sholem - la cabala

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7/23/2019 Sholem - La Cabala http://slidepdf.com/reader/full/sholem-la-cabala 1/285 Gershom Scholem La cabala INTRODUZIONE. Note generali. "Cabala" è il termine tradizionale più comunemente usato per indicare il patrimonio degli insegnamenti esoterici del Giudaismo e del misticismo giudaico, in particolare le forme che quest'ultimo assunse durante il Medioevo a partire dal secolo XII. Nel suo senso più ampio, indica tutti i successivi movimenti esoterici nell'ambito del Giudaismo che si evolvettero dalla fine del periodo del Secondo Tempio e divennero fattori attivi della storia ebraica. La Cabala è un fenomeno assolutamente unico, e non deve essere ritenuta identica a ciò che nella storia della religione viene chiamato "misticismo". E' misticismo, in pratica; ma nel contempo è anche esoterismo e teosofia. Il senso in cui può venire chiamata misticismo dipende dalla definizione del termine, che è oggetto di controversia tra gli specialisti. Se il termine viene circoscritto alla profonda aspirazione ad una diretta comunione umana con Dio attraverso l'annientamento dell'individualità (bittul ha-yesh nella terminologia hassidica), allora soltanto alcune manifestazioni della Cabala possono venire designate come tali, poiché furono pochi i cabalisti che ricercarono tale finalità, e ancora meno furono coloro che la formularono apertamente quale loro scopo finale. Tuttavia, la Cabala può venire considerata misticismo in quanto ricerca una percezione di Dio e della creazione i cui elementi intrinseci trascendono la portata dell'intelletto, benché raramente quest'ultimo venga sminuito o respinto dai cabalisti. Essenzialmente, questi elementi venivano percepiti mediante la contemplazione e l'illuminazione, che spesso sono rappresentate nella Cabala come la trasmissione di una rivelazione primeva relativa alla natura della Torah e ad altri argomenti religiosi. Nella sua essenza, tuttavia, la Cabala si allontana dall'approccio razionale e intellettuale alla religione. Ciò accadeva persino tra quei cabalisti i quali ritenevano che fondamentalmente la religione fosse soggetta all'indagine razionale, o che, almeno, esistesse un accordo tra la via della percezione intellettuale e lo sviluppo della prospettiva mistica nei confronti della creazione. Per alcuni cabalisti, lo stesso intelletto divenne un fenomeno mistico. Quindi, noi troviamo nella Cabala un'insistenza paradossale sulla congruenza tra intuizione e tradizione. È questa insistenza, unita all'associazione storica già accennata nello stesso termine "kabbalah" (qualcosa trasmesso per tradizione), che indica le differenze basilari tra la Cabala e altre varietà di misticismo religioso identificate in modo meno stretto con la storia di un popolo. Tuttavia, tra la Cabala e il misticismo greco e cristiano vi sono elementi comuni, e persino legami storici. Come altri tipi di misticismo, anche la Cabala attinge alla coscienza mistica della trascendenza di Dio e della Sua immanenza nella vera vita religiosa, ogni aspetto della quale è una rivelazione di Dio, sebbene Dio stesso sia chiaramente percepito tramite l'introspezione dell'uomo. Questa esperienza duale e apparentemente contraddittoria di Dio che si cela e si rivela determina la sfera essenziale del misticismo, e nel contempo ostacola altre concezioni religiose. Il secondo elemento nella Cabala è quello della teosofia, che si propone di rivelare i misteri della vita occulta di Dio e le relazioni tra la vita divina da una parte e la vita dell'uomo e della creazione dall'altra. Questo tipo di speculazioni occupa un'area vasta e cospicua nell'insegnamento cabalistico. Talora il loro nesso con il piano mistico diventa piuttosto tenue e viene superato da una vena interpretativa e omiletica che occasionalmente produce addirittura una sorta di casistica (pilpul) cabalistica. Nella forma, la Cabala divenne in larga misura una dottrina esoterica. Elementi mistici ed esoterici coesistono nella Cabala in un modo suscettibile di far insorgere confusioni. Per sua stessa natura, il misticismo è conoscenza

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Gershom ScholemLa cabala

INTRODUZIONE.Note generali."Cabala" è il termine tradizionale più comunemente usato per indicare ilpatrimonio degli insegnamenti esoterici del Giudaismo e del misticismogiudaico, in particolare le forme che quest'ultimo assunse durante il Medioevo

a partire dal secolo XII. Nel suo senso più ampio, indica tutti i successivimovimenti esoterici nell'ambito del Giudaismo che si evolvettero dalla finedel periodo del Secondo Tempio e divennero fattori attivi della storiaebraica.La Cabala è un fenomeno assolutamente unico, e non deve essere ritenutaidentica a ciò che nella storia della religione viene chiamato "misticismo".E' misticismo, in pratica; ma nel contempo è anche esoterismo e teosofia. Ilsenso in cui può venire chiamata misticismo dipende dalla definizione deltermine, che è oggetto di controversia tra gli specialisti. Se il termineviene circoscritto alla profonda aspirazione ad una diretta comunione umanacon Dio attraverso l'annientamento dell'individualità (bittul ha-yesh nellaterminologia hassidica), allora soltanto alcune manifestazioni della Cabalapossono venire designate come tali, poiché furono pochi i cabalisti che

ricercarono tale finalità, e ancora meno furono coloro che la formularonoapertamente quale loro scopo finale. Tuttavia, la Cabala può venireconsiderata misticismo in quanto ricerca una percezione di Dio e dellacreazione i cui elementi intrinseci trascendono la portata dell'intelletto,benché raramente quest'ultimo venga sminuito o respinto dai cabalisti.Essenzialmente, questi elementi venivano percepiti mediante la contemplazionee l'illuminazione, che spesso sono rappresentate nella Cabala come latrasmissione di una rivelazione primeva relativa alla natura della Torah e adaltri argomenti religiosi. Nella sua essenza, tuttavia, la Cabala si allontanadall'approccio razionale e intellettuale alla religione. Ciò accadeva persinotra quei cabalisti i quali ritenevano che fondamentalmente la religione fossesoggetta all'indagine razionale, o che, almeno, esistesse un accordo tra lavia della percezione intellettuale e lo sviluppo della prospettiva mistica neiconfronti della creazione. Per alcuni cabalisti, lo stesso intelletto divenne

un fenomeno mistico. Quindi, noi troviamo nella Cabala un'insistenzaparadossale sulla congruenza tra intuizione e tradizione. È questa insistenza,unita all'associazione storica già accennata nello stesso termine "kabbalah"(qualcosa trasmesso per tradizione), che indica le differenze basilari tra laCabala e altre varietà di misticismo religioso identificate in modo menostretto con la storia di un popolo. Tuttavia, tra la Cabala e il misticismogreco e cristiano vi sono elementi comuni, e persino legami storici.Come altri tipi di misticismo, anche la Cabala attinge alla coscienza misticadella trascendenza di Dio e della Sua immanenza nella vera vita religiosa,ogni aspetto della quale è una rivelazione di Dio, sebbene Dio stesso siachiaramente percepito tramite l'introspezione dell'uomo. Questa esperienzaduale e apparentemente contraddittoria di Dio che si cela e si riveladetermina la sfera essenziale del misticismo, e nel contempo ostacola altre

concezioni religiose. Il secondo elemento nella Cabala è quello dellateosofia, che si propone di rivelare i misteri della vita occulta di Dio e lerelazioni tra la vita divina da una parte e la vita dell'uomo e dellacreazione dall'altra. Questo tipo di speculazioni occupa un'area vasta ecospicua nell'insegnamento cabalistico. Talora il loro nesso con il pianomistico diventa piuttosto tenue e viene superato da una vena interpretativa eomiletica che occasionalmente produce addirittura una sorta di casistica(pilpul) cabalistica.Nella forma, la Cabala divenne in larga misura una dottrina esoterica.Elementi mistici ed esoterici coesistono nella Cabala in un modo suscettibiledi far insorgere confusioni. Per sua stessa natura, il misticismo è conoscenza

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che non può essere comunicata direttamente, ma può essere espressa soltantoper mezzo di simboli e metafore. La conoscenza esoterica, tuttavia, in teoriapuò essere trasmessa; ma coloro che la possiedono hanno la proibizione ditrasmetterla, oppure non vogliono farlo. I cabalisti posero in risalto questoaspetto esoterico imponendo ogni sorta di limitazioni alla propagazione deiloro insegnamenti, sia per quanto riguardava l'età degli iniziati, le qualitàmorali loro richieste, o il numero degli studenti dinanzi ai quali potevanovenire esposti tali insegnamenti. Un esempio tipico è la descrizione delle

condizioni per gli iniziati della Cabala, che si trova in OrNe'erav di Moses Cordovero. Spesso tali limitazioni venivano in praticaignorate, nonostante le proteste di molti cabalisti. La pubblicazione di operecabalistiche e l'influenza della Cabala su ambienti sempre più vastidisgregarono queste restrizioni, soprattutto per quanto concerneva gliinsegnamenti su Dio e l'uomo. Tuttavia, rimasero diversi campi in cui questelimitazioni venivano ancora più o meno rispettate: per esempio, nellemeditazioni sulle combinazioni di lettere (hokhmat ha-zeruf) e nella Cabalapratica.Molti cabalisti negavano l'esistenza di un qualunque sviluppo storico nellaCabala. La vedevano come una sorta di rivelazione primordiale che era stataconcessa ad Adamo o alle prime generazioni, e che permaneva, sebbene nuoverivelazioni venissero fatte di tempo in tempo, in particolare quando latradizione era stata dimenticata o interrotta. Questa nozione della naturadella sapienza esoterica venne espressa in opere apocrife come il Libro diEnoch, fu posta ancora in risalto nello Zohar, e servì quale base per ladisseminazione dell'insegnamento cabalistico in Sefer ha-Emunot di Shem Tov b.Shem Tov (c. 1400) e in Avodat ha-Kodesh di Meir b. Gabbai (1567). Vennelargamente accettata la nozione che la Cabala fosse la parte esoterica dellaLegge Orale data a Mosè sul Sinai. Molte genealogie della tradizione, cheappaiono nella letteratura cabalistica e che avevano lo scopo di suffragarel'idea della continuità della tradizione segreta, sono errate e mal concepite,in quanto prive di ogni valore storico. In effetti, furono gli stessicabalisti che in diversi casi diedero esempi dello sviluppo storico delle loroidee, poiché affermano che esse sono deteriorate in una certa misura rispettoalla tradizione originale, che trovò la sua espressione nell'incremento deisistemi cabalistici, oppure le vedono come parte di un progredire graduale

verso la rivelazione completa della sapienza segreta. Raramente i cabalisticercano di acquisire un orientamento storico, ma alcuni esempi di questametodologia si possono trovare in Emunat Hakhamim di Solomon Avi'ad Sar-ShalomBasilea (1730) e in Diurei Soferim di Zadok ha-Kohen di Lublino (1913).Fin dall'inizio del suo sviluppo, la Cabala abbracciò un esoterismostrettamente affine allo spirito dello gnosticismo, che non si limitava aimpartire insegnamenti sulla via mistica, ma includeva anche idee sullacosmologia, l'angelologia e la magia. Soltanto in seguito, e in conseguenzadel contatto con la filosofia giudaica medievale, la Cabala divenne una"teologia mistica" giudaica, elaborata più o meno sistematicamente. Questoprocesso portò a una separazione degli elementi mistici e speculativi rispettoagli elementi occulti e specialmente magici, una divergenza che talora eramolto netta, ma mai totale. Questo trova espressione nell'uso separato dei

termini Kabbalah iyyunit (Cabala speculativa) e Kabbalah ma'asit (Cabalapratica), evidente a partire dall'inizio del secolo XIV, che era semplicementeun'imitazione della divisione della filosofia in "speculativa" e "pratica"operata da Maimonide nel capitolo 14 di Millotha-Higgayon. Non vi è dubbio che alcuni ambienti cabalistici (inclusi quellidi Gerusalemme fino ai tempi moderni) conservarono entrambi gli elementi nellaloro dottrina segreta, che poteva venire acquisita mediante la rivelazione o iriti iniziatici.Quando il Giudaismo rabbinico si fu cristallizzato nella halakhah, la maggiorparte delle forze creative suscitate dai nuovi stimoli religiosi, che nonavevano né l'aspirazione né il potere di mutare la forma esteriore di un

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Giudaismo halakhico saldamente stabilito, trovarono espressione nel movimentocabalistico. Generalmente parlando, tali forze operavano dall'interno,cercando di fare della Torah tradizionale e della vita condotta secondo i suoidettami un'esperienza interiore più profonda. La tendenza generale appareevidente sin da una data molto remota; il suo scopo era di ampliare ledimensioni della Torah e di mutare questa legge del popolo d'Israele nellasegreta legge interiore dell'universo, trasformando nel contempo il hasid ozaddik ebreo in un uomo con un ruolo vitale nel mondo. I cabalisti furono i

principali simbolisti del Giudaismo rabbinico. Per la Cabala, il Giudaismo intutti i suoi aspetti era un sistema di simboli mistici che rispecchiava ilmistero di Dio e dell'universo, e il fine dei cabalisti consisteva nelloscoprire e inventare chiavi per la comprensione di questo simbolismo. A questafinalità è dovuta l'enorme influenza della Cabala quale forza storica, chedeterminò i lineamenti del Giudaismo per molti secoli; ma può anche spiegare ipericoli, le rivolte e le contraddizioni interni ed esterni che larealizzazione di tale fine portò nella sua scia.

I termini usati per Cabala

Inizialmente, la parola "kabbalah" non denotava in particolare una tradizionemistica o esoterica. Nel Talmud è usata per indicare le parti extra-Pentateucodella Bibbia, e nella letteratura post-talmudica la Legge Orale viene chiamataanche "kabbalah". Negli scritti di Eleazar di Worms (inizio del secolo XIII),le tradizioni esoteriche (relative ai nomi degli angeli e ai magici Nomi diDio) vengono indicate come "kabbalah", per esempio nella sua opera Hilkhotha-Kisse (in Merkabah Shelemah, 1921) e in Sefer ha-Shem. Nel suo commento alSefer Yezirah (c. 1130), dove discute la creazione dello Spirito Santo, cioèla Shekhinah, Judah b. Barzillai afferma che i saggi "usavano trasmettereaffermazioni di questo genere ai loro discepoli ed ad altri saggi,privatamente e in un sussurro, tramite la kabbalah". Tutto ciò dimostra che iltermine "kabbalah" non veniva ancora usato per indicare un settoreparticolare. Il nuovo uso preciso ebbe origine nella cerchia di Isaac il Cieco(1200), e venne adottato da tutti i suoi discepoli.Kabbalah è soltanto uno dei numerosi termini usati, durante un periodo

superiore ai millecinquecento anni, per designare il movimento mistico, il suoinsegnamento o i suoi seguaci. Il Talmud parla di sitrei torah e razei torah("segreti della Torah"), e alcune parti della tradizione segreta vengonochiamate ma'aseh bereshit (letteralmente "l'opera della creazione") e ma'asehmerkabah ("l'opera del carro"). Almeno uno dei gruppi mistici si chiamavayoredei merkabah ("coloro che discendono al carro"), un'espressionestraordinaria il cui significato ci sfugge (forse allude a coloro chediscendono in se stessi per percepire il carro). Nella letteratura mistica, apartire dalla fine del periodo talmudico, ricorrono già i termini ba'aleiha-sod ("signori del mistero") ed anshei emunah ("uomini di fede"), equest'ultimo appare già nel Libro di Enoch slavo. Nel periodo dei cabalistiprovenzali e spagnoli, la Cabala viene chiamata anche hokhmah penimit("sapienza interiore"), forse una frase presa a prestito dall'arabo; i

cabalisti vengono chiamati spesso maskilim ("coloro che comprendono"), conriferimento a Daniele 12:10, oppure doreshei reshumot ("coloro cheinterpretano i testi"), un'espressione talmudica per "allegoristi". Nellostesso modo in cui la parola "kabbalah" venne limitata nel significato allatradizione mistica o esoterica, all'inizio del secolo XIII, le parole emet("verità"), emunah ("fede") e hokhmah ("sapienza") vennero usate per designarela verità mistica o interiore. Da qui l'uso diffusissimo di hokhmat ha-emet("la scienza della verità") e derekh ha-emet ("la via della verità"). Si trovainoltre l'espressione hakhmei lev ("dal cuore saggio"), da Esodo 28:3. Icabalisti vengono chiamati inoltre ba'alei ha-yedi'ah ("i signori dellaconoscenza gnostici) oppure ha-yode'im ("coloro che sanno"), a partire da

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Nahmanides. Nahmanides, inoltre, coniò la frase yode'ei hen ("coloro checonoscono la grazia") da Ecclesiaste 9:11, dove hen è usato come abbreviazioneper hokhmah nistarah ("sapienza segreta"). L'autore dello Zohar usa terminicome benei meheimnuta ("figli della fede"), benei heikhala de-malka ("figlidel palazzo del re"), yade'ei hokhmeta ("coloro che conoscono la sapienza"),yade'ei middim ("coloro che mietono il campo"), e inon de-allu unefaku("coloro che sono entrati e usciti", cioè "indenni"), da Hagigah 14b. Numerosiautori chiamano i cabalisti ba'alei ha-avodah ("signori del servizio"), cioè

coloro che conoscono la vera via interiore al servizio di Dio. Nella parteprincipale dello Zohar il termine Kabbalah non viene menzionato; ma è usatonegli strati posteriori, nella Ra'aya Meheimna e nel Sefer ha-Tikkunim.Dall'inizio del secolo XIV, il nome Kabbalah si sostituì quasi completamente atutte le altre designazioni.

L'EVOLUZIONE STORICA DELLA CABALA

Gli inizi del misticismo e dell'esoterismo

L'evoluzione della Cabala ha le sue fonti nelle correnti esoteriche eteosofiche esistenti tra gli ebrei in Palestina e in Egitto nell'era che videla nascita del Cristianesimo. Queste correnti sono legate alla storia dellareligione ellenistica e sincretista, alla conclusione dell'evo antico. Glistudiosi sono concordi circa la misura dell'influenza esercitata da questetendenze, e inoltre dalla religione persiana, sulle forme iniziali delmisticismo ebraico. Alcuni sottolineano l'influenza iraniana sullo sviluppogenerale del Giudaismo durante il periodo del Secondo Tempio, in particolaresu certi movimenti come quello apocalittico ebraico: un'opinione, questa,suffragata da molti esperti delle diverse forme di gnosticismo, come R.Reitzenstein e G. Widegren. L'esistenza di una notevole influenza greca suquelle correnti viene affermata da un buon numero di studiosi, e per spiegarlasono state avanzate varie teorie. Molti specialisti dello Gnosticismo deiprimi tre secoli dell'era comune lo considerano fondamentalmente un fenomenogreco o ellenistico, certi aspetti del quale apparvero in ambienti ebraici, inparticolare nelle sette periferiche del Giudaismo rabbinico, ha-minim. La

posizione di Filone d'Alessandria e la sua relazione con il Giudaismopalestinese ha uno speciale peso in queste controversie. Contrariamente adalcuni studiosi come Harry Wolfson, che vedono Filone come un filosofo grecoin vesti ebraiche, altri, come Hans Lewy ed Erwin Goodenough, lo interpretanocome un teosofo o addirittura un mistico. L opera dl Filone, secondo il lorogiudizio, deve essere veduta come un tentativo di spiegare la fede d'Israelenei termini del misticismo ellenistico, il cui coronamento era l'estasi. Nellasua opera monumentale, Jewish Symbolsin the Greco-Roman Period (13 voll. 1953-68), Goodenough afferma che, incontrasto con il Giudaismo palestinese, che trovò espressioni nella halakhah enell'aggadah e nelle idee esoteriche che erano sviluppi autoctoni, ilGiudaismo della Diaspora presentava scarsi indizi dell'influenza palestinese.Invece, egli sostiene, aveva una spiritualità specifica basata su un

simbolismo che non soltanto ha radici nella halakhah, ma è dotato di uncontenuto immaginativo dal significato più o meno mistico. Egli ritiene che letestimonianze letterarie, come gli scritti di Filone e del Giudaismoellenistico, offrano chiavi estremamente utili per la comprensione delladocumentazione archeologica e pittorica da lui raccolta con tanta abbondanza.Sebbene siano stati sollevati considerevoli dubbi sulle teorie basilari diGoodenough, nella sua grande opera c'è materiale sufficiente per stimolareun'indagine su aspetti del Giudaismo in precedenza trascurati e su provesinora esaminate in modo insufficiente. La sua argomentazione sul significatofondamentalmente mistico dei simboli pittorici è inaccettabile; tuttavia egliè riuscito a stabilire un nesso tra certe testimonianze letterarie greche,

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copte e armene, e gli insegnamenti esoterici prevalenti del Giudaismopalestinese. Anche Yitzhak Baer ha suggerito un nesso molto simile tra le ideedi Filone e il punto di vista dell'aggadah, incluso l'aggadah dei mistici. Illibro di Filone, De vita contemplativa, menziona l'esistenza di una comunitàsettaria di "adoratori di Dio" (therapeutes) i quali avevano già formulatoun'interpretazione decisamente mistica della Torah quale corpo vivente; equesto spianava la strada a un'esegesi mistica della Scrittura.Un elemento importante, comune al Giudaismo alessandrino e a quello

palestinese, è la speculazione sulla Sapienza Divina, che ha le sue radiciscritturali in Proverbi 8 e Giobbe 28. Qui la sapienza è vista come una forzaintermediaria, per mezzo della quale Dio crea il mondo. Ciò apparenell'apocrifa Sapienza di Salomone (7:25) come "un soffio del potere di Dio, eun chiaro fulgore della gloria dell'Onnipotente, poiché essa è un fulgoredella luce eterna e uno specchio immacolato dell'opera di Dio, e un'immaginedella Sua bontà" (Charles). Nel Libro di Enoch slavo, Dio comanda alla SuaSapienza di creare l'uomo. La Sapienza è qui il primo attributo di Dio alquale venga data forma concreta quale emanazione della Gloria Divina. In moltiambienti, questa Sapienza divenne ben presto la stessa Torah, la "parola diDio", la forma d'espressione della Potenza Divina. Queste interpretazioni delmistero della Sapienza dimostrano come poteva avvenire un'evoluzioneparallela, da una parte tramite l'esegesi rabbinica delle parole dellaScrittura, e dall'altra attraverso l'influenza delle speculazioni filosofichegreche sul Logos. Va ricordato che non esistono prove inconfutabili che gliscritti di Filone avessero un'effettiva influenza diretta sul Giudaismorabbinico nel periodo post-tannaitico, e il tentativo di provare che ilMidrash ha-Ne'lam dello Zohar non è altro che un Midrash ellenistico (S.Belkin in: Sura, 3 (1958), 25-92) non è riuscito. Tuttavia, il fatto che ilkaraita Kirkisani (X secolo) conoscesse certe citazioni tratte dagliscritti di Filone dimostra che alcune delle idee pervennero, forse tramitecanali cristiano-arabi, ai membri delle sette ebraiche del Vicino Oriente. Mada ciò non si deve dedurre che vi fosse un'influenza continua fino a quelperiodo, e tanto meno fino al tempo della formulazione della Cabala durante ilMedioevo. I paralleli specifici tra l'esegesi di Filone e quella cabalisticavanno attribuiti alla similarità del metodo esegetico, che naturalmenteproduce, di tanto in tanto, risultati identici.

Le teorie riguardanti le influenze persiane e greche tendono a trascurare ildinamismo interiore dell'evoluzione che stava avvenendo nel Giudaismopalestinese, e che era di per sé capace di produrre movimenti di caratteremistico ed esoterico. Questo tipo di sviluppo si può osservare anche negliambienti la cui influenza storica fu importantissima e decisiva per il futurodel Giudaismo, ad esempio tra i farisei, i tannaim e gli amoraim, vale a direnel cuore stesso del Giudaismo rabbinico. Inoltre, vi erano tendenze simili inaltre sfere, al di fuori della corrente principale, in quelle la cui influenzasul Giudaismo dei periodi successivi è oggetto di controversia: gli esseni, lasetta di Qumran (se pure non si tratta della stessa cosa), e le diverse settegnostiche alla periferia dell'Ebraismo, la cui esistenza è attestata dagliscritti dei Padri della Chiesa. Alcuni hanno pensato di dimostrare l'esistenzadi tendenze mistiche già in tempi biblici (Hertz, Horodezky, Lindblom,

Montefiore), ma è quasi certo che i fenomeni collegati da questi autori almisticismo, come la profezia e la pietas di certi salmi, appartengono ad altrifiloni della storia della religione. Storicamente parlando, l'esistenza disocietà chiuse e organizzate di mistici è dimostrata soltanto a partire dallaconclusione dell'era del Secondo Tempio: questo è chiaramente attestato dallalotta in corso in quel periodo tra diverse forze religiose e dalla tendenza,allora corrente, di scavare più a fondo nella speculazione religiosaoriginale.

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Esoterismo apocalittico e misticismo della Merkabah

Dal punto di vista cronologico, è nella letteratura apocalittica che vediamoapparire per la prima volta idee di carattere specificamente mistico,riservate agli eletti. Gli studiosi non sono d'accordo nel ritenere se leorigini di questa letteratura siano da ricercare tra i farisei e i lorodiscepoli o tra gli esseni, ed è possibile che tendenze apocalittiche

apparissero negli uni e negli altri. Sappiamo da Giuseppe che gli essenipossedevano una letteratura di contenuto tanto magico quanto angelologico. Ilsuo silenzio per quanto concerne le loro idee apocalittiche può essereinterpretato come desiderio di nascondere ai lettori pagani questo aspettodell'ebraismo contemporaneo. La scoperta delle testimonianze letterarie dellasetta diQumran dimostra che queste idee vi avevano trovato ricetto. Essi possedevanoil Libro di Enoch originale, sia in ebraico che in aramaico, benché moltoprobabilmente fosse stato composto nel periodo antecedente alla scissione trai farisei e i membri della setta di Qumran. In effetti, tradizioni simili aquelle incorporate nel Libro di Enoch pervennero al Giudaismo rabbinico altempo dei tannaim e degli amoraim, ed è impossibile accertare con precisioneil terreno di coltura di questo tipo di tradizione, fino a quando i problemipresentati dalla scoperta degli scritti di Qumran non saranno stati risolti.Il Libro di Enoch fu seguito da testi apocalittici fino al tempo dei tannaime, in modi diversi, anche più tardi. La conoscenza esoterica contenuta inquesti libri riguardava non soltanto la rivelazione della fine del tempo e deisuoi terrori, ma anche la struttura del mondo occulto e i suoi abitatori: ilcielo, il Giardino dell'Eden, e Gehinnom, gli angeli e gli spiriti maligni, eil fato delle anime in questo mondo occulto. Vi sono poi rivelazioni relativeal Trono di Gloria e al suo Occupante, che dovrebbero venire apparentementeidentificate con "i meravigliosi segreti" di Dio, menzionati dai Rotoli delMar Morto. Qui è possibile stabilire un nesso tra questa letteratura e letradizioni assai più tarde relative al ma'aseh bereshir e al ma'aseh merkabah.Non soltanto il contenuto di queste idee è considerato esoterico: anche i loroautori nascondono la propria individualità e i propri nomi, celandosi dietropersonaggi biblici come Enoch, Noè, Abramo, Mosè, Baruch, Daniele, Ezra ed

altri. Questa operazione, perfettamente riuscita, ha reso estremamentedifficile per noi determinare l'ambiente storico e sociale degli autori. Talemodello pseudoepigrafico continuò nella tradizione mistica durante i secolisuccessivi. La chiara tendenza all'ascetismo quale mezzo per prepararsi allaricezione della tradizione mistica, già attestata nell'ultimo capitolo delLibro di Enoch, diviene un principio fondamentale per gli apocalittici, gliesseni, e la cerchia dei mistici della Merkabah che li seguirono. Findall'inizio, questo ascetismo pietista suscitò un'opposizione attiva che portòad abusi e persecuzioni divenuti in seguito fattori caratteristici dell'interaevoluzione storica delle tendenze pietiste (hasidut) nel Giudaismo rabbinico.I misteri del Trono costituiscono qui un tema particolarmente elevato che, inlarga misura, stabilì il modello delle prime forme del misticismo ebraico.Questo non aspirava alla comprensione della vera natura di Dio, ma a una

percezione del fenomeno del Trono sul suo Carro, quale è descritto nel primocapitolo di Ezechiele, intitolato tradizionalmente ma'aseh merkabah. I misteridel mondo del Trono, insieme a quelli della Gloria Divina che vi sonorivelati, sono, nella tradizione esoterica ebraica, paralleli alle rivelazionisul regno del divino nello Gnosticismo. Il XIV capitolo del Libro di Enoch,che contiene l'esempio più antico di questo tipo di descrizione letteraria, fula fonte di una lunga tradizione visionaria della descrizione del mondo delTrono e dell'ascesa visionaria ad esso, che troviamo nei libri dei

mistici della Merkabah. Oltre alle interpretazioni, alle visioni e allespeculazioni basate sul ma'aseh merkabah, altre tradizioni esoteriche

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cominciarono a cristallizzarsi intorno al primo capitolo della Genesi, che erachiamato ma'aseh bereshit. Questi due termini furono successivamente usati perdescrivere tali argomenti. Misnah e Talmud (Hag. 2:1, e la corrispondenteGemara nel Talmud babilonese e in quello di Gerusalemme) mostrano che, nelprimo secolo dell'era comune, in queste aree esistevano tradizioni esoteriche,e vi erano limiti severi alla discussione pubblica di questi argomenti: "Lastoria della creazione non deve essere esposta dinanzi a due persone, né ilcapitolo sul Carro dinanzi a una persona, a meno che questi sia un saggio e

già abbia una comprensione dell'argomento". Le indicazioni esistenti dellapartecipazione di Johanan b. Zakkai e dei suoi discepoli a questa sorta diesposizione provano che questo esoterismo poteva crescere nel centro stessodel Giudaismo rabbinico in fase di sviluppo, e che di conseguenza questoGiudaismo aveva fin dall'inizio un aspetto esoterico particolare. D'altraparte, è possibile che la nascita delle speculazioni gnostiche, non accettatedai rabbini, inducesse molti di loro a procedere con grande cautela e adadottare un atteggiamento polemico. Tale atteggiamento è espresso nellacontinuazione della Misnah citata più sopra: "Chiunque ponderi su quattrocose, meglio sarebbe per lui che non fosse mai venuto al mondo: ciò che vi èsopra, ciò che vi è sotto, ciò che vi era prima del tempo, ciò che vi saràdopo". Abbiamo qui la proibizione delle stesse speculazioni che sonocaratteristiche dello Gnosticismo, così come è definito negli "Estratti dagliscritti dello gnostico Teodoto" (Extraits de Thédote, a cura di F. Sagnard,1948, para. 78). In realtà, questa proibizione veniva largamente ignorata, aquanto si può giudicare dalle molte affermazioni di tannaim ed amoraimriguardanti tali argomento e sparse nel Talmud e nei Midrashim.In un'epoca di risveglio spirituale e di profondi rivolgimenti religiosi,sorse nel Giudaismo un gran numero di sette con idee eterodosse, risultanti dauna mescolanza di pulsioni interiori e di influenze esterne. Che esistessero omeno sette gnostiche alla periferia dell'Ebraismo prima dell'avvento delCristianesimo è oggetto di congetture (si veda più sotto); ma non vi è dubbioche esistevano minim ("eretici") nel periodo tannaitico e soprattutto nelterzo e nel quarto secolo. In questo periodo una setta gnostica ebraica connette tendenze antinomistiche era attiva a Sepphoris. Vi erano inoltre,ovviamente, gruppi intermedi, dai quali i membri di queste sette acquisivanouna vasta conoscenza del materiale teologico sul ma'aseh bereshit e sul

ma'aseh merkabah, e tra questi devono essere inclusi gli ofiti (adoratori delserpente) che erano sostanzialmente più ebrei che cristiani. Da questa fonte,una massa considerevole di tradizioni esoteriche venne trasmessa agli gnosticial di fuori del Giudaismo, i cui libri, molti dei quali sono stati scopertinel nostro tempo, sono pieni di tale materiale, che si trova non soltanto intesti greci e copti del II e del III secolo, ma anche negli stratipiù antichi della letteratura mandaica, scritta in aramaico colloquiale.Nonostante tutte le profonde differenze nel punto di vista teologico, losviluppo del misticismo della Markabah tra i rabbini costituisce unaconcomitante ebraica alla Gnosi, e può venire chiamato "Gnosticismo ebraico erabbinico".In questi ambienti, le idee teosofiche e le rivelazioni ad esse collegate siramificano in molte direzioni, e quindi è impossibile parlare di un unico

sistema. Fu creata inoltre una particolare terminologia mistica. In parte,essa si riflette nelle fonti dei Midrashim "normali", mentre in parte èlimitata alle fonti letterarie dei mistici: la letteratura dei heikhalot e delma'aseh bereshit. Verbi come histakkel, zafah, iyyen, e higgi's hannosignificati specifici, e così pure sostantivi come ha-kavod, ha-kavod hagadol,ha-kavod ha-nistar, mara di-revuta, yozer bereshit, heikhalot, hadrei merkabahe altri. Particolarmente importante è l'uso consacrato del termine Kavod("gloria"), quale nome per indicare Dio come oggetto d'una profonda ricercamistica, nonché l'area generale della ricerca teosofica. Questo termineacquisisce un significato specifico, distinto dal suo uso scritturale, già nelLibro di Tobit e alla fine del Libro di Enoch, e continua a venire usato in

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questo modo nella letteratura apocalittica. Per contrasto, l'usò della parolasod ("mistero") in questo contesto era relativamente raro, e divenne generalesoltanto nel Medioevo, mentre nei testi antecedenti viene usato più spesso raz("segreto").La terminologia della Merkabah si trova in un frammento d'inno nei Rotoli delMar Morto, dove gli angeli lodano "l'immagine del Trono del Carro"(Strugnell). I membri della setta univano idee relative al canto degli angeliche stanno dinanzi al Carro, ad altre idee sui nomi e sui doveri degli angeli:

e tutto questo è comune alla setta di Qumran e alle successive tradizioni delma'aseh merkabah. Fin dall'inizio, queste tradizioni erano circonfuse da unalone di particolare santità. L'aggadah talmudica collega l'esposizione dellaMerkabah alla discesa del fuoco dal cielo, che circonda colui che effettual'esposizione. Nella letteratura dei heikhalot sono usate altre espressionipiù ardite per descrivere il carattere emotivo ed estatico di questeesperienze. Distinta dall'esposizione della Merkabah, che i rabbini davanodurante la permanenza sulla terra, vi era la contemplazione estatica dellaMerkabah, un'esperienza compiuta come in un'ascesa ai cieli, cioè la "discesaalla Merkabah", tramite l'entrata nel pardes ("paradiso"). Questa non erasoggetta all'esposizione e all'interpretazione, bensì alla visione eall'esperienza personale. La transizione, che ancora una volta collega larivelazione della Merkabah alla tradizione apocalittica, è menzionata dalTalmud accanto alle tradizioni esegetiche (Hag. 14b). Riguarda i quattro saggiche "entrarono nelpardes". Il loro fato dimostra che qui ci troviamo di frontead esperienze spirituali raggiunte mediante la contemplazione e l'estasi.Simeon b. Azzai "guardò e morì"; Ben Zoma "guardò e fu colpito" (mentalmente);Elisha b. Avuyah, chiamato aher ("altro"), dimenticò ilGiudaismo rabbinico e "tagliò i germogli", diventando apparentemente unognostico dualista; solo R. Akiva "entrò in pace e discese in pace", oppure,secondo un'altra lettura, "ascese in pace e discese in pace". Quindi R. Akiva,una figura centrale nel mondo del Giudaismo rabbinico, è anche il legittimorappresentante di un misticismo nell'ambito dei suoi confini. Apparentemente,è per questo che Akiva e Ishmael, che era il suo compagno ed anche il suoavversario nelle questioni halakhiche, furono le colonne centrali e iprincipali portavoce nella successiva letteratura pseudoepigrafica dedicata aimisteri della Merkabah. Inoltre, il sorprendente carattere halakhico di questa

letteratura dimostra che i suoi autori avevano solide radici nella tradizionehalakhica e non nutrivano opinioni eterodosse.Negli ambienti mistici furono stabilite particolari condizioni per coloro chevenivano ritenuti idonei ad essere iniziati alle dottrine e alle attivitàincluse in questi campi. Gli insegnamenti fondamentali venivano comunicati "inun sussurro" (Hag. 13b; Bereshit Rabbah, a cura di Theodor Albeck (1965),19-20). Le condizioni più antiche che governavano la scelta degli idonei eranodi due tipi. Nella Gemara (Hag. 13b) venivano formulate condizionisostanzialmente intellettuali, oltre ai limiti di età ("allo stadio medianodella vita"); e nella prima parte di Heikhalot Rabbati sono enumerate certequalità morali richieste nell'iniziato. Oltre a questo, a partire dal III e IVsecolo, secondo Sherira Gaon (Ozar ha-Ge'onim a Hagigah (1931), Teshuvot, n.12, p. 8) vengono usati metodi esteriori di valutazione, basati sulla

fisiognomica e sulla chiromanzia (hakkarat panim ve-sidrei sirtutin). SederEliyahu Rabbah, capitolo 29, cita una baraita aramaica dei mistici dellaMerkabah sull'argomento della fisiognomica. Il frammento di un'altra baraita,scritta in ebraico con il nome di R. Ishmael, è stato conservato, e non vi èdubbio che facesse parte della letteratura della Merkabah. Lo stile e ilcontenuto provano che risale a una data antica (un altro frammento dellaGenizah fu pubblicato da I. Gruenwald) .

La letteratura esoterica:i Heikhalot, il Ma'aseh Bereshit e la letteratura della magia

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La letteratura occupa un posto di importanza estrema nell'evoluzionedell'esoterismo e del misticismo. Ha innumerevoli connessioni con letradizioni al di fuori dei suoi confini nel Talmud e nei Midrashim, e questetradizioni talvolta si spiegano reciprocamente. Inoltre, la letteraturaesoterica contiene una grande ricchezza di materiale che non si incontraaltrove. Molti studiosi, inclusi Zunz, Graetz e P. Bloch, hanno tentato didimostrare che una distanza immensa, in fatto di tempo e di tematica, separale prime idee della Merkabah da quelle incorporate nel Talmud e nel

Midrash, e hanno attribuito la composizione della letteratura della Merkabahall'era geonica. Per quanto sia possibile che alcuni dei testi non venisseropubblicati prima di tale periodo, non c'è dubbio che ampie sezioni ebberoorigine in tempi talmudici, e che le idee centrali, oltre a molti dettagli,risalgono addirittura al I e al II secolo. Molti dei testi sono brevi, e invari manoscritti vi è una quantità considerevole di materiale fondamentaleprivo di abbellimenti letterari. (Per un elenco di libri appartenenti a questaletteratura, si veda "Misticismo della Merkabah" a p. 375.) Le tradizioni quiraccolte non sono tutte dello stesso tipo, e indicano tendenze diverseesistenti tra i mistici. Troviamo qui descrizioni dettagliate del mondo delCarro, dell'ascesa estatica a quel mondo, e della tecnica usata per compieretale ascesa. Come nella letteratura gnostica non ebraica, la tecnicadell'ascesa ha un aspetto magico e teurgico, e vi sono fortissimi legami trala letteratura della Merkabah e la letteratura teurgica ebraica ed aramaica diquesto periodo e del periodo geonico. Lo strato più antico dei heikhalot ponein forte risalto l'aspetto magico, che nell'applicazione pratica dei suoiinsegnamenti è connesso al conseguimento della "contemplazione del Carro". Èmolto simile a numerosi testi importanti conservati tra i papiri magici grecie alla letteratura gnostica del tipo Pistis Sophia, che ebbe origine nel II enel III secolo dell'era comune.La letteratura si riferisce a personaggi storici, la cui connessione con imisteri del Carro è attestata da Talmud e Midrash. L'ascesa dei suoi eroi alCarro (che nei Heikhalot Rabbati è volutamente chiamata "discesa") viene dopoun certo numero di esercizi preparatori di carattere estremamente ascetico.L'aspirante poneva la testa tra le ginocchia, una posizione fisica che puòindurre stati alterati di coscienza e autoipnosi. Nel contempo, recitava innidi carattere estatico, i cui testi sono pervenuti fino a noi in diverse fonti,

in particolare i Heikhalot Rabbati. Queste poesie, che sono tra i più antichipiyyutim a noi noti, indicano che gli "inni del Carro" come questi erano notiin Palestina già nel III secolo. Alcuni sono presentati come i cantici dellecreature sante (hayyot) che sorreggono il Trono di Gloria, e il cui canto ègià ricordato nella letteratura apocalittica. Le poesie hanno un loro stilespecifico che corrisponde allo spirito della "liturgia celeste" ed hannoun'affinità linguistica con simili frammenti liturgici negli scritti dellasetta di Qumran. Quasi tutti si concludono con la kedushah ("santificazione")di Isaia 6:3, che viene usata come ritornello fisso. Isaac Nappaha, un amorapalestinese del III secolo, mette una poesia simile sulla bocca dellegiovenche che trasportarono l'Arca dell'Alleanza ( I Sam. 6:12) nella suainterpretazione di: "E le giovenche presero la via diritta" (va-yisharnah,inteso come "cantarono"; Av. Zar. 24b), perché egli scorge un parallelo tra le

giovenche che trasportarono l'arca cantando e le creature sante che portano ilTrono di Gloria con un canto di letizia. Questi inni mostrano chiaramente laconcezione che i loro autori hanno di Dio. Egli è il Re santo, circondato da"maestà, timore e reverenza" nei "palazzi del silenzio".Sovranità, maestà e santità sono i Suoi attributi che più colpiscono. Non è unDio vicino, bensì un Dio lontano dal campo della comprensione dell'uomo,sebbene la Sua gloria arcana possa venir rivelata all'uomo dal Trono. Imistici della Merkabah si occupano di tutti i dettagli del mondo superno, cesi estende nei sette palazzi del firmamento delle aravot (tra i settefirmamenti, il superiore); delle schiere angeliche che popolano i palazzi(heikhalot); dei fiumi di fuoco che scorrono dinanzi al Carro e dei ponti che

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li valicano; dell'ofan e del hashmal e di tutti gli altri dettagli del Carrodescritti da Ezechiele. Ma il fine principale dell'ascesa è la visione diColui che siede sul Trono, "un sembiante come il sembiante di un uomo su diesso" (Ezech. 1:26). Questa apparizione della Gloria nella forma d'uomosuperno è il contenuto della parte più recondita del misticismo, chiamata Shi'ur Komah ("misura del corpo").L'insegnamento sulla "misura del corpo" del Creatore costituisce un grandeenigma. Alcuni frammenti compaiono in diversi passi della letteratura del

ma'aseh merkabah, mentre altri sono stati conservati separatamente. Essienumerano le misure fantastiche di parti della testa, nonché di alcune membra.Inoltre, trasmettono "i nomi segreti" di tali membra, che sono tutticombinazioni inintelligibili di lettere. Sono pervenute fino a noi versionidiverse delle combinazioni di numeri e lettere, e perciò non possono essereconsiderate attendibili; e nel complesso non ci è chiaro il loro scopo(letterale o simbolico). Tuttavia, il versetto che racchiude la chiavedell'enumerazione è Salmi 147:5: "Grande è il nostro Signore, e possente diforza", che viene interpretato come significante che all'estensione del corpoo della misura di "nostro Signore" si allude nelle parole verav ko'ah ("epossente di forza"), che in gematria corrisponde a 236. Questo numero (236 x10.000 leghe, e per giunta leghe non terrestri bensì celesti) è la misurafondamentale su cui si basano tutti i calcoli. Non è chiaro se vi sia unarelazione tra le speculazioni sulla "grandezza del Signore del mondo" e iltitolo mara di-revuta ("Signore della grandezza"), uno dei predicati di Dioche si trovano nella Genesi Apocrifa (p. 2, riga 4). Il termine gedullah("grandezza"; per esempio nella frase "ofan [ruota] di grandezza") e gevurah("potenza") ricorrono come nomi di Dio in numerosi testi dei mistici dellaMerkabah. Non possiamo escludere la possibilità di un flusso continuo di ideespecifiche dalla setta di Qumran ai mistici della Merkabah e agli ambientirabbinici nel caso dello Shi 'ur Komah e in altri campi. Il paradosso sta nelfatto che la visione dello Shi 'ur Komah è in realtà celata "alla vista diogni creatura, e celata agli angeli ministri", ma "fu rivelata a R. Akiva nelma' aseh merkabah" (Heikhalot Zutrati). Il mistico, quindi, afferra un segretoche neppure gli angeli possono comprendere.Nella seconda metà del II secolo una versione ellenizzata di questaspeculazione si trova nella descrizione del "corpo della verità" data dallo

gnostico Markos. Esistono anche numerose gemme gnostiche che, come i frammentiebraici dello Shi'ur Komah, portano la figura di un uomo le cuimembra sono iscritte con combinazioni magiche di lettere, ovviamentecorrispondenti ai loro nomi segreti (cfr. C. Bonner, Hesperia, 23 (1954),151). Un chiaro riferimento a questa dottrina si trova già nel Libro di Enochslavo (13:8) : "Io ho veduto la misura dell'altezza del Signore, senzadimensione e senza forma, che non ha fine". Il passo rispecchia l'esattaterminologia ebraica. Almeno due versioni di questa dottrina erano correntinei tempi talmudici e post-talmudici, una attribuita a R. Akiva ed una a R.Ishmael (entrambe pubblicate nella collezione Merkabah Shelemah Gerusalemme(1922), fol. 32-43). Due manoscritti del secolo X e XI (Oxford Hebr. C. 65, eSassoon 522) contengono i testi più antichi a noi accessibili; ma anche questisono più o meno corrotti. Secondo la testimonianza di Origene ( III secolo)

non era permesso studiare il Cantico dei Cantici, negli ambienti ebraici,prima di aver raggiunto la piena maturità, evidentemente a causa diinsegnamenti esoterici come la dottrina dello Shi ur Komah ad esso connessa. IMidrashim sul Cantico dei Cantici rispecchiano questa interpretazioneesoterica in molti passi. I frammenti di Shi'ur Komah erano noti nel VIsecolo, se non prima, al poeta Eleazar ha-Kallir.Il provocatorio antropomorfismo di questi passi sconcertava molti rabbini, efu oggetto di attacchi da parte dei karaiti, al punto che persino Maimonide,il quale all'inizio considerava lo Shi'ur Komah un testo autorevole dainterpretare (nel manoscritto originale del suo commento al Mishnah, Sanh.10), più tardi lo ripudiò, ritenendolo una tarda falsificazione (Teshuvot

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ha-Rambam (1934), n. 117). In effetti, invece, lo Shi'ur Komah era una parteantica e autentica dell'insegnamento mistico dei tempi dei tannaim. La teorianon implica che Dio possieda forma fisica, ma soltanto che una forma di questotipo può essere attribuita alla "Gloria", che in certi passi è chiamata gufha-Shekhinah ("il corpo della Presenza Divina"). Lo Shi'ur Komah è basatosulle descrizioni dell'amata nel Cantico dei Cantici (5:11-16) eapparentemente divenne parte dell'interpretazione esoterica di questo libro.Forse l'idea della "tunica" e della veste di Dio apparteneva anch'essa allo

Shi'ur Komah. Questa "tunica" è molto importante nel ma'aseh bereshit deiHeikhalot Rabbati, ed echi di questa idea si possono reperire nelle aggadotrabbiniche relative alla veste di luce in cui il Santo, sia benedetto, siavvolse al momento della creazione.L'ascesa e il passaggio attraverso i primi sei palazzi sono descritti peresteso nei Heikhalot Rabbati, con dettagli di tutti i mezzi tecnici e magiciche assistono lo spirito nell'ascesa e lo salvano dai pericoli in agguato.Tali pericoli vengono posti in particolare risalto in tutte le tradizionidella Merkabah. Visioni ingannevoli appaiono all'anima che ascende, e gliangeli della distruzione cercano di disorientarla. Alle porte di tutti ipalazzi, deve mostrare ai guardiani "i sigilli", che sono i Nomi segreti diDio, o immagini sature di potere magico (alcune esistono tuttora nella PistisSophia gnostica), e che la proteggono dagli assalti. I pericoli divengono piùnumerosi soprattutto all'entrata del sesto palazzo, dove al mistico dellaMerkabahsembra che "cento milioni di onde si riversino, eppure non vi è una solagoccia d'acqua, ma soltanto lo splendore delle pure lastre di marmo chepavimentano il palazzo". È a questo pericolo dell'ascesa estatica che siriferiscono le parole di R. Akiva nella storia dei quattro che entrarono nelpardes: "quando giungi al luogo dalle lastre di marmo puro, non dire 'acqua,acqua"'. I testi menzionano inoltre un "fuoco che procede dal suo corpo e loconsuma". Talvolta il fuoco è visto come un pericolo (Merkabah Shelemah(1921), lb) e altre volte come un'esperienza estatica che accompagnal'ingresso nel primo palazzo: "Le mie mani erano arse, e io stavo dirittosenza mani né piedi" (Manoscritto Neubauer, Oxford 1531, 45b). Ilpardes nelquale entrarono R. Akiva e i suoi compagni è il mondo del celestiale Giardinodell'Eden, o il regno dei palazzi celesti, e l'ascesa o "rapimento" è comune

ad altre apocalissi ebraiche, ed è ricordata da Paolo (II Cor. 12: 2-4) comequalcosa che non ha bisogno di essere spiegata ai suoi lettori d'origineebraica. In contrasto ai pericoli che attendono quanti, pur non essendoidonei, si dedicano a queste cose e alla scienza magica della teurgia, vienegrandemente posta in risalto l'illuminazione che perviene a coloro i qualiricevono le rivelazioni: "Nel mio cuore vi era luce, come una folgore", oppure"il mondo si trasmutò in purezza intorno a me, e nel mio cuore sentii diessere entrato in un nuovo mondo" (Merkabah Shelemah la, 4b).Un antico brano enumerante i temi fondamentali del mistero del Carro si trovanel Midrash a Proverbi 10 e, in una versione diversa, in Perush ha-Aggadot diAzriel (a cura di Tishby (1946), 62). I temi menzionati sono il hashmal, lafolgore, il cherubino, il Trono di Gloria, i ponti nella Merkabah e la misuradelle membra "dalle unghie dei miei piedi al sommo della mia testa". Altri

temi che hanno grande importanza di numerose fonti non vengono menzionati. Traessi vi sono idee riguardanti il pargod ("cortina" o "velo") che separa Coluiche siede sul Trono dalle altre parti del Carro, e su cui sono ricamati gliarchetipi di tutto ciò che è creato. Vi sono tradizioni diverse e moltopittoresche riguardo al pargod. Alcune l'interpretano come una cortina cheimpedisce agli angeli ministri di vedere la Gloria (Targ. di Giobbe 26:9),mentre altre sostengono che "i sette angeli creati per primi" continuano illoro ministero all'interno del pargod (Massekhet Heikhalot, fine del cap. 7).In altra forma, questo concetto del pargod fu assimilato dagli gnostici nonebrei del II secolo.Non vi era un'angelologia fissa; e sono state conservate concezioni diverse,

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anzi diversi sistemi completi, a partire da quelli che si trovano nel Libro diEnoch etiopico fino all'Enoch ebraico, nella letteratura dei heikhalot. Questeidee occupano uno spazio considerevole nella letteratura della Merkabahpervenuta sino a noi e, com'è prevedibile, ricompaiono in diverse forme dalcarattere pratico negli incantesimi e nella letteratura teurgica. Laconoscenza dei nomi degli angeli faceva già parte del misticismo degli esseni,e si sviluppò negli ambienti rabbinici ed eterodossi sino al termine delperiodo geonico. Insieme al concetto dei quattro o sette angeli-chiave

(arcangeli), si sviluppò (verso la fine del I secolo o l'inizio del II) unanuova dottrina relativa all'angelo Metatron (sar ha-panim, "il principe dellaPresenza"). (Vedere i dettagli nella sezione dedicata a Metatron, p. 379.)Nella letteratura della Merkabah i nomi degli angeli si mescolano facilmentecon i Nomi segreti di Dio, molti dei quali sono menzionati nei frammenti diquesta letteratura pervenuti fino a noi. Poiché molti di tali nomi non sonostati completamente spiegati, non è stato ancora possibile accertare seintendono esprimere una specifica idea teologica # per esempio, porre inrisalto un aspetto particolare della rivelazione o dell'attività di Dio # o sehanno altre funzioni che non possiamo sviscerare. Vari frammenti dellaletteratura dei keikhalot menzionano nomi come Adiriron, Zoharariel, Zavodiel,Ta'zash, Akhtriel (che si trova anche in una baraita proveniente da questacerchia in Bar. 7a). La formula "il Signore, Dio d'Israele" viene spessoaggiunta a questo nome particolare, tuttavia la si trova anche aggiunta ainomi di molti angeli principali (per esempio, nell'Enoch ebraico), quindi èimpossibile dedurne se la frase si riferisca al nome di un angelo o al nome diDio. Talora, lo stesso nome serve a designare tanto Dio quanto un angelo. Unesempio è Azbogah ("un nome ottuplo") in cui ogni paio di lettere, attraversola gematria, sommato dà il numero otto. Questo nome "ottuplo" rispecchia ilconcetto gnostico dell'ogdoade; l'ottavo firmamento al di sopra dei settefirmamenti, dove dimora la Sapienza Divina. Nei Heikhalot Zutrati è definitocome "un nome di potere" (gevurah), cioè uno dei nomi della Gloria Divina,mentre nel capitolo 18 dell'Enoch ebraico diviene il nome d'uno dei principiangelici; il suo significato numerico viene dimenticato, e viene assoggettatoalla consueta interpretazione aggadica dei nomi. Lo stesso vale per il termineziva rabba, che da una parte non è altro che una traduzione aramaica diha-kavod hagadol ("la grande gloria") che si trova nelle apocalissi e anche in

fonti samaritane come descrizione del Dio rivelato. Tuttavia, ricorre anchenegli elenchi dei nomi misteriosi dell'angelo Metatron, e si trova con unsignificato simile nella letteratura mandaica. Come gli gnostici non ebreiusavano talvolta formule aramaiche nei loro scritti greci, formule ed elementigreci penetrarono nella letteratura della Merkabah. Il dialogo tra il misticoe l'angelo Dumiel alla porta del sesto palazzo nei Heikhalot Rabbati si svolgein greco. Uno dei nomi di Dio in questa letteratura è Totrossiah, che indicail tetras delle quattro lettere del nome YHWH. Il parallelo inverso èrappresentato dal nome Arbatiao, che si trova frequentemente nei papiri magicidi quel periodo.Le tendenze diverse del misticismo della Merkabah stabilivano modi dicontemplare l'ascesa ai cieli, modi che venivano intesi nel senso letterale.La loro concezione di base non dipendeva dall'interpretazione scritturale, ma

assumeva una forma letteraria propria. L'elemento magico era forte soltantonelle prime fasi della letteratura dei heikhalot; e divenne più debole nelleredazioni più tarde. A partire dal III secolo appaiono interpretazioni chespogliano il tema del Carro del suo significato letterale e introducono unelemento etico. Talvolta i diversi palazzi corrispondono alla scaladell'ascesa che passa attraverso le virtù ; e talvolta l'intera tematica delCarro perde completamente il suo significato letterale. Questo tipod'interpretazione è soprattutto evidente nella straordinaria affermazionemistica dell'amora del m secolo, Simeon b. Lakish: "i patriarchi sono ilCarro" (Gen. Rabbah,475 793, 983, in riferimento ad Abramo, Isacco eGiacobbe). Affermazioni come questa aprirono la porta al tipo

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d'interpretazione simbolica che fiorì successivamente nella letteraturacabalistica.Il primo centro di questo tipo di misticismo fu in Palestina, dove fu scrittagran parte della letteratura dei heikhalot. Le idee mistiche pervennero aBabilonia già ai tempi di Rav (metà del III secolo) e la loro influenza èriconoscibile, tra l'altro, negli incantesimi magici iscritti sulle ciotoleper assicurare "protezione" contro gli spiriti maligni e i demoni, e cherispecchiano l'ebraismo popolare babilonese dalla fine del periodo talmudico

fino al tempo dei geonim. In Babilonia, apparentemente, fu composto un numerorilevante di preghiere magiche, oltre a trattati sulla magia, come Harbade-Moshe (a cura di Gaster, 1896), Sefer ha-Malbush (manoscritto Sassoon 290,pp. 306-11), Sefer ha-Yashar (British Museum, manoscritto Margoliouth 752,fol. 91 segg.), Sefer ha-Ma'alot, Havdalah deR. Akiva (manoscritto Vaticano228), Pishra de R. Hanina b. Dosa (manoscritto Vaticano 219, fol. 4-6), ealtri, alcuni dei quali furono scritti in aramaico babilonese. In tutti questil'influenza delle idee della Merkabah era molto forte. In Palestina, forsealla fine del periodo talmudico, fu composto il Sefer ha-Razim, che contienedescrizioni dei firmamenti notevolmente influenzate dalla letteratura deiheikhalot, mentre la parte "pratica", riguardante gli incantesimi, ha unostile diverso, in parte ripreso testualmente da fonti greche. Da ambienti comequesti derivò l'uso pratico della Torah e dei Salmi a fini pratici. Questaconsuetudine era basata sulla teoria che questi libri erano formatiessenzialmente dai Nomi Sacri di Dio e dei Suoi angeli, un'idea apparsa per laprima volta nella prefazione a Shimmushei Torah; solo l'introduzionemidrashica, con il titolo Ma' yan ha-Hokhmah, è stata stampata (Jellinek, Beitha-Midrash, parte 1 (1938), 5861), ma l'intera opera esiste in formamanoscritta. Dello stesso tipo è il libro Shimmushei Tehillim, che è statostampato molte volte in ebraico ed esiste inoltre manoscritto in una versionearamaica.Il contenuto poetico della letteratura del ma'aseh merkabah e del ma'asehbereshit è sorprendente: abbiamo già notato gli inni cantati dalle hayyot edagli angeli ministri in lode del loro Creatore. Seguendo lo schema di moltiSalmi, si sviluppò la nozione che l'intero creato, secondo la sua natura e ilsuo ordine, cantasse inni di lode. Venne fondata un'innologia nelle varieversioni del Perek Shirah, che senza alcun dubbio deriva dagli ambienti

mistici del periodo talmudico. A questo elemento poetico è connessal'influenza che i mistici della Merkabah ebbero sullo sviluppo di partispecifiche dell'ordine di preghiera, in particolare sulla kedushah delmattino, e successivamente sui piyyutim che furono scritti per tali parti(silluk, ofan, kedushah).

La Gnosi ebraica e il Sefer Yezirah

In queste fasi del misticismo giudaico, le descrizioni del Carro e del suomondo occupano un posto che, nello Gnosticismo non giudaico, è preso dalla

teoria degli "eoni", i poteri ed emanazioni di Dio che colmano la pleroma, la"pienezza" divina. Il mondo in cui certe middot, o qualità di Dio, comesapienza, comprensione, conoscenza, verità, fedeltà, rettitudine, eccetera,divennero gli "eoni" degli gnostici ha un parallelo nella tradizione delma'aseh bereshit, sebbene questa non compenetrasse le fasi fondamentali delmisticismo della Merkabah. Le dieci frasi con cui fu creato il mondo (Avot5:1) divennero qualità divine secondo Rav (Hag 12a). Vi è anche unatradizione, secondo la quale queste middot "servono dinanzi al Trono diGloria" (ARN 37), prendendo così il posto occupato dalle hayyot e dagli angeliministri nel sistema della Merkabah. Le speculazioni semimitologiche deglignostici che consideravano le qualità come "eoni" non furono accolte nella

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tradizione rabbinica del Talmud o dei Midrashim; tuttavia trovarono un postonelle sette più o meno eterodosse dei minim o hizzonim. La misura in cui losviluppo delle tendenze gnostiche nello stesso Giudaismo precedette la loroevoluzione nel protocristianesimo è a tutt'oggi oggetto di una vivacecontroversia tra gli studiosi. Peterson, Haenchen e Quispel in particolare,insieme a diversi esperti dei Rotoli del Mar Morto, hanno tentato di provareche forme ebraiche di Gnosi, le quali conservavano la fede nell'unità di Dio erespingevano ogni nozione dualistica, furono poste in essere prima della

formazione del Cristianesimo, ed erano incentrate particolarmente intornoall'idea dell'uomo primordiale (seguendo la speculazione su Gen. 1:26; "AdamKadmon"). L'immagine del Messia, caratteristica degli gnostici cristiani, quiera assente. Questi studiosi hanno interpretato parecchi dei primi documentidella letteratura gnostica come Midrashim gnostici sulla cosmogonia; e inparticolare Haenchen ha sostenuto che il loro fondamentale carattere ebraico èchiaramente riconoscibile in un'analisi dell'insegnamento di Simon Mago,apparentemente capo della Gnosi samaritana, un ebraismo eterodosso del Isecolo.Prima ancora, M. Friedlaender aveva ipotizzato che le tendenze gnosticheantinomiche (le quali sminuivano il valore dei Comandamenti) si fosserosviluppate anch'esse nell'ambito del Giudaismo prima della nascita delCristianesimo. Benché un buon numero di queste idee sia basato su ipotesidiscutibili, vi è tuttavia in esse una considerevole misura di verità.Esse indicano l'assenza di elementi iranici nelle fonti più antiche dellaGnosi, che sono stati esagerati da moltissimi studiosi delle ultime duegenerazioni, i cui argomenti poggiano su tesi non meno ipotetiche. La teoriadei "due principi" potrebbe essere stata il risultato di un'evoluzioneinterna, una relazione mitologica nell'ambito dello stesso Giudaismo, oppure,con la stessa facilità, un riflesso dell'influenza iranica. L'apostasia deltanna Elisheb. Avuyah, passato a un dualismo gnostico di questo tipo, è connessa nellatradizione della Merkabah alla visione di Metatron, assiso sul Trono come Dio.La letteratura mandaica contiene anch'essa filoni di carattere gnosticomonoteistico, non cristiano, che molti ritengono avesse avuto origine in unasetta ebraica eterodossa della Transgiordania, i cui membri emigrarono inBabilonia nel I o nel II secolo. La cosmogonia di alcuni dei più importanti

gruppi gnostici, persino di quelli di carattere antinomico, dipende nonsoltanto dagli elementi biblici, ma in larga misura anche da elementi ebraiciaggadici ed esoterici. I primi strati del Sefer ha-Bahir, provenientidall'Oriente, provano l'esistenza di idee decisamente gnostiche in un ambientedi ebrei credenti in Babilonia o in Siria, che collegavano la teoria dellaMerkabah a quella degli "eoni". Queste fonti antiche sono parzialmenteconnesse con il libro Raza Rabba, conosciuto come opera antica alla fine delperiodo geonico; vari frammenti si possono trovare negli scritti dei HasideiAshkenaz (vedasi più sotto). I concetti che non avevano avuto origineesclusivamente nel misticismo ebraico, come l'idea della Shekhinah e leipostasi del giudizio severo e della compassione, potevano essere facilmenteinterpretati secondo la teoria degli "eoni" e incorporati con idee gnostiche.L'"esilio della Shekhinah" che originariamente era un idea aggadica, fu

assimilato negli ambienti ebraici, in una particolare fase, all'idea gnosticadella scintilla divina in esilio nel mondo terrestre, e inoltre con la misticainterpretazione del concetto ebraico della keneset Yisrael ("la comunità diIsraele") come un'entità celeste che rappresenta la comunità storica diIsraele. Nell'elaborazione di tali motivi, è possibile che elementi gnosticisi aggiungessero alle teorie rabbiniche della Merkabah e alle Idee degliambienti giudaici che avevano deboli legami con il rabbinismo.

Il Sefer Yezirah

La speculazione sul ma'aseh bereshit ricevette una forma assolutamente unica

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in un libro dalle dimensioni modeste ma dall'influenza enorme, il SeferYezirah ( 'Libro della Creazione"), il più antico testo ebraico tuttoraesistente di pensiero sistematico, speculativo. La sua brevità (meno di 2000parole complessive nella versione più lunga), il suo stile oscuro e nelcontempo laconico ed enigmatico, la sua terminologia, non trovano paralleli inaltre opere su temi affini. Il risultato di tutti questi fattori fu che peroltre un millennio il libro fu spiegato in moltissimi modi diversi, e neppurele indagini scientifiche svolte durante il XIX e il XX secolo sono riuscite a

pervenire a risultati definitivi e privi di ambiguità.Il Sefer Yezirah ci è pervenuto in due versioni: una più breve che appare inmoltissime edizioni come il libro stesso, in contrapposizione a una versionepiù lunga che talvolta viene pubblicata come appendice "'. Entrambe leversioni esistevano già nel X secolo e lasciarono la loro impronta sui diversitipi dei numerosi manoscritti, il più antico dei quali (del secolo XI?) futrovato nella Genizah del Cairo e pubblicato da A.M. Habermann (1947). Inentrambe le versioni, il libro è suddiviso in sei capitoli di mishnayot ohalakhot, composti di brevi affermazioni che presentano l'argomentazionedell'autore in modo dogmatico, senza alcuna spiegazione o convalida. Il primocapitolo, in particolare, impiega un vocabolario sonoro e solenne, affine aquello della letteratura della Merkabah. Vi sono citati pochi versettibiblici. Anche quando l'enunciazione è identica, la diversa disposizione dellemishnayot nelle due versioni e la relazione reciproca, che così risultaalterata, colorano la valutazione teorica delle idee.Il tema centrale del Sefer Yezirah è uno stringato discorso sulla cosmologia ela cosmogonia (una sorta di ma'aseh bereshit, "atto di creazione in formaspeculativa), eccezionale per il suo carattere chiaramente mistico. Non hannofondamento i tentativi, da parte di parecchi studiosi, di presentarlo come unasorta di testo per scolari, o come la prima composizione sulla grammatica el'ortografia ebraica (secondo P. Mordell). Il forte legame tra il libro e lespeculazioni ebraiche sulla sapienza divina (hokhmah) è evidente findall'inizio, con la dichiarazione che Dio creò il mondo per mezzo di "32 viesegrete della sapienza". Queste 32 vie, definite come "dieci Sefirot beli mah"e le "22 lettere elementari" dell'alfabeto ebraico, sono presentate come lefondamenta dell'intera creazione. Il capitolo 1 tratta delle Sefirot e glialtri cinque capitoli della funzione delle lettere. Apparentemente, il termine

Sefirot è usato nel senso esclusivo di numeri", benché, impiegando un terminenuovo (sefirot anziché misparim), l'autore sembri alludere a principimetafisici o a fasi della creazione del mondo.L'uso del termine Sefirot nel Sefer Yezirah fu spiegato più tardi -soprattutto nella letteratura della Cabala - quale riferimento a una teoriadell'emanazione, sebbene il libro non menzioni che la prima Sefirah emanasseda Dio e non fosse da Lui creata quale azione indipendente. L'autore pone inrisalto, per quanto ambiguamente, il carattere mistico delle Sefirot,descrivendole dettagliatamente e discutendo il loro ordine gerarchico Almenole prime quattro Sefirot emanano l'una dall'altra. La prima è lo "spirito(ru'ah) del Dio Vivente" (il libro continua a usare la parola ru'ah nelduplice significato di spirito astratto oppure aria o etere).Dalla prima Sefirah promana, mediante la condensazione, "uno Spirito da un

altro"; cioè, prima è l'elemento primordiale dell'aria, e da esso, procedendol'una dall'altra quale terza e quarta Sefirah, acqua e fuoco. Dall'ariaprimordiale Dio creò, o "incise" su di essa, le 22 lettere, dalle acqueprimordiali, il caos cosmico; e dal fuoco primordiale, il Trono di Gloria e leschiere angeliche. La natura della creazione secondaria non è sufficientementechiara, a causa del preciso significato terminologico dei verbi impiegatidall'autore - per esempio, inciso, scolpito, creato - può essere interpretatoin vari modi. Le ultime sei Sefirot hanno una natura completamente diversa, inquanto rappresentano le sei dimensioni (nel linguaggio del libro, i kezavot,"estremità") dello spazio, benché non sia detto espressamente che furonocreate dagli elementi precedenti. Comunque, viene sottolineato che le dieci

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Sefirot costituiscono un'unità chiusa, perché ''la loro fine è nel loroprincipio, e il loro principio nella loro fine", ed esse ruotano l'unanell'altra; cioè, questi dieci principi fondamentali costituiscono un'unitàchiusa - per quanto la sua natura non sia sufficientemente definita - che nonè considerata identica alla divinità, se non in quanto il primo stadio dellasua creazione esprime le vie della divina sapienza.L'autore, senza dubbio intenzionalmente, impiega espressioni prese a prestitodalla descrizione delle hayyot ("creature viventi") che portano il Trono di

Gloria nel carro (merkavah; Ezech. 1), e sembra stabilire una certacorrelazione tra gli "esseri viventi" e le Sefirot, descrivendo queste ultimecome le serve del re che obbediscono ai suoi comandi e si prosternano davantial suo trono. Nel contempo, esse sono anche le dimensioni (amakim) di tuttal'esistenza, del bene e persino del male. Il fatto che la teoria delsignificato delle 22 lettere quale fondamento di tutta la creazione nelcapitolo 2 contraddica in parte il capitolo 1 ha indotto molti studiosi adattribuire all'autore la concezione di una duplice creazione: l'una ideale epura, compiuta per mezzo delle Sefirot, che sono concepite in modo interamenteideale e astratto; e l'altra reale, operata mediante l'interconnessione deifonemi del linguaggio, che sono le lettere. Secondo alcune opinioni, l'oscuraparola "belimah", che accompagna sempre la parola Sefirot, è semplicemente uncomposto, beli mah: senza nulla, senza attualità, ideale. Tuttavia, agiudicare dal significato letterale, sembra che dovrebbe essere intesa come"chiuso", cioè chiuso in se stesso. Il testo non offre spiegazioni piùdettagliate della relazione tra le Sefirot e le lettere, e non vi sono altririferimenti alle Sefirot. Alcuni studiosi hanno ritenuto che due distintedottrine cosmogoniche sostanzialmente diverse vennero fuse nel libro, e furonounite da un metodo simile alla teoria neopitagorica molto diffusa nel II e nelIII secolo prima dell'era comune.Tutti gli esseri reali nei tre strati del cosmo, nel mondo, nel tempo e nelcorpo dell'uomo (secondo il linguaggio del libro: mondo, anno, anima) furonoposti in esistenza tramite l'interconnessione delle 22 lettere, e soprattuttomediante le "231 porte", cioè le combinazioni delle lettere in gruppi di due,rappresentanti forse le radici del verbo ebraico (sembra che l'autoreritenesse che il verbo ebraico sia basato su due consonanti; ma si veda N.Aloni). Il numero logico di 221 combinazioni non compare nei manoscritti più

antichi, che fissavano 221 porte o combinazioni, enumerate in diversimanoscritti. ogni cosa esistente contiene in qualche modo questi elementilinguistici ed esiste grazie al loro potere, il cui fondamento è un nome, cioèil Tetragrammaton, o forse l'ordine alfabetico che, nella sua totalità, èconsiderato un unico nome mistico. Il processo cosmico è essenzialmentelinguistico, basato sulle combinazioni illimitate delle lettere. Nei capitoli35, le 22 lettere base sono divise in tre gruppi, secondo lo speciale sistemafonetico dell'autore. Il primo contiene le tre matrici - immot o ummot (cheSignificano elementi, nel linguaggio della Mishnah) - alef, mem, shin che aloro volta rappresentano la fonte dei tre elementi menzionati in un contestodiverso nel capitolo 1 - aria, fuoco, acqua - e dalle quali derivò tutto ilresto. Queste tre lettere hanno inoltre un parallelo nelle tre stagionidell'anno (secondo un sistema che si trova in diversi autori greci ed

ellenistici) e nelle tre parti del corpo: la testa, il torace e lo stomaco. Ilsecondo gruppo consiste di sette lettere doppie", cioè le consonanti che hannoun suono duro o dolce a seconda che vengano scritte con o senza dagesh (bet,gimmel, dalet e kaf, pe, resh, tav). La presenza della lettera resh in questogruppo ha dato origine a varie teorie. Per mezzo delle lettere "doppie" furonocreati i sette pianeti, i sette cieli, i sette giorni della settimana e isette orifizi del corpo (occhi, orecchi, narici, bocca); inoltre, essealludono agli opposti fondamentali (temurot) nella vita dell'uomo. Le 12rimanenti lettere "semplici" (ha-peshutot) corrispondono a quelle che l'autoreconsidera come le principali attività dell'uomo: i 12 segni dello zodiaconella sfera celeste, i 12 mesi, e le 12 principali membra del corpo

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(ha-manhigim). Inoltre, egli dà anche una divisione fonetica delle letterecompletamente diversa, a seconda dei cinque punti della bocca in cui vengonoarticolate (gutturali, labiali, velari, dentali e sibilanti). È il primo casoin cui tale divisione appare nella storia della linguistica ebraica, e forsenon era inclusa nella prima versione del libro. La combinazione di queste"lettere basiche" contiene le radici di tutte le cose e inoltre il contrastotra bene e male (oneg ve-nega).C'è un nesso evidente tra questa cosmogonia linguistico-mistica che ha Stretti

paralleli nella speculazione astrologica, e una magia basata sul magico poterecreativo delle lettere e delle parole. Anzi, si potrebbe affermare che ilSefer Yezirah parla delle "lettere in cui furono creati il cielo e la terra";come, secondo il Talmud, Bezalel, l'architetto del tabernacolo, possedeva laconoscenza delle loro combinazioni (Berakhot 55a). Da questo puntoscaturiscono le idee connesse alla creazione del golem mediante unarecitazione ordinata di tutte le possibili combinazioni di lettere creative.Che il Sefer Yezirah mirasse inizialmente a idee magiche di questo tipo èoggetto di opinioni divergenti; ma non è impossibile. Secondo una leggendatalmudica (Sanh. 65b), R. Hanina e R. Hoshaiah (IV secolo) si occupavano delSefer Yezirah o - come afferma un'antica variante - delle Hilkhot Yezirah; conquesto mezzo fu creato per loro un ''vitello di tre anni" che essi mangiarono.Per il momento è impossibile stabilire se le Hilkhot Yezirah sianosemplicemente il libro in questione, o una versione anteriore, ma si devericordare che i testi più antichi del Sefer Yezirah erano accompagnati dacapitoli introduttivi che ponevano in risalto pratiche magiche, presentatecome una sorta di rituale festivo da compiersi al completamento dello studiodel libro (commento di Judah b. Barzillai, 103-268).

Epoca della composizione

Zunz, Graetz nelle sue opere più tarde, Bacher, Block ed altri eranodell'opinione che il Sefer Yezirah fosse stato composto nel periodo deigeonim, intorno all'VIII secolo. Questa datazione era in armonia con latendenza generale di questi studiosi che li spingeva ad assegnare una datatarda alla composizione delle opere mistiche sui misteri della creazione esulla Merkabah, una tendenza che la filologia moderna non può più suffragare.

Inoltre, essi parlavano di un'ipotetica influenza araba (che in realtà nonvenne mai provata). Nella sua opera giovanile su Gnosticismo e Giudaismo(1846), Graetz tendeva a correlare l'epoca della sua composizione a quelladella Mishnah o all'inizio del periodo del Talmud, e questa opinione eracondivisa da Abraham Epstein, Louis Ginzberg ed altri, che ne datavano lacomposizione fra il III e il VI secolo. Leo Baeck tentò di provare che ilSefer Yezirah era stato scritto sotto l'influenza neoplatonica di Proclo forsenel VI secolo. Lo stile ebraico, tuttavia, indica un periodo antecedente.Epstein ne provò l'affinità con il linguaggio della Mishnah, ed è possibileaggiungere alle sue altre prove linguistiche. Il libro non contiene nessunaforma linguistica che non possa venire ascritta all'ebraico del II e del IIIsecolo. Inoltre, numerose connessioni con la dottrina della divina sapienza econ varie visioni gnostiche e sincretiste indicano un periodo anteriore; e

Graetz osservò analogie tra il Sefer Yezirah e le idee di Markos lo gnostico.La dottrina delle Sefirot e il sistema linguistico fanno pensare a influenzeneopitagoriche e stoiche. Stoica è l'insistenza sulla doppia pronuncia di"bagad kafat". Alcuni dei termini impiegati nel libro erano evidentementetradotti dal greco, dove il termine stoikeia indica tanto "elementi" quanto"lettere"; questa dualità trova espressione nel termine ebraico otiyyot yesod("lettere elementari"), cioè lettere che sono anche elementi. Il materiale cheF. Dornsieff raccolse dal misticimo linguistico del sincretismo greco contienemolti paralleli con il Sefer Yezirah. Illuminante, a questo proposito, è ilconcetto - nel Sefer Yezirah - di "sigillare" le sei estremità del mondo conle sei diverse combinazioni del nome YHW che, diversamente dalla Bibbia, qui

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ricorre come un Nome di Dio indipendente e fondamentale, e fa la parte delcorrispondente nome nella tradizione greca iao, che è estremamente frequentenei documenti degli gnostici e nel sincretismo magico e religioso. L'idea cheogni atto della creazione tosse suggellata con il nome di Dio è uno degliassiomi più antichi del misticismo della Merkabah, e si trova già neiHeikhalot Rabbati (cap. 9); nei sistemi gnostici e in alcuni che sono vicinialla Gnosi, questo nome ha la funzione di instaurare il cosmo e di definireconfini fissi per il mondo. Combinazioni di questo nome, che in greco consiste

di vocali anziché di consonanti, appaiono di frequente nei papiri magicigreci. L'autore del Sefer Yezirah non conosceva ancora i simboli per le vocaliebraiche e in luogo delle vocali greche impiegava le consonanti, che sonotanto lettere vocaliche quanto componenti del Tetragrammaton. Vi è qui unterreno comune tra le speculazioni del Sefer Yezirah e le proiezioni gnosticheo semignostiche sulla periferia del Giudaismo o al di fuori di esso durante iprimi secoli dell'Era Comune. È difficile decidere se le dieci Sefirot o leregole delle 32 vie debbano essere spiegate o intese nello spirito delladottrina gnostica degli eoni o in quello della scuola pitagorica, poichéentrambe le interpretazioni sono possibili. La funzione delle letteredell'alfabeto ebraico nella costruzione del mondo è menzionata in un anticoframmento di Midrash Tanhuma che tratta della creazione: "Il Santissimo, chesia benedetto, disse: 'Mi necessitano operai'. La Torah Gli disse: "Io pongo atua disposizione 22 operai, cioè le 22 lettere che sono nella Torah, e do aciascuno il suo". Questa leggenda è estremamente vicina all'idea basilareespressa nel Sefer Yezirah, capitolo 2, ed è impossibile stabilire quale siaanteriore.Per riassumere, si può postulare che la parte principale del Sefer Yezirah,benché contenga aggiunte post-talmudiche, fu scritta fra il III e il VIsecolo, apparentemente in Palestina, da un ebreo devoto con tendenze almisticismo, il cui scopo era più speculativo e magico che estatico. L'autore,che si sforzò di "giudaizzare" speculazioni non ebraiche in armonia con il suospirito, presenta una linea parallela all'esoterismo ebraico della letteraturadei Heikhalot, che ha le sue radici nello stesso periodo. Questa'giudaizzazione' è evidente inoltre alla conclusione del libro, che presentaAbramo, il primo che credette all'unicità di Dio, come colui che per primostudiò le idee espresse nel libro e le mise in pratica: forse un'allusione

all'uso della magia menzionata più sopra. Da questo derivò la tardaconvinzione che vedeva in Abramo l'autore del libro, chiamato in parecchimanoscritti Otiyyot de-Avraham Avinu. L'attribuzione del Sefer, Yezirah a R.Akiva appare nella letteratura della Cabala a partire dal secolo XIII, senzadubbio sulla scia del tardo Midrash Otiyyot de-Rabbi Akiva.

Commenti sul Sefer Yezirah

ll più antico riferimento al Sefer Yezirah appare nel Baraita di-Shemu'el enelle poesie di Eleazar ha-Kallir (c. VI secolo). In seguito, il libro ebbe unimportanza grandissima sia per lo sviluppo della filosofia giudaica prima diMaimonide, sia per la Cabala, e su di essi furono scritte decine di commenti.

Saadiah Gaon spiegò il libro (all'inizio del X secolo) come un antico testoautorevole. Sulla base della versione più lunga che aveva a disposizione, egliintrodusse cambiamenti e nuove divisioni. Il testo arabo, con una traduzionefrancese di M. Lambert, fu pubblicato a Parigi nel 1891 e da Joseph Kafih aGerusalemme nel 1972, con una traduzione ebraica. Il commento di Saadiah futradotto in ebraico parecchie volte, a partire dall'XI secolo, ed ebbe unadiffusione considerevole. Nel 955-6 fu scritto a Kairouan il commento di AbuSahl Dunash ibn Tamin sulla versione breve. Parti di questo originale arabofurono scoperte nella Genizah del Cairo; esso fu conservato in varie edizioni,derivanti da una revisione più tarda e da una forma abbreviata della versioneoriginale, soprattutto in diverse traduzioni ebraiche. Una di esse fu

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pubblicata da M. Grossberg nel 1902. Il commento era apparentemente basatosulle lezioni di Isaac Israeli, il maestro di Abu Sahl. G. Vajda fece unostudio dettagliato di questo commento. Un terzo commento risalente al X secolofu scritto nell'Italia meridionale da Shabbetai Donnolo e fu pubblicato da D.Castelli nel 1880, con un'esauriente introduzione. Il più importante di tuttii commenti letterali è quello composto all'inizio del XII secolo da Judah b.Barzillai di Barcellona, e pubblicato da S.Z.H. Halberstamm (Berlino 1885).Judah Halevi scrisse commenti su molte parti del Sefer Yezirah nel suo Kuzari

(4:25). Il commento di Abraham ibn Ezra sul primo capitolo, che era noto adAbraham Abulafia, andò perduto, come pure altri commenti dell'XI e XII secolo,incluso uno dei rabbini di Narbona. Nell'XI secolo furono addirittura compostepoesie sulle dottrine del Sefer Yezirah, per esempio da Ibn Gabirole da Zahallal b. Nethanel Gaon.Molti commenti sul Sefer Yezirah furono scritti negli ambienti dei HasideiAshkenaz: tra gli altri, quello di Eleazar b. Judah di Worms, che fupubblicato integralmente a Przemysl nel 1889, ed uno successivo, attribuito aSaadiah Uaon (dell'inizio del secolo XIII), del quale soltanto una parte èpubblicata nelle edizioni usuali; degno di nota è anche il commento di Ehlananb. Yakar di Londra (c. 1240), pubblicato a cura di G. Vajda (in Kovez al Yad,6 (1966), 145-97). Il numero dei commenti scritti nello spirito della Cabala esecondo la concezione cabalistica della dottrina delle Sefirot si avvicina acinquanta. Il più antico, quello di Isaac il Cieco, è anche uno dei documentipiù difficili e importanti esistenti dall'inizio della Cabala (si veda piùavanti, p. 49). Il commento dell'allievo di Isaac, Ariel b. Menahem di Gerona,appare nelle edizioni a stampa come opera di Nahmanides. Il vero commento diNahmanides (solo sul primo capitolo) fu pubblicato da G.Scholem. Quasi tutto il commento di Abraham Abulafia (manoscritto 58 diMonaco) è contenuto nel Sefer ha-Peli ah (Korets, 1784, foll. 50-56). Questocabalista, in una delle sue opere, enumera 12 commenti da lui studiati inSpagna (Jellinek, Beit ha-Midrash, 3 (1855), 42). Dal XIV secolo provengonol'ampio commento di Joseph b. Shalom Ashkenazi, scritto in Spagna ederroneamente attribuito a R. Abraham b. David nelle edizioni a stampa; ilcommento di Meir b. Solomon ibn Sahula del 1331 (Roma, Biblioteca Angelica,Ms. Or. 45); e così pure Meshovev Netiuot (manoscritto di Oxford) di Samuelibn Motot. Intorno al 1405, Moses Botarel scrisse un commento in cui riportò

un numero considerevole di false citazioni dei suoi predecessori. Numerosicommenti furono composti a Safed: tra questi, uno di Moses b. Jacob Cordovero(manoscritto di Gerusalemme) e uno di Solomon Toriel (manoscritto diGerusalemme). A partire da quel periodo proliferarono i commenti nello spiritodi Isaac Luria; per esempio, quelli di Samuel b. Elisha Portaleone(manoscritto del Jews' College, Londra), di David Habillo (manoscritto dellacomunità di Varsavia); tra essi, furono stampati il commento di Elijah b.Solomon, il Gaon di Vilna (1874) e il libro Otot u-Mo'adim di Joshua Eisenbachdi Prystik (pol. Przystyk, 1903).

Edizioni a stampa e traduzioni

Il Sefer Yezirah fu stampato per la prima volta a Mantova nel 1562 con laggiunta di alcuni commenti, e in seguito è stato ristampato molte volte con esenza commenti. Nell'edizione di Varsavia del 1884 - la più popolare - iltesto di alcuni commenti è dato in forma considerevolmente svisata. Il SeferYezirah fu tradotto in latino dal mistico cristiano G. Postel e stampato indata addirittura anteriore all'edizione ebraica (Parigi, 1552). Un'altraedizione latina, con commenti, fu pubblicata da S. Rittangel nel 1652.Traduzioni in inglese, quasi tutte con commenti, furono pubblicate da I.Kalisch (18733, A. Edersheim (1883), P. Davidson (1896), W. Westcott (1911),K. Stenring (1923), Akiva ben Joseph (The Book of Formation 1970); in tedesco

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da J.F. von Meyer (1830), L. Goldschmidt (1894, che infondatamente sostiene didare il testo critico ebraico), E. Bischoff (1913); in francese da Papus(1888), dalla duchessa C. de Cimara (1913), Carlo Suarès (1968); in italiano,da S. Savini (1923); in ungherese da B. Tennen (1931) e in ceco da O. Griese(1921).

Il misticismo nel periodo geonico

Il periodo mishnaico e quello talmudico furono periodi di insopprimibilecreatività nel campo del misticismo e dell'indagine esoterica. Nell'erageonica (dal VII all'XI secolo) emerse ben poco che fosse sostanzialmenteoriginale, e le varie correnti già ricordate continuarono ad esistere e amescolarsi. Il centro dell'attività mistica si spostò in Babilonia, sebbene lacontinuità della sua influenza in Palestina risulti evidente in parecchicapitoli della successiva letteratura midrashica e in particolare in Pirkeide-R. Eliezer. Le poesie di Eleazar Kallir, che sono influenzate dallaletteratura della Merkabah e dallo Shi'ur Komah, appartengono alla fine delperiodo precedente, o furono composte tra le due ere. Il poeta non cercò dinascondere le idee che erano state trasmesse tramite le vecchie teorieesoteriche. Sviluppandosi durante questo periodo, in Palestina e in Babilonia,il misticismo seguì il modello del periodo precedente. Gli scrittiapocalittici continuarono con grande slancio: sono giunti fino a noi esempidal tempo degli amoraim fino a quello delle Crociate, e sono stati raccoltinella grande antologia di Judah Even-Shemuel, Midrashei Ge'ullah (1954): quasitutti appartengono al periodo geonico. Essi presentano una spiccataconnessione con la tradizione della Merkabah e parecchi sono stati conservatinei manoscritti di opere di mistici. Appare qui per la prima volta Simeon b.Yohai, a fianco di R. Ishmael, portatore della tradizione apocalittica (inNistarot de-R. Shimon b. Yohai). Vi erano inoltre varie apocalissi attribuiteai profeti Elia, Zerubbabel e Daniele.All'estremo opposto, si diffusero e prosperarono in questi ambientiun'angelologia e una teurgia che produssero una letteratura ricchissima, ingran parte tuttora esistente. In luogo della contemplazione del Carro, o inaggiunta ad essa, questa presenta una magia pratica dai numerosi aspetti,

associata al principe o ai principi della Torah, i cui nomi variano. Moltiincantesimi rivolti all'angelo Yofiel e ai suoi compagni, quali principi dellasapienza e della Torah, si trovano in un gran numero di manoscritti di manualimagici che continuano la tradizione dei precedenti papiri magici. Vi erainoltre la consuetudine di invocare questi principi, particolarmente allavigilia del Giorno dell'Espiazione, o addirittura la notte stessa di talegiorno. Formule per finalità più terrene, inoltre, sono state conservate inmolti incantesimi scritti in aramaico babilonese da "Maestri del Nome" ebrei enon sempre per conto esclusivo di clienti ebrei. (Vedasi Baal Shem p. 310).Può darsi che questo avesse qualcosa a che fare con l'origine dello stereotipomedievale dell'ebreo visto come mago e incantatore. Vari concettidell'ambiente mistico della Merkabah, oltre a idee mitologiche e aggadiche -talune ignote a tutte le altre fonti - si infiltrarono in gruppi

effettivamente molto lontani dal misticismo e molto più vicini alla magia.Inoltre, a fianco dell'angelologia, crebbe anche una demonologia estremamentericca di dettagli. Molti esempi (pubblicati da Montgomery C. Gordon e daaltri) furono trovati su ciotole d'argilla che venivano sepolte, secondo laconsuetudine, sotto la soglia delle case. Hanno paralleli importanti tra gliincantesimi trasmessi attraverso la tradizione letteraria nei frammenti dellaGenizah e nel materiale che pervenne addirittura ai Hasidei Ashkenaz (peresempio in Havdalah de-R. Akiva). La teologia e l'angelologia degliincantesimi non furono sempre spiegate correttamente dai curatori, chevedevano in esse una teologia eterodossa. Fu del pari in Babilonia, a quantosembra, che venne composto il libro Raza Rabba ("Il Grande Mistero").

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Attaccato dai karaiti quale opera di stregoneria, il libro in realtà contienemateriale magico, ma i frammenti pervenuti fino a noi mostrano che ha anche uncontenuto della Merkabah, sotto forma di un dialogo tra R. Akiva e R. Ishmael.Poiché l'angelologia di questi frammenti non ha paralleli in altre fonti,sembra che l'opera sia una cristallizzazione di una antica forma di una teoriadegli "eoni' e di speculazioni di carattere gnostico. Lo stile, molto diversoda quello dei heikhalot, indica uno stadio molto più tardo. I frammenti sonostati pubblicati da G. Scholem in Reshit ka-Kabbalah (1948), 220-38.

Gli inizi delle nuove tendenze di questo periodo si possono discernere in trearee:Le enunciazioni impiegate nella creazione del mondo erano concepite come forzeentro il Carro o come "eoni", middot, o ipostasi. Non è del tutto chiaro inquale misura questa speculazione sia associata con la visione delle dieciSefirot nel Sefer Yezirah. È evidente, tuttavia, che negli ambienti gnosticiebraici il concetto della Shekninah occupava una posizione completamentenuova. Nelle prime fonti, "Shekhinah" è un'espressione usata per denotare lapresenza di Dio nel mondo, e non è altro che un nome di tale presenza; piùtardi diviene un'ipostasi distinta da Dio, una distinzione che appare per laprima volta nel tardo Midrash ai Proverbi (Mid. Prov. 47a: "la Shekhinahstette davanti al Santissimo, che sia benedetto, e Gli disse"). In contrastocon questa separazione di Dio e della sua Shekhinah, nacque un altro concettooriginale: l'identificazione della Shekhinah con keneset Yisrael ("la comunitàdi Israele"). In questa tipologia chiaramente gnostica, le allegorie usate dalMidrash per descrivere la relazione tra il Santissimo, che sia benedetto, e lacomunità di Israele, vengono trasmutate in questo concetto gnostico dellaShekhinah o "la figlia" nelle fonti orientali che sono incorporate nel Seferha-Bahir. Le interpretazioni gnostiche di altri termini, come sapienza, e divarie similitudini talmudiche nello spirito del simbolismo gnostico, possonoessere intese come risalenti alle prime fonti del Sefer ha-Bahir (ibid.78-107). Molte delle similitudini contenute nel libro possono essere compresesolo se inquadrate su uno sfondo orientale, e in particolare babilonese, comead esempio le affermazioni relative alla palma da dattero e al suo significatosimbolico. L'ascesa del pentimento per raggiungere il Trono di Gloria èinterpretata da un tardo Midrash (Pesikta Rabbati 185a) come una effettivaascesa del peccatore pentito attraverso tutti i firmamenti, e perciò il

processo del pentimento è qui strettamente connesso al processo dell'ascesa alCarro.2) In questo periodo, in vari ambienti orientali mise inoltre radici l'ideadella trasmigrazione delle anime (gilgul). Accettata da Anan b. Uavid e daisuoi seguaci (fino al X secolo), sebbene più tardi respinta dai karaiti, fuadottala anche in quegli ambienti al cui patrimonio letterario attinsero iredattori del Sefer ha-Bahir. Per Anan (che compose un libro su questoargomento) e i suoi seguaci, l'idea, che a quanto sembra ebbe origine tra lesette persiane e, mutaziliti islamici, non aveva aspetti mistici. É evidente,tuttavia, che l'idea della trasmigrazione accettata dai mistici attingeva adaltre fonti, perché nelle fonti del Sefer ha-Bahir appare come un grandemistero, allude solo mediante l'allegoria, e basato su versetti scritturalimolto diversi da quelli citati dalla setta di Anan e ripetuti da Kirkisani nel

suo Kitab al-Anwar, "Libro delle Luci".3) All'idea dei Nomi Sacri e degli angeli tu aggiunto un elemento nuovo, cheoccupava una posizione preminente nella teoria della Merkabah. Era untentativo di scoprire legami numelologici, tramite la gematria, tra i divelsitipi di nomi e versetti scritturali, preghiere e altri scritti. I "segreti"numerologici, sodot, avevano due scopi. In primo luogo, assicuravano che inomi venissero scritti esattamente come i compositori di gematriot liricevevano dalle fonti orali e scritte, anche se il sistema non li salvavacompletamente dalle mutilazioni e dalle variazioni, come è chiaramente privatodagli scritti mistici dei Hasidei Ashkenaz. In secondo luogo, con questo mezzoera possibile assegnare significati mistici e "intenzioni" (kavvanot) a questi

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nomi, che servivano d'incentivo a una meditazione più profonda, soprattuttoperché molti di quei nomi erano privi di qualunque significato. Questoprocesso sembra legato a un declino dell'uso pratico di questo materialedurante la preparazione per l'ascesa estatica dell'anima al cielo. I nomi cheavevano origine dall'intensa esaltazione emotiva dei contemplativi e deivisionari venivano spogliati del loro significato quale aiuto tecnico per lapratica estatica, e perciò richiedevano interpretazioni e significati su unnuovo livello di kavvanah. Tutti i nomi, di qualunque specie, hanno quindi un

contenuto contemplativo; non che in questo periodo scomparisse completamentel'ascesa alla Merkabah, perché i vari trattati contenuti in molti manoscrittisui metodi di preparazione a tale ascesa attestano la continuità della loroapplicazione pratica. Tuttavia e chiaro che questo elemento divenne a poco apoco meno significativo. A questo si deve aggiungere un altro fattore:l'interpretazione delle preghiere regolari, alla ricerca di kavvanot di questotipo numerico.É possibile determinare con certezza, in base alle testimonianze pervenutefino a noi, dove fecero la loro prima apparizione i segreti dei nomi e imisteri della preghiera secondo questo sistema di gematria. Le nuoveinterpretazioni della preghiera collegano le parole del frasario liturgico, ingenerale, con nomi tratti dalla tradizione della Merkabah e dall'angelologia.Forse questo legame venne formulato per la prima volta in Babilonia; ma è delpari possibile che crescesse in Italia, dove i misteri della Merkabah e tuttoil materiale associato si diffusero non più tardi del il secolo. La tradizionegiudaica italiana, particolarmente nelle forme popolari assunte nella MegillatAhima az di Ahima az d'Oria, mostra chiaramente che i rabbini erano benversati nelle questioni della Merkabah. Inoltre, ci parla dell'attivitàmiracolosa di uno dei mistici della Merkahah emigrato da Baghdad, Abu Aharon(Aaron di Baghdad), il quale operò meraviglie grazie al potete dei Nomi sacridurante i brevi anni del suo soggiorno italiano. La successiva tradizione deiHasidei Ashkenaz (XII secolo) affermò che questi nuovi misteri furonotrasmessi intorno all'anno 870 a R. Moses b. Kalonymus, a Lucca, dallo stessoAby Aharol, figlio di R. Samuel ha-Nazi di Baghdad. successivamente, R. Mosessi recò in Germania, dove gettò le fondamenta della tradizione mistica deiHasidei Ashkenaz, che crebbe intorno a questo nuovo elemento. La personalitàdi Abu Aharon rimane oscura in tutte queste tradizioni. e i recenti tentativi

(in numerosi saggi di Israel Weinstock) di vederlo come una figura centralenell'intera evoluzione della Cabala e come autore e curatore di molte operemistiche, inclusi la letteratura dei heikhalot e il Sefer ha-Bahir, sonobasati su un uso estremo di gematriot e ipotesi dubbie. Comunque non c'èdubbio che al termine del periodo geonico il misticismo si diffuse in Italia,nella forma della letteratura della Merkabah e forse anche in quella dellacitata teoria dei nomi, che servì da anello di congiunzione tra l'oriente e isuccessivi sviluppi in Germania e in Francia.Queste idee pervennero in Italia attraverso vari canali. Gli elementimagico-teurgici si posero in primo piano, mentre l'assetto speculativo siindebolì. Quest'ultimo fu rappresentato nel complesso dal commento del medicoShabbetai Donnolo (913-c.984) al Sefer Yezirah, indiscutibilmente influenzatodal commento di Saadiah b. Joseph (882-942) alla stessa opera. É impossibile

dire in quale misura passassero attraverso gli stessi canali anche Scrittiteosofici di carattere gnostico, in ebraico o in aramaico: ma si tratta d'unapossibilità che non può essere negata.Dai numerosi testi della letteratura mistica pervenuti fino a noi dal periodotalmudico e da quello geonico si può dedurre che questi tipi di idee e dimentalità erano diffusi in molti ambienti, ed erano interamente o parzialmenteriservati agli iniziati. Solo in rarissime occasioni è possibile stabilire concertezza l'identità personale e sociale di questi ambienti. Non c'è dubbioche, a parte i singoli tannaim ed amoraim, il cui attaccamento agli studimistici e attestato da prove attendibili, ve ne erano molti, i cui nomirestano sconosciuti, che si dedicavano al misticismo o ne facevano addirittura

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il loro interesse principale.Oltre ai rabbini che sono già stati ricordati. R. Meir, R. Isaac, R. Levi, R.Joshua b. Levi, R. Hoshaya e R. Invani b. Sasson (o Sisi) furono legati a ideemistiche. L'identità di coloro che studiavano teurgia (e che erano chiamati,in aramaico, "usatori del Nome", ba'alei ha-Shem) è completamente sconosciuta;e molti di loro, ovviamente, non provenivano dagli ambienti rabbinici. Lanostra conoscenza degli esponenti dei misticismo e dell'esoterismo nel periodogeonico è ancora più limitata. I responsa geonici rivelano che queste

tradizioni s'erano diffuse nelle principali accademie, ma non c'è prova che ipiù importanti geonim fossero versati in questi insegnamenti, o che lipraticassero. Il materiale relativo alle tradizioni della Merkabah neiresponsa e nei commenti dei geonim si segnala per l'estrema cautela, etalvolta per la tolleranza. Il tentativo più importante di collegare le teoriedel Sefer Yezirah alle idee filosofiche e teologiche contemporanee fu compiutoda Saadiah Gaon, il quale scrisse il primo commento estensivo al libro. Eglisi astenne dal trattare dettagliatamente la tematica della Merkabah e delloShi'ur Komah, ma nel contempo non la rinnegò, nonostante gli attacchi deikarati. In numerosi casi, sherira b. Hanina Gaon e Hai Gaon discusseroargomenti in questo campo, ma senza collegare le loro spiegazioni alle ideefilosofiche espresse altrove nei loro scritti. L'opinione di Hai Gaon, nel suoresponsum riguardante i Nomi Sacri, come il Nome di 42 e 72x3 lettere indussealtri ad attribuirgli commenti più dettagliati su questi argomenti, e alcunidi essi pervennero ai Hasidei Ashkenaz.Le parole che Hai Gaon rivolse ai rabbini di Kairouan mostrano chel'insegnamento esoterico sui nomi ebbe un'influenza anche sulla Diaspora piùlontana; ma dimostrano del pari che non vi era una tradizione, e c'era unascarsa diffusione testuale dei trattati dei heikhalot, di cui il gaon dice:"colui che li vede ne è atterrito". In Italia questa letteratura si diffuseparticolarmente tra i rabbini e i poeti (paytanim), e un'importante sezionedell'opera di Amittai b. Shephatiah (IX secolo) consiste di poesie sullaMerkabah. Via via che queste tradizioni si sparsero in Europa, alcuni circolidi eruditi rabbinici divennero ancora una volta gli esponenti principali, manon gli unici, dell'insegnamento mistico.In questo periodo furono scritti anche aggadot e Midrashim con tendenzeangelologiche ed esoteriche. Il Midrash Avkir. che era ancora conosciuto in

Germania fino alla fine del Medioevo, conteneva materiale ricco di elementimitici, altrimenti ignoti, a proposito degli angeli e dei nomi. Le parti cheappaiono in Likkutim mi-Midrash Avkir furono raccolte da S. Buber nel 1883.Anche varie parti di Pesikta Rabbati rispecchiano le idee dei mistici IlMidrash Konen è formato di elementi diversi; la prima parte dell'opera includediverse versioni dell'angelologia e una versione di ma'aseh bereshit. Viappare inoltre un elemento di gematria. A giudicare dalle parole greche nellaprima parte, il resto pervenuto fino a noi venne curato in Palestina onell'Italia meridionale. Nella tradizione dei Hasidei Ashkenaz (manoscrittodel British Museum 752, fol. 132b) sopravvive un frammento di un Midrashrelativo agli angeli attivi durante l'Esodo dall'Egitto, basato in largamisura sull'esegesi delle gematriot; e sembrerebbe che vi fossero altriMidrashim di questo tipo, la cui origine è ignota.

Sebbene nella letteratura della Merkabah siano espresse o sottintese molteidee riguardanti Dio e la Sua manifestazione, in queste prime fasi delmisticismo non viene dedicata un'attenzione particolare all'insegnamentosull'uomo. I mitici della Merkabah ponevano in risalto l'aspetto estatico econtemplativo, e l'uomo li interessava solo in quanto riceveva la visione e lavelava a Israele. Le loro speculazioni non contengono una specifica teoriateorica né nuove concezioni della natura dell'uomo.

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I movimenti hasidici in Europa e in Egitto

Nel Giudaismo del Medioevo si svilupparono, in luoghi diversi e con varimezzi, impulsi religiosi mistici, in quanto coinvolgevano il potente desiderioda parte dell'uomo di una più intima comunione con Dio e di una vita religiosaconnessa con questa; non tutti sono associati esclusivamente con la Cabala.Queste tendenze furono il risultato di una fusione tra impulsi interni el'influenza esterna dei movimenti religiosi presenti negli ambienti non ebrei.

Poiché i loro proponenti non trovavano la soluzione per tutte le loro esigenzenel materiale talmudico e midrashico che affermava di legare più strettamentel'uomo a Dio - sebbene essi lo utilizzassero per quanto possibile, e talorabasassero su di esso interpretazioni forzate - essi attingevanoabbondantemente dalla letteratura dei sufi, i mistici dell'Islam, e allatradizione ascetica cristiana. La mescolanza di queste tradizioni con quelladel Giudaismo produsse tendenze che venivano considerate come una sorta dicontinuazione dell'opera dei Hasidei (pietisti) del periodo tannaitico, edessi esaltavano il valore del hasidut quale mezzo per portare l'uomo piùvicino al deuekut ("comunione" con Dio) sebbene questo termine non venisseancora usato per designare il culmine del hasidut. L'estremismo nelcomportamento etico e religioso, che nei detti e nella letteratura dei rabbinicaratterizzava il termine "hasid" ("pio") in contrapposizione a zaddik(virtuoso"), divenne la norma centrale di queste nuove tendenze. Questetrovarono la loro classica espressione letteraria, dapprima e soprattutto,nella Spagna dell'XI secolo, nei Hovot ha-Levavot ("Doveri del cuore'') diBahya ibn Paquda, scritti originariamente in arabo. Il materiale che trattadella vita dedita alla comunione del vero "servo" - il quale non è altro cheil hasid agognante alla vita mistica - è tratto da fonti sufiche, el'intenzione dell'autore era di produrre un manuale di pietismo giudaicoculminante in un intento mistico. Una traduzione in ebraico dei Houotha-Levavot fu effettuata nel 1160 per iniziativa di Meshullam ben Jacob edalla cerchia dei cabalisti di Lunel. Il grande successo del libro,soprattutto nella versione ebraica, mostra quanto rispondesse alle esigenzereligiose del popolo, anche al di fuori dei confini della Cabala. L'ovvionesso con la tradizione talmudica, che serviva da punto di partenza perspiegazioni di straordinario intento spirituale, era una caratteristica

distintiva in opere di questo tipo, che rivelano inoltre chiaramente elementifilosofici neoplatonici. Tali elementi facilitavano formulazioni di caratteremistico, e questa filosofia divenne uno dei più potenti mezzi d'espressione.Molte poesie di Solom ibn Gabirol, contemporaneo più anziano di Bahya, provanoquesta tendenza a una spiritualità mistica, espressa particolarmente neiconcetti della sua grande opera filosofica. Mekor Hayyim, satura dello spiritodel neoplatanismo. La misura in cui le sue poesie rispecchiano esperienzemistiche individuali è controversa. In Spagna, dopo un secolo o più, questetendenze si mescolano con l'emergente Cabala, dove qua e là si possonoriconoscere tracce di Gabirol, soprattutto negli scritti di Isaac b. Latif.Parallelamente, vi fu la crescita di un hasidut di tendenze mistiche inEgitto, ai tempi di Maimonide e di suo figlio Abraham b. Moses b. Maimon;questo tuttavia non trovò eco nella Cabala, e rimase un caso indipendente di

sufismo giudaico, documentato ancora nel XIV o persino nel XV secolo.L'epitelo "hasid" non era un semplice modo di dire: era la descrizione di unuomo che seguiva un particolare modo di vita, e veniva aggiunto ai nomi diparecchi rabbini a partire dall'XI secolo, nei documenti letterari e personalisopravvissuti nella Genizah. La tendenza egizia del hasidut si trasformò in unmisticismo a orientamento etico' (S.D. Goitein); particolarmente nelleproduzione letteraria di Abraham b. Moses b.Maimon (m. 1237). L'aspettomistico del suo libro Kifayat al-'Abidin è interamente basato su fonti sufichee non attesta tradizioni giudaiche affini note all'autore. L'ambiente deiHasidim cresciuto intorno a lui poneva in risalto l'aspetto esoterico del loroinsegnamento (S.D. Goitein), e anche suo figlio Obadiah seguì la stessa

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strada. Un'opera molto più tarda dello stesso tipo fu discussa da F.Rosenthal. Ciò che rimane di questa letteratura è scritto in arabo, il che puòspiegare perché non trovò posto negli scritti dei cabalisti spagnolimoltissimi dei quali non conoscevano tale lingua.Un movimento religioso essenzialmente simile crebbe in Francia e in Germania apartire dall'XI secolo. Raggiunse il culmine nella seconda metà del XII e delXIII secolo, ma continuò ad avere ripercussioni per molto tempo, soprattuttonel Giudaismo del mondo ashkenazi. Questo movimento conosciuto come Hasidei

Ashkenaz, ha due aspetti: quello etico e quello esoterico-filosofico. Sulpiano etico, si sviluppò un nuovo ideale di estremo hasidut, collegato a unadeguato modo di vita, descritto particolarmente nel Sefer Hasidim di Judah b.Samuel he-Hasid, pervenuto fino a noi in due versioni, una breve e l'altralunga. Oltre alle specifiche consuetudini pietiste, si sviluppò un metodoparticolare di penitenza che, straordinario per il suo estremismo, ebbe unaspiccata influenza sull'insegnamento etico e sul comportamento, Il fattorecomune di tutti i movimenti hasidici di Spagna Egitto e Germania ful'opposizione violenta che suscitavano, attestata dagli stessi hasidim. UnHasidismo che non destasse l'opposizione della comunità non poteva, secondo laloro stessa definizione, essere considerato autentico. Equanimità di spirito,indifferenza alla persecuzione e all'ignominia: questi erano i tratticaratteristici del hasid, a qualunque cerchia particolare egli appartenesse.Sebbene i Hasidei Ashkenaz rispecchiassero in una certa misura l'ascetismocristiano contemporaneo, si svilupparono soprattutto entro la struttura di unachiara tradizione talmudica, e spesso i principi fondamentali erano identiciai principi della tradizione. Tutti questi movimenti ebbero fin dall'inizio unsignificato sociale, rivolto a "far rivivere i cuori''.I Hasidei Ashkenaz non ponevano in grande risalto, relativamente parlando,l'elemento mistico associato all'ideale hasidico.Nonostante il paradosso insito della situazione, cercavano per quanto erapossibile di integrare il hasid, chiaramente un fenomeno innaturale, nellagenerale comunità giudaica e di renderlo responsabile in pratica nei confrontidella comunità stessa. Il hasid che rinunciava ai suoi impulsi naturali eagiva sempre "oltre il limite della stessa giustizia" era la vera incarnazionedel timore e dell'amore di Dio nella loro essenza più pura. Molti di questihasidim raggiungevano i più alti livelli spirituali , ed erano considerati

maestri dello spirito santo, o addirittura profeti, un termine usato inriferimento a molti uomini noti per la loro attività negli ambienti tosafisti,ad esempio R.Ezra ha-Navi (il profeta) di Montcontour, e ad altri che sono peril resto del tutto sconosciuti, ad esempio R. Nehemiah ha-Navi e R. Troeslinha-Navi di Erfurt. Il conseguimento di tali vertici spirituali era connessonon soltanto al loro comportamento sul piano etico, ma anche alla distinzioneda essi raggiunta nel regno della filosofia esoterica. A quest'ultima venivaassegnata una posizione importante: in essa tutte le tendenze precedentivenivano mantenute e fuse con nuove forze. Poiché rimaneva l'oggettoprincipale della ricerca, e addirittura una guida pratica all'ascesa delcielo, l'insegnamento della Merkabah finì per intrecciarsi al misticismo deinumeri e alle speculazioni che si basavano su di esso. Oltre all'ascesa alcielo estatica o visionaria, si sviluppò una tendenza alla meditazione

profonda, alla preghiera e ai misteri della preghiera che venivano comunicatioralmente. La filosofia introdusse un nuovo elemento, soprattutto tramite ilcommento di Saadiah Goan al Sefer Yezirah ( che era stato tradotto in ebraicogià nell'XI secolo) e tramite la prima tradizione dei suoi Emunot ve-De'ot inuno stile che ricordava i piyyutim della scuola dei Kallir. Fu questa la fontedella teoria del Kavod ("Gloria"), trasmessa attraverso la letteraturahasidica, che vedeva la Gloria Divina come la prima entità creata, sebbene imistici osassero parlarne solo con tremebondo timore. Nonostante questadistinzione tra Dio e il Kavod, chiamato anche Shekinah, essi continuarono ariferirsi alla Shekinah secondo la concezione talmudica e midrashica che lavedeva come attributo di Dio. Un fattore addizionale a partire dal XII secolo

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fu l'influenza dei rabbini della scuola neoplatonica, specialmente Abraham ibnEzra e Abraham b. Hiyya. Forse i viaggi di Ibn Ezra in Francia e i suoicontatti personali contribuirono a tale influenza non meno dei suoi libri. Intutta la letteratura ereditata da Saadiah e dai rabbini spagnoli, i hasidim siconcentrarono sulla parte che erapiù vicina al loro pensiero, trasformando praticamente quegli autori inteosofi. Poiché non pervennero a una sistemazione unificata di questi elementidisparati e contraddittori, nel formulare le loro idee si accontentarono di

presentazioni eclettiche.Le idee della Merkahab e dello Shi'ur Komah erano già conosciute in Franciaall'inizio del IX secolo, come è attestato dagli attacchi sferrati daAgobardo, vescovo di Lione. Qua e là, barlumi di queste tradizioni appaiononegli scritti di Rashi e dei tosafisti del XII e del XIII secolo. Lo studiodel Sefer Yezirah era considerato una disciplina esoterica, consistente sia dirivelazioni relative alla creazione e ai misteri del mondo, sia di unaprofonda conoscenza dei misteri del linguaggio e dei Nomi Sacri. Tradizioni diquesto tipo ci sono state lasciate da Jacob b. Meir Tam, Isaac di Dampierre,Elhanan di Corbeil ed Ezra di Montcontour. Quest'ultimo, affermando di averricevuto rivelazioni divine, suscitò slanci messianici in Francia e altrovenel secondo decennio del XIII secolo. A queste tradizioni fu data formascritta in Francia nel Sefer ha-Hayyim (Gerusalemme, 1973), scritto intorno al1200. Tuttavia, seguendo Ibn Ezra, la sua dottrina fondamentale assimilò altrielementi teosofici relativi ai divini attributi e al loro posto nel Kauod esotto il Trono, di cui è evidente l'affinità con la prospettiva cabalistica.In tutti gli aspetti, incluso quello esoterico, il movimento raggiunse ilculmine in Germania, dapprima nell'ambito della famiglia Kalonymus a partiredall'XI secolo. A Worms, Speyer e Mainz, e successivamente a Regensburg, siconoscono i principali sostenitori della tradizione: Samuel b. Kalonymus,Judah b. Kalonymus di Mainz, e suo figlio, Eleazar di Worms; il suo maestro,Judah b. Samuel he-Hasid (m. 1217); Judah b. Kalonvmus di Speyer (autore diSefer Yihusei Tanna'im ue-Amora'im) e i discendenti di Judah he-Hasid cheerano sparsi in tutte le città tedesche del XIII secolo. L'ostolo ed i loroallievi diedero un'influente espressione popolare al movimento, e molti diloro scrissero libri di vasta portata che incorporavano una parte cospicuadelle loro tradizioni e delle loro idee. Oltre al Sefer Hasidirn, Judah

he-Hasid, la figura centrale del movimento in Germania, scrisse altri libriche ci sono noti solo attraverso citazioni di altre opere soprattutto il Seferha-Kavod. secondo J. Dan, egli fu anche l'autore di una voluminosa operapervenuta fino a noi nel manoscritto 1567 di Oxford. Il suo discepolo, Eleazardi Worms, incluse in opere più o meno voluminose (molte delle quali sono stateconservate in manoscritto) la maggior parte del materiale da lui ricevuto,relativo agli insegnamenti del ma'aseh merkabah, del ma'aseh bereshit e delladottrina dei Nomi. Sono un miscuglio di mitologia e di teologia, di Midrash edi speculazioni da una parte, e di teurgia dall'altra. Tutte le tendenzemenzionate qui sopra trovano espressione nella sua opera, e coesistono fiancoa fianco, come in Sodei Razayya (di cui furono pubblicate parti considerevolinel Sefer Razi'el, e che esiste tuttora nella versione integrale delmanoscritto Margoliouth 737 del British Museum) oppure nei testi ordinati

nella forma di halakhot: Hilkhot ha-Malahim, Hilkhot ha-Kisse, Hilkhotha-Kavod, flilkhot ha-Nevu'ah (pubblicato con il titolo di Sodei Razayya,1936), e inoltre in molti altri tuttora inediti. Questa letteratura ha unaportata molto vasta, e contiene alcuni frammenti di tradizioni inconsuete dicarattere gnostico, che apparentemente giunsero dall'Oriente attraversol'Italia. I misteri della preghiera e l'interpretazione estensiva dellascrittura mediante il misticismo dei numeri furono ulteriormente sviluppati inGermania, in parte tramite la catena della tradizione della famiglia Kalonymuse in parte tramite altri sviluppi, così ampi che la ricerca delle associazionimediante le gematriot venne considerata da Jacob b. Asher (Tur OH 113) ilfattore più caratteristico dei Hasidei Ashkenaz. Nel XIII secolo fiorì una

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letteratura ricchissima, basata sui diversi aspetti della tradizione hasidica,ma tuttavia indipendente dalla letteratura cabalistica che si sviluppò nellostesso periodo. In queste fonti, molte delle quali manoscritte, sonoconservati i nomi di numerosi rabbini che percorsero la via della teosofiahasidica. Molti dei loro detti sono incorporati nel commento di Eleazar HirzTreves alla liturgia (in Siddur ha-Tefillah, 1560) e in Arugat ha-Bosem diAbraham b. Azriel, un commento dell'inizio del XIII secolo al piyyutim delmahzor del rito ashkenazi. In questo ambiente, il Sefer Yezirah veniva quasi

sempre interpretato alla maniera di Saadiah e di Shabbetai Donnolo, con in piùla tendenza a vedere il libro come una guida tanto per i mistici quanto pergli adepti della magia. Lo studio dell'opera era considerato riuscito quandoil mistico conseguiva la visione del golem, connessa a uno specifico ritualedi carattere straordinariamente estatico. Solo in tempi più tardi questaesperienza interiore assunse forme più tangibili nella leggenda popolare.Le concezioni teologiche dei hasidim sono riassunte in Hilkhot ha-Kauod e inSha'arei ha-Sod ue-ha-Yihud ue-ha-Emunah e nelle varie versioni di Sodha-Yihud, da Judah he-Hasid a Moses Azriel alla fine del XIII secolo. Oltrealla versione hasidica del concetto del Kauod, si sviluppò in un particolareambiente dell'XI o XII secolo un'altra concezione, che non è menzionata negliscritti di Judah he-Hasid e della sua scuola. É l'idea del keruu meyuhad ("ilcherubino speciale") o ha-keruu ha-kadosh ("il santo cherubino"). Secondoquesta concezione, non è il Kauod puro e semplice ad essere assiso sul Trono,bensì una manifestazione speciale nella forma di un angelo o di un cherubino,al quale alludono i misteri dello Shi'ur Komah. Negli scritti di Judahhe-Hasid e di Eleazar di Worms e nel Sefer ha-Hayyim, vi sono numerosevariazioni sul tema del Kauod e vari modi di presentare l'idea. Talvolta vienefatta una distinzione tra il Kauod celato e il rivelato, e così via. Ilcherubino speciale appare come un'emanazione del grande fuoco della Shekhinaho del Kauod occulto, che non ha forma. In questo ambiente, i due attributidivini fondamentali sono contrapposti l'uno all'altro: la "santità" di Dio,che denota la presenza della Shekhinah in tutte le cose e il Kavod occulto, ela "grandezza" o "sovranità" di Dio, che ha forma e dimensioni. Questa idearicorda in un certo senso le speculazioni delle sette orientali, come inquella di Benjamin b. Moses Nahawendi, il quale riteneva che il mondo fossestato creato tramite un intermediario angelico (un concetto che aveva avuto

precedenti anche tra le prime sette eterodosse (durante l'evoluzione dellaGnosi). Questa idea appare tra i hasidim nel testo pseudo epigrafico chiamatoBaraita di Joseph b. Uzziel, che a giudicare dall'evidenza linguistica sembrascritto in Europa. Joseph b. Uzziel viene ritenuto il nipote di Ben Sira. Labaraita si trova in parecchi manoscritti e fu pubblicata in parte da A.Epstein. Questa idea venne accettata da numerosi rabbini, inclusi Avigdorha-Zarefati (XII secolo?); L'autore di Pesak ha-Yir'ah ve-ha-Emunah, che fuerroneamente combinato da A. Jellinek con Sha'arei ha-Sod ue-ha- Yihud;l'autore anonimo del commento al Sefèr Yezirah, composto apparentemente inFrancia nel secolo XIII e stampato sotto il nome di Saadiah Gaon in varieedizioni del Sefer Yezirah, e infine Elhanan b. Yakar di Londra, nella primametà del XIII secolo. Con l'andar del tempo queste idee, in particolare quelladel cherubino speciale, si fusero e si confusero con la (Cabala spagnola; e in

Germania, nel secolo XIV, furono composti parecchi testi che rispecchianoquesta fusione, alcuni sono pervenuti fino a noi.L ideologia hasidica, particolarmente nelle sue manifestazioni francesi enella forma conferitale da Elhanan di Londra, adottò la teoria dei cinquemondi. Menzionata da Abraham b. Hiyya in Megillat ha-Megalleh, e nata tra Ineoplatonici islamici in Spagna, questa teoria enumera nell'ordine i mondidella luce, del divino, dell'intelletto, dell'anima e della natura. Talvolta,gli Scritti di questo ambiente incorporavano materiale che in origineproveniva dalla letteratura cristiana latina, come dimostrò G. Vajda aproposito di Elhanan di Londra. Le concezioni dei hasidim si rispecchiavano innotevole misura nelle loro preghiere speciali, composte nello stile associato

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al concetto del Kavod di Saadiah (per esempio in Shir ha-Yihud, un inno cheforse fu scritto da Judah he-Hasid o addirittura prima), oppure basatafrequentemente sui Nomi Segreti, cui si allude nell'acronimo. Molte sonopervenute fino a noi negli scritti di Eleazar di Wolms, in particolare neimanoscritti del suo commento al Sefer Yezirah. Vi sono inoltre preghiere epoesie che nelle intenzioni dei loro autori rappresentavano i cantici degliesseri celestiali, una sorta di continuazione degli inni dei heikhalot, icantici delle sante hayyot. In generale, a queste preghiere non era assegnato

un posto fisso nella liturgia; erano apparentemente riservate a pochi eletti.In tempi assai posteriori furono incluse in antologie liturgiche in Italia ein Germania, raccolte dai cabalisti nel periodo Safed, e molte furonofinalmente pubblicate in Sha'arei Ziyyon da Hannover (cap. 3). Parecchie eranoattribuite nei manoscritti a cabalisti spagnoli, ad esempio Jacob hahohen, chein effetti ebbe legami personali con i Hasidei Ashkenaz di Solomon Alkabez.Eleazar di Worms riconobbe chiaramente il carattere esoterico dei temi chemeritavano uno studio speciale; ed egli enumera con alcune varianti i relativicampi: "Il mistero del Carro, il mistero della Creazione e il misterodell'Unità (Sod ha-Yihud, un concetto nuovo) non devono essere comunicati senon durante un digiuno" (Hokhmat ha-Nefesh (1876), 3c. Egli definisce lascienza dell'anima" cui dedica una delle sue opere principali, quale mezzo eporta del "mistero dell'Unità", che apparentemente egli considerava come laradice della teologia mistica. In Sodei Razayya enumera "tre tipi di mistero",quelli del Carro, della Creazione e dei Comandamenti. La questione se icomandamenti abbiano anche una finalità esoterica è discussa anche nel SeferHasidim (a cura di Wistinetzki (1891), n. 1477). Questo libro (n. 984)menziona "la profondità della pietà (hasidut), la profondità delle leggi delCreatore, e la profondità della Sua Gloria (Kavod)"; e l'iniziazione a questitemi dipende dall'adempimento delle condizioni stabilite dal Talmud inrelazione al ma'aseh merkabah. I mistici (hakhmei ha-hidot) sono "nutriti" inquesto mondo dal sapore di alcuni dei misteri che hanno origine nell'accademiacelestiale, molti dei quali sono serbati ai giusti nel mondo a venire (n.1056). Associato all'affinità hasidica per il misticismo era il desiderio disintetizzare il materiale più antico, inclusi gli elementi antropomorfici, conl'interpretazione spirituale che nega tali elementi. Scosso da questocompromesso, Moses Taku (scrivendo all'inizio del XIII secolo) smentì i

principi saadiani e difese un punto di vista corporeo. Il suo attacco fuincluso in Ketav Tammim, di cui sopravvivono due ampi frammenti (OzarNehmad, 3(1860), 54-99, e Arugat ha-Bosem, vol. 1, 263-8). Vedendo nelle nuove tendenze"una nuova religione" in odore d'eresia, egli denunciò inoltre l'attenzioneche i hasidim tributavano ai misteri della preghiera, e in particolare ladisseminazione di tali misteri nei loro libri. Con questo attacco, egli mostraquanto fossero diffuse nel suo tempo le idee e la letteratura dei hasidim.

