sentenza n. 2222/2017 pubbl. il 13/10/2017 rg n. 6535/2011 ... · precisazione delle conclusioni....
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N. R.G. 6535/2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA
QUARTA SEZIONE CIVILE
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Fabio Florini Presidente
dott. Giovanni Salina Giudice Relatore
dott.ssa Daria Sbariscia Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 6535/2011 promossa da:
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RAINBOW SRL (C.F. 01398510428), con il patrocinio dell’avv. MORETTI
MICHELE e dell’avv. CORONA SANDRO, elettivamente domiciliato in VIA
SANTA MARIA AL COLLE, 20 40100 BOLOGNA presso il difensore avv.
CORONA SANDRO.
ATTORE
contro
FRIDERICO GATTI (C.F. GTTFDR74H10Z150S), con il patrocinio
dell’avv. RIZZO ALESSANDRA e dell’avv. MAZZA CLAUDIO,
elettivamente domiciliato in GALLERIA GUGLIELMO MARCONI 1 40122
BOLOGNA presso il difensore avv. RIZZO ALESSANDRA.
RIO LICENSING COMPANY LIMITED (C.F. ), con il patrocinio
dell’avv. TOTARO ALESSIO, elettivamente domiciliato in VIA
D’AZEGLIO N. 19 BOLOGNA presso il difensore avv. TOTARO
ALESSIO.
ROMAN FEDOTOV (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. TOTARO ALESSIO
e dell’avv. PERRELLA CLAUDIO, elettivamente domiciliato in VIA
D’AZEGLIO 19 40100 BOLOGNA presso il difensore avv. TOTARO
ALESSIO.
CONVENUTI
CONCLUSIONI
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Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza di
precisazione delle conclusioni.
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, la società Rainbow s.r.l., in
persona del suo legale rappresentante pro-tempore, conveniva in giudizio,
innanzi all’intestato Tribunale, Friderico Gatti, Roman Fedotov e la società di
diritto russo Rio Licensing Company Limited, in persona del suo legale
rappresentante pro-tempore, chiedendo che l’adìto Tribunale, previo
accertamento della loro concorrente responsabilità, ex artt. 98-99 CPI e 64
quinquies L.d.a., a titolo di sottrazione di informazioni aziendali segrete,
know-how e banca-dati di proprietà dell’attrice, nonché, a norma dell’art.
2598 nn. 2 e 3 c.c., a titolo di concorrenza sleale, condannasse i convenuti, in
solido tra loro, al risarcimento dei danni sofferti dall’attrice in conseguenza
dei denunciati illeciti, condannando altresì il convenuto Friderico Gatti alla
restituzione del compenso percepito in costanza del rapporto di lavoro per
violazione dell’obbligo di non concorrenza.
L’attrice, inoltre, chiedeva inibirsi ai convenuti la prosecuzione delle attività
illecite descritte in citazione, nonché l’utilizzo, la pubblicizzazione e la
commercializzazione delle informazioni segrete illecitamente ad essa sottratte,
ponendo a carico dei convenuti una penale pecuniaria per ogni violazione e/o
per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’emananda sentenza, e, infine, la
pubblicazione dell’invocato provvedimento.
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In particolare, l’attrice, società operante nel settore delle produzioni video,
audio, animazione e comunicazione, tra le quali il noto cartone animato “Winx
Club” del quale erano state realizzate quattro serie televisive accompagnate da
un’importante attività di merchandising, deduceva che l’ex dipendente
Friderico Gatti, assunto nell’anno 2004 con qualifica di direttore commerciale
e successivamente dimessosi nell’aprile del 2010, in concorso con il proprio
ex agente per il mercato russo, Rio Licensing Ltd, e del managing director di
quest’ultima, Roman Fedotov, aveva sottratto ed utilizzato, in danno di
Rainbow e a vantaggio della concorrente società SANRIO, titolare del
marchio Hello Kitty, le informazioni aziendali, tecniche, industriali e
commerciali segrete nella sua materiale disponibilità per ragioni di servizio,
costituenti il know-how dell’attrice, nonché la banca-dati di quest’ultima e le
sue strategie commerciali, violando, in tal modo, i diritti di proprietà
industriale ed intellettuale nella titolarità dell’attrice ed i patti di non
concorrenza e riservatezza sottoscritti in costanza del predetto rapporto di
lavoro.
Lamentava, quindi, la società Rainbow s.r.l. che le condotte poste in essere dai
convenuti erano tutte finalizzate ad estromettere dal mercato russo i prodotti a
marchio Winx Club, favorendo la commercializzazione dei prodotti a marchio
Hello Kitty anche attraverso l’avvio di contatti con licenziatari, agenti e
distributori di Rainbow operanti nel suddetto mercato, con conseguente grave
danno patrimoniale, emergente e da lucro cessante, per la società attrice.
Con separate comparse di risposta si costituivano in giudizio i convenuti,
eccependo, in via pregiudiziale, quanto ai convenuti Roman Fedotov e Rio
Licensing, il difetto di giurisdizione dell’adìta Autorità Giudiziaria, e, quanto,
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al Gatti, l’incompetenza territoriale del Tribunale di Bologna, e, in via
preliminare, l’applicabilità della legge russa ed il difetto di legittimazione
passiva del convenuto Fedotov.
Nel merito, i convenuti contestavano la fondatezza delle deduzioni svolte
dall’attrice, e, concludendo, chiedevano il rigetto delle domande ex adverso
formulate.
Inoltre, la convenuta Rio Licensing, in via riconvenzionale, chiedeva la
condanna della società attrice al risarcimento del danno da “illegittima
interruzione dei rapporti contrattuali” ed il convenuto Gatti la declaratoria di
nullità della patto di non concorrenza previsto dal contratto stipulato con
l’attrice.
Nel corso del giudizio, espletati gli incombenti di cui all’art. 183 c.p.c., il
Giudice, con ordinanza resa in data 24/5/2013, fissava udienza di precisazione
delle conclusioni e, successivamente, all’udienza del 27/2/2014, rimetteva la
causa al Collegio per la decisione.
Con ordinanza collegiale resa in data 28-5/14 – 4/6/14, il Tribunale,
riservando unitamente a quella sul merito la decisione in ordine alle questioni
pregiudiziali e preliminari poste dai convenuti, disponeva la rimessione della
causa in istruttoria, ammettendo le prove per interrogatorio formale e per testi
dedotte dalle parti.
Successivamente, con ordinanza del 22/9/2015, in parziale accoglimento
dell’istanza avanzata, a norma dell’art. 75 c.p.p., nell’interesse dei convenuti,
il G.I. dichiarava l’estinzione del giudizio limitatamente alla domanda
proposta dall’attrice di risarcimento del danno non patrimoniale.
