sentenza tar 2014
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N. 01346/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00906/2013 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 906 del 2013, proposto da:
Società Montada Srl, in nome del legale rappresentante, rappresentata e difesa
dall'avv. Giovanni Gerbi, con domicilio eletto presso Giovanni Gerbi in Genova,
via Roma 11/1;
contro
Comune di La Spezia, in nome del sindaco, rappresentato e difeso dagli avv.
Stefano Carrabba, Ettore Furia, Marcello Puliga, con domicilio eletto presso
Stefano Carrabba in Genova, c/o Segr. T.A.R. Liguria; Regione Liguria, Agenzia
Regionale per la Protezione dell'Ambiente Ligure Arpal;
per l'annullamento
dei provvedimenti del dirigente del servizio del comune di la Spezia aventi ad
oggetto l’intimazione ad assumere ogni accorgimento atto a ripristinare la
situazione di sicurezza del sito Monte Montada prescritti dall’ARPAL
e per l’accertamento
dell’obbligo del comune di La Spezia di provvedere alla messa in sicurezza del sito
Monte Montada.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di La Spezia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 giugno 2014 il dott. Oreste Mario
Caputo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società ricorrente, proprietaria del sito in località denominata Monte Montada
destinato in origine allo stoccaggio provvisorio di rifiuti solidi urbani, ha
impugnato le intimazioni “a provvedere a tutti gli interventi necessari per la messa
in sicurezza delle aree come prescritti dall’ARPAL”. Provvedimenti adottati dal
dirigente del servizio del comune di La Spezia in occasione di eventi franosi
occorsi nella zona montuosa prospiciente il sito.
Ha cumulativamente esperito l’azione d’accertamento volta alla declaratoria
giudiziale dell’obbligo del Comune di provvedere alla messa in sicurezza del sito.
Nelle premesse dell’atto introduttivo ha analiticamente descritto il dipanarsi della
vicenda, passata al vaglio del giudice penale, che ha avuto come iniziali protagonisti
la società dante causa, originaria proprietaria del sito di stoccaggio, ed il comune di
La Spezia.
L’ente locale, seguendo la prospettazione contenuta in ricorso, dopo aver
manifestato la volontà – poi revocata – d’acquistare il compendio immobiliare,
avrebbe di fatto gestito il sito rendendosi responsabile della situazione di
pericolosità per l’ambiente di cui ai provvedimenti impugnati.
E che sarebbero d’incerta qualificazione giuridica non avendo “né la forma né la
sostanza” di ordinanze con tingibili ed urgenti.
Sicché, invocando il principio condensato nella proposizione “chi inquina paga”, la
società ricorrente, oltre l’annullamento degli atti impugnati, ha chiesto la
declaratoria giudiziale dell’obbligo del Comune, assumendosi i conseguenti oneri
economici, di mettere in sicurezza il sito.
Le azioni proposte sono sostenute dai seguenti motivi:
Violazione degli artt. 17 e 11 d.lgs. 22/97. Violazione degli artt. 239, 250 e 253
d.lgs. 152/2006 e dei principi generali. Eccesso di potere sotto vari profili;
Violazione e falsa applicazione dell’art. 54 d.lgs. 18 agosto 2000. Incompetenza.
Eccesso di potere.
Il comune di La Spezia, offrendo una diversa ricostruzione dei fatti, si è costituito
instando per l’infondatezza del ricorso. In pendenza di lite ha dato atto che la
società ha eseguito le opere ordinate con gli atti impugnati, concludendo per
l’improcedibilità dell’impugnazione.
Accolta la domanda incidentale di tutela cautelare, alla pubblica udienza
dell’11.06.2014 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Sono impugnate le intimazioni, adottate dal dirigente del servizio del comune di La
Spezia, “a provvedere a tutti gli interventi necessari per la messa in sicurezza delle
aree come prescritti dall’ARPAL”.
Cumulativamente la società ricorrente, proprietaria del sito di stoccaggio, ha
esperito l’azione d’accertamento volta alla declaratoria giudiziale dell’obbligo del
Comune di provvedere alla messa in sicurezza del sito.
In limine, quanto all’impugnazione dei provvedimenti prescrittivi l’esecuzione delle
opere, mette conto rilevare che la società (come testualmente si legge nella nota
dell’ufficio ambiente del Comune del 28.04.2014) “ha eseguito gli interventi che
sembrano utili a scongiurare i rischi immediati dei movimenti franosi”.
