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Sezioni unite civili; sentenza 15 ottobre 1963, n. 2768; Pres. Lonardo P., Est. Straniero, P. M. Pepe (concl. diff.); Soc. Adriatica di elettricità-S.a.d.e. (Avv. Conte, Sartori) c. Pasqualis (Avv. Gallo) Author(s): C.M.B. Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 10 (1963), pp. 2075/2076-2081/2082 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23152952 . Accessed: 28/06/2014 18:52 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.194.106 on Sat, 28 Jun 2014 18:52:52 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions

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Sezioni unite civili; sentenza 15 ottobre 1963, n. 2768; Pres. Lonardo P., Est. Straniero, P. M.Pepe (concl. diff.); Soc. Adriatica di elettricità-S.a.d.e. (Avv. Conte, Sartori) c. Pasqualis (Avv.Gallo)Author(s): C.M.B.Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 10 (1963), pp. 2075/2076-2081/2082Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23152952 .

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2075 PARTE PRIMA 2076

preparandosi all'avvenimento mondano della sfilata della

raoda, avesse consentito a farsi fotografare seminuda davanti

ai fotografi in posizione di passivo adattamento, se non di

compiacimento, non avrebbe potuto presumersi il consenso

alia riproduzione dell'immagine sulla rivista « II Borghese »

con le modalita con le quali fu attuata e tali da configurare la Portaluri come simbolo dell'immorality del tempo attuale.

Ha posto in risalto ehe la pudicizia femminile «se pure ap

pannata (sic) in una indossatrioe quale era la Portaluri

11011 giustificava la indicazione della Portaluri come simbolo

ehe la esponeva a pubblico disprezzo », ed ha ritenuto che

conseguentemente sussistessero, dato l'oggetto della ripro

duzione, l'elemento oggettivo del reato di diffamazione, e, data la consapevolezza dell'efficacia lesiva del fatto, l'ele

mento soggettivo del reato medesimo.

La Corte d'appello avrebbe dovuto, con riguardo alle

previsioni degli art. 96 e 97 legge 22 aprile 1941 n. 633, sulla

protezione del diritto di autore e di altri diritti connessi al

suo esercizio, considerare il contenuto dell'immagine e la

quality di indossatrice della Portaluri in relazione all'avve

nimento per il quale la fotografia si assumeva consentita

per stabilire se la riproduzione in se e per se fosse stata

lecita o, per mancanza di consenso implicito, avesse dovuto

ritenersi illecita in quanto di pregiudizio all'onore, alia repu tazione o al decoro della Portaluri. Risoluta poitale questione e accertata la liceita della riproduzione in se, ai sensi degli articoli su eitati, avrebbe dovuto stabilire se, per le parti colari modalita della riproduzione, fosse stato commesso il

reato di diffamazione. Invece ha omesso le indagini su pre cisate dominata, nell'interpretazione delle norme su menzio

nate, dalla concezione di un tipico diritto alia riservatezza

la cui ammissibilitä questa Corte suprema di recente (sen tenza 20 aprile 1963, n. 990, Foro it., 1963, I, 877) ha negato, ammettendo soltanto un diritto alia liberta di autodeter

minazione nello svolgimento della personality come sin

golo, la cui violazione debba essere di volta in volta in con

crete accertata.

Tale giurisprudenza questo Supremo collegio deve riaf

fermare. In vero il riconoscimento della liberta di manife

stazioni di posizioni concrete nella vita sociale, conforme

agli interessi tutelati nella society medesima, ha fondamento

nell'art. 12 della Costituzione, inteso in correlazione con

l'art. 2043 cod. civ., come si e rilevato nella precedente sen

tenza, e risponde alia logiea stessa del sistema, che riconosce la capacita di esercizio dei diritti unitariamente e con ciõ

stesso la possibility di autodeterminazione. II precetto costi

tuzionale, per la stessa ampiezza del suo contenuto, si dif ferenzia dalle singole previsioni di singoli diritti e toglie fondamento all'obiezione che questi hanno riferimento sol tanto nei confronti della pubblica Amministrazione. E

posto che i precetti costituzionali implicano sempre l'accer tamento dei limiti di una loro applicazione immediata avendo riguardo alia disciplina vigente, deve ammettersi che l'art. 2, inteso in coerenza con gli altri precetti costitu zionali in tema di liberty, con il rilevato presupposto lo

gico-giuridico della capacity, e con la disciplina dell'ille cito (art. 2043), deve intendersi nel senso di un'affermazione di un diritto di liberta astratta, il cui oggetto concreto, giu ridicamente tutelabile, deve essere accertato dal giudice, secondo un giudizio di valore, giudizio cioe che l'ordina mento commette al giudice tutte le volte che il precetto consideri situazioni le quali, peril loro contenuto e modalita, implichino l'applicazione di principi o norme metagiuridiche. Ed esclusa la possibility di un'interpretazione analogica di

singole previsioni di diritti di personalita, non giustificando esse l'affermazione di una tutela di un oggetto non precisato, la Corte di merito avrebbe dovuto soffermarsi soltanto ad

interpretare le norme concernenti il diritto che si assumeva violato.

