selvicoltura generale
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Corso per “Addetti al settore forestale”
- SELVICOLTURA GENERALE -
A cura del Dott. Michele Colangelo
La selvicoltura è un settore nell’ambito delle Scienze Forestali che si occupa di studiare la tecnica
dell’impianto, dell’utilizzazione e della rinnovazione dei boschi (A. De Philippis 1960).
In pratica la selvicoltura (dal latino “silva”, bosco o foresta e “coltura”, coltivare) rappresenta la scienza
e la pratica di coltivare i boschi, applicando i principi dell’ecologia forestale all’impianto, alla
rinnovazione e a razionali interventi per condizionare la struttura, la composizione, ecc, dei popolamenti
forestali (P. Piussi 1980).
In altre parole (secondo Smith, 1986) non è altro che la scienza che modifica le caratteristiche dei
popolamenti forestali in funzione degli scopi della gestione, dunque rappresenta lo strumento di
conciliazione tra esigenze ecologiche della foresta e le esigenze economiche e sociali.
L’obiettivo della selvicoltura è quello di ottenere una continuità della produzione legnosa e una sua
razionalizzazione nel tempo attraverso una serie di interventi dell’uomo che si possono interpretare come
manipolazioni dell’ambiente naturale.
I mezzi della selvicoltura
Il principale strumento tecnico con cui la selvicoltura agisce sul bosco é costituito dall'eliminazione di
alcune piante (alberi, ma anche arbusti od erbe) così da favorire la crescita di altre piante. In alcuni casi
invece la selvicoltura ricorre all'impianto di alberi, come avviene per i rimboschimenti o per la
rinnovazione artificiale.
Con questi interventi sono simulati dei processi - natalità e mortalità - che avvengono naturalmente nelle
popolazioni.
I mezzi della selvicoltura sono quindi imitazioni di processi naturali che "forzano" l'ecosistema in
funzione delle esigenze produttive o dei servizi richiesti.
Il bosco
Esistono diverse definizioni di bosco, il termine varia a seconda che venga impiegato in senso ecologico e
fisiologico oppure giuridico, fiscale, ecc.
Secondo l’ ISTAT per bosco si intende un terreno di superficie non inferiore a mezzo ettaro in cui
vengono piantate legnose forestali, arboree o arbustive, determinanti a maturazione una copertura del
suolo superiore al 50%.
Per l’ I.F.N. (Inventario Forestale Nazionale) è un tratto di terreno di almeno 2000 m2 coperto per almeno
il 20% di alberi o arbusti.
La FAO intende per bosco qualsiasi formazione arborea in cui almeno il 10-20% della superficie sia
coperto da chiome.
Per bosco in senso ecologico si intende una struttura in cui alberi e/o arbusti sono i membri di un’intera
comunità vivente legata in complessi rapporti di scambio con altre specie animali o vegetali, organizzati
in 4-5 livelli (produttori, consumatori, decompositori).
Il bosco è pertanto un ecosistema completo e dotato di notevoli complessità.
Funzioni del bosco
Sin dall’antichità erano stati riconosciuti alla foresta utilità di diversa natura, riconducibili essenzialmente
a tre funzioni:
1. la funzione produttiva (legname da opera, da industria, legna da ardere e da carbone; resine;
frutti; funghi, foglie, ecc.);
2. la funzione protettiva e tutelare del suolo e delle installazioni o più generalmente degli interessi
creati dall’uomo, attraverso l’azione regimante delle acque, la difesa dall’erosione, dalle frane,
dalle valanghe, dal vento ecc.;
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3. la funzione turistico-ricreativa e di salvaguardia dell’ambiente naturale, esplicata dal bosco in
forme e con gradi diversi di intensità secondo i suoi caratteri, la sua estensione e distribuzione.
Funzioni, queste, ribadite e amplificate con la Legge Forestale del 1923 (Regio Decreto n. 3267) che
riconosce il ruolo protettivo del bosco contro l’erosione del suolo e i pericoli naturali oltre a stabilire
l’importante vincolo idrogeologico.
È anche compito della selvicoltura di trarre dal bosco, nella massima misura possibile, tutti questi servigi
di diversa natura, il cui rendimento è sempre e comunque legato al grado di efficienza del popolamento.
Condizione imprescindibile al successo di questa attività è perciò la conservazione dell’equilibrio tra il
bosco e l’ambiente ecologico che lo ospita.
Funzione produttiva
Questa funzione ha mantenuto lungo i secoli più o meno intatta la propria importanza grazie alla duttilità
nell’uso del legno, mutato più volte attraverso il tempo anche perché la materia prima ha trovato anche
nuovi sbocchi (per esempio per l’estrazione della cellulosa). Nelle utilizzazioni boschive, pertanto, è
importante dare al legname la più conveniente destinazione.
A seconda dell’impiego, il legno si distingue in tre categorie e cioè: combustibile, da opera in genere e da
industria.
Combustibile - Nella categoria del combustibile sono compresi la legna da ardere vera e propria allestita
in tondelli, squarti, ciocchi, e fascine ed il carbone vegetale ottenuto per la trasformazione del legno nelle
comuni carbonaie, la trasformazione dei residui in pellets o cippato, ecc.
Può essere impiegato tanto per riscaldamento che per produzione di energia in genere ed anche per scopi
industriali così da poter affermare che l’impiego dei combustibili vegetali per riscaldamento è quello di
più larga applicazione.
Legname da opera - Il legname con destinazione diversa da quella di combustibile può essere allestito in
tre modi e, cioè, allo stato tondo con o senza corteccia, squadrato con l’ascia a spigolo vivo o smussato e
segato. Si distingue in legname da costruzione, legname da lavoro e legname per usi industriali.
Legname da costruzione - Comprende tutti gli assortimenti che vengono messi in opera allo stato
tondo, squadrato e segato nelle costruzioni edilizie, stradali, ferroviarie, idrauliche, navali, minerarie, in
agricoltura.
Legname da lavoro - Chiamato generalmente anche da opera, è costituito da quegli assortimenti
grezzi o semilavorati che, anziché essere posti in opera nello stato in cui furono allestiti, vengono
sottoposti ad ulteriore lavorazione da parte del mobiliere, del carradore, del tornitore, dell’intagliatore, del
bottaio, del falegname, del cestaio, dell’artigiano in genere. Per corrispondere alle necessità dell’impiego,
il legname viene sottoposto a segagione per ricavarne tavoloni, tavole, tavolette, assicelle, scurette,
listelli, scandole, ecc.
Per la preparazione di un determinato prodotto finito si richiede l’impiego di speciali assortimenti e di
legname di specie appropriate avente, di solito, un elevato grado di stagionatura oppure dopo aver subito
particolari trattamenti (es. vaporizzazione).
A differenza di quanto avviene per il legname da costruzione, quello da lavoro viene tratto, non soltanto
dal fusto ed eventualmente dai grossi rami (traverse ferroviarie), ma altresì dai polloni, dal ceppo e anche
dalle radici (noce, acero, ecc.) che forniscono legname di ceppaia assai ricercato dal mobiliere per le
marezzature di cui è dotato.
Legname da industria - Comprende tutti i legnami che, nel processo applicativo, cedono alcune
delle sostanze in essi contenute oppure subiscono una trasformazione fisico-chimica più o meno profonda
come quelli impiegati dalle industrie concianti, tintorie, medicinali, della pasta meccanica, della cellulosa,
della saccarificazione, della distillazione, della potassa, ecc.
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Funzione protettiva
I boschi esplicano anche la funzione protettiva e tutelare del suolo e delle installazioni o più generalmente
degli interessi creati dall’uomo, attraverso l’azione regimante delle acque, la difesa dall’erosione, dalle
frane, dalle valanghe, dal vento ecc.
