senza perdere la tenerezza di paco ignacio taibo ii

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Nuovi Saggi

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Nuovi Saggi

Tutte le fotografie riprodotte nel libro appartengono all’archivio dell’autore.

www.saggiatore.it (sito & eStore) Twitter @ilSaggiatoreEd Facebook il Saggiatore editore

© Paco Ignacio Taibo ii, 2011

© il Saggiatore S.p.A., Milano 2012 Titolo originale: Ernesto Guevara también conocido como El Che

Paco Ignacio Taibo II

Senza perdere la tenerezza

Vita e morte di Ernesto Che Guevara

Traduzione di Gloria Cecchini, Gina Maneri e Sandro Ossola

Senza perdere la tenerezza

Questo libro è dedicato ai miei amici Miguel Bonasso e Juan Gelman, argentini e guevaristi, due cose che, messe insieme, non sono troppo ben viste di questi tempi.

Sommario

Nota dell’autore 13

1. Il piccolo Guevara, l’infanzia è destino 23

2. Il Furibondo Serna 37

3. «Tutta energia sprecata» 45

4. La scoperta dell’America 55

5. Visita lampo 67

6. America senza fine 69

7. Guatemala, le ore della verità 77

8. Stazioni di transito 91

9. Il mondo alla fine è un’isola 105

10. Addestrarsi alla guerra 117

11. La nonnina fa acqua 141

12. Il disastro 149

13. Senza meta 155

14. Resurrezione a La Plata 161

15. Esecuzione 175

16. Graffiando la terra 185

17. Comandante 195

18. La polemica 219

19. La Sierra e il Llano 235

20. L’offensiva 243

21. Invasione 253

22. Altri monti, altri problemi 279

23. La campagna lampo 299

24. I Mau Mau a Santa Clara 321

25. L’ultimo giorno di guerra, il primo della rivoluzione 339

26. Il lungo gennaio del ‘59 347

27. La battaglia per la riforma agraria 367

28. Non si può sognare all’ombra di una piramide 381

29. Trovare un posto nella rivoluzione 389

30. «Ogni volta che un Guevara si mette in affari, fallisce» 397

31. Fabbriche e deodoranti 423

32. Playa Girón 433

33. Le difficoltà di una società socialista 447

34. Senza il diritto di stancarsi 465

35. Voglia di sparare agli aeroplani 483

36. «Neppure il Che poteva essere sempre come il Che» 495

37. Il 1964, i sotterranei della rivoluzione 519

38. Di nuovo America Latina 543

39. La riscoperta dell’Africa 555

40. «Il contributo dei miei modesti sforzi» 567

41. Tatu, il numero tre 577

42. L’attesa nell’«inferno surrealista della noia» 585

43. Un fantasma con il dono dell’ubiquità 601

44. La disfatta di Front de Force 603

45. Abbattimento e fuga 607

46. L’ottimista pessimista 621

47. Un fantasma con il dono dell’ubiquità (ii) 629

48. Débâcle 633

49. Gli ultimi giorni di quel novembre 643

50. Dar es Salaam 649

51. Praga: il freddo, la solitudine 657

52. La sfida della sfinge 667

53. Tagliare i ponti 671

54. «Tornerò a essere me stesso» 687

55. La spedizione micidiale 707

56. Combattimenti 719

57. L’intervento, gli amici morti 737

58. Il massacro della retroguardia 755

59. «Tagliare la corda e cercare zone più favorevoli» 767

60. Quebrada del Yuro 773

61. La cattura 779

62. Le diciotto ore di La Higuera 785

63. Il cadavere scomparso 795

64. I molti orologi del comandante Guevara 805

65. Gli inafferrabili diari 809

66. La “maledizione” del Che 817

67. Una fossa con sette cadaveri 823

68. Immagini e fantasmi 829

Fonti e annotazioni 837

Bibliografia 989

Opere di Ernesto Che Guevara tradotte in italiano 1051

Per fare qualcosa bisogna credere molto. Per amare appassionatamente bisogna credere follemente.

Régis Debray, parlando del Che

Ogni grande impresa richiede passione e la rivoluzione richiede passione e audacia in grandi dosi.

Ernesto Guevara a sua madre, 15 luglio 1956

In un rosario di morti si modula la nostra nostalgia, e ci si vergogna un poco a stare seduti qui, davanti a una macchina da scrivere, pur sapendo che anche questa è una sorta di fatalità, e pur consolandosi con l’idea che questa fatalità serve a qualcosa.