Ora contrariamente all'opinione espressa dalla Corte

medesima, se non ostante il generico divieto di riproduzione dell'immagine senza il consenso della persona ritratta

previsto daH'art. 96 su citato, per il 1° comma del successivo art. 97 non occorre, per legittimare la riproduzione, il con senso della persona ritratta quando la riproduzione e

«collegata a fatti, avvenimenti o cerimonie di interesse

pubblico o svoltisi in pubblico », e so per il successivo comma

dello stesso articolo «il ritratto non puõ essere esposto o

messo in commercio quando l'esposizione o messa in com

mercio rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione o anche

al deooro della persona ritratta », consegue che, nel caso

considerato di riproduzione di un'immagine collegata con un

avvenimento di interesse pubblico, quale e appunto una sfi

lata di moda, non possa ritenersi senz'altro vietata la ripro duzione delTimmagine medesima affermandosi che manchi

il consenso e che il contenuto sia di per s6 offensivo all'onore, al decoro o alia reputazione della persona ritratta, senza

particolare indagine sulla sussistenza di un consenso anche

implicito. Una valutazione non fuorviata dal principio erroneo affermato nella sentenza dell'esigenza di un con

senso specifico alia riproduzione per fatti o avvenimenti, che non riguardassero la sfilata di moda, nella specie, tanto

piil si imponeva in quanto dal contenuto della fotografia,

posta in risalto nella stessa sentenza, non risultava nemmeno

quale funzione particolare essa avrebbe dovuto avere nella

sfilata di moda.

Conforta questa interpretazione la rilevanza dell'inte

resse pubblico inerente alia cronaca, il quale implica anche la liceitä, della pubblicazione, che debba ritenersi conforme, secondo un comune apprezzamento delle circostanze, alia volontä, implicita del soggetto al quale la notizia k riferita.

Quanto poi alla questione della sussistenza del reato di diffamazione deve considerarsi che la sentenza ha ricono sciuto importanza al fatto che l'immagine della Portaluri ritratta semisvestita davanti a fotografi era stata nella

riproduzione contrapposta ad altra immagine di barbuti

fotografi del secolo scorso nella vana ricerca di un soggetto altrettanto piccante.

Ma se la riproduzione dell'immagine della Portaluri nell'atto di mostrare le procaci fattezze ai fotografi fosse stata consentita, essa non sarebbe stata illecita ; ne la sua

contrapposizione all'altra immagine avrebbe avuto co

munque carattere diffamatorio rivelando soltanto la ripro vazione, del tutto generica, del mutamento dei costumi.

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezioni unite civili; sentenza 15 ottobre 1963, n. 2768 ; Pres. Lonajsdo P., Est. Stranieeo, P. M. Pepe (conel. diff.) ; Soe. Adriatica di elettricitä-S.a.d.e. (Aw. Conte, Sak

tori) o. Pasqualis (Aw. Gallo).

(Cassa App. Trieste 3 maggio 1962)

Condotture elettriche — Servilii di elettrodotto su aree esenti per le<jnc — Domanda di rimozione dei manufatti — Giurisdizione del yiudice ordina rio — Limite — Fattispeeie (R. d. 11 dicembre 1933 n. 1775, t. u. sulle acque pubbliche e gli impianti elet

trici, art. 121).

Sebbene Vimposizione di servitii di elettrodotto su aree esenti ai setisi dell'art. 121, lett. b, del r. deoreto 11 dicembre 1933 n. 1775 importi la carenza in radice del potere della

pubblica Amministrazione, il giudice ordinario difetta di giurisdizione a conoscere della domanda di rimozione delle condotture e dei manufatti realizzati in esecuzione del decreto prefettizio di imposizione delle servitii mede sime. (1)

(1) La sentenza nori definitiva 27 maggio 1957, pronunciata nello stesso giudizio dal Tribunale di Pordencme, 6 riassunta nel Rep. 1957, voce Condotture elettriche, nn. 10, 11, con la data del 22 maggio 1957.

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2071 GIURISPRÜDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2078

i La Corte, ecc. — (Omissis). II ricorso denuncia, con

l'unico suo motivo, la violazione degli art. 2 e 3 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, e 26 del r. decreto 26 giugno 1924 n. 1054, nonche il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del Consiglio di Stato a norma degli art. 37 e 360, n. 1, cod. proc. civile.