La principale attività si verifica nell’intercettazione della pioggia per mezzo degli apparati fogliari degli
alberi e del sottobosco. Infatti gli apparati fogliari acquistano per contro grande importanza nella
riduzione della forza viva delle gocce di acqua, eccezionalmente elevata durante le piogge intense. Lungo
le pendici ben rivestite di bosco, gli ostacoli frapposti dalla vegetazione abbassano inoltre la velocità del
deflusso superficiale a ¼ di quella che si avrebbe sullo stesso pendio denudato diminuendo l’energia
erosiva che si potrebbe sviluppare nei terreni nudi.
Queste considerazioni possono in parte spiegare perché nei boschi efficienti l’erosione superficiale sia
scarsa o nulla e perché, all’inverso, raggiunga valori più o meno forti non soltanto nei terreni agrari mal
sistemati o lasciati incustoditi, ma anche nei boschi eccessivamente diradati.
Funzione turistico-ricreativa e di salvaguardia dell'ambiente naturale
Questa funzione ha assunto solo negli ultimi decenni una importanza tale da potersi porre allo stesso
livello delle due precedenti. L’attuale civiltà industriale e post-industriale, creando all’uomo condizioni di
vita sempre più innaturali nei centri urbani, ha rivalorizzato agli effetti dell’equilibrio psichico e fisico
della società contemporanea i servigi che il bosco può rendere.
Gli Stati Uniti sono stati decisamente i precursori in materia di ricreazione all’aperto e di educazione
naturalistica del pubblico portando all’istituzione di parchi naturali (il primo parco sorse già nel 1872 a
Yellowstone, in Italia il Parco Naz. del Gran Paradiso 1922).
Da allora le foreste dei parchi sono state gestite come se fossero boschi vergini, lasciando per esempio
marcire gli alberi che per decrepitezza cadevano a terra e intervenendo solo con prudenti misure (per
esempio lotta contro gli insetti parassiti) a mitigare certi scompensi biologici.
Il punto fondamentale legato all’attività turistica è stabilire in quale misura e con quali modalità,
indipendentemente dai benefici economici diretti, il turismo può essere ammesso in foresta senza
comprometterne l’esistenza e senza diminuirne troppo la funzionalità tutelare e produttiva.
Volendo concludere il quadro delle molteplici funzioni che il bosco esplica ecco sintetizzate le altre
funzioni accessorie, ma non per questo di minore importanza, che hanno i complessi forestali:
- Funzione sociale - Fonte di lavoro e di reddito e benessere per i lavoratori addetti al settore legno
- Difesa e conservazione del patrimonio genetico e della sua variabilità – Conservazione e
protezione dei peculiari popolamenti animali e vegetali.
- Habibat specializzato per animali e piante e mantenimento di ecosistemi forestali tipici
- Funzione di monitoraggio ambientale e bioindicazione della qualità dell’ambiente - Funzione igienico sanitaria o ambientale - Comprende:
- la regolazione dell'equilibrio O2/CO2 (ossigeno/anidride carbonica),
- filtro e abbattimento degli inquinanti gassosi
- depurazione biologica con emissione di sostanze battericide o fungicide.
- abbattimento dell'inquinamento acustico
- depurazine delle acque.
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Il clima
Per clima si intende l’insieme di fenomeni meteorologici che caratterizzano una data regione geografica.
Esso si può definire anche come: “la sintesi della probabilità di distribuzione di tutti gli elementi che
determinano il tempo atmosferico”. Tale elemento è di fondamentale importanza per l’inquadramento dei
climi italiani in relazione alle esigenze della selvicoltura; a tale scopo viene usualmente impiegata la
classificazione fitoclimatica di Pavari (1916) la quale distingue cinque zone definite da limiti termici dove
entro ogni zona vengono create, sempre in base alla temperatura, delle sottozone.
Lauretum (sottozone: calda, media, fredda): la temperatura media annua è compresa tra 12 e 23°C. La
zona è caratterizzata, nel bacino del Mediterraneo, da piogge concentrate nel periodo autunno-invernale e
da siccità estiva più o meno prolungata. La sua estensione corrisponde, grosso modo, a quella della
vegetazione sempreverde della fascia costiera dei paesi che circondano il Mediterraneo, rappresentata da
boschi e arbusteti (macchie) di specie più o meno xerofile e termofile. È l’area di vegetazione dell’olivo e,
tra le conifere spontanee, del pino d’Aleppo, del cipresso, del pino domestico e del pino marittimo: essa
interessa buona parte del territorio peninsulare e insulare italiano, fino ad altitudini di 400-500 m nel
Centro-Nord, di 600-700 m nel Centro-Sud e di 800-900 m nell’estremo sud e nelle isole.
Castanetum (sottozone: calda e fredda): le caratteristiche termiche della zona sono: temperatura media
annua compresa tra 10 e 15°C. Pur non essendo infrequenti siccità estive più o meno prolungate, la
quantità e la distribuzione stagionale delle piogge sono generalmente più favorevoli alla produzione
legnosa rispetto alla zona del Lauretum. La vegetazione forestale è principalmente costituita da querce
caducifoglie e da castagno; è inoltre caratterizzata dall’assenza pressoché totale di conifere spontanee,
sebbene frequente sia la presenza di quelle dei piani superiore e inferiore. Questa zona occupa gran parte
della bassa e media montagna prealpina ed appenninica e tutta la pianura padana.
Fagetum (sottozone: calda e fredda): questa zona è caratterizzata da una temperatura media annua
compresa tra 6 e 12°. La temperatura costituisce, nel Fagetum, il principale fattore limitante la produzione
legnosa. Le disponibilità idriche sono generalmente abbondanti (precipitazioni copiose e presenti anche
d’estate, umidità atmosferica elevata), tanto che le specie caratteristiche della zona (faggio, alcune querce,
abete bianco, ecc.) sono per lo più specie mesofite o addirittura igrofile. Questa zona si estende sulle Alpi
e sull’Appennino settentrionale da 700-900 a 1200 m, sull’Appennino centrale da 800-1000 a 1500 m e
sull’Appennino meridionale da 1000-1200 a 1700 m.
Picetum (sottozone: calda e fredda): le caratteristiche termiche sono: temperatura media annua compresa
tra 3 e 6°. Le precipitazioni sono sempre abbondanti. È la zona delle conifere d’alta montagna, che
presenta, oltre a vaste formazioni boschive di picea, larice, pino silvestre e pino cembro, notevoli
estensioni di pascoli permanenti.
Alpinetum: questa zona è caratterizzata da
una temperatura media annua oscillante
intorno a 2°C e da una media delle minime
assolute annue anche inferiore a -40°C. Non
si riscontrano veri boschi di alto fusto, ma
gruppi di specie microterme quali pino
mugo, pino cembro, larice, picea, betulla,
ontano verde, salici, rododendri, per lo più in
forme contorte, basse o striscianti, alternati a
pascoli di alta quota. Più in alto, le ultime
forme di vegetazione lasciano
progressivamente il posto alle rocce nude,
alle nevi persistenti e ai ghiacciai.
Le zone fitoclimatiche di Pavari in Italia
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Selvicoltura: termini tecnici e definizioni
Riportiamo qui in seguito alcuni termini fondamentali in selvicoltura con le relative definizioni.
Stazione forestale: ambiente biofisico in cui il popolamento forestale vive, E’ la risultante
dell’interazione dei diversi fattori ecologici che caratterizzano il luogo dove vive un popolamento
forestale (fatt. abiotici e biotici, es: topografia, luce, umidità, calore, suolo, fauna, vegetazione, ecc)
Rimboschimento: foresta impiantata artificialmente su terreni precedentemente ricoperti da bosco,
spesso con mutamento di specie.
Imboschimento: foresta stabilita artificialmente su
terreno su cui non c’era in precedenza il bosco.