Sicché più non sussiste alcun interesse all’annullamento degli atti impugnati e, in
simmetria, l’azione costitutiva c.d. demolitoria è divenuta improcedibile.
Residua quella d’accertamento dell’obbligo giudiziale del Comune di messa in
sicurezza del sito.
Sulle controverse ed opposte ricostruzioni in fatto della vicenda insistentemente e
diffusamente trattate dalla parti con gli atti di causa, va sottolineato che le questioni
di fatto qui dibattute sono già stata scrutinate in vari gradi di giudizio dal giudice
penale alle cui conclusioni (in fatto), in assenza di autonoma istruttoria
processuale, occorre riportarsi.
Gli elementi ivi scaturenti e rilevanti in questo giudizio possono sintetizzarsi nei
termini seguenti: l’adeguamento tecnico dell’impianto di stoccaggio gravava sulla
società dante causa della ricorrente; il Comune, dopo il sequestro penale dell’area,
non si mai ingerito nella gestione e manutenzione della discarica; la società
ricorrente già procuratrice (a fare data dal 14.7.2006) della dante causa, ha poi
acquistato (atto di compravendita del 29.07.2009) il compendio tecnico ed
immobiliare, di cui conosceva la situazione dei luoghi, il contenzioso in atto con il
Comune e la vicenda penale in atto.
Sul piano squisitamente giuridico.
La ricorrente invoca il principio “chi inquina paga” quale premessa maggiore del
sillogismo che, (nella premessa minore) della ritenuta responsabilità del Comune
per i fatti d’inquinamento o di pericolosita per la sicurezza dei luoghi, la porta ad
affermare l’obbligo del Comune di messa in sicurezza del sito.
Non si avvede che così ragionando cade in una vera e propria contraddizione
tecnico-giuridica: invoca la tutela preventiva dell’ambiente mediante il richiamo di
una (opposta e specifica) tecnica risarcitoria.
In materia ambientale il principio chi “inquina paga” presuppone che sia stato
cagionato un danno da riparare i cui costi devono gravare sul responsabile.
Persegue una finalità repressivo riparatoria (o più specificamente ripristinatoria)
secondo la logica della internalizzzazione delle esternalità negative. Ed è – va
sottolineato – norma di chiusura: entra in gioco laddove le misure atte a prevenire i
danni, che devono trovare prioritaria applicazione, non siano state efficaci, sì da
non avere impedito alla fonte i fatti dannosi all’ambiente.
Viceversa la messa in sicurezza del sito è misura di correzione di (diffusione o
propagazione dei) danni. Rientra nel genus delle precauzioni, insieme al principio di
precauzione vero e proprio e al principio dell’azione preventiva. Grava sul
proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente, e,
non avendo finalità sanzionatoria e/o risarcitoria, non presuppone affatto
l’individuazione del(l’eventuale) responsabile.
La domanda d’accertamento all’esame contraddice tutto ciò: muove dalla supposta
responsabilità del Comune per affermare l’obbligo di messa in sicurezza.
Misura che, per come è congegnata nell’ordinamento di settore, incombe
direttamente ed in primo luogo sulla stessa società ricorrente, quale attuale
proprietaria e detentrice del sito.
Aggiungasi che l’azione proposta non è nemmeno suscettibile ex art. 32, comma 2,
c.p.a., di diversa qualificazione e conversione in quelle d’accertamento e condanna
al risarcimento di danni in forma specifica ex artt. 30, comma 2, c.p.a. e 2058 c.c..
Per le considerazioni già esposte, i fatti come acquisiti nel corso dei vari gradi di
giudizio penale, qui recepiti, non consentono di formulare alcun giudizio di
responsabilità colposa o finche oggettiva del Comune nella gestione e
manutenzione della discarica.
Sicché non sussiste alla radice il presupposto sia soggettivo che oggettivo
dell’azione di risarcimento dei danni.
La complessità in fatto della vicenda dedotta in causa giustifica la compensazione
delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara
in parte improcedibile e, per altra parte, infondato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2014 con
l'intervento dei magistrati:
Santo Balba, Presidente
Oreste Mario Caputo, Consigliere, Estensore
Luca Morbelli, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/09/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)