seminario filosofia immagine unimi

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Introduzione Vorrei iniziare la mia relazione con un’immagine di Baudelaire che dipinge il poeta moderno come uno straccivendolo: “Tutto ciò che la grande città ha get- tato via, tutto ciò che ha perso, tutto ciò che ha disprezzato, tutto ciò che ha schiacciato sotto i suoi piedi, egli lo cataloga e lo raccoglie... Egli classifica le cose e le sceglie con accortezza; egli accumula, come un avaro che custodisce un tesoro, i rifiuti che assumeranno la forma di oggetti utili o gratificanti tra le fauci della dea dell’industria.” 1 La metafora di Baudelaire ci catapulta, infatti, direttamente al nocciolo del problema: la domanda se sia possibile sostenere che la fotografia è un ready- made o meno. Affiorano, fin da subito, problematiche centrali relative a entram- bi gli ambiti: l’immagine del flâneur che percorre le strade abbandonandosi al caso e che, guidato dall’inconscio, sceglie con cura tra gli oggetti trovati e li rac- coglie con un gesto istantaneo, è per noi significativa. Egli, dopo averli raccol- ti, infatti, li classifica e offre loro una nuova esistenza, dandogli un altro punto di vista, un nuovo pensiero, così da valorizzarli in modo inedito, mutando il loro uso e quindi il loro significato. Questo procedimento analitico – a partire da materiali empirici, “trovati” e scelti, apparentemente a caso e successivamente appropriati e sintetizzati in nuovi snodi di significato – vale sia per la fotografia, sia per il ready-made. L’immagine di Baudelaire riassume così un meccanismo della produzione cul- turale della modernità, che si farà strada nella contemporaneità, dopo la folgo- rante entrata in scena del ready-made duchampiano. Basti pensare alla produzio- ne surrealista, che sposta oggetti preesistenti da un contesto all’altro, li abbina- na tra di loro o con termini a loro estranei e crea analogie tra significati, che pro- vengono da ambiti differenti. Oppure la scia di chi colleziona delle citazioni, già iniziata da Walter Benjamin, che custodiva frasi raccolte come tesori preziosi. Questa scia ci porta nella produzione artistica postmoderna, basata su un gioco autoreferenziale di rimandi e su espliciti richiami del passato o presente artisti- co o sociale. Questi elementi citati, rimessi in scena modificati e in contesti diversi, mutano di espressione e di senso. Come ad esempio Andy Warhol, che riproduce le icone dell’era del consumo, lanciando un grido pubblicitario del- l’immaginario, prodotto dalla società di massa. Oppure Thomas Ruff, che estrae delle fotografie dai giornali, le ingrandisce e togliendo loro la didascalia, le isola dal loro valore informativo originario, trasformandole in icone mute. La mia è, dunque, una ricerca che, partendo da una preoccupazione e una pra- tica personale, vuole da un lato approfondire una comparazione strutturale, e dall’altro una comparazione degli elementi concreti, come sostegno, conferma o contraddizione della tesi iniziale. 1 1 Susan Sontag, “Sulla fotografia”, Enaudi 1978. Orig. “On Photography”, Farrar, Straus and Giroux, New York, 1973 Michelangelo Pistoletto “Venere degli stracci”, 1967 marmo e stracci. Foto P. Pellion Andy Warhol “Campbell’s soup can”, 1964 Serigrafia su tela Thomas Ruff “Zeitungsfoto 153”, 1991 C-Print Seminario Spinicci, fotografia Barbara Fässler La fotografia come ready-made – il ready-made come fotografia

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  • Introduzione

    Vorrei iniziare la mia relazione con unimmagine di Baudelaire che dipinge ilpoeta moderno come uno straccivendolo: Tutto ci che la grande citt ha get-tato via, tutto ci che ha perso, tutto ci che ha disprezzato, tutto ci che haschiacciato sotto i suoi piedi, egli lo cataloga e lo raccoglie... Egli classifica lecose e le sceglie con accortezza; egli accumula, come un avaro che custodisceun tesoro, i rifiuti che assumeranno la forma di oggetti utili o gratificanti tra lefauci della dea dellindustria.1

    La metafora di Baudelaire ci catapulta, infatti, direttamente al nocciolo delproblema: la domanda se sia possibile sostenere che la fotografia un ready-made o meno. Affiorano, fin da subito, problematiche centrali relative a entram-bi gli ambiti: limmagine del flneur che percorre le strade abbandonandosi alcaso e che, guidato dallinconscio, sceglie con cura tra gli oggetti trovati e li rac-coglie con un gesto istantaneo, per noi significativa. Egli, dopo averli raccol-ti, infatti, li classifica e offre loro una nuova esistenza, dandogli un altro puntodi vista, un nuovo pensiero, cos da valorizzarli in modo inedito, mutando il lorouso e quindi il loro significato.

    Questo procedimento analitico a partire da materiali empirici, trovati escelti, apparentemente a caso e successivamente appropriati e sintetizzati innuovi snodi di significato vale sia per la fotografia, sia per il ready-made.Limmagine di Baudelaire riassume cos un meccanismo della produzione cul-turale della modernit, che si far strada nella contemporaneit, dopo la folgo-rante entrata in scena del ready-made duchampiano. Basti pensare alla produzio-ne surrealista, che sposta oggetti preesistenti da un contesto allaltro, li abbina-na tra di loro o con termini a loro estranei e crea analogie tra significati, che pro-vengono da ambiti differenti. Oppure la scia di chi colleziona delle citazioni, giiniziata da Walter Benjamin, che custodiva frasi raccolte come tesori preziosi.Questa scia ci porta nella produzione artistica postmoderna, basata su un giocoautoreferenziale di rimandi e su espliciti richiami del passato o presente artisti-co o sociale. Questi elementi citati, rimessi in scena modificati e in contestidiversi, mutano di espressione e di senso. Come ad esempio Andy Warhol, cheriproduce le icone dellera del consumo, lanciando un grido pubblicitario del-limmaginario, prodotto dalla societ di massa. Oppure Thomas Ruff, che estraedelle fotografie dai giornali, le ingrandisce e togliendo loro la didascalia, le isoladal loro valore informativo originario, trasformandole in icone mute.

    La mia , dunque, una ricerca che, partendo da una preoccupazione e una pra-tica personale, vuole da un lato approfondire una comparazione strutturale, edallaltro una comparazione degli elementi concreti, come sostegno, conferma ocontraddizione della tesi iniziale.

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    1 Susan Sontag, Sulla fotografia, Enaudi 1978. Orig. On Photography, Farrar, Straus andGiroux, New York, 1973

    Michelangelo PistolettoVenere degli stracci, 1967marmo e stracci. Foto P. Pellion

    Andy WarholCampbells soup can, 1964Serigrafia su tela

    Thomas RuffZeitungsfoto 153, 1991C-Print

    Seminario Spinicci, fotografiaBarbara Fssler

    La fotografia come ready-made il ready-made come fotografia

  • Sono consapevole che i due oggetti comparati in verit non sono equiparabili,poich non appartengono alla stessa specie. La fotografia , in primis, un mezzo,uno strumento di riproduzione e di comunicazione, con una forte prevalenza dellato tecnico e unimportanza schiacciante nel funzionamento della societ dinfor-mazione di massa contemporanea. La fotografia ha alle spalle una storia lunga 170anni, in cui si sono succedute numerose correnti teoriche, moltissimi autori, altret-tante espressioni e quasi infinite possibilit di uso e di applicazione, sia a livellotecnico e visivo, sia a livello di utilizzo sociale. La fotografia una rappresenta-zione bidimensionale, con un rapporto diretto e controverso con il reale.

    I ready-made sono, invece, una creazione di un singolo artista: Marcel Du-champ (1887-1968). Secondo alcune fonti ne esistono in totale 10 o 12, secon-do altre 30 o 35. Si tratta dunque di tre manciate di opere darte, limitate dallar-tista stesso nel numero e nel tempo. I ready-made sono nati tra il 1913 (la ruotadi bicicletta) e il 1923, quindi in un arco di 10 anni. Il ready-made , al contra-rio della fotografia, un oggetto tridimensionale dalla difficile definizione: gisolo chiamandolo rappresentazione, infatti, rischiamo di precipitare in proble-matiche interpretative complesse.

    Il paragone fra due oggetti cos diversi nel loro aspetto materiale, nella lorodimensione ed estensione spaziale, nel loro significato, uso e storia, necessita unse pur minimo comune denominatore: questo lo si potrebbe trovare, se si guar-dasse ai due oggetti come a due linguaggi a s stanti, facendo un confronto frameccanismi strutturali e produttivi, indagando atteggiamenti e procedure e ana-lizzando gli elementi costituenti e i loro funzionamenti.

    Il ready-made e luniverso di Marcel Duchamp

    La mossa del ready-made, dellopera gi pronta, ha messo in crisi profonda-mente i valori e le premesse allora vigenti nellarte: labilit manuale, la rappre-sentazione, lo statuto dellautore, loriginalit e lunicit. Loperazione concettua-le, apparentemente semplice, non va pertanto vista isolata dalluniverso globalenellopera di Marcel Duchamp, ma va letta nel contesto generale di rimandi ver-bali, allinterno di una rete ironica di allusioni, di associazioni tra vari significatie di analogie di senso, che portano da unopera allaltra. Loperare di Duchampsi rivelato di una tale complessit, che continua a porre quesiti irrisolti relativialla sua comprensione. La difficolt di decifrare la sua opera, fa parte della stra-tegia dellartista, che ha passato il resto della sua vita quella successiva alla pro-duzione dei ready-made a giustificare il proprio gesto. Tuttavia le sue note formulate in uno stile allegorico e criptico , sono ancor pi enigmatiche e intri-cate dellopera stessa e non hanno prodotto altro effetto, che accrescere labissodel mistero invece che chiarirlo. Si pu leggere lopera di Duchamp come ungiallo, nel quale linvestigatore rimane intrappolato nella ragnatela dellautore, epi si muove per uscirne, pi i fili si stringono. Tuttora non sappiamo se il labi-rinto di Duchamp da intendersi nel suo senso originario, che porta verso un cen-tro, oppure nel senso di un errare disperato senza via di uscita. Il commento lapi-dario di Duchamp : Non c soluzione, perch non c problema.