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Infine, esaurita l’istruttoria orale in precedenza ammessa e previa reiezione
delle residue istanze istruttorie avanzate dall’attrice, il Giudice fissava udienza
di precisazione delle conclusioni e, con ordinanza datata 6/2/2017, rimetteva
la causa al Collegio per la decisione, assegnando alle parti i termini di cui
all’art. 190 c.p.c. per lo scambio di comparse conclusionali e di memorie di
replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Giova, in primo luogo, dare atto che, in data 14/11/2016, parte convenuta ha
reiterato l’istanza di estinzione del giudizio a norma dell’art. 75 c.p.p.
Come esposto in premessa, con provvedimento reso il 22/9/2015, il designato
Giudice Istruttore, accogliendo parzialmente un’analoga istanza formulata
sempre dai convenuti, aveva dichiarato l’estinzione del presente giudizio
limitatamente alla domanda attorea di risarcimento del solo danno non
patrimoniale in ragione della documentata costituzione di parte civile della
società attrice nel processo penale instaurato a carico dei convenuti per i
medesimi fatti illeciti oggetto del presente procedimento civile.
Orbene, ritiene il Collegio che, a parziale modifica dell’ordinanza emessa dal
G.I., l’istanza come sopra formulata e reiterata dai convenuti vada, invece,
accolta anche in relazione alla richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali.
Ed invero, dalla documentazione allegata dall’istante, e come del resto già
rilevato dal G.I. nella sopra richiamata ordinanza del 22/9/2015, la società
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Rainbow s.r.l., con atti del 26/11/2013 e 27/5/2015, si era costituita parte
civile nel procedimento penale instaurato a carico dei convenuti in relazione ai
medesimi fatti illeciti denunciati con l’atto introduttivo del presente giudizio
civile, limitando, però, (con il secondo atto), la predetta costituzione di parte
civile ai soli danni non patrimoniali.
Ritiene, tuttavia, il Collegio che tale limitazione non sia giuridicamente
ammissibile.
Infatti, per effetto del trasferimento dell’azione civile in sede penale, mediante
la costituzione di parte civile in epoca successiva al promovimento del
giudizio civile, quest’ultimo, ai sensi dell’art. 75 c. I c.p.p., si è, ipso iure,
estinto (limitatamente alla corrispondente domanda risarcitoria).
Come noto, si tratta di un effetto automaticamente riconducibile ad un fatto
processuale, che, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale (v. ad
es. Cass. Sez. III 16/5/2012 n. 7633; Sez. I 5/4/2013 n. 8353; Sez. VI
21/10/2015 n. 21318), determina, ope legis, una vicenda estintiva del processo
civile, rilevabile ex officio, perché comporta la rinuncia agli atti del giudizio
civile, ricorrendo, come detto, il presupposto dell’identità soggettiva
(personae) ed oggettiva (petitum e causa petendi) delle due azioni.
A quest’ultimo riguardo, deve, infatti, rilevarsi l’inammissibilità del
frazionamento del credito risarcitorio così come operato dalla società attrice.
In primo luogo, la predetta limitazione della domanda risarcitoria appare già
smentita dalla stessa sentenza acquisita agli atti del presente processo, con cui
il Tribunale di Ancona, definendo il suddetto procedimento penale, ha
accertato e liquidato, in via di mera provvisionale, il danno riconosciuto alla
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società Rainbow s.r.l. in termini di pregiudizio patrimoniale, costituito “dai
soli costi per il ripristino dei files...”, circostanza, quest’ultima, di per sé,
difficilmente compatibile con una mera richiesta di risarcimento circoscritta al
solo danno non patrimoniale.
In ogni caso, l’eventuale parcellizzazione del credito risarcitorio, ove operata,
non sarebbe ugualmente ammissibile.
Infatti, a partire dal revirement compiuto dalle Sezioni Unite nell’anno 2007
(Sent. N. 23726/07), la scomposizione della domanda di risarcimento danni
deve essere ritenuta improponibile/inammissibile, in quanto siffatto
comportamento processuale del danneggiato integra gli estremi, oggettivi e
soggettivi, dell’abuso del processo attraverso il frazionamento di un credito,
invece, unitario.
In particolare, la Corte di legittimità ha, reiteratamente, censurato l’uso
distorto dello strumento predisposto dall’ordinamento per la tutela
giurisdizionale del diritto, ravvisando la violazione del principio di
solidarietà, ex art. 2 Cost., nonché di quelli di buona fede e correttezza ex art.
1175 c.c., nella condotta del danneggiato che non deduca nella domanda
giudiziale l’intero rapporto obbligatorio di cui è titolare, operando una
scissione del contenuto dell’obbligazione.
Con recente pronuncia (v. Cass. Civ. Sez. VI 21/10/2015 n. 21318), la
Suprema Corte ha altresì esteso tali principi e, segnatamente, il divieto di
frazionamento della domanda giudiziale, alla materia dei crediti derivanti da
illeciti extracontrattuali, affermando la coerenza di tali enunciazioni con la
domanda di risarcimento da fatto illecito.
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Infatti, in un’ottica volta ad assicurare la ragionevole durata del processo e a
garantire la certezza dei rapporti giuridici, è stata ritenuta prevalente
l’esigenza pubblicistica dell’eliminazione definitiva dell’incertezza sulla
singola fattispecie, rispetto alla soddisfazione delle pretese frammentarie del
loro titolare, ponendo precisi limiti oggettivi alla domanda giudiziale
La Corte di Cassazione, con argomentazioni assolutamente condivisibili, ha,
quindi, ritenuto che, anche nell’ambito del rapporto extracontrattuale,
meritino tutela i valori di buona fede e correttezza, che impongono la
protezione del danneggiante a non subire inutili duplicazioni dell’attività
processuale (ed i relativi costi ed oneri), essendo il nucleo dei fatti storici
rilevanti per l’individuazione del diritto non suscettibile di scomposizione, né
di frazionamento, con la conseguenza che anche l’azione per il risarcimento
del danno extracontrattuale deve essere considerata unitaria.
Pertanto, alla luce dei principi sopra enunciati, ritenuta l’inammissibilità
dell’(eventuale) disarticolazione del rapporto sostanziale unitario e, quindi,
dell’(eventuale) parcellizzazione della domanda giudiziale da parte
dell’odierna attrice, nella fattispecie in esame, per effetto del (successivo)
trasferimento in sede penale dell’azione civile, deve dichiararsi, ex officio, a
norma del citato art. 75 c. I c.p.p., l’estinzione, ipso iure, del presente giudizio
anche con riferimento alla domanda di risarcimento dei danni patrimoniali.
La dichiarata estinzione, tuttavia, opera con riferimento alle sole domande
risarcitorie in ragione dell’identità oggettiva e soggettiva ravvisabile tra
l’oggetto del definito procedimento penale ed il thema decidendum del
presente giudizio civile, escluse, per ciò, le ulteriori richieste di accertamento
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degli illeciti denunciati in citazione, di inibitoria, di imposizione di penale
pecuniaria e di pubblicazione della sentenza.
