologie per-meano completamente il nostro vivere, e certi paesidell’Africa, ad esempio, o dell’America Latina.

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Sopra: uno dei momenti del

convegno Testimoni digitali.

Volti e linguaggi nell’era

crossmediale

(Roma, 22-24 aprile 2010)

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Nemmeno la realtà cattolica italiana è così avanti,nel campo dei new media. O no?Non c’è dubbio. Le do un esempio: la grande mag-gioranza dei nostri siti diocesani sono siti statici.Siamo ancora al cosiddetto “web 1.0”, mentre ilresto del mondo è già al web 2.0 e già si sta lavoran-do al web 3.0. Fuori c’è un’interattività impressio-nante, noi non siamo nemmeno multimediali: met-tiamo dei testi e basta. Ed è già molto, c’è già unosforzo e un impegno ammirevoli, però siamo indie-tro. Oggi, come Chiesa, dobbiamo prendere consa-pevolezza che una grande sfida pastorale è proprioquella di saper dialogare con la realtà tecnologica, omeglio, con la cultura contemporanea che è origina-ta dalle nuove tecnologie. Che poi è la sfida che laChiesa deve affrontare nell’annuncio della Parola:Benedetto XVI, nel suo penultimo messaggio per laGiornata mondiale delle comunicazioni sociali, fariferimento all’impresa dei primi discepoli cheaffrontavano il mondo greco-romano. Cosa hannofatto? Con il Vangelo nel cuore, hanno abitato lerealtà culturali proprie di quel momento. Oggi vivia-mo nella cultura digitale. E le confesso che alle voltele nuove tecnologie ci aiutano a capire meglio certecose. Pensi cosa significhi oggi “essere in rete”:quando parliamo di “corpo mistico”, questo nostroessere in Gesù, non siamo forse “in rete”, una “rete”

molto più ricca, molto più profonda che tocca ildestino della nostra vita? Un piccolo esempio di“parabola mediatica”.La multimedialità è anche uno stimolo per rinnovarei linguaggi dell’annuncio evangelico?Il tema dei linguaggi è una grande sfida. È innegabileche molte volte il nostro linguaggio intraecclesialenon è di facile comprensione per la nostra gente,oggi. Qualcuno alle volte parla di “vaticanese”, equesto è un tema delicatissimo. La nostra presenzain Rete può essere una palestra molto utile.Questa presenza della Santa Sede sta crescendosempre di più: è stata annunciata di recente la par-tenza di un nuovo portale informativo, avete acqui-stato per il Centro televisivo vaticano una efficientis-sima regia in Hd, l’alta definizione digitale, e poi giàda qualche anno ci sono degli esperimenti interes-santi come il canale video su Youtube. La regia in Hd risponde a un’esigenza concreta chenon è certamente un lusso. Se non fossimo passatiall’alta definizione, avremmo corso il rischio, con ilpassare del tempo, di vedere scomparire l’immagi-ne del Papa dalle televisioni del mondo occidentale,che si sta muovendo, oramai, sostanzialmente inHd. Infatti tutti i network ci chiedevano già da tempoimmagini in questo formato. Per quanto riguarda ilportale, ci stiamo già lavorando: sarà un sito che uni-fica le attuali fonti di informazione della Santa Sede,ovvero l’Osservatore romano, Radio vaticana, la Salastampa e il Centro televisivo. Sarà un portale multi-mediale nel quale la Santa Sede potrà mettere adisposizione di tutti i propri servizi informativi inmaniera unificata e sinergica, anche se comunqueogni media manterrà il proprio spazio indipendente.Quando sarà online?Non so ancora dirlo. Oltre alla progettazione dellastruttura, che è in corso d’opera, abbiamo anchebisogno di aumentare le nostre collaborazioni invista di questa novità, e abbiamo chiesto a un’uni-versità cattolica americana, che già ci aiuta rego-larmente, di mandarci due studenti di giornalismoper la cura delle notizie in lingua inglese. Già ci sonodei loro stagisti che ci aiutano. Comunque io miauguro che lo si possa pubblicare presto, nei primimesi del 2011. �g

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Il tema deilinguaggi è unagrande sfida.È innegabileche moltevolte il nostrolinguaggiointraecclesialenon è di facilecomprensioneper la nostragente, oggi.Qualcuno allevolte parladi “vaticanese”,e questoè un temadelicatissimo

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di Marco Testi

Amedeo Modigliani a Catania

Un centinaio di opere d’arte fra disegni, oli, sculture e poi fotografie, taccuini, lettere, cartoline epersino le pagelle scolastiche di Amedeo Modigliani (Livorno 1884 – Parigi 1920) ricostruiranno

a Catania, fino all’11 febbraio 2011, per la mostra Modigliani, ritratti dell’anima, il percorso artisticoe umano del grande genio toscano. Un itinerario, quello della sfera affettiva e delle sue ripercussionisull’opera, mai indagato sinora. A fare da guida il Diario della madre, una sorta di giornale di famigliache Eugénie Garsin-Modigliani cominciò a scrivere nel 1886. La mostra, ospitata nel Museo civicoCastello Ursino – una fortezza d’epoca medievale realizzata da Federico II di Svevia – è organizzatadal Modigliani Institut Archives Légales, Paris-Rome, in collaborazione con il ministero dei Beni cul-turali, il Comune di Catania e il coordinatore delle collezioni dell’artista livornese, Giovanni Gibiino, suiniziativa del sindaco, Raffaele Stancanelli, e dell’assessore alla cultura di Catania, la stilista Marella