    La strategia ironica di seminare false tracce, si potrebbe interpretare come unastrizzata docchio rivolta alla critica darte, caratterizzata da pretese assolutisti-che di decidere che cosa sia unopera darte e cosa no e con la sua esigenza dichiarire e spiegare in maniera definitiva tutte le opere. La pratica di Duchamppotrebbe allora indicare un tentativo di guidarci dolcemente verso un processo di

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    Louis Jacques-Mand DaguerreLatelier de lartiste, 1837Dagherrotipo

    Marcel DuchampLa ruota di bicicletta1913

    Marcel DuchampTela di ragno quale esempio disolamento naturale di una carcassa(pseudo geometrica) dinfrasottileFirst Papers of Surrealism, New York1942

  • interazione continua del fruitore con lopera. Un invito a una sorta di work inprogress dialogico, nel quale si dispiegano dei significati mutevoli in continuosviluppo e intreccio, come in un brain storming senza fine. I significati del-lopera rimarrebbero cos aperti e lopera stessa non si concluderebbe mai in unaforma fissa, immobile e chiusa.

    Duchamp stesso ci d un indizio in questo senso: Ho fatto i ready-madesenza intenzione, senza altra intenzione tranne di liberarmi del pensiero. Ogniready-made diverso. Non vi si trova nessun carattere comune, salvo che sonoprefabbricati. Ci che riguarda un riconoscere di unidea conduttrice: no. Lin-differenza. Lindifferenza rispetto al gusto: n il gusto nel senso di una rappre-sentazione fotografica, n il gusto nel senso di una materia fatta bene. e anco-ra: I ready-made furono una attivit intenzionale, in cui dimenticavo la miameticolosit, una forma di liberazione di qualsiasi forma di programma.

    Nel 1917 Marcel Duchamp invia il suo ready-made Fountain alla Societyof Independent Artists a New York per una mostra aperta a tutti. Si tratta di unorinatoio comprato in un negozio, ribaltato e firmato R. Mutt, 1917. Loperaviene ignorata e depositata in un angolo. In The blind man appare poco dopoun articolo anonimo, presumibilmente scritto dallartista, che commenta quanto avvenuto: Se Mr. Mutt ha fabbricato la fontana con le proprie mani o no, nonha nessuna importanza. Lha scelta. Ha preso un articolo ordinario della vita, loha innalzato in maniera che il suo significato duso sparisse dietro un nuovo tito-lo e punto di vista, ha creato un nuovo pensiero per questo oggetto.2

    Uno dei motivi del rifiuto stato, certamente, la mancanza di volont inter-pretativa e un malinteso dovuto a una lettura errata, che presupponeva un possi-bile utilizzo delloggetto. Il messaggio fu, dunque, interpretato come massimaprovocazione, dal retrogusto immorale: il museo come Pissoir.

    Attraverso il semplice gesto di rigirare loggetto, ribadito anche dalla direzio-ne della firma, esso perde, invece, la sua originaria funzionalit, diventandounopera darte che, per definizione, deve essere inutile. Loggetto di uso quoti-diano, evince allora un nuovo significato, tramite la decontestualizzazione, liso-lamento dal suo uso ordinario e, infine, la sua successiva ricontestualizzazionenel mondo dellarte. Si tratta, chiaramente, di un atto linguistico di rinominazio-ne. Loggetto muta da orinatoio a immagine, e da multiplo a originale. La ripro-duzione acquista statuto di unicit, e quindi di opera darte. Non pi rappresen-tante di una classe di prodotti industriali, l'orinatoio diventa questo particolareoggetto in tutta la sua unicit.

    Esaminando i contenuti concreti dei significati emessi, tutta lopera di Du-champ si pone volontariamente a un livello di banalit e volgarit proprie dellacultura bassa e popolare: mossa ironica, da intendersi come critica alla culturacosiddetta alta e seria, ritenuta dallartista eccessivamente pretenziosa. Ilready-made, con la sua presenza fisica immediata, rimanda allidea di feticcio, diapprensione diretta dei sensi e fa riferimento alla macchina umana, a un corpoche produce escrezioni. Tutto luniverso del senso duchampiano attraversato daunambivalenza sessuale e muove da una base autoritrattistica, in un gioco ambi-guo di doppia identit tra Duchamp e il suo alter-ego femminile, Rrose Selavy,che pronunciato in francese significa Eros cest la vie. Lartista iscrive, cos,la vita intera in una cerchia di erotismo, ma non solo. Eros si pu intendere pla-tonicamente come un tendere continuo verso una conoscenza compiuta, mai rag-

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    Marcel DuchampFountain, 1917 (originale perso)

    2 Charles Harrison, Paul Wood, Kunsttheorie des 20. Jahrhunderts,Hatje Cantz Verlag, 2003 (traduzione mia)

    Man RayMarcel Duchamp travestito daRrose Selavy, 1920

  • giungibile nella vita terrestre, che cos ci riporta al processo di unopera aperta,in continuo dispiegamento dialogico-interpretativo con la sua controparte. Cispiega quanto detto prima: la ragione del carattere enigmatico delle opere.

    Lambivalenza sessuale traspare anche nella fontana: il suo corpo rovesciatooscilla ambiguamente tra contenuto e contenitore. Esso muta, mediante un riorien-tamento, a immagine di ricettacolo uterino, a bassoventre e a pene. Non pi luo-mo che spande acqua, ma al contrario le gocce cadono su di esso. I tentativi di ana-lisi terminologiche avanzati ad esempio da Thomas Zaunschirm in BereitesMdchen, Ready-made3 non sono da prendere alla lettera come verit assolute oda intendersi come interpretazioni che fissano o dischiudono i significati, ma,come risposte allinvito dellartista ad un gioco aperto di associazioni verbali.Zaunschirm sottolinea, ad esempio, laffinit sonora tra urinare e rovinare (infrancese uriner e ruiner), ed esplora i diversi significati della parola Fountain ininglese. Essa, infatti, oltre a fontana, significa anche penna stilografica e ci ciriporta sullasse linguistico delle operazioni duchampiane.

    Anche nella firma R. Mutt si nascondono, secondo Zaunschirm, diversirimandi linguistici: Mutt potrebbe ricordare la parola mud che significa sporco o mutt che vuol dire stupido. Mentre R. che sta per Richard conterrebberich e art, oppure il significato francese di richard, ossia riccone. Inoltre R.Matt, pronunciato in inglese, alluderebbe a re matto, alias scacco matto.

    In unincisione del 1964, che raffigura un disegno del suo orinatoio, lartistaha applicato alcune scritte come didascalie: UN ROBINET ORIGINAL REVO-LUTIONNAIRE, in cui ha evidenziato in rosso le lettere, che formano la paro-la URINOIR. RENVOI MIRIORIQUE, che diventa RENVOI MIROIRIQUE,ossia rinvio specchiante, che si riferisce al principio di rappresentazione inquanto specchiamento della realt e potrebbe intendere il quadro e la fotografia.Le parole rovesciate da RIO a ROI, da fiume a re, richiamano di nuovo ilcolare dellacqua nella fontana e il re degli scacchi. Lultima scritta, UN ROBI-NET QUI SARRETE DE COULER QUAND ON NE LECOUTE PAS, in cuisono evidenziate in rosso le lettere che formano la parola URINE, potrebbe allu-dere alla differenza tra funzionamento sessuale maschile e femminile: un rubi-netto che smette di colare come parte maschile e quando non lo si ascolta,come parte femminile. Messe insieme ricreano la stessa identit sessuale ambi-valente, come tra lartista e il suo alter-ego femminile, e la frase potrebbe signi-ficare, per entrambe, che senza attenzione e interazione impossibile che nascaalcuna scintilla di erotismo.

    Mi limito di proposito allinterpretazione dettagliata di un solo ready-made,considerando il tempo e lo spazio ridotto di questa relazione. Questo esempiodella fontana intende evidenziare il meccanismo di lettura anche per altri esem-pi. Come gi sottolineato precedentemente, il lavoro interpretativo di tutte leopere duchampiane rappresenta un processo continuo e non concluso, dove ogniopera rimanda, con terminologie specifiche, alle altre. Come un tessuto autorefe-renziale infinito o un gigantesco autoritratto costituito da rimandi interni.

    Fotografia e ready-made: gli snodi comuni

    Nel tentativo di stabilire se esiste una parentela tra il funzionamento della foto-grafia e quello del ready-made, ho trovato una variet inaspettata di convergen-ze, di analogie e di meccanismi paragonabili, sia nella struttura e nella produzio-

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    3 Thomas Zaunschirm, Bereites Mdchen, Ready-made, Ritter Verlag, Klagenfurt, 1983

    Marcel DuchampUn robinet original rvolutionnaire1964acquaforte

  • ne, sia riguardo ai termini. Il mio operare procede in parte indagando il campodel ready-made nei termini posti dalle teorie della fotografia, in parte avanzan-do con un confronto diretto tra i due oggetti. Gli snodi comuni, che cercher disviluppare si possono riassumere in quattro tematiche: il rapporto con il reale,il linguaggio, il rapporto con la pittura e loriginalit e la riproducibilit.Un progetto certamente troppo ambizioso, per trovare uno sviluppo soddisfacen-te in questa sede: cos la mia relazione si pu considerare come uno schizzo, untentativo non finito, un accenno e uno spunto per riflessioni ulteriori.

    Il rapporto con il reale

    La controversia sul rapporto della fotografia con la realt sembra infinita e si col-loca su una scala tra due poli: da un lato quello di copia esatta della realt, dallal-tro quello di assoluta irrealt e artificio. Le due posizioni estreme trovano espres-sione nellinterpretazione del ruolo della macchina fotografica: per la prima, lamacchina rappresenta un mezzo automatico, che opera da sola, detenendo un pote-re autonomo. Per laltra, invece, essa si limita a essere uno strumento irrilevante,cosicch loperazione si riduce allatto del fotografo, che non solo si esprime conmateriale trovato, ma che crea addirittura una nuova, propria realt a s stante.