Fondazione della Cabala in Provenza

Contemporaneamente alla diffusione del hasidut in Francia e in Germania,emersero nella Francia meridionale le prime fasi storiche della Cabala, benchénon vi sia dubbio che vi furono stadi precedenti della sua evoluzione che oggi

è impossibile discernere. Questi primi stadi furono connessi all'esistenza diuna tradizione gnostica giudaica, associata in particolari ambienti orientalicon il misticismo della Merkabah. I residui principali furono incorporatinelle parti più antiche del Sefer ha-Bahir (cfr. p. 312) e in alcuni scrittidei Hasidei Ashkenaz. Sefer ha-Bahir, ostensibilmente un antico Midrash,apparve in Provenza tra il 1150 e il 1200, ma non prima; fu evidentementericavato da un certo numero di trattati provenienti dalla Germania odirettamente dall'Oriente. Un'analisi dell'opera non lascia dubbi circa ilfatto che non fu redatta originariamente in Provenza, e conferma in largamisura la tradizione cabalistica della metà del XIII secolo circa la storiadel libro e delle sue fonti prima che pervenisse ai primi mistici provenzali

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in forma mutilata. Il fatto che il libro rispecchi opinioni non correnti inProvenza e in Spagna è dimostrato in modo assai chiaro dal commento al SeferYezirah di Judah b. Barzillai, scritto nel primo terzo del secolo XII, econtenente tutto ciò che l'autore conosceva delle tradizioni del ma asehbereshit e soprattutto del ma'aseh merkabah. Nelle sue interpretazioni delledieci Sefirot del Sefer Yezirah non vi è menzione di esbe quali "eoni" oattributi divini, o quali poteri nella Merkabah, come appaiono nel Bahir. Ilsuo commento è totalmente impregnato dello spirito di Saadiah Gaon, ben

diverso da quello del Bahir, che non si occupa affatto di idee filosofiche nétenta di riconciliare la filosofia con i concetti propugnati. Redatto in formadi interpretazioni di versetti scritturali, in particolare passi di caratteremitologico, il Bahir trasforma la tradizione della Merkabah in una tradizionegnostica riguardante i poteri di Dio situati entro la Gloria Divina (Kavod),alla cui attività nella creazione si allude tramite l'interpretazionesimbolica della Bibbia e l'aggadah. Sono conservate reliquie di unaterminologia e di un simbolismo chiaramente gnostici, benché tramite unaredazione giudaica, che connette i simboli con motivi già ben noti grazieall'aggadah. Questo avviene in particolare nei confronti di tutto ciò cheriguarda la keneset Yisrael, identificata con la Shekhinah, con il Kavod e conla bat ("figlia"), la quale comprende tutte le vie della sapienza. Negliscritti di Eleazar di Worms vi sono indicazioni che anch'egli conoscessequesta terminologia, precisamente in rapporto con il simbolismo dellaShekhinah. La teoria delle Sefirot non fu formulata definitivamente nel Seferha-Bahir, e molte delle affermazioni contenute nel libro non furono compreseneppure dai primi cabalisti dell'Europa occidentale. L'insegnamento del Bahirè introdotto come ma'aseh merkabah; il termine "Kabbalah" non viene ancorausato. La teoria della trasmigrazione è presentata come un mistero, un'ideache si spiega da sé e non richiede giustificazioni filosofiche, nonostantel'opposizione dei filosofi giudaici a partire dal tempo di Saadiah.Il libro Raza Rabba può essere identificato come una delle fonti del Bahir manon vi è dubbio che vi furono altre fonti, oggi sconosciute. I primi segnidall'apparizione della tradizione gnostica e del simbolismo religiosocostruito su di essa, si trovano nella metà del XII secolo e successivamentenell'ambiente più importante dei rabbini provenzali: Abraham b. Isaac diNarbona, l'autore di Sefer ha-Eshkol, suo genero Abraham b. David (Rabad),

l'autore delle "animadversiones" (glosse) al Mishneh Torah di Maimonide, eJacob Nazir di Lunel. Le loro opere non trattavano specificamente il tema delmisticismo; tuttavia frammenti delle loro opinioni, sparse qua e là, provanola loro associazione con concezioni cabalistiche e con il simbolismocabalistico. Oltre a questo, secondo l'attendibile testimonianza dei cabalistispagnoli, essi venivano considerati come uomini ispirati dall'alto, checonseguivano "una rivelazione di Elia", cioè un esperienza mistica dirisveglio spirituale, per il cui tramite veniva rivelato qualcosa di nuovo.Poiché molti punti della teoria delle Sefirot nella sua formulazione teosoficasono già contenuti nel Sefer ha-Bahir, questa non può essere considerata comeil contenuto fondamentale di queste rivelazioni; apparentemente, eranoconnesse con un'idea nuova della finalità mistica della preghiera, basata nonsulle gematriot e i Nomi Segreti, bensì sulla contemplazione delle Sefirot

quale mezzo per concentrarsi sulla kauuanah ("meditazione") nella preghiera.All'interno di questa cerchia, Jacob Nazir apparteneva ad un gruppo speciale -chiamato dei perushim nel linguaggio rabbinico e dei "naziriti" nellaterminologia biblica - i cui membri non praticavano il commercio, ma venivanomantenuti dalle comunità, affinché potessero dedicare tutto il loro tempo allaTorah. Per sua stessa natura, questo gruppo era affine ai hasidim, ed èprovato che molti di loro conducevano una vita hasidica. All'interno delgruppo poteva evolversi una vita contemplativa, in cui era facile chenascessero aspirazioni mistiche. I rabbini ricordati più sopra non avevano incomune un sistema coerente di Pensiero: vi sono parecchie tendenze diverse econtrastanti nei loro scritti. L'idea del Kauod, nel suo chiaro significato

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saadiano, non veniva considerata particolarmente come un mistero, ma leinterpretazioni nello spirito della teoria delle Sefirot nel Bahir eranoritenute "il grande mistero". Nella scuola di Abraham b. David, letrasmissioni di questo tipo venivano trasmesse oralmente, e i misteri relativialle profondità del Divino furono aggiunti alla nuova teoria relativa allamistica kavvanah durante la preghiera.Questa cerchia dei primi cabalisti provenzali operava in un ambiente religiosoe culturale particolare. La cultura rabbinica aveva raggiunto in quella zona

uno stadio elevatissimo di sviluppo, e persino Maimonide riteneva che quegliesperti della halakhah fossero grandi esponenti della Torah. Le loro mentierano aperte alle tendenze filosofiche del tempo. Judah ibn Tibbon, capo dellafamosa famiglia di traduttori, operò in questa cerchia e tradusse per i suoicolleghi molti dei più grandi testi filosofici, tra cui opere di tendenzanettamente neoplatonica. Egli tradusse inoltre dall'arabo il Kuzari di JudahHalevi, e la profonda influenza di quest'opera derivò da questa sua cerchia. Iprimi cabalisti assorbirono le idee del Kuzari relative alla natura di Israel,la profezia, il Tetragrammaton, il Sefer Yezirah e il suo significato, nellostesso modo in cui assimilarono gli scritti di Abraham ibn Ezra e Abraham b.Hiyya, con la loro tendenza al neoplatonismo. Le versioni ebraiche delleteorie neoplatoniche del Logos e della Volontà Divina, dell'emanazione edell'anima, ebbero l'effetto di uno stimolo potente. Ma le teorie filosoficherelative all'Intelletto Attivo come forza cosmica, con la quale i profeti epochi eletti potevano conseguire l'associazione, penetrarono anch'esse inquesti ambienti. La stretta affinità tra questa teoria e il misticismo spiccachiaramente nella storia del misticismo islamico e cristiano medievale, e nonè sorprendente che costituisca un importante anello nella catena che uniscemolti cabalisti alle idee di Maimonide. L'influenza dell'ascetismo di Hovotha-Levavot è già stata ricordata; e continuò ad avere un ruolo attivonell'etica della Cabala e nella sua teoria della comunione mistica.Nell'ultimo trentennio del XII secolo, la Cabala si diffuse al di fuori dellacerchia di Abraham b. David di Posquières. L'incontro. fra la tradizionegnostica contenuta nel Bahir e le idee platoniche riguardanti Dio, la Suaemanazione e il posto dell'uomo nel mondo, fu estremamente fecondo, e portòalla penetrazione di queste idee nelle teorie mistiche preesistenti. LaCabala, nel suo significato storico, può essere definita come il prodotto

dell'interpenetrazione dello gnosticismo giudaico e del neoplatonismo.Inoltre, in quegli anni la Provenza fu teatro di un possente rivolgimentoreligioso nel mondo cristiano, quando la setta dei catari assunse il controllosu una vasta parte della Linguadoca, dove si trovavano i primi centri dellaCabala. Non è ancora chiaro se vi fu un nesso tra il nuovo movimento nelGiudaismo, negli ambienti dei perushim e dei hasidim, e il profondosconvolgimento che, nel Cristianesimo, trovò espressione nel movimento deicatari. Per quanto riguarda l'ideologia, non vi è praticamente nulla in comunetra le idee dei cabalisti e quelle dei catari, esclusa la teoria dellatrasmigrazione, che in effetti i cabalisti trassero dalle fonti orientali delSefer ha-Bahir. La teologia dualistica dei catari era chiaramente opposta allaconcezione ebraica; resta tuttavia la possibilità che vi fossero alcunicontatti oggi non più rintracciabili, tra i diversi gruppi, uniti da un

profondo ed emotivo risveglio religioso. Vi sono alcuni indizi che gli ebreidella Provenza fossero a conoscenza dell'esistenza e del credo della setta giànei primi decenni del XIII secolo. I punti dei possibili contatti dottrinalitra il Bahir e il catarismo circa la natura del male sono stati discussi daSh. Shachar.Frammenti della tradizione cabalistica familiare ad Abraham b. David e JacobNazir si trovano negli scritti dei cabalisti, e le chiare contraddizioni diquesti e le idee più tarde, circa l'insegnamento su Dio o la questione dellakavvanah, attestano la loro autenticità. L'affermazione di Abraham b. Davidnella sua critica di Maimonide (Hilkhot Teshuvah) in cui difende coloro checredono nella corporeità di Dio, diviene chiara se la si considera sullo

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sfondo delle sue concezioni cabalistiche, che distinguono la "Causa delleCause" dal Creatore, il quale è il soggetto dello Shiur Komah nelle piùantiche baraita. La sua interpretazione dell'aggadah in Eruvim 18a, secondocui Adamo fu inizialmente creato con due facce, rispecchia egualmente laspeculazione cabalistica sui divini attributi: le Sefirot.Il figlio di Abraham b. David, Isaac il Cieco (m.c. 1235), che visse a Narbonae nei pressi, fu il primo cabalista che dedicò interamente la propria opera almisticismo. Ebbe molti discepoli in Provenza e in Catalogna, i quali diffusero

le idee cabalistiche nella forma in cui le avevano ricevute da lui; e m vitafu considerato la figura centrale della Cabala. I suoi seguaci in Spagna hannolasciato alcune documentazioni dei suoi detti e delle sue abitudini, e sonopervenuti fino a noi anche alcuni trattati e lettere scritti sotto la suadettatura il loro stile è molto diverso da quello di tutti i suoi discepoli danoi conosciuti. In generale, egli esprimeva le sue idee in modo ellittico eoscuro, e usava una terminologia caratteristica. In parte, le sue opinioni sipossono conoscere tramite gli elementi comuni negli scritti dei suoidiscepoli. Comunque, egli è il primo cabalista di cui emergano chiaramente lapersonalità storica e le idee fondamentali. Affidando i propri scritti solo apochi individui selezionati, si oppose decisamente alla disseminazionepubblica della Cabala, poiché vedeva in essa una fonte pericolosa dl equivocie di distorsioni. Verso la fine della sua vita protestò, in una lettera aNahmanides e Jonah Gerondi, contro questo tipo di divulgazione in atto inSpagna, nella quale erano impegnati numerosi suoi discepoli. Quando icabalisti spagnoli del XIII secolo parlano del "Hasid", si riferiscono a Isaacil Cieco. Egli sviluppò un misticismo contemplativo che portava alla comunionecon Dio mediante la meditazione sulle Sefirot e le essenze celesti (havayot).Da lui vennero le più antiche istruzioni su meditazioni dettagliate associatealle preghiere fondamentali, secondo il concetto delle Sefirot quali fasidella vita occulta di Dio. Non c'è dubbio che egli ereditò alcune delle sueidee fondamentali dal padre, al quale si richiamava talvolta; ma avevariconosciuto anche il valore del Sefer ha-Bahir, e costruì partendo dal suosimbolismo. Il suo commento al Sefer Yezirah è la prima opera che spiega iltesto alla luce di una sistematica teoria delle Sefirot nello spirito dellaCabala. A capo del mondo delle qualità divine egli pone il "pensiero"(mahashavah), dal quale emersero enunciazioni divine, le "parole" per cui

mezzo fu creato il mondo. Al di sopra del "pensiero" vi è il Dio Celato,chiamato per la prima volta con il nome di Ein-Sof ("L'Infinito"; si veda piùsotto). Il pensiero dell'uomo ascende mediante la meditazione mistica fino aquando raggiunse il "Pensiero" Divino, e viene da questo assorbito. A fiancodi questa teoria delle Sefirot, egli sviluppò il concetto del misticismo dellinguaggio. La favella degli uomini è connessa alla favella divina, e ognilinguaggio, celeste o umano, deriva da un'unica fonte: il Nome Divino.Profonde speculazioni sulla natura della Torah si trovano in un lungoframmento del commento di Isaac all'inizio del Midrash Konen. Il carattereneoplatonico delle sue idee è sorprendente, e le distingue completamente dalBahir.Vi furono altri ambienti, in Provenza, che diffusero la tradizione cabalisticasulla base di materiale forse giunto loro direttamente da anonime fonti

orientali. Da una parte, essi continuano la tendenza neoplatonica, speculativadi Isaac il Cieco, soprattutto nel suo commento al Sefer Yezirah, e dall'altracollegano la sua tendenza a idee nuove relative al mondo della Merkabah e aipoteri spirituali di cui è composta. Vi è una spiccata tendenza aparticolarizzare questi poteri e a dare loro un nome, e la teoria delleSefirot occupa solo un posto incidentale tra altri tentativi di delineare ilmondo dell'emanazione e le forze che lo costituiscono. Mentre Isaac il Cieco ei suoi discepoli rivelarono le loro identità e si astennero dallo scriveretesti pseudoepigrafici, gli appartenenti a quella cerchia nascosero il piùpossibile la loro identità, sia in Provenza che in Spagna, e produssero unaricca pseudoepigrafia cabalistica imitando le forme letterarie usate nella

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letteratura della Merkabah e nel Sefer ha-Bahir. Una parte di questaletteratura pseudoepigrafica ha carattere neoplatonico e speculativo mentreun'altra parte è angelologica, demonologica e teurgica. Quest'ultima tendenzain particolare mise radici in alcune comunità castigliane, per esempio Burgose Toledo. Fra i primi cabalisti di Toledo sono menzionati il hasid Judah ibnZiza, Joseph ibn Mazah e Meir b. Todros Abulafia. In quale modo e in qualicircostanze vi giungesse la Cabala intorno all'anno 1200 non è noto, ma visono indizi che collegano i cabalisti provenzali ai cittadini di Toledo.

L'erudito provenzale Samuel ben Mordecai ricorda come fonti le tradizioni deimaestri provenzali Abraham b. David e suo suocero, hasidim della Germania, eJudah ibn Ziza di Toledo. La letteratura pseudoepigrafica usò nomi dal tempodi Mosè fino ai geonim e ai hasidim della Germania. La Provenza fuindubbiamente il luogo dove fu composto il Sefer ha-Iyyun, attribuito a RavHamai Gaon, il Ma'yan ha-Hokhmah, che fu comunicato da un angelo a Mosè, ilMidrash Shimon ha-Zaddik, e altri testi, mentre la patria di gran parte degliscritti attribuibili alla cerchia del Sefer ha-Iyyun potrebbe essere stata laProvenza o la Castiglia. Si conoscono più di 30 testi di questo tipo, quasitutti molto brevi. Nuove interpretazioni delle dieci Sefirot si trovano afianco di note ed esposizioni delle "32 vie della sapienza", il Tetragrammatone il Nome di Dio a 42 lettere, oltre a varie speculazioni cosmogoniche. Visono intessute tendenze platoniche e gnostiche. La conoscenza delle "luciintellettuali" che prendono il posto precedentemente occupato dal Carro,appare in competizione con teorie delle dieci Sefirot e dei nomi mistici. Gliautori di queste opere avevano una loro terminologia, astratta e solenne; ma itermini ricevono interpretazioni diverse a seconda della loro collocazione.L'ordine di emanazione varia di tanto in tanto, ed è evidente che questespeculazioni non avevano ancora raggiunto lo stadio finale. Vi eranoconsiderevoli divergenze d'opinione all'interno di questa cerchia, e ognisingolo autore, a quanto sembra, cercava di definire il contenuto del mondodell'emanazione così come veniva rivelato nella sua visione o nella suacontemplazione. Anche dove veniva accettata, la teoria delle Sefirot subivanotevoli mutamenti. Un gruppo di testi interpreta i 13 attributi dellamisericordia divina come la somma dei poteri che saturano il mondodell'emanazione, e alcuni autori aggiungono tre poteri al termine dell'elencodelle Sefirot, mentre in altri testi i tre poteri sono aggiunti all'inizio,

oppure vengono considerati come luci intellettuali che risplendono entro laprima Sefirah. Questa concezione, che stimolò molte speculazioni via via checontinuava l'evoluzione della Cabala, ricorre nei responsi attribuiti a HaiGaon sulla relazione tra le dieci Sefirot e i 13 attributi.Vi sono chiare connessioni che portano dalla teoria del Kavod di Saadiah e dalsuo concetto dell'"etere che non può essere afferrato", esposto nel suocommento al Sefer Yezirah, fino al suo circolo, che fece uso delle sue ideetramite la prima traduzione di Emunot ve-De'ot. Sembra che il circoloutilizzasse assai poco il Sefer ha-Bahir. Il risalto dato al misticismo delleluci dell'intelletto è vicino nello spirito, anche se non in dettaglio, allasuccessiva letteratura neoplatonica, ad esempio il "Libro delle CinqueSostanze dello Pseudo-Empedocle" (della scuola di Ibn Masarra in Spagna). Adesempio, le essenze superne che sono rivelate, secondo il Sefer ha-Iyyun e

diversi altri testi, dal "più alto mistero occulto" o dalla "tenebra primeva",sono: la sapienza primeva, la luce meravigliosa, il hashmal, la nebbia(arafel), il trono di luce, la ruota (ofan) della grandezza, il cherubino, laruota del Carro, l'etere circostante, il velo, il trono di gloria, il luogodelle anime, e il luogo eterno della santità. Questo miscuglio di terminiprovenienti da campi molto diversi è caratteristico della mescolanza dellefonti e di un ordinamento gerarchico che non dipende dalla teoria delleSefirot, sebbene anch'esso incorpori alcuni scritti di questo circolo.Inoltre, appare una tendenza teurgica, a fianco del desiderio di abbandonarsia speculazioni filosofiche sui Nomi Sacri. Oltre all'influenza delneoplatonismo arabo, vi sono indicazioni di alcuni legami con la tradizione

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platonica cristiana, trasmessa tramite De Divisione Naturae di Giovanni ScotoEriugena: ma la questione richiede ulteriori ricerche.

Il centro cabalista di Gerona

Sotto l'influenza dei primi cabalisti le loro idee si diffusero dalla Provenzaalla Spagna, ove trovarono una particolare accoglienza nell'ambiente rabbinico

di Gerona, in Catalogna, tra i Pirenei e Barcellona. Qui, dall'inizio del XIIIsecolo, si formò un centro di grande importanza, che svolse un ruoloessenziale nell'affermazione della Cabala in Spagna e nell'evoluzione dellaletteratura cabalistica. Per la prima volta, qui furono scritti testi che,nonostante il risalto attribuito all'aspetto esoterico della Cabala, cercavanodi diffonderne le idee fondamentali presso un pubblico più vasto. Talvolta sitrovano allusioni a queste idee in opere che non sono sostanzialmentecabalistiche ad esempio, opere di halakhah, esegesi, etica od omiletica ma vifurono numerosi libri dedicati interamente o prevalentemente alla Cabala.Numerose lettere scritte da appartenenti a questo gruppo e pervenute fino anoi contengono testimonianze importanti dei loro sentimenti e della loropartecipazione alle dispute e alle discussioni contemporanee. Le principalifigure di questo gruppo furono un misterioso personaggio che porta il nome (opseudonimo?) di Ben Belimah; Judah b. Yakar, maestro di Nahmanides e perdiverso tempo dayyan in Barcellona (1215), il cui commento alla liturgiacontiene affermazioni cabalistiche; Ezra b. Solomon e Azriel; Moses b. Nahman(Nahmanides), Abraham b Isaac Gerondi, il hazzan della comunità; Jacob b.Sheshet Gerondi; e il poeta Meshullam b. Solomon Da Piera (le sue poesiefurono raccolte in Yedi'ot ha-Makhon le-Hekerha-Shirah 4, 1938). Inoltre, sidevono includere anche i loro discepoli, sebbene molti di loro si fosserosparsi nella comunità aragonese.Un legame personale e letterario tra i cabalisti della Provenza e quelli diGerona si può vedere in Asher b. David, un nipote di Isaac il Cieco. Numerosesue opere furono diffuse ampiamente in forma manoscritta. Per contenuto, isuoi testi sono molto simili a quelli di Ezra ed Azriel, che furonoapparentemente tra i primi a scrivere opere dedicate interamente alla Cabala ecomposte quasi tutte nel primo trentennio del XIII secolo. Ezra scrisse un

commento al Cantico dei Cantici (che fu pubblicato sotto il nome diNahmanides), interpretò le aggadot confrontandole a parecchi trattati delTalmud, quando riusciva a collegarle con la Cabala, e riassunse tradizioni cheper la maggior parte derivavano indubbiamente dai cabalisti provenzali. Il suocompagno più giovane, Azriel, scrisse un'esposizione indipendente della suainterpretazione delle aggadot (a cura di Tishby, 1943), un commento sullaliturgia (Perush ha-Tefillot; traduzione francese di G. Séd 1973) secondo lateoria delle kavvanot, un commento al Sefer Yezirah pubblicato in diverseedizioni di quest'opera sotto il nome di Nahmanides, e due brevi opere sullanatura di Dio, Beur Eser Sefirot (intitolato anche Sha'ar ha-Sho'el) e Derekhhe-Emunah ve-Derekh ha-Kefirah. Questi due cabalisti, inoltre, lasciarono"misteri" su diversi argomenti (ad esempio, "il mistero dei sacrifici"), elettere su questioni cabalistiche, inclusa una lunga lettera di Azriel ai

cabalisti di Burgos. Azriel spicca tra gli altri membri del gruppo grazie allanatura sistematica del suo pensiero e alla profondità del suo intelletto Él'unico del gruppo la cui opera sia connessa per stile e contenuto agliscritti del circolo del Sefer ha-Iyyun ricordato più sopra. Nei suoi libri,l'interpretazione degli elementi neoplatonici e gnostici raggiunse il primoculmine. L'elemento neoplatonico derivava soprattutto dagli scritti di Isaacb. Solomon Israeli, alcuni dei quali erano indubbiamente conosciuti a Gerona.Jacob b. Sheshet, nella sua opera polemica contro Samuel ibn Tibbon, MeshivDeuarim Nekhohim (a cura di Vajda, 1968), univa l'indagine filosofica allaspeculazione cabalistica. Due dei suoi libri sono dedicati a quest'ultima:Sefer ha-Emunah ve-ha-Bitahon, in seguito attribuito a Nahmanides e pubblicato

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sotto il suo nome, e Sha-ar ha-Shamayim, un sommario in rima di ideecabalistiche (Ozar Nehmad, 3 (1860), 133-65).C'è da chiedersi se questi cabalisti, che erano noti solo a una cerchiaristretta, e che non composero opere al di fuori del campo della Cabalaavrebbero avuto la grande influenza che ebbero se non fosse stato per lastatura del loro collega Nahmanides (c. 1194-1270), la più alta autoritàlegale e religiosa del suo tempo in Spagna. Il fatto che egli entrasse neiranghi dei cabalisti da giovane spianò la strada all'accettazione della Cabala

in Spagna, come la personalità di Abraham b. David l'aveva spianata inProvenza. I nomi di questi due uomini rappresentavano per gran parte dei lorocontemporanei la garanzia che, nonostante la loro novità, le idee cabalistichenon deviavano dalla fede accettata e dalla tradizione rabbinica. Il loroincontestato carattere conservatore proteggeva i cabalisti dalle accuse dideviazionismo rispetto al rigoroso monoteismo e di eresia. Accuse di questogenere vi furono, provocate soprattutto dalla vasta pubblicità data alle primeopere della Cabala e alla loro propagazione orale in numerose comunità. Isaacil Cieco accenna a polemiche tra i cabalisti e i loro avversari, in Spagna, ela prova di simili controversie in Provenza (fra il 1235 e il 1245) permanenelle accuse di Meir b. Simeon di Narbona, una risposta alle quali, in difesadella Cabala, è inclusa nelle opere di Asher b. David.Fin dall'inizio appaiono tra i cabalisti due tendenze opposte; la prima cercadi limitare la Cabala a circolo chiusi, quale sistema decisamente esoterico,mentre la seconda aspira a diffonderne l'influenza tra la popolazione ingenerale. In tutta la storia della Cabala, fino a tempi recenti, queste duetendenze sono sempre state in conflitto. Parallelamente a queste, dal tempodell'apparizione della Cabala a Gerona, si svilupparono due prese di posizioneriguardo ai rapporti tra i portatori della cultura rabbinica e la Cabalastessa. I cabalisti venivano accettati come i proponenti di un'ideologiaconservatrice e come i pubblici difensori della tradizione e dellaconsuetudine, ma nel contempo numerosi rabbini e saggi li sospettavano diavere tendenze non giudaiche e di essere innovatori le cui attività dovevanovenire frenate appena era possibile. Anche moltissimi cabalisti vedevano illoro ruolo nella prospettiva della conservazione della tradizione, e infattila loro prima apparizione pubblica si ebbe quando si schierarono a fianco deitradizionalisti nella controversia sugli scritti di Maimonide e sullo studio

della filosofia nel XIII secolo. In queste dispute, la Cabala degli eruditi diGerona appariva come un'interpretazione simbolica del mondo del Giudaismo edel suo modo di vita, basata su una teosofia che insegnava i segreti occultidella Divinità rivelata e sul rifiuto delle interpretazioni razionaliste dellaTorah e dei Comandamenti. Tuttavia, non si può ignorare che il sistema dipensiero elaborato da un uomo come Azriel non invalidava l'insegnamentofilosofico del suo tempo, ma vi aggiungeva piuttosto una dimensione nuova,quella della teosofia, quale gloria suprema. In particolare, questa scuoladiede una nuova dimensione spirituale all'esegesi di Genesi I, uno degliargomenti principali del pensiero filosofico giudaico.In diverse sue opere, Nahmanides concede spazio alla Cabala, particolarmentenel suo commento alla Torah, dove le numerose allusioni velate e inspiegate ainterpretazioni "secondo la vera via" avevano lo scopo di destare la curiosità

dei lettori che non avevano mai sentito parlare di quella "via". Inoltre, egliusò il simbolismo cabalistico in alcuni dei suoi piyyutim. E le sue opinionisul fato dell'anima dopo la morte e sulla natura del mondo a venire, espressein Sha'ar ha-Gemul alla fine della sua opera halakhica Toledot Adam,rappresentano le idee della sua cerchia e sono in contrasto con le opinioni diMaimonide sull'argomento. Il suo commento al libro di Giobbe è basato sullateoria della trasmigrazione (pur senza menzionare il termine Gilgul) e sulleconcezioni del suo compagno Ezra, circa la Sefirah Hokhamah Nahmanides nonscrisse opere specificamente sulla Cabala, a parte un commento al primocapitolo del Sefer Yezirah, e, cosa piuttosto sorprendente, un sermone inoccasione di un matrimonio. A partire dal XIV secolo, numerosi libri di altri

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autori furono attribuiti a lui. Negli scritti dei cabalisti di Gerona vi è unastruttura simbolica definita e solida, relata soprattutto alla teorie delleSefirot e al modo in cui questa teoria interpreta versetti scritturali eomelie riguardanti gli atti di Dio. Questo simbolismo divenne la baseprincipale dello sviluppo della Cabala in questo gruppo, e numerosi cabalistianonimi di questo periodo e di altri successivi provvidero a redigere elenchie tavole, per lo più brevi, dell'ordine delle Sefirot, e della nomenclaturanella Scrittura e nell'aggadah che vi si addicevano. Per quanto concerneva i

dettagli, in pratica ogni cabalista aveva un sistema suo, ma sui fattorifondamentali vi era un'ampia concordanza.Vi furono contatti tra i cabalisti spagnoli e i Hasidei Ashkenaz, sia tramitesingoli hasidim che visitavano la Spagna, sia mediante i libri che vi venivanointrodotti, ad esempio le opere di Eleazar di Worms. Abraham Axelrod diColonia, che viaggiò nelle comunità spagnole approssimativamente tra il 1260 eil 1275, scrisse Keter Shem Tov, che tratta del Tetragrammaton e della teoriadelle Sefirot. L'opera esiste in varie versioni, una delle quali fu pubblicatain Ginzei Hokhmat ha-Kabbalah (1853), mentre un'altra dà come nome dell'autorequello di Menahem, un discepolo di Eleazar di Worms. Questa combinazione dellateoria dei Nomi Sacri e le speculazioni che usavano i metodi della gematriacon la teoria delle Sefirot dei cabalisti di Gerona contiene, almeno in unaterza versione del testo, un potente rinnovamento delle tendenze estatiche,che assunse la nuova forma della "Cabala profetica". Anche altri cabalistidella Castiglia stabilirono contatti con uno dei discepoli di Eleazar diWorms, che visse a Narbona alla metà del XIII secolo.É quasi certo che un anonimo cabalista del circolo di Gerona, o uno deicabalisti provenzali, fu l'autore del libro Temunah (scritto prima del 1250),che diverse generazioni più tardi fu attribuito a R. Ishmael, il sommosacerdote. Lo stile dell'opera è molto difficile, e il suo contenuto è oscuroin molti punti. É un'interpretazione dell'"immagine di Dio" mediante le formedelle lettere ebraiche e divenne la base di parecchi altri testi, composti inmodo simile e forse addirittura dallo stesso autore; ad esempiointerpretazioni del Nome Segreto di Dio di 72 lettere menzionato nellaletteratura mistica del periodo geonico. L'importanza del libro sta nella suaspiegazione, dettagliata anche se enigmatica, della teoria delle shemittot(vedasi più avanti), alla quale i cabalisti di Gerona alludevano senza

chiarimenti. Lo stile difficile della Temunah era delucidato in qualche misurada un vecchio commento, anch'esso anonimo (pubblicato insieme al libro stessonel 1892), che fu scritto sul finire del XIII secolo. La Temunah ebbe unanetta influenza sulla Cabala fino al XVI secolo.

Altre correnti nella Cabala spagnola del XIII secolo

La combinazione di elementi teosofico-gnostici e neoplatonico-filosofici, chetrovò espressione in, Provenza e a Gerona, portò alla supremazia relativa, o

talora esagerata, di un elemento rispetto all'altro in altre correnti apartire dal 1230. Da una parte vi era un'estrema tendenza mistica, espressa intermini filosofici, che creava un proprio simbolismo non basato sulla teoria osulla nomenclatura delle Sefirot riscontrate fra i cabalisti di Gerona. Purconfutando alcune delle supposizioni di questi ultimi (ad esempio, la teoriadella trasmigrazione), si considerava tuttavia come una vera "scienza dellaCabala". Il suo primo e più importante esponente fu Isaac ibn Latif, i cuilibri furono scritti (forse a Toledo) tra il 1230 e il 1270. "Egli teneva unpiede dentro [la Cabala] e un piede fuori [nella filosofia]'' come disse dilui Judah Hayyat (prefazione a Minhat Yehudah su Ma'arekhet ha-Elohut).Divenendo una specie di mistico indipendente, egli attinse l'ispirazione

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filosofica dagli scritti arabi ed ebraici sui neoplatonici, e soprattutto daMekor Hayyim di Ibn Gabirol e dalle opere di Abraham ibn Ezra, sebbenetalvolta ne trasformasse completamente il significato. La sua operaprincipale, Sha'ar ha-Shamayim (scritta nel 1238), voleva essere, in una venamistica speculativa, tanto una continuazione quanto un surrogato della Guidaper i perplessi di Maimonide. Come moltissimi cabalisti di Gerona, egliriconosceva il posto più alto alla Volontà Primeva, vedendo in essa la fontedi tutte le emanazioni. La teoria del Logos Divino, che egli prese dalla

tradizione neoplatonica araba, venne divisa nella Volontà - che rimanevacompletamente entro il Divino ed era identificata con la Parola Divina (Logos)che generava tutte le cose - e nella "prima cosa creata", il SupremoIntelletto che sta al culmine della gerarchia di tutti gli esseri, e che erapresentato in simboli altrove pertinenti al Logos stesso. Ma Ibn Latif non ècoerente nel suo uso estremamente personale del simbolismo, e spessocontraddice se stesso, anche su punti importanti. Dalla "prima cosa creata"(niura rishon) emanarono tutte le altre fasi, chiamate simbolicamente luce,fuoco, etere e acqua. Ognuna di esse è competenza di un ramo della sapienza:misticismo, metafisica, astronomia e fisica. Ibn Latif creò un sistema ricco ecompleto dell'universo, basando le sue concezioni su un'interpretazione un pòforzata della Scrittura, sebbene egli fosse contrario agli allegoristiestremisti che vedevano nell'allegoria un surrogato dell'interpretazioneletterale e non semplicemente un'aggiunta a questa. Le sue idee sullapreghiera e sulla vera comprensione hanno una colorazione nettamente mistica,e sotto questo aspetto travalicano la teoria della kavuanah e dellameditazione prevalente tra i cabalisti di Gerona. L'influenza di Ibn Gabirol ènotevole soprattutto nel suo Zurat ha-Olam (1860) che contiene critichespecifiche della teosofia cabalistica. Tuttavia Ibn Latif considera la Cabalasuperiore alla filosofia, sia per natura che per efficacia, in particolareperché afferra la verità che ha natura temporale, mentre la verità filosoficaè atemporale (Rav Pe'alim (1885), n.39). Ibn Latif ebbe rapporti personali conesponenti della Cabala dalle concezioni completamente opposte alle sue, ededicò Zeror ha-Mor a Todros Abulafia di Toledo, uno dei maggiori esponentidella tendenza gnostica della Cabala. I suoi libri venivano letti tanto dacabalisti quanto da filosofi, per esempio il filosofo Isaac Albalag(manoscritto Vaticano 254, fol. 97b), che criticò il suo Zurat ha-Olam.

Secondo Ibn Latif, la più alta comprensione intellettuale raggiunge solo il"dorso" del Divino, mentre un'immagine della "faccia" si rivela soltanto inun'estasi supra-intellettuale, che comporta un'esperienza superiore persino aquella della profezia (Ginzei ha-Melekh, cap. 37 e 41). Egli chiama questapercezione "la beatitudine della comunione suprema". La vera preghiera portal'intelletto umano in comunione con l'Intelletto Attivo "come un bacio"; ma diqui esso ascende fino all'unione con la "prima cosa creata"; al di là diquesta unione, conseguita mediante le parole, vi è l'unione mediante il puropensiero che aspira a raggiungere la Prima Causa, cioè la Volontà Primeva, einfine a giungere dinanzi a Dio stesso (Zeror haMor, cap. 5).Il secondo esponente delle tendenze mistico-filosofiche distinte dalla Cabalateosofica della scuola di Gerona e aspiranti a una Cabala estatica fu AbrahamAbulafia (1240 - post 1292). L'immagine straordinaria di quest'uomo deriva

dalla sua personalità eccezionale. Egli entrò in contatto con un gruppo, lacui tecnica di combinazione delle lettere e del misticismo dei numeristimolarono le sue esperienze estatiche. Almeno in parte, la sua ispirazionederivata dai Hasidei Ashkenaz della Germania, e forse anche attraversol'influenza degli ambienti sufici, da lui conosciuti durante i viaggi compiutiin Oriente nella sua gioventù. Il maestro di Abulafia fu il hazzan BarukhTogarmi (a Barcellona?) il quale, a giudicare dal nome, provenivadall'Oriente. Da lui, Abulafia apprese gli insegnamenti fondamentali dellaCabala profetica, alla cui diffusione dedicò tutta la vita, dopo averconseguito l'illuminazione a Barcellona nel 1271. Le sue affermazioniprofetiche e forse anche messianiche suscitarono forte opposizione tanto in

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Spagna quanto in Italia; ma i suoi libri furono molto letti a partire dallafine del XIII secolo, soprattutto quelli in cui egli esponeva il suo sistemadella Cabala come guida all'ascesa degli interessi filosofici del tipo diquelli di Maimonide fino alla profezia e alle esperienze mistiche che, secondolui, partecipavano della natura della profezia. Abulafia, inoltre, prendevaabbondantemente a prestito le idee cabalistiche, quando le giudicavapertinenti, ma si opponeva fin quasi al ridicolo a quegli aspetti che eranoestranei alla sua natura. Appassionato ammiratore di Maimonide, era convinto

che il proprio sistema fosse soltanto una continuazione e un'elaborazionedell'insegnamento della Guida per i perplessi. A differenza di Maimonide, chesi dissociava dalla possibilità della profezia nel suo tempo, Abulafiadifendeva tale prospettiva, trovando nella "via dei Nomi", cioè una tecnicaspecifica chiamata anche "scienza della combinazione", hokhmat ha-zeruf, unmezzo per realizzare e incorporare le aspirazioni umane alla profezia.Così ispirato, egli, scrisse 26 libri profetici dei quali uno soltanto, Seferha-Ot, è giunto fino a noi. Derekh ha-Sefirot ("la via delle Sefirot") era dalui ritenuto utile per i principianti, ma ha poco valore in confronto conDerekh ha-Shemot ("la via dei Nomi"), che si apre solo dopo un profondo studiodel Sefer Yezirah e delle tecniche cui allude. Abulafia vedeva quindi la suaCabala come un altro strato che veniva ad aggiungersi alla Cabalapreesistente, che non contraddiceva opere importanti come il Bahir, la Temunahe gli scritti di Nahmanides. La sua promessa di spiegare una via che avrebbeportato a ciò che egli chiamava "profezia" e la sua applicazione pratica deiprincipi cabalistici trovarono una notevole eco nella Cabala a partire dal XIVsecolo, prima in Italia e successivamente in altri paesi. I suoi grandimanuali (Sefer ha-Zeruf, Or ha-Sekhel e soprattutto Hayyei ha-Olam ha-Ba, edaltri), che sono stati copiati fino a tempi recenti, sono testi dimeditazione, i cui oggetti sono i Nomi Sacri e le lettere dell'alfabeto e leloro combinazioni, comprensibili e incomprensibili. Era esattamente questotipo di manuale che era mancato nel tipo consueto di letteratura cabalistica,il quale si era limitato alle descrizioni simboliche e si era astenutodall'esporre per iscritto le tecniche dell'esperienza mistica. L'opera diAbulafia colmò questa lacuna, e le accanite critiche nei suoi confronti che silevarono qua e là non impedirono che venisse assimilata e acquisisse grandeinfluenza. Uno dei discepoli di Abulafia scrisse (forse a Hebron) alla fine

del 1294 un breve libro sulla Cabala profetica, Sha'arei Zedek, che includeun'importante descrizione autobiografica dei suoi studi con il maestro, edelle sue esperienze mistiche.All'estremità opposta di questo duplice sviluppo della Cabala vi era unascuola di cabalisti che erano più attratti dalle tradizioni gnostiche, più omeno autentiche, e che si occupavano dell'elemento gnostico e mitologico piùche di quello filosofico. Gli esponenti di questa tendenza si accinsero arecuperare e a radunare frammenti di documenti e di tradizioni orali, e vifecero aggiunte cospicue, fino a che i loro libri divennero un sorprendentemiscuglio di pseudoepigrafie con i commentari degli stessi autori. Incontrasto con la Cabala di Gerona, l'elemento pseudoepigrafico era molto fortein questa branca, benché non sia assolutamente certo che fossero gli autoristessi di quei libri a inventare le fonti da loro citate. Questa scuola, che

può essere appropriatamente chiamata "la reazione gnostica", include ifratelli Jacob e Isaac, figli di Jacob ha-Kohen di Soria, che viaggiarono inSpagna e in Provenza (c. 1260-80) e incontrarono i loro predecessori cabalistipiù anziani: Moses b. Simeon, loro discepolo e successore, rabbino di Burgos;e Todros b. Joseph Abulafia di Burgos e Toledo, uno dei capi dei giudeicastigliani del suo tempo. Le loro opere principali appartengono alla secondametà del XIII secolo. Negli ambienti cabalistici, Moses di Burgos erageneralmente ritenuto dotato di particolare autorità, e inoltre fu il maestrodi Isaac ibn Sahula, autore di Mashal ha-Kadmoni. É straordinario che unrazionalista devoto all'indagine filosofica come Isaac Albalag potesse vederetre membri di questa scuola come i veri esponenti della Cabala nei suoi tempi,

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con Moses di Burgos alla loro testa: "Il suo nome si è diffuso in tutto ilpaese: Moses ha ricevuto [kibbel] la tradizione cabalista [autentica].L'aspetto speculativo non è del tutto assente in questa scuola, e alcuniframmenti di uno dei libri di Isaac ha-Kohen in particolare mostrano qualcherelazione tra lui e Ibn Latif; ma le sue vere caratteristiche sono moltodiverse. Egli sviluppò i dettagli della teoria dell'emanazione di sinistra,demonica, le cui dieci Sefirot sono le esatte controparti delle Sefirot Sante.Una simile emanazione demonica è già menzionata negli scritti del gruppo del

Sefer ha-Iyyun e nelle opere di Nahmanides, ed è possibile che le sue originiavessero radici in Oriente. Nella documentazione pervenuta fino a noi, questateoria apparve in testi pseudoepigrafici ed ebbe radici soprattutto inProvenza e in Castiglia. Da queste tradizioni nacque la teoria zoharica dellasitra ahra ("l'altra parte"). Vi è qui, inoltre, una forte tendenza a disporrelunghi elenchi di esseri nel mondo, al di sotto del regno delle Sefirot - chericevono nomi specifici - e perciò a stabilire un'angelologia completamentenuova. Queste emanazioni del secondo rango vengono presentate in parte come"veli" (pargodim) davanti alle emanazioni delle Sefirot, e come "corpi" e"vesti" per le anime interiori, che sono le Sefirot. Questa molteplicità diemanazioni personificate e la loro elencazione ricordano tendenze simili neglisviluppi più tardi di parecchi sistemi gnostici, e in particolare il libroPistis Sophia. Per tutto ciò che esiste nel mondo inferiore vi è una forzacorrispondente nel mondo superiore, e in tal modo viene creata una specie distrana mitologia che non ha precedenti in altre fonti. Questo tema pervadetutti gli scritti di Isaac b. Jacob ha-Kohen e alcune delle opere del fratellomaggiore, Jacob. La novità dei nomi di queste forze e della loro descrizione èovvia, e alcuni dei dettagli delle Sefirot e la loro nomenclatura assumonotalvolta una forma diversa da quella contenuta nella Cabala di Gerona. Negliscritti di Todros Abulafia, ai cabalisti che sono esponenti della tendenzagnostica viene dato il nome specifico di ma'amikim ("coloro che scavanoprofondamente"), per distinguerli dagli altri. I cabalisti spagnoli del XIVsecolo praticarono un'ulteriore distinzione tra la Cabala dei cabalisticastigliani, appartenenti alla scuola gnostica, e quella dei cabalisticatalani. In questo ambiente possiamo osservare con chiarezza la crescitadell'elemento magico e la tendenza a preservare tradizioni teurgiche di cuinon vi è traccia nella scuola di Gerona.

Questa nuova tendenza gnostica non si arrestò all'esperienza mistica ovisionaria individuale. I due elementi stanno fianco a fianco nelle opere diJacob ha-Kohen, il quale scrisse il voluminoso Sefer ha-Orah, che non halegami con la precedente tradizione cabalistica, ma è basato interamente suvisioni che "gli furono accordate" in cielo. La Cabala di queste visioni ècompletamente diversa dalla parte tradizionalista degli altri suoi scritti, enon viene ripresa altrove nella storia della Cabala. É basata su una formanuova dell'idea del Logos, che assume qui l'immagine del Metatron. La teoriadell'emanazione, inoltre, acquisisce un'altra veste, e l'interesse per leSefirot cede il passo a speculazioni sulle "sante sfere" (ha-galgalimhakedoshim) per il cui tramite il potere dell'Emanatore è dispersoinvisibilmente fino a quando raggiunge la sfera del Metatron, che è la forzacosmica centrale. Questa teosofia personalissima, nutrita e ispirata dalla

visione, non ha relazioni con la teosofia dei cabalisti di Gerona, ma haqualche rapporto con i Hasidei Ashkenaz. Jacob ha-Kohen fu il primo cabalistaspagnolo a costruire sulle gematriot tutti i suoi insegnamenti relativi alleragioni dei comandamenti e ad altri argomenti. Il Metatron, ovviamente, fucreato, ma venne posto in essere simultaneamente all'emanazione delle sferecelesti interiori, e il versetto "Sia fatta la luce" allude alla "formazionedella luce dell'intelletto" in forma del Metatron. Non vi è quasi dubbio cheJacob ha-Kohen conoscesse l'arte della "combinazione" quale prerequisito dellapercezione mistica; ma non aveva conoscenza dei misteri derivanti da essatramite l'interpretazione razionalista, caratteristica di Abraham Abulafia. IlSefer ha-Orah non ci è stato tramandato integralmente, ma ne esistono parti

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cospicue in vari manoscritti (Milano 62, Vaticano 428, eccetera). A parte gliscritti di Ibn Latif, è l'esempio più sorprendente di come potesse venirecreata una Cabala completamente nuova a fianco della preesistente; ed è comese ognuna di esse parlasse su un piano diverso. Nel suo Ozar ha-Kauod sulleleggende del Talmud (1879) e nel suo Sha-ar ha-Razim sul Salmo 19 (Monaco,manoscritto 209), Todros Abulafia si sforzò di combinare la Cabala di Geronacon la Cabala degli gnostici, ma non alluse mai alle rivelazioni accordate aJacob ha-Kohen.

Lo Zohar

La mescolanza delle due tendenze emananti dalla scuola di Gerona e dallascuola degli gnostici trova in una certa misura un parallelo nel prodottoprincipale della Cabala spagnola. Si tratta del Sefer ha-Zohar, scritto tra il1280 e il 1286 da Moses b. Shem Tov de Leon a Guadalajara, una cittadina anord-est di Madrid. In questa città vivevano anche due fratelli cabalisti,Isaac e Meir b. Solomon ibn Sahula, ed è nei libri di Isaac che si trovano leprime citazioni tratte dal primo strato dello Zohar, risalente al 1281. Molticabalisti erano attivi in quel tempo nelle piccole comunità intorno a Toledo,e vi sono testimonianze di esperienze mistiche anche tra persone non colte. Unesempio è l'apparizione come profeta ad Avila, nel 1295, di Nissim b. Abraham,un artigiano ignorante, al quale un angelo rivelò un'opera cabalistica, Pil'otha-Hokhmah, e che ebbe come oppositore Solomon b. Abraham Adret (Responsa diSolomon b. Adret, n. 548). Fu in questa comunità che Moses de Leon trascorsegli ultimi anni della sua vita (m. 1305). Lo Zohar è la prova più evidentedell'affiorare di uno spirito mitico del Giudaismo medievale. L'origine dellibro, il suo carattere letterario e religioso, e il ruolo che esso ha avutonella storia del Giudaismo, sono stati oggetto di lunghe discussioni tra glistudiosi durante gli ultimi 130 anni; ma in gran parte il dibattito non erabasato su analisi storiche e linguistiche. In un'analisi di quest'ultimo tipo,possiamo assegnare un posto preciso allo Zohar nell'evoluzione della Cabalaspagnola, che ha apposto il suo sigillo al libro. Così facendo, dobbiamoresistere ai continui tentativi apologetici di antedatare la composizionetrasformando le sue tarde fonti letterarie in prove dell'esistenza antecedente

del libro, o proclamando la presenza in esso di strati antichi, della cuipresenza non esiste alcuna conferma (J.L. Zlotnik, Belkin, Finel, ReubenMargaliot, Chavel, M. Kasher e altri).La mescolanza di queste due correnti - la Cabala di Gerona e la Cabala degli"gnostici" di Castiglia - divenne nella mente di Moses de Leon un incontrocreativo che determinò il carattere basilare dello Zohar. Invece delle breviallusioni e interpretazioni dei suoi predecessori, egli presenta un vastoquadro di interpretazioni e di omiletica che copre l'intero mondo delGiudaismo quale appariva ai suoi occhi. Egli è molto lontano dalla teologiasistematica, e anzi vi sono problemi fondamentali del pensiero giudaicocontemporaneo che non appaiono affatto nella sua opera, come il significatodella profezia e le questioni della predestinazione e della provvidenza;tuttavia, egli rispecchia l'effettiva situazione religiosa, e la espone

mediante l'interpretazione cabalistica. In un testo pseudoepigraficoattribuito a Simeon b. Yohai e ai suoi amici, Moses de Leon presentò la suainterpretazione del Giudaismo in una veste arcaica, in forma di Midrashimlunghi e brevi della Torah e dei tre libri, Cantico dei Cantici, Ruth eLamentazioni. Le spiegazioni contenute nel libro ruotano intorno a due poliuno consistente dei misteri del mondo delle Sefirot che costituiscono la vitadel divino, la quale è inoltre riflessa in molti simboli nel mondo creato; el'altro consistente nella situazione dell'ebreo e del suo fato, tanto inquesto mondo quanto nel mondo delle anime. L'approfondirsi e l'ampliarsi diuna visione simbolica del Giudaismo erano molto arditi in un'epoca in cui icabalisti conservavano ancora, in una certa misura, il carattere esoterico

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delle loro idee. L'apparizione di quello che affermava di essere un anticoMidrash e rispecchiava i punti di vista fondamentali dei cabalisti spagnoli eli esprimeva in un'imponente sintesi letteraria, scatenò innumerevolidibattiti tra i cabalisti di quel tempo. Tuttavia, servì anche a diffondere laconoscenza della Cabala e ad assicurarne l'accettazione. Il punto di vistadell'autore progrediva da una tendenza alla filosofia e all'interpretazioneallegorica verso la Cabala e le sue idee simboliche. Le fasi di questoprogresso si possono riconoscere ancora oggi nelle differenze tra il Midrash

ha-Ne'lam, la parte dello Zohar redatta per prima, e il resto dell'opera. Nonvi è dubbio che il fine del libro era di attaccare la concezione letterale delGiudaismo e la negligenza del compito delle mizvot; e ciò venne realizzatosottolineando il valore supremo e il significato segreto di ogni parola e diogni comandamento della Torah. Come in moltissimi grandi testi mistici, lapercezione interiore e la via della "comunione" sono connesse allaconservazione della struttura tradizionale, il cui valore è accresciuto settevolte. Il punto di vista mistico servì a rafforzare la tradizione e anzidivenne un fattore consciamente conservatore. D'altra parte, l'autore delloZohar si concentrava frequentemente su speculazioni sulle profondità dellanatura della Divinità, su cui altri cabalisti non osavano soffermarsi, e ilsuo ardimento fu un contributo importante al rinnovato sviluppo della Cabaladiverse generazioni più tardi. Quando apparve lo Zohar, pochi cabalistirivolsero l'attenzione su questo aspetto originale. Essi usarono invece loZohar come un aiuto per rafforzare i loro fini conservatori. Nei suoi libri inebraico scritti negli anni successivi al 1286, dopo che ebbe concluso il suolavoro nello Zohar, lo stesso Moses de Leon nascose molte delle suespeculazioni più ardite (e a questo serviva benissimo l'oscura vestearamaica). D'altra parte, in esse pose in risalto i principi del simbolismodelle Sefirot, con il suo valore per la comprensione della Torah e dellapreghiera, e inoltre l'elemento omiletico e morale dello Zohar. I suoi libriin ebraico ampliavano, qua e là, temi che erano adombrati per la prima voltanello Zohar, con qualche variazione. Queste opere sono state conservate, ealcune furono copiate molte volte; ma una soltanto è stata pubblicata primadei tempi moderni (Sefer ha-Mishkal, chiamato anche Sefer ha-Nefesh haHakhamah, 1608). É difficile dire in che misura Moses si aspettasse che la suaopera inserita nello Zohar venisse accettata come un Midrash antico e

autorevole, e fino a che punto egli intendesse creare un compendio dellaCabala in un'adeguata forma letteraria perfettamente chiara per il lettoredotato di discernimento. Molti cabalisti della generazione venuta dopo di luiusarono forme assai simili e scrissero imitazioni dello Zohar.Moses de Leon era senza dubbio strettamente legato a un altro cabalista, cheera stato discepolo di Abraham Abulafia, Joseph Gikatilla, il quale scrisseGinnat Egoz nel 1274, e successivamente numerose altre opere sottol'ispirazione del suo primo maestro. Tuttavia, quando era ancora giovane silegò ad ambienti gnostici e in seguito fece amicizia con Moses de Leon, eciascuno risentì dell'influenza dell'altro. Distogliendo l'attenzione daimisteri delle lettere, delle vocali e dei nomi, Gikatilla intraprese unostudio profondo della teosofia del sistema delle Sefirot, e i suoi libricostituiscono un parallelo indipendente e prezioso degli scritti di Moses de

Leon. Sha'arei Orah, scritto intorno al 1290, mostra già l'influenza di certeparti dello Zohar, sebbene non lo nomini mai. Questo libro, che è unimportante compendio e un'introduzione all'interpretazione del simbolismodelle Sefirot, divenne una delle opere principali della Cabala spagnola. Valela pena di notare che nella mente di Gikatilla si incontrarono e siconciliarono tre correnti diverse, la Cabala di Gerona, la Cabala dello Zohare la Cabala di Abulafia, un caso molto raro per quel periodo. Il suo GinnatEgoz è, a quanto ne sappiamo, la fonte più recente utilizzata dall'autoredello Zohar.Due opere scritte nell'ultimo decennio del XIII secolo o nei primi anni delXIV, Ra'aya Meheimna e Sefer ha-Tikkunim, rappresentano un compromesso fra i

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filoni più recenti della letteratura zoharica. Sono opera di un cabalistaignoto, il quale conosceva bene la parte principale dello Zohar, e scrisse isuoi libri come una sorta di continuazione, benché con qualche cambiamentonello stile letterario e nella struttura. I libri contengonoun'interpretazione nuova dei primi capitoli della Genesi e una spiegazionetabulata delle ragioni dei Comandamenti. Esaltando l'importanza dello Zoharquale rivelazione finale dei misteri, queste due opere collegavano la suaapparizione all'inizio della redenzione: "Grazie ai meriti dello Zohar, essi

lasceranno l'esilio in misericordia", cioè senza le temute sofferenze dellaredenzione (Zohar 3:124b). L'autore, esagerando, fonde l'immagine del Mosèbiblico con Moses, il rivelatore dello Zohar alla vigilia della redenzionefinale. É possibile che fosse molto vicino al circolo di Moses de Leon, eforse anch'egli si chiamava Moses. Questi libri sono i primi di tutta unaserie di opere cabalistiche scritte nello stile pseudo-aramaico dello Zohar ecome continuazione di questo testo. Alcuni autori scrissero in ebraico,aggiungendo interpretazioni nominalmente di carattere zoharico, ma che inrealtà rispecchiavano le loro idee. In questa categoria va ricordato Mar'otha-Zove'ot (manoscritto Sassoon 978) di David b. Judah he-Hasid, conosciutoattraverso altri suoi scritti come nipote di Nahmanides (Ohel David, 1001-06);e Livnat ha-Sappir (su Gen., 1914; su Lev., British Museum, manoscritto 767)di Joseph Angelino, scritto nel 1326-27 ed erroneamente attribuito da parecchicabalisti a David b. Judah Hasid. Questi fu il primo a comporre una confusatraduzione ebraica e un'elaborazione delle speculazioni contenute nell'IdraRabba dello Zohar, chiamata Sefer ha-Gevul (manoscritto di Gerusalemme).Scrisse inoltre un lungo commento, Or Zaru'a, sulla liturgia, e parecchi altrilibri.Un importante pseudoepigrafo scritto al tempo dell'apparizione dello Zohar fuSod Darkhei ha-Shemot, "Il mistero dei Nomi, delle Lettere e delle Vocali, eil Potere delle Operazioni [Magiche], secondo i saggi di Lunel", che si trovain numerosi manoscritti sotto nomi diversi (manoscritto Vaticano 441).Attribuito alla cerchia di Abraham b. David, il libro è in effetti basatosulle opere di Gikatilla e di Moses de Leon, e collega le speculazioni sullelettere, le vocali e i Nomi Sacri alla teoria della Cabala pratica. Il suoautore, che diede alle parole dei cabalisti del tardo XIII secolo una nuovacornice pseudoepigrafica, compilò inoltre l'antologia cabalista Sefer

ha-Ne'lam (manoscritto di Parigi 817), usando fonti assai simili. Una figuraoscura nell'imitazione zoharica è Joseph "che venne dalla città di Shushan"(cioè da Hamadan in Persia). Forse si tratta di un nome completamente fittizioe cela un cabalista spagnolo che visse intorno al 1300 o poco più tardi, escrisse una lunga opera sulla sezione della Torah di Terumah, il Cantico deiCantici e Kohelet, che è composta soprattutto nello stile dello Zohar esviluppa le idee dell'Idra zoharico a proposito dello Shi'ur Komah. L'opera èpervenuta fino a noi (manoscritto British Museum 464) ed era diffusa ancora intempi relativamente tardi. É piena di idee strane, che non si incontrano inaltri testi cabalistici, e l'autore presenta opinioni del tutto estranee alloZohar, sebbene esposte nel suo stile. Secondo A. Altmann, egli va identificatocon l'anonimo autore del Sefer Ta'amei ha-Mizvot, che fu usato come fonte diun plagio letterario da Isaac ibn Farhi, nel XVI secolo. Questo autore scrisse

inoltre la vasta opera Toledot Adam, parzialmente stampata sotto il titoloerroneo Sefer ha-Malkhut. Il terzo libro di questa categoria è Seferha-She'arim o She'elot la-Zaken (manoscritto di Oxford 2396) del primo quartodel XIV secolo. Il vecchio (zaken) che risponde alle domande dei suoidiscepoli non è altro che lo stesso Mosè. Gran parte del testo è scritta inebraico, e solo una sezione è in stile zoharico. É un'opera anch'essacompletamente indipendente, e si affida soprattutto alle allusioni senzaspiegare pienamente le proprie idee.

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La Cabala nel secolo XIV sino all'espulsione dalla Spagna

Il secolo XIV fu un periodo di sviluppo intellettuale che produsse unaletteratura estremamente ricca. La Cabala si diffuse in quasi tutte lecomunità della Spagna e anche altrove, soprattutto in Italia e in Oriente.Quando le porte si spalancarono grazie ai libri che rivelavano idee mistiche,tutte le tendenze antecedenti trovarono continuatori e interpreti; con questa

espansione, tutte le varie tendenze si fusero in una certa misura l'una conl'altra, e vennero compiuti tentativi di trovare un compromesso.La Cabala di Gerona continuò grazie alla prolifica attività letteraria deidiscepoli degli allievi di Nahmanides, istruiti da Solomon b. Abraham Adret(Rashba) e da Isaac b. Todros, autore di un commento al mahzor secondo laCabala (Parigi, manoscritto 839). Diversi appartenenti a questa scuola, chenon amavano il diffuso stile pseudoepigrafico, produssero molti libri che siriproponevano di chiarire i passi cabalistici del commento di Nahmanides allaTorah. Un autore ignoto compose all'inizio del XIV secolo Ma'arekhet ha-Elohut(1588), un compendio che espandeva la dottrina della Cabala in modo conciso esistematico. Il libro fu molto letto, specialmente in Italia, e la suainfluenza si fece sentire sino al XVI secolo. Sebbene Solomon b. Abraham Adretfosse molto cauto nel trattare argomenti cabalistici, spesso vi alluse nel suocommento alle aggadot (manoscritto Vaticano 295), e compose inoltre una lungapreghiera alla maniera cabalistica. I suoi allievi, comunque, assegnarono allaCabala un posto centrale. A questa scuola appartengono: Bahya b. Asher diSaragozza, il cui commento alla Torah contribuì notevolmente alla diffusionedella Cabala e fu il primo testo cabalistico che venne stampato integralmente(1492); Joshua ibn Shu'ayb di Tudela, autore delle importanti Derashot(omelie) sulla Torah (1523), il primo libro di questo genere che assegni unposto centrale alla Cabala, e inoltre vero autore di Be'ur Sodot ha-Ramban("Spiegazione dei segreti [cabalistici] del Commento di Nahmanides") che vennestampato (1875) sotto il nome del suo allievo, Meir b. Solomon Ibn Sahula;Hayyim b. Samuel di Lerida, autore di Zeror ha-Hayyim, che contieneun'esposizione cabalistica di argomenti halakhici (manoscritto Musajoff); ShemTov b. Abraham ibn Gaon di Soria, che iniziò una vasta attività letterariasulla Cabala tra il 1315 e il 1325, emigrò in Erez Israel con l'amico Elhanan

b. Abraham ibn Eskira, e si stabilì a Safed. Yesod Olam (manoscritto Guenzburg607) di Elhanan, scritto parzialmente in arabo, fonde la tradizione di Geronacon la Cabala filosofica neoplatonica. Nella scuola di Solomon Adret furaccolta una grande quantità di materiale grezzo, che è stato conservato incollectanea di considerevole valore (manoscritto Vaticano 202, manoscritti diParma 68 e 1221, e altri). Allo stesso modo sono stati conservati parecchitesti anonimi che interpretano i significati occulti nell'opera di Nahmanides.Il serbatoio principale di tutte le tradizioni di questa scuola è Me'iratEinaim, di Isaac b. Samuel di Acri, che in altri libri trattò a lungo aspetticompletamente diversi della Cabala, sotto la duplice influenza dello Zohar edella scuola di Abraham Abulafia. In contrasto con i tentativi di cercare uncompromesso tra Cabala e filosofia, egli sostenne l'indipendenza e il supremovalore della teosofia cabalista. Alcune parti della raccolta di rivelazioni

accordategli in vari modi furono riunite in Ozar ha-Hayyim (manoscrittoGuenzburg 775); diverse parti sono state copiate frequentemente. Isaac b.Samuel era in rapporti con molti cabalisti suoi contemporanei, e fu il primodi questa cerchia a scrivere un'autobiografia, andata tuttavia perduta.Un altro cabalista che emigrò in Spagna e conobbe la Cabala locale fu Josephb. Shalom Ashkenazi, autore di un vasto commento al Sefer Yezirah (che è statostampato in diverse edizioni del libro sotto il nome di Abraham b. David).Egli scrisse inoltre un commento alla sezione bereshit del Midrash GenesisRabbah (KS, 4 (1928), 236-302), sotto il titolo Parashat Bereshit. Il primolibro citato fu già usato nelle opere di David b. Judah Hasid. Queste operesviluppano la teoria delle Sefirot fino all'estremo, assegnando a ogni cosa un

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posto preciso nel mondo delle Sefirot. Joseph b. Shalom intraprese una criticacabalistica della filosofia, ma ne interpretò i principi cabalisticamente, inmodo molto ardito. Come moltissimi cabalisti del suo tempo, abbracciò l'ideadelle shemittot, che guadagnò molto terreno in quel periodo. Tra le versionipiù importanti di questa teoria figura quella esposta lucidamente in Sod Ilanha-Azilut da R. Isaac. Joseph b. Shalom espose una concezione estremista dellateoria della trasmigrazione delle anime, trasformandola in una legge cosmicacomportante un cambiamento di forma che influiva su ogni parte della creazione

dalla Sefirah di Hokhmah fino all'infimo grado degli oggetti inanimati.Insieme all'influenza dello Zohar e alla scuola di Solomon Adret, la Cabalaspagnola cominciò a diffondersi in Italia, grazie soprattutto agli scritti diMenahem Recanati il quale, all'inizio del XIV secolo, compose un commento"secondo la via della verità" sulla Torah (1523) e un'opera sulle ragionimistiche dei comandamenti (ed. completa 1963). Ma v'era poca indipendenzanella Cabala italiana, che per lungo tempo consistette semplicemente incompilazioni e interpretazioni, seguendo lo Zohar e Ma'arekhet ha-Elohut, e inmisura ancora più vasta che nella stessa Spagna gli scritti di AbrahamAbulafia. Un'eccezione è rappresentata da Iggeret Purim, il cui autore dàun'insolita interpretazione simbolica della teoria delle Sefirot. Ilprincipale cabalista italiano del XIV secolo fu Reuben Zarfati. Anche inGermania vi fu scarsa creatività indipendente nella Cabala. I cabalistitedeschi si accontentarono di fondere Zohar e Ma'arekhet con la tradizione deiHasidei Ashkenaz. Avigdor Kara (m. 1439), che raggiunse fama come cabalista,scrisse Kodesh Hillulim su1 Salmo 150 (manoscritto di Zurigo 102). Nellaseconda metà del XIV secolo, Menahem Ziyyoni di Colonia scrisse Sefer Ziyyoni,sulla Torah, e Yom Tov Lipmann Muelhausen dedicò parte della sua attivitàletteraria alla Cabala, ad esempio Sefer ha-Eshkol (a cura di JudahEven-Shemuel (Kaufmann), 1927). A partire dall'inizio del XIV secolo, laCabala si diffuse anche in Oriente. In Persia, Isaiah b. Joseph di Tabrizscrisse Hayyei ha-Nefesh (1324; manoscritto di Gerusalemme 8° 544; pubblicatoin parte nel 1891); e a Costantinopoli Nathan b. Moses Kilkis, che afferma diavere studiato in Spagna, scrisse il voluminoso Even Sappir (1368-70;manoscritto di Parigi 727-8).Questi due libri appartengono al filone che cercò di fondere Cabala efilosofia in modi più o meno radicali. Questi tentativi, che ebbero origine

soprattutto tra i cabalisti spagnoli del periodo, divennero molto frequenti; ei loro proponenti attaccarono la tendenza opposta, che mirava a porre inrisalto le differenze tra le due parti. La linea inequivocabilmenteneoplatonica di Ibn Latif fu continuata (intorno al 1300) da David b. Abrahamha-Lavan nel suo Masoret ha-Berit. Joseph b. Shalom, già ricordato più sopra,collegò la Cabala con la metafisica aristotelica e con la filosofia naturale,mostrando come fosse possibile dare un contenuto mistico anche a concettifilosofici astratti. Ovviamente, alcuni propendevano per una visione piùfilosofica, mentre altri si concentravano sugli aspetti più propriamentecabalistici. Due dei principali esponenti di queste tendenze scrissero inarabo, un caso di estrema rarità nella letteratura cabalistica. Uno di loro fuJudah b. Nissim ibn Malka di Fez, che scrisse nel 1365; le sue opere sonostate analizzate da G. Vajda (1954), che ha svolto vastissime ricerche sulla

relazione tra Cabala e filosofia in questo periodo. L'altro, vissuto unagenerazione prima, fu Joseph b. Abraham ibn Waqar di Toledo. Nella sua lungaopera intitolata al-Maqala al-Jami'a bayna al-Falsafa waash-Shar'i'a ("Sintesidi filosofia e Cabala"), egli espose le opinioni dei filosofi, dei cabalisti edegli astrologi, valutò le loro idee secondo i meriti, e cercò di stabilireuna base comune a tutti. Il suo libro include inoltre un lessico delsimbolismo delle Sefirot, che venne tradotto in ebraico ed ebbe largadiffusione. L'autore doveva molto a Nah manides e a Todros Abulafia, tuttaviaegli avverte che "molti errori si sono insinuati" nello Zohar. Ibn Waqarscrisse poesie sulla Cabala. Suo amico personale fu Moses Narboni, chesostanzialmente propendeva per la filosofia; tuttavia, in Iggeret al Shi'ur

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Komah e in altri suoi scritti, in un accostamento positivo anche se un po'riluttante alla Cabala, Narboni tenta di spiegare varie affermazionicabalistiche come se fossero in armonia con la filosofia.Un tentativo di fare pendere la bilancia in favore della Cabala trovòespressione nella critica all'opera di Judah ibn Malka attribuita a Isaac diAcri. Samuel b. Saadiah Motot di Guadalajara (c.1370) seguì anch'egli IbnWaqar nel commento al Sefer Yezirah intitolato Meshovev Netivot, e nelcommento alla Torah, Megalleh Amukot (a Es., manoscritto di Oxford 286, e Lev.

a Deut., Gerusalemme, Biblioteca Nazionale, manoscritto 8° 552). Ma lo Zoharebbe su di lui una forte influenza. Nelle discussioni dei cabalisti filosoficiveniva dedicata grande attenzione al problema della relazione tra la teoriateosofica delle Sefirot, la teoria filosofica delle intelligenze separate el'idea neoplatonica dell'anima cosmica. Furono effettuati tentativi dispiegare la Guida per i perplessi in modo cabalistico, o almeno di chiarirecerti problemi in essa contenuti dal punto di vista della Cabala, usandometodi diversi da quello di Abraham Abulafia; ad esempio, nella criticaattribuita a Joseph Gikatilla, o in Tish'ah Perakim mi-Yihud, attribuito aMaimonide. Seguendo Abulafia, la tendenza a fare di Maimonide un cabalistaportò alla leggenda che egli avesse cambiato idea alla fine della sua vita esi fosse convertito alla Cabala, una leggenda che era divenuta corrente apartire dall'anno 1300 e che appare in varie versioni. In questo periodo fuscritto anche Megillat Setarim, presentato come una lettera di Maimonidesull'argomento della Cabala.In totale contrasto con queste tendenze al compromesso vi furono due fenomeniimportanti, assolutamente opposti al mondo della filosofia. Il primo èconnesso con la crescita dei movimenti meditativi miranti alla contemplazione,sia del mondo interiore delle Sefirot e delle innumerevoli luci occulte inesso celate, sia del mondo interiore dei Nomi Sacri, che celano anch'essi lucimistiche. Di regola, questa contemplazione segue i metodi della Cabalaprofetica, ma modificandola e portandola nel regno della teosofia gnostica. Lateoria delle Sefirot prevalente nel secolo XIII è subordinata allacontemplazione delle luci dell'intelletto, che ebbe origine negli scrittidella scuola del Sefer ha-Iyyun e produsse una voluminosa letteraturaondeggiante tra la pura contemplazione interiore e la magia. Non vi è dubbioche Isaac d'Acri fu molto portato verso questa tendenza. In pratica, tutta la

letteratura è ancora nascosta in forma manoscritta, senza dubbio a causa dellacensura dei cabalisti, i quali la consideravano la parte veramente esotericadella Cabala. Un esempio caratteristico, tuttavia, venne stampato; si trattaper l'esattezza di Berit Menuhah (1648), che risale alla seconda metà delsecolo XIV, e che venne erroneamente attribuito ad Abraham b. Isaac diGranada: tratta a lungo della meditazione sulle luci interiori scaturite dallevarie vocalizzazioni del Tetragrammaton. Questa letteratura rappresenta unacontinuazione della "scienza della combinazione" di Abulafia, con l'aggiuntadella teoria della havvanah della Cabala teosofica. Il Sefer ha-Malkhut, che èanch'esso un trattato sulle combinazioni delle lettere, fu scritto intorno al1400 dal cabalista David ha-Levi di Siviglia (stampato nella raccolta Ma'orva-Shemesh, 1839).Il secondo fenomeno è connesso alla composizione di due opere

pseudoepigrafiche: il Sefer ha-Peli'ah (1784) sulla prima sezione della Torah,e il Sefer ha-Kanah (1786) sul significato dei Comandamenti. L'autore, chescrisse fra il 1350 e il 1390, si presenta come il nipote di R. Nehunya b.haKanah, il presunto autore del Sefer ha-Bahir. In realtà, gran parte delprimo libro consiste di un'antologia della preesistente letteraturacabalistica. L'autore, che era un notevole talmudista, adattò quelle fonti evi aggiunse molto di suo. Il suo fine principale consisteva nel provare,mediante il ricorso ad argomenti talmudici, che la halakhah non ha significatoletterale, bensì un esclusivo significato mistico, e che il vero significatoletterale è mistico. Con travolgente entusiasmo, queste opere si spingono benoltre lo Zohar nel sostenere che il Giudaismo non ha alcun vero significato al

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di fuori del mondo della Cabala, e rappresentano quindi il culminedell'estremismo cabalistico. Chiaramente, in un simile caso non vi è spazioper un approccio filosofico. La linea antifilosofica fu continuata dalle operedi Shem Tov b. Shem Tov, il quale scrisse due libri sistematici sulla Cabalaintorno al 1400. Il suo Sefer ha-Emunot (1556) dimostra che lo Zohar, unsecolo dopo la sua apparizione, era ormai completamente accettato come l'operacentrale della Cabala. Una parte cospicua del secondo libro, dal titolosconosciuto, è pervenuta fino a noi (British Museum, manoscritto 771). In

quest'opera la tendenza antifilosofica, che forse fu influenzata da eventicontemporanei e dalla persecuzione del 1391, è espressa molto chiaramente: nonvi è più spazio per il compromesso tra il misticismo e le esigenze delpensiero razionalista. Non si può tuttavia sostenere che questo punto di vistadominasse la Cabala nella sua totalità, perché negli anni che seguirono, finoall'inizio del XVI secolo, vi furono vari tentativi di conciliazione, notevolisoprattutto tra i cabalisti italiani.In contrasto con la direzione chiara seguita dalla pseudoepigrafia del Seferha-Peli'ah, non vi è una finalità evidente nella voluminosa attivitàpseudoepigrafica del cabalista provenzale Moses b. Isaac Botarel. Egli scrisseun gran numero di libri intorno al 1400, incluso un lungo commento sul SeferYezirah, e li riempì di citazioni inventate dalle opere di cabalisti e dialtri autori, personaggi storici o immaginari. Questo metodo, tuttavia, nonera affatto simile a quello dello Zohar; e inoltre, egli coltivò unatteggiamento conciliante verso la filosofia, in completo contrasto con ShemTov b. Shem Tov. Mentre l'autore di Sefer ha-Peli'ah e Sefer ha-Kanah,presentava la Cabala come l'unica interpretazione che poteva salvare ilGiudaismo dal deterioramento e dalla disgregazione, in altri ambienti,imbevuti di un netto spirito talmudico ed etico, la si considerava un elementocomplementare, ponendone in risalto le idee morali e ascetiche. É evidente chela Cabala aveva già acquisito una posizione consolidata agli occhi delpubblico, e inequivocabili elementi cabalistici avevano incominciato a fare laloro apparizione nella letteratura etica del XIV e del XV secolo. A questoproposito Menorat ha-Ma'or di Israel al-Nakawa di Toledo (m. 1391) ha unagrande importanza. É un'opera esauriente sul Giudaismo, con un saldo punto divista halakhico. Ogni volta che in questo libro (destinato a un vastopubblico) vengono discusse questioni etiche, si citano affermazioni tratte

dallo Zohar (in ebraico, sotto il nome di Midrash Yehi Or) e da altre operecabalistiche, incluso specificamente Hibbur ha-Adam im Ishto, un trattato sulmatrimonio e la sessualità scritto da un cabalista anonimo (forse Joseph diHamadan) alla fine del XIII secolo e attribuito a Nahmanides sotto il titoloIggeret ha-Kodesh.La letteratura degli stessi cabalisti attesta l'esistenza continua, in varicircoli, di una forte opposizione alla Cabala e alle sue affermazioni, daparte di halakhisisti, letteralisti e filosofi. A partire dalla polemica diMeir b. Simeon di Narbona (1250) questa opposizione continuò a venireespressa, en passant come nel caso di Isaac Polkar e Menahem Meiri, oppure inopere specifiche; ad esempio in Alilot Devarim di Joseph b. Meshullam (?) chescrisse in Italia nel 1468 (Ozar Nehmad, 4 (1763), 179-214) e in parecchiscritti di Moses b. Samuel Ashkenazi di Candia, 1460 (nel manoscritto Vaticano

254). Anche con la diffusione della Cabala in ambienti assai più vasti, questevoci non furono messe a tacere, soprattutto in Italia.In Spagna, la creatività cabalistica diminuì considerevolmente nel XV secolo.Lo stimolo originale della Cabala aveva già raggiunto la sua espressione piùpiena. Vi furono molti altri cabalisti in Spagna, e i numerosi manoscritti chevi furono redatti attestano quanti fossero coloro che se ne occupavano, ma leloro opere presentano scarsissima originalità. Nel 1482, Joseph Alcastiel diJativa scrisse responsa a 18 quesiti su vari argomenti cabalistici, che glierano stati rivolti da Judah Hayyat, e in essi adottò un punto di vista moltoindipendente. Joshua b. Samuel ibn Nahmias, nel suo libro Migdol Yeshu'ot(manoscritto Musajoff), Shalom b. Saadiah ibn Zaytun di Saragozza e gli

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allievi di Isaac Canpanton, che occupò una posizione centrale nel Giudaismodella Castiglia alla metà del secolo XV, furono tra i principali esponentidella Cabala. Molti cabalisti si erano trasferiti in Italia prima ancoradell'espulsione dalla Spagna, per esempio Isaac Mar-Hayyim, che scrisse nel1491, durante il viaggio verso Erez Israel, due lunghe lettere su problemirelativi al principio dell'emanazione. Joseph ibn Shraga (m. 1508-9), che aisuoi tempi venne chiamato "il cabalista di Argenta", e Judah Hayyat, autore diun lungo commento, Minhat Yehu,dah, su Ma'arekhet ha-Elohut (1558), furono

anch'essi tra i principali protagonisti della trasmissione della Cabalaspagnola all'Italia. Il libro Ohel Mo'ed (manoscritto di Cambridge) fu scrittoda un cabalista sconosciuto prima del 1500, in Italia o forse ancora inSpagna, per difendere la Cabala contro i detrattori. Abraham b. Eliezerha-Levi e Joseph Taitazak, incominciarono anch'essi la loro attivitàcabalistica quando ancora erano in Spagna. Il libro rivelazioni del secondo,Sefer ha-Meshiv, in cui si dice che chi parla è Dio stesso, venne forsecomposto prima dell'espulsione. L'attività degli emigranti rafforzò la Cabala,che acquisì molti aderenti in Italia nel XIV e nel XV secolo. Reuben Zarfatiinterpretò la teoria delle Sefirot; Jonathan Alemano, che unì la Cabala allafilosofia, scrisse un commento alla Torah in Einei ha-Edah (manoscritto diParigi), e ai Cantico dei Cantici in Heshek Shelomo; inoltre, compilò unavasta antologia di miscellanee cabalistiche (manoscritto di Oxford). Inoltre,compose un'opera senza titolo sulla Cabala. Solo l'introduzione del suocommento al Cantico dei Cantici è stata pubblicata (1790). Judah b. JehielMesser Leon di Mantova si oppose alle tendenze dei tardi cabalisti e difese laconvinzione che i principi cabalistici fossero in armonia con le ideeplatoniche. Questo risalto attribuito al platonismo cabalistico si confacevaindubbiamente al temperamento spirituale degli umanisti della cerchia diMarsilio Ficino e di Pico della Mirandola. Il poeta Moses Rieti dedicò partedella sua opera poetica Mikdash Me'at a un discorso in rima su ideecabalistiche, ed Elijah Hayyim di Gennazano scrisse un'introduzione allaCabala intitolata Iggeret Hamudot (1912).

La Cabala dopo l'espulsione dalla Spagna e il nuovo centro a Safed

L'espulsione dalla Spagna, avvenuta nel 1492, produsse un mutamento d'enorme

rilievo nella storia della Cabala. Il profondo sconvolgimento causato nellacoscienza giudaica da questa catastrofe fece sì che la Cabala divenisseproprietà comune. Sebbene si fosse diffusa nelle generazioni precedenti,restava tuttora patrimonio esclusivo di circoli relativamente chiusi, che solodi tanto in tanto uscivano dal loro isolamento aristocratico. I fini di certipersonaggi, come l'autore dello Zohar o del Sefer ha-Peli ah, che intendevanocreare un'opera di importanza storica e sociale, si realizzarono solo nel XVIsecolo. Solo in questo periodo, inoltre, l'atmosfera escatologica prevalentein particolari personalità spagnole si combinò con gli stimoli piùfondamentali della Cabala. Con l'espulsione, il messianesimo divenne parte delnucleo stesso della Cabala. Le generazioni precedenti incentravano il, loropensiero sul ritorno dell'uomo alla fonte della sua vita, tramite lacontemplazione dei mondi superni, e sull'istruzione nel metodo del ritorno

mediante la comunione mistica con la fonte originale. Era un ideale che sipoteva realizzare in qualunque luogo e in qualunque momento, e la comunionemistica non dipendeva da una struttura messianica. Ora, invece, si combinò conle tendenze messianiche e apocalittiche, che attribuivano al cammino dell'uomoverso la redenzione un'importanza maggiore che non al futuro ritorno allafonte di ogni esistenza di Dio. Questa combinazione al misticismo e dimessianesimo apocalittico trasformò la Cabala in una forza storica distraordinario dinamismo. I suoi insegnamenti restavano tuttora profondi,astrusi, di difficile comprensione per le masse; ma i suoi fini si prestavanofacilmente alla divulgazione, e molti cabalisti cercarono di estendernel'influenza in tutta la comunità. La Cabala penetrò in molte aree della fede e

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delle consuetudini popolari, vincendo l'opposizione irriducibile di certuni.Si deve notare che lo sviluppo estremamente originale della Cabala dopol'espulsione non ebbe inizio in Italia, benché questo paese fosse un centro difiorente cultura giudaica, e vi si svolgesse una feconda attività cabalistica.La vera forza creativa venne dal nuovo centro, creato in Erez Israel circa 40anni dopo l'espulsione. Il movimento religioso che ebbe origine a Safed, e chesi manifestò in un rinnovamento della Cabala in tutta la sua intensità, èparticolarmente importante perché fu l'ultimo movimento del Giudaismo ad avere

una portata tanto vasta e un'influenza così decisiva e continua sulla Diasporanel suo complesso, in Europa, in Asia e nell'Africa settentrionale. Questainfluenza si mantenne anche dopo la dispersione del movimento shabbateo, equesto attesta in quale misura si fosse radicata nella coscienza nazionale.Un nesso tra l'apparizione di nuovi aspetti della Cabala e la sua rapidadiffusione, e l'imminente redenzione di Israele era stato già stabilito daalcuni cabalisti spagnoli, come l'autore di Ra'aya Meheimna e l'autore diSefer ha-Peli'ah. Ma solo dopo l'espulsione questa divenne una forza dinamicae onnicomprensiva. Una chiara indicazione si trova nell'affermazione di uncabalista sconosciuto: "Il decreto dall'alto che non si discutessel'insegnamento cabalistico in pubblico fu stabilito per durare soltanto untempo limitato, fino al 1490. Noi siamo quindi entrati nel periodo chiamato'l'ultima generazione', e allora il decreto è stato abrogato, e il permesso èstato accordato, e a partire dal 1540 la più importante mizvah sarà per tuttidi studiarlo in pubblico, per vecchi e giovani, poiché questo e null'altroporterà la venuta del Messia" (citato nell'introduzione di Abraham Azulai alsuo Or ha-Hammah sullo Zohar).Gli esuli studiavano la Cabala soprattutto nelle sue forme più antiche, macercavano di rispondere all'interesse che la Cabala stessa suscitava inItalia, nell'Africa settentrionale e in Turchia per mezzo di esposizionisistematiche e complete, che tuttavia in quest'epoca non contenevano nuovipunti di vista. I principali esponenti della Cabala furono Judah Hayyat, nelsuo ampio commento a Ma'arekhet ha-Elohut, che fu plagiato da parecchicabalisti italiani; Abraham Saba e Joseph Alashkar, nei loro commenti allaScrittura e alla Mishnah; Abraham Adrutiel in un'antologia di tradizionipreesistenti intitolata Aunei Zikkaron, e soprattutto Meir b. Gabbai, nellasua esauriente esposizione in Avodat ha-Kodesh (1568), che fu forse la più

splendida esposizione della speculazione cabalistica prima della rinascitadella Cabala a Safed. Vi fu un'intensa attività lungo le linee tradizionali,soprattutto in Italia e in Turchia. Tra coloro che furono attivi in Italiafigurano Elijah Menahem Halfan di Venezia, Berakhiel b. Meshullam Cafman diMantova (Lev Adam, 1538, nel manoscritto Kaufmann 218), Jacob Israel Finzi diRecanati (commento alla liturgia, manoscritto di Cambridge), Abraham b.Solomon Treves ha-Zarfati (n. 1470) che visse a Ferrara ed ebbe "unarivelazione di Elia", e Mordecai b. Jacob Rossillo (Sha arei Hayyim,manoscritto di Monaco 49). Una visione panteistica della relazione tra Dio eil mondo venne formulata chiaramente in Iggeret ha-Ziyyurim da un cabalistasconosciuto nella prima metà del XVI secolo in Italia (manoscritto JTS). Uncentro importante si formò a Salonicco, quindi in Turchia Tra i principaliesponenti vi furono: Joseph Taitazak; Hayyim b. Jacob Obadiah de Bosal (Be'er

Mayim Hayyim, 1546); Isaac Shani (Me'ah She'arim, 1543); e Isaac b. AbrahamFarhi, che diffuse a proprio nome l'anonimo Ta'amei ha-Mizvot, scritto inrealtà intorno al 1300. Il filosofo cabalista David b. Judah Messer Leonlasciò l'Italia per operare a Salonicco, ma il suo libro Magen David(manoscritto 290 del London Jews' College) sui principi filosofici dellaCabala fu scritto apparentemente a Mantova; quest'opera influenzò parecchicabalisti venuti dopo di lui, inclusi Meir ibn Gabbai e Moses Cordovero. AncheSolomon Alkabez cominciò a operare in questo ambiente, prima di trasferirsi aSafed.Inoltre, sappiamo che vi fu una considerevole attività cabalistica in Marocco.Zeror ha-Mor (1523) di Abraham Sabba, scritto tra il 1498 e il 1501 a Fez,

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divenne un classico dell'esegesi cabalistica della Torah. JosephAlashkar scrisse quasi tutti i suoi libri a Tlamcen (Zofenat Pa'eah, 1529,manoscritto di Gerusalemme 2° 154; e parecchi altri libri nel Katalog derHandschriften... E. Carmoly, 1876), ma il centro principale in quest'area eraDra (o Dar'a), i cui cabalisti erano famosi. La Mordecai Buzaglo scrisseM'ayenot ha-Hokhmah, che venne nascosto dai cabalisti (manoscrittoGoldschmidt, Copenhagen), e un commento alla liturgia (Malkhei Rabbanan(1931), 86-87). Era questo l'ambiente in cui fu scritto il Ginnat Bitan,

un'introduzione alla teoria delle Sefirot, opera di Isaac b. Abraham Cohen(manoscritto Gaster 720). Quest'opera non deve essere confusa con il Ginnatha-Bitan, che ha due commenti attribuiti ai cabalisti spagnoli Jacob b. Todrose Shem Tov ibn Gaon (manoscritto Gaster 1398) e che, dall'inizio alla fine(come è stato dimostrato da E. Gottlieb), è un falso del tardo XVI secolo,basato su Ma'arekhet ha-Elohut e sul commento di Judah Hayyat alla stessaopera. Il libro più importante prodotto dai cabalisti marocchini in questoperiodo fu Ketem Paz di Simeon ibn Labi di Fez, l'unico commento allo Zoharche non fosse scritto sotto l'influenza della nuova Cabala di Safed. Diconseguenza, spesso è più vicino al significato primario del testo (la partesulla Genesi fu stampata nel 1795). Numerosi cabalisti operavano a Gerusalemmee a Damasco. Alcuni erano emigrati dalla Spagna, altri erano musta'rabin. Tragli emigrati dal Portogallo vi era Judah b. Moses Albotini (m. 1520) chescrisse un'introduzione alla Cabala profetica, e dedicò alla Cabala molticapitoli del suo libro Yesod Mishneh Torah su Maimonide. A Damasco, alla metàdel secolo, Judah Haleywa, membro d'una famiglia spagnola, scrisse il Seferha-Kauod (manoscritto di Gerusalemme 8° 3731). Tuttavia, questo fu soprattuttoil centro dell'attività di Joseph b. Abraham ibn Zayyah, uno dei musta'rabinche visse per parecchi anni a Gerusalemme e nel 1538 vi scrisse Euenha-Shoham, nel 1549 She'erit Yosef (manoscritto della comunità di Vienna,catalogo Schwarz 260), e numerose altre opere cabalistiche. Notevoli per leloro speculazioni teoriche su dettagli del sistema delle Sefirot e per laprofonda meditazione sul misticismo del numero infinito di luminari cherisplendono nelle Sefirot, i suoi libri rappresentano il culmine di una certavisione dell'argomento e nel contempo rivelano una forte tendenza verso laCabala pratica e le questioni riguardanti la sitra ahra.I libri scritti dagli ashkenazim dopo l'espulsione dalla Spagna furono

soprattutto di tipo antologico: come Shoshan Sodot di Moses b. Jacob di Kiev(stampato parzialmente nel 1784, e pervenuto nella forma integrale delmanoscritto di Oxford 1656); Sefer ha-Miknah di Joseph (Josselmann) di Rosheim(1546, parzialmente edito nel 1970); e il commento alla liturgia di NaphtaliHirz Treves (1560). Gli scritti di Eliezer b. Abraham Eilenburg sulla Cabala ela filosofia mostrano come campi molto diversi si intrecciano nella mente diun cabalista tedesco che studiò in Italia e viaggiò in parecchi paesi.Eilenburg curò i libri dei primi cabalisti, aggiungendovi materiale suo, inparte autobiografico. La Cabala mise radici in Germania molto tempo prima digiungere in Polonia, dove penetrò solo nella seconda metà del secolo,attraverso l'opera di Mattathias Delacrut, David Darshan e Mordecai Yaffe.La pubblicazione a stampa di parecchie opere classiche contribuì moltissimoalla diffusione della Cabala, soprattutto alla metà del XVI secolo. All'inizio

non vi fu opposizione - né quando il libro di Recanati fu pubblicato a Venezia(1523), né quando parecchi altri libri uscirono a Salonicco e Costantinopoli -sebbene tali opere non ricevessero la haskamah ("approvazione") delle autoritàrabbiniche. Tuttavia, quando si cominciò a pensare di stampare lo stesso Zohare il Ma'arekhet ha-Elohut (1558), il progetto diede origine ad accanitediscussioni tra i rabbini italiani; alcuni dei cabalisti più importanti siopposero violentemente, proclamando il loro timore che tali opere inducesseroall'errore. L'ordine di papa Giulio III, che fece bruciare il Talmud in Italia(1553), ebbe una parte in questa controversia, poiché alcuni temevano che ladiffusione delle opere cabalistiche tendesse a stimolare l'attivitàmissionaria. Alcuni cabalisti che inizialmente s'erano opposti all'idea

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divennero in seguito i protagonisti principali della stampa dello Zohar, adesempio Isaac de Lattes, autore di una decisione in favore della pubblicazionedel testo che appare all'inizio dell'edizione di Mantova. Alla fine, ifavorevoli ebbero la meglio, e la pubblicazione di altre opere della Cabala inItalia, Germania, Polonia e Turchia non incontrò ulteriore opposizione.Oltre alla Cabala tradizionale, durante i quarant'anni immediatamentesuccessivi all'espulsione dalla Spagna, sorse uno straordinario movimentoapocalittico, i cui principali esponenti tra gli emigrati erano attivi in

Palestina e in Italia. Abraham b. Eliezer ha-Levi, che viaggiò in molti paesie si stabilì a Gerusalemme intorno al 1515, dedicò quasi interamente le sueenergie alla diffusione di un'apocalittica cabalistica che suscitò moltoscalpore. Alcuni anni dopo l'espulsione, apparve un libro che costituisce unaprova clamorosa di tale movimento: intitolato Kaf ha-Ketoret (manoscritto diParigi 845) è un'interpretazione dei Salmi intesi come inni di battaglia perla guerra alla fine del tempo, e fu apparentemente scritto in Italia. Inquesto periodo, inoltre, movimenti messianici sorsero tra i marranos inSpagna, ed emersero in Italia intorno al cabalista Asher Lemlein di Reutlingen(1502). Fu inoltre l'epoca del primo resoconto del tentativo compiuto dalcabalista spagnolo Joseph della Reina (c. 1470) per operare la redenzionefinale a mezzo della Cabala pratica. In seguito, la vicenda subì moltiadattamenti e fu ampiamente divulgata. Anche il commentatore Isaac Abrababelrivolse la sua attenzione alla propagazione delle concezioni apocalittiche icui aderenti fissarono variamente la data della redenzione per il 1503, il1512 e il 1541. La ripercussione più seria fu l'agitazione che contrassegnòl'apparizione di David Reuveni e del suo sostenitore Solomon Molcho, le cuiesposizioni cabalistiche (Sefer ha-Mefo'ar, 1529) furono accoltefavorevolmente dai cabalisti di Salonicco. Le visioni e i discorsi di Molchoerano un miscuglio di Cabala e di incitamenti all'attività politica a finimessianici tra i cristiani. Con il suo martirio (1532), egli venne finalmentericonosciuto dalla comunità giudaica come uno dei "santi" della Cabala. Pergli apocalittici, l'avvento di Martin Lutero fu un altro portento un presagiodella disgregazione della chiesa e dell'approssimarsi della fine dei giorni.Dopo il fallimento come movimento propagandistico, il risveglio apocalitticopenetrò a livelli spirituali più profondi. Tanto gli apocalittici cristianiquanto quelli giudaici incominciarono a percepire che alla vigilia della

redenzione la luce sarebbe stata rivelata mediante la rivelazione di misteriin precedenza celati. L'espressione più profonda di questo nuovo movimento fuche Erez Israel divenne il centro della Cabala. Prima Gerusalemme e poi, dal1530 in poi, Safed furono per decenni i luoghi d'incontro di molti cabalistiprovenienti da ogni parte della Diaspora: essi divennero le guide delrisveglio religioso che elevò Safed alla posizione di centro spirituale dellanazione per due generazioni. Qui il vecchio e il nuovo si fondevano: leantiche tradizioni insieme all'aspirazione di raggiungere nuovi vertici dellaspeculazione, che trascendeva quasi completamente le forme più antiche dellaCabala e che ebbe inoltre un'influenza profonda sulla condotta di vita deicabalisti e sui costumi popolari. Persino grandi autorità halakhiche comeJacob Berab e Joseph Caro avevano profonde radici nella Cabala, e non vi èdubbio che le loro attese messianiche spianarono la via alla grande

controversia sulla reintroduzione dell'ordinazione, che Jacob Berab volleorganizzare nel 1538 quando Safed era già un centro riconosciuto. Sephardim,ashkenazim e musta'rabin contribuirono tutti, in varia misura, a questomovimento, che attirò simpatizzanti da terre lontane e fu anche la causa diuna grande innovazione nella Diaspora, dove moltissime comunità accettavano lasuprema autorità religiosa dei saggi di Safed. La diffusione di un modo divita pietista fu un'espressione pratica del movimento, e preparò il terrenoalle colorite leggende che crebbero ben presto intorno ai principali cabalistidi Safed. Come era avvenuto con l'inizio della Cabala in Provenza, anche quile speculazioni razionali troppo profonde si combinavano con rivelazionisgorgate da altre fonti, e assunsero (soprattutto dopo l'espulsione dalla

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Spagna) la forma delle rivelazioni dei maggidim: angeli o anime sante cheparlavano attraverso le labbra dei cabalisti e li spingevano a scrivere leloro rivelazioni. Lungi dall'essere semplicemente un artificio letterario,questa era una specifica esperienza rituale, come è indicato da Seferha-Meshiv di Joseph Taitazak(forse la prima opera di questo tipo) e da MaggidMesharim di Joseph Caro. Ancora una volta, come agli albori della Cabala inProvenza e in Spagna, anche qui vi erano due tendenze opposte, una di naturafilosofica e teoretica, l'altra di natura mitica e antropomorfica.

Le forme più antiche della Cabala furono rappresentate da David b. Solomon ibnZimra (conosciuto come Radbaz. m. 1573), dapprima in Egitto e successivamentea Safed, in Magen David (1713) sulla forma delle lettere, in Migdal David(1883) sul Cantico dei Cantici, in Mezudat David (1862) sul significato deiComandamenti, e inoltre nella composizione poetica Keter Malkhut, che èun'imitazione cabalistica della famosa poesia di Solomon ibn Gabirol (nellaraccolta Or Kadmon, 1703). Per contrasto, un sistema nuovo fu esposto daSolomon b. Moses Alkabez., che emigrò in Erez. Israel da Salonicco, e dal suoallievo e cognato Moses b. Jacob Cordovero (conosciuto come Remak, 1522-70).In Cordovero, Safed produsse il principale esponente della Cabala e il suopensatore più importante. Combinando un pensiero religioso intensivo con lacapacità di esporlo e di spiegarlo, egli fu il principale teologo sistematicodella Cabala. La sua filosofia teoretica era basata su quella di Alkabez., edera completamente diversa dalla Cabala dei primi tempi, soprattutto per quantoriguardava la teoria delle Sefirot. Inoltre, questa filosofia si sviluppògrandemente tra la sua prima opera importante, Pardes Rimmonim, scritta nel1548, e la seconda, Elimah Rabbati, composta 19 anni più tardi; quest'ultimavenne dopo il suo lungo commento allo Zohar, Or Yakar, che interpretava illibro alla luce del suo sistema. Cordovero interpreta la teoria delle Sefirotdal punto di vista di una dialettica immanente che agisce sul processo diemanazione, da lui visto come un processo causativo. Secondo la suaconcezione, vi è un principio formativo, soggetto a una dialettica, chedetermina tutti gli stadi della rivelazione del Divino (Ein So) tramitel'emanazione. Il Divino, così come si rivela quando emerge dalle profonditàdel proprio essere, agisce come un organismo vivente. Queste e altre ideeconferiscono al suo sistema un aspetto diverso da quello adottato in Avodatha-Kodesh di Gabbai, che fu scritto (1531) poco prima della creazione del

centro di Safed, sebbene entrambi siano basati sullo Zohar. Sembrerebbe chel'esposizione sistematica di Alkabez sia stata scritta solo dopo PardesRimmonim (Likkutei Hakdamot le-Hokhmat ha-Kabbalah, manoscritto di Oxford1663). Cordovero fu seguito dai suoi discepoli, Abraham ha-Levi Berukhim,Abraham Galante, Samuel Gallico e Mordecai Dato, il quale introdusse la Cabaladel suo maestro in Italia, suo luogo di nascita e teatro della sua prolificaattività cabalistica. Eliezer Azikri ed Elijah de Vidas, entrambi allievi diCordovero, scrissero a Safed le sue opere classiche sull'etica cabalistica cheerano destinate ad avere un pubblico numeroso tra gli studiosi della Torah:Sefer Haredim e Reshit Hokhman. Questi libri non ebbero soltanto una grandeinfluenza in se stessi, ma aprirono la strada a un intero genere letterario diopere sull'etica e il comportamento nella maniera cabalistica apparse nel XVIIe nel XVIII secolo e divenute molto popolari. Questa letteratura contribuì

alla diffusione di massa della Cabala più dei libri che trattavano dellaCabala in senso più stretto, e il cui contenuto mistico era comprensibile soloa pochi.Un testo che non dipende dalla Cabala di Cordovero, ma che è saturodell'atmosfera di Safed, dove l'idea della trasmigrazione aveva un postoimportante, è Gallei Razayya, di autore ignoto. Attribuito con molti dubbi adAbraham ha-Levi Berukhim, questo libro fu scritto nel 1552-53, e la sezionepiù importante è dedicata alla teoria dell'anima e delle sue trasmigrazioni.Particolarmente sorprendente è il tentativo di spiegare le vite degli eroibiblici, soprattutto le loro azioni più reprensibili e i loro rapporti condonne straniere, in termini di trasmigrazione delle anime. Il libro è una

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delle creazioni più originali della Cabala: è stato stampato (1812) solo inparte, sebbene sia pervenuto fino a noi nel testo integrale (manoscritto diOxford 1820). La sua ardita psicologia divenne un precedente dell'approccioparadossale degli shabbatei nell'interpretazione dei peccati dei personaggibiblici. Abbastanza stranamente, non risulta che suscitasse opposizioni disorta.Per il magnetismo della sua personalità e la profonda impressione che fece sututti, Isaac Luria Ashkenazi, l'"Ari" (1534-72), fu più grande di Cordovero

(cfr. p. 422). Figura centrale della nuova Cabala, egli fu il più importantemistico cabalista dopo l'espulsione. Sebbene operasse a Safed solo durante gliultimi due o tre anni della sua vita, ebbe una profonda influenza sullacerchia ristretta dei suoi discepoli - alcuni dei quali erano grandi eruditi -che dopo la sua morte propagarono e interpretarono varie versioni delle sueidee e del suo modo di vita, soprattutto a partire dalla fine del XVI secolo.Immediatamente dopo la sua morte, intorno a lui vennero intessute numeroseleggende, in cui la realtà storica si mescolava alla fantasia. La potenza diLuria come pensatore non può essere paragonata a quella di Cordovero, con ilquale studiò per un breve periodo nel 1570; ma la sua influenza personale estorica fu molto più profonda, e in tutta la storia della Cabala solo quelladello Zohar si può paragonare alla sua. Sviluppato partendo da speculazioni dicarattere mitico sullo Zohar, in generale il suo sistema dipendeva daCordovero più di quanto si ritenesse in precedenza, sebbene egli operasse unasorte di rimitizzazione dei concetti teoretici di questi. In particolare leinterpretazioni date da Cordovero alle idee espresse nell'Idra dello Zohar,espresse nella sua Elimah Rabbati ebbero una netta influenza su Luria, ilquale basò i dettagli del suo sistema soprattutto sulle Idrot, In Luria,queste idee sono legate al suo interesse per le combinazioni delle letterequali mezzi di meditazione. Una vasta area del suo sistema non si presta a unacompleta penetrazione intellettuale, e in molti casi può essere raggiunta solomediante la meditazione individuale. Anche nella sua teoria della creazione(si veda più sotto), che fin dall'inizio è associata all'estremo misticismodel linguaggio e ai Nomi Sacri in cui è concentrato il potere divino,arriviamo rapidamente al punto - i dettagli dell'idea del tikkun haparzufim("la restaurazione dei volti [di Dio]") - che trascende la portata dellapercezione intellettuale. Abbiamo a che fare, qui, con un caso estremo di

reazione gnostica nella Cabala, che trova espressione nella collocazione diinnumerevoli stadi tra i gradi di emanazione e delle luci che risplendono inessi. Questa reazione gnostica, e con essa la tendenza mistica nella Cabala,raggiunsero il punto più alto in Luria, mentre la sua relazione con letendenze filosofiche della Cabala spagnola e il Cordovero era più esile.I brani che sono comprensibili e che sono relati all'origine del processodella creazione sono molto dissimili dai punti di partenza dei neoplatonici,ma hanno una grande importanza per la storia del misticismo, e la loroinfluenza storica fu sorprendente. È appunto in queste sezioni che troviamoimportanti differenze nelle varie versioni della Cabala lurianica. Alcunenascondevano certe parti di queste speculazioni, come fece Moses Jonah conl'intera teoria dello zimzum ("contrazione" ) nel suo Kanfei Yonah, e HayyimVital (cfr. p. 445) con il problema del berur ha-dinim, la progressiva

rimozione dei poteri del rigore e della severità dall'Ein-Sof nel processo dicontrazione ed emanazione. Alcuni aggiunsero idee nuove, come Israel Sarug,nella sua teoria del malbush ("veste") che è formato dal movimento linguisticointeriore dell'Ein Sof ed è il punto d'origine, precedente anche allo zimzum.Gli aspetti originali dell'opera di Luria, in generale come in particolare,erano nel contempo profondi ed estremi, e nonostante il fatto che eranoradicati in idee precedenti, diedero alla Cabala un aspetto completamentenuovo. Una nuova terminologia e un nuovo simbolismo più complesso sono lecaratteristiche principali della letteratura di questa scuola. Vi era moltaoriginalità nelle idee relative al zimzum che precedeva l'intero processodell'emanazione e della rivelazione divina; la natura duale dell'evoluzione

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del mondo mediante il hitpashetut ("egresso") e il histallekut ("regresso")delle forze divine, che introdusse un elemento dialettico fondamentale nellateoria dell'emanazione (già apparsa in Cordovero); i cinque parzufim("configurazioni") quali unità principali del mondo interiore, che sonosemplicemente configurazioni delle Sefirot nel nuovo ordinamento, di fronte alquale le dieci Sefirot perdono la precedente indipendenza - La crescita delmondo dalla necessaria catastrofe che sopraffece Adamo; e il lento tikkun("restaurazione") delle luci spirituali cadute sotto la dominazione delle

kelippot ("gusti, bucce"; forze del male). Il carattere gnostico di questeidee, che costituiscono una nuova mitologia nel Giudaismo, è indubitabile.Parallelamente al dramma cosmogonico esiste un dramma psicologico, altrettantocomplesso, riguardante la natura del peccato originale e la restaurazionedelle anime condannate alla trasmigrazione a causa di tale peccato. La teoriadella preghiera e della kavvanah ("intenzione") mistica diviene ancora unavolta centrale nella Cabala, e il risalto che riceve supera di gran lungaquello accordato in precedenza all'argomento. Questo misticismo dellapreghiera si rivelò come il fattore più importante della nuova Cabala, grazieallo stimolo costante che dava all'attività contemplativa. Nella cabalalurianica esisteva uno splendido equilibrio tra le speculazioni teoriche equesta attività pratica. L'elemento messianico è qui assai più notevole che inaltri sistemi cabalistici, perché la teoria del tikkun confermava l'interosignificato del Giudaismo quale acuta tensione messianica. Questa tensioneproruppe finalmente nel movimento messianico shabbateo, il cui fascinoparticolare e la cui forza storica si possono spiegare con la combinazione tramessianesimo e Cabala. Un'esplosione messianica come questa era inevitabile inun periodo in cui le tendenze apocalittiche potevano venire facilmenterisuscitate in vasti strati del pubblico grazie al predominio della Cabalalurianica. Non che questa forma di Cabala fosse distinta da altre correnti,nella sua tendenza all'applicazione pratica e nella sua associazione con lamagia. Questi due elementi esistevano anche in altri sistemi, persino inquello di Cordovero. La teoria della kavuanah nella preghiera e nel compimentodelle mizvot conteneva indubbiamente un forte elemento magico mirante ainfluenzare l'io interiore. Gli yihudim, esercizi di meditazione basati sullaconcentrazione mentale sulle combinazioni dei Nomi Sacri, che Luria assegnavaai suoi discepoli, contenevano tale elemento di magia, come contenevano altri

mezzi per raggiungere lo spirito santo.I discepoli di Luria lo vedevano come il Messia, figlio di Joseph, che dovevapreparare la via alle successive rivelazioni del Messia, figlio di David, maper un'intera generazione dopo la sua morte, rimasero riuniti in gruppiesoterici e fecero poco per diffondere tra il popolo la loro fede. Solooccasionalmente scritti frammentari e antologie o sommari degli insegnamentidi Luria si diffusero al di fuori di Erez Israel. Nel frattempo, proprio inErez Israel, nacque una letteratura completa di "scritti lurianici" originatanei circoli dei suoi discepoli e degli allievi di questi. Solo una minimaparte di tali opere proveniva dagli scritti dello stesso Luria. Oltre aidiscepoli ricordati più sopra, anche Joseph ibn Tabul, Judah Mishan ed altriparteciparono a questa attività, ma nessuno di loro divenne propagandista, ofu attivo al di fuori di Erez Israel. Questo ebbe inizio solo alla fine del

XVI secolo con il viaggio di Israel Sarug in Italia e in Polonia, e quindi peril tramite di uno studioso che, nonostante le sue affermazioni non era statouno degli allievi di Luria, a Safed, ma soltanto un suo discepolo in sensospirituale. Fin verso il 1620 la Cabala rimase soprattutto sotto l'influenzadegli altri cabalisti di Safed, in particolare Cordovero.Quando la Cabala incominciò ad irradiarsi da Safed alla Diaspora, fuaccompagnata da una grande ondata di esaltazione religiosa, soprattutto inTurchia, Italia e Polonia. In Italia ebbe un'importanza particolare l'opera diMordecai Dato, che si dedicò anche alla propaganda messianica letterariaintorno all'anno 1575, considerato da molti l'anno della redenzione.Altrettanto importante fu il suo allievo Menahem Azariah Fano (m. 1623) che

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per molti anni fu considerato il più eminente cabalista d'Italia e produsse unconsiderevole numero di opere, seguendo inizialmente Cordovero e quindi laCabala lurianica nella versione diffusa da Sarug. Egli e i suoi discepoli,particolarmente Aaron Berachiah b. Moses di Modena (m 1639) e Samuel b. ElishaPortaleone, fecero dell'Italia uno dei centri più importanti della Cabala. InItalia e in Polonia i predicatori cominciarono a parlare in pubblico diargomenti cabalistici, e la fraseologia cabalistica divenne patrimoniogenerale. Furono inoltre compiuti alcuni tentativi di spiegare le idee

cabalistiche senza ricorrere al linguaggio tecnico: lo si può osservareparticolarmente negli scritti di Judah Loew b. Bezalel (Maharal di Praga) enel Bet Mo'ed di Menahem Rava di Padova (1608). La diffusione della Cabalaportò inoltre con sé una mescolanza di fede popolare e di speculazione misticache ebbe vasti risultati. Le nuove consuetudini dei cabalisti di Safed sicomunicarono a un pubblico più ampio, specialmente dopo l'apparizione di Sederha-Yom di Moses ibn Makhir di Safed (1599). Manuali penitenziali basati sullepratiche dei cabalisti di Safed e nuove preghiere e costumi si diffusero inItalia, e più tardi anche in altre terre; e gruppi speciali furono istituitiper la loro propagazione. Non c'è da stupirsi se il momento portò anche allarinascita della poesia religiosa, radicata nel mondo della Cabala. Iniziataanch'essa a Safed, dove i suoi esponenti principali erano Eliezer AzikriIsrael Najara, Abraham Maimin e Menahem Lonzano, questa poesia giunse inItalia, dove fu esemplificata dalle opere di Mordecai Dato, Aaron BerechiahModena e Joseph Jedidiah Carmi; negli anni che seguirono ebbe echi vastissimi.Molti poeti ebbero nella Cabala un potente stimolo creativo, soprattutto ilgrande poeta yemenita Shalom (Salim) Shabbazi, Moses Zacuto e Moses HayyimLuzzatto. Nelle loro opere, essi rivelarono il valore immaginativo e poeticodei simboli cabalistici, e molte delle loro poesie trovano posto nei libri dipreghiere, tanto della comunità quanto dei singoli.Fino a quando Hayyim Vital, il principale discepolo di Luria, rifiutò dilasciar pubblicizzare i suoi scritti - un processo che iniziò veramente solodopo la morte di Vital (1620) - la conoscenza dettagliata della Cabalalurianica pervenne alla Diaspora dapprima tramite le versioni di Moses Jonah eIsrael Sarug. Quasi tutte le opere della Cabala dedicate alla diffusione diqueste idee attraverso la stampa nella prima metà del XVII secolo recanol'impronta di Sarug. Ma nel suo libro Shefa Tal (1612) Shabbetai Sheftel

Horowitz di Praga basò il tentativo di conciliare la teoria lurianica dellozimzum con la Cabala di Cordovero sugli scritti di doseph ibn Tabul. AbrahamHerrera, un allievo di Sarug che collegò l'insegnamento del suo maestro allafilosofia neoplatonica, scrisse Puerto del Cielo, l'unica opera cabalisticaoriginariamente scritta in spagnolo, che fu conosciuta da molti studiosieuropei tramite la traduzione in ebraico (1655) e quella (parziale) in latino(1684).All'inizio, le idee lurianiche apparvero in stampa solo in una formaabbreviata, come nell'Appiryorl Shelomo di Abraham Sasson (Venezia, 1608), manel 1629-31 furono pubblicati i due volumi di Joseph Solomon Delmedigo,Ta'alumot Hokhmah e Novelot Hokhmah, che includevano anche materiale trattodagli scritti di Sarug e dei suoi discepoli. L'ultimo volume comprende anche ilunghi studi di Delmedigo su queste idee e numerosi tentativi di spiegarle

filosoficamente. In questi anni si diffusero i manoscritti degli insegnamentidi Vital, e nel 1648 apparve ad Amsterdam l'Emek ha-Melekh di NaphtaliBacharach (cfr. p. 396), che conteneva un'esposizione estremamente dettagliatadella dottrina lurianica, basata su una mescolanza delle due tradizioni diVital e Sarug. Ebbe un'influenza enorme, benché suscitasse anche proteste ecritiche. Fu seguito dalla pubblicazione di altre fonti che cercavanod'interpretare il nuovo insegnamento; ad esempio, Hathalat ha-Hokhmah dellascuola di Sarug, pubblicato da un cabalista polacco, Abraham Kalmanks diLublino, il quale si presentò come l'autore del libro sotto il titolo Ma'ayanha-Hokhmah (Amsterdam, 1652). Tuttavia, i libri pubblicati nel campo dellaCabala, che continuarono ad aumentare di numero durante il XVII secolo,

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rispecchiano solo parzialmente le grandi ondate della Cabala che investivanotanto l'Oriente quanto l'Occidente. Da Erez Israel e dall'Egitto si diffuseuna grande varietà di diverse edizioni e redazioni di ogni tipo diinsegnamenti lurianici, che conquistarono quanti avevano tendenze mistiche. Ingran parte, questa produzione fu opera di uomini attivi nel centro creato aGerusalemme tra il 1630 e il 1660, i cui principali esponenti, Jacob Zemah,Nathan b. Reuben Spiro e Meir Poppers, lavorarono instancabilmente per curaregli scritti di Vital e per comporre opere nuove. Tra queste, solo i libri di

Nathan Spiro, che trascorse in Italia alcuni anni verso la conclusione dellasua vita, vennero stampati (Tuv ha-Arez, 1655, Yayin ha-Meshummar, 1660, eMazzat Shimmurim tutti a Venezia). Il mondo in cui la Cabala penetrava ogniaspetto della vita si può vedere non soltanto nel lungo elenco di opereomiletiche di carattere completamente cabalistico e di opere etiche scrittesotto la sua influenza (soprattutto Shenei Luhot ha-Berit di Isaiah Horowitz),ma anche nell'interpretazione di dettagli giuridici e halakhici basati suprincipi cabalistici. Hayyim b. Abraham ha-Kohen di Aleppo si distinseparticolarmente in questo campo e il suo libro Mekor Hayyim, con le sue varieparti, spianò la strada a un nuovo tipo di letteratura cabalistica.L'ascesa della Cabala e il suo completo predominio in molti ambienti furonoaccompagnati da diverse reazioni ostili. È vero, naturalmente, che l'appoggiodato alla Cabala da uomini di indiscutibile autorità rabbinica prevenneattacchi vituperosi e soprattutto aperte accuse di eresia, ma moltiintellettuali dallo spirito più conservatore guardavano con sospetto laCabala; e alcuni arrivarono ad esprimere apertamente tale ostilità nei lorolibri. Tra questi devono essere menzionati Elijah Delmedigo nel suo Behinatha-Dat, e Mordecai Corcos in un'opera speciale, oggi perduta. Un accanitoattacco contro la Cabala fu sferrato da Moses b. Samuel Ashkenazi di Candia(c.1460) in numerosi scritti preservati nel manoscritto Vaticano 254. Un'operaanonima, Ohel Mo'ed (del periodo dell'espulsione dalla Spagna; manoscritto diGerusalemme), fu scritta per rispondere ai rabbini che disprezzavano oderidevano la Cabala. Quando la Cabala si diffuse più ampiamente nellacomunità, Leone (Judah Aryeh) Modena di Venezia (intorno al 1625) scrisse laclassica opera polemica contro di essa (Ari Nohem), tuttavia non osòpubblicarla (a cura di N. Libowitz, 1929). Tuttavia il suo libro, ampiamentediffuso in manoscritto, provocò numerose reazioni. Joseph Solomon Delmedigo, a

sua volta, criticò severamente la Cabala in Iggeret Ahuz, un'opera che circolòanch'essa soltanto in forma manoscritta (pubblicata da Abraham Geiger in MeloChofnajim, Berlino, 1840).Nella sua continua avanzata, la Cabala giunse in Polonia a partire dallaseconda metà del XVI secolo. L'entusiasmo pubblico raggiunse tali proporzioniche "chi solleva obiezioni alla scienza della Cabala" veniva considerato"suscettibile di scomunica" (R. Joel Sirkes nei suoi responsa, prima serie(1834), n. 5). Dapprima prevalse il punto di vista di Cordovero, madall'inizio del XVII secolo cominciò a dominare la Cabala di Luria. Tuttavia,prima del 1648 le idee sistematiche della Cabala ebbero scarsa influenza, aquanto è possibile giudicare dagli scritti di Aryeh Loeb Priluk (commenti alloZohar), Abraham Kohen Rappaport di Ostrog (nelle sue omelie alla conclusionedella raccolta di responsa Eitan ha-Ezrahi), Nathan b Solomon Spira di

Cracovia (Megalleh Amukot, 1637), Abraham Chajes (in Holekh Tamim, Cracovia1634) e altri. Anche qui, i primi a circolare furono gli scritti della scuoladi Sarug; apparentemente la visita compiuta dallo stesso Sarug in Polonia pocodopo il 1600, e documentata in modo convincente, lasciò il segno. Si ponevaparticolarmente in risalto la guerra contro il potere della sitra ahracristallizzato nelle kelippot, distaccata dall'associazione con l'idealurianica del tikkun e trattata come un principio fondamentale a sé stante. Latendenza a personificare questi poteri in varie forme demonologiche è evidentein particolare nell'opera di Samson b. Pesah Ostropoler, il quale, dopo la suamorte (fu ucciso nei massacri di Chmielnicki del 1648) fu considerato uno deipiù grandi cabalisti polacchi. Il tentativo di creare una completa mitologia

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demonologica diede un carattere unico a questa particolare corrente dellaCabala. In una certa misura, era basata su scritti falsamente attribuiti aIsaac Luria, ma in realtà composti in Polonia.