Ferrera. In mostra – secondo un ordine cronologico che prende il via dalla nascita di Amedeo, definito dalla madre “un raggio di sole fattobambino” – saranno 25 disegni, 4 oli su tela, 5 sculture oltre a 7 disegni selezionati da Gibiino fra quelli in possesso dei collezionisti sici-liani e realizzati a Parigi tra il 1909 e il 1919 dove, nel quartiere di Montmartre, visse a contatto con artisti e intellettuali del tempo comePicasso, Cocteau, Max Jacob, Apollinaire e molti altri ancora. �g

arte

psicologia

Donne schiave, nel terzo millennio

Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), sarebbero circa 12,3 milioni gli adulti, donne e uomini, e i bambini costretti allavoro forzato e alla prostituzione coatta. L’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) parla di circa 500mila donne che ogni

anno sono vittime di traffico prevalentemente per lo sfruttamento sessuale, immesse nel “mercato” dell’Euro-pa occidentale. Ma sarebbero almeno 2,7 milioni, secondo le Nazioni Unite, le vittime di tratta, di cui l’80 percento è costituito da donne e minori, che vengono venduti annualmente nel mondo ai fini della prostituzione,della schiavitù o del matrimonio. Circa la metà sono bambine tra i 5 e i 15 anni. Buona parte arrivano in Euro-pa occidentale, Italia compresa, provenienti dai paesi dell’Est. Secondo le Nazioni Unite si tratta di business dicirca 32 miliardi di dollari l’anno. Ma al di là dei dati, ci sono le persone. Ridotte a corpi-merce “usa e getta”,con storie dolorose di povertà e miseria, di violenza e maltrattamenti, già nei luoghi e nelle famiglie d’origine.Anna Pozzi e suor Eugenia ci raccontano queste storie in Schiave. Trafficate, vendute, prostituite, usate.Donne (San Paolo). Storie tragicamente vere e attuali. �g

Quando il vero terapeuta è il bambino

Alison Gopnik è una psicologa di successo: Tuo figlio è un genio, uscito in Italia nel 2000, è stato un libro-culto. Anchecon il suo nuovo lavoro, Il bambino filosofo (Bollati Boringhieri) la studiosa segue la strada della rivalutazione dell’uni-

verso infantile: i piccoli sono molto più intelligenti, svegli e soprattutto sensibili di quanto noi possiamo immaginare e diquanto la psicologia ufficiale abbia in realtà capito. Perché, in fondo, Il bambino filosofo, anche se la Gopnik non lo affermanero su bianco, è anche un coraggioso tentativo di svecchiamento della psicologia dell’età evolutiva e di affrancamento dailegami freudiani che facevano dell’infanzia una triste palestra di una libido assolutistica. Svincolando l’universo del bambi-

no dalla sessualità a tutti i costi, l’autrice restituisce la giusta importanza all’affetto, alla tenerezza, alla bontà dei bambini. Non solo:l’autrice dimostra che l’attenzione dei piccoli è molto più viva che negli adulti, tanto da giungere alla conclusione che «i bambini sono piùconsci di noi». Un libro utile non solo per gli addetti ai lavori, ma soprattutto per i genitori, che avranno modo di scoprire come il bambinorappresenti anche una cura per la nevrosi dell’uomo contemporaneo.. �g

diritti umani

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ititolonidi Antonella Gaetani musica

L’avventura del vetro a Venezia

Dopo quasi trent’anni il Museo Correr a Venezia dedica gli spazi espositivi alla mostra L’avventura del vetro, visibile fino al 25 aprile2011 per iniziativa della Fondazione musei civici di Venezia, a cura di Aldo Bova e Chiara Squarcina. L’esposizione propone opere dal

XV al XVIII secolo; XIX secolo, XX secolo. In tutto oltre trecento opere, che ripercorrono tutte le tappe dellastraordinaria “avventura del vetro” a Venezia, dall’arrivo in laguna, in età classica, di vetri provenienti da areeanche lontane, fino al connubio sempre più stretto tra vetro e design che rappresenta il presente e il futurodella produzione vetraria muranese. Quanto il vetro sia connaturato a Venezia lo conferma la sezioned’apertura della mostra che presenta un’inedita sequenza di vetri antichi recuperati dai fondali della laguna etra la sabbia dei canali della città. Questi capolavori fragilissimi, di fattura spesso raffinatissima, sarannoesposti per la prima volta al pubblico dopo essere emersi dalla coltre d’acqua che li ha preservati per secoli. Inconcomitanza con il Carnevale di Venezia 2011, dedicato all’Ottocento, verrà ad aggiungersi un’ulterioreselezione di più di un centinaio di opere provenienti dalla collezione Maschietto, per la prima volta presentatain città. Si tratta di figurine di vetro, con maschere veneziane e della commedia dell’arte. �g

Un cd dalla parte dei poveri

Fresco di stampa Capo Verde, Terra d’Amore, volume 2, prodotto dalla Non-Profit Numar incollaborazione con Sony France e Lusafrica, su etichetta Microcosmo Dischi. Un progetto

musicale, culturale e umanitario interamente ideato e realizzato dal produttore discograficoAlberto Zeppieri, che raccoglie canzoni del repertorio della regina della world music CesariaEvora, del suo autore preferito Teofilo Chantre e di Lura (nuova stella di Capo Verde). Il disco con-tiene 12 brani creoli capoverdiani adattati in lingua italiana e reinterpretati da Cesaria Evora,Teofilo Chantre, Lura e da artisti in linea con i valori e lo stile dell’opera discografica e sensibiliagli aspetti umanitari, tra i quali: Ron, Massimo Ranieri, Frankie Hi-Nrg Mc, Kayah, Carlo Marrale

con Paola Iezzi, il compianto Bruno Lauzi e il duo Musica Nuda (Petra Magoni & Ferruccio Spinetti) con Omar Sosa. Come per il volume 1,anche il netto ricavato della vendita di Capo Verde, Terra d’Amore vol. 2 sarà interamente devoluto a favore del Programma alimentaremondiale delle Nazioni Unite (Wfp), del quale la stessa Cesaria Evora è ambasciatrice contro la fame dal 2003.. �g