L’estinzione del giudizio avrebbe coinvolto anche la domanda attrice di
condanna del Gatti al rimborso del compenso percepito in asserita violazione
del patto di non concorrenza previsto dal contratto di lavoro inter partes, in
quanto avente natura e contenuto sostanzialmente risarcitori.
Al riguardo, però, va rilevato che la società attrice, in sede di definitiva
precisazione delle conclusioni, non ha più riproposto la predetta richiesta,
rinunciando, per ciò, a qualsiasi domanda fondata su titoli di responsabilità
contrattuale, come, appunto, quella in commento.
La sopra rilevata rinuncia, in quanto sopravvenuta in corso di causa, non
preclude, tuttavia, la delibazione in merito alla domanda originariamente
formulata, in via riconvenzionale dal Gatti, di nullità del patto di non
concorrenza post-contrattuale posto dall’attrice a fondamento della predetta
richiesta ancorchè, come detto, non più coltivata.
Tale questione, per ragioni espositive e sistematiche, verrà trattata in seguito.
Circoscritto il (residuo) thema decidendum alle sole domande attoree non
estinte perché non aventi natura risarcitoria, occorre, in primo luogo, valutare
la fondatezza delle questioni, pregiudiziali e preliminari, poste dai convenuti.
Per quel che concerne l’eccepito difetto di giurisdizione, come noto, a norma
dell’art. 5 c.p.c., la giurisdizione si determina in base alle iniziali allegazioni
di parte attrice, la cui fondatezza o meno rileva ai soli fini della decisione sul
merito, ma non certamente sotto il profilo, pregiudiziale, della competenza
giurisdizionale.
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Al riguardo, occorre rilevare che, come già sostanzialmente anticipato
nell’ordinanza collegiale depositata in data 4/6/2014, nella fattispecie in
esame, deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice italiano, e ciò in
ragione dell’omogeneità e, quindi, ex art. 6.1. Convenzione di Bruxelles, della
forte connessione oggettiva ravvisabile tra i titoli di responsabilità
(extracontrattuale concorrente e solidale di cui agli artt. 2055, 2598 cod. civ. e
98-99 CPI) dedotti dalla società attrice nei confronti sia del convenuto Gatti
Friderico, parte processuale indubbiamente soggetta alla giurisdizione del
giudice italiano, sia dei convenuti Fedotov Roman e Rio Licensing Company
Ltd.
Inoltre, in virtù della clausola n. 24 del contratto di agenzia inter partes, la
statuizione che precede va estesa anche all’ulteriore e concorrente titolo di
responsabilità, di natura contrattuale, allegato dall’attrice nei confronti dei
convenuti Fedotov e Rio Licensing, per asserito inadempimento delle
obbligazioni assunte con il menzionato contratto e, segnatamente, del patto di
non concorrenza e di riservatezza previsti dal contratto di agenzia inter partes.
Quanto all’ulteriore questione pregiudiziale di competenza territoriale posta
dal convenuto Gatti Friderico, si ritiene che l’adìto Tribunale di Bologna sia,
ratione loci, competente a conoscere della presente controversia tenuto conto
sia del titolo di responsabilità extracontrattuale, per concorrenza sleale c.d.
interferente, definitivamente dedotto dall’odierna società attrice nei confronti
del convenuto eccipiente, sia del criterio determinativo della competenza
funzionale ed inderogabile previsto dagli artt. 3 D.lvo n. 168/03 e 120 CPI
(locus commissi delicti), in forza dei quali la presente controversia è stata
correttamente radicata avanti alla allora Sezione Specializzata in Materia di
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Proprietà Industriale ed Intellettuale del Tribunale di Bologna che, all’epoca di
introduzione della lite, era, per legge, funzionalmente ed inderogabilmente
competente, ratione temporis, anche per quelle altrimenti soggette alla
competenza dei tribunali aventi sede nella Regione Marche, luogo,
quest’ultimo, di verificazione del lamentato evento dannoso, con vis actractiva
c.d. forte nei riguardi delle ulteriori cause e domande ad essa connesse.
Infine, si ritiene che, nel presente giudizio, debba applicarsi la legge italiana,
avuto riguardo allo status soggettivo del convenuto Gatti Friderico, alle
specifiche pattuizioni sul punto contenute nel contratto di agenzia stipulato
dalla società attrice e dalla società convenuta, al ruolo formalmente assegnato
al convenuto Fedotov in seno alla società russa contraente, nonché alla stretta
interdipendenza o connessione, oggettiva e soggettiva, esistente, da un lato, tra
i dedotti titoli di responsabilità e, dall’altro, tra le domande formulate
dall’attrice, da ritenersi così radicale e profonda da rendere necessaria o,
quantomeno, opportuna, in ossequio ai principi di economia processuale e di
ragionevole durata del processo, l’individuazione di un’unica legge (quella
italiana) regolatrice dei dedotti rapporti giuridico-processuali-sostanziali,
come detto, tra di loro fortemente interferenti.
Diversamente opinando, il convenuto Fedotov sarebbe (irragionevolmente)
soggetto alla legge italiana, ex art. 24 contratto di agenzia, in relazione al
titolo di responsabilità contrattuale come sopra allegato da Rainbow s.r.l., e
alla legge russa, ex art. 62 L. n. 218/95, per la responsabilità extracontrattuale.
Per quel che riguarda l’eccepito difetto di legittimazione passiva in capo al
convenuto Roman Fedotov, si osserva che, sulla scorta delle allegazioni, in
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fatto e in diritto, svolte dall’attrice in citazione, vi è perfetta coincidenza tra il
soggetto indicato come presunto responsabile dei denunciati illeciti e quello
specificatamente evocato, a tale titolo, in giudizio, sicchè, nella fattispecie in
esame, si pone non un problema di legitimatio ad causam in senso stretto,
bensì di mera titolarità, a latere debitoris, dell’obbligazione risarcitoria dedotta
in causa e di soggettiva imputabilità al convenuto, in proprio, degli illeciti
denunciati dalla società attrice, la quale (titolarità), come noto, costituisce
questione di merito.
Detto questo e passando, quindi, all’esame del merito (residuo) della presente
controversia, appare anzitutto opportuno dare atto che, in comparsa
conclusionale, l’attrice ha testualmente precisato e riassunto l’oggetto del
presente giudizio, affermando che “la presente controversia trae origine
dall’indebita appropriazione di dati, documenti, informazioni riservate
costituenti il know-how della RAINBOW ad opera del sig. Friderico Gatti e
della conseguente indebita utilizzazione di tale know-how della RAINBOW
da parte di Gatti e della Rio Licensing e del sig. Roman Fedotov, a favore del
principale concorrente di RAINBOW, la società SANRIO titolare del marchio
HELLO KITTY”.