La Cabala nei tempi successivi

Una generazione dopo che la Cabala lurianica si era diffusa ampiamente, latensione messianica in essa racchiusa esplose nel movimento shabbateo. Sebbenevi fossero naturalmente vari fattori locali, nella misura in cui le mentierano aperte all'annuncio della venuta del Messia, il crescente predominiodella Cabala nella coscienza popolare del tempo, in particolare tra i piùferventi devoti, deve essere vista come lo sfondo generale che rese possibileil movimento e ne determinò il modo d'espressione. Il profondo rivolgimentoche l'esperienza messianica portò nella sua scia apri la via a grandimutamenti nel mondo della Cabala tradizionale, o nella Cabala consideratatradizionale dalle generazioni precedenti allo Shabbateanismo. Quando cospicuigruppi continuarono ad aggrapparsi alla loro fede nelle rivendicazionimessianiche di Shabbetai Zevi anche dopo la sua apostasia, due fattoricontribuirono a creare un'anomala e audace Cabala shabbatea che fu considerataeretica dai cabalisti più conservatori: 1) l'idea che l'inizio dellaredenzione già permettesse di vedere i mutamenti che la redenzione avrebbeapportato nella struttura del mondo è che il mistero della creazione potesseessere risolto in termini di rivelazioni visionarie che prima non eranopossibili; 2) la necessità di fissare il posto del Messia in questo processo edi giustificare in questo modo la carriera personale di Shabbetai Zevinonostante tutte le sue contraddizioni. Di conseguenza, è chiaro che tutta laCabala shabbatea era nuova, piena di idee ardite che esercitavano unconsiderevole richiamo. L'originalità essenziale contenuta nella Cabala intempi successivi è derivata soprattutto dalla Cabala degli Shabbatei, le cuiidee principali erano creazione di Nathan di Gaza (m. 1680), il profeta diShabbetai, e di Abraham Miguel Cardozo (m. 1706). Sebbene i loro libri nonvenissero stampati, erano copiati di frequente, e l'influenza delle loro idee

su quanti aderivano in segreto allo Shabbateanismo è facilmente riconoscibile,anche nelle numerose opere che ebbero edizioni a stampa. Il fatto che talunidei più grandi rabbini si contassero tra i fedeli shabbatei faceva sì che vifosse una zona crepuscolare nelle loro opere pubblicate. Questa nuova Cabalamostrò la propria forza soprattutto nel periodo dal 1670 al 1730.Per contrasto, era limitata l'originalità dell'opera dei cabalisti rimastifuori dal campo shabbateo. Più continuatori che pensatori originali, essiconcentravano i loro sforzi in due direzioni: 1) proseguire sulla via che eraemersa attraverso l'evoluzione della Cabala, dallo Zohar a Isaac Luria;esaminare e interpretare le opere degli autori precedenti; e in generalecomportarsi come se non fosse accaduto nulla e come se l'esplosione shabbateanon vi fosse mai stata; 2) limitare la diffusione della Cabala tra lapopolazione a causa delle conseguenze pericolose che, essi temevano, lo

Shabbateanismo avrebbe avuto per il Giudaismo tradizionale; e restituire laCabala alla sua posizione di un tempo, non come forza sociale bensì comeinsegnamento esoterico limitato a pochi privilegiati. Questo determinò ilcarattere prevalentemente conservatore della Cabala "ortodossa" a partire dal1700. Attenti a non bruciarsi sui carboni ardenti del messianismo, i suoiaderenti sottolineavano piuttosto gli aspetti della meditazione, dellapreghiera con kavvanah, della teosofia e dell'insegnamento morale nellospirito della Cabala. Le nuove rivelazioni erano guardate con sospetto. Ledifferenze di punti di vista incominciarono a cristallizzarsi, soprattuttosull'esatto modo di intendere gli insegnamenti di Isaac Luria, come eranostati formulati nelle diverse scuole dei suoi discepoli o dei discepoli del

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discepoli. Qui c'era spazio per notevolissime divergenze di opinioni. V'eranoaddirittura alcuni cabalisti che, influenzati segretamente dalloShabbateanismo, tracciavano una chiara linea di demarcazione tra la Cabalalurianica tradizionale e l'area delle nuove rivelazioni e delle nuovericerche, che restava inaccessibile agli estranei. Era come se non vi fosseropunti di contatto tra questi due campi, che riuscivano a permanere fianco afianco entro lo stesso regno. Fu così, ad esempio, per Jacob Koppel Lifschuetz(uno degli shabbatei segreti) nel suo Sha'arei Gan Eden (Koretz, 1803) e, in

modo diverso, per Moses Hayyim Luzzatto (m. 1747), il quale tentò di operareuna distinzione tra i suoi studi sistematici della Cabala lurianica (in PitheiHokhmah e Addir ha-Marom, ecc.) e gli studi basati sulle rivelazioniaccordategli tramite il suo maggid.Molti di coloro che erano considerati i principali cabalisti si adoperaronoper coltivare la tradizione lurianica, talora cercando di combinarla con ilsistema di Cordovero. L'enorme produzione letteraria, della quale è statastampata soltanto una frazione, rispecchia questa situazione. Oltre a questo,vennero realizzate selezioni o antologie, tra le quali spicca Yalkut Reuuenidi Reuben Hoeshke, organizzata in due parti (Praga, 1600, e Wilmersdorf, 1681;si veda più avanti, p. 195). Questa raccolta della produzione aggadica deicabalisti ebbe larga diffusione. Le antologie di questo tipo furono compostesoprattutto dai rabbini sefarditi fino a tempi recenti, quasi sempre conl'aggiunta delle loro interpretazioni: ad esempio, il prezioso MidrashTalpiyyot di Elijah ha-Kohen ha-Itamari (Smirne, 1736).A parte le opere appartenenti alla Cabala nel senso preciso di partecipazionee di presentazione delle sue idee, una Cabala di carattere più popolarecominciò a diffondersi dalla fine del XVII secolo. Tesa a sottolinearesoprattutto il fondamento etico e l'insegnamento relativo all'anima, questaCabala popolare scelse poche idee generali da altri insegnamenti cabalistici ele ricamò con omelie aggadiche di carattere generale. L'influenza di questilibri non fu inferiore a quella delle opere della Cabala tecnica. Questo tipodi letteratura fu iniziato da grandi predicatori come Bezalel b. Solomon diSlutsk, Aaron Samuel Kaidanover e suo figlio Zevi Hirsch, autore di Kavha-Yashar, e Berechiah Berakh Spira della Polonia. Tra i sefarditi vi furonoHayyim ha-Kohen di Aleppo con il suo Torat Hakham, Elijah ha-Kohen ha-Itamaridi Smirne, Hayyim ibn Attar del Marocco con Or ha-Hayyim, e Sassoon ben

Mordecai (Shandookh) (Davar be-Itto, 1862-64) di Baghdad. Si diffusero anchecommenti di questa stessa vena sulla letteratura midrashica, ad esempio Nezerha-Kodesh di Jehiel Mikhal b. Uzziel (su Gen. R., 1719) e Zikkukin de-Nura diSamuel b. Moses Heida (su Tanna de-Vai Eliyahu, Praga, 1676). Sottol'influenza della Cabala, nel secolo XVII furono composti in Polonia iMidrashei ha-Peli'ah. Questi detti estremamente paradossali e sconcertanti,spesso presentati in un antico stile midrashico, possono venire compresi solofacendo ricorso a un miscuglio di allusioni cabalistiche e d'ingegnosità.Secondo Abraham, figlio del Gaon di Vilna (in Rav Pe'alim, 97), una raccoltadi questo tipo, Midrashei Peli'ah, fu stampata a Venezia nel XVII secolo. Siconoscono altre raccolte del XIX secolo.In questo periodo vi furono importanti centri cabalistici in Marocco, dovevenne prodotta una letteratura ricchissima, anche se in gran parte rimase

manoscritta. La Cabala dominava in altri paesi dell'Africa settentrionale, el'importanza maggiore veniva attribuita alla Cabala lurianica in tutte le sueramificazioni. Una mescolanza di tutti i sistemi appare evidente tra icabalisti dello Yemen e del Kurdistan, dove la Cabala mise radici moltoprofonde, soprattutto a partire dal XVII secolo. I più eminenti cabalistiyemeniti, entrambi di Sana, furono il poeta Shalom b. Joseph Shabbazi (XVIIsecolo), che fu anche autore del Midrash Hemdat Yamin sulla Torah(Gerusalemme, 1956) e Joseph Zalah (m. 1806), autore del commento Ez Hayyimsulla liturgia secondo il rito yemenita (Tikhlal,Gerusalemme, 1894). Icabalisti della famiglia Hariri furono attivi a Ruwandiz nel Kurdistan duranteil XVII e il XVIII secolo, e molti dei loro manoscritti sono pervenuti fino a

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noi. In seguito si formarono centri ad Aleppo e Baghdad, i cui cabalistiavevano notevole fama. In tutte quelle zone, e anche in Italia, si sviluppò esi diffuse una poesia religiosa di carattere cabalistico. I poeti principalifurono Moses Zacuto, Benjamin b. Eliezer ha-Kohen e Moses Hayyim Luzzatto inItalia, Jacob b. Zur in Marocco (Et le-Khol Hefez, Alessandria, 1893) SolomonMolcho (secondo) a Salonicco e Gerusalemme (m. 1788) e Mordecai Abadi adAleppo.In contrasto con questi centri regionali, una posizione particolare fu

occupata dal nuovo centro fondato a Gerusalemme alla metà del XVIII secolo eguidato dal cabalista yemenita Shalom Mizrahi Sharabi (ha-Reshash; m. 1777),il cabalista più importante dell'Oriente e dell'Africa settentrionale. Siriteneva che egli fosse ispirato dall'alto, ed era circondato da un rispettonon inferiore a quello dello stesso Isaac Luria. Nella sua personalità e nellayeshivah Bet El che continuò la sua tradizione per quasi 200 anni nella CittàVecchia di Gerusalemme (venne distrutto nel 1927 da un terremoto), sicristallizzò un duplice sistema di approccio: 1) una concentrazione definita,quasi esclusiva sulla Cabala lurianica, basata sugli scritti di Vital, inparticolare Shemonah She'arim e l'adozione della dottrina della kawanah edella contemplazione mistica durante la preghiera, considerata centrale per laCabala nei suoi aspetti teorici non meno che pratici; 2) una completa rotturacon l'attività sul piano sociale e un orientamento verso l'esoterismo diun'élite spirituale, che incarna la vita pietista ed esclusiva. Vi sonoevidenti punti di similarità fra questa forma di Cabala e il tipo dimisticismo musulmano (sufismo) predominante nelle terre dove Bet El trovava isuoi aderenti. Lo stesso Sharabi scrisse un libro di preghiere (stampato aGerusalemme nel 1911) con elaborazioni dettagliate delle kavvanot ancora piùnumerose di quelle trasmesse nello Sha'ar ha-Kavvanot sotto il nome di Luria.La preparazione dei membri di questa cerchia, comunemente conosciuti come iMekhavvenim, imponeva di trascorrere molti anni ad acquisire la padronanzaspirituale di queste kavvanot, che ognuno di loro era tenuto a copiareintegralmente. Delle prime due generazioni dopo la fondazione di Bet El èrimasto un cospicuo numero di shetarai hitkasherut ("atti di associazione")nei quali i firmatari si impegnavano a una vita di completa partecipazionespirituale tanto in questo mondo quanto nel mondo a venire. A parte Sharabi,gli esponenti principali del gruppo, nella prima generazione furono Yom Tov

Algazi (1727-1802), Hayyim Joseph David Azulai (1724-1806) e Hayyim della Rosa(m.1786). Come era avvenuto con gli scritti di Isaac Luria, anche i libri diSharabi diedero origine a un'abbondante letteratura esegetica e testuale.L'autorità suprema di questa cerchia quale vero centro della Cabala si stabilìrapidamente in tutti i paesi islamici, e la sua posizione divenne molto forte.Molte leggende cabalistiche nacquero intorno a Sharabi. Gli ultimi personaggidi rilievo di Bet El furono Mas'ud Kohen Alhadad (m. 1927), Ben-Zion H. azan(1877-1951) e Ovadiah Hadayah (1891-1969).Naturalmente, solo pochi individui scelti andavano al centro di Bet El. Tra iprincipali esponenti della Cabala che rimasero nei loro paesi in Oriente,vanno ricordati in particolare Abraham Azulai di Marrakesh (m. 1741), AbrahamTobiana di Algeri (m. 1793), Shalom Buzaglo di Marrakesh (m. 1780), JosephSadboon di Tunisi (XVIII secolo) e Jacob Abihazera (m. 1880). Sassoon b.

Mordecai Shandookh (1747-1830) e Joseph Hayyim b. Elijah (m. 1909) furono iprincipali cabalisti di Baghdad. Parecchi cabalisti turchi e marocchini delXVIII secolo avevano posizioni incerte nei confronti dello Shabbateanismo,come Gedaliah Hayon di Gerusalemme, Meir Bikayam di Smirne, Joseph David eAbraham Miranda di Salonicco, e David di Medina di Aleppo. L'opera classicaprodotta da questi circoli, che si attenevano a tutte le minuzie dellatradizione ma nel contempo non spezzavano i legami con lo Shabbateanismo, fuHemdat Yamim, di autore anonimo (Smirne, 1731-32), che ebbe un'enormeinfluenza in Oriente.Gli sviluppi successivi della Cabala in Polonia non portarono alla fondazionedi un centro come Bet El; tuttavia un centro abbastanza simile esistette tra

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il 1740 e l'inizio del XIX secolo nel Klaus (kloiyz) di Brody. In quest'epocagli Yoshevei ha-Klaus ("i Saggi del Klaus") costituirono un'istituzioneorganizzata di cabalisti che lavoravano insieme e ai quali veniva riconosciutauna particolare autorità. A capo di questo gruppo erano Hayyim b. MenahemZanzer (m. 1783) e Moses b. Hillel Ostrer (da Ostrog; m. 1785). Quando ilnuovo movimento hasidico si sviluppò in Podolia e divenne una fase addizionalee indipendente della crescita del misticismo giudaico e della più ampiadivulgazione del messaggio cabalistico, i cabalisti del Klaus ne rimasero

fuori, assumendo anzi una posizione distaccata. Anche in questo centro eraattribuita grande importanza allo studio approfondito della Cabala lurianica.L'unico legame tra i due centri fu rappresentato da Abraham Gershon di Kuttow(Kuty), cognato di Israel b. Eliezer, il Ba'al Shem Tov, che fu dapprimamembro del Klaus a Brody, quindi si trasferì in Erez Israel e nei suoi ultimianni fu tra i cabalisti di Bet El, o almeno fu loro vicino in spirito. Moltedelle opere cabalistiche pubblicate in Polonia nel XVIII secolo ricevetterol'approvazione ufficiale del gruppo del Klaus, ma anche prima della fondazionedi questo centro lo studio della Cabala fiorì in molte località della Polonia,della Germania e delle terre degli Asburgo.A quel tempo, molti cabalisti vennero in particolare dalla Lituania, comeJudah Leib Pohovitzer, alla fine del XVII secolo, e Israel Jaffe, l'autore diOr Yisrael (1701). Nel XVIII secolo i principali cabalisti lituani furonoAryeh Leib Epstein di Grodno (m. 1775) e R. Elijah, il Gaon di Vilna, chefornì l'orientamento a molti dei cabalisti lituani del XIX secolo.Particolarmente notevoli tra questi ultimi furono Isaac Eizik (Haver)Wildmann, autore di Pithei She'arim, e Solomon Eliashov (1841-1924), chescrisse Leshem Shevo ve-Ahlamah: entrambe le opere sono esposizionisistematiche della Cabala lurianica. Molte opere cabalistiche apparvero inPolonia e in Germania a partire dalla fine del XVII secolo, e non menonumerosi furono i trattati morali basati su principi cabalistici. Tentativi disistematizzazione si incontrano in Va-Yakhel Moshe di Moses b. Menahem Graf dePrague (Dessau, 1699) e in diversi libri di Eliezer Fischel b. Isaac diStryzów. La letteratura che basava il suo fervore religioso sul potere della"rivelazione dall'alto" era generalmente sospettata, non senza ragione, diShabbateanismo, ma libri del genere esistevano anche nella Cabala piùconservatrice, ad esempio Sefer Berit Olam di Isaac b. Jacob Ashkenazi (Vol. I

Vilna, 1802, vol. II Gerusaleinme,1937). Lo sviluppo in Polonia, durante ilXVIII secolo, fu legato in gran parte all'influenza dei cabalisti italiani inparticolare a Shomer Emunim di Joseph Ergas e Mishnat Hasidim e Yosher Levavdi Immanuel Hai Ricchi, che presentavano diversi modi di intenderel'insegnamento lurianico. Le rivelazioni cabalistiche di David Moses Valle diModena (m. 1777) rimasero un libro chiuso; ma copie degli scritti di Moses H.ayyim Luzzatto giunsero ai cabalisti lituani, e alcuni di essi erano noti aiprimi hasidim, che ne sentirono l'influenza. Ergas fu seguito da Baruch diKosov (Kosover) nelle sue varie introduzioni alla Cabala, che rimasero ineditefino a circa un secolo dopo la sua morte (Ammud ha-Auodah, 1854).Un'esposizione sistematica ortodossa fu fatta dal cabalista Jacob MeirSpielmann di Bucarest in Tal Orot (Leopoli, 1876-83).Furono compiuti nuovitentativi di collegare la cabala agli studi filosofici, come in Ma'amar

Efsharit ha-Tiv'it di Naphtali Hirsch Goslar, le prime opere di SolomonMaimon, che rimasero manoscritte, e soprattutto nel Sefer ha-Berit di PhinehasElijah Horowitz di Vilna (Bruenn, 1897) e Imrei Binah di Isaac Satanow, unodei primi maskilim di Berlino.In contrasto con questi tentativi di studiare la Cabala in modo piùapprofondito, il movimento hasidico ampliò il quadro e si sforzò di renderepiù popolari le idee cabalistiche, spesso mediante un'interpretazione nuova epiù letterale dei suoi principi. In questo movimento, il misticismo giudaicodimostrò ancora una volta d'essere una forza viva e un fenomeno sociale. Nelramo habad del hasidismo fu creata una forma originale della Cabala, che avevaun chiaro obiettivo psicologico e che produsse una letteratura variegata: ma

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anche in campo hasidico vi erano correnti che ritornavano allo studio dellaCabala lurianica. Questa Cabala rifiorì per un secolo, soprattutto nellascuola di Zevi Hirsch Eichenstein di Zhidachov (Zydaczów; m. 1831) cheprodusse una ricca letteratura. Gli esponenti principali di questa scuolafurono Isaac Eizik Jehiel Safrin di Komarno (m. 1874), Isaac Eizil diZhidachov (m. 1873) e Joseph Meir Weiss di Spinka (1838-1909).All'inizio del fermento nazionalista del XIX secolo furono attivi duecabalisti: Elijah Guttmacher a Graetz (1796-1874) e Judah Alkalai a Belgrado

(1798-1878); gli scritti sionisti di quest'ultimo sono soffusi dello spiritodella Cabala. Nell'Europa centrale e occidentale l'influenza della Cabaladeclinò rapidamente, soprattutto dopo il contrasto fra Jacob Emden e JonathanEybeschuetz a proposito dell'associazione di quest'ultimo con loShabbateanismo. Nathan Adler, a Francoforte (m. 1800) raccolse intorno a sé uncircolo dalle forti tendenze cabalistiche, e il suo allievo Sekel Lob Wormser,"il Ba'al Shem di Michelstadt" (m. 1847), fu per qualche tempo rimosso dalrabbinato della sua città "per la sua superstiziosa fede cabalistica"apparentemente in seguito a intrighi dei maskilim. Mentre PhinehasKatzenelenbogen, il rabbino di Boskovice alla metà del secolo XVIII,catalogava le esperienze e i sogni cabalistici dei suoi familiari (manoscrittodi Oxford 2315) e nel circolo di Nathan Adler, come nei circoli dei frankistia Offenbach, si diceva venissero fatti sogni profetici, i rabbini siallontanavano sempre di più da ogni manifestazione di tendenze mistiche e disimpatie per la Cabala. Quando Elhanan Hillel Wechsler (m. 1894) pubblicò isuoi sogni riguardanti l'olocausto che stava per abbattersi sugli ebrei diGermania (1881), i più importanti rabbini ortodossi cercarono diimpedirglielo, e le sue tendenze cabalistiche lo fecero perseguitare. L'ultimolibro di un cabalista tedesco che venne stampato fu Torei Zahav di HirzAbraham Scheyer di Mainz (m. 1822), pubblicato a Mainz nel 1875. Tuttavia,varie espressioni della letteratura cabalistica continuarono a venire scrittenell'Europa orientale e nel Vicino Oriente fin quasi al tempo dell'Olocausto,e in Israele vengono scritti ancora oggi. La trasformazione delle ideecabalistiche nelle forme del pensiero moderno si può osservare negli scrittidi pensatori del XX secolo come R. Abraham Isaac Kook (Orot ha-Kodesh, ArpileiTohar, Reish Millin); nei libri ebraici di Hillel Zeitlin; e negli scritti intedesco di Isaac Bernays (Der Bibil'sche Orient, 1821) e di Oscar Goldberg

(Die Wirklichkeit de Hebraeer, Berlino, 1925).Il fervido attacco contro la Cabala da parte del movimento Haskalah nel XIXsecolo limitò la sua profonda influenza nell'Europa orientale; ma non riuscì aspezzarla nei paesi orientali, dove la vita della comunità ebraica ne risentìl'influsso fino a tempi recenti. Un'eccezione fu il movimento anticabalisticodello Yemen, conosciuto come Dor De'ah ("Doerde").Guidato da Yihya Kafah. (Kafih. ) di Sana (m. 1931), causò molti dissidi tragli ebrei dello Yemen. A parte gli scritti accusatori e diffamatori a partiredal 1914, apparvero in rapporto a questa controversia Milhamot ha-Shem diKafah. e la risposta dei rabbini yemeniti, scritta da Joseph Jacob ZabiriEmunat ha-Shem (Gerusalemme, 1931 e 1938).

LE IDEE FONDAMENTALI DELLA CABALACome risulta evidente dall'esposizione che precede, la Cabala non è un unicosistema con principi fondamentali che possano venire spiegati in modo semplicee diretto, ma consiste piuttosto di una molteplicità di sistemi di approcciodiversi, ampiamente separati l'uno dall'altro e talora completamentecontraddittori. Tuttavia, dalla data dell'apparizione del Sefer haBahir, laCabala ebbe una gamma comune di simboli e di idee che i suoi seguaciaccettarono come tradizione mistica, sebbene non concordassero circal'interpretazione del preciso significato di tali simboli, delle implicazionifilosofiche in essi inerenti, e dei contesti speculativi attraverso i quali

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divenne possibile considerare questa struttura comune come una sorta diteologia mistica del Giudaismo. Ma anche all'interno di tale struttura, sidevono differenziare due fasi: 1) la gamma dei simboli della Cabala primitivafino al periodo di Safed incluso, cioè la teoria delle Sefirot come sicristallizzò in Gerona, nelle varie parti dello Zohar, e nelle opere deicabalisti fino a Cordovero; 2) la gamma dei simboli creati dalla Cabalalurianica, che nel complesso dominò il pensiero cabalistico del XVII secolofino a tempi recenti. Il sistema luriano va oltre la dottrina delle Sefirot,

sebbene faccia un uso ampio e insistente dei suoi principi e sia basato sulsimbolismo dei parzufim.Oltre a questo, si possono distinguere due tendenze fondamentalinell'insegnamento cabalistico. Una ha forte orientamento mistico, espresso inimmagini e simboli la cui vicinanza interiore al regno del mito è spessosorprendente. Il carattere dell'altra è speculativo, un tentativo di dare aisimboli un significato ideazionale più o meno definito. In notevole misura,questa concezione presenta la speculazione cabalistica come una continuazionedella filosofia, una sorta di strato addizionale sovrapposto su di essamediante una combinazione dei poteri del pensiero razionale e dellacontemplazione meditativa. Le esposizioni speculative dell'insegnamentocabalistico dipesero soprattutto dalle idee della filosofia neoplatonica earistotelica, così come erano conosciute nel Medioevo, e furono presentatenella consueta terminologia di questi campi. Quindi, la cosmologia dellaCabala è presa in prestito da queste filosofie e non è affatto originale,essendo espressa nella comune dottrina medievale degli intelletti separati edelle sfere. La sua vera originalità sta nei problemi che trascendono questacosmologia. Come filosofia giudaica, la Cabala speculativa si moveva tra duegrandi eredità, la Bibbia e il Giudaismo talmudico da una parte e la filosofiagreca nelle sue diverse forme dall'altra. L'elemento originale e addizionale,tuttavia, fu il nuovo impulso religioso che cercava di integrarsi con questetradizioni e di illuminarle dall'interno.

Dio e la Creazione

Tutti i sistemi cabalistici hanno origine in una distinzione fondamentalerelativa al problema del Divino. In astratto, è possibile pensare a Dio siacome Dio stesso con riferimento alla Sua sola natura, sia come Dio nella Suarelazione con la Sua creazione. Tuttavia, tutti i cabalisti concordano nelritenere che non è possibile acquisire una conoscenza religiosa di Dio, anchedel tipo più alto, se non mediante la contemplazione della relazione tra Dio ela creazione. Dio in Se stesso, l'Essenza assoluta, trascende ognicomprensione speculativa e persino estatica. La posizione della Cabala neiconfronti di Dio può essere definita come un agnosticismo mistico, formulatoin modo più o meno estremo, e vicino al punto di vista del neoplatonismo. Peresprimere questo aspetto inconoscibile del Divino, i cabalisti della Provenzae della Spagna coniarono il termine Ein-Sof ("Infinito"). Questa espressione

non si può far risalire a una tradizione di un termine filosofico latino oarabo. È piuttosto un'ipostatizzazione che, nei contesti relativi all'infinitàdi Dio o al Suo pensiero che "si estende senza fine" (le-ein sof o ad le-einsof), tratta la relazione avverbiale come se fosse un sostantivo e lo usa cometermine tecnico. Ein-Sof appare per la prima volta in questo senso negliscritti di Isaac il Cieco e dei suoi discepoli, particolarmente nelle opere diAzriel di Gerona, e più tardi nello Zohar, in Ma'arekhet ha-Elohut e negliscritti di quel periodo. Sebbene i cabalisti fossero consapevoli dell'originedel termine, non usarono con esso l'articolo determinativo, ma lo trattaronocome se fosse un nome proprio; solo a partire dal 1300 incominciarono aparlare anche di ha-Ein-Sof, e a identificarlo generalmente con altri epiteti

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comuni del Divino. Questo uso più tardo, che si diffuse in tutta laletteratura, indica un concetto personale e teistico distinto, in contrastocon l'incertezza tra un'idea di questo tipo e un concetto neutro impersonaledi Ein-Sof che si incontra in alcune delle fonti precedenti. Dapprima non fuchiaro se il termine Ein-Sof si riferisse a "Colui che non ha fine" o a "ciòche non ha fine". Quest'ultimo aspetto, un aspetto neutro, era sottolineatodal fatto che Ein-Sof non doveva essere qualificato da nessuno degli attributio epiteti personali di Dio che si trovano nella Scrittura, né ad esso si

dovevano aggiungere eulogie come Barukh Hu o Yitbarakh (che si trovanosoltanto nella letteratura più tarda). In effetti, comunque, vi furono findall'inizio varie prese di posizione per quanto riguarda la natura di Ein-Sof:Azriel, ad esempio, tendeva a un'interpretazione impersonale del termine,mentre Asher b. David l'impiegava in modo nettamente personale e teistico.Ein-Sof è la perfezione assoluta, in cui non vi sono distinzioni edifferenziazioni, e secondo alcuni non vi è neppure volizione. Non si rivelain un modo che renda possibile la conoscenza della sua natura, e non èaccessibile neppure al pensiero più interiore (hirhur ha-leu) delcontemplativo. Solo tramite la natura finita di ogni cosa esistente, tramitel'esistenza attuale della creazione stessa, è possibile dedurre l'esistenza diEin-Sof quale prima causa infinita. L'autore di Ma'arekhet ha-Elohut proposela tesi estremistica (suscitando l'opposizione dei cabalisti più cauti) chel'intera rivelazione biblica, e così pure la Legge Orale, non contenesseroalcun riferimento a Ein-Sof, e che soltanto i mistici ne avessero ricevutoqualche accenno. Perciò l'autore di questo trattato, seguito da parecchi altriscrittori, pervenne all'ardita conclusione che solo il Dio rivelato può inrealtà essere chiamato "Dio", e non il "deus absconditus", che non può essereoggetto del pensiero religioso. Quando idee di questo tipo riapparvero in unperiodo successivo nella Cabala shabbatea e quasi-shabbatea, tra il 1670 e il1740, furono considerate eretiche.Altri termini o immagini significanti il regno del Dio celato, che sta al dilà di ogni impulso verso la creazione, ricorrono negli scritti dei cabalistidi Gerona e nella letteratura della scuola speculativa. Esempi di questitermini sono mah she-ein ha-mahshavah masseget ("ciò che il pensiero non puòraggiungere", usato talvolta anche per descrivere la prima emanazione), haorha-mit'allem ("la luce nascosta"), seter ha-ta'alumah ("l'occultamento della

segretezza"), yitron ("superfluità", apparentemente come tradizione deltermine neoplatonico hyperousia), ha-ahdut ha-shavah ("unità indistinguibile",nel senso di un'unità in cui tutti gli opposti sono eguali, e in cui non vi èalcuna differenziazione), o anche semplicemente ha-mahut ("l'essenza"). Ilfattore comune a tutti questi termini è che Ein-Sof e i suoi sinonimi sono aldi sopra o al di là del pensiero. Una certa oscillazione fra il punto di vistapersonale e quello neutrale del concetto di Ein-Sof si può osservare anchenella parte principale dello Zohar, mentre nello strato più tardo, nel Ra'ayaMeheimna e nei Tikkunim, predomina un concetto personale. EinSof viene spesso(ma non sempre) identificato con l'aristotelica "causa di tutte le cause" e,mediante l'uso cabalistico dell'espressione neoplatonica, con la "radice ditutte le radici". Sebbene tutte le definizioni che precedono abbiano un comuneelemento negativo, talvolta nello Zohar vi è una straordinaria designazione

positiva che assegna il nome Ein-Sof alle nove luci del pensiero cherisplendono dal Pensiero Divino, sottraendo così EinSof al suo occultamento eportandolo a un più umile livello di emanazione (il contrasto fra i dueconcetti emerge attraverso il confronto tra vari passi, ad esempio 1:21a e2:239a con 2:226a). Nel successivo sviluppo della Cabala lurianica, tuttavia,in netta opposizione alla concezione dei cabalisti precedenti, furono operateparecchie differenziazioni persino in Ein-Sof. Nella Cabala, quindi, Ein-Sof èla realtà assoluta, e non vi erano dubbi circa la sua natura spirituale etrascendente. Era così, in effetti, anche se la mancanza di chiarezza inalcune espressioni usate dai cabalisti nel parlare della relazione tra il Diorivelato e la Sua creazione dà l'impressione che la sostanza stessa di Dio sia

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immanente nella creazione (si veda più sotto, a proposito di Cabala epanteismo). In tutti i sistemi cabalistici, il simbolismo della luce è usatocomunemente per quanto riguarda Ein-Sof, sebbene si sottolinei che questo usoè puramente iperbolico, e nella Cabala dei tempi successivi venga effettuatatalvolta una chiara distinzione fra Ein-Sof e "la luce di Ein-Sof'. NellaCabala popolare, che trova espressione in scritti etici e nella letteraturahasidica, Ein-Sof è semplicemente un sinonimo del tradizionale Dio dellareligione, un uso semantico molto lontano da quello della Cabala classica,

dove vi è evidenza della netta distinzione tra Ein-Sof e il Divino Creatorerivelato. Ciò si può osservare non soltanto nelle formulazioni dei primicabalisti (ad esempio, Issac di Acri nel suo commento al Sefer Yezirah, in: KS31 (1956), 391), ma anche tra quelli successivi; Baruch Kosover (c. 1770)scrive: "Ein-Sof non è il Suo vero nome ma una parola che significa il suocompleto occultamento, e la nostra lingua sacra non ha una parola come questedue per significare il suo occultamento. E non è giusto dire 'Ein-Sof, che siabenedetto' o 'che Egli sia benedetto', perché Egli non può essere benedettodalle nostre labbra" (Ammud ha-Avodah, 1863, 211d).L'intero problema della creazione, anche nei suoi aspetti più reconditi, èlegato alla rivelazione del Dio celato e del Suo movimento esterno, sebbene"non vi sia nulla al di fuori di Lui" (Azriel), perché in ultima analisi"tutto proviene dall'Uno, e tutto ritorna all'Uno", secondo la formulaneoplatonica adottata dai primi cabalisti. Nell'insegnamento cabalistico latransizione di Ein-Sof alla "manifestazione" o a ciò che si potrebbe chiamare"Dio Creatore" è connessa alla questione della prima emanazione e della suadefinizione. Sebbene vi fossero punti di vista molto diversi sulla natura delprimo passo dall'occultamento alla manifestazione, tutti sottolineavano chenessuna esposizione di tale processo poteva essere una descrizione oggettivadi un processo in Ein-Sof; non era più di quanto poteva venire congetturatodalla prospettiva degli esseri creati ed era espresso tramite le loro idee,che in realtà non possono essere affatto applicate a Dio. Perciò, ledescrizioni di tali processi hanno soltanto un valore simbolico o, al massimo,approssimativo. Tuttavia, accanto a questa tesi, vi è una speculazionedettagliata che spesso attribuisce una realtà oggettiva al processo chedescrive. È uno dei paradossi insiti nella Cabala, come in altri tentativi dispiegare il mondo in modo mistico.

La decisione di emergere dall'occultamento nella manifestazione e nellacreazione non è in nessun senso un processo che costituisca una conseguenzanecessaria dell'essenza di Ein-Sof; è una libera decisione che rimane unmistero costante e impenetrabile (Cordovero, all'inizio di Elimah). Quindi,nella concezione di moltissimi cabalisti, la questione della motivazionesuprema della creazione non è legittima, e l'asserzione, presente in moltilibri, che Dio desiderasse rivelare la misura della Sua bontà è semplicementeun espediente che non viene mai sviluppato in modo sistematico. Questi primipassi verso l'esterno, in conseguenza dei quali la Divinità divieneaccessibile ai sondaggi contemplativi del cabalista, avvengono in Dio stesso,e non "abbandonano la categoria del Divino" (Cordovero). Qui la Cabala sidistacca da tutte le esposizioni razionalistiche della creazione e assume ilcarattere di dottrina teosofica, cioè interessata alla vita e ai processi

interiori di Dio stesso. Una distinzione nelle fasi di questi processinell'unità della Divinità può essere effettuata solo dall'astrazione umana, main realtà esse sono legate e unificate in un modo che trascende l'umanacomprensione. Le differenze fondamentali nei vari sistemi cabalistici sono giàevidenti per quanto riguarda il primo passo; e poiché tali idee eranopresentate in modo oscuro e figurato nella letteratura classica, come il Bahire lo Zohar, esponenti di opinioni diversissime poterono tutti cercare in essil'autorità loro necessaria. Il primo problema, che fin dall'inizio ebberisposte diverse, era se il primo passo era verso il mondo esteriore o nonpiuttosto un passo verso l'interno, un ritrarsi di EinSof nel profondo di sestesso. I primi cabalisti e Cordovero adottarono la prima concezione, che li

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portò a una teoria dell'emanazione vicina a quella platonica, sebbene nonidentica ad essa. Ma la Cabala lurianica, che assunse la seconda posizione,parla non soltanto di un ritorno delle cose create alla loro fonte in Dio, maanche di un ritorno (regressus) di Dio nel profondo di Se stesso prima dellacreazione, un processo identificabile con quello dell'emanazione solointerpretandola come una figura del discorso. Tale interpretazione apparve benpresto (vedasi più sotto, la Cabala lurianica, p. 133). I concetti chericorrono più di frequente nella descrizione di questo primo passo riguardano

soprattutto la volontà, il pensiero, Ayin ("Nulla assoluto") e la radiazioneinteriore di Ein-Sof nelle luci superne chiamate "splendori" (zahzahot) chesono superiori a ogni altra emanazione.

La volontà

Se a Ein-Sof è negato ogni attributo, allora deve essere separato dallaVolontà Divina, per quanto quest'ultima sia esaltata e chiaramente connessa alsuo possessore, che è Ein-Sof. I cabalisti di Gerona parlano frequentementedel Dio occulto che opera attraverso la Volontà Primeva che è circondata daLui e unita a Lui. Questa, che è la più alta delle emanazioni, emanata dallaSua essenza o celata nel Suo potere, costituisce il livello supremo al qualepuò giungere il pensiero. Si parla di "volontà infinita" (harazon ad ein-sof),"esaltazione infinita" (ha-rom ad ein-sof) o di "ciò che il pensiero non puòmai raggiungere", e si fa riferimento a quella unità d'azione tra Ein-Sof e lasua prima emanazione, che è legata alla sua fonte e ritorna continuamente adessa. In alcune opere, per esempio Perush ha-Aggadot di Azriel, non vi è quasimenzione di Ein-Sof; appare invece la Volontà Primeva, in espressioni che sonogeneralmente connesse con lo stesso Ein-Sof. Questa Volontà era coeterna conEin-Sof, oppure ebbe origine solo al tempo della sua emanazione, così che èpossibile pensare a una situazione in cui Ein-Sof esisteva senza la Volontà,cioè la volizione di creare o di manifestarsi? Molti dei cabalisti di Gerona ei loro seguaci tendevano a ritenere che la Volontà Primeva fosse eterna, eperciò fissavano l'inizio del processo di emanazione al secondo passo oSefirah, che di conseguenza era chiamato reshit ("principio"), e identificatocon la Divina Sapienza di Dio (si veda più sotto). Quasi tutte le affermazioni

nella parte principale dello Zohar seguono questa concezione. Ciò che èchiamato "la Volontà infinita" nel senso dell'unità di Ein-Sof con la volontàe della loro manifestazione congiunta nella prima Sefirah, riceve il nomefigurativo di Attika Kaddisha ("il Santo Antico") nello Zohar. Inoltre, neipaesi che parlano di Ein-Sof e dell'inizio dell'emanazione, questo inizio(reshit) è sempre relato alla seconda Sefirah, poiché non vi è menzione chequanto lo precedette prendesse a esistere nel tempo e non fosse stato emanatoeternamente. Perciò in alcuni casi la prima emanazione è vista solo come unaspetto esterno di Ein-Sof: "È chiamato Ein-Sof internamente e Keteresternamente" (Tikkunei Zohar, fine del Tikkun 22). Tuttavia, questoordinamento figura solo nei passi che discutono dettagliatamente il processo;in quelli che trattano il processo di emanazione in generale non vi èdifferenziazione tra lo status della prima Sefirah e quello delle altre

Sefirot. Via via che la Cabala si sviluppò in Spagna prevalse la tendenza aoperare una distinzione chiara tra Ein-Sof e l'emanazione, che ormaiincominciava a venire considerata né eterna né preesistente. Tra i cabalistidi Safed, anzi, l'opinione contraria era considerata quasi eretica, poichérendeva possibile l'identificazione di Ein-Sof con la prima Sefirah. Ineffetti, tale identificazione si trova in parecchie delle prime fonticabalistiche, e l'autore anonimo di Sefer ha-Shem, erroneamente attribuito aMoses de Leon (c.1325, stampato in Heikhal ha-Shem, Venezia, 1601), criticaper questo lo Zohar, affermando che è contrario alla "concezione dei piùgrandi cabalisti" ed è un errore reso possibile solo dal falso assunto cheEin-Sof e la prima emanazione siano una cosa sola.

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I primi cabalisti, particolarmente Azriel di Gerona e Asher b. David,consideravano la Volontà Divina come quell'aspetto della Divina Essenza che fuil solo attivo nella creazione, e che vi fu impiantato dal potere di EinSof.La comunione con la Volontà Suprema era lo scopo finale della preghiera,perché essa era "la fonte di tutta la vita", inclusa l'emanazione stessa.Questo concetto specifico della Volontà quale supremo Potere Divino che,secondo i cabalisti di Gerona e lo Zohar, ha la precedenza persino sulPensiero Divino e il puro intelletto, contiene tracce dell'influenza diretta

dell'idea centrale espressa da Solomon ibn Gabirol nel suo libro Mekor Hayyim?Una connessione storica sembra chiaramente apparente negli insegnamenti diIsaac ibn Latif (floruit 1230-60), che apparentemente visse a Toledo e cheforse lesse il libro di Gabirol nell'originale arabo. La sua teoria è unmiscuglio delle idee di Gabirol e di quelle della prima generazione dellaCabala spagnola. La sua concezione della Volontà si può trovare soprattutto inGinzei ha-Melekh e Zurat ha-Olam. "La Volontà primordiale (ha-hefez ha-kadmon)non è completamente identica con Dio, ma è una veste "che aderisce da ogniparte alla sostanza del portatore". Fu "la prima cosa ad essere emanata dalvero Essere preesistente" in un processo continuo che non ebbe un veroprincipio. Al di sopra della materia e della forma, questa Volontà unisceentrambe nella loro prima unione, ponendo cosi in essere ciò che Ibn Latifchiama "la prima cosa creata" (haniura ha-rishon). La sua descrizione deidettagli del processo che ha luogo sotto il livello della Volontà differisceda quella degli altri cabalisti; non fu accertata e non ebbe alcuna influenzasulla teoria dell'emanazione che venne formulata successivamente nella Cabala.Via via che la tendenza a identificare Ein-Sof con la prima Sefirah divennesempre meno pronunciata, la distinzione tra Ein-Sof e la Volontà fu accentuatain misura corrispondente, sebbene la questione se la Volontà fosse creata oeterna continuasse ad essere oggetto di controversie o venisse volutamenteevitata.

Il pensiero

Un altro concetto fondamentale dell'intero problema della prima manifestazionedi Ein-Sof è quello del "Pensiero" (mahshauah). Nel Sefer ha-Bahir e negli

scritti di Isaac il Cieco non viene accordato uno status speciale allaVolontà, il cui posto è preso invece dal "Pensiero che non ha fine ofinalità", e che esiste nello stato più alto, dal quale ogni altra cosa èemanata, senza essere designato esso stesso come un'emanazione. Perciò, laprima fonte di ogni emanazione è talora chiamata anche "puro Pensiero", unregno impenetrabile al mero pensiero umano. Secondo questa teoria, l'interoprocesso creativo dipende da un atto intellettuale più che volitivo, e lastoria della Cabala è caratterizzata da una lotta tra queste due concezionidella creazione Sull'identità essenziale tra Volontà e Pensiero fu il solo IbnLatif a insistere. Per moltissimi cabalisti, il Pensiero che pensa solo a sestesso e non ha altro contenuto venne retrocesso a un livello inferiore aquello della Volontà e si identificò con la Divina Saggezza, la qualeprocedette a contemplare non soltanto se stessa ma anche l'intero piano della

creazione e il paradigma di tutto l'universo. Perciò i cabalisti di Gerona el'autore dello Zohar parlano della "Volontà del Pensiero", cioè la Volontà cheattiva il Pensiero, e non viceversa. L'aspetto più alto della hokhmah("Sapienza") di cui tanto parlano i cabalisti di Gerona, è chiamato haskel (daGer.9:23), un termine denotante la comprensione divina, l'attività del sekhel("intelletto divino"), quale che sia il suo contenuto, e non, come avviene conla hokhmah, la sua cristallizzazione in un sistema di pensiero. Il concetto dihaskel prese il posto della Volontà per coloro che non erano portati adaccettare la teoria o si sentivano perplessi, particolarmente nella scuola diIsaac il Cieco. Corrisponde al ruolo del divino intelligere negli insegnamentidi Meister Eckhart, cento anni più tardi.

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Il Nulla

Più ardito è il concetto del primo passo nella manifestazione di Ein-Sof comeayin o afisah ("nulla", "niente"). Essenzialmente, questo nulla è la barrierache si oppone alla facoltà intellettuale umana quando raggiunge i limiti dellasua capacità. In altre parole, è una dichiarazione soggettiva, affermante che

vi è un regno che nessun essere creato può comprendere intellettualmente, eche perciò può essere definito solo come "nulla". Questa idea, inoltre, èassociata con il concetto opposto; cioè, dato che in realtà non vi èdifferenziazione nel primo passo di Dio verso la manifestazione, tale passonon può essere definito in modo qualitativo e perciò può essere descritto solocome "nulla". Ein-Sof che si volge verso la creazione, quindi, si manifestacome ayin ha-gamur ("completo nulla"), o in altre parole, Dio che è chiamatoEin-Sof rispetto a Se stesso è chiamato Ayin rispetto alla Sua primaautorivelazione. Questo ardito simbolismo è associato a moltissime teoriemistiche concernenti una comprensione del Divino, e la sua particolareimportanza si osserva nella radicale trasformazione della dottrina dellacreatio ex nihilo in una teoria mistica la quale afferma esattamente l'oppostodi quel che sembra essere il significato letterale della frase. Da questopunto di vista, non fa nessun differenza se Ein-Sof sia la vera ayin o sequesta ayin sia la prima emanazione di Ein-Sof. Da entrambi i punti di vista,la teoria monoteistica della creatio ex nihilo perde il significato originalee viene completamente rovesciata dal contenuto esoterico della formula. Poichéi primi cabalisti non concedevano alcuna interruzione della corrente diemanazione della prima Sefirah al suo consolidamento nei mondi noti allacosmologia medievale, la creatio ex nihilo può essere interpretata comecreazione dall'interno di Dio stesso. Questa concezione, tuttavia, rimase unacredenza segreta, e venne nascosta dietro l'uso della formula ortodossa;persino un cabalista autorevole come Nahmanides poté parlare nel suo commentoalla Torah di creatio ex nihilo nel senso letterale, quale libera creazionedella materia primordiale dalla quale venne fatta ogni cosa, sottintendendosimultaneamente, come dimostrano l'uso della parola ayin nel suo commento aGiobbe 28:12 e le allusioni cabalistiche nel suo commento a Genesi 1, che il

vero significato mistico del testo è l'emergenza di tutte le cose dal nullaassoluto di Dio. Basando le loro speculazioni filosofiche sul commento alSefer Yezirah di Joseh Ashkenazi (attribuito nelle edizioni stampate adAbraham b. David), i cabalisti che nutrivano una concezione indubbiamenteteistica cercarono di recuperare il significato originale della formuladefinendo la prima Sefirah come il primo effetto, assolutamente separato dallasua causa, come se la transizione da causa ad effetto comportasse un grandebalzo da Ein-Sof ad ayin: una concezione che per la verità si conformava alquadro teologico tradizionale. Tuttavia, per sottrarsi alla logica internadella teoria più antica, alcuni cabalisti dei tempi successivi, a partire dalXVI secolo, tentarono di aggiungere un nuovo atto di creatio ex nihilo dopol'emanazione delle Sefirot o ad ogni fase di emanazione e creazione. Dubbi diquesto genere non esistevano nella Cabala spagnola, e neppure nelle opere di

Cordovero, sebbene nella Elimah Rabbati egli faticasse a decidere traun'interpretazione simbolica della formula ed una letterale. David b. Abrahamha-Lavan, in Masoret ha-Berit (fine del XIII secolo), definì l'ayin ("nulla")in questo modo: "ha più essere di ogni altro essere nel mondo, ma poiché èsemplice, e tutte le altre cose semplici sono complesse se paragonate alla suasemplicità, in confronto è chiamato 'nulla'". Troviamo inoltre l'usofigurativo del termine imkei ha-ayin ("le profondità del nulla"), ed è dettoche "se tutti i poteri ritornassero al nulla, il Primevo che è la causa ditutto rimarrebbe in eguale unità senza distinzioni nelle profondità delnulla".

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Le Tre Luci

Un'altra idea connessa alla transizione dell'Emanatore all'emanato ebbeorigine in un responsum (inizio del XIII secolo) attribuito a Hai Gaon, esuccessivamente diede l'avvio a molte speculazioni. Vi Si afferma che, al disopra di tutti i poteri emanati, esistono nella "radice di tutte le radici"tre luci occulte che non hanno principio "perché esse sono il nome e l'essenza

della radice di tutte le radici e trascendono la portata del pensiero". Quandola "luce interna primeva" si diffonde nella radice occulta, si accendono altretre luci, chiamate or mezuhzah e or zah ("luce scintillante"). Vienesottolineato il fatto che queste tre luci costituiscono un'unica essenza eun'unica radice che è "infinitamente nascosta" (ne'lam ad le-ein sof),formando una sorta di trinità cabalistica che precede l'emanazione delle dieciSefirot. Tuttavia, non è sufficientemente chiaro se si riferisca a tre luci ela prima emanazione, o a tre luci che si irradiano reciprocamente entro lasostanza dell'Emanatore stesso: è possibile infatti sostenere entrambe lepossibilità. Nella terminologia della Cabala, queste tre luci sono chiamatezahzahot ("splendori") e sono considerate come le radici delle tre Sefirotsuperiori che da esse emanano (si veda Cordovero, Pardes Rimmonim, cap. 11).L'esigenza di postulare questa strana trinità è spiegata dall'esigenza diconformare le dieci Sefirot ai 13 attributi predicati di Dio. Non èsorprendente che in seguito i cristiani trovassero in questa teoriaun'allusione alla loro dottrina della trinità, benché non contenga nessunadelle ipostasi personali caratteristiche della trinità cristiana. In ognicaso, l'ipotesi delle zahzahot portò a ulteriori complicazioni nella teoriadell'emanazione e alla predicazione di radici nell'essenza di Ein-Sof pertutto ciò che era emanato. Nella generazione successiva alla pubblicazionedello Zohar, David b. Judah Hasid, in Mar'ot ha-Zové ot, menziona dieci,zahzahot situate tra Ein-Sof e l'emanazione delle Sefirot.

L'emanazione e il concetto delle Sefirot

Da lungo tempo, gli studiosi discutono se la Cabala insegni o meno che

l'emanazione è l'emergenza di tutte le cose da Dio stesso. In questacontroversia vi è una considerevole confusione concettuale. A. Franckinterpretò la Cabala come un puro sistema emanista, che egli consideravaidentico a un punto di vista chiaramente panteistico. Perciò egli riteneva chel'emanazione fosse un'attuale irradiazione della sostanza di Dio, e nonsemplicemente del potere dell'Emanatore. La sua interpretazione era basatasullo Zohar, e soprattutto sul più tardo insegnamento lurianico, benchénessuna di queste due fonti contenga riferimenti a una teoria direttadell'emanazione sostanziale. In contrasto con Franck, D.H. Joel si propose diprovare che lo Zohar e in generale la Cabala più antica non contenevano nulladella teoria dell'emanazione, che secondo lo stesso Joel era apparsa per laprima volta negli scritti dei "commentatori moderni" del XVI secolo, dove è ilrisultato di un'interpretazione errata. Secondo la sua opinione, non vi è

alcuna differenza significativa tra "la teologia pura" dei pensatori delGiudaismo medievale e "la vera Cabala", il cui autentico fondamento è l'ideadella libera creazione della sostanza primordiale ex nihilo, nel significatoletterale del termine. Non vi è dubbio che Joel e Franck sbagliasseroentrambi, e che entrambi errassero nell'interpretazione in termini panteisticiil contenuto fondamentale della Cabala lurianica. Nella misura in cui, ai suoiinizi, la Cabala aveva bisogno di un fondamento teoretico fu fortementeinfluenzata dal neoplatonismo; e sebbene proponesse un sistema definito diemanazione - la teoria dell'emanazione delle Sefirot - questa era un'attivitàche aveva luogo entro lo stesso Divino. Il Dio che si manifesta nelle SueSefirot è lo stesso Dio della fede religiosa tradizionale, e di conseguenza,

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nonostante tutte le complessità che tale idea comporta, l'emanazione delleSefirot è un processo che avviene in Dio stesso. Il Dio occulto nell'aspettodi Ein-Sof e il Dio manifestato nell'emanazione delle Sefirot sono lo stesso,visto da due punti diversi. Perciò vi è una chiara distinzione tra le fasidell'emanazione nei sistemi neoplatonici, che non sono concepite come processinella Divinità, e la concezione cabalistica. Nella Cabala, l'emanazione qualefase intermedia tra Dio e la creazione fu riassegnata al Divino, e il problemadella continuazione di questo processo al di fuori della Divinità diede

origine a varie interpretazioni. All'inizio non vi fu necessità di concludereche i mondi al di sotto del livello delle Sefirot, e lo stesso mondo corporeo,erano emanati anch'essi dalle Sefirot. Forse intenzionalmente, i cabalistitrattarono questo punto in modo estremamente oscuro, spesso lasciando lastrada aperta alle interpretazioni più diverse. Le azioni di Dio al di fuoridel regno delle Sefirot dell'emanazione portarono all'emergenza di essericreati, che un abisso separava dalle Sefirot, benché alcuni cabalistisostenessero senza ambiguità che il processo d'emanazione era giuntoassolutamente alla fine con l'ultima Sefirah e che ciò che seguì costituiva uninizio completamente nuovo. I cabalisti dei primi tempi concordavanonell'affermare che tutte le creature inferiori alle Sefirot avevano una loroesistenza al di fuori del Divino, e si distinguevano da esso nella loroesistenza indipendente perché il loro stato era quello di esseri creati,sebbene avessero i loro archetipi nelle Sefirot. Anche riconoscendo che dalpunto di vista di Dio essi hanno radice nel Suo essere, sono tuttavia, in sestessi, separati dalla Sua essenza, e possiedono una propria natura. Ledistinzioni di questo genere sono comuni alla Cabala e ad altre teologiemistiche, come quelle dell'Islam e del Cristianesimo medievali, ma venivanogeneralmente trascurate in quasi tutte le discussioni cabalistichedell'emanazione, con tutta la conseguente assenza di chiarezza che ciòcomportava. Soprattutto in numerosi libri importanti, che non tentano dicostruire le proprie dottrine su una salda base teorica, come il Bahir, loZohar e le opere di Isaac b. Jacob ha-Kohen, gli autori usano spesso terminiestremamente ambigui e parlano di "creazione" anche quando intendono"emanazione". Questa ambiguità può essere spiegata alla luce della storiadella Cabala, che inizialmente si occupò della descrizione di un'esperienzareligiosa e contemplativa e non di questioni di sistematizzazione puramente

teoretica. Inoltre, nella sua evoluzione la Cabala fu erede di un patrimoniognostico, molto forte e tendente al mito, di speculazione sugli eoni (la cuinatura era egualmente soggetta a molte interpretazioni teoriche). Perciò,quando il loro linguaggio figurativo e simbolico veniva sottoposto a uncollaudo logico, fonti come quelle ricordate più sopra ricevevano molteinterpretazioni teologiche e analitiche diverse.Quando la Cabala si sviluppò in Provenza e in Spagna e la tradizione gnosticasi trovò a confronto con il neoplatonismo, fu scritta una quantità di brevitrattati, in cui si tentava di dare una descrizione indipendente dei processid'emanazione. Molte di queste opere appartengono alla cerchia del Seferha-Iyyun (vedasi più sopra), e mostrano molto chiaramente che, a parte lateoria delle Sefirot, vi erano altri tipi di approccio a una descrizione delmondo spirituale, per esempio in termini di un mondo di poteri (kohot), luci o

intelletti divini, cui talora venivano dati nomi identici, ma che ogni voltaerano ordinati in modi molto diversi. Ovviamente, questi erano i primi aviibrancolanti verso l'instaurazione di un ordine definitivo dei gradi e dellefasi d'emanazione. Tuttavia, poiché non corrispondevano al simbolo che erastato costruito in modo più o meno unificato dal tempo di Isaac il Cieco finoallo Zohar, venivano quasi completamente ignorati.A differenza di questi primi passi esitanti, la teoria dei Sefirot finì perdiventare la spina dorsale dell'insegnamento cabalistico spagnolo e di quelfondamentale sistema di simbolismo mistico che ebbe ripercussioni tantoimportanti sulla concezione dei cabalisti circa il significato del Giudaismo.Fin dall'inizio, le idee relative all'emanazione furono strettamente legate a

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una teoria del linguaggio. Da una parte, si è scritto molto sullamanifestazione del potere di Ein-Sof attraverso i vari stadi d'emanazione chesono chiamati Sefirot e non sono altro che i vari attributi di Dio, odescrizioni ed epiteti che si possono applicare a Lui. Tuttavia, nel contempo,lo stesso processo veniva descritto come una specie di rivelazione dei variNomi caratteristici di Dio nella Sua capacità di Creatore. Il Dio che simanifesta è il Dio che si esprime. Il Dio che "chiamò" i Suoi poteri perché sirivelassero diede loro nomi e, si potrebbe dire, chiamò anche Se stesso con

nomi appropriati. Il processo con il quale il potere d'emanazione si manifestadall'occultamento nella rivelazione ha un parallelo nella manifestazione dellafavella divina dalla sua essenza interiore nel pensiero, tramite il suono cheancora non può essere udito, nell'articolazione della favella. Grazieall'influenza del Sefer Yezirah, che parla dei "dieci Sefirot di belimah", ilnumero delle fasi di emanazione fu fissato a dieci, sebbene in quella primaopera il termine si riferisca soltanto ai numeri ideali che contengono leforze della creazione. Nell'uso cabalistico, d'altra parte, significa i diecipoteri che costituiscono le manifestazioni e le emanazioni di Dio. Poiché leSefirot sono state intermediarie tra il primo Emanatore e tutte le cose cheesistono separate da Dio, rappresentano anche le radici d'ogni esistenza inDio Creatore.Che in questo concetto siano uniti o talora semplicemente mescolati molti temiè dimostrato dalla profusione di termini usati per descriverlo. Il termineSefirah non è connesso con il greco ("sfera"), ma già nel Sefer ha-Bahir èrelato all'ebraico sappir ("zaffiro"), perché è lo splendore di Dio che èsimile a quello dello zaffiro. Il termine non viene fatto usato nella parteprincipale dello Zohar, e appare solo nello strato più tardi; ma anche altricabalisti impiegano moltissimi sinonimi. Le Sefirot sono chiamate ancheMa'amarot e dibburim ("detti"), shemot ("nomi"), orot ("luci"), kohot("poteri"), ketarirn ("corone", perché sono "le corone celesti del Santo Re"),middot nel senso di qualità, madregot ("stadi"), levushim ("vesti"), marot("specchi"), neti'ot ("germogli"), mekorot ("fonti"), yamin elyonim o yemeikedem ("giorni superni o primordiali"), sitrin (cioè "aspetti": si trovasoprattutto nello Zohar); ha-panim ha-penimiyyot ("le facce interne di Dio").(Un lungo elenco di altre designazioni dei Sefirot si può trovare in Herrera,Sha'ar ha-Shamayim, 7 :4) . Termini come "le membra del Re" o "le membra dello

Shi'ur Komah", l'immagine mistica di Dio, alludono al simbolismo dell'uomosuperno, chiamato anche ha-adam ha-gadol, o uomo primordiale. Talora, questotermine è usato per una specifica Sefirah, ma spesso denota l'intero mondodell'emanazione. Il termine ha-adam ha-kadmon ("uomo primordiale") ricorre perla prima volta in Sod Yedi 'at ha-Mezi'ut, un trattato della cerchia del Seferha-Iyyun. I diversi motivi delle Sefirot, che si esprimono in questaproliferazione di nomi, tendono a variare sia con il contesto specifico checon le inclinazioni generali del cabalista che ne fa uso.Non esistono definizioni canoniche riconosciute. Il nesso concettuale tra ima'amarim o i ketarim, come erano chiamate le Sefirot nel Sefer ha-BahirJ e lesostanze intermedie tra l'infinito e il finito, l'uno e i molti delneoplatonismo, ebbe origine principalmente nell'opera di Azriel, il quale eradeciso a spogliare l'idea delle Sefirot del suo carattere gnostico. Le sue

definizioni, che appaiono in Perush Eser Sefirot e Derekh ha-Emurlah ve-Derekhha-Kefirah, e quelle del suo compagno Asher b. David, contribuirono largamentea fissare il concetto delle Sefirot nella Cabala spagnola, sebbene la tendenzaa presentarli come eoni gnostici non scomparisse interamente. Secondo Azriel,le cose furono create in un ordine specifico, poiché la creazione fuintenzionale, non accidentale. Quest'ordine, che determina tutti i processi dicreazione e di generazione e degenerazione, è conosciuto come Sefirot, "ilpotere attivo di ogni cosa esistente numericamente definibile". Poiché tuttele cose create sono poste in essere tramite le Sefirot queste ultimecontengono la radice di ogni cambiamento, sebbene emanino tutte dall'unicoprincipio, Ein-Sof, "al di fuori del quale non vi è nulla". Per quanto

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riguarda la loro origine nell'Ein-Sof le Sefirot non sono differenziate, ma losono per ciò che concerne la loro attività entro il regno finito dellacreazione. A fianco di queste definizioni platoniche, esiste la concezioneteosofica delle Sefirot quali forze dell'essenza o natura divina, per il cuitramite l'essere assoluto si rivela, perciò esse costituiscono il fondamentointeriore e la radice di ogni essere creato, in un modo che in generale non èspecificamente definito, ma non necessariamente come "intermediarie" nel sensofilosofico. Il contrasto con il modello neoplatonico è chiaramente espresso in

una dottrina, comune ai cabalisti di ogni epoca (persino ad Azriel), relativaalla dinamica di tali poteri. Sebbene vi sia una gerarchia specificanell'ordine delle Sefirot, non è determinata ontologicamente; tutte sonoegualmente vicine alla loro fonte nell'Emanatore (è già così nel Seferha-Bahirj. Esse possono congiungersi in unioni mistiche, e alcune si muovonoverso l'alto e verso il basso entro la struttura della vita occulta di Dio(questi sono entrambi motivi gnostici), il che non collima con il punto divista platonico. In altre parole, all'interno di un sistema concettualeplatonico si pose in primo piano una concezione teosofica di Dio.La natura o essenza di queste Sefirot, cioè la relazione del mondo manifestodel Divino con il mondo creato e con l'essere occulto dell'Emanatore, era unargomento ampiamente discusso. Le Sefirot erano o no identiche a Dio, e se nonlo erano, dove stava la differenza? All'inizio tale interrogativo non si pose,e le immagini usate per descrivere le Sefirot e la loro attività non miravanoa una definizione precisa. La descrizione delle Sefirot quali contenitoridell'attività di Dio, l'Emanatore, che ad esempio ricorre fin da Asher b.David, non contraddice l'idea che in essenza esse siano identiche a Dio. Iltermine ko'ah ("forza", "potere", "potenza"), che è comune nella letteraturacabalistica, non sempre indica una distinzione precisa tra "forza " ed"essenza" in senso aristotelico. È usato inoltre in riferimento all'esistenzaindipendente di "potenze", ipostasi che emanano dalla loro fonte, senza alcunaindicazione precedente del fatto che questa emanazione sia un'espansionedell'essenza della fonte, o soltanto della sua radiazione che in precedenzaera celata nella potenzialità ed ora è attuata. Nelle descrizioni puramentefigurative del mondo delle Sefirot queste distinzioni filosofiche non siposero in primo piano; ma quando furono sollevati interrogativi di questo tipodivenne impossibile eluderli.

Molti dei primi cabalisti erano più portati ad accettare la nozione che leSefirot fossero effettivamente identiche alla sostanza o essenza di Dio.Questo viene affermato in molti documenti del XIII secolo, e successivamenteposto in risalto nella scuola di R. Solomon b. Adret, e particolarmente inMa'arekhet ha-Elohut, che fu seguito nel XVI secolo da David Messer Leon, Meiribn Gabbai e Joseph Caro. Secondo questa concezione, le Sefirot noncostituiscono "esseri intermedi", ma sono Dio stesso. "L'Emanazione è laDivinità", mentre Ein-Sof non può essere soggetto all'indagine religiosa,quale può concepire Dio soltanto nel Suo aspetto esterno. Anche la parteprincipale dello Zohar tende largamente verso questa opinione, e la esprimeenfaticamente nell'identità intercambiabile di Dio con i Suoi Nomi o i SuoiPoteri: "Egli è Essi, ed Essi sono Lui" (Zohar, 3:11b, 70a). Nello strato piùtardo, tuttavia, nel Ra'aya Meheimna e nei Tikkunim, e successivamente in

Ta'amei ha-Mizvot di Menahem Recanati, le Sefirot non sono viste comel'essenza di Dio, ma solo come contenitori o strumenti; sebbene non siano néseparate da Lui né situate al di fuori di Lui come gli utensili di unartigiano umano, non sono più che mezzi e strumenti che Egli usa nella Suaopera. Recanati afferma che in maggioranza i cabalisti del suo tempo nonconcordavano con questa concezione. Negli scritti di Joseph Ashkenazi(pseudo-Rabad), questa teoria è sviluppata all'estremo, tanto che le Sefirot,essendo intermediarie, pregano Dio e sono in realtà incapaci di percepire lanatura del loro Emanatore, una concezione che fu esposta per la prima voltanegli scritti di Moses di Burgos e che successivamente apparve in molte operecabalistiche. Cordovero tentò di riconciliare queste due nozioni opposte e di

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accordare a ciascuna una certa misura di verità. Come in ogni essere viventeorganico l'anima (l'essenza) non può essere distinta dal corpo (ilcontenitore), se non in abstracto, al punto che essi non possono venireseparati quando operano insieme, così si può dire di Dio che Egli opera, percosì dire, come un organismo vivente, e quindi le Sefirot hanno due aspetti,uno come "essenza" e l'altro come "contenitori". Questo organismo teosofico èdominato da un principio metabiologico di misura e di forma chiamato kavha-middah (secondo affermazioni specifiche dello Zohar che usa questo termine

per esprimere la natura e l'attività della prima Sefirah). Da questo punto divista, le Sefirot sono nel contempo identiche all'essenza di Dio e da Luiseparate (vedasi Pardes Rimmonim, cap. 4). Nella Cabala dei periodisuccessivi, questa concezione finì per predominare.Le Sefirot emanano da Ein-Sof in successione -"come se una candela venisseaccesa da un'altra, senza che l'Emanatore ne sia in alcun modo diminuito" - ein ordine specifico. Tuttavia, in contrasto con il concetto di neoplatonico incui gli intermediari stanno completamente al di fuori del regno dell'"Uno",esse non lasciano il regno divino. A questo flusso viene dato il nomehamshakhah ("trarre fuori"), vale a dire, l'entità che è emanata è trattafuori dalla sua fonte, come la luce del sole o l'acqua da un pozzo. SecondoNahmanides (nel suo commento a Num. 11:17) e la sua scuola, il secondotermine, azilut, esprime la particolare posizione di questa emanazione. Iltermine è inteso come derivante da ezel ("vicino" o "con"), perché anche lecose che sono emanate rimangono "con Lui", e agiscono come potenzemanifestanti l'unità dell'Emanatore. L'interpretazione antiemanista data daNah. manides al termine azilut era apparentemente rivolta solo ai noniniziati, perché nei suoi scritti esoterici egli usa il termine hamshakhah(nel suo commento al Sefer Yezirah). Generalmente, viene posto in risalto ilfatto che il Dio che si espresse nell'emanazione delle Sefirot è più grandedella totalità delle Sefirot, tramite la quale Egli opera, e per il cui mezzoEgli passa dall'unità alla pluralità. La personalità di Dio trova espressioneprecisamente tramite la Sua manifestazione delle Sefirot. È quindisorprendente che, negli ambienti vicini a Nahmanides, la natura dell'Emanatoreche restava celata al di là di ogni emanazione venisse considerata unatradizione gelosamente custodita. Lo stesso Nahmanides la chiama "la materiacelata alla sommità del Keter", della prima Sefirah, una designazione che la

priva di ogni qualità personale (commento al Sefer Yezirah). Come si è notatopiù sopra, tuttavia, alcuni dei cabalisti suoi contemporanei, come Abraham diColonia (1260-70) in Keter Shem Tou, respinsero completamente l'idea, negandoun aspetto impersonale a Dio e identificando Ein-Sof con la prima Sefirah.La derivazione di azilut da ezel non comporta necessariamente che il processod'emanazione sia esterno: significa semplicemente il contrasto tra i dueregni: l'olam ha-yihud ("il mondo dell'unificazione") e l'olam ha-perud ("ilmondo della separazione"). L'emanazione è il mondo dell'unificazione, nondell'unità statica di Ein Sof, bensì del processo che avviene in Dio, il qualeè in Se stesso unificato nell'unità dinamica dei Suoi poteri ("come la fiammaè legata a un carbone ardente"). In contrasto con questo, "il mondo dellaseparazione" si riferisce al regno che risulta dall'atto della creazione, lacui natura teosofica interiore è espressa nell'emanazione delle Sefirot. Ma

questo processo d'emanazione delle Sefirot non è temporale, e non necessitaalcun cambiamento in Dio stesso; è semplicemente l'emergenza dalla potenzaall'atto di ciò che era celato nel potere del Creatore.Tuttavia, vi erano opinioni divergenti circa la questione dell'emanazione edel tempo. Azriel insegnò che la prima Sefirah era sempre entro lapotenzialità di Ein-Sof, ma che altre Sefirot erano emanate solo nel sensointellettuale e avevano un inizio nel tempo; vi erano inoltre Sefirot cheerano emanate soltanto "ora, vicino alla creazione del mondo". Altrisostenevano che il concetto di tempo non aveva applicazione nel processod'emanazione, mentre Cordovero affermava che questo processo avveniva entro"un tempo non temporale", una dimensione del tempo che non comportava ancora

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una differenziazione in passato, presente e futuro. Una dimensione di questotipo fu importante anche nel pensiero dei neoplatonici venuti più tardi, iquali parlavano di sempiternitas. Questo concetto supramondano del tempo eradefinito "come il batter di un occhio, senza alcun intervallo" tra i vari attiche erano parte dell'emanazione (così in Emek ha-Melekh e Va-Yakhel Moshe diMoses Graf). Joseph Solomon Delmedigo in Novelot Hokhmah e JonathanEybeschuetz in Shem Olam postularono anch'essi la coeternità delle Sefirot, main generale questa idea suscitò una notevole opposizione. Già nel XIII secolo

fu formulata la controdottrina, secondo la quale "le essenze esistevano, mal'emanazione fu posta in essere". Se le essenze precedettero le emanazioni,dovevano necessariamente essere esistite nella volontà o nel pensiero diEin-Sof, ma erano rese manifeste da un atto che aveva qualcosa della naturadella nuova creatività, anche se non nel solito senso di creatività nel tempo.Nella letteratura della Cabala, l'unità di Dio nelle Sue Sefirot el'apparizione della pluralità nell'Uno sono espresse mediante un gran numerodi immagini che ricorrono continuamente. Sono paragonate a una candela chebrilla in mezzo a dieci specchi posti uno nell'altro, ognuno d'un colorediverso. La luce è riflessa in modo diverso, sebbene sia la stessa. L'arditaimmagine delle Sefirot quali vesti è estremamente comune. Secondo il Midrash(Pesikta de-Rarv Kahana), alla creazione del mondo Dio si abbigliò di dieciindumenti, che nella Cabala sono identificati con le Sefirot, benché in essanon si faccia distinzione tra la veste e il corpo: "è come l'indumento dellacavalletta, la cui veste è parte di se stessa", un'immagine tratta dal MidrashGenesis Rabbah. Gli indumenti permettono all'uomo di guardare la luce, chealtrimenti sarebbe accecante. Abituandosi prima a guardare un indumento,l'uomo può guardare progressivamente quello successivo e così via, e in talmodo le Sefirot fungono da gradini della scala per ascendere verso lapercezione di Dio (Asher b. David, Perush Shem ha-Meforash).La dottrina delle Sefirot fu il primo elemento che divise chiaramente laCabala dalla filosofia ebraica. L'argomento della filosofia - la dottrinadegli attributi divini e in particolare "gli attributi d'azione", distintidagli "attributi essenziali" - venne trasformato nella Cabala nella concezioneteosofica di una Divinità divisa in regni o "piani" che, almeno agli occhi delriguardante, esistevano come luci, potenze e intelligenze, ognuna di ricchezzae profondità illimitate, di cui l'uomo poteva studiare il contenuto cercando

di penetrarle. Ognuna era "un mondo a sé", sebbene si rispecchiasse anchenella totalità delle altre. Già all'inizio del XIII secolo, dopo l'apparizionedel Sefer ha-Bahir, venne propugnata la concezione che vi fossero processidinamici non soltanto tra le Sefirot, ma anche entro ogni singola Sefirah.Questa tendenza verso una dottrina sempre più complessa delle Sefirot fu lacaratteristica distintiva dello sviluppo della teoria cabalistica. Il numerodieci fornì la struttura per la crescita d'una molteplicità apparentementeinfinita di luci e di processi. Nel circolo del Sefer ha-Iyyun, dove ebbeinizio questo sviluppo, troviamo un'enumerazione dei nomi delle luci e deipoteri intellettuali, che solo in parte corrisponde al simbolismo tradizionaledelle Sefirot (si veda più sotto) e talora ne diverge notevolmente. Gliscritti del "circolo gnostico" della Castiglia ampliarono la strutturadell'emanazione e vi aggiunsero potenze dai nomi personali, che conferirono

una colorazione unica al mondo delle Sefirot e a tutto ciò che esisteva al difuori di esso. Questa tendenza fu continuata dall'autore dello Zohar, le cuidescrizioni nell'Idra Rabba e nell'Idra Zuta riguardo le configurazioni delleforze dell'emanazione (chiamate Attika Kaddisha, Arikh Anpin e Ze'eir Anpin),sono molto diverse dal semplice concetto originale delle Sefirot. Vi è quil'inizio del simbolismo anatomico e fisiologico dello Shi'ur Komah - unadescrizione dell'immagine di Dio basata sull'analogia con la struttura umana -che scosse le fondamenta stesse della dottrina delle Sefirot e vi introdussenuove differenziazioni e combinazioni. Una complessità addizionale si ebbequando la teoria delle Sefirot fu combinata con la Cabala profetica e "lascienza della combinazione" della scuola di Abraham Abulafia. Ogni diversa

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combinazione di lettere e vocali poteva essere vista nello splendore di quellaluce intellettuale che appare in certe circostanze nelle meditazioni deimistici. Interi libri come Berit Menuhah (seconda metà del XIV secolo),Toledot Adam (stampato in parte a Casablanca nel 1930 in Sefer ha-Malkhut), eAunei Shoham di Joseph ibn Sayyah, rispecchiano questa concezione. Talicomplessità nella dottrina delle Sefirot raggiunsero l'espressione estremanell'Elimah Rabbati di Cordovero e, infine, nella teoria lurianica deiparzufim (si veda più sotto).

Le Sefirot, individualmente e collettivamente, includono l'archetipo di ognicosa creata al di fuori dal mondo dell'emanazione. Come esse sono contenutenella Divinità, impregnano ogni essere al di fuori di questa. Perciò lalimitazione del loro numero a dieci comporta necessariamente la supposizioneche ognuna di esse sia composta da un gran numero di tali archetipi.

Dettagli della dottrina delle Sefirot e del loro simbolismo

Punti di vista teosofici e teologici sono egualmente evidenti nellaspeculazione cabalistica sulle Sefirot in generale e sulla loro relazione conl'Emanatore in particolare. Quando si giunge allo sviluppo sequenziale delleSefirot da una parte e alla funzione individuale di ciascuna, soprattuttodalla seconda Sefirah in poi, incomincia a predominare un forte elementognostico e mitico. I cabalisti sottolineavano di continuo il caratteresoggettivo delle loro descrizioni: "tutto è visto dalla prospettiva di coloroche ricevono" (Ma'arekhet ha-Elohut); "tutto questo è detto solo dal nostropunto di vista, ed è tutto relativo alla nostra conoscenza" (Zohar 2: 176a).Tuttavia, ciò non impediva loro di abbandonarsi alle descrizioni piùdettagliate, come se parlassero di una realtà in atto e di eventi oggettivi.Il movimento progressivo della vita occulta di Dio, che è espresso in unaforma strutturale particolare, stabilì il ritmo dell'evoluzione dei mondicreati al di fuori del mondo dell'emanazione, in modo che quelle primestrutture più interne ricorrono in tutti i regni secondari. Vi è quindi unagiustificazione fondamentale per un unico sistema simbolico comprensivo. Una

realtà interiore che sfida la caratterizzazione o la descrizione perchétrascende la nostra percezione può essere espressa solo simbolicamente. Leparole della Legge Scritta e di quella Orale non descrivono solo cose edeventi terreni, situati nella storia e concernenti le relazioni tra Israele eil suo Dio, ma quando sono interpretate misticamente, parlano anchedell'interazione fra l'Emanatore e l'emanato, tra le stesse Sefirot, e tra leSefirot e le attività degli uomini tramite la Torah e la preghiera. Ciò che,in senso letterale, è chiamato racconto della creazione, è in realtàun'allusione mistica al processo che ricorre entro il mondo dell'emanazionestessa e perciò può essere espresso solo simbolicamente. In generale, questosimbolismo interessava i cabalisti assai più di tutte le speculazioni teorichesulla natura delle Sefirot, e per la maggior parte la letteratura cabalisticatratta questo aspetto e la sua applicazione dettagliata. Moltissimi commenti

alla Torah, ai Salmi e alle aggadot, nonché la voluminosa letteratura sulleragioni dei Comandamenti (ta'amei ha-mizvot) sono basati su questa ottica.Come si è notato più sopra, tuttavia, questo simbolismo non riguarda Ein-Sof,benché vi fossero comunque diversi cabalisti che attribuivano a quest'ultimoespressioni specifiche nella Scrittura o nel Sefer Yezirah.L'ordine comune delle Sefirot e i nomi usati generalmente per esse sono: 1)Keter Elyon ("corona suprema") o semplicemente Keter; 2) Hokhmah ("saggezza");3) Binah ("intelligenza"); 4) Gedullah ("grandezza"j o Hesed ("amore"); 5)Geuurah ("potere") o Din ("giudizio", o anche "rigorei'); 6) Tiferet("bellezza") o Rahamim ("compassione"); 7) Nezah ("costanza"); 8) Hod("maestà"); 9) Zaddik ("giusto, virtuoso") o Yesod Olam ("fondamento del

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mondo"); 10) Malkhut ("regno") o Atarah ("diadema"). Questa terminologia fugrandemente influenzata dal versetto in I Cronache 29:11, che era interpretatoin riferimento all'ordine delle Sefirot . Benché le Sefirot siano emanate inordine di successione dall'alto verso il basso, e ognuna di esse riveli unostadio addizionale del processo divino, hanno anche una strutturaformalizzata. Si trovano comunemente tre di questi raggruppamenti. Nella lorototalità le Sefirot formano "l'albero dell'emanazione" o "l'albero delleSefirot", che a partire dal XIV secolo è raffigurato da un diagramma

dettagliato elencante i simboli fondamentali appropriati a ogni Sefirah.L'albero cosmico cresce verso il basso dalla radice, la prima Sefirah, e siestende attraverso le Sefirot che costituiscono il tronco, fino a quelle cheformano i rami principali o la chioma. Questa immagine s'incontra per la primavolta nel Sefer ha-Bahir: "Tutti i poteri divini del Santissimo, che siabenedetto, stanno uno sull'altro, e sono come un albero". Tuttavia, nel Bahirl'albero incomincia a crescere perché è bagnato dalle acque della Sapienza, eapparentemente include solo le Sefirot da Binah in giù. Accanto a questaimmagine abbiamo quella più comune delle Sefirot in forma d'uomo. Mentrel'albero cresce con la chioma in basso, la forma umana ha la testa in alto, etalora è chiamata "l'albero inverso". Le prime Sefirot rappresentano la testae, nello Zohar, le tre cavità del cervello; la quarta e la quinta, le braccia;la sesta, il tronco; la settima e l'ottava, le gambe; la nona, l'organosessuale; e la decima è la totalità dell'immagine oppure, come nel Bahir, lafemmina compagna del maschio, poiché entrambi sono necessari per costituire unuomo perfetto. Nella letteratura cabalistica questo simbolismo dell'Uomoprimordiale in tutti i suoi dettagli è chiamato Shi'ur Komah. Lo schema piùcomune e:

KeterBinah HokhmahGeuurah Gedullah

TiferetHod Yesod Nezah

Maalkhut

Talora le tre Sefirot Keter, Hokhmah e Binah non sono disposte a

triangolo, bensì in linea retta, una sotto l'altra. Nel complesso, tuttavia,la struttura è formata da triangoli.Dalla fine del XIII secolo, una Sefirah complementare, chiamata Da'at("conoscenza") apparve tra Hokhmah e Binah: è una specie di armonizzazione trale due, e non era considerata una Sefirah separata, ma piuttosto "l'aspettoesterno di Keter". Questa aggiunta nacque dal desiderio di vedere ogni gruppodi tre Sefirot come un'unità comprendente attributi opposti e coma la sintesiche li risolveva. Tuttavia, questa non era la motivazione originale delloschema. Nel Sefer ha-Bahir e in parecchi testi dell'inizio del XIII secolo, laSefirah Yesod era considerata la settima, e precedeva Nezah e Hod; soltanto aGerona le fu assegnato il nono posto. Sul modello della gerarchianeoplatonica, secondo la quale la transizione dall'uno ai molti si compivaattraverso gli stadi di intelletto, anima universale e natura, molti

cabalisti, in particolare Azriel, ritennero che anche le Sefirotcomprendessero tali stadi (pur restando entro il regno della divinità). Keter,Hokhmah e Binah erano "intellettuali" (ha-muskal); Gedullah, Gevurah e Tiferet"psichiche" (ha-murgash); Nezah, Hod e Yesod erano "naturali" (ha-mutba).Apparentemente, si intendeva che questi tre stadi dovevano essere interpretaticome le fonti dei regni indipendenti dell'intelletto, dell'anima e dellanatura, che erano pienamente attivi e sviluppati solo a un livello inferiore.È evidente che si trattava di un compromesso artificioso con l'ontologianeoplatonica.Poiché le Sefirot erano concepite come la manifestazione progressiva dei Nomidi Dio, fu stabilita una serie di equivalenze tra questi ultimi e i nomi delle

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Sefirot:

EhyehYHWH Yah(vocalizzato come Elohim)Elohim El

YHWHElohim Zeva'ot YHWH Zeva'ot

El Hai o ShaddaiAdonai

Secondo la Cabala, questi sono "i dieci nomi che non devono esserecancellati", sette dei quali sono menzionati nel Talmud (Shevu'ot, 35a), e inconfronto ai quali tutti gli altri nomi sono soltanto epiteti. Lo Zohardesigna Shaddai come il nome relato particolarmente alla Sefirah Yesod, mentreJoseph Gikatilla associa questa Sefirah a El Hai.La divisione delle Sefirot era determinata anche da altri criteri. Taloravenivano divise in cinque e cinque, cioè le cinque Sefirot superioricorrispondenti alle cinque inferiori, mantenendo un equilibrio eguale tracelato e rivelato. Sulla base dell'affermazione in Pirkei de-R. Eliezer, "condieci detti fu creato il mondo, e furono riassunti in tre", vennero anchedivise in sette e tre. In questo caso c'era una differenziazione fra le treSefirot occulte e "le sette Sefirot della costruzione" che sono anche i settegiorni primordiali della creazione. Sei di queste ultime furono inoltreequiparate alle sei parti dello stadio nel Sefer Yezirah Non venne maistabilito in modo preciso come queste sei fossero integrate dalla settima.Alcuni ritenevano che la settima fosse il sacro palazzo che stava al centro,come nel Sefer Yezlrah. Altri sostenevano che era rappresentata dal PensieroDivino, mentre per altri ancora era un sabbath simbolico. La correlazionedelle "Sefirot della costruzione" con i giorni della creazione divenneestremamente complessa. Molti cabalisti, incluso l'autore della parteprincipale dello Zohar, non potevano concordare con l'associazione automaticadi ogni Sefirah ad una particolare giornata, e consideravano la creazione (chedal punto di vista mistico era il completamento della "costruzione"dell'emanazione) già completata il quarto giorno. Essi erano particolarmente

perplessi per quanto riguardava il problema del sabbath, che moltiinterpretavano come un simbolo di Yesod, poiché era parallelo al settimo postooriginale della Sefirah, mentre molti altri vi vedevano un'allusioneall'ultima Sefirah, soprattutto perché con essa avevano fine i poteri. Comeogni giorno compiva un atto ad esso specifico, a parte il settimo, ogniSefirah compiva le attività specifiche per le quali era caratterizzata,eccettuato l'ultima, che non aveva tale forza attiva, ma comprendeva latotalità di tutte le Sefirot, o il principio specifico che riceveva e univa leforze attive senza aggiungervi nulla di proprio. Al contrario, sono l'assenzadi attività e la funzione della decima Sefirah quale entità onni-inclusiva checostituiscono la sua unicità. La divisione delle Sefirot in tre file o colonneaveva una particolare importanza; la colonna di destra include Hokhmah,Gedullah e Nezah; la colonna di sinistra include Binah, Gevurah e Hod; e la

colonna centrale (kav emza'i) passa da Keter, attraverso Tiferet e Yesod, finoa Malkhut.Tutti questi raggruppamenti attestano la convinzione dei cabalisti che leSefirot avessero una struttura definita, per quanto potessero essere grandi lepossibilità di variazioni. Contrapposta a tutte queste, vi è un'altradisposizione che presenta le Sefirot come archi adiacenti di un unico cerchioche circonda l'Emanatore centrale, oppure come sfere concentriche (chiamate"cerchi") con il potere dell'emanazione che diminuisce via via che siallontana dal centro. Quest'ultimo concetto è relato all'immagine cosmologicamedievale di un universo di dieci sfere, che poteva essere immaginato intermini di rotazioni verso l'esterno di tali cerchi spirituali. Il concetto

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circolare appare soprattutto a partire dal XIV secolo (Pseudo-Rabad al SeferYezirah, 1, 2). Nella Cabala lurianica, ognuna di queste disposizionidiagrammatiche, circolari o lineari, riceve un posto specifico nel pianodell'emanazione.Quando abbiamo a che fare con il simbolismo delle Sefirot, dobbiamodistinguere tra i sistemi simbolici generali pertinenti ai processidell'emanazione nel suo complesso e il simbolismo relato a ogni singolaSefirah o a una particolare combinazione di Sefirot. I sistemi simbolici

complessivi sono basati su immagini matematiche e organiche. Nel sistema chedipende da concetti matematici, che è talvolta legato a immagini di luce efiumi, la prima Sefirah è il nulla, lo zero, e la seconda è la manifestazionedel punto primordiale, che in questa fase non ha dimensioni ma contiene in séla possibilità della misurazione e dell'espansione. Poiché tale punto èintermedio tra il nulla e l'essere, è chiamato hathalat ha-yeshut ("ilprincipio dell'essere"). E poiché è un punto centrale, si espande in uncerchio nella terza Sefirah, oppure costruisce intorno a sé un "palazzo" che èla terza Sefirah. Quando questo punto è rappresentato con una fonte che sgorgadalle profondità del nulla, la terza Sefirah diviene il fiume che scorre dallafonte e si divide in diversi rami, seguendo la struttura dell'emanazione, finoa quando tutti i suoi affluenti si gettano nel "grande mare" dell'ultimaSefirah. Il primo punto è stabilito da un atto della Divina Volontà, che muoveil primo passo verso la creazione. Nello Zohar, l'apparizione del puntosuperno (che è chiamato reshit, "principio", parte della prima parola dellaBibbia) è preceduto da un numero di atti che si compiono tra Ein-Sof e laprima Sefirah o all'interno della prima Sefirah. Oltre a essere il nulla(ayin) e la volontà di Dio, questa Sefirah è anche l'etere primordiale (avirkadmon)che circonda Ein-Sof come un'aura eterna. Dal mistero di Ein-Sof siaccende una fiamma, ed entro la fiamma viene posto in essere un pozzonascosto. Il punto primordiale risplende nell'essere quando il pozzo prorompeattraverso l'etere (1: 15a). È come se in questa descrizione venissero riunitetutte le immagini possibili..Il simbolismo organico equipara il punto primordiale con il seme gettato nelgrembo della "madre superna", che è Binah. "Il palazzo" è il grembo che giungea dare frutto mediante la fecondazione del seme, e partorisce i figli, chesono le emanazioni. In un'altra immagine organica, Binah è paragonata alle

radici di un albero innaffiato dalle acque di Hokhmah e si ramifica in setteSefirot. In un altro schema simbolico, molto comune nel XIII secolo, esoprattutto nello Zohar, le prime tre Sefirot rappresentano il progresso dallavolontà al pensiero e dal pensiero all'intelletto, dove è più esattamenteindividuato il contenuto della sapienza o del pensiero. L'identificazionedelle Sefirot seguenti come amore, giustizia e misericordia collega questadottrina al concetto aggadico degli attributi divini. Riferimenti al maschio ealla femmina appaiono non soltanto nel simbolismo di padre e madre, figlio efiglia (Hokhmah e Binah, Tiferet e Malkhut), ma anche nel sorprendente uso diimmagini sessuali, che è una caratteristica particolare dello Zohar e dellaCabala lurianica. L'uso di queste immagini falliche e vaginali predominaspecialmente nella descrizione delle relazioni fra Tiferet e Yesod da unaparte e Malkhut dall'altra. Molti cabalisti fecero di tutto per sminuire

l'effetto di questo simbolismo, che offriva ampio spazio a immagini mitiche ea interpretazioni ardite.I simboli menzionati finora formano solo una parte del ricco simbolismo chetraeva materiale da ogni sfera. Spesso vi sono differenze nei dettagli dellasua presentazione, e vi era una certa libertà nel modo in cui dati simbolierano connessi a una data Sefirah, ma per quanto riguardava i motivifondamentali, vi era una notevole concordanza. Tuttavia furono scritte opereche spiegavano gli attributi delle Sefirot fin dal tempo dei cabalisti diGerona, e non si possono minimizzare le differenze esistenti tra esse. Anchenello stesso Zohar vi sono molte variazioni, entro una cornice stabilita più omeno saldamente. Queste differenze si possono vedere anche tra il simbolismo

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di Moses de Leon e quello di Joseph Gikatilla. Le fonti migliori, percomprendere questo simbolismo, sono: Sha'arei Orah (1560; edizione migliore,Gerusalemme, 1970) e Sha'arei Zedek di Gikatilla; Shekel haKodesh (1911) diMoses de Leon; Sefer ha-Shem, scritto da un altro Moses non identificato; SodIlan ha-Azilut di R. Isaac (Kouez al-Yad, 68, 5 (1951), 65-102); Ma'arekhetha-Elohut, cap. 3-7; Sefer ha-Shorasim di Joseph ibn Waqar (traduzione dellasezione sul simbolismo nella sua opera araba, che si trova in moltimanoscritti); Sha'ar Arkhei ha-Kunuyim in Pardes Rimmonim di Cordovero, cap.

23; Sefat Emet di Menahem Azariah Fano (Lobatschov, 1898); Arkhei ha-Kinuyimdi Jehiel Heilprin (Dyhrenfurt, 1806); Kehillat Ya'akov di Jacob Zevi Jolles(Lemberg, 1870) e la sua seconda parte, intitolata Yashresh Ya'akov (Brooklyn,intorno al 1961). Gli attributi delle Sefirot secondo la Cabala lurianica sonodescritti dettagliatamente in Me'orot Natan di Meir Poppers (testo) e NathanNata Mannheim (note) (Francoforte, 1709); Regal Yesharah di Zevi ElimelekhShapira (Lemberg, 1858), Emet le-Ya'akov di Jacob Shealtiel Nino (Livorno,1843); e Or Einayim di Eliezer Zevi Safrin (Parte 1, Premysl, 1882, Parte 2;Lemberg, 1886).A partire dal XIII secolo, incontriamo l'idea che ogni Sefirah comprenda tuttele altre in successione, in un riflettersi infinito delle Sefirot in sestesse. Questo metodo formale di descrivere la ricca dinamica esistente inogni Sefirah veniva espresso anche in altri modi. Ad esempio, leggiamo delle620 "colonne di luce" in Keter. delle 32 "vie" in Hokhmah, delle 50 "porte" inBinah, dei 72 "ponti" in Hesed, e così via (in Tefillat ha- Yihud, attribuitoa R. Nehunya b. ha-Kanah), e di forze che vengono chiamate con nomi magici, ilcui significato non può essere comunicato, ma che denotano le varieconcentrazioni di potere che possono differenziarsi nell'emanazione. Già aitempi di Moses di Burgos e di Joseph Gikatilla viene sottolineato che a ogniSefirah sono sospesi mondi suoi, non facenti parte dell'ordine gerarchico deimondi che seguono il mondo dell'emanazione. In altre parole, il potere totaledi ogni Sefirah non può essere espresso semplicemente in riferimento allacreazione conosciuta. Vi sono aspetti che hanno altre finalità; mondi occultid'amore, di giustizia e così via. Gikatilla parla di milioni di mondi. NelloZohar, descrizioni di questo tipo ricorrono solo in relazione al mondo diKeter (Arikh Anpin, letteralmente "il volto lungo", cioè "il Dio paziente") eil mondo di Tiferet (Ze'eir Anpin, letteralmente "il volto breve", cioè

"l'Impaziente") e assumono la forma di una descrizione dell'anatomia della"testa bianca", che mostra un'estrema tendenza all'antropomorfismo. Partidella "testa" simboleggiano i modi in cui agisce Dio: la fronte si riferisceai Suoi atti di grazia, l'occhio alla Sua provvidenza, l'orecchioall'accettazione delle preghiere, la barba alle 13 sfaccettature dellamisericordia, e così via. Un'allegorizzazione dei concetti teologici nelladottrina degli attributi, un simbolismo che vede le proprie immagini comeesatte allusioni a ciò che trascende ogni immagine, e un tentativo diriconciliare le dottrine apparentemente incompatibili delle Sefirot e delprecedente Shi'ur Komah: tutto s'incontra in questi simboli delle Idrot delloZohar. L'autore non afferma mai apertamente che le sue descrizioni comportanouna collocazione di "Sefirot entro Sefirot" (che sono menzionate nella parteprincipale dello Zohar e inoltre negli scritti in ebraico di Moses de Leon, ma

solo incidentalmente e senza dettagli). Apparentemente, egli non vedeva alcunmotivo di proporre una teoria speculativa per giustificare l'uso di immaginicorporee, tanto difficili da sondare razionalmente in ogni dettaglio. Il suomondo era più simbolico che concettuale. Tuttavia i cabalisti, a partiredall'inizio del XIV secolo, diedero a queste "rivelazioni" un'interpretazioneteoretica, incominciando con il Sefer ha-Gevul (basato sull'Idra Rabba nelloZohar) di David b. Judah he-Hasid e terminando con Elimah Rabbati di Cordoveroe il suo commento allo Zohar. Una dottrina simile, inoltre, è evidente negliscritti di Joseph b. Shalom Ashkenazi. Nelle loro meditazioni su questiriflessi interni delle Sefirot, l'una dentro l'altra, alcuni cabalisti, comeJoseph ibn Sayyah, si spinsero fino a descrivere dettagliatamente il gioco

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delle luci entro le Sefirot fino al quarto "grado", come, ad esempio, "Tiferetche è in Gedullah che è in Binah che è in Keter". Anche Cordovero si spinsepiù lontano, su questa strada, della maggioranza dei cabalisti.Negli insegnamenti di Cordovero, questa teoria delle Sefirot entro le Sefirotè connessa a un'altra, quella delle behinot, il numero infinito di aspetti chepossono essere differenziati entro ogni Sefirah e il cui scopo principaleconsiste nello spiegare come ogni Sefirah è collegata a quella che la precedee a quella che la segue. Secondo Cordovero, vi sono complessivamente sei di

questi aspetti in ogni Sefirah: 1) il suo aspetto celato prima della suamanifestazione nella Sefirah che la emana; 2) l'aspetto in cui essa èmanifesto e apparente nella Sefirah emanante; 3) l'aspetto in cui simaterializza nella corretta collocazione spirituale, vale a dire come Sefirahindipendente; 4) l'aspetto che permette alla Sefirah al di sopra di essa diinstillarle il potere di emanare altre Sefirot; 5) l'aspetto mediante il qualeacquisisce il potere di emanare le Sefirot celate in se stessa nella loroesistenza manifestata entro la propria essenza; e 6) l'aspetto mediante ilquale la Sefirah seguente è emanata al suo posto, e di qui il cicloricomincia. Questa completa serie di behinot è vista come una relazionecausale, in quanto ogni behinah causa il risveglio e la manifestazione dellabehinah seguente (Pardes Rimminim, cap. 5,5). Ma vi sono molti altri "aspetti"delle Sefirot, e la loro scoperta dipende dalla prospettiva di chi indaga.Ogni Sefirah "discende in se stessa", e il processo di questa discesa èinfinito nei suoi riflessi interni. Nel contempo, tuttavia, è anche finito, inquanto genera o pone in essere dall'interno di se stessa un'altra Sefirah.Questo concetto richiede la premessa che le radici dell'emanazione abbiano un"aspetto" celato nello stesso Ein-Sof, e Cordovero interpreta le tre zahzahotmenzionate più sopra come le tre behinot celate di Keter in Ein Sof e la primaSefirah, nonostante il suo chiaro desiderio di stabilire una divisione cosìnaturale. Perciò egli postula che le behinot di Keter entro Keter entro Ketere così via, sebbene potenzialmente continuino ad infinitum, in effetti nonraggiungono un'identità con l'essenza dell'Emanatore, così che la propinquitàdi Ein-Sof e di Keter rimane asintotica. Tutto questo, naturalmente, èaffermato dal punto di vista degli essere creati, perché anche il risvegliosuperno degli "aspetti" della Volontà entro la Volontà e così via non rivelaEin-Sof, e questo è il differenziale che comprende il balzo dall'essenza

dell'Emanatore a quella dell'emanato. D'altra parte, l'abisso differenziale sichiude quando è considerato dal punto di vista dell'Emanatore. La dottrinadelle behinot di Cordovero mostra quanto egli si avvicinasse a un modo dipensare chiaramente dialettico entro la cornice delle idee cabalistiche. ConCordovero, le Sefirot sono più che emanazioni manifestanti gli attributidell'Emanatore, sebbene siano anche questo. Esse divengono gli elementistrutturali di tutti gli esseri, anche del Dio auto-manifestantesi. Lacontraddizione sottintesa fra i processi dell'emanazione e dellastrutturazione non fu mai risolta completamente dallo stesso Cordovero, eappare persino nell'esposizione sistematica delle sue idee compiuta in ShefaTal da Shabbetai Sheftel Horowitz. In opere come Elimah Rabbati e Shefa Tal,la Cabala zoharica subisce una trasformazione speculativa estremamenteprofonda, nella quale la teosofia rinuncia, nella misura del possibile, alle

sue basi mitiche. Tuttavia, è evidente che questa tendenza speculativa nontrasforma la Cabala in filosofia, e che il riconoscimento di una vita occultanella divinità - il processo d'emanazione delle Sefirot - dipende in ultimaanalisi dall'intuizione mistica, poiché solo mediante questa è possibilecomprendere tale regno. Nello Zohar, questa intuizione è chiamata "visionefuggevole [dell'eterno]" (istakluta le-fum sha'ata; 2:74b ZH 38c), e questo èl'elemento che il profeta e il cabalista hanno in comune (1:97a e b).Oltre al processo d'emanazione che avviene tra le Sefirot, vi sono due modisimbolici di esprimere la maniera in cui ogni Sefirah irradia sulle altre:1) Luce riflessa. Ciò si basa sulla premessa che, oltre alla luce diretta chesi diffonde da una Sefirah all'altra, vi è una luce che viene riflessa dalle

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Sefirot inferiori a quelle superiori. Le Sefirot possono essere viste sia comeun mezzo per il trasferimento della luce dall'alto al basso sia come specchioche serve a riflettere la luce alla sua fonte. Questa luce riflessa puòriascendere da qualunque Sefirah, particolarmente dall'ultima, fino allaprima, e sulla via del ritorno agisce quale stimolo addizionale che causa ladifferenziazione di altre behinot in ogni Sefirah. La luce riflessa, secondoCordovero (Pardes, 15), svolge una grande funzione nel consolidamento dellepotenze e delle behinot del giudizio (din) in ogni Sefirah, poiché funziona

tramite un processo di contrazione restrittiva più che di libera espansione.Basata solo marginalmente sulla Cabala degli inizi - ad esempio leaffermazioni contenute nello Zohar sulle relazioni tra le prime tre Sefirot -questa dottrina fu sviluppata esclusivamente da Solomon Alkabez e daCordovero, e formò un importante fattore del loro ragionamento dialettico.2) Canali. Ciò si basa sulla premessa che Sefirot specifiche stiano inparticolari relazioni di radiazione con altre Sefirot (benché nonnecessariamente con tutte). La faccia di una Sefirah si volge verso un'altra,e di conseguenza si sviluppa tra esse un "canale" (zinnor) d'influenza che nonè identico all'emanazione vera e propria. Questi canali sono vie d'influenzareciproca tra le diverse Sefirot. Questo processo non è un influssounidirezionale da causa a effetto: opera anche da effetto a causa,trasformando dialetticamente l'effetto in causa.Non è chiara la misura in cui esiste un'identità tra i simboli della luceriflessa e dei canali, e neppure, se tale identità non esiste, quale sia laloro relazione. Ogni interruzione del flusso di ritorno dal basso in alto èchiamata "rottura dei canali" (sheuirat ha-zinnorot; Gikatilla, Sha'areiOrah), un'idea che serve a spiegare le relazioni tra il mondo inferiore equello superiore in occasione del peccato e della disapprovazione divina. Aquesti canali alludono i cabalisti di Gerona, Gikatilla, Joseph di Hamadam(Shushan haBirah), se questo è il vero nome dell'autore di un commento alCantico delle Cantici, e allaparashah Terumah nel manoscritto Margoliouth 464al British Museum, menzionato più sopra, oltre ad altri cabalisti del XIV edel XV secolo, e la dottrina è esposta dettagliatamente nel capitolo 7 diPardes Rimmonim.

Mondi precedenti, mondi inferiori e cicli cosmici (La dottrina delleShemittot)

L'emergere di Dio dalle profondità di Se stesso nella creazione, checostituisce il fondamento della dottrina delle Sefirot, non fu sempre intesocome un unico processo diretto e ininterrotto. In altre concezioni delprocesso d'emanazione e di creazione, un ruolo vitale lo ebbe la leggendamidrashica dei mondi che furono creati e distrutti prima della creazione delmondo presente. Una variazione importante di questa idea sta alla radice delladottrina delle Idrot nello Zohar, in cui il Midrash e altre simili aggadotsono connessi a una descrizione di come Dio entrò nella forma dell'Adam Kadmon

o Uomo Primordiale, o nelle diverse configurazioni di questa forma. Abbiamoqui un motivo la cui origine non è in alcun modo compatibile con laformulazione classica della dottrina delle Sefirot, come si può vederefacilmente dal suo trattamento inverso del principio maschio-femmina.Diversamente dalla tradizione classica, il principio maschile è quiconsiderato il principio di din o del giudizio rigoroso, che deve essereattenuato e "addolcito" dal principio femminile. Una creazione dominataesclusivamente dalle forze del giudizio non potrebbe sopravvivere. L'esattanatura di tali creazioni precedenti e non riuscite - chiamate nello Zohar "iRe di Edom" o "i Re primordiali" (malkhei Edom o malkin Kadma'in) - non vienechiarita. Fu solo quando la forma dell'Uomo Primordiale venne foggiata

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perfettamente, con un equilibrio armonioso tra le forze maschili e quellefemminili, che la creazione fu in grado di sostenersi. Questo equilibrio èchiamato nello Zohar matkela ("la bilancia") e solo grazie al suo potere fuposto in essere il nostro mondo. L'elenco biblico dei re di Edom (Gen. 35:31segg.) fu interpretato alla luce di questa dottrina, perché Edom veniva intesocome rappresentazione del principio del giudizio.L'autore dello Zohar espresse questa dottrina anche in altri modi. I mondi cheprecedettero il nostro e furono distrutti erano come le scintille che si

disperdono e muoiono quando il fabbro batte il ferro con il maglio. Questadottrina, in una versione completamente nuova, acquisì un posto centrale nellaCabala lurianica, mentre altri cabalisti cercarono di spogliarla del suosignificato letterale a causa delle difficoltà teologiche che presentava.L'interpretazione di Cordovero la pose in relazione con l'emanazione dellestesse Sefirot, e con il processo dialettico entro ogni Sefirah:un'interpretazione in disaccordo con l'idea originale. Altri cabalisti delperiodo dello Zohar, come Isaac ha-Kohen di Soria, espressero idee simili, cheposero in relazione allo sviluppo di un'emanazione "di sinistra", cioè diun'emanazione delle forze del male. L'elemento comune in tutte queste dottrineè la supposizione che, durante i primi passi verso l'emanazione, ebbero luogocerti sviluppi abortiti che non ebbero effetti diretti sulla creazione deimondi attuali, sebbene resti di quei mondi distrutti non scomparisserocompletamente, e qualcosa di essi aleggi tuttora disastrosamente tra noi.La Cabala spagnola concentrò il suo pensiero sull'emanazione e sulla strutturadelle Sefirot, un argomento che non viene affatto trattato negli scritti deifilosofi. Per quanto riguarda la continuità di questo processo sotto illivello dell'ultima Sefirah, i cabalisti nel complesso furono profondamenteinfluenzati dalla cosmologia filosofica medievale. In maggioranza, essiconcordavano nel ritenere che non vi fosse alcuna rottura essenziale nellacontinuità del flusso dell'emanazione che portava allo sviluppo di altre areedella creazione, come il mondo dell'intelletto, il mondo delle sfere, e ilmondo inferiore. Ma essi affermavano che ciò che aveva preceduto queste fasisecondarie faceva parte del regno divino, che essi ritraevano simbolicamentecome una serie di eventi nel mondo dell'emanazione, mentre, a partire daquesto punto, il movimento verso l'esterno partiva dal regno della Divinità eveniva ritenuto una creazione distinta dall'unità divina. Questa distinzione

fondamentale tra "il mondo dell'unità" delle Sefirot e il mondo delle"intelligenze separate" che sta al di sotto di esse fu operata già all'iniziodel XIII secolo. Quando i filosofi parlavano di "intelligenze separate", cheessi identificavano con gli angeli, li consideravano tuttavia esseriimmateriali rappresentanti la pura forma, mentre nel linguaggio cabalistico iltermine si riferisce piuttosto a una separazione dall'unità sefirotica delregno divino.Via via che la Cabala si sviluppava, il mondo della Merkabah (vedasi piùsopra, pag. l 8) descritto nella letteratura dei heikhalot divenne chiaramentedistinto dal mondo del divino, al di sopra di esso. Il primo veniva spessochiamato, ora, "il regno del Trono"; e intorno ad esso si sviluppò una riccaangelologia, solo parzialmente identica alla precedente angelologia dellaletteratura della Merkabah. Nella parte principale dello Zohar vi sono

descrizioni dettagliate degli abitatori dei sette "palazzi" che stanno sottola Sefirah Malkhut e sono i prodotti del suo influsso emanativo, e che hannopoco in comune con i heikhalot della letteratura precedente. Nei primi tempidella Cabala, non era stato stabilito un ordine gerarchico fisso per il mondodegli angeli, e gli scritti di vari cabalisti del XIII e del XIV secolocontengono sistemi angelologici molto diversi. Tali sistemi occupano un postoimportante nelle opere di Isaac ha-Kohen, di suo fratello Jacob e del loroallievo Moses di Burgos, i quali parlarono tutti in dettaglio di emanazionisecondarie che servivano come vesti per le Sefirot ed erano situateaddirittura più in alto degli angeli più eminenti nell'angelologiatradizionale, come Michael, Raphael, Gabriel e così via. Altri sistemi sono

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esposti nel Tikkunei Zohar, in Sod Darkhei ha-Nekuddot ve-ha-Otiyyotattribuito alla scuola di Abraham b. David di Posquières, nei libri di Davidb. Judah ha-Hasid e di Joseph di Hamadan. Talvolta veniva fatta unadistinzione tra la Merkabah quale simbolo del mondo delle stesse Sefirot, e ilmirkevet hamishneh o "secondo carro", rappresentante il regno che veniva dopola Sefirah Malkhut, ed era a sua volta diviso in dieci Sefirot. Tutto ciò chesta al di sotto di quell'ultima Sefirah è soggetto al tempo ed è chiamatoberi'ah ("creazione") poiché è al di fuori (le-var) della Divinità.

Lo schema generale di un mondo della Divinità e delle Sefirot, e delleintelligenze e delle sfere, non impedì a molti cabalisti, come l'autore delloZohar e Gikatilla, di supporre l'esistenza di un grandissimo numero di mondisecondari entro ognuno di questi mondi primari. L'espansione di una cornicecosmologica originariamente più ristretta è analoga a motivi assai simili nelpensiero indiano, sebbene non vi sia necessità di stabilire un diretto nessostorico tra i due. Ogni fase del processo della creazione è cristallizzata inun mondo specifico, dove il potere creativo del Creatore raggiunge la perfettaespressione d'uno dei suoi molti aspetti. Nel contempo, noi possiamo seguirelo sviluppo di una dottrina unificata d'una serie di mondi, dall'alto albasso, formante un vettore fondamentale lungo il quale la creazione passa dalsuo punto primevo alla sua finalizzazione nel mondo materiale. Il risultato diquesto sviluppo, nel quale si mescolavano principi giudaici, aristotelici eneoplatonici, fu una nuova dottrina di quattro mondi fondamentali, chiamatiolam ha-azilut (il mondo dell'emanazione - le dieci Sefirot), olam ha-beriah(il mondo della creazione - il Trono e il Carro), olam ha-yezirah (il mondodella formazione - talora il mondo degli angeli raccolti intorno a Metatron) eolam ha-asiyyah (il mondo del fare o della struttura - che talora inclusel'intero sistema delle sfere e il mondo terrestre e talora soltantoquest'ultimo). Questo ordinamento, sebbene di solito privo della nomenclaturadei "mondi", è già menzionato da Moses de Leon e da alcune parti dello Zohar,particolarmente nei Tikkunei Zohar. Appare in forma di quattro mondi inMassekhet Azilut, un trattato pseudoepigrafico dell'inizio del XIV secolo (acura di Jellinek in Answahl Kabbalistischer Mystik, 1853). Anche Isaac d'Acrifece uso frequente di questo ordinamento, e per la prima volta gli diede ilnome abbreviato di abiya (azilut, beri'ah, yezirah, asiyyah). Tuttavia, ladottrina non venne sviluppata completamente fino al secolo XVI, quando i

cabalisti di Safed approfondirono i dettagli anche dei mondi di beri'ah eyezirah, soprattutto Cordovero e la scuola di Isaac Luria. Nei Tikkunei Zoharil mondo di asiyyah veniva inteso come il regno del mondo materiale e deglispiriti maligni, mentre secondo il Massekhet Azilut includeva l'intera gammadella creazione, dagli angeli (conosciuti come ofannim), attraverso le diecisfere fino al mondo della materia. Secondo la Cabala lurianica, tutti i mondi,incluso quello di asiyyah, erano in origine spirituali, ma in seguito alla"rottura dei vasi" il mondo di asiyyah, dopo la discesa dalla posizioneprecedente, si mescolò alle kelippot o "gusci" impuri, che in linea diprincipio sarebbero dovute rimanere completamente separate, e produsse unmondo di materia che non conteneva nulla di spirituale. Le dieci Sefirot sonoattive in tutti i quattro mondi, secondo il loro adattamento a ognuno di essi,così che è possibile parlare delle Sefirot nel mondo di beri'ah, delle Sefirot

nel mondo di yezirah e così via. Qualche concomitante delle Sefirot si puòvedere anche nel mondo inferiore. Persino l'immagine di Adam Kadmon è riflessain ognuno di questi mondi (adam di-ueriyah, adam de-azilut, ecc.), come negliscritti di Moses de Leon, in Ra'aya Meheimna e nei Tikkunim). Anche il mondoterrestre della natura può essere chiamato adam ha-gadol ("il grande uomo";macroanthropos). In un'altra concezione cabalistica del periododell'espulsione dalla Spagna, la natura è definita come zel Shaddai, cioèl'ombra del Nome Divino.A partire dal XIII secolo, e soprattutto dal XV e dal XVII, i cabalistitentarono di fare rappresentazioni pittoriali della struttura della creazione,come progredisce da Ein-Sof verso il basso. Tali diagrammi erano generalmente

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chiamati ilanot ("alberi") e le ovvie differenze tra essi rispecchiano ledivergenze tra le varie dottrine e gli schemi del simbolismo. Disegni diquesto genere si trovano in un gran numero di manoscritti. Una dettagliatarappresentazione pittoriale del sistema lurianico, chiamata ilan ha-gadol ("ilgrande albero"), che fu eseguita da Meir Poppers, è stata pubblicata, dapprimain forma di un lungo rotolo (Varsavia,1864) e più tardi in un libro (Varsavia,1893). Un altro dettagliato "albero" (tabula) lurianico fu incluso da KnorrVon Rosenroth in Kabbalah Denudata I, parte 5, 193255 (in 16 tavole).