Arboricoltura da legno: ha per oggetto la coltivazione di
un semplice insieme di alberi a carattere temporaneo e
reversibile, con la sola finalità di ottimizzare la
produzione di legno. (Fig: pioppeto da arboricoltura da
legno)
Turno: è la lunghezza del ciclo colturale della fustaia
coetanea, è pari al numero di anni necessari al
popolamento per raggiungere la maturità economica.
Struttura: è il modo con cui le parti di una comunità si
distribuiscono nello spazio e nel tempo.
STRUTTURA SPAZIALE:
Struttura verticale o stratificazione: modo di
distribuzione nello spazio verticale in strati a
diversa altezza, dipende dalla compresenza di
specie con diverse esigenze, con differenti modi di
utilizzare l’energia luminosa e anche dai rapporti di competizione.
Struttura orizzontale o tessitura: consiste nel modo di raggrupparsi o distanziarsi tra loro degli
alberi nello spazio orizzontale, dipende: dai meccanismi di propagazione (disseminazione,
moltiplicazione vegetativa); dalle vicende naturali (afflusso di luce, acqua); dalle utilizzazioni
delle attività umane.
Quindi per struttura si intende l’organizzazione spaziale delle componenti dell’ecosistema forestale. La
sezione orizzontale studia la dispersione, che può essere:
Regolare
Aggregata: è la migliore delle forme in cui c’è appunto una sorta di unione e si occupa
meglio lo spazio;
Casuale: si può quantificare e stabilire la distribuzione.
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Nella sezione verticale si evidenzia, invece, la distribuzione delle chiome e quindi i rapporti di
concorrenza.
Le strutture verticali possono essere:
A. Uniforme monoplana:
individui con chioma alla stessa altezza che
formano un evidente strato orizzontale
(questa struttura è tipica di fustaie trattate a
taglio raso o boschi invecchiati);
B. Biplana: struttura verticale costituita
da due piani distinti (tipica di vecchio
soprassuolo sotto la cui copertura si
sviluppa un nuovo popolamento);
C. Pluriplana stratificata:
struttura verticale articolata su più piani o
strati ben visibili (tipica dei soprassuoli
disetanei o nei boschi d’alta quota).
Struttura per età:
Coetaneo: bosco con alberi della stessa
età o nati a breve distanza di tempo;
N = numero di alberi
Diametro
N
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Disetaneo: bosco con tutte le classi di età presenti.
(Fustaia disetanea di abete rosso e abete bianco in Trentino)
STADI EVOLUTIVI: nel corso della
vita di un soprassuolo arboreo, dal
momento del suo insediamento fino al
momento del taglio di maturità,
l’accrescimento degli alberi determina
l’occupazione totale dello spazio a
disposizione delle chiome. Il
soprassuolo acquista quindi una
determinata struttura verticale la quale
si evolve attraverso il tempo (sviluppo
del soprassuolo) e dà luogo a diversi
stadi evolutivi, ciascuno dei quali è
caratterizzato da caratteri dimensionali,
organizzazione spaziale, condizioni di
accrescimento e, di conseguenza,
problemi colturali suoi propri.
-Fig: stadi evolutivi di un soprassuolo
coetaneo e distribuz. (esemplificativa)
dei diametri (fonte Piussi):
a) Novelleto 2m circa
b) Spessina 8-10m
c) Perticaia 15-20m
d) Fustaia
N = numero di alberi
Diametro
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a) L’insediamento del novellame su un’ampia superficie entro un breve periodo di tempo dà origine
ad un popolamento – novelleto, oppure posticcia se di origine artificiale – formato da individui
con chioma che riveste completamente il tronco, fusto sottile ed elastico, accrescimento
longitudinale progressivamente crescente. In questa fase le singole piante, le cui chiome spesso, e
soprattutto nella fase iniziale, non sono a contatto, possono subire la concorrenza della
vegetazione erbacea ed arbustiva, il morso degli animali domestici al pascolo o i danni causati
dalla selvaggina ecc. Queste condizioni cessano gradualmente allorché le piante raggiungono
l’altezza di 2 m circa.
b) Dal momento in cui le chiome giungono a contatto tra di loro e le cime si sono innalzate il
popolamento entra nello stadio di spessina. Solo la cima ed una parte dei rami laterali di alcune
piante riescono ad emergere dalla massa in cui è immersa la maggior parte degli alberi. Nella fase
di spessina le condizioni di concorrenza intraspecifica si fanno rapidamente molto forti, in quanto
le differenze di accrescimento in altezza si traducono in una diversa disponibilità di luce: si può
riconoscere pertanto una posizione sociale degli alberi. Ne consegue un aumento della mortalità a
spese degli individui meno favoriti: in questo stadio la riduzione numerica degli alberi è molto
marcata
Lo stadio di spessina si protrae fino al momento in cui, in seguito al graduale disseccamento dei
rami inferiori e, successivamente, al loro eventuale distacco (autopotatura) si crea una chiara
distinzione tra lo spazio occupato dalle chiome e quello occupato dai soli tronchi, così che diventa
possibile percorrere il bosco senza incontrare l’ostacolo dei rami. A questo punto l’altezza del
soprassuolo si aggira intorno agli 8-10 m, di cui la metà superiore è occupata dalla chioma verde,
ed il diametro degli alberi dominanti raggiunge i 10 cm.
c) Allo stadio di spessina segue quello di perticaia: il piano dominante si sposta da 8-10 m ai 15-20
m, in relazione anche alla specie legnosa ed alla fertilità della stazione, l’incremento diametrale e
quello longitudinale sono ancora forti. La concorrenza tra gli alberi si è ridotta dopo la forte
mortalità della fase precedente ed è manifesta la differenziazione sociale espressa da un
soprassuolo dominante ed uno dominato.
d) Con la riduzione dell’accrescimento longitudinale prima e di quello diametrale poi, nello stadio di
fustaia (o soprassuolo adulto), si riduce e poi si arresta il processo di differenziazione sociale e
quindi la concorrenza. Al suolo perviene una maggior quantità di luce e le specie erbacee possono
occupare una superficie rilevante del suolo. La mortalità naturale è assai più ridotta che non negli
stadi precedenti ed è imputabile a fattori di origine biotica (insetti, funghi) ed abiotica (vento,
neve, fulmine); di conseguenza la selezione non opera più su una classe specifica di alberi.
Grado di copertura: si riferisce all’intensità di copertura esercitata dalle chiome dello strato dominante e
dello strato dominato. È dato dal rapporto tra la somma delle superfici di proiezione orizzontale delle
chiome e la superficie dell’area di saggio.
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Tipi di copertura e caratteri distintivi
Colma: chiome appressate, si toccano, si compenetrano tanto da assumere conformazione
irregolare, asimmetria e sviluppo ridotto.
Regolare: continua, senza vuoti o interruzioni rilevanti.
Leggera: chiome non si toccano ma non vi sono varchi nella copertura che consentano sviluppo di
altre chiome.
Aperta: chiome non si toccano, ma esistono interspazi che consentono sviluppo chioma nuovi
individui.
Rada: chiome distanziate, consentono sviluppo piccoli gruppi di alberi.
Isolata: chiome isolate e separate.
Rinnovazione: la rinnovazione consiste nella successione di generazioni di alberi talvolta combinata a
successione di specie. Le condizioni che influenzano la rinnovazione sono: la fioritura, il tipo
d’impollinazione, la fruttificazione, la disseminazione, la quantità di seme, ecc.
Le fasi della rinnovazione sono:
- produzione di seme;
- disseminazione;
- sopravvivenza del seme;
- nascita plantale (cessazione, dormienza, germinazione, emergenza);
- decrescimento plantale;
- mortalità.