    Il realismo ingenuo, visione minoritaria nel panorama teoretico, si trovastranamente in Mc Luhan4, che sostiene che la fotografia rispecchi autonoma-mente il mondo esterno, nonostante egli consideri che i mezzi tecnologici sianodelle estensioni dei sensi umani, logicamente connessi ai processi percettivi eselettivi. Claudio Marra5, invece, sottolinea che la fotografia specularit asso-luta e autenticit del reale, nonostante poi riconosca in un altro scritto lin-treccio del mezzo con meccanismi interpretativi. Andr Bazin6 esaspera il reali-smo, identificando limmagine con loggetto referente. Limmagine sarebbeloggetto stesso, acquisendo cos lo statuto di modello.

    Susan Sontag7 spiega da dove proviene la confusione teorica dellillusione direalisticit nella fotografia: il carattere rivelatorio viene presentato come reali-smo e le immagini usurpano la realt, perch non sono solo immagini, ma ancheimpronta. Esse sono veritiere, perch assomigliano a qualcosa di reale e false,perch sono solo somiglianza.

    Le posizioni, che negano alla fotografia qualsiasi legame con il reale, sonoaltrettanto rare di quelle del realismo assoluto. Massimo Cacciari8, ad esempio,ritiene che la fotografia non sia duplicazione della realt, ma rappresentazionedella totale impossibilit della stessa duplicazione, e perci esibizione di unanuova realt, che solo in apparenza avrebbe i tratti della nostra. Penso, in realt,che il filosofo usi toni provocatori e polemici per dire, in verit, che non ci puessere attivit umana che non sia interpretazione. Di conseguenza, anche nelcaso in cui sono implicati oggetti presi qua e l dalla realt esterna, la specieumana non in grado di produrre oggettivit di alcun tipo.

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    4 Claudio Marra, Le idee della fotografia, la riflessione teorica dagli anni sessanta a oggi, ParaviaBruno Mondadori Editore, 2001. Da: Marshal Mc Luhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1967. Orig. McGraw-Hill, New York 19645 Claudio Marra, Forse in una fotografia, teorie e poetiche fino al digitale, CLUEB Bologna, 20026 Rosalind Krauss, The Originality of the Avant-Garde and other modernist Myths, MIT PressPaperback edition, 1986, citato da Andr Bazin, What is Cinema, University of California Press,19677 Susan Sontag, op. cit.8 Claudio Marra, Le idee della fotografia, op. cit. Da: Il fotografico e il problema della rappresentazione, in Fotologia n. 5, Firenze, 1986

  • Tra il bianco e il nero si trovano, tuttavia, molte sfumature di grigio: sonoanalisi che mediano non tanto tra le due posizioni viste come contraddittorie,quanto tra le due componenti intese come inerenti al mezzo fotografico stesso.La fotografia considerata essere traccia fisica non della realt intesa in quantotale, ma di un frammento di realt, il cui prelevamento presuppone una scelta,un punto di vista e quindi uninterpretazione. Le riflessioni intermedie conside-rano, sia il lato meccanico di pura copia fisica prodotta da raggi di luce e rivela-ta con mezzi chimici, sia il lato interpretativo da parte delloperatore della mac-china. Di conseguenza la fotografia vista come tecnica capace di unespressio-ne linguistica, che crea un nuovo senso. Essa diventa cos un mezzo di scrittura,con materiali prestati dal reale, tramite un atto percettivo e quindi selettivo.

    Per Rosalind Krauss9 la fotografia necessita un rapporto diretto con il refe-rente, in quanto impressione diretta e scambio tra due corpi in uno stessoluogo. Essa, tuttavia, cade in un paradosso: da un lato, la realt impressa, dal-laltra costituita in segno e diventa scrittura. La natura si ritrova strutturata ecodificata, la macchina fotografica stessa strappa unimmagine dal tessuto delreale ed elimina il resto del mondo.

    Susan Sontag10 evidenzia come la dicotomia tra vera espressione e registra-zione fedele corrisponde alla contrapposizione tra io e mondo. La fotografiaoffrirebbe un sistema unico di rivelazione, che ci mostra la realt come non lave-vamo mai vista. La contrapposizione si dissolve considerando che il realismofotografico non ci che realmente esiste, ma ci che realmente percepiamo.

    Dove si posiziona allora il ready-made nella scala appena tracciata tra il realee la sua percezione, tra il mondo e lio, tra la copia della realt e linterpretazione?Certamente, fermandosi alla prima apparenza, si potrebbe supporre analogamenteal realismo ingenuo, che si tratti di oggetti del reale, rappresentanti diretti delmondo. Claudio Marra11 coerente alla sua posizione da realista riguardo alla foto-grafia si convince che anche il ready-made sconvolge la logica del manufatto eche il suo realismo non deriva da un principio di articolazione linguistica, bensche coincide con lesistenza e il manifestarsi delloggetto. Come la fotografia,lobjet trouv si ridurrebbe a una riproduzione del reale tale e quale e a una mec-canicit ri-produttiva.

    Penso che lingenuit di questa posizione stia nel fatto che questa si fermi alprimo ingranaggio del meccanismo. Innegabilmente un ready-made un ogget-to della vita quotidiana e una fotografia contiene unimpronta del reale, ma cinon significa che essi coincidano con la realt. Come esprime bene SusanSontag12: la vita non fatta di particolari significanti, non illuminata da unflash e non fissata per sempre. La fotografia s.

    Alla pretesa del realismo sfugge il seguito delloperazione, la parte fonda-mentale, quella che mette mano sul reale, che trasforma i frammenti prelevati e,come sostiene Duchamp, dona loro un nuovo pensiero. Il senso nuovo si costi-tuisce dapprima, tramite la scelta accurata delloggetto, e il suo isolamento dalcontesto abituale, di seguito attraverso la sua evidenziazione con lincornicia-mento in un ambito differente. La cornice del ready-made costituita dal piedi-stallo o dallo spazio espositivo. La cornice della fotografia invece dal foglio dicarta, che delimita esattamente il frammento rilevato dalla macchina, ma scelto

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    9 Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, Ed. Scolastiche Bruno Mondadori, 1996. Orig. Le photographique, Editions Macula, Paris, 199010 Susan Sontag, op. cit.11 Claudio Marra, Forse in una fotografia, op. cit.12 Susan Sontag, op. cit.

    Piero ManzoniBase of the world, 1961ferro, bronzo

  • dal fotografo. Il fatto di estrarre una cosa dal suo contesto, gi di per s, ne modi-fica il senso. Ricollocarla, poi, in un altro contesto, lo muta ulteriormente. Ciche vale per le immagini o per gli oggetti, vale ugualmente per uno scritto: bastatogliere una frase da un testo e abbinarla a unaltra frase presa da unaltro testoe il significato cambia. Ogni scelta implica un punto di vista, e ogni punto divista uninterpretazione e il senso di ogni singolo elemento, fotografia, oggettoindustriale, proposizione che sia, si determina allinterno del contesto, nel qualesi trova inserito.

    La fotografia e il ready-made sono stati entrambi vittime di un malinteso: idue elementi, la porzione di realt oggettiva e la componente interpretativa-espressiva, non sono da intendersi come due antitesi, che si escludono, e cherichiedono una presa di posizione: al contrario sono parti integranti, che colla-borano nella produzione di senso. Nella scala tra i due costituenti pu variare lapercentuale di ciascun elemento. Innumerevoli sono i modi e gli atteggiamentiper produrre fotografie e per posizionare e rinominare un oggetto trovato: ilpeso tra gli aspetti realistici e quelli interpretativi cambia a seconda della posi-zione del fotografo o dellartista rispetto al reale e in base a quanto sia forte ilsuo impatto personale. Le sfumature tra lavori pi o meno realistici e pi o menoespressivi attraversano tutta la gamma.

    Loperatore pu tendere verso una minima implicazione personale e daremassimo rilievo alla situazione che incontra. Questo atteggiamento conduce alfotogiornalismo e con esso allillusione di una presunta oggettivit delle imma-gini. Illusione facile da smontare: basta vedere come la stessa foto, pubblicata indue giornali diversi, cambia senso mediante la sua diversa collocazione, il trat-tamento e la contestualizzazione testuale e grafica, che rispecchia il punto divista politico della redazione.

    Daltro canto, loperatore pu spingere a oltranza la sua espressione persona-le, senza per questo riuscire a far tacere la voce del mondo. Nonostante le innu-merevoli possibilit di posizionamento nella scala, rimangono sempre attiveentrambe le componenti e nessuna delle due pu mai essere totalmente esclusa.

    Il caso e la sceltaChiarita la questione del realismo, vorrei esaminare pi da vicino la costituzio-ne del lato interpretativo sia nella fotografia, sia nel ready-made, analizzando,passo dopo passo, gli elementi del meccanismo fisico complessivo il lato lin-guistico verr trattato separatamente.

    Lo straccivendolo o il flneur che percorre le strade, abbandonandosi al caso e,guidato da una curiosit priva di presupposti, spinto da una necessit di trovare,senza sapere cosa, rappresenta lanimo del fotografo e dellartista moderno e con-temporaneo. Il mondo intero diventa per lui un gigantesco magazzino di materia-li da scegliere, da prelevare e rinominare, per creare un oggetto, unespressione,una poetica propria. Henri Cartier Bresson13 lo esprime cos: Vagavo tutto il gior-no per le strade, sentendomi molto teso e pronto a buttarmi, deciso a prendere intrappola la vita, a fermare la vita nellatto in cui veniva vissuta.

    Labbandono al caso, se da un lato implica unapertura mentale, un accresci-mento del ventaglio di possibilit allinterno del materiale empirico esistente,dallaltro porta, tuttavia, a una perdita di controllo momentanea, spesso applica-ta intenzionalmente sia dai fotografi, sia da Duchamp. Thomas Zaunschirm14

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    13 Susan Sontag, op. cit.14 Thomas Zaunschirm, op. cit.