A queste speculazioni venne data una forma unica nella dottrina delleshemittot, o cicli cosmici, che era basata su una periodicità fissa nellacreazione. Sebbene dipendesse da motivi aggadici, questa dottrina presentaqualche relazione con simili sistemi non giudaici, la cui influenza sugliautori ebrei si può osservare nei paesi musulmani e in Spagna, particolarmentenegli scritti di Abraham bar Hiyya. In Megillat ha-Megalleh, egli parla diinnominati "filosofi" i quali credevano in una serie lunga o addiritturainfinita di creazioni cicliche. Alcuni di loro, egli disse, sostenevano, cheil mondo sarebbe durato 49.000 anni, che ognuno dei sette pianeti avrebbegovernato per 7.000 anni, e che quindi Dio avrebbe distrutto il mondo el'avrebbe restituito al caos nel cinquantesimo millennio, per ricrearlosuccessivamente. Erano idee astrologiche tratte da fonti arabe e greche, chepotevano venire facilmente assimilate a certe concezioni espressenell'aggadah, per esempio l'affermazione di Rav Katina (Sanh. 97a) che ilmondo sarebbe durato per 6.000 anni e quindi sarebbe stato distrutto nelsettimo millennio: qui si traccia un parallelo tra i giorni della creazione equelli del mondo, visti come una grande settimana cosmica, al termine dellaquale esso "riposa" e viene distrutto. I cabalisti dei periodi precedentiponevano tali dottrine in rapporto con la loro dottrina dell'emanazione. Illoro nuovo insegnamento riguardante i cicli della creazione, che eraampiamente citato e addirittura riassunto nella Cabala di Gerona, vennepienamente articolato, per quanto in stile enigmatico, nel Sefer ha-Temunah,che fu scritto intorno al 1250. Il punto principale di questa dottrina è chesono le Sefirot e non le stelle a determinare il progresso e la durata delmondo. Le prime tre Sefirot rimangono celate e non attivano "mondi" al difuori di se stesse, o almeno non mondi che noi possiamo riconoscere come tali.Dalla Sefirah Binah, chiamata anche "la madre del mondo", emanano le sette

Sefirot apprendibili ed espansive. Ognuna di queste Sefirot ha un ruolospeciale in un ciclo della creazione, che rientra nel suo dominio ed èinfluenzato dalla sua natura specifica.Ciascun ciclo cosmico, legato a una delle Sefirot, è chiamato shemittah o annosabbatico - un termine tratto da Deuteronomio 15 - e ha una vita attiva di6.000 anni. Nel settimo millennio, che è il periodo della shemittah, ilsabbath del ciclo, le forze sefirotiche cessano di funzionare, e il mondoritorna al caos. Successivamente, il mondo viene rinnovato tramite il poteredella Sefirah seguente, ed è attivo per un nuovo ciclo. Alla fine di tutte leshemittot vi è il "grande giubileo", quando non soltanto i mondi inferiori maanche le sette Sefirot di sostegno vengono riassorbiti in Binah. L'unità basedella storia del mondo è quindi il giubileo di 50.000 anni, suddiviso come èdescritto più sopra. I dettagli di questa dottrina nel Sefer Temunah sono

complicati dal fatto che, secondo l'autore, la Sefirah Yasod, che è chiamataanche Shabbat, non attiva una sua shemittah manifesta. La sua shemittah rimaneinvece celata e opera attraverso il potere degli altri cicli cosmici. Qui,inoltre, non si fa menzione di un nuovo ciclo di creazione dopo il giubileo.Secondo i cabalisti di Gerona, le leggi della Torah relative agli annisabbatici e al giubileo si riferiscono a questo mistero della creazionericorrente.Una dottrina ancora più radicale nacque nel XIII secolo; secondo questa, ilprocesso del mondo dura non meno di 18.000 giubilei (Bahya b. Asher, sullaparte della Torah Be-Ha'alokekha). Inoltre, la cronologia di questi calcolinon deve essere intesa letteralmente, poiché il Sefer ha-Temunah insegna che

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nel settimo millennio si inserisce un ritardo graduale e progressivo nelmovimento delle stelle e delle sfere, così che le misure del tempo cambiano edivengono più lunghe in progressione geometrica. Cinquantamila "anni", quindi,diventano un periodo assai più lungo. Perciò altri cabalisti, in particolareIsaac d'Acri, giunsero a cifre veramente astronomiche per la durata totale delmondo. Alcuni cabalisti pensavano che dopo ogni "grande giubileo"incominciasse una nuova creazione ex nihilo, una concezione che passò da Bahyab. Asher a Isaac Abrabanel, e da lui a suo figlio Judah, il quale le menzionò

nella famosa opera in italiano, Dialoghi di amore. Queste concezioni furonoinoltre accettate molto più tardi dall'autore di Gallei Razayya (1552) e ancheda Manasseh Ben Israel. Nessun cabalista postulò un numero infinito digiubilei. In contrasto con queste prospettive immani, altri sostenevano chenoi non sappiamo cosa avverrà dopo il giubileo, e che ogni indagine in materiaè proibita.Vi erano concezioni divergenti anche per quanto riguardava la shemittah in cuistiamo vivendo ora. In generale, la posizione accettata era quella del Seferha-Temunah, e cioè che noi siamo ora nella shemittah del giudizio, dominatodalla Sefirah Gevurah e dal principio della giustizia rigorosa. Diconseguenza, deve essere stato preceduto dalla shemittah di Hesed odell'amore, che viene descritta come una specie di "età dell'oro" simile aquella della mitologia greca. Secondo un'altra concezione (ad esempio quelladi Livnat ha-Sappir di Joseph Angelino), noi siamo nell'ultima shemittah delpresente periodo del giubileo. Ogni shemittah ha una rivelazione della Torah,che è semplicemente l'articolazione completa del Nome Divino o Tetragrammaton;ma la comprensione di esso, cioè la combinazione delle sue lettere, differiscein ogni shemittah. Quindi, nella shemittah precedente la Torah era letta inmodo completamente diverso e non conteneva le proibizioni che sono il prodottodel potere del giudizio; e così pure sarà letta in modo diverso nelleshemittot a venire. Il Sefer ha-Temunah e altre fonti contengono descrizionidella shemittah finale, che hanno un carattere nettamente utopico. Nella loroconcezione, alcune anime della shemittah precedente esistono ancora nellanostra, governata da una legge universale di trasmigrazione che include ancheil regno animale. Poiché il potere del giudizio sarà mitigato nelle shemittotsuccessive, anche le leggi e i costumi saranno più permissivi. Questa dottrinalasciava ampio gioco all'immaginazione, che fu sfruttata particolarmente da

Isaac d'Acri. Si deve notare che, in se stessa, la premessa che un'unica Torahpotesse venire rivelata in forma diversa in ogni shemittah a quel tempo nonsuscitò un'opposizione aperta e fu addirittura ampliata da alcuni, i qualisostennero che la Torah veniva letta in modi diversi in ognuno dei milioni dimondi coinvolti nel complesso della creazione; una concezione espressa per laprima volta in Sha'arei Zedek di Gikatilla. Una delle manifestazioni piùestreme di questa convinzione era la teoria che nella shemittah attuale unadelle lettere dell'alfabeto è mancante e verrà rivelata solo in futuro. In talmodo la lettura della Torah verrà trasformata assolutamente.L'influenza del Sefer ha-Temunah e la dottrina delle shemittot fu fortissima,ed ebbe sostenitori ancora nel XVII secolo. Tuttavia, l'autore dello Zoharl'ignorò completamente, per qualche dissenso fondamentale, sebbene anch'egliritenesse che vi era un grande giubileo della durata di 50.000 anni. Quando lo

Zohar venne sempre più riconosciuto come la fonte principale e più autorevoledella Cabala in tempi successivi, questo silenzio sull'argomento rafforzòl'opposizione alla dottrina. Joseph ibn Zayyah, Cordovero e Isaac Luria larespinsero come un'ipotesi erronea o superflua, almeno nella versionecontenuta nel Sefer ha-Temunah, e a causa della loro influenza scomparve, piùo meno, nella letteratura cabalistica successiva. Tuttavia Mordecai Yaffe,contemporaneo di Isaac Luria, insegnava ancora alla fine del XVI secolo cheesistevano sequenze di shemittot, anche entro i limiti del tempo storico. Lashemittah di Din ("giudizio") era cominciata esattamente al tempo in cui erastata data la Torah, mentre tutto ciò che l'aveva preceduta apparteneva allafine della shemittah di Hesed ("amore"). Il suo utopismo visionario e la sua

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teoria mistica sulle manifestazioni mutevoli dell'essenza della Torah furonosenza dubbio tra le ragioni per cui la dottrina delle shemittot venne cosìlargamente accettata nei circoli cabalistici. I discepoli di Shabbetai Zevi leattribuiscono grande importanza, ponendone in risalto le implicazioniantinomistiche.

Il problema del male

La questione dell'origine e della natura del male fu una delle principaliforze motrici della speculazione cabalistica. Nell'importanza ad essaattribuita sta una delle differenze fondamentali tra la dottrina cabalistica ela filosofia giudaica, che non diede un notevole contributo di pensierooriginale al problema del male. Le soluzioni proposte dai cabalisti eranodiverse. n Ma'arekhet ha-Elohut rivela l'influenza della posizioneneoplatonica convenzionale, per la quale il male non ha realtà oggettiva ed èsoltanto relativo. L'uomo è incapace di ricevere tutto l'influsso delleSefirot, ed è questa inadeguatezza che sta all'origine del male, il quale haperciò una realtà esclusivamente negativa. Il fattore determinante è lostraniamento delle cose create dalla loro fonte d'emanazione, una separazioneche porta a manifestazioni di ciò che a noi appare come la forza del male. Maquest'ultimo non ha una realtà metafisica, ed è dubbio che l'autore delMa'arekhet ha-Elohut e i suoi discepoli credessero all'esistenza di un regnoseparato del male al di fuori della struttura delle Sefirot. D'altra parte,troviamo già nel Sefer ha-Bahir una definizione della Sefirah Gevurah come "lamano sinistra del Santissimo, che sia benedetto", e come "una qualità il cuinome è male", che ha molte ramificazioni nelle forze del giudizio, i potericoercitivi e limitanti nell'universo. Già al tempo di Isaac il Cieco questoportò alla conclusione che doveva esservi necessariamente una radice positivadel male e della morte, che era controbilanciata nell'unità della Divinitàdalla radice del bene e della vita. Durante il processo di differenziazione diqueste forze al di sotto delle Sefirot, tuttavia, il male diveniva sostanziatocome una manifestazione separata. Si sviluppò quindi la teoria che vedeva lafonte del male nella crescita sovrabbondante del potere del giudizio, resa

possibile dal sostanziamento e dalla separazione della qualità del giudiziodalla sua abituale unione con la qualità dell'amore e della bontà. Il purogiudizio, non temperato da influssi mitiganti, produceva da se stesso la sitraahra ("l'altra parte"), come un recipiente che viene riempito fino atraboccare riversa al suolo il liquido superfluo. Questa sitra ahra, il regnodelle emanazioni tenebrose e dei poteri demonici, quindi non è più una parteorganica del Mondo della Santità e delle Sefirot. Sebbene sia emersa da unodegli attributi di Dio, non può essere una parte essenziale di Lui. Questaconcezione divenne dominante nella Cabala tramite gli scritti dei cabalisti diGerona e lo Zohar.Secondo gli "gnostici" della Castiglia e, in una versione diversa, anche nelloZohar, esiste una gerarchia completa dell"'emanazione della sinistra" che è ilpotere dell'impurità attivo nella creazione. Tuttavia, questa realtà oggettiva

perdura solo in quanto continua a ricevere nuova forza dalla Sefrah Gevurah,che è nel santo ordine delle Sefrot, e in particolare solo finché l'uomo laravviva e la fortifica con le sue azioni peccaminose. Secondo lo Zohar, questasitra ahra ha dieci Sefirot ("corone"); e una concezione simile, benché conparecchie variazioni e l'aggiunta di certi elementi mitici, è espressa negliscritti di Isaac ha-Kohen e in Ammud ha-Semali dal suo allievo Moses diBurgos. Isaac ha-Kohen insegnava che i primi mondi, che furono distrutti,erano tre emanazioni tenebrose, e perirono a causa della forza del Male.Anche nello Zohar viene implicato che il male nell'universo ebbe origine dairesti dei mondi che furono distrutti. La forza del male è paragonata allacorteccia (kelippah) dell'albero dell'emanazione, un simbolo che ebbe origine

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con Azriel in Gerona e che divenne molto comune dallo Zohar in poi. Alcunicabalisti chiamano la totalità dell'emanazione della sinistra "l'alberoesterno" (ha-ilan ha-hizon). Un'altra associazione, che si trova nei cabalistidi Gerona e che li segue anche nello Zohar, è quella con "il misterodell'Albero della Conoscenza". L'Albero della Vita e l'Albero della Conoscenzaerano collegati in perfetta armonia fino a quando Adamo venne a separarli,dando così sostanza al male, il quale era contenuto nell'Albero dellaConoscenza del Bene e del Male e ora si materializzò nell'istinto del male

(yezer ha-ra). Quindi fu Adamo che attivò il male potenziale celatonell'Albero della Conoscenza, separando i due alberi e separando inoltrel'Albero della Conoscenza dal suo frutto, ora distaccato dalla sua fonte.Questo evento è chiamato metaforicamente "il taglio dei germogli" (kizzuzha-neti'ot) ed è l'archetipo di tutti i grandi peccati menzionati nellaBibbia, il cui comune denominatore era l'introduzione della divisionenell'unità divina. L'essenza del peccato di Adamo fu che introdusse "laseparazione sopra e sotto", in ciò che doveva essere unito, una separazionedella quale ogni peccato è fondamentalmente una ripetizione, a parte i peccatiche riguardano la magia e la stregoneria, che secondo i cabalisti uniscono ciòche dovrebbe restare separato. In effetti, questa concezione tende anch'essa asottolineare il potere del giudizio contenuto nell'Albero della Conoscenza delpotere dell'amore e della pietà contenuto nell'Albero della Vita. Quest'ultimoriversa il suo influsso abbondantemente, mentre il primo è una forzarestrittiva, con la tendenza a diventare autonoma; e può farlo sia inconseguenza delle azioni dell'uomo, sia per un processo metafisico nei mondisuperiori.Entrambe le concezioni appaiono nella letteratura cabalistica, senza che traesse venga operata una chiara distinzione. Il male cosmico derivante dalladialettica interna del processo d'emanazione qui non è differenziato dal malemorale prodotto dalle azioni umane. Lo Zohar tenta di unire questi due regni,postulando che la disposizione alla corruzione morale, al male sotto forma ditentazione umana, deriva dal male cosmico che è il regno della sitra ahra(3:163a). La differenza fondamentale tra lo Zohar e gli scritti degli gnosticidella Castiglia stava nel fatto che questi ultimi indulgevano inpersonificazioni esagerate delle forze di questo regno, facendo talvoltaricorso a precedenti credenze demonologiche, e chiamando le potenze dell'

"emanazione della sinistra" con nomi propri, mentre l'autore dello Zohar siatteneva generalmente a categorie più impersonali, con l'eccezione dellefigure di Samael - l'equivalente cabalistico di Satana - e della sua compagnaLilith (vedasi p. 357 e 13 387), alle quali assegnava un ruolo centrale nelregno del male. Un'altra deviazione da questa regola è la descrizionedettagliata dei "palazzi dell'impurità" e dei loro custodi nel suo commento aEsodo 38-40 (2:262-9), che segue una descrizione parallela dei "palazzi dellasantità".Nel simbolismo dello Zohar concernente la sitra ahra, vi sono numerosi temitalora in conflitto. Le kelippot ("gusci" o "bucce" di male) sono talvoltaintese neoplatonicamente come gli ultimi anelli della catena dell'emanazionedove tutto si trasforma in tenebra, come "la fine dei giorni" nella metaforadello Zohar. Altre volte, esse vengono definite semplicemente come

intermediarie tra i mondi superiori e inferiori, e come tali non vengononecessariamente viste come malefiche. Anzi, ogni principio mediante è un"guscio" dalla prospettiva di ciò che sta al di sopra, ma è un "nocciolo" dalpunto di vista di ciò che sta al di sotto (Zohar l:l9b). In altre decisioni,il regno del male è delineato come il naturale prodotto di rifiuto di unprocesso organico, ed è paragonato al "sangue cattivo", a un ramo amarodell'albero dell'emanazione, ad acque contaminate (2:167b), alla scoria cherimane dopo che è stato raffinato l'oro (hittukhei ha-zahau), o alla fecciadel vino buono. Queste descrizioni della sitra ahra nello Zohar sonoparticolarmente ricche di immagini mitiche. L'identificazione del male con lamateria fisica, sebbene ricorra talvolta nello Zohar e in altri libri

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cabalistici, non divenne mai una dottrina accettata. L'equivoco dellafilosofia medievale tra la concezione aristotelica e quellaplatonico-emanatista della materia è sentito altrettanto fortemente nellaCabala, sebbene solo di rado vi siano riferimenti al problema del modo in cuiè emanata la materia. In generale, la questione della natura della materia nonè centrale nella Cabala, dove l'interesse fondamentale era piuttosto laquestione del modo in cui il Divino era riflesso nella materia. Discussionioccasionali della natura della materia da un punto di vista neoplatonico si

possono già trovare nella letteratura del circolo del Sefer ha-Iyyun.Cordovero, nel suo Rabbati Elimah, spiega l'emanazione della materia dallospirito per mezzo di un trattamento dialettico del concetto di forma che eracomune nella filosofia medievale.Secondo lo Zohar vi è una scintilla di santità persino nel regno dell'"altraparte, sia proveniente da un'emanazione dell'ultima Sefirah, sia comerisultato indiretto del peccato dell'uomo, perché come l'adempimento di uncomandamento rafforza la parte della santità, un atto peccaminoso rivitalizzala sitra ahra. I regni del bene e del male sono in una certa misura commisti,e la missione dell'uomo è di separarli. In contrasto con questa concezione chericonosce l'esistenza metafisica del male, un punto di vista alternativo hatrovato la sua espressione fondamentale in Gikatilla, il quale definì il malecome un'entità che non era nel suo posto legittimo: "ogni atto di Dio, quandoè nel posto ad esso accordato alla creazione, è bene; ma quando si volge elascia il suo posto, è male". Queste due concezioni - quella dello Zohar, chericonosce al male un'esistenza attuale come fuoco dell'ira e della giustiziadi Dio, e quella di Gikatilla, che gli attribuisce solo un'esistenzapotenziale che nulla può attuare, se non le azioni degli uomini - ricorrono intutta la letteratura cabalistica senza che l'una riporti la vittoriasull'altra. Anche nelle diverse versioni della dottrina lurianica, le dueconcezioni sono perpetuamente in conflitto. (Sul problema del male nellaCabala lurianica si veda più sotto.) Uno sviluppo successivo e finale riguardoil problema del male si ebbe nella dottrina degli shabbatei, formulataparticolarmente negli scritti di Nathan di Gaza. Secondo lui, vi erano findall'inizio due luci in Ein-Sof, "la luce che conteneva il pensiero" e "laluce che non conteneva il pensiero". La prima aveva in sé, fin dal principio,il pensiero di creare i mondi, mentre nella seconda tale pensiero non c'era, e

tutta la sua essenza tendeva a rimanere occulta e a restare in se stessa senzaemergere dal mistero di Ein-Sof. La prima luce era interamente attiva e laseconda interamente passiva e immersa nel profondo di se stessa. Quando ilpensiero della creazione sorse nella prima luce, questa si contrasse per farspazio alla creazione, ma la luce senza pensiero, che non aveva parte nellacreazione, rimase al suo posto. Poiché non aveva altra finalità che rimanerein se stessa, resistette passivamente alla struttura dell'emanazione che laluce contenente il pensiero aveva costruito nel vuoto creato dalla propriacontrazione. La resistenza trasformò la luce senza pensiero nella supremafonte del male nell'opera della creazione. L'idea di un dualismo tra materia eforma quale radice del bene e del male assume qui un aspetto originalissimo:la radice del male è un principio esistente nello stesso Ein-Sof, che si tienedistaccato dalla creazione e cerca di impedire che vengano attuate le forme

della luce contenente il pensiero, non perché sia malefico per natura, ma soloperché il suo unico desiderio è che nulla debba esistere al di fuori diEin-Sof. Rifiuta di ricevere in sé la luce che contiene il pensiero, e diconseguenza si sforza di frustrare e di distruggere tutto ciò che è costruitoda quella luce. Quindi il male è il risultato di una dialettica tra dueaspetti della luce dello stesso Ein-Sof. La sua attività nasce dalla suaopposizione al cambiamento. L'affinità di questa idea con la concezioneneoplatonica della materia quale principio del male appare evidente. La lottatra le due luci si rinnova ad ogni fase della creazione, e non avrà terminefino al tempo della redenzione finale, quando la luce che contiene il pensieropenetrerà completamente la luce senza pensiero e vi delineerà le sue forme

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sante. La sitra ahra dello Zohar non è altro che la totalità della strutturache la luce senza pensiero è costretta a produrre quale risultato di questalotta. Via via che il processo della creazione prosegue, la lotta diviene piùacuta, perché la luce del pensiero, per sua stessa natura, vuole penetraretutto lo spazio lasciato vuoto dalla sua contrazione e non lasciare nullad'intoccato in quel regno primordiale e senza forma che Nathan chiama golemfhyle senza forma). La premessa che i principi del bene e del male esistonoinsieme nella mente suprema di Dio e che non vi è altra possibile soluzione

logica al problema del male in un sistema monoteistico, fu condivisa daLeibnitz, il quale affrontò il problema in modo simile, circa 40 dopo, nellasua Théodicée.Benché non vi sia il dubbio che in maggioranza i cabalisti ritenessero che ilmale avesse un'esistenza reale a vari livelli, anche se operava attraverso lanegazione, essi erano divisi nelle diverse visioni del problema escatologicodi come avrebbe avuto fine nel mondo e nell'uomo. Il potere del male verrebbetotalmente distrutto nel tempo a venire? O forse sopravviverebbe, marimarrebbe privo di ogni possibilità d'influenzare il mondo redento, quando ilbene e il male, che si erano mescolati, fossero finalmente separati di nuovo?O forse il male verrebbe ritrasformato in bene? La concezione che nel mondofuturo, quando ciò avverrà, tutte le cose ritorneranno al santo statooriginale, ebbe sostenitori eminenti dai tempi dei cabalisti di Gerona in poi.Nahmanides parlava del "ritorno di tutte le cose alla loro vera essenza", unconcetto forse tratto dall'escatologia cristiana e dalla dottrinadell'apokatasis (reintegrazione); ed egli intendeva con questo la riascesa diogni essere creato alla sua fonte nell'emanazione, il che non avrebbe piùlasciato spazio per la continuazione dell'esistenza del regno del male nellacreazione o del potere dell'istinto malefico nell'uomo. Sembrerebbe, ineffetti, che tale ritorno fosse connesso nella sua concezione al grandegiubileo, secondo la dottrina delle shemittot. Questa posizione accettava larealtà del male nelle diverse shemittot, in ogni shemittah secondo la suanatura specifica.In generale, le argomentazioni cabalistiche circa il fato finale del male silimitavano al tempo della redenzione e al giorno del giudizio. L'opinioneprevalente era che il potere del male sarebbe stato distrutto e sarebbescomparso, poiché non vi sarebbe più stata alcuna giustificazione per la

continuazione della sua esistenza. Tuttavia, altri sostenevano che il regnodel male sarebbe sopravvissuto quale luogo di punizione eterna per i malvagi.Una qualche incertezza tra queste due convinzioni si trova tanto nello Zoharquanto nella Cabala lurianica. Nel complesso, lo Zohar sottolinea che ilpotere delle kelippot verrà "spezzato" nel tempo a venire, e in vari passiafferma chiaramente che la sitra ahra "sparirà dal mondo" e la luce dellasantità "risplenderà senza ostacoli". Gikatilla afferma, d'altra parte, chenel tempo a venire "Dio prenderà l'attributo di Ipunirel la sfortuna [cioè ilpotere del male] in un luogo dove non potrà essere maligna" (Sha'arei Orah,cap. 4). Quanti sostenevano la dottrina che il male sarebbe ridivenuto beneaffermavano che lo stesso Samael si sarebbe pentito e si sarebbe trasformatoin un angelo di santità, il che avrebbe causato automaticamente la scomparsadel regno della sitra ahra. Questa concezione è espressa nel libro Kaf

ha-Ketoret (1500) e particolarmente nell'Asarah Ma'amarot di Menahem AzariahFano; ma è contrastata negli scritti di Vital, il quale assunse una posizionemeno liberale. Una potente affermazione simbolica del futuro ritorno di Samaelalla santità, particolarmente diffusa a partire dal secolo XVII, fu laconcezione che il suo nome sarebbe mutato, e la lettera mem significante morte(mavet) sarebbe caduta per lasciare Sa'el, uno dei 72 Nomi sacri di Dio.

La dottrina della creazione nella Cabala lurianica

L'unico fattore comune a tutte le dottrine cabalistiche dell'emanazione e

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della creazione, prima di Isaac Luria, era la fede in uno sviluppo interioreunidirezionale che portava dai primi impulsi di Ein-Sof verso la creazione permezzo di fasi più o meno continue. Questo processo tendeva ad assumere formepiù complesse e a travalicare la dottrina generale delle dieci Sefirot perapprofondire la dinamica interna delle stesse Sefirot, o per descrivere ilmondo dell'emanazione mediante altri sistemi simbolici, come quello dei Nomidi Dio in evoluzione e congiunzione reciproca. Ma il tema fondamentalerimaneva sempre lo stesso: la manifestazione progressiva di Ein-Sof,

articolata tramite i processi dell'emanazione e della creazione. Anche laformulazione classica di questa dottrina nei libri di Cordovero, con tutta lasua complessità dialettica, non diverge da questa linea fondamentale. Percontrasto, troviamo una svolta decisiva nella cosmogonia lurianica, la cuiconcezione drammatica introdusse cambiamenti vastissimi nella struttura delpensiero cabalistico. I dettagli di questo sistema sono estremamente complessianche quando vengono esposti con chiarezza, come ad esempio per quantoriguarda gli atti principali del dramma della creazione, per non parlare poidelle sue numerose oscurità che forse soltanto la meditazione mistica puòcomprendere. La dottrina lurianica creò un enorme abisso tra Ein-Sof e ilmondo dell'emanazione, che negli insegnamenti cabalistici precedenti eranostrettamente legati, e quindi procedette a colmarlo con atti divini di cui laCabala precedente non sapeva nulla, sebbene spesso possano venire compresimeglio sullo sfondo di motivi più antichi. Le principali esposizioni dellefasi della creazione che si trovano nelle diverse versioni della dottrina diLuria, date negli scritti dei suoi discepoli e dei loro allievi (su questefonti, si veda la sezione dedicata a Luria, p. 422), sono sostanzialmentesimili, ma variano nell'enfasi e nelle interpretazioni speculative date alsignificato dei principali atti della creazione Si può anzi dire che con IsaacLuria si inaugurò un nuovo periodo di speculazione cabalistica che va distintaquasi sotto ogni aspetto dalla Cabala precedente.Questa nuova Cabala era basata sue tre dottrine principali che nedeterminavano il carattere: zimzum; la "rottura dei vasi" (sheuirah); etikkun.

Zimzum ("contrazione")

La fonte principale di questa dottrina si trova in un antico frammento dellacerchia del Sefer ha-Iyyun (una prefazione a un commento sulle "32 vie dellasapienza" in un manoscritto di Firenze) che parla di un atto di contrazionedivina che precedette le emanazioni: "In qual modo Egli produsse e creò ilmondo? Come un uomo che raccoglie e contrae (mezamzem) il suo respiro [ShemTov b. Shem Tov scrive: "e contrae Se stesso''] in modo che il più piccolopossa contenere il più grande, così Egli contrasse la Sua luce nello spazio diuna mano, secondo la Sua misura, e il mondo rimase nella tenebra, e in quellatenebra Egli tagliò i macigni e scolpì le rocce". Qui ci si riferisce allacreazione di Keter, che si riteneva evoluto dall'atto di contrazione chelasciò posto alla tenebra, lo stesso Keter. Questa era in effetti anche laconcezione di Nahmanides nel suo commento al Sefer Yezirah, ma solo con Luria

l'idea fu elevata a principio cosmologico fondamentale.La principale originalità di questa dottrina lurianica stava nella nozione cheil primo atto di Ein-Sof non era un atto di rivelazione e di emanazione, ma,al contrario, uno di occultamento e di limitazione. I simboli qui impiegatiindicano un punto di partenza estremamente naturalistico per comprendere ilprincipio della creazione, e la loro audacia li rende problematici. Non èsorprendente, quindi, che molti punti importanti della dottrina di Luria,conservata nella formulazione originale nei testi di Luria pervenuti fino anoi e nella versione di Joseph Ibn Tabul, venissero offuscati (come in EzHayyim di Vital) o completamente soppressi (come in Kanfei Yonah di MosesJonah). Il punto di partenza di questa teoria è l'idea che l'essenza stessa di

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Ein-Sof non lascia spazio alcuno per la creazione, perché è impossibileimmaginare un'area che già non sia Dio, dato che questo costituirebbe unalimitazione della Sua Infinità. (Questo problema non era motivo dipreoccupazione per lo Zohar né per Cordovero.) Di conseguenza, un atto dicreazione è possibile solo tramite "l'entrata di Dio in Se stesso", cioètramite un atto di zimzum, con il quale Egli si contrae, e quindi rendepossibile l'esistenza di qualcosa che non è Ein-Sof. Qualche parte dellaDivinità, perciò, si ritrae e lascia spazio, per così dire, affinché entri in

gioco il processo creativo. Tale atto del ritrarsi deve precedere ogniemanazione.Diversamente dall'uso midrashico della parola (mezamzem) che parla di Dio ilquale si contrae nel Santo dei Santi nella dimora dei cherubini, lacontrazione cabalistica ha il significato inverso: non è la concentrazionedella potenza di Dio in un luogo, bensì il suo ritrarsi da un luogo. Il luogoda cui Egli si ritrae è semplicemente "un punto" in confronto alla Suainfinità, ma dal nostro punto di vista comprende tutti i livelli d'esistenza,spirituali e corporei. Questo luogo è uno spazio primordiale, ed è chiamatotehiru, un termine tratto dallo Zohar (1:15a). Luria, inoltre, rispondeall'interrogativo di come ebbe veramente luogo questo zimzum. Prima dellozimzum, tutte le forze di Dio erano raccolte nel Suo essere infinito, edequilibrate senza alcuna separazione tra esse. Di conseguenza, anche le forzedi Din ("giudizio") vi erano raccolte, ma non erano distinguibili come tali.Quando fu posta in essere la prima intenzione di creare, Ein-Sof raccolse leradici di Din, che in precedenza erano celate in Lui, in un luogo dal quales'era allontanato il potere della misericordia. In questo modo, si concentròil potere di Din. Perciò lo zimzum fu un atto di giudizio e diautolimitazione, e il processo così iniziato doveva continuare mediante unaprogressiva estrazione e catarsi del potere di Din rimasto nello spazioprimordiale, dove era mescolato confusamente ai resti della luce di Ein-Sofrimasti anche dopo 1O zimzum, come le gocce d'olio che rimangono in unrecipiente dopo che è stato vuotato. Questo residuo fu chiamato reshimu. Inquesto miscuglio incoato, che è l'aspetto hylico del futuro universo, discendedall'Ein-Sof primordiale, che abbraccia lo spazio, una yod, la prima letteradel Tetragrammaton che contiene una "misura cosmica" o kav ha-middah, cioè ilpotere di formazione e organizzazione. Questo potere può essere visto come

appartenente all'attributo della traboccante misericordia (Rahamim).La creazione, quindi, è concepita come una duplice attività dell'Ein-Sofemanante, seguita allo zimzum: l'Emanatore agisce come substrato ricettivotramite la luce del reshimu, e come una forza datrice di forma che discendedall'essenza di Ein-Sof per apportare ordine e struttura alla confusioneoriginale. Perciò, tanto il soggetto quanto l'oggetto del processo dicreazione hanno la loro origine in Dio, ma furono differenziati l'unodall'altro nello zimzum. Questo processo è espresso nella creazione di "vasi "(kelim) in cui l'essenza divina rimasta nello spazio primordiale vieneprecipitata: dapprima ciò avviene ancora hylicamente, nel vaso chiamato "ariaprimordiale" (avir kadmon), ma in seguito assume una forma più chiara nel vasochiamato "uomo primordiale" (Adam Kadmon), che è creato da un innalzarsi eabbassarsi della "misura cosmica", che serve da nesso permanente tra Ein-Sof e

lo spazio primordiale dello zimzum.Questa versione della dottrina dello zimzum fu notevolmente oscurata da Vital,sebbene qualche allusione ad essa rimanga sparsa qua e là nelle sue opere.All'inizio del suo Ez Hayyim, tuttavia, vi è un'esposizione molto piùsemplice. Senza menzionare né il raccogliersi delle radici di Din né ilreshimu, egli descrive un processo mediante il quale, come risultato dell'attodella contrazione divina si formò un vuoto nel mezzo di Ein-Sof, in cui emanòun raggio di luce che riempì tale spazio con dieci Sefirot. Poiché lo zimzumebbe luogo egualmente da ogni parte, il vuoto risultante era di formacircolare o sferica. La luce che vi entrò in linea retta (dopo lo zimzum,quindi, ha due aspetti fin dall'inizio: si dispone tanto in centri concentrici

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quanto in una struttura unilineare, che è la forma di Adam Kadmon le-kholhakedumim, "l'uomo primordiale che precedette tutti gli altri primordiali". Laforma di un cerchio e di un uomo sono perciò le due direzioni in cui sisviluppa ogni cosa creata. Come il primo movimento nella creazione fu inrealtà composto di due movimenti - l'ascesa di Ein-Sof nelle profondità di sestesso e la sua parziale discesa nello spazio dello zimzum - questo dupliceritmo è una caratteristica necessariamente ricorrente di ogni fase delprocesso universale. Tale processo opera tramite la duplice pulsazione del

movimento alternativo dell'espansione di Ein-Sof e del suo desiderio diritornare a se stesso, hitpashtut ("egresso") e histalkut ("regresso"), comelo chiamano i cabalisti. Ogni movimento di regresso verso la fonte ha in séqualcosa di un nuovo zimzum. Questo duplice aspetto del processo di emanazioneè tipico della tendenza dialettica della Cabala lurianica. Ogni fase dellosviluppo della luce emanante non ha soltanto un aspetto circolare e lineare,ma anche i modi di una "luce interiore" entro i vasi che sono prodotti e diuna "luce circondante", nonché i modi di azmut ve-kelim ("sostanza e vasi") edi "luce diretta e luce riflessa", che sono tratti dagli insegnamenti diCordovero. Lo speciale interesse-di Luria per la struttura dei mondispirituali e la loro emergenza tramite processi dialettici è espresso anchenella distinzione da lui operata tra la "totalità" (kelalut) strutturale delleforze dell'emanazione e l' "individualità" (peratut) strutturale di ognuno deipoteri attivi in una data struttura complessiva.Le nostre fonti più antiche della dottrina dello zimzum mostrano chiaramenteche Luria non operò una differenziazione tra la sostanza di EinSof e la sualuce, in entrambe le quali avvenne lo zimzum. La distinzione venne fatta soloquando sorsero problemi relativi all'armonizzazione tra questa dottrina el'idea dell'immutabilità di Dio. Questo desiderio di coerenza ebbe dueconseguenze: 1) una differenziazione tra la sostanza di Ein-Sof e la sua luce(cioè la sua volontà, che permise di sostenere che lo zimzum avvenne soltantonella seconda, e non nel suo "possessore"; 2) l'insistenza sul fatto che ilconcetto di zimzum non doveva essere preso alla lettera, essendo soltantofigurativo e basato su una prospettiva umana. Queste due convinzioni furonosottolineate particolarmente nella scuola di Israel Sarug, i cui insegnamential riguardo erano basati su una combinazione della redazione della dottrinalurianica fatta da Ibn Tabul e di quella di Moses Jonah nella sua opera Kanfei

Yonah, che non fa menzione dello zimzum, ma parla soltanto di un'emanazione diun punto primevo comprendente tutte le Sefirot, senza addentrarsi nei dettaglidel modo in cui queste ultime pervennero ad esistere. A questo, Sarug aggiunseidee originali che ebbero grande influenza sulla Cabala dei tempi successivi;un sommario si può trovare nel suo libro Limmudei Azilut, in seguitoattribuito a Vital. Secondo la sua opinione, lo zimzum fu preceduto daprocessi di natura ancor più interiore entro lo stesso Ein-Sof. In principio,Ein-Sof si compiacque della sua autosufficienza autarchica, e questo "piacere"produsse una sorta di "scossa" (ni'anu'a) che era il movimento di Ein-Sofentro se stesso. Poi, questo movimento "da se stesso a se stesso", destò laradice di Din, che era ancora indistinguibilmente combinato con Rahamim. Comerisultato di questa "scossa", "punti primordiali" furono "incisi" nel poteredi Din, divenendo così le prime forme che lasciarono il loro segno

nell'essenza di Ein-Sof. I contorni di questa "incisione" erano quelli dellospazio primordiale, che doveva venir posto in essere quale prodotto finale diquesto processo. Quando la luce di Ein-Sof al di fuori di questa "incisione"agì sui punti interni, questi ultimi passarono dallo stato potenziale a quelloattuale, e fu posto in essere la Torah primordiale, il mondo ideale intessutonella sostanza dello stesso Ein-Sof. Questa Torah, il movimento linguistico diEin-Sof in se stesso, è chiamata malbush ("veste"), benché in effetti siainseparabile dalla sostanza divina e sia in essa intessuto "come lacavalletta, il cui indumento è parte di se stessa", per usare il linguaggiodel Midrash. Sarug descrisse dettagliatamente la struttura di questa "veste".La sua lunghezza era formata dagli alfabeti del Sefer Yezirah e aveva 231

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"porte" (cioè possibili combinazioni delle 22 lettere dell'alfabeto ebraico)che formeranno l'archistruttura del pensiero divino. La sua larghezza eracomposta da un'elaborazione del Tetragrammaton secondo il valore numericodelle quattro possibili orto(Jrafie dei nomi interamente scritti delle suelettere, cioè il "nome" 45, il "nome" 52, il "nome" 72 e il "nome" 63, cheerano la "trama" e l'"ordito" situati in origine nell'orlo della veste. QuestaTorah primordiale conteneva in potenza tutto ciò che poteva essere rivelatotramite la Torah da dare sulla tela. In effetti si trattava di una versione

cabalistica del mondo delle idee platonico. La grandezza della veste eradoppia rispetto all'area necessaria per la creazione di tutti i mondi. Dopoessere stata intessuta, fu piegata in due: una metà di essa ascese, e le suelettere si posero dietro le lettere dell'altra metà. I "nomi" 45 e 52 furonodisposti dietro i "nomi" 72 e 63, e di conseguenza l'ultima yod del "nome" 63rimase senza compagna nella veste piegata. Questo piegamento costituì unacontrazione (zimzum) della veste su metà della sua area, e, con la rimozionedi metà della stessa dal posto precedente nell'Ein-Sof si creò qualcosa chenon era più partecipe della sua sostanza. Tutto ciò che rimase in questoquadrato primordiale fu la yod non abbinata che assunse ora il compitodinamico di trasferire la luce di Ein-Sof, la quale si diffondeva in cerchi,all'area prodotta dall'atto di zimzum, come nella versione di Ibn Tabul.L'area vuota prodotta dal piegarsi della veste non è un vero vuoto, ma èsemplicemente priva della veste o della luce della sua sostanza. Tuttavia lalegge occulta dell'intera creazione che è inscritta entro l'"incisione" diEin-Sof è da questo momento attiva e si esprime tramite tutti i processisuccessivi, mediante il potere di cui è investita questa yod intrusa. Nellospazio vuoto sono resi manifesti tanto il residuo (reshimu) della rimanenteluce della sua essenza e parte della luce di Ein-Sof, che agisce come l'animache sostiene tutto e senza la quale tutto ritornerebbe come prima a Ein-Sof.Anche quest'anima si contrae in un punto, che non è altro che 1'anima mundidei filosofi. Inoltre, i vari movimenti dello zimzum e le ascese e le discesedi yod producono ancora altri punti nello spazio che costituiscono ilprimordiale "mondo dei punti" (olam ha-nekudot), che in questa fase non haancora una struttura definita e in cui le luci divine esistono in uno statoatomizzato, puntiforme. Secondo Sarug, non una ma molte contrazioni avvengononel luogo del reshimu, e quindi successivamente. Altrove egli afferma che vi

sono due specie di reshimu, uno della sostanza divina e una della vestepiegata, e che soltanto il secondo è articolato nel mondo dei punti. Solo conil ritorno della yod, che ascende aEin-Sof e da esso ridiscende, viene creata quella luce superna nello spazioprimordiale che è conosciuta come tehiru o materia primordiale di ogni essere.La complicazione dialettica evidente nelle esposizioni di Sarug attestal'incertezza e l'eccitazione causate dalla nuova idea di zimzum, L'importanzadel potere di Din negli atti che portano alla sua incorporazione nella materiaprimordiale viene obliterata in misura assai maggiore nella esposizione diSarug che in quella di Ibn Tabul, sebbene non sparisca completamente. Lacontraddizione insita nelle concezioni opposte dello spirito primordialerimasto vuoto, ora come un quadrato ed ora come una sfera creata dall'attivitàdella yod emanante, poneva nell'opera di Sarug un problema addizionale che non

si trova altrove e che non aveva una soluzione coerente. In ogni caso, ledescrizioni estremamente naturalistiche di queste esposizioni erano attenuatedall'insistenza sul loro carattere simbolico.Uno dei più interessanti tra gli ulteriori tentativi speculativi di spiegarele teorie dello zimzum, che continuarono a venir compiuti per pie di 200anni, è l'ardita interpretazione di Shabbetai Sheftel Horowitz nella sua ShefaTal. Horowitz tentò di revisionare ancora una volta la dottrina dello zimzum edi considerarla esclusivamente un racconto simbolico dell'emanazione dellaSefirah Keter. Seguendo l'esposizione di Tabul e di Sarug, pur senzamenzionare il malbush ("veste"), egli cercò di equiparare le diverse fasinello, zimzum con quelle che egli considerava le fasi parallele

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nell'emanazione di Keter negli insegnamenti di Cordovero. L'emergenza deltehiru non era più prodotta dallo zimzum, bensì dall'emanazione della luce diEin-Sof dall'interno dell'essenza dello stesso Ein-Sof. Solo in questo tehiruemanato aveva luogo una contrazione della luce di Ein-Sof, un residuo dellaquale si mescolava con parte della sostanza emanata per formare il reshimu.Così", l'anima venne posta in essere come punto supremo nella Sefirah Keter.Questa trasformazione dello zimzum in un secondo atto divino seguito a un attooriginale d'emanazione rese la dottrina nuovamente compatibile con Cordovero,

il quale aveva anch'egli riconosciuto l'esistenza di uno zimzum entro lacatena delle emanazioni, in cui il potere del Creatore veniva inevitabilmenteristretto in modo progressivo. Quindi, l'interpretazione di Horowitz eliminatala spinta paradossale che era insita nella dottrina dello zimzum fin dalla suaconcezione e ne costituiva anzi l'elemento più originale.A partire dal secolo XVII, le opinioni dei cabalisti si divisero per quantoriguardava la dottrina dello zimzum. Doveva essere inteso letteralmente?Oppure doveva essere inteso simbolicamente come un evento nelle profondità delDivino, che la mente umana poteva descrivere solo in un linguaggio figurativo?Il problema fu il pomo della discordia nelle molte discussioni che ebberoluogo tra i cabalisti e coloro che, avendo tendenze più filosofiche,disapprovavano la speculazione cabalistica, benchè il concetto di zimzum fossein realtà molto vicino alle idee che più tardi si svilupparono nelle modernefilosofie idealiste, come quelle di Schelling e di Whitehead. In seguitoall'esposizione della dottrina fatta dall'autore di Emek ha-Melekh molticabalisti erano inclini a prendere lo zimzum alla lettera, una concezione chedivenne popolare soprattutto tra gli shabbatei, il cui credo rendevaimpossibile un'interpretazione non letterale. Questa posizione fu espressachiaramente negli scritti di Nathan di Gaza e Nehemiah Hayon. Fu la decisadifesa dell'interpretazione letteralista fatta da Hayon, infatti, che indusseJoseph Ergas a sottolineare ancora più cautamente la concezione di AbrahamHerrera, per il quale la dottrina dello zimzum era simbolica. La disputa,legata anche alla dottrina antropomorfista degli shabbatei in generale,scoppiò nel 1714 e fu riassunta da Ergas nel suo Shomer Emunim (1736) che è lanostra fonte più importante per l'interpretazione fondamentale che riportò ladottrina lurianica al suo punto di partenza cordoverista. Ormai l'aspettoshabbateo della controversia non costituiva più un fattore, tanto che la

posizione letteralista venne nuovamente difesa anche nel campo dei cabalistiortodossi, il cui portavoce principale fu Immanuel Hai Ricchi nel suo YosherLeuau (1737). Il sistema di Ergas, d'altra parte, venne ampliato nell'Ammudha-Avodah di Baruch Kosover (scritto intorno al 1763, ma stampato solo nel1854). Ergas influenzò grandemente la letteratura hasidica, soprattutto gliinsegnamenti Habad di Shneur Zalman di Lyady e del suo allievo Aaron ha-Levidi Staroselye, il quale dedico all'argomento una profonda discussionedialettica nel suo Avodat ha-Levi (1862). In Tanya, Shneur Zalman sostenne cheil Gaon di Vilna intendeva erroneamente zimzum alla lettera; ma non è certoche fosse giustificato nell'interpretare in tal modo l'insegnamento del Gaon.Il sistema di Aaron ha-Levi è basato sulla premessa di un duplice zimzum, Ilprimo zim,zum, chiamato anche beki'ah ("penetrazione"), è una contrazionenella sostanza di Ein-Sof che rende possibile l'apparizione dell'Infinito in

generale e che trascende completamente la nostra comprensione. Esso porta auna rivelazione della luce di Ein-Sof, ma è così" insondabile che non ve ne èla minima menzione in Ez Hayyim di Hayyim Vital. È soltanto dopo questabeki'ah, concepita come un "balzo" dall'Ein-Sof assoluto all'Ein-Sof relativo,che avviene la seconda contrazione, mediante la quale la luce Infinita diEin-Sof viene fatta apparire finita. In effetti, tuttavia, il finito non haesistenza, ed è reso possibile solo mediante l'emissione di una linea o di unraggio dall'Infinito. Il concetto catartico di zimzum menzionato piùsopra fusviluppato indipendentemente negli scritti di Moses Hayyim Luzzatto, il qualeriteneva che l'importanza cruciale dello zimzum stesse nel fatto che ilCreatore "vinse, per così" dire, la Sua legge innata della bontà nella

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creazione, affinchè le Sue creature non fossero rese perfette, anche dal loropunto di vista, e tanto più dal punto di vista di Dio". La radice metafisicadel male è insita nella privazione stessa comportata dall'atto dello zimzum, etutto lo sviluppo degli esseri creati dipende dal fatto che essi ricevono unapossibilità di rendersi perfetti secondo i loro meriti e di separare il poteredel male dal potere del bene.In sostanza, possiamo dire che i cabalisti, i quali scrivevano tenendod'occhio i filosofi, tendevano a sottolineare la natura non letterale dello

zimzum, mentre quelli che non amavano la filosofia aristotelica presentavanola dottrina letteralmente e senza ornamenti. Non dobbiamo neppure trascurarelo stretto nesso, nella concezione di molti cabalisti, tra lo zimzum el'esistenza della materia hylica, che servì come base per l'intera creazione.Persino lo stesso Hayyim Vital definì" l'Infinito come il Nulla, che solomediante lo zimzum divenne manifesto in Keter, la materia hylica di tutta lacreazione (Ez, Hayyim, cap. 42, par. 1). Altri collegavano l'esistenzadell'hyle al reshimu, lo spazio primordiale, o l'aria primordiale resamanifesta mediante lo zimzum. Una speciale discussione dell'argomento si trovain, Zuf Novelot di Eliakim b. Abraham Hart (Londra, 1799), che riassumel'elaborazione assai piùlunga in Nouelot Hokhmah di Joseph Solomon Delmedigo(1631).

Fine parte 1.

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Sholem.

La cabala.

Parte seconda.

La rottura dei vasi.

Il punto in Ein-Sof rimasto vuoto nell'atto dello zimzum fu successivamentecolmato da una proliferazione di parole e di eventi ontologici, ognuno deiquali, nella Cabala lurianica, tende a divenire il soggetto di una descrizionedi complessità estrema. Inoltre, queste descrizioni variano nelle diverseredazioni di Ibn Tabul, Moses Jonah, e Hayyim Vital, e versioni estremamentecontraddittorie si possono trovare addirittura in parecchie opere di Vital. Itentativi compiuti da Joseph Sarug per trarre un tutto unificato da questaconfusione contribuì" soltanto ad aggravarla. Tuttavia, in ognuna di questeesposizioni appaiono le stesse grandi linee generali. La principalepreoccupazione di Isaac Luria, si direbbe, consisteva nel seguire l'ulterioresviluppo dei vasi che ricevettero la luce dell'emanazione risplendente nellospazio primordiale dopo l'atto dello zimzum. Nell'emergenza attuale di questivasi, avevano parte tanto le luci situate nel tehiru dopo lo zimzum e le lucinuove che entrarono con il raggio. Scopo di questo processo era l'eliminazione(berur) delle forze di Din che si erano raccolte una catarsi che poteva essereottenuta eliminando interamente tali forze dai sistema, oppure integrandole inesso "addolcendole" e purificandole: due punti di vista contrastanti chespesso incontriamo fianco a fianco. In entrambi i casi, tuttavia, perproseguire questi processi che erano un preludio necessario alla complessagerarchia della creazione, era necessaria una differenziazione progressiva neivasi stessi, senza la quale le correnti emananti non avrebbero potuto regolarese stesse e funzionare adeguatamente. A questo scopo, le varie congiunzionidelle prime luci emanate, in collisione l'una con l'altra portavano allacreazione di vasi o contenitori che "si cristallizzavano" per così dire, dacerti modi contenuti nelle luci.Tutte le redazioni lurianiche concordano nell'affermare che il raggio di luceproveniente da Ein-Sof per organizzare il reshimu e le forze di Din che hanno

riempito lo spazio primordiale funziona in due modi opposti, che informanotutti gli sviluppi in tale spazio, dall'inizio alla fine. Sono questi i dueaspetti di "cerchio e linea" (iggul ve-yosher). In pratica, un punto puòespandersi solo in uno dei due modi, circolarmente o linearmente, e in questosi esprime una fondamentale dualità insita nel processo della creazione. Lapiù armoniosa delle due forze, quella che partecipa della perfezione diEin-Sof, è il cerchio; quest'ultimo si conforma naturalmente allo spaziosferico dello zimzum, mentre il raggio di luce diritto va avanti e indietro,per cercare la sua struttura suprema nella forma d'uomo, che rappresental'aspetto ideale di yosher (struttura "lineariforme"). Perciò, mentre ilcerchio è la forma naturale, la linea è la forma voluta che viene direttamenteda Ein-Sof, è di un grado più elevato del cerchio, la cui forma è un riflessodello zimzum. La prima, secondo Isaac Luria, comprende il principio del ru'ah,

il secondo il principio del nefesh, o perfezione naturale. Essenzialmente,questa dottrina è una riformulazione del simbolismo geometrico pitagorico chedomina la filosofia naturale fino al XVII secolo. Ogni atto di emanazione,quindi, contiene questi due aspetti, e se uno di essi mancasse avverrebberovarie alterazioni o sviluppi inaspettati. Tutti i movimenti finalizzati,teleologici, sono sostanzialmente dominati dalla necessità naturale,immanente.La prima forma che l'emanazione assume dopo lo zimzum è quella di Adam Kadmon("uomo primordiale") che nel sistema lurianico rappresenta un regno al disopra dei quattro monti di azilut, beri'ah, yezirah ed asiyyah con i qualiaveva inizio la Cabala prelurianica. Isaac Luria, è vero, cerca di sostenere

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questa convinzione con un gran numero di citazioni tratte dallo Zohar e daiTikkunim, ma in effetti rappresentava un punto di partenza completamentenuovo. Benché Luria e i suoi discepoli sostenessero che molti dei processi cheavvengono nell'Adam Kadmon sono misteri trascendenti la conoscenza umana,discussero tuttavia dettagliatamente il modo in cui le forze dell'emanazionefurono organizzate dopo lo zimzum in questa forma. In tutto il trattamento diquesta figura e delle luci superne che se ne irradiano, il duplice movimentodialettico menzionato più sopra rimane predominante. Quindi, le dieci Sefirot

presero prima forma nell'Adam Kadmon come cerchi concentrici, il più esternodei quali, il cerchio di Keter, rimaneva in stretto contatto con Ein-Sof chelo circondava. Questo era il nefesh dell'Adam Kadmon. Quindi le dieci Sefirotsi ridisposero in linea, nella forma di un uomo e delle sue membra, benchénaturalmente questo si debba intendere nel senso puramente spirituale delleluci superne incorporaee. Questo fu il ru'ah dell'Adam Kadmon, Gli aspettisuperiori del nefesh, conosciuti come neshamah, hayah e yehidah, sonoegualmente radicati nelle Sefirot superiori nelle loro configurazioni lineari.Tutte queste luci possiedono recipienti ancora così" sottili e "puri" chedifficilmente possono venire considerati recipienti. La promozione dell'AdamKadmon al rango di primo essere emerso dopo lo zimzum spiega la fortecolorazione antropomorfica che accompagna tutte le descrizioni del processod'emanazione nel sistema lurianico. L'Adam Kadmon funge come una specie dianello intermedio tra Ein-Sof, la luce della cui sostanza continua ad essereattiva in lui, e la gerarchia dei mondi ancora a venire. In confronto conquesti ultimi, anzi, l'Adam Kadmon poteva essere chiamato, e talvolta lo era,EinSof.Dalla testa dell'Adam Kadmon si irradiarono luci immani che si allinearono indisposizioni ricche e complesse. Alcune assunsero la forma di lettere, mentrealtre assunsero altri aspetti della Torah o della Lingua Sacra, come lecantillazioni (te'amin), i punti vocalici, o gli affissi scribali (tagim),anch'essi componenti dello Scritto Sacro. Quindi, si congiungono qui duesimbolismi essenzialmente diversi, quello della luce, e quello del linguaggioe della scrittura. Ogni costellazione di luce ha la sua particolareespressione linguistica, sebbene quest'ultima non sia diretta verso i mondiinferiori ma piuttosto verso l'interno, verso il proprio essere interiore.Queste luci si combinano per formare "nomi" le cui potenze celate divengono

attive e si manifestano mediante "configurazioni" (millu'im) celate, dove ognilettera è scritta pienamente con il nome che porta nell'alfabeto. Questo mondoprimordiale, descritto per mezzo di simboli linguistici, fu precipitato dalleluci della fronte di Adam Kadmon, uscite dal punto dove è posto il filatteriodella testa. Le luci uscite dagli orecchi, dal naso e dalla bocca di AdamKadmon, invece, si espansero solo linearmente, e le loro Sefirot non avevanorecipienti speciali, poiché all'inizio erano congiunte in un comunerecipiente, in armonia con la "collettività" che era la loro naturastrutturale. Vital chiama questa sfera olam ha-akudim, intendendo un mondodove le Sefirot non erano ancora differenziate (letteralmente, erano legateinsieme). La funzione assegnata a queste luci nel dramma della creazione nonvenne mai definita chiaramente. Le luci degli occhi, d'altra parte, eranodifferenziate in singole Sefirot. In teoria queste luci avrebbero dovuto

uscire dall'ombelico, ma il luogo della loro apparizione venne deflesso da unmezzo attivo nell'Adam Kadmon e chiamato parsa (apparentemente, un riferimentoal diaframma). Questo spostamento è descritto come il risultato di un altrozimzum entro le luci stesse. Avendo cambiato il percorso, queste luci uscivanodagli occhi tanto linearmente quanto circolarmente, e ognuna delle loroSefirot comandava un suo recipiente. Vital chiama queste luci separate "ilmondo dei punti " (olam ha-nikkudim), ma in altri scritti lurianici sonoraggruppate insieme alla luce del tehiru e vengono chiamate "il mondo deipunti" (olam ha-nekudot) o "il mondo del caos" (olam ha-tohu): quest'ultimaespressione è dovuta al fatto che in questa fase le luci puntiformi delleSefirot non avevano ancora raggiunto un ordinamento strutturale stabile. A

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tutte le luci di queste Sefirot vennero dati recipienti, fatti di luce piùdensa, nei quali potevano disporsi e funzionare.A questo punto, tuttavia, avvenne ciò che nella Cabala lurianica è chiamato"la rottura dei vasi" o "la morte dei re". I recipienti assegnati alle treSefirot superiori riuscirono a contenere la luce che fluiva in essi, ma laluce colpì le sei Sefirot da Hesed a Yesod all'improvviso, e quindi fu troppoforte perché i singoli vasi potessero contenerla: uno dopo l'altro sispezzarono, e i frammenti si dispersero e caddero. Il vaso dell'ultima

Sefirah, Malkhut, si incrinò anch'esso ma non nella stessa misura. Parte dellaluce che era contenuta nei recipienti ritornò alla fonte, ma il restoprecipitò insieme agli stessi vasi, e dai loro frammenti presero sostanza lekelippot, le forme tenebrose della sitra ahra. Questi frammenti, inoltre, sonola fonte della materia grossolana. La pressione irresistibile della luce neivasi fece inoltre s" che ogni rango dei mondi discendesse dal posto che gliera stato assegnato. L'intero processo del mondo quale lo conosciamo ora,quindi, è diverso dall'ordine e dalla posizione destinati originariamente.Nulla, nè le luci nè i recipienti, rimase nel posto giusto, e questo sviluppo- che, con una frase presa a prestito dalle Idrot dello Zohar, viene chiamato"la morte dei re primevi" - altro non fu che una catastrofe cosmica. Nelcontempo, la rottura dei vasi, che corrisponde alla distruzione dei primimondi mal riusciti nella Cabala precedente, non venne intesa negli scrittilurianici come un processo anarchico o caotico; ebbe piuttosto luogo inarmonia con certe chiare leggi interne elaborate estensivamente. Allo stessomodo, l'emergenza delle kelippot quali radici del male veniva descritta comeun processo seguito da regole fisse e coinvolgente solo i frammenti deirecipienti colpiti dalle prime scintille di luce. Queste luci rimasero"catturate" tra le kelippot; le nutrono e anzi forniscono la forza vitaledell'intero mondo delle kelippot, che nell'una o nell'altra misurainterpenetrarono l'intera gerarchia dei mondi quando i vasi si spezzarono.Anche questi recipienti infranti, naturalmente, furono assoggettati alprocesso di tikkun o restaurazione che ebbe inizio immediatamente dopo ildisastro; ma le loro "scorie" non ne subirono l'influsso e da questi rifiuti,che possono venire paragonati ai necessari rifiuti di ogni processo organico,emersero le kelippot, intese nel senso stretto di forze del male. Gli aspetticatastrofici della rottura dei vasi vennero sottolineati specialmente nelle

versioni semplificate della leggenda che appariva nella letteraturacabalistica più popolare e che descriveva l'intero processo con immaginiestremamente mitiche.Negli scritti lurianici vengono proposte spiegazioni diverse per la rotturadei recipienti. Alcuni commentatori si accontentarono di attribuirla allastruttura interna, debole e atomizzata, del "mondo dei punti", le cui partiisolate e disorganizzate erano troppo instabili per impedire che ciòavvenisse. Un'altra spiegazione era che, poiché le prime emanazioni dei puntiuscirono da Adam Kadmon, mentre le "radici" rimasero in lui, e che i primierano privi del potere di resistere alla pressione della luce. Tutte questespiegazioni sono basate sulla premessa che la poco solida struttura del mondodei punti fosse la responsabile, e considerano la rottura dei vasi come unadisavventura nell'esistenza del processo vitale della Divinità. (Vedasi

Tishby, Torat ha-ra ve-ha-kelippah be-kabbalat ha-Ari, 39-45). Altrespiegazioni che sembrano derivare dallo stesso Isaac Luria cercanoeffettivamente di giustificare questa struttura poco solida vedendola come unareazione alle radici di Din e alle kelippot, presenti fin dall'inizionell'emanazione. Secondo questa concezione, il disegno fondamentale delprocesso emanativo era di apportare una catarsi di questi elementi "duri" edei rifiuti nel sistema divino. La presenza delle radici delle kelippotnell'emanazione fu la vera ragione interna della rottura dei vasi. Questaspiegazione catartica è spesso associata con la concezione teologica secondola quale i vasi furono infranti per spianare la via alla ricompensa e allapunizione dei mondi inferiori che dovevano emergere nell'ultima fase della

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creazione. Versioni diverse di queste spiegazioni si trovano in Moses JonahVital e Ibn Tabul. Le spiegazioni catartiche e teleologiche rappresentano insostanza punti di vista diversi, e illustrano bene la tensione nella Cabalalurianica tra il modo di pensiero mitico e quello teologico. Molti cabalistipiù tardi affermarono che la spiegazione teleologica era letteralmente esatta,ma la spiegazione catartica rappresentava la verità mistica (Meir Bikayam,Me'orei Or, 1752, 15c). Nella scuola lurianica di Israel Sarug venne propostaun'altra analogia organica: il mondo dei punti era come un campo seminato, i

cui semi non possono dare frutto se prima non si sono spaccati e putrefatti.

Tikkun

La rottura dei vasi segna una svolta drammatica nelle relazioni tra 1'AdamKadmon e tutto ciò che si sviluppa sotto di lui. Tutti i processi susseguentidella creazione si compiono per porre rimedio a questo difetto primordiale.Nella sua arditezza immaginativa, la convinzione che tale evento potesseavvenire entro un regno che, secondo tutte le opinioni, era ancora parte dellaDivinità automanifestantesi, può essere comparata solo a quella dello stessozimzum. In effetti, fu addirittura suggerito che anche lo zimzumrappresentasse una sorta di "rottura" primordiale in Ein-Sof. Le leggi secondole quali si compie il processo di restaurazione e reintegrazione (tikkun)cosmica costituiscono la parte più ampia della Cabala lurianica, poichériguardano tutti i regni della creazione, inclusi quello "antropologico" equello "psicologico". I dettagli della dottrina del tikkun sono estremamentecomplessi e sembra che venissero ideati intenzionalmente come una sfida allacontemplazione mistica. L'elemento più cruciale in questa dottrina è ilconcetto che il mezzo principale di tikkun, cioè della restaurazionedell'universo al suo disegno originale nella mente del Creatore, è la luce cheuscì dalla fronte dell'Adam Kadmon per riorganizzare la confusione disordinatacausata dalla rottura dei vasi. Il sostegno principale di queste luci vienedalle Sehrot lineari del "mondo dei punti", che non sub" alcuna rottura e chequindi ha il compito d'incoraggiare la formazione di strutture equilibrate estabili nei futuri regni della creazione. Le nuove strutture sono chiamateparzufim, cioè configurazioni o gestalten, e ognuna di esse comprende uno

schema organico di gerarchie di Sefirot con leggi dinamiche proprie.Questi parzufim (letteralmente "facce" o "fisionomie") prendono ora il postodelle Sefirot come principali manifestazioni di Adam Kadmon. In ognuno diessi, forze appena emanate vengono legate con altre rimaste danneggiate nellarottura dei vasi: quindi, ogni parzuf rappresenta uno stadio specifico nelprocesso di catarsi e di ricostruzione. La Sefirah Keter è ora riformata comeil parzuf di Arikh Anpin (letteralmente, "dal volto lungo", cioè"l'indulgente" o "il paziente", una frase presa a prestito dallo Zohar, doveappare come una traduzione aramaica dell'espressione biblica erekhappayin, "alungo paziente"), oppure Attika ("l'Antico"), che talora vengono trattati comedue aspetti separati dello stesso parzuf. Le Sefirot Hokhmah e Binah divengonoora i parzufim di Abba e Imma ("padre" e "madre"), che funzionano in unacapacità duale: esistono quale mezzo per la reindividuazione e la

ridifferenziazione di tutti gli esseri emanati in trasmittenti e riceventidell'influsso, e servono inoltre quale archetipo supremo diquell'"accoppiamento" (zivvug) procreativo che, nel suo aspetto metaforico di"guardare faccia a faccia" (histakkelut panim-be-fanim), è la radice comune ditutte le unioni intellettuali ed erotiche. Questo "accoppiamento" è attivatodalla riascesa delle 288 scintille che stavano nei vasi rotti e cheritornarono nelle viscere di Binah, dove hanno il ruolo di forze animanti evivificanti entro una struttura le cui funzioni sono primariamente ricettive.Senza l'assistenza di tali forze, che vengono chiamate "acque femmine" (mayimnukbin) non può esservi nè "accoppiamento" nè unificazione neppure nel mondodi azilut. Dall'unione di Abba e Imma nasce un nuovo parzuf, conosciuto come

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Ze'eir Anpin (letteralmente "dal volto breve", cioè "l'impaziente" o "il senzaindulgenza"), che è formato dalle sei Sefirot inferiori, da Gedullah a Yesod.Qui abbiamo il centro dei processi catartici che avvengono in tutti i parzufimper mitigare i duri poteri di Din: il loro successo definitivo dipende da unalunga, quasi interminabile serie di sviluppo. L'automanifestazione di Ein-Sofnei mondi creati ha luogo soprattutto tramite questo parzuf, che subisce unosviluppo embrionale (ibbur) nelle profondità di Imma, seguito da "nascita","allattamento" e dal progressivo emergere dei poteri formativi conosciuti come

"immaturità" (katnut) e "maturità" (gadlut). Questi ultimi, a loro volta,vengono rinvigoriti tramite una seconda "concezione" per mezzo di nuovi poteriche si uniscono ad essi da altri parzufim. L'unità strutturale di Ze'eir Anpinè assicurata dall'attività di un principio chiamato zelem ("immagine"', dalversetto in Gen. 1:27), che comporta l'attività di certe luci, le qualiservono come elemento costituente in tutti i parzufim ma sono incentratespecialmente in Ze'eir Anpin. La decima e ultima Sefirah, Malkhut, vieneconvertita anch'essa in un parzuf chiamato Nukba de-Ze'eir, "la femmina diZe'eir", e rappresenta l'aspetto femminile complementare di quest'ultimo. Lafonte principale di questo simbolismo arditamente antropomorfico è nelle Idrotdello Zohar, ma nei suoi sviluppi nella Cabala lurianica compì una svoltaradicale. Lo stesso Isaac Luria vedeva indubbiamente i parzufim come centri dipotere, attraverso i quali il dinamismo creativo della Divinità potevafunzionare e prendere forma. I vari nomi, configurazioni e sub-configurazioniche accompagnano queste descrizioni simboliche avevano probabilmente l'intentodi smussare l'antropomorfismo quasi provocatorio. Al di sopra dei cinqueparzufim appena menzionati, la cui dialettica interna è spiegataestensivamente in Ez Hayyim di Hayyim Vital, vi sono ancora altri parzufimsecondari che costituiscono l'articolazione di certi poteri nello Ze'eir Anpine nella sua controparte femminile, Nukba, come Yisrael Sava, Tavunah, Rahel eLeah. In effetti, nel pensiero riccamente associativo di Isaac Luria,praticamente ogni personaggio biblico veniva trasformato in una figurametafisica, dalla quale scaturivano nuove ipostasi e parzufim. Un esempionotevolissimo di questa tendenza si può trovare nel capitolo 32 di Ez Hayyim,dove tutto ciò che accade alla "generazione del deserto" viene interpretatocome se rappresentasse processi dei parzufim delle tre Sefirot superiori delloZe'eir Anpin e della sua controparte femminile.

I cinque parzufim principali di Arikh Anpin, Abba, Imma, Ze'eir Anpin e Nukbade-Ze'eir costituiscono la figura finale dell'Adam Kadmon, così" come sievolve nei primi stadi di tikkun, e che è molto diversa dalla figura di AdamKadmon esistente prima della rottura dei vasi. Questi parzufim comprendonoinoltre "il mondo dell'equilibrio" (olam ha-matkela), che è identico al mondodi azilut della Cabala precedente. Da questo mondo discende un influsso diluce spirale (ma non la sua sostanza) verso i mondi inferiori di beri'ah,yezirah ed asiyya. In fondo a ogni mondo vi è una "cortina" o "velo" che servea filtrare la sostanza sefirotica corrispondente alla natura di quel mondo e alasciar passare attraverso un riflesso secondario tutto il resto che, a suavolta, diviene la sostanza di una fase successiva. La struttura fondamentaledel mondo di azilut si ripete con certe modificazioni nei tre mondi inferiori.Il tikkun, tuttavia, non si è ancora completato. Come risultato della rottura

dei vasi, nessuno dei mondi è collocato al suo giusto posto. Ognuno di essi sitrova in una collocazione inferiore a quella che dovrebbe avere: è nel postooriginale del mondo che gli sta sotto. Di conseguenza, il mondo di asiyya, chein essenza è anch'esso un mondo spirituale (come la Natura Ideale deineoplatonici), è disceso mescolandosi alla parte inferiore del regno dellekelippot e con la materia fisica, che vi è dominante.Come è già stato ricordato, la Cabala lurianica s'interessa soprattutto delprocesso di tikkun e degli sviluppi che avvengono nei parzufim dei diversimondi, nell'"adam di azilut", nell'"adam di beri'ah" e così" via. (Circa trequarti di Ez ayyim sono dedicati a questo argomento). Il punto cruciale nellevarie discussioni lurianiche di questi sviluppi è che, sebbene il tikkun dei

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vasi rotti sia stato quasi completato dalle luci superne e dai processiderivanti dalla loro attività, certe azioni conclusive sono state riservateall'uomo. Queste sono il fine ultimo della creazione, e il completamento deltikkun, che è sinonimo della redenzione, dipende dal fatto che l'uomo licompia. Qui sta la stretta connessione fra la dottrina del tikkun e l'attivitàreligiosa e contemplativa dell'uomo, che deve lottare, vincendo, non solocontro l'esilio storico del popolo ebraico ma anche con l'esilio mistico dellaShekhinah, che fu causato dalla rottura dei vasi.

L'oggetto dell'attività umana, designata a completare il mondo del tikkun, èla restaurazione del mondo di asiyyah al suo posto spirituale, la sua completaseparazione dal mondo delle kelippot, e il conseguimento di un beato,permanente stato di comunione con ogni creatura e con Dio, che le kelippot nonpotranno distruggere o impedire. D'importanza fondamentale è la distinzionelurianica tra gli aspetti interni ed esterni delle luci superne e degli stessimondi della creazione: il tikkun degli aspetti esteriori dei mondi non competeaffatto all'uomo, la cui missione riguarda esclusivamente certi aspettidell'interiorità. Nel sistema lurianico il rango gerarchico dell'interiore èsempre inferiore a quello dell'esteriore, ma proprio per questa ragione è allaportata di un individuo veramente spirituale e interiorizzato, almeno in unacerta misura. Se questo individuo adempie adeguatamente il proprio compito, le"acque femminili" che permettono gli accoppiamenti superni si moveranno, el'opera del tikkun esterno verrà completata dalle luci superne che sonorimaste nascoste ne1parzuf di Attika e che devono rivelarsi soltanto nelfuturo messianico. Come minimo, le attività umane in armonia con la Torahpossono preparare la via al tikkun dei mondi inferiori.Non si può negare il carattere gnostico di questa cosmogonia, sebbene il mododettagliato in cui è elaborata sia tratto interamente da fonti ebraiche.Tipicamente gnostica, ad esempio, è la rappresentazione della creazione qualedramma cosmico incentrato intorno a una crisi profondamente fatidica entrol'attività della Divinità stessa, e della ricerca d'una via dellarestaurazione cosmica, dell'epurazione del bene dal male, in cui all'uomo èassegnato un ruolo centrale. Il fatto che una teologia gnostica nonriconosciuta potesse dominare la corrente principale del pensiero religiosogiudaico per un periodo di almeno due secoli deve essere senza dubbioconsiderato come uno dei paradossi piùgrandi dell'intera storia del Giudaismo.

Nel contempo, fianco a fianco con la visione gnostica, troviamo unasorprendente tendenza verso un modo di pensare contemplativo che può esserechiamato "dialettico" nel senso piùstretto del termine, come lo usò Hegel.Questa tendenza spicca specialmente nei tentativi di presentare spiegazioniformali di dottrine come quella dello zimzum, la rottura dei vasi o o laformazione dei parzuhm.Oltre alla redazione degli insegnamenti di Luria menzionati più sopra, leconcezioni fondamentali della Cabala lurianica sono presentatesistematicamente e originalmente presentate nelle seguenti opere: Ma'amar Adamde-Azilut, incluso da Moses Pareger nel suo Va-Yakhel Moshe (Dessau 1699);Nouelot Hokhmah di Joseph Solomon Delmedigo (Basilea, in realtà Hanau, 1631);Keleh [138] Pithei Hokhmah di Moses Hayyim Luzzatto (Koretz,1785); Tal Orot diJacob Meir Spielmann (Leopoli; 1876-83); Pithei She'arim di Isaac Eisik Haver

(1888); Leshem Shevo ve-Ahlamah di Solomov Eliashov (1912-48); e Talmud Eserha-Sefirot di Judah Leib Ashlag (195567). Le esposizioni notissime dellaCabala lurianica di Abraham Herrera e di Joseph Ergas furono grandementeinfluenzate dalla loro tendenza a riconciliare o almeno a correlare il sistemalurianico con gli insegnamenti di Cordovero, come si può vederenell'allegorizzazione, operata da Ergas, della dottrina lurianica dellozimzum.

La Cabala e il panteismo

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Se e in che misura la Cabala conduca a conclusioni panteiste è una questioneche ha occupato molti dei suoi studiosi fin da quando, nel 1699, apparve lostudio di J.G. Wachter, Der Spinozismus in Judenthumb, che tentava didimostrare che il sistema panteista di Spinoza derivava da fonti cabalistiche,in particolare dagli scritti di Abraham Herrera. Molto dipende naturalmente,dalla definizione di un concetto che è stato impiegato in significati moltodiversi. Un insegnamento può essere considerato panteista quando sostiene che

"Dio è ogni cosa" e che "ogni cosa è Dio"; tuttavia dobbiamo distinguere trale formule occasionali che hanno questa particolare colorazione panteistica eil posto esatto loro assegnato nella cornice di una teologia sistematica.Queste formule si trovano in abbondanza anche nel misticismo cristiano eislamico, tuttavia il loro contenuto effettivo non sempre è conforme al loroaspetto panteistico esteriore. Questo è altrettanto vero per molteaffermazioni simili nella letteratura cabalistica, specialmente quelle chericorrono in esposizioni del pensiero cabalistico destinate al consumopubblico, come in gran parte degli scritti hasidici. D'altra parte, puòricorrere anche il fenomeno opposto, e qua e là troviamo formuleesplicitamente teistiche che smentiscono il loro contenuto panteistico osemipanteistico. Tutto dipende dal contesto interno di un dato sistema dipensiero. Apparenti tendenze teistiche possono servire a nascondere concezionieffettivamente panteistiche, mentre certe formule generali possono moltospesso venire interpretate variamente e perciò non provano gran che. Esempi diquesto genere sono l'affermazione di Azriel che "nulla vi è al di fuori" diEin-Sof, la dichiarazione di Meir ibn Gabbai che "ogni cosa è in Lui ed Egli èin ogni cosa", o l'insistenza ricorrente nello Zohar che Dio "è ogni cosa" eche ogni cosa è unificata in Lui "come è noto ai mistici" (2:85b). Taliaffermazioni si possono trovare anche in sistemi di pensiero teisticiortodossi, dove servono a sottolineare la convinzione che nulla potrebbeesistere senza una prima causa divina e che questa, poiché è la causa ditutto, include e comprende in sè tutto ciò che ha causato. Sotto questo puntodi vista, si può dire che Dio è presente e immanente in tutto ciò che Egli hacausato, e se Egli sottraesse la Sua presenza ogni esistenza causata verrebbecosì" annullata. Il principio neoplatonico che ogni effetto è incluso nellasua causa influenzò grandemente queste formulazioni nella Cabala, senza per

questo dar loro un carattere necessariamente panteista.A stretto rigore, tuttavia, il problema del panteismo ricorre in numerosiinterrogativi specifici che intendessero grandemente la speculazionecabalistica e ai quali le dottrine panteistiche furono almeno in grado dioffrire risposte non equivoche. Tali interrogativi erano: 1) Vi è un'unità disostanza tra l'Emanatore e l'emanato? La sostanza di Dio promana in tutto,oppure promana solo la potenza irradiata di tale sostanza? 2) Se vi è unità disostanza tra Ein-Sof e le Sefirot, vi è anche la stessa unità tra Ein-Sof egli esseri creati? 3) Dio è l'anima del mondo o è identico al mondo? 4) Dioesiste negli esseri creati (ossia, nel linguaggio dei filosofi, è immanente inessi), o addirittura in essi soltanto? Quando troviamo risposte positive aqueste domande, ci sono buone ragioni di ritenere che abbiamo a che fare conil panteismo, e quando non le troviamo, possiamo dedurre il contrario.

In maggioranza, i cabalisti da Isaac il Cieco in poi respinsero la nozione chela sostanza di Dio si manifesti nel mondo dell'emanazione e sostennero, comefecero moltissimi neoplatonici medievali, che solo il potere di Dio, incontrasto con la sua sostanza, promana nel processo emanativo. Alcuni deiprimi cabalisti, tuttavia, in particolare l'autore di Ma'arekhet ha-Elohut,credevano che le Sefirot emanate fossero della stessa sostanza dell'emananteEin-Sof. Solo nei regni inferiori alle Sefirot, essi affermavano, la potenzadivina era attiva quale causa di esseri separati dalla Divinità. Nelcomplesso, osserviamo che questa scuola di pensiero aveva tendenze chiaramenteteistiche. Isaac b. Samuel Mar Hayyim (1491) distingueva tra una "emanazionedi essenza", che è l'irradiarsi delle Sefirot nella sostanza di Ein-Sof, ed

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una "emanazione d'influsso" che è la potenza dell'Emanatore, come si manifestain armonia con la capacità ricettiva del mezzo dato. Quei cabalisti cheidentificavano Ein-Sof con la Sefirah Keter erano costretti a considerare leSefirot consustanziali con Ein-Sof. Tuttavia, coloro che sostenevano questaconcezione negavano esplicitamente che potesse esservi unità di sostanza traDio e gli intelletti separati, e soprattutto tra Dio e gli altri essericreati. Questa, per esempio, era l'opinione espressa da Joseph Gikatilla nellesue glosse alla Guida per i perplessi. Neppure lui, tuttavia, si tratteneva

dal dichiarare che "Egli riempie tutto ed Egli è tutto". Molti altricabalisti, d'altra parte, negavano la consustanzialità di Dio con il mondoemanato, nel quale essi professavano di vedere solo la Sua potenza emanante.Portando avanti il pensiero di Cordovero (si veda più sotto), i discepolidella sua scuola contrapponevano la sostanza separata dell'emanato allasostanza dell'Emanatore, del quale era la "veste".L'autore dello Zohar non era particolarmente interessato a questo problema; siaccontentò di liquidarlo con formulazioni concettualmente vaghe aperte ainterpretazioni contrastanti, ma nelle opere in ebraico di Moses de Leon vi èuna tendenza più discernibile a sottolineare l'unità di tutti gli esseri inuna continua catena dell'essere. Non vi sono balzi qualitativi negli anelli diquesta catena, e la vera essenza di Dio è "in alto e in basso, in cielo e interra, e non vi è esistenza al di fuori di Lui" (Sefer ha-Rimmon). Nellateofania sul monte Sinai, Dio rivelò tutti i mondi ai figli d'Israele, i qualividero che in essi non vi era nulla che non fosse la Sua gloria e la Suaessenza manifesta. Qui è sottinteso che ogni essere ha una sua esistenzasecondaria separata dalla Divinità, ma che questa scompare davanti allosguardo penetrante del mistico, che scopre dietro di essa l'unitàdell'essenza. Le tendenze panteistiche in questa linea di pensiero sonoammantate di espressioni teistiche, uno strumento caratteristico di molticabalisti. Da una parte, questi autori descrivono Ein-Sof in terminipersonalistici e ne esaltano l'assoluta trascendenza al di sopra di ogni cosa,anche delle Sefirot, che non ne hanno percezione, mentre d'altra parteattribuiscono grande importanza alla sua "veste" in queste ultime, e per lorotramite anche nei mondi inferiori. Vi è inoltre una certa ambiguità nella loroduplice interpretazione della creatio ex nihilo: talora insistono che deveessere intesa letteralmente, il che escluderebbe ovviamente ogni punto di

vista panteistico, e talora la spiegano simbolicamente, respingendo unsemplice letteralismo per lasciare la porta aperta alla possibilità che ogniessere abbia il suo posto, almeno parzialmente, nella realtà divina. Il veronulla dal quale tutto fu creato si manifesta nella transizione da Ein-Sof allaprima Sefirah, e in realtà non vi sono balzi o discontinuità nella strutturadell'essere. La creazione dal nulla è una manifestazione della divinasapienza, dove il pensiero umano raggiunge il suo limite, o di quel nulla cheè la prima emanazione, Keter. Nei sistemi in cui Ein-Sof era identificato conKeter, era lo stesso Ein-Sof che diveniva il Divino Nulla in cui tutto ha lasua fonte. Queste concezioni lasciavano spazio alla convinzione che Dio, ilquale è una cosa sola con Ein-Sof, comprenda assai di pie di ciò che procededa Lui nei processi emanativi e creativi, ma che Egli abbracci questi ultimiin sè. Tutto è compreso nella Divinità, ma non tutto è identico ad essa.

All'inizio del XIX secolo fu coniato il termine "panenteismo" per distingueretale concezione dal panteismo puro. Non vi è dubbio che il termine potesseriferirsi a numerosi cabalisti notissimi, i quali potevano sostenere - non deltutto a torto - che una posizione simile era già sottintesa nell'affermazionedel Midrash (Gen. R. 68) che "il Santissimo che sia benedetto, è il luogo delMondo, ma il mondo non è il Suo luogo". La concezione panenteista offriva unchiaro compromesso tra il teismo puro e il panteismo puro e lasciava spazioper una rappresentazione personalistica della Divinità.

È evidente, perciò, che sebbene nessuna scuola di pensiero cabalistaaffermasse mai che Dio non ha esistenza separatamente dagli esseri creati, la

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posizione sostenuta più comunemente era che Egli si trovasse comunque in essi,in vari modi definibili. Di qui, perciò, deriva anche l'asserzioneneoplatonica, frequente nella letteratura cabalistica, che Dio è "l'animadelle anime", un'asserzione non interamente libera da sfumature panteistiche,sebbene si presti anche ad altre interpretazioni. Questa frase era già usatadallo Zohar, ma si deve osservare che "anima" (neshamah) nel suo senso precisospesso non implica in quegli scritti un'inerenza attuale o un'esistenzacontingente nel corpo, ma piuttosto un modo superiore d'essere. La neshamah

vera e propria non discende affatto nei mondi inferiori, bensì irradia versoil basso, verso il modo che noi chiamiamo l'"anima" dell'uomo. Questo, peresempio, era l'opinione di Isaac Luria. Altri cabalisti, d'altronde,specialmente Moses de Leon, consideravano l'anima umana "una parte di Diolassù" (Giobbe 31:2), non soltanto in senso figurativo, come si intendevageneralmente, ma in senso letterale. Quindi il loro pensiero era basatosull'assunto che vi è nell'anima qualcosa di consustanziale con Dio. Fu lostesso assunto che spinse Moses de Leon, in Mishkan ha-Edut a sfidare laconcezione che la punizione delle anime dei dannati nell'inferno sia eterna:perché come è possibile che Dio infligga tale sofferenza a se stesso? A questaopinione si accenna indirettamente anche nello Zohar, dove si afferma che laparte più alta dell'anima (nefesh), chiamata neshamah, è incapace di peccare,e abbandona il peccatore nel momento in cui viene commesso un peccato.Shabbetai Horowitz concordava con questa concezione, e ammetteva solo unadistinzione quantitativa tra l'anima e la sostanza di Dio, una posizione che,a causa delle implicazioni panteistiche, venne contestata in particolare daManasseh Ben Israel nel suo Nishmat Hayyim (1652).In contrasto con la parte principale dello Zohar, i suoi strati più tardi(Ra'aya Meheimna e Tikkunim) hanno un sapore spiccatamente teistico. Anchequi, tuttavia, si sottolinea in particolare che, se Dio è separato dal mondo,è anche in esso ("Egli è al di fuori quanto è dentro"), e che Egli "riempietutto e causa tutto" senza che questa immanenza precluda una concezionepersonalistica e teistica di Lui. Queste formulazioni contenute nello Zohardivennero estremamente popolari tra i cabalisti di tempi successivi e negliscritti del Hasidismo, dove vennero usate per creare un ponte tra le opinioniteistiche e panteistiche che abbondano in tali testi. Le opere cabalistichescritte tra il 1300 e il 1500 tendevano nel complesso a oscurare il problema,

come si può vedere negli scritti dei discepoli di Solomon b. Adret e nel Seferha-Peli'ah. Del pari, vari testi cabalistici popolari, scritti al tempodell'espulsione dalla Spagna, presentano una spiccata preferenza performulazioni decisamente teistiche (Abraham b. Eliezer ha-Levi, Judah Hayyat,Abraham b. Solomon Adrutiel), che soltanto in casi rari nascondono tra lerighe un contenuto diverso.Una discussione dettagliata della problematica del panteismo si può trovarenegli scritti di Cordovero, la cui concezione panenteistica era elaborata piùmeticolosamente di quella di ogni altro cabalista, soprattutto nel suo SeferElimah e nello Shi'ur Komah. La sua presentazione della questione è diun'estrema sottigliezza e non ha nulla in comune con il punto di vista"spinozista" che, nel suo senso più volgare, moltissimi autori hanno cercatodi attribuirgli. Cordovero comprendeva benissimo che il punto saliente

dell'intera teoria dell'emanazione era la transizione da Ein-Sof alla SefirahKeter; e si dedicò con grande impegno alla soluzione. Le Sefirot, egliafferma, devono la fonte della loro esistenza a Ein-Sof, ma questa esistenza è"nascosta", nello stesso senso in cui la scintilla del fuoco è nascosta nellapietra, fino a quando viene colpita con il metallo. Inoltre, questo aspettodella loro esistenza è infinitamente più rarefatto della loro esistenzastessa, quando sono state emanate nei rispettivi posti, perché nella esistenzaemanata assumono una guisa completamente nuova. Anche nel loro supremo,"nascosto" modo di esistenza, tuttavia, quando sono somprese nella sostanza diEin-Sof e perfettamente unite ad esso, in realtà non sono identiche a questasostanza, che le percepisce pur rimanendo impercepita da esse. In tal caso, si

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deve dire che il primo cambiamento del loro status ontologico avviene nellaloro esistenza nascosta oppure solo in quella manifesta? Cordovero evitò didare una risposta precisa a questo interrogativo, sviluppando nel contempo lateoria che anche gli aspetti più alti del Keter da lui chiamato "il Keter delKeter. "il Keter del Keter del Keter" e così" via, si avvicinanoasintoticamente alla sostanza di Ein-Sof, fino a quando l'intelletto umano nonriesce più a distinguerli. Tuttavia, essi conservano un'identità distinta daEin-Sof, così" che vi è una specie di salto tra Ein-Sof e la loro esistenza

nascosta in esso che si avvicina continuamente all'infinito. L'esistenza diquesti stadi interni è considerata da Cordovero come un'innovazione entro laDivinità; e il porsi in essere di questa esistenza celata, o "Volontà delleVolontà", come egli la chiama, è ciò che costituisce l'atto della creazionedal nulla nel suo senso letterale. Il risveglio iniziale della Volontà Divinain questa catena di volontà (re'utin) è, egli sostiene, l'unica occasione incui ha luogo la vera creazione dal nulla, una concezione la cui naturaparadossale attesta quanto Cordovero si sentisse incerto tra il punto di vistateistico e quello panteistico. Dal punto di vista divino, Dio comprende tutto,in quanto Egli abbraccia le "volontà" sia perché è la loro causa e le includenella Sua essenza, ma dal punto di vista umano tutte le fasi successivecomprendono una realtà secondaria, che esiste separatamente da Ein-Sof ed ècontingente rispetto ad essa, così" che non possono condividere una veraidentità con la sostanza dell'Emanatore. Anche ai livelli più alti, questasostanza si riveste dei "vasi" che, per loro stessa natura, sono secondari, epreceduti da uno stato di privazione (he'eder).In tutti questi processi, quindi, è necessario distinguere tra la` sostanzadell'Emanatore, che si veste dei vasi, e la sostanza dell'emanato. Benché ladistinzione sia alquanto oscurata nel Pardes Rimmonim, è posta in risalto nelSefer Elimah, dove Cordovero asserisce che, mentre nell'atto d'emanazione lasostanza divina passa nei vasi, questi vasi (kelim) o vesti (levushim)assumono un'esistenza sempre meno affinata via via che il processo continuadall'alto in basso. Eppure, dietro queste vesti infinite non vi è un soloanello nella catena dell'esistenza in cui la sostanza di Ein-Sof non rimangapresente e immanente. Anche dal punto di vista della condizione umana èpotenzialmente possibile "togliere" contemplativamente queste vesti e rivelare"le processioni della sostanza" (tahalukhei ha-ezem) che si vestono di esse.

Questo momento di rivelazione è la felicità suprema che il mistico puòraggiungere in vita. Tuttavia questa immanenza di Ein-Sof in ogni cosa non èidentica all'esistenza specifica dei vasi: "I prodotti della causazione,quando discendono, non hanno in comune la sostanza con la loro causa, mapiuttosto... sono diminuiti rispetto alla causa stessa via via che discendonofino all'infimo livello d'esistenza". Solo quando riascendono verso la lorocausa si riunificano in essa, fino a quando raggiungono la Causa Suprema ditutto, che è il Keter, dove non vi sono più distinzioni tra l'agente e iprodotti dell'azione, perché vi aderiscono nella misura in cui è possibile, esono veramente uniti a Ein-Sof, "dove non vi è causa e causato, ma tutto ècausa" (Elimah, 18c). L'affermazione più definitiva nella trattazione delproblema da parte di Cordovero può essere classificata come panenteistica:"Dio è tutto ciò che esiste, ma non tutto ciò che esiste è Dio" (Elimah, 24d).

Certo, questa riascesa verso la prima causa deve essere intesa in riferimentoal processo culminante di tutta la creazione nel suo ritorno in senoall'Emanatore, anziché all'esperienza mistica dell'individuo. inoltre, indiversi passi, Cordovero attenua ancora di più il concetto, mettendo inguardia contro gli equivoci: gli esseri causati non verranno riassorbiti nellasostanza di Ein-Sof, ma verrà riassorbita solo la loro "spiritualità" quandoverranno gettate via le loro vesti separate. Ciò che è stato diviso per sempredalla Divinità non può essere rideificato.La Cabala lurianica tendeva nel complesso a evitare persino le formulazionipanenteistiche di Cordovero e ad adottare una posizione apertamente teista. Ladottrina dello zimzum, ponendo in risalto la discontinuità tra Ein-Sof e il

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mondo dell'emanazione, accentuava ancora di più questa tendenza. Se siriconosce già soltanto che qualcosa della sostanza divina si trasfondenell'Adam Kadmon e nei parzufim che emanano da lui, vestendosi in essi, ilprocesso giunge a una fine definita con le Sefirot emanate nel primo mondo diazilut. Sotto di loro si estende un "velo" che impedisce alla sostanza divinadi trovare vesti per se stessa nei mondi di beri'ah, yezirah e asiyyah.Naturalmente è possibile parlare di una relazione di Ein-Sof in tutti i mondi,asiyyah inclusa, ma non si può affermare che in essi sia immanente la sua

sostanza. D'altra parte, sebbene questi argomenti teisti dominino quasi tuttigli scritti di Hayyim Vital e Ibn Tabul, anche qui vi sono affermazionioccasionali che sono più vicine alla posizione di Cordovero. Anzi, la dottrinache ogni principio superiore "si veste" in uno inferiore, che in ultimaanalisi è una dottrina della divina immanenza, qualche volta venne portataall'estremo. Soprattutto, il cabalista doveva comprendere "come tutti i mondiabbiano in comune un unico modo d'essere, quali vesti di Ein-Sof, così" cheEin-Sof si veste in essi e li circonda (sovev), e nulla va al di là di esso.Ogni cosa può essere veduta sotto un aspetto, e tutti i mondi sono legatiall'Emanatore", benché la prudenza ammonisca che "sarebbe sconsigliabilerivelare altro al riguardo" (Sha'ar ha-Hakdamot, Hakdamah 4). Altri, come IbnTabul, sottolineavano che solo la "luce interiore" di Dio (ha-or ha-penimi)veniva filtrata ed esclusa dai "veli", mentre la Sua "luce comprensiva" (ha-orha-mekifl non veniva affatto esclusa. Poiché quest'ultima comprende la maggiorparte della sostanza divina che si trasfonde nel mondo dell'emanazione, qui siriapriva di nuovo una porta per il ritorno alle concezioni panenteistiche diCordovero.Il fatto che la luce di Ein-Sof che si trasfonde nel vuoto dello zimzum e siveste nei vasi possa essere o meno considerata parte della Divinità, anche senon partecipa della sua sostanza, rimase una questione aperta alla qualemoltissimi cabalisti lurianici diedero una risposta enfaticamente affermativa.I lurianisti sostenevano che senza alcun dubbio il mondo di azilut, con i suoiprocessi dinamici interiori, apparteneva alla Divinità. Tuttavia, molti diloro negavano che vi fosse unità di sostanza tra le manifestazioni dellaDivinità in azilut e le proprietà sostanziali di Ein-Sof. Anche il cerchio piùalto delle Sefirot dell'Adam Kadmon, essi sostenevano, era più vicino al piùumile verme che a Ein-Sof. Queste analogie attestano un continuo equivoco tra

due punti di vista in conflitto. Una soluzione radicale per questa ambivalenzafu la dottrina rigorosamente teistica di Moses Hayyim Luzzatto, il qualeaffermò che azilut poteva essere chiamato un "mondo" (olam) solo in sensofigurato, poiché in esso la Divinità si manifestava direttamente, mentre tuttigli altri mondi erano creati mediante un libero atto di Dio dal nullaletterale. Le affermazioni che tali mondi inferiori si erano evoluti osviluppati dal mondo di azilut non dovevano essere intese alla lettera, poichéal massimo potevano significare che tali mondi erano stati modellati suazilut. "Non dobbiamo pensare che possa esservi un legame (hitkashrut) tra ciòche è creato e il Creatore". Sembrerebbe che Luzzatto avesse una comprensioneparticolarmente solida della contraddizione insita tra la dottrinadell'emanazione e quella di una creazione paradigmatica, nel cui contrasto stail punto cruciale del panteismo nella Cabala. In generale, moltissimi testi

cabalistici scritti per un pubblico più vasto, come Sha'arei Kedushah diHayyim Vital, erano in superficie teisti, e talvolta nascondevano sotto questai germi di un'interpretazione diversa, essenzialmente panenteistica.

L'uomo e la sua anima (Psicologia e antropologia della Cabala)

Al di sopra e al di là dei disaccordi su dettagli specifici che tendono arispecchiare stadi diversi dell'evoluzione storica della Cabala, esiste tra icabalisti un consenso fondamentale sulla natura essenziale dell'uomo. Ladottrina fondamentale di una vita celata della Divinità, che tramite un

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proprio dinamismo determina la vita della creazione quale tutto, ebbeimplicazioni inevitabili riguardo la condizione umana, in cui lo stessoprocesso teosofico, anche con certe differenze significative, secondo taliconcezioni veniva a ripetersi. Ai due poli opposti, l'uomo e Dio abbraccianonel loro essere l'intero cosmo. Tuttavia, mentre Dio contiene tutto in quantoè il Creatore e l'Iniziatore in cui hanno radici tutte le cose e si nascondetutta la potenza, il ruolo dell'uomo consiste nel contemplare questo processo,in quanto agente per il cui tramite tutte le forze della creazione vengono

pienamente attuate e rese manifeste. Ciò che esiste seminalmente in Dio sidispiega e si sviluppa nell'uomo. Le formulazioni chiave di questa concezionesi possono già trovare nella Cabala di Gerona e nello Zohar. L'uomo è l'agenteperfezionante nella struttura del cosmo, come tutti gli altri esseri creati,ma pie di essi, è composto di tutte le dieci Sefirot e "di tutte le cosespirituali"; cioè dei principi superni che costituiscono gli attributi dellaDivinità. Se le forze delle Sefirot si rispecchiano in lui, egli è anche il"trasformatore", che tramite la sua vita e i suoi atti amplifica tali forze alpiù alto livello di manifestazione e le dirige nuovamente verso la loro fonteoriginale. Per usare la formula neoplatonica il processo della creazionecomporta il dipartirsi di tutto dall'Uno e il suo ritorno all'Uno; e la svoltacruciale in questo ciclo avviene nell'uomo, nel momento in cui egli incominciaa sviluppare una consapevolezza della sua vera essenza e aspira a ripercorrerela via dalla molteplicità della sua natura all'Unità da cui fu originato.L'essenziale corrispondenza o parallelismo tra gli aspetti interioridell'uomo, di Dio e della creazione introduce tra essi un'azione reciproca chenella Cabala venne frequentemente drammatizzata mediante simboliantropomorfici, benché questi ultimi siano quasi sempre accompagnatidall'avvertimento che devono essere intesi soltanto "come se". Se le Sefirotin cui Dio rivela se stesso assumono la forma dell'uomo, facendone unmicrocosmo - una dottrina che incontrò l'accettazione universale dei cabalisti- allora l'uomo sulla terra è evidentemente capace di esercitare un'influenzasul macrocosmo e sull'uomo primordiale che sta al di sopra di lui. In realtà,è questo che gli accorda l'enorme importanza e la dignità descritte con tantaminuzia dai cabalisti. Poiché a lui e a lui soltanto è stato concesso il donodel libero arbitrio, ha il potere di far avanzare o di disgregare mediante lesue azioni l'unità di ciò che avviene nel mondo superiore e in quello

inferiore. La sua essenza è insondabilmente profonda; egli è "un volto entroun volto, un'essenza entro un'essenza, e una forma entro una forma" (Ezra diGerona). Anche la struttura fisica dell'uomo corrisponde a quella delleSefirot come "la forma (temunah) che include tutte le forme", applicata nelloZohar all'uomo stesso, che è chiamato "il sembiante (deyokna) che includetutti i sembianti". Queste speculazioni sull'essenza dell'uomo furono espressemolto vigorosamente in varie affermazioni relative ad Adamo prima dellacaduta. Sebbene la sua armonia originale venisse disgregata dal suo peccato,la sua missione principale continuò ad essere quella di apportare un tikkun,una restaurazione del suo mondo, e di connettere l'inferiore con il superiore,"coronando" in tal modo la creazione, ponendo il Creatore sul Suo trono erendendo perfetto il Suo regno su tutta la Sua opera.L'essenza dell'uomo ha una natura spirituale, per la quale il suo corpo serve

esclusivamente come un manto esterno. Una credenza molto diffusa era che.prima del peccato di Adamo, anche il corpo fosse spirituale, una sorta diindumento etereo che divenne corporeo solo dopo la sua caduta. (A sostegno diquesta concezione, l'affermazione in Gen. 3:21, che Dio fece "indumenti dipelle", Kotnot'or, per Adamo ed Eva dopo la cacciata dall'Eden, fuinterpretata nel senso che essi in precedenza avevano portato "indumenti diluce", Kotnot'or). Se non fosse stato per il peccato di Adamo, la supremavolontà divina avrebbe continuato a operare ininterrotta in Adamo ed Eva e intutti i loro discendenti, e l'intera creazione avrebbe funzionato in perfettaarmonia, trasmettendo l'influsso divino dall'alto verso il basso e dal bassoverso l'alto, così" che non vi sarebbe stata alcuna separazione tra il

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Creatore e la Sua creazione che aderiva a Lui. Questa comunione ininterrotta,che è il fine della creazione, si spezzò al momento del peccato di Adamo,quando la sua volontà inferiore fu separata dalla volontà divina dal suolibero arbitrio. Fu allora che nacque la sua individualità, la cui originestava nella separazione da Dio, con la concomitante proliferazione dimolteplicità. Ciò che non doveva essere altro che una serie di fluttuazioniperiodiche all'interno di un unico sistema armonico si trasformò inun'opposizione di estremi che trovarono espressione nella netta polarizzazione

del bene e del male. È il destino concreto della razza umana, e degli ebreiquali principali portatori di questa missione e ricevitori della rivelazionedi Dio tramite la loro Torah, vincere questa polarizzazione, dall'internodella condizione umana creata dal primo peccato.È a questo punto che s'intrecciano il problema dell'uomo nel mondo e ilproblema del male nel mondo. Il peccato che diede al male un'esistenza attivasta nell'incapacità dell'uomo di realizzare il suo scopo primevo,un'incapacità che si ripete nella storia. È funzione del bene nel mondo, i cuistrumenti sono la Torah e i suoi comandamenti, gettare un ponte sull'abissodella separazione che fu formato dal peccato dell'uomo e restituire tuttal'esistenza all'armonia e all'unità originali. Lo scopo finale, in altreparole, è la riunificazione della volontà divina e di quella umana. Èprobabile che questa dottrina cabalistica della corruzione del mondo a causadel primo peccato dell'uomo abbia avuto origine in conseguenza a un contattodiretto con le credenze cristiane, sebbene sia del pari possibile che taliidee cristiane derivassero dalle stesse fonti cui si ispirarono le aggadotomologhe nel Midrash. Non può esservi dubbio che i cabalisti accettassero ladottrina che l'intera creazione fosse fondamentalmente lesa dal peccatodell'uomo dopo il quale la sitra ahra o "altra parte" conseguì sull'uomo undominio che non verrà abolito definitivamente fino alla suprema redenzione, incui tutte le cose ritorneranno al loro stato originale. L'elemento crucialecristiano, tuttavia, qui manca, perché, a differenza del dogma cristiano delpeccato originale, la Cabala non respinge l'idea che ogni uomo abbia il poteredi superare questo stato di corruzione nella misura in cui è affetto da esso,mediante le sue forze innate e con l'aiuto divino prima della redenzionefinale e indipendentemente da questa. Nella dottrina cabalistica dell'uomoassunsero un posto centrale le speculazioni di questo tipo, concernenti

l'essenza del peccato quale alterazione dell'ordine primordiale delle cose, icui risultati arrivavano a includere lo stesso mondo delle Sefirot, eriguardanti i mezzi per realizzare un tikkun che riporterà la creazione allasua grandezza iniziale. Questo insegnamento si sviluppò da motivi puramentereligiosi cui solo incidentalmente, con l'andar del tempo, si aggiunsero anchecerti motivi psicologici. La metafora di Judah Halevi nel Kuzari, che parla diIsraele come del cuore delle nazioni, fu ripresa dall'autore dello Zohar e daicabalisti di Gerona, i quali parlavano del popolo ebraico come del "cuoredell'albero cosmico" (lev ha-ilan), un simbolo preso a prestito dal Seferha-Bahir. In questo contesto fondamentale, una comprensione più completadella missione d'Israele dipende dagli insegnamenti cabalistici sullastruttura dell'anima umana.I cabalisti adottarono le dottrine psicologiche del neoplatonismo e cercarono

di adattarle al linguaggio della tradizione ebraica. Lo Zohar menzionatalvolta le tra facoltà o disposizioni dell'anima umana unificata, comevengono esposte nella filosofia di Aristotele, ma in genere lo Zohar siriferisce a tre parti essenzialmente diverse dell'anima, che formano unasequenza dall'inferiore alla superiore e che sono designate con i terminiebraici nefesh, ru'ah e neshamah. È vero, anche qui veniva postulata un'unitàtra le parti, ma rimaneva problematica. Il nefesh, o primo elemento, si trovain ogni uomo. poiché entra in lui al momento della nascita ed è la fonte dellasua vitalità animale (hiyyut) e delle totalità delle sue funzionipsicofisiche. Tutto ciò che è necessario a tali funzioni è già contenuto inesso, ed è proprietà di tutti gli esseri umani. Le altre due parti dell'anima,

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invece, sono incrementi postnatali che si trovano soltanto nell'uomo che si èdestato spiritualmente e ha compiuto uno sforzo speciale per sviluppare i suoipoteri intellettuali e la sua sensibilità religiosa. La ru'ah o anima si destain un momento non specificato, quando un uomo riesce a innalzarsi al di sopradel suo aspetto puramente vitalistico. Ma la più importante è la più altadelle tre parti dell'anima, neshamah o spiritus. Si desta in un uomo quandoquesti si dedica alla Torah e ai suoi comandamenti, e schiude i suoi poterisuperiori di apprendimento, soprattutto la sua capacità di apprendere

misticamente la Divinità e i segreti dell'universo. Quindi è il potereintuitivo che collega l'umanità al suo Creatore. Fu solo nei termini piùgenerali, tuttavia, che questa divisione tripartita venne adottata da tutte levarie scuole di pensiero cabalistiche. La terminologia rimane la stessa, ma isignificati e le interpretazioni ad essa assegnati differiscono largamente neidettagli.La divisione fondamentale dell'anima in tre parti e l'uso dei termini nefesh,ru'ah e neshamah (narrai nell'acronimo cabalistico) per descriverle derivaronoda neoplatonici ebrei come Abraham ibn Ezra e Abraham bar Hiyya, ma durantel'evoluzione della Cabala nel XIII secolo il contenuto filosofico di questecategorie si confuse considerevolmente e cedette ad associazionioccultistiche, sotto la cui influenza i concetti rigorosamente definiti dellapsicologia platonica assunsero dimensioni fantastiche e mitiche. Questoprocesso si può chiaramente riscontrare nei testi classici dei tempi inizialidella Cabala. Già per i cabalisti di Gerona, che pure conservavanol'indentificazione originale della neshamah con l'anima razionale deifilosofi, la facoltà razionale dell'anima era fusa con quella intuitiva equella mistica. Solo la neshamah, essi affermavano, che era simile a unascintilla divina dell'uomo, era emanata direttamente come la ru'ah o daiquattro elementi come il nefesh. Qui c'è ancora un elenco della divisionefilosofica dell'anima nelle sue facoltà animale o vitale, vegetativa erazionale e dell'associazione dell'origine dell'anima al mondo degliintelletti, e particolarmente dell'intelletto attivo, come nella filosofia diIsaac Israeli. In questo sistema, il nefesh dell'uomo è ancora un comunedenominatore tra lui e il mondo animale, mentre solo la neshamah, razionale,la cui origine è nel mondo delle Sefirot, e più precisamente nella SefirahBinah, merita veramente di essere chiamato l'anima umana, perché in essa vi è

una scintilla divina, creata dal nulla, certamente, ma da un nulla cheappartiene comunque al regno della Divinità stessa. Alcuni dei cabalisti diGerona sostenevano addirittura che la fonte della neshamah era nella Sefirahdella Divina Sapienza o Ho1~hmah: una differenza d'opinione che verteva sullaquestione dell'altezza cui può giungere la cognizione mistica dell'uomo.I diversi strati dello Zohar rispecchiano le varie dottrine psicologiche versocui l'autore si trovò a propendere in tempi diversi. Nel Midrash ha Ne'elam èancora chiaro il debito verso la psicologia della scuola di Maimonide, con lasua dottrina dell'"intelletto acquisito", che è posto in atto nell'uomotramite l'adesione alla Torah e ai suoi comandamenti e che è l'unico ad avereil potere di accordargli l'immortalità dell'anima. Insieme a questa dottrina,tuttavia, troviamo la caratteristica divisione aristotelica dell'anima, senzatuttavia l'identificazione con nefesh ru'ah e neshamah, e in connessione con

un certo numero di funzioni che sono esposte solo da Moses de Leon. Così", adesempio, troviamo una distinzione tra "anima parlante' (ha-nefeshha-medabberet) e "anima razionale" (ha-nefesh hasikhlit); solo quest'ultimapossiede il potere superno che può portare l'uomo alla perfezione ed èidentica alla vera anima o neshamah. In effetti, la facoltà chiamata nefeshabbraccia tutte e tre le forze, l'anima, la vegetativa e la cognitiva(medabber), che comprendono la totalità psicofisica dell'uomo. La neshamah,per contrasto, è una forza esclusivamente relata alla cognizione mistica,mentre la ru'ah rappresenta uno stadio intermedio che coinvolge il potereetico di distinguere tra bene e male. La stessa neshamah, d'altra parte,essendo "una parte di Dio lassù", e capace di compiere soltanto il bene. È

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impossibile parlare, qui, di un sistema di visione coerente: i motivipuramente religiosi si alternano liberamente con quelli filosofici, unaconfusione che si estende anche alla relazione tra la consapevolezzaintellettuale e la stessa neshamah. In alcuni casi l'autore, che esprime lesue concezioni per bocca di vari saggi rabbinici, abbandona addirittura ladivisione tripartita dell'anima a favore di una distinzione binaria tral'anima vitale (ha-nefesh ha-hayyah) e la neshamah. Nel corpus principaledello Zohar queste opinioni divergenti si consolidano in una sorta di

posizione unificata in cui i motivi religiosi predominano su quellipsicologici e filosofici tradizionali. Emerge qui una contraddizionefondamentale tra la credenza che l'anima sia universalmente la stessa pertutta l'umanità, e un criterio duplice, secondo il quale l'anima dell'ebreo el'anima del gentile sono dissimili. I cabalisti di Gerona conoscevano solo laprima dottrina, e cioè quella dell'anima universalmente comune a tutti idiscendenti di Adamo, ed è nella parte principale dello Zohar che leggiamo perla prima volta una divisione delle anime in non ebree ed ebree. Le prime hannoorigine nell' "altra parte" o sitra ahra, le seconde nella "parte santa" ositra dikedusha. Nello Zohar, l'interesse è quasi esclusivamente circoscrittoalla struttura psichica degli ebrei. Nella Cabala successiva, in particolarenelle opere di Hayyim Vital, questo dualismo tra l'"anima divina" (ha-nefeshhaelohit) e l'"anima naturale" (ha-nefesh ha-tiu'it) viene posto ingrandissimo risalto.Un problema importante per la Cabala era rappresentato dalle diverse fontidelle diverse parti dell'anima nei diversi mondi dell'emanazione. Secondo ilMidrash ha-Ne'elam anche la neshamah più alta emana soltanto dal Trono diGloria, cioè dal regno inferiore a quello delle Sefirot, ma superiore a quellodegli intelletti. Quindi, esso viene considerato come qualcosa di creato,sebbene sia una creazione di altissimo ordine. Nel corpus principale delloZohar questa concezione viene abbandonata, e ad ogni parte dell'anima vieneassegnata una radice nel mondo delle Sefirot: nefesh ha origine nella SefirahMalkhut, ru'ah nella Sefirah Tiferet e neshamah nella Sefirah Binah. Ladiscesa della neshamah superna viene compiuta mediante la "sacra unione" del"re" (melekh) e della "regina" (matronita), che sono sinonimi delle SefirotTiferet (o Yesod) e Malkhut. Nella sua radice, ogni anima è un composto dimaschile e femminile, e solo nel corso della loro discesa le anime si dividono

in maschili e femminili. Il simbolismo usato per descrivere la discesa delleanime dal mondo dell'emanazione ha un sapore fortemente mitico. Hannoparticolare rilievo le immagini dell'albero delle anime, sul quale fiorisceogni anima, e del fiume che trasporta le anime verso il basso, lontano dallaloro fonte superna. In entrambi i simbolismi, la Sefirah Yesod è consideratauna stazione intermedia, dalla quale devono passare tutte le anime prima dientrare nella "casa del tesoro delle anime" (ozar ha-neshamot), che è situatanel paradiso celeste (gan eden shel ma'alah), dove esse vivono in beatitudinefino a quando vengono chiamate a discendere ulteriormente e ad assumere unaforma umana. Esistono molte differenze nei dettagli tra le varie esposizionidi questo processo, ma tutti i cabalisti sono concordi circa la preesistenzadell'anima, soprattutto nel senso più strettamente definito di quest'ultima.Altrettanto indiscussa è la credenza che l'anima abbia origine su un piano

superiore a quello degli angeli, una dottrina ripetutamente ricordata nellediscussioni della condizione umana, perché se l'uomo è capace di sprofondarenegli indescrivibili abissi della depravazione, ha anche la capacità, quandoraggiunge la sua vera intensità, di ascendere addirittura al di sopra delregno angelico. Nessun angelo ha la forza potenziale di restituire i mondi auno stato di tikkun, mentre tale potere è stato concesso all'uomo.In aggiunta alle tre parti dell'anima che venivano indicate collettivamentecon l'acronimo narrai, vari cabalisti, dopo lo Zohar, pervennero a parlare dialtre due parti addizionali e più alte dell'anima, che essi chiamarono hayyaheyehidah e che furono considerate come i livelli più sublimi della cognizioneintuitiva, alla portata di pochi eletti. Nella Cabala lurianica, queste cinque

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parti dell'anima (naran-hai, per acronimo) vennero associate ai cinqueparzufim di Adam Kadmbn in ognuno dei mondi di azilut, beri'ah, yezirah easiyyah, così" che si creò una immane molteplicità di ordini d'animepotenziali, in armonia con il particolare mondo dell'emanazione e il parzufdal quale aveva origine una data anima. L'anima piùalta. che aveva la suafonte nella yehidah della Sefirah Keter del mondo di azilut, ed eraconsiderata quella del Messia. A differenza delle masse di anime soggette alleleggi generali della trasmigrazione, le anime di alto rango, si riteneva,

restavano celate tra le luci superne fino a quando veniva il loro tempo, e nonentravano nel ciclo della reincarnazione.A partire dallo Zohar, e nelle opere dei discepoli di Isaac Luria, si menzionaun aspetto dell'uomo che nella Cabala è chiamato zelem (l' "immagine", in basea Gen. 1:26: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza") e che non siidentifica con nessuna delle parti dell'anima ricordate piùsopra. Lo zelem èil principio d'individualità di cui è dotato ogni essere umano, laconfigurazione spirituale o essenza che è esclusivamente sua. In questoconcetto sono combinate due nozioni: una si riferisce all'ideadell'individuazione umana e l'altra alla veste eterea dell'uomo o corpo etereo(sottile) che serve da intermediario tra il suo corpo naturale e la sua anima.Data la loro natura spirituale, la neshamah e il nefesh sono incapaci diformare un legame diretto con il corpo, ed è lo zelem che serve da"catalizzatore" tra essi. Inoltre, è l'indumento di cui le anime si vestononel paradiso celeste prima di discendere nel mondo inferiore, e che indossanonuovamente dopo la riascesa seguita alla morte fisica; durante il lorosoggiorno sulla terra è celato nell'organismo psico-fisico dell'uomo, ed èdiscernibile solo all'occhio intellettuale del cabalista. La fonte di questaconcezione è indubbiamente la dottrina assai simile sostenuta dai più tardineoplatonici circa il corpo etereo o sottile che esiste in ogni uomo e che sirivela all'esperienza mistica di coloro che possiedono il dono della visione.A differenza dell'anima, lo zelem cresce e si sviluppa in armonia con iprocessi biologici del suo possessore. I cabalisti si servivano di un gioco diparole per tracciare un parallelo tra lo zelem dell'uomo e la sua ombra (zel).Lo Zohar considera apparentemente l'ombra come una proiezione dello ,zeleminteriore, una credenza che portò con sè varie superstizioni magiche popolari,molto diffuse in Europa durante il Medioevo. Si riteneva che lo zelem fosse il

depositario degli anni vissuti da un uomo e che si dipartisse conl'avvicinarsi della sua morte. Secondo un'altra concezione, lo zelem eraintessuto come un indumento per l'anima, formato dalle buone azioni di ogniuomo, e serviva come una sorta di aspetto superno che lo proteggeva e lorivestiva dopo la sua morte. Un'antica credenza relativa a tale corpo etereo,che aveva origine nella religione persiana e che pervenne all'autore delloZohar tramite leggende successive per associarsi nella sua mente a varie ideeoccultiste, era che lo zelem fosse il vero io di un uomo. Nella Cabalalurianica, a nefesh, ru'ah e neshamah veniva rispettivamente assegnato unozelem che permetteva loro di funzionare nel corpo umano. Senza lo zeleml'anima avrebbe arso il corpo con il suo ardente splendore.Moses de Leon, nei suoi scritti in ebraico, collega gli insegnamenti diMaimonide, secondo i quali la missione dell'uomo in questo mondo consiste

nella piena realizzazione del suo potere intellettuale, con le dottrine dellaCabala. Nel suo Ha-Nefesh ha-Hakhamah (1290), De Leon scrive: "Lo scopodell'anima, quando entra nel corpo, sta nel mostrare i suoi poteri e le suecapacità nel mondo... E quando essa discende in questo mondo riceve il poteree l'influsso per guidare questo mondo vile e per subire un tikkun in alto e inbasso, poiché è di alto rango, essendo composta di tutte le cose, e se nonfosse composta in modo mistico di ciò che sta in alto e di ciò che sta inbasso, non sarebbe completa... E quando è in questo mondo, perfeziona sestessa e si completa da questo mondo inferiore... E allora è in uno stato diperfezione, come non era invece all'inizio, prima della sua discesa".Secondo una credenza ancora precedente, e già presente nella letteratura dei

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heikhalot, tutte le anime sono inizialmente intessute in una cortina (pargod)appesa davanti al Trono di Gloria, e questo simbolo, "la cortina d'anime", fuadottato e adattato da numerosissimi testi classici cabalistici. In questacortina sono registrati l'intera storia passata e il destino futuro di ognianima. Il pargod non è soltanto un tessuto mistico, composto d'eterespirituale, che contiene o è capace di ricevere una registrazione della vita edelle opere di ogni uomo: è inoltre la dimora di tutte le anime che sonorisalite dal basso alla loro terra natia. Le anime dei malvagi non vi

troveranno posto.La dottrina cabalistica dell'uomo e della sua anima trattava estesamenteproblemi escatologici come il fato dell'anima dopo la morte e la sua ascesaattraverso un fiume di fuoco, simile a una sorta di purgatorio, fino alparadiso terrestre, e di qui ai piaceri ancora più sublimi del paradisoceleste e del regno chiamato dai primi cabalisti "vita eterna" (zerorha-hayyin, letteralmente "il fardello della vita"), talora sinonimo delparadiso celeste e talora inteso come riferimento a una delle stesse Sefirot,alle quali l'anima ritorna per partecipare alla vita della Divinità. La vitaumana sulla terra quindi, deve essere vista nell'ampio contesto della vitadell'anima prima della nascita e dopo la morte; perciò il grande interessedella Cabala per le descrizioni del paradiso e dell'inferno, come quelle chetroviamo, ricche di molti dettagli immaginosi, nelle opere dei cabalisti diGerona o nello Zohar, che inaugurarono una lunga, influente tradizionedestinata a fiorire soprattutto nella letteratura più popolare della Cabalafino alle generazioni recenti. Qui si attribuiva grande importanza allecredenze che si trovavano già nell'aggadah, soprattutto in un numero rilevantedi piccoli, tardi Midrashim, e che venivano reinterpretate alla luce delsimbolismo cabalistico e abbellite di ulteriori dettagli. Esistono moltiparalleli evidenti tra questo materiale e simili motivi escatologici delCristianesimo e dell'Islam. A nessuno di questi insegnamenti venne maiconferita una forma definitiva e autorevole; perciò conservarono una notevolelibertà d'immaginazione, in cui si fondevano elementi folklorici e mistici. Icabalisti del XIII secolo in particolare, tra cui l'autore dello Zohar, furonoattratti da tali speculazioni, e dedicarono considerevole attenzione aquestioni come gli indumenti delle anime in paradiso la natura delle loropercezioni l'espansione della loro coscienza neli'apprendimento del divino, e

l'unificazione del livello più alto della neshamah con Dio.In generale, tuttavia, i cabalisti erano molto prudenti nel parlare di unaeffettiva unione mistica dell'anima con Dio, e preferivano riferirsi a unacomunione spirituale (devekut), null'altro. Nel suo commento sulle letteredell'alfabeto ebraico, Jacob b. Jacob Kohen (1270) parla d'unione misticasenza definirne la natura. Moses de Leon menziona una condizione suprema, matemporanea, in cui l'anima si trova di fronte a Dio in uno stato dicontemplazione e di assoluta beatitudine, senza alcun indumento tra sè e Dio,benché di regola essa debba indossare una veste d'etere o di luce anche nelparadiso celeste. Le descrizioni dell'unione dell'anima con Dio in termini dinozze divine sono rare nella Cabala, benché vi siano alcuni esempi, come icommenti al Cantico dei Cantici che l'interpretano come un dialogo nuziale traDio e l'anima. Anche qui, l'amore che viene descritto è quello tra un padre e

una figlia, e non ha carattere erotico, e non si parla della dissoluzione ¥dell'anima nella sostanza di Dio, ma soltanto del suo rapimento temporaneoalla presenza divina. Solo negli scritti e nelle poesie dei cabalisti di Safedvi è un forte tono erotico. È controverso se le scuole più tarde del pensierocabalistico tendessero verso una posizione mistica estrema, come quella che siincontra nel Hasidismo Habad, dove alcuni portavoce sostenevano che l'animaperde interamente in Dio la propria identità. L'autore dello Zohar (2:253a)scrive delle anime che passano davanti a Dio nella "stanza dell'amore", dallaquale le anime nuove si dipartono per discendere; ma non ne parla in terminidi immagini coniugali. Al contrario, il risultato di questo "ricevimento"divino è che Dio fa giurare all'anima di adempiere la sua missione terrena e

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di conseguire "la conoscenza dei misteri della fede" che la purificherà per ilsuo ritorno in patria. Mediante il suo risveglio tramite la Torah e i suoicomandamenti, l'anima acquisisce nuova forza e contribuisce a completare lafigura mistica della Keneset Yisrael, o Comunità di Israele, che è una solacosa con la Shekhinah. Solo rarissime anime, come quelle di Enoch e di Elia,conseguono una comunione (devekut) permanente con Dio; tra gli altri campionibiblici della rettitudine vi sono infinite gradazioni e differenze di rango.Inoltre non vi è un solo fato che attenda le diverse parti dell'anima dopo la

morte. Il nefesh rimane per qualche tempo nella tomba, meditando sul corpo; laru'ah ascende al paradiso terrestre secondo i suoi meriti; e la neshamahritorna direttamente alla patria natia. La punizione e la retribuzionespettano solo al nefesh e alla ru'ah. Secondo Moses de Leon, ad ogni giubileocosmico l'anima ascende dalla sua comunione con la Shekhinah al celatoparadiso celestiale nel mondo della mente divina, cioè alla Sefirah Hokhmah.Gli insegnamenti della Cabala relativi all'anima sono inestricabilmenteconnessi alla dottrina della trasmigrazione, un fondamentale principiocabalistico che frequentemente veniva a conflitto con altre concezioni, comead esempio quella della ricompensa e della punizione che vengono dispensateall'uomo in paradiso e all'inferno. (Per ulteriori dettagli. si veda lasezione Gilgul a p. 345). Nel corso dell'evoluzione della Cabala, l'idea dellatrasmigrazione fu radicalmente ampliata da quella di una punizione limitata acerti peccati a quella di una legge generale che riguardava tutte le anime diIsraele e, in uno stadio successivo, le anime di tutti gli esseri umani epersino, nella sua forma più radicale, l'intera creazione, dagli angeli allecose non senzienti. In tal modo la trasmigrazione cessò di essere consideratasolo come una punizione, e venne vista come un'occasione offerta all'anima peradempiere la sua missione e rimediare alle manchevolezze delle trasmigrazioniprecedenti.In confronto allo Zohar, gli insegnamenti della Cabala lurianica riguardo lastruttura psichica dell'uomo sono molto più complessi, poiché si riferisconotanto all'origine dell'anima quanto alla struttura interiore dell'uomo. Nelleopere di Hayyim Vital vi è inoltre una discrepanza tra la sua presentazionedell'argomento nei libri destinati al consumo popolare, come in Sha'areiKedushah, e nei suoi scritti più esoterici. Nella sua prima opera, Vitaldistingue chiaramente fra le tre "cave" (mahzevim): la cava delle Sefirot, che

è tutta divinità, la cava delle anime, e la cava degli angeli, che non sonodivini. La sua spiegazione del porsi in essere delle anime mediante ilprocesso emanativo, contenuta in Ez, Hayyim, d'altra parte, è molto piùcomplessa e in genere segue parallelamente la sua delineazione dello sviluppodelle luci che manifestano l'esistenza divina dei mondi di azilut e beri'ah.Come le luci superne dei parzufim di azilut si sviluppano tramite congiunzionie "accoppiamenti" (zivvugim) deiparzufim, le anime nascono mediante processicorrispondenti. Nella Sefirah Malkhut di ogni parzuf si celano anime in unostato potenziale che ascendono ai modi più alti di quel parzuf e vengono postein atto come risultato delle "unioni" delle Sefirot. All'inizio queste animeesistono solo nello stato di "acque femminili" (mayyim nukbin); cioè, sonopotenze passive che possiedono il potere del risveglio attivo ma mancanotuttora di armonia e di forma, perché la loro fonte superna sta in quelle 288

scintille di luce che caddero nelle kelippot al momento della rottura deivasi. Solo mediante addizionali "accoppiamenti" del parzuf di Ze'eirAnpin conla sua controparte femminile o nukba, ricevono la struttura di anime. Ad ogninuovo risveglio delle "acque femminili" in questi parzufim, sorgono nuoveopportunità per la creazione di anime. Tale processo ricorre in tutti iquattro mondi dell'emanazione; le possibili variazioni nei modi delle animesono praticamente infinite. Ognuna di tali anime ricapitola in miniatura lastruttura dei mondi attraverso i quali è passata nel processo di venirecreata, e perciò quando discende per entrare in un corpo in questo mondo è ingrado di operare per il tikkun di quest'ultimo per il suo innalzamento e, inuna certa misura, per innalzare anche i mondi superiori. D'altra parte,

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numerosi testi lurianici pongono in risalto la convinzione che in sostanza leanime come tali rimangono al di sopra e non entrano affatto nei corpi, mapiuttosto irradiano scintille di sè che possono essere chiamate anime(neshamot) solo per analogia. La vera anima aleggia sopra un uomo, da vicino oda lontano, e mantiene un immediato legame magico con la sua scintillasottostante. Le esposizioni popolari di queste dottrine erano sempre molto piùsemplici delle delucidazioni originali, che tendevano ad avere un forte saporegnostico.