La censura investe la sentenza della Corte di Trieste per avere riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario

suirintera controversia, sulla base della premessa clie trat

tavasi di controversia patrimoniale fra privati nella quale

gli attori agivano a tutela di un diritto soggettivo perfetto e nella quale pertanto la questione della illegittimitä del

Nell'interpretare l'art. 121, lett. 6, la giurisprudenza ha chiarito che la esenzione dalla servitü di elettrodotto (cui, pe raltro, gli interessati possono sempre rinunciare e consentire la

imposizione del vincolo anclie sulla loro casa : Cass. 23 febbraio

1939, id., Rep. 1939, voce cit., n. 13) : a) riguarda i cortili, i

giardini e i frutteti attinenti alle case, in quanto siano un allar

gamento del soggiorno degli abitanti, e non anche quelli sempli cemente adiaeenti (Cons. Stato, Sez. IV, 28 ottobre 1958, n. 771, id., Rep. 1959, voce cit., n. 10) ; &) investe la possibility di inflig gere supporti ed ancoraggi per conduttori, ma non si estende alle altre limitazioni della facolta di godimento del fondo (Cons. Stato, Sez. IV, 10 gennaio 1958, n. 3, id., Rep. 1958, voce cit., n. 12), nc ha riguardo agli eventuali influssi dannosi del campo elettrico circostante condotture clie non passino per i terreni esenti ma siano impiantate in prossimitä di questi (Cons. Stato, Sez. IV, 17 dicembre 1958, n. 1148, ibid., n. 11) ; c) non e appli cable ai parchi ma soltanto ai giardini attinenti alia casa che

formano con questa una entitä economica unica (Cass. 17 luglio 1941, n. 2218, id., Rep. 1941, voce cit., nn. 9, 10).

II Gilardoni, Acque pubbliche e impianti elettrici, 1936, II, n. 1430, ritenendo che «l'esonero dall'elettrodotto riguarda le case, salvo che per le facciate, verso le vie e piazze pubbliche, i cortili, i giardini, i frutteti e le aie delle case attinenti, cjoõ

contigue a quelle su cui deve gravare l'elettrodotto » da della

norma in parola una interpretazione che non ne rispecchia fedel mente la porta-ta testuale secondo cui sono esenti dalla servitü in questione «le case, salvo per le facciate verso le vie e piazze pubbliche, i cortili, i giardini, i frutteti e le aie alle case atti nenti ».

Circa il modo di costituzione della servitü di elettrodotto, su cui si sofferma, nella motivazione, la riportata sentenza, cons. Trib. Pescara 21 novembre 1959, Foro it., Rep. 1962, voce cit., n. 17 ; Cass. 10 febbraio 1959, n. 406, id., 1959, I, 700, con nota di richiami, tra i quali Cass. 9 luglio 1953, n. 2189, eitata al pari della precedente nel testo della pronuncia che si annota.

Per qualche riferimento, nel senso che le controversie rela tive aH'indennitä per imposizione di servitü di condotture elet triche rientrano nella competenza per materia del tribunale, cons. Cass. 14 febbraio 1963, n. 322, retro, 1452, con nota di ri

chiami, tra i quali Cass. 18 giugno 1962, n. 1530, eitata in motiva zione (e commentata da Klitsche de ia Grange, in Oiur. it., 1963, I, 1, 1407).

Sempre per riferimenti, a proposito delle condizioni di legit timita del decreto prefettizio di imposizione di una servitü di elettrodotto perpetua ed inamovibile, vedi Cons. Stato, Sez.

IV, 15 maggio 1963, n. 313, in questo volume, III, 370.

* * *

K da notare che la Suprema corte, pur affermando che la servitü di elettrodotto imposta su aree esenti da luogo non a cattivo uso del potere della pubblica Amministra,zione, ma ad «inammissibile estensione dello stesso ad una sfera che gli era assolutamente interdetta ed a cui riguardo esso pertanto puõ essere disconosciuto in radice», nega, tuttavia, la giurisdi zione del giudice ordinario a conoscere della domanda tendente ad ottenere la rimozione dei manufatti, sul riflesso che la co

gnizione di tale domanda importerebbe in sostanza la revoca e

non la disapplicazione dell'atto amministrativo di imposizione della servitü. Piü corretto (ma non ai sensi dell'art. 384 cod.

proc. civ., inapplicabile in tema di giurisdizione) sarebbe

stato, invece, affermare la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda proposta, negandogli, solo, il potere di di

sporre la rimozione dei manufatti, potere che si sarebbe

risolto in quello di revoca delle statuizioni del decreto prefet tizio di imposizione della servitü, in violazione dell'art. 4 della

legge sull'abolizione del contenzioso amministrativo.