La rinnovazione può essere naturale o artificiale. La rinnovazione è di origine naturale quando le nuove
piante compaiono in seguito a disseminazione naturale o da polloni sorti da ceppaie preesistenti, mentre è
artificiale quando la nuova generazione di piante viene introdotta dall’uomo mediante una semina o la
messa a dimora di piantine prodotte in vivaio che in alcuni casi possono essere ottenute per propagazione
vegetativa.
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La rinnovazione naturale assicura in genere una copertura permanente del terreno e quindi un
collegamento più efficace tra due generazioni successive di alberi. In tal modo si stabilizza anche il
microclima a livello del suolo, con conseguenze favorevoli per l’attività biotica. Le piantine nate da seme
possiedono un apparato radicale più vigoroso e maggiormente sviluppato in profondità, a differenza delle
piantine allevate in vivaio che, al momento dell’estrazione per essere poste a dimora, subiscono
inevitabilmente delle mutilazioni. Un ulteriore vantaggio della rinnovazione naturale è costituito dal fatto
che non richiede i costi necessari per i lavori di raccolta del seme, di allevamento in vivaio e di
rimboschimento.
A favore della rinnovazione artificiale si possono addurre invece altri argomenti. La messa a dimora di
piantine ormai affermate elimina i numerosi rischi esistenti nelle fasi di fioritura, fruttificazione,
disseminazione, permanenza del seme al suolo prima della germinazione, e poi nascita ed accrescimento
iniziale. Mediante la rinnovazione artificiale viene quindi abbreviato il periodo di rinnovazione, anche
perché si elimina la dipendenza dalle annate di pasciona che, in alcuni tipi di bosco, sono notevolmente
distanziate. La rinnovazione artificiale, soprattutto se effettuata mediante piantagioni, consente di regolare
opportunamente la densità così che non sono necessari gli sfolli e sono resi più facili i diserbi ed i
decespugliamenti la cui esecuzione può essere talvolta eseguita con mezzi meccanici.
Classificazioni arboree: sono state elaborate delle classificazioni arboree con lo scopo di fornire una
descrizione chiara ed obiettiva dei singoli individui che formano un soprassuolo e del bosco nel suo
insieme.
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La classificazione arborea più largamente impiegata è stata elaborata da Kraft nel 1884. gli alberi
vengono valutati a seconda della loro posizione rispetto agli alberi vicini e dei caratteri della chioma
che sono in parte una conseguenza della posizione sociale.
1. Alberi predominanti, con chioma eccezionalmente vigorosa.
2. Alberi dominanti, con chioma normalmente sviluppata; questi costituiscono la
maggior parte del soprassuolo principale (e quindi sono il termine di riferimento
per le altre classi).
3. Alberi scarsamente codominanti, con chioma di forma naturale, ma non
completamente sviluppata, ristretta, spesso con qualche sintomo degenerativo
(apici marginali secchi, rami angolosi).
4. Alberi dominati con chioma più o meno ridotta, compressa perifericamente o
bilateralmente, o a sviluppo unilaterale. Gli alberi dominati possono essere
interposti, con chioma compressa dalle vicine ma non compenetrata con esse e
parzialmente sottoposti con chioma libera superiormente, compenetrata con le
vicine, o secca nella parte inferiore.
5. Alberi completamente sottostanti con chioma ancora vivente oppure morta o
moribonda.
Le prime tre classi fanno parte del soprassuolo principale, le altre due del soprassuolo
accessorio.
(Copertura del suolo)
(Arbusti) (Dominati)
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I sistemi selvicolturali
Per sistema selvicolturale si intende l’insieme delle operazioni attuate per la coltivazione, l’utilizzazione e
la rinnovazione del bosco.
Gli interventi sul bosco sfruttano i meccanismi di propagazione delle piante per la rinnovazione del
soprassuolo. Il meccanismo di propagazione scelto definisce la forma di governo del bosco:
il governo a ceduo è quello per cui si fa ricorso alla formazione di un nuovo soprassuolo tramite
polloni prodotti da gemme (propagazione vegetativa),
si parla di governo a fustaia quando il soprassuolo è formato da piante nate da seme
(propagazione sessuata).
La rinnovazione da seme consente la comparsa di nuovi genotipi che possono adattarsi a stazioni nuove
oppure a mutamenti dell’ambiente che si verificano in un dato luogo mentre la rinnovazione agamica
consente la conservazione di un genotipo che si è rivelato particolare adatto ad una determinata stazione.
Si indica con ceduo composto un bosco in cui coesistono sulla stessa superficie il ceduo e la
fustaia. La rinnovazione è di origine naturale quando le nuove piante compaiono in seguito a
disseminazione naturale o da polloni sorti da ceppaie preesistenti, mentre è artificiale quando la
nuova generazione di piante viene introdotta dall’uomo mediante una semina o la messa a dimora
di piantine prodotte in vivaio che in alcuni casi possono essere ottenute per propagazione
vegetativa.
Una delle principali conseguenze della manipolazione della foresta è la trasformazione della struttura
spaziale del bosco, in modo da organizzare la distribuzione delle chiome degli alberi secondo modelli
funzionali all’economia umana.
Con i tagli di rinnovazione si tende a regolare la concorrenza fra piante di dimensioni ed età molto
diverse: gli alberi che appartendgono ad una generazione vecchia vengono allontanati per consentire
l’affermazione di una nuova generazione di alberi che occuperà il terreno lasciato libero.
Con i tagli intercalari, eseguiti in popolamenti giovani per i quali non ci si propone ancora la
rinnovazione, si abbattono alcuni alberi in modo da consentire ai rimanenti di occupare lo spazio così
creato e quindi di appropriarsi di una maggiore quantità di risorse.
Il governo a fustaia
Taglio raso
Con taglio raso s’intende la
forma di trattamento
mediante la quale il taglio di
maturità viene eseguito con
l’abbattimento di tutte le
piante presenti su una
determinata superficie. La
rinnovazione può essere
naturale, artificiale o
combinata.
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Modalità esecutive
Nell’applicazione del taglio raso non è necessaria un'indicazione preliminare delle piante che verranno
tagliate, in quanto vengono abbattuti tutti gli alberi compresi entro i confini della tagliata, ossia della
superficie di terreno su cui si trova il soprassuolo sottoposto al taglio, mentre devono essere indicati con
attenzione i margini della tagliata stessa.
Alcuni problemi sorgono invece per la definizione delle caratteristiche di estensione, forma ed
orientamento della tagliata e per l’indicazione dei confini. L’estensione della tagliata non dipende solo da
considerazioni economiche, ma anche ecologiche, in particolare quando si desidera utilizzare la
rinnovazione naturale.
Si indica con taglio raso di piccola superficie un taglio di
superficie inferiore ad 1 ha. Quando la superficie interessata dal
taglio ha un lato pari o inferiore a 1-1,5 volte l’altezza delle
piante dominanti circostanti e quindi non supera i 1000-1500
m2 si parla di taglio a buche (fig a destra).
Nelle zone di montagna il taglio raso può facilmente
determinare fenomeni erosivi per evitare i quali è opportuno
limitare la superficie della tagliata e darle una forma allungata
con il lato maggiore disposto lungo le isoipse (curve di livello).
Tuttavia una tagliata disposta in questo modo risulta essere
inadatta quando l’esbosco viene eseguito per gravità o con
teleferiche, e comunque in zone scarsamente servite da strade di
servizio; l’applicazione di tali metodi è invece resa più facile da
tagliate di forma allungata disposte lungo le linee di massima pendenza.
Le modifiche arrecate dal taglio raso alla compattezza del soprassuolo rendono instabili i margini del
bosco adulto che delimita la tagliata per l’azione del vento.