L'anima di Adamo era composta di tutti i mondi ed era destinata a risollevaree a reintegrare tutte le scintille di santità rimaste nelle kelippot. La suaveste era d'etere spirituale e conteneva in sè tutte le anime della razzaumana nella condizione perfetta. Aveva 613 membra, uno per ciascuno deicomandamenti della Torah, di cui Adamo aveva la missione di innalzarel'aspetto spirituale. Ogni membro formava un parzuf compiuto, conosciuto come"grande radice" (shoresh gadol), che a sua volta conteneva 613 "piccoleradici", o, secondo altre versioni, fino a 600.000. Ogni "piccola radice" cheveniva chiamata anche "grande anima" (neshamah gedolah) celava in sè 600.000scintille o anime individuali. Anche queste scintille erano suscettibili diulteriori scissioni, ma rimanevano una speciale affinità e un potere diattrazione fra tutte le scintille discendenti da una comune radice. Ognuna diqueste scintille formava di per sè una completa struttura o komah. Se Adamoavesse adempiuto la sua missione tramite le opere spirituali di cui eracapace, e che richiedevano azione contemplativa e profonda meditazione, lacatena vivente tra Dio e la creazione si sarebbe chiusa e il potere del male,la kelippah, avrebbe subito quella completa separazione dalla santità che,secondo Luria, era il fine dell'intero processo creativo. Quindi, Adamo avevain sè i poteri pienamente sviluppati dell'Adam Kadmon in tutti i suoi parzufime la profondità della sua caduta, quando peccò, fu eguale alla grande altezzadel suo precedente rango cosmico (si veda più sotto). Anziché innalzare ognicosa, tuttavia, egli la fece precipitare ancora di più. Il mondo di asiyyah,che in precedenza stava saldamente sulla propria base, adesso era immerso nelregno delle kelippot e soggetto al loro dominio. Là dove prima stava l'AdamKadmon si levò una creatura satanica, l'Adam Beliyya'al che acquisì poteresull'uomo. In seguito alla mescolanza del mondo di asiyyah con la kelippah,Adamo assunse un corpo materiale e tutte le sue funzioni psicofisiche

divennero corporee. Inoltre, la sua anima si frantumò e la sua unità andò inpezzi. Vi erano in essa elementi di alto rango, conosciuti come "lucesuperiore" (zihara ila'ah) che rifiutarono di partecipare al peccato di Adamoe si dipartirono ascendendo: e non ritorneranno in questo mondo fino al tempodella redenzione. Altre anime rimasero in Adamo anche dopo che la sua staturaspirituale fu sminuita dalle dimensioni cosmiche a quelle terrene; e questefurono le anime sante che non caddero in potere delle kelippot. Tra esse vierano le anime di Caino e Abele, che entrarono nei rispettivi corpi tramite latrasmissione ereditaria diretta anziché tramite il processo dellatrasmigrazione. In maggioranza, tuttavia, le anime che erano in Adamo cadderoe furono soggiogate dalle kelippot; e sono queste anime che devono conseguireil loro tikkun tramite il ciclo della trasmisgrazione, stadio dopo stadio. Percosì" dire, la caduta di Adamo, quando egli peccò, fu una ripetizione della

catastrofe della rottura dei vasi. La Cabala lurianica si diffonde a lungosugli elementi drammatici del peccato di Adamo e delle sue conseguenze. Lastoria interiore del popolo ebraico e del mondo intero venne identificata conle ricorrenti reincarnazioni tramite le quali gli eroi biblici lottarono perconseguire il tikkun. Tra questi eroi vi erano tanto "anime originali"(neshamot mekoriyyot) che abbracciavano una grande e potente collettivitàpsichica ed erano capaci di grandi poteri di tikkun benefici per il mondointero, quanto altre anime personali, individuali, che potevano conseguire untikkun solo per se stesse. Le anime discendenti da un'unica "radice"comprendevano "famiglie" che avevano speciali rapporti di affinità ed eranocapaci di aiutarsi a vicenda. Di tanto in tanto, sia pure raramente, alcune

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delle anime superiori che non erano state neppure contenute nell'anima diAdamo potevano discendere sulla terra per partecipare a qualche grandemissione di tikkun. Un'innovazione completa, nella Cabala lurianica, fu ilrisalto attribuito all'alto rango delle anime di Caino e Abele, in particolaredel primo. Questi due figli di Adamo furono presi come simboli delle forzedelle gevurot e dei, hasadim, cioè i poteri restrittivi ed espansivi dellacreazione. Sebbene il potere espansivo di hesed sia al presente maggiore delpotere restrittivo di gevurah e din, questo ordine verrà invertito nello stato

di tikkun. Paradossalmente, quindi, molti dei grandi personaggi della storiaebraica sono rappresentati come uscenti dalla radice di Caino, e conl'appressarsi del tempo messianico, secondo Isaac Luria, il numero di talianime aumenterà.La natura del peccato di Adamo non viene mai definita in modo autorevole nellaletteratura cabalistica, e se ne possono trovare concezioni estremamentediverse. Il problema del primo peccato è strettamente connesso al problema delmale discusso piùsopra. Secondo la Cabala spagnola, il fattore cruciale delpeccato stava nel "taglio dei germogli" (kizzuz ha-netiyyot), cioè nellaseparazione di una delle Sefirot dalle altre, facendo di essa l'oggetto di unospeciale culto. La Sefirah che Adamo separò fu Malkhut, che egli "isolò dalresto". In Ma'arekhet Elohut quasi tutti i principali peccati menzionati nellaBibbia vengono definiti come fasi diverse del "taglio dei germogli" o comeripetizioni del peccato di Adamo che impedì la realizzazione dell'unità tra ilCreatore e la sua creazione. Tali furono l'ubriachezza di Noè, la costruzionedella Torre di Babele, il peccato di Mosè nel deserto, e soprattutto ilpeccato del vitello d'oro, che distrusse quanto era stato compiuto nel grandetikkun avvenuto durante la teofania del Monte Sinai. In ultima analisi, anchela distruzione del Tempio e l'esilio del popolo ebraico furono i risultati dimeditazioni disinformate che portarono la divisione nei mondi emanati. Questipeccati causarono disordine in alto e in basso, ovvero, nel simbolismo delloZohar, causarono divisione tra il "re" (melekh) e la "regina" (matronita) oShekhinah. L'esilio della Shekhinah dallo sposo fu il principale risultatometafisico di questi peccati. Le buone azioni degli eroi biblici, d'altraparte, soprattutto quelle dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, poseroriparo a questa falla fondamentale della creazione e servirono come paradigmaper quanti vennero dopo. È da notare che lo stesso autore dello Zohar era

reticente nei suoi commenti sulla natura del peccato di Adamo. L'autore deiTikkunei ha-Zohar fu meno circospetto. Il peccato di Adamo, egli affermava,ebbe luogo soprattutto nella stessa mente divina, cioè nella prima o nellaseconda Sefirah. dalla quale causò l'allontanamento di Dio; anzi, fu solo ilpeccato di Adamo a far s" che Dio divenisse trascendente (Tikkun 69). Perquanto concerne l'effetto del primo peccato, troviamo due linee contrastantidi pensiero: 1) Mentre in precedenza bene e male erano mescolati, il peccatoseparò il male quale realtà distinta (come in Avodat ha-Kodesh di Meri ibnGabbai); 2) Bene e male erano in origine separati, ma il peccato li mescolò(questa era la posizione di Gikatilla e, in generale, della Cabala lurianica).Nella tradizione degli insegnamenti precedenti, come in Ma'arekhet haElohut enel Sefer ha-Peli'ah, anche la Cabala lurianica spiegava occasionalmente ilprimo peccato come una disavventura "tecnica", anche se carica di gravi

conseguenze, nella procedura del tikkun. Questo avvenne perché Adamo avevafretta di completare il tikkun prima del tempo stabilito, che doveva essere ilprimo sabbath della creazione, avente inizio nel pomeriggio del sesto giorno.In queste spiegazioni c'è la tendenza a sottolineare il concetto cheessenzialmente i piùgrandi peccatori biblici erano intenzionati a far bene, maavevano errato nella scelta dei mezzi.Lo strumento principale per riparare alla falla primordiale nell'aspettometafisico del completamento del tikkun dei vasi infranti e in relazione alpeccato di Adamo che spezzò i canali di comunicazione tra il mondo inferiore equello superiore. è l'impegno umano alla santità tramite la Torah e lapreghiera. Questa attività consiste di azioni che restaurarono il mondo nei

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suoi aspetti esteriori, e di preghiere e meditazioni, che effettuano talerestaurazione interiormente. Le une e le altre hanno profonde dimensionimistiche. Nell'atto della rivelazione Dio parlò e continua a parlare all'uomo.mentre nell'atto della preghiera è l'uomo che parla a Dio. Il dialogo è basatosulla struttura interiore dei mondi, sulla quale ogni azione umana ha uneffetto di cui l'uomo non sempre è consapevole. Le azioni dell'uomo che èconscio del loro significato. tuttavia, hanno il massimo effetto, econtribuiscono ad accelerare il tikkun finale. Poiché il mondo divenne

materiale in conseguenza del primo peccato, la grande maggioranza deicomandamenti nella Torah acquistarono un significato materiale perché ognistrumento deve essere adatto al fine che deve servire. Tuttavia questo nonsminuisce la spirituale dimensione interiore posseduta da ogni comandamento,il cui scopo collettivo è la restaurazione e la perfezione della vera staturadell'uomo in tutte le 613 membra della sua anima. La stessa Torah, cheprescrive un modo di vita pratico per gli esseri umani alla luce dellarivelazione. offre contemporaneamente una guida esoterica al mistico nella sualotta per comunicare con Dio. In quest'ottica è evidente il carattereconservatore della Cabala quale fattore operante per difendere e approfondirei valori dell'Ebraismo. L'osservanza della Torah era santificata quale mezzoper abolire la divisione nel mondo, e ogni uomo era chiamato a fare la suaparte in tale compito, secondo il rango della sua anima e il ruoloassegnatogli. La luce spirituale che risplende in ogni comandamento collegal'individuo alla radice della sua anima e alle luci superne in generale.Quindi, alla collettività delle anime di Israele era affidata una missione chenon poteva essere compiuta facilmente e che comportava molte discese eriascese prima che potessero venire superati tutti gli ostacoli, ma che inultima analisi aveva uno scopo chiaro e urgente: il tikkun e la redenzionefinale del mondo.

Esilio e redenzione

Ne consegue quindi che lo storico esilio del popolo ebraico ha anch'esso lasua causazione spirituale in varie perturbazioni e falle nell'armonia cosmica.di cui funge come simbolo concreto e concentrato. La situazione dei mondispirituali al tempo dell'esilio era completamente diversa dallo stato ideale

in cui sarebbero dovuti esistere secondo il piano divino e in cui sitroveranno al tempo della redenzione. In una forma o nell'altra questaconvinzione ricorre in tutta l'evoluzione della Cabala. I cabalisti di Geronaaffermavano che per tutta la durata dell'esilio le Sefirot non funzionanonormalmente; via via che esse vengono attratte verso la fonte della loroemanazione originale, Israele manca della capacità di aderire veramente adesse per mezzo dello Spirito Divino, che anch'esso si è dipartito perriascendere. Solo mediante lo sforzo individuale il mistico, e lui soltanto,può ancora conseguire uno stato di devekut. In alcuni testi ci viene detto chesolo le cinque Sefirot inferiori continuano a condurre un'esistenza emanata inbasso mentre le Sefirot superiori rimangono in alto. Quando il popolo ebraicoviveva ancora sulla sua terra, d'altra parte, l'influsso divino discendevadall'alto in basso e riascendeva dal basso in alto, fino al supremo Keter. Le

lettere del Tetragrammaton, che contengono tutti i mondi emanati, non sono maiunite per l'intera durata dell'esilio, specialmente la vav finale e he, chesono le Sefirot Tiferet e Malkhut e che erano già separate al tempo del primopeccato di Adamo, quando ebbe inizio l'esilio in senso cosmico. Da allora nonvi è stata unità costante tra il "re" e la "regina", e verrà ristabilita soloin futuro, quando la regina, che è la Shekhinah e la Sefirah Malkhut,riascenderà per ricongiungersi con la Sefirah Tiferet. Del pari solo nei tempimessianici l'uomo ritornerà a quello stato paradisiaco in cui "egli faceva persua natura ci che era giusto fare, e la sua volontà non era divisa"(Nahmanides su Deut. 30:6). Fu negli stessi circoli spagnoli che per la primavolta nacque la fede nella natura mistica del Messia che si riteneva

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consistesse in un'armonia di tutti i livelli della creazione, dai piùrarefatti ai più grossolani, così che egli possedeva "un potere divino e unpotere angelico e un potere umano e un potere vegetativo e un potere animale"(Azriel nella sua Epistola a Burgos). Il Messia verrà creato mediante laspeciale attività del Malkhut, e questa origine servirà ad elevare i suoipoteri di cognizione al di sopra di quelli degli angeli. Anche lo Zoharafferma che la fase cruciale della redenzione si compie nell'ininterrottacongiunzione di Tiferet e Malkhut, e che la redenzione di Israele è una cosa

sola con la redenzione di Dio stesso dal suo esilio mistico. La fonte diquesta credenza è talmudica e si può trovare tanto nel Talmud palestinese,Sukkah 4. 3, quanto nel Midrash Lev. R. 9, 3: "La salvazione del Santissimo,che sia benedetto, è la salvazione di Israele". Al tempo della redenzione"tutti i mondi saranno in un'unica congiunzione (be-zivvug ehad)", e nell'annodel grande giubileo Malkhut sarà congiunto non soltanto a Tiferet ma anche aBinah. In Ra'aya Meheimna e Tikkunei Zohar incontriamo l'idea che, mentredurante il periodo dell'esilio il mondo è asservito all'Albero dellaconoscenza del Bene e del Male, in cui i regni del bene e del male lottano traloro, così che vi sono santità e impurità, atti permessi e atti proibiti,sacro e profano, nel tempo della redenzione il dominio passerà all'Alberodella Vita, e tutto sarà di nuovo com'era prima del peccato di Adamo. I motiviutopistici nell'idea messianica ricevono l'espressione suprema in queste operee in altre composte sotto la loro influenza. La futura abolizione deicomandamenti, menzionata nel Talmud (Nid. 61b) era interpretata dai cabalistiin riferimento alla completa spiritualizzazione dei comandamenti, che sisarebbe compiuta sotto il dominio dell'Albero della Vita. I dettagli di questaconcezione tendevano a variare considerevolmente a seconda delle capacitàomiletiche del cabalista che l'abbracciava.Anche nella Cabala lurianica l'esilio di Israele è connesso al peccato diAdamo, il cui risultato fu la dispersione delle scintille divine, sia dellaShekhinah che dell'anima di Adamo. Quando le scintille si sparsero ancora dipiù nei discendenti di Adamo, la missione di raccoglierle e di farleriascendere, cioè di preparare la via alla redenzione, fu assegnata a Israele.Perciò l'esilio non è semplicemente una punizione e una prova, ma anche unamissione. Il Messia non verrà fino a quando il bene nell'universo non saràstato completamente separato dal male, perché, come dice Vital, "il raduno

degli esuli significa la raccolta di tutte le scintille che erano in esilio".L'esilio può essere paragonato a un giardino che è stato abbandonato dalgiardiniere e che è invaso dalle erbacce (Ez Hayyim, cap. 42, par. 4). Iltikkun progredisce in stadi predeterminati da una generazione all'altra, etutte le trasmigrazioni delle anime servono a tale scopo. Con l'approssimarsidella fine dell'esilio, il tikkun della struttura umana delle Sefirotraggiunge i "piedi" (akeuayyim); così le anime che seguono "le orme delMessia" sono eccezionalmente resistenti al tikkun: da qui derivano le specialiprove che avverranno alla vigilia della redenzione.Non c'erano opinioni concordi per quanto concerneva il fatto che anche l'animadel Messia entrasse o no nel ciclo della trasmigrazione; alcuni cabalistiritenevano che la sua anima si fosse incarnata anche in Adamo e in Davide(secondo altre opinioni, anche in Mosè), mentre altri affermavano (una

concezione che si trova per la prima volta nel Sefer ha-Bahir) che non erasoggetta alla legge della trasmigrazione. Secondo la Cabala lurianica, ognunodei parzufim dell'Adam Kadmon aveva una controparte femminile (nukba),eccettuato il parzuf di Arikh Anpin, che era strumentale nella creazione delmondo tramite un processo di autogenia (ziuuug minnei u-uei) cioè di"accoppiamento" con se stesso. Al tempo della redenzione, tuttavia, potrà"accoppiarsi" abbinando il suo Yesod con la sua nukba (il crescente SefirahMalkhut), e la progenie dell'atto sarà la radice più celata dell'anima delMessia Figlio di Davide, cioè la sua yehldah. La discesa di quest'animadipende dallo stato di tikkun prevalente nei diversi mondi, perché in ognigenerazione vi è un uomo giusto che ha la disposizione di riceverla solo se

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l'epoca ne è degna. L'anima del Messia figlio di Giuseppe, che è l'araldo delMessia Figlio di Davide. è d'altra parte soggetta al regolare ciclo dellatrasmigrazione. La redenzione non verrà all'improvviso, ma si manifesteràpiuttosto per stadi, alcuni dei quali saranno celati nei mondi spirituali,mentre altri saranno più evidenti. La redenzione finale verrà solo quandoneppure una scintilla di santità sarà rimasta nelle kelippot. Negli scrittidella scuola di Luria si possono trovare concezioni diverse circa il fatto cheil Messia stesso abbia o no un ruolo attivo da svolgere nel processo della

redenzione grazie alla sua capacità unica di innalzare certe ultime scintilleche sfuggono al potere di chiunque altro. La questione assunse una particolareimportanza nello sviluppo del movimento shabbateo. Nel corso della redenzionecerte luci precedentemente celate del parzuf di Attika si manifesteranno ealtereranno la struttura della creazione. In ultima analisi, motivi nazionalie persino nazionalistici si fondono con quelli cosmici nella Cabala lurianica,formando un unico grande mito dell'esilio e della redenzione.

La Torah e il suo significato

Il ruolo della Torah nella Cabala quale strumento e modo di vita al serviziodi un tikkun universale è già stato discusso. La posizione centrale dellaTorah nella Cabala, tuttavia, va ben oltre tali definizioni. La posizionedella Cabala nei confronti del Pentateuco, e in misura minore nei confrontidell'intera Bibbia, era un corollario naturale della generale fede cabalisticanel carattere simbolico di tutti i fenomeni terreni. Non vi era letteralmentenulla, affermano i cabalisti, che oltre al suo aspetto esteriore nonpossedesse anche un aspetto interiore in cui esisteva una realtà occulta einteriore su vari livelli. I cabalisti applicavano questa concezione della"trasparenza" di tutte le cose anche alla Torah, ma poiché quest'ultima era ilprodotto unico della rivelazione divina, essi la consideravano anche l'unicooggetto che poteva venire appreso dall'uomo nel suo stato assoluto, in unmondo dove tutte le altre cose erano relative. Inquadrato da questo punto divista nella sua qualità di parola diretta di Dio, e quindi senza paralleli inqualunque altro libro del mondo, la Torah divenne per i cabalisti l'oggetto di

un originale modo mistico di meditazione. Ciò non significa che essicercassero di negare gli eventi storici concreti su cui era basata, masemplicemente che a interessarli soprattutto era qualcosa di molto diverso,cioè condurre una profonda indagine nella sua natura e nel suo carattereassoluti. Solo raramente essi discutevano la relazione fra le tre parti dellaBibbia, il Pentateuco, i Profeti e l'Agiografia, e per la maggior parte laloro attenzione era rivolta quasi esclusivamente alla Torah nel suo sensostretto dei Cinque Libri di Mosè. Lo Zohar (3:35a) tenta effettivamente, in unpasso, di affermare la superiorità assoluta di questi libri e dei lorostudiosi rispetto ai Profeti e all'Agiografia e ai loro studiosi, tuttavia lofa solo nel contesto del commento sull'affermazione talmudica che "il saggio èpreferibile al profeta". In Ginnat Egoz (1612, 34d segg.), Joseph Gikatillacercò a sua volta di annettere un'interpretazione cabalistica alla divisione

tripartita della Bibbia. Nel complesso, tuttavia, quando esistono commenticabalistici sui Profeti e sugli scritti più tardi (e soprattutto sul Libro deiSalmi), il loro approccio nei confronti di questi testi non è sostanzialmentediverso da quello dei commenti alla Torah.Le formulazioni classiche di questo approccio appaiono già nel XIII secolo, ele riformulazioni successive più ardite, persino nella scuola lurianica, nonaggiungono nulla di fondamentalmente nuovo. Gran parte della letteratura dellaCabala consiste di commenti al Pentateuco, i Cinque Rotoli, e il Libro deiSalmi, e lo stesso Zohar fu scritto soprattutto come un commento alPentateuco. Ruth e il Cantico dei Cantici. Libri come i commenti al Pentateucodi Menahem Recanati, Bahya b. Asher, Menahem Ziyyoni e Abraham Sabba,

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divennero classici testi rabbinici. È degno di nota anche il fatto che non visono in pratica commenti cabalistici importanti su interi libri dei Profeti osul Libro di Giobbe o il Librodi Daniele. Solo poche esegesi isolate diframmenti di tali testi tendono a ricorrere regolarmente in rapporto a certeinterpretazioni mistiche. L'unico commento cabalistico conosciuto che sia maistato composto sull'intera Bibbia è Minhat Yehudah nel XVI secolo, scritto inMarocco da un autore ignoto; ampie sezioni sono state conservate in varimanoscritti. Al di fuori del Pentateuco, solo il Cantico dei Cantici fu

oggetto di un gran numero di commenti cabalistici, cominciando da Ezra diGerona fino a quelli numerosissimi scritti nelle recenti generazioni.La base principale dell'atteggiamento cabalistico nei confronti della Torah è,come si è detto più sopra, la fondamentale fede cabalistica nellacorrispondenza tra creazione e rivelazione. L'emanazione divina può esseredescritta tanto in termini di simboli tratti dalla dottrina delle Sefirot edelle luci superne emanate, quanto di simboli tratti dalla sfera dellinguaggio e composti di lettere e nomi. In quest'ultimo caso, il processodella creazione può essere simboleggiato come la parola di Dio, lo sviluppodegli elementi fondamentali della favella divina, e come tale non èessenzialmente diverso dai processi divini articolati nella Torah, la cuiinteriorità rivela le stesse leggi supreme che determinano la gerarchia dellacreazione. In sostanza, la Torah contiene in forma concentrata tutto ciò chepoté svilupparsi più espansivamente nella creazione stessa. A stretto rigore,la Torah non significa tanto qualcosa di specifico, benché in effettisignifichi molte cose diverse su molti livelli diversi, quanto piuttostoarticola un universo dell'essere. Dio si rivela in esso come Se stesso,anziché come un mezzo di comunicazione nel limitato senso umano. Questosignificato limitato e umano della Torah è solo il suo aspetto più esterno. Lavera essenza della Torah. d'altra parte, è definita nella Cabala secondo treprincipi fondamentali: la Torah è il completo nome mistico di Dio; la Torah èun organismo vivente: la favella divina è infinitamente significante, e lafavella umana. essendo finita non potrà mai esaurirla.

La Torah come nome mistico di Dio

Alla base di questo principio sta una credenza, in origine magica, che futrasformata in mistica. Tale credenza magica nella struttura della Torah sipuò già trovare nel Midra.sh Tehillim (sul Sal. 3): "Se i capitoli della Torahfossero stati dati nel loro ordine esatto, chiunque li leggesse sarebbe ingrado di risuscitare i morti e di operare miracoli: perciò il vero ordinedella Torah è stato celato ed è noto [solo] a Dio". Gli usi magici della Torahsono discussi nel libro Shimmushei Torah, che risale al più tardi al periodogeonico, e nel quale si narra che, insieme alla lettura accettata della Torah,Mosè ricevette un'altra lettura, composta di Nomi Santi dal significatomagico. Leggere la Torah "secondo i nomi" (introduzione di Nahmanides al suocommento al Pentateuco) non ha quindi alcun concreto significato umano. mapiuttosto un significato completamente esoterico: anziché avere a che fare con

narrazioni storiche e con comandamenti, la Torah così letta riguardaesclusivamente concentrazioni del potere divino in varie combinazioni dellelettere dei Sacri Nomi di Dio. Dalla credenza magica che la Torah fossecomposto di Sacri Nomi di Dio, fu un passo breve giungere alla credenzamistica che l'intera Torah non fosse altro che il Grande Nome di Dio. In essa,Dio espresse il suo essere nella misura in cui tale essere era pertinente allacreazione e nella misura in cui poteva manifestarsi tramite la creazione.Quindi, l'energia divina scelse di articolarsi nella forma delle lettere dellaTorah, così come esse si esprimono nel Nome di Dio. Da una parte questo Nomecomprende la potenza divina; dall'altra comprende in sé la totalità delleleggi celate della creazione. Ovviamente, un tale assunto relativo alla Torah

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non si riferiva al testo fisico scritto su pergamena, ma piuttosto alla Torahnel suo stato preesistenziale in cui servì come strumento della creazione. Inquesto senso, la creazione della stessa Torah fu semplicemente unaricapitolazione del processo mediante il quale le Sefirot e gli aspettiindividuali dei Nomi Divini emanarono dalla sostanza di Ein-Sof. La Torah, delresto, non è separata da questa sostanza, poiché rappresenta la vita interioredi Dio. Nella sua prima e più occulta esistenza, è chiamata "la Torahprimordiale", Torah Kedumah, talora identificata con la Sefirah Hokhmah.

Successivamente, si sviluppa in due manifestazioni, quella della Torah Scrittae quella della Torah Orale, che esistono misticamente nelle Sefirot Tiferet eMalkhut, mentre sulla terra esistono concretamente e sono intonate alleesigenze dell'uomo.La relazione fra la Torah e l'onnicomprensivo Nome di Dio e il Nome Ineffabileo Tetragrammaton fu definita da Joseph Gikatilla in Sha'arei orah: "L'interaTorah è come una spiegazione e un commento dell'Ineffabile Nome di Dio". Inquale modo è essenzialmente una spiegazione del Nome Ineffabile? In quanto èun solo "tessuto" formato dagli epiteti di Dio in cui si dispiega il NomeIneffabile. Quindi, la Torah è una struttura costruita interamente su un soloprincipio fondamentale, e cioè il Nome Ineffabile. Può essere comparata alcorpo mistico della Divinità, e Dio stesso è l'anima delle sue lettere. Questaconcezione si sviluppò tra i cabalisti di Gerona, e si può trovare nello Zohare in altre opere dello stesso periodo.

La Torah come organismo vivente

La tessitura della Torah partendo dal Nome Ineffabile suggerisce l'analogiache la Torah sia un tessuto vivente, un corpo vivo nella formulazione diAzriel di Gerona e dello Zohar. La Torah "è come un intero edificio; come unuomo ha molti organi con diverse funzioni, così tra i diversi capitoli dellaTorah alcuni sembrano importanti e altri non importanti nel loro aspettoesterno", tuttavia in realtà sono tutti legati insieme in un unico schemaorganico. Come la natura unificata di un uomo è divisa tra i vari organi delsuo corpo, così la cellula vivente del Nome di Dio che è il soggetto della

rivelazione, cresce nella Torah terrena posseduto dagli uomini. Finoall'ultimo, apparentemente insignificante dettaglio del testo masoretico, laTorah è stata trasmessa con la conoscenza che si tratta d'una strutturavivente alla quale non può essere sottratta neppure una lettera senza lederel'intero corpo. La Torah è come un corpo umano che ha testa, busto, cuore,bocca e così via, oppure può essere paragonata all'Albero della Vita, che haradice, tronco, rami, foglie, corteccia e linfa, sebbene nessuno sia distintodall'altro in essenza, e tutti formino una grande unità. (Secondo Filoned'Alessandria, una simile concezione della Torah quale organismo viventeispirò la setta dei terapeuti, come l'ispirarono in una certa misura anche isuoi commenti biblici, senza che vi fosse, ovviamente, un'affiliazione storicadimostrabile fra tali fonti e la Cabala.) Questa visione organica riusciva aspiegare le apparenti discrepanze stilistiche nella Bibbia, che era in parte

narrativa (e talvolta addirittura una narrativa in apparenza superflua), inparte formata da leggi e comandamenti, in parte da poesia, in parteaddirittura da statistiche. Dietro tutti questi stili diversi stava l'unitàmistica del grande Nome di Dio. Gli aspetti esteriori erano semplicemente gliindumenti dell'occulta interiorità che se ne vestiva, e "guai a chi guardasolo gli mdumenti!" Connessa a questa è la concezione che la Torah siarivelata in una forma diversa in ognuno dei mondi della creazione, partendodalla sua manifestazione primordiale quale veste per Ein-Sof e terminando conla Torah così come viene letta sulla terra; una concezione che fu promulgatasoprattutto dalla scuola di Israel Sarug (vedasi più sopra a p. 135). Vi è una"Torah di azilut", una "Torah di beri'ah" e così via, ognuna delle quali

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rispecchia una particolare funzione della struttura mistica di una data fasedella creazione. In ognuna di queste fasi vi è una relativizzazionedell'essenza assoluta della Torah, che non subisce l'influenza di questicambiamenti, per quanto possano essere grandi. Allo stesso modo, come è statospiegato più sopra, la stessa Torah appare in forme diverse nelle diverseshemittot o cicli cosmici della creazione.

Il significato infinito della favella divina

Una conseguenza diretta di questa credenza fu il principio che il contenutodella Torah possedesse significato infinito, che si rivelava in modi diversi adiversi livelli e secondo la capacità del suo contemplatore. L'insondabileprofondità della favella divina non poteva esaurirsi a un solo livello: unassioma che valeva anche per la Torah storica e concreta rivelata da Dio nellateofania del monte Sinai. Dall'inizio questa Torah possedeva i due aspettimenzionati più sopra, una lettura letterale formata dalle sue lettere che sicombinavano per formare le parole della lingua ebraica, e una lettura misticacomposta dai Nomi divini di Dio. Ma questo non era tutto. "Molte luci siirradiano da ogni parola e da ogni lettera", una concezione che venneriassunta nella notissima affermazione "la Torah ha 70 facce", che a sua voltaè l'espressione epigrammatica di un passo di Otiyyot de-Rabbi Akiva. Lequattro categorie convenzionali secondo le quali si diceva fosseinterpretabile la Torah, letterale (peshat), allegorica (remez), ermeneuticaod omiletica (derash) e mistica (sod), servivano solo come cornice generaleper una molteplicità di letture individuali, una tesi che dal secolo XVI inpoi si espresse nella diffusa credenza che il numero delle possibili letturedella Torah fosse eguale al numero dei 600.000 figli d'Israele presenti almonte Sinai; in altre parole, che ogni ebreo si accostasse alla Torah per unavia che egli solo poteva seguire. A queste quattro categorie venne dapprimaassegnato l'acronimo pardes (letteralmente "giardino") da Moses de Leon.Fondamentalmente, questo "giardino della Torah" veniva inteso nel modoseguente. Il peshat, o significato letterale, non abbracciava solo ilcontenuto storico e fattuale della Torah, ma anche l'autorevole Legge Orale

della tradizione rabbinica. Il derash, o significato ermeneutico, era la viadel commento etico e aggadico. Il remez, o significato allegorico, comprendevala massa delle verità filosofiche contenute nella Torah. Il sod, o significatomistico, era la totalità dei possibili commenti cabalistici che interpretavanole parole della Torah come riferimenti a eventi nel mondo delle Sefirot o allarelazione con il mondo degli eroi biblici. Il peshat, quindi, che si ritenevaincludesse anche il corpus della legge talmudica, era solo l'aspetto esterioredella Torah, la "buccia" che si offriva per prima all'occhio del lettore. Glialtri strati si rivelavano solo a quel potere più penetrante e più ampiod'intuizione che riusciva a scoprire nella Torah verità generali in nessunmodo dipendenti dal contesto letterale immediato. Solo al livello del sod laTorah diveniva una massa di simboli mistici che svelavano gli occulti processivitali della Divinità e le loro connessioni con la vita umana. Questa

quadruplice divisione esegetica era apparentemente influenzata da categorieantecedenti e molto simili della tradizione cristiana (letterale, modale,allegorica, mistica). commenti letterali, aggadici e filosofico-allegoricierano noti precedentemente anche alla tradizione giudaica, e il lungo commentodi Joseph ibn Aknin sul Cantico dei Cantici, per esempio, composto all'iniziodel XIII secolo, univa tutte e tre le metodologie. Bahya b. Asher fu il primocommentatore biblico (1291) che introdusse tutti i quattro aspetti nelle suespiegazioni testuali, sebbene non usasse l'acronimo pardes e chiamasse "la viadell'intelletto" la lettura filosofica della Torah. La spiegazione al livellodi sod, naturalmente, aveva possibilità illimitate, e un'illustrazioneclassica è Megalleh Amukot (1637) di Nathan Spira, in cui la preghiera di Mosè

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a Dio in Deuteronomio 3:23 segg. è spiegata in 252 modi diversi. Nel corpusprincipale dello Zohar, dove viene studiatamente vietato l'uso del termine"Cabala", queste interpretazioni mistiche sono chiamate "misteri della fede"(raza de meheimnuta), cioè esegesi fondate su credenze esoteriche. L'autoredello Zohar, la cui fede nel primato dell'interpretazione cabalistica eraestrema, espresse l'opinione (3:1 52a) che se la Torah fosse statasemplicemente voluta come una serie di narrazioni letterali, lui e i suoicontemporanei sarebbero stati in grado di comporre un libro migliore! Talvolta

le interpretazioni cabalistiche sceglievano deliberatamente di porre inrisalto certe parole o certi versetti che in superficie apparivanoinsignificanti, e di attribuire loro una profonda importanza simbolica, comesi può vedere nel commento dello Zohar all'elenco dei re di Edom di Genesi 36o alle imprese di Benaiah, figlio di Jehoiada, riferite in Samuele II, 23.Poiché la Torah era considerata essenzialmente composta di lettere che altronon erano che configurazioni della luce divina, e poiché si ammetteva chequesta assumeva forme diverse nel mondo celeste e in quello terrestre, sorsela questione di come sarebbe apparso in paradiso o in un'epoca futura.Certamente la sua lettura presente era stata influenzata dalla"corporealizzazione" delle sue lettere, avvenuta al tempo del peccato diAdamo. La risposta data a questo enigma dei cabalisti di Safed era che laTorah conteneva le stesse lettere prima del peccato di Adamo, ma in unasequenza diversa che corrispondeva alle condizioni dei mondi a quel tempo.Quindi, non includeva le stesse proibizioni o le stesse leggi che vi leggiamoora perché era adattata nella sua totalità allo stato di Adamo prima dellacaduta. Allo stesso modo, nelle epoche future la Torah getterà via i suoiindumenti e riapparirà di nuovo in una forma puramente spirituale le cuilettere assumeranno nuovi significati spirituali. Nella sua esistenzaprimordiale, la Torah conteneva già tutte le possibili combinazioni chepossono manifestarsi in essa in armonia con le azioni degli uomini e le azionidel mondo. se non fosse stato per il peccato di Adamo, le sue lettere sisarebbero combinate per formare un testo completamente diverso. Nei futuritempi messianici, quindi, Dio rivelerà nuove combinazioni di lettere chedaranno un contenuto interamente nuovo. In effetti, questa è la "nuova Torah"cui si allude nel Midrash. nel commento a Isaia. 51:4: "Perché la Torahprocederà da Me'?. Tali credenze continuarono ad essere largamente diffuse

anche nella letteratura hasidica.La forma più radicale assunta da questa concezione era associata all`aggadahtalmudica secondo la quale prima della creazione del mondo l'intera Torahvenne scritta in fuoco nero su fuoco bianco. Già all'inizio del XIII secolovenne espressa l'ardita nozione che in realtà il fuoco bianco comprendesse ilvero testo della Torah e il testo che appariva in fuoco nero fossesemplicemente la mistica Legge Orale. Ne consegue che la vera Legge Scritta èdivenuta interamente invisibile alla percezione umana e attualmente è celatanella pergamena bianca del rotolo della Torah, le cui lettere nere non sonoaltro che un commento a questo testo svanito. Al tempo del Messia verrannorivelate le lettere di questa "Torah bianca". A questa credenza si riferisconoanche numerosi testi classici del hasidismo.

La via mistica

Devekut

La vita nella cornice del Giudaismo. tramite lo studio della Torah e lapreghiera offriva al cabalista una via d'integrazione attiva e passiva nellagrande gerarchia divina della creazione. Nell'ambito di questa gerarchia, ilcompito della Cabala consisteva nell'aiutare a ricondurre l'anima alla sua

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Patria nella Divinità. Per ogni Sefirah vi è un corrispondente attributo eticonel comportamento umano, e colui che lo consegue sulla terra è integrato nellavita mistica e nel mondo armonico delle Sefirot. Tomer Deuorah di Cordovero èdedicato a questo argomento. I cabalisti, all'unanimità erano concordi circail rango supremo conseguibile dell'anima alla fine della via mistica cioèquella del devekut, lo schiudersi mistico a Dio. Potevano esservi diversigradi di devekut come "equanimità" (hishtauuut, l'indifferenza dell'anima allalode o al biasimo), "solitudine" (hitbodedut, essere solo con Dio), "lo

spirito santo" e "profezia". Questa è la scala del devekut secondo Isaacd'Acri. Per contrasto un dibattito incessante circondava la questione di qualefosse la più alta qualità preparatoria per tale deuekut, l'amor di Dio o iltimor di Dio. Questa discussione ricorre in tutta la letteratura della Cabala,con risultati non conclusivi; e continuò nelìa più tarda letteratura masur(moralista), composta sotto l'influenza cabalistica. Molti cabalisticonsideravano l'adorazione di Dio "puro, sublime timore", che era ben diversodal timore della punizione, ancora più alto dell'adorazione di Dio per amore.Nello Zohar questo "timore" viene impiegato come uno degli epiteti dellaSefirah più alta, e ciò le conferisce una posizione suprema. Elijah de Vidas,d'altra parte, in Reshit Hokhmah, difese il primato dell'amore. In effetti,entrambe queste virtù conducevano al devekut.L'antica Cabala provenzale cercava già di definire il devekut tanto come unprocesso mediante il quale l'uomo si schiude al suo Creatore che come fineultimo della via mistica. Secondo Isaac il Cieco, "il compito principale deimistici (ha-maskilim) e di coloro che contemplano il Suo Nome è [espresso nelcomandamento]: 'E vi schiuderete a Lui' (Deut. 13:5). È questo il principiocentrale della Torah. e della preghiera e del [recitare] le benedizioni,armonizzare il proprio pensiero con la propria fede come se si schiudesse a [imondi di] lassù, congiungere Dio nelle sue lettere e collegare (likhlol) ledieci Sefirot in Lui come una fiamma è congiunta a un tizzone, articolando isuoi epiteti a voce alta e congiungendolo mentalmente nella sua verastruttura". In senso più generale, Nahmanides, nel suo commento a Deuteronomio11:22, definisce il devekut uno stato della mente in cui "Voi ricordatecostantemente Dio nel suo amore e non rimovete i vostri pensieri da Lui... alpunto che quando Itale personal parla con altri, il suo cuore non è affattocon loro ma è ancora davanti a Dio. E infatti può essere vero, di coloro che

conseguono tale rango. che alle loro anime è concessa la vita immortale(zerurah bi-zeror ha-hayyim) già durante la loro vita, perché essi sono unadimora della Shekhinah". Chiunque si schiude in tal modo al suo Creatore puòricevere lo Spirito Santo (Nahmanides, Sha'ar ha-Gemul). Nella misura in cuiil pensiero umano deriva dall'anima razionale nel mondo di azilut, ha lacapacità di ritornare alla sua fonte: "E quando raggiunge la sua fonte, sischiude alla luce celestiale da cui deriva, e i due diventano uno" (Meir ibnGabbai). Nel suo commento a Giobbe 36:7, Nahmanides si riferì al deuekut comeal livello spirituale che caratterizza il vero hasid, e infatti la definizionedi hasidut data da Bahya ibn Pakuda in Hovot ha-Leuauot (8, 10) è molto similealla definizione di devekut data da Azriel di Gerona in Sha'ar ha-Kavvanah,perché entrambi parlano in termini quasi identici dell'annullamento dellavolontà umana nella volontà divina o dell'incontro e della conformità delle

due volontà. D'altra parte, le descrizioni cabalistiche del deuekut tendonoanche ad assomigliare alle comuni definizioni della profezia e dei suoi varilivelli. Nella sua Epistola a Lurgos, Azriel di Gerona dice che la via dellaprofezia è anche la via del deuekut, mentre in Perush ha-Aggadot (a cura diTishby, 40) virtualmente li equipara.Il deuekut produce un senso di beatitudine e di intima unione, tuttavia nonelimina interamente la distanza tra la creatura e il Creatore, una distinzioneche moltissimi cabalisti, come moltissimi hasidim, avevano cura di nonoscurare affermando che poteva esservi una completa unificazione dell'anima edi Dio. Nel pensiero di Isaac d'Acri, il concetto di devekut assume uncarattere semicontemplativo e semiestatico". Qua e là si possono trovare

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sfumature estatiche anche nelle concezioni del deuekut di altri cabalisti.

Preghiera, kavvanah e meditazione

La principale via seguita dai mistici era naturalmente associata, agli occhidei cabalisti, all'osservanza pratica dei comandamenti: le due cose tuttavianon erano connesse intrinsecamente, perché in sostanza la via mistica

comportava l'ascesa dell'anima a uno stato di rapimento estatico tramite unprocesso di concentrazione del pensiero e di meditazione. Nella Cabala èsoprattutto la preghiera che serve come mezzo principale per questa ascesa. Lapreghiera è diversa dai comandamenti pratici, ognuno dei quali richiede unacerta azione ben definita, il cui compimento non lascia molto spazio per lameditazione e l'immersione mistica. È vero, ogni comandamento ha il suoaspetto mistico, la cui osservanza crea un legame tra il mondo dell'uomo e ilmondo delle Sefirot, ma la forza piena della spiritualità può esprimersi assaimeglio nella preghiera. L'intenzione mistica o kavuanah che accompagna ognicomandamento è in effetti una concentrazione del pensiero sul significatocabalistico dell'azione nel momento in cui viene compiuta; la preghiera,d'altra parte, è indipendente da ogni azione esterna e può venire facilmentetrasformata in un esercizio di meditazione interiore. La tradizione dellapreghiera mistica accompagnata da un sistema di kavvanot meditativeconcentrate sul contenuto cabalistico di ogni preghiera si sviluppò qualefattore centrale della Cabala sin dalla sua prima apparizione tra i HasideiAshkenaz e i cabalisti di Provenza, fino alla Cabala lurianica e alle ultimevestigia di quest'ultima nei tempi moderni. I più grandi cabalisti furonotutti grandi maestri della preghiera, e non sarebbe facile immaginarel'evoluzione speculativa della Cabala senza queste radici permanentinell'esperienza della preghiera mistica. Nel suo aspetto cabalistico, ilconcetto di kavuanah ricevette un nuovo contenuto, molto più vasto di quelloattribuitogli nella precedente letteratura rabbinica e halakhica.La dottrina cabalistica cercò una via d'uscita dal dilemma, di cui gli stessicabalisti erano consapevoli, posto dalla nozione teologicamente inaccettabileche la preghiera potesse in qualche modo cambiare o influenzare la volontà diDio. La Cabala considerava la preghiera come l'ascesa dell'uomo ai mondi

superiori, un pellegrinaggio spirituale tra i regni superni, che cercava diintegrarsi nella loro struttura gerarchica e di contribuire alla restaurazionedi ciò che vi era divenuto imperfetto. Il suo campo di attività, nel pensierocabalistico, è interamente nei mondi inferiori e nelle connessioni tra questi.Usando in modo simbolico il testo liturgico tradizionale, la preghiera ripetei processi occulti dell'universo che, come è stato spiegato più sopra, possonovenire essi stessi considerati essenzialmente linguistici. La gerarchiaontologica dei mondi spirituali si rivela al cabalista nel momento dellapreghiera come uno dei molti Nomi di Dio. Questo disvelarsi di un "Nome"divino tramite il potere della "parola" costituisce l'attività misticadell'individuo in preghiera, che medita o concentra la sua kauuanah sul nomeparticolare appartenente al regno spirituale attraverso il quale sta passandola sua preghiera. Nella Cabala dei primi tempi, è il nome della Sefirah

appropriata quello su cui il mistico si concentra quando recita le preghiere,e in cui viene per così dire assorbito; ma successivamente, e soprattuttonella scuola lurianica, il nome della Sefirah viene sostituito da uno deimistici Nomi di Dio. Quindi, sebbene la preghiera abbia un aspetto di "magiainteriore", grazie al quale ha il potere di aiutare l'ordine e di restaurare imondi superiori, non ha alcuna efficacia magica esteriore. Questa "magiainteriore" si distingue dalla comune magia in quanto le sue meditazioni okavvanot non devono essere pronunciate. I Nomi Divini non vengono invocati,come avviene nella comune magia operativa, ma vengono destati tramitel'attività meditativa rivolta verso di essi. L'individuo in preghiera indugiasu ogni parola e misura pienamente la kauuanah che appartiene ad essa. Il

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testo della preghiera vero e proprio, quindi, serve come una specie dimancorrente cui il cabalista si aggrappa mentre compie la sua ascesa non privadi rischi, cercando a tentoni la strada per mezzo delle parole. Le kavvanot,per dirla in un altro modo, trasformano le parole della preghiera in nomisacri che servono come punti di riferimento nell'ascesa.L'applicazione pratica della meditazione mistica nella Cabala, quindi, èconnessa principalmente, se non esclusivamente, al momento della preghiera.Nei termini della tradizione ebraica, l'innovazione principale in questo punto

di vista stava nel fatto che spostava l'attenzione dalla preghiera di gruppoalla preghiera mistica individuale senza distruggere in alcun modo lafondamentale struttura liturgica. Anzi, per conservare questa struttura, leprime generazioni dei cabalisti si astennero generalmente dal comporrepreghiere originali che rispecchiassero direttamente le loro credenze. Solo apartire dal XVI secolo, e soprattutto sotto l'influenza della scuolalurianica, furono aggiunte numerosissime preghiere cabalistiche. Le brevimeditazioni dei primi cabalisti furono sostituite da kavvanot sempre piùlunghe e complesse, la cui esecuzione portava a un considerevole allungamentodel servizio. Il sistema delle kavvanot raggiunse il massimo sviluppo nellascuola del cabalista yemenita Shalom Sharabi dove la preghiera richiedevaun'intera congregazione di meditatori mistici capaci di grandi sforzi fisici.Si sa che esistettero molti di tali gruppi. Secondo Azriel di Gerona. coluiche medita misticamente nella preghiera scaccia tutti gli ostacoli e gliimpedimenti e riduce ogni parola al suo 'nulla'". Raggiungere tale scopo è inun certo senso, aprire una cisterna le cui acque, che sono l'influsso divino,si riversano sull'orante. Poiché egli si è debitamente preparato per taliforze superne, però non ne viene sopraffatto e annegato. Avendo completatol'ascesa, ora ridiscende di nuovo con l'aiuto di kavvanot fisse. e in questomodo unisce i mondi superiori a quelli inferiori. Un eccellente esempio diquesto ciclo di ascesa e di discesa si può trovare nelle kavvanot sullo Shema.In contrasto con il carattere contemplativo della preghiera nella Cabala diGerona e nello Zohar, la Cabala lurianica ne poneva in risalto l'aspetto piùattivo. Ogni preghiera veniva ora diretta non solo verso l'ascesa simbolica dicolui che prega. ma anche verso l'innalzarsi delle scintille di luceappartenenti alla sua anima. "Dal giorno in cui il mondo fu creato fino allafine del tempo, nessuna preghiera somiglia a un'altra". Nonostante il fatto

che vi è una collettività comune a tutte le kavvanot, ognuno ha la sua naturacompletamente individuale. e ogni momento di preghiera è diverso e richiede lapropria kauuanah. In questo modo veniva posto in grande risalto l'elementopersonale della preghiera. Neppure tutte le kavvanot elencate negli scritti adesse dedicati esaurivano tutte le possibilità, come un testo musicale non puòcontenere l'interpretazione personale introdotta dal musicista nell'esecuzionedel brano. In risposta all'interrogativo del Talmud: "I)a dove si può sapereche Dio stesso prega?", la Cabala rispondeva che mediante la preghiera mistical'uomo veniva tratto verso l'alto o assorbito nell'occulta vita dinamica dellaDivinità, così che nell'atto della sua preghiera anche Dio pregava. D'altraparte, si può trovare nella letteratura cabalistica anche la teoria che lapreghiera è come una freccia scagliata verso l'alto da chi la recita conl'arco della kavuanah. In un'altra analogia della scuola lurianica, che ebbe

grande influenza sulla letteratura hasidica, il processo di kauuanah èdefinito come l'attrarre verso il basso la divina luce spirituale, nellelettere e nelle parole del libro di preghiere, affinché questa luce possaquindi riascendere al rango più alto (A. Azulai, Hesed le-Auraham, 2 par. 44).Secondo l'opinione dello Zohar (2:215b), l'individuo passa attraverso quattrofasi, durante la preghiera: compie il tikkun di se stesso, il tikkun del suomondo inferiore, il tikkun del mondo superiore e, infine, il tikkun del NomeDivino. Del pari, il servizio del mattino nel suo complesso venivainterpretato come la rappresentazione di una progressione simbolica, altermine della quale il recitante era pronto a rischiare tutto per Dio, siaabbandonandosi a un rapimento quasi estatico, sia lottando con la sitra ahra

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per strappare alla sua stretta la santità imprigionata. Nella preghieralurianica era riservato un posto speciale agli yihudim ("atti d'unificazione")che erano meditazioni su una delle combinazioni di lettere del Tetragrammaton,oppure su configurazioni di tali nomi con vocalizzazioni diverse, come quelleche Isaac Luria aveva l'abitudine di assegnare ai suoi discepoli, a ciascuno"in armonia con le radici della sua anima". Quando erano impiegati in questiyihudim individuali, le kavvanot erano distaccate dalla liturgia regolare ediventavano strumenti indipendenti per l'elevazione dell'anima (una pratica

che ha paralleli in molti altri sistemi mistici di meditazione). Inoltre,venivano usate talvolta come metodo per comunicare con altre anime, inparticolare con le anime degli zaddikim defunti.Una vasta letteratura cabalistica venne dedicata alla via della preghiera ealle interpretazioni mistiche della liturgia tradizionale. Questeinterpretazioni non erano tanto commenti nel senso ordinario del termine,quanto manuali sistematici per la meditazione mistica nella preghiera. Tra lepiù note figurano Perush ha-Tefillot di Azriel di Gerona (esistente in moltimanoscritti, traduzione francese di G. Séd, 1973), Perush ha-Tefillot diMenahem Recanati (1544); Or Zaru'a di David b. Judah he-Hasid e un commento diautore anonimo (c. 1300), la cui lunga introduzione è stata pubblicata (KouezMadda'i le-Zekher Moshe Shor, 1945, 113-26). Tra i libri di questo tiposcritti nel XVI secolo vi furono Tola'at Ya'akov di Meir ibn Gabbai (1560);Perush ha-Tefillot di Jacob Israel Finzi (manoscritto di Cambridge); eTefillah le-Moshe di Moses Cordovero (1892). L'affermazione della Cabalalurianica portò a una produzione enorme di libri di kavvanot e di preghieremistiche. I più dettagliati sono Sha'ar ha-Kavuanot e Peri Ez Hayyim di HayyimVital, e il sommario Mishnat Hasidim di Immanuel Hai Ricchi (1727). Già altempo del circolo di Vital si affermò la pratica di compilare speciali libridi preghiera con le kavvanot corrispondenti, e molte redazioni circolarono informa manoscritta con il titolo Siddur ha-Ari ("Il libro di preghiere di IssacLuria"). Di questi libri, numerosi furono pubblicati; tra gli altri: Sha'areiKahamim (Salonicco, 1741); Hesed le Avraham (Smirne, 1764); Mishnat Gur Aryehdi Aryeh Loeb Epstein (Koenigsberg, 1756); e Siddur ha-Ari dei cabalisti delklaus di Brody (Zolkiew, 1781); e i libri cabalistici di preghiere di AsherMargoliot (Leopoli, 1788), Shabbetai Rashkover (1794) e Jacob KoppelLifschuetz, il cui Kol Ya'akov (1804) risente dell'influenza shabbatea. L'acme

di questi testi fu raggiunto con il libro di preghiere di Shalom Sharabi, cheè stato pubblicato a Gerusalemme in una lunga serie di volumi a partire dal1910. Ancora oggi vi sono a Gerusalemme gruppi che pregano secondo le kavvanotdi Sharabi sebbene possano richiedere molti anni di pratica spirituale. Altreguide alla preghiera di quel periodo sono Siddur ha-Shelah di Isaiah Horowitz(Amsterdam, 1717); Kavvanot Shelomo di Solomon Rocca (Venezia, 1670) Heikhalha-Kodesh di Moses Albaz (Amsterdam, 1653); e Hemdat Yisrael di Samuel, figliodi Hayyim Vital (1901). Nel suo Sha'ar Ru'ah ha-Kodesh (con commento di JosephSadboon di Tunisi, 1874), Hayyim Vital discute gli yihudim. Numerosi libricabalistici di preghiere furono compilati per varie occasioni specifiche: ungenere che ebbe inizio con Sha'arei-Ziyyon di Nathan Hannover (1662).

L'estasiOltre alla meditazione mistica della preghiera, nella Cabala si svilupparonoaltre "discipline" mistiche. (Sulle ascese estatiche del mistico del Merkabahsi veda più sopra, a p. 00). All'inizio del periodo geonico risale un testochiamato Sefer ha-Malbush, che descrive una pratica, per metà magica e permetà mistica, di "indossare il Nome" (levishat ha-Shem), la cui storiaapparentemente ha origini ancora più remote. In questo contesto haun'importanza centrale la "Cabala profetica" di Abraham Abulafia, in cuiveniva riplasmata una precedente tradizione di istruzione sistematica basatasulla "scienza della combinazione", hokhmat ha-zeruf (un gioco sul doppio

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significato della parola in zeruf ha-otiot, "combinazione di lettere" e zerufha-levavot, "purificazione dei cuori"). La disciplina mistica utilizzava lelettere dell'alfabeto, e specialmente del Tetragrammaton e degli altri Nomi diDio, allo scopo di preparare alla meditazione. Immergendosi nelle variecombinazioni delle lettere e dei nomi, il cabalista svotava la propria mentedi tutte le forme naturali che potevano impedirgli di concentrarsi sulle cosedivine. In tal modo, liberava l'anima dalle costrizioni naturali e laschiudeva all'influsso divino, con il cui aiuto poteva giungere persino alla

profezia. Le discipline della kavvanah e della combinazione delle lettere sicollegarono l'una all'altra verso la fine del secolo XIII e da allora siinfluenzarono reciprocamente. Le kavvanot lurianiche, in particolare, furonofortemente influenzate da hokhmat ha-zeruf. La dottrina delle Sefirot fu a suavolta assorbita da queste discipline, sebbene lo stesso Abulafia laconsiderasse un sistema meno avanzato e prezioso della "scienza dellacombinazione" così come questa veniva esposta nei suoi libri.Nell'ulteriore evoluzione della Cabala, molti cabalisti continuarono aconsiderare queste discipline come il suo aspetto più esoterico e simostrarono riluttanti a discuterle nelle loro opere. Lo stesso Abulafiadescrisse esplicitamente, e in modo apparentemente obiettivo, gli ostacoli e ipericoli, oltre alle ricompense, che tale esperienza mistica poteva arrecare.Egli tracciava un chiaro parallelo tra la "scienza della combinazione" e lamusica, che a sua volta poteva condurre l'anima a uno stato di rapimentoaltissimo mediante la combinazione dei suoni. Le tecniche della "Cabalaprofetica" che venivano usate per favorire l'ascesa dell'anima, come gliesercizi di respirazione, la ripetizione dei Nomi Divini e le meditazioni suicolori, presentano una spiccata rassomiglianza con quella dello yoga indiano edel sufismo musulmano. Il soggetto vede lampi di luce e ha la sensazione diessere "unto" divinamente. In certi stadi egli vive un'identificazionepersonale con un mentore o guru spirituale interiore che gli si rivela e chein realtà è Metatron, il principe del volto di Dio, oppure, in taluni casi, ilvero io del soggetto. Lo stadio culminante di questa educazione spirituale èil potere della profezia. A questo punto la Cabala di Abulafia coincide con ladisciplina delle kavvanot sviluppata dai cabalisti di Gerona, che avevaanch'essa lo scopo di addestrare il praticante in modo che "chiunque l'haappresa ascende al livello della profezia".

Qua e là nella Cabala si fa cenno a vari altri fenomeni occulti, ma nelcomplesso vi è una netta tendenza a evitare di discutere queste cose, come inmaggioranza i cabalisti si astenevano dal registrare le loro esperienzepersonali nella forma autobiografica che era invece estremamente comune nellaletteratura mistica tanto del Cristianesimo quanto dell'Islam. Esistonodescrizioni della sensazione mistica dell'etere sottile o "aura", chiamatoanche "l'etere dello zelem", dal quale l'uomo è circondato, delle visionimistiche delle lettere primordiali nei cieli (Zohar, 2:130b) e di libri sacriinvisibili che possono venire letti solo con i sensi interiori. In numerosipassi la profezia è definita come l'esperienza in cui un uomo "vede la formadel proprio io che gli sta davanti e gli descrive il futuro". Un anonimodiscepolo di Abulafia compose effettivamente un memoriale sulle sue esperienzecon hokhmat ha-zeruf. In generale, tuttavia, la confessione autobiografica era

rigorosamente disapprovata dalla maggioranza dei cabalisti. Nello Zohar, vi èuna sola descrizione dell'estasi mistica, in un resoconto estremamentecircospetto dell'esperienza del sommo sacerdote nel Santo dei Santi il Giornodell'Espiazione (3:67a, e in Zohar Hada.sh 19a). Anche negli scritti checontinuano essenzialmente la tradizione di Abulafia vi è ben poco dellastravaganza estatica di quest'ultimo, e la stessa estasi è moderata neldevekut Solo nel periodo aureo del movimento hasidico, nel tardo XVIII secolo,soprattutto nel circolo del Maggid di Mezhirech, si incontrano nuovamentedescrizioni di abbandono estatico nella letteratura del Giudaismo. Parecchilibri o parti di libri che trattavano apertamente e a lungo la procedura daseguire per il conseguimento dell'estasi e dello spirito santo, come Sulam

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ha-Aliyah (c. 1500) di Judah Albotoni, e l'ultima parte di Sha'arei Kedushahdi Hayyim Vital, intitolata M'amar Hitbodedut, "Sulla meditazione solitaria"(manoscritto Ginzburg 691, British Museum 749), furono ai loro tempi soppressie conservati solo in manoscritto. L'unico libro del genere che fueffettivamente pubblicato fu Berit Menuhah (Amsterdam, 1648), opera di unautore anonimo del XIV secolo ed erroneamente attribuita ad Abraham diGranada. Il libro, che contiene lunghe descrizioni di visioni delle lucisuperne conseguite meditando su varie vocalizzazioni del Tetragrammaton con

l'aiuto di un sistema simbolico che non ha paralleli nella Cabala, si situasul confine tra la "Cabala speculativa" (kabóalah iyyunit), il cui interesseprimario era la guida spirituale interiore dell'individuo, e la "Cabalapratica" (kabbalah ma'asit) che si occupava soprattutto di attività magiche.

La Cabala pratica

Le discipline discusse nella sezione precedente, sebbene trattino istruzionipratiche per la vita spirituale, non appartengono al regno della "Cabalapratica" nel senso cabalistico del termine, che si riferisce piuttosto ainteressi molto diversi. Per la maggior parte, il regno della Cabala pratica èquello della magia "bianca", dalle motivazioni pure, praticata soprattuttotramite il mezzo dei sacri, esoterici Nomi di Dio e degli angeli, la cuimanipolazione può influire sul mondo fisico non meno che su quello spirituale.Tali operazioni magiche non sono considerate impossibili nella Cabala, e nonsono neppure proibite categoricamente, sebbene numerosi scritti cabalisticipongano in risalto il divieto. In ogni caso, solo gli individui piùperfettamente virtuosi sono autorizzati a compierle, e comunque mai per lorointeresse personale, ma solo in momenti d'emergenza e di necessità pubblica.Chiunque altro cerchi di compiere tali atti lo fa a proprio grave rischiofisico e spirituale. Tali moniti venivano generalmente osservati al limite,tuttavia, come dimostra la ricca letteratura sulla Cabala pratica che èpervenuta fino a noi. In effetti, inoltre, il confine tra la magia fisica e la"magia" puramente interiore della combinazione delle lettere e delle kavvanotnon era sempre netto, e poteva venire facilmente varcato in entrambe ledirezioni. Molti dei primi eruditi che studiarono la Cabala non distinguevano

chiaramente tra i due concetti, e spesso usavano l'espressione "Cabalapratica" per riferirsi alla scuola lurianica in contrapposizione a Cordovero eallo Zohar. Questa confusione si può far risalire addirittura a Pico dellaMirandola, che usa il termine in modo estremamente ambiguo e contraddittorio.Egli riteneva che la Cabala di Abulafia appartenesse alla varietà "pratica".Lo stesso Abulafia, tuttavia, era ben consapevole della distinzione, e inmolti dei suoi libri attaccò energicamente i "maestri dei nomi" (ba'aleishemot) che si contaminavano con pratiche magiche. L'autore anonimo di untesto già attribuito a Maimonide (Megillat Setarim. pubblicato in HemdahGenuzah 1 (1856), 45-52), che apparteneva anch'egli alla scuola di Abulafia,distingue tre specie di Cabala: "Cabala rabbinica", "Cabala profetica" e"Cabala pratica". Quest'ultima viene identificata con la teurgia, l'uso magicodei Nomi Sacri, che non corrisponde affatto alla meditazione su tali nomi.

Prima che entrasse in uso il termine "Cabala pratica", il concetto venivaespresso in ebraico dalla frase "hokhmat hashimmush, una traduzione deltermine greco, praxis, usato per denotare l'attività magica. I cabalistispagnoli operarono una chiara distinzione fra le tradizioni che eranopervenute loro dai "maestri della dottrina delle Sefirot" (ba'alei ha-sefirot)e quelle derivate dai maghi o "maestri dei nomi". Essi conoscevano inoltrecerte pratiche magiche chiamate "grande teurgia" (shimmusha rabba) e "piccolateurgia" (shimmusha zutta; vedasi Tarbiz, 16 (1945), 196-209). A differenza diAbulafia, tuttavia, Gikatilla, Isaac ha Kohen e Moses de Leon menzionano tuttiquesti "maestri dei nomi" e le loro esposizioni senza il minimo biasimo. Apartire dal XV secolo la divisione semantica tra la Cabala "speculativa" e

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quella "pratica" divenne prevalente, anche se questo non significavanecessariamente un pregiudizio nei confronti della seconda. Nel complesso,tuttavia, i sommari generali della dottrina cabalistica raramente siriferivano al suo aspetto "pratico" se non incidentalmente, comenell'angelologia di Cordovero, Derishot he Inyanei ha-Mal'akhim (alla fine diMalakhvei Elyon di R. Margaliot, 1945).Storicamente parlando, gran parte del contenuto della Cabala pratica sfruttain misura considerevole quello della Cabala speculativa, e non è da questa

indipendente. In effetti, quella che venne considerata la Cabala praticacostituiva un agglomerato di tutte le pratiche magiche sviluppatesi nelGiudaismo a partire dal periodo talmudico fino a tutto il Medioevo. Ladottrina delle Sefirot non ebbe quasi mai un ruolo decisivo in questepratiche, nonostante i tentativi occasionali di integrarle, compiuti a partiredalla fine del XIII secolo. La massa principale di questo materiale magico cheè stata preservata si trova negli scritti dei Hasidei Ashkenaz, che per lamaggior parte erano immuni dalle influenze teologiche del Cabalismo, sia intesti scritti appositamente sull'argomento, come Sefer ha-Shem di Eleazar diWorms, sia in antologie. Moltissime delle prime opere teurgiche e magiche,come Harba de-Moshe e Sefer ha-Razim, finirono per essere assimilate nellaCabala pratica. Anche varie idee e pratiche connesse al concetto del golemtrovarono posto nella Cabala pratica mediante una combinazione di elementitratti da Sefer Yezirah e da un gran numero di tradizioni magiche. Le lineetracciate dai cabalisti per stabilire i limiti della magia lecita spessovenivano travalicate e oscurate, con la conseguente apparizione nella Cabalapratica di una notevole quantità di magia "nera, cioè magia che mirava a farmale ad altri o che impiegava "i nomi empi" (shemot ha-tum'ah, Sanhedrin 91a)di varie potenze tenebrose, demoniache e magia usata per tornaconto personale.L'aperto ripudio della Cabala pratica da parte di moltissimi cabalisti, nellamisura in cui non era semplicemente una vuota formalità, era per la maggiorparte una reazione a pratiche del genere. Questa magia nera abbracciava unvasto campo della demonologia e varie forme di stregoneria, miranti adalterare l'ordine naturale delle cose e a creare legami illeciti tra cose chedovevano restare separate. L'attività di questo genere era considerata unaribellione dell'uomo contro Dio, una hybris, un tentativo di porsi al posto diDio stesso. Secondo lo Zohar (1:36b) la fonte di queste pratiche era

costituita dalle "foglie dell'Albero della Conoscenza"; ed esse erano esistitetra gli uomini fin dalla cacciata dal Giardino dell'Eden. Accanto a questaconcezione, continuava l'antica tradizione riscontrata per la prima volta nelLibro di Enoch, secondo la quale gli angeli ribelli caduti dal cielo erano iprimi insegnanti delle arti magiche all'umanità. Ancora oggi, dice lo Zohar(3:208a, 212a-b), gli stregoni si recano "alle montagne delle tenebre" chesono la dimora degli angeli ribelli Aza e Azael, per studiare sotto i loroauspici (una versione giudaica dell'idea tardo-medievale del "Sabba" dellestreghe e degli stregoni). L'archetipo biblico dello stregone è Balaam. Questamagia nera viene chiamata nella Cabala "scienza apocrifa" (hokhmah hizonah)oppure "la scienza degli orientali" (hokhmah benei kedem, sulal base di Re 1,5:10), e sebbene sia consentita una conoscenza teorica - parecchi libricabalistici in effetti la trattano a lungo - la sua pratica è rigorosamente

proibita. Lo stregone trae lo spirito d'impurità dalle kelippot e mescola ilpuro e l'impuro. In Tikkunei Zohar la manipolazione di tali forze èconsiderata giustificabile in certe circostanze, poiché la sitra ahra deveessere combattuta con le sue stesse armi.L'opposizione dei cabalisti speculativi alla magia nera non bastò a impedireun agglomerato di ogni forma di prescrizioni magiche nella letteratura dellaCabala pratica. Spesso le pratiche della magia bianca, come gli amuleti e gliincantesimi protettivi, si trovano a fianco di invocazioni di demoni,sortilegi e formule per guadagno personale (per esempio, scorciatoie magiche,scoperta di tesori nascosti, invincibilità nei confronti dei propri nemici,eccetera) e addirittura della magia sessuale e della necromanzia. Il carattere

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internazionale della tradizione magica è evidente in tali collezioni, nellequali entrarono molti elementi originariamente non ebraici, come lademonologia araba e la stregoneria tedesca e slava. Fu questo miscuglioindiscriminato a creare l'immagine piuttosto grossolana della Cabala praticache si impose alla mentalità popolare ebraica e finì per giungere anche nelmondo cristiano, dove la distinzione teorica cabalistica tra le pratichemagiche permesse e vietate veniva, come è logico, completamente ignorata. Ladiffusa concezione medievale dell'ebreo quale mago potente venne

ulterioriormente alimentata dalle fonti cabalistiche pratiche che favorivanola confusione. Già nel periodo geonico il titolo ba'al shem o "maestro delnome" indicava un maestro della Cabala pratica esperto nel preparare amuletiper vari scopi, invocare angeli o diavoli ed esorcizzare gli spiriti maligniche s'impossessavano di un corpo umano. Nel complesso, questi personaggi eranochiaramente indentificati con la magia bianca nella mentalità popolare, incontrapposizione a streghe e stregoni.Tra le prime opere cabalistiche particolarmente ricche di materiale trattodalla Cabala figurano lo Zohar, gli scritti di Joseph b. Shalom Ashkenazi eMenahem Ziyyoni, e il Berit Menuhah, mentre nel periodo post-lurianico spiccain questo senso Emekh ha-Melekh. Le preghiere magiche attribuite ad alcuni deiprincipali tannaim e amoraim erano già state composte molto tempo prima dellosviluppo della Cabala speculativa, e per la verità il materiale magico che èstato conservato in fonti come il Sefer ha-Razim e in altre successivedell'epoca geonica presenta molte affinità con i papiri magici greci scopertiin Egitto. Contemporanee di tali fonti sono varie rielaborazioni magiche dellapreghiera shemoneh esreh, come Tefillat Eliyahu (manoscritto di Cambridge606), che era già noto a Isaac il Cieco o la versione maledittoria dellastessa preghiera, citata dagli archivi di Menahem Recanati nel manoscrittocompleto di Shoshan Sodot. Quasi tutte queste composizioni sono stateconservate solo in manoscritto, eccettuati gli occasionali prestiti inantologie popolari. Tra i manoscritti noti più importanti della Cabala praticacon il suo caratteristico miscuglio di elementi sono: il manoscritto Sassoon290; il manoscritto 752 del British Museum; il manoscritto 36 di Cincinnati; eil manoscritto Schocken 102. La letteratura di questo tipo, tuttavia, eraestremamente diffusa, ed esistono altre centinaia di manoscritti. Degni dinota sono anche gli anonimi Sefer ha-Heshek e Shulhan ha-Sekhel (nel

manoscritto Sassoon) e She'erit Yosef di, Joseph ibn Zayyah (1549, già nellaBiblioteca Ebraica di Vienna). In nessuno di questi libri, tuttavia, vi è unserio tentativo di esporre sistematicamente l'argomento. In molte antologiepopolari, che avevano una larga diffusione, la Cabala pratica e la medicinapopolare venivano presentate insieme.Altre opere notevoli della Cabala pratica sono Toledot Adam (1720) e Mif'alotElohim (1727) di Joel Ba'al Shem; Derekh ha-Yashar (Cracovia, 1646); DerekhYasharah (Fuerth, 1697) di Zevi Chotsh; Ta'alumot Hnkhmah (Venezia, 1667);Sefer ha-Zekhirah (Amburgo, 1709) di Zechariah Plongian: le antologie diAbraham Hammawi, He'ah Nafshenu (1870), Davek ne-Ah (1874), Abi'ah Hidot(1877), I,idrosh Elohim (1879) e Nifla'im Ma'asekha (1881); e Refu'ahve-Hayyim (1874) di Hayyim Palache. Moltissimo materiale prezioso provenientedal regno della Cabala pratica si può trovare in Mitteilungen der Gesellschaft

fuer juedische Volkskunde ( 1898-1929) e Jahrobuecher fuer juedischeVolkskunde, 1-2 (192:3-24). Anche Hayyim Vital compilò un'antologia di Cabalapratica, mista a materiale alchemico (manoscritto nella collezione Musayof,Gerusalemme). Suo figlio Samuel compose un lessico alfabetico di Cabalapratica intitolato Ta'alumot Hokhmah, che è andato perduto. L'esaurientelessico di Moses Zacuto, Shorshei he-Shemot, d'altra parte, è stato conservatoin molte copie manoscritte (diverse selezioni furono pubblicate in francese daM. Schwab. 1899). Esistono prove di numerosi libri sul tema della Cabalapratica, scritti da alcuni cabalisti illustri. ma i testi non ci sonopervenuti. Tra i grandi maestri della Cabala pratica secondo la stessatradizione cabalistica vi furono personaggi come Judah ha-Hasid, Joseph

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Gikatilla, Isaac d'Acri, Joseph della Reina, Samson di Ostropol e Joel Ba'alShem Tov.Al regno della Cabala pratica appartengono anche le numerose tradizionirelative all'esistenza di uno speciale alfabeto arcangelico. il più antico deiquali fu "l'alfabeto di Metatron". Altri alfabeti dei kolmosin ("penne[angeliche]'') furono attribuiti a Michael, Gabriel, Raphael, eccetera. Moltidi questi alfabeti, pervenuti fino a noi, sono simili alla scritturacuneiforme, mentre alcuni derivano chiaramente dall'antica scrittura ebraica o

samaritana. Nella letteratura cabalistica sono conosciuti come ' scritti degliocchi" (ketav einayim) perché le lettere sono sempre composte da linee e dipiccoli cerchi simili a occhielli. In circostanze eccezionali. come quando siscrivevano il Tetragrammaton o i Nomi Divini Shaddai ed Elohim, questialfabeti venivano talvolta usati anche in un testo redatto per il resto incomuni caretteri ebraici. Queste lettere magiche, che venivano adoperatesoprattutto negli amuleti, discendono dai caratteri magici che si trovano nelgreco e nell'aramaico teurgico dei primi secoli dell'Era Comune. Con ogniprobabilità i loro creatori imitarono la scrittura cuneiforme, che era ancoravisibile ai loro tempi, ma che era divenuta indecifrabile e quindi avevaassunto ai loro occhi proprietà magiche.Il notissimo testo medievale Clavicula Salomonis (La chiave di Salomone) nonebbe affatto origini ebraiche, e solo nel XVII secolo apparve un'edizioneebraica che era un miscuglio di elementi giudaici, cristiani e arabi in cui lacomponente cabalistica era praticamente nulla. Per lo stesso motivo, The Bookof the Sacred Magic of Abra-Melin (Il libro della magia sacra di Abra-Melin.Londra, 1898), che si presentava come una traduzione inglese di un'operaebraica scritta nel XV secolo da un certo "Abraham, l'ebreo di Worms" e chevenne generalmente considerata nei circoli occultisti europei moderni come untesto classico della Cabala pratica, in realtà non era stato scritto da unebreo, sebbene il suo autore anonimo, vissuto nel XVI secolo, possedesse unastraordinaria conoscenza dell'ebraico. Il libro fu scritto originariamente intedesco e il manoscritto ebraico che si trovava a Oxford (Beubauer 2()51) èsemplicemente una cattiva traduzione. Per l'esattezza, il libro circolò invarie edizioni e in diverse lingue: attesta l'influenza parziale di ideeebraiche ma non ha stretti paralleli nella letteratura cabalistica.Le relazioni tra la Cabala e altre "scienze occulte" come l'astrologia,

l'alchimia, la fisiognomica e la chiromanzia furono molto scarse. L'astrologiae l'alchimia hanno un ruolo marginale nel pensiero cabalistico. Nel contempola Cabala pratica manifestava interesse per l'induzione magica dei poteripneumatici delle stelle tramite l'azione di talismani specifici. Questo usodei talismani astrologici, derivato chiaramente da fonti arabe e latine,s'incontra per la prima volta nel Sefer ha-Levanah (Londra, 1912). citato daNahmanides. Un altro testo di magia astrologica è la traduzione inglese diPicatrix, Takhlit he-Hakham (originale arabo e traduzione tedesca, 1933 e1962). Questo genere di libro magico è ricordato anche nello Zohar (1:99b), eparecchi trattatelli sull'argomento sono stati conservati in manoscritti diCabala pratica. Numerose opere cabalistiche che trattano la preparazione dianelli magici associano motivi astrologici ad altri tratti dalla "scienzadella combinazione". Un libro di questo filone, che viene presentato come

divinamente rivelato, è stato conservato nel manoscritto Sassoon 290. Il Seferha-Tamar, attribuito ad Abu Aflah Syracuse (a cura di G. Scholem, 1927), venneconservato nei circoli della Cabala pratica ma non derivava da essi, poiché lasua fonte consisteva piuttosto nella magia astrologica araba. Un particolareinteressante: le posizioni dei cabalisti nei confronti della magia astrologicaerano estremamente ambivalenti, e alcuni cabalisti illustri come Cordovero, laapprovavano.Anche l'alchimia ebbe un'influenza relativamente modesta sulla Cabala. Ineffetti, c'era una fondamentale divergenza simbolica fin dall'inizio perché,mentre l'alchimista considerava l'oro come simbolo della perfezione, per ilcabalista l'oro, che simboleggiava Din, aveva un rango inferiore all'argento,

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che simboleggiava Hesed. Tuttavia vennero compiuti sforzi per armonizzare idue sistemi, e allusioni al riguardo si possono già trovare nello Zohar.Joseph Taitazak, che visse al tempo dell'espulsione dalla Spagna, proclamòl'identità tra l'alchimia e la divina sapienza della Cabala. Nell'Italia delsecolo XVII fu composto in ebraico un testo alchemico cabalistico intitolatoEsh Mezaref, ma l'originale è andato perduto; ampie parti sono stateconservate nella traduzione latina della Kabbala Denudata di Knorr vonRosenroth, vol. I (presentata in inglese da Robert Kelum, A Short Enquiry

Concerning: the Hermetick Art, Londra 1714, e in una nuova edizione, 1894).Hayyim Vital impiegò due anni della sua giovinezza studiando esclusivamentel'alchimia e compose un libro sulle pratiche alchemiche del quale si pentìpubblicamente nella vecchiaia. Non si conoscono rielaborazioni cabalistiche difisiognomica. ma i sono diversi trattamenti della chiromanzia (vedasi p. 318),soprattutto nello Zohar e in tradizioni della scuola lurianica. Alcunicabalisti ritenevano che le linee della mano e della fronte contenesseroindizi relativi alle precedenti incarnazioni di un uomo.L'esercizio della Cabala pratica sollevava certi problemi relativi ai fenomeniocculti (si veda anche la sezione precedente). Molti di questi sono inclusinella categoria di giluy einayim, mediante i quali a un uomo poteva venireaccordata una visione di qualcosa che, in generale, solo rarissimi misticipotevano vedere. Queste visioni includevano la visione dell'"etere zaffirico"(ha-avir ha-sappiri) che circonda tutti gli uomini e in cui i loro movimentivengono registrati, "il libro in cui sono scritte espressamente tutte leazioni di un individuo" (specialmente nelle opere di Menahem Azariah Fano). Ilconcetto dello zelem era spesso associato a questo etere. secondo varie fontilurianiche, come lo era quello della "scrittura dell'occhio" angelicaricordata più sopra. Qualche volta, soprattutto durante il compimento di certicomandamenti, come la circoncisione. all'iniziato poteva venire accordataanche una visione del Tetragrammaton in forma di lettere fiammeggianti che"appaiono e scompaiono in un batter d'occhio". Un mohel che era anchecabalista poteva predire dal colore di quel fuoco quale sarebbe stata la sortedel neonato (Emekh ha-Melekh, 175b). L'aggadah sui raggi di luce che siirradiavano dalla fronte di Mosè (Midrash Ex. R.47) generò la nozionecabalistica di una aureola che cingeva la testa di ogni giusto (Sefer Hasidim,par. 370). Questa credenza si diffuse. sebbene si ritenesse talvolta che

l'aureola apparisse solo poco prima della morte dello zaddik. Anche le visioniangeliche venivano spiegate in modo molto simile: la forma dell'angelo eraimpressa in un etere invisibile che non era identico all'aria normale. epoteva essere veduta solo da pochi eletti, non perché fossero profeti, maperché Dio aveva aperto i loro occhi per ricompensarli perché avevanopurificato i loro corpi (Cordovero in Derushei Mal'akhim). Gli stregoni chevedevano i demoni costituivano un fenomeno analogo. La scrittura automatica èmenzionata in numerose fonti. Per esempio, Joseph b. Todros Abulafia composeun trattatello cahalistico sotto l'influenza del "nome scrivente" (KeremHemed, 8, 105). I 'nomi" che facilitavano il processo della scrittura sonocitati in numerosi manoscritti di Cabala pratica. Descrivendo una rivelazione"a lui concessa, Joseph Taita,zak parla del "mistico segreto dello scriveresenza mano". L'antologia Shoshan Sodot (manoscritto di Oxford. par. 147)

menziona la pratica della scrittura automatica. "tracciare segni (hakikah) conla penna" come metodo per rispondere a quesiti difficili e assillanti. Moltialtri fenomeni spiritici, spontanei o indotti deliberatamente, sono ricordatiin varie fonti; tra l'altro il "tavolo levitante" che fu particolarmentediffuso in Germania a partire dal secolo XVI. Secondo il racconto di untestimone oculare, la cerimonia era accompagnata dalla recitazione di NomiDivini tratti dalla Cabala pratica e dal canto di salmi e inni (Wagenseil,Sota, 1674, 530). Un conoscente di Wagenseil gli disse (ibid., 1196) di avervisto alcuni studenti della yeshivah di Wuerzburg, che avevano studiato aFuerth, sollevare un tavolo con l'aiuto dei Nomi Divini. Istruzioni specificheper la levitazione dei tavoli sono state conservate in numerosi manoscritti

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cabalistici (ad esempio, Gerusalemme 1070 8o, p. 220). Anche l'uso dellebacchette da rabdomante è conosciuto in questa letteratura, al più tardi dalsecolo XV.Certi nomi magici o shemot erano prescritti per certe attività speciali. Loshem ha-garsi era invocato nello studio del Talmud o di qualunque testorabbinico (girsa); lo shem ha-doresh era invocato dal predicatore (darshan).Vi era un "nome della spada" (shem ha-herev), un "nome dell'Ogdoade" (shemha-sheminiyut) e un "nome dell'ala" (shem ha-kanaf). Alcune di queste

invocazioni erano tratte da fonti non ebraiche, come ad esempio il nome"Parakletos .Jesus b. Pandera", raccomandato da un predicatore per l'uso dellasinagoga (Hebr. Bibl., 6 (1863), 121: G. Scholem. Kituei Yad be-Kabbalah(1930), 63).

LE INFLUENZE PIU AMPIEE LA RICERCA SULLA CABALA

L'influenza della Cabala sul Giudaismo

Benché sia stata valutata in modo diverso dai diversi osservatori, l'influenzadella Cabala è stata grande, perché è stata una delle forze più potenti chemai abbiano fatto sentire il loro effetto sull'evoluzione interiore delGiudaismo, sia orizzontalmente che in profondità. Gli storici ebrei del secoloXIX. pur riconoscendo il ruolo significativo della Cabala, la consideravanotremendamente negativa e addirittura catastrofica: una la valutazione dellastoriografia ebraica del XX secolo è assai positiva. senza dubbio anche acausa di profondi cambiamenti operatisi nella stessa storia ebraica dopol'inizio della rinascita sionista. Nei decenni recenti vi è stata una nuovadisponibilità nel riconoscere il ricco patrimonio di simbolismo e di immaginiche l'immaginazione cabalistica aggiunse alla vita ebraica, e a prendere attodel contributo dato dalla Cabala al rafforzamento della vita interiore dellacollettività e del singolo ebreo. La rivalutazione si è fatta sentiresoprattutto durante le ultime due generazioni. tanto nella letteratura quantonegli studi storici. Anzi. talvolta ha assunto le proporzioni di un panegirico

come nelle opere di S.A. Horodezky, che sono servite a poco per proseguire unadiscussione fruttifera dei motivi religiosi che trovarono espressione nellaCabala con risultati che, nel complesso sono stati talvolta problematici.Come è stato osservato all'inizio di questa esposizione la Cabala rappresentòun tentativo teologico. aperto solo a un numero relativamente limitato dipersone il cui scopo consisteva nel trovare spazio per una visione del mondoessenzialmente mistica entro la cornice del Giudaismo tradizionale e senzaalterare i principi fondamentali e le norme comportamentistiche diquest'ultimo, la misura in cui tale tentativo riuscì, se pure riuscì, èdiscutibile: ma non vi è dubbio che ottenne un risultato importantissimo ecioè che per un periodo di trecento anni, approssimativamente dal 1500 al 1800(secondo la stima più cauta), la Cabala venne largamente considerata come lavera teologia giudaica, in confronto alla quale tutti gli altri approcci

riuscirono al massimo a condurre un'esistenza isolata e affievolita Durantequesto periodo era praticamente inaudito che vi fosse un attacco polemicoaperto contro la Cabala e, tipicamente, quando appariva un attacco del genereera quasi sempre presentato come un rimprovero indirizzato ai cabalisti piùaudaci per aver esposto erroneamente e corporeizzato la pura filosofia deiloro predecessori, anziché come una critica diretta della Cabala stessa.Esempi di questa tattica, imposta dalla necessità, si possono trovare nellapolemica anonima scritta a Posen alla metà del XVI secolo e nelle poesieanticabalistiche di Jacob Francis di Mantova, della metà del XVII secolo.Quando d'altra parte Mordecai Corcos volle pubblicare un libro apertamentecontrario alla Cabala, a Venezia nel 1672, ciò gli fu impedito dalle autorità

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rabbiniche italiane.Nell'area della halakhah, che determinava la cornice della vita ebraicasecondo le leggi della Torah. l'influenza della Cabala fu limitata, anche senon meno importante. (Già nel XIII secolo vi era la tendenza a interpretare lahalakkhah in termini cabalistici senza tuttavia cercare di effettuare inquesto modo discussioni o decisioni halakhiche. Nel complesso questeinterpretazioni cabalistiche riguardavano le ragioni mistiche deicomandamenti. Talora vi era una tensione innegabile tra i cabalisti e i

halakhisti di stretta osservanza, che in alcuni casi si esprimeva in parte inslanci cabalistici. radicati nel senso naturale di superiorità che,giustificato o no, spesso si trova nei mistici e negli spiritualisti (come nelcaso di Abraham Abulafia). e in parte nella mancanza di una certa intensitàreligiosa che secondo i cabalisti caratterizzava la concezione di alcuni deipiù eminenti halakhisti. Gli attacchi contro il ristretto legalismo che sipossono trovare in Hovot ha-Levavot di Bahya ibn Paquda e nel Seferf Hasidimrispecchiano chiaramente un atteggiamento che non esisteva solonell'immaginazione dei mistici e che era responsabile degli ardenti assaltipolemici degli autori di Ra'aya Meheimn e del Sefer ha-Peli'ah contro i"talmudisti" cioè i halakhisti. Le popolari spirito saggini rivolte controtali dotti, come l'ironica lettura della parola hamor ("asino") come acronimodella frase hakham mufla ve-rav raban ("grande dotto e rabbino dei rabbini";si veda Judah b. Barzilai, Perush Sefer Yezirah 161), trovano echi in Ra'ayaMeheimna (3:275b), il cui autore non rifugge dall'espressione peggiorativahamor de-matnitim ("asino mishnaico") e nell'omelia mistica 1:27b, in un passoappartenente a Tikkunei Zohar, che si riferisce alla Mishnah, in un doppiosenso, come al sepolcro di Mosè". Altri discorsi simili come l'esegesi (ibid)che riferisce il versetto in Esodo l :4, "Ed essi resero amare le loro vitecon il duro servizio" gli studi talmudici. o le rabbiose descrizioni dei dottirabbinici nel Sefer ha-Peli, rivelano un forte risentimento: D'altra parte,non ha alcun fondamento storico il quadro tracciato da Graetz di una campagnaantitalmudica intrapresa dai cabalisti, i quali in realtà, nei loro scrittiinsistevano sulla scrupolosa osservanza della legge halakhica, anche seovviamente in una prospettiva mistica. Nel contempo, tuttavia vere tendenzeantinomistiche potevano scaturire facilmente dalla Cabala quando si univa almessianesimo, come avvenne nel caso del movimento shabbateo.

Una tendenza a decidere effettivamente su questioni halakhiche dubbietrattandole secondo principi cabalistici appare per la prima volta a metà del.secolo XIV, nel Sefer ha-Peliah, e soprattutto nelle discussioni deicomandamenti nel .Sefer ha-Kanah. Dello stesso periodo o di epoca poco piùtarda sono numerosi responsa rabbinici di spirito assai simile, attribuiti a,Joseph Gikatilla (pubblicati per la prima volta nel Festschrift per JacobFreimann (1937), 163-70). Tuttavia questa scuola di pensiero rimane inminoranza e moltissimi cabalisti, in quanto erano anche eminenti autoritàdella halakhah. come David b. Zimra, Joseph Caro, Solomon Luria, MordecaiYaffe e Hayyim Joseph David Azulai, si astennero volutamente dall'adottareposizioni halakhiche in conflitto con la legge talmudica. La regola accettata,tra loro, era che le decisioni dovevano venire prese in base allo Zohar soloquando non era possibile trovare una chiara guida talmudica (Beit Yo.sef

le-Orah Hayyim, par. 141). La questione se responsa halakhici potessero venirdati in base allo Zohar o ad altri testi cabalistici portò a considerevolicontroversie. Un cabalista della statura di David b. Zimra dichiarò che, aparte lo stesso Zohar, era proibito citare un'opera cabalistica in opposizionea un'autorità halakhica anche isolata. Una concezione diversa fu espressa daBenjamin Aaron Selnik. discepolo di Moses Isserles, nel suo volume diresponsa, Mas'at Binyamin (1633): "Se tutti gli scrittori [halakhici] venutidopo il compimento del Talmud venissero posti su un piatto della bilancia, el'autore dello Zohar sull'altro, quest'ultimo li varrebbe tutti". Le leggi ele regole che potevano essere tratte dallo Zohar furono raccolte da IssacharBaer b. Pethahiah di Kremnitz in Yesh Sakhar (Praga, 1609). Joseph Solomon

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Delmedigo (1629) raccolse un cospicuo materiale che trattava gli atteggiamentidelle autorità halakhiche nei confronti di varie innovazioni cabalistiche(Mazref le-Hokhmah (1865), 6682). L'enorme crescita dei nuovi costumi,influenzata dalla Cabala lurianica, indusse numerosi cabalisti a cercare dielevare lo stesso Isaac Luria a una posizione halakhicamente autorevole. AncheH. ayyim Joseph David Azulai, che in generale accettava come autorevoli leopinioni halakhiche di Joseph Caro, scrisse che le interpretazioni dellahalakhah di Isaac Luria avevano la precedenza sullo Shulhan Arukh di Caro

(Siyurei Berakhah su Orah Hayyim). La tendenza a richiamarsi a fonticabalistiche nel corso di discussioni halakhiche fu assai preminente nelperiodo postlurianico tra i sephardim che tra gli ashkenazim. L'influenzadella Cabala era sentita particolarmente in rapporto alle osservanze relativealla preghiera, il Sabbath e le festività. ed era molto meno pronunciata nellequestioni puramente legali. Era consuetudine comune commentare sottigliezzehalakhiche da una prospettiva cabalistica senza rivendicare per quest'ultimaun'autorità halakhica. Esempi notevoli al riguardo sono Mekor Hayyim (1878-79)di Hayvim ha-Kohen di Aleppo. un discepolo di Hayyim Vital. e Kaf ha- Hayyimdi Jacob Hayyim b. Isaac Baruch di Baghdad, una voluminosa compilazione ditutti gli argomenti cabalistici connessi con Orah Havyim dello Shulhan Arukh.Nel campo dell'aggadah, la Cabala non aveva restrizioni, e molti cabalistiapprofittarono dell'opportunità non solo per comporre vaste interpretazionidelle prime aggadot del Midrash, in cui essi vedevano la chiave di molte delleloro dottrine mistiche, ma anche per creare un ricco corpus nuovo di leggendeaggadiche dal forte carattere mitico. In generale, si trovavano a loro agiopiù nell'espressione aggadica che nell'esposizione sistematica, ed è a questa"cabalizzazione" dell'aggadah che si deve attribuire gran parte dell'enormeattrazione esercitata dallo Zohar. In quanto al materiale aggadico frescocreato dagli stessi cabalisti, consisteva generalmente di drammatizzazionimistiche dell'epos della creazione e dell'interazione dei mondi superiori einferiori nelle vite degli eroi biblici. Questi ultimi vengono presentati suun vasto sfondo cosmico: traggono forza dai poteri superni e a loro voltainfluiscono su di essi con le loro azioni. L'antologia classica di circa 500anni di questa aggadah cabalistica è Yalkut Reuveni di Reuben Hoeshke diPraga; una prima edizione dell'opera (Praga, 1660) era organizzata perargomenti, mentre la seconda, ampliata (Wilmersdorf, 1681) e modellata

sull'antica antologia midrashica Yalkut Shimoni, era ordinata come un commentoalla Torah. Un'altra vasta raccolta di aggadot esoteriche ed essoteriche sulperiodo dalla prima settimana della creazione al peccato di Adamo è YalkutNahmani (1937) di Nahum Breiner.L'influenza principale della Cabala sulla vita ebraica va ricercata nei trecampi della preghiera, dei costumi e dell'etica. Qui la Cabala avevapraticamente libertà illimitata di esercitare la sua influenza, che siesprimeva nella creazione di un vasto corpus di letteratura, rivolta a ognifamiglia ebrea. A partire dalla metà del XVII secolo, motivi cabalisticientrarono nel libro delle preghiere quotidiane e ispirarono speciali liturgieche erano essenzialmente creazioni cabalistiche. Questo sviluppo incominciò inItalia con i libri di Aaron Berechiah Modena e Moses Zacuto, e soprattutto conl'apparizione di Sha'arei Ziyyon di Nathan Hannover (Praga, 1662), una delle

opere cabalistiche più influenti e diffuse. In questo volume le dottrinelurianiche della missione dell'uomo sulla terra, con i suoi legami con lepotenze dei mondi superiori, le trasmigrazioni della sua anima e i suoi sforziper conseguire il tikkun, erano intessute in preghiere che potevano essereapprezzate e comprese da tutti, o che almeno destavano l'immaginazione e isentimenti di tutti. Queste liturgie giunsero agli angoli più lontani dellaDiaspora e continuarono ad essere popolari tra gli ebrei nei territorimusulmani, anche molto tempo dopo che erano state eliminate dal libro dipreghiera delle comunità ebraiche dell'Europa centrale in seguito al declinodella Cabala nel XIX secolo. Antologie piuttosto voluminose di preghiereestremamente emotive, d'ispirazione cabalistica, furono pubblicate soprattutto

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a Livorno, Venezia, Costantinopoli e Salonicco. Particolarmente importanti inquesto campo furono le attività di Judah Samuel Ashkenazi, Abraham Anakawa esoprattutto Abraham Hammawi, che pubblicò a Livorno una serie di questi libriper gli ebrei dell'Africa settentrionale (Bet Oved, Bet El, Bet ha-Kaporet,Bet ha-Behirot, Bet Av, Bet Din, Bet ha-Sho'evah, Bet Menuhah). L'antologialiturgica Ozar ha-Tefillot (1914) rispecchia le ultime influenze cabalistichesulle preghiere degli ebrei dell'Europa orientale.Anche i costumi popolari e la fede popolare furono largamente influenzati

dalla diffusione della Cabala. Molti concetti cabalistici vennero assorbiti allivello delle credenze popolari, come ad esempio la dottrina del primo peccatodell'uomo quale causa di alterazione dei mondi superiori, la fede nellatrasmigrazione delle anime, gli insegnamenti cabalistici sul Messia, oppure lademonologia della Cabala più tarda. In tutta la Diaspora, il numero deicostumi popolari di origine cabalistica era enorme; molti erano trattidirettamente dallo Zohar, e molti altri dalla tradizione lurianica: lerelative osservanze furono codificate intorno alla metà del XVII secolo daJacob Zemah in Shulhan Arukh ha-Ari (c. 1660; la migliore edizione èGerusalemme, 1961) e Naggid u-Mezavveh (1712). Una guida più recente aicostumi lurianici fu la compilazione Ta'amei ha-Minhagim (1911-12). Questicostumi finirono nel complesso per svolgere quattro funzioni mistiche:stabilire un'armonia tra le forze restrittive di Din e le forze generose diRahamim: realizzare o simboleggiare le mistiche "sacre nozze" (ha-zivvugha-kadosh) tra Dio e la sua Shekhinah: redimere la Shekhinah dal suo esiliotra le forze della sitra ahra: proteggere se stessi dalle forze della sitraahra e combattere per vincerle. L'azione umana sulla terra favorisce o provocaeventi nei mondi superiori, in una influenza reciproca che ha un aspettosimbolico e un aspetto magico. In effetti, in questa concezione dellacerimonia religiosa quale veicolo per l'opera delle forze divine, esisteva ilpericolo che una prospettiva essenzialmente mistica venisse in praticatrasformata in una prospettiva essenzialmente magica. È innegabile che glieffetti sociali della Cabala sui costumi e sulle cerimonie popolari ebraicheerano caratterizzati da questa ambivalenza. Accanto alla tendenza a unamaggiore interiorità religiosa c'era quella a una completa demonizzazione ditutta la vita. Lo sviluppo cospicuo di quest'ultima tendenza a spese dellaprima fu indubbiamente uno dei fattori che, riducendo la Cabala al livello di

superstizione popolare, alla fine contribuì a eliminarla quale seria forzastorica. (Vedasi G. Scholem, The Kabbalah and its Symbolism (1955), 118-57.Tra i costumi cabalistici che ebbero una diffusione particolarmente vasta vifurono le veglie di mezzanotte per l'esilio della Shekhinah, l'usanza diconsiderare la vigilia del novilunio come un "piccolo Giorno dell'Espiazione"e le veglie dal crepuscolo all'alba, dedicate a studi normali e mistici. Lenotti di Pentecoste, Hoshanah Rabba e il settimo giorno di Pasqua. Tuttequeste cerimonie e le liturgie e i testi che le accompagnavano venivanochiamati tikkunim (ad esempio, "il tikkun di mezzanotte" per l'esilio dellaShekhinah. eccetera). IJna particolare atmosfera di solennità e dicelebrazione circondava il Sabbath, pervasa di idee cabalistiche sul ruolodell'uomo nell'unificazione dei mondi superiori. Sotto l'aspetto simbolicodelle "nozze del Re e della Regina". il Sabbath fu arricchito da una quantità

di usanze nuove provenienti da Safed come ad esempio il canto dell'innomistico Lekhah Dodi e la recitazione del Cantico dei Cantici e del Capitolo :31 dei Proverbi ("Chi può trovare una donna di valore?"), tutti intesi comemeditazioni sulla, Shekhinah nel suo aspetto di sposa mistica di Dio. Motivimistici e demonici si intrecciarono soprattutto nel campo della vita e dellepratiche sessuali, cui era dedicata tutta una letteratura, a partiredall'Iggeret ha-Kodesh. in seguito attribuito erroneamente a Nahmanides(vedasi G. Scholem in: KS 21 (1944), 179-86; e Monford Harris in: HUCA 33(1962), 197-220) e continuando fino a Tikkun ha-Kelali di Nahman diBratislavia. A questi motivi erano connessi inoltre numerosi costumi funebri,come la consuetudine di girare intorno ai cadaveri, e il divieto per i figli

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maschi di assistere ai funerali dei padri. Idee simili erano alla base deigiorni di digiuno nei mesi di Tevet e Shevat per "il tikkun degli shouevim"cioè della prole demonica delle emissioni notturne.Questa penetrazione delle consuetudini e delle credenze cabalistiche, chepervase ogni aspetto della vita ebraica, è particolarmente documentata in duelibri influentissimi: Shenei Luhot ha-Berit di Isaiah Horowitz (Amsterdam,1648), che ebbe un posto di grande rilievo tra gli ebrei ashkenazi, el'anonimo Hemdat Yamim (Izmir, 1731) che fu scritto da uno shabbateo moderato

all'inizio del XVIII secolo. Quest'ultimo libro circolò dapprima anche inPolonia, ma quando il suo carattere shabbateo venne attaccato la sua influenzarimase circoscritta soprattutto al mondo sephardita, che nutrì un'interaletteratura di breviari e di testi di studio per occasioni speciali.Nonostante la voluminosità di entrambe le opere, la loro forza espressiva e laricchezza del contenuto ne fece veri e propri classici nel loro genere.Notevole, tra gli esempi più recenti di questa letteratura, è Davar be-Itto(1862-64) di Sassoon ben Mordecai di Baghdad. Una consuetudine che acquistòlarga diffusione tra i sephardim fu quella di recitare a voce alta lo Zohar,senza prestare attenzione al suo contenuto, semplicemente perché eraconsiderato "salutare per l'anima".Quasi tutte le opere etiche popolari della letteratura musar, soprattutto lepiù eminenti portano il segno di influenze cabalistiche a partire dal 1570circa fino all'inizio del secolo XIX, e nel mondo sephardita addirittura finoalla fine di questo. Le opere pioniere, sotto questo aspetto, furono SeferHaredim (Venezia,1601) di Eliezer Azikri e Reshit Hokhmah (Venezia,1579) diElijah de Vidas, un volume vasto ed esauriente su tutti gli aspetti eticidella vita ebraica. che funse da anello di congiunzione tra i motivi dellaletteratura aggadica medievale, la letteratura musar e il mondo nuovo dellaCabala popolare. La letteratura omiletica contemporanea, in gran partededicata anch'essa al'insegnamento etico, contiene a sua volta forti elementicabalistici che furono ulteriormente rafforzati dalla diffusione delleconcezioni lurianiche. Le dottrine lurianiche del tikkun, la trasmigrazionedelle anime e la lotta con la sitra ahra furono assoggettate da un trattamentopopolare particolarmente intensivo. Opere esortative come Sha'arei Kedushah(Costantinopoli, 1734) di Hayyim Vital, Kav ha-Yashar (Francoforte, 1705) diZevi Hirsch Kaidanover, ShelJet Musar (Costantinopoli, 1712) di Elijah

ha-Kohen e molte altre fino a Nefesh ha-Hayyim di Hayyim di Volozhin,discepolo del Gaon di Vilna, rivelano ad ogni pagina debiti nei confrontidelle fonti cabalistiche. Anche il massimo capolavoro di questo tipo diletteratura etica, Mesillat Yesharim (Amsterdam, 1740) di Moses HayyimLuzzatto, era sostanzialmente ispirato da una concezione dell'educazione eticadell'ebreo quale fase sulla via della comunione mistica con Dio, nonostantel'uso limitato di citazioni e simboli cabalistici. Opere simili, anch'esse diesortazioni etiche, composte in Polonia alla metà del XVIII secolo, sonofortemente cariche di atteggiamenti e idee che furono chiaramente il preludiodell'inizio del Hasidismo. Esempi di questi libri sono Mishmeret ha-Kodesh(Zolkiew, 1746) di Moses b. Jacob di Satanov, Bet Perez (Zolkiew, 1759) diPerez b. Moses che era un cabalista del klaus di Brody, e Lev Simhah e Neti'ahshel Simhah (Zolkiew, 1757 e 1763) di Simhah di Zalosicz. Nel XX secolo la

profonda influenza della letteratura musar cabalistica si può ancora sentirenelle opere di R. Abraham Kook. Così pure, alla metà del secolo XIX, troviamoR. Judah Alkalai di Belgrado, uno dei primi araldi del sionismo, ancoratotalmente immerso nel mondo etico della Cabala (si veda la raccolta dei suoiscritti in ebraico, Gerusalemme, 1944).La Cabala cristianaA partire dalla fine del secolo XV, in certi circoli cristiani di tendenzemistiche e teosofiche incominciò a evolversi un movimento, con lo scopo diarmonizzare le dottrine cabalistiche con il Cristianesimo, e soprattutto didimostrare che il vero significato occulto degli insegnamenti della Cabalapunta in direzione cristiana. Naturalmente, queste concezioni non furono

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accolte con favore dagli stessi cabalisti, i quali non mostravano altro chederisione verso gli equivoci e le distorsioni della dottrina cabalistica dicui pullulava la Cabala cristiana: ma quest'ultima riuscì innegabilmente adestare un vivo interesse e accesi dibattiti negli ambienti spiritualistidell'Occidente, almeno fino alla metà del XVIII secolo. Storicamente, laCabala cristiana nacque da due fonti. La prima fu rappresentata dallespeculazioni cristologiche di un numero rilevante di ebrei convertiti che cisono noti dalla fine del XIII secolo fino al periodo dell'espulsione dalla

Spagna (G. Scholem, in Essayspresented to Leo Baeck (1954),158-93), come Abnerdi Burgos (Yizhak Baer, Tarbiz 27 (1958), 152-63) e Paul de Heredia, checompose pseudoepigraficamente parecchi testi di Cabala cristiana intitolatiIggeret ha-Sodot e Galei Rezaya, sotto il nome di Judah ha-Nasi e di altritannaim. Un altro trattato del genere, prodotto da ebrei convertiti in Spagnaverso la fine del XV secolo, e scritto a imitazione degli stili dell'aggadah edello Zohar, circolava in Italia. Queste composizioni ebbero scarsi effettisugli spiritualisti cristiani seri, e il loro scopo missionario, scopertamentetendenzioso, non era adatto a conquistare i lettori. Completamente diversa,invece, era la speculazione cristiana sulla Cabala, che inizialmente sisviluppò intorno all'Accademia Platonica finanziata dai Medici di Firenze eche proseguì in stretto rapporto con i nuovi orizzonti aperti in genere dalRinascimento. Questi circoli fiorentini ritenevano di avere scoperto nellaCabala una rivelazione divina originale all'umanità, che era andata perduta eche ora veniva recuperata, e con l'aiuto della quale era possibile nonsoltanto comprendere gli insegnamenti di Pitagora, Platone e gli orfici, daloro grandemente ammirati, ma anche i segreti della fede cattolica. Ilfondatore di questa scuola cristiana della Cabala fu il celebre prodigioGiovanni Pico della Mirandola (1463-94) che si fece tradurre in latino unaconsiderevole porzione della letteratura cabalistica dal dottissimo convertitoSamuel ben Nissim Abulfaraj, divenuto Raymond Moncada e conosciuto anche comeFlavius Mithridates. Pico iniziò i suoi studi cabalistici nel 1486, e quandoespose le sue famose 900 tesi per il pubblico dibattito in Roma vi incluseanche 47 proposizioni tratte direttamente da fonti cabalistiche, quasi tuttedal commento di Recanati alla Torah, e altre 72 proposizioni cherappresentavano conclusioni sue, risultanti dalle sue ricerche cabalistiche.Le tesi, soprattutto l'ardita affermazione che "nessuna scienza può

convincerci della divinità di Gesù Cristo più della magia e della Cabala"portarono per la prima volta la Cabala all'attenzione di molti cristiani. Leautorità ecclesiastiche respinsero decisamente questa e altre proposizioni diPico: e ne seguì il primo e vero dibattito sulla Cabala che mai avesse avutoluogo negli ambienti umanistici e cattolici. Lo stesso Pico era convinto dipoter provare i dogmi della Trinità e dell'Incarnazione sulla base di assiomicabalistici. L'improvvisa scoperta di una tradizione esoterica ebraica chefino a quel momento era rimasta completamente sconosciuta fece sensazione nelmondo intellettuale cristiano, e i successivi scritti di Pico sulla Cabalacontribuirono ad accrescere ulteriormente l'interesse dei platonici cristianiper le fonti appena scoperte, in particolare in Italia,Germania e Francia. Grazie all'influenza di Pico anche il grande ebraistacristiano Johannes Reuchlin (1455-1522) intraprese lo studio della Cabala e

pubblicò sull'argomento due libri in latino, i primi che mai venissero scrittida un non ebreo, De verbo mirifico ("Sul nome miracoloso", 1494) e De artecabalistica ("Sulla scienza della Cabala", 1517). Gli anni tra queste due datevidero inoltre l'apparizione di un certo numero di opere del dotto convertitoPaul Ricius, medico personale dell'imperatore Massimiliano, il quale prese leconclusioni di Pico e di Reuchlin e le arricchì con un'originale sintesi difonti cabalistiche e cristiane. Il principale contributo di Reuchlin fu la suaassociazione del dogma dell'Incarnazione con una serie di ardite speculazionisulla dottrina cabalistica dei Nomi Divini di Dio. La storia umana, sostenevaReuchlin, poteva essere divisa in tre periodi. Nel primo, o periodo naturale,Dio si rivelò ai patriarchi mediante il nome di tre lettere Shaddai. Nel

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periodo della Torah, egli si rivelò a Mosè tramite il nome di quattro letteredel Tetragrammaton. Ma nel periodo della grazia e della redenzione Egli sirivelò mediante cinque lettere, cioè il Tetragrammaton con l'aggiunta dellalettera shin, significante il Logos, e cioè Yehoshua o Gesù. Nel nome di Gesù,che è il vero Nome Miracoloso, il nome precedentemente proibito di Diodiveniva pronunciabile. Nella disposizione schematica di Reuchlin, che siappoggiava alla comune abbreviazione per il nome di Gesù nei manoscrittimedievali, JHS, le credenze ebraiche nelle tre età del mondo (Caos, Torah e

Messia) si fondevano con la triplice divisione cristiana della scuolamillenarista di Gioacchino da Fiore in un regno del Padre, un regno del Figlioe un regno dello Spirito Santo.Gli scritti di Pico e di Reuchlin, che collocavano la Cabala nel contesto deiprincipali sviluppi intellettuali di quel tempo, attrassero grande attenzione.Da una parte portarono a un considerevole interesse per la dottrina dei NomiDivini e la Cabala pratica, e dall'altra a ulteriori tentativi speculativi dipervenire a una sintesi tra i motivi cabalistici e la teologia cristiana. Ilposto d'onore accordato alla Cabala pratica nel grande compendio di CornelioAgrippa di Nettesheim, De Occulta Philosophia (*) (1531), un sommariodiffusissimo di tutte le scienze occulte di quei tempi, fu in larga misuraresponsabile dell'erronea associazione, nel mondo cristiano, tra la Cabala ela numerologia e la stregoneria. Parecchi cabalisti cristiani del XVI secolocompirono sforzi considerevoli per imparare a conoscere più profondamente lefonti della Cabala, sia in ebraico che nelle traduzioni latine preparateappositamente, e in questo modo ampliarono la base dei loro tentativi discoprire un terreno comune fra la Cabala e il Cristianesimo. Tra questipersonaggi, i più eminenti furono il cardinale Egidio da Viterbo (1465-1532),le cui opere Scechina (a cura di F. Secret, 1959) "Sulle lettere ebraiche"furono influenzate da idee contenute nello Zohar e nel Sefer ha-Temunah, e ilfrancescano Francesco Giorgio di Venezia (1460-1541), autore di due grossivolumi, molto letti a quei tempi, De harmonia mundi (1525) e Problemata(1536), in cui la Cabala assumeva un posto centrale e materiale manoscrittodello Zohar veniva usato ampiamente per la prima volta in un'opera cristiana.Inoltre, egli lasciò ai suoi discepoli un complesso commento sulle tesicabalistiche di Pico (manoscritto di Gerusalemme), in seguito plagiato dal suoallievo Angelo de Burgonovo (due parti: 1564 e 1569). L'ammirazione di questi

allievi cristiani per la Cabala provocò una reazione indignata in diversiambienti, i quali li accusarono di diffondere la convinzione che qualunquecabalista ebreo potesse essere un cristiano migliore di un devoto cattolico.Un pensatore mistico più originale, che tra l'altro conosceva meglio le fontiebraiche, fu il famoso francese Guillaume Postel (1510-1581), una delleprincipali personalità del Rinascimento. Postel tradusse in latino lo Zohar eil Sefer Yezirah prima ancora che venissero stampati nelle versioni originali,e accompagnò le sue traduzioni con una lunga esposizione teosofica delleproprie concezioni. Nel 1548 pubblicò un commento cabalistico, nellatraduzione latina, sul significato mistico della menorah, e successivamenteanche una versione in ebraico. Questi autori avevano molti legami negliambienti ebrei.Durante questo periodo, la Cabala cristiana si occupava principalmente dello

sviluppo di certe idee religiose e filosofiche in se stesse anziché deldesiderio di fare proseliti tra gli ebrei, sebbene quest'ultima attivitàspesso venisse posta in risalto per giustificare una iniziativa che altrimentisarebbe apparsa sospetta agli occhi di molti. Uno dei cabalisti cristiani piùimpegnati fu Johann Albrecht Widmanstetter (Widmanstadius, 1506-1557), chel'entusiasmo per la Cabala spinse a raccogliere molti manoscritti cabalisticituttora esistenti a Monaco. Molti suoi contemporanei, tuttavia, siaccontentarono di speculazioni nel campo della Cabala cristiana senza avereuna conoscenza diretta delle fonti. Anzi, con l'andar del tempo la conoscenzadelle fonti ebraiche diminuì tra i cabalisti cristiani, e di conseguenzal'elemento giudaico nei loro scritti divenne progressivamente più esile,

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mentre il suo posto veniva preso da speculazioni esoteriche cristiane, cheavevano solo connessioni remote con i motivi ebraici. La rinascita lurianica aSafed non ebbe alcun effetto su questi circoli. La loro dedizione all'attivitàmissionaria crebbe, tuttavia il numero degli ebrei convertiti al Cristianesimoper motivazioni cabalistiche, o di coloro che rivendicavano retrospettivamentetali motivazioni, rimase sproporzionatamente ridotto rispetto al numero deiconvertiti in generale. Negli scritti di questi teosofi cristiani non vi è unachiara evidenza che indichi se essi credessero o no che i cabalisti ebrei

fossero in cuor loro cristiani inconsapevoli. Comunque, la Cabala cristianaoccupò un posto onorato nel XVI secolo, soprattutto in Italia e in Francia, enel XVII, quando il suo centro si spostò in Germania e in Inghilterra.Nel secolo XVII la Cabala cristiana ricevette due forti spinte; la prima fudata dagli scritti teosofici di Jacob Boehme, l'altra dal vasto compendiocabalistico di Christian Knorr von Rosenroth, Kabbala denudata (1677-84), cheper la prima volta rese accessibili ai lettori cristiani interessati, moltidei quali avevano a loro volta tendenze mistiche, non soltanto sezioniimportanti dello Zohar, ma anche ampi estratti della Cabala lurianica. Inquest'opera e negli scritti del dotto gesuita Athanasius Kircher si tracciaper la prima volta il parallelo tra la dottrina cabalistica dell'Adam Kadmon eil concetto di Gesù quale uomo primordiale nella teologia cristiana.L'analogia è posta in particolare risalto nel saggio intitolato AdumbratioKabbalae Christianae che appare alla fine della Kabbala denudata (trad.francese, Parigi 1899). Il suo autore anonimo era in realtà il noto teosofoolandese Franciscus Mercurius van Helmont, che fu l'anello di congiunzione trala Cabala e i platonici di Cambridge guidati da Henry More e Ralph Cudworth, iquali si servirono di motivi cabalistici per i loro fini speculativioriginali, soprattutto More. In tempi un po' anteriori, gli studenti (e anchegli oppositori) di Jacob Boehme avevano scoperto la forte affinità tra il suosistema teosofico e quello della Cabala, benché non sembri che vi fosse traloro un nesso storico. In certi ambienti, soprattutto in Germania, Olanda eInghilterra, la Cabala cristiana assunse a partire da quel periodo uncarattere boehmiano. Nel 1673 in una chiesa protestante di Teinach (Germaniameridionale) fu eretto una grande diagramma che aveva lo scopo di presentareuna sorta di sommario visivo di questa scuola della Cabala cristiana, cuivenivano date diverse interpretazioni.