Come in precedenza esposto, la materia del contendere, per effetto delle
precedenti statuizioni, si è ridotta alle sole domande attoree di accertamento
degli illeciti addebitati ai convenuti, in concorso tra loro, (id est, illecita
sottrazione ed utilizzazione, ex artt. 98-99 CPI e 64 quinquies LdA, di
informazioni aziendali riservate costituenti know-how e banca-dati di
proprietà dell’attrice, di concorrenza sleale a norma dell’art. 2598 nn. 2 e 3
c.c., di violazione del patto di riservatezza e non concorrenza previsto dal
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contratto di agenzia), e, conseguentemente, di inibitoria di tali attività, di
imposizione di penale pecuniaria per ogni futura violazione e di pubblicazione
della invocata sentenza.
Sempre ai fini del miglior inquadramento possibile della presente
controversia, occorre altresì evidenziare che, in relazione ai medesimi fatti
oggetto del presente giudizio civile, la competente A.G. ha pure promosso a
carico di Gatti e Fedotov, nelle rispettive qualità e cariche in seno,
rispettivamente, alla società attrice e alla società Rio Licensing, un
procedimento penale definito dal Tribunale di Ancona con sentenza, gravata
di appello, N. 1530/16, del 5/7/2016.
La sentenza in questione risulta essere stata resa all’esito di indagini e di
istruttoria dibattimentale che, se non proprio speculare, appare quantomeno
oggettivamente e soggettivamente analoga e quasi sovrapponibile a quella
espletata nel presente giudizio civile.
Tutto ciò premesso, va, in primo luogo, valutata la posizione processuale del
convenuto Roman Fedotov, il quale, come in precedenza esposto, ha eccepito
la propria carenza di legittimazione passiva, rectius di titolarità dei fatti e
responsabilità dedotti dall’attrice.
Orbene, secondo la prospettazione attorea, il Fedotov avrebbe commesso i
predetti illeciti in concorso con i convenuti Gatti e Rio Licensing, in proprio e
quale dipendente-dirigente di quest’ultima, al fine di boicottare i servizi ed i
prodotti a marchio Winx Club, a beneficio di quelli, concorrenziali, a marchio
Hello Kitty.
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Diversamente dall’altro convenuto Friderico Gatti al quale, a prescindere dalla
fondatezza o meno delle relative allegazioni, sono stati contestati specifici
comportamenti illeciti, al convenuto Roman Fedotov, invece, l’odierna attrice
ha genericamente contestato di aver prestato la propria collaborazione al
compimento delle medesime attività illecite ascritte al Gatti, senza, però,
precisare le modalità dell’ipotizzato concorso, sia a titolo personale, che a
titolo di dipendente ma non rappresentante della società Rio Licensing, a sua
volta, agente di Rainbow s.r.l.
L’indeterminatezza degli addebiti a titolo personale, unitamente alla
circostanza che il Fedotov non rivestiva ruoli rappresentativi della società
convenuta cui eventualmente imputare gli illeciti denunciati dall’attrice,
impongono, per ciò solo, il rigetto delle domande così come formulate da
quest’ultima nei di lui confronti.
Soltanto in comparsa conclusionale, la società attrice ha allegato, nei riguardi
del Fedotov, un nuovo e mai prima dedotto titolo di responsabilità, di natura
personale, dell’institore reticente ex art. 2208 c.c., prospettando altresì una sua
veste di plenipotenziario e di amministratore-legale rappresentante di fatto,
che, al di là della tempestività ed ammissibilità processuale della relativa
asserzione, quale mutatio libelli o, comunque, nuova causa petendi
tardivamente allegata, è rimasta anche priva di qualsivoglia riscontro
istruttorio.
Come detto, la società attrice, in primis, ha contestato ai convenuti la
violazione dei suoi diritti di proprietà industriale ed intellettuale, ex artt. 98-99
CPI e 64 quinquies LdA, assumendo, sul punto, la illegittima sottrazione e
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l’indebita utilizzazione di informazioni aziendali riservate e addirittura
segrete, costituenti, nel loro complesso, il know-how dell’impresa, oltre che la
sua banca-dati.
Come noto, l'art. 98 c.p.i. si riferisce a tutto ciò che può rientrare nella nozione
di know-how; quindi: informazioni di natura tecnica o commerciale (a tal fine
apparendo indifferente la natura, potendo trattarsi di esperienze aziendali
tecnico-industriali o informazioni di carattere commerciale, o, ancora,
informazioni relative alla organizzazione, o, infine, informazioni finanziarie,
di gestione o di marketing).
Tali informazioni devono essere relative ad un processo tecnico produttivo o
distributivo o organizzativo di attività economica, il cui valore è dato dal
risparmio realizzato dall'imprenditore con la sua utilizzazione.
Invero, dette informazioni potranno pure essere singolarmente accessibili al
pubblico con una attività non inventiva, giacchè è la loro combinazione ad
attribuire loro valore e renderle appetibili ai terzi.
Conseguentemente, data una informazione di tale natura, le condizioni cui il
legislatore subordina la loro tutela sono: 1) che siano soggette al legittimo
controllo del detentore, sia esso l'ideatore delle stesse, sia esso colui che è
autorizzato ad utilizzarle con il consenso del titolare; 2) che siano segrete: in
tal senso non occorre che siano assolutamente inaccessibili, ma è necessario
che la loro acquisizione, quando sia possibile, sia soggetta a sforzi non
indifferenti, superiori rispetto a quelli che occorrono per effettuare una
accurata ricerca; esse devono altresì essere state accumulate con un lavoro
intellettuale di progettazione individuale; 3) che abbiano valore economico, in
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quanto sia stato necessario anche uno sforzo economico per ottenerle, mentre
analogo sforzo economico sarebbe stato richiesto presumibilmente per
duplicarle; 4) che siano sottoposte a misure di segregazione, con particolare
riferimento sia ad una protezione fisica, assicurata da sistemi di protezione
adeguati, sia ad una protezione giuridica, assicurata da una informazione
adeguata, data ai terzi che vengono in contatto con le informazioni sul
carattere riservato e sulla necessità che venga mantenuto tale (v. ad es. Trib.
Bologna Sez. spec. propr. industr. ed intell. Ord., 27/05/2008).
Nel caso di specie, le informazioni aziendali sufficientemente descritte in atti
(lista clienti; elenco fornitori-distributori e licenziatari; strategie commerciali e
di mercato) e di cui l’attrice lamenta l’illecita sottrazione, nonché l’indebito
uso da parte del suo ex dipendente Friderico Gatti, in concorso con la sua ex
agente per la Russia, Rio Licensing, sulla scorta delle acquisite risultanze
processuali e, in particolare, dei doc. nn. 51 e 51 A, nonché alla luce delle
deposizioni rese dai testi Sergio Polsinetti, Denise Bracci, Andrea Del Medico
e Mario Romagnoli, possono ragionevolmente definirsi dati aziendali,
commerciali, contabili, tecnici, organizzativo-strategici, aventi natura
riservata.