  • conferma che la logica segreta dei ready-made sia il caso e che esso sia respon-sabile della diversit nellopera duchampiana. Il caso non si ripete mai e la suairriproducibilit, la sua rarit ed esclusivit lo rende tanto prezioso per i fotogra-fi, quanto per gli artisti, cos da diventare un elemento primordiale nei metodi diproduzione della modernit e della contemporaneit.

    Lasciarsi guidare dal caso significa mettere fuori uso, coscientemente o no,lintenzionalit e vincere la tendenza umana alla programmazione e allordinesistematico. La ragione sfida se stessa contro la propria inclinazione di procede-re in griglie organizzate e apre le porte a elementi imprevedibili e istantanei.Marcel Duchamp15 parla esplicitamente del suo bisogno di disinnescare il mecca-nismo intenzionale, per mettere fuori gioco la sua stessa natura meticolosa.

    Il controllo perso durante il vagabondaggio attraverso il mondo viene ripresoin mano con piena efficacia nel momento in cui avviene la scelta delloggetto,nellattimo in cui parte lo scatto. Il duplice movimento tra abbandono allincon-scio e ripresa di piena intenzionalit assomiglia a una zoomata avanti e indietro,a un tuffarsi, per poi distanziarsi. Se questo meccanismo da un lato garantisce unadiversit massima, dallaltro prepara il terreno per un colpo preciso e mirato, pri-vato ora da qualsivoglia casualit, che riguadagna il controllo razionale a pienotitolo. La perdita di controllo condizione necessaria al suo esercizio rafforzato.Questo funzionamento assomiglia al gioco del gatto con il topo: il gatto finge dilasciare scappare il topo, per poi afferrarlo, riprendere il controllo e di nuovolasciarlo andare per finta, fino al prossimo attacco.

    Sia la fotografia che il ready-made sono figli della modernit, la quale coin-cide secondo Roland Barthes16 con lera delle rivoluzioni, delle contestazio-ni, degli attentati, delle esplosioni, in poche parole delle impazienze, di tutto ciche nega la maturazione. Queste espressioni di impazienza e di discontinuitprovocano sempre un intervento delle istituzioni statali, proporzionale alla forzadelle contestazioni. Lo stato cerca di ristabilire il controllo, di solito con mezzirepressivi fisici, militari, o mentali, civili, tramite la limitazione della libertdespressione e dei diritti di partecipazione democratica.

    Umberto Eco17 lega lidea di caso a quella di scelta: la fotografia cerca dispremere il reale nella sua casualit e imprevedibilit, e invita a una reinterpre-tazione e ricostruzione dellimmediato... Il fotografo gira per la strada e indivi-dua accadimenti di indubbia suggestivit. Da un lato li trova, inquadra, sceglie,dallaltro li costruisce, con angolatura, tipo di luce, ravvicinamento.

    Il momento della scelta rappresenta il punto decisivo e cruciale nella produ-zione della fotografia e del ready-made. Abbiamo visto come Duchamp spiegache non importa se Mr Mutt abbia fabbricato loggetto o no, ma lunica cosa checonta che labbia scelto. La scelta del fotografo si concretizza tramite il tagliodi un frammento dal flusso continuo del tempo e dello spazio, ci che implicaun posizionamento fisico, la scelta di una distanza e di una direzione dello sguar-do, ossia di una prospettiva. Rosalind Krauss18 evidenzia come il senso di unim-magine fotografica quanto di un ready-made sia costituito dalla scelta. Nellafotografia si costituisce tramite il taglio che trasforma alcuni segni naturali insegni culturali, per diventare scrittura. Nel ready-made il taglio espresso dal-

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    15 Thomas Zaunschirm, op. cit.16 Roland Barthes, La camera chiara, nota sulla fotografia, Enaudi Editore, Torino, 1980. Orig. La chambre claire, note sur la photographie, Cahiers du Cinma, Editions Gallimard-Seuil, 198017 Claudio Marra, Le idee della fotografia, op. cit. Da: Umberto Eco, Di foto fatte sui muri, in Il Verri, n.4, Milano 196118 Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, op. cit.

  • lestrazione delloggetto dal suo contesto fisico e significativo abituale e dallaseguente ricollocazione in una nuova situazione.

    LappropriazioneUna volta individuato loggetto, esso va preso e posseduto. Loggetto diventapreda e il viandante un cacciatore: per Wim Wenders19 latto del fotografare unatto di caccia. Il verbo scattare indica questa vicinanza, poich vale sia per lamacchina fotografica, sia per il fucile. Secondo Wenders, la fotografia creaunimmagine duplice: davanti questa mostra il suo oggetto, dietro, come contro-scatto, limmagine di colui che fotografa, come silhouette del suo animo e dellasua motivazione. Il controscatto corrisponde al contraccolpo del cacciatore. Ilparagone della caccia evidenzia il legame tra scelta e appropriazione, che pre-suppone una mossa di sopraffazione. Anche Susan Sontag20 definisce latto difotografare come atto predatorio: fotografare una persona equivale a violarla,trasformarla in oggetto, che pu essere simbolicamente posseduto. Fotografaresignifica appropriarsi della cosa che si fotografa e la macchina fotografica unostrumento per filtrare il mondo e trasformarlo in oggetto mentale.

    Limmediatezza e listantaneoFotografia e ready-made sono strettamente legati nella ricerca del viandante,nella precisa scelta, nellappropriazione delloggetto trovato, e nel suo incor-niciamento. La loro natura di immediatezza costituisce un ulteriore caratteristi-ca comune. La velocit del mezzo fotografico, oggi accelerata dalle tecnichedigitali, la sua capacit di catturare listante, di immobilizzare lattimo e diestrarre, in un colpo secco, un pezzo di continuit spaziale e temporale, corri-sponde al ritmo del ready-made nel momento dellacquisizione delloggetto. PerDuchamp, listantaneit dellazione nel ready-made parte integrante del mec-canismo e del senso dellopera. Egli lo definisce cos21: proiettando in unmomento futuro (tal giorno, tal data, tal minuto) di iscrivere un ready-made. Ilready-made potr poi essere cercato (con tutti i dettagli). La cosa importanteallora quindi questo orologismo, questistantanea, come un discorso pronun-ciato in occasione di una cosa qualsiasi ma alla tal ora. una specie di appunta-mento.

    Si tratta, dunque, di un appuntamento istantaneo che, tuttavia, deve essereancora individuato, guidato dal caso e dallinconscio. Lappuntamento si defini-r in quellistante preciso, in cui si riveler loggetto infine trovato. Lappunta-mento si riferisce ugualmente allidea di limitazione dei ready-made in tempo enumero, per evitare che diventino tic inflazionati e meccanismi infinitamenteripetibili. Un ready-made, come penso anche una fotografia, deve essere unappuntamento generato dal corso della vita, un momento istantaneo e unico, irri-petibile e quindi prezioso. Come un punto di vista sempre unico, cos ogniscelta effettuata dal fotografo o dallartista sar unica e rappresenta una testimo-nianza di quellistante preciso, in cui avviene quellincontro fortunato. Cos,laura benjaminiana, che circondava lopera darte nella sua unicit, e che sem-brava dissolta dai mezzi di riproduzione, invece forse riaffiora nella fotografia enel ready-made in una forma diversa: laura dellirripetibilit dellistante.

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    19 Claudio Marra, Le idee della fotografia, op. cit. Da: Wim Wenders, Una volta, EdizioneSocrates, Roma 1993. Orig. Verlag der Autoren, Francoforte, 199320 Susan Sontag, op. cit.21 Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, op. cit.

  • Linconscio individuale, sociale e tecnologicoLesposizione al caso e lapertura alla curiosit, analizzate in precedenza, appaionocome situazioni prive di guida. Ci vale se si considera lintenzionalit unicamen-te come atto di coscienza. Potremmo chiederci, tuttavia, se, sotto lo strato dellacoscienza, esista uno strato subconscio, capace di guidare lo straccivendolo nei suoipercorsi come un cane che guida un cieco. Il caso, allora, non sarebbe soltantocasuale, ma per fare effetto presuppone una disponibilit del soggetto ad accoglier-lo. Secondo Franco Vaccari22, artista concettuale italiano, esistono tre tipi di incon-scio, che lavorano in modo sotterraneo nella fotografia: linconscio individuale,l'inconscio sociale e linconscio tecnologico. Linconscio individuale del fotografoo dellartista corrisponde allintuizione del soggetto nel vedere e nellindividuaredelle situazioni particolari, che possono offrire del materiale a un ulteriore svilup-po poetico. Con linconscio sociale si intendono le convenzioni culturali, linguisti-che, morali e sociali di una comunit, che permettono lintento e la comunicazionetra gli individui. Linconscio tecnologico, invece, costituito da regole inerenti allamacchina, che strutturano la sua produzione. Linsieme delle regole funziona comeinconscio. La fotografia, allora, si colloca entro sistemi linguistici propri in modoanalogo alla parola. Unimmagine fotografica ha sempre un senso, anche in assen-za di un atto cosciente dalla parte del soggetto, perch essa un segno strutturatodallinconscio tecnologico del mezzo fotografico, dellinconscio sociale e indivi-duale e funziona come vera e propria scrittura automatica.

    Il primo a mettere in rapporto fotografia e inconscio fu Walter Benjamin23, par-lando di inconscio ottico: Si capisce cos come la natura che parla alla cinepresasia diversa da quella che parla allocchio. Diversa specialmente per il fatto che, alposto di uno spazio elaborato dalla coscienza, interviene uno spazio elaboratoinconsciamente. ...interviene la cinepresa con i suoi mezzi ausiliari, con il suoscendere e salire, con il suo interrompere e isolare, con il suo ampliare e contrar-re il processo, col suo ingrandire e ridurre. Dallinconscio ottico sappiamo qualco-sa soltanto grazie ad essa, come dellinconscio istintivo grazie alla psicoanalisi.