C.M.B.

provvedimento amministrativo (decreto del Prefetto di

Udine che impose la serviti e che la S.a.d.e. aveva posto a base del suo operato) era stata sollevata incidenter tari

tum, non al fine di ottenere la revoca o l'annullamento del

provvedimento medesimo, ma soltanto per la eventuale

sua disapplicazione al caso conereto.

La rieorrente si ricliiama alia impostazione data dai

Pasqualis alia loro azione, eiofe alia mancanza, nella S.a.d.e., del diritto alla serviti di elettrodotto sulle zone di terreno

da essi Pasqualis adibite a giardino, orto ed aia e, per tanto, espressamente esentate da serviti del genere ai

sensi dell'art. 121 del t. u. 11 dicembre 1933 n. 1775. So

stiene, in particolare, la S.a.d.e. che, quando, come nella

specie, si tratta di serviti coattiva imposta secondo i prin

cipi del procedimento espropriativo e preceduta, quindi, dalla dicliiarazione di pubblica utilita, di ogni questione di violazione di legge, clie il proprietario del fondo servente

possa eventualmente sollevare nei confronti del provvedi mento impositivo, deve necessariamente discutersi nell'äm

bito e secondo i principi propri degli interessi legittimi per che la dicliiarazione importa degradazione di qualsiasi di

ritto soggettivo sul bene al quale essa si riferisca ; che detta

necessitä puõ subir deroga soltanto quando si contesti in

radice il potere della pubblica Amministrazione di proce dere ad espropriazione mediante un petitum sostanziale iden

tificato in funzione della reale protezione accordata dall'or

dinamento giuridico alia posizione posta a fondamento della

pretesa ; che l'esenzione richiamata non puõ costituire base

di deroga perche la disposizione di legge che la sancisce non ha inteso porre un limite al potere espropriativo della pub blica Amministrazione, di carattere generalissimo anche

secondo la normativa costituzionale (art. 42).

Oppongono, in linea pregiudiziale, i Pasqualis, rical

cando ed ampliando una considerazione preliminare della

Corte di Trieste, che la tesi della rieorrente non si adegua alia

fattispecie dal momento che a presupposto dell'azione giu diziaria contro la S.a.d.e. era stata dedotta non la circo

stanza che il decreto del Prefetto di Udine fosse illegittimo ma l'altra, ben diversa, che la convenuta aveva dato al

provvedimento una attuazione pratica difforme dal conte

nuto del provvedimento medesimo. ] II rilievo, che sposterebbe radicalmente le basi della

controversia sostituendo al problema di giurisdizione, con

nesso alla necessitä di valutazione dell'atto amministra

tivo sia pure incidenter tantum, l'impugnativa del compor tamento di un soggetto privato sotto un profilo di indubbia

competenza del giudice ordinario, non e peraltro esatto.

L'atto originario di citazione denunciava, infatti, espres samente il decreto siccome «lesivo dei diritti dei deducenti », anche se la domanda era proposta nei confronti del soggetto

privato che di detto decreto si era avvalso ed anche se, nei corso del giudizio, i Pasqualis hanno tenuto a porre in

risalto l'influenza nefasta che, a loro avviso, avrebbe eser

citato la S.a.d.e. sul provvedimento della pubblica Ammini

strazione attraverso la compilazione, dolosa o errata, dei

piani particolareggiati dei tratti di linea interessanti la pro

prietä privata che essa per legge (art. 16 t. u. n. 1775 del

1933) era tenuta a fornire quale presupposto del concreto

esercizio del potere di espropriazione ai sensi della legge n. 2359 del 1865.

Ciõ premesso, si deve tuttavia riconoscere che l'assunto

della rieorrente non b, nelle sue linee essenziali, fondato e

puõ, quindi, soltanto importare qualche rettifica di moti

vazione ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civile.

Non vi e dubbio che la serviti di elettrodotto possa ri

condursi ad una pluralitä di fonti costitutive, nei senso che

possa tanto esser posta in essere dalla volontä degli interes

sati, indipendentemente dal concorso dei requisiti di legge

per l'imposizione della serviti coattiva e con disciplina

accentrata, quindi, esclusivamente nella legge del con

tratto (Cass. 9 luglio 1958, n. 2473, Foro it., Eep. 1958, voce

Oondotture elettriche, n. 3), quanto determinata da un'auto

rizzazione amministrativa, anche se quest'ultima rappre senta in realty soltanto il presupposto, non il fatto costitu

tivo della serviti, che deve pur sempre tradursi ed espri mersi nella stipulazione di uno speciale atto convenzionale

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2Ö79 PARTE PRIMA 2Õ80

T

ovvero, in caso di disaocordo, in una sentenza costitutiva che

ne specifichi, caso per caso, le modalitä diesercizio (Cass. 10

febbraio 1959, n. 406, id., 1959, I, 700; 9 luglio 1953, n. 2189, id., 1953,1, 1241), quanto, infine, imposta a seguito di procedimento di espropriazione per pubblica utility, ai

sensi degli art. 115 e 116 del citato t. u. Ciõ, dal momento

che detto procedimento puö essere impiegato, oltre che per

l'occupazione definitiva delle zone interessate dall'impianto

elettrico, anche per la costituzione di una servitü di elet

trodotto, senza trasferimento all'utente della propriety dei beni gravati (Cass. 16 luglio 1959, n. 2350, id., Rep.