mostra

La nobile forma dell’arte

La nobile forma (edizioni San Paolo) è un libro che prova come le accuse contro la Chiesa di ostacolare l’artein genere siano completamente destituite di senso. Anche perché è lo stesso Pontefice, qui presente con

due interventi (il primo scritto quando era ancora cardinale) a testimoniarlo: la bellezza è un dono di Dio cheaiuta chi cerca la verità. Nella prima parte del volume Gianfranco Ravasi, Elio Guerrieri e Pasquale Iacobone siinterrogano sulla differenza tra senso estetico classico e quello cristiano, attraverso soprattutto il pensiero diPlatone. Emerge l’importanza del contributo di Von Balthasar che riporta l’estetica al centro del pensiero cat-tolico, di contro l’iconoclastia di alcune esperienze protestanti e la stessa concezione negativa dell’arte inKirkegaard. Il libro presenta una sorta di sintetica storia del pensiero estetico occidentale alla luce di una fedeche non nega l’opera d’arte, ma anzi, la rivaluta anche quando altre convinzioni la mettevano al bando. Come

scrisse nella Lettera agli artisti (qui riportata) Giovanni Paolo II, «la bellezza, come verità, mette la gioia nel cuore degli uomini ed è un frut-to prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione». �g

estetica

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Ottobre 2010, Eurostar “Frecciabianca”Roma-Genova. Cerchiamo la carrozza n.9, dove ci è stato assegnato il posto suobbligatoria e costosa prenotazione. Ma

facciomo fatica a leggere i numeri sui cartelliniapposti ai finestrini e così ci avviciniamo col naso.Scopriamo che sono composti di due fogli di cartaigienica sovrapposti, e il “9” è scritto con la pennabiro. Ci sforziamo di non pensare male.Due giorni dopo, Eurostar “Frecciabianca” Genova-Roma. Cerchiamo la carrozza n. 8. Ma facciamo fati-ca a leggere i numeri sui cartellini, scritti a biro(ormai un po’ scolorita) su carta igienica bianca. Evi-tiamo – perché scontata – la battuta «le Ferrovievanno a rotoli», ma vorremmo indignarmi con qual-cuno. “Avvisi” di questo genere ne troviamo spesso: negliuffici pubblici, nelle metropolitane, nei bar. In tempi

di e-book e iPad, non ci sarà la possibilitàdi fare la scritta col computer, con uncarattere leggibile e nero (suggerisco unHelvetica Bold o un Futura Extra Bold Con-densed), cliccando poi perché la stampan-te ne riproduca un certo numero di copie?Comunicazione più efficace, clienti soddi-sfatti, “brand” messo in salvo: con unamossa, tre obiettivi. Invece ci tocca subirele scritte sulla carta igienica, da cui nonarriva il messaggio diretto, ma altri duesottintesi: la non-considerazione in cuisono tenuti i clienti, in questo caso, i citta-dini in altri; la demotivazione al lavoro deidipendenti degli enti in questione e deiloro responsabili.Già, la comunicazione. Se scrivessimoquesta notizia su qualche altro giornale

più attento a lisciare chi in ogni epoca sta al timonedel paese, questa lettera darebbe la stura a uno deiseguenti articoli: Titolo: La ricomparsa delle penne biroOcchiello: Le si credeva estinte, s’erano solo nascoste

Sommario: L’importanza della scrittura manuale, piùvicina alla gente. A ricordo delle recenti feste natali-zie le Ferrovie dello Stato omaggeranno a ogni viag-giatrice con una simpatica penna a sfera. Titolo: I ferrovieri? Battono la fiacca, come sempreOcchiello: L’annoso problema degli statali inefficien-ti e ladri di stipendi Sommario: Clamorosa provocazione: avviata un’in-dagine per individuare i responsabili. Il ministro Bru-netta mette una taglia di 100.000 euro. Il presidentedel Consiglio scrive di proprio pugno una lettera discuse alla vittima. Bossi: «Il problema nasce aRoma».

Su un giornale anti-governativo, il titolo dell’articolopotrebbe essere uno di questi due: Titolo: Rischio epidemie sui treni del paeseOcchiello: Sottoposta ad accurati controlli la cartaacquistata dalle Ff.Ss. Sommario: Dopo alcuni ricoveri sospetti, sembranodi carta già utilizzata le indicazioni apposte sui fine-strini. Controlli a tappeto dei Nas. Di Pietro chiedel’estradizione immediata del Direttore generale epropone l’abrogazione dei mezzi su rotaia. Titolo: Gelmini, dacci più computer!Occhiello: Accorata protesta degli universitari ditutta ItaliaSommario: Contro i cartellini ferroviari scritti a biro,studenti in piazza, uniti ai lavoratori come nel Ses-santotto. Gli iscritti alle Accademie, invece, chiedonocartellini dipinti a mano e firmati: «Rendiamo ognivagone un’opera d’arte!». Potremmo chiamare sciatteria quella dell’informa-zione via carta igienica. Ma come potremmo definirela maggior parte dell’informazione via carta stampa-ta, televisione, radio o internet, altrettanto incom-prensibile, piena di messaggi sottintesi e spessomolto offensiva? E quale pena potremmo infliggereai (molti) responsabili? Forse la costrizione a scriverei loro messaggi sulla carta igienica, per un tot dimesi, o di anni, o di secoli. �g

di Paola Springhettie Giancarlo Olcuire

Cartelli d’Italia

Comunicazione piùefficace, clientisoddisfatti, “brand”messo in salvo: con unamossa, tre obiettivi.Invece ci tocca subire lescritte sulla cartaigienica, da cui nonarriva il messaggiodiretto, ma altri duesottintesi: la non-considerazione in cuisono tenuti i clienti, inquesto caso, i cittadiniin altri; lademotivazione al lavorodei dipendenti deglienti in questione e deiloro responsabili