Per questo motivo si è proposto di eseguire alcuni anni
prima del taglio un taglio d’isolamento (fig. a sinistra) di
10-15 m di larghezza lungo quello che sarà il limite della
tagliata. L’esecuzione di questo taglio è solo raramente
realizzabile data la difficoltà di fare previsioni di
trattamento di così lungo periodo. È più facile utilizzare
come limiti della tagliata delle aperture create per altri
motivi (ad esempio strade). In assenza di queste è
necessario definire il limite della tagliata in modo tale che
le piante del soprassuolo adulto che si troveranno
bruscamente isolate siano particolarmente robuste:
individui dominanti, con basso rapporto di snellezza,
chiome sviluppate in profondità, buone condizioni di
salute, specie con apparati radicali profondi.
Nelle zone in cui sia nota la direzione da cui provengono i
venti dominanti è opportuno assicurare alla tagliata la
protezione sopravvento del soprassuolo adulto e, nel caso
di più tagli rasi da applicare a breve distanza di tempo,
eseguire i tagli in una sequenza spaziale diretta
controvento.
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Quando non sussiste il pericolo di venti prevalenti, nel programmare i tagli è opportuno fare in modo che
le singole tagliate non si trovino a contatto con altre tagliate recenti, ma siano circondate da soprassuoli
sufficientemente alti, in modo da evitare la formazione di condizioni ambientali, soprattutto nei riguardi
del vento, sfavorevoli alla vita delle giovani piante. Per sfruttare le condizioni più favorevoli di
disseminazione e di microclima in vicinanza del margine il taglio raso può venire condotto lungo margini
(tagli a orlo), ossia superfici dell’ampiezza di qualche decina di metri e lunghe talvolta qualche centinaio
di metri.
La rinnovazione della tagliata può avvenire per via naturale oppure artificiale. la rinnovazione naturale
viene assicurata dal seme caduto dalle piante che si trovano lungo i margini (disseminazione laterale)
oppure da quelle che cadono al taglio e che, di conseguenza, hanno disseminato prima di venire abbattute.
La disseminazione laterale è efficace soprattutto lungo una striscia di terreno di ampiezza limitata (30-50
m); al crescere della distanza dal margine diminuisce la quantità di seme che giunge al suolo.
Per questo motivo si è adottato in alcuni casi il taglio
raso con riserve: al momento del taglio vengono
riservati alcuni alberi regolarmente distribuiti sulla
superficie affinché possano disseminare all’intorno.
Tuttavia le riserve, bruscamente isolate, vengono
spesso facilmente sradicate dal vento.
I margini delle tagliate sono spesso stazioni predilette
dal novellame; qui perviene una maggiore quantità di
seme, e anche le condizioni di crescita sono più
favorevoli di quelle che si hanno all’interno del bosco,
dove il soprassuolo adulto esercita una forte
concorrenza, o di quelle che si hanno all’interno della
tagliata dove la concorrenza viene esercitata dalla vegetazione erbacea. In determinate situazioni al
momento del taglio raso vengono risparmiati alcuni alberi affinché possano continuare il loro
accrescimento durante tutto il secondo ciclo produttivo. In questo modo è possibile ottenere fusti di
dimensioni fuori dal comune che possono essere destinati ad impieghi particolari (travature di grandi
edifici).
Vantaggi e svantaggi del taglio raso
Gli svantaggi di questa forma di trattamento sono costituiti soprattutto dai problemi di ordine ambientale
che esso determina: possibilità di erosione, irregolarità nel ciclo dell’acqua, perdite di nutrienti, disturbo
alla fauna. I soprassuoli nati da taglio raso sono usualmente monoplani e possono essere danneggiati, in
particolare nello stadio di perticaia e di fustaia, dal vento e dalla neve. Se i margini delle tagliate sono
costituiti da soprassuoli adulti i cui margini non siano protetti da alberi cresciuti da lungo tempo isolati, le
piante che si trovano esposte a mezzogiorno subiscono facilmente scottature al tronco da parte della
radiazione solare.
Esso tuttavia offre anche alcuni vantaggi che sono prevalentemente di carattere economico:
semplificazione delle operazioni di organizzazione selvicolturale, di utilizzazione e di esbosco, riduzione
dei danni agli alberi non destinati al taglio, diminuzione dei costi unitari per l’utilizzazione, maggiore
facilità nell’impiego di attrezzature meccaniche che tuttavia, a loro volta, possono provocare danni al
terreno.
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Taglio raso a strisce
Viene eseguito non su tutta la superficie del soprassuolo maturo, ma su strisce di solito di forma
rettangolare. Ha il vantaggio di diminuire il dominio del vento.
Modalità esecutive
- Orientare i tagli in direzione contraria a quelle dei venti dominanti.
- Conferire forma di rettangolo stretto ed allungato, perpendicolare alla direzione dei venti
dominanti, per favorire migliore distribuzione del seme e assicurare rinnovazione laddove vi sono
problemi in tal senso.
- Orientare strisce N-S se occorre piena illuminazione nelle ore più calde.
- Praticare più strisce parallele separate da altre in cui il popolamento rimane in piedi, diradando
molto forte gli alberi rimasti, per favorire affermazione semenzali.
Ampiezza tagliate
La larghezza deve assicurare una buona disseminazione e favorevoli condizioni di sviluppo del
novellame; la distanza riduce la quantità e la qualità dei semi.
Tagli successivi
Mediante il trattamento a tagli successivi la rinnovazione della fustaia avviene sotto la copertura parziale
del soprassuolo maturo. Questo metodo di trattamento, che si applica alle fustaie coetanee e determina la
formazione di nuovi soprassuoli puri coetanei, si basa sulla rinnovazione naturale, eventualmente
integrata oppure anche sostituita dalla rinnovazione artificiale, e mira ad assicurare al novellame una
protezione da fattori ambientali avversi, oltre che a favorire l’insediamento di specie barocore.
Tagli successivi uniformi
Il soprassuolo adulto viene eliminato con una
sequenza di tagli e precisamente:
1- Taglio di sementazione: si esegue il taglio
di una parte del soprassuolo in modo da
favorire lo sviluppo delle chiome delle piante
restanti e da scoprire parzialmente il terreno.
La rinnovazione è assicurata dal seme che
cade prima del taglio ma germina dopo: è
questo il motivo per cui è consigliabile eseguire il taglio di sementazione in coincidenza con un anno di
pasciona. In tal modo il seme potrà approfittare del terreno ancora privo di copertura erbacea.
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2- Tagli secondari: le piante rilasciate,
scelte tra quelle più vigorose, provviste di
chiome ben sviluppate e dotate di maggiore
stabilità, traggono beneficio dall’isolamento
e sviluppano notevolmente le chiome. Per
consentire un maggiore, ma graduale,
afflusso di luce al suolo e favorire
l’affermazione del novellame che nel
frattempo avrà raggiunto un’altezza di 50
cm circa si procede, a distanza di qualche
anno dal taglio di sementazione, ad uno o
più tagli parziali, detti tagli secondari, che
riducono ulteriormente la densità del
soprassuolo.
3- Tagli di sgombero: allorché la
rinnovazione appare affermata si procede
all’abbattimento delle piante rimaste sulla
tagliata. Queste hanno avuto modo di
sviluppare una chioma molto ampia che
esercita concorrenza nei riguardi della nuova
generazione. Esse inoltre, al momento
dell’abbattimento, danneggiano spesso in
modo grave la rinnovazione.
(fig a destra. schema del trattamento a tagli
successivi)
Quando non è possibile eseguire la stramatura delle piante ancora in piedi, una volta eseguito il taglio e
l’esbosco si rimboschisce, possibilmente con specie a rapido accrescimento, la zona in cui la rinnovazione
è stata danneggiata o distrutta. Il periodo che separa il taglio di sementazione dal taglio di sgombero viene
indicato come periodo di rinnovazione. I tagli successivi uniformi consistono nell’applicazione dei singoli
tagli su superfici piuttosto ampie: alcuni ettari o anche decine di ettari. Le trasformazioni dell’ambiente
interno avvengono in forma omogenea e, di conseguenza, la rinnovazione si insedia uniformemente su
tutta la tagliata costituendo estesi soprassuoli coetanei.