1959, voce cit., n. 13 ; 10 febbraio 1959, n. 406, cit. ; 25

luglio 1938, n. 2763, id., Eep. 1938, voce cit., nn. 4, 5 ; 25

giugno 1937, n. 2083, id., 1937,1, 1276), quando ilpubblico interesse puõ essere soddisfatto con una semplice limita

zione delle facoltä inerenti al dominio piuttosto cbe neces

sariamente col totale sacrificio della proprietä privata.

Neppur vi e dubbio cbe nella fattispecie sia stato posto in essere, nei confronti del fondo dei Pasqualis, l'ultimo fra

i suaccennati modi di costituzione della servitü, previsto ex lege (art. 33 t.u.) come normale per le linee elettricbe

di grande derivazione in dipendenza della dicbiarazione

di pubblica utilitä connaturata nel decreto di concessione, ma egualmente applicabile, attraverso una esplicita dicbia

razione del genere, nei singoli decreti cbe comunque si rife

riscono ad opere occorrenti all'impianto o all'esercizio della

trasmissione dell'energia elettrica. II decreto del Prefetto

di Udine menziona, infatti, gli estremi del decreto del Mini

stro dei lavori pubblici che aveva dicbiarato di pubblica utilitä le opere di costruzione della linea elettrica « Villa

Rinaldi - Latisana » e, oltre a ricbiamare a proprio fonda

mento ancbe gli art. 39, 48, 51 e 54 della legge n. 2359 del

1865, adopera l'espressione, evidentemente inequivocabile,

«imposizione della servitü di elettrodotto e connesso pas

saggio ».

La sussunzione della servitü di specie nell'ämbito dei

principi sulla espropriazione, se pur determina il supera mento, per evidente inconsistenza, di ogni ricbiamo dei

Pasqualis ai principi delle autorizzazioni amministrative in relazione al rispetto dei diritti dei terzi e rende, vice

versa, attuale il problema di giurisdizione, non significa,

peraltro, cbe il problema medesimo debba essere risolto

nel senso dalla ricorrente voluto sol percliö questo Supremo

collegio ba precisato (sentenze 3 luglio 1961, n. 1582, Foro it., Rep. 1961, voce Espropriazione per p. i., n. 119 ; 6 giugno 1960, n. 1479, id., 1960, I, 1506) sotto un profilo

piü generale cbe se non si deduca l'inesistenza di fatto o

giuridica della dicbiarazione di pubblica utilitä, ma se ne

contesti soltanto la legittimitä sotto il profilo della incom

petenza relativa, della violazione di legge o dell'eccesso di

potere, l'impugnativa deve esser fatta valere davanti al giu dice ammmistrativo e, sotto il profilo particolare della ser

vitü, che l'attribuzione al prefetto del potere di imporre, mediante espropriazione, servitü perpetue ed inamovibili di

elettrodotto, attribuisce, a sua volta, al Consiglio di Stato la cognizione dei vizi di legittimitä dell'atto di espropria zione o del relativo procedimento (sentenza 18 giugno 1962, n. 1530, id., Eep. 1962, voce Oondotture elettriche, nn. 11, 12).

Entrambi i principi di diritto richiamati presuppongono, infatti, che la controversia non verta sulla stessa esistenza del potere della pubblica Amministrazione di disporre nel caso concreto della proprietä privata ma soltanto sulla

legittimitä formale dell'atto di espropriazione o del proce dimento da cui esso trae origine, che cioe (Cass. 14 ottobre