Si tratta di informazioni aziendali soggetti ad adeguata protezione, in quanto
coperti da un sistema di videosorveglianza, nonché raccolti per aree cui
ciascun dipendente poteva accedere utilizzando username e password
personali fornite dall’azienda ma limitatamente ai documenti concernenti la
propria area di competenza, senza poter, quindi, accedere ai documenti di
settori diversi da quelli di propria competenza.
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Del resto, come detto, ai fini della applicazione della tutela di diritto
industriale, non è richiesta l’assoluta inaccessibilità a tali informazioni, ma
soltanto che la loro acquisizione non sia agevole, ad esempio, sul mercato
ovvero tramite siti web dove sono reperibili informazioni di carattere generale
e non personalizzate alle esigenze della singola azienda, e che, quindi, sia
necessario l’impiego di uno sforzo non ordinario.
Quanto alla loro segretezza, va evidenziato come il sistema di protezione
aziendale sopra descritto era anche giuridicamente rafforzato dalla
sottoscrizione da parte dei dipendenti dell’attrice di patti di riservatezza.
Quanto al requisito del valore economico, si ritiene che i dati predetti siano
dotati, per la loro natura e contenuto, di valore economico, dipendendo dalla
loro disponibilità l’acquisizione ed il mantenimento di determinate quote di
mercato ed assicurando, quindi, all’attrice, che legittimamente le deteneva, un
vantaggio concorrenziale rispetto agli altri operatori del settore.
Il positivo accertamento della natura riservata, in senso industrialistico, delle
informazioni in questione, tuttavia, non è decisivo.
Infatti, per esplicita allegazione della stessa attrice, il Gatti, per qualifica,
inquadramento e mansioni, aveva libero ed autorizzato accesso ai dati e alle
informazioni in questione, e ciò, indubbiamente, spiega e giustifica anzitutto
la presenza nel personal computar aziendale in dotazione allo stesso, di files e
documenti contenenti informazioni aziendali di proprietà dell’attrice.
Dagli atti di causa, invero, è emerso che tali dati aziendali sono stati, in tutto o
in parte cancellati dal pc aziendale, e da tale circostanza l’attrice ne inferisce
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la loro copiatura ed il loro trasferimento su altri supporti informatici nella
privata e personale disponibilità del Gatti.
Tuttavia, del preteso contenuto del pc di proprietà del convenuto non è
possibile farne alcun uso processuale, in quanto il relativo sequestro penale è
stato annullato/revocato dal Tribunale del Riesame che ne ha sancito
l’inutilizzabilità a fini probatori.
Né la documentazione che l’attrice ha in questa sede prodotto in funzione
surrogatoria/suppletiva delle non utilizzabili emergenze istruttorie penali, può
soddisfare l’onus probandi su di essa incombente, atteso che tale
documentazione, oltre che disconosciuta e contestata dal Gatti, non è di sicura
e certa provenienza, ed è, quindi, inattendibile sul piano giudiziale.
D’altra parte, non può neppure escludersi con assoluta certezza che la
presenza nel computer personale del Gatti delle informazioni aziendali di
proprietà dell’attrice non fosse comunque pertinente e funzionale alle
prestazioni e mansioni dallo stesso espletate per l’attrice, soprattutto, in
occasione di trasferte all’estero.
Una siffatta più che verosimile circostanza non rappresenta, di per sé, un fatto
illecito, potendo esserlo soltanto in caso di indebita utilizzazione da parte
dell’(ex) dipendente delle predette informazioni in danno della preponente e a
beneficio di imprese concorrenti.
E del resto pacifico che il Gatti avesse progettato, curato ed organizzato il
piano marketing di Rainbow in Russia e che, quindi, disponesse già i dati in
questione, così come pure l’agente dell’attrice, Rio Licensing, almeno in
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relazione alla clientela da contattare e alle strategie di mercato da attuare al
fine della diffusione dei servizi e prodotti a marchio Winx Club.
Per quel che concerne il contenuto delle mail che, secondo la prospettazione
attorea, dimostrerebbero l’illegittimità dell’operato del Gatti, al riguardo, va
evidenziato che detta corrispondenza elettronica risale a periodi successivi alle
dimissioni dell’ormai ex direttore commerciale, il cui vincolo giuridico-
contrattuale di non concorrenza era, per le ragioni che di seguito saranno
illustrate, viziato da nullità per assoluta indeterminatezza, sostanziale,
temporale e spaziale, e nelle quali, comunque, il convenuto si limitava ad
esprimere, su richiesta di licenziatario della stessa attrice, un mero parere, in
sé e per sé, non idoneo a pregiudicare la posizione di mercato dell’attrice.
Ciò che, tuttavia, non è sufficientemente provato è la circostanza,
imprescindibile, che i dati aziendali nella disponibilità del Gatti siano stati
trasferiti da quest’ultimo all’agente Rio Licensing e, soprattutto, che costoro li
abbiano fatti confluire in imprese concorrenti.
Sul punto, giova osservare come i contatti tra i convenuti e la clientela della
società attrice non necessariamente costituiscano un fatto illecito.
Infatti, l’acquisizione di nuova clientela, anche attraverso iniziative
interessanti quella altrui, ove attuata con modalità e mezzi conformi a canoni
di correttezza e lealtà professionale, rientra nel normale e legittimo
svolgimento della libera attività concorrenziale.
Infatti, secondo la più condivisibile giurisprudenza di legittimità e di merito
(Cass. Civ. Sez. I, 17/05/2012, n. 7793; Trib. Milano 17/07/2013), la
concorrenza sleale è integrata non da qualunque attività a danno di un
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concorrente, ma solo dalle condotte volte ad impedire il libero svolgimento
dell'attività economica di quest'ultimo, e che ne ledano l'avviamento.
In particolare, in tema di concorrenza sleale per sviamento di clientela,
l'illiceità della condotta non dev'essere ricercata episodicamente, ma va
desunta dalla qualificazione tendenziale dell'insieme della manovra posta in
essere per danneggiare il concorrente, o per approfittare sistematicamente del
suo avviamento sul mercato.
Quindi, in tema di atti di concorrenza sleale, per il perfezionamento
dell'illecito è richiesta la prova dell'utilizzo di mezzi non conformi al principio
di correttezza professionale e, segnatamente, per quella dell’ex dipendente, la
concorrenza deve essere attuata con modalità illecite, come, ad esempio, il
boicottaggio.