    Linconscio ottico di Benjamin , quindi, ci che sfugge al soggetto a causadei suoi limiti organici percettivi, ma che si rivela al mezzo, non attraversounoperazione di strutturazione, ma di svelamento. I tre livelli di inconscio diVaccari e maggiormente quello meccanico dellinconscio tecnologico , sono,quindi, corresponsabili dello straniamento dellimmagine fotografica, rispettoalla visione naturale. La modificazione non si riduce soltanto al ribaltamento datre a due dimensioni, allinquadratura, al fuoco, al contrasto pi o meno accen-tuato, ma, come indica il termine di inconscio ottico, vi intervengono distorsio-ni dalla parte della lente adoperata. Essa ci permette, appunto, di vedere dellecose mai viste in precedenza: piani vicinissimi zoomati e quindi strutture ingran-dite o spazi larghissimi raccolti e distorti da una lente di grand-angolo.

    La memoria e il tempoMentre linconscio lavora nel campo preliminare alla produzione fotografica oartistica, la memoria interviene durante e dopo di essa. Sia la fotografia, sia ilready-made possono essere letti come atto di registrazione di dati del presente,salvati per il futuro come dati del passato. Essi strappano degli estratti dal flusso

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    22 Franco Vaccari, Fotografia e inconscio fotografico, Agor Editrice, 1994, 2. ed. 200623 Walter Benjamin, Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, Ed. Enaudi, Torino,2000. Orig. Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, Suhrkamp VerlagFrankfurt, 1955

  • del tempo e li trasferiscono in una diversa forma di continuit. La realt vieneimprigionata e fissata in una forma ridotta e la corrente temporale si congela inun immagine ferma, si immobilizza come accade per il frame del video. Mentreil tempo continua a scorrere, il presente si sposta sulla sua scala allindietro.Limmagine bloccata del presente di ieri entrata nellambito del passato di oggied diventata testimone e prova di ci che si veramente svolto. Il noema dellafotografia quindi, seguendo Roland Barthes24, l stato: ci che io vedo si trovato l, in quel luogo che si estende tra linfinito e il soggetto; stato l e tut-tavia stato immediatamente separato. La fotografia capace di evocare ilmistero di una presenza attraverso unassenza, rivelando una traccia di un incon-tro fortuito. Essa documenta una coincidenza immediata che, nel momento stes-so della sua costituzione, gi svanita. Ci che rimane liscrizione del dato, pri-vato della sua dimensione spaziale e temporale, su un supporto, pellicola, carta,cip digitale che sia. Loggetto gi assente, appena lo abbiamo testimoniato, tra-mite la sua registrazione. Oggetto e immagine vanno ciascuno per la sua strada.

    Il ready-made, invece, capace di evocare unassenza, attraverso una presen-za. Loggetto testimonia il suo stato sociale e la sua precedente funzione, che ormai persa per sempre. Il suo senso originario stato mutato e ha acquisito unsignificato nuovo. Tramite il suo essere qui adesso, esso ci parla del suo esse-re stato l una volta. Anche il noema delloggetto trovato sarebbe quindi lstato. Ci che stato ora assente , narrato dalla presenza fisica di ci che adesso: un pensiero mutato, unopera darte.

    La fotografia ricorderebbe, allora, il principio proustiano, che non si pu pos-sedere il presente, ma solo il passato. Non si pu possedere la realt, ma solo lasua immagine. Laccesso immediato al reale stabilisce una distanza. Ci che ritratto gi da subito lontano e racconta sia il tempo fuggito, sia levento irri-mediabilmente perso. Susan Sontag va al nocciolo della questione: la fotogra-fia linventario della mortalit. Memento della morte con tendenza al senti-mentalismo. Ci che innegabilmente stato, sveglia sentimenti nostalgici.Anche Roland Barthes26 non usa mezzi termini: Come Spectator, io minteres-savo alla Fotografia solo per sentimento; volevo approfondirla non gi comeun problema (un tema), ma come ferita. La fotografia , quindi, ci che evocala ferita della perdita e ribadisce il trauma della nostra stessa mortalit. Il trau-ma, definito da Freud27, un colpo che penetra larmatura protettiva dellacoscienza, ne buca lo scudo esterno e la ferisce trafiggendola potrebbe forsecorrispondere al Punctum barthiano? Quel dettaglio nellimmagine fotografi-ca, che perfora la generalit, la spezza e la lacera. La ferita sarebbe, allora, lele-mento sorprendente e dolente, quello che ci permette una lettura inusuale e noncodificata dellimmagine. Il Punctum ci espone al rischio, poich travolge larete rassicurante dei codici. Esso ha carattere trasgressivo: tuttavia, esclamaBarthes, il Punctum non si cura della morale o del buon gusto. Il Punctumpu essere maleducato. Ci dovrebbe suonarci come un eco duchampiano.Lartista, labbiamo visto prima, dichiara esplicitamente la sua indifferenzarispetto al gusto: n il gusto nel senso di una rappresentazione fotografica, n ilgusto nel senso di una materia fatta bene. Lopera duchampiana non si cura nem-meno della morale: essa allude nei suoi rimandi di senso continuamente alla

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    24 Roland Barthes, op.cit.25 Susan Sontag, op.cit.26 Roland Barthes, op.cit.27 Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, op.cit.

  • banalit e alla volgarit della nostra esistenza, come atto provocatorio e ironicoindirizzato alla cultura ufficiale e per bene.

    Fotografia e ready-made descrivono il presente, lo registrano per il futuro pas-sato, che prende inizio immediatamente dopo lo scatto. Come la scrittura, essisono strumenti della memoria, capaci di annotare eventi svaniti e di filtrare i par-ticolari della vita, che vale la pena ricordare. Essi scelgono frammenti da salvaree da indirizzare verso un utilizzo e un senso nuovo. Fotografie e oggetti trova-ti sono proposizioni di un racconto intrecciato, parole di un immagine parlante,pezzi di un cut up, che emergono dal passato. Fotografia e ready-made sono lascrittura automatica della nostra storia.

    Il linguaggio

    Lanalogia tra la fotografia e il ready-made si delinea come abbiamo visto inuna parentela procedurale e concettuale, dovuta a una serie di operazioni identi-che: quella dellimplicazione del caso, della scelta, dellappropriazione, delladecontestualizzazione e della conseguente ricollocazione delloggetto. Sia lafotografia, sia loggetto acquistano un nuovo senso, tramite la loro ambientazio-ne in un campo diverso, lo spazio artistico, con i suoi codici di lettura specifici.Gi la matrice etimologica della parola esporre da ex-porre indicalazione del porre fuori qualcosa da un determinato contesto, per acquisire unanuova rilevanza, in una diversa posizione. Loggetto in tal caso si risemantizza,favorendo una fruizione estetica. Per Franco Vaccari28 non c differenza tracomplessi industriali che producono oggetti e macchine fotografiche che produ-cono immagini: il processo produttivo avviene obbedendo a codici che immet-tono loggetto finale entro uno spazio simbolico e di rappresentazione.

    Duchamp avvalora esplicitamente questo atto linguistico, ribaltando o modi-ficando loggetto, e togliendogli il significato originario, legato al suo utilizzo:unopera darte per definizione privo di valore duso. Gi Wittgenstein29 identi-fica il valore duso con il significato: Considera la proposizione come strumen-to e il suo senso come il suo uso. La firma e la data applicate marcano ulterior-mente il ready-made come opera darte. La rete di significati, i giochi di parole ei rimandi linguistici allinterno dellopera complessiva, portano lespressioneduchampiana, inoltre, sul piano di unarte primordialmente concettuale e lingui-stica. Loggetto, allora, non si limita soltanto allidentit di opera darte in quan-to tale, ma acquisisce statuto di proposizione allinterno di un discorso ampio eintricato.

    Rosalind Krauss30 individua il punto di conversione tra i due ambiti: il paral-lelismo tra ready-made e fotografia stabilita dal suo processo di produzione. Sitratta della trasposizione fisica di un oggetto dal continuum della realt nellacondizione fissa di unimmagine darte, tramite un momento di isolamento oselezione. In questo processo richiama ugualmente la funzione di shifter. Esso un segno garantito dalla presenza esistenziale di esattamente questo oggetto.Si tratta di un significato senza significato istituito tramite i termini dellindice.

    Rifacendosi a Charles Sanders Peirce, Rosalind Krauss31 punta lattenzione suun particolare di grande rilevanza: la sostanziale indicalit della fotografia e,

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    28 Franco Vaccari, op.cit.29 Ludwig Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Bibliothek Suhrkamp, 2003 (traduzione mia)30 Rosalind Krauss, The Originality of the Avant-Garde and Other Modernist Myths, op.cit. (traduzione mia)31 Rosalind Krauss, The Originality of the Avant-Garde and Other Modernist Myths, op.cit.

  • come vedremo pi avanti, levidenziazione e la ripresa consapevole di questomeccanismo nellopera di Duchamp. Per Peirce esistono tre tipi di segni, che sidifferenziano nel loro rapporto con il referente: i simboli, le icone e gli indici. Neisimboli la relazione fra segno e referente si fa arbitrario, mentre nelle icone adesempio nei quadri questa marcata da una somiglianza. Lindice il segno piaderente: esso traccia e impronta diretta del referente, oppure il suo sintomo.

    Il segno fotografico condizionato dal suo rapporto fisico necessario con ilreferente. Il legame della traccia significante con la cosa che rappresenta diessere stata fisicamente prodotta dal referente, come unimpressione direttalasciata dai passi nella sabbia. Avevamo gi visto in precedenza come lindica-lit della fotografia determina il suo rapporto necessario con il reale, ora vedia-mo come essa incide nella costituzione del segno e del significato. AncheBarthes32 sottolinea la natura indicale del segno fotografico: La fotografia sitrova sempre allestremit di quel gesto; essa dice: questo, proprio questo, esattamente cos. La Fotografia non mai altro che un canto alternato diGuardi, Guarda, essa addita un certo vis--vis e non pu uscire da questopuro linguaggio deittico.

    La fotografia e il ready-made indicano loggetto, puntano il dito ed esclama-no: guarda quello, proprio questo, stato esattamente cos. Come spiega Rosa-lind Krauss33, le parole questo, quello, oggi, domani, qui, ora, io,tu sono segni deittici e sono in sostanza segni vuoti, in attesa di essere speci-ficati da una contiguit spaziale o temporale. Essi necessitano un inserimento inun determinato contesto e attendono di essere riferiti a un oggetto che conferi-sca loro un senso preciso. Sono segni indicali specifici, chiamati da Jakobsonshifters o commutatori. Il loro dramma che non possiedono un significato diper s, ma devono essere rivolti a qualcosa per significare. In un dialogo, adesempio, il significante delle parole io e tu cambia posizione, ogni tal voltache prende la parola laltra persona e che, di conseguenza, cambia il referente.