1952, n. 3022, Foro it., Rep. 1952, voce Espropriazione per p. i., nn. 9, 10) la domanda della parte «tenda a far dichia rare l'illegittimita del decreto di esproprio per ogni altro motivo che non includa il diniego del diritto di espropria zione D, fermo restando il principio generale in tema di di scriminazione fra competenza giudiziaria ed amministra tiva con riferimento al cosiddetto petitum sostanziale che «la lesione di un diritto soggettivo in dipendenza di un atto amministrativo puõ essere denunciata al giudice ordi nario soltanto quando il diritto medesimo sia, oltre che af fermato dall'interessato, effettivamente configurabile alia

stregua dell'ordinamento in virtü di una protezione diretta

ed immediata, tale da escludere un qualsiasi potere disorc

zionale di incidenza da parte della pubblica Amministra

zione » (sentenze 20 marzo 1963, n. 790, id., 1963, I, 671 ; 28 dicembre 1961, n. 2835, id., Rep. 1961, voce Gompetenza civ., n. 47 ; 25 novembre 1961, n. 2731, ibid., voce Piano

regolatore, nil. 342, 343). Di eonseguenza, il problema di specie, posto ehe i Pa

squalis agiscono a tutela di un dirit to dominicale che essi af

fermano garantito nella sua integritä anche nei confronti

della pubblica Amministrazione dalla esenzione da servitü

di cui all'art. 121 del t. u. 11 dicembre 1933 n. 1775 e che la

S.a.d.e., a sua volta, non contesta che il mappale di cui si

discute fosse effettivamente adibito ad usi contemplati dalla norma richiamata, si accentra nell'indagine sul valore

della esenzione medesima, nell'accertare, ciofe, se essa rap.

presenti o meno un limite negativo assoluto al potere della

pubblica Amministrazione, si che, nell'ipotesi positiva,

l'assoggettamento del bene a servitü concreti non un ec

cesso o un cattivo uso del modo di esercizio del potere mede

simo ma una inammissibile estensione dello stesso ad una

sfera che gli era assolutamente interdetta ed a cui riguardo esso pertanto puõ essere disconosciuto in radice.

E la soluzione, ad avviso di questa Corte, deve essere

positiva perche rigorosamente oggettiva (e tale, quindi, da comprendere qualsiasi modo di costituzione della ser

vitü di elettrodotto), e, nel suo valore testuale e nella sua

interpretazione logica, la norma di esenzione e questa ha carattere assoluto, radice nella volontä del legislatore di

salvaguardare la sicurezza, Pincolumita e la serenitä del

soggiorno nelle case e nelle immediate proiezioni esterne di

queste e base inequivocabile e fondamentale negli art. 834

cod. civ. e 42 Costituzione. Ne ha rigore logico l'argomento che si vorrebbe trarre, in contrario senso, dalla possibility, che avrebbe avuto la pubblica Amministrazione, di realiz

zare egualmente la finalitä di collocamento delle condut

ture elettriche ricorrendo, anziche alia imposizione della

servitü di elettrodotto, al mezzo piü radicale della espro priazione dell'immobile perehe il limite va considerato nella

sfera del singolo istituto giuridico ed in rapporto a finalitä di tutela che, come nella, specie, possono anche avere un

rilievo limitato all'ambito dell'istituto medesimo e non ve

nire, viceversa, in considerazione quando l'esercizio della

espropriazione nella sua ampia portata ne faccia venir meno lo stesso presupposto eliminando i riflessi del sog giorno.

Ciõ premesso quanto al nucleo centrale del ricorso, questa Corte deve peraltro riconoscere che la S.a.d.e. ha legittimo motivo di dolersi della statuizione, soltanto marginale nel l'economia della decisione, ma inequivocabilmente insita nella pronuncia di riforma totale delle sentenze del Tribu nale di Pordenone e nel riconoscimento della « piena giuris dizione del giudice ordinario sulla causa nella sua inte rezza », con la quale la Corte di Trieste ha riconosciuto al

predetto Giudice anche il potere di disporre la rimozione delle condutture e dei manufatti della linea elettrica.

I Giudici di appello non hanno, infatti, considerato che la servitü di elettrodotto, anche se si risolve in vantaggio della S.a.d.e., e pur sempre imposta dal decreto del pre fetto, che a questo ultimo deve necessariamente essere

riportata qualsiasi attivitä svolta daH'utente nei limiti del vincolo e che, di eonseguenza, l'eventuale ordine di rimozione di quanto giä eseguito investirebbe direttamente la sostanza del provvedimento amministrativo e, piü che renderlo inoperante, si risolverebbe sostanzialmente in una

pronuncia di revoca non consentita daH'art. 4 della legge sull'abolizione del contenzioso amministrativo. La decisione non potrebbe, invero, essere giustificata sotto il profilo della

possibilitä del giudice di disapplicare 1'atto amministra tivo non conforme a legge e di eliminare gli effetti da esso

prodotti perchfe, alia stregua della costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze 29 marzo 1963, n. 790, cit.; 28 ottobre 1961, n. 2481, Foro it., 1962, I, 271 ; 27 gennaio 1959, n. 221, id., Eep. 1959, voce Gompetenza civ., nn. 85, 86), il potere del giudice di esaminare in via indiretta l'atto amministrativo e di dichiararne l'illegittimit& in relazione al caso dedotto in giudizio, quando si tratti di controversia

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Page 5: Sezioni unite civili; sentenza 15 ottobre 1963, n. 2768; Pres. Lonardo P., Est. Straniero, P. M. Pepe (concl. diff.); Soc. Adriatica di elettricità-S.a.d.e. (Avv. Conte, Sartori)

2081 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2082

I

fra privati & limitato ai caso ohe la controversia medesima,

pur ricollegandosi ad un atto amministrativo, non investa

direttamente quest'ultimo ma si esaurisca iieH'ambito delle

posizioni di diritto soggettivo dei privati contendenti.