Pertanto, mentre è contraria alle norme di correttezza imprenditoriale
l'acquisizione sistematica, da parte di un ex dipendente che abbia intrapreso
un'autonoma attività imprenditoriale, di clienti del precedente datore di lavoro
il cui avviamento costituisca, soprattutto nella fase iniziale, il terreno
dell'attività elettiva della nuova impresa, più facilmente praticabile proprio in
virtù delle conoscenze riservate precedentemente acquisite, deve ritenersi
fisiologico il fatto che il nuovo imprenditore, nella sua opera di proposizione e
promozione sul mercato della sua nuova attività, acquisisca o tenti di acquisire
anche alcuni clienti già in rapporti con l'impresa alle cui dipendenze aveva
prestato lavoro.
È, infatti, contraria alle norme di correttezza imprenditoriale l'acquisizione
sistematica, da parte di un ex dipendente che abbia intrapreso un'autonoma
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attività imprenditoriale, di clienti del precedente datore di lavoro il cui
avviamento costituisca, soprattutto nella fase iniziale, il terreno dell'attività
elettiva della nuova impresa, più facilmente praticabile proprio in virtù delle
conoscenze riservate precedentemente acquisite, deve ritenersi fisiologico il
fatto che il nuovo imprenditore, nella sua opera di proposizione e promozione
sul mercato della sua nuova attività, acquisisca o tenti di acquisire anche
alcuni clienti già in rapporti con l'impresa alle cui dipendenze aveva prestato
lavoro.
In particolare, in costanza di rapporto di lavoro, il dipendente è tenuto ad
osservare l'obbligo di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c.
Terminato il rapporto di lavoro, l'ex dipendente, ove non abbia sottoscritto un
(valido) patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c., può ben continuare ad
esplicare, per conto proprio o di terzi, la propria attività, utilizzando le
cognizioni e le esperienze acquisite nel precedente rapporto di lavoro.
L'evoluzione professionale del lavoratore, la quale dipenda da conoscenze
acquisite nel corso ed a causa del rapporto di lavoro, può, in quanto ormai
divenuta parte della personalità del medesimo, essere da lui posta a supporto
di sue migliori possibilità professionali nella vita di relazione, sia che ciò
avvenga in ulteriori successivi rapporti di lavoro alle dipendenze di altri
imprenditori, sia che si manifesti nell'impostazione di una propria iniziativa
imprenditoriale della quale la competizione professionale, anche con il
precedente rapporto di lavoro, costituisce situazione fisiologica, anche quando
si traduca nell'acquisizione di componenti dell'altrui clientela.
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Non costituisce, per ciò, concorrenza sleale lo sfruttamento da parte dell'ex
dipendente passato alle dipendenze di un'impresa concorrente, delle
conoscenze tecniche, delle esperienze e financo delle informazioni relative
alla politica commerciale dell'impresa dalla quale egli proviene, a condizione
che non si tratti di informazioni segrete o riservate, e che, in ogni caso, non
emerga una sistematica attività di distrazione della clientela e imitazione delle
iniziative imprenditoriali della medesima.
Nel caso di specie, non vi è prova dell’impiego da parte dei convenuti di
sistemi o modalità illegittime nell’approccio con la clientela dell’attrice e,
soprattutto, del concreto utilizzo da parte dell’ex dipendente e della ex agente
proprio di quelle notizie e di quelle informazioni aziendali riservate, anziché
del rispettivo patrimonio di conoscenze ed esperienze, maturato,
legittimamente, durante i rapporti negoziali inter partes.
Oltretutto, la fattispecie illecita in esame (concorrenza sleale), presuppone
l’esistenza tra le parti di relazioni di diretta concorrenza.
Infatti, ( v. ad es. Cass. civ. Sez. I, 22/09/2015, n. 18691), la concorrenza
sleale costituisce fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato
in concorrenza, sicché non è ravvisabile ove manchi il presupposto soggettivo
del cosiddetto "rapporto di concorrenzialità"; l'illecito, peraltro, non è escluso
se l'atto lesivo sia stato posto in essere da un soggetto (il cd. terzo interposto),
che agisca per conto di un concorrente del danneggiato poiché, in tal caso, il
terzo responsabile risponde in solido con l'imprenditore che si sia giovato
della sua condotta, mentre ove il terzo sia un dipendente dell'imprenditore che
ne ha tratto vantaggio, quest'ultimo ne risponde ai sensi dell'art. 2049 c.c.
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ancorché l'atto non sia causalmente riconducibile all'esercizio delle mansioni
affidate al dipendente, risultando sufficiente un nesso di "occasionalità
necessaria" per aver questi agito nell'ambito dell'incarico affidatogli, sia pure
eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni o all'insaputa del datore di lavoro.
Secondo la prospettazione attorea, l’ex dipendente e l’ex agente avrebbero
compiuto atti di concorrenza sleale parassitaria e per contrarietà ai principi di
correttezza professionale in danno di Rainbow.
Come sopra precisato, anche il soggetto che non esercita personalmente
attività di impresa, come l’ex dipendente, può rendersi responsabile di attività
di slealtà concorrenziale, purchè la sua condotta venga posta in essere in
concorso con altro soggetto che, invece, si trovi in rapporto di diretta
concorrenza con l’imprenditore asseritamente danneggiato.
E’ tuttavia necessaria la compartecipazione psicologica, quanto meno colposa:
nel qual caso il terzo va legittimamente ritenuto responsabile in solido con
l'imprenditore che si sia giovato della sua condotta.
Nel caso di specie, l’ex dipendente Gatti sarebbe responsabile in concorso con
la società Rio Licensing, la quale, però, quale ex agente di Rainbow, non è in
relazione direttamente concorrenziale.
Quest’ultima, come del resto l’ex dipendente, potrà semmai rispondere di
violazione degli obblighi contrattuali di esclusiva e di non concorrenza, ma
non di concorrenza sleale.
Ne consegue che, nella fattispecie in esame, per poter quantomeno
astrattamente configurare l’illecito concorrenziale de quo, è pur sempre
indispensabile da parte dell’attore uno sforzo assertivo e probatorio
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concernente il concorso tra i soggetti non imprenditori e la società concorrente
in danno dell’odierna attrice, che, come detto, rappresenta il nucleo, fattuale e
giuridico, fondante la dedotta ipotesi di responsabilità.
In particolare, occorre che siano stati allegati e, soprattutto, dimostrati il
travaso e l’utilizzo da parte dell’impresa concorrente all’interno della propria
organizzazione aziendale e del proprio ciclo produttivo, di informazioni
aziendali asseritamente sottratte al concorrente.
Infatti, è indispensabile prospettare che le condotte ascritte all’ex dipendente e
all’ex agente, che, come esposto, non sono in rapporto di diretta concorrenza
con l’attrice, fossero tutte finalizzate oltre che a danneggiare Rainbow,
soprattutto a beneficiare un’impresa concorrente, nella specie, SANRIO.
Tuttavia, rispetto a tali fondamentali circostanze si registra un totale deficit
assertivo e, soprattutto, probatorio, anche in ragione del mancato
coinvolgimento nel presente giudizio della concorrente, rimasta ad esso
estranea.