Rodolfo Walsh

Compagni, ho in casa un poster di tutti voi.

Che (frase letta ad Amburgo sotto un cartellone da dove

Guevara ci sorride)

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Nota dell’autore

I

Non esiste una lettura innocente. Oggi sappiamo che la seconda ondata della rivoluzione latinoamericana si è esaurita e ha fallito, che il modello industria-le progettato dal Che ha funzionato a breve termine, e che a medio termine senza di lui e senza la sua vigilanza si è andato logorando. Leggeremo il libro sapendo persino qual è stato l’esito finale dell’operazione del Che in Bolivia. E pur sapendo tutto questo, vorrei fare in modo che il libro venisse letto co-me una storia che accade man mano che viene narrata.

Non si può raccontare la storia risalendo dalle conseguenze alle origini: in questo modo si vizia la prospettiva. Una biografia non è la storia di un mor-to che si spiega: Lytton Strachey in un momento di terribile lucidità diceva che «gli esseri umani sono troppo importanti per essere trattati come semplici sintomi del passato». I personaggi si costruiscono attraverso atti le cui conse-guenze non possono arrivare a scoprire. La storia che mi interessa non fun-ziona come una spiegazione a partire dall’esito, ma come una provocazione che viene dal passato, i cui personaggi principali non hanno mai posseduto una sfera di cristallo che rivelasse loro il futuro.

D’altro canto questo non è un libro facile. Sicuramente questa storia è prigio-niera della visione di quelli che sono arrivati dopo, della generazione dell’“eter-no poi” e dei suoi incolpevoli figli; e tuttavia si deve tentare di leggerla come una storia “di allora”, dell’America Latina degli anni cinquanta e sessanta.

Sorprendente ma vero, il fantasma del Che, come un viaggiatore di fron-tiera senza visti né passaporti, si trova intrappolato a metà di un ponte ge-nerazionale, tra giovani che sanno pochissimo di lui ma che lo immaginano come il grande comandante e nonno rosso dell’utopia, e la generazione de-gli anni sessanta (quelli di cui Paco Urondo, presagendo il suo stesso destino,

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diceva: «Es que vamos a perder / la vida de mala manera»), i cui sopravvis-suti capiscono che il Che continua a essere l’araldo di una rivoluzione lati-noamericana che, per quanto possa sembrare impossibile, continua a essere assolutamente necessaria.

Ci vorrebbe qualcuno più intelligente e con più risorse storiografiche e let-terarie di me per poter raccontare a due generazioni di lettori molto diverse due versioni della storia con lo stesso materiale; per raccontare a due tipi di lettori, quelli dentro e quelli fuori dall’America Latina, la stessa storia. Agli uni bisognerebbe dedicare spiegazioni e contestualizzazioni a cui ho rinun-ciato per concentrarmi sul personaggio, e agli altri maggiore abbondanza di informazioni sul dibattito politico di quei momenti. Le omissioni sono state volontarie: che ciascuno si assuma le proprie colpe.

Come se non bastasse, il Che è un fantasma che, nonostante il suo humour caustico e le sue reiterate timidezze, è rimasto prigioniero degli attributi della propria immagine e dei meccanismi, innocenti o meno, che svuotano di con-tenuto tutto quello che incontrano per trasformarlo in magliette, souvenir, tazze da tè, slogan, poster o fotografie destinate al consumo. E questa è la con-danna di chi suscita nostalgia: rimanere intrappolato nei templi del consumo o nei rifugi dell’innocenza. Rimanere prigioniero nel limbo del mito.

II

Partire dal presupposto che, per quanto si sforzi, questo libro sarà in mol-ti sensi un fallimento, è di aiuto allo storico. Scrivevo, nel firmare la prima edizione, che dovevo pensarlo come un testo che avrebbe provocato chiari-menti, smentite e correzioni, stimolato la comparsa di nuovi documenti, su-scitato dibattiti, e forse soprattutto accelerato la pubblicazione della enorme quantità di inediti di Ernesto Che Guevara. Tutto ciò è accaduto. È confor-tante pensare che un libro non sia qualcosa di morto, ma una specie di alien mutante provocatorio.