    Ci fa pensare a quanto sia difficile lacquisizione della comprensione deicommutatori. Anche Wittgenstein si chiede se i termini quello e questo siimparino come le parole denominatori, ad esempio tavolo, puntando sullog-getto corrispondente. Evidentemente no: poich loggetto designato non coinci-de con la parola, con cui si designa. Si impara il significato delle parole mutan-ti, degli shifters con la pratica, allenandosi nel loro uso, finch si capisce cheil loro significato non fisso e legato alla parola, come nei termini, che designa-no un oggetto, ma flessibile e legato al referente, che muta seguendo il punto divista di chi parla. Cos la fotografia e il ready-made dimostrano che il linguag-gio non ha un senso che gli proprio e non esiste indipendentemente dal suouso, dalla volont di un locutore dato e da un contesto determinato.

    Lindicalit e leco della fotografia nellopera di Marcel Duchamp non silimitano alla funzione deittica dei ready-made, ma attraversano tutta la sua poe-tica, come trama strutturale e riflessiva. Ispirandosi al principio fotografico, eglianalizza le condizioni indicali, cui questo mezzo ha sottoposto il mondo dellar-te. Lanalisi della natura dellindice, della funzione della traccia e del suo rap-porto con la significazione si ritrova oltre che nei ready-made in modo quasipi esplicito in due opere eseguite con il mezzo della pittura e che, malgradoci, non funzionano come quadri, ma come fotografie: il Grande Vetro e Tum. Linteresse di Duchamp per il principio fotografico e indicale nasce dal suo

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    32 Roland Barthes, op.cit.33 Rosalind Krauss, The Originality of the Avant-Garde and Other Modernist Myths, op.cit.

  • atteggiamento anti-pittorico. Per lartista concettuale, la pittura tradizionale siriduce a puro piacere retinale e a pasticcio olfattore. Per la mancanza dicomponenti riflessive e significative di quel mezzo, Duchamp se ne allontana erivolge la sua attenzione a un arte, il cui compito di dare un nuovo pensieroa un oggetto.

    Rosalind Krauss34 individua gli elementi indicali e fotografici in queste dueopere maggiori, in unindagine meticolosa e grandiosa. Il loro statuto indecifra-bile e enigmatico conferma la loro essenza di segno indiziale muto, che ci portaal silenzio di Barthes: niente da dire della fotografia.

    Il Grande Vetro La marie mise nu par les clibataires, mme, loperaprincipale di Duchamp, alla quale ha lavorato per dieci anni dal 1913 fino allasua ufficiale e dichiarata non conclusione nel 1923 di una complessit tale,che la sua discussione riempie libri e che, nonostante la quantit dinchiostrocolato, non pu dirsi conclusa. Mi limito, quindi, a qualche spunto a sostegnodel discorso, che interessa in questa sede.

    Gli elementi fotografici nel Grande Vetro sono di tipo differente: struttura-li, funzionali, fisici o materiali. Per cominciare il vetro stesso ricorda palesemen-te, la lastra del dagherrotipo e quindi i primi supporti della fotografia, oltre allafinestra, che funge da cornice per linquadratura della realt. Lopera divisa indue parti e comporta da un lato riproduzioni dipinte in modo iperrealista dioggetti industriali gi pronti, dallaltro due tipi di tracce: forme dipinte con lapolvere e forme rilevate da pezzi di stoffa mosse dal vento.

    Le rappresentazioni iperrealiste degli oggetti industriali richiamano eviden-temente lindicalit dei ready-made e delle fotografie. La traduzione deglioggetti tridimensionali nel campo bidimensionale e la sospensione di essi nellospazio trasparente del vetro allude chiaramente alla fotografia. Il realismo dellarappresentazione sottolinea lo stato di dipendenza dalloggetto reale simile alprincipio fotografico.

    I Setacci, le sette forme coniche nella parte inferiore del quadro, sono statedipinte con la polvere, che si era depositata sul vetro. La polvere ha lo statutosemiologico di traccia, e indica il tempo che passato. La forma dei tre Pistonidi corrente daria nella parte alta dellopera stata stabilita sulla base di trefotografie. Essi registravano tre volte la forma provocata dalleffetto del ventosu un quadrato di garza sospeso davanti ad una finestra. I Setacci e i Pistonidi corrente daria sono, quindi, forme dipinte, che partono da tracce rilevate daprocedimenti casuali, ma che sono stati indirizzati dallartista: simile a unaimpostazione sperimentale, che provoca un risultato casuale.

    La terminologia adoperata da Duchamp nelle note sul Grande Vetro, inse-rite nella Scatola Verde, ricorda da vicino il gergo fotografico35: Dati: 1) lacaduta dacqua, 2) il gas dilluminazione, determineremo le condizioni delRiposo instantaneo: di una successione.. di fatti diversi.. per isolare il segnodella concordanza tra.. questo Riposo e ... una scelta di possibilit. La cadutadacqua allude allatto di risciacquare la fotografia sviluppata, il gas dillumi-nazione alla luce, che espone la carta fotografica. La determinazione del ripo-so instantaneo richiama alla determinazione della durata della posa, ossiadellesposizione della carta fotografica alla luce. La successione di fatti diver-si per isolare il segno della concordanza tra il Riposo e una scelta di possibilitpotrebbe riferirsi alle varie combinazioni possibili tra tempo di esposizione e

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    34 Rosalind Krauss, The Originality of the Avant-Garde and Other Modernist Myths, op.cit.35 Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, op.cit.

    Marcel DuchampIl Grande Vetro: La mariemise nu par les clibataires, mme1913-1923

    Marcel DuchampLa Bote Verte: La marie mise nupar les clibataires mme, 1934Una tavola a colori e 93 annotazioni,disegni, fotografie e facsimili diDuchamp contenuti in una scatola dicartone verde

  • apertura della lente, oppure alla selezione del negativo da ingrandire, oppureancora allindividuazione del soggetto da fotografare.

    Anche nellultima pittura a olio Tu m del 1918, considerata il pendant delGrande Vetro, si trova una sequenza di indici e tracce trasposte e fissate.Questa opera un vero e proprio autoritratto artistico, unaccumulazione di ele-menti autoreferenziali, con rimandi alle opere precedenti dellartista. Il quadro composto da un lato da citazioni dipinte di ready-made, ottenute tramite proie-zioni delle loro ombre. Dallaltro vi riappaiono i 3 Rammendi tipo, 3Stoppages talons, propri dellopera oggettuale precedente, avente lo stessotitolo. A destra del quadro essi si rifanno in forma di linee multicolori e a sini-stra in forma dipinta pi corposa. I 3 Rammendi tipo riproducono landamen-to di tre pezzi di filo che, cadendo a terra si erano deformati a loro piacimen-to e di cui le forme ricavate sono state usate come modelli. In essi ritroviamola stessa struttura indicale come gi nei Settacci e nei Pistoni del GrandeVetro.

    Al centro del quadro il rimando allindice si fa ancora pi esplicito: vi trovia-mo una mano dipinta che indica con lindice. La mano stata eseguita da un pit-tore di insegne pubblicitarie ed quindi considerata da Duchamp come ready-made. Latto di indicare stabilisce anche qui un rapporto tra il segno e un refe-rente spaziale fisico. Come i shifters verbali questo o quello, anche lamano un significante vuoto, che attende il suo compimento, tramite lassegna-zione di un referente.

    Sulle speculazioni riguardo il significato del titolo dellopera Tu m, in cuiqualcuno supponeva evidentemente che fosse Tu memmerdes, in italiano miinfastidisci, ci che potrebbe essere stato indirizzato sia alla committente e col-lezionista Katherine Dreier, che al mondo dellarte ufficiale in quanto tale, nonvorrei esprimermi oltre. Questo, per, ci deve interessare rispetto al discorso deishifters. Le parole Tu m rimandano ai due commutatori io e te. Anchei pronomi personali sono segni verbali arbitrari, in cui il referente riempie lo spa-zio vuoto stabilito da un sistema di contiguit, che individua la presenza di unlocutore. Tu m, tu a me, ribadisce lintervento di un punto di vista cangian-te, di una prospettiva shifting.

    Il gioco del shifter o lanamorfosi dellosservatore non si limita agli aspet-ti tecnici linguistici, ma trova la sua continuazione nei contenuti delle due opere:del Grande Vetro e di Tu m. Entrambe sono degli autoritratti di unidenti-t doppia e ambigua, divisa tra io e te, tra il s e laltro, tra maschio e femmina.Lambiguit tra Marcel Duchamp e il suo alter-ego femminile Rrose Selavy(detto Eros cest la vie), trova qui il suo dispiegamento. Il Grande Vetro gi diviso fisicamente in due parti sovrastanti: in alto lo spazio della sposa e inbasso quello dei celibi. Marie, MAR e ie e celibataires CEL e iba-

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    Marcel Duchamp3 Stoppages talons, 1913-14Assemblage su base casualeScatola e assi di legno

    Marcel Duchamp, Tu m, 1918, olio su tela

  • taires contengono le sillabe MAR e CEL ovvero la parola MARCEL.Anche sulla copertina e la quarta di copertina delledizione di lusso della Sca-tola Verde, che contiene le note sul Grande Vetro, si trovano le iniziali del-lartista applicate. Le iniziali nella Scatola Verde e il gioco di parole nelGrande Vetro ci confermano la pista autobiografica, intesa qui come esperien-za regressiva delllo, in uno stadio didentit ancora iridescente, come autorefe-renzialit eccessiva e forma di autismo: di fatti il Grande Vetro consideratouna elaborazione narrativa di un fantasma di masturbazione.