Già alla fine del XVI secolo era emersa una spiccata tendenza a permeare laCabala cristiana di simbolismo alchemico, conferendole così un caratterestranamente originale nei suoi stadi finali di sviluppo nel XVII e nel XVIIIsecolo. Questa mescolanza di elementi caratterizza le opere di HeinrichKhunrath, Amphitheatrum Sapientiae Aeternae (1609), Blaise de Vigenère Traitédu Feu (1617), Abraham von Frankenberg (1593-1652), Robert Fludd (1574-1637),e Thomas Vaughan (1622-1666), e raggiunge l'apogeo in Opus Mago-Cabbalisticumdi Georg von Welling (1735) e nei molti libri di F.C. Oetinger (1702-1782), lacui influenza è osservabile nelle opere di grandi esponenti della filosofiaidealistica tedesca come Hegel e Schelling. In una forma diversa, questamescolanza riappare nei sistemi teosofici dei massoni nella seconda metà delsecolo XVIII. Una fase tarda della Cabala cristiana è rappresentata daMartines de Pasqually (1727-1774) nel suo Traité de la réintégration des

etres, che influenzò grandemente le correnti teosofiche in Francia. Ildiscepolo di questo autore fu il noto mistico Louis Claude de St. Martin. Lostesso Pasqually, durante la sua vita, fu sospettato di essere segretamenteebreo, e gli studiosi moderni hanno infatti accertato che era di discendenzamarrana. Le fonti delle sue derivazioni intellettuali, tuttavia, non sonostate ancora chiarite. Il coronamento finale della Cabala cristiana fu l'ampiaPhilosophie der Geschichte oder Ueber die Tradition, di Franz Joseph Molitor(1779-1861), che univa alla profonda speculazione in una venacabalistico-cristiana una ricerca estremamente interessante sulle idee dellaCabala stessa. Anche Molitor si aggrappava a una visione fondamentalmentecristologica della Cabala, della quale non comprendeva affatto l'evoluzione

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storica; tuttavia egli dimostrò una comprensione essenziale della dottrinacabalistica e una intuizione del mondo della Cabala assai superiore a quelledi moltissimi studiosi ebrei del suo tempo.

Gli studiosi e la Cabala

Come si è accennato più sopra, l'inizio delle indagini accademiche sullaCabala fu legato agli interessi della Cabala cristiana e al suo zelomissionario. Numerosi cabalisti cristiani si sentirono indotti a studiaredirettamente la letteratura della Cabala: uno dei primi fu Reuchlin, che fecesoprattutto ricorso alle opere di Gikatilla e a una vasta raccolta dei primiscritti cabalistici, conservata nel manoscritto Halberstamm 444 (nel JewishTheological Seminary a New York). Sebbene un numero significativo di operecabalistiche fosse stato ormai tradotto prima della metà del secolo XVI, soloalcune di queste traduzioni sono state pubblicate, come quella di Sha 'areiOrah di Gikatilla (1516), mentre la maggior parte rimaneva in formamanoscritta e quindi non stimolava ulteriori ricerche. Inoltre, lepresupposizioni teologiche dei cabalisti cristiani escludevano da parte loroogni prospettiva storica e soprattutto critica. Una svolta decisiva fu segnatadalla pubblicazione della Kabbala denudata di Knorr von Rosenroth, nonostantele numerose traduzioni erronee in essa contenute, e ulteriormente aggravatenella ritraduzione di alcune sue parti in inglese e in francese (vedasi MGWJ75 (1932), 444-8). L'apparizione di questo libro destò l'interesse di moltistudiosi che in precedenza non avevano avuto nulla a che vedere con la Cabalacristiana, come ad esempio Leibnitz. Completamente in disaccordo con le suepremesse fu lo studio di Johann Georg Wachter sulle tendenze spinoziane nelGiudaismo, Der Spinozismus im Juedenthumb (sic!) (Amsterdam, 1699), la primaopera che interpretò panteisticamente la teologia della Cabala e sostenne chei cabalisti non erano cristiani camuffati, ma piuttosto atei camuffati. Illibro di Wachter influenzò grandemente le discussioni sull'argomento in tuttoil XVIII secolo. All'inizio di quel secolo, J.P. Buddeus propose la teoria diuno stretto legame tra i primi gnostici e la Cabala nella sua "Introduzionealla storia della filosofia degli ebrei" (in latino, Halle, 1720), dedicata in

larga misura alla Cabala. Anche J.K. Schramm nella sua "Introduzione alladialettica dei cabalisti" (Braunschweig. 1703), cercò di discutere il tema intermini scientifici e filosofici, mentre Specimen Theologiae Soharicae (Gotha,1734) di G. Sommer presentava un'antologia di tutti i passi dello Zohar che,secondo l'opinione dell'autore, erano vicini alla dottrina cristiana. Un libroparticolarmente prezioso, anche se oggi completamente dimenticato, fuAenigmata Judaeorum religiosissima (Helmstadt, 1705) di Hermann von der Hardt,che si occupava della Cabala pratica. J.P. Kleuker pubblicò nel 1786 unostudio in cui sostenne l'esistenza di una decisiva influenza persiana sulladottrina cabalistica dell'emanazione. Tutti questi primi studiosi avevano incomune la convinzione che la Cabala non fosse essenzialmente ebraica mapiuttosto cristiana, greca o persiana.Anche le indagini accademiche condotte sulla Cabala da autori ebrei ebbero

fini tendenziosi: si proponevano infatti di polemizzare contro quella che essiconsideravano l'influenza perniciosa della Cabala sulla vita degli ebrei. Laprima opera critica scritta in questa vena fu l'influentissimo libro di JacobEmden, Mitpahat Sefarim (Altona, 1768), nato dalla lunga battaglia del suoautore contro lo shabbateanismo e mirante a indebolire l'autorità dello Zoharprovando che molti dei suoi passi erano tarde interpolazioni. Nel secolo XIX,moltissimi studi ebraici sulla Cabala ebbero egualmente un carattere polemico:miravano principalmente a colpire le influenze cabalistiche che apparivano nelHasidismo. Per la maggior parte, anche questi studiosi ritenevano che laCabala fosse sempre stata una presa essenzialmente straniera nella vitaebraica. A quel tempo, in effetti, la Cabala era ancora una sorta di

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figliastra nel campo dell'erudizione ebraica, e le sue fonti letterarievenivano studiate solo da pochi. Anche da questa prospettiva limitata,tuttavia, importanti contributi all'indagine sulla Cabala furono dati daSamuel David Luzzatto, Adolphe Franck, H.P. Joel, Senior Sachs, AaronJellinek, Isaac Meises, Graetz, Ignatz Stern e M. Steinschneider. Le operedell'unico studioso ebreo di questo periodo che dedicò studi profondi alloZohar e ad altri importanti testi cabalistici, Eliakim Milsahagi (Samiler),rimasero quasi tutte inedite e vennero dimenticate e in gran parte perdute.

Tutto ciò che rimane è la sua analisi dello Zohar (manoscritto di Gerusalemme4° 121) e il Sefer Razi'el. Le opere sulla Cabala scritte durante il periodoHaskalah sono quasi tutte prive di valore, come i numerosi trattati e i libridi Solomon Rubin. Gli unici due studiosi del tempo che si accostarono allaCabala con una fondamentale simpatia e addirittura con una certa affinità peri suoi insegnamenti furono il cristiano F.J. Molitor di Francoforte e l'ebreoElijah Benamozegh di Livorno. I numerosi libri scritti sull'argomento nel XIXe nel XX secolo da vari teosofi e mistici erano privi di ogni conoscenzafondamentale delle fonti; e solo molto di rado diedero un vero contributo aquesto campo, mentre a volte ostacolarono addirittura lo sviluppo di un puntodi vista storico. Allo stesso modo, l'attività degli occultisti francesi einglesi non diede alcun contributo, e servì solo a creare una considerevoleconfusione fra gli insegnamenti della Cabala e le loro invenzioni del tuttoirrelate ad essa, ad esempio la presunta origine cabalistica dei tarocchi. Aquesta categoria di somma ciarlataneria appartengono i numerosi e diffusissimilibri di Eliphas Levi (vero nome Alphonse Louis Constant; 1810-1875), Papus(Gérard Encausse; 1868-1916) e Frater Perdurabo (Aleister Crowley; 1875-1946),che avevano tutti una conoscenza minima della Cabala, anche se questo nonimpedì loro di attingere ampiamente all'immaginazione. Le opere di A.E. Waite(The Holy Kabbalah, 1929), S. Karppe e P. Vulliaud, d'altra parte, eranosostanzialmente compilazioni piuttosto confuse tratte da fonti di secondamano.L'approccio profondamente mutato nei confronti della storia ebraica, venutonella scia del sionismo e del movimento della rinascita nazionale, portò,soprattutto dopo la prima guerra mondiale, a un rinnovato interesse neiconfronti della Cabala quale espressione vitale dell'esistenza ebraica. Fucompiuto un nuovo tentativo di comprendere, indipendentemente da tutte le

posizioni polemiche o apologetiche, la genesi, lo sviluppo, il ruolo storico el'influenza intellettuale e sociale della Cabala entro il contesto totaledelle forze interne ed esterne che hanno plasmato la storia ebraica. Ipionieri di questo nuovo punto di vista furono S.A. Horodezky, Ernst Muller eG. Scholem. Negli anni successivi al 1925 un centro internazionale di ricerchesulla Cabala fu istituito presso l'Università Ebraica di Gerusalemme. Tra imaggiori esponenti di questa scuola di critica storica furono G. Scholem, I.Tishby, E. Gottleib, J. Dan, Rivka Schatz e J. Ben-Shlomo. Altrove, importanticontributi allo studio della Cabala furono dati in particolare da G. Vajda, A.Altmann e François Secret. Con lo sviluppo di nuove prospettive negli annirecenti, l'indagine accademica sulla Cabala comincia oggi a usciredall'infanzia. Vi è ampio spazio per una fruttifera espansione che potràaccogliere la letteratura cabalistica in tutta la sua ricchezza e le sue

implicazioni relative alla storia, al pensiero e alla vita del popolo ebraico.1LO ZOHAR

Lo Zohar ("Il libro dello Splendore") è l'opera centrale della letteraturadella Cabala. In alcune parti del libro il nome "Zohar" viene menzionato qualetitolo. È inoltre citato dai cabalisti spagnoli sotto altri nomi, comeMekhilta de-R. Simeon b. Yohai, a imitazione del titolo di uno dei Midrashimhalakhici, in Sefer ha-Gevul di David b. Judah he-Hasid; Midrash de-R. Simeonb. Yohai, in numerosi libri del periodo dei discepoli di Solomon b. Abraham

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Adret, in Livnat ha-Sappir di Joseph Angelino, le omelie di Joshua ibnShu'ayb, e i libri di Meir ihn Gabbai: Midrash ha-Zohar, secondo Isaac b.Joseph ibn Munir; Midrash Yehi or in Menorat ha-Ma'or di Israel al-Nakawa,apparentemente perché egli possedeva un manoscritto dello Zohar cheincominciava con un commento al versetto "Sia fatta luce" (Gen. 1:33).Esistono tuttora manoscritti di questo tipo. Numerose affermazioni trattedallo Zohar furono citate già nella prima generazione dopo la sua apparizione,sotto il titolo generale di Yerushalmi, ad esempio negli scritti di Isaac b.

Sahula, Moses de Leon, e David h. Judah he-Hasid, e nei responsa (fittizi) diRav Hai nella raccolta Sha'arei Teshuvah.

La forma letteraria dello Zohar

Nella forma letteraria, lo Zohar è che includono brevi affermazionimidrashiche, omelie più lunghe, e discussione su molti argomenti. Per lamaggior parte, vengono presentate come preferite dal tanna Simeon b. Yohai e isuoi compagni (havvrayya), ma vi sono anche lunghe sezioni anonime. Non è unlibro nel senso comunemente accettato del termine, bensì un corpus completo diletteratura unito sotto un unico titolo. Nelle edizioni a stampa lo Zohar ècomposto di cinque volumi. Secondo la divisione adottata nella maggior partedelle edizioni, tre appaiono con il titolo Sefer ha-Zohar al ha-Torah; unvolume porta il titolo di Tikkunei ha-Zohar; il quinto, intitolato ZoharHadash, è una raccolta di detti e di testi che si trovano nei manoscritti deicabalisti di Safed dopo la stampa della parte principale dello Zohar e riunitida Ahraham b. Eliezer ha-Levi Berukhim. Le indicazioni delle pagine nelleedizioni più comuni dello Zohar e nelle edizioni di Tikkunim sono generalmenteuniformi.I riferimenti qui contenuti a Zohar Hadash (ZH) rimandano all'edizione diGerusalemme del 1953. Alcune edizioni del libro esistono separatamente inmanoscritto. Le sezioni che formano lo Zohar nel suo Senso più ampio sonoessenzialmente:1) La parte principale dello Zohar. disposta secondo le nozioni settimanalidella Torah, inclusa la porzione Pinhas. Dal Deuteronomio vi sono soltantoVa-Ethannan, e qualcosa su Va-Yelekh e Ha'azinu. Fondamentalmente è un Midrash

cabbalistico sulla Torah, mescolato a brevi affermazioni, lunghe esposizioni enarrazioni riguardanti Simeon b. Yohai e i suoi compagni. Inoltre. consiste inparte di leggende comuni. Il numero dei versetti interpretato in ogni porzioneè relativamente modesto. Spesso l'esposizione fa digressioni su altriargomenti ben diversi dal testo della porzione e alcuni dei pezzi sonocostruiti con estrema abilità. Le esposizioni sono precedute da petihot("introduzioni") che solitamente sono basate su versetti tratti dai Profeti edall'Agiografia, soprattutto dai Salmi. e terminano con una transizioneall'argomento della porzione. Molti episodi fungono da cornice per le omeliedei compagni. per esempio conversazioni durante un viaggio o una sosta serale.La lingua usata è l'aramaico, come lo è per la maggior parte delle altresezioni dell'opera (a meno che venga precisato diversamente). La porzione diBereshit è preceduta da una hakdamah ("prefazione") che sembrerebbe una tipica

raccolta di scritti anziché una prefazione vera e propria, a meno che avesselo scopo di introdurre il lettore al clima spirituale del libro. Molteesposizioni si trovano in vari manoscritti in posti diversi. e talvolta vi èqualche dubbio circa l'esatta collocazione nell'una o nell'altra porzione. Visono inoltre discorsi che ricorrono in due o tre collocazioni diverse e indiversi contesti. Aaron Zelig b. Moses in Ammudei Sheva (Cracovia, 1635),elencò circa 40 passi di questo tipo che si trovano in edizioni paralleledello Zohar. Alcune esposizioni nelle edizioni a stampa s'interrompono a metàe la loro continuazione è stampata soltanto in Zohar Hadash. Nelle edizionipiù tarde a partire da quella di Amsterdam 1715, i completamenti sono stampaticome hasilmatot ("omissioni") alla fine di ciascun volume.

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2) Zohal sul Cantico dei Cantici (stampato in ZH foll. 61d-75b): si estendesolo sulla maggior parte del primo capitolo e. come 1). consiste diesposizioni cabalistiche.3) Sifra de-Zeni uta ("Libro dell'occultamento") una sorta di commentoframmentario sulla porzione Bereshit, in brevi frasi oscure. come una Mishnahanonima. in cinque capitoli, stampato al termine della porzione Terumah(2:176h-179a). In parecchi manoscritti e nell'edizione di Cremona (1559-60) sitrova nella porzione Bereshit.

4) Idra Rabba ("La Grande Assemblea") una descrizione del raduno di Simeon b.Yohai e dei suoi compagni, nel quale vengono esposti i misteri più profondiriguardanti la rivelazione del Divino nella forma di Adam Kadmon ("UomoPrimordiale"). È la costruzione letteraria più elevata e il discorso piùsistematico che si trovi nello Zohar. Ognuno dei compagni dice il suo pezzo. eSimeon b. Yohai completa le loro affermazioni. Al termine di questo solenneraduno tre dei dieci partecipanti incontrano una morte estatica. Tra i primicabalisti. era chiamato Idra de-Naso, ed è stampato nella porzione Naso(3:127b-145a). In un certo senso, è una sorta di Gemara alla Mishnah del Sifrade-Zeni'uta.5) Idra Zuta ("La Piccola Assemblea"), una descrizione della morte di Simeonb. Yohai e le sue ultime parole ai seguaci: una sorta di parallelo cabalisticodella morte di Mosè. Contiene un discorso simile a quello dell'Idra Rabba, conmolte aggiunte. Tra i primi cabalisti era chiamato Idra de-Ha'azinu. Questaporzione conclude lo Zohar (3:278b-96h).6) Idra de-Vei Mashkena, una seduta di studio condotta da Simeon b. Yohai conalcuni dei suoi discepoli sull'esposizione di certi versetti nella sezione cheparla del tabernacolo. Per la maggior parte, tratta i misteri delle preghiere.Si trova all'inizio di Terumah (2:12,a-146b). É errata la nota in edizionisuccessive. che la sezione 2:122b-3h è l'Idra de-Vei Mashkena. Questa parte èmenzionata all'inizio dell'Idra Rabba.7) Heikhalot due descrizioni dei sette palazzi del giardino celeste dell'Edendove le anime si allietano quando ascende la preghiera, e dopo la lorodipartita dal mondo. Una versione è breve ed è inserita nella porzioneBereshit (1:38a-48h). L'altra versione è molto lunga, perché si diffonde suimisteri della preghiera e sull'angelologia. Si trova alla fine della porzionePekudei (2:244b-62b). Al termine della versione più lunga c'è una sezione

addizionale sui "sette palazzi dell'impurità". che è una descrizione delledimore dell'inferno (2:262h-8b). Nella letteratura cabalistica è chiamataHeikhalot de-R. Simeon b Yohai.8) Raza de-Razin ("Il segreto dei Segreti"). un pezzo anonimo di fisiognomicae chiromanzia, basato su Esodo 18:21, nella porzione Yitro (2:70a-75a). Lacontinuazione si trova nelle omissioni e in Zohar Hadash (56c-60a). Unaseconda sezione sullo stesso argomento. ma in forma diversa. fu inserita inuna colonna parallela nella parte principale dello Zohar (2:70a-78a).Sava de-Mishpatim ("Discorso del Vecchio"). racconto dell'incontro deicompagni con R. Yeiva, vecchio e grande cabalista che si presenta nei miseripanni di un conducente d'asini e che si lancia in discorso ampio esplendidamente costruito sulla dottrina dell'anima. basato su unainterpretazione mistica delle leggi sulla schiavitù contenute nella Torah. È

inserito nella parte principale dello Zohar sulla porzione Mishpatim(2:94b-114a)Yanuka ("Il Bimbo"). storia di un bimbo prodigioso, figlio del vecchio RavHamnuna, che insegna ai compagni profonde interpretazioni del Rendimento diGrazie dopo i pasti e altri argomenti. quando i compagni alloggiano nella casadi sua madre Episodi riguardanti altri bambini si trovano in altre parti delloZohar. In alcuni manoscritti questo episodio costituisce la sezione delloZohar sulla porzione Deuarim. Nell'edizione stampata si trova nella porzioneBalak (3:186a-92a).11) Rav Metivta ("Capo dell'Accademia"). racconto di un viaggio visionariocompiuto da, Simeon b Yohai e dai suoi discepoli nel Giardino dell'Eden e una

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lunga esposizione fatta dal capo dell'accademia celeste sul mondo a venire esui misteri dell'anima. È stampato come parte della porzione Shelah Lekha(3:161-174a). Manca l'inizio. e mancano inoltre parti al centro e alla fine.12) Kav ha-Middah ("Il criterio di misura") una spiegazione dei dettagli deimisteri dell'emanazione in un'interpretazione della Shema, in forma di undiscorso di Simeon b. Yohai a suo figlio, stampato in Zohar Hadash (56d-58d).13) Sitrei Otiyyot ("Segreti delle Lettere'). un discorso di Simeon b. Yohaisulle lettere dei Nomi Divini e i misteri dell'emanazione. stampato in Zohar

Hadash (1h-10d).14) Un'interpretazione della visione del carro di Ezechiele capitolo 1stampata senza titolo in Zohar Hadash (37c-41b).15) Matnitin e Tosefta, numerosi pezzi brevi, scritti in uno stilemagniloquente e oscuro. che costituiscono una sorta di Mishnah al Talmud dellostesso Zohar. Il nesso tra questi pezzi e le esposizioni nelle porzioni delloZohar è talora chiaro. talora tenue. In maggioranza i pezzi appaiono comeaffermazioni proferite da una voce celeste che viene udita dai compagni, e cheli esorta ad aprire i cuori alla comprensione dei misteri. Molti contengono unsommario dell'idea dell'emanazione e altri importanti principidell'insegnamento dello Zohar. presenti in stile enigmatico. Questi pezzi sonosparsi in tutto lo Zohar. Secondo Abraham Galante in Zoharei Hammah (Venezia,1650), 13b "quando il curatore dello Zohar vedeva un'esposizione cheapparteneva a un argomento in una particolare esposizione tratta da mishnayote tasafot, la collocava tra questi pezzi. per conferirne maggiore forza graziealla Tosefta e alla Mishnah".16) Sitrei Torah ("Segreti della Torah"). pezzi su versetti del Libro dellaGenesi che furono stampati in colonne separate paralleli al testo principaledello Zohar. nelle porzioni No`ah, Lekh Lekha, Va-Yera e Va-Yeze e in ZoharHadash sulle porzioni Toledot e Va-Yeshel. Vi sono parecchi pezzi intitolati.Sitrei Torah nelle edizioni a stampa ad -esempio. Sitrei Torah alla porzioneAhahrei Mot in Zohar Hadash- ma è dubbio che appartengano ai Sitrei Torah. Delpari, vi sono manoscritti che desiderano l'interpretazione sistematica dellacreazione in 1:155a-22a come i Sitrei Torah di questa sezione. Tuttavia, ilsuo carattere è diverso dagli altri esempi di Sitrei Torah che contengonomolte spiegazioni allegoriche di versetti sui misteri dell'anima. mentre ilpezzo spiega la teoria dell'emanazione (in un discorso anonimo) nello stile

della parte principale dello Zohar e dei Matnitinl7) Midrash ha-Ne'lam ("Midrash esoterico") sulla Torah. Esiste per le sezioniBereshit, No'ah, Lekh Lekha in Zohar Hadash; per Va-Yera, Hayyei, Sarah eToledot nella parte principale dello Zohar, in colonne parallele; e perVa-Yeze in Zohar Hadash. L'inizio della sezione Va-Yehi nelle edizioni astampa. 1:21 6, in alcune fonti è indicato come il Midrash ha-Ne'lam di questaporzione; ma vi è ragione di ritenere, con numerosi cabalisti che questepagine siano un'aggiunta più tarda. A giudicare dal carattere letterario edall'evidenza di parecchi manoscritti le pagine 2:4a-5b, e soprattutto14a-22a, appartengono al Midrash ha-Ne'lam della porzione Shemot, e 2:35b-40bal Midrash ha-Ne'lam della porzione Bo. A partire da questo punto nello ZaharHadash vi sono soltanto pochi brevi pezzi separati, sulle porzioni Be-Shallahe Ki Teze. Numerosi pezzi, assai vicini come spirito al Midrash ha-Ne'lam si

trovano qua e là nella parte principale dello Zohar ad esempionell'esposizione di Rav Huna davanti ai rabbini nella porzione Terumah,2:174b-175a. É inoltre possibile che le pagine nella porzione Bo siano diquesto stesso tipo. La lingua di questa parte è un miscuglio di ebraico earamaico. Vi sono menzionati molti rabbini e. in contrasto con le lungheesposizioni delle parti precedenti, troviamo qui soprattutto brevi pezzisimili agli originali Midrashim aggadici. Qua e là possiamo riconoscere latransizione a un metodo espositivo più lungo, ma non vi sono esposizioniestese e costruite artisticamente. In quanto al contenuto il materiale èsoprattutto incentrato su discussioni sulla creazione sull'anima e sul mondo avenire, mentre sono poche le discussioni sulla natura di Dio e

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sull'emanazione. Gran parte delle sezioni, dopo la porzione Bereshit, spieganarrazioni bibliche, soprattutto le imprese dei patriarchi. come allegorie delfato dell'anima.18) Midrash ha-Ne'lam del libro di Ruth, simile al precedente per stile econtenuto. É stampato in Zohar Hadash: in origine fu stampato come operaseparata intitolata Tappuhei Zahav o Yesod Shirim a Thiengen nel 1559. Esistein molti manoscritti come libro indipendente.19) L'inizio del Midrash ha-Ne'lam del Cantico dei Cantici. É stampato in

Zohar Hadash ed è semplicemente un'esposizione prefatoria del libro, senzacontinuazione.20) Ta Hazei ("Vieni e vedi"), un'altra interpretazione della porzione3ere.shit in brevi commenti anonimi, molti dei quali incominciano con leparole ta hazei, scritti in una evidente vena cabalistica. La prima parte sitrova in Zohar Hadash, 7a, dopo Sitrei Otiyyot, e il resto venne stampato perla prima volta nell'edizione di Cremona, 65-75, come continuazione nellehashmatot dello Zohar alla fine del volume I. In alcuni manoscritti (comeVaticano 206 foll. 274-86) le due sezioni si trovano insieme, ma nellamaggioranza dei casi mancano entrambe.21 ) Ra'ava Meheimna ("Il Pastore fedele") - con riferimento a Mosè - è unlibro separato sul significato cabalistico dei comandamenti. Si trova inalcuni manoscritti come opera indipendente e nelle edizioni a stampa èdisperso tra le sezioni in cui sono menzionati i relativi comandamenti estampato in colonne separate. La maggior parte si trova in porzioni dei numerie del Deuteronomio, e soprattutto in Pinhas, Ekev e Ki Teze. Lo sfondo dellibro è diverso da quello della parte principale dello Zohar. In esso Simeonb. Yohai e i suoi compagni, apparentemente grazie a una rivelazionevisionaria. incontrano Mosè, "il Pastore fedele". insieme a tannaim e amoraimed altri personaggi del mondo celeste, che appaiono e parlano con loro deimisteri dei comandamenti, come se l'accademia del cielo fosse discesa sullaterra. L'opera, chiaramente, dipende dallo stesso Zohar, poiché è citataparecchie volte come "il libro precedente [o primo]'', particolarmente nellaporzione Pinhas. L'enumerazione dei comandamenti. che in diversi passi esistee che addita l'ordine originale. è confusa (si veda anche più sotto: Unitàdell'Opera, Ordine di composizione).22) Tikkunei Zohar: anch'esso è un libro indipendente, con uno sfondo simile a

quello del Ra'aya Meheimna. Comprende un commento alla porzione Bereshit; ognisezione (tikkun) incomincia con una nuova interpretazione della parolabereshit ("in principio"). Il libro era strutturato in modo da contenere 70tikkunim, in conformità con "i 70 aspetti della Torah`' ma in realtà sono piùnumerosi, e alcuni sono stampati come aggiunte alla fine del libro. Duedisposizioni completamente diverse si trovano nei manoscritti e sirispecchiano nelle diverse edizioni di Mantova (1558) e di Orta Koj (1719). Leedizioni successive seguono quella di Orta Koj. Le esposizioni contenute nellibro sono digressioni dall'argomento della porzione e trattano temi moltodiversi che non sono discussi nella parte principale dello Zohar, come imisteri dei punti vocalici e degli accenti, i misteri relativi a questionihalakhiche, la preghiera e così via. Le pagine dello Zohar l :22a-29aappartengono a questo libro e in vari manoscritti appaiono come parti del

tikkun n.70. Qua e là vi è un cambiamento nella struttura narrativa, quandoimita quella della parte principale dello Zohar e, talora continuandoapparentemente la discussione, fa sembrare che questa sia tenutanell'accademia celeste. Il libro ha anche una prefazione (hakdamah) sulmodello della prefazione allo Zohar. Lunghe esposizioni addizionali, parallelealle sezioni iniziali del libro e mescolate ad altre interpretazioni dellostesso tipo, sono stampate alla fine di Znhar Hadash (93-123) e sonosolitamente presentate come tikkunim di Zohar Hadash. Molte di esse dovevanoservire come prefazione al libro dei Tikkunim.23) Un'opera senza titolo sulla porzione Yitro, una redazione, nello spiritodei tikkunim, della fisiognomica che si trova in Raza de-Razin, stampata in

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Zohar Hadash (31 a-35 b) .24) Alcuni brevi trattati stampati in ZoharHadash, come lo "Zohar dellaporzione Tissa (43d-46b). e il pezzo anonimo stampato come la porzione Hukkatin Zohar Hadash (50a-5:3b). Questi pezzi devono essere considerati imitazionidello Zohar; ma furono senza dubbio scritti poco dopo l'apparizione delloZohar stesso, e il primo è già citato in Livnat ha-Sappir, che fu scritto nel1328 (Gerusalemme, 1914, 86d).Oltre a queste sezioni ve ne sono altre, note a vari cabalisti che non furono

incluse nelle edizioni stampate; alcune sono andate completamente perdute. Unacontinuazione del Sefer ha-Tikkunim su altre porzioni nota all'autore diLivnat ha-Sappir (95b-l00a) era un lungo pezzo sul calcolo del tempo dellaredenzione. I pezzi, che furono stampati in Tikkunei Zohar Hadash (117b-121b)e che interpretano vari versetti riguardanti Abramo e Giacobbe, sembraronoappartenere a questa continuazione. I "detti di Ze'ira" ("il piccolo"), chesono menzionati in Shem ha-Gedolim come "omelie semi-midrashiche", sonopervenuti fino a noi nel manoscritto 782 di Parigi, e furono inclusi da HayyimVital in una antologia tuttora esistente. Lo Zohar della porzione Ve-Zotha-Berakhah è conservato nello stesso manoscritto di Parigi (foll. 239-42) edè un miscuglio di frammenti del Midrash su Ruth e di pezzi sconosciuti. Sembrache Moses Cordovero vedesse un Midrash Megillat Esther appartenente alloZohar, secondo Or Ne'erav (Venezia, 1587, 21b). Il suo discepolo AbrahamGalante, nel suo commento a Sava de-Mishpatim, cita un testo chiamato Pesikta,da un manoscritto dello Zohar: ma il suo contenuto è ignoto. Non esiste unaconnessione diretta tra la letteratura dello Zohar e le sue più tardeimitazioni letterarie che non sono incluse nei manoscritti, come lo Zohar suRuth, che fu stampato con il titolo Har Adonai (Amsterdam, 1712). Questo pezzofu composto in Polonia nel XVII secolo.L'opinione dei cabalisti circa la composizione e la revisione dello Zohar siformò dopo che il libro ebbe una vasta diffusione. All'inizio predominò laconvinzione che si trattasse del libro scritto da Simeon b. Yohai mentre sinascondeva nella grotta, o almeno durante la sua vita, o che al più tardifosse stato composto durante la generazione successiva. Tra i cabalisti diSafed, i quali in genere credevano all'antichità dell'intero Zohar, AbrahamGalante, nel suo commento alla porzione Va-Yishlah nello Zohar, espressel'opinione che l'intera opera fosse stata composta nell'epoca geonica in base

agli scritti di R. Abba, che era lo scrivano di Simeon b. Yohai, e che illibro non avesse ricevuto la sua forma attuale prima di quel tempo. Questaopinione, che cerca di spiegare numerose difficoltà ovvie nella cronologia deirabbini menzionati nello Zohar, ricorre anche in Netiv Mizvotekha di IsaacEisik Safrin di Komarno. Nel XVI secolo si diffuse la leggenda che l'attualeZohar, il quale comprende circa 2.000 pagine stampate fittamente, fossesoltanto un minuscolo residuo dell'opera originale, che pesava quanto 40carichi di cammello (in Ketem Paz, 102a). Queste idee non trovano conferma inun esame critico dello Zohar.

L'unità dell'opera

La letteratura contenuta nello Zohar si può dividere fondamentalmente in tre

strati distinti l'uno dall'altro: a) il corpus principale dello Zohar,comprendente le voci 1 - 15 del precedente elenco; b) lo strato di Midrashha-Ne'lam e Sitrei Torah, cioè le voci 16-19; c) lo strato di Ra'aya Meheimnae dei Tikkunim, cioè 21-23. Le voci 20 e 24 sono dubbie, per quanto riguardale loro relazioni letterarie, e forse appartengono a materiale che fu aggiuntodopo l'apparizione dello Zohar nel XIV secolo. Vi sono certamente legamidefiniti tra i diversi strati che stabiliscono un ordine cronologico, ma unindagine dettagliata mostra chiaramente che ogni strato ha una sua unità. Ilproblema dell'unità della parte principale dello Zohar è particolarmenteimportante. Le apparenti differenze sono esclusivamente esterne e letterarie,ad esempio la scelta di uno stile talora laconico ed enigmatico, e talora più

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espansivo o addirittura verboso.

Lo stile

L'unità è evidente in tre campi: lo stile letterario, la lingua e le idee. Findall'inizio della critica storica dello Zohar, vi sono sempre state opinioni

che considerano lo Zohar una combinazione di testi più antichi e più tardi,messi insieme solo al tempo dell'apparizione dello Zohar. Come minimo,contiene un prototipo omiletico, una creazione di molte generazioni che nonpuò essere attribuita essenzialmente a un unico autore. Questa opinione èstata sostenuta, per esempio, da Eliakim Milsahagi, Hillel Zeitlin, ErnstMueller e Paul Vulliaud; ma essi si sono accontentati di una conclusionegenerale, o dell'affermazione che il Sifra di-Zeni'uta, i Matnitin o le Idrotsono fonti antiche di questo tipo. L'unico studioso che abbia tentato diindagare sugli strati più antichi nell'esposizione delle altre parti delloZohar fu I. Stern. Un esame dettagliato delle argomentazioni, e anche delleargomentazioni generali, dimostra che erano estremamente deboli. Inparticolare, non c'è prova che il Sifra di-Zeni'uta differisca dalle altreparti del corpus dello Zohar se non nello stile allusivo in cui venneintenzionalmente scritto. In realtà, i legami letterari tra le diverse partidello Zohar sono estremamente stretti. Molte delle sezioni sono costruite congrande abilità letteraria, e le diverse parti sono relate l'una all'altra. Nonvi è una vera distinzione, nella lingua o nel pensiero, tra i brevi pezzi invero stile midrashico e le esposizioni più lunghe che seguono i metodi deipredicatori medievali, i quali usavano intessere idee diverse in un unicotessuto, che incomincia con un particolare versetto, spazia lontano e poiritorna al punto di partenza. In pratica tutte le sezioni sono costruite su unidentico metodo compositivo, derivato da variazioni di forme letterariediverse. Dal punto di vista della costruzione non vi è inoltre differenza trale varie cornici narrative, come la trasmissione di esposizioni che ebberoorigine durante i viaggi dei compagni tra le città della Palestina esoprattutto della Galilea, o il tipo di composizione drammatica che si trovanelle Idrot, la Sava e la Yanuka. La suddivisione del materiale in un dialogo

tra i compagni o in un monologo espositivo non altera sostanzialmentel'argomento della composizione. Anche nei monologhi diverse opinioni relativea un particolare versetto vengono menzionate l'una accanto all'altra, mentrein altre parti le diverse opinioni sono divise e assegnate ai variinterlocutori. In tutto il corpus principale del libro ricorrono citazioni oriferimenti a esposizioni contenute in altre parti dello Zohar. Alcuniargomenti. che sono discussi con estrema brevità in un punto, sono trattatipiù ampiamente in altre esposizioni. Lo Zohar, diversamente dal Midrash, amaalludere a discussioni precedenti o a temi che vengono trattati più avanti, equesto è tipico degli omilisti medievali. Un esame di questi riferimenti. sianelle esatte citazioni letterali, sia negli argomenti senza citazioni precise,mostra che la parte principale dello Zohar è una costruzione letteraria tuttad'un pezzo, nonostante le variazioni superficiali. Esistono affermazioni e

idee che si riflettono in un unico passo, ma sono molto rare. Anche le sezioniche hanno un argomento particolarmente caratteristico, come quelle chetrattano della fisiognomica della porzione Yitro, sono in molti modi connessecon altre sezioni dello Zohar, che trattano più ampiamente temi solobrevemente menzionati nelle prime. Circa il rapporto del Midrash ha-Ne'lam conil corpus principale dello Zohar, si veda più sotto.Un elemento dell'unità strutturale dello Zohar è quello della scena e delledramatis personae. Lo Zohar presuppone l'esistenza di un gruppo organizzato di"compagni" (haurayya) che. senza dubbio, in origine erano dieci; ma quasitutti non sono altro che figure vaghe. I dieci compagni sono Simeon b. Yohai,suo figlio Eleazar, Abba, Judah, Yose, Isaac, Hezekiah, Hiyya Yeisa e Aha.

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Alcuni di loro sono (7moraim che sono stati trasferiti dall'autore nell'epocadei tannaim, come Abba, Hezekiah, Hiyya e Aha. Ciò che viene narrato di loroqua e là mostra che l'autore utilizzò episodi di fonti talmudiche cheriguardavano amoraim con questi nomi, e perciò non si tratta di personaggisconosciuti. A queste figure fondamentali si uniscono certi altri rabbini, chedi solito appaiono indirettamente, o come personaggi appartenenti allagenerazione precedente a quella di Simeon b. Yohai. A questo proposito, èmolto importante un particolare errore dello Zohar. In diversi episodi

trasforma regolarmente Phinehas b. Jair, genero di Simeon b. Yohai (secondoShab. 33b) in suo suocero. Del pari, il suocero di Eleazar figlio di Simeon,viene chiamato Yose b. Simeon b. Lekonya, anziché Simeon b. Yose b. Lekonya.Oltre a questi compagni regolari appaiono talvolta altri personaggi che ladesignazione sava ("vecchio") colloca in una generazione precedente, adesempio Nehorai Sava, Yeiva Sava, Hamnuna Sava e Judah Sava. Vi è una tendenzariconoscibile a creare una cornice narrativa fittizia in cui non insorgono iproblemi degli anacronismi e della confusione cronologica. D'altra parte, néAkiva né Ishmael b. Elisha sono menzionati come maestri della tradizionemistica, mentre entrambi appaiono nella letteratura dei heikhalot e dellaMerkabah. Akiva viene introdotto solo in episodi e citazioni derivanti dalTalmud.Anche l'ambientazione palestinese del libro è fittizia e, nel complesso, nonha basi nella realtà. Lo Zohar si affida a nozioni geografiche e topografichesulla Palestina che sono tratte dalla letteratura precedente. Talvoltal'autore non capisce le sue fonti, e inventa località che non sono maiesistite, per esempio Kapotkeya, come nome di un villaggio nei pressi diSepphoris, sulla base di un'affermazione del Talmud palestinese (Shev. 9:5),da lui combinata con un'affermazione del Tosefta, Yevamot 4. Presenta unvillaggio della Galilea con il nome di Kefar Tarsha, che egli identifica conMata Mehasya, e a questo proposito parla del rito della circoncisionebasandosi su un materiale citato nella letteratura geonica a proposito di MataMehasya in Babilonia. Talvolta un toponimo è basato su un testo corrotto in unmanoscritto medievale del Talmud, ad esempio Migdal Zor all'inizio di Savade-Mishpatim. Per quanto riguarda la scena e i personaggi vi sono legamistrettissimi tra la parte principale dello Zohar e lo strato del Midrashha-Ne'lam, che segue la stessa abitudine di menzionare nomi in realtà

inesistenti. In questa sezione Simeon b. Yohai e i suoi compagni costituisconogià un'importante comunità di mistici, ma sono ricordati anche altri gruppi, ein particolare amoraim o studiosi più tardi con nomi fittizi che nonricompaiono nello Zohar. In tempi recenti, sono stati effettuati parecchitentativi per spiegare le difficoltà geografiche e per dare un'interpretazionenon letterale delle affermazioni contenute nel Talmud e nei Midrashim al finedi farle armonizzare con lo Zohar: ma nessuno di tali tentativi è convincente.Molte volte lo Zohar usa l'espressione selik le-hatam ("egli salì là"), unafrase idiomatica babilonese per indicare coloro che andarono dalla Babiloniain Palestina, cambiando così la scena dalla Palestina alla Diaspora: "là" èun'espressione impossibile, se il libro fu effettivamente scritto inPalestina.

Le fonti - Per quanto riguarda le fonti dello Zohar, dobbiamo distinguere traquelle che sono menzionate esplicitamente e le fonti vere, cui si allude soloin modo generico ("essi l'hanno stabilito", "i compagni ne hanno discusso"), onon sono affatto menzionate. Le fonti del primo tipo sono opere fittizie,nominate nello Zohar e nel Midrash ha-Ne'lam, per esempio, il Sifra de-Adam,il Sifra de-Hanokh, il Sifra de-Shelomo Malka, il Sifra de-Rav Hamrluna Sava,il Sifra de-Rav Yeiva Sava e, in una forma più enigmatica, i Sifrei Kadma'ei("Libri antichi"), il Sifra de-Aggadeta, la Raza de-Razin Matnita de-Lan (cioèla Mishnah mistica, contraddistinta dalla Mishnah consueto). Per quantoriguarda il mistero delle lettere dell'alfabeto, è citato Atvan Gelifin

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("Lettere incise") o "Lettere incise di R. Eleazar". Sono citate anche operedi magia, per esempio il Sifra de-Ashmedai, gli Zeini Harshin de-Kasdri'elKadma 'ah ("Varie specie di magia dell'antico Kasdiel"), il Sifra de-Hokhmetadi- Venei Kedem ("Libro della sapienza dei Figli dell'Oriente"). Alcuni nomisono basati su fonti preesistenti, come il Sifra de-Adam e il Sifra de-Hanokh,ma con questi titoli sono riferiti argomenti che in realtà appartengonointeramente allo Zohar e al suo mondo di idee. In contrasto con questabiblioteca fittizia, che è chiaramente posta in risalto, le vere fonti

letterarie dello Zohar sono tenute nascoste. Queste fonti includono moltissimilibri, dal Talmud e i Midrashim fino alle opere cabalistiche composte nel XIIIsecolo. Si può osservare un unico metodo all'uso di queste fonti, tanto nellesezioni dello stesso Zohar quanto nel Midrash ha Ne'lam. Lo scrittoreconosceva molto bene il materiale precedente e spesso lo usava come base perle sue esposizioni, introducendovi variazioni tutte sue. Le sue fontiprincipali erano il Talmud babilonese, il Midrash Rabbah, il Midrash Tanhuma ei due Pesiktot, il Midrash sui Salmi, i Pirkei de-abbi Eliezer e il TargumOnkelos. In generale non vengono citati esattamente, ma tradotti nello stiletipico dello Zohar e riassunti. Se un dato argomento esiste in un certo numerodi versioni parallele nella letteratura precedente, spesso non è possibileaccertare la fonte precisa. Ma, d'altra parte, vi sono molte affermazionicitate in una forma che esiste solo in una delle diverse fonti. Meno usatisono i Midrashim halakhici, il Talmud palestinese e gli altri Targum, e iMidrashim come Aggadat Shir ha-Shirim, il Midrash sui Proverbi e l'Alfabetde-R. Akiva. Non è chiaro se l'autore usasse Yalkut Shinzorlio se conoscesseseparatamente le fonti della sua aggadah. Dei Midrashim minori, usò HeikhalotRabbati, Alfabet de-Ben Sira, Sefer Zerubabel, Baraita de-Ma'aseh Bereshit,Perek Shirak nelle descrizioni aggadiche di Gan Eden, e il trattato di Hibbutha-Kever, oltre che, occasionalmente, il Sefer ha-Yashar. Talvolta l'autore siserve di aggadot che non esistono più, o che sono rimaste solo rlel Midrashha-Gadol; e questo non è sorprendente perché i Midrashim aggadici come questoerano noti a molti scrittori medievali, ad esempio nelle omelie di Joshua ibnShu'ayb, che scrisse nella generazione successiva all'apparizione dello Zohar.Lo Zohar continua i modelli di pensiero dell'aggadah e li trasferisce nelmondo della Cabala. I riferimenti a paralleli nella letteratura rabbinica,citati da Reuben Margulies in Nizozei Zohar nell'edizione di Gerusalemme dello

Zohar (1940-48) spesso rivelano le fonti delle esposizioni.Della letteratura medievale l'autore usa, come ha dimostrato W. Bacher,commentatori biblici come Rashi, Abraham ibn Ezra, David Kimhi, e Lekah Tov diTobiah b. Eliezer. Apparentemente, egli conosceva inoltre i commenti deitosafisti. Era notevolmente influenzato dai commentatori allegorici dellascuola di Maimonide, in particolare nel Midrash ha-Ne'lam ma anche in alcunedelle esposizioni nel corpus principale dello Zohar. L'ultimo commentatore cheusò come fonte fu Nahmanides nei suoi commenti sulla Torah e su Giobbe. Certiusi verbali nello Zohar possono essere spiegati solo in riferimento alladefinizioni nel Sefer ha-Arukh e nel Sefer ha-Shorashim di David Kimhi.Un'importante esposizione nella sezione Balak è basata su una combinazione ditre pezzi tratti da Kuzari di Judah Halevi. A proposito di certi costumi, sibasa sul Sefer ha-Manhig di Abraham b. Nathan ha-Yarhi. Il commento di Rashi

sul Talmud serve come fondamento per parecchie affermazioni contenute nelloZohar, e non solo in connessione con il Talmud. Delle opere di Maimonide, faun uso moderato del commento alla Mishnah e del Moreh Nevukhim, e usa ilMishneh Torah più estensivamente. Diversi tentativi di provare che Maimonideconosceva lo Zohar e ne fece uso in diverse sue halakhot (il più recente ditali tentativi è quello di R. Margulies, Ha-Rambam ve-ha-Zohar, 1954), servonosolo a dimostrare che è lo Zohar a dipendere da Maimonide.Le fonti dello Zohar tra le opere cabalistiche che lo precedettero sonoegualmente poco chiare. Il Sefer Yezirah è menzionato chiaramente solo nellostrato più tardo. Il Sefer ha-Bahir, Ma'yan ha-Hokhmah attribuito a Mosè, gliscritti dei Hasidei Ashkenaz e in particolare di Eleazar di Worms, il commento

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egualmente frustrate quando passiamo alla critica linguistica. La lingua delloZohar può essere divisa in tre tipi: 1) l'ebraico del Midrash ha-Ne'am; 2)l'aramaico in tale testo e nel corpus principale dello Zohar; 3) l'imitazionedi 2) in Ra'aya Meheimna e nei Tikkunim. L'ebraico è, infatti, un'imitazionedello stile aggadico, ma ogni volta che diverge dalle sue fonti letterarie sirivela un ebraico medievale appartenente a un tempo in cui la terminologiafilosofica era usata largamente. L'autore usa apertamente termini filosoficipiù tardi, in particolare nelle prime sezioni e nel Midrash su Ruth. Nel

contempo, la transizione da questo ebraico all'aramaico del Midrash ha-Nezam edel corpus principale dello Zohar, che da un punto di vista linguistico sonolo stesso, può essere chiaramente distinta. L'ebraico naturale dell'autore quiè tradotto in un aramaico artificioso. Mentre il suo ebraico ha corrispondentinella letteratura medievale, l'aramaico dello Zohar non ha parallelilinguistici, poiché è composto di tutte le espressioni idiomatiche chel'autore conosceva e che egli usò come base per la sua costruzioneartificiale. L'uso stesso della parola targum (1:89a) per la lingua aramaica,anziché leshon Arami, usata nel Talmud e nel Midrash, era una consuetudinemedievale. L'idioma aramaico è nel complesso la lingua del Talmud babilonese edel Targum Onkelos, insieme all'aramaico galileo di altri Targum; ma includeben poco del Talmud palestinese. Tipi di espressioni idiomatiche diverse sonousate fianco a fianco indiscriminatamente, anche nello stesso passo.Differenze dello stesso genere si possono vedere nei pronomi soggettivi epossessivi, dimostrativi e interrogativi, e anche nella coniugazione deiverbi. Lo Zohar ne fa un uso intercambiabile, e piuttosto libero. Talora loZohar adotta l'uso babilonese di una forma particolare, ad esempio le formedel perfetto precedute da ka (ka'amar) o la forma della coniugazione dellaterza persona dell'imperfetto (leima). Altre volte vengono preferite lecorrispondenti espressioni targumiche. Per quanto riguarda il sostantivo, nonvi è più distinzione tra le forme che hanno il suffisso determinativo alef equelle che non l'hanno, e vi è una completa confusione. Anche una forma cometikla hada ("una bilancia") diventa possibile. Il caso costruttivo è quasiinesistente ed è quasi sempre sostituito dall'uso di di. Oltre al solitovocabolario vengono coniate parole nuove per analogia con formazioni giàesistenti in altre parole. Nascono così parole come nehiru, nezizu, ketatu(circa le parole nuove del vocabolario, si veda più sotto). In quanto agli

avverbi, lo Zohar usa indiscriminatamente parole tratte dall'aramaico biblicoe babilonese, e traduzioni di termini medievali, come lefum sha'ata o kedein,in imitazione dell'uso di az per unire diverse parti di una frase comenell'ebraico medievale. Nonostante questa confusione vi è comunque un certosistema e una certa coerenza. Viene creata una sorta di lingua unificata che ècomune in tutte le parti sopra menzionate. In aggiunta alle forme basichetratte dall'idioma aramaico vi sono molte caratteristiche tipiche della linguadello Zohar. Lo Zohar mescola le congiunzioni del verbo, usando il pe'alanziché il pa'el e l'af'el (lemizkei per lezakka'ah, lemei'al per le'a'aka'ah,lemehdei per lehadda'ah) e inoltre l'af'el anziché il pe'al, per esempioolifna per yalfinan (tra le parole più comuni nello Zohar). Usa formescorrette dell'itpa'al o etpe'el (le due forme del verbo sonoindistinguibili), per esempio itsaddar o itsedar, itzayyar o itzeyar, itzakkei

o tzekei, itzerif, eccetera. In parecchi casi, benché solo con certi verbi,usa 1'itpa'al (o 1'etpeel) come verbo transitivo, per esempio it'arna milei,le-istammara o le-istemara orhoi, le-itdabbaka o le-itdebaka nel senso di"conseguire". Dà significati nuovi alle parole, seguendo il loro usomedievale, per esempio: istallak a proposito della morte del giusto; it'ar,tramite l'influenza di hitorer, che nel Medioevo era usato nel senso di"discutere un certo argomento"; adbakuta nel senso di "percezioneintellettuale"; ashgahuta nel senso di "provvidenza"; shorsha nel senso di"principio fondamentale '. La frase congiuntiva im kol da, usata dovunque nelsenso di "nonostante" (be-khol zot) è influenzata dai traduttori dall'arabo,come lo è l uso della parola remez quale termine per "allegoria".

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Nello Zohar ricorre un numero considerevole di errori e di traduzioni prese aprestito. La parola pelatarin è considerata una forma plurale, e galgalleiyamma una forma plurale di gallei ha-yam ("onde del mare"). L'autore scrivebar-anan anziché bar-minan e dà la traduzione artificiosa "arto, membro", pershaifa, a causa di una interpretazione erronea di un passo in Makkot 11b. Dalverbo gamar, che significa "imparare", conia lo stesso significato per ilverbo hatam (le-mehtam oraita) e vi sono molti esempi dello stesso genere. Visono parecchie parole di cui l'autore dello Zohar non conosceva il significato

nelle fonti originali, e che ricevono significati nuovi e inesatti: peresempio, al verbo ta'an viene attribuito il significato di "guidare un asinoda dietro" (un arabismo tratto dal Sefer ha-Shorashim di David Kimhi), otaya'a, "l"ebreo che guida l'asino". Tukpa nel senso di "grembo" è basato suun'interpretazione errata in Targum Onkelos (Num. 11:12); bozina de-kardinutacome "luce potentissima" è basato sul fraintendimento di un passo di Pesahim7a. Vi sono numerose parole, soprattutto sostantivi, che non hanno fonticonosciute e il cui significato spesso non è chiaro. É possibile che derivinoda letture corrotte in manoscritti di letteratura rabbinica, o che siano stateconiate dall'autore a imitazione delle parole straniere che ricorrono inquella letteratura. Moltissime cominciano con la lettera kof, e vi predominanole lettere zayin, samekh e resh, ad esempio sospita, kaftira, kospita, kirta,kozpira. L'influenza araba appare solo in pochissime parole, ma l'influenzaspagnola è notevole nel vocabolario, nelle espressioni idiomatiche e nell'usodi particolari preposizioni. La parola gardinim nel senso di "guardiani",derivata dallo spagnolo guardianes, ricorre in ogni parte dello Zohar; ilverbo besam nel senso di "addolcire" è una traduzione letterale del verbospagnolo endulzar; di qui viene anche l'espressione comune hamtakah ha-din cheproviene dallo Zohar. Le traduzioni prese a prestito di hakal nel senso di'campo di battaglia" e di kos nel senso di "calice di un fiore" mostranol'influenza dell'uso romanzo. Espressioni idiomatiche come lakehin derekhaheret, kayyam bishe'elta, istekem al yedoi (anziché askem), osim simhah,yateva be-reikampa (nel senso di "essere vuoto"), sono tutte traduzioni presea prestito dallo spagnolo. Nei Tikkunei Zohar vi è inoltre l'uso di eshnogahper "sinagoga" (spagnolo esnoga=sinagoga). La frase egoz hakeshet come terminemilitare ha la sua fonte nelle lingue romanze medievali (nuez de ballesta). Visono molti esempi dell'uso della preposizione min ("da") anziché shel ("di");

be ("in") anziché im ("con"); legabbei ("in riferimento a") anziché el ("a"),tutte derivanti dall'inf~uenza della costruzione spagnola.

L'unità linguistica dello Zohar appare evidente anche in particolaricaratteristiche stilistiche che non si trovano affatto nella letteraturarabbinica, o che vi hanno un significato completamente diverso. Questecaratteristiche ricorrono in tutte le parti dello Zohar, soprattutto nelMidrash ha-Ne'lam e nel corpus principale. Esempi sono l'uso di forme sulmodello di "attivo e non attivo", non nel senso rabbinico di "semi-attivo", macon il significato di attività spirituale la cui profondità è insondabile; lacombinazione di parole con la terminazione de-kholla, ad esempio amikadekholla, nishmeta de-kholla, mafteha de-kholla; forme iperboliche del tipo diraza de-razin, temira de-temirin, hedvah de-khol hedvan, tushbahta de-khol

tushbehin; la descrizione di un'azione i cui dettagli non devono essererivelati, mediante l'uso della formula "egli fece ciò che fece"; la divisionedi un particolare argomento di certe categorie mediante l'uso di it... ve-it,ad esempio it yayin ve-it yayin, it kayiz ve-it jayiz, l'uso di endiadi (duetermini per lo stesso oggetto), ad esempio hotama de-gushpanka ("sigillo di unsigillo"), bozina di-sheraga ("luce di una luce"). In quanto alla sintesinotiamo l'uso dell'infinito all'inizio di una proposizione incidentale, anchequando il soggetto della proposizione incidentale è diverso da quello dellaproposizione principale, ad esempio: zaddikim re'uyyim le-hityasheu ha-olammehem; ihu heikhala di-rehimu le-iddebaka dakhora ne-nukba. Ciò avvieneparticolarmente nel caso di proposizioni relative e finali. Un'altra

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caratteristica sintattica è l'uso di az o kedein all'inizio delle proposizionidipendenti. Tutte queste caratteristiche sono tipiche dell'uso medievale, e inparticolare dell'ebraico dei giudei di Spagna, sotto l'influenza dello stilefilosofico, e l'autore dello Zohar le usa senza preoccuparsi del fatto checostituiscono un tardo sviluppo. Il linguaggio dialettico nelle argomentazionidei rabbini è tratto quasi esclusivamente dal Talmud babilonese, conl'aggiunta di alcuni termini presi dallo stile omiletico medievale, ad esempioit le-istakkala, it le'it'ara. Nel contesto di questa unità linguistica, lo

Zohar usa diversi mezzi stilistici con grande libertà. Qualche volta trattaun'esposizione o segue un argomento molto a lungo; e altre volte è laconico edenigmatico, oppure adotta uno stile solenne, quasi ritmico.In contrasto con la lingua usata in altre parti dello Zohar, quella di Ra'ayaMeheimna e dei Tikkunim è povera, sia dal punto di vista del vocabolario cheda quello della sintassi. Lo scrittore sta già imitando lo stesso Zohar, manon possiede l'abilità letteraria del suo autore. Il numero delle paroleebraiche tramutate in aramaiche è qui assai più rilevante che nello Zohar. Loscopo letterario dell'autore della parte principale dello Zohar è moltodiverso da quello dell'autore di questi testi particolari, che usa un ebraicomedievale quasi non camuffato; è chiaro che non intendeva fare in modo che lasua opera venisse ritenuta una creazione tannaitica. I termini Cabala eSefirot che non sono mai usati nella parte principale dello Zohar o nelMidrash ha-Ne'lam, e che anzi vengono aggirati con ogni sorta di perifrasi,qui vengono menzionati senza restrizioni.Ordine di composizione - Un esame dello Zohar secondo i criteri sopra espostimostra l'ordine di composizione degli strati principali. Le parti più antiche,relativamente parlando, sono sezioni del Midrash ha-Ne'lam, da Bereshit a LekhLekha e il Midrash ha-Ne'lam su Ruth. Erano già state scritte secondo unmodello letterario diverso, che non assegnava ancora tutto al circolo diSimeon b. Yohai ma che presentava anche Eliezer b. Hyrcanus, seguendo leHeikhalot e Pirkei de-Rabbi Eliezer, come uno dei principali eroi del pensieromistico. Questa sezione contiene la base di molti passi nel corpus principaledello Zohar, che cita affermazioni reperibili lì soltanto, e sviluppa in modopiù ampio i suoi temi, i suoi episodi e le sue idee. Non è possibile sostenereil contrario. In queste prime sezioni, non vi sono argomenti la cuicomprensione dipenda da riferimenti allo stesso Zohar, mentre ogni parte del

corpo dello Zohar, incluse 1'Idra Rabba e l'Idra Zuta, è piena di citazioni edi allusioni ad argomenti che si trovano solo nel Midrash ha-Ne'lam. Lecontraddizioni che ricorrono qua e là fra i due strati su certi punti, inparticolare su questioni relative all'anima, possono essere spiegate alla lucedell'unità esistente tra essi, come indicazioni di una evoluzione delle ideedell'autore, la cui opera scritta emerse da un profondo slancio spirituale.Alcune intuizioni dell'immaginazione creativa dell'autore e della suaevoluzione furono rese possibili dalla scoperta di una nuova sezione sulversetto "Vi siano luci nel firmamento del cielo", che è parallela ad unapresente nelle edizioni a stampa e in moltissimi manoscritti, ma chedifferisce da essa per la straordinaria concezione immaginativa dell'autore, esembra essere la prima stesura della versione stampata, che èconsiderevolmente attenuata. Questa nuova sezione esiste soltanto nel più

vecchio manoscritto dello Zohar finora conosciuto, ma fornisce la primacitazione di scritti zoharici che si trovi nella letteratura ebraica. Nelleultime due sezioni del Midrash ha-Ne'lam vi sono due riferimenti ad argomentiche si trovano solo nel corpus principale dello Zohar, la cui redazione sembraquindi iniziata a quel tempo. Nella composizione del corpus principale delloZohar avvengono cambiamenti nella tecnica letteraria, e nella transizioneall'uso esclusivo dell'aramaico, e particolarmente nella decisione di trattarein modo più ampio le idee cabalistiche dell'autore e del suo circolo. L'ordinedi composizione delle varie sezioni che formano il secondo strato fondamentalenon può essere determinato con precisione. Vi sono molti riferimentiincrociati, e noi non sappiamo se furono inseriti nella redazione finale o se

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erano presenti fin dall'inizio, sia perché si richiamavano a un testo giàscritto, sia perché accennavano a temi che l'autore intendeva riprendere inseguito. Comunque, gran parte del materiale venne scritto grazie alla spintadi un profondo entusiasmo creativo e in un periodo di tempo relativamentebreve; quindi la questione dell'ordine di composizione di questa sezione nonha un'importanza vitale. Anche dopo che l'autore ebbe smesso di lavorare sulMidrash ha-Ne'lam, che non fu mai completato, continuò occasionalmente ascrivere brani nella stessa vena e li inserì nella struttura della parte

principale dello Zohar. Questo intreccio di uno strato con l'altro, nonostantele ovvie differenze esistenti, ricorre anche tra il corpus principale delloZohar e lo strato più tardo, la cui composizione incomincia con la Ra'ayaMeheimna. Qui le differenze sono così grandi che è impossibile supporre che lostesso autore abbia scritto tanto i due primi strati quanto quello successivo.Ma tra essi vi è un legame. L'autore della parte principale dello Zoharincominciò apparentemente a comporre un'opera letteraria anonima e nonassociata a una particolare cornice letteraria o narrativa e che intendevaessere un'interpretazione delle ragioni dei comandamenti secondo le sueconcezioni. Non terminò l'opera e i resti di questa non ci sono pervenuti inuna particolare copia manoscritta. Tuttavia l'autore della Ra'aya Meheimna,che probabilmente era un discepolo dei primo scrittore, la conosceva e se neservì come punto di partenza per i suoi commenti su diversi comandamentiaggiungendo le sue intuizioni e il nuovo sfondo. Le differenze nellaconcezione e nello stile tra questi frammenti - che, quando ricorrono, sonosempre all'inizio della discussione sui comandamenti - e le parti principalidella Raaya Meheimna sono grandissime. É quasi sempre possibile determinarecon precisione il punto di transizione tra i frammenti del testo originale,che può essere assegnato allo Zohar vero e proprio, e la Ra'aya Meheimna, chefu aggiunta ad esso.Sembra che gli stessi cabalisti riconoscessero questa distinzione. Peresempio, gli stampatori dell'edizione cremonese dello Zohar effettuarono unadivisione del frontespizio in due sezioni, Pekuda e Ra 'aya Meheimna. Lepagine della Pekuda appartengono sotto ogni punto di vista al corpo principaledello Zohar. L'autore dello strato più tardo aveva idee molto diverse daquelle dell'autore del primo. Egli non esprime le sue idee a lungo come gliomilisti, ma collega gli argomenti per associazione, senza spiegare il suo

principio fondamentale.

L'autore del Midrash ha-Ne'lam e del corpo principale dello Zohar intendeva,fin dall'inizio, creare una letteratura variata in guisa di antico materialerabbinico. Non si accontentò di mettere insieme le varie sezioni che oggifanno parte dello Zohar, ma ampliò il quadro. Presentò una versione di unaraccolta di responsa geonici, in particolare quelli di Hai Gaon, e aggiunsemateriale cabalistico nello stile dello Zohar, usando particolari espressioniidiomatiche dell'aramaico zoharico, e nello stile del Midrash ha-Ne'lam,intitolando il tutto Yerushalmi o "versione Yeru.shalmi". Questa versioneriveduta e corretta cominciò a circolare più o meno contemporaneamente allostesso Zohar, allo scopo di indicare che la nuova opera era in effetti giànota ai rabbini dei tempi precedenti. Successivamente fu stampata sotto il

titolo di responsa, Sha'arei Teshuvah, e indusse in inganno non soltantomoltissimi cabalisti del XV e del XVI secolo, ma anche studiosi del XIX, iquali l'usarono come prova dell'antichità dello Zohar. Uno dei primi tracostoro fu David Luria nel suo M'amar Kadmut Sefer ha-Zohar.L'autore del Midrash ha-Ne'lam scrisse inoltre un libriccino intitolato OrhotHayyim o Zavva'at R. Eliezer ha-Gadol, interamente o strettamente legato alloZohar. É scritto in ebraico, ma ha tutti gli ingredienti linguistici e leparticolarità stilistiche dello Zohar. In quest'opera Eliezer b. Hyrcanus,prima della sua morte, che è descritta a lungo seguendo il tardo MidrashPirkei de-R. k,'liezer, rivela le vie della virtù e della buona condotta instile epigrammatico e, nella seconda parte, aggiunge una descrizione delle

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gioie dell'anima nel giardino dell'Eden, dopo la morte. Queste descrizionisono in effetti molto vicine a certe parti del Midrash su Ruth e delleporzioni Ve-Yakhel, Shelah Lekha, Balak e altre parti dello Zohar. Il libro fuconosciuto inizialmente solo nei circoli cabalistici. Fu stampato aCostantinopoli nel 1521; e di solito ognuna delle due parti veniva pubblicataseparatamente: in una la descrizione della morte e i precetti etici,nell'altra la descrizione del giardino dell'Eden. La seconda parte è inclusain Beit ha-Midrash di A. Jellinek (3 (1938), 131-40). La prima parte ricevette

un'ampia interpretazione nelle edizioni di Orhot Hayyim di due rabbinipolacchi, Abraham Mordecai Vernikovsky (Perush Dammesek Eliezer,Varsavia,1888) e Gerson Enoch Leiner (Lublino, 1903), che cercarono di provarel'antichità del libro perché era interamente basato sullo Zohar, e in praticaprovarono che le due opere erano state composte dallo stesso autore. Vi sonoinoltre alcuni motivi per ritenere che l'autore dello Zohar intendessescrivere un Sefer Hanokh su1 giardino dell'Eden e su altri argomenticabalistici, e una lunga descrizione tratta da esso è citata nel Mishkanha-Edut di Moses de Leon.

Data della composizione - I calcoli nel tempo della redenzione, che si trovanoin varie sezioni dello Zohar, confermano le conclusioni relative all'epocadella sua composizione. Questi calcoli ci assicurano, in varie forme, e permezzo di diverse interpretazioni e congetture, che la redenzione incomincerànell'anno 1300, e spiegano le diverse fasi della redenzione che portano allaresurrezione. Vi sono variazioni nei dettagli delle date precise, a secondadel tipo di tema trattato. Secondo lo Zohar erano trascorsi 1.200 anni dalladistruzione del Tempio: un secolo per ognuna delle tribù d'Israele. OraIsraele si trovava nel periodo di transizione che precedeva l'inizio dellaredenzione. Secondo queste date (1:116-9, 139b, 2:9b; vedasi A.H. Silver, AHistory of Messianic Speculation in Israel (1927), 90-92) si deve presumereche la parte principale dello Zohar e il Midrash ha-Ne lam furono scritti trail 1270 e il 1300. Calcoli simili si trovano anche nel Ra'aya Meheimna e neiTikkunim. La data basilare è sempre il 1268. Dopo questa incominceranno "lesofferenze del Messia", e Mosè apparirà e rivelerà lo Zohar all'avvicinarsidella fine del tempo. Il periodo di transizione finirà nell'anno 1313, e

allora avranno inizio le varie fasi della redenzione. Mosè, nella suaapparizione finale, non è il Messia ma il precursore del Messia: il figlio diJosef, e non il figlio di David. Sarà un uomo povero, ma ricco della Torahcabalistica. Il periodo di transizione è un periodo di affanni e di tormentiper il sacro gruppo del popolo d'Israele, rappresentato dai cabalisti, ches'impegneranno in un ardente conflitto con gli avversari e i detrattori. Lostesso Zohar è un simbolo dell'arca di Noè, per il cui mezzo essi furonosalvati dalla distruzione del diluvio. Dio si rivelò al primo Mosè tramite ilfuoco della profezia; ma al Mosè dell'ultima generazione si rivelerà nellefiamme della Torah, cioè tramite la rivelazione dei misteri della Cabala.Qualcosa di Mosè risplende su ogni saggio o giusto che in qualunquegenerazione si occupa della Torah, ma alla fine del tempo egli apparirà informa concreta quale rivelatore dello Zohar. Allusioni di questo tipo esistono

in ogni sezione dello strato più tardo.

L'autore

Secondo la chiara testimonianza di Isaac b. Samuel d'Acri, che raccolse leinformazioni contraddittorie circa l'apparizione e la natura dello Zohar neiprimi anni del secolo XIV, il libro fu pubblicato, parte per parte, e nontutto in una volta, dal cabalista spagnolo Moses b. Shem Tov de Leon, che morìnel 1305, dopo aver conosciuto Isaac d'Acri. Questo cabalista scrisse molti

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libri in ebraico che portano il suo nome, dal 1286 al 1293. Era in rapporticon numerosi cabalisti del suo tempo, inclusi Todros Abulafia e suo figlioJoseph di Toledo, uno dei capi della comunità giudaica castigliana, chesostenevano Moses de Leon. In base a quanto è stato già detto, lo Zohar con isuoi vari strati venne composto senza dubbio negli anni immediatamenteprecedenti alla sua pubblicazione, poiché è impossibile scoprire una sezioneche sia stata scritta prima del 1270. In pratica, Moses de Leon fu consideratoda alcuni colleghi di Isaac d'Acri come il vero autore dello Zohar. Quando

fece indagini ad Avila, l'ultima città in cui visse Moses de Leon, Isaacapprese che un uomo molto ricco aveva proposto di far sposare il propriofiglio con la figlia della vedova di Moses, purché questa gli desse l'anticomanoscritto originale dal quale, secondo lui, il defunto aveva copiato i testiche aveva pubblicato. Tuttavia, madre e figlia affermavano che quelmanoscritto antico non esisteva, e che Moses de Leon aveva scritto l'interaopera di sua iniziativa. Fin da allora, vi sono sempre state opinionicontrastanti sul valore di questa importante testimonianza, e non è del tuttochiara neppure la posizione dello stesso Isaac d'Acri, il cui raccontoconservato nel Sefer ha-Yuhasin di Abraham Zacuto, s'interrompe a metà egliinfatti cita passi dello Zohar in alcuni punti dei suoi libri senza troppoinsistere. Un'analisi dello Zohar non conferma la tesi che Moses de Leonrivedesse e integrasse testi e frammenti di opere antiche giunteglidall'Oriente. La questione, perciò, è se lo stesso Moses de Leon fu l'autoreil curatore e l'editore, o se un cabalista spagnolo a lui legato scrisse illibro e glielo diede da curare. Una decisione può essere presa solo in base aun confronto fra le parti dello Zohar e gli scritti ebraici di Moses de Leon,e sulla base di informazioni come le più antiche citazioni dello Zoharpervenute fino a noi. La ricerca al riguardo porta a conclusioni precise.Nelle opere tuttora esistenti di Moses de Leon, e così pure nelle più antichecitazioni dello Zohar da parte di cabalisti spagnoli tra il 1280 e il 1310 nonvi sono citazioni dalla Ra'aya Meheimna e dai Tikkunim. Si può quindi supporreche questi ultimi non fossero né composti né pubblicati da Moses de Leon. Diparticolare peso, a questo proposito, è il fatto che Moses de Leon scrisse unalunga opera sulle ragioni dei comandamenti: ma non vi è nessuna somiglianzatra il suo Sefer ha-Rimmon e la Ra'aya Meheimna. In completo contrasto conquesto, c'è il fatto che tutti i suoi scritti sono straordinariamente ricchi

di esposizioni, idee, usi linguistici e altre caratteristiche che si trovanonello Zohar, nello strato del Midrash ha-Ne'lam e nel corpo principale delloZohar, inclusi quei particolari frammenti ricordati più sopra, checostituiscono la Pekuda all'inizio di alcune sezioni della Ra'aya Meheimna.Spesso lunghe sezioni come queste, qui scritte in ebraico, non contengonoalcuna menzione del fatto che sono derivate da un'unica fonte, e spessol'autore si vanta di aver creato idee che esistono comunque tutte nello Zohar.Brevi pezzi in mezzo a una sezione più lunga sono introdotti in vari modi, emostrano il riferimento allo Zohar: "è spiegato nei Midrashim segreti";"dicono nei segreti della Torah"; "le colonne del mondo hanno discusso isegreti delle loro parole"; "io ho visto cose profonde negli scritti degliantichi"; "io ho veduto nel Yerushalmi"; "io ho veduto nei segreti delprofondo della sapienza", e così via. Citazioni come queste abbondano nei suoi

scritti, e alcune sono già presentate nella versione aramaica dello Zohar. Visono inoltre alcuni passi che non figurano nello Zohar oggi esistente, perchéquei testi particolari non sopravvissero, o perché alla fine non furonopubblicati. L'opinione di I. Tishby è che molti di essi furono introdotti soloper indicare ciò che l'autore intendeva scrivere, ma che in pratica non riuscìa trattare a lungo tali argomenti. Ma è più probabile che la maggior partedello Zohar gli fosse accessibile quando scrisse i suoi libri in ebraico.Lo stile ebraico di Moses de Leon rivela in molti particolari le idiosincrasiedell'aramaico dello Zohar accennate più sopra: e troviamo soprattutto queglierrori che sono caratteristici dello Zohar e non si riscontrano nelle opere dialtri scrittori. Egli adopera questo stile anche quando i suoi scritti non

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rispecchiano le esposizioni dello Zohar, ma esprimono le sue idee personali oaggiungono dimensioni nuove a idee contenute nello Zohar. Mostra un totalecontrollo del materiale dello Zohar e lo usa Con il fare di un uomo che siserve della sua proprietà spirituale. Lega esposizioni tratte da parti diversedello Zohar, aggiungendovi combinazioni di temi e nuove esposizioni, inperfetta armonia con lo spirito zoharico, e indicando così che il suo pensieroè indentico a quello dello Zohar. In molti casi i suoi scritti costituisconoun'interpretazione dei passi difficili dello Zohar, che cabalisti più tardi

non interpretarono letteralmente. Ogni volta che, nei suoi scritti, divergeliberamente dagli argomenti trattati nello Zohar, le variazioni non provanoaffatto che egli non comprendesse la sua "fonte". Talvolta menzionaapertamente le vere fonti letterarie che nello Zohar sono nascoste. Il lungopasso del Libro di Enoch che è citato nel suo Mishkan ha-Edut è scrittointeramente nel suo particolare stile ebraico. Certe caratteristiche che sonotipiche dello Zohar, e che lo distinguono dalle altre opere cabalistichecoeve, ricorrono nelle opere di Moses de Leon. In particolare vi sono l'usoesagerato di immagini mistiche, il simbolismo sessuale relativo alle relazionitra le Sefirot e il sorprendente interesse dimostrato per la demonologia e lamagia. Di conseguenza, non vi è ragione dl presumere che un autore ignotoscrivesse lo Zohar durante la vita di Moses de Leon e poi lo passasse aquesti. Riconoscendo Moses de Leon come autore si risolvono i problemisollevati da un'analisi dello Zohar e dalle sue opere in ebraico. Questi librifurono scritti soprattutto per preparare il terreno alla pubblicazione delleparti dello Zohar che procedevano di pari passo con quest'opera. Inparticolare il Mishkan ha-Edut (1293) è pieno di elogi per le fonti segrete sucui è basato.La soluzione della questione fondamentale dell'indentità dell'autore delloZohar ne lascia aperte molte altre: ad esempio, l'ordine di composizione dellesezioni dello strato principale e la revisione finale dello Zohar prima che isuoi testi venissero diffusi, se pure questa revisione vi fu poiché l'evidenzasembra confermare entrambe le possibilità. La questione principale cherichiede tuttora un chiarimento è la relazione tra Moses de Leon e JosephGikatilla, che in apparenza fu stretta e reciproca. Allo stesso modo dobbiamoancora risolvere il problema dell'autore del Ra'aya Meheimna, il quale, adifferenza di Moses de Leon, non lasciò altri libri che permettano di

identificarlo. Non è chiaro se altri cabalisti fossero a conoscenza del pianodi Moses de Leon e se l'aiutassero in qualche modo a realizzare il suo scopo.É chiaro invece che molti cabalisti, dopo l'apparizione del libro, siconsiderarono in diritto di scrivere opere nello stile dello Zohar e diimitarlo; una libertà che non si sarebbero presi invece con Midrashim diautenticità e antichità indiscutibili. Questo fatto dimostra che essi nonpresero sul serio lo Zohar come fonte antica, sebbene lo riconoscessero comeuna splendida espressione del loro mondo spirituale.

Manoscritti ed edizioni

Le circostanze in cui apparve lo Zohar non sono conosciute in dettaglio Iprimi testi che circolarono tra i cabalisti appartenevano al Midrashha-Ne'lam, e le prime citazioni si trovano in due libri di Isaac b. SolomonAbi Sahula, il Meshal ha-Kadmoni (Venezia, c. 1546-50) e il suo commento alCantico dei Cantici, che furono scritti nel~1281 e nel 1283 a Guadalajara,dove viveva a quel tempo Moses de Leon. É l'unico autore che conoscesse ecitasse il Midrash ha-Ne'lam prima che lo stesso Moses de Leon cominciasse ascrivere le sue opere in ebraico. Anche Todroa Abulafia possedeva quei testi,e li citò nei suoi libri. Parti del corpo principale dello Zohar circolarono apartire dalla fine del decennio 1280-90. Un esame delle citazioni dello Zoharnegli scritti coevi dimostra che: 1) gli autori ne possedevano solo parti

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isolate, quelle che avevano avuto la possibilità di procurarsi; 2) conoscevanoalcune esposizioni o parti che non appaiono nello Zohar pervenuto a noi; 3) leutilizzavano senza considerarle un'autorità suprema della Cabala. Intorno al1290 alcune parti dello Zohar sulla Torah erano note a Bahya b. Asher, chetradusse parola per parola diversi passi nel suo commento alla Torah, senzacitare la fonte, e in generale attinse largamente allo Zohar. Tuttavia, perdue volte si richiama a brevi passi sotto il nome di Midrash R. Simeon b.Yohai Altre sezioni, incluse le Idrot, erano in possesso di Gikatilla quando

questi scrisse Sha'arei Orah, prima del 1293. Dal libro anonimo Ta'ameiha-Mizvot, che fu probabilmente scritto tra il 1290 e il 1300, appare chealcuni passi erano noti all'autore. A partire dal 1300 vi è un incremento delnumero di citazioni riferite specificamente allo Zohar o al Midrash ha-Ne'lam,che talvolta venne usato come titolo dell'intera opera. I discepoli di Solomonb. Abraham Adret, che scrissero molte opere cabalistiche, citano soloraramente lo Zohar; ed è evidente che usarono una certa restrizionenell'attingervi. Anche Menahem in Italia possedeva qualche parte isolata, aquel tempo; se ne servì largamente, menzionando la fonte nel suo commento allaTorah e in Ta'amei ha-Mizvot. In quest'ultimo libro egli opera una distinzionetra lo Zohar Gadol, consistente soprattutto dell'Idra Rabba, e lo Zohar Mufla.L'origine di questa distinzione non è chiara. Recanati possedeva all'incircasolo una decima parte dello Zohar pervenuto fino a noi, ma aveva accesso aun'esposizione del mistero dei sacrifici che non esiste più. Tra gli autoriche in quel periodo (1310-30) usarono abbondantemente lo Zohar vi furonoJoseph Angelino, l'autore di Livnat ha-Sappir, e David b. Judah he-Hasid, chescrisse Mar'ot ha-Zové ot, Sefer ha-Gevul e Or Zaru'a.La posizione relativa alle prime citazioni trova corrispondenza nella nostraconoscenza dei più antichi manoscritti dello Zohar. Non circolavanomanoscritti completi e ben ordinati, ed è dubbio che siano mai esistiti. Imistici che s'interessavano allo Zohar si preparavano raccolte con i testi cheriuscivano a procurarsi; di qui le grandi differenze nel contenuto dei primimanoscritti. Un esempio d'una raccolta del genere è il manoscritto Add. 1023di Cambridge, il più vecchio che si conosca. Contiene materiale che servì acompletare un'altra antologia, oggi perduta, e include quelle parti delloZohar che il compilatore riuscì a procurarsi. Il manoscritto risale all'ultimoterzo del XIV secolo e contiene una porzione completa, altrimenti sconosciuta

del Midrash ha-Ne'lam che era nota anche a Isaac ibn Sahula (vedasi piùsopra). Il manoscritto Vaticano 202, che è di poco precedente, contiene soloframmenti isolati dello Zohar. Nel secolo XV, già venivano compilatimanoscritti che contenevano la maggior parte delle porzioni dello Zohar, matalvolta omettevano intere sezioni, ad esempio le Idrot, la Sava, eccetera.Le differenze tra i manoscritti dello Zohar e le edizioni a stampa stannosoprattutto nel campo dell"ortografia (parole che sono quasi tutte scritteplene nei manoscritti e nelle prime citazioni) e nel numero relativamenteelevato dei romanismi, che in seguito furono eliminati; nell'uso più ampiodella preposizione bedil anziché begin; e nell'alterazione delle formegrammaticali del Targum e del Talmud babilonese. Vi sono molte differenze neltesto basico, ma sono relativamente poco importanti, e di solito le lezionidiverse di questo tipo vengono date tra parentesi nelle successive edizioni a

stampa. Vi sono anche manoscritti del Sefer Tekkunim del XV secolo, come Ilmanoscritto di Parigi 778. La Ra'aya Meheimna esiste in manoscritti separati,ma piuttosto tardi. A partire dal 1400 l'autorità dello Zohar fu riconosciutapiù ampiamente nei circoli cabalistici, e le critiche che si erano levate quae là nel XIV secolo (ad esempio, Joseph ibn Waqar scrisse: "lo Zohar contienemolti errori da cui bisogna guardarsi per non lasciarsi fuorviare") sispensero. A quell'epoca la diffusione e l'influenza dello Zohar eranocircoscritte soprattutto alla Spagna e all'Italia: e solo molto lentamenteraggiunse le terre degli ashkenazi in Oriente. L'elevazione dello Zohar a unaposizione di santità e di autorità suprema venne durante e dopo il periododell'espulsione dalla Spagna, e raggiunse il culmine nel XVI e nel XVII

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secolo.Lo Zohar fu stampato in mezzo ad una accanita controversia tra coloro che siopponevano alla pubblicazione, tra i quali figuravano alcuni importanticabalisti, e i suoi fautori (si veda la Parte Prima del presente volume). Leprime due edizioni dello Zohar furono pubblicate da stampatori concorrenti indue città vicine, Mantova (1558-60) e Cremona (1559-60). Anche 7'ikkuneiha-Zohar fu pubblicato a Mantova nel 1558. I curatori delle due edizioniusarono manoscritti diversi: di qui le differenze nell'ordine e nelle lezioni

specifiche. Immanuel di Benevento, che curò il testo di Mantova, usò diecimanoscritti dai quali ricavò la sua edizione, e scelse il testo che ritennemigliore. Tra i correttori di Cremona c'era Vittorio Eliano, il nipoteapostata del grammatico Elija Levita (Bahur): essi usarono sei manoscritti. LoZohar mantovano fu stampato in tre volumi in scrittura Rashi, mentre lo Zoharcremonese era in un unico grosso volume, in scrittura quadrata. Entrambicontengono un gran numero d'errori di stampa. Entrambi includono il Ra'ayaMeheimna, ma divergono nella collocazione delle diverse mizvot. Riferendosialle dimensioni, i cabalisti chiamarono queste due edizioni Zohar Gadol("Zohar grande") e Zohar Katan ("Zohar piccolo''). Lo Zohar Gadol furistampato altre due volte nella stessa forma, a Lublino nel 1623 e a Sulzbachnel 1684. I cabalisti polacchi e tedeschi, fin verso il 1715, usaronogeneralmente lo Zohar Gadol. Tutte le altre edizioni seguono il prototipomantovano. Nel complesso, lo Zohar venne stampato più di 65 volte e Tikkuneiha-Zohar quasi 80. La maggior parte delle edizioni proviene dalla Polonia edalla Russia, ma ve ne sono anche stampate a Costantinopoli, a Salonicco,Smirne, Livorno, Gerusalemme e Djerba. Nelle edizioni più tarde furonoaggiunte le varianti delle lezioni del testo di Cremona e furono correttimolti errori di stampa. Inoltre furono aggiunte varianti e lezioni dalmanoscritto dei cabalisti di Safed, indicazioni di fonti bibliche eintroduzioni. Lo Zohar fu stampato due volte a Livorno con un testovocalizzato (erroneamente). Le sezioni dei manoscritti di Safed che non sitrovano nell'edizione mantovana furono, escluso il Midrash ha-Ne'lam su Ruth,stampate insieme in un volume a Salonicco nel 1596, che nelle edizionisuccessive venne chiamato Zohar Hadash. Le migliori sono quelle di Venezia,1659, e di Munkacs, 1911. Tutte le sezioni dello Zohar furono inclusenell'edizione completa di Yehudah Ashlag, Gerusalemme, 1945-58, in 22 volumi,

con una traduzione ebraica e le varianti testuali delle precedenti edizioni.Tikkunei ha-Zohar incominciò ad apparire nel 1960, e la pubblicazione non èstata ancora completata. Non esiste un'edizione critica basata sui primimanoscritti.

Commenti

L'importanza fondamentale dello Zohar nell'evoluzione della Cabala e nellavita della comunità ebraica si può vedere grazie all'immensa letteraturaesegetica e al gran numero dei manuali. In maggioranza, questi commenti nonsono stati stampati, in particolare quello di Moses Cordovero, Or haYakar, del

quale sono apparsi sinora sette volumi (Gerusalemme, 196Z-73); una versionecompleta esiste nella biblioteca di Modena in 16 grossi volumi; e i commentidi Elijah Loans di Worms, Adderet Eliyahu, e Zafenat Pa'ne'ah, a Oxford inquattro grossi volumi di mano dell'autore. I primi commenti allo Zohar nonsono pervenuti fino a noi. Sebbene Menahem Recanati menzioni il suo commentoin Ta'amei ha-Mizvot, la maggior parte dei commenti è basata sulla Cabalalurianica e non ci aiuta molto a comprendere lo stesso Zohar, ad esempio ZoharHai di Isaac Eizik Safrin di Komarno, che fu stampato nel 1875-81 in cinquevolumi, e Dammesek Eliezer di suo figlio Jacob Moses Safrin, che fu stampatoin sette volumi nel 1902-28 Il commento più importante per una maggiorecomprensione letterale dello Zohar è Ketem Paz di Simeon Labi di Tripoli

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(scritto intorno al 1570), del quale è stata stampata solo la sezione sullaGenesi (Livorno, 1795); ma anch'esso molto spesso diverge dal significatoletterale e offre interpretazioni fantasiose. Al secondo posto, in ordined'importanza, figura Or ha-Hammah, una compilazione di Abraham b. MordecaiAzulai, che include un compendio del commento di Cordovero, il commento diHayyim Vital scritto complessivamente prima che studiasse con Luria, e Yare'ahYakar, un commento di Abraham Galante, uno dei discepoli di Cordovero. Azulaiordinò questi commenti in corrispondenza con ogni pagina del testo dello Zohar

originale. L'intera opera fu stampata con il titolo Or ha-Hammah in quattrovolumi a Przemysl nel 1896-98, e rispecchia la scuola di Cordovero. Uncommento molto noto, per metà letterale e per metà lurianico, è Mikdash Melekhdi Shalom Buzaglo, un rabbino marocchino del XVIII secolo; fu stampato incinque volumi ad Amsterdam nel 1760, e in seguito fu ristampato diverse volte.Fu pubblicato insieme allo Zohar a Livorno nel 1858. Il commento, Ha-Sullam,nell'edizione dello Zohar curata da Yehudah Ashlag, è in parte una traduzionee in parte un'esposizione. Questi commenti non considerano lo Zohar inconfronto al materiale precedente della letteratura rabbinica o ad altre operecabalistiche. I commenti del Gaon Elijah di Vilna sono importanti: Yahel Or eil commento al Sifra de-Zeni uta, caratterizzato dalla metodologiacomparativa. Entrambi furono stampati insieme a Vilna nel 1882. Tra i molticommenti a Tikkur7vei Zohar, vanno ricordati Kisse Melekh di Shalom Buzaglo eBe'er la-Hai Ro'i di Zevi Shapira (stampato a Munkacs, 1903-21), tre dei cuivolumi coprono solo, all'incirca, metà del libro.Tra gli ausili allo studio dello Zohar i più utili sono Yesh Sakhar, unaraccolta delle leggi nello Zohar, di Issachar Baer di Kremnitz (Praga, 1609)Sha'arei Zohar, una chiarificazione delle affermazioni zohariche tramite laloro relazione con Talmud e Midrash, esposte nell'ordine dei trattati e deiMidrashim, di Reuben Margulies (Gerusalemme, 1956); una raccolta diaffermazioni zohariche sui Salmi, di Moses Gelernter (Varsavia, 1926), eMidrashei ha-Zohar Leket Shemu'el di S. Kipnis, in tre volumi (Gerusalemme,1957-60), una raccolta di affermazioni zohariche sulla Bibbia, conspiegazioni. Gli indici dei temi dello Zohar si trovano in Maftehot ha-Zoharordinati da Israel Berekhiah Fontanella (Venezia, 1744) e in Yalkut haZohar diIsaiah Menahem Mendel (Priotrikov, 1912).

Traduzioni

Il problema di tradurre lo Zohar in ebraico era già sorto tra i cabalisti delXIV secolo. David b. Judah he-Hasid tradusse in ebraico quasi tutte lecitazioni tratte dallo Zohar e riportate nei suoi libri. Secondo AbrahamAzulai, Isaac Luria aveva "un libro dello Zohar tradotto nella lingua sacra daIsrael al-Nakawa", l'autore di Menorat ha-Ma'or, in cui tutte le citazionidallo Zohar, sotto il nome di Midrash Yehi Or, sono in ebraico. Neimanoscritti vaticani dello Zohar (n. 62 e 186), parecchie sezioni sono statetradotte in ebraico nel XIV o nel XV secolo. Secondo Joseph Sambari, JudahMas'ud tradusse lo Zohar in ebraico nel XVI secolo. Una traduzione dello

Zohar, edizione cremonese, datata 1602, esiste nel manoscritto di Oxford 1561,ma i passi più esoterici sono omessi; il traduttore fu Barkiel CafmanAshkenazi. La parte sulla Genesi di questo lavoro fu stampata da OyadiahHadavh (Gerusalemme, 1946). Nel secoloXVII Samuel Romnerdi Lublino tradusseuna vasta parte dello Zohar con il titolo Devarim Attikim (Dembitzer, KelilatYofi, 2 (1960), 25a); la traduzione esiste tuttora nel manoscritto di Oxford1563, con autorizzazioni rabbiniche datate 1747, il che dimostra che c'eral'intenzione di farla stampare. Secondo Eliakim Milsahagi di Brody, intorno al1830, in Zohorei Ravyah (manoscritto di Gerusalemme), egli tradusse in ebraicol'intero Zohar, e a giudicare dal suo stile eccellente dovette trattarsi dellapiù bella traduzione mai realizzata; oggi tuttavia è andata perduta insieme a

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gran parte dei suoi studi separati sullo Zohar. Nel XX secolo ampie sezionisulla Torah furono tradotte da Judah Rosenberg in Zohar Torah in cinquevolumi; e così pure dello Zohar sui Salmi e le Megillot in due volumi (NewYork,1924-25; Bilgoraj,1929-30). Questa traduzione è priva di qualitàletterarie. Lo scrittore ebreo Hillel Zeitlin incominciò a tradurre lo Zohar,ma poi non continuò. La prefazione allo Zohar, nella sua versione, fu stampatain Metsudah (Londra, 1 (1943), 36-82). Una traduzione completa ed estremamenteletterale (ma non priva di numerosi equivoci testuali) è contenuta

nell'edizione dello Zohar curata da Yehudah Ashlag. Molti pezzi scelti furonotradotti in stile meticoloso ed eccellente da F. Lachover e I. Tishby, inMishnat ha-Zohar (2 vol. 1957-61).Prima ancora che lo Zohar venisse stampato, il mistico francese G. Postelaveva preparato una traduzione latina della Genesi e del Midrash su Ruth, checi è pervenuta in forma manoscritta, al British Museum e a Monaco. Laprefazione fu pubblicata da F. Secret. Il mistico cristiano Chr. Knorr vonRosenroth fece anch'egli una traduzione latina di varie parti importanti,soprattutto le Idrot e - il Sifra de-Zeni'uta, nella sua voluminosa operaKabbala denudata (Sulzbach, 1677; Francoforte, 1684), e moltissime dellecitazioni tratte dallo Zohar o dalle traduzioni di tali brani che apparvero inaltre lingue europee furono prese da qui, insieme a tutti gli errori del primotraduttore, per esempio nelle opere di S.L. Mathers, The Kabbalah Unveiled(1887); Paul Vulliaud, Traduction intégrale du Siphra de-Tzeniutha (1930). Unatraduzione francese dei tre volumi delle edizioni standard dello Zohar fupreparata da Jean de Pauly (il nome assunto da un ebreo battezzato dellaGalizia); ma è piena di distorsioni e di alterazioni ed è accompagnata da ungran numero di false citazioni testuali, che spesso rimandano a libri che nonle contengono affatto o a libri mai esistiti. La traduzione fu corretta da unerudito ebreo che conosceva il Talmud e il Midrash; ma non eliminò gli errorinel campo della Cabala, che egli non comprendeva. La traduzione, Sepher haZohar (Le Livre de la Splendeur) Doctrine ésotérique de Israélites traduit...par Jean de Pauly, fu stampata magnificamente in sei volumi a Parigi (190611).Una traduzione inglese della parte principale dello Zohar, con l'omissionedelle sezioni che ai traduttori apparivano opere separate o aggiunte, fu TheZohar, curato da Harry Sperling e Maurice Simon, pubblicato in cinque volumi aLondra (1931-34). La traduzione è in buono stile, ma risente della

comprensione incompleta o errata di molte parti dell'esposizione cabalistica.Un'antologia tedesca di molte citazioni caratteristiche dello Zohar fu curatada Ernst Mueller, ovviamente influenzato dagli insegnamenti di Rudolph Steiner(Der Sohar, das heilige Buch der Kabbala, 1932).

Ricerche critiche

Le ricerche erudite sullo Zohar non ebbero inizio con i cabalisti, che pureerano profondamente interessati ai suoi insegnamenti: essi accettavanoacriticamente il romantico sfondo letterario del libro come se fosse unaverità storica. Gli avversari ebrei della Cabala espressero dubbi circa laveracità di questo sfondo già dalla fine del XV secolo, ma non effettuaronoindagini approfondite. L'interesse dei cristiani per lo Zohar, all'inizio, non

fu erudito bensì teologico. Molti ritenevano che vi avrebbero trovato confermeper varie concezioni cristiane, e realizzarono una "Cabala cristiana";moltissimi scritti, fino alla metà del XVIII secolo, rispecchiano questospirito. A questi tentativi non è possibile attribuire un valore critico. Laprima opera critica fu Ari Nohem di Leone Modena (1639), che poneva indiscussione l'autenticità e l'antichità dello Zohar dal punto di vista dellinguaggio e di altri aspetti; tuttavia egli non intraprese uno studiodettagliato. Il libro fu stampato nel 1840 (Lipsia), ma la sua diffusione inmanoscritto destò la collera dei cabalisti, che vedevano in ogni tentativocritico un attacco al sacro e che reagirono a questo e ad altri librisuccessivi dello stesso tipo con un numero considerevole di opere in difesa

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dello Zohar, ma tutte di scarso valore storico. La critica di Leone Modena fustimolata anche da una polemica contro certe affermazioni della Cabalacristiana, mentre quella di Jacob Emden era connessa alla lotta contro glishabbatei, i quali si spinsero molto lontano nell'eresia nelle lorointerpretazioni dello Zohar. In Mitpahat Sefarim (Altona, 1768), Emdenconcludeva, in base a un gran numero di errori specifici contenuti nelloZohar, che molte sezioni, e in particolare il Midrash ha-Ne'lam, erano tarde,sebbene ritenesse comunque che il corpo principale del libro avesse fondamenta

antiche. I maskilim lo seguirono, soprattutto Samuel David Luzzatto nel suoVikku 'ah al Hokhmat ha-Kabbalah ve-al Kadmut Sefer ha-Zohar ("Un argomentorelativo la sapienza della Cabala e l'antichità dello Zohar" (1827), stampatoa Gorizia, 1852). Il libro di Emden e quello di Luzzatto provocarono diverserisposte che cercavano di risolvere le questioni in essi sollevate, inparticolare Ben Yohai di Moses Kunitz (Vienna, 1815) e Ta'am le-Shad di EliaBenamozegh (Livorno, 1863). Le indagini profonde compiute da Eliakim Milsahagiin diversi libri dedicati allo Zohar avrebbero favorito assai di storica sefossero stati stampati e se non fossero rimasti manoscritti. Eliakim Milsahagiera di gran lunga superiore a molti degli scrittori venuti dopo di lui. Di luirimangono solo poche pagine nel Sefer Ravyah (Ofen, 1837) e la suaintroduzione Zohorei Ravyah (manoscritto nella Biblioteca Nazionale,Gerusalemme). I grandi studiosi ottocenteschi del Giudaismo, Zunz,Steinschneider e Graetz si spinsero più oltre di Jacob Emden e videro lo Zoharcome un prodotto del XIII secolo. M.H. Landauer tentò di provare che lo Zoharera stato scritto da Abraham Abulafia, e A. Jellinek rivolse nuovamentel'attenzione a Moses de Leon. A. Frank e D:H. Joel discussero sel'insegnamento dello Zohar fosse di origine ebraica o straniera, e un'eco diquesto tipo di controversia si ripercosse in quasi tutta la letteratura deimaskilim, le cui conclusioni generali erano basate su una scrupolosaattenzione per i dettagli ed erano inficiate dalla debolezza di molteargomentazioni. Data la mancanza di una precisa indagine critica, gli studiosidecisero di risolvere il problema dello Zohar secondo le loro concezionisoggettive, e la convinzione più diffusa fu che lo Zohar fosse la creazione dimolte generazioni, ordinata e revisionata solo nel XIII secolo. Vi erano anchequelli che ammettevano che Moses de Leon avesse avuto una parte più o menorilevante nella revisione e nel riordinamento. I risultati dei numerosi studi

di G. Scholem e di I. Tishby, basati su ricerche dettagliate, non suffraganoqueste teorie, e portano alle conclusioni riassunte più sopra. Non vi è dubbioche la ricerca critica sullo Zohar è appena incominciata e si svilupperà inconcomitanza con la ricerca sulla storia della Cabala del XIII secolo ingenerale. Nella bibliografia sono elencate opere che rispecchiano vari puntidi vista.

2SHABBETAI ZEVI E ILMOVIMENTO SHABBATEO

I precedenti del movimento

Lo shabhateanismo fu il più vasto e importante movimento messianico dellastoria ebraica dopo la distruzione del Tempio e la rivolta di Bar Kokhba. Ifattori che diedero origine alla sua straordinaria diffusione e al suo fascinoprofondo sono due. Da una parte c'erano le condizioni generali del popoloebraico in esilio, e le speranze di una redenzione politica e spiritualenutrite dalla tradizione religiosa ed esaltate nel pensiero ebraico, che inogni epoca costituì un terreno fecondo per la fioritura di movimentimessianici miranti a introdurre la rendenzione. D'altra parte, vi erano lecondizioni specifiche che contribuirono allo slancio del movimento, iniziatonel 1665. Politicamente e socialmente, la posizione degli ebrei nei vari paesidella Diaspora era ancora in sostanza la stessa; con pochissime eccezioni,

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essi continuavano il loro modo di vita specifico, separato dalle societàcristiane e musulmane in cui vivevano, affrontando persecuzioni e umiliazioniad ogni nuova svolta politica, nella costante coscienza della loroinsicurezza.La grande ondata di persecuzioni antiebraiche in Polonia e in Russia, che ebbeinizio con i massacri di Chmielnicki nel 1648, colpì profondamente gli ebreiashkenazi ed ebbe vaste ripercussioni, soprattutto a causa del grande numerodi prigionieri in molti paesi, il cui riscatto portò a vivaci agitazioni. Poco

dopo questo disastro venne la guerra russo-svedese (1655), che investì le areedove erano insediati gli ebrei polacchi non travolti dagli attacchi diChmielnicki. Per quanto questi fattori fossero indubbiamente importanti per lanascita di speranze messianiche tra gli ebrei polacchi, non sono sufficientiper spiegare quanto accadde, e sicuramente le condizioni locali predominantiin varie parti della Diaspora contribuirono in misura notevole. Tuttavia ilclima politico e gli eventi sociali sono soltanto una parte della storia.Il fattore centrale e unificante alla base del movimento shabbateo ebbe naturareligiosa, connessa alla profonda metamorfosi causata nel mondo religioso delGiudaismo dal rinnovamento spirituale incentrato a Safed nel XVI secolo. Ilsuo elemento decisivo fu l'assurgere della Cabala a una posizione dominantenella vita ebraica, particolarmente in quei circoli sensibili a nuovi impulsireligiosi che formavano il settore più attivo delle comunità ebraiche. Lanuova Cabala che si irradiava da Safed, soprattutto nelle forme lurianiche,sposava concetti sorprendenti alle idee messianiche. Si potrebbe dire che ilmessianesimo pervase il misticismo, introducendo così un nuovo elemento ditensione nella vecchia Cabala, che aveva un carattere assai più contemplativo.La Cabala lurianica proclamava un intimo legame tra l'attività religiosadell'ebreo che mette in atto i comandamenti della legge, le meditazioni per lapreghiera e il messaggio messianico. L'essere è in esilio dall'inizio dellacreazione, e il compito di riportare ogni cosa al suo posto è stato assegnatoal popolo ebraico, il cui fato storico simboleggia lo stato dell'universo ingenerale. Le scintille della Divinità sono disperse dovunque, come lescintille dell'anima originale di Adamo; ma sono tenute prigioniere dallakelippah, la forza del male, e devono essere redente. Questa redenzionefinale, tuttavia, non può essere realizzata mediante un unico atto messianico,ma si compirà tramite una lunga catena di attività che preparano la via. Ciò

che i cabalisti chiamavano "restaurazione" (tikkun) comportava sia il processomediante il quale gli elementi infranti del mondo sarebbero stati riportatiall'armonia - che è il compito essenziale del popolo ebraico, sia il risultatofinale, lo stato di redenzione annunciato dall'apparizione del Messia, chesegna l'ultima fase. La liberazione politica e tutto ciò che il mito nazionalecollegava ad essa, erano visti come simboli esterni di un processo cosmico cheha luogo nei recessi segreti dell'universo. Non era previsto alcun conflittotra il contenuto nazionale e politico tradizionale dell'idea messianica e lanuova nota mistica e spirituale che questa acquisiva nella Cabala lurianica.Coloro che erano sensibili alla teologia cabalistica del Giudaismo - ed eranonumerosi - concentravano la loro attività sul fine di affrettare l'arrivo del"mondo del tikku" mediante una vita ascetica che, sebbene in stretta armoniacon i dettami della legge, era permeata di un messianismo virtuale.

Questo messianismo, tuttavia, non era una speranza astratta per un futurolontano; ciò che fece del lurianismo un fattore dinamico nella storia ebraicafu la proclamazione che quasi tutto il processo di restaurazione era statocompletato e che la redenzione finale era imminente. Restavano da superaresolo le ultime fasi, e poi sarebbe venuta la redenzione.Via via che acquisivano un maggiore ascendente e pervenivamo a dominare lavita religiosa, le idee come queste diventavano un catalizzatole comune peruno slancio acuto di fervore messianico. In pratica, la Cabala lurianicadivenne un fattore dominante solo intorno al 1630-40 e l'ideologia delmovimento shabbateo è strettamente connessa a questi sviluppi. Il fatto che ilmovimento esercitasse un'influenza travolgente su centri della Diaspora molto

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diversi, come Yemen e Persia, Turchia e Africa settentrionale Balcani, Italiae comunità ashkenazi, può essere spiegato solo dal fatto che l'intensapropaganda del lurianismo aveva creato un clima favorevole allo scatenarsidelle energie messianiche destate dalla vittoria della nuova Cabala. Fu perquesta ragione che luoghi come Amsterdan, Livorno e Salonicco, dove gli ebreivivevano relativamente liberi da ogni forma di oppressione, divenneroegualmente crogioli del movimento e centri di attività shabbatea.

Primi anni e personalità di Shabbetai Zevi

La figura dell'uomo che fu il centro del movimento è inaspettata esorprendente. Oggi la sua biografia è una delle meglio documentate tra quelledi tutti gli ebrei che ebbero un ruolo importante nella storia del loropopolo. Shabbetai Zevi nacque a Smirne (Ismir) il nove di Av del 1626 (a menoche la data sia stata alterata per conformarla alla tradizione secondo laquale il Messia sarebbe nato nell'anniversario della distruzione del Tempio).Suo padre, Mordecai Zevi, veniva dal Peloponneso (Patrasso?), probabilmente dauna famiglia d'origine ashkenazi; da giovane si stabilì a Smirne, doveall'inizio fu un modesto mercante di pollame, e più tardi divenne agente dicommercianti olandesi e inglesi. Il grande sviluppo economico di Smirne inquegli anni lo arricchì, e i fratelli di Shabbetai Zevi, Elijah e Joseph,furono effettivamente ricchi mercanti. Le sue doti furono riconosciute moltopresto, e perciò egli venne destinato dalla famiglia a diventare un hakham, unmembro dell'élite rabbinica. Studiò con Isaac de Alba, e più tardi con il piùillustre rabbino di Smirne a quel tempo, Joseph Escapa; sembra che venisseordinato hakham a circa 18 anni. Aveva una eccellente preparazione talmudica,e neppure i suoi detrattori più accaniti lo accusarono mai di essereignorante. Secondo una fonte, a 15 anni lasciò la yeshivah, incominciando unavita di solitudine e di astinenza e studiando senza l'aiuto di insegnanti.Emotivamente era molto attaccato alla madre e fin da giovanissimo ebbeun'intensa vita interiore. Avviatosi sulla via dell'ascetismo, fu assediato datentazioni sessuali, di cui ci sono giunte notizie. Durante l'adolescenzaintraprese lo studio della Cabala, concentrandosi soprattutto sullo Zohar, il

Sefer ha-Kanah e il Sefer ha-Peli'ah. Acquisì una considerevole conoscenzacabalistica e attrasse intorno a sé altri coetanei che studiavano con lui.Tra il 1642 e il 1648 visse in semi-isolamento. In questo periodo incominciò

a mostrare un carattere che corrisponde in larga misura a quello che i manualipsichiatrici descrivono come un caso estremo di ciclotimia o di psicosimaniaco-depressiva. Fasi di profonda depressione e di malinconia sialternavano ad altre d'esaltazione maniaca e di euforia, inframmezzate daintervalli di normalità. Questi stati, abbondantemente documentati in tutta lasua vita, persistettero fino alla fine. In seguito furono descritti dai suoiseguaci in termini non psicopatologici bensì teologici, come "illuminazione" e"caduta" o "occultamento della faccia" (lo stato in cui Dio gli nasconde ilproprio volto). Lo squilibrio mentale portò in primo piano un trattoessenziale del suo carattere: durante i periodi d'illuminazione, egli si

sentiva spinto a commettere atti contrari alla legge religiosa, chiamati piùtardi ma aslm zarim ("azioni strane o paradossali"). Il contenuto di taliazioni cambiava di volta in volta, ma erano tutte pervase da una predilezioneper i rituali strani e bizzarri e per le innovazioni improvvise. Vi era unacostante in questi stati di esaltazione: l'inclinazione a pronunciare il NomeIneffabile di Dio, il Tetragrammaton proibito dalla legge rabbinica. Neiperiodi di malinconia, che avevano durata irregolare, si ritirava da ognicontatto umano e, nella solitudine, lottava con le potenze demoniache da cuisi sentiva attaccato e in parte sopraffatto. Non si conosce quando ebbe iniziola malattia, ma al più tardi questo avvenne nel 1648, quando giunse a Smirnela notizia dei massacri di Chmielnicki. Cominciando a proferire in pubblico il

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Nome di Dio, forse si proclamò Messia per la prima volta. Dato che i suoidisturbi mentali erano noti, nessuno lo prese sul serio, e il suocomportamento causò soltanto uno scalpore passeggero. Sembra che le suestravaganze suscitassero pietà più che antagonismo. Tra il 1646 e il 1650contrasse a Smirne due matrimoni che non furono consumati e si conclusero condue divorzi. Nella sua città natale era considerato un po' un pazzo e un po'uno sciocco; ma poiché aveva un aspetto gradevole, doti musicali e una voceparticolarmente bella, si fece numerosi amici, anche se questi non aderirono

alle sue speculazioni cabalistiche. In generale si ammette che esercitasse unforte magnetismo personale. In quegli anni incominciò a parlare di unparticolare "mistero della Divinità" che gli era stato rivelato mediante lesue lotte spirituali. Parlava spesso del "I)io della sua fede", con il qualesentiva un legame particolarmente intimo. Non è chiaro se intendesse riferirsisolo alla Sefirah Tiferet (vedasi Cabala), che egli vedeva come lamanifestazione essenziale di Dio, oppure una potenza superna che si rivestivanella Sefirah. Comunque, nel suo linguaggio il termine Elohei Yisrael ("il Diod'Israele") assunse uno speciale significato mistico. La pulsione a violare lalegge, negli stati illuminati che talvolta erano accompagnati da immaginarieesperienze di levitazione, e il fatto che più volte sostenesse di essere ilMessia, alla fine indussero i rabbini, incluso il suo maestro Joseph Escapa, aintervenire: intorno al 1651-54 lo bandirono da Smirne.Per diversi anni Shabbetai Zevi vagò per la Grecia e la Tracia, sostando alungo a Salonicco, dove si fece molti amici. Ma anche il suo soggiorno siconcluse disastrosamente quando, in uno dei suoi stati esaltati, celebrò unservizio nuziale cerimoniale sotto il baldacchino con la Torah, e commisealtri atti che furono considerati intollerabili. Espulso dai rabbini, nel 1658si recò a Costantinopoli, dove trascorse nove mesi. Là fece amicizia con ilfenomeno cabalista David Habillo (m. 1661), emissario della comunità diGerusalemme. Durante questo periodo fece un primo tentativo di liberarsi dalleossessioni demoniache per mezzo della Cabala pratica. D'altra parte, duranteuno dei suoi periodi estatici, non soltanto celebrò in una sola settimana letre feste di Pasqua, Shavuot e Sukkot, un comportamento destinatoinevitabilmente a suscitare ostilità, ma arrivò a proclamare l'abolizione deicomandamenti e a pronunciare una benedizione blasfema a "Colui che permette ilproibito". Espulso ancora una volta, ritornò a Smirne, dove rimase fino al

1662, mettendosi poco in vista e attraversando un lungo periodo di profondamalinconia. Nel 1662 decise di stabilirsi a Gerusalemme e vi si recò passandoda Rodi e dal Cairo, dove stabilì molti contatti. In tutto questo periodo nonvi è traccia di agitazioni messianiche intorno a lui, e il suo comportamentocordiale e dignitoso durante le fasi di normalità e la sua erudizionerabbinica e cabalistica ne fecero un personaggio rispettato. Alla fine del1662 arrivò a Gerusalemme, dove rimase per circa un anno, visitando i luoghisacri e le tombe dei santi. I suoi genitori morirono più o meno a quel tempo(la madre, forse, anche prima). Sembra che si facesse un gran parlare del suostrano carattere e delle sue crisi di comportamento scandaloso, che però eranocontrobilanciati da un tenore di vita ascetico. In un'improvvisa situazioned'emergenza, nell'autunno 1663, fu inviato in Egitto come emissario per contodi Gerusalemme, e svolse la missione con discreto successo. Rimase al Cairo

fino alla primavera del 1665, e si legò al circolo di Raphael Joseph Chelebi,il capo della comunità ebraica egiziana, che aveva una viva simpatia per letendenze ascetiche e cabalistiche.Di tanto in tanto le fantasie messianiche di Shabbetai Zevi riapparivano, ed èprobabile che in una di queste illuminazioni decidesse di sposare Sarah, unaragazza ashkenazi di dubbia reputazione che era arrivata sola dall'Italia oche venne chiamata per iniziativa di Shabbetai Zevi, quando egli ne sentìparlare da visitatori italiani. Sarah era rimasta orfana durante i massacridel 1648 in Podolia e raccontava storie bizzarre su se stessa e su un nobilepolacco che l'aveva allevata. Dopo alcuni anni trascorsi ad Amsterdam si eratrasferita in Italia, dove prestava servizio presso famiglie e istituzioni

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ebraiche a Mantova. Le voci che la presentavano come una donna di facilicostumi la precedettero, e continuarono anche più tardi, nella cerchia intimadegli ammiratori di habbetai Zevi. Forse influenzato dall'esempio del profetoOsea che aveva sposato una prostituta, habbetai Zevi sposò Sarah al Cairo il31 marzo 1664. Nell'inverno 1664-6fi, però, turbato dalle violazioni dellalegge che continuava a commettere, egli cercò di esorcizzare i suoi demoni;perciò (secondo la sua testimonianza, riportata da fonte attendibile) chiese aDio di liberarlo dagli stati anormali ed entrò nel periodo di stabilità.

L'inizio del movimento shabbateoLe peripezie della vita di Shabbetai Zevi incominciarono con la notizia che aGaza era apparso un uomo di Dio, che rivelava a ciascuno la radice segretadella sua anima ed era in grado di dare a ogni persona la formula particolareper il tikkun necessario alla sua anima. Quando si diffuse la storia deipoteri di Nathan di Gaza (vedasi p. 437), Shabbetai Zevi "abbandonò la suamissione e si recò a Gaza, per trovare un likkun e la pace per la sua anima",come dice il primo documento giunto fino a noi sull'inizio del movimento.Verso la metà d'aprile del 1665 arrivò a Gaza, per visitare quel medicodell'anima; nel frattempo questi aveva avuto (nel febbraio 1665) una visionestatica di Shabbetai Zevi quale Messia, ispirata senza dubbio dalle storie sulsuo conto che aveva udito a Gerusalemme, dove Nathan aveva studiato nel 1663con Jacob Hagiz. Queste storie e la figura dell'uomo che il ventenne Nathanaveva spesso visto nel quartiere ebraico di Gerusalemme si erano impressenella sua mente e si erano cristallizzate nella nuova visione quando avevaintrapreso lo studio della Cabala a Gaza. Invece di guarire Shabbetai Zevi deisuoi disturbi, Nathan cercò di convincerlo che era il vero Messia. ShabbetaiZevi all'inizio rifiutò di dargli ascolto, ma lo accompagnò in unpellegrinaggio in alcuni luoghi sacri di Gerusalemme e di Hebron; e durante ilpellegrinaggio discussero le loro visioni. Nathan, un giovane e noto rabbino,fu il primo a riconoscere indipendentemente i sogni messianici di ShabbetaiZevi e a spiegare il rango e la natura dell'anima del Messia nello schemacabalistico della creazione. I due tornarono a Gaza all'inizio di Sivan (metàmaggio). Secondo una versione, stavano celebrando la notte di Shavuot in casa

di Nathan insieme a un gruppo di rabbini, quando Nathan cadde in trance eannunciò ai presenti l'alto rango di Shabbetai Zevi; secondo un'altraversione, questo avvenne in assenza di Shabbetai, che aveva avuto uno dei suoiattacchi di malinconia e non era presente. Più o meno in quel tempo, Nathanprodusse un testo apocrifo, attribuito a un certo Abraham he-Hasid,contemporaneo del famoso Judah he-Hasid, che profetizzava l'apparizione diShabbetai Zevi e prediceva la prima parte della sua vita in terminiapocalittici, proclamandolo redentore di Israele. Quando, alcuni giorni dopoShavuot, Shabbetai Zevi entrò in un altro periodo d'illuminazione, avevaassorbito tutti questi nuovi eventi e, ormai sicuro di sé e dei doni profeticidi Nathan, ritornò con rinnovata energia alle precedenti pretese messianiche.Il 17 Sivan (31 maggio 1665), a Gaza, si autoproclamò Messia e trascinò con sél'intera comunità, incluso il rabbino Jacoh Najara, nipote del celebre poeta

Israel Najara. Seguirono alcune settimane d'esaltazione frenetica. ShabbetaiZevi, che girava a cavallo seguito da un corteo regale, chiamò un gruppo diseguaci, li nominò suoi apostoli o rappresentanti delle Dodici Tribùd'Israele.L'annuncio messianico si diffuse con la rapidità di un incendio tra le altrecomunità della Palestina, ma incontrò una forte opposizione da parte di alcuniillustri rabbini di Gerusalemme, inclusi Abraham Amigo, Jacob Hagiz (ilmaestro di Nathan), Samuel Garmison (Garmizan) e Jacob Zemah, il famosocabalista che si pronunciò apertamente contro Shabbetai Zevi. Dopo esserestato denunciato al qadi di Gerusalemme, questi si recò nella città con unascorta imponente e riuscì a tranquillizzare il qadi. Ciò che avvenne

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esattamente a Gerusalemme nel giugno 1665 non è chiaro. Shabbetai Zevi,abbigliato come un re, girò a cavallo intorno alla città per sette volte,conquistando alcuni rabbini come Samuel Primo, Mattathias Bloch, IsraelBenjamin e Moses Galante (l'adesione di Galante in seguito fu tenutanascosta). Il suo conflitto con la maggioranza dei rabbini giunse al puntocruciale, ed essi lo bandirono dalla città; ma dopo aver informatodell'accaduto i rabbini di Costantinopoli, non presero altre misure neiconfronti della propaganda messianica, astenendosi dal rispondere alle

numerose lettere loro inviate sugli avvenimenti e mantenendo un silenzioenigmatico per l'intero anno che seguì.Nathan, d'altra parte, che ormai era il profeta e l'alfiere di Shabbetai Zevi,era attivissimo, e lo erano anche i suoi seguaci. Proclamò la necessità di unmovimento penitenziale di massa per facilitare la transizione verso laredenzione imminente, un passo che doveva conquistare molti cuori edifficilmente poteva incontrare opposizioni da parte delle autoritàrabbiniche. Dai paesi circostanti molti accorrevano per ricevere da lui lepenitenze o gli scrivevano chiedendo di rivelare loro la radice della loroanima e di insegnare come "restaurarla". Digiuni esagerati e altre praticheascetiche divennero comuni; ma Nathan proclamò l'abolizione del digiuno il 17di Tammuz, che venne invece celebrato a Gaza e Hebron come un giorno di gioia.Partirono lettere, inizialmente per l'Egitto e il circolo di Raphael Joseph,per annunciare le azioni prodigiose del profeta e del Messia. Una delle nuove,sorprendenti caratteristiche di queste lettere era l'annuncio che né ilprofeta né il Messia erano obbligati a dare prova della loro missione operandomiracoli e che Israele doveva credere nella missione di Shabbetai Zevi senzaprove esterne. La storia del movimento di massa che seguì è caratterizzatadalla contraddizione intrinseca fra questa imposizione della pura fede qualevalore di redenzione e la travolgente ondata di leggende e di presuntimiracoli che investì la Diaspora. Le prime notizie che giunsero in Europa,abbastanza stranamente, non parlavano di Shabbetai Zevi, ma della ricomparsadelle Dieci Tribù perdute d'Israele, che a quanto si diceva stavano marciandoagli ordini di un uomo di Dio sul conto del quale si narravano ogni sorta dimiracoli. Secondo alcune versioni, stavano conquistando la Mecca, secondoaltre si radunavano nel Sahara, e secondo altre ancora stavano occupando laPersia. Queste voci, provenienti dal Marocco, giunsero in Olanda, Inghilterra

e Germania nell'estate del 1665 senza fornire alcuna indicazione di ciò cheera accaduto effettivamente a Gaza, senza nominare Shabbetai Zevi e senzaaccennare all'apparizione di un Messia. Per contro, vi era una grandissimaagitazione nelle comunità ebraiche orientali, che avevano comunicazioni piùdirette con la Palestina.Nel settembre 1665, fortificato da una nuova rivelazione, Nathan inviò unalunga lettera a Raphael Joseph, annunciando nella prima parte i cambiamentiavvenuti nei mondi occulti con il giungere della redenzione e spiegando ciòche tali cambiamenti comportavano nella pratica delle devozioni cabalistiche.Le Kavuanot ( meditazioni") di Isaac Luria (vedasi p. 422) non erano piùvalide perché la struttura interna dell'universo era mutata e non restavanopiù sacre scintille sotto la dominazione delle potenze del male, le kelippot.Era giunto il tempo della redenzione, e anche se alcuni potevano opporsi, non

sarebbero riusciti a impedirla, e avrebbero danneggiato solo se stessi.Shabbetai Zevi aveva il potere di giustificare anche il peccatore più grande,persino Gesù, e "chiunque nutra qualche dubbio su di lui, anche se fossel'uomo più giusto del mondo, egli [Shabbetai Zevi] lo punirà con grandiafflizioni". Nella seconda parte della lettera, Nathan predice o megliodelinea il corso degli eventi da quel momento fino al compiersi dellaredenzione. Shabbetai Zevi avrebbe tolto la corona al sovrano turco, senzaguerra, e avrebbe fatto del sultano il suo servo. Dopo quattro o cinque annisi sarebbe recato al fiume Sambatyon per ricondurre in Israele le tribùperdute e per sposare Rebecca, la figlia tredicenne del risuscitato Mosè.Durante questo periodo avrebbe lasciato la reggenza al sultano turco, ma

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questi si sarebbe ribellato in sua assenza. Sarebbe stato questo il periododei "dolori del parto della redenzione", un tempo di grandi tribolazioni,dalle quali sarebbero stati esenti solo coloro che abitavano a Gaza. Il tenoredi questa parte della lettera è leggendario e mitico. Tra il presente el'inizio degli eventi messianici veri e propri vi sarebbe stato un intervallodi un anno e parecchi mesi, che dovevano venire usati per fare penitenza intutto il mondo ebraico. A questo scopo Nathan compose liturgie diverse: unaserie per il grosso pubblico ed una per gli iniziati, comprendente le kavvanot

e le preghiere mistiche per i lunghi digiuni da lui prescritti. I testirelativi furono inviati in Europa e in altre località, insieme ai primi,lunghi annunci riguardanti l'avvento del Messia nell'autunno del 1665.