Naturalmente il problema assumerebbe, almeno in parte,

aspetto di verso, salvo sempre ogni giudizio sulla possibi litä di oonereta applicazione, se il giudice di merito dovesse

riconoscere esatto quanto i Pasqualis hanno denunciato

nel rieorso e ribadito nella discussione orale sul eonereto

assoggettamento a servitii di una superficie maggiore di

quella eontemplata dal deereto del Prefetto essendo evi

dente ehe, in tal caso l'asservimento operato dalla S.a.d.e.

non potrebbe, per l'eccedenza rispetto al oontenuto del

deereto, esser comunque riferita a quest'ultimo o eonserve

rebbe pertanto la natura di mero illecito civile commesso

da un soggetto privato. La sentenza impugnata va cassata senza rinvio nei limiti

dell'accoglimento del rieorso, dovendo, per la parte com

presa nella giurisdizione del giudice ordinario, il giudizio

proseguire davanti al Griudice di primo grado al quale la

causa 6 stata rinviata dalla Corte di Trieste a norma del

l'art. 353 cod. proc. civ. Si ritiene opportuno, per la natura

delle questioni trattate in questa sede, compensare fra le

parti le spese del giudizio di cassazione. II deposito va re

stituito alia ricorrente.

Per questi motivi, ecc.

CORTE SUPREMA Dl CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 14 ottobre 1963, n. 2746 ; Pres.

Torrente P., Est. Bianchi d'Esfinosa, P. M. Tavo

laro (concl. conf.) ; Fall. Society Cartiera di Sesto

S. Giovanni (Aw. Forte) c. Fall. Sacchettificio Cor

reggese (Aw. Ferrari).

(Oassa App. Bologna 7 giugno 1962)

Fallimento — Azione revocatoria — Fallimento del

convenuto — Effetti sulla competcnza e sul rito

(K. d. 16 marzo 1942 n. 207, disciplina del fallimento, art. 24, 52, 93, 103).

Se il convenuto in revocatoria fallimentare (nella specie, revoca di pagamento con mezzi anormali di debito sea

duto) fallisce nelle more del giudizio, questo prosegue di

nanzi al foro del fallimento, il cui curatore ha proposto la domanda ; ma le pronunzie di pagamento o di restitu

zione conseguenziali a quella di revoca van richieste, nelle

forme previste dagli art. 93 e 103 della legge fallimentare, al tribunale del fallimento del convenuto. (1)

(1) Non constano precedenti specifici. In senso conforme, sulla natura e gli effetti della revocatoria,

Cass. 6 marzo 1962, n. 435 (Foro it., 1002, I, 415, con nota di ri

chiami), eitata nella mot ivazione della presente. Sulla impossibility, per il creditore, di proseguire o rias

sumere nelle forme ordinarie il giudizio per accertamento di

credito verso il fallito : App. Milano 14 settembre 1962, App. Firenze 17 aprile 1962, Trib. Milano 12 marzo 1962, Trib. Eoma

27 dicembre 1961 e 31 marzo 1962, Trib. Milano 18 maggio 1961,

id., Rep. 1962, voce Fallimento, nn. 301-308, e, nella motiva

zione, Cass. 10 novembre 1961, n. 2625, id., 1962, I, 242. Per il caso di credito accertato prima della dichiarazione

di fallimento con sentenza soggetta a gravame, App. Firenze 1°

luglio 1961, id., Rep. 1961, voce cit., n. 268, ritiene che il giu dizio di impugnazione deve svolgersi col rito ordinario, ma poi la ragione creditoria deve farsi valere nel processo di verifica.

Sostanzialmente conforme la stessa Oorte 6 maggio 1959, id.,

1960, I, 842, con nota di richiami, cui adde il commento di P. San

dulli, in Dir. fallim., 1960, II, 905.

Per la sorte delle domande, proposte in unico giudizio e

prima del fallimento del debitore, di risoluzione della compra

vendita, restituzione delle cose compravendute e risarcimento del

danno, App. L'Aquila 28 gennaio 1960, Foro it., 1960, I, 457, con ampia nota di richiami.