    Lidentificazione del ready-made e della fotografia come indice comportaunaltra conseguenza: lindice si situa nel campo del presimbolico e preverbale,che richiama a una immediatezza corporea. Esso rimanda, quindi, a uno stadio dimutismo, che necessita unaggiunta testuale, per elucidare il contenuto rappre-sentato. Il Grande Vetro, ad esempio, stato accompagnato nel 1934, da notepubblicate nella Scatola Verde. Nonostante, come gi spiegato in precedenza,queste note siano state formulate in uno stile criptico e anche se creano pi con-fusione di quanto non chiariscano, funzionano pur sempre come didascalie e sot-tolineano il bisogno del segno indicale di un ulteriore specificazione verbale.

    Gi Walter Benjamin36 puntava lattenzione su questo aspetto, affermandoche le fotografie nei magazines inibiscono per il loro carattere fuggevole la pos-sibilit associativa del lettore e hanno bisogno di una didascalia, che includalimmagine nellambito della letterarizzazione. Altrimenti la loro costruzione destinata a rimanere approssimativa. La didascalia orienta losservatore in unpercorso interpretativo e crea una sinergia tra parola e immagine. Essa ha, quin-di, una funzione diversa del titolo di unopera darte, che apre un ulteriorecampo associativo e crea un senso terzo.

    Allaspetto linguistico compete un ruolo fondamentale nella fotografia e nel-lopera complessiva di Duchamp. Fotografie e ready-made sono segni di per s,addirittura il genere pi immediato: quello preverbale dellindice. Per il lorocarattere indicale e il loro punto di vista mobile questi oggetti necessitano un rap-porto diretto con il referente, per acquisire un significato: esso dipende dal con-testo in cui si trovano. Per il loro carattere muto esigono un complemento testua-le, che inquadri il messaggio. Fotografia e ready-made sono, dunque, di per ssegni aperti, che permettono un gioco libero di associazioni e di rimandi lingui-stici e significativi. Entrambi possono essere considerati strumenti di scrittura consegni ancora indeterminati, in attesa di un compimento, da parte dellosservatoreche tesse la sua ragnatela di sensi intrecciati e illimitati. Ognuno vi pu raccon-tare una storia a suo piacimento.

    Il rapporto con la pittura

    La preferenza duchampiana per il volgare e il banale ci porta a un ulteriore paral-lelismo con la fotografia. Essa sempre stata ritenuta un sostituto di basso livel-lo della pittura, perch considerata di facile uso e senza alcuna necessit dimanualit tecnica precisa: Voi premete il pulsante, noi facciamo il resto, suo-nava la prima pubblicit della Kodak del 1888. Franco Vaccari37 esprime questonesso in modo esplicito: se gi per la fotografia si sospettava che non richiedes-se di alcuna abilit considerata criterio di garanzia dellopera darte , cosanche il ready-made cadde sotto lo stesso sospetto: Duchamp non costruisce e

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    36 Walter Benjamin, op.cit.37 Franco Vaccari, op.cit.

    Marcel DuchampCopertina e quarta di copertina delledizione di lusso della Bote Verte:La marie mise nu par les clibatai-res mme, con le iniziali MD di Marcel Duchamp, 1934

  • non esibisce nessuna abilit, si limita a scegliere gli oggetti anonimi dellindu-stria, senza traccia di lavoro.

    Nellopera duchampiana, il riferimento al principio fotografico e alla suascarsa manualit , tuttavia, giocato consapevolmente come schieramento ironi-co nellambito del popolare, nel bassoventre del corpo frigido della moderni-t, come lo chiama Rosalind Krauss38. Anche Roland Barthes39 ha rilevato lele-mento del banale come problematica intrinseca alla fotografia: Non forse ladebolezza stessa della fotografia, quella sua difficolt ad esistere, che chiama-ta la banalit? Lutilizzo del fotografico, giocato come sinonimo del banale,rispecchia la critica duchampiana alla cultura cosiddetta alta, borghese, chelartista considerava come presuntuosa e arrogante. La pittura, espressione para-digmatica di questo atteggiamento culturale, era disprezzata dallartista comemeramente retinica e come olfattore, per cui priva di senso e interesse.

    Il dibattito sullartisticit e sul rapporto con la pittura ha accompagnato lafotografia fin dagli esordi. Gi Baudelaire diceva che la fotografia non era arte,perch troppo strettamente imparentata con il reale, ossia troppo lontana dauninterpretazione poetica delloperatore. Se la leggenda vuole che la fotografiasi sia impadronita del compito rappresentativo della pittura, copiando i suoigeneri quello del ritratto e del paesaggio , in realt il rapporto tra fotografiae pittura caratterizzato da un complesso e continuo influenzarsi a vicenda. Ilmito che la fotografia abbia liberato la pittura dal suo obbligo di raffigurazionee le abbia permesso di dedicarsi a pieno titolo alla ricerca formale pura, ad esem-pio nel Cubismo e nellAstrattismo, non esatto. In verit la pittura, gi primache la fotografia fosse inventata, aveva conseguito ricerche formali, riducendologgetto e la sua rappresentazione sempre di pi a essere un pretesto. AndrMalraux40 formula questo pensiero: fino allOttocento ogni opera darte eradapprima raffigurazione di un esistente o di un non-esistente. La pittura fu pit-tura pura soltanto per locchio dellartista.

    Ci che era gi visibile in Turner, si esplicitato nel Mont de Sainte-Victoire di Cezanne. Il fatto che il soggetto rimane lo stesso in una serie di qua-dri, evidenzia la predominanza della ricerca pittorica sul soggetto. AncoraMalraux: Le montagne di Sainte-Victoire di Cezanne non evincono il peso poe-tico da ci che raffigurato, ma il raffigurato funge solo da pretesto per trovareuna poetica propria.

    Tuttavia nemmeno la fotografia si limitata a scopi puramente realistici. GiFox Talbot linventore del calotipo, della fotografia con il principio del negati-vo, nel 1839 , ha isolato le forme che sfuggono allocchio nudo. Anche i fotogra-fi si sono interessati alla ricerca di immagini astratte e hanno in parte rifiutato ilmimetismo descrittivo. Daltro canto, la pittura contemporanea non si mai limi-tata alla ricerca formale e astratta, al contrario la pittura realistica sopravvissuta,spingendosi in forme iperrealiste, creando raffigurazioni ancor pi reali della foto-grafia. Anche nellambito dellastrazione, la pittura ha approfittato della ricercafotografica, ispirandosi allinteresse per il frammento, per linquadratura, per ilpiano avvicinato e per gli studi di movimento e gli effetti di luce.

    Pittura e fotografia hanno inciso una sullaltra e lentrata in scena della fotogra-fia non ha fatto altro che spingere unevoluzione gi in corso nel campo dellarte

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    38 Rosalind Krauss, Teoria e storia della fotografia, op.cit. 39 Roland Barthes, op.cit.40 Andr Malraux, Das imaginre Museum, Campus Verlag, 1987. Orig. Le muse imaginaire,Albert Skira AG, Genve, 1947 (traduzione mia)

    William TurnerSunrise with Sea Monsters, 1845Olio su tela

    Paul CezanneMont de Sainte-Victoire, 1900Olio su tela

    Gerhard RichterDrei Kerzen, 1982Olio su tela

  • raffigurativa. Da tanto tempo la pittura non parlava di nientaltro che di pittura,attraverso la sua espressione materiale, limitando il soggetto a interesse formale.E la fotografia, anche quando sembra che parli del reale in quanto tale, in verit hasempre parlato del rapporto con il reale, ossia della sua percezione. La fotografiae la pittura si incontrano laddove entrambe sono espressioni visive di un individuoe quindi scrittura e interpretazione formale, collegata alla percezione e a un puntodi vista significante. Levoluzione di ognuno dei due ambiti ha prodotto delle con-seguenze reciproche, che hanno fertilizzato i due campi di indagine.

    A questo punto viene da chiedersi, se veramente la fotografia e il ready-madepossono, come ritiene Rosalind Krauss, essere ridotti al loro indiscusso caratteredi indice o se non abbiano anche carattere iconico, come la pittura. SecondoPeirce licona si definisce tramite la sua somiglianza con il referente, uniconasarebbe, quindi, una rappresentazione, con una grande percentuale interpretativa. indubbiamente vero che la pittura pu essere eseguita senza presenza necessa-ria delloggetto raffigurato, mentre sia la fotografia, sia il ready-made non posso-no esistere, senza la presenza del referente, di cui sono traccia diretta. Cercando,tuttavia, liconicit dal lato della lettura e non soltanto da quello della produzio-ne , la situazione cambia. In effetti una fotografia non una copia del reale, ma soltanto simile a ci che raffigura. Come la pittura, essa traduzione da tre adue dimensioni, inquadratura, composizione. La stessa cosa si pu dire delready-made: esso assomiglia a se stesso, si autorappresenta, diventa immagine dise stesso dal momento in cui stato scelto e incorniciato dallo spazio espositivo.

    Thomas Zaunschirm41 spiega il malinteso storicamente: Nel 20 secolo, ilready-made stato interpretato come qualche cosa che fosse priva di qualsiasisignificato iconografico, ovvero come rappresentazione e simbolismo mancan-te. Tuttavia, secondo Molderlings, citato da Zaunschirm, esso potrebbe, oltreallo statuto indicale e iconico, addiritura dimostrare carattere simbolico: i ready-made incorporano in modo radicale il passaggio dallimmagine visiva puraallimmagine visiva del pensiero. Loggetto soltanto parte di un intreccio com-plesso di idee, a cui portano i giochi di parole e le espressioni letterari. La rela-zione della rappresentazione con loggetto sarebbe allora, seguendo la definizio-ne che Peirce d del simbolo, sottomessa a una convenzione generale, come larelazione tra linguaggio e referente.