Shabbetai Zevi a Smirne e a Costantinopoli

Le prime notizie sul conto di Shabbetai Zevi giunsero in Europa all'iniziod'ottobre nel 1665, e nei due mesi che seguirono racconti dettagliati,profondamente imbevuti di materiale leggendario, pervennero in Italia, Olanda,Germania e Polonia. Nessuno ha ancora saputo spiegare perché tutti icorrispondenti da Gaza, da Gerusalemme e dall'Egitto, che divennero tantoeloquenti a partire dal settembre 1665, rimasero in silenzio durante I tremesi successivi agli avvenimenti di Gaza. Vi è inoltre un vuoto considerevoletra gli eventi accaduti in Europa dopo l'arrivo dell'annuncio e ciò chesuccesse in quei mesi allo stesso Shabbetai Zevi. Quando lasciò Gerusalemme indiscredito, probabilmente prima del digiuno del 17 di Tammuz, passò per Safede si recò ad Aleppo, dove giunse 1'8 di Av (20 luglio 1665): e ripartì il 12agosto. Sebbene la sua fama l'avesse preceduto, si rifiutò di apparirepubblicamente come Messia, ma parlò in-privato con moite persone, inclusiSolomon Laniado e altri membri del tribunale rabbinico, che divennero suoientusiasti sostenitori. Così pure quando arrivò a Smirne, poco prima di RoshHa-Shanah (inizio di settembre del 1665), si fece vedere poco per un periodopiuttosto lungo, e soggiornò presso il fratello Elijah. Nel frattempo divampòuna grande agitazione ad Aleppo dove, in ottobre e novembre, apparvero i primifenomeni della profezia shabbatea. Non solo gli illetterati si lasciarono

travolgere dall'entusiasmo, ma anche rabbini e dotti, come Moses Galante diGerusalemme, che era arrivato come emissario e che si lasciò prenderedall'eccitazione generale, seguendo Shabbetai Zevi a Smirne e aCostantinopoli. Da Aleppo si ha la prima testimonianza fuori dai confini dellaPalestina di una generale atmosfera revivalista, in cui vi erano segnalazionidi apparizioni del profeta Elia, e in cui fu istituito un fondo comune permantenere i poveri e coloro che sarebbero stati colpiti dalla cessazione delleattività commerciali.Sebbene l'arrivo di Shabbetai Zevi a Smirne fosse stato preceduto da lettere evoci che inevitabilmente avrebbero dovuto suscitare tensioni e aspettative,per circa tre mesi non accadde nulla di sensazionale. I rabbini di Smirneavevano ricevuto dal rabbinato di Costantinopoli una lettera che parlava dellascomunica di Shabbetai Zevi a Gerusalemme; tuttavia non vennero prese misure

contro di lui. Solo quando lo stato d'estasi ritornò, all'inizio di dicembre,ed egli divenne febbrilmente attivo secondo il suo solito, scatenando grandeagitazione e compiendo molti dei suoi "atti strani", i rabbini tentarono difermarlo; ma ormai era troppo tardi. L'entusiasmo e l'eccitazione da luisuscitati travolsero la comunità ebraica di Smirne. In tre settimane, lacomunità fu sossopra, e l'intensità e il carattere pubblico degli avvenimenticausarono un'eco vastissima. Non vi erano solo migliaia di ebrei, ma anchenumerosi mercanti inglesi, olandesi e italiani, le cui lettere agli amicieuropei integrarono le notizie che ormai cominciavano a uscire a torrentidalle fonti ebraiche della città. Sebbene Shabbetai Zevi fosse in continuacorrispondenza con Nathan, adesso agiva in proprio. I fatti tempestosi che

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seguirono sono abbondantemente documentati da numerose fonti.Shabbetai Zevi usava recitare le preghiere del mattino in una delle sinagoghe"con una voce molto bella, che allietava grandemente quanti lo udivano";dispensava generose elemosine; si alzava a mezzanotte per compiere immersionirituali in mare; e nel suo comportamento ascetico non c'era nulla di bizzarro.Ma uno dei primi giorni di Hanukkah apparve "in vesti regali" nella sinagoga ecreò grande sensazione con i suoi canti estatici. Negli stessi giorni arrivòda Aleppo una delegazione composta da Moses Galante, Daniel Pinto e due laici,

che avevano prima fatto visita al profeta a Haza, e adesso desideravanosalutare ufficialmente Shabbetai-Zevi quale Messia d'Israele. Durante lasettimana di Hanukkah, Shabbetai Zevi "cominciò a fare cose che apparivanostrane; pronunciava il Nome ineffabile, mangiava grassi proibiti e facevaaltre cose contro il Signore e la Sua Legge, esortando altri a fare lostesso": un comportamento caratteristico dei suoi stati d'illuminazione. Lapresenza dei credenti lo spronava a manifestazioni ancora più radicali.Apparve evidente la profonda spaccatura tra la maggioranza dei "credenti" euna minoranza di "infedeli", e ma'aminim e koferim divennero i termini fissiper coloro che aderivano a Shabbetai Zevi e coloro che gli si opponevano.L'epistola di Nathan a Raphael Joseph venne diffusa largamente e contribuì afomentare i dissensi. In maggioranza, la gente comune si schierò con icredenti senza inibizioni o remore teologiche; la buona novella conquistava icuori e il fascino della personalità di Shabbetai Zevi, con quello stranomiscuglio di dignità solenne e di licenza sfrenata, contribuì non poco aglieventi. Centinaia di persone, appartenenti soprattutto agli strati più poveridella comunità, lo accompagnavano dovunque andasse. Ma fin dall'inizio moltiborghesi, ricchi mercanti e sensali si unirono al movimento, oltre a studiosirabbinici, tra i quali figuravano anche alcuni dei suoi allievi di un tempo.I tre membri del tribunale rabbinico che si opponevano ancora a Shabbetai Zevideliberarono che era opportuno aprire un procedimento contro di lui. Perreazione, Shabbetai Zevi proclamò preghiere pubbliche, sfoggiò una pomparegale e si comportò con grande audacia. Venerdì 11 dicembre, la folla tentòdi invadere la casa di Hayyim Pena, uno dei più importanti "infedeli", e ilgiorno seguente vi fu una crisi decisiva. Dopo aver incominciato a recitare lepreghiere del mattino in una delle sinagoghe, Shabbetai Zevi s'interruppe e,accompagnato da una gran folla, si presentò davanti alle porte chiuse della

congregazione portoghese, che era il quartier generale dei suoi avversari.Prese un'ascia e si accinse a sfondare le porte: allora i suoi avversariaprirono e lo lasciarono entrare. Seguì una scena sbalorditiva. Shabbetai Zevilesse la porzione della Torah da una copia stampata, anziché dal rotolotradizionale; ignorando i sacerdoti e i leviti presenti, chiamò alla letturadella Legge i suoi fratelli e molti altri uomini e donne, distribuendo regni echiedendo che tutti pronunciassero il Nome Ineffabile nelle loro benedizioni.In un discorso furibondo contro i rabbini increduli, li paragonò agli animaliimmondi menzionati nella Bibbia. Proclamò che il Messia figlio di Joseph, chesecondo la tradizione aggadica deve precedere l'avvento del figlio di Davide,era un certo Abraham Zalman, morto martire nel 1648, e recitò in suo onore lapreghiera per i defunti. Quindi si accostò all'arca, prese tra le braccia unsacro rotolo, e cantò un'antica canzone d'amore castigliana che parlava di

"Meliselda, la figlia dell'imperatore"; in questa canzone, che risultavaessere stata la sua prediletta egli leggeva molti misteri cabalistici. Dopoaverli spiegati alla congregazione si proclamò cerimonialmente "l'unto del Diodi Giacobbe", redentore di Israele, fissando la data della redenzione per il15 di Sivan 5426 (18 giugno 1666), in conformità con una data annunciata daNathan in uno dei suoi momenti di maggiore ottimismo, quando aveva consideratola possibilità di un evento in tempi antecedenti a quello predetto in origine.Shabbetai Zevi annunciò che tra breve si sarebbe impadronito della corona del"gran Turco". Quando Hayyim Benveniste, uno dei rabbini dissenzienti che eranopresenti, gli chiese la prova della sua missione, fu preso da una grandecollera e lo scomunicò, e chiamò nel contempo alcuni degli astanti a

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testimoniare la loro fede proferendo il Nome Ineffabile. La scena drammaticaequivaleva a un pubblico annuncio messianico e alla sostituzione di unGiudaismo messianico in luogo di quello tradizionale e imperfetto. Vi sonotestimonianze attendibili del fatto che, oltre ad altre innovazioni dellalegge, egli promise alle donne che le avrebbe liberate dalla maledizione diEva. Subito dopo il Sabbath inviò a Costantinopoli uno dei suoi seguacirabbini, per compiere i preparativi per il suo arrivo.In quel clima di esaltazione, Benveniste abbandonò ogni dubbio e il giorno

seguente passò nel campo dei credenti. Un conflitto tra lui e uno degli altrimembri del tribunale, Aaron Lapapa, può avere avuto qualche influenza sullasua conversione. Comunque, il 5 di Tevet (23 dicembre), Shabbetai Zevi feceespellere Lapapa dalla carica e nominare Benveniste quale unico rabbino capodi Smirne. Convocato ancora una volta davanti al qadi per giustificare il suocomportamento, Shabbetai Zevi riuscì a rassicurarlo. Nei giorni seguenti,tutti i credenti furono invitati a presentarsi e a baciare la mano del remessianico; gran parte della comunità obbedì, inclusi alcuni "infedeli" cheavevano paura del crescente terrorismo dei credenti. Subito dopo questacerimonia regale, Shabbetai Zevi decretò l'abolizione del digiuno del 10 diTevet. Quando questo atto suscitò l'opposizione di alcuni rabbini, la follainfuriata tentò di aggredirli. Solomon Algazi, un grande erudito e cabalistafamoso che persistette nel suo atteggiamento d'opposizione, fu costretto afuggire in Magnesia, e la sua casa fu saccheggiata. Lapapa si nascosenell'abitazione di uno dei suoi colleghi. Il Sabbath seguente, il nome delsultano turco fu eliminato dalla preghiera per il sovrano e fu istituita unapreghiera formale per Shabbetai Zevi, quale re messianico d'Israele, unaconsuetudine poi seguita da molte comunità in tutta la Diaspora. A quel tempoebbe inizio la consuetudine di chiamarlo, anziché con il suo vero nome, conl'appellativo amirah, abbreviazione per Adoneinu Malkenu yarum hodo ("NostroSignore e Re, sia esaltata la sua maestà"), e allusione al titolo di emiro. Ilnuovo termine fu molto usato nella letteratura shabbatea fino all'inizio delXIX secolo.Una festosa atmosfera di gioia e di entusiasmo caratterizzò i giorni seguenti.Arrivarono molte persone da altre comunità turche per aderire al movimento:tra gli altri vi fu Abraham Yakhini, famoso predicatore e cabalista diCostantinopoli, che conosceva Shabbetai Zevi fin dal 1658 e che divenne uno

dei suoi propagandisti più attivi. In preda a un'isteria collettiva, personedi ogni classe sociale cominciarono a profetizzare su Shabbetai Zevi. Uomini,donne e bambini andavano in trance, declamando riconoscimenti di ShabbetaiZevi quale Messia, e passi biblici di carattere messianico. Quandoriprendevano i sensi, non ricordavano più nulla. Circa 150 "profeti" apparverocosì a Smirne: tra gli altri vi furono la moglie di Shabbetai Zevi e le figliedi alcuni "infedeli". Alcuni avevano visioni della corona di Shabbetai Zevi olo vedevano assiso in trono; ma in maggioranza producevano un guazzabuglio difrasi e citazioni tratte dalla Bibbia e dal libro delle preghiere, ripetutepiù volte. Il commercio si arrestò: le danze e le processioni festive sialternarono agli esercizi penitenziali prescritti da Nathan. Il Salmo 21, chea Gaza aveva ricevuto un'interpretazione shabbatea, veniva recitato in ognunodei tre servizi quotidiani, una consuetudine che si diffuse anche in altre

comunità. Oltre a distribuire i regni della terra tra i fedeli, Shabbetai Zevinominò controparti degli antichi re d'Israele, da Davide a Zerubbabel, eparecchi di costoro ottennero dal Messia patenti manoscritte. I presceltierano i suoi principali sostenitori di Smirne, ma c'erano anche alcuni suoidevoti venuti dalla Palestina dall'Egitto, da Aleppo, da Costantinopoli e daBursa (Brussa). Furono nominati anche molti altri dignitari messianici. Dopoquesta sua ultima attività a Smirne, Shabbetai Zevi s'imbarcò perCostantinopoli il 30 dicembre 1665, accompagnato da alcuni dei suoi "re".Durante questo periodo il suo comportamento fu coerente, per quanto loconsentiva la sua mente squilibrata: era sicuro di sé e credeva che unintervento sovrannaturale avrebbe portato a frutto la sua missione messianica.

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Nel contempo le autorità turche nella capitale erano state messe in agitazioneda rapporti allarmanti. Le notizie giunte da Gaza e Smirne avevano già divisola comunità, e l'eccitazione era altissima. Le lettere arrivate dai luoghidove era passato Shabbetai Zevi univano notizie serie a storie sempre piùfantasiose e portavano al culmine la febbre messianica. Prima ancora del suoarrivo, a Costantinopoli si levò un profeta, Moses Serviel o Suriel, ungiovane rabbino di Bursa il quale, diversamente dagli altri "profeti",rivelava i misteri shabbatei nella lingua dello Zohar e veniva ritenuto in

possesso di un particolare carisma. L'arrivo del Messia fu considerevolmenteritardato dall'eccezionale maltempo; e intanto l'atmosfera nella capitaledivenne critica. Alcuni capi della comunità, a quanto sembra, avvertirono ilgoverno che aveva già dato disposizioni per arrestare Shabbetai Zevi a Smirne,dove l'ordine giunse in ritardo, oppure al suo arrivo a Costantinopoli. Lapopolazione ebrea fu contagiata dall'eccitazione; per le strade si cantavanocanzoni satiriche sul Messia, mentre le masse ebree, certe che molti miracolisarebbero avvenuti subito dopo il suo arrivo, si comportavano con notevoleorgoglio nei confronti dei gentili.La politica adottata dal gran visir Ahmed Koprulu (Kuprili), uno dei più abilistatisti turchi, fu di straordinaria moderazione. In Turchia le rivolte eranofrequenti, e i ribelli di solito venivano prontamente messi a morte. Ma questanon fu la conseguenza immediata dell'arresto di Shabbetai Zevi, che venneintercettato sul Mar di Marmara il 6 febbraio 1666; e ciò contribuì arafforzare le convinzioni dei fedeli. In un'atmosfera di grande agitazione, fucondotto a terra in catene lunedì 8 febbraio. Ormai lo sfacelo della vitanormale e del commercio aveva raggiunto il culmine. Un paio di giorni dopol'arresto, Shabbetai Zevi fu condotto davanti al divan, presieduto da Koprulu.Poiché gli archivi turchi di quel periodo furono distrutti da un incendio, nonci è pervenuto alcun documento ufficiale sul movimento e sul processo, e iracconti delle fonti ebraiche e cristiane di Costantinopoli sono contrastanti.È vero, comunque, che il visir mostrò una clemenza e una pazienza sorprendenteforse ispirate anche dall'indiscutibile fascino della personalità di ShabbetaiZevi. Forse voleva evitare di trasformare in martire un Messia che, dopotutto, non aveva preso le armi contro il sultano e aveva semplicementeproclamato una mistica é irrealistica presa di possesso della corona.Shabbetai Zevi fu incarcerato, dapprima in una "buia segreta", ma più tardi in

un alloggio piuttosto comodo, e l'alto funzionario responsabile della poliziae della prigione, forse dopo aver accettato somme sostanziose, gli permise diricevere le visite dei suoi seguaci. Si diceva che avrebbe potuto ottenere laliberazione con una somma ingentissima che i suoi seguaci erano disposti apagare, e che rifiutò, ingigantendo così la sua reputazione. Era ancora moltosicuro di sé. In quel periodo era tornato a uno stato normale, viveva una vitaascetica, predicava la penitenza e non chiedeva speciali privilegi. I rabbinidella capitale che lo visitavano in prigione si trovavano davanti un dignitosoerudito che sopportava le sofferenze con aria nobile, anziché un peccatore chesi poneva al di sopra della Legge e della tradizione. I rabbini erano divisi:e alcuni dei più illustri, tra cui Abraham Al-Nakawa, si schierarono dalla suaparte. Nuovi miracoli vennero riferiti nelle lettere scritte a Costantinopoliin quei mesi, a riprova del fatto che l'entusiasmo perdurava inalterato.

Quando il sultano e il visir partirono per la guerra contro Creta, fu datol'ordine di trasferire Shabbetai Zevi nella fortezza di Gallipoli sulla rivaeuropea dei Dardanelli, dove venivano detenuti i prigionieri politiciimportanti. Il trasferimento ebbe luogo il 19 aprile, il giorno prima diPasqua. Ancora una volta in preda a uno stato d'illuminazione, Shabbetai Zevisacrificò un agnello pasquale e lo arrostì con il suo grasso, inducendo icompagni a mangiare quel cibo proibito e benedicendolo con la frase ormaiabituale: "Colui che permette ciò che è vietato". Corrompendo i carcerieri, icredenti trasformarono ben presto la sua detenzione in una reclusioneonorevole, e la fortezza venne chiamata Migdal Oz ("torre di forza"), conriferimento a Proverbi 18:10.

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Il movimento della Diaspora

Le lettere che giunsero in ogni parte della Diaspora dalla Palestina,dall'Egitto e da Aleppo nell'ottobre e nel novembre 1665, e più tardi daSmirne e Costantinopoli, produssero una grandissima eccitazione, e l'identitàdelle reazioni indica che le cause trascendevano di gran lunga i fattori

locali. Il fervore messianico s'impadronì di comunità che non avevanoesperienze immediate di persecuzioni e di massacri, non meno che di quelle chelo avevano. I fattori sociali e religiosi erano senza dubbio connessiinestricabilmente. La miseria e le persecuzioni generavano speranzeutopistiche, ma fu la situazione del popolo ebraico nel suo complesso afornire la base. Sebbene la dottrina lurianica del tikkun e della redenzioneesprimesse a sua volta una situazione sociale, il suo vero contenuto eraessenzialmente religioso. È questo intreccio dei vari elementi nella strutturastorica del movimento shabbateo che spiega il suo contenuto dinamico edesplosivo. Più tardi il movimento fu presentato in una luce diversa, in unostrenuo tentativo di minimizzare la parte sostenuta dagli strati più elevatidella società ebraica e dai capi spirituali, e di ascrivere la veemenzadell'esplosione all'entusiasmo cieco della marmaglia e dei poveri: ma questonon trova conferma nella documentazione contemporanea. La reazione nonmostrava affatto l'uniformità basata sulle condizioni di classe. Molti ricchiebbero una parte importantissima nella diffusione della propaganda messianica,anche se non mancarono coloro che, come si disse a quel tempo, "erano piùinteressati ai grandi profitti che ai grandi profeti".Cinque fattori contribuirono al successo travolgente del risveglio messianico:1) L'appello messianico proveniva dalla Terra Santa, dal centro cherappresentava la spiritualità più pura e intensa. Un messaggio proveniente dilà sarebbe stato accolto in Persia, nel Kurdistan, o nello Yemen con unrispetto che difficilmente avrebbe ottenuto se fosse arrivato dalla Polonia odall'Italia. L'immenso prestigio della nuova Cabala, che emanava da Safed,ebbe anch'esso la sua importanza. 2) Il rinnovarsi della profezia con lafigura di Nathan, il geniale erudito e asceta severo divenuto profeta,contribuì a oscurare le sfaccettature più dubbie della personalità di

Shabbetai Zevi che, per la verità, ebbe poca o punta importanza nellacoscienza della massa dei credenti. 3) L'efficacia delle credenzeapocalittiche tradizionali e popolari, i cui elementi non venivano abbandonatibensì reinterpretati, ebbe anch'essa un suo ruolo. Le vecchie visioniescatologiche furono mantenute, ma vennero assorbiti molti elementi nuovi. Laconcezione del futuro fu completamente conservatrice, per tutto il 1666. Nelcontempo, tuttavia, la propaganda era rivolta anche a un gruppo molto diffusodi cabalisti, ai quali presentava un sistema di simboli ambigui. Il simbolismodi Nathan soddisfaceva i suoi lettori con la terminologia tradizionale, el'apparente continuità permetteva ai nuovi elementi di esistere senza venirescoperti, sotto la copertura del cabalismo precedente. 4) Il richiamo delprofeta alla penitenza ebbe un ruolo decisivo, facendo appello alleaspirazioni più nobili nel cuore di ogni ebreo. Chi, anche tra gli avversari

del movimento, poteva condannare l'unica richiesta fatta in pubblico dalprofeta e dal Messia? 5) Non vi erano ancora differenziazioni tra i varielementi che partecipavano al movimento. Le menti conservatrici, rispondendoal senso di continuità ininterrotta, vi scorgevano la promessadell'esaudimento delle attese tradizionali. Nel contempo il messaggio diredenzione affascinava gli utopisti, i quali aspiravano a un era nuova e nonavrebbero pianto la fine del vecchio ordine. Il carattere nazionale delmovimento oscurava questi contrasti nella struttura emotiva dei suoi seguaci.Poiché le principali manifestazioni di massa del movimento, agli inizi, sierano avute in località lontane dalla scena delle attività dello stessoShabbetai Zevi, e Nathan il profeta non lasciò mai la Palestina nella fase

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culminante degli eventi, la gente dipendeva dalle lettere e da altri mezzi dicomunicazione che presentavano un assurdo miscuglio di realtà e di fantasia,quest'ultima non meno allettante della prima per il sentimento el'immaginazione. In larga misura il movimento si sviluppò per forza propria,adattando nuovi elementi alle tradizioni e alle concezioni precedenti. Non viè nulla di sorprendente nella similarità dei fenomeni in luoghi molto lontanitra loro: corrispondono tanto alla similarità fondamentale della situazionedegli ebrei e della reazione tradizionale ad essa, quanto all'uniformità della

propaganda proveniente dai credenti della Turchia. Una certa importanza ebberoin Europa alcuni rapporti di fonti cristiane, che naturalmente erano basatisoprattutto su informatori ebrei, ma che aggiungevano esagerazioni edistorsioni. I numerosi manifesti e opuscoli che apparvero nel 1666 ininglese, olandese, tedesco e italiano furono letti avidamente dagli ebrei espesso presi come fonti indipendenti che confermavano le notizie da lororicevute. Un fattore secondario fu la simpatia dimostrata nei confronti delmovimento da circoli millenaristi in Inghilterra, Olanda e Germania, poichésembrava confermare la credenza, diffusa in questi ambienti, che il secondoavvento di Cristo sarebbe avvenuto nel 1666. Ad Amsterdam Peter Serrarius, unodei più autorevoli millenaristi, contribuì notevolmente a diffondere lapropaganda shabbatea tra i suoi numerosi corrispondenti cristiani. Tuttavia, èpriva di fondamento l'ipotesi che la nascita del movimento stesso fosse dovutaall'influenza di mercanti cristiani millenaristi su Shabbetai Zevi durante glianni da lui trascorsi a Smirne.Mentre la maggioranza dei membri delle comunità di cui abbiamo conoscenza diprima mano, e di quelle da esse influenzate, si univa all'entusiasmo generaleguidato dovunque da un gruppo di credenti devoti e decisi, vi furono anchemolti casi di dissidi e divergenze con gli "infedeli". Una crescente ondata diterrorismo messianico minacciava coloro che parlavano in toni beffardi diShabbetai Zevi e rifiutavano di lasciarsi contagiare dall'esaltazionegenerale. Numerosi rabbini influenti, che in cuor loro erano scettici, comeSamuel Aboab a Venezia, si guardavano dal contrastare le loro comunità, e icasi di aperta opposizione rabbinica furono piuttosto rari. Tra questiostinati avversari vi furono Joseph ha-Levi, il predicatore della comunità diLivorno, e Jacob Sasportas, che a quell'epoca non aveva una posizioneufficiale, e si trovava ad Amburgo dove si era rifugiato per salvarsi

dall'epidemia che imperversava a Londra. Scrittore di lettere molto dotto edeloquente, egli manteneva una vivace corrispondenza con amici e conoscenti epersino con persone a lui sconosciute, per informarsi sulla verità deglieventi ed esprimere una prudente opposizione ai credenti, sebbene usasseparole di energica condanna per coloro che condividevano le sue opinioni. Piùtardi (nel 1669) egli raccolse (e censurò notevolmente) buona parte di questacorrispondenza in Zizat Novel Zevi.La penitenza alternata a pubbliche manifestazioni di gioia e di entusiasmo eraall'ordine del giorno, e i rapporti dettagliati provenienti da molte partidella Diaspora descrivono fino a quale punto giungessero i penitenti. Dovunquevenivano praticati digiuni e bagni rituali, mortificazioni di carattere spessoestremo e generose elemosine. Molti digiunavano per l'intera settimana; coloroche non erano in grado di farlo digiunavano ogni settimana per due o tre

giorni consecutivi, e le donne e i bambini almeno ogni lunedì e giovedì. "Ilbagno rituale era così affollato che quasi era impossibile entrarvi". Ledevozioni quotidiane per il giorno e la notte stabilite da Nathan venivanorecitate ovunque, e ne furono pubblicate molte edizioni ad Amsterdam,Francoforte, Praga, Mantova e Costantinopoli. La notte, i fedeli si sdraiavanonudi sulla neve per un'ora e si flagellavano con rovi e ortiche. Dovunque ilcommerciò si fermò. Molti vendettero case e proprietà per procurarsi il denaronecessario per recarsi nella Terra Santa, mentre altri non facevano talipreparativi perché erano convinti che vi sarebbero stati trasportati sullenubi. I credenti ricchi più realisti presero accordi per noleggiare navidestinate a trasportare i poveri in Palestina. I rapporti provenienti da

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cittadine e villaggi della Germania provano che la rinascita messianica nonera limitata ai centri più grandi. Da molte località partirono delegazioni pervisitare Shabbetai Zevi, portando pergamene firmate dai capi della comunitàche lo riconoscevano quale Messia e re d'Israele. Fu inaugurata una nuova era;molte lettere e persino alcuni libri vennero datati dal "primo anno delrinnovamento della profezia e del regno". I predicatori esortavano il popolo arestituire il denaro mal guadagnato, ma non risultava che questo avvenisseeffettivamente. La gente attendeva con ansia lettere dalla Terra Santa, Smirne

e Costantinopoli, che spesso venivano lette in pubblico e provocavano grandeesaltazione e discussioni violente. Non vi erano differenze notevoli nellereazioni degli ebrei ashkenazi, sefarditi, italiani e orientali. Nellecongregazioni composte prevalentemente di ex marranos, come le comunità"portoghesi" di Amsterdam, Amburgo e Salonicco, il fervore messianico eraparticolarmente forte. Nell'Africa settentrionale, dove il movimento miseradici profonde, un ex marrano, il medico Abraham Miguel Cardozo di Tripoli,divenne uno dei protagonisti più attivi. Altri sostenitori convinti erano irabbini del Marocco, molti dei quali conoscevano bene Elisha Hayyim b. JacobAshkenazi, padre del profeta Nathan, grazie alle sue visite nel loro paesequale emissario di Gerusalemme. Poesie in onore di Shabbetai Zevi e di Nathanfurono composte nello Yemen, nel Kurdistan, a Costantinopoli, Salonicco,Venezia, Ancona, Amsterdam e in molti altri luoghi; ma nel contempo uno deiprincipali oppositori del movimento in Italia, il poeta Jacob Frances diMantova, con l'aiuto del fratello Immanuel, compose una serie appassionata diversetti, denunciando il movimento, i suoi eroi e i suoi seguaci (ZeviMuddah). Tuttavia, queste erano voci isolate; che le comunità italiane fosserogeneralmente in estasi è rivelato vividamente dal taccuino di un ebreo diCasale che viaggiò in tutta l'Italia settentrionale alla fine del 1665 e neiprimi mesi del 1666, rispecchiando nelle sue descrizioni spontanee l'atmosferache vi predominava (Zion, 10 [1945], 55-56). Moses Zacuto, il più stimatocabalista italiano, diede al movimento un appoggio piuttosto riluttante.Alcuni ebrei che si erano stabiliti nella Terra Santa inviavano ai lorocontemporanei della Diaspora notizie entusiastiche sul risveglio; ma ingenerale si può dire che ognuno scrivesse a tutti coloro che conosceva.Persino la moglie di un poveraccio di Amburgo che era in carcere a Oslo gliriferì fedelmente in yiddish le ultime notizie. All'estremità opposta della

scala Abraham Pereira, che si diceva fosse l'ebreo più ricco di Amsterdam e unuomo profondamente devoto, prestò il suo enorme prestigio alla causa e, dopoaver pubblicato un libro di morale per peccatori pentiti (La certezza delcammino, 1666), partì con il suo entourage per l'Oriente, sebbene venissetrattenuto a Livorno. In Polonia e in Russia dilagava l'entusiasmo piùscatenato. I predicatori incoraggiavano il movimento penitenziale, che acquisìmodi d'espressione ancora più stravaganti. Non è documentata alcunaopposizione di parte rabbinica. Nelle pubbliche processioni di gioia gli ebreiportavano ritratti di Shabbetai Z. evi tratti da manifesti cristiani,provocando disordini in molte città come Pinsk, Vilna e Lublino, fino a quandoall'inizio di maggio del 1666il re di Polonia proibì tali manifestazioni. Ilricordo dei massacri dal 1648 al 1655 conferiva al movimento un irresistibileslancio popolare.

La notizia dell'arresto di Shabbetai Zevi a Gallipoli non sminuì affattol'entusiasmo; al contrario, il fatto che non fosse stato giustiziato e venissetrattato onorevolmente tendeva a confermare la sua missione. Samuel Primo, chefungeva da segretario (scrivano) di Shabbetai Zevi, era un maestro espertonell'uso delle frasi maestose e roboanti e le sue lettere trasmettevanoun'atmosfera di grandiosità imperiale. Shabbetai Zevi firmava questi testicome "il figlio primogenito di Dio", "vostro padre Israel", "lo sposo dellaTorah", e altri titoli altisonanti; anche quando incomincio a firmare alcunelettere "Io sono il Signore vostro Dio Shabbetai Zevi", solo pochi credenti siscandalizzarono. In seguito, Moses Galante sostenne di averlo abbandonatoproprio per questa ragione. Non ci è stato conservato un resoconto attendibile

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della condotta di Shabbetai Zevi durante il primo periodo della sua prigioniaa Gallipoli, ma vi sono indicazioni del fatto che ebbe frequenti periodi dimalinconia. Quando ritornò in uno stato d'illuminazione, la gente accorse ingran numero da lui e la prigione, con la connivenza dei carcerieri corrotti,si trasformò in una specie di corte reale. Il "re" che non faceva misterodelle sue rivendicazioni messianiche impressionava grandemente i visitatori.Una lettera ufficiale dei rabbini di Costantinopoli al rabbinato diGerusalemme, che chiedeva di istituire una commissione d'inchiesta formata da

quattro rappresentanti di Gerusalemme, Safed e Hebron, non ricevette risposta.Quando, nel marzo 1666, i rabbini di Venezia chiesero l'opinione del rabbinatodi Costantinopoli, ricevettero una risposta positiva, camuffata dacomunicazione commerciale circa la qualità delle pelli di capra "acquistate daRabbi Israel di Gerusalemme". La lettera diceva: "Abbiamo considerato la cosaed esaminato le merci di Rabbi Israel, perché sono in mostra qui, sotto inostri occhi. Siamo pervenuti alla conclusione che siano molto preziose... madobbiamo attendere il giorno della grande fiera". Centinaia di profeti silevarono nella capitale, e l'esaltazione raggiunse punte febbrili. Conl'avvicinarsi dei digiuni del 17 di Tammuz e del 9 di Av, l'euforia diShabbetai Zevi crebbe: non soltanto egli proclamò l'abolizione dei digiuni, maistituì in loro luogo nuove feste. Il 17 di Tammuz divenne "il giorno dellarinascita dello spirito di Shabbetai Zevi"; e prescrivendo dettagliatamente laliturgia da recitare in questa occasione, trasformò il 9 di Av nella festa peril suo genetliaco. In Turchia, dove la notizia si diffuse rapidamente, quasitutti seguirono le sue istruzioni e quel giorno fu celebrato come unafestività solenne. Una delegazione venuta dalla Polonia, che contava tra isuoi membri anche il figlio e il genero di R. David ha-Levi di Leopoli,massima autorità rabbinica del suo paese, lo visitò nella settimana dopo il 17di Tammuz e lo trovò in uno stato d'animo estatico. La sua dignità e il suoportamento maestoso li conquistarono.Molti pellegrini ritenevano che la prigionia del Messia non fosse altro cheun'apparenza simbolica esteriore, una convinzione suffragata da un trattatocabalistico di Nathan, "Disquisizione sui draghi", scritto nell'estate del1666. Qui la particolare psicologia di Shabbetai Zevi era spiegata come unabiografia metafisica dell'anima del Messia e delle sue lotte con le forzedemoniache del tempo della creazione fino alla sua incarnazione terrena. Tali

lotte lasciavano un segno su di lui e spiegavano l'alternarsi tra i momenti incui era prigioniero delle kelippo e i periodi d'illuminazione, quando su dilui risplendeva la luce superna. Persino nel lontano Yemen, dove l'eccitazioneera grandissima, i dettagli della biografia di Shabbetai Zevi (basata su unamescolanza di fatti e di leggende) venivano spiegati in modo cabalisticodall'anonimo autore di un'apocalisse, "La valle della visione" (Gei Hizzayon),scritta verso la fine del 1666. In luglio, ai delegati venuti dalla Polonia,un trattato cabalistico firmato da Shabbetai Zevi presentava gli eventi dellasua vita come fondati su profondi misteri. Anche in Palestina e in Egitto,dove le lettere che abolivano il digiuno del 9 di Av non potevano esseregiunte in tempo, l'iniziativa dell'abolizione fu presa da Nathan di Gaza e daisuoi seguaci, tra i quali Mattathias Bloch fu particolarmente attivo inEgitto. Lo stesso Nathan progettò più volte di incontrarsi con Shabbetai Zevi,

ma non lasciò mai Gaza. Vi era una minoranza di "infedeli" anche in Egitto,tra cui figuravano alcuni illustri rabbini palestinesi che vi si eranostabiliti: ma di fronte all'entusiasmo generale si comportavano con moltacautela. Ad Algeri e nel Marocco il movimento non incontrò una seriaOpposizione da parte dei rabbini e dai capi della comunità.

L'apostasia di Shabbetai Zevi

Il movimento raggiunse il culmine nel luglio e nell'agosto del 1666, quando

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tutti attendevano con ansia che si verificassero grandi eventi. La svoltaavvenne in modo imprevedibile. Un cabalista polacco, Nehemiah ha-Kohen diLeopoli, o dei dintorni, si recò da Shabbetai Zevi, apparentemente a nome dialcune comunità polacche. Arrivò il 3 o il 4 settembre e trascorse con lui dueo tre giorni. Le notizie sul loro incontro sono contrastanti e in partechiaramente leggendarie. Secondo una fonte, Nehemiah non discusse tanto sulterreno cabalistico quanto come portavoce della tradizione apocalitticapopolare, che egli interpretava in modo rigorosamente letterale. Non riusciva

a vedere alcuna corrispondenza tra le attività di Shabbetai Zevi e lepredizioni degli scritti aggadici più antichi sul Messia. Insoddisfatto dellereinterpretazioni cabalistiche, pose in risalto la mancanza di un visibileMessia figlio di Joseph che avrebbe dovuto precedere Shabbetai Zevi. Altrefonti affermano che la discussione verteva sul ruolo dello stesso Nehemiah,perché questi affermava di essere il Messia figlio di Joseph, un'affermazionerespinta dal suo ospite. Comunque andassero le cose, l'acrimonioso dibattitosi concluse disastrosamente. All'improvviso Nehemiah annunciò, alla presenzadelle guardie turche, la sua decisione di abbracciare l'Islam. Fu condotto adAdrianopoli, dove denunciò Shabbetai Zevi, accusandolo di fomentare lasedizione. Senza dubbio le masse ebraiche imputarono a Nehemiah gli eventi cheseguirono, e anche dopo il suo ritorno al Giudaismo, in Polonia, fuperseguitato per il resto della sua vita per aver venduto il Messia ai turchi.Tuttavia, è perfettamente possibile che l'azione di Nehemiah fosse solo unpretesto e che le autorità turche si fossero ormai allarmate per quanto stavaaccadendo nel loro paese. Vi sono indizi di numerose proteste contro ShabbetaiZevi, che includevano anche accuse di comportamento immorale. L'agitazione diGallipoli ebbe termine quando, il 12 o il 13 settembre, arrivarono messaggerida Adrianopoli, e il 15 condussero il prigioniero in quella città.Il giorno seguente Shabbetai Zevi fu condotto davanti al divano, alla presenzadel sultano che assisteva dietro una grata. Ancora una volta, i resoconti diciò che avvenne in tribunale sono contraddittori. I credenti riferiscono cheShabbetai Zevi era in uno dei suoi stati di depressione malinconica e che,comportandosi con assoluta passività, lasciò che gli eventi seguissero il lorocorso. Presentarono la sua apostasia come un atto impostogli, al quale eglinon prese parte. La realtà fu senza dubbio ben diversa anche se è possibileche si trovasse in uno dei suoi stati di depressione. Fu interrogato dal

tribunale o dal consiglio privato e negò - come aveva già fatto in similicircostanze - di aver mai avanzato pretese messianiche. Secondo alcuni, feceaddirittura un lungo discorso sull'argomento. Alla fine gli fu ordinato discegliere: essere messo a morte immediatamente o convertirsi all'Islam.Secondo una fonte, Kashim Pasha, uno dei dignitari di rango più elevato, chedi lì a poco tempo divenne cognato del sultano, condusse il colloquiodecisivo, "manovrandolo in tal modo che egli fu lieto di diventare turco". Matutte le altre fonti concordano nell'affermare che questo ruolo fu svolto dalmedico del sultano, Mustapha Hayatlzadé, un ebreo apostata. Egli convinseShabbetai Zevi ad accettare la proposta del tribunale, che apparentemente erastata decisa già prima che il processo avesse inizio. Il medico funsesoprattutto da interprete, perché a quel tempo Shabbetai Zevi conosceva pocoil turco. Il sultano Maometto IV, un uomo profondamente religioso,

probabilmente apprezzava la possibilità che un personaggio ebreo tantoimportante inducesse molti suoi seguaci a imitarlo. Accettando l'apostasia eprendendo il turbante, Shabbetai Zevi assunse il nome di Aziz Mehmed Effendi.Considerato un convertito illustre, ricevette il titolo onorario di KapiciBashi ("custode delle porte del palazzo"), con una pensione reale di 150piastre al giorno. Molti dei credenti che l avevano accompagnato lo seguirononell'apostasia, come fece anche sua moglie quando fu condotta da Gallipoliqualche tempo dopo. La data della conversione, 15 settembre 1666, è confermatada molte fonti. Lo stato d'animo di Shabbetai Zevi dopo l'apostasia fu diprofonda depressione, come dimostra una lettera scritta al fratello Elijah unasettimana più tardi.

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Dall'apostasia alla morte di Shabbetai Zevi

L'apostasia causò un trauma profondo, che paralizzò nella stessa misura capi eseguaci. In molti ambienti semplicemente non venne creduta, e dovette passarequalche tempo prima che la verità venisse accettata. Le ondate

dell'esaltazione erano state travolgenti, ma erano in gioco sentimenti piùprofondi: per molti credenti l'esperienza della rinascita messianica avevaassunto le dimensioni di una nuova realtà spirituale. Gli enormisconvolgimenti di un intero anno li avevano portati ad equiparare la loroesperienza emotiva a una realtà esterna che sembrava confermarla. Ora sitrovavano di fronte a un crudele dilemma: ammettere che la loro fede era statavana e che il loro redentore era un impostore, oppure aggrapparsi alla fede eall'esperienza interiore di fronte a una realtà esterna ostile e cercare unaspiegazione e una giustificazione per l'accaduto. Il fatto che moltiaccettassero la seconda alternativa e rifiutassero di cedere dimostra quantofosse profondo il movimento. Fu per questo che il movimento non finìbruscamente con l'apostasia, un atto che in ogni altra circostanza l'avrebbetroncato automaticamente. Chi avrebbe immaginato un Messia capace di abiurarela sua fedeltà al Giudaismo? D'altra parte, i rabbini e i capi delle comunità,soprattutto in Turchia, si comportarono con grande circospezione. Scelsero dimettere a tacere l'intera faccenda, calmare l'agitazione facendo finta che inrealtà non fosse accaduto nulla d'importante e riportare la vita degli ebreial "normale" stato dell'esilio, per cui il metodo migliore consistevanell'ignorare l'intero corso degli eventi e lasciare che il tempo e l'obliorimarginassero la ferita. Questa politica fu seguita largamente in altripaesi. Se veniva chiesto come un'intera nazione aveva potuto nutrire speranzetanto grandi per venire alla fine ingannata, non era permesso discutere idisegni imperscrutabili di Dio. Vi era inoltre il timore, soprattutto inTurchia, che le autorità agissero contro i maggiorenti ebrei che avevanopermesso i preparativi per una rivolta messianica, e sembra che le autoritàturche desistessero da un'iniziativa in questo senso solo dopo considerevoliesitazioni. In Italia, le pagine dei documenti della comunità ebraica che

portavano testimonianza degli eventi furono strappate e distrutte per ordinedei rabbini. Il silenzio ufficiale scese anche sulla letteratura pubblicata inebraico, per molti anni. Solo vaghi echi di cause legali connesse a tuttoquesto e altri accenni al movimento penitenziale apparvero qua e là.I fatti, tuttavia, furono diversi. Ancora una volta Nathan di Gaza ebbe unruolo decisivo, anche se non si sa se l'iniziativa per una spiegazione"teologica" dell'apostasia fu presa da lui o da Shabbetai Zevi, quando questisi fu ripreso dallo stordimento. Quando Nathan ricevette la notiziadall'entourage di Shabbetai Zevi ai primi di novembre 1666, annunciòimmediatamente che si trattava di un profondo mistero e che si sarebbe risoltoa tempo debito. Lasciò Gaza con un seguito numeroso per organizzare unincontro con Shabbetai Zevi, il quale nel frattempo era stato istruito nellareligione islamica. I rabbini di Costantinopoli, che in maggioranza avevano

smesso di credere in lui, si diedero da fare per impedire l'incontro. Nathansi recò dapprima a Smirne, dove un consistente gruppo di credenti persistevanella sua fede, e vi si trattenne durante i mesi di marzo e aprile; sebbene simostrasse molto riservato nei rapporti con gli estranei, cominciò a difenderel'apostasia e la missione di Shabbetai Zevi. Il fulcro della suaargomentazione era che l'apostasia non era in realtà che l'adempimento di unamissione per innalzare le sacre scintille disperse tra i gentili e oraconcentrati nell'Islam. Mentre il compito degli ebrei era stato quello direstaurare le scintille delle loro anime nel processo di tikkun, secondo iprecetti della Torah, vi erano scintille che soltanto lo stesso Messia potevaredimere, e per questo egli doveva discendere nel regno della kelippah,

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apparentemente per sottomettersi al suo dominio, ma in realtà per adempierel'ultima parte, la più difficile, della sua missione, sconfiggendo la kelippahdall'interno. Così facendo, egli agiva come una spia inviata nel campo nemico.Nathan collegava questa esposizione alla sua precedente spiegazione metafisicadella biografia di Shabbetai Zevi, interpretata come una lotta contro il regnodel male, di cui le sue "strane azioni" testimoniavano fin dalla giovinezza.L'apostasia non era altro che il caso più estremo di queste strane azioni. IlMessia doveva addossarsi la vergogna di venire chiamato traditore del suo

popolo, quale ultimo passo prima di rivelarsi in tutta la sua gloria sulpalcoscenico della storia. Ponendo il paradosso di un Messia apostata, di unredentore tragico e tuttavia legittimo, al centro della nuova teologiashabbatea, Nathan gettò le fondamenta dell'ideologia dei credenti per i centoanni successivi. Nathan, come molti altri venuti dopo di lui, frugò nellaBibbia, nel Talmud, nel Midrash e nella letteratura cabalistica, alla ricercadi punti di riferimento per questo paradosso, e scoprì una ricca messe diinterpretazioni audaci e spesso apertamente eretiche dei testi sacri piùantichi. Una volta che si ammetteva il paradosso di base, tutto sembravaandare a posto. Tutti gli atti biasimevoli degli eroi biblici, le stranestorie dell'aggadah (aggadot shel dofi) e i passi enigmatici dello Zohar,sembravano indicare, in un'esegesi tipologica, il comportamento scandaloso delMessia. Con l'acquiescenza di Shabbetai Zevi, queste idee vennero assorbitedai capi dei credenti ed ebbero vasta diffusione. I rabbini vietarono didiscutere queste concezioni eretiche, che sarebbero state confutate dalla lorostessa paradossalità. Nel frattempo, si limitarono a ignorarle.Durante il 1667-68 l'eccitazione si spense lentamente. Quando Nathan cercò divisitare Shabbetai Zevi ad Adrianopoli, gli andò incontro a Ipsola unadelegazione di rabbini, i quali lo costrinsero a firmare la promessa dirinunciare al suo proposito (31 maggio 1667). Nonostante questo, egli si recòda Shabbetai Zevi e continuò a fargli visita di tanto in tanto e a proclamarlo"vero Messia", annunciando diverse date per l'attesa rivelazione finale. Perordine di Shabbetai Zevi andò a Roma, a compiere un rito magico segretodestinato ad affrettare la caduta dei rappresentanti del Cristianesimo. Il suoarrivo a Venezia per la Pasqua del 1668 creò grande sensazione. I rabbinipubblicarono un libretto che riassumeva gli interrogativi di Ipsola e diVenezia e affermava che Nathan aveva riconosciuto i suoi errori. Nathan smentì

tutte queste dichiarazioni e trovò l'appoggio di un numero considerevole dicredenti. Compì la missione a Roma e ritornò nei Balcani dove trascorse ilresto della vita, tra Adrianopoli, Sofia, Kastoria e Salonicco, tutte localitàcaratterizzate da una forte presenza shabbatea.In quanto a Shabbetai Zevi, visse ad Adrianopoli e talvolta anche aCostantinopoli fino al 1672: riuscì a ottenere di condurre una doppia vita,compiendo i doveri di musulmano e osservando nel contempo gran parte delrituale ebraico. I turchi si aspettavano da lui che si facesse missionario, mai duecento capi-famiglia che attrasse all'Islam erano tutti credenti-segretida lui ammoniti a rimanere uniti come combattenti contro la kelippah. Iperiodi di illuminazione e di depressione continuarono ad alternarsi, edurante le fasi di illuminazione, talvolta piuttosto lunghe, si comportòesattamente come prima; istituì nuove feste, confermò la sua missione mistica

e convinse molti a seguirlo nell'Islamismo, che da allora venne chiamato "laTorah della grazia" per distinguerlo dal Giudaismo, "la Torah della verità".Molte notizie circa il suo libertinaggio durante le "illuminazioni" sembranofondate. In uno di tali periodi, nell'aprile 1671, divorziò dalla moglie, mala riprese quando l'illuminazione l'abbandonò, sebbene avesse già presoaccordi per un altro matrimonio. Una cronaca in ebraico d'uno dei suoivisitatori, Jacob Najara, descrive dettagliatamente il suo comportamentostraordinario. Le rivelazioni ad opera di intermediari celesti, delle quali cisono pervenuti alcuni resoconti, erano frequenti nella sua cerchia. Primo,Yakhini e Nathan lo visitarono spesso; tuttavia non furono mai invitati aconvertirsi all'Islam, e i credenti di Turchia li accettavano come suoi

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portavoce legittimi. Sebbene fossero ancora molto forti nei Balcani e nellaTurchia asiatica, gli shabbatei vennero spinti a poco a poco nellaclandestinità, ma non furono scomunicati. La linea di demarcazione tra gliapostati e coloro che rimasero ebrei era talvolta poco nitida, sebbene isecondi di solito si facessero notare per il modo di vita particolarmenteascetico e pio. Lo stesso Shabbetai Zevi, che godeva del favore del sultano,strinse legami con alcuni mistici musulmani dell'ordine dei dervisci. Lacorrispondenza epistolare tra il suo gruppo e i credenti dell'Africa

settentrionale, l'Italia e altri paesi diffuse la nuova teologia e contribuì acreare uno spirito settario sempre più spiccato. Dopo una denuncia della suadoppiezza e della sua licenziosità sessuale presentata da alcuni ebrei emusulmani, e appoggiata da somme cospicue, Shabbetai Zevi fu arrestato aCostantinopoli nell'agosto del 1672. Il gran visir esitò tra l'idea di farlogiustiziare e quella di deportarlo, e alla fine decise di mandarlo in esilio,nel gennaio 1673, a Dulcigo (turco: Ulkun) in Albania, che gli shabbateichiamarono Alkum, da Proverbi 30:31. Sebbene godesse di una relativa libertà,Shabbetai Zevi scomparve agli occhi del pubblico, ma alcuni dei suoiprincipali sostenitori continuarono i loro pellegrinaggi, a quanto sembraspacciandosi per musulmani. Nel 1674 morì sua moglie Sarah, e Shabbetai Zevisposò Esther (chiamata in altre fonti Jochebed), figlia di Joseph Filosof, unrispettato rabbino di Salonicco, che era uno dei suoi sostenitori piùautorevoli. Di tanto in tanto, durante le "illuminazioni", egli pensava diritornare allo stato precedente e riteneva che la redenzione finale fosseormai prossima.Durante gli ultimi dieci anni della sua vita, soprattutto ad Adrianopoli,usava rivelare agli eletti - spesso prima di esigere da loro la sottomissioneall'apostasia mistica" - la sua versione del "mistero della divinità". Secondotale versione il "Dio d'Israele" non era la prima causa di Ein-Sof, bensì "unaseconda causa, dimorante nella Sefirah Tiferet", che si manifestava cioètramite questa Sefirah pur non identificandosi con essa. I due puntiprincipali di questa dottrina che ebbe un'importanza cruciale nei successivisviluppi dello Shabbateanismo, erano: 1) La distinzione tra la prima causa eil Dio d'Israele che - e questa tesi venne sostenuta in versioni diverse dagliesponenti più radicali del movimento - sottintendeva che la prima causa nonesercita la provvidenza sulla Creazione, e che questa è esercitata solo dal

Dio d'Israele, il quale venne posto in essere solo dopo l'atto dello Zimzum:questa dottrina suscitò una particolare avversione in campo ortodosso e fuconsiderata estremamente pericolosa ed eretica. 2) Il carattere nettamentegnostico della divisione, benché con la differenza che la valutazionereligiosa dei due elementi di questo idealismo è invertita: gli gnostici delII secolo consideravano il Dio occulto come il vero Dio, e ritenevano il "Diodegli ebrei" un essere inferiore e addirittura detestabile. Zevi, Nathan eCardozo, invece, capovolsero l'ordine dei valori: il Dio d'Israele, sebbeneemanato dalla prima causa, era il vero Dio della religione, mentre la primacausa era essenzialmente irrilevante dal punto di vista religioso. Qualchetempo prima di morire, Shabbetai Zevi dettò una versione più lunga di questadottrina a uno dei suoi dotti visitatori, o almeno l'indusse a scriverla. Iltesto, in seguito conosciuto come Raza di-Meheimanuta ("Il mistero della Vera

Fede"), istituiva una sorta di trinità cabalistica, chiamata in terminizoharici "i tre legami [o nodi] della fede". Consisteva dell'Antico Santissimo(Attika kaddisha), il Re Santissimo (Malka kaddisha), chiamato anche il Diod'Israele, e la sua Shekhinah. Non vi erano riferimenti al Messia e al suorango, o alla sua relazione con queste ipostasi. Tale dottrina differivaconsiderevolmente dal sistema sviluppato in precedenza da Nathan di Gaza nelsuo Sefer Beri ah ("Libro della Creazione"). Entrambi i testi ebbero unaprofonda influenza sulla dottrina shabbatea dei tempi successivi, e qualcheeco si sente negli inni cantati dai settari di Salonicco pervenuti fino a noi.Numerose lettere degli ultimi anni di Shabbetai Zevi attestano che eglicontinuò a credere in se stesso, almeno durante i periodi d'illuminazione. La

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sua ultima lettera, scritta circa sei settimane prima della morte, chiede agliamici della comunità ebraica più vicina, a Berat in Albania, di inviargli unlibro di preghiere per il Capodanno e il Giorno dell'Espiazione. Morìimprovvisamente due mesi dopo il suo cinquantesimo compleanno, nel Giornodell'Espiazione, 17 settembre 1676. Nathan propagò l'idea che la morte diShabbetai Zevi era solo un "occultamento" e che in realtà egli era ascesonelle "luci superne" ed era stato da queste assorbito. Una simile teoriad'apoteosi era in linea con le precedenti speculazioni di Nathan sulla

deificazione graduale del Messia; ma lasciava aperta una questione: chiavrebbe rappresentato il Messia sulla Terra? Lo stesso Nathan morì poco dopo,1'11 gennaio 1680, a Skoplje in Macedonia. Durante l'anno precedente uno deisuoi discepoli, Israel Hazzan di Kastoria, scrisse lunghe omelie su alcunisalmi, rispecchiando lo stato d'animo del circolo più vicino a Shabbetai Zevie la costruzione graduale di una dottrina eretica e settaria.

La Cabala shabbatea

Poiché Shabbetai Zevi non era un pensatore sistematico e parlava soprattuttoper allusioni e metafore, Nathan di Gaza deve essere considerato il principalecreatore di questo sistema piuttosto complesso, che combinava una nuovaversione della Cabala lurianica con idee originali circa la posizione delMessia in questo nuovo ordine. Le sue idee ebbero una vasta diffusione e laloro influenza si può notare in molti trattati cabalistici, in apparenzaortodossi, apparsi nelle due generazioni successive.Nathan accetta la dottrina lurianica dello Zimzum (vedasi p. 133), ma aggiungeuno strato nuovo e addirittura più profondo alla sua concezione dellaDivinità. Fin dall'inizio vi sono in Ein-Sof due tipi di luce o aspetti - chepotrebbero venire chiamati addirittura "attributi" in senso spinoziano la"luce pensante" e la "luce senza pensiero". La prima comprende tutto ciò che èconcentrato sulla finalità della creazione. Ma nell'infinita ricchezza diEin-Sof vi sono forze, o principi, che non sono rivolte verso la creazione, eil cui unico scopo è di rimanere ciò che sono e di restare dove sono. Sono"senza pensiero" nel senso che sono prive di ogni idea rivolta alla creazione.L'atto di zimzum, che avvenne per creare un cosmo, ebbe luogo solo nella "luce

pensante". Con questo atto fu creata, per la luce pensante, la possibilità direalizzare il suo pensiero, di proiettarlo nello spazio primordiale, iltehiru, e di erigervi le strutture della creazione. Ma quando questa luce siritrasse, rimane nel tehiru la luce priva di pensiero, che non aveva presoparte alla creazione e, per sua stessa natura, resisteva a ogni mutamentocreativo. Nella dialettica della creazione, quindi, divenne una forzaattivamente ostile e distruttiva. Ciò che viene chiamato kelippah, la potenzadel male, in ultima analisi ha le sue radici in questa luce non creativa nellostesso Dio. Il dualismo di forma e materia assume un aspetto nuovo: entrambehanno la loro base in Ein-Sof. La luce senza pensiero non è malefica in sestessa, ma assume tale aspetto perché si oppone all'esistenza di qualunquecosa che non sia Ein-Sof e perciò è decisa a distruggere le strutture prodottedalla luce pensante. Il tehiru, che è riempito dalla luce priva di pensiero,

mescolata a qualche residuo della luce pensante rimasta anche dopo lo zimzum,è chiamato golem, la materia informe primordiale. L'intero processo dellacreazione, quindi, procede attraverso una dialettica tra le due luci; in altreparole, attraverso una dialettica radicata nell'essere stesso di Ein-Sof.Quando, dopo lo zimzum, la luce pensante riaffluì in linea retta (kavhayosher) nel tehiru, avviandovi processi molti simili, ma non identici, aquelli descritti nella Cabala lurianica, penetrò soltanto la metà superioredello spazio primordiale come se sopraffacesse la luce priva di pensiero e latrasformasse, costruendo così il mondo del suo pensiero originale. Ma nonraggiunse la metà inferiore del tehiru, descritta come "il profondo del grandeabisso". Tutte le affermazioni dell'ontologia lurianica e la dottrina della

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restaurazione cosmica o tikkun, che Israele deve realizzare con la forza dellaTorah, si riferiscono solo alla parte superiore del tehiru. La parte inferiorepersiste nella sua condizione informe e non strutturata fino all'avvento delMessia, il solo che possa renderla perfetta, operandone la penetrazione e latrasformazione mediante la luce pensante. In effetti anche le luci prive dipensiero costruiscono loro strutture, i mondi demoniaci delle kelippot il cuisolo intento è distruggere ciò che è stato compiuto dalla luce pensante. Taliforze sono chiamate "i serpenti dimoranti nel grande abisso". Le potenze

sataniche, chiamate nello Zohar "sitra ahra" ("l'altra parte"), non sono altroche l'altra parte dello stesso Ein-Sof nella misura in cui, a causa della suastessa resistenza, fu coinvolto nel processo della creazione. Nathan sviluppòuna teoria nuova sui processi che ebbero luogo nel tehiru prima ancora che vipenetrasse il raggio proveniente da Ein-Sof, causati dall'interazione tra ilresiduo della luce pensante e le forze del golem. Tali processi produsseromodi dell'essere connessi alle prime configurazioni delle lettere cheavrebbero formato la Torah e la scrittura cosmica. Solo in uno stadiosuccessivo, dopo che la linea retta si irradiò e penetrò il tehiru, questeprime strutture, chiamate l'opera della creazione primordiale (ma'asehbereshit), si trasformarono nelle strutture più sostanziali (ma'asehmerkauah). Tutti i processi lurianici connessi alla rottura dei vasi e altikkun venivano ora adattati alla dialettica delle due luci.In questa concezione della creazione, la figura del Messia ha fin dall'inizioun ruolo centrale. Sin dallo zimzum l'anima del Messia era stata sommersanella metà inferiore del tehiru; cioè fin dall'inizio del tempo era nel regnodelle kelippot, poiché era una delle scintille della luce pensante che eranorimaste nel tehiru e forse erano state in qualche modo catturate dallekelippot. Quest'anima, dominata dall'influsso della luce priva di pensiero edall'asservimento al suo dominio, ha continuato a lottare sin dall'inizio delmondo, tra sofferenze indescrivibili, per liberarsi e intraprendere la suagrande missione: aprire la parte inferiore del tehiru alla penetrazione dellaluce pensante e apportare la redenzione e il tikkun alle kelippot. Con la lorotrasformazione finale si produrrebbero un equilibrio e un'unità utopistica trai due aspetti di Ein-Sof. La "linea retta" non può penetrare nell'abisso primache il Messia sia riuscito a sottrarsi alla dominazione delle kelippot. Egli èessenzialmente diverso da tutte le anime che prendono parte ai processi del

tikkun. Anzi, egli non è mai stato sottoposto all'autorità della Torah, che èlo strumento mistico usato dal potere della luce pensante e dalle anime adessa connesse. Egli rappresenta qualcosa di assolutamente nuovo, un'autoritàche non è soggetta alle leggi vincolanti nello stato di esilio cosmico estorico. Non può essere misurato secondo i comuni concetti del bene e delmale, e deve agire secondo la propria legge, che può divenire la leggeutopistica di un mondo redento. La sua preistoria e il suo speciale compitospiegano il suo comportamento dopo che egli si è liberato dalla prigione dellakelippah.Questa dottrina consentiva a Nathan di difendere ognuno degli "strani atti"del Messia, inclusi l'apostasia e gli eccessi antinomistici. Egli è lacontroparte mistica della giovenca rossa (Num.19): purifica l'impuro, ma nelprocesso diviene impuro egli stesso. È il "serpente sacro" che doma i serpenti

dell'abisso, poiché il valore numerico della parola ebraica mashi'ah è ugualea quello di nahash. In un certo senso, ogni anima è composta delle due luci, eper sua natura è legata prevalentemente alla luce priva di pensiero che miraalla distruzione, e la lotta tra le due luci si ripete continuamente in ognianima. Ma le anime sante sono aiutate dalla legge della Torah, mentre ilMessia è abbandonato completamente a se stesso. Queste idee vennero sviluppatenella nuova Cabala eretica in grande dettaglio e in versioni diverse cherivelano una strana abilità nel formulare credenze dogmatiche paradossali.Queste ultime rispondevano esattamente alla situazione particolare di coloroche credevano nella missione di un Messia apostata, e la considerevole forzadialettica con cui venivano presentate non mancava di impressionare le menti

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suscettibili. La combinazione di immagini mitologiche e di argomentazionidialettiche accrebbe l'attrazione esercitata dagli scritti di Nathan.

Il movimento shabbateo, 1680-1700

Al di fuori dei circoli dei credenti, la morte di Shabbetai Zevi passòinosservata per il mondo ebraico. Tra i credenti produsse profondi impulsi

d'introspezione: alcuni dei suoi seguaci, sembra, abbandonarono immediatamenteil campo dopo la sua fine. Persino suo fratello Elijah, che l'aveva raggiuntoad Adrianopoli e si era convertito all'Islam, tornò a Smirne e al Giudaismo.Le attività dei gruppi shabbatei erano incentrate soprattutto in tre paesi,Turchia, Italia e Polonia (soprattutto in Lituania), dove apparvero capivigorosi, vari profeti e aspiranti alla successione di Shabbetai Zevi. Sebbenevi fossero molti credenti in altre parti della Diaspora, come il Kurdistan eil Marocco, questi tre centri furono i più importanti. I gruppi più numerosiin Turchia si trovavano a Salonicco, Smirne e Costantinopoli, ma in quasitutti i Balcani sopravvissero comunità shabbatee, e non di rado vi aderivanosegretamente anche membri dei tribunali rabbinici. A Costantinopoli, il lorocapo era Abraham Yakhini, che morì nel 1682. Un gruppo di rabbini e dicabalisti incoraggiava i credenti meno colti a Smirne, sebbene gli ortodossiriacquistassero anche là il controllo. Dal 1675 al 1680 Cardozo (vedasi p.398)occupò il posto di maggior rilievo tra gli shabbatei di Smirne, dopo esserestato costretto a lasciare Tripoli intorno al 1673, e successivamente ancheTunisi e Livorno. A Smirne egli trovò molti seguaci, i più importanti deiquali erano il giovane Rabbi Elijah b. Solomon Abraham ha-Kohen Ittamari (m.1727), che divenne uno degli scrittori e predicatori morali più prolificidelle due generazioni successive e non abbandonò mai, a quanto sembra, le sueconvinzioni fondamentali, ed il cantore Daniel b. Israel Bonafoux, chesoprattutto nei suoi anni più tardi asseriva di possedere poteri medianici.In quegli anni Cardozo incominciò una prolifica produzione letteraria,componendo numerosi libri e trattati nei quali espose la sua versione dellateologia shabbatea. A partire da Boker A1rraham (1672), egli propagò la teoriache esista una differenza di principio tra la prima causa, che è il Dio deifilosofi e dei pagani, e il Dio d'Israele, che si rivelò ai Patriarchi e al

popolo d'Israele. La confusione tra i due è il più grave errore di Israelenell'era dell'esilio. Il popolo era stato particolarmente fuorviato daifilosofi del Giudaismo, Saadiah Gaon, Maimonide e tutti gli altri. Solo imaestri del Talmud e i cabalisti avevano mantenuto segretamente viva la fiammadella vera religione. Con l'approssimarsi della redenzione, alcune animeelette avrebbero afferrato il vero significato della fede di Israele, e cioèla rivelazione contrapposta alla filosofia, e il Messia (come era profetizzatoda un detto midrashico) avrebbe raggiunto la conoscenza del vero Dio, il"mistero della Divinità" di Shabbetai Zevi, grazie ai propri sforzi razionali.Nel frattempo, questa concezione paradossale poteva essere suffragata da unavera interpretazione dei testi razionali, anche se i rabbini ciechi laconsideravano un'eresia. Cardozo non si servì delle idee nuove della Cabala diNathan, ma costruì un sistema tutto suo che aveva una considerevole potenza

dialettica. In quasi tutti i suoi scritti evitò la questione della missione diShabbetai Zevi, sebbene la difendesse in parecchie epistole scritte in periodidiversi della sua vita. Per un considerevole numero di anni almeno, egli videse stesso come il Messia figlio di Joseph che, quale rivelatore della verafede e vittima della persecuzione dei rabbini, doveva precedere l'avventofinale di Shabbetai Zevi, dopo il quale tutti i paradossi del credo shabbateosi sarebbero risolti. Tra il 1680 e il 1697, Cardozo visse a Costantinopoli,Rodosto e Adrianopoli, suscitando molte controversie con i suoi insegnamenti ecausando grandi inquietudini con le sue profezie sull'imminente finemessianica, specialmente nel 1682. Alla fine fu costretto a lasciare queiluoghi e trascorse gli ultimi anni della sua vita soprattutto a Candia

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(Creta), Chio e, dopo aver cercato invano di stabilirsi a Gerusalemme, inEgitto. Sostenitore della stretta aderenza alla tradizione rabbinica fino aquando non fosse ritornato Shabbetai Zevi, lottò coerentemente contro letendenze antinomistiche, sebbene anch'egli prevedesse un completo cambiamentonella manifestazione della Torah e nella sua pratica al tempo dellaredenzione. L'influenza di Cardozo fu seconda solo a quella di Nathan; i suoiscritti furono copiati in molti paesi, ed egli mantenne stretti rapporti con icapi shabbatei un po' dovunque. Molte delle sue polemiche erano rivolte contro

Samuel Primo, da una parte, e dall'altra contro gli shabbatei radicali diSalonicco. Primo (m. 1708), che divenne il rabbino capo di Adrianopoli, siopponeva a ogni aperta attività shabbatea e rivelava la sua ferma fede e lesue idee eretiche solo in conclavi segreti.A Salonicco la situazione era diversa. Il numero dei credenti era ancoraingente e la famiglia dell'ultima moglie di Shabbetai Zevi, capeggiata dalpadre, Joseph Filosof e dal fratello di lei, Jacob Querido, mettevaapertamente in mostra le proprie convinzioni. Nathan aveva seguaci importantitra i rabbini, inclusi vari predicatori rispettatissimi e persino autoritàhalakhiche. Il continuo stato di tumulto, soprattutto dopo la morte di Nathan,produsse una nuova ondata di esaltazione e di nuove rivelazioni. Le visioni diShabbetai Zevi erano assai comuni in molti circoli di credenti; ma aSalonicco, nel 1683, portarono all'apostasia collettiva di circa trecentofamiglie, che consideravano loro dovere seguire le orme del Messia, incontrapposizione con quegli shabbatei che, come Cardozo, ritenevano che gliatti del Messia non potessero venire imitati o seguiti da nessun altro.Insieme ai primi apostati tra i contemporanei di Shabbetai Zevi, il nuovogruppo, guidato da Filosof e Solomon Florentin, formò la setta dei doenmeh,marranos volontari, che professavano e praticavano l'Islamismo in pubblico, main segreto aderivano a un miscuglio di Giudaismo tradizionale ed eretico. Sisposavano soltanto tra di loro, e ben presto furono identificati come ungruppo separato tanto dai turchi quanto dagli ebrei; si svilupparono seguendolinee proprie e formarono tre sottosette vedasi p. 327). Tutti i loro gruppiavevano in comune un certo antinomismo, ma questa tendenza divenne prominentenella sottosetta guidata da Baruchiah Russo (Osman Baba) che, nei primi annidel XVIII secolo, creò un altro scisma insegnando che la nuova Torahspirituale e messianica (Torah de-Azilut) comportava una completa inversione

dei valori, simboleggiata dalla trasformazione delle 36 proibizioni dellaTorah chiamate keritot (cioè punibili con lo sradicamento dell'anima el'annientamento) in comandi positivi. Questo includeva tutte le unionisessuali proibite e l'incesto. Sembra che questo gruppo sviluppasse anche ladottrina della divinità di Shabbetai Zevi e più tardi dello stesso Baruchiah,che morì nel 1721. Questa dottrina dell'incarnazione venne in seguitoattribuita erroneamente a tutti gli shabbatei e creò molta confusione nellenotizie sul loro conto. Il gruppo di Baruchiah divenne l'ala più radicaledella clandestinità shabbatea. La maggior parte dei credenti, tuttavia, nonseguì l'esempio dei doenmeh e rimase nell'ovile ebraico, persino a Salonicco,dove essi scomparvero solo dopo parecchio tempo. Parecchi illustri rabbini diSalonicco e di Smirne, nel XVIII secolo, come Joseph b. David, Meir Bikayam eAbraham Miranda, avevano ancora segrete simpatie e per gli insegnamenti e le

credenze degli shabbatei. Vari dotti che studiarono con Nathan o con i suoiallievi a Salonicco, come Solomon Ayllon ed Elijah Mojajon, che in seguitodivennero rabbini di comunità importanti come Amsterdam Londra e Ancona,diffusero gli insegnamenti dell'ala moderata dello Shabbateanismo, che aderivaal Giudaismo e anzi tendeva addirittura verso un pietismo eccessivo. Tra il1680 e il 1740 numerosi emissari della Palestina specialmente di Hehron e.Safed. furono ' contaminati" dallo Shabbateanismo e funsero da anelli dicongiunzione tra i vari gruppi.Il secondo centro fu in Italia, dapprima a Livorno, dove furono attivi MosesPinheiro, Meir Rofe, Samuel de Paz e Judah Sharaf (verso la fine della suavita), e più tardi a Modena. Qui Abraham Rovigo fu appassionatamente devoto

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allo Shabbateanismo del tipo più nettamente pietistico e, poiché era unostudioso e un cabalista di vasta fama oltre che appartenente a una famigliaricchissima, divenne l'uomo cui si rivolgevano tutti i "credenti", soprattuttoi visitatori che passavano l'Italia provenienti dalla Terra d'Israele, dallaPolonia e dai Balcani. Le sue convinzioni erano condivise dal suo intimo amicoBenjamin b. Eliezer ha-Kohen, il rabbino di Reggio, da Hayyim Segré diVercelli e da altri. Essi osservavano con attenzione ogni segno di un nuovoimpulso e si scambiavano le notizie ricevute da visitatori e corrispondenti.

Erano piuttosto comuni, in quel tempo, le rivelazioni di maggidim celesti, checonfermavano il rango superno di Shabbetai Zevi e la legittimità della suamissione, e aggiungevano inoltre nuove interpretazioni dello Zohar e di altromateriale cabalistico. Le carte di Rovigo, molte delle quali sono pervenutefino a noi, mostrano la vasta distribuzione della propaganda shabbatea tra il1680 e il 1700. Benjamin Kohen - un rabbino che ostentava nella sua casa unritratto di Shabbetai Zevi! - ebbe addirittura l'ardire di pubblicare uncommento sulle Lamentazioni che riprendeva dettagliatamente l'aforisma diNathan che nell'era messianica questo libro biblico sarebbe stato letto comeuna raccolta d'inni di gioia (Allon Bakhut, Venezia 1712). Baruch di Arezzo,appartenente al gruppo di Rovigo, compose nel 1682-85, probabilmente a Modena,un'agiografia di Shabbetai Zevi, Zikhron le-Veit Yisrael, la più vecchiabiografia del genere che ci sia pervenuta. In questi circoli gli scritti diNathan venivano copiati e studiati ardentemente, e gli illuminati cheaffermavano di aver ricevuto l'ispirazione divina, come Issachar BaerPerlhefter e Mordecai (Mokhi'ah) Eisenstadt di Praga (tra il 1677 e il 1681) epiù tardi (1696-1701) Mordecai Ashkenazi di Zholkva (Zolkiev), furono accoltia braccia aperte e appoggiati da Rovigo. Quando Rovigo realizzò il suoprogetto di stabilirsi a Gerusalemme nel 1701, la maggioranza della yeshivahda lui fondata in quella città consistette di shabbatei. Prima di lasciarel'Europa, Rovigo si recò, in compagnia del suo discepolo Mordecai Ashkenazi, aFuerth, dove fece stampare un voluminoso in-folio, Eshal Avraham, scrittodallo stesso Mordecai e basato sulla nuova interpretazione dello Zohar da luiricevuta dal cielo. Essendo devoti seguaci della tradizione rabbinica, glishabbatei come Rovigo si discostavano dalla pratica halakhica solo in quantocelebravano come una festività il 9 di Av. E anche questa pratica venivatalvolta abbandonata. In generale, al di fuori della cerchia piuttosto

ristretta dei doenmeh, i seguaci di Shabbetai Zevi non differivano molto daglialtri ebrei nel loro atteggiamento positivo nei confronti della praticahalakhica, e le differenze tra loro e l'"ortodossia" restavano nel campo dellaspeculazione teologica. Quest'ultima, senza dubbio, aveva per la coscienza deicredenti implicazioni che non possono venire sottovalutate.La questione della posizione della Torah nell'era messianica, che era giàoggetto di serie discussioni nella cerchia di Shabbetai Zevi e negli scrittidi Cardozo, soprattutto nel suo Magen Auraham (1668), non poteva rimanereastratta. Ma nulla indica che prima del 1700 lo Shabbateanismo fossecaratterizzato da pratiche eretiche.Questo vale anche per ciò che riguarda il movimento tra gli ebrei ashkenazi.Quasi subito dopo la morte di Shabbetai Zevi ci si chiese se egli era stato ilsofferente Messia figlio di Joseph, anziché il redentore finale. A Praga, nel

1677, questa posizione fu assunta da Mordecai Eisenstadt, un predicatoreascetico che nei cinque anni seguenti attirò un vasto seguito. Insieme alfratello, che era probabilmente Meir Eisenstadt, divenuto in seguito unrabbino famoso, viaggiò in Boemia, nella Germania meridionale e nell'Italiadel nord, esortando a non perdere la fede nella redenzione imminente. Dottirabbini come Baer Perlhefter di Praga, che trascorse parecchi anni a Modena,sostennero le sue affermazioni, anche se più tardi Baer abbandonò il suo campoe forse anche lo Shabbateanismo. Anche là dove Shabbetai Zevi era onorato comeil vero Messia, come avveniva in molti gruppi, non mancavano gli aspiranti alruolo del Messia figlio di Joseph che avrebbe riempito l'interregno tra la"prima manifestazione" di Shabbetai Zevi e la seconda. Già durante l'esilio di

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quest'ultimo in Albania era apparso un pretendente nella persona di Joseph ibnZur di Meknès (Marocco), un ignorante divenuto profeta che gettò moltecomunità nella più grande agitazione preannunciando la redenzione finale perla Pasqua del 1675. La sua morte improvvisa pose fine a tali inquietudini, manon alla profonda fede in Shabbetai Zevi tra le comunità del Marocco. Piùduratura fu l'impressione creata da un altro profeta di questo tipo a Vilna,l'ex argentiere Joshua Heshel b. Joseph, chiamato generalmente Heshel Zoref(vedasi p. 454). Costui, che in origine era un artigiano illetterato,

"rinacque" durante i grandi sovvertimenti del 1666 e per molti anni fuconsiderato il massimo profeta del movimento shabbateo in Polonia. Per più ditrent'anni egli compose il Sefer ha-Zoref, diviso in cinque parti che avrebbedovuto rappresentare una sorta di futura Torah del Messia. In effetti, le suemigliaia di pagine basate su spiegazioni mistiche e numerologiche di ShemaYisrael proclamavano che lui stesso era il Messia figlio di Joseph, eShabbetai Z. evi il Messia figlio di David. La posizione del libro neiconfronti della tradizione rabbinica era completamente conservatrice. Numeroseparti di queste rivelazioni sono giunte fino a noi: alcune, piuttostostranamente, finirono nelle mani di Israel b. Eliezer Ba'al Shem Tov, ilfondatore del successivo Hasidismo, e vennero tenute in grande stima da lui edalla sua cerchia. Nei suoi ultimi anni di vita, Heshel Zoref si trasferì aCracovia e incoraggiò il nuovo movimento del Hasidismo shabbateo.Un altro profeta di questo tipo, un ex distillatore d'acquavite chiamatoZadok, apparve a Grodno nel 1694-96. La sensazione creata da questi uomini siripercosse fino in Italia, e Rovigo e i suoi amici raccolsero scrupolosamentele testimonianze su questi eventi, fornite dai visitatori polacchi. Uno dicostoro fu lo shabbateo Hayyim b. Solomon, conosciuto come Hayyim Malakh(vedasi p. 431), uomo dottissimo e, a quanto sembra dotato di una poderosapersonalità. Nel 1691 egli studiò in Italia gli scritti di Nathan che nonerano ancora accessibili in Polonia, e dopo il suo ritorno ne diffuse gliinsegnamenti tra i rabbini di quella terra. Più tardi si recò ad Adrianopolie, sotto l'influenza di Primo, lasciò i moderati e divenne portavoce di unramo assai più radicale del movimento. Si alleò a Judah Hasid di Shidlov, unfamoso predicatore penitenziale e apparentemente capo dei moderati. Tra il1696 e il 1700 essi divennero gli animatori della "santa società di RabbiJudah Hasid", un gruppo composto da molte centmaia di persone, in maggioranza

probabilmente shabbatee, che praticavano un estremo ascetismo e si preparavanoa emigrare in Palestina per attendere la seconda manifestazione di ShabbetaiZevi. Vari loro gruppi passarono per molte comunità della Polonia e dellaGermania, destando grande entusiasmo. Anche se non si dichiararono maiapertamente shabbatei, restano ben pochi dubbi al riguardo, Molti rabbinidelle grandi comunità, che erano consci del vero carattere di questi hasidim,tentarono invano di arrestarne la propaganda. Alla fine del 1698 si tenne aMikulov (Nikolsburg, in Moravia) un concilio dei capi shabbatei dei hasidim,cui presenziò Heshel Zoref.

Fine parte 2.

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Sholem.

La cabala.

Parte terza.

Lo Shabbateanismo nel XVIII secolo e sua disintegrazione.

L'aliyah del Hasidismo a Gerusalemme nel 1700 rappresentò un culminedell'attività e delle attese degli shabbatei, e nella grande delusione per ilsuo fallimento, come dopo il precedente fallimento di Shabbetai Zevi, parecchidei suoi seguaci abbracciarono il Cristianesimo o l'Islamismo. Judah Hasidmorì quasi subito dopo il suo arrivo a Gerusalemme nell'ottobre 1700, e lasituazione esistente a Gerusalemme frantumò il movimento. Scoppiarono dissensitra i moderati, alcuni dei quali seppellirono completamente le loroconvinzioni shabbatee, e gli elementi più radicali capeggiati da Malakh.Questi fu espulso insieme alla sua fazione, ma anche i moderati non ebbero lapossibilità di rimanere in Terra Santa e quasi tutti ritornarono in Germania,Austria o Polonia. Uno degli shabbatei più influenti che rimasero fu JacobWilna, un cabalista di grande reputazione. Molti credenti avevano proclamatoche il 1706 sarebbe stato l'anno del ritorno di Shabbetai Zevi, e la delusioneindebolì un movimento che aveva già perduto il suo slancio attivo. Fucostretto alla clandestinità totale, un processo affrettato dal diffondersidelle voci sugli insegnamenti antinomistici e nichilisti di Baruchiah. Glishabbatei, anche se a torto, furono sempre più identificati con questa alaestremista, i cui seguaci non si accontentavano di teorie mistiche e diesperienze visionarie, ma ne traevano conseguenze circa la loro adesionepersonale alla Legge. Malakh si recò a Salonicco, poi diffuse il vangelodell'antinomismo segreto in Podolia, dove trovò un terreno fertile soprattuttonelle comunità più piccole. Le informazioni relative al resto dell'Europa nonsono sufficienti a permettere una chiara differenziazione tra le varie fazionidel movimento clandestino. È evidente, tuttavia, che lo slogan antinomistaproclamato dall'ala radicale, per cui "l'annullamento della Torah è il suovero compimento", e come il grano che muore nella terra, le azioni dell'uomodevono in qualche modo "imputridire" per dare il frutto della redenzione,

esercitava un forte ascendente emotivo anche su alcuni talmudisti e cabalisti,anche se, essenzialmente, rappresentava una rivolta antirabbinica nell'ambitodel Giudaismo. Era logico che questo allarmasse le autorità rabbiniche, checonsideravano bastardi i figli di questi settari, e quindi non ammissibilinella comunità. D'altra parte, vi sono le prove che non pochi dei piùinfluenti predicatori morali e autori di testi di letteratura morale ditendenza ascetica radicale erano segretamente shabbatei dell'ala moderata ehasidica. Molti dei più influenti "libri musar" di questo periodo appartengonoa tale categoria, come Shevet Musar di Elijah Kohen Ittamari (1712), Tohoratha-Kodesh di un autore anonimo che scrisse nel primo decennio del secolo(1717) e Shem Ya'akou di Jacob Segal di Zlatova (1716). Alcuni cabalisti chescrissero anche trattati morali in yiddish appartenevano egualmente a questocampo, come Zevi Hirsch b. Jerahmeel Chotsh, e Jehiel Michael Epstein.

La propaganda sbabbatea si polarizzò così intorno a due centri diversi. Imoderati che si conformavano alla pratica tradizionale o addirittura laesageravano, poterono produrre una letteratura che, evitando ogni apertaproclamazione della loro fede messianica, raggiungeva un vasto pubblico ignarodelle convinzioni degli autori. Furono pubblicati non pochi libri omiletici,morali, cabalistici e liturgici i cui autori alludevano in modo indiretto allaloro fede segreta. I radicali, che divennero particolarmente attivi tra il1715 e il 1725 dopo che Baruchiah era stato proclamato "Senor Santo" nonchéun'incarnazione della versione shabbatea del "Dio di Israele", dovettero agirecon maggiore cautela. Essi operavano per mezzo di emissari inviati daSalonicco e dalla Podolia e facevano circolare manoscritti e lettere che

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esponevano la loro "nuova Cabala". I circoli polacchi conosciuti come hasidimprima dell'evento di Ba'al Shem Tov, che praticavano forme estreme di pietàascetica, avevano un forte elemento di Shabbateanismo, soprattutto in Podolia.In Moravia, Judah b. Jacob, chiamato comunemente Loebele Prossnitz (vedasi ap. 443), causò molta agitazione dopo il suo "risveglio" come profetashabbateo, viaggiando tra le comunità della Moravia e della Slesia eacquisendo molti seguaci, alcuni dei quali perseverarono anche quando le suepratiche "magiche" fraudolente furono smascherate ed egli venne messo al bando

(1703-06). Meir Eisenstadt che, come molti altri rabbini eminenti, aveva avutosimpatia per il movimento, e a

quel tempo officiava a Prossnitz, lo abbandonò e si schierò contro di lui, maProssnitz rimase la sede di un cospicuo gruppo shabbateo per tutto il XVIIIsecolo. Un poco più tardi, tra il 1708 e il 1725, un altro centro delloShabbateanismo si cristallizzò a Mannheim, dove alcuni membri della società diJudah Hasid, incluso suo genero Isaiah Hasid di Zbarazh, trovarono rifugio nelnuovo bet ha-midrash. All'incirca nello stesso periodo Elijah Taragon, unodegli allievi di Cardozo, tentò invano di pubblicare ad Amsterdam il BokerAuraham del suo maestro (1712).Mentre tutti questi sviluppi avevano luogo in un'atmosfera crepuscolare oclandestina, senza destare molta attenzione, scoppiò un grande scandalopubblico quando un altro illuminato shabbateo, questa volta un uomo moltodotto, riuscì a pubblicare l'unico grosso testo di teologia shabbatea stampatonel XVIII secolo. Nehemiah Hiyya Hayon (vedasi p. 414) era stato educato aGerusalemme, era stato rabbino nella sua città natale, ed era stato incontatto con i settari di Salonicco e con il circolo di Cardozo prima di fareritorno in Erez Israel. Là compose un complesso doppio commento su Razadi-Meheimanuta, l'ultima esposizione di Shabbetai Zevi del mistero dellaDivinità, che Hayon sosteneva di aver ricevuto da un angelo o, in altreoccasioni, di aver trovato in una copia dello Zohar. Costretto a lasciare ErezIsrael per le sue attività shabbatee, per parecchi anni soggiornò in Turchia,dove si fece molti amici e molti nemici; e nel 1710 arrivò a Venezia, forse disua iniziativa, forse come emissario. Con l'appoggio di alcuni simpatizzantisegreti, ma atteggiandosi di solito a cabalista ortodosso, riuscì a ottenere

dalle autorità rabbiniche l'autorizzazione a pubblicare i suoi tre libri: Razadi-Yihuda (Venezia, 1711), Oz le-Elohim (Berlino, 1713) e Divrei Nehemyah(ivi, 1713). Di questi, il principale fu Oz le-Elohim, che conteneva icommenti già menzionati sul testo di Shabbetai Zevi, del quale cambiò iltitolo in Meheimanuta de-Kholla. Tra le polemiche contro Cardozo, egli esposela sua versione della dottrina relativa ai "tre legami [o nodi] della fede",la trinità shabbatea di Ein-Sof, il Dio d'Israele e la Shekhinah. Evitòscrupolosamente di collegarsi in alcun modo con Shabbetai Zevi, il cui nomenon figura in nessuno dei suoi libri, benché Divrei Nehemyah contengaun'omelia estremamente ambigua, che attacca e nel contempo difende coloro chesi erano fatti apostati per amore del Dio d'Israele, cioè i doenmeh. Fu soloquando, verso la fine del 1713, si recò ad Amsterdam, dove godette dellaprotezione di Solomon Ayllon, che era stato un aderente segreto dello

Shabbateanismo, il carattere eretico dei suoi libri, in particolare di Ozle-Elohim, fu riconosciuto da Zevi Hirsch Ashkenazi, il rabbino della comunitàashkenazi di Amsterdam. Nella violenta diatriba che seguì tra i sefarditi diAmsterdam e i rabbini ashkenazi, e che produsse una vivace letteraturapolemica, la teologia shabbatea fu discussa in pubblico per la prima volta, evenne attaccata da rabbini come David Nieto, Joseph Ergas e Moses Hagiz, e dauna schiera di altri partecipanti alla lotta contro l'eresia. Hayon difeseenergicamente la sua dottrina "cabalistica", negandone recisamente ma invanoil carattere shabbateo. Circa 120 lettere relative a questa controversiafurono pubblicate in varie fonti. Numerosi rabbini, sospettati di esseresegretamente seguaci dello Shabbateanismo, rifiutarono di associarsi ai bandi

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pronunciati contro Hayon il quale, alla fine del 1715, fu costretto a lasciarel'Europa. Il suo tentativo di ottenere l'appoggio dei rabbini di Turchia nonebbe molto successo.Quando tornò in Europa nel 1725, il suo arrivo coincise con un altro scandaloshabbateo, e questo annullò i suoi sforzi. Lo scandalo era legato allacrescente propaganda dei seguaci estremisti di Baruchiah, che avevano messosaldamente piede in Podolia, in Moravia e soprattutto nella yeshivah di Praga,dove il giovane e già famoso Jonathan Eybeschuetz (vedasi a p. 407) era

generalmente considerato il loro maggiore sostenitore. A partire dal 1724vennero diffusi da Praga numerosi manoscritti che contenevano spiegazionicabalistiche, presentate in un linguaggio oscuro e ambiguo, ma che in sostanzadifendevano la dottrina del "Dio d'Israele", la sua presenza in Tiferet e ilsuo intimo legame con il Messia, senza tuttavia menzionare esplicitamente ilsuo carattere d'incarnazione divina. La testimonianza che indica inEybeschuetz l'autore, particolarmente del manoscritto cabalistico ma senzadubbio eretico Va-Auo ha-Yom el ha-Ayin, è schiacciante. Quando questo e altriscritti shabbatei della setta di Baruchiah furono scoperti a Francoforte nel1725 nel bagaglio di Moses Meir di Kamenka (Kamionka), un emissario shabbateoproveniente dalla Podolia e diretto a Mannheim, scoppiò un grande scandalo. Siscoprì tutta una rete di propaganda e di legami tra i numerosi gruppi, ma lareputazione di Eybeschuetz, considerato un genio dell'erudizione rabbinica,impedì che venissero prese misure a suo carico, soprattutto perché egli sipose alla testa di coloro che condannarono pubblicamente Shabbetai Zevi e isuoi settari in una dichiarazione di scomunica datata 16 settembre 1725. Inmolte altre comunità polacche, tedesche e austriache, simili proclami furonopubblicati a stampa: anch'essi chiedevano che quanti ne venissero a conoscenzadenunciassero gli shabbatei clandestini alle autorità rabbiniche. L'atmosferapersecutoria indusse gli shabbatei rimasti a passare alla totale clandestinitàper i trent'anni che seguirono, soprattutto in Polonia.Dopo questi eventi la figura di Jonathan Eybeschuetz rimase in penombra; e perla verità egli pone un difficile problema psicologico (come si può scopriremediante uno studio dei testi e dei documenti), se debba essere ritenuto o nol'autore del manoscritto menzionato in precedenza. Quando, dopo una gloriosacarriera di grande maestro, predicatore e autorità rabbinica a Praga, Metz eAmburgo, nel 1751 si scoprì che parecchi amuleti da lui distribuiti a Metz e

ad Amburgo-Altona erano di carattere shabbateo, vi fu un enorme scalpore checoinvolse moltissimi, in Germania, Austria e Polonia, in un'ardentecontroversia. Il suo principale avversario fu Jacob Emden, figlio del nemicodi Hayon ad Amsterdam e infaticabile oppositore di tutti i gruppi e di tutti ipersonaggi shabbatei superstiti. I suoi numerosi scritti polemici, pubblicatitra il 1752 e il 1769 spesso erano esagerati, come nel caso di Moses HayyimLuzzatto; ma contengono molte preziose informazioni sullo Shabbateanismo delXVIII secolo. La difesa degli amuleti fatta da Eybeschuetz fu molto debole econtraddittoria. Egli sostenne che il testo degli amuleti consistevaesclusivamente di mistici Nomi Sacri che avevano radici in libri cabalistici eche non potevano essere decifrati come un testo continuo. Un esame degliamuleti, tuttavia, dimostra il contrario. I crittogrammi usati erano diversida un esemplare all'altro, ma contenevano sempre un'asserzione della missione

messianica di Shabbetai Zevi e un riferimento alle concezioni shabbateerelative al "Dio d'Israele';.Gli shabbatei segreti dell'Europa centrale vedevano in Eybeschuetz il loroprincipale esponente, mentre gli ortodossi erano profondamente sconvolti dallapossibilità che un eminente rappresentante della spiritualità rabbinica ecabalistica avesse tendenze eretiche. Molti di loro rifiutarono di prendere inconsiderazione questa possibilità e rimasero schierati al suo fianco. Laconfusione era considerevole anche nel campo dei cabalisti ortodossi, cheerano divisi a loro volta. La questione era complicata da fattori personali enon pertinenti; ma il conflitto dimostrò quanto fossero profondamente radicatele apprensioni per l'insediamento degli shabbatei in molte comunità. Questo

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viene posto in evidenza anche da numerose testimonianze di molte fonti,documentate tra il 1708 e il 1750, prima ancora che scoppiasse la controversiatra Eybeschuetz ed Emden. Gli scritti di Nathan di Gaza venivano tuttorastudiati non soltanto in Turchia, ma anche in Marocco, in Italia e tra gliashkenazim. Parecchi autori descrivono il metodo della propaganda shabbateatra coloro che avevano una modesta conoscenza talmudica o non ne avevanoaffatto, ma che venivano indotti a studiare aggadah che i settari sapevanousare e spiegare secondo le loro concezioni. Questo metodo per attirare la

gente e iniziarla a poco a poco ai principi dei settari fu usato per più diottant'anni in Polonia, Moravia, Boemia e Germania. Una considerevoleambiguità era consentita dal diffuso principio eretico secondo il quale ilvero credente non doveva apparire quale era in realtà e la dissimulazione eralegittima in un periodo in cui la redenzione era avvenuta nel cuore segretodel mondo, ma non ancora nel regno della natura e della storia. Chiunque eraautorizzato a smentire in pubblico le sue vere convinzioni per nascondere ilfatto che conservava la "santa fede". Si arrivò al punto che un'operacontenente un sommario della teologia shabbatea, come Sha'arei Gan Eden diJacob Koppel Lifschuetz, scritta nei primi anni nel XVIII secolo in Volhynia,era preceduta da una prefazione che denunciava violentemente l'eresiashabbatea! Questa doppiezza di comportamento finì per apparire come unacaratteristica dei settari che, a partire dall'inizio del XVIII secolo,vennero chiamati in yiddish Shebsel o Shabsazviniks, con la connotazione di"ipocriti". È provato che numerosi uomini di grande sapere talmudico, epersino rabbini officianti, si univano a questi gruppi e trovavano possibilevivere in uno stato di grande tensione tra l'ortodossia esteriore el'antinomismo interiore che distruggeva inevitabilmente l'unità della loroidentità ebraica. In località come Praga, numerose famiglie rispettabiliformavano un nucleo di credenti segreti, e vi sono le prove che in certiluoghi influenti ebrei appartenenti al tribunale proteggevano i settari o nefacevano parte. Molti degli shabbatei moravi avevano posizioni di notevolepotere economico. Vi sono inoltre le prove dei riti segreti compiuti in questigruppi, soprattutto in Podolia, dove i seguaci di Baruchiah erano concentratiin località come Buchach (Buczacz), Busk, Glinyany, Gorodenka, Zolkiew,Nadvornaya, Podgaitsy (Podhajce), Rogatin (Rohatin) e Satanov. L'ingestionedel grasso proibito (helev) o gravi trasgressioni delle proibizioni sessuali

erano considerati riti d'iniziazione. Da questi ambienti vennero cabalisti eBa'alei Shem (vedasi a p. 310) di Podhajce che divennero famosi in Germania ein Inghilterra tra il 1748 e il 1780, come Hayyim Samuel Jacob Falk, il "Ba'alShem di Londra", e Moses David Podheitser, stretto collaboratore diEybeschuetz di Amburgo.L'accanita controversia sulle rivelazioni di Moses Hayyim Luzzatto di Padova,che ebbe inizio nel 1727, e le tendenze messianiche del suo gruppo furono alcentro di una grande attenzione nei dieci anni che seguirono. Benché anche neiloro scritti segreti Luzzatto, Moses David Valle e i loro compagniripudiassero le affermazioni di Shabbetai Zevi e dei suoi seguaci, essi eranosenza dubbio profondamente influenzati da alcuni degli insegnamentiparadossali della Cabala shabbatea, specialmente quelli relativi allapreistoria metafisica dell'anima del Messia nel regno delle kelippot. Luzzatto

espose queste idee in un modo che rimoveva gli elementi eretici ma cherifletteva comunque, anche nelle sue polemiche contro gli shabbatei, granparte del loro universo spirituale. Egli tentò persino di trovare unacollocazione per Shabbetai Zevi, anche se non messianica, nel suo schema dellecose. L'idea di un Messiá apostata era per lui assolutamente inaccettabilecome lo erano le conseguenze antinomistiche tratte dai doenmeh e dai lorosimpatizzanti; ma le sue pretese di ispirazione celeste e di nuove rivelazionicabalistiche, venute subito dopo la scomunica dei settari nel 1725 e nel 1726,suscitarono grandi apprensioni in Italia e in alcune località della Germaniache avevano una particolare esperienza in fatto di Shabbateanismo. Del pari,una generazione più tardi, i primi antagonisti del Hasidismo polacco

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sospettarono che si trattasse di una nuova branca dello Shabbateanismo. Inentrambi i casi i sospetti erano errati, ma avevano un certo fondamentonell'insegnamento e nel comportamento dei nuovi venuti. Più complicato è ilcaso della voluminosa opera Hemdat Yamim, pubblicata per la prima volta aSmirne nel 1731 e poi diverse volte a Zolkiew e due volte in Italia.Quest'opera anonima descriveva dettagliatamente la vita e i rituali ebraicidal punto di vista della Cabala lurianica, ma era permeata da uno spirito diShabbateanismo rigorosamente ascetico, quale era promosso a Gerusalemme e a

Smirne da cabalisti come Jacob Vilna e Meir Bikayam. Adottando parecchieinnovazioni shabbatee, includeva addirittura inni scritti da Nathan di Gaza eun intero rituale per la vigilia del novilunio, dall'evidente carattereshabbateo. Sebbene ostentasse un'origine molto anteriore, l'opera fuprobabilmente composta tra il 1710 e il 1730, ufficialmente a Gerusalemme, masenza dubbio altrove. Il suo stile avvincente e la ricchezza del contenuto leassicurarono un vasto pubblico, e in Turchia fu accettata come un classico,una posizione che poi conservò. Tuttavia, non molto tempo dopo lapubblicazione in Podolia, avvenuta nel 174:2,1'opera fu denunciata da JacobEmden, il quale affermò che era stata composta da Nathan di Gaza (e questo nonera vero) e che propagandava concezioni shabbatee (e questo era esatto).Nonostante tale opposizione, venne ancora citata frequentemente; tuttavia furitirata dalla circolazione in Polonia e in Germania.Indipendentemente dal caso Eybeschuetz; una sensazionale esplosione diShabbateanismo all'ultimo stadio si ebbe nel 1756 in Podolia con l'apparizionediJacob Frank (1726-91) quale nuovo capo dell'ala estremista. Imbevuto delleidee fondamentali dei settari di Baruchiah a Salonicco Frank ritornònell'ambiente natio dopo aver trascorso molti anni in Turchia durantel'infanzia e l'adolescenza. Già allora era rinomato come nuovo capo, profeta ereincarnazione di Shabbetai Zevi. (Per i dettagli del movimento da luiistigato, si veda "Jacob Frank e i frankisti", p.288). Negli anni burrascositra il 1756 e il 1760 gran parte dei seguaci di Frank si convertì alCattolicesimo, costituendo una setta come i doenmeh in Polonia, ma sottomentite spoglie cattoliche. Questi eventi, e soprattutto la disponibilità deifrankisti a servire gli interessi del clero cattolico difendendo pubblicamentela calunnia del sangue nella disputa di Leopoli (1759), sconvolsero lacomunità ebraica polacca ed ebbero vaste ripercussioni anche all'estero. In

maggioranza gli shabbatei, anche i settari di Frank, non lo seguirono nellaconversione, e molti gruppi frankisti rimasero con le comunità ebraiche inPolonia, Ungheria, Moravia, Boemia e Germania. Il principale contributo diFrank fu triplice: 1) Egli spogliò lo Shabbateanismo della sua teologiacabalistica e delle astruse speculazioni metafisiche e dei termini di cui erarivestito, sostituendovi una versione molto più popolare e pittorescapresentata in immagini mitologiche. Lo sconosciuto e ancora inaccessibile"Buon Dio", il "Grande Fratello" (chiamato anche "Colui che sta davanti aDio") e la matrona o vergine o semplicemente "Lei", un amalgama dellaShekhinah e della Vergine Maria, costituiscono la trinità frankista. Frankvedeva Shabbetai Zevi, Baruchiah e se stesso come emissari e incarnazioni del"Grande Fratelio", la cui missione sarebbe stata completata dall'apparizionedell'elemento femminile della trinità. La tendenza di Frank a gettar via i

"vecchi libri" contrastava nettamente con l'incessante tendenza dei suoiseguaci a studiarli; e questo valeva soprattutto per coloro che restaronoebrei. 2) La sua versione dello Shabbateanismo assunse un caratteredichiaratamente nichilista. Sotto il "fardello del silenzio" il vero credente,che ha Dio nel suo cuore segreto, deve passare attraverso tutte le religioni,tutti i riti e gli ordini stabiliti senza accettarne nessuno e anziannientandoli tutti dall'interno, instaurando così la vera libertà. Lareligione organizzata è solo un manto da indossare e da gettare sulla via cheporta alla "sacra conoscenza", la gnosi del luogo dove tutti i valoritradizionali vengono distrutti nel fiume della "vita". 3) Egli propagavaquesta religione nichilista come la "via che porta a Esaù", o "Edom",

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incoraggiando l'assimilazione senza credere veramente in essa, sperando in unamiracolosa rinascita di un Giudaismo messianico e nichilista mediante iltravaglio di un sovvertimento universale. Questa concezione aprì la strada aun amalgama tra l'ultima fase del messianismo e del misticismo shabbateo dauna parte, e dall'altra dell'illuminismo e delle tendenze laiche eanticlericali del suo tempo. La massoneria, il liberalismo e persino ilgiacobinismo potevano essere visti come mezzi egualmente utili per realizzaretali fini. Non c'è da stupirsi molto se, dovunque esistevano tali gruppi, le

comunità ebraiche li combattevano con veemenza, anche se giungevano loro solovoci piuttosto vaghe sugli insegnamenti segreti di Frank.Nell'Europa centrale, i frankisti si allearono ai più vecchi gruppi shabbatei,inclusi gli ammiratori di Eybeschuetz, e alcuni dei figli e nipoti dellostesso Eybeschuetz si unirono allo schieramento frankista. Nel decennio1760-70 la propaganda xhabbatea era ancora attiva nelle yeshivot di Altona ePressburg. Un emissario, Aaron b. Moses Teomim di Gorodenka, diffuse loShabbateanismo nella Germania settentrionale e meridionale e, nel 1767, cercòdi assicurarsi l'aiuto di simpatizzanti cristiani, sostenendo di averintrapreso la missione per conto del principe polacco Radziwill, notoprotettore dei frankisti. I frankisti ebrei e quelli apostati rimasero instretto contatto, soprattutto grazie ai loro raduni alla "corte" di Frank aBrno e più tardi a Offenbach. Sebbene fossero profondamente impressionati daidetti e dalle epistole di Frank, le loro attività non eguagliarono mai laferocia delle sue visioni sovversive e nichiliste. Durante i primi decenni delXIX secolo lo Shabbateanismo si disgregò anche come setta organizzata senzastretti vincoli e, a parte coloro che ritornarono al Giudaismo tradizionale,sparì nel campo del liberalismo ebraico e, in molti casi, nell'indifferenza. Igruppi settari dei doenmeh in Turchia e dei frankisti cattolici in Polonia,specialmente a Varsavia, sopravvissero molto più a lungo: i primi sidisgregarono soltanto a metà del XX secolo, e i secondi probabilmente dopo il1860.

3JACOB FRANK E I FRANKISTI

Jacob Frank (1726-1791) fu il fondatore e il personaggio centrale di una setta

ebraica che prese il nome da lui, quella dei frankisti, che rappresentòl'ultima fase dello sviluppo del movimento shabbateo. Il suo vero nome eraJacob b. Judah Leib, ed era nato a Korolowka (Korolevo), una cittadina dellaPodolia. La sua famiglia apparteneva al ceto medio, e suo padre era unrispettabile appaltatore e mercante. Il nonno era vissuto per diverso tempo aKalisz, e la madre veniva da Rzesow. Benché l'affermazione fatta da Frankdavanti all'Inquisizione che suo padre era stato un rabbino non sembri averealcun fondamento, vi è motivo di credere che conducesse i servizi religiosi aCzernowitz, dove si trasferì poco dopo il 1730. Il padre viene dipinto come unebreo scrupolosamente osservante. Nel contempo, è molto probabile che egliavesse già certi rapporti con la setta shabbatea, che aveva messo radici inPodolia, Bukovina e Valacchia. Frank studiò a Czernowitz e Sniatyn, e visseparecchi anni a Bucarest. Sebbene frequentasse il heder, non acquisì alcuna

conoscenza del Talmud, e in seguito si vantò di questa ignoranza e delle suequalità di prostak ("uomo semplice"). La sua caratterizzazione come ignorante(al ha-arez) deve essere vista nel contesto dell'uso contemporaneo dellaparola per indicare un uomo che conosceva la Bibbia e l'aggadah, ma non eraesperto della Gemara. Nelle sue memorie, pone in grande risalto gli scherzi ele avventure ardimentose della sua infanzia e dell'adolescenza. A Bucarestcominciò a guadagnarsi da vivere come commerciante di stoffe, di pietrepreziose e di tutto ciò che gli capitava tra le mani. Tra il 1745 e il 1755 icommercianti lo portarono attraverso i Balcani e fino a Smirne.

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Rapporti iniziali con gli shabbatei

H racconto che Frank fa dei suoi rapporti iniziali con gli shabbatei è pienodi contraddizioni, ma non c'è dubbio che tali contatti risalissero alla suagiovinezza. Apparentemente il suo insegnante, a Czernowitz, apparteneva allasetta e aveva promesso che Frank sarebbe stato iniziato alla loro fede dopo ilmatrimonio, come era spesso costume tra gli shabbatei. Incominciò a studiarelo Zohar, e nei circoli shabbatei si fece la fama di uomo dotato di speciali

poteri e d'ispirazione. Quando, nel 1752,sposò Hannah, figlia di unrispettabile mercante ashkenazi di Nikopol (Bulgaria), alle nozzepresenziarono due emissari shabbatei venuti dalla Podolia. Altri dottishabbatei, alcuni dei quali sono menzionati da Frank, lo accompagnarono neisuoi viaggi, e lo iniziarono ai misteri della "fede". Non vi è dubbio checostoro fossero rappresentanti dell'ala estremista formata dai discepoli diBaruchiah Russo (m. 1720), uno dei capi dei doenmeh di Salonicco. Fu incompagnia di questi insegnanti, anch'essi ashkenazim, che Frank visitò per laprima volta Salonicco nel 1753 ed ebbe a che fare con il gruppo di Baruchiah;tuttavia seguì la consuetudine dei discepoli polacchi e non si convertìall'Islamismo. Dopo il matrimonio, sembra che il commerclo assumesse una partesecondaria, rispetto al suo ruolo di "profeta" shabbateo; e nel corso dellasua missione si recò alla tomba di Nathan di Gaza a Skoplje, ad Adrianopoli ea Smirne, e poi trascorse di nuovo un certo tempo a Salonicco nel 1755.Con le loro lettere, i suoi insegnanti e compagni shabbatei inviarono dallaPolonia l'annuncio dell'avvento di un nuovo capo in Podolia e alla fine loconvinsero a ritornare. Frank, che era un uomo dall'ambizione sfrenata,autoritario fino al dispotismo, aveva una pessima opinione della setta diBaruchiah a Salonicco, e la chiamava "una casa vuota"; invece prevedeva ungrande futuro per se stesso, quale capo degli shabbatei in Polonia. Sebbenenella cerchia dei suoi amici più stretti gli venisse dato l'appellativosefardita di Hakham Ya'akou, egli era considerato nel contempo una nuovatrasmigrazione o reincamazione dell'anima divina che in precedenza avevadimorato in Shabbetai Zevi e in Baruchiah, che Frank usava chiamarerispettivamente il "Primo" e il "Secondo". Alla fine del XVIIII secolo, neigruppi doenmeh di Salonicco circolava ancora la leggenda che Frank fosseandato in Polonia per incarico esplicito della setta di Baruchiah. Durante i

primi anni della sua attività, in effetti, egli seguì i principi fondamentalidi questa setta, i suoi insegnamenti e i suoi costumi.

Frank in Podolia

Il 3 dicembre 1755 Frank, accompagnato da R. Mordecai e R. Nahman, attraversòil fiume Dniester e trascorse qualche tempo con i parenti a Korolewka. Quindiviaggiò con gran pompa tra le comunità della Podolia dove esistevano celluleshabbatee. Fu accolto con entusiasmo dai "credenti" e nella comunità ebraicasi diffuse la notizia dell'apparizione di un sospettofrenk, il termine yiddish abituale per indicare un sephardi. Frank, che aveva

trascorso quasi 25 anni nei Balcani e veniva ritenuto suddito turco, in realtàsi comportava come un sephardi e parlava ladino quando appariva in pubblico.In seguito assunse l'appellativo "Frank" come cognome. La sua comparsa aLanskroun (Landskron) alla fine di gennaio del 1756 portò a un grossoscandalo, quando fu scoperto a celebrare un rito shabbateo insieme ai suoiseguaci, in una casa chiusa a chiave. Gli avversari degli shabbateiaffermarono di aver sorpreso i settari nel bel mezzo di un'orgia religiosaeretica, simile ai riti che venivano effettivamente praticati da membri dellasetta di Baruchiah, specialmente in Podolia. In seguito, Frank sostenne diaver aperto volutamente le finestre della casa per costringere i "credenti" amostrarsi al pubblico, anziché nascondere le loro azioni come avevano fatto

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per decenni. I seguaci di Frank furono imprigionati, ma lui rimase liberoperché le autorità locali lo credevano suddito turco. Su richiesta dei rabbinisi tenne un'inchiesta presso il tribunale rabbinico di Satanow, sede delrabbinato distrettuale della Podolia, che esaminò le pratiche e i principidegli shabbatei. Frank passò la frontiera turca; poi, quando tornò di nuovodai suoi seguaci, fu arrestato nel marzo 1756 a Kopyczynce (Kopichintsy), maancora una volta venne rimesso in libertà. Dopo questo episodio, rimase perquasi tre anni in Turchia, dapprima a Khotin sul Dniester, poi soprattutto a

Giorgievo sul Danubio. Qui, all'inizio del 1757, si convertì ufficialmenteall'Islamismo, e per questo fu grandemente onorato autorità turche. Nei mesidi giugno e di agosto 1757 fece visite seg Rohatyn, in Podolia, per conferirecon i suoi seguaci. In questo periodo si recò diverse volte a Salonicco, e unavolta anche a Costantinopoli.Quando Frank apparve in Polonia divenne la figura centrale per la stragrandemaggioranza degli shabbatei, particolarmente per quelli della Galizia,l'Ucraina e l'Ungheria. Sembra che quasi tutti gli shabbatei moravi, inoltre,riconoscessero la sua autorità. L'indagine del tribunale rabbinico di Satanowaveva scoperto in larga misura la rete shabbatea dei seguaci di Baruchiah cheesisteva clandestinamente in Podolia. Una parte considerevole delle risultanzefu pubblicata da Jacob Emden. Da questo appare evidente che i sospettirelativi al carattere antinomista della setta erano giustificati, e che "icredenti", i quali esteriormente si conformavano ai precetti della leggeebraica, in pratica li trasgredivano, inclusi i divieti sessuali della Torah,che essi chiamavano Torah de-azilut ("la Torah dell'emanazione"), intendendola Torah spirituale in contrapposizione con la Torah della halakhah, che erachiamata Torah de-beri'ah ("la Torah della creazione"). I risultatidell'inchiesta furono sottoposti a un'assemblea rabbinica a Brody nel giugno1756, e confermati in una seduta del Consiglio delle Quattro Terre, tenuto insettembre a Konstantynow. A Brody fu proclamato un herem ("scomunica") controi membri della setta, che li esponeva alla persecuzione e che inoltre cercavadi limitare lo studio dello Zohar e della Cabala prima di una certa età (40anni, nel caso degli scritti di Isaac Luria).Quando venne stampato e spedito a tutte le comunità, il herem provocòun'ondata di persecuzioni contro i membri della setta, soprattutto in Podolia.I rabbini polacchi si rivolsero a Jacob Emden, noto antagonista degli

shabbatei, il quale consigliò loro di chiedere aiuto alle autoritàecclesiastiche cattoliche, affermando che la fede shabbatea, essendo unmiscuglio dei principi di tutte le altre religioni, costituiva una religionenuova, e come tale era vietata dalla legge canonica. Tuttavia, i risultati delsuo consiglio furono esattamente il contrario di quelli desiderati, poiché iseguaci di Frank, che erano stati duramente perseguitati, adottarono lastrategia di porsi sotto la protezione del vescovo Dembowski diKamieniecPodolski, nella cui diocesi erano concentrate molte delle comunitàshabbatee. Se in precedenza s'erano comportati con doppiezza nei confronti delGiudaismo, apparendo ufficialmente ortodossi mentre erano segretamenteeretici, ora decisero, sembra su consiglio di Frank, di sottolineare edesagerare le credenze che avevano in comune con i principi fondamentali delCristianesimo, per ottenere i favori del clero cattolico, anche se in realtà

la loro fede shabbatea non era cambiata in nulla. Proclamandosi"antitalmudisti", chiesero la protezione della Chiesa contro i persecutori iquali, essi affermavano, si erano sdegnati appunto per la simpatia mostratadai "credenti" verso alcuni dei dogmi più importanti del Cristianesimo. Lamanovra riuscì perfettamente e permise loro di trovare un rifugio nelleautorità ecclesiastiche, che vedevano in loro potenziali candidati a unaconversione collettiva dal Giudaismo al Cristianesimo. Nel frattempo, però, imembri della setta venivano indotti dai loro protettori ad assistere, controla loro volontà, ai preparativi propagandistici contro il Giudaismo e aformulare dichiarazioni che miravano a distruggere la comunità degli ebreipolacchi. Questi sviluppi intensificarono l'ostilità reciproca ed ebbero

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tristi conseguenze. Nel corso di tali eventi, Frank cercò di non attirarel'attenzione su di sé e si limitò ad apparire come una guida spirituale cheindicava ai seguaci la via per avvicinarsi al Cristianesimo. Si deve notareche in questo periodo non veniva usato il nome di "frankisti", che divennecomune solo all'inizio del XIX secolo. Per quanto riguardava la massa degliebrei e dei rabbini, non vi era nessuna differenza tra i primi shabbatei e glishabbatei sotto la nuova guisa; continuarono a chiamarli "la setta diShabbetai Zevi". Persino i seguaci di Frank, quando parlavano tra loro,

continuavano a designarsi con il termine consueto ma'aminim ("credenti").

La disputa

Negli eventi che seguirono, è difficile distinguere esattamente tra i passiintrapresi dai seguaci di Frank e quelli decisi dalla Chiesa e imposti dallacoercizione ecclesiastica, sebbene non vi sia dubbio che M. Balaban (vedasi labibliografia) abbia ragione nel porre in risalto soprattutto questi ultimi.Dopo il herem di Brody i frankisti chiesero al vescovo Dembowski di svolgereuna nuova inchiesta sul caso di Lanskroun, e presentarono una petizione peruna pubblica disputa tra loro e i rabbini. Il 2 agosto 1756 presentarono peril dibattito nove principi della loro fede. Formulata nel modo più ambiguo, laloro dichiarazione di fede affermava, in breve: 1) fede nella Torah di Mosè;2) la Torah e i Profeti erano libri oscuri, che dovevano essere interpretaticon l'aiuto della luce di Dio, e non semplicemente alla luce dell'intelligenzaumana; 3) le interpretazioni della Torah comprese nel Talmud contenevanoassurdità e falsità, ostili alla Torah del Signore; 4) Dio è uno e tutti imondi sono stati creati da Lui; 5) fede nella trinità delle tre "facce" egualiin un unico Dio, senza che in Lui vi sia alcuna divisione; 6) Dio èmanifestato in forma corporea, come altri esseri umani, ma senza peccato; 7)Gerusalemme non sarebbe stata ricostruita fino alla fine del tempo; 8) gliebrei attendevano invano che il Messia venisse ad innalzarli al di sopra delmondo intero; 9) Dio, invece, avrebbe assunto forma umana e avrebbe espiatotutti i peccati per i quali il mondo era stato maledetto, e al suo avvento ilmondo sarebbe stato perdonato e purificato da tutte le iniquità. Questi

principi rispecchiano le credenze dei seguaci antinomisti di Baruchiah,tuttavia erano formulati in modo tale che sembravano riferirsi a Gesù diNazareth anziché a Shabbetai Zevi e a Baruchiah. Si trattava di un piano moltoscoperto per raggirare la Chiesa; e il clero non comprese o più esattamentenon ebbe interesse a comprenderlo.I rabbini riuscirono per quasi un anno a evitare di accettare l'invito alladisputa. Tuttavia, in seguito alle pressioni del vescovo, la disputa ebbefinalmente luogo a Kamieniec, dal 20 al 28 giugno 1757. Vi parteciparonodiciannove avversari del Talmud (allora chiamati "zohariti") insieme ad alcunirabbini provenienti dalle comunità della zona. Anche i portavoce deglishabbatei erano uomini molto dotti; taluni erano rabbini officianti dallesegrete tendenze shabbatee. Gli argomenti dell'accusa e della difesa deirabbini furono presentati per iscritto, e in seguito furono pubblicati in un

protocollo latino a Leopoli nel 1758. Il 17 ottobre 1757 il vescovo Dembowskiemise il verdetto a favore dei frankisti, imponendo ai rabbini numerosepenalità; la più grave fu una condanna del Talmud, giudicato corrotto e privodi valore, con l'ordine di bruciarlo sulla piazza della città. Le case ditutti gli ebrei dovevano essere perquisite per cercarne le copie. Secondoalcune testimonianze contemporanee, enormi quantità di edizioni del Talmudfurono bruciate a Kamieniec, Leopoli, Brody, Zolkiew e altre località. Il"rogo del Talmud" ebbe un effetto schiacciante sulla comunità ebraica, e irabbini indissero un digiuno in ricordo dell'avvenimento. Invano gli ebrei cheavevano influenza sulle autorità tentarono di impedire i roghi, che avvennerosoprattutto nel novembre 1757.

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Una svolta improvvisa a favore dei "talmudisti" e a danno dei settari si ebbecon la morte improvvisa del vescovo Dembowski il 9 novembre, proprio quandoveniva bruciato il Talmud. La notizia dell'evento, nel quale gli ebrei viderola mano di Dio, si diffuse rapidamente. Le persecuzioni contro la settaripresero con rinnovata veemenza, e molti frankisti attraversarono il Dniestere ripararono in Turchia. Là parecchi si convertirono all'Islamismo, e moltiraggiunsero i doenmeh a Salonicco, dove furono chiamati "i polacchi". Nelfrattempo, i portavoce degli "antitalmudisti" si rivolsero alle autorità

politiche ed ecclesiastiche e chiesero l'applicazione del privilegio che erastato loro promesso da Dembowski e che permetteva di seguire la loro fede.Cercarono inoltre di ottenere la restituzione dei loro averi saccheggiati el'autorizzazione, per i profughi, a ritornare alle rispettive case. Dopo varidissensi interni tra le autorità polacche, il re Augusto III emanò unprivilegio il 16 giugno 1758, che accordava ai settari la protezione reale, inquanto "uomini che erano vicini al riconoscimento (cristiano) di Dio". Moltidei profughi rientrarono in Podolia alla fine di settembre, e si raccolserosoprattutto nel piccolo centro di Iwanie (presso Khotin) e nei dintorni. Indicembre, o forse all'inizio di gennaio del 1759, lo stesso Frank lasciò laTurchia e giunse a Iwanie. Qui furono convocati molti dei "credenti" sparsinella Galizia orientale.