Infatti, lo sfruttamento e, soprattutto, lo sfruttamento consapevole ed
intenzionale da parte di quest’ultima delle illecite condotte dei convenuti non
è in alcun modo provato; segnatamente, non vi è prova della trasmigrazione
delle informazioni aziendali dell’attrice nel sistema organizzativo,
commerciale e produttivo della concorrente, nonché del vantaggio,
concorrenziale e patrimoniale che quest’ultima avrebbe da ciò ricavato.
Per quel che concerne l’ipotizzata concorrenza parassitaria da c.d.
agganciamento, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale ( v. ad es.
Cass. civ. Sez. I, 29/10/2015, n. 22118), la concorrenza sleale parassitaria,
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ricompresa fra le ipotesi previste dall'art. 2598, n. 3, c.c., consistente in un
continuo e sistematico operare sulle orme dell'imprenditore concorrente
attraverso l'imitazione non tanto dei prodotti ma piuttosto di rilevanti iniziative
imprenditoriali di quest'ultimo e riguardante comportamenti idonei a
danneggiare l'altrui azienda con ogni altro mezzo non conforme ai principi
della correttezza professionale, si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli
relativi ai casi tipici di cui ai precedenti nn. 1 e 2 delle medesima disposizione,
sicché, ove si sia correttamente escluso nell'elemento dell'imitazione servile
dei prodotti altrui il centro dell'attività imitativa (requisito pertinente alla sola
fattispecie di concorrenza sleale prevista dal n. 1 dello stesso art. 2598 c.c.),
debbono essere indicate le attività del concorrente sistematicamente e
durevolmente plagiate, con l'adozione e lo sfruttamento, più o meno integrale
ed immediato, di ogni sua iniziativa, studio o ricerca, contrari alle regole della
correttezza professionale.
Nel caso di specie, invece, le argomentazioni svolte e gli elementi di
valutazione offerti da Rainbow sono assolutamente generici e del tutto
insufficienti a rappresentare e dimostrare gli elementi costitutivi del
denunciato illecito.
Del resto, le allegate analogie tra i servizi e strategie commerciali di Rainbow
e quelle della concorrente SANRIO (non certamente di Rio Licensing che,
come detto, concorrente non è), appaiono, sostanzialmente, giustificate dalla
natura stessa dei servizi e dei prodotti, in pratica sovrapponibili, nonché
dall’identità del settore di mercato a cui le imprese in questione si rivolgono,
senza, perciò, poter costituire esclusiva o monopolio di alcuna di esse, in
assenza, peraltro, di privative di diritto industriale e/o autoriale.
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Quanto alla domanda attrice di condanna del Gatti alla restituzione della
somma corrispostagli in ragione della dedotta violazione del patto di non
concorrenza post-contrattuale, sul punto si è già detto allorchè si è trattata la
questione dell’estinzione del segmento processuale afferente le richieste
attoree di natura risarcitoria, nonché della sua successiva rinuncia da parte
dell’attrice.
Per quel che riguarda la domanda proposta, in via riconvenzionale, dal Gatti,
di declaratoria nullità del suddetto patto, la relativa richiesta risulta fondata.
Al riguardo, giova premettere che, come enunciato, anche di recente, dalla
Corte di legittimità (v. ad es. Cass. civ. Sez. I, 30/05/2017, n. 13550), in tema
di concorrenza sleale, l'imprenditore che si avvalga della collaborazione di
soggetti che hanno violato l'obbligo di fedeltà nei confronti del loro datore di
lavoro non pone in essere, per ciò solo, atti contrari alla legittima concorrenza,
essendo necessario, a tal fine, che il terzo si appropri, per il tramite del
dipendente, di notizie riservate nella disponibilità esclusiva del predetto datore
di lavoro, ovvero che il terzo istighi, o presti intenzionalmente un contributo
causale, alla violazione dell'obbligo di fedeltà cui il dipendente stesso è tenuto,
ma che non vincola il terzo e non ne limita la libertà sul piano economico, per
la stessa ragione per cui il patto di esclusiva non vincola l'imprenditore
concorrente - terzo rispetto ad esso - che operi nella zona di altrui pertinenza
senza avvalersi di mezzi non conformi alla correttezza professionale idonei a
danneggiare l'altrui azienda.
Nello specifico, secondo il più condivisibile orientamento giurisprudenziale di
legittimità (v. ad es. Cass. civ. Sez. I, 12/11/2014, n. 24159), è nullo, in quanto
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contrastante con l'ordine pubblico costituzionale, il patto di non concorrenza
diretto, non già a limitare l'iniziativa economica privata altrui, ma a precludere
in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità
professionale nel settore economico di riferimento.
Più di recente, i giudici di merito (v. ad es. Trib. Milano Sez. Specializzata in
materia di imprese, 23/11/2016), in linea con i principi sopra enunciati, hanno
affermato che è nullo per contrasto con l'ordine pubblico costituzionale il patto
di non concorrenza, diretto a precludere ad una parte la possibilità di
impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di
riferimento, ovvero di comprimere eccessivamente la libertà della capacità
lavorativa del soggetto obbligato.
Il patto di non concorrenza deve, dunque, consentire al soggetto obbligato di
espletare un'attività coerente con la propria esperienza e la propria
professionalità e deve ritenersi nullo allorché la sua ampiezza sia tale da
comprimere l'esplicazione della professionalità acquisita dal soggetto
Inoltre (v. ad es. Trib. Milano Sez. lavoro, 02/02/2015), è stato precisato che
la validità del patto di non concorrenza, ai sensi dell'art. 2125 c.c., è
subordinata al fatto che lo stesso risulti circoscritto da limiti di tempo, di
oggetto e di luogo tali da consentire al lavoratore, dopo la cessazione del
rapporto di lavoro, un margine di attività non coperta dal vincolo, idonea ad
assicurargli un guadagno adeguato alle sue esigenze personali e familiari.
Inoltre la limitazione dell'attività del dipendente deve trovare contropartita in
un adeguato vantaggio economico.
L'espressa previsione di nullità, contenuta nell'art. 2125 c.c., va riferita alla
pattuizione non solo di compensi simbolici, ma anche di compensi
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manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al
lavoratore e alla riduzione delle sue possibilità di guadagno,
indipendentemente dall'utilità che il comportamento richiestogli rappresenta
per il datore di lavoro, come dal suo ipotetico valore di mercato.
Nel caso in commento, il patto de quo risulta assolutamente indeterminato ed
illimitato sotto ogni profilo, sostanziale, temporale e spaziale, comprimendo,
quindi, in modo contrario ai principi di rango costituzionale e a norme di
ordine pubblico, il diritto dell’ex dipendente di (continuare a) collocare
utilmente sul mercato la propria professionalità, senza per ciò dover soffrire
illegittime e non giustificabili compressioni radicali della propria capacità
lavorativa.