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Corsi su Manzoni e Foscolo, lezioni perimparare a cucinare la pasta al pomodo-ro, cineforum sulle pellicole di Fellini eSergio Leone. Nei quattro angoli del

mondo il “made in Italy” ha ancora il suo fascino.Che si accompagna, però, a tanti stereotipi sugli ita-liani (inutile ricordare quali). Ma quanti sono i conna-zionali all’estero? Dove vivono e cosa fanno? Comemai un gran numero di giovani cervelli tricolorelascia ogni anno Piemonte, Umbria o Puglia per rag-

giungere altre nazioni? Ad alcune di que-ste domande risponde la quinta edizionedel Rapporto italiani nel mondo, curatodalla Fondazione Migrantes e presentato aRoma nel mese di dicembre. La Chiesa segue da oltre un secolo emezzo i lavoratori che emigrano: gli Sca-labriniani e le Missioni italiane all’esterosono ancora oggi un servizio prezioso achi vive lontano da casa, sia sotto il profiloreligioso, sia sotto l’aspetto umano,sociale e relazionale. «La Chiesa italianaha maturato una lunghissima esperienza

tra gli italiani nel mondo e la Fondazione Migrantesrappresenta attualmente la continuità di questoimpegno», ha affermato mons. Giancarlo Perego,direttore generale della Migrantes. Un impegno –ha aggiunto – che oggi «vuole continuare, coniu-gando ancora evangelizzazione e promozioneumana, educando all’incontro, nella consapevolez-za del valore di una cittadinanza globale da costrui-re insieme». Secondo i dati del Rapporto gli italiani residentiall’estero sono 4.028.370 e rappresentano il 6,7%della popolazione italiana. Un numero quasi pari

agli immigrati residenti in Italia. Contrariamente aquanto si pensa – spiegano i ricercatori – quelladegli italiani nel mondo è «una presenza in aumen-to». Al termine di più di un secolo e mezzo di flussimigratori la presenza italiana nel mondo può defi-nirsi in prevalenza euro-americana, come attesta-no le quote di pertinenza di ciascun continente:Europa (55,3%), America (39,3%) e, molto piùdistanziate, Oceania (3,2%), Africa (1,3%) e Asia(0,9%). Tra i Paesi di insediamento, l’Argentinasupera di poco la Germania (entrambe oltre le600mila unità), la Svizzera accoglie mezzo milionedi italiani, la Francia si ferma a 370mila, il Brasileraggiunge i 273mila e Australia, Venezuela e Spa-gna superano le 100mila unità. La maggioranzadegli italiani residenti all’estero, il 54,3%, è di ori-gine meridionale (oltre 1 milione e 400mila sonodel Sud e quasi 800mila delle isole); il 30,6% pro-viene dalle regioni settentrionali (oltre 600mila dalNord Est e altrettanti dal Nord Ovest); il 15,2%(611.929) è, infine, originario delle regioni centrali.La prima regione per numero di emigrati è la Sicilia(oltre 600mila), seguita da Campania (421mila),Lazio e Calabria. Secondo il Rapporto, oltre agli italiani che hannomantenuto o acquisito la cittadinanza, quindi conpassaporto e diritto di voto, vi sono gli oriundi, dai 60agli 80 milioni. Non mancano le curiosità. Dal Rapporto emerge chenel mondo vi sono 24mila corsi di lingua italiana perun totale di 394mila allievi. In particolare, quasi tutti i92 istituti italiani di cultura sparsi nel mondo orga-nizzano corsi di lingua italiana. Inoltre vi sono alme-no 186 scuole italiane e 114 sezioni italiane pressoscuole straniere con 30mila alunni. [Sir] �g

Cartelli d’Italia Tricolorecon la valigia

Il Rapporto dellaFondazione Migrantesfotografa la presenzaitaliana all’estero.Sono oltre 4 milioni iconnazionali chevivono oltre confine,un numero pari agliimmigrati che hannoraggiunto la nostrapenisola

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Narra la leggenda che in un giornoimprecisato del 773 il re dei Franchi CarloMagno, trovandosi a caccia nei boschi diAlbugnano, ebbe una terribile visione di

tre scheletri che, usciti dai loro sepolcri, si eranomessi a danzare; ciò gli causò un grave attaccoepilettico. Soccorso da un eremita della zona, ilsanto uomo gli avrebbe consigliato di invocare laMadonna di una vicina chiesetta. La Vergineprontamente esaudì il sovrano che subito, comeringraziamento, ordinò la fondazione dell’abbazia diVezzolano, ancora oggi monumento simbolo delromanico astigiano. La leggenda di Carlo Magnonon ha alcun fondamento o pretesa storica, ma stacomunque a indicare un luogo di culto antichissimo,di cui rimangono tracce risalenti all’epocapaleocristiana.La prima data certa che attesta la presenza diun’abbazia, o meglio di una canonica – visto che acondurla furono per diversi secoli proprio i Canonici