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Tagli successivi su piccole superfici
I tagli successivi su piccole superfici sono fondati sulla possibilità di creare mediante i tagli di
rinnovazione condizioni ambientali diverse entro gli spazi ristretti dei margini dei soprassuoli.
Le più note forme di trattamento a tagli successivi per piccole superfici sono:
a) Tagli successivi a gruppi: la rinnovazione ha
inizio dai punti in cui si è insediata
accidentalmente la prerinnovazione oppure
dove si realizza un taglio di sementazione su
una superficie di alcune decine o centinaia di
metri quadrati. Intorno a questi gruppi si
procede successivamente con tagli successivi
applicati in anelli concentrici (a “macchia
d’olio”). Facilita la disetaneizzazione del
soprassuolo
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b) Tagli successivi a strisce: il taglio di sementazione viene attuato lungo una striscia di bosco larga da
una a tre volte l’altezza degli alberi del soprassuolo in rinnovazione. Quando la rinnovazione si è
insediata si esegue il taglio di
sementazione in una seconda striscia
contigua e parallela mentre nella
prima striscia si attua un taglio
secondario o il taglio di sgombero.
In seguito vengono poste in
rinnovazione altre strisce contigue.
Se le strisce avanzano in direzione
opposta a quella del vento dominante
gli alberi isolati in seguito al taglio
di sementazione sono meno soggetti
ma schianti e sradicamenti.
c) Tagli successivi a orlo (tagli marginali di
Wagner): il metodo è analogo a quello
precedentemente descritto (t. s. a strisce) dal quale
differisce per iniziare con una striscia tagliata a raso
accanto alla quale si situa la striscia in cui viene
effettuato il taglio di sementazione. La rinnovazione
avviene più facilmente entro il taglio raso.
Tagli successivi a gruppi e strisce: questo metodo
combina due metodi descritti in precedenza: una
volta ottenuta la rinnovazione dei gruppi questi
vengono collegati dal taglio a strisce. Anche in
questo caso la rinnovazione ha inizio da un margine
del soprassuolo e procede in una determinata
direzione.
Gli elementi che caratterizzano queste forme di trattamento consistono in: estensione, forma e
orientamento delle tagliate; andamento del margine delle tagliate; utilizzazione della prerinnovazione
comparsa accidentalmente; uso della rinnovazione artificiale; durata del periodo di rinnovazione;
combinazione del principio dei tagli successivi con i principi del taglio raso e del taglio saltuario.
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Il taglio saltuario
Il taglio saltuario (detto anche taglio a scelta colturale) è la forma di trattamento della fustaia disetanea
(o fustaia da dirado) che consiste nel prelievo di una sola parte degli alberi presenti nel bosco così che il
terreno non rimane scoperto, la struttura è alterata solo su superfici ridotte mentre le condizioni di crescita
dei singoli alberi rimasti vengono sensibilmente modificate.
Struttura e dinamismo
Il taglio saltuario si applica al bosco disetaneo, il quale è caratterizzato dalla presenza di alberi con
dimensioni ed età molto diverse su una piccola superficie, situati in apparente disordine uno accanto
all’altro; spesso le piante più piccole vegetano sotto la copertura delle chiome delle piante più grandi.
In alcuni casi questa mescolanza si verifica per singoli individui, ed in tal caso si parla di disetaneità per
pedali o per piede d’albero, mentre più spesso il bosco è caratterizzato da gruppi di alberi con dimensioni
relativamente simili che si estendono per alcune centinaia, o anche per qualche migliaio, di metri
quadrati, originando un bosco disetaneo a gruppi.
Modalità esecutive
L’elemento determinante per la creazione e la conservazione di questo tipo di struttura è il carattere del
taglio che si prefigge di prelevare un certo numero di piante considerate mature sotto il profilo economico
ed altre piante il cui abbattimento consente una crescita più regolare del soprassuolo rimanente.
L’intervento che si effettua viene chiamato “taglio dicurazione” ed il periodo che intercorre tra due
interventi successivi “periodo di curazione” (mediamente 10 anni), non esiste un turno vero e proprio.
I tagli intercalari
Vengono definiti tagli intercalari i tagli di utilizzazione eseguiti prima della scadenza prevista per i tagli
di rinnovazione, ossia durante il periodo che intercorre dall’insediamento del soprassuolo alla sua
maturità.
I tagli intercalari si sostituiscono quindi alla mortalità naturale allo scopo di realizzare determinate finalità
economiche in senso lato. Essi, in alcuni casi, agiscono su alberi diversi da quelli che sarebbero stati
eliminati dalla mortalità naturale.
I principali obiettivi dei tagli intercalari consistono nel miglioramento della produzione legnosa che si
otterrà alla fine del ciclo, nell’ottenimento di una certa quantità di prodotti legnosi già prima della fine del
ciclo stesso, nell’aumento della stabilità fisica e biologica del soprassuolo e nella modifica delle
condizioni di ambiente nell’interno del bosco.
I tagli intercalari sono sostanzialmente l’insieme delle cure colturali relative alla fustaia coetanea e sono:
ripuliture: nella fase di novelleto. Consistono nell'asportazione delle piante erbacee e arbustive
invadenti, e di quelle arboree che non interessano dal punto di vista economico (specie
secondarie), che competono con le specie arboree principali;
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sfollamenti (o sfolli): nello stadio di nevelleto e spessina, prima della differenziazione in classi
sociali. Si asporta parte del soprassuolo con selezione delle piante quasi esclusivamente
quantitativa;
diradamenti: nella fase di perticaia e giovane fustaia, quando il soprassuolo è differenziato in
classi sociali. Si asporta parte del soprassuolo con selezione delle piante sia quantitativa che
qualitativa.
Gli sfolli
I tagli intercalari vengono generalmente distinti in sfollamenti (o sfolli), che si effettuano nei novelleti e
nelle spessine, ed in diradamenti che si eseguono nelle perticaia e giovani fustaie.
Gli obiettivi degli sfollamenti sono i seguenti:
1. Aumento della stabilità.
2. Regolazione delle mescolanze; dove a seconda dei casi può essere opportuno aumentare la
proporzione di specie di elevato valore economico, di specie rare o dotate di particolare valore
naturalistico o estetico, ecc.
3. Aumento della produzione di valore, è possibile in questa fase eliminare individui con cattive
caratteristiche (es. forte ramosità, fusto irregolare), e stimolare l’accrescimento diametrale degli
alberi restanti, favorendo le condizioni di crescita degli individui migliori.
I prodotti ricavati dallo sfollamento sono generalmente di scarso o nessun valore, così che questa
operazione è economicamente passiva nel breve periodo, ancorché utile nell’arco di tutto il ciclo di vita
del bosco.
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I diradamenti
Con i diradamenti la mortalità naturale viene sostituita con la mortalità artificiale. In questo modo il
selvicoltore orienta l'evoluzione del popolamento secondo i propri scopi
I diradamenti si dividono in: diradamenti bassi (o dal basso, o tedeschi); diradamenti alti (o dall’alto o
francesi), diradamenti liberi; diradamenti meccanici (o schematici).
Diradamento basso: il criterio guida è quello di
eliminare esclusivamente piante comprese nel
piano dominato e, solo in determinate circostanze,
piante dominanti. Esso si suddivide in:
Diradamento basso debole: con questo
diradamento vengono eliminati solo gli alberi
morti o moribondi o piegati e gli alberi
ammalati.