L’attrice ha, altresì, dedotto la responsabilità della società convenuta per
violazione dell’obbligo di esclusiva e del divieto di concorrenza di cui all’art.
19.2 del contratto di agenzia inter partes, asseritamente commessa in epoca
antecedente la caducazione (recesso ex uno latere) del rapporto negoziale.
Orbene, in relazione ai due episodi in cui, a dire dell’attrice, la convenuta Rio
Licensing si sarebbe resa responsabile dell’illecito in questione, promuovendo
e favorendo marchi concorrenti, quanto al primo, è sufficiente osservare come,
nel caso di specie, difetti la prova certa che la denunciata violazione del patto
di esclusiva (brochure della convenuta recante marchio concorrente Hello
Kitty) sia effettivamente avvenuta in costanza di rapporto e, soprattutto, che
detta brochure abbia avuto una significativa distribuzione e divulgazione sul
mercato di riferimento già alla data del 20 settembre 2010, data, cioè, in cui
essa è pervenuta al vice presidente di Rainbow, legittimando, così, ex art. 3.3.
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del contratto, il recesso unilaterale dell’attrice, tenuto anche conto della
duplice circostanza che la vicenda in contestazione si è verificata il 20
settembre 2010 mentre il contratto tra Rio Licensing e la concorrente Sanrio è
stato poi formalizzato soltanto in data 1/1/2011.
Per quel che concerne l’altro episodio contestato alla suddetta convenuta e,
segnatamente, il contatto intercorso tra la società Rio Licensing, per il tramite
dell’altro convenuto Roman Fedotov, e la concorrente SANRIO (doc. n. 93
attrice), deve rilevarsi come, in astratto, esso potrebbe integrare gli estremi
della denunciata violazione del patto di esclusiva.
Tuttavia, appare estremamente arduo e non aderente alle sottostanti relazioni
commerciali e negoziali, assegnare a tale unico e remoto fatto un concreto
disvalore ed una sostanziale dannosità, sia in termini di inadempimento
contrattuale, che in termini di responsabilità extracontrattuale a titolo di
concorrenza sleale, con i limiti sopra indicati in ragione della assenza di un
diretto rapporto concorrenziale tra attrice e convenuta, tenendo soprattutto in
debito conto la circostanza che, tanto all’epoca in cui l’episodio si è verificato,
quanto in quella successiva, la stessa attrice aveva instaurato, sviluppato e
mantenuto rapporti con altri soggetti (licenziatari, distributori e rappresentanti
commerciali) che, unitamente al marchio Winx Club, svolgevano coeva
attività di promozione del marchio concorrente Hello Kitty.
Tutto ciò porta a ritenere l’assoluta irrilevanza ed inoffensività del fatto
ascritto dall’attrice alla società convenuta.
Quanto alle turbative asseritamente patite dalla società attrice nei rapporti con
la propria clientela, i propri fornitori e licenziatari/distributori in epoca
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successiva alla cessazione dei rapporti negoziali con i convenuti, manca del
tutto la prova che esse siano, di fatto, imputabili alla società Rio Licensing e,
in particolare, che esse trovino origine e causa in una condotta di quest’ultima
contraria ai generali principi di correttezza professionale.
Pertanto, alla luce delle argomentazioni che precedono, le domande come
sopra formulate dalla società attrice devono essere integralmente rigettate.
A conclusioni identiche si deve pure pervenire con riferimento alla domanda
riconvenzionale proposta dalla convenuta Rio Licensing.
Al riguardo, è sufficiente evidenziare l’assoluta genericità ed indeterminatezza
della relativa richiesta risarcitoria.
In particolare, la società istante non ha minimamente allegato e, a fortiori,
dimostrato, non soltanto di aver esattamente adempiuto gli obblighi
contrattualmente assunti nei confronti della propria preponente, ma anche e,
specialmente, la sussistenza, la tipologia/natura e l’entità del pregiudizio
asseritamente sofferto in conseguenza dell’iniziativa assunta dalla preponente.
Né il deficit assertivo in precedenza rilevato con riferimento alle allegazioni
ritualmente svolte sia in comparsa di risposta, che nella successiva memoria di
trattazione ex art. 183 c. VI n. 1 c.p.c., può essere colmato attraverso le
allegazioni e deduzioni successivamente svolte dalla convenuta, per la prima
volta, e quindi tardivamente, in sede di articolazione dei mezzi istruttori, con
la memoria n. 2 di cui al citato art. 183 c. VI c.p.c.
Pertanto, sulla scorta delle superiori considerazioni, anche la domanda
formulata, in via riconvenzionale, dalla convenuta deve essere rigettata.
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Infine, per quel che concerne le spese di lite, si ritiene che, in considerazione
dell’esito delle domande formulate dall’attrice, nonché delle questioni e
richieste proposte dai convenuti, nel caso di specie, ricorrano le condizioni per
disporre la loro parziale compensazione in misura del 50% per quel che
riguarda il rapporto processuale tra l’attrice ed i convenuti Roman Fedotov e
Friderico Gatti, e, invece, nella misura di 2/3 relativamente al rapporto tra la
società Rainbow e la società convenuta, liquidando le restanti quote
(rispettivamente, ½ e 1/3), come da dispositivo, a carico dell’attrice, quale
parte maggiormente soccombente.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione
disattesa o assorbita, così dispone:
DICHIARA
a norma dell’art. 75 c.p.p., l’estinzione del giudizio limitatamente alle
domande risarcitorie formulate dall’attrice.
RIGETTA
le restanti domande proposte dall’attrice, nonché quella proposta in via
riconvenzionale dalla convenuta Rio Licensing Company Ltd.
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3fSentenza n. 2222/2017 pubbl. il 13/10/2017
RG n. 6535/2011
http://bit.ly/2DTHxRz
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DICHIARA
la nullità del patto di non concorrenza (post-contrattuale) previsto dal contratto
stipulato dall’attrice e dal convenuto Friderico Gatti.
DISPONE
la parziale compensazione delle spese di lite in misura di ½ tra l’attrice ed i
convenuti Fedotov e Gatti, e nella misura di 2/3 tra l’attrice e la società
convenuta, e, per l’effetto, condanna l’attrice al rimborso in favore dei
convenuti Fedotov e Gatti del restante ½, liquidato, per ciascuno di essi, in €
7.750,00 per compenso di avvocato, e, a favore della società convenuta del
restante 1/3 liquidato in € 4.450,00 per compenso di avvocato, oltre accessori
se e come dovuti per legge.
Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio della IV Sezione Civile –
Sezione Specializzata in Materia di Impresa, del Tribunale, il 13 settembre
2017.
Il Presidente Il Giudice est.
Dott. Fabio Florini Dott. Giovanni Salina
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RG n. 6535/2011
http://bit.ly/2DTHxRz