Agostiniani – è contenuta in undocumento del 25 febbraio 1095. Unaseconda attestazione è quella del 19giugno 1148, quando il cistercensepapa Eugenio III ricevette la chiesa sottola sua protezione, “operazione” poiripetuta il 12 gennaio 1159 anchedall’imperatore Federico Barbarossa.Sono questi i decenni di massimosplendore di Vezzolano, durante i qualifurono costruite le principali strutturearchitettoniche, rendendo l’abbazia unadelle realtà più importanti e potenti dellazona. Una fortuna che si sarebbe inparte ridimensionata, però, già nel corsodel XIV secolo e, ancora di più, con

l’arrivo nel 1405 degli abati commendatari.Abbandonata dagli agostiniani, i commendataririuscirono comunque a traghettare il cenobio finoalle soglie del XIX secolo, quando i beni di Vezzolanofurono incamerati dal governo napoleonico. Pocopiù tardi, su ricorso del Comune di Albugnano, ilgoverno stesso costituì con una parte deipossedimenti il beneficio parrocchiale, mentre irimanenti beni – compreso il chiostro – furonomessi all’asta. Tale patrimonio fu donato nel 1927dalla proprietaria del tempo, Camilla Serafino,all’Accademia di Agricoltura di Torino, per essereceduto nel 1935 allo Stato italiano. La storia diVezzolano, infine, registrerà, seppur per brevetempo, la presenza di un gruppo di monacibenedettini dell’abbazia savonese di Finalpia, chevissero in questi antichi ambienti dal luglio 1969 algiugno 1971.Oggi la chiesa di Vezzolano accoglie il visitatore, ilturista e il fedele con la propria facciata solenne e

di Paolo Mira

Un luogo di cultoantichissimoe un patrimonioarchitettonicodi rilievo. Il complessodi Vezzolano incantail visitatore per labellezza e le leggendedi re e imperatorial cui nome è legato,secondo una tradizione,anche una variantelocale del tipicopiatto piemontesedella “bagna càuda”

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austera, scandita dai corsi regolaridei mattoni, che contrastano con lefasce in pietra arenaria, il tuttoimpreziosito, quasi fossero cammei,da veri e propri capolavori dellascultura romanica: la Madonna introno nella lunetta del portalemaggiore, Sant’Ambrogio in quellolaterale, i simboli degli Evangelisti,Gesù Cristo benedicente tra gliarcangeli Michele e Raffaele eancora gli angeli ceroferari e il busto

solenne di Dio padre nella parte sommitale. Ma sel’esterno attira l’attenzione e la curiosità, l’internolascia senza parole; la navata maggiore, all’altezzadella seconda campata, è attraversata da unelemento architettonico rarissimo in Italia: il pontile– o, per meglio dirla alla francese, lo jubé – unastruttura a cinque arcate gotiche sopra le quali sitrova un prezioso bassorilievo: nel registro inferiorele immagini ieratiche dei 35 patriarchi antenati della

Vergine, in quello superiore i simboli degliEvangelisti e le scene mariane della deposizione nelsepolcro, degli angeli che la solevano verso il cielo edell’incoronazione. Ancora più interessate è il fattoche questo prezioso manufatto sia stato realizzato –come recita la lunga iscrizione che lo percorre – nel1189, regnando Federico Barbarossa e sotto ilprevosto Vidone. L’interno dell’abbazia conservanumerose altre testimonianze artistiche: capitellifigurati, l’Annunciazione scolpita e incastonatanell’apertura centrale dell’abside, l’altare maggiorein cotto policromo realizzato alla fine delQuattrocento, che raffigura la Madonna col Bambinotra Sant’Agostino e un santo dalla lunga barba, chepresenta un personaggio inginocchiato in vestiregali. La critica ha identificato quest’ultimo in reCarlo VIII, di passaggio in queste terre nel 1494, ilcui nome è legato, secondo una tradizione, anche auna variante locale del tipico piatto piemontese della“bagna cauda”. Prima però di una sostaenogastronomica, non si può dimenticare di visitarela sala capitolare e il chiostro con importantiaffreschi, che vanno dalla fine del XIII alla fine del XIVsecolo. Tra essi il più curioso è quello della cappelladei Rivalba, diviso in quattro registri, che presenta ilCristo redentore tra i simboli degli Evangelisti,l’adorazione dei magi, l’episodio dell’incontro dei trevivi e dei tre morti – che la tradizione identifica con illeggendario episodio di Carlo Magno – e l’immaginedi un defunto in toga rossa. �g

Nelle foto: immagini

dell’Abbazia di Vezzolano

Vezzolano

Come arrivare a Vezzolano

L’abbazia di Vezzolano sorge in Comune di Albugnano(Asti). È raggiungibile da Asti percorrendo la Stataleper Chivasso (circa 30 km) fino al bivio per Albugnano. Uti-lizzando, invece, l’autostrada A21 Torino-Piacenza uscire aVillanova d’Asti, proseguire (circa 16 km) per Buttigliera,Castelnuovo Don Bosco e, quindi, Albugnano. È possibilevisitare il complesso monastico tutti i giorni, escluso illunedì. Orario invernale: 9.30-12.30, 14-17; estivo: 9-13,14-un’ora prima del tramonto. Ingresso gratuito. Serviziodi visite guidate per gruppi su prenotazione. Per informa-zioni chiamare il numero 011.9920607.Confinante con Albugnano è il Comune di Castelnuovo DonBosco, dove in frazione Becchi (oggi Colle Don Bosco), nel1815 nacque San Giovanni Bosco; meritano una visita ilsantuario, i musei e la casa natale del santo