Questo è anche il libro delle piccole storie, delle storie personali, più o meno significative. Più che le parole, le azioni. E parole che spiegano o pro-pongono azioni. Raccolta di storie che, come diceva il Che, sono problemi in-dividuali e di cui si discute privatamente, e non c’è occasione di studiarli quando si analizza la storia della rivoluzione.

Nel corso di tutti questi anni di letture e di conversazioni, ho trovato alcu-ne chiavi interpretative: una frase, un’immagine… Per esempio, gli anfibi al-lacciati a metà. Mi sembrava curioso trovare fotografie che, una dopo l’altra, mostravano il direttore del Banco nacional, il ministro dell’Industria, l’am-

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basciatore rivoluzionario con gli anfibi allacciati a metà, forse perché aveva sempre fretta. Un personaggio di cui Desnoes diceva che «doveva essere ac-cecante se anche i più opachi al suo passaggio ne erano illuminati», e che fu descritto da Debray come «il più austero tra quanti praticano il socialismo».

III

Dall’uscita dell’edizione riveduta e ampliata di questo libro sono state re-se pubbliche nuove informazioni sulla vita di Ernesto Guevara: sono stati trovati i suoi quaderni di Praga, gli Apuntes críticos a la economía política, la sua antologia poetica (El cuaderno verde, che poi è risultato essere rosa), un paio di racconti, le biografie che scrisse su Marx ed Engels, molti degli ap-punti sulle sue letture adolescenziali e gli elenchi delle letture fatte in Con-go e in Bolivia.

L’attesa pubblicazione di Evocación. La mia vita a fianco del Che, di Aleida March, fornisce molti elementi sulla sua vita privata durante gli anni sessanta.

Le notizie sul periodo al ministero dell’Industria si arricchiscono grazie alle testimonianze di Miguel Ángel Arcos Bergnes, di Tirso W. Sáenz, di due dei suoi «cileni», Romeo e Oyarzún, e a un nuovo libro di Orlando Borrego, Che, recuerdos en ráfaga. Inoltre, l’eccellente intervista di Néstor Kohan a Bo-rrego è un chiaro lascito degli studi e dei dibattiti che si tennero nel ristretto circolo dei compagni del Che, con lui in testa, durante il primo decennio de-gli anni sessanta.

Sono stati pubblicati anche una biografia del generale Bayo scritta da Luisz Díez, Bayo, el general que adiestró a la guerrilla de Castro y el Che, e il libro di An-tonio del Conde, El Cuate: Yate Granma. Di grande interesse sono le interviste di José Antonio Fulgueiras a combattenti che affiancarono il Che sulla Sierra Maestra, sull’Escambray e in Congo, che aggiungono alle vicende nuovi par-ticolari e aneddoti.

Una conversazione con Soria Galvarro a La Paz mi ha costretto a rivedere la parte del libro sulla Bolivia e ad aggiungere materiali che non avevo utiliz-zato nelle edizioni precedenti, come il diario originale di Pombo, e a riconsi-derare in maniera più giusta tutti i combattenti, grazie al volume compilato dallo stesso Soria e alla minuziosa documentazione fornita dai cinque tomi di Documentos y testimonios; inoltre, la testimonianza di Eusebio Choque, il li-bro di Eusebio Tapia (Piedras y espinas en las arenas de Ñancahuazú), le conver-sazioni con Paco, il libro del generale Reque Terán, le ricerche di Vázquez Viaña, di Vania Solares e Arguedas confidencial del giornalista boliviano Ro-berto Cuevas Ramírez, una biografia ricca di informazioni sul controverso e

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ambiguo ministro dell’Interno boliviano. Sono state preziose le memorie di Ciro Bustos (El Che quiere verte) e numerosi articoli che speculano sulla scivo-losa questione di «chi tradì il Che in Bolivia».

Oggi si può accedere a molti materiali non più riservati dell’archivio del-la cia e a interviste inedite con gli agenti Gustavo Villoldo e Félix Rodríguez. Grazie all’articolo di Gary Tennant, sappiamo qualcosa anche dei rapporti del Che con i trockijsti cubani.