La Corte, ecc. — Con i primi due motivi del ricorso, ehe devono essere esaminati congiuntamente, il fallimento

ricorrente propone una questione, non mai prospettata in

precedenza a questa Corte suprema, e relativa alia compe tenza ed alle forme del procedimento, nel oaso che l'azione

revocatoria fallimentare venga proposta contro un terzo che, nelle more del giudizio, 6 a sua volta dichiarato fallito.

II ricorrente sostiene la tesi che, una volta dichiarato

il fallimento, devono essere osservate, anche per l'azione

revocatoria fallimentare, le norme della legge speciale sul

l'accertamento dei crediti (art. 52 e 93 r. decreto 16 marzo

1942 n. 267) e sulla separazione di cose mobili (art. 103), Ciõ porterebbe, non solo alia conseguenza che il giudizio nelle forme ordinarie non potrebbe proseguire, ma il cura

tore del fallimento che ha proposto l'azione revocatoria

dovrebbe insinuare il suo credito al passivo dell'altro fal

limento, ma anche, di necessity, all'ulteriore conseguenza che dovrebbe ritenersi spostata la competenza funzionale, che dal foro fallimentare (del fallimento che ha proposto

l'azione) verrebbe invece a radicarsi presso il tribunale

che ha dichiarato il fallimento del terzo contro cui l'azione

e proposta (nella specie, quindi, anzich& il Tribunale di

Reggio Emilia sarebbe competente il Tribunale di Milano, che ha dichiarato il fallimento della Society Cartiera di

Sesto S. Giovanni). La questione ii stata risolta, in senso contrario all'assunto

del ricorrente, dalla sentenza impugnata, la quale peraltro, con sobria motivazione, si e limitata a rilevare che il capo V

della legge fallimentare (relat'vo all'accertamento dei cre

diti e dei diritti mobiliari dei terzi) non riguarda l'azione

revocatoria, la quale deve essere proposta e proseguita nelle forme ordinarie, anche se il soggetto contro cui b

proposta viene in seguito dichiarato fallito. La decisione

non 6 perõ persuasiva, ed il ricorso deve essere, almeno

parzialmente, accolto.

Per risolvere la questione, si deve osservare che, in

una fattispecie quale quella eminciata, vengono a con

flitto fra loro due principi. L'uno e quello, risultante dal

l'art. 24 legge fall., per cui la competenza funzionale a

conoscere delle azioni revocatorie fallimentari (azioni che

« derivano » dal fallimento, secondo la norma ora eitata)

spetta al tribunale che ha dichiarato il fallimento, il cura

tore del quale ha proposto l'azione revocatoria. L'altro

principio ö quello secondo il quale, apertosi il fallimento,

ogni credito ed ogni diritto sulle cose inventariate, deve es

sere fatto valere nelle forme stabilite dal capo V della legge

(art. 52), cioö attraverso l'insinuazione al passivo, o la do

manda di rest'tuzione di cose mobili, evidentemente, in

nanzi al tribunale fallimentare. E, poiche l'azione revoca

toria, se fondata, ha come conseguenza che il soggetto contro cui 6 proposta õ tenuto a resti tuire al fallimento

istante le cose o le somme ricevute per eifetto del negozio

giuridico revocato, e chiaro che, una volta dichiarato il

fallimento anche di tale soggetto, la norma dell'art. 52

vorrebbe che la domanda di restituzione fosse proposta mediante insinuazione al passivo del fallimento del terzo, a meno di non violare il principio della par condicio credi

torum. Di fronte a tali considerazioni, questa Corte perõ non

ritiene che põssa essere accolta la tesi principale dei ricor

renti, secondo cui, una volta dichiarato il fallimento del

convenuto, l'azione revocatoria non põssa essere prose

guita nelle forme ordinarie innanzi al tribunale che ha di

chiarato il fallimento, il cui curatore ha proposto l'azione.

L'art. 24, nello stabilire la competenza funzionale di detto

tribunale per tutte le azioni che derivano dal fallimento, non puõ ritenersi derogato dall'eventualitä, puramente

accidentale, che il terzo sia fallito : anche in questo caso,

rimangono pienamente valide le ragioni che hanno consi

gliato il legislatore a stabilire la competenza di quel tri

bunale, a pronunciare la revoca degli atti compiuti in frode

ai creditori. Sotto tale profi lo, pienamente legittima apparela

pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia, confermata

dalla Corte di appello di Bologna, che revocõ l'at.to di

estinzione di debito compiuto dal Sacchettificio Correg

gese a favore della Society Cartiera di Sesto S. Giovanni;

Il Foro Italia.no — Volume LXXXV1 — Parte i-133.

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