    Il rapporto diretto con il reale di Baudelaire e lo statuto di indice e di impron-ta della fotografia e del ready-made di Rosalind Krauss, non sono argomenti suf-ficienti per escluderne completamente lo statuto di arte e di icona. Fotografia eready-made sono nella loro struttura espressiva molto pi vicini alla pittura, diquanto pu sembrare a un primo sguardo. Essi si collocano nella scala esteticatra pura forma e mera rappresentazione, allo stesso titolo delle opere darte.Fotografia e ready-made contengono una porzione interpretativa ed espressiva,e quindi, di somiglianza e di iconocit, oltre a un valore simbolico, nonostanteil loro rapporto immediato e istantaneo con un elemento preso in prestito dalreale. Una prova pu essere la presenza massiccia di fotografie e di oggetti tro-vati nellarte dei nostri giorni.

    Loriginalit e la riproducibilit

    Abbiamo visto come i fronti tra fotografia e ready-made da un lato e larte e lapittura dallaltra siano da considerarsi meno rigidi e intransigenti, di quanto

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    41 Thomas Zaunschirm, op.cit. (traduzione mia)

  • poteva sembrare dai dibattiti iniziati nel 1839. Anche la problematica relativaallautenticit e alla riproducibilit strettamente legata a questo periodo, carat-terizzato da una forte industrializzazione e tocca unulteriore tematica comunedella fotografia e del ready-made da un lato e dellarte e della pittura dallaltro.Walter Benjamin42 stato uno dei primi a individuare la riproducibilit comeespressione della modernit industriale e ad analizzare il suo effetto sullo statu-to dellopera darte. Secondo Benjamin, lopera darte ha perso il suo caratteredi unicit e con ci la sua aura: apparizioni uniche di una lontananza per quan-to questa possa essere vicina. Laura stata sostituita da una visione fugace eripetibile, dovuta a unesigenza di avvicinamento e di impossessamento deglioggetti, come effetto della diffusione dellinformazione. Le nozioni di fugacit,ossia di istantanea e di impossessamento, quindi di appropriazione, dovrebbero,in effetti, suonarci familiari, come costituenti sia della fotografia, sia del ready-made.

    Ambedue partono, tuttavia, da una posizione di unicit: per produrre unoggetto industriale serve un modello o un prototipo, che sar riprodotto mecca-nicamente in seguito, mentre per la diffusione delle fotografie occorre un nega-tivo, che funge da matrice, per realizzare delle copie ingrandite. Dal master sipassa in entrambi i casi alle copie industriali, che saranno diffuse di seguito.Tutti e due possiedono un valore duso particolare per la societ: loggetto indu-striale lutilizzo, per cui stato progettato e predestinato e la fotografia un usoinformativo, quando si trova riprodotta nei media come prodotto industriale. Sialoggetto industriale, sia la fotografia possono acquisire lo statuto di opera dar-te, tramite isolamento e indirizzamento nellambito artistico. Loggetto indu-striale come ready-made nelloperazione duchampiana e la fotografia esposta inuna mostra darte.

    In Walter Benjamin una fotografia perde per sempre qualunque possibilit diautenticit: Da un negativo fotografico, per esempio si pu fare qualsiasi nume-ro di stampe; di richiedere una stampa autentica non ha senso. Mentre perGillo Dorfles43, lunicit della fotografia come elemento artistico solo lesa par-zialmente, poich ci che conta lidea creativa al momento dello scatto dellot-turatore. Per Dorfles, la riproducibilit non toglie valore allaspetto estetico del-latto fotografico.

    In effetti c da chiedersi, se il momento dello scatto o analogamente ilmomento della scelta delloggetto gi fatto in breve la situazione referenzia-le stessa non possa essere definita come momento unico e irrepetibile. Comeun punto di vista pu essere considerato unico e particolare, cos, per dirla conRoland Barthes44: ci che la fotografia riproduce allinfinito ha avuto luogosolo una volta: essa ripete meccanicamente ci che non potr mai ripetersi esi-stenzialmente. Essa il particolare assoluto, la contingenza suprema.

    Non a caso il discorso sulloriginalit riaffiora con lavvento delle avanguar-die storiche, scosse dalle onde della riproducibilit tecnica e la conseguentemessa in questione dellunicit, elemento primordiale e determinante delloperadarte. Lavvento della fotografia ha rimescolato le idee di originalit e diespressivit soggettiva e ha negato il sistema delle differenze. Il gesto estetico stato sopraffatto dallidea di molteplicit e di ripetizione, ci che ha finito perconfondere la distinzione tra originale e copia.

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    42 Walter Benjamin, op.cit.43 Claudio Marra, Le idee della fotografia, op.cit. Da: Appunti per unestetica della fotografia(1967), in intinerario estetico, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 198744 Roland Barthes, op.cit.

  • Nellanalisi di Rosalind Krauss45, le avanguardie si sono ritrovate, perci, in ungioco paradossale, dove emerge un desiderio estremo di riconquista di originalit edi unicit, sia dellopera, sia dello statuto dellautore con un modus operandi con-trario a esse, basato sulla ripetibilit e sulla copia. Lo sviluppo dellarte astratta informe di griglie, intese come gesto radicale di assoluta negazione di qualsiasi ele-mento narrativo ed espressivo, si sono rivelate, invece, essere immagini di una retecostituita da moduli moltiplicati, che narrano della superficie pittorica stessa. Lagriglia doveva manifestare lorigine assoluta, il fondamento ultimo, cui non dove-va seguire pi nessun ulteriore modello o referente. Questa, tuttavia, si rivelataessere un sistema di ripetitivit e di moltiplicit, priva di originalit: nessuno purivendicare linvenzione della griglia. Daltronde, per salvare la singolarit o lau-tenticit, la superficie deve fungere da istanza empirica e semiologica e ci impe-dito da una rete di cloni, dominata da una razionalit matematica, che esclude qual-siasi elemento casuale e vitale, proveniente dal caos dellesistenza. Krauss conclu-de che nella modernit, la priorit sulloriginalit tende a rimuovere la nozione dicopia e di ripetizione, che costituisce paradossalmente la condizione fondamentaleper la concezione delloriginalit. La nozione stessa di originale si pu solo deli-neare rispetto alla nozione di copia, la definizione di unico si stabilisce in rapportoa quella di multiplo. Sia le avanguardie, sia il modernismo evitano un discorso com-plementare tra originalit e copia e tendono a reprimere laltra parte della medaglia,ossia la copia, che un dato di fatto in una societ dominata dallinformazione dimassa, in cui la riproducibilit diventata la condizione dellunicit.

    Si potrebbe allora sostenere che lo stesso Duchamp abbia fatto riemergerelidea di riproducibilit come condizione fondamentale delloriginalit e abbiaristabilito ed evidenziato il nesso tra copia e originale e tra provenienza anoni-ma indifferente e la figura di autore come garanzia di autenticit e di valore. Ilready-made, in effetti, concepito come atto irrepetibile e firmato, che coinvol-ge un oggetto seriale e anonimo. Lartista reintroduce la nozione di differenza edi limitazione in antitesi al concetto di indifferenza e di illimitato: tutti i ready-made sono diversi e sono concepiti come limitati in numero e tempo. Ogni attodi scelta rappresenta un punto di vista individuale, irrepetibile e unico: Duchampconverte gli oggetti prefabbricati e clonati in propria creazione originale, trami-te uno sguardo modificato e particolare. Duchamp si ispirato a Max Stirnerche, da egocentrico estremo, rapporta tutto a se stesso: ciascuno ha un rappor-to con gli oggetti e ognuno vi si relaziona in un modo diverso. dunque losguardo individuale, che dona nuovamente alloggetto copiato industrialmenteloriginalit e laura persa ed il punto di vista soggettivo, che determina nellafotografia la sua unicit. Dalla prospettiva solipsistica del fotografo viandante edellartista egocentrico riaffiora il senso delloggetto particolare dalla massaindustriale indifferenziata, che rischia di schiacciarci. Originalit e riproducibi-lit, unicit e ripetibilit, originale e copia non dipendono soltanto dal processoproduttivo e dallo stato di artisticit, ma altrettanto dal modo di vedere e dallacapacit di dare alloggetto un nuovo pensiero.

    Conclusione

    Dai discorsi connessi alla fotografia e al ready-made sono apparse delle dicoto-mie, che potevano sembrare irrimediabilmente bloccate, nella loro complemen-tariet senza speranza. Il percorso svolto durante questa indagine non ha soltan-

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    Piet MondrianComposition with yellow, red andblue, 1920Olio su tela

    45 Rosalind Krauss, The Originality of the Avant-Garde and other Modernist Myths, op.cit.

  • to dimostrato che i fronti possono essere ammorbiditi e che le opposizioni pos-sono essere sciolte, ma che gli elementi controversi costituiscono due lati dellastessa medaglia e sono quindi connessi in un gioco interdipendente e mutuale.Le parti contrastanti si sono rivelate essere componenti intrinseche del meccani-smo stesso, al cui funzionamento ciascuno contribuisce in una percentuale varia-bile, su una scala che porta da un estremo allaltro. Abbiamo visto come il realee linterpretazione, il caso e lintenzionalit, lartisticit e la tecnicit, lorigina-lit e la riproducibilit si integrano e si condizionano a vicenda in un movimen-to continuo di una macchina culturale, che produce senso e che scrive poesia. Lafotografia e il ready-made si formulano su questi termini, che agiscono in manie-ra dialogica.

    Vorrei allora tornare alla mia domanda iniziale: si pu sostenere che la foto-grafia sia un ready-made e che il ready-made sia una fotografia?

    Entrambi sono delle espressioni tipiche della modernit legate strettamenteallera dellindistrializzazione e riflettono le problematiche della societ dimassa e della societ dellinformazione. Senza lavvento della riproducibilittecnica nessuno dei due fenomeni sarebbe stato possibile e fotografia e ready-made non sono, infatti, ipotizzabili in un altro momento storico.

    Nonostante la loro diversit nellaspetto oggettuale e materiale, nel loro uti-lizzo e nella loro funzione sociale, nella loro collocazione storica e nella loroprovenienza, dimostrano innegabilmente una stretta parentela e una similitudinepalese nella produzione, nella struttura, negli elementi e nel rapporto con il lin-guaggio e con la pittura.

    Concludendo risponderei insieme a Franco Vaccari46 con una affermazionenetta e ben definita: ogni fotografia un ready-made e ogni ready-made unafotografia.

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    46 Franco Vaccari, op.cit.