A tutta questa produzione di libri di testimonianze, saggi, documenti, al culto laico della sua figura, alle nuove biografie, si sono aggiunti quat-tro film sul Che (i più interessanti sono quello di Walter Salles e i due di Steven Soderbergh), e altri certo ne verranno girati, decine di documenta-ri, tre nuovi romanzi: quello dell’ex ministro boliviano Juan Ignacio Siles del Valle, Gli ultimi giorni del Che. Il nostro sogno era così grande, dalla curio-sa struttura a romanzo-documentario, Las andaduras del Che dello scritto-re spagnolo Ramón Chao, che istituisce un parallelo narrativo tra il Che e Don Chisciotte, ed El misterio de las Tanias del cileno Sebastián Edwards. E sto citando solo una piccola parte del nuovo materiale che ho trovato e in-corporato al libro.

Sono passati quasi tredici anni da quando ho consegnato alla casa editrice il primo manoscritto. Per questo aggiornamento ho utilizzato altri cento tra libri, articoli, foto e documenti, oltre alle migliaia già consultate per la prima e la se-conda edizione. Anche se non credo di aver apportato cambiamenti essenziali alle precedenti edizioni, ho corretto alcuni errori, approfondito nuove vicende e aggiunto aneddoti che arricchiscono il ritratto del personaggio. Sembrerebbe che la storia, nell’essenziale, sia ormai stata raccontata, ma alcune polemiche non muoiono, anzi si acuiscono, e ne ho approfittato per affrontarle.

La risposta del mercato al culto del Che sta raggiungendo il limite della sa-turazione, e di fronte a simili fenomeni incontrollati gli intellettuali della nuo-va destra diventano nervosi: proprio loro, i grandi difensori del capitalismo selvaggio, così benevoli verso il sistema, inorridiscono davanti alle sue aber-razioni. Li infastidisce fino all’isteria il venditore di magliette con l’immagi-ne del Che nel sottobosco dell’economia marginale, si esasperano di fronte all’immoralità di chi, per guadagnarsi qualche pesos, mostra al turista la ca-sa dove visse il Che a Guayaquil, si scandalizzano per la bassezza del Che-business. Sono forse i guardiani del Che? I detentori di una qualche purezza morale a noi ignota?

Due sono i perfetti esponenti della versione meno edulcorata del nuovo re-azionarismo (all’estremità più colta ci sarebbero Jorge Castañeda e il francese Pierre Kalfon): Humberto Fontova, autore di Exponiendo al Che Guevara real y a los útiles idiotas que lo idolatran e di “Fidel’s Executioners”, e Álvaro Vargas Llo-

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sa, con “La máquina de matar: el Che Guevara, de agitator comunista a marca capitalista” e Il mito Che Guevara e il futuro della libertà pubblicato inizialmen-te in inglese dall’Independent Institute. A essi vanno affiancati Frank Niess e Kate Havelin. Quando i loro scritti sono approdati in rete, in una giostra di ci-tazioni incrociate, hanno scatenato centinaia di articoli che cercano di mostrare quanto fosse politicamente scorretto Guevara («feroce sterminatore di omo-sessuali a Cuba» si dice in una pagina web, «machista estremista» si legge in tante altre), di ridicolizzarlo in relazione al marketing imperante – come se il povero Ernesto fosse azionista delle fabbriche di magliette che riproducono la sua immagine –, di trasformare il Che in un sadico assassino.

Un tema ricorrente è il periodo trascorso dal Che a La Cabaña, in rappor-to al quale viene definito «assassino implacabile», «macellaio di La Cabaña», «sicario a sangue freddo». Ho controllato con molta attenzione questi ma-teriali, cercando di capire cosa ci sia di vero. L’ultimo documento di questa leggenda nera è La autobiografía de Fidel Castro di Norberto Fuentes, due tomi di oltre mille pagine ciascuno, con più di duecento riferimenti al Che. Al di là del ridicolo chiacchiericcio anticastrista e del rimestare negli affari priva-ti e metaprivati del processo rivoluzionario che Norberto conobbe bene, il li-bro non fa distinzioni tra informazione, congettura, pettegolezzo e calunnia, mescolando generosamente il tutto e rendendo assai difficile per il lettore di-stinguere una cosa dall’altra; inoltre riproduce documenti che non sono tali, e sistematicamente mette in bocca a Fidel pensieri di cui è impossibile stabi-lire la veridicità. Più vicino al romanzo che alla testimonianza, il libro indu-ce pericolosamente i lettori a prendere per buono il rigore nella narrazione, suffragato dalla perversa avvertenza dell’editore che si tratta della «biogra-fia canonica del dittatore».