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Un’occasione per incontrarsi. Ma ancheuna possibilità di tessere quelle reti diamicizia e fraternità che fanno sì che ilvangelo sia continuamente vissuto e tra-

mandato nelle vite di ogni giorno. Loro, gli assisten-ti dell’Azione cattolica italiana, hanno deciso divedersi dal 14 al 17 febbraio, presso la DomusMariae a Roma, per il Convegno nazionale degliassistenti regionali, diocesani e parrocchiali di Ac(sono invitati anche tutti gli altri sacerdoti interessa-ti). Rifletteranno sul mondo giovanile e la sua “setedi giustizia”, e sul conseguente impegno per la soli-darietà intergenerazionale anche, e soprattutto, inAc. Il convegno costituirà un’occasione preziosa pereffettuare, secondo lo specifico ministero sacerdo-tale, una riflessione condivisa su questo tema tantorilevante per tutta la Chiesa in Italia.Per don Armando Matteo, assistente della Fuci ecoordinatore del Collegio assistenti di Ac, «il prossi-mo Convegno, realizzato in collaborazione con laFuci, intende da una parte sviluppare l’ambito dellatradizione, secondo il metodo attuato al Convegno

ecclesiale di Verona, e interrogarsi dun-que sul tema della sempre più difficiletrasmissione della fede alle nuove gene-razioni; dall’altra si propone di dare unefficace riscontro all’indicazione delSanto Padre di una ricerca più intensadella “solidarietà e della giustizia interge-nerazionale”, premessa indispensabileper un paese davvero capace di propizia-re vita buona per tutti».«I giovani oggi sono pochi – continuadon Armando Matteo –, appena un setti-mo della popolazione nazionale, e questo

fa sì che la loro voce non sempre riesca ad attirarela giusta attenzione della comunità civile ed eccle-siale: gli assistenti sono perciò chiamati a farsicompagni di viaggio e promotori di un vero protago-nismo delle nuove generazioni. Oggi, non domani».Tra i relatori del Convegno si segnalano R. Grassi eM. Livi Bacci, ai quali si chiederà se si può essereesprimere una presenza attiva da parte dei giovaninella Chiesa e nel paese e G.C. Pagazzi, il quale ciaiuterà a discernere il profilo di un educatore all’al-tezza dei tempi. «Avremo ancora la gioia di incon-trare – conclude Matteo – e ascoltare don LuigiCiotti e padre Francesco Rossi De Gasperis, duecolonne della nostra Chiesa».Per mons. Sigalini, assistente generale dell’Ac,«l’importante è focalizzare l’attenzione sulla realtàgiovanile, vedendola come soggetto attivo che ha

Il prossimo Convegnonazionale degliassistenti di Ac, incalendario dal 14 al 17febbraio, cercherà diporsi sulla lunghezzad’onda delle nuovegenerazioni. La parolaa mons. DomenicoSigalini e donArmando Matteo

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I giovanihanno setedi giustizia

di Gianni Di Santo

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coscienza della propria situazione e chiede giustiziaper questo mondo. Una delle prospettive che ci pro-poniamo è quella di creare dei circuiti positivi dirisposta con l’intergenerazionalità. È naturale comel’Ac si presti a ciò. Lo abbiamo visto il 30 ottobre apiazza San Pietro: la creatività, l’impegno e la pas-

sione dei giovani si è fattacarico di tutta la manifesta-zione. Una festa, ricordo,dove c’erano anche gli adul-ti. E se quello che abbiamovisto è vero per il 30 ottobre,può essere vero anche pertutta la vita». Un impegno, quello degliassistenti, che viene seguitodall’associazione con grandeattenzione. La scorsa estateè stato pubblicato un libroedito dall’Ave, Un prete cheeduca. L’assistente di azione

cattolica: uomo di relazioni, esperto in umanità, acura di don Antonio Mastantuono, riflessione tuttoraseguita da un vasto pubblico di lettori. Ed è in usci-ta nelle librerie Un parroco si confessa. Domande erisposte sulla vita di un prete, sempre edito da Ave ea cura di Alberto Campoleoni: il libro presenta la vitaordinaria di un prete, parroco in città (si tratta di donMario Carminati – intervistato appunto daCampoleoni –, sacerdote della diocesi di Bergamo,con una lunga esperienza pastorale), tra mille impe-gni diversi da svolgere e l’esigenza di mantenereuno spazio per coltivare la propria “identità”. Neemerge uno spaccato genuino di vita, ordinaria erealista, senza trionfalismi ma con una tesi di fondo:si farà anche fatica, ma il ministero vale la pena. �g

Per ogni informazione sul Convegno:www.azionecattolica.it

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cIn alto la copertina del libro

edito dall’Ave che racconta la

vita di un prete

Si intitola Lavoro subìto la quinta Giornata della progettazione sociale, promossa da un pool di realtà giovanili attornoai temi dell’economia, del lavoro, delle realtà imprenditoriali e del passaggio dalla formazione alla vita professionale.

L’appuntamento si svolge a Roma (Domus Mariae) dal 14 al 16 gennaio ed è promosso da Movimento lavoratori di Ac, set-tore Giovani Ac, Movimento studenti Ac, Gioventù operaia cristiana e Giovani delle Acli. Nella giornata conclusiva è inse-rita la presentazione e premiazione dei progetti vincitori del bando 2011 di progettazione sociale.Il 21 gennaio si terrà a Roma il seminario dell’Istituto Toniolo sul messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace2011. L’11-12 febbraio, sempre a Roma, è previsto il convegno nazionale dell’Istituto Bachelet, mentre dall’11 al 13 l’Areafamiglia e vita dell’Azione cattolica italiana promuove a Terni l’incontro per fidanzati su Disegni di affettività. Il 14-17febbraio (vedi articolo), ancora a Roma, è in calendario il Convegno nazionale degli assistenti di Ac. Per tutte le informa-zioni su questi appuntamenti si può fare riferimento al sito associativo www.azionecattolica.it.