Diradamento basso moderato: il taglio
riguarda gli alberi precedentemente indicati
comprese le piante mal conformate e
ammalate del piano dominante.
Diradamento basso forte: vengono eliminati
tutti gli alberi del piano dominato e quelli del
piano dominante la cui chioma è anormale o
il tronco mal conformato; vengono inoltre
eliminati alcuni alberi dominanti con chioma
e fusto normalmente sviluppati in modo da
assicurare agli alberi restanti una regolare
distribuzione spaziale ed ampio spazio per
ampliare in ogni direzione la chioma, senza
tuttavia che l’interruzione della copertura sia
durevole.
(fig. sopra: diradamento dal basso
seguito da superdiradamento)
Superdiradamento: adotta il
criterio del diradamento basso forte,
ma si propone di isolare
durevolmente la copertura delle
chiome.
(fig. a sinistra: Diradamento dal
basso di grado medio-basso)
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Diradamento alto (fig. a destra): con il
diradamento alto ci si prefigge di favorire lo
sviluppo dei migliori alberi situati nel piano
dominante. Esso si suddivide in:
Diradamento alto debole: il taglio elimina le
piante deperienti e morte, numerose piante
difettose del piano dominante ed anche alcune
piante dominanti con buone caratteristiche,
quando risultino essere particolarmente fitte.
Diradamento alto forte: il taglio favorisce
direttamente un certo numero di alberi
d’avvenire eliminando, oltre a tutti gli individui
deperienti e malati, gli alberi che ostacolano lo
sviluppo della chioma degli individui prescelti.
Diradamento meccanico: in questa categoria
le piante da abbattere sono scelte in base ad
una distribuzione spaziale stabilita a priori,
senza tener conto della posizione sociale o di
altre caratteristiche degli alberi. I diradamenti
meccanici vengono spesso adottati in soprassuoli giovani, densi e relativamente indifferenziati, oppure
quando non è disponibile il personale qualificato per la scelta delle piante da abbattere, o infine quando si
prevede di impiegare mezzi meccanici per l’esbosco o anche per l’abbattimento.
Schemi di diradamento meccanico
(in nero sono indicate le piante da diradare)
24
Il governo a ceduo
Attraverso il governo a ceduo si ha
l’utilizzazione della sola parte aerea del
popolamento arboreo mentre le ceppaie,
che rimangono nel terreno, provvedono
alla ricostituzione del soprassuolo con
l’emissione di polloni. La longevità delle
ceppaie consente loro di assicurare
numerose generazioni di polloni che
assicurano così la rinnovazione naturale
del soprassuolo.
Si distingue una ceduazione a ceppaia,
quando il taglio viene fatto in prossimità
del colletto, a capitozza quando il taglio avviene a 1-3 m dal suolo ed a sgamollo quando il taglio
risparmia il cimale della pianta e si limita ad asportarne i rami. La capitozzatura e lo sgamollo non
vengono più praticate nei boschi (le piante capitozzate e quelle sgamollate sono oggigiorno praticamente
assenti dai boschi italiani) mentre hanno ancora un certo rilievo a sostegno delle attività agricole e
zootecniche.
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La biologia del ceduo
I polloni traggono origine dalle gemme che possono essere di natura diversa.
Le gemme proventizie (o dormienti) sono presenti sul tronco, sui rami e sulle radici. Esse possiedono un
preciso significato adattativi in quanto sono in grado di ricostituire la chioma o parte di essa quando un
evento traumatico di ordine meccanico o fisiologico ne provoca la distruzione. Nel caso della ceduazione
i polloni che si formano sulla ceppaia costituiscono una nuova pianta (processo di reiterazione) con un
portamento analogo a quello dell’albero intero.
Analogo è il significato delle gemme avventizie che si formano, in conseguenza di un trauma,
direttamente in corrispondenza del callo cicatriziale. Allorché un evento traumatico provoca l’entrata in
vegetazione delle gemme si formano i polloni. In selvicoltura tale evento è rappresentato dal taglio di
utilizzazione, mentre in condizioni naturali può essere costituito, ad esempio, da un incendio o dal morso
di un animale ad un fusto giovane. I polloni proventizi compaiono generalmente sulla parte più bassa
della ceppaia in vicinanza del terreno, e quindi possono anche sviluppare un apparato radicale proprio e
rendersi autonomi (“affrancarsi”) dalla ceppaia da cui hanno avuto origine. I polloni avventizi insorgono
di solito in corrispondenza della sezione di taglio, nella posizione più alta della ceppaia. Il collegamento
dei polloni avventizi con il sistema radicale avviene quindi attraverso tessuti più vecchi. Per questo
motivo i giovani polloni avventizi sono meno stabili di quelli provenienti da gemme proventizie e
possono venire facilmente staccati per effetto di un forte vento o di una pressione esercitata da animali
pascolanti.
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Forme di trattamento
Le forme di trattamento applicate ai boschi cedui sono il taglio raso ed il taglio a sterzo. Nel primo caso
ha origine un soprassuolo coetaneo, mentre nel secondo caso su ogni ceppaia vi sono polloni di età
diversa ed il popolamento sottoposto a tale forma di trattamento è disetaneo. Con l’eccezione di poche
specie (salice, nocciolo, robinia, platano, pioppo, ontano) al momento della ceduazione si rilascia un certo
numero di fusti, denominati matricine, destinati a produrre il seme da cui trarranno origine nuove piante
destinate alla rinnovazione delle ceppaie.
Taglio raso
Tecnica di taglio
Il taglio raso del ceduo consiste nell’abbattimento di tutti i polloni presenti sulla superficie destinata al
taglio. Il taglio viene fatto in prossimità del terreno (a ceppaia) e più precisamente può essere eseguito a
5-20 cm dal suolo (taglio fuori terra), oppure rasente il terreno (succissione) o infine tra due terre
(tramarratura) quando il terreno che circonda la ceppaia viene allontanato per la profondità di alcuni
centimetri.
Epoca di taglio
Il taglio viene usualmente fatto durante il periodo di riposo delle piante, ossia tra ottobre ed aprile. I cedui
di faggio, situati a maggiore altitudine ove il suolo si mantiene spesso innevato a lungo e l’inizio
dell’attività vegetativa è più tardivo che non nei boschi di querce e castagno, vengono utilizzati talvolta
anche a primavera inoltrata.
Il taglio eseguito durante la stagione di riposo dovrebbe anche consentire ai polloni di svolgere senza
disturbo la vegetazione durante la stagione favorevole ed in questo modo giungere all’inverno seguente
completamente significati e insensibili agli effetti delle basse temperature.
Ceduo matricinato
Il ceduo matricinato è un soprassuolo formato da polloni (un turno) e piante nate da seme o polloni di 1 o
più turni dette matricine.
Il trattamento consiste nel tagliare i polloni e le matricine ma nel rilasciare un certo numero di piante ad
ettaro. Queste vengono scelte tra quelle eventualmente nate da seme, se presenti, oppure da polloni
affrancati o ben conformati.
La matricine
Le matricine sono alberi rilasciati al momento della ceduazione in modo da potersi sviluppare per un
certo periodo senza la concorrenza dei polloni. La loro principale funzione è quella di produrre il seme
necessario a far nascere le piante che sostituiranno le ceppaie esaurite.
Le matricine hanno anche una certa funzione protettiva dei polloni e del suolo e possono fornire legname
di dimensioni medie maggiori di quello dei polloni.
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(foto: ceduo con matricine)
La matricinatura
Nei cedui semplici il taglio riguarda tutto il soprassuolo. Questo tipo di ceduo è adatto a specie che
fruttificano abbondantemente fin dai primi anni o che producono numerosi polloni radicali e quindi non
richiedono la presenza di matricine. La maggior parte dei cedui è invece matricinato: al momento del
taglio vengono risparmiati alcuni fusti, indicati come allievi destinati a fungere da matricine, ossia da
piante da seme. Essi potranno sviluppare per un periodo più lungo liberi dalla concorrenza dei polloni.