La riesumazione delle spoglie del Che e di alcuni suoi compagni è stata il pretesto per una nuova polemica, a partire dalla pubblicazione di un articolo dei già noti Maite Rico e Bertrand de la Grange (“Operación Che. Historia de una mentira de Estado”), in cui si sostiene che il corpo dissotterrato a Valle-grande e portato a Cuba non sia quello del Che. L’articolo, particolarmente mi-nuzioso nella ricostruzione della vicenda, ci obbliga a discuterlo nei dettagli.

Di tutto questo materiale, e di altro ancora, si darà conto in questa nuo-va edizione.

IV

I testi in corsivo appartengono al Che, sono frammenti di lettere personali e pubbliche, diari, appunti scritti a mano, messaggi, articoli, poesie, libri, di-

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scorsi, conferenze, interventi pubblici o semipubblici di cui rimangono gli atti, risposte a interviste e anche alcune sue frasi riportate da testimoni affida-bili. È lui il secondo narratore di questa storia, quello che conta.

Le note sono state raggruppate alla fine del volume e comprendono spie-gazioni sulle fonti informative consultate, brevi ritratti di molti dei perso-naggi principali, riferimenti a vicende secondarie, polemiche, ampliamenti e interpretazioni. Erano state espunte dal testo per non distrarre da una lettura fluida, ma rivedendomi e rileggendomi ho la sensazione che un lettore criti-co non dovrebbe ignorare le fonti a cui gli storici attingono. In questo grande mucchio si trovano molti materiali fondamentali.

V

L’elenco dei ringraziamenti è immenso: non mi dimentico di Miguel con la sua fotocopiatrice, del mio omonimo Paco Rosas con la sua valigia di ritagli, di tut-ti i vecchi guevaristi, di Justo Vasco che ha corretto imprecisioni e cubanismi, dei fotografi dell’Avana, della direzione di Verde Olivo; voglio ricordare parti-colarmente il giornalista Mariano Rodríguez (che mi ha aiutato a scrivere un li-bro che meritava di scrivere lui) e gli scrittori Daniel Chavarría (che mi ha fatto da autista all’Avana per pura solidarietà), José Latour (che ha fatto la parte del documentarista per amicizia), Luis Adrián Betancourt (che cedendomi il suo archivio ha innalzato un monumento alla fiducia), e il mio collega Jorge Ca-stañeda che, al di là delle divergenze di opinione sul personaggio (discrepan-ze che sono diventate più profonde con il passare degli anni, via via che Jorge vendeva la sua anima al diavolo e si allontanava dal fantasma del Che), è stato il più leale degli avversari durante la stesura della prima versione, conferman-do la mia idea originaria per cui, nella storia, nessuno è proprietario di docu-menti, ma solo di interpretazioni e di modi di raccontarla.

A questo elenco si sono aggiunti vari nomi: Santiago Behm, che mi ha fat-to avere il suo archivio di famiglia, Orlando Borrego, Zoila Boluarte, Patty González, Roberto Fernández Rematar, Ismael Gómez Dantés, Laura Brown, Dominick Abel, David Cabrera, Julio Pineda, Gianfranco Ginestri, Vladimir L. Kulikov, Soria Galvarro e Loyola Guzmán.

VI

L’elaborazione della prima versione di questa biografia mi lasciò in uno stato terribile, pieno di ossessioni e di angosce. Non sapevo che scrivere

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una biografia significasse arrivare così vicino alla pelle altrui. Non sape-vo quanto ci si esponga alla pazzia vivendo per tanti anni ossessionati da un personaggio, chiusi con lui in una stanza inizialmente vuota che a po-co a poco si riempie di dettagli, via via che la storia prende forma. Avvi-cinarsi troppo a un personaggio come questo è pericoloso. Entrare nella sua testa, uscirne e prendere le distanze, una volta e poi un’altra volta an-cora. Mentre scrivevo la sua biografia, sentivo il fuoco arrivarmi fino ai piedi, le ore di lavoro si accumulavano, non distinguevo più le notti dai giorni. Che cazzo mi stava succedendo? Metodo Stanislavskij applicato alla storia? Eppure mi dicevo che se non entri nella pelle del personag-gio non puoi capirlo, se non ti avvicini non lo comprendi… La distanza è un metodo da medievalisti. Ma il Che brucia, brucia, accelera, costrin-ge, impone…

Resta difficile parlare di questo personaggio a cui Fidel diceva, stando a Debray, che aveva «sempre una battuta di anticipo sulla musica».