AssociazioneL’AGENDA DEI MESI DI GENNAIO E FEBBRAIO

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Avevano ragione gli storici francesi degliAnnales: le Storie, con la maiuscola, sipossono costruire solo partendo dalle pic-cole storie, dal farsi quotidiano della vita di

tutti i giorni. Il metodo degli Annales vale anche per ilvolume Laici e Vangelo in terre del Mezzogiorno. L’A-zione Cattolica di Aversa e della Campania tra cro-naca e storia (Editrice Ave, 2009, 344 pagine), diLuciano Orabona, storico del cristianesimo e presi-

dente diocesano dell’Azionecattolica per molti anni. Illibro ha il duplice merito dirappresentare la prima com-piuta storia non solo dell’A-zione cattolica ma del com-plessivo movimento cattolicoin quella terra e di far capirecome non solo dal centro sisiano irradiati stimoli e diret-tive ma come sia stato vero

anche l’inverso, nel senso che dalle esigenze realidel territorio siano venuti elementi di riflessione e didibattito. Orabona giustamente la prende dall’inizio, dallanascita «delle prime associazioni dell’Azione cattoli-ca» che risalgono ai tempi di Settimio Caracciolo,vescovo di Aversa dal 1911 al 1930, e analizza poi irapporti tra parrocchie, associazioni e consulta dio-cesana: ma le pagine che fanno capire meglio i rap-

porti profondi tra periferia e centro del mondo catto-lico sono quelle a partire dall’avvento al potere delfascismo e poi dalla seconda guerra mondiale. È proprio scorrendo quelle pagine che si comprendemeglio la storia delle violenze che le associazionicattoliche dovettero subire da una forma di potereche non ammetteva alternative. È da queste “micro-storie” che si può cogliere la verità di un cattolicesi-mo che non solo non fu servile verso il fascismo,come molti hanno sostenuto, ma non ebbe paura disostenere i propri princìpi di fraternità e solidarietàquando era pericoloso farlo.Anche le pagine dedicate alla guerra rappresentanoreali elementi di prova di come nonostante privazionie lutti, i cattolici si siano adoperati, fino al sacrificio,per alleviare le sofferenze di tutti, nessuno escluso.La “grande storia” non è mai assente nelle pagine diquesta ricostruzione fedele di quasi un secolo di vitanon solo cattolica: qui si parla anche del dopoguer-ra, della ricostruzione, delle possibilità di affermazio-ne delle nuove idee sociali cristiane da parte dei variDossetti, La Pira, Lazzati e dello scalpore che destò«il messaggio inviato dal Patriarca di Venezia cardi-nale Angelo Giuseppe Roncalli al congresso nazio-nale del Partito socialista italiano svoltosi nellacittà».

Luciano Orabona raccontain Laici e Vangelo in terre delMezzogiorno le vicendediocesane e regionalidell’Azione cattolica,inserite nel più ampio quadroassociativo nazionale e nellacronaca civile ed ecclesialedel Novecento

Aversa,la Campaniae un secolo

di storia dell’Acdi Marco Testi

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Nelle foto: due vedute della

città di Aversa

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Il ricordo di Orabona si fa talvolta commosso, quan-do ad esempio parla delle scelte operate tra la mili-tanza nell’associazionismo cristiano e l’attività politi-ca, degli incontri alla Camilluccia nell’ambito di corsidi studi politici con esponenti del mondo politico eculturale cattolico che si chiamavano De Gasperi,Guido Gonella, Enrico Medi. Le due storie, quella dei grandi eventi e quella di tuttii giorni, si intrecciano anche attraverso l’elaborazio-

ne culturale della periferia, come nel caso del perio-dico La Settimana, fondato nel 1964 per volontà delvescovo Cece, che tra l’altro si rivelò molto attento aicambiamenti epocali e alle ideologie del Novecento,tanto da misurarsi nei suoi interventi con esse alivello filosofico e sociale, con la difesa della spiritua-lità della persona contro le ideologie materialistiche.Anche le pagine dedicate al Concilio vaticano II sonodi grande interesse, perché lungi da tirare conclu-sioni facili e ripetute, ci fanno sentire il sapore realedel dibattito di allora e rivelano una analisi raffinatadei fatti, come quando l’autore nota che «il Concilioveniva considerato pericoloso da atei e anticlericaliper gli effetti che rischiava di produrre nella vita dellaChiesa»: in realtà una parte della stampa affrontò idibattiti all’interno del Concilio come la prova dellespaccature interne alla Chiesa e non della vitalità edella varietà della comunità ecclesiale.Storia del pianeta, del paese, dell’Azione cattolica estoria personale si fondono in una piacevole rico-struzione, come quando il professor Orabona ricordala sua partecipazione alle celebrazioni del centena-rio dell’associazione con un suo studio sulla spiri-tualità di Giuseppe Toniolo, o quando sottolineaalcune figure entrate, per motivi talvolta tragici, nellastoria dei conflitti del paese, in primis Vittorio Bache-let e la sua testimonianza convincente allorché siparlò di scelta religiosa dell’Azione cattolica: Bache-let sottolineò, proprio ad Aversa, la necessità di nonrinunciare ad annunziare il vangelo per testimoniaresoprattutto l’amore verso gli altri. Di molto altro si parla in questo ampio lavoro: di crisie di ripresa dell’associazione, di dibattito e di tempinuovi, ma soprattutto di quel fecondo processo diinterazione tra base e vertice che ha attraversato il«secolo breve» e che ha permesso al cristianesimodi attrezzarsi per affrontare le incognite del nuovoMillennio. �g

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Gesù,umano

di Armando Matteo

«L’uomo, infatti, avrà sempre deside-rio di sapere, almeno confusamen-te, quale sia il significato della suavita, della sua attività e della sua

morte. E la Chiesa, con la sua sola presenza nelmondo, gli richiama alla mente questi problemi. Masoltanto Dio, che ha creato l’uomo a sua immagine eche lo ha redento dal peccato, può offrire a tali pro-blemi una risposta pienamente adeguata; cose cheegli fa per mezzo della rivelazione compiuta nel Cri-sto, Figlio suo, che si è fatto uomo. Chiunque segueCristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo»(GS, 41).È questa la convinzione che guida la comunità deicredenti nel suo cammino nel tempo: il dovere diaccompagnare ogni uomo e donna della terra a unincontro personale con Gesù, proprio perché in lui èdato accesso a quella vita buona, la cui ricerca pulsanel cuore di ciascuno. Nella sua piena, perfetta,