Secondo Pavari (1953) le funzioni delle matricine sono:
1. provvedere alla disseminazione naturale per avere piante nate da seme che costituiscano
progressivamente le ceppaie che si esauriscono e muoiono, assicurando così il mantenimento della
densità del ceduo;
2. proteggere il ceduo dall’eccessiva insolazione e dal vento;
3. fornire una certa quantità di legname da opera.
Per quanto riguarda la scelta delle matricine e si cerca di soddisfare diverse esigenze come ad esempio il
portamento, l’origine da seme o pollone, la specie, l’età, la densità (stabilita dalle Prescrizioni di Massima
ha portato a ritenere di solito sufficienti 60 matricine ad ettaro, che, nel caso del castagno si riducono a
30), ecc.
Taglio a sterzo
Tecnica di taglio
Questa forma di trattamento del ceduo assicura la disetaneità del soprassuolo mediante la presenza di
polloni di età diversa su ogni ceppaia. Nella sua forma classica (Pavari 1953) per il ceduo viene stabilito
un periodo di curazione alla scadenza del quale su ogni ceppaia si tagliano i polloni più grossi ed un certo
numero di polloni più piccoli così da ridurne la densità e da eliminare quelli con cattiva conformazione.
In teoria, se un pollone richiede 30 anni per raggiungere la maturità, con gli interventi che si ripetono ogni
10 anni si abbattono polloni di 10 e 20 anni. In realtà la determinazione dell’età dei polloni è impossibile
e ci si affida ad un criterio dimensionale.
28
Anche nel ceduo a sterzo vengono rilasciate le matricine. La rinnovazione delle ceppaie è stata tuttavia
assicurata molto spesso dalla propagginatura.
Il trattamento a sterzo presenta in confronto a quello a taglio raso alcuni vantaggi. Esso assicura anzitutto
la continuità della vegetazione della ceppaia che torna di particolare vantaggio alle specie che hanno una
debole facoltà pollonifera. Il mantenimento della copertura riduce il pericolo di erosione e le perdite
dovute alla rapida mineralizzazione della sostanza organica. La produttività è maggiore.
IL CEDUO COMPOSTO
Il ceduo composto è una forma di governo rivolta a creare soprassuoli formati da un ceduo ed una fustaia,
in cui le due componenti si combinano sullo stesso tratto di terreno boscato. La rinnovazione è quindi
assicurata dai polloni delle ceppaie e dal seme che, per lo meno in parte, forniscono le piante che
costituiranno la fustaia.
Il trattamento
La struttura del ceduo composto è costituita da un piano inferiore formato dai polloni del ceduo a cui si
mescolano gli allievi che andranno a formare la fustaia e da un piano superiore formato dagli alberi della
fustaia. Il ceduo viene sottoposto usualmente al taglio raso mentre alla fustaia si applica una forma di
taglio saltuario che conferisce alla fustaia stessa una struttura disetanea in cui sono rappresentate quattro o
cinque classi di età.
Il punto fondamentale del governo a ceduo composto è quindi la gestione delle matricine. Nel ceduo
composto esiste infatti un forte antagonismo tra il ceduo e la fustaia. La fustaia esercita nei riguardi del
ceduo una forte concorrenza e quindi deprime la produzione di legna da ardere. Da parte sua, il ceduo
tende a soffocare le piante da seme che in futuro dovranno costituire la fustaia.
I cedui coniferati
In numerosi cedui italiani si incontrano, sparse irregolarmente, alcune conifere. Questa particolare
mescolanza si riscontra sia nel piano delle querce caducifoglie e del castagno, sia in quello del faggio,
mentre è assai meno frequente nei cedui si specie sempreverdi. In molti casi la presenza delle conifere è
dovuta a diffusione spontanea, ma in altri esse sono state introdotte per semina, o per piantagione.
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LE CONVERSIONI
Per conversione si intende il cambiamento della forma di governo di un bosco. In teoria sono possibili
tutti i casi di passaggio dal ceduo semplice o composto alla fustaia, e viceversa, ma in pratica i casi di
conversione che oggigiorno si debbono affrontare sono i seguenti:
- passaggio da ceduo semplice a ceduo composto;
- passaggio da ceduo semplice a fustaia (coetanea o disetanea);
- passaggio da ceduo composto a fustaia (coetanea o disetanea);
- passaggio da fustaia a ceduo semplice.
Conversione da ceduo semplice a ceduo composto
Il passaggio da ceduo semplice (matricinato) a ceduo composto si attua mediante un aumento del numero
di matricine che si ripartiscono in più classi d’età. Al momento del taglio del ceduo si rilascia un elevato
numero di allievi, possibilmente provenienti da seme, senza abbattere le matricine rilasciate in occasione
della ceduazione precedente ad eccezione di eventuali piante deperienti o malate.
In occasione della ceduazione successiva si procede nuovamente a rilasciare numerosi allievi e
contemporaneamente si procede ad eliminare un certo numero delle matricine già presenti così da
regolarizzare la loro distribuzione in classi d’età secondo il modello di ceduo composto prescelto.
Conversione per via naturale da ceduo semplice a fustaia
La conversione da ceduo semplice (matricinato) in fustaia può avvenire per via naturale con l’impiego
delle specie legnose già rappresentate nel ceduo da convertire, oppure per via artificiale, quando si
procede alla sostituzione integrale del soprassuolo esistente. Il primo caso è quello di gran lunga più
importante: esso si basa sulla sostituzione del soprassuolo costituito da polloni, e quindi di origine
agamica, con un soprassuolo formato da individui nati da seme. La disponibilità di seme è assicurata dalle
matricine o dai polloni quando questi hanno raggiunto una certa età e le chiome hanno avuto modo di
svilupparsi regolarmente.
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Il metodo più largamente adottato per i cedui dotati di una scarsa matricinatura (50-80 fusti ha-1
), sia
coetanei che a sterzo, può essere schematizzato nel modo seguente:
a) allo scadere del turno consuetudinario il ceduo viene lasciato invecchiare senza effettuare nessun
intervento per un periodo pari a 1,5-2 volte la durata di detto turno (periodo d’invecchiamento).
Durante questo periodo, nel quale il ceduo corrisponde approssimativamente ad una spessina o a
una giovane perticaia, si assiste ad un aumento dell’altezza, ad una maggiore differenziazione
sociale ed a una forte mortalità.
b) alla fine di questo periodo il ceduo viene sottoposto ad un diradamento che mira a favorire
l’accrescimento di un certo numero di polloni e delle migliori matricine presenti. Con il
diradamento vengono rilasciati su ogni ceppaia 1 o 2 polloni, con criteri qualitativi, mentre fra le
matricine, si procede all’abbattimento di quelle la cui chioma è eccessivamente sviluppata e quelle
deperienti.
c) al taglio di avviamento seguono altri tagli di diradamento. Il soprassuolo viene quindi trattato
come un popolamento d’alto fusto e viene indicato come fustaia transitoria. Questi tagli
intercalari possono avere il carattere di diradamenti di tipo basso forte, oppure, quando vengono
conservati i polloni di ceppaie che occupano il piano dominato, si possono assimilare a
diradamenti di tipo alto o selettivo.
d) quando la fustaia transitoria è in grado di disseminare con abbondanza e le ceppaie hanno
presumibilmente perduto la capacità di ricacciare si procede ai tagli di conversione veri e propri
che possono venire equiparati ai tagli successivi.
BIBLIOGRAFIA
Piussi P. “Selvicoltura generale”, UTET
Bernetti G. “Atlante di selvicoltura”, Edagricole
www.corpoforestale.it
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http://www.agr.unifi.it
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