Immagino che scrivere questa terza versione non salderà i miei debiti per-sonali con Ernesto Guevara, e che lui continuerà a farmi visita nei sogni, rimproverandomi perché non sto mettendo bene i mattoni nella scuola in co-struzione.

VII

Durante la lettura del nuovo materiale mi sono imbattuto spesso in una polemica sotterranea che deforma malamente la vicenda: le profonde di-vergenze di giudizio di molti storici e testimoni sulla direzione della rivo-luzione cubana, in particolare su Fidel. A partire da queste divergenze, si viaggia nel passato per trovarne conferma, anche a costo di falsificare i fat-ti. E si rivedono la storia del Che e le sue relazioni con Castro e con la rivo-luzione cubana alla luce di fissazioni, di eventi accaduti vent’anni dopo o di fenomeni che Guevara non visse. D’altro canto, la tentazione tipicamen-te cubana di presentare un Che perfetto, modello indiscutibile che incarna la rivoluzione, permea centinaia di testi, con censure, autocensure, omis-sioni, mutilazioni e banalizzazioni ideologiche. Ho cercato di non cadere nelle trappole dei mitografi, degli evangelizzatori dell’immagine del Che, e di non farmi contaminare dagli anticastristi con le loro ossessioni extra-storiche.

A ogni modo, invito il lettore a non fidarsi e a fare di questo libro, come di qualsiasi altro, una lettura il più possibile critica, irriverente, pignola. Il Che gliene sarebbe grato.

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VIII

Fin dalla sua prima giovinezza, il Che fu un avventuriero, un vagabondo e un romantico. Assetato di terre straniere, paracadutista in territori scono-sciuti, mise in pratica un’etica delle emozioni che comandavano sui confini oscuri della ragione. Queste tre grandi virtù, variamente modulate, moderate dall’esperienza e dalle sconfitte, lo accompagnarono per tutta la vita.

La sinistra “Neanderthal” degli anni sessanta in cui sono cresciuto met-teva quelle parole nel catalogo delle perversioni; erano nomi di malefatte e malattie, “deviazioni piccoloborghesi”. Deviazioni da cosa? Dal cammino verso dove? Esisteva forse un unico cammino? Recuperare il Che oggi signi-fica recuperare parole come queste, riscoprirle nel loro significato originario. Romantico: colui che accarezza con amore le idee, indipendentemente dalla loro possibilità. Vagabondo: colui che concepisce il mondo come scenario di viaggio permanente, dove non bisogna sedersi o fermarsi. Avventuriero: co-lui che intende la vita come un’avventura le cui conseguenze sono impreve-dibili. E insieme a queste, parole come utopista (colui che coltiva l’amore per l’utopia), informale (colui che non bada ed è contro le apparenze), irriveren-te (colui che non si china davanti a nessun tipo di potere), egualitario (colui che pratica l’uguaglianza nella ricchezza e nella miseria), imprudente (colui che non misura le conseguenze delle proprie parole e delle proprie azioni, e che ha perso il senso conservatore della prudenza). Parole che associo forte-mente all’immagine del Che, che cresce via via che scrivo di lui.

Appartengo a una generazione in cui il razionalismo cercava di avere la meglio sul romanticismo, ricoprendolo con una lieve pennellata di assennatez-za ma, per quanto si impegnasse, l’elemento romantico emergeva sempre dal sottile strato di vernice e non riusciva mai a sostituirsi a esso; una generazione in cui il marxismo radical-chic ripeteva come una cantilena il verbo “smitizza-re”. Sono pienamente consapevole del fatto che smitizzare la figura del Che, riportare il mito all’uomo per via letteraria (non romanzesca: questo libro non ha niente a che vedere con la finzione), l’unica che conosco, raccontare cioè mi-nuziosamente le sue vicende, significa contribuire a una nuova mitizzazione, ma la cosa non mi preoccupa. Credo che i cittadini abbiano diritto ai miti.

pit iiCittà del Messico

maggio 2010

1-2 L’uomo che aveva sempre fretta e non finiva di allacciarsi gli stivali, una costante guevariana.

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