umanità vi è, infatti, la possibilità, per cia-scuno, di scorgere i lineamenti originali eoriginanti della verità dell’umano, spessodivenuti opachi nella cultura contempora-nea. Questo è poi il punto di attrazione del Van-gelo: l’annuncio di un Dio che visita lanostra storia non attraverso i segni di unagloria potente e irresistibile, ma nella forzadisarmante di un bambino, di un giovane edi un adulto, che, inserendosi nelle vicendetravagliate di un piccolo popolo soggiogatodall’impero romano, in-segna la verità del-l’umano. Proprio in questa umanità di Gesù

i cristiani – più in verità ogni uomo e ogni donna –sono invitati a scoprire un modello felice per la loroesistenza. Quell’umanità è un modello felice, per-ché, diciamolo apertamente, non è mai stata unacosa da poco vivere bene, cioè in modo da non sen-tirsi insoddisfatti, tristi e (più recentemente) depres-si. Ogni volta, del resto, che siamo attraversati dadomande del tipo «E ora che faccio?», «Ora cosadico?», «Ora come mi comporto?», proprio tali inter-rogativi confermano la necessità di avere un model-lo, un riferimento, un metro di misura su cui potergiudicare le nostre decisioni e azioni. E il cristianesi-mo scommette esattamente nell’assumere Gesùquale modello di esistenza, quale guida per la vitaquotidiana e insuperabile interprete della sempreaffascinante e faticosa avventura della libertà. Per-ciò invita a diventare umani come Gesù. Nessuno havissuto più interamente, intensamente e consape-volmente di lui l’avventura dell’umano che siamo enessuno più di lui può svelarcene la grammatica. Ma come dire più precisamente questa pienezza diumanità in e di Gesù? Particolarmente affascinanterisulta quanto da alcuni anni propone il teologogesuita Christoph Theobald. Egli ravvisa in Gesù unaspeciale forma di santità: una “santità ospitale”. Conquesta espressione, intende segnalare una singola-re concordanza in Gesù tra i suoi gesti e le sue paro-le, tra ciò che vive nella sua anima e il suo stile dipresenza agli altri, un’unità elementare e semplicedel suo essere, una concordanza piena di e con séche si apre di volta in volta a coloro che gli si fannoincontro, nella sua missione di profeta itinerante.Egli appare perciò maestro buono, maestro che ha

1/L’incontro

È questo il miracolodell’incontro conil Signore: lapossibilità di unrapporto nuovo conse stessi, che implicaun’inedita relazionecon la creazionee la dimensione finaledell’esistere e cheapre a una manieranuova di abitareil mondo

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parole di vita eterna, proprio perché in lui si manife-sta una presenza al mondo riconciliata, sanata esanante. Questo splendore di vita perciò non diventaqualcosa che lo isoli dagli altri (è appunto santitàospitale): al contrario diventa un elemento di irradia-zione, in quanto avalla la possibilità che altri possanoconquistare un simile posizionamento nei confrontidell’esistenza stessa: possano appunto diventare“più uomini”. Incontrare Gesù significa, allora, risvegliare in noiquel desiderio di pienezza e quella pienezza deldesiderio, quel desiderio di riconciliazione e quellariconciliazione del desiderio, quell’anelito a una vitabuona che ci portiamo inscritto nelle fibre più intimedella nostra carne. E chi incontra veramente Gesù incontra più precisa-mente la verità della propria esistenza: cioè l’annun-cio di una presenza benedetta e benedicente di Diosu di sé – il Dio che Gesù invita a nominare comePadre – la quale autorizza a un pieno dispiegamentodi sé nel mondo, a un “traffico generoso” dei talentiche abbiamo ricevuto, in quanto Egli ci riconcilia conquel sentimento di paura e di terrore legati all’espe-rienza della finitezza e della morte. Theobald insiste molto su questo punto, perché ciòche Gesù suscita e desta in coloro che incontra è indefinitiva «un nuovo rapporto con la morte», resopossibile dall’annuncio della rivelazione di Dio comeAbba, che riesce a disarmare la morte – egli scrive –«come ultimo nemico della vita e la trasforma inmessaggero (o messaggera) capace di convincereciascun individuo del valore inestimabile della suaesistenza: se non ha che una sola vita, questo “unavolta per tutte” è la garanzia della sua unicità. Sol-tanto un’origine “paterna” – Dio padre – può portareil peso di questa buona novella. Colui che la intendepercepisce immediatamente la singolare novità cheè il suo semplice esistere tra la nascita e la morte». È questo il miracolo dell’incontro con il SignoreGesù: la possibilità di un rapporto nuovo con se stes-si, che implica un’inedita relazione con la creazionee la dimensione finale dell’esistere e che apre a unamaniera nuova di abitare il mondo, nella corrispon-denza libera all’unicità di ciascuno. �g

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In sintonia con gli Orientamenti Pastorali del prossimodecennio, Educare alla vita buona del Vangelo, la rubri-ca “perché credere”, affidata agli Assistenti centrali del-l’Azione cattolica, si propone di riflettere sullo stile educa-tivo di Gesù. Mettendo in risalto la felice prassi pedagogi-ca di Gesù, come emerge dai suoi numerosi incontri con gliuomini e le donne del suo tempo, gli assistenti ci aiuteran-no a stilare una piccola grammatica della relazione educa-tiva.Il percorso si avvia con un articolo di apertura dell’assi-stente della Fuci sulla pienezza di umanità che si manife-sta in Gesù.

“PERCHÈ CREDERE”: IL PERCORSO DI QUEST’ANNO

EDUCATORI, SULLO STILE DI GESÙ

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È SEMPRE TEMPO DI PACE

GENNAIO 2011: MESE DELLA PACE

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