Iwanie

In effetti, i frankisti si costituirono con una setta speciale dal caratteredistinto solo durante quei mesi in cui i "credenti" vissero a Iwanie, unepisodio che restò impresso nella loro memoria quasi come una rivelazione. Fulì, infatti, che Frank si autoproclamò incarnazione vivente della potenza diDio, venuto a completare la missione di Shabbetai Zevi e di Baruchiah, e "ilvero Giacobbe", paragonandosi al patriarca Giacobbe che aveva completatol'opera dei suoi predecessori Abramo e Isacco. Fu lì che rivelò i suoiinsegnamenti alla presenza dei seguaci, in brevi affermazioni e parabole, eintrodusse un ordine specifico nel rituale della setta. Non vi è dubbio cheinoltre li preparò alla necessità di adottare esteriormente il Cristianesimo,per conservare la loro vera fede in segreto, come avevano fatto i doenmeh conl'Islamismo. Frank dichiarò che tutte le religioni erano soltanto fasi

attraverso le quali dovevano passare "i credenti", come un uomo che indossaabiti diversi, per poi abbandonarle perché prive di valore in confronto allavera fede segreta. L'originalità di Frank, in quel periodo, consisteva nel suorifiuto della teologia shabbatea ben nota ai "credenti" attraverso gli scrittidi Nathan di Gaza e quelli che erano basati sulla Cabala estremista dellaversione di Baruchiah. Egli chiese loro di dimenticare tutto ciò, proponendoinvece una sorta di mitologia libera da ogni traccia di terminologiacabalistica, anche se in realtà non si trattava d'altro che di unarielaborazione popolare e omiletica dell'insegnamento cabalistico. Insostituzione della consueta trinità shabbatea dei "tre nodi della fede", cioèAttika Kaddisha, Malka Kaddisha e la Shekhinah, tutti uniti nella Divinità,Frank si spinse ad affermare che il vero e buon Dio era occulto e privo dilegami con la creazione, in particolare con questo mondo insignificante. È lui

che si nasconde dietro "il Re dei Re", che Frank chiama anche "il GrandeFratello" o "Colui che sta davanti a Dio". Egli è il Dio della vera fede, cheognuno deve sforzarsi di avvicinare, spezzando il dominio dei tre "capi delmondo" che governano la terra in questo momento, imponendole un sistema dileggi inadatte. La posizione del "Grande Fratello" è in qualche modo connessacon la Shekhinah, che nella terminologia di Frank diviene "la fanciulla"(almah) o "la vergine" (betulah). È evidente che egli cercava volutamente diconformare il più possibile questo concetto al concetto cristiano dellaVergine. Come gli shabbatei estremisti della setta di Baruchiah vedevanoShabbetai Zevi e lo stesso Baruchiah come incarnazioni di Maltka Kaddisha, cheè il "Dio d'Israele", Frank definiva se stesso il messaggero del "Grande

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Fratello". Secondo lui, tutti i grandi capi religiosi dai patriarchi aShabbetai Zevi e Baruchiah, si erano adoperati per trovare la via checonduceva al suo Dio, ma senza riuscirvi.Affinché Dio e la Vergine venissero rivelati, sarebbe stato necessarioavviarsi su una via completamente nuova, non ancora percorsa dal popolod'Israele: e questa strada Frank la chiamò "la via che porta a Esaù". Inquesto contesto, Esaù o Edom simboleggia il flusso scatenato della vita chelibera l'uomo perché la sua forza non è soggetta ad alcuna legge. Il patriarca

Giacobbe promise (Gen. 33:14) di visitare il fratello Esaù a Seir, ma laScrittura non dice che egli mantenne la promessa, perché la via era troppodifficile. Adesso era giunto il tempo di incamminarsi su quella strada, checonduce alla "vera vita", un'idea centrale che nel sistema di Frank comportala connotazione specifica di libertà e di licenziosità. Questa via era lastrada che portava all'anarchia religiosa: "Il luogo dove stiamo andando non èsoggetto ad alcuna legge, perché tutto questo è dalla parte della morte; manoi stiamo andando verso la vita". Per raggiungere la meta era necessarioabolire e distruggere le leggi, gli insegnamenti e le pratiche che soffocavanola forza della vita; ma questo doveva essere fatto in segreto; per riuscirvi,era essenziale assumere esteriormente la veste dell'Edom corporeo, cioè ilCristianesimo. I "credenti", o almeno la loro avanguardia, erano già passatiattraverso il Giudaismo e l'Islamismo, ed ora dovevano completare il viaggioassumendo la fede cristiana, usandola per nascondere il vero nucleo della lorofede in Frank quale vero Messia e Dio vivente, al quale erano dirette inrealtà le loro dichiarazioni di fede cristiana.Il motto che Frank adottò a questo punto fu massa dumah (da Isa.21: 11),inteso nel senso di "fardello del silenzio"; era necessario, cioè, portare ilpesante fardello della fede segreta nell'abolizione di tutte le leggi nelsilenzio assoluto; ed era proibito rivelarlo a coloro che non appartenevanoalla setta. Gesù di Nazareth non era altro che la buccia che precede enasconde il frutto, e questi era lo stesso Frank. Benché fosse necessario daredimostrazioni esteriori di devozione cristiana, era vietato frequentare icristiani o sposare uno di loro, perché in ultima analisi la visione di Frankera la visione di un futuro ebraico, anche se in una forma ribelle erivoluzionaria, presentata come un sogno messianico.I concetti impiegati da Frank erano popolari e aneddotici, e il rifiuto della

tradizionale terminologia simbolica cabalistica, che trascendeva la capacitàdi comprensione della gente semplice, chiamava in gioco l'immaginazione.Perciò Frank, a Iwanie, preparò i suoi seguaci ad accettare il battesimo comel'ultimo passo che avrebbe aperto loro, nel vero senso fisico, la via cheporta a Esaù, al mondo dei gentili. Anche nell'organizzazione della sua settaFrank imitò la tradizione evangelica: nominò a Iwanie dodici emissari(apostoli) o "fratelli" che erano considerati i suoi principali discepoli. Manel contempo nominò anche dodici "sorelle", il cui compito fondamentale era diservirlo come concubine. Continuando la tradizione della setta di Baruchiah,Frank istituì inoltre pratiche sessuali licenziose tra i "credenti", o almenotra i suoi "fratelli" e "sorelle" più intimi. I seguaci che erano abituati adagire in questo modo non ci vedevano nulla di biasimevole; ma essi nonaccettarono con gioia la sua richiesta di eliminare tutti i libri cabalistici,

che erano stati superati dall'insegnamento dello stesso Frank; e molti di lorocontinuarono a usare idee della Cabala shabbatea.Il gruppo rimase a Iwanie diversi mesi, fino alla primavera del 1759. Frankistituì un fondo comune, in apparente emulazione delle notizie fornite dalNuovo Testamento sulle prime comunità cristiane. In questo periodo, coloro chevenivano in stretto contatto con Frank erano sopraffatti e soggiogati dallasua personalità potente, ambiziosa e astuta, dalla facilità d'espressione edalle sue spiccate facoltà d'immaginazione colorate di poesia. Forse si puòaffermare che Frank era un miscuglio di sovrano dispotico, profeta popolare eabile impostore.

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La disputa di Leopoli

Con l'evolversi degli avvenimenti, divenne manifesta una mescolanza di duetendenze. Da una parte divenne chiaro a Frank e ai suoi discepoli che nonavrebbero potuto rimanere a metà strada fra Giudaismo e Cristianesimo. Sevolevano ristabilire la loro posizione dopo le gravi persecuzioni subite,

l'unica via loro aperta era il battesimo. Erano addirittura disposti a dareuna pubblica dimostrazione della loro conversione al Cristianesimo comerichiedeva il clero in cambio della sua protezione. D'altra parte c'eranointeressi diversi ma paralleli tra importanti esponenti della Chiesa polaccache all'inizio non si erano associati alla causa frankista.A quel tempo vi furono in Polonia diversi casi di "calunnia del sangue",sostenuti da vescovi e prelati influenti. Il Consiglio delle Quattro Terre,che era la suprema autorità organizzata degli ebrei polacchi, stava cercandodi agire indirettamente, tramite vari mediatori, sulle autorità ecclesiastichedi Roma, presentando gravi accuse di falsità e d'insolenza contro iresponsabili della diffusione delle calunnie. A Roma, le loro parole nonrimasero inascoltate. Sembra che alcuni esponenti del clero nelle diocesi diKamieniec a Leopoli vedessero una buona occasione per rafforzare la loroposizione riguardo la questione della calunnia del sangue, se fosse statopossibile indurre un gruppo di ebrei a farsi avanti e a confermare l'accusainfondata. Alla fine di febbraio del 1759, quando la loro posizione a Iwanieera all'apice, i discepoli di Frank chiesero all'arcivescovo Lubienski diLeopoli di accoglierli nella Chiesa, affermando di parlare a nome "degli ebreidi Polonia, Ungheria, Turchia, Moldavia, Italia, eccetera". Chiesero unaseconda occasione di disputare pubblicamente con gli ebrei rabbinici devoti alTalmud, e promisero di dimostrare non soltanto la verità del credo cristiano,ma anche della calunnia del sangue. Senza dubbio, il testo della richiesta fuscritto dopo consultazioni con il clero, e fu redatto dal nobile polaccoMoliwda (Ignacy Kossakowski, che era stato capo della setta filoppoviana), ilquale fu il consigliere di Frank in questi negoziati fino al battesimo.Lubienski non poté occuparsi della cosa, poiché venne nominato arcivescovo diGniezno e primate della Chiesa polacca; e lasciò il compito al suo

amministratore a Leopoli, Mikulski, un prelato che si diede molto da fare perpreparare la grande disputa di Leopoli, pianificata per concludersi con unbattesimo collettivo e la conferma della calunnia del sangue.Nei mesi che seguirono, i frankisti continuarono a presentare varie petizionial re di Polonia e alle autorità ecclesiastiche per chiarire le lorointenzioni e per chiedere favori speciali anche dopo la conversione.Affermavano che 5.000 loro aderenti erano pronti ad accettare il battesimo, manel contempo chiedevano che venissero autorizzati a condurre un'esistenzaseparata come cristiani d'identità ebraica; non dovevano venire obbligati aradersi le "basette" (pe'ot); dovevano essere autorizzati a portare latradizionale veste ebraica anche dopo la conversione e a chiamarsi con nomiebraici aggiunti ai nuovi nomi cristiani; non dovevano essere costretti amangiare carne di maiale; dovevano essere autorizzati a riposare il sabato,

oltre alla domenica; e doveva essere loro permesso di tenere i libri delloZohar e altri scritti cabalistici. Oltre a tutto questo, doveva essere loroconsentito di sposarsi soltanto tra di loro. In cambio del permesso dicostituire questa unità semiebraica, esprimevano la disponibilità asottomettersi a tutte le altre pretese della Chiesa. In altre petizioni, essiaggiunsero la richiesta dell'assegnazione di una speciale zona doveinsediarsi, nella Galizia orientale, che comprendeva le città di Busk eGlinyany, dove gran parte degli abitanti ebrei, essi affermavano, erano membridella setta. In questo territorio si impegnavano a mantenere la vita dellaloro comunità, e a creare una loro vita comunitaria, istituendo una"produttivizzazione" nella struttura economica della comunità ebraica

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tradizionale. Alcune di queste petizioni, stampate dal clero a Leopoli nel1795, ebbero una vasta diffusione e furono tradotte dal polacco in francese,spagnolo, latino e portoghese; inoltre furono ristampate in Spagna e inMessico, dove ebbero numerose edizioni. La presentazione di tali richiestedimostra che i seguaci di Frank non avevano nessuna intenzione di assimilarsio di mescolarsi ai veri cristiani, ma cercavano di guadagnarsi una specialeposizione riconosciuta, come quella dei doenmeh a Salonicco, sotto laprotezione della Chiesa e dello Stato. È evidente che si consideravano un

nuovo tipo di ebrei e non intendevano rinunciare alla loro identità nazionale.Le petizioni dimostrano inoltre che le posizioni più estremiste assunte daFrank nella cerchia chiusa dei suoi seguaci non avevano messo radici nei lorocuori, e quindi essi non erano disposti a seguirlo in tutti i dettagli. Laproibizione di sposare i gentili reiterava le parole pronunciate dallo stessoFrank a Iwanie, ma sulle altre questioni vi furono apparentemente vivacidissensi tra lui e i suoi seguaci. Tuttavia, queste richieste isolatecostituirono solo una fase transitoria nella lotta che precedette la disputadi Leopoli e i portavoce della setta ricevettero una risposta negativa. LaChiesa esigeva il battesimo senza condizioni, anche se in quel periodo ilclero era convinto della sincerità delle intenzioni dei frankisti, poiché nonprestò ascolto ai rappresentanti degli ebrei, i quali misero ripetutamente inguardia gli ecclesiastici contro le segrete convinzioni shabbatee di coloroche si offrivano di farsi battezzare. L'enorme pubblicità data a questi eventidopo la disputa di Kamieniec stimolò l'attività missionaria di alcuni gruppiprotestanti. Il conte Zinzendorf, capo della "Società dei Fratelli" (divenutapiù tardi la Chiesa Morava) in Germania, nel 1758 inviò il convertito DavidKirchhof in missione speciale presso "i credenti" della Podolia, per predicareloro la sua versione di "Cristianesimo puro" (Judaica, 19 (1963), 140). Tra lamassa degli ebrei si diffuse l'idea che Frank fosse in realtà un grandestregone dagli immensi poteri demoniaci; e questo diede origine a varieleggende sulle sue attività magiche e sul suo successo che ebbero vasteripercussioni.I frankisti cercarono di rimandare la disputa fino al gennaio 1760, quandomolti nobili e mercanti si sarebbero riuniti per le cerimonie religiose inoccasione della grande fiera di Leopoli. Apparentemente, speravano di ottenereun considerevole aiuto finanziario, perché la loro situazione economica aveva

risentito delle persecuzioni. Le autorità di Roma e di Varsavia non vedevanocon favore la disputa in programma e, per varie ragioni, Si schierarono congli argomenti degli ebrei contrari alla disputa, soprattutto conl'affermazione che avrebbe provocato probabili agitazioni in conseguenza dellasezione relativa alla calunnia del sangue. Affrontare questo tema, con tutti irischi insiti di incitamenti organizzati e spontanei contro il Giudaismorabbinico, avrebbe del pari gettato le autorità ebree polacche in un'ansiaprofonda. In questo conflitto d'interessi tra le autorità più alte, chevolevano la conversione dei seguaci di Frank senza nessuna disputa, e i gruppiche miravano soprattutto al successo della calunnia del sangue, Mikulski agìsecondo le proprie convinzioni e si schierò con questi ultimi. Fissò quindiuna data anticipata per la disputa, il 16 luglio 1759: stabilì che venissetenuta nella cattedrale di Leopoli e obbligò i rabbini della sua diocesi ad

assistervi.La disputa si aprì il 17 luglio, alla presenza di folle di polacchi, eproseguì a intermittenza per numerose sedute fino al 10 settembre. Gliargomenti delle due parti in causa, le tesi degli "antitalmudisti" e lerisposte dei rabbini, vennero presentate per iscritto, ma vi furono ancheveementi discussioni. Per i rabbini si presentarono circa 30 uomini, e 10-20per i settari. Tuttavia, il numero dei partecipanti effettivi fu inferiore. Ilportavoce principale, l'uomo che si assunse la maggiore responsabilità daparte ebraica, fu R. Hayyim Kohen Rapoport, il più importante rabbino diLeopoli, che godeva di grande rispetto per la sua elevata statura spirituale.Lo sostenevano i rabbini di Bohorodczany e di Stanislawow. La tradizione nata

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nei resoconti popolari diffusi anni dopo, e secondo la quale partecipò ancheIsrael b. Eliezer Ba'al Shem Tov, il fondatore del Hasidismo, è priva difondamento storico. Lo stesso Frank partecipò solo all'ultima seduta delladisputa, quando venne discussa la questione della calunnia del sangue. Iportavoce della setta erano tre dotti che in precedenza erano stati attivi inPodolia tra i seguaci di Baruchiah: Leib b. Nathan Krisa di Madvornaya, R.Nahman di Kezywcze e Solomon b. Elisha Shor di Rohatyn. Dopo ogni sessione, sisvolgevano consultazioni tra i rabbini e i parnasim, che redigevano le

risposte scritte. A loro si unì un mercante di vino di Leopoli, BaerBirkenthal di Bolechov che, a differenza dei rabbini, parlava correntemente ilpolacco e che provvedeva a preparare il testo polacco delle risposte. Il suomemoriale della disputa, in Sefer Devrei Binah, integra il protocolloufficiale che fu redatto in polacco dal prete cattolico Gaudenty Pikulski, estampato a Leopoli nel 1760 con il titolo Ztosic Zydowslza ("L'ira giudea"). ALeopoli, gli argomenti dei frankisti furono presentati in una forma adatta almassimo ai dogmi del Cristianesimo, ancora di più che nella disputaprecedente. Tuttavia, anche in questa occasione, essi evitarono ogniriferimento esplicito a Gesù di Nazareth, e senza dubbio questo silenzioserviva allo scopo di armonizzare la loro fede segreta in Frank quale Dio eMessia in forma corporea con il loro appoggio ufficiale al Cristianesimo. Inrealtà, secondo lo stesso Frank, il Cristianesimo non era altro che unoschermo (pargod) dietro il quale si celava la vera fede, da lui proclamatacome "la sacra religione di Edom".Furono discusse sette proporzioni principali: 1) tutte le profezie biblicheriguardanti la venuta del Messia si sono già compiute; 2) il Messia è il veroDio, incarnatosi in forma umana per soffrire e redimerci; 3) dopo l'avventodel vero Messia, i sacrifici e le leggi cerimoniali della Torah sono statiaboliti; 4) tutti devono seguire la religione del Messia e i suoiinsegnamenti, perché in essa sta la salvezza dell'anima; 5) la croce è ilsegno della divina trinità e il simbolo del Messia; 6) solo mediante ilbattesimo un uomo può giungere alla vera fede nel Messia; 7) il Talmud insegnache gli ebrei hanno bisogno di sangue cristiano, e chiunque creda nel Talmud ètenuto a servirsene.I rabbini rifiutarono di rispondere ad alcune di queste tesi per timore dioffendere la fede cristiana. La disputa incominciò per iniziativa dei

flankisti con una dichiarazione del loro protettore Moliwda Kossakowski. Irabbini risposero solo al primo e al secondo argomento teologico. Fu chiarofin dall'inizio che l'attenzione si sarebbe concentrata sulla settimaproposizione, i cui effetti erano potenzialmente molto pericolosi per l'interacomunità ebraica. Questo particolare argomento venne discusso il 27 agosto.Nelle settimane precedenti Frank aveva lasciato Iwanie ed era passato per lecittà della Galizia, facendo visita ai suoi seguaci. Attese quindi lungamentea Busk, nei pressi di Leopoli, dove fu raggiunto dalla moglie e dai figli. Gliargomenti frankisti a sostegno della calunnia del sangue sono un miscuglio dicitazioni tratte da libri di apostati polacchi, di argomentazioni assurde e didiscussioni incredibili, basate su affermazioni nella letteratura rabbinicacontenenti solo accenni a "sangue" e "rosso". Secondo Baer Birkenthal, anche irabbini non si astennero dal ricorrere a stratagemmi letterari per rafforzare

l'impressione che le loro risposte avrebbero fatto al clero cattolico, e neidibattiti orali respinsero senza eccezione tutte le traduzioni polacche deitesti talmudici e rabbinici, il che portò a vari scontri verbali violenti.Dietro le quinte della disputa, continuarono i contatti tra i rappresentantidei rabbini e Mikulski, il quale cominciò a vacillare, sia a causadell'opposizione delle alte autorità ecclesiastiche alla calunnia del sangue,sia in seguito alle argomentazioni rabbiniche circa la doppiezza deifrankisti. Il dibattito su questo punto continuò nell'ultima seduta, il 10settembre, quando Rabbi Rapoport fece un attacco serrato contro la calunniadel sangue. Quando la disputa ebbe termine, uno dei frankisti si avvicinò alrabbino e disse: "Avete dichiarato permesso il nostro sangue

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questo è il vostro 'sangue per sangue'. "Le confuse raziocinazioni deifrankisti non ebbero l'effetto desiderato e, alla fine, Mikulski decise dichiedere ai rabbini una dettagliata risposta scritta in polacco alle accusefrankiste. Tuttavia, la consegna della risposta fu rimandata a dopo laconclusione della disputa. Nel frattempo non emerse nulla di concreto dalgrande scalpore sollevato dalla calunnia del sangue.D'altra parte, la conversione di molti frankisti ebbe effettivamente luogo. Lostesso Frank fu ricevuto a Leopoli con onori straordinari, e mandò il suo

gregge al fonte battesimale. Egli fu il primo a venire battezzato il 17settembre 1759. Vi sono alcuni dissensi circa il numero dei settari che siconvertirono. Nella sola Leopoli più di cinquecento frankisti (inclusi donne ebambini) vennero battezzati entro la fine del 1760: quasi tutti provenivanodalla Podolia, ma ve ne erano anche dell'Ungheria e delle province europeedella Turchia. Il numero esatto dei convertiti in altre località non è noto,ma vi sono notizie di un considerevole numero di battesimi a Varsavia, doveFrank e sua moglie vennero battezzati una seconda volta, sotto il patronatodel re di Polonia, nel corso di una cerimonia reale il 18 novembre 1759; daquel momento, egli venne chiamato Josef Frank nei documenti. Secondo latradizione orale delle famiglie frankiste polacche, il numero dei convertitifu assai maggiore di quello attestato dai documenti conosciuti: si parla diparecchie migliaia. D'altra parte, si sa che in maggioranza i settari dellaPodolia e di altri paesi non seguirono Frank fino in fondo e rimasero ebreipur continuando a riconoscere la sua autorità. Sembra che tutti i suoi seguaciin Boemia e Moravia, e quasi tutti quelli in Ungheria e Romania rimanesseroebrei e continuassero a condurre una doppia vita, ufficialmente come ebrei, masegretamente come "credenti". Anche in Galizia rimasero molte cellule di"credenti" in numerose comunità, da Podhajce (Podgaytsy) ad est fino aCracovia ad ovest.

La struttura sociale della settaEsistono prove contraddittorie per quanto concerne la struttura sociale espirituale dei settari, tanto gli apostati quanto coloro che rimasero ebrei;ma forse i due tipi di prove in realtà sono complementari. Molte fonti,

soprattutto di parte ebraica, mostrano che molti di loro erano colti eistruiti, e vi erano persino diversi rabbini di piccole comunità. I piùstretti collaboratori di Frank che figuravano tra gli apostoli appartenevanosenza dubbio a questa categoria. Per quanto riguarda la loro posizionesociale, alcuni erano ricchi proprietari, mercanti e artigiani come argentierie orafi; altri erano figli di capi delle varie comunità. D'altra parte,moltissimi erano distillatori e locandieri, individui semplici e appartenentialle classi più povere. In Moravia e in Boemia vi erano anche molte famigliericche e aristocratiche, mercanti notissimi e concessionari dei monopolistatali, mentre nei responsa dei rabbini contemporanei (e anche nel hasidicoShivhei ha-Besht) vengono riferiti episodi relativi a scrivani e shohatim cheerano anche membri della setta. A Sziget, in Ungheria, un "giudice degliebrei'' (Judenrichter) viene enumerato tra i frankisti, oltre a parecchi altri

membri importanti della comunità.La scoperta della setta, che in precedenza aveva operato in segreto, el'apostasia collettiva avvenuta in molte comunità polacche ebbero una vastapubblicità e causarono numerose ripercussioni. La presa di posizione dei capispirituali ebrei non fu uniforme: molti rabbini ritennero che la separazionedei settari dalla comunità e il loro passaggio al Cristianesimo fosse un beneper l'intero popolo ebraico (A. Yaari in Sinai, 35 (1954), 17083). Essisperavano che tutti i membri della setta abbandonassero la religione ebraica:ma la loro speranza non si realizzò. Un punto di vista diverso fu espresso daIsrael Ba'al Shem Tov dopo la disputa di Leopoli, e cioè che "la Shekhinahpiange la setta degli apostati, perché fino a quando l'arto è congiunto al

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corpo vi è speranza di guarigione, ma quando viene amputato, non può esservirimedio, perché ogni ebreo è un membro della Shekhinah". Nahman di Bratislava,pronipote di Ba'al Shem Tov, disse che il bisnonno era morto per il dolorecausatogli dalla setta e dall'apostasia. In molte comunità polacche furonotramandate tradizioni relative a famiglie frankiste che non avevanoapostatato, mentre coloro che tenevano particolarmente all'onore familiare siguardavano dallo sposare appartenenti a tali famiglie, a causa del sospettod'illegittimità creato dalla trasgressione delle proibizioni sessuali.

L'arresto di Frank

Il viaggio di Frank a Varsavia, compiuto in gran pompa nell'ottobre 1759,provocò numerosi scandali, soprattutto a Lublino. Anche dopo l'apostasia, iseguaci di Frank furono continuamente sorvegliati dal clero cattolico, cheaveva molti dubbi sulla sincerità della loro conversione. Le notizie circa ledimostrazioni date alle autorità ecclesiastiche della loro vera fede sonomolto diverse, ed è possibile che provenissero da fonti differenti. Fu G.Pikulski, in particolare, che nel dicembre 1759 ottenne confessioni separateda sei dei "fratelli" che erano rimasti a Leopoli, e da queste risultòevidente che il vero oggetto della loro devozione era Frank, qualeincarnazione vivente di Dio. Quando queste informazioni giunsero a Varsavia,Frank fu arrestato il 6 dicembre 1760, e per tre settimane fu assoggettato aun'indagine dettagliata da parte del tribunale ecclesiastico, che lo miseanche a confronto con molti dei "credenti" giunti con lui a Varsavia. Latestimonianza di Frank fu un miscuglio di menzogne e di mezze verità. Iltribunale decise di esiliarlo a tempo indeterminato nella fortezza diCzestochowa, che era sotto la giurisdizione della Chiesa, "per impedirgli diesercitare influenza sui suoi seguaci". Questi ultimi furono liberati conl'ordine di adottare il Cristianesimo con fede sincera, e di dimenticare illoro capo: un risultato che tuttavia non venne raggiunto. Comunque, il"tradimento" dei suoi seguaci che rivelarono le loro vere convinzioni fu unaspina nel cuore di Frank per tutto il resto della sua vita. Il tribunale emanòanche una dichiarazione a stampa sui risultati dell'inchiesta. Alla fine di

febbraio, Frank fu esiliato e rimase in "onorevole prigionia" per tredicianni. All'inizio fu abbandonato completamente; ma ben presto trovò il modo diristabilire i contatti con i suoi. In quell'epoca gli apostati erano sparsi innumerose cittadine e in tenute di proprietà dei nobili. Soffrirono molto finoa quando si sistemarono finalmente, in maggioranza a Varsavia, gli altri incittà come Cracovia e Krasnystaw, e si organizzarono in una società settariasegreta, i cui membri avevano cura di osservare apertamente tutti i precettidella fede cattolica. Inoltre, essi approfittarono dell'instabile situazionepolitica della Polonia, alla fine della sua indipendenza, e molte dellefamiglie più importanti chiesero titoli nobiliari, con un certo successo, inbase a vecchi statuti che accordavano tali privilegi agli ebrei convertiti.

Frank a Czestochowa

A partire dalla fine del 1760, emissari dei "credenti" cominciarono a visitareFrank e a trasmettere le sue istruzioni. In ottemperanza a queste furonocoinvolti ancora una volta in un caso di calunnia del sangue nella città dlWojslawiec nel 1761, con il risultato che molti ebrei furono massacrati. Laloro ricomparsa come accusatori del popolo ebraico destò grande risentimentotra gli ebrei polacchi, i quali l'interpretarono come una vendetta. A poco apoco, le condizioni della prigionia di Frank migliorarono, e nel 1762 lamoglie fu autorizzata a raggiungerlo, mentre un intero gruppo dei suoi

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principali seguaci, uomini e donne, ottenne il permesso di stabilirsi neipressi della fortezza, e addirittura di praticare riti religiosi segreti dicarattere sessuale orgiastico nella fortezza stessa. Parlando a questo gruppo,Frank aggiunse un'interpretazione specificamente cristiana della suaconcezione della Vergine quale Shekhinah, sotto l'influenza del culto dellaVergine che, in Polonia, era incentrato a Czestochowa.Nel 1765, quando divenne evidente che il paese stava per disgregarsi, Frankprogettò di stringere legami con la Chiesa ortodossa russa e con il governo

russo tramite l'ambasciatore dello zar in Polonia, il principe Repnin. Unadelegazione frankista si recò a Smolensk e a Mosca alla fine di quell'anno, epromise di istigare attività filorusse tra gli ebrei: tuttavia, non siconoscono i particolari. È possibile che da questo periodo datino i legamiclandestini tra il campo frankista e le autorità russe. Tali piani vennero aconoscenza degli ebrei di Varsavia, e nel 1767 una controdelegazione fuinviata a San Pietroburgo per informare i russi del vero carattere deifrankisti. A partire da quel momento, la propaganda frankista riprese adiffondersi nelle comunità di Galizia, Ungheria, Moravia e Boemia per mezzo dilettere ed emissari scelti tra i membri più dotti della setta. Uno di questiemissari, Aaron Isaac Teomim di Horodenka, giunse ad Altona nel 1764. Nel1768-69 vi erano due agenti frankisti a Praga e Prossnitz, il centro shabbateoin Moravia; e là furono addirittura autorizzati a predicare nella sinagoga.All'inizio del 1770 morì la moglie di Frank, e da allora il culto della"signora" (gevirah) che le era stato accordato in vita, fu trasferito allafiglia di Frank, Eva (già Rachel), che rimase con lui anche quandopraticamente tutti i "credenti" avevano lasciato la fortezza e si eranotrasferiti a Varsavia. Quando Czestochowa fu occupata dai russi nell'agosto1772, dopo la prima spartizione della Polonia, Frank venne liberato dalcomandante in capo e lasciò la città all'inizio del 1773, recandosi a Varsaviacon la figlia. Di là, nel marzo del 1773, in compagnia di diciotto seguaci chesi spacciavano per servitori di un ricco mercante, si trasferì a Bruenn (Brno)in Moravia, in casa della cugina Schoendel Dobruschka, moglie di un ebreoricco e influente.

Frank a Bruenn e a Offenbach

Frank rimase a Bruenn fino al 1786, ottenendo la protezione delle autorità,sia perché era un uomo rispettato e provvisto di mezzi e di amicizieimportanti, sia perché era impegnato a diffondere il Cristianesimo tra i suoinumerosi seguaci delle comunità morave. Egli istituì un regime paramilitarenel suo seguito, in cui gli uomini portavano uniformi militari e seguivano uncorso di addestramento. La corte di Frank attirò molti shabbatei moravi, lecui famiglie conservarono per intere generazioni le spade portate al suoservizio. Insieme alla figlia, Frank si recò a Vienna nel marzo 1775 e furicevuto dall'imperatrice e da suo figlio, il futuro Giuseppe II. Alcunisostengono che Frank promise all'imperatrice l'appoggio dei suoi seguaci inuna eventuale campagna per conquistare parti della Turchia; e infatti per un

certo tempo parecchi emissari frankisti furono inviati in Turchia, dovecollaborarono con i doenmeh, e forse operarono come agenti politici o spie alservizio del governo austriaco. In questo periodo, Frank parlava molto di unarivoluzione generale che avrebbe travolto molti regni, e in particolare laChiesa cattolica, e sognava la conquista di un territorio, nelle guerre allafine del tempo, che sarebbe diventato il dominio frankista. Per questo eranecessario l'addestramento militare. Dove Frank si procurasse il denaro permantenere la sua corte era fonte continua di meraviglia e di ipotesi: e ilproblema non ebbe mai una soluzione. Senza dubbio era stato organizzato unsistema di tassazione tra i membri della setta. Circolavano voci sull'arrivodi barili d'oro inviati secondo alcuni dai suoi seguaci, ma secondo altri dai

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suoi 'mandanti" politici stranieri. In un certo periodo si sa che c'erano aBruenn centinaia di settari che non esercitavano alcuna professione, e cheobbedivano esclusivamente a Frank, il quale li governava con pugno di ferroNel 1784 le sue risorse finanziarie si esaurirono temporaneamente, ed egli sitrovò in grandi ristrettezze; ma in seguito la situazione migliorò. Durante ilsoggiorno a Bruenn dettò ai principali collaboratori la maggior parte dei suoiinsegnamenti e dei suoi ricordi. Nel 1786 o nel 1787 lasciò Bruenn e, dopoaver trattato con il principe di Ysenburg, si stabilì a Offenbach, presso

Francoforte.A Bruenn e a Offenbach Frank e i suoi tre figli cercarono, riuscendovi permolto tempo, di gettare polvere negli occhi agli abitanti e alle autorità.Mentre fingevano di seguire i precetti della Chiesa cattolica, sfoggiavanostrane pratiche di tipo volutamente "orientale", per sottolineare il lorocarattere esotico. Negli ultimi anni, Frank cominciò a spargere anche tra isuoi più stretti collaboratori la nozione che sua figlia Eva era in realtà lafiglia illegittima dell'imperatrice Caterina della casa dei Romanov, e cheegli era soltanto il suo tutore. Ufficialmente, i frankisti rifuggivano daogni contatto sociale con gli ebrei, al punto che molti di coloro che avevanorapporti d'affari con questi ultimi rifiutavano di credere alle accuse circala vera natura della comunità quale setta ebraica segreta. Anche nei proclamia stampa emanati a Offenbach, i figli di Frank basavano la loro autorità suiforti legami con la casa reale russa. Vi sono indizi attendibili del fatto chepersino l'amministrazione del principe di Ysenburg considerava Eva come unaprincipessa Romanov.L'ultimo centro della setta fu istituito a Offenbach, dove i seguaci mandavanoi figli e le figlie a prestare servizio a corte, seguendo l'esempio stabilitoa Bruenn. Frank ebbe diversi colpi apoplettici e morì il 10 dicembre 1791.Ilsuo funerale fu organizzato come una solenne dimostrazione da centinaia disuoi "credenti". Frank aveva continuato fino alla fine la sua doppia vita,mantenendo la leggendaria atmosfera orientale che lo circondava agli occhi diebrei e cristiani.Nel periodo tra l'apostasia di Frank e la sua morte i convertiti consolidaronola loro posizione economica, soprattutto a Varsavia, dove molti di lorocostruirono fabbriche e furono attivi nelle organizzazioni massoniche. Ungruppo d'una cinquantina di famiglie frankiste, guidato da Anton Czerniewski,

uno dei principali discepoli di Frank, si stabilì in Bukovina dopo la suamorte e venne conosciuto come la setta degli Abramiti; i loro discendenticontinuavano ancora a vivere un'esistenza isolata 125 anni più tardi. Moltefamiglie della Moravia e della Boemia, che erano rimaste nella comunitàebraica, migliorarono anch'esse la loro posizione sociale, ebbero strettilegami con il movimento Haskalah e incominciarono a unire idee cabalistichemistiche e rivoluzionarie alle concezioni razionalistiche dell'Illuminismo.Alcuni di coloro che si erano convertiti in quei paesi seguendo l'esempio diFrank furono ammessi negli alti gradi dell'amministrazione e nell'aristocraziaaustriaca, ma conservarono certe tradizioni e consuetudini frankiste, creandocosì uno strato in cui i confini tra Giudaismo e Cristianesimo siconfondevano, indipendentemente dal fatto che i suoi membri fossero convertitio avessero conservato i legami con il Giudaismo.

Solo raramente interi gruppi di frankisti si convertirono al Cristianesimo,come avvenne a Prossnitz nel 1773, ma una percentuale considerevole deigiovani che furono inviati a Offenbach venne battezzata in quella città.Esempi illuminanti di storie di famiglie appartenenti allo strato intermediomenzionato più sopra sono quelli delle famiglie appartenenti allo stratointermedio menzionato più sopra sono quelli delle famiglie Hoenig e Dobrushkain Austria. Alcuni membri della famiglia Hoenig rimasero ebrei frankisti anchedopo l'elevazione alla nobiltà, ed ebbero stretti rapporti con l'altaborghesia e l'amministrazione austriaca (le famiglie Von Hoenigsberg, VonHoenigstein, Von Bienefeld), mentre i membri della famiglia Dobrushka siconvertirono praticamente in blocco e molti di loro divennero ufficiali

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dell'esercito. Moses, il figlio di Schoendel Dobrushka, la cugina di Frank,che in molti circoli era conosciuto come il nipote dello stesso Frank, fu ilpersonaggio più eminer~te dell'ultima generazione dei frankisti; fu noto anchecome Franz Thomas Von Schoenfeld (scrittore in lingua tedesca e organizzatoredi un ordine mistico di carattere cabalistico cristiano-ebraico, i "fratelliasiatici") e più tardi come Junius Frey (rivoluzionario giacobino in Francia).Sembra che gli venisse offerta la direzione della setta dopo la morte di Franke, quando egli rifiutò, Eva, insieme ai due fratelli minori Josef e Rochus, si

assunse la responsabilità della gestione della corte. Molti continuarono arecarsi a Offenbach, alla "Cotten Haus " come la chiamavano i "credenti". Lafiglia di Frank e i suoi fratelli non avevano la statura né la forzanecessaria, e le loro fortune declinarono presto. L'unica attivitàindipendente emersa da Offenbach fu l'invio delle "Lettere Rosse" a centinaiadi comunità ebraiche europee, nel 1799, sul tema dell'inizio del secolo XIX.In queste lettere gli ebrei venivano invitati per l'ultima volta ad entrarenella "santa religione di Edom". Nel 1803 Offenbach era stata quasicompletamente abbandonata dai "credenti", che erano tornati a centinaia inPolonia, mentre i figli di Frank si ridussero in miseria. Josef e Rochusmorirono rispettivamente nel 1807 e nel 1813 senza lasciare eredi, ed EvaFrank morì nel 1816, lasciando debiti enormi. Negli ultimi anni della sua vitaalcuni membri delle famiglie più rispettabili della setta, che eranofinanziati da Varsavia, rimasero con lei. In quegli ultimi quindici anni sicomportò come se fosse una principessa reale della casa dei Romanov, e moltiambienti tendevano a credere che lo fosse veramente.L'organizzazione esclusiva della setta sopravvisse in questo periodo grazieagli agenti che si spostavano da un luogo all'altro, alle riunioni segrete eai riti religiosi separati e alla disseminazione di una letteraturaspecificamente frankista. I 'credenti tendevano a sposarsi solo tra loro, e siera creata un'ampia rete di relazioni interfamiliari, anche tra i frankistiche erano rimasti ebrei. Il frankismo più tardo fu in larga misura lareligione delle famiglie che avevano dato ai figli un'educazione specifica. Ifrankisti di Germania, Boemia e Moravia tenevano solitamente raduni segreti aCarlsbab in estate, intorno al 9 di Av.

La letteratura frankista

L'attività letteraria della setta incominciò verso la fine della vita diFrank, e fu incentrata dapprima a Offenbach, nelle mani di tre dotti "anziani"che erano tra i suoi principali discepoli: i due fratelli Franciszek e MichaelWolowski (appartenenti alla nota famiglia rabbinica Shor) e Andreas Dembowski(Yeruham Lippmann di Czernowitz). Alla fine del XVIII secolo essi compilaronouna raccolta degli insegnamenti e dei ricordi di Frank, contenente circa 2.300tra detti e aneddoti, riuniti nel volume Slowa Pariskie ("Le parole delMaestro", ebraico Diurei ha-Adon) che fu inviato ai circoli dei credenti.Apparentemente, il libro era stato composto in origine in ebraico, poichéveniva citato in questa lingua dai frankisti di Praga. Per soddisfare le

esigenze dei convertiti polacchi, i cui figli non imparavano più l'ebraico, illibro fu tradotto, apparentemente a Offenbach, in un pessimo polacco cherichiese successive revisioni per acquistare uno stile migliore. Il libroilluminava il vero mondo spirituale di Frank e i suoi rapporti con ilGiudaismo, il Cristianesimo e i membri della sua setta. Diversi manoscritticompleti furono conservati da famiglie polacche, e alcuni furono acquistati dabiblioteche pubbliche e consultati dagli storici Kraushar e Balaban. Talimanoscritti furono distrutti o andarono perduti durante l'Olocausto, e oggi siconoscono solo due manoscritti imperfetti nella biblioteca dell'Università diCracovia, che comprendono circa due terzi del testo completo. A Offenbach fucompilata anche una cronaca dettagliata degli eventi della vita di Frank, che

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forniva informazioni molto più attendibili di tutti gli altri documenti, neiquali Frank non aveva esitato a mentire. Conteneva inoltre una descrizionedettagliata e senza remore dei riti sessuali praticati da Frank. Questomanoscritto fu prestato a Kraushar da una famiglia frankista, ma in seguito èsparito senza lasciar tracce. L'opera di un anonimo frankista, scritta inpolacco intorno al 1800 e intitolata "La profezia di Isaia", che sfrutta insenso frankista le metafore del libro biblico, fornisce una documentazioneattendibile delle attese rivoluzionarie e utopistiche dei membri della setta.

Questo manoscritto, che fu pubblicato in parte nel libro di Kraushar, rimasenella biblioteca della comunità ebraica di Varsavia fino all'Olocausto. AOffenbach era stato scritto anche un libro che elencava i sogni e lerivelazioni vantati da Eva Frank e dai suoi fratelli; ma due giovani dellafamiglia Porges di Praga, che erano stati inviati alla corte ed erano rimastidelusi da ciò che avevano veduto, fuggendo dalla città portarono via il libroe lo consegnarono al tribunale rabbinico di Fuerth, che a quanto sembraprovvide a distruggerlo.

I frankisti a Praga

Un altro centro d'intensa attività letteraria sorse a Praga, dove si erastabilito un importante gruppo frankista. Alla sua testa vi erano parecchimembri di due famiglie illustri, i Wehle e i Bondi, i cui antenati eranoappartenuti per varie generazioni al movimento segreto shabbateo. Essi avevanoforti legami con i "credenti" di altre comunità della Boemia e della Moravia.Il loro capo spirituale, Jonas Wehle (1752-1823), fu aiutato dai fratelli, cheerano frankisti ferventi, e dal genero Loew von Hoenigsberg (m. 1811), chemise per iscritto molti degli insegnamenti del suo circolo. Il gruppo agì congrande prudenza per molto tempo, soprattutto finché fu in vita R. EzekielLandau, in presenza del quale i suoi membri negarono di appartenere allasetta. Dopo la sua morte, però, si fecero notare. Nel 1799 R. EleazarFleckeles, il successore di Landau, predicò alcuni sermoni ardentementepolemici contro di loro, causando tumulti nella sinagoga di Praga, e portandoalla pubblicazione di attacchi contro il gruppo, nonché alla denuncia e alla

difesa dei suoi membri davanti alle autorità civili. Di questo periodo rimaneuna copiosa documentazione fornita dai membri "pentiti" della setta a Kolin ein altre località. L'importante fascicolo sui frankisti esistente negliarchivi della comunità di Praga venne rimosso dal presidente della comunitàstessa alla fine del XIX secolo, per riguardo alle famiglie implicate. Loscalpore causato dall'apparizione delle "Lettere Rosse" (scritte in inchiostrorosso, quale simbolo della religione di Edom) contribuì a mantenere per anniun piccolo gruppo frankista, e alcuni dei suoi membri, o i loro figli, furonoin seguito tra i fondatori del primo tempio della Riforma a Praga (c. 1832).Un altro gruppo esistette a lungo a Prossnitz. Parte della letteratura delcircolo di Praga sopravvisse: per l'esattezza, un commento alle aggadotraccolto nell'opera Ein Ya'akou, e un'ampia collezione di lettere sui dettaglidella fede, oltre a commenti a vari passi biblici scritti in tedesco misto a

yiddish ed ebraico, da Loew Hoenigsberg all'inizio del XIX secolo. AaronYellinek possedeva vari scritti frankisti in tedesco; ma sparirono dopo la suamorte.Alla morte di Eva Frank l'organizzazione si indebolì, anche se nel 1823 EliasKaplinski, appartenente alla famiglia della moglie di Frank, tentò ancora diconvocare una conferenza dei settari, che si svolse a Carlsbad. Poi la settasi disgregò, e furono inviati messi a raccogliere i vari scritti conservatipresso le varie famiglie. Questo occultamento premeditato della letteraturafrankista è una delle ragioni principali della nostra ignoranza circa la suastoria interna, unitamente al fatto che moltissimi discendenti dei settaripreferivano che non si indagasse troppo. L'unico dei "credenti" che lasciò un

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memoriale fu Moses Porges (più tardi Von Portheim), che lo scrisse in tardaetà. Un intero gruppo di famiglie frankiste della Boemia e della Moraviaemigrò negli Stati Uniti nel 1848-49. Nel suo testamento, Gottlieb Wehle diNew York, 1867, nipote di Jonas Wehle, esprime un profondo senso d'identitàcon i suoi antenati frankisti, che per lui erano stati i primi sostenitori delprogresso nel ghetto, una concezione, questa, sostenuta da molti altridiscendenti dei "credenti". Il rapporto tra la Cabala eretica dei frankisti ele idee del nuovo illuminismo è evidente tanto nei manoscritti superstiti di

Praga quanto nelle tradizioni delle famiglie della Boemia e della Moravia(dove vi erano aderenti della setta, oltre a Praga, anche in località comeKolin, Horschitz (Horice), Holleschau (Holesov) e Kojetin.Continuarono a esistere forti legami tra le famiglie dei neofiti polacchi cheerano ascese considerevolmente sulla scala sociale nel XIX secolo, ed èpossibile che esistesse una sorta di organizzazione. Durante le prime tregenerazioni dopo l'apostasia del 1759-60, moltissimi continuarono a sposarsitra loro, conservando in molti modi il loro carattere ebraico, e solopochissimi sposarono veri cattolici. Copie delle "Parole del Maestro" venivanoprodotte ancora nei decenni 1820-30, e apparentemente trovavano lettori. Ifrankisti furono attivi come ferventi patrioti polacchi e parteciparono allerivolte nel 1793, 1830 e 1863. Per tutto questo tempo, tuttavia furonosospettati di separatismo settario ebraico. A Varsavia, tra il 1830 e il 1840,moltissimi avvocati erano discendenti di frankisti, e molti di loro eranoanche uomini d'affari, scrittori e musicisti, e più tardi molti di loropassarono dall'ala liberale della società polacca a quella nazionale econservatrice. Tuttavia, rimasero ancora numerose famiglie i cui membricontinuarono a sposarsi tra loro. Per molto tempo, questa cerchia mantennecontatti segreti con i doenmeh di Salonicco. Esiste tuttora una controversiairrisolta circa l'affiliazione frankista di Adam Mickiewics, il più grandepoeta polacco. Vi è una chiara testimonianza da parte dello stesso poeta (perparte di madre) ma in Polonia tale testimonianza viene interpretataerroneamente. Le origini frankiste di Mickiewicz erano ben note alla comunitàebraica polacca già nel 1838 (secondo l'evidenza nell'AZDJ di quell'anno, p.362). Anche i genitori della moglie del poeta venivano da famiglie frankiste.La cristallizzazione della setta frankista è una delle indicazioni più nettedella crisi che colpì la società ebraica a metà del XVIII secolo. La

personalità di Frank appare quella di un avventuriero motivato da un miscugliod'impulsi religiosi e di brama di potere. Per contro, i "credenti" erano nelcomplesso uomini di fede profonda e di grande integrità morale, finché questonon contrastava con le richieste immorali fatte da Frank. In tutto ciò cherimane della loro letteratura originale, in tedesco, in polacco e in ebraico,non vi sono assolutamente riferimenti alle questioni che, come la calunnia delsangue, scatenarono contro di loro la comunità ebraica. Essi erano affascinatidalle parole del loro capo e dalla sua visione di una fusione tra il Giudaismoe il Cristianesimo; tuttavia essi vi univano speranze più modeste, che lispinsero a diventare esponenti degli ideali liberal-borghesi. La loro fedeshabbatea nichilista servì come transizione a un mondo nuovo, fuori dalghetto. Essi dimenticarono rapidamente le pratiche licenziose e acquisironofama di altissima condotta morale. Molte famiglie frankiste conservarono le

miniature di Eva Frank che erano state inviate alle casate più importanti, eancora oggi molti la onorano come una santa donna ingiustamente calunniata.

4BA'AL SHEM

Ba' al Shem ("Maestro del Nome Divino", alla lettera "Possessore del Nome' )era il titolo dato nell'uso popolare e nella letteratura giudaica, soprattuttonelle opere cabalistiche e hasidiche, a partire dal Medioevo, a colui chepossedeva la conoscenza segreta del Tetragrammaton e degli altri "Nomi Sacri",

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e che sapeva operare miracoli grazie al potere di tali nomi. La designazioneba'al shem non ebbe origine con i cabalisti, perché era già nota agli ultimigeonim babilonesi. In un responsum, Hai Gaon affermò: "Essi testimoniano diaver veduto un certo uomo, uno dei noti ba'alei shem, alla vigilia del Sabbathin un luogo e nel contempo egli venne visto in un altro luogo, a una distanzadi parecchi giorni di viaggio". fu in questo senso che Judah Halevi criticò leattività dei ba'alei shem (Kuzari, 3:53). Nella tradizione hasidica tedescamedievale questo titolo era accordato a parecchi poeti liturgici, ad esempio

Shephatiah e suo figlio Amittai dell'Italia meridionale (in Abraham b. Azriel,Arugat ha Bosem, 2 (1947, 181). I cabalisti spagnoli usavano le espressioniba'alei sefirot, i cabalisti teorici, e ba'alei shemot, i maghi, nei loroinsegnamenti cabalistici. Isaac b. Jacob ha-Kohen, Todros ha-Levi Abulafia, eMoses de Leon menzionarono tutti questa tendenza tra i cabalisti senzaesprimere disapprovazione, mentre Abraham Abulafia scrisse in toni sprezzantidei ba'alei shem. A partire dalla fine del XIII secolo, il termine ba'aleishem venne usato anche per i preparatori di amuleti basati sui Nomi Sacri(Ozar Nehmad vol. 2, p. 133 ). Vi furono numerosissimi ba alei shem,soprattutto in Germania e in Polonia, a partire dal XVI secolo. Alcuni eranoimportanti rabbini e dotti talmudisti, come Elijah Loans di Francoforte eWorms, Elijah Ba'al Shem di Chelm e Sekel Isaac Loeb Wormser (il ba al shem diMichelstadt). Altri erano eruditi che si dedicavano interamente allo studiodella Cabala, come Joel Ba'al Shem di Zamosc ed Elhanan "Ba'al haKabbalah" diVienna (entrambi del secolo XVIII), e Benjamin Beinisch haKohen di Krotoszyn(inizio del XVIII secolo), e Samuel Essingen. Nel XVII e nel XVIII secolo ilnumero di ba'alei shem che non erano eruditi talmudici aumentò. Tuttavia, essiattraevano un largo seguito grazie ai loro poteri reali o immaginari diguarire gli infermi. Questo tipo di ba'al shem era spesso una combinazione dicabalista pratico, che operava le guarigioni mediante preghiere, amuleti eincantesimi, e di guaritore popolare esperto di segullot ("rimedi") preparaticon sostanze animali, vegetali e minerali. La letteratura del periodo pulluladi episodi e testimonianze su questo tipo di ba'alei shem; alcuni, tuttavia,furono scritti per criticare loro e le loro attività. Si riteneva in generaleche i ba'alei shem fossero efficaci soprattutto nella cura delle malattiementali e negli esorcismi contro gli spiriti maligni. Vi è una variante deltitolo "ba'al shem': "ba'al shem tov". Il fondatore del Hasidismo moderno,

Israel b. Eliezer Ba'al Shem Tov, solitamente indicato con le iniziali"BeShT", è il più famoso ed eccezionale portatore di questo titolo. Il titolodi "ba'al shem tov" esisteva in precedenza, ma non indicava una specialequalità o distinzione tra coloro che lo portavano e i ba'alei shem. Esempisono Elhanan Ba'al Shem Tov, che morì nel 1651; Benjamin Krotoschin, che sidiede il titolo nel AUO libro Shem Tou Katan (Sulzbach, 1706); e Joel Ba'alShem I, che si firmava "BeShT" come fondatore del Hasidismo. Nel XVIII secolo,Samuel Jacob Hayyim Falk, il "ba'al shem di Londra", acquisì vasta rinomanza;i cristiani lo chiamavano "dottor Falk". La teoria, sostenuta da moltistudiosi, che questi ba'al shem itineranti 'fossero responsabili delladiffusione dello Shabbateanismo, non è stata provata, anche se alcuni di loroerano effettivamente membri della setta. Sono stati pubblicati parecchi libridi questi ba'alei shem sul tema della Cabala pratica, segullot ("rimedi") e

refu'ot ("guarigioni"). Tra gli altri si ricordano Toledot Adam (1720) eMifalot Elohim (1727), pubblicati a cura di Joel Ba'al Shem e basati sulleopere di suo nonno Joel Ba'al Shem I, Shem Tou Katan (1706) e Amtahat Binyamin(1716). Le attività dei ba'alei shem divennero leggendarie. Personaggi fittizidello stesso tipo furono spesso inventati, come Adam Ba'al Shem di Bingen,protagonista di una serie di vicende miracolose in yiddish che vennerostampate già nel XVII secolo. La leggenda hasidica creò successivamente unaconnessione immaginaria tra questo personaggio e Israel Ba'al Shem Tov. Ileaders della Haskalah, in generale, consideravano i ba alei shem comeciarlatani e avventurieri.

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5SEFER HA-BAHIR

Sefer ha-Bahir ("Libro Bahir") è la prima opera della letteratura cabalistica,cioè il primo libro che adotta la metodologia specifica e la struttura

simbolica caratteristiche dell'insegnamento cabalistico.

Titoli

Tra i cabalisti spagnoli medievali il Sefer ha-Bahir era conosciuto con duenomi, ognuno basato sulle frasi iniziali del libro: 1) Midrash R. Nehunya benha-Kanah ('R. Nehunya b. ha-Kanah disse", che è la frase iniziale della primasezione); 2) Sefer ha-Bahir, basato sulla frase "Un versetto dice: E ora gliuomini non vedono la luce che è fulgida (hahir) nei cieli" (Giobbe 37:21).Sebbene il secondo titolo sia il più vecchio, il primo divenne popolare perchéusato da Nahmanides nel suo commento al Pentateuco. Non vi è evidenza internaa sostegno dell'attribuzione dell'opera, da parte dei cabalisti, a R. Nehunya.Il libro è un Midrash nello stretto senso letterario della parola:un'antologia di varie affermazioni, quasi tutte brevi, attribuite a diversitannaim e amoraim. I personaggi principali del libro sono chiamati "R. Amora"(o "Amorai") e "R. Rahmai" (o Rehumai"). Il primo nome è fittizio, mentre ilsecondo sembra coniato a imitazione dell'amora, Rehumi. Vi sono inoltreaffermazioni attribuite a R. Berechiah, R. Johann, R. Bun e altre che sononote attraverso la letteratura midrashica. Tuttavia, solo pochissime di taliaffermazioni provengono veramente da queste fonti, e tutte furono attribuite arabbini menzionati nei Midrashim più tardi, che avevano anch'essi l'abitudinedi attribuire i detti aggadici ai rabbini vissuti prima di loro (per esempioPirkei de-R. Eliezer, Otiyyot de-R. Akiva, e opere simili). Nel Sefer ha-Bahirvi sono inoltre molti paragrafi nei quali non viene menzionato nessun nome.

Idee e tradizioni su molti argomenti vengono trasmessi sotto forma di

spiegazioni di versetti biblici, brevi discussioni tra interlocutori diversi oaffermazioni prive di base scritturale. Oltre ai familiari detti aggadici (chesono poco numerosi), vi sono commenti sul significato mistico di versettiparticolari; sulle forme di parecchie lettere dell'alfabeto; sui segni divocalizzazione e di cantillazione; su affermazioni contenute nel Sefer Yezirah(vedasi a p. 31), e sui nomi sacri e il loro uso nella magia. Leinterpretazioni di alcuni versetti contengono spiegazioni dei significatiesoterici di alcuni comandamenti (ad esempio tefillin, zizit, terumot, "inviodella madre") (vedasi Deut. 22:6, 7, lulav, etrog eccetera). Non vi è,apparentemente, un ordine definito nel libro. Qualche volta si può notare unacerta concatenazione del pensiero nella disposizione dei vari passi, ma prestoil filo si spezza, e il senso spesso balza inesplicabilmente da un temaall'altro. Per contro, vi sono affermazioni legate insieme a causa di qualche

associazione estranea, senza una sequenza definita di pensiero. Tutto ciòconferisce al Sefer ha-Bahir l'aspetto di un Midrash, o una raccolta di dettitratti da varie fonti. Tuttavia, è possibile distinguere certe sezioni chesembrano avere un'unità letteraria. Queste sono soprattutto: 1) la successionedi affermazioni che sono basate sul Sefer Yezirah e che sviluppano in unanuova vena il contenuto di tale libro; 2) l'elenco ordinato che viene dato,sia pure con frequenti interruzioni, delle dieci Sefirot ("EmanazioniDivine"), chiamate qui i dieci ma'amarot ("detti") con i quali fu creato ilmondo.

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Idee

Il libro, così come è pervenuto fino a noi, conferma la tradizione deicabalisti del XIII secolo, secondo i quali il Sefer ha-Bahir fu loro trasmessoin forma estremamente mutilata, come frammenti di rotoli, libriccini etradizioni. Contiene sezioni che s'interrompono a metà di una frase e nonhanno alcun legame con ciò che segue. Vi sono discussioni iniziate e noncompletate. Il materiale addizionale che interrompe la sequenza si trova in

proporzioni maggiori proprio nelle sezioni che sembrano avere una consistenzainterna. Nella sua forma attuale il libro è molto breve: contiene all'incirca12.000 parole. La struttura è estremamente sciolta: il libro è semplicementeuna raccolta di materiale collocato entro una cornice senza la minima capacitàletteraria e critica. La lingua è un miscuglio di ebraico e aramaico. Lo stileè spesso difficilissimo e, anche a parte numerosi errori nelle edizioni astampa, non è facilmente comprensibile, e stilisticamente è poco chiaro.Tuttavia, in alcune parti ha una certa esaltazione spirituale e persino unacerta bellezza descrittiva. Vi sono numerose parole, che talvolta incorporanol'essenza stessa di un'idea che non può essere espressa in altra forma, o cheservono come risposte ai quesiti posti dagli interlocutori. Alcuni di questidetti sono semplici adattamenti di precedenti affermazioni talmudiche emidrashiche, ma in maggioranza non hanno paralleli in queste.L'importanza fondamentale del Bahir sta nell'uso del linguaggio simbolico. Èla fonte più antica che tratta il regno dei divismi attribuiti (Sefirot;"logoi"; "bei vasi"; "re"; "voci"; "corone") e che interpreta la Scritturacome se riguardasse non già ciò che avvenne nel mondo creato, ma anche eventinel regno divino, e con l'azione degli attributi di Dio. A tali attributivengono dati per la prima volta nomi simbolici, derivati dal vocabolario deiversetti interpretati. I principi su cui si basano il simbolismo del libro nonvengono spiegati sistematicamente, e gli interlocutori lo usano come sepotesse venir dato per scontato. Solo nell'elenco già ricordato dei diecima'amarot vi sono alcuni nomi simbolici, assegnati a ogni ma'amar (logos) .Le Sefirot, menzionate per la prima volta nel Sefer Yezirah comecorrispondenti ai dieci numeri fondamentali, divennero nel Sefer ha-Bahirattributi divini, luci e poteri, ognuno dei quali adempie una particolarefunzione nell'opera della creazione. Questo regno divino, che può essere

descritto solo in un linguaggio altamente simbolico è il nucleo fondamentaledel libro. Anche i ta'amei ha-mizvot (ragioni delle mizvot) sono relati aquesto regno superno: l'adempimento di certi comandamenti significa l'attivitàdi una Sefirah o di un attributo divino (o l'attività combinata di parecchi).Il Bahir adotta la concezione del Sefer Yezirah, per il quale vi sono dieciSefirot, e procede alla conclusione generale che ad ogni attributo o S'efirahsi allude nella Scrittura o nei testi rabbinici con un grandissimo numero dinomi e di simboli, che danno un'idea della sua natura; Le descrizioni deldominio di tali attributi sono talvolta presentate solo in termini allusivispesso descritti nello stile pittoresco che conferisce al libro unsorprendente carattere mitologico. I poteri divini costituiscono "l'alberosegreto" sul quale fioriscono le anime. Ma tali poteri sono anche la sommadelle "forme sante" che sono congiunte nel sembiante dell'uomo superno. Tutto,

nel mondo inferiore, particolarmente tutto ciò che ha santità, contiene unriferimento a qualcosa nel mondo degli attributi divini. Dio è il Signore ditutti i poteri, e la Sua natura unica e fulgida si può discernere in moltiluoghi. Tuttavia, non si sa se i redattori dell'elenco dei dieci ma'amarot lodistinguessero dalla prima Sefirah (Keter Elyon, '`la corona suprema") oconsiderassero il Keter Elyon come Dio. Il libro pone in risalto il concettodel "pensiero" di Dio al posto della "volontà" di Dio. Il termine tecnico Ein-Sof "l'Infinito'`) quale epiteto di Dio non compare ancora nel libro.

Posto nella Cabala

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In generale, il Sefer ha-Bahir rappresenta una fase nell'evoluzione dellaCabala, e presenta grandi variazioni di dettaglio rispetto al materiale che sitrova nelle opere successive. Anche questo contribuisce a rendere piùdifficile la comprensione dell'opera. Una grande distanza divide il Seferha-Bahir dalla Cabala di Isaac il Cieco, al quale il libro è stato attribuitoda alcuni studiosi moderni. Il Sefer ha-Bahir ha un'importanza grandissimaquale unica fonte esistente dello stato in cui si trovava la Cabala quando

venne a conoscenza di un pubblico più vasto, e delle prime fasi della suaevoluzione, prima della sua disseminazione al di fuori di circoli moltoristretti. Vi è una sorprendente affinità tra il simbolismo del Seferha-Bahir, da una parte, e le speculazioni degli gnostici e la loro teoriadegli "eoni' dall'altra. Il problema fondamentale nello studio del libro è:l'affinità è basata su un anello di congiunzione storico ancora sconosciutotra lo gnosticismo dell'era mishnaica e talmudica e le fonti da cui deriva ilmateriale del Sefer ha-Bahir? Oppure può trattarsi di un fenomeno puramentepsicologico, cioè uno slancio spontaneo dal profondo dell'immaginazionedell'anima, senza alcuna continuità storica?Il Sefer ha-Bahir apparve alla fine del XII secolo nella Francia meridionale,ma non si conoscono le circostanze della sua comparsa. Vi sono parecchieragioni per sostenere la teoria che il libro venisse compilato più o meno inquel periodo. Alcune delle affermazioni contenute nel libro mostranochiaramente l'influenza degli scritti di Abraham b. Hiyya. I compilatoriavevano davanti a loro manoscritti più o meno antichi contenenti frammenti,scritti in ebraico, di carattere gnostico, che li ispirarono a elaborare ilnuovo ordinamento simbolico presentato nel Sefer ha-Bahir? L'intero libro,nella forma attuale o in una più completa, fu veramente composto poco primadella sua apparizione, o proprio nella Francia meridionale? Questiinterrogativi erano rimasti praticamente senza risposta fino a quando, intempi recenti, è stato provato che almeno una parte del Sefer ha-Bahir erasoltanto un adattamento letterario di un libro molto anteriore, il Sefer RazaRabba, che è menzionato nei responsa dei geonim ma che è andato perduto,sebbene frammenti importanti appaiano in uno dei libri dei Hasidei Ashkenaz.Una comparazione dei testi paralleli in Raza Rabba e in Sefer ha-Bahirdimostra il legame esistente. Ma l'elaborazione nel S'efer ha-Bahir aggiunge

elementi fondamentali di carattere gnostico che non si trovano nella fonteoriginale. Di conseguenza, si deve presumere che, se vi è un legame storicotra il simbolismo del Sefer ha-Bahir e lo gnosticismo, tale legame fustabilito tramite - fonti addizionali che oggi non sono note. La tradizionediffusa tra i cabalisti, secondo la quale parti del Sefer ha-Bahir giunseroloro dalla Germania, fu rafforzata considerevolmente dalla scoperta diframmenti del Raza Rabba. Ma non è ancora stato sufficientemente chiarito sesi tratti di un opera collettiva, creata da una cerchia di mistici del XIIsecolo, o di una nuova compilazione di materiale molto anteriore. La totaleassenza di ogni tentativo di giustificare opinioni che contraddicano letradizioni giudaiche accettate può essere spiegata facilmente adottando laseconda teoria. Nel libro non vi sono indicazioni che l'idea dellatrasmigrazione delle anime, da esso sostenuta, fosse stata respinta da tutti i

filosofi del Giudaismo fino all'apparizione del Sefer ha-Bahir. Tutte leinterpretazioni mistiche e la delucidazione delle ragioni dei comandamenti nonhanno toni apologetici. Molti paragrafi indicano un ambiente orientale e unaconoscenza dell'arabo. È difficile supporre che il libro venisse compilato ocomposto in ambienti non eruditi, che non si preoccupavano delle idee correntinella letteratura contemporanea ed erano assolutamente indipendenti. Unanalisi delle fonti del libro non suffraga questa teoria, e quindi l'enigmaletterario della prima opera cabalistica rimane tuttora quasi completamenteirrisolto.

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Influenza

Negli ambienti dei cabalisti spagnoli il Sefer ha-Bahir era accettato come unafonte antica e autorevole, "composta dei mistici saggi del Talmud" (Jacob b.Jacob ha-Kohen). Ebbe grande influenza sull'evoluzione dei loro insegnamenti.L'assenza di una chiara formulazione ideologica nel libro significa che inesso potevano trovare conferme uomini dalle concezioni completamentecontrastanti. Da questo punto di vista, il libro non ebbe eguali prima

dell'apparizione dello Zohar. D'altra parte, non fu accettato senza protesteda coloro che si opponevano alla Cabala. Meir b. Simeon di Narbona ne scrissein termini molto duri: lo considerava un libro eretico attribuito a Nehunya b.ha-Kanah. Tuttavia, quest'ultimo era "un uomo giusto e virtuoso, che non erròin questo, e che non deve essere enumerato tra i peccatori" (c. 1240).

Edizioni e commenti

Tra i molti manoscritti del libro vi è una versione superiore in moltidettagli all'edizione a stampa, ma non contiene materiale nuovo: manoscrittodi Monaco 209. Nel 1331 Meir b. Solomon Ibn-Sahula, discepolo di Solomon b.Abraham Adret, scrisse un commento al Sefer ha-Bahir che fu pubblicato anonimonelle edizioni di Vilna e Gerusalemme con il titolo Or ha-Ganuz ("La lucenascosta"). Frammenti di un commento filosofico di Alijah b. Eliezer di Candiaci sono pervenuti nel manoscritto Vaticano 431. David Habillo (m. 1661;manoscritto Gaster 966) e Meir Poppers (a Gelusalemme), entrambi seguaci dellaCabala lurianica, scrissero commenti sul S'efer ha-Bahir che sono staticonservati. È degno di nota il fatto che le varie edizioni del librodifferiscono nella sua divisione in sezioni.La prima edizione del Sefer ha-Bahir fu stampata ad Amsterdam nel 1651 (da unanonimo studioso cristiano). L'edizione più recente, preparata da R. Margaliotcon l aggiunta di note e materiale parallelo, fu pubblicata a Gerusalemme nel1951. Il libro è stato tradotto in tedesco da G. Scholem (1970).6LA CHIROMANZIA

La chiromanzia è l'arte di determinare il carattere e spesso anche il fato eil futuro di un uomo dalle linee e da altri segni del palmo della mano e delledita, e fu una delle arti mantiche che si svilupparono nel Vicino Orientesembra nel periodo ellenistico. Non sono giunte fino a noi fonti chiromantichedi quest'epoca, in greco o in latino, benché si sappia che esistettero. Lachiromanzia si diffuse in una forma molto più vasta, nella letteratura arabamedievale e greco-bizantina, da cui passò nella cultura latina. Sembra che findall'inizio esistessero due tradizioni. La prima collegava la chiromanziaall'astrologia, e quindi produceva una cornice semisistematica per i suoiriferimenti e le sue predizioni. La seconda non era affatto connessaall'astrologia bensì all'intuizione, i cui principi metodologici non sonochiari. Nel Medioevo i chiromanti cristiani trovarono una base scritturale in

Giobbe 37:7: "Egli sigilla la mano di ogni uomo, affinché tutti gli uominipossano conoscere la sua opera", che potrebbe venire interpretata nel sensoche le impronte della mano sono state fatte da Dio a fini chiromantici. Ilversetto viene citato nella tradizione giudaica solo a partire dal XVI secolo.La chiromanzia appare per la prima volta nel Giudaismo negli ambienti delmisticismo della Merkabah. I frammenti della loro letteratura includono uncapitolo, intitolato Hakkarat Panim le-Rabbi Yishma el, scritto in ebraicomishnaico e protomidrashico. Questo capitolo è la più antica fonte letterariadella chiromanzia che sia stata scoperta sinora. È comprensibile soloparzialmente, perché è basata su simboli e allusioni ancora oscuri, ma non haalcun legame con il metodo astrologico. Usa il termine sirtutim per indicare

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le linee della mano. Una traduzione tedesca del capitolo è stata pubblicata daG. Scholem. Un altro frammento dello stesso periodo, scoperto nella Genizah,presenta già un miscuglio tra astrologia, chiromanzia e fisiognomica. Da unresponsum di Hai Gaon (Ozar ha-Ge'onim sul trattato Hagizah, sezione responsa,p. 12) appare chiaro che i mistici della Merkabah usavano la chiromanzia e lafisiognomica ellenistica per accertare se un uomo era degno di riceverel'insegnamento esoterico. Essi citavano, come convalida scritturale di questescienze, Genesi 5:1-2: "Questo è il libro delle generazioni dell'uomo"

(l'ebraico Toledot veniva interpretato nel senso di "il libro del carattere edel fato dell'uomo") e "Egli li creò maschio e femmina", il che implica che lapredizione chiromantica varia secondo il sesso: la mano destra è il fattoredeterminante per il maschio, la sinistra per la femmina.A parte il capitolo menzionato più sopra, per un lungo periodo circolò unnumero rilevante di traduzioni di una fonte chiromantica al aba non ancoraidentificata, Re'iyyat ha-Yadayim le-Ehad me-Hakhmei Hodu ("Letture dellemani, di un saggio indiano"). Il saggio, nei manoscritti ebraici, è chiamatoNidarnar. Di questa fonte ci sono pervenute due traduzioni e vari adattamenti;e l'opera era conosciuta in ebraico non più tardi del XIII secolo. Uno degliadattamenti fu stampato con il titolo Sefer ha-Atidot nella raccolta Urimve-Tummim (1700). Alla fine del XIII secolo, il cabalista Menahem Recanatiaveva una copia del testo, interamente basato sui principi del metodoastrologico di chiromanzia che collega le linee principali del palmo e levarie parti della mano ai sette pianeti e alle loro influenze. L'autoreconosceva già la terminologia chiromantica fondamentale comune nellaletteratura non ebraica. La sua opera tratta non soltanto il significato dellelinee, o harizim, ma anche delle otiyyot, cioè i vari segni della mano.Una testimonianza della tradizione chiromantica tra i primi cabalisti vienedata da Asher b. Saul, fratello di Jacob Nazir, in Sefer ha-Minhagot (c.1215): [alla conclusione del Sabbath] essi usavano esaminare le linee delpalmo delle mani, perché tramite le linee della mano i saggi conoscevano ilfato di un uomo e le buone cose in serbo per lui". Nel manoscritto di Monaco288 (fol.116 segg.) vi è un lungo trattato sulla chiromanzia, che si pretendebasato su una rivelazione ricevuta da un hasid in Inghilterra nel XIII secolo.Non differisce per contenuto dalla chiromanzia astrologica in uso tra icristiani contemporanei, e la terminologia è identica. Una mano con

indicazioni chiromantiche si trova in un manoscritto ebraico del 1280 circa,proveniente dalla Francia (British Museum Add. 11639, fol. 115b).In varie parti dello Zohar vi sono passi, alcuni dei quali piuttosto lunghi,che trattano delle linee della mano e della fronte. Una disciplinaspecializzata era dedicata a quest'ultima; corrispondeva alla chiromanzia enel Medioevo veniva chiamata metoposcopia. Due versioni diverse di questoargomento sono incluse nella porzione di Jethro e sono basate su Esodo 18:21,la prima nella parte principale dello Zohar (2:70a-77a) e la seconda cometrattato indipendente, intitolato Raza de-Razin, stampato in colonne parallelealla prima, e continuato negli addenda alla seconda parte dello Zohar (fol.272a-275a).Qui sono discusse dettagliatamente le linee della fronte. Una terzaesposizione, dedicata alle linee della mano, si trova in Zohar, 2:77a-78a, econsiste di tre capitoli. Sebbene lo Zohar ponga in risalto il parallelo tra

il movimento dei corpi celesti e la direzione delle linee della mano,l'influenza della chiromanzia astrologica non è evidente nei dettaglidell'esposizione che dipende in modo oscuro da cinque lettere dell'alfabetoebraico. Queste sono usate come simboli mistici, che in apparenza siriferiscono a tipi particolari di carattere. In un'ulteriore elaborazionedella chiromanzia nel tikkun n. 70 (verso la fine) dei Tikkunei Zohar, sistabilisce una relazione tra le linee della mano e della fronte di un uomo ele trasmigrazioni della sua anima. Un'interpretazione di queste pagine nellaporzione di Jethro si trova in Or ha-Hammah di Abraham Azulai: fu stampataseparatamente sotto il titolo di Mahazeh Avraham 1800. Con il diffondersidella conoscenza dello Zohar, parecchi cabalisti cercarono di collegare la

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impercettibili ai sensi umani, che consentono loro di volare fuoco e l'aria.Poiché sono composti di elementi diversi, sono soggetti alle leggi dellacreazione e del disfacimento e muoiono come gli esseri umani. Traggonosostanze dall'acqua e dal fuoco, dagli odori e dalle linfe; perciò inecromanti bruciavano incensi ai demoni. Nonostante l'elemento di fuocosottile che essi contengono, sono circondati da un freddo che atterrisce gliesorcisti (questo dettaglio appare solo in fonti più tarde). Volando perl'aria essi possono accostarsi ai "principi" dello Zodiaco che dimorano

nell'atmosfera, e udire così le predizioni del futuro prossimo, ma non diquello remoto.Nahmanides accenna inoltre (commento a Lev. 16:8) che i demoni appartengono alpatrimonio di Samael, che è "l'anima del pianeta Marte ed Esaù è il suosuddito tra le nazioni" (l'angelo di Edom o del Cristianesimo). I cabalisticastigliani, Isaac b. Jacob ha-Kohen, Moses di Burgos e Moses de Leon (nellesue opere in ebraico e nello Zohar) collegarono l'esistenza dei demoni agliultimi gradi dei poteri dell'emanazione "di sinistra" (la sitra ahra, "l'altraparte" dello Zohar), che corrisponde nelle sue dieci Sefirot del male alledieci Sefirot sante. I loro scritti contengono descrizioni dettagliate delmodo in cui emanarono tali poteri e spiegano i nomi dei condottieri delle loroschiere. Le loro idee sono basate soprattutto sull'evoluzione interna neicircoli cabalistici. Nelle varie fonti vengono dati nomi del tutto diversi aigradi superiori di queste potenze demoniache o sataniche. Comunque, tutticoncordano nel collegare le schiere dei demoni nel mondo sublunare, cioè sullaterra, sotto il dominio di Samael e di Lilith, che appaiono per la prima voltain coppia in queste fonti. Numerosi dettagli su queste "emanazioni tenebrose"si trovano in Ammud ha-Semali di Moses di Burgos.Per contrasto, lo Zohar, seguendo una leggenda talmudica, sottolinea l'originedi certe classi di demoni nei rapporti sessuali tra umani e potenzedemoniache. Alcuni demoni, come Lilith, furono creati durante i sei giornidella Creazione, e in particolare al crepuscolo della vigilia del Sabbath,quali spiriti disincarnati. Essi cercarono di assumere forma corporea mediantel'associazione con gli umani, dapprima con Adamo quando si separò da Eva, epoi con tutti i suoi discendenti. Tuttavia, i demoni che furono creatimediante questa unione aspirano anch'essi a tale tipo di commercio carnale.L'elemento sessuale nel rapporto tra uomo e demoni ha un posto di rilievo

nella demonologia dello Zohar, nonché in parecchie opere cabalistiche piùtarde. Ogni polluzione del seme dà origine a demoni. I dettagli di questirapporti sono straordinariamente simili a quelli correnti nella demonologiamedievale cristiana su succubi e incubi. Sono basati sull'assunto (contrarioall'opinione talmudica) che questi demoni non abbiano una loro capacità diprocreare e necessitino del seme umano per moltiplicarsi. Nella Cabala piùtarda si osserva che i demoni nati dall'uomo mediante tali unioni sonoconsiderati suoi figli illegittimi: venivano chiamati banim shouauim ("figlimaliziosi"). Alla morte e alle esequie essi venivano ad accompagnare il mortoper piangerlo e per reclamare la loro parte di eredità; inoltre, potevano faremale ai figli legittimi. Di qui nacque l'usanza di girare intorno ai morti, alcimitero, per scacciare questi demoni, e anche la consuetudine (che risale alXVII secolo), presso numerose comunità, di non permettere ai figli maschi di

accompagnare al cimitero il cadavere del padre, per evitare che i fratellastriillegittimi facessero loro male.I termini shedim e mazzikim (demoni nocivi, Poltergeister) venivano usatispesso come sinonimi; ma in alcune fonti vi è una certa differenziazione traessi. Nello Zohar si ritiene che gli spiriti degli uomini malvagi divenganomazzikim dopo la loro morte. Tuttavia, vi sono anche demoni di indole buona,disposti ad aiutare gli uomini. Si riteneva che questo valesse particolarmenteper i demoni governati da Ashmedai (Asmodeo), che accettano la Torah e vengonoconsiderati "demoni giudaici". La loro esistenza è menzionata dai HasideiAshkenaz, oltre che dallo Zohar. Secondo la leggenda, Caino e Abele, checontengono in parte l'impurità del serpente che ebbe rapporti sessuali con

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Eva, possiedono un certo elemento demonico, e da loro discesero vari demoni.Ma in realtà l'accoppiamento di demoni femmine con maschi umani e di demonimaschi con femmine umane continuò per tutto il corso della storia. Questidiavoli sono mortali, ma i loro re e le loro regine vivono più a lungo degliesseri umani e alcuni di loro, soprattutto Lilith e Naamah, esisteranno finoal giorno dell'Ultimo Giudizio (Zohar 1:55a). Venivano formulate variespeculazioni sulla morte dei re dei demoni, in particolare di Ashmedai3.Secondo una tradizione, questi morì martire insieme agli ebrei di Mainz nel

1096. Un'altra concezione cabalistica è che Ashmedai sia semplicemente iltitolo del re dei demoni, come "faraone" è il titolo del re d'Egitto e "ognire dei demoni è chiamato Ashmedai', poiché in gematria la parola Ashmedai ènumericamente equivalente a Pharaoh, faraone. Nella demonologia giudeo-arabasi trovano lunghe genealogie dei demoni e delle loro famiglie.Apparentemente, l'autore dello Zohar distingue tra gli spiriti che furonoemanati dalla "parte sinistra", e ricevettero funzioni precise nei "palazzidell'impurità", e i diavoli nell'esatto senso del termine, che aleggianonell'aria Secondo fonti più tarde, questi ultimi riempiono con le loro schierelo spazio celeste tra la terra e la sfera della luna La loro attività sisvolge soprattutto di notte, prima di mezzanotte. I diavoli nati dallepolluzioni notturne sono chiamati "le frustate dei figli degli uomini" (II Sam7:14; vedasi Zohar 1:~4b). Talvolta i demoni si fanno beffe degli uomini.Dicono loro menzogne sul futuro, e mescolano verità e bugie nei sogni. Idemoni hanno piedi deformi (Zohar 3:229b). In numerose fonti sono nominatequattro madri dei demoni: Lilith, Na'amah, Agrath e Mahalath (sostituitatalora da Rahab). I demoni sotto il loro dominio si scatenano a schiere incerti tempi determinati e costituiscono un pericolo per il mondo. A volte, siradunano su una particolare montagna "presso le montagne delle tenebre dovehanno rapporti sessuali con Samael" Questo ricorda il Sabbath delle streghenella demonologia cristiana. In quel luogo si radunano anche streghe estregoni, che si dedicano ad attività molto simili, e apprendono l'arte dellastregonelia dagli arcidiavoli, i quali sono gli angeli ribelli caduti dalcielo (Zohar 3:194b, 212a) L'autore del Ra'aya Meheimna nello Zohar (3:253a)distingue tre tipi di demoni: 1) simili ad angeli, 2) simili agli umani echiamati shedim Yehuda'im ("diavoli giudaici"), che si sottomettono allaTorah; 3) altri che non hanno timor di Dio e sono come gli animali. La

distinzione dei demoni secondo le tre religioni principali si trova anchenella demonologia araba, oltre che in varie fonti della Cabala pratica; èmenzionata nel testo integrale di una sezione di Midrash Rut ha-Ne'lam delloZohar. Un'altra divisione distingue i demoni secondo i vari strati dell'ariache essi governano: un'opinione comune allo Zohar e a Isaac ha-Kohen, il qualeparla di vari dettagli D'altra parte, lo Zohar menziona nukba di-tehoma rabba,"la bocca del grande abisso", come il luogo dove i demoni ritornano al Sabbathquando non hanno alcun potere sul mondo. Secondo Bahya b. Asher, i demonitrovano rifugio nell'Arca di Noè, altri non si sarebbero salvati dal DiluvioFurono assegnati nomi ai re dei demoni, ma non ai membri delle loro schiere,che sono conosciuti con i nomi dei re: "Samael e la sua schiera" "Ashmedai ela sua schiera", eccetera Ashmedai è considerato generalmente figlio diNa'amah, sorella di Tubal-Cain, ma qualche volta è anche figlio di re David e

di Agrath, la regina dei demoni. Numerosi nomi di demoni provengono dallatradizione araba Tra essi va ricordato Bilar (anche Bilad o Bilid), il terzore succeduto ad Ashmedai Bilar è semplicemente una dizione scorretta del nomedi Satana "Beliar" in numerose Apocalissi e nella letteratura protoclistiana,che ritornò così alla tradizione del Giudaismo attraverso fonti straniere. Haun ruolo importante nella letteratura della "Cabala pratica", e da questa,trasformato in Bileth, entrò nella letteratura magica tedesca con la leggendadel dottor Faust. Il sigillo di questo re è descritto dettagliatamente nellibro Berit Menuhah (Amsterdam 1648, 39b). Anche gli altri demoni hannosigilli, e coloro che li conoscono posso farli apparire contro la lorovolontà. I relativi disegni sono conservati in vari manoscritti della Cabala

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pratica I nomi dei sette re dei demoni che presiedono i sette giorni dellasettimana, popolarissimi nella tarda demonologia del Giudaismo, derivaronodalla tradizione araba Tra essi spiccano Maimon il Nero e Shemhurish, giudicedei demoni Altri sistemi, che ebbero origine nella Cabala spagnola,collocavano i tre re Halama, Samael e Kafkafuni alla testa dei demoni Seferha-Heshek, manoscritto conservato nel British Museum).Altri sistemi di demonologia sono legati agli elenchi degli angeli e deidemoni che presiedono alle ore notturne dei sette giorni della settimana, o

all'interpretazione demonologica di malattie come l'epilessia Fonti di questotipo sono Seder Goral ha-Holeh e Sefer ha-Ne'elavim. Questi sistemi non sononecessariamente connessi a idee cabalistiche, e alcuni le precedettero. Unsistema completo di demonologia cabalistica fu esposto, dopo il periodo delloZohar, in Sibbat Ma'aseg ha-Egel ve-Inyan ha-Shedim (manoscritto Sassoon 56),che sviluppa motivi interni giudaici. Una combinazione dello Zohar e di fontiarabe caratterizza il libro Zefunei Ziyyoni di Menaham Ziyyoni di Colonia(fine del XIV secolo, in parte nel manoscritto di Oxford); include un lungoelenco di demoni importanti e delle loro funzioni, conservando i loro nomiarabi. Questo libro fu uno dei canali per il cui tramite elementi arabipervennero ai cabalisti pratici tra gli ebrei tedeschi e polacchi, e ricorronospesso, sia pure con errori, nelle collezioni ashkenazi di demonologia inebraico e in yiddish Uno dei più importanti è il manoscritto Schocken 102, cherisale alla fine del XVIII secolo Tra gli ebrei dell'Africa settentrionale edel Vicino Oriente, elementi di demologia cabalistica e araba si mescolaronoanche senza mediazioni letterarie; di particolare interesse è la collezioneShushan Yesod Olam nel manoscritto Sassoon 290. Le raccolte di rimedi e diamuleti composti da dotti sefarditi abbondano di questo tipo di materiale. Unesempio notevole di mescolanza completa di elementi ebraici, arabi e cristianisi trova negli incantesimi del libro Mafte'ah Shelomo o Clavicula Salomonis,una raccolta nel XVII secolo e pubblicata in facsimile da H. Gollancz nel 1914Anche il re Zauba'a e la regina Zumzumit appartengono all'eredità araba. Unaricca eredità tedesca nel campo della demonologia è conservata negli scrittidi Judah he-Hasid e dei suoi discepoli e nel commento di Menahem Ziyyoni allaTorah. Secondo la testimonianza di Nahmanides, era usanza degli ebreiashkenazi "occuparsi di cose relative ai demoni, intessere incantesimi escacciarli; ed essi li usano in molti casi" (Responsa di Ibn Adret, attribuiti

a Nah. manides, n. 283) Il Ma aseh Bukh (in yiddish; traduzione inglese di MGaster, 1934) elenca numerosi dettagli su questa demonologia ashkenazi-ebràicadel tardo Medioevo Oltre alle comuni credenze popolari, elementi originaridella letteratura magica dotta, nonché i nomi di demoni appartenenti allamagia cristiana, vennero introdotti dalla demonologia cristiana; e sidiffusero, non più tardi del XV secolo, tra gli ebrei della Germania Demonicome Astarot Beelzebub in molte forme) e i loro simili divennero elementifissi negli incantesimi e negli elenchi dei demoni Un sistema cabalisticodettagliato di demonologia si trova al tempo dell'espulsione dalla Spagna inMalakh ha-Meshiv di Joseph Taitazak In questo sistema, la gerarchia dei demoniè capeggiata da Samael, patrono di Edom, e Ammon di No (Alessandria), patronod'Egitto, che rappresenta anche l'Islam Ammon di No ricorre in numerose fontidi questo periodo.

Hayyim Vital parla di demoni composti di uno solo dei quattro elementi, incontrasto con l'opinione di Nahmanides menzionata più sopra. Questa concezioneha probabilmente origine nella demonologia europea del Rinascimento. La Cabaladi Isaac Luria menziona spesso varie kelippot ("gusci") che devono esseredomate mediante l'osservanza della Torah e le mizvot, ma in generale nonassegna loro nomi propri e non ne fa autentici demoni Questo processoraggiunse il culmine in Sefer Karnayim (Zolkiew, 1709) di Samson di Ostropol,che assegna a molte kelippot nomi che non figurano in nessuna fonte anticaQuesto libro è l'ultimo testo originale della demonologia cabalistica.Qualche particolare: Secondo Isaac di Acri i diavoli hanno soltanto quattrodita e sono privi del pollice. Il libro Emek ha-Melekh (Amsterdam, 1648)

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Scholem in Essays... Abba Hillel Silver (1963), 368-86). Questi precetticontengono una versione parallela dei Dieci Comandamenti. Tuttavia, sidistinguono per una formulazione straordinaria ambigua del comandamento "Noncommettere adulterio", che è più simile a una raccomandazione che a undivieto. I comandamenti addizionali determinano i rapporti tra i ma'aminim,gli ebrei e i turchi. Il matrimonio con i veri musulmani è rigorosamente edenfaticamente proibito.Dopo la morte di Shabbetai Zevi il centro delle attività della comunità si

spostò a Salonicco, dove rimase fino al 1924. L'ultima moglie di Shabbetai,Jochebed (nell'Islam, Ayisha), era figlia di uno dei rabbini di Salonicco,dove ritornò dall'Albania dopo un breve soggiorno ad Adrianopoli. Più tardi,proclamò il fratello minore Jacob Filosof, conosciuto tradizionalmente comeJacob Querido (cioè "diletto"), reincarnazione dell'anima di Shabbetai Zevi.Esistono tante tradizioni diverse e contraddittorie sui profondi rivolgimentiche influirono sui ma'aminim di Salonicco intorno al 1680 e in seguito che,per il momento, è impossibile dire quali siano le più attendibili. Tutteconcordano nell'ammettere che vi era una tensione considerevole tral'originale comunità dei doenmeh e i seguaci di Jacob Querido, tra i qualifiguravano molti rabbini di Salonicco. In seguito alla loro propaganda due otrecento famiglie, sotto la guida di due rabbini, Solomon Florentin e JosephFilosof, e di suo figlio, si convertirono in massa all'Islamismo. Esistonoresoconti contraddittori di questa conversione. Una l'assegna all'anno 1683,l'altra alla fine del 1686. È possibile che le conversioni collettive fosserodue, una dopo l'altra. Vi furono poi molte esperienze di "rivelazioni"mistiche a Salonicco, e numerosi trattati rispecchiano le tendenze spiritualidei vari gruppi. Con il trascorrere del tempo, moltissime famiglie apostati dialtre città della Turchia emigrarono a Salonicco e la setta venne organizzatasu una base più istituzionale. Durante il secolo XVIII, ad essa si unironoaltri gruppi shabbatei, provenienti soprattutto dalla Polonia. Jacob Queridodimostrò la sua devozione esteriore all'Islamismo compiendo il pellegrinaggioalla Mecca con parecchi seguaci: un'azione cui si oppose l'originaria comunitàdei doenmeh. Jacob Querido morì durante il ritorno dal viaggio, nel 169p o nel1695, probabilmente ad Alessandria.I conflitti intestini causarono una scissione nell'organizzazione e portaronoalla formazione di due sottosette: una, secondo la tradizione dei doenmeh, era

chiamata Izmirlis (Izmirim) e consisteva di membri della comunità originale,mentre l'altra era conosciuta come i Jacobiti, in turco Jakoblar. Qualche annodopo la morte di Querido vi fu un'altra scissione tra gli Izmirlis, quandointorno al 1700 un nuovo, giovane leader, Baruchiah Russo, apparve tra loro efu proclamato dai suoi discepoli la reincarnazione di Shabbetai Zevi. Nel 1716i suoi discepoli lo salutarono come l'Incarnazione Divina. Russo eraapparentemente ebreo di nascita, e figlio di uno dei primi seguaci diShabbetai Zevi. Dopo la conversione venne chiamato "Osman Baba". Una terzasottosetta si organizzò intorno a lui: i membri venivano chiamati Konyosos (inladino) o Karakashlar (in turco).Questo gruppo fu considerato il più estremista della comunità dei doenmeh.Aveva fama di aver fondato una nuova fede, tendente al nichilismo religioso. Isuoi aderenti intrapresero una nuova campagna missionaria nelle principali

città della Diaspora. Furono inviati rappresentanti in Polonia, Germania eAustria, dove furono causa di considerevole agitazione tra il 1720 e il 1726.In parecchi luoghi si formarono rami di questa setta, dai quali emersero inseguito i frankisti. Baruchiah Russo morì ancora giovane nel 1720 e la suatomba divenne meta di pellegrinaggi dei membri della setta, fino a tempirecenti. Il figlio, che gli succedette come capo della setta, morì nel 1781.Durante la rivoluzione francese un potente capo di una delle sette (quelladegli Izmirim o quella di Baruchiah), conosciuto come "Dervish Effendi",assunse una posizione preminente. Forse deve essere identificato con ilpredicatore e poeta Judah Levi Tovah, che lasciò poesie e omelie cabalistichein ladino, molte delle quali furono conservate, in manoscritti e oggi figurano

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in numerose collezioni pubbliche.Ben presto tu chiaro alle autorità turche che gli apostolati, i qualiavrebbero dovuto esortare gli ebrei a convertirsi all'Islamismo, non avevanointenzione di lasciarsi assimilare, e continuavano a condurre un'esistenzasettaria chiusa, sebbene esteriormente osservassero con diligenza le praticheislamiche, e fossero politicamente sudditi fedeli. A partire dall'inizio delXVIII secolo furono chiamati doenmeh, che significa in turco "convertiti"oppure "apostati". Tuttavia, non è chiaro se si trattasse di un riferimento

alla loro conversione dal Giudaismo o al fatto che non erano veri musulmani.Gli ebrei li chiamavano Minim ("settari") e tra gli scritti dei rabbini diSalonicco vi sono parecchi responsa sul problema del modo in cui dovevanoessere trattati, o se dovevano essere considerati ebrei o no. I doenmeh sistabilirono in certi quartieri di Salonicco, e i loro capi erano in rapportiamichevoli con gli ambienti sufici e con gli ordini dei dervisci turchi,particolarmente i Baktashi. Nel contempo, mantenevano legami segreti con glishabbatei che non si erano convertiti e persino con parecchi rabbini diSalonicco, i quali, quando la conoscenza della Torah si affievolì tra idoenmeh, furono pagati per risolvere per conto di questi i problemi relativialla legge. Questi rapporti furono troncati solo a metà del XIX secolo Ladoppiezza del loro comportamento appare chiara solo quando si tiene in contol'atteggiamento ambiguo dei doenmeh nei confronti del Giudaismo tradizionale.Su un certo livello, lo consideravano decaduto, poiché il suo posto era statopreso da una Torah più alta e spirituale, chiamata Torah deAzilut ("Torahdell'Emanazione"). Ma su un altro livello rimanevano certe aree in cui essicredevano di comportarsi secondo la Torah della tradizione talmudica, chiamataTorah di Beri'ah ("Torah della Creazione").Si conosce solo approssimativamente la consistenza numerica dei doenmeh.Secondo il viaggiatore danese Carsten Niebuhr, nel 1774 vivevano a Saloniccocirca 600 famiglie, i cui membri si sposavano solo tra loro. Avanti alla primaguerra mondiale il loro numero era calcolato tra 10.000 e 15.000, diviso più omeno in egual misura fra le tre sottosette: i Konyosos avevano una leggeramaggioranza numerica. All'inizio, la conoscenza dell'ebraico era comune tra idoenmeh, e la loro liturgia, in origine, era standardizzata in ebraico. Lo sipuò constatare nella parte del loro libro di preghiere che è giunta fino a noi(Scholem in: KS, voll. 18 e 19). Tuttavia, con il passare del tempo, crebbe

l'uso del ladino, e la loro letteratura omiletica e poetica venne scritta inquella lingua. Continuarono a parlare ladino tra loro fin verso il 1870, esolo in seguito il turco lo sostituì come lingua d'uso quotidiano.Per quanto riguarda la struttura sociale, vi erano nette differenze fra le tresottosette, che si svilupparono visibilmente tra il 1750 e il 1850. Gliaristocratici della società doenmeh erano gli Izmirlis, che venivano chiamatiCavalleros in ladino o Kapanjilar in turco. Tra essi erano inclusi i grandimercanti e i ceti medi, oltre alla maggior parte dell'intelligentsia deidoenmeh. La comunità degli Jacobiti o Jakoblar includeva un gran numero difunzionari turchi della classe medio-bassa, mentre il terzo gruppo, quello deiKonyosos, che era il più numeroso, consistette con l'andar del tempo (secondole poche notizie attendibili) soprattutto di proletari e artigiani, facchini,calzolai, barbieri e macellai. Alcuni affermano che per molto tempo tutti i

barbieri di Salonicco, in pratica, appartennero a questo gruppo. Ogni doenmehaveva un nome turco e uno ebraico (che venivano usati rispettivamente nellasocietà turca e in quella doenmeh). Inoltre, conservavano gli originalicognomi sefarditi, che vengono menzionati solo in poesie composte in onore deimorti; molti di questi testi sono pervenuti fino a noi in manoscritto. Icimiteri dei doenmeh erano usati in comune da tutte le sottosette; tuttaviaogni setta aveva la sua particolare sinagoga (chiamata Kahal, "congregazione")al centro del proprio quartiere e irriconoscibile dall'esterno.Le loro liturgie erano scritte in formato ridottissimo, in modo che fossepossibile nasconderle agevolmente. Tutte le sette nascondevano i loro affariinterni agli ebrei e ai turchi, tanto che per molto tempo ogni notizia sul

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loro conto venne a basarsi solo su dicerie e racconti di estranei. Varimanoscritti dei doenmeh che rivelano dettagli delle loro concezioni shabbateevennero portati alla luce ed esaminati solo dopo che parecchie famigliedoenmeh decisero di assimilarsi completamente nella società turca e trasmiseroi loro documenti ad amici ebrei di Salonicco e di Izmir. Finché i doenmehrimasero concentrati a Salonicco, la struttura istituzionale della settarimase intatta, anche se molti membri furono attivi nel movimento dei GiovaniTurchi che ebbe origine in quella città. La prima amministrazione che andò al

potere dopo la rivoluzione dei Giovani Turchi (1909) incluse tre ministri diorigine doenmeh, incluso il ministro delle finanze, Djavid Bey, che discendevadalla famiglia di Baruchiah Russo ed era uno dei capi della sua setta.Un'affermazione ripetuta con insistenza da molti ebrei di Salonicco (masmentita dal governo turco) era che lo stesso Kemal Ataturk fosse d'originedoenmeh. Questa opinione venne accettata prontamente da molti degli avversarireligiosi di Ataturk in Anatolia.Con lo scambio di popolazioni che seguì la guerra greco-turca del 1924, idoenmeh i furono costretti a lasciare Salonicco. In maggioranza si stabilironoa Istanbul, alcuni in altre città turche come Ismir e Ankara. Nella stampaturca, a quel tempo, vi fu un vivace dibattito sul carattere ebraico deidoenmeh e sulla loro assimilazione. Quando furono sradicati dal grande centroebraico di Salonicco, l'assimilazione cominciò a diffondersi rapidamente.Tuttavia vi sono prove attendibili che la struttura organizzativa deiKonyoslls sopravvisse, e ancora nel 1970 molte famiglie appartenevano allorganizzazione. Tra gli intellettuali turchi, uno dei professoridell'università di Istanbul è stato generalmente ritenuto capo dei doenmeh. Itentativi di indurli a ritornale al Giudaismo e ad emigrare in Israele hannodato scarsi risultati. Solo poche famiglie doenmeh figurarono tra gliimmigranti turchi in Israele.Non esistono vere differenze fondamentali nelle opinioni religiose deidoenmeh e delle altre sette che credevano in Shabbetai Zevi. Nella loroletteratura, a quanto si sa, non vi sono accenni alla loro appartenenzaall'Islamismo. La loro pretesa di essere la vera comunità ebraica nondifferisce molto dalle affermazioni dei primi cristiani e della Chiesacristiana. Essi conservarono la loro fede in Shabbetai Zevi, che avevaabrogato i comandamenti pratici della Torah materiale e l'aveva sostituita con

"la Torah spirituale" del mondo superiore. Il principio della divinità dihabbetai Zevi fu sviluppato con fermezza e accettato dalla setta, come pure lanatura trina delle forze superiori dell'emanazione, chiamate telat kishreide-meheimanuta ("i tre nodi della fede"). Oltre all'abrogazione deicomandamenti pratici e al mistico credo trinitario, un fattore in particolaresuscitò grande opposizione tra i loro contemporanei: l'evidente inclinazione apermettere matrimoni halakhicamente proibiti e a svolgere cerimonie religioseche comportavano lo scambio delle mogli e che quindi rendevano bastarda laprole secondo la legge ebraica. Le accuse di licenziosità sessuale vennerofomulate fin dall'inizio del XVIII secolo, e sebbene molti abbiano cercato disminuire l'importanza, non vi è dubbio che per molte generazioni esistette lapromiscuità sessuale. Il lungo sermone di Judah Levi Tovah (pubblicato da I.R.Molco e R. Schatz, in Sefunot, 3-4 (1960), 395-521) comprende un ardente

difesa dell'abrogazione delle proibizioni sessuali contenute nella materiale"Torah della Creazione". Cerimonie orgiastiche, in effetti, si svolgevanodurante la festività doenmeh Hag ha-Keves ("Festa dell'Agnello") che cadeva il22 di Adar ed era riconosciuta come celebrazione dell'inizio della primavera.Inoltre, essi celebravano altre festività connesse alla vita di Shabbetai Zevie a particolari eventi associati alla loro apostasia. Non si astenevano dallavoro nelle giornate festive, per non suscitare la curiosità degli estranei,e si accontentavano di riti alla vigilia delle festività. La liturgia doenmehper il 9 di Av, il genetliaco di Shabbetai Zevi, chiamata Hag ha-Samahot("Festa della Letizia"), esiste in ebraico e contiene un adattamento shabbateodi alcune delle preghiere del Giorno Santo, con l'aggiunta di una solenne

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proclamazione del credo shabbateo, consistente di otto paragrafi (KS, 18(1947), 309-10).

9ESCATOLOGIA

Introduzione

A parte le idee fondamentali relative alla ricompensa e alla punizione, lavita dopo la morte, il Messia, la redenzione e la resurrezione, non esistequasi una credenza comune tra gli ebrei che riguardi i dettagli escatologici.Questa lacuna offriva un'ovvia occasione per il libero giocodell'immaginazione, della superstizione e dell'ispirazione visionaria, equindi divenne il campo in cui i cabalisti lasciarono il segno: infatti essitrattarono estensivamente tali concetti. È comprensibile che, con una simileampiezza di possibilità, non potessero mai pervenire a una decisioneaccettabile per tutti; e si svilupparono così varie tendenze. Dagli inizipiuttosto semplici, l'insegnamento escatologico si sviluppò nello Zohar enelle opere cabalistiche che lo seguirono, ed ebbe molte ramificazioni.

La vita dopo la morte

Di grande importanza sono qui le concezioni di Nahmanides, espresse in Sha'arha-Gemul, dello Zohar e della scuola lurianica, così come sono cristallizzatenel grande sommario di Aaron Berechiah b. Moses di Modena Ma'avar Yabóok(Mantova, 1623). In generale esse sottolineano, dopo i tempi di Nahmanides, ifati diversi delle tre parti dell'anima, che alla morte si separano l'unadalle altre. Il nefesh (la parte inferiore) rimane accanto alla tomba, esubisce le punizioni per le trasgressioni, dopo il primo giudizio che vienechiamato hibbut ha-kever ("punizione della tomba") o din ha-kever ( 'giudiziodella tomba"). Anche la ru'ah è punita per i suoi peccati, ma dopo 12 mesientra nel terreno Giardino dell'Eden, o "il Giardino dell'Eden quaggiù". La

neshamah ritorna alla sua fonte nel "Giardino dell'Eden lassù", perché,secondo lo Zohar, la neshamah non può peccare, e la punizione ricade solo sulnefesh e sulla ru'ah (sebbene nella Cabala dei primi tempi esistano altreopinioni). In certi casi le nefashot ascendono alla categoria delle ruhot, ele ruhot a quella delle neshamot. Lo zeror ha-hayyim ("il legame della vita")in cui sono immagazzinate le neshamot è interpretato in vari modi. È l'Edenocculto, preparato per la delizia delle neshamot; è il "tesoro" dietro iltrono di gloria in cui le neshamot rimangono fino alla resurrezione; oppure èuna delle sefirot, o addirittura la loro totalità, in cui si raccoglie laneshamah quando è in comune con Dio. Vi sono numerosissime descrizioni, nellaletteratura cabalistica, dei dettagli e dei vari gradi di punizione nelledimore di gehinnom e di piacere nel Giardino dell'Eden. Tali descrizionitrattano il problema di come le ruhot e le neshamot possano avere esperienze

senza avere facoltà fisiche; quale tipo di indumenti portavano le ruhot e ilmetodo della loro sopravvivenza. Secondo alcuni, l'indumento delle ruhot eraintessuto dei comandamenti e delle buone azioni, ed era chiamato halukade-rabbanan ("la veste dei rabbini''). Nahmanides chiamò olam ha-neshamot ("ilmondo delle anime") il regno della letizia dopo la morte, e lo distinseassolutamente dall'olam ha-ba ("il mondo a venire") che sarebbe venuto dopo laresurrezione. Questa distinzione era generalmente accettata dalla Cabala. Nel"mondo delle anime", le neshamot non sono incorporate nel Divino, maconservano la loro esistenza individuale. L'idea della punizione in Gehinnom(che era immaginato come un sottile fuoco spirituale che bruciava e purificavale anime) contrastava con l'idea dell'espiazione tramite la trasmigrazione

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(vedasi a p. 345, Gilgul). Non vi era un'opinione fissa circa la questione deipeccati che venivano puniti con il Gehinnom e di quelli che venivano puniticon la trasmigrazione. Si può dire soltanto che con l'evoluzione della Cabalala trasmigrazione assunse un ruolo sempre più importante in questo contesto.Tanto il Giardino dell'Eden quanto il Gehinnom erano al di là di questo mondo,o ai suoi confini, mentre la teoria della trasmigrazione assicurava ricompensae punizione, in larga misura, in questo mondo. Vari cabalisti cercaronocompromessi tra queste due strade, ma non pervennero a una soluzione accettata

da tutti. Furono compiuti inoltre tentativi di rimuovere l'intero tema delCehinnom dal senso letterale e di interpretarlo secondo le concezioni diMaimonide, oppure metaforicamente, come riferimento alla trasmigrazione.L'escatologia della Cabala, in particolare quella dello Zohar fu grandementeinfluenzata dall'idea della preesistenza delle anime. L'esistenza dell'animanel "mondo delle anime" non è altro che il suo ritorno all'esistenzaoriginale, prima della discesa nel corpo.

Il Messia e la redenzione

Il Messia riceve una speciale emanazione della Sefirah Malkhut ("regno`'),l'ultima delle Sefirot. Tuttavia, non vi è traccia del concetto della divinitàdel Messia. L'immagine del Messia personale è pallida e sbiadita e nonaggiunge molto alle descrizioni nei Midrashim della redenzione che furonocomposti prima dello sviluppo della Cabala. Nello Zohar vi sono pochi elementinuovi. Secondo lo Zohar, il Messia dimora nel Giardino dell`Eden in unospeciale palazzo chiamato kan zippor ("il nido dell'uccello"), e si riveleràprima nella Galilea superiore. Alcuni ritenevano che l'anima del Messia nonavesse subìto la trasmigrazione, ma fosse "nuova", mentre altri sostenevanoche era l'anima di Adamo, precedentemente trasmigrata in re Davide. Le letteredi Adam (alef, dalet, mem) si riferiscono ad Adam, David e Messia, secondo unnotarikon della fine del XIII secolo. Qui, forse, vi è qualche influenzacristiana perché, secondo Paolo, Adamo, il primo uomo, corrisponde a Gesù,"l'ultimo uomo" (Rom. 5: 17). Le descrizioni della redenzione, nello Zohar,seguono le orme dei Midrashim con 1'aggiunta di alcuni punti e certicambiamenti del tema. La redenzione sarà un miracolo, e tutto ciò che1'accompagna è miracoloso (le stelle che scintillano e cadono, le guerre alla

fine del tempo, la caduta del papa, che nello Zohar è chiamato simbolicamente"il sacerdote di On"). L'idea del travaglio della redenzione è posta in granderisalto, e la condizione di Israele alla vigilia della redenzione è descrittain termini che rispecchiano le condizioni storiche del XIII secolo. Ledescrizioni della redenzione divennero più numerose nei tempi di crisi,soprattutto dopo l'espulsione della Spagna. Tuttavia, nella Cabala successiva(Moses Cordovero e Isaac Luria), la loro importanza declinò. D'altra parte,venne sottolineata la base mistica della redenzione, la base che si sviluppòdal tempo di Nahmanides e della sua scuola e che era incentrata sullaconcezione midrashica che la redenzione sarebbe stata un ritorno allaperfezione contaminata dal peccato di Adamo e d'Eva. Non sarebbe stataqualcosa d'interamente nuovo, bensì una restaurazione o rinnovamento. Lacreazione, al tempo della redenzione, avrebbe assunto la forma che era stata

destinata fin dall'inizio dalla Mente Divina. Solo con la redenzione visarebbe stata una rivelazione della natura originale della Creazione, oscuratao menomata in questo mondo. Di qui, il carattere estremamente utopistico diqueste idee. Nel regno divino, lo stato di redenzione è espresso come la finedell'"esilio della Shekhinah", la restaurazione della divina unità in tutte learee dell'esistenza. ("In quel giorno il Signore sarà Uno, e Uno il Suo nome":di qui la concezione che la vera unità di Dio sarà rivelata solo nel tempo avenire, mentre durante gli anni dell'esilio è come se il peccato avesse resoimperfetta la Sua unità.) Al tempo della redenzione vi sarà una continuaunione di re e regine, o delle sefirot Tiferet e Shekhinah; vale a dire che visarà una corrente incessante dell'influsso divino attraverso i mondi, e questo

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li legherà insieme eternamente. I segreti occulti della Torah verrannorivelati, e la Cabala sarà il senso letterale della Torah. L'era messianicadurerà approssimativamente mille anni: molti, tuttavia, ritenevano che non sisarebbe trattato di anni umani perché i pianeti e le stelle si sarebbero mossipiù lentamente, e il tempo si sarebbe prolungato (questa concezione eradiffusa soprattutto nella cerchia del Sefer ha-Temunah, e ha origine nei libriapocrifi). Appare evidente, sulla base di queste teorie, che i cabalistiritenevano che l'ordine naturale sarebbe cambiato nell'era messianica

(diversamente dalla concezione di Maimonide). In quanto al problema se laredenzione sarebbe stata un miracolo oppure il risultato logico di un processogià immanente, le opinioni dei cabalisti erano divise. Dopo l'espulsione dallaSpagna prevalse gradualmente la convinzione che l'apparizione del Messiasarebbe stata un evento simbolico. La redenzione dipendeva dalle azioni diIsraele, e dall'adempimento del suo destino storico. L'avvento del redentoreavrebbe testimoniato il compimento della "restaurazione", ma non l'avrebbecausata .

La resurrezione alla fine del mondo

La Cabala non getta il minimo dubbio sulla redenzione fisica dei morti, cheavverrà alla fine dei giorni della redenzione, "il grande giorno delgiudizio". Le nuove esposizioni dei cabalisti vertevano intorno alla questionedel fato di coloro che dovevano risorgere. Nahmanides insegnava che dopo unavita fisica normale il corpo risorto sarebbe stato purificato e rivestito dimalakhut ("gli indumenti degli angeli"), e sarebbe quindi passato nel futuromondo spirituale, che sarebbe stato posto in essere dopo la distruzione delmondo; e questo mondo nuovo sarebbe apparso dopo la resurrezione. Nel mondo avenire le anime e i loro corpi "spiritualizzati" si sarebbero raccolti neiranghi delle sefirot, nel vero "legame di vita". Secondo Nahmanides le anime,anche in questo stato, avrebbero conservato l'identità individuale. Ma inseguito emersero altre concezioni. L'autore dello Zohar parla di "corpisanti", dopo la resurrezione, ma non espone la sua specifica concezione delloro futuro se non per allusioni. Una opinione molto diffusa identifica il

mondo a venire con la Sefirah Binah e le sue manifestazioni. Dopo la vita dibeatitudine vissuta dai risorti, questo mondo sarebbe stato distrutto, ealcuni affermano che sarebbe ritornato al caos ("desolazione e vuoto") peressere ricreato in una forma nuova. Forse il mondo a venire sarebbe stato lacreazione di un altro anello della catena di "creazioni" o shemittot("sabbatiche", secondo l'autore del Sefer ha-Temunah) o addirittura lacreazione di un'esistenza spirituale attraverso la quale tutte le coseesistenti ascendono per raggiungere il mondo delle Sefirot, e ritornano alloro essere primevo, o "fonte superiore". Nel "Grande Giubileo", dopo 50.000anni, tutto ritornerà nel seno della Sefirah Binah, che è chiamata anche"madre del mondo". Anche le altre Sefirot, per mezzo delle quali Dio guida lacreazione, verranno distrutte con la distruzione del creato. La contraddizionedei due giudizi sul fato dell'uomo, uno dopo la morte e l'altro dopo la

resurrezione, e uno dei quali appare superfluo indusse alcuni cabalisti alimitare il grande Giorno del Giudizio alle nazioni del mondo, mentre le animedi Israele, secondo loro, sarebbero state giudicate immediatamente dopo lamorte.

10.

GEMATRIA

Gematria è una delle regole ermeneutiche aggadiche per interpretare la Torah

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(in Baraita delle 32 regole, n. 29). Consiste nello spiegare una parola o ungruppo di parole secondo il valore numerico delle lettere o di sostituirvialtre lettere dell'alfabeto secondo un sistema fisso. Sebbene il termine siaimpiegato normalmente in questo senso di "manipolare secondo il valorenumerico", qualche volta ha il significato di "calcoli" (Avot 3:18). Lo stessoavviene dove la lezione nelle edizioni attuali del Talmud è che Johann b.Zakkai conosceva "le rivoluzioni celesti e le gematriot"; in una fonteparallela la lezione è "le rivoluzioni celesti e i calcoli" (Suk. 28a; BB

134a; Ch. Albeck, Shishah Sidrei Mishnah 4 (1959), 497).L'uso delle lettere per significare i numeri era noto ai babilonesi e aigreci. Il primo uso di gematria ricorre in un'iscrizione di Sargon II (727-707a.E.C.) dove si afferma che il re costruì il muro di Khorsabad lungo 16.283cubiti in corrispondenza con il valore numerico del suo nome. L'uso dellagematria era diffuso nella letteratura dei magi e tra gli interpreti dei sogninel mondo ellenistico. Gli gnostici equiparavano i due nomi sacri Abraza eMithras in base all'equivalente valore numerico delle loro lettere (365,corrispondenti ai giorni dell'anno solare). Il suo uso fu apparentementeintrodotto in Israele all'epoca del Secondo Tempio, persino nel Tempio stesso:per indicare i numeri venivano usate le lettere greche (Shek. 3:2).Nella letteratura rabbinica la gematria numerica appare per la prima volta inaffermazioni dei tannaim del II secolo. È usata come evidenza a conferma ecome mezzo mnemonico da R. Nathan. Egli afferma che la frase Elleh hadevarim("Queste sono le parole") in Esodo 36:1 allude alle 39 categorie di lavoriproibiti il Sabbath, poiché il plurale devarim indica due, l'articolo neindica un terzo, mentre l'equivalente numerico di elleh è 36, il che dà untotale di 39 (Shab. 70a). R. Judah dedusse dal versetto "Dagli uccelli deicieli alle bestie della terra, tutti sono fuggiti" (Gen. 9:9), che per 52 anninessun viaggiatore passò attraverso la Giudea, perché il valore numerico dibehemah ("bestia") è 52. Il Baraita delle 32 regole cita come esempio digematria l'interpretazione che i 318 uomini cui si accenna in Genesi 14:14erano in realtà il solo Eliezer, il servitore di Abramo, poiché il valorenumerico del suo nome è 318. Questa interpretazione, che ricorre anche altrove(Ned. 32a; (Gen. R. 43:2) a nome di Bar Kappara, può essere anche una rispostaall interpretazione cristiana nell'epistola di Barnaba che vuole trovare nellelettere greche, il cui valore numerico è 318, un riferimento alla croce e alle

prime due lettere del nome di Gesù, per il cui tramite Abramo conseguì la suavittoria: l'omelista ebreo usò lo stesso metodo per confutarel'interpretazione cristiana.La forma di gematria che consiste nel cambiare le lettere dell'alfabetosecondo l'atbash, cioè l'ultima lettera viene sostituita alla prima lapenultima alla seconda, eccetera, ricorre già nella scrittura: Sheshach (Ger.51:1) corrisponde a Bavel ("Babilonia"). La Baraita delle 32 regole attiral'attenzione su un secondo esempio: lev kamai (Ger. 51:1) è identico, secondoquesto sistema, a Kasdim ("caldei"). Un'altra gematria alfabetica si forma conil sistema atbah, ed è chiamato "l'alfabeto di Hiyya" (Suk.52b). Rav,l'allievo di Hiyya, spiegò che Belshazzar e i suoi uomini non seppero leggerela scritta enigmatica perché questa era in gematria, cioè secondo il sistemaatbah Sanh. 22a; cfr. Shab. 104a).

La gematria ha scarso significato nella halakhah. Dove ricorre, è un accenno ouna chiave mnemonica. La regola che, quando un uomo pronuncia i voti dinazireo per un periodo imprecisato, lo si considera per 30 giorni, è derivatadalla parola yihiyeh ("egli sarà") in Numeri 6:5, il cui valore numerico è 30(Naz.5a). Anche nell'aggadah, almeno tra i primi amoraim, la gematria nonviene come fonte di idee ed omelie ma semplicemente per esprimerle nella formapiù concisa. Le affermazioni che Noè fu liberato non per cui stesso bensì perMosè (Gen. R. 26:6), che Rebecca ebbe il merito di aver generato 1:2 tribù(ibid. 63:6) e che la scala di Giacobbe simboleggia la rivelazione del Sinai(ibid. 68:12), non dipendono dalle gematriot date qui. Tali omelie derivano daaltre considerazioni ed è certo che precedettero le gematriot.

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Le gematriot, tuttavia, occupano un posto importante nei Midrashim, il cuiscopo principale è l'interpretazione delle lettere, come il Midrash Haserotvi-Yterot, e anche nei tardi Midrashim aggadici (particolarmente in quelli icui autori si servirono dell'opera di Moses b. Isaac ha-Darshan) come Rabbahdei Numeri (in Midrash Aggadah, pubblicato da S. Buber, 1894) e GenesisRabbati (pubblicato da H. Albeck, 1940; vedasi introduzione, 11-20). Rashiinoltre, cita le gematriot "che furono stabilite da Moses ha-Darshan" (Num.7:18) e alcune delle gematriot date da lui provengono da questa fonte, anche

se non la menziona esplicitamente (Gen. 32:5, ad esempio "Ho soggiornato conLabano", il valore di gematria di "ho soggiornato'` è 613, cioè "hosoggiornato con il malvagio Labano ma ho osservato i 61 precetti" èl'interpretazione di Moses ha-Darshan, Genesis Rabbati, 145). Joseph BekhorShor, uno dei grandi esegeti francesi della Torah, fece uso estensivo digematriot, e quasi tutti i tosafisti lo seguirono in questo nei loro commentialla Torah (S. Poznanski, Mavo al Hakhmei Zerefat Mefareshei ha-Mikra, 73).Moltissime gematriot ricorrono in Ra'ne'ah Raza, il commento di Isaac b. Judahha-Levi (fine del XIII secolo) e nel Ba'al ha-Turim, il commento biblico diJacob b. Asher. Le dottrine esoteriche dei Hasidei Ashkenaz portaronoall'introduzione delle gematriot nella halakhah. Nel suo Ha-Roke'ah, Eleazardi Worms usa gematriot per trovare molte allusioni e conferme per le leggi e icostumi esistenti; con lui a volte la gematria abbraccia intere frasi. Cosìegli stabilisce per gematria da Esodo 23:15 che il lavoro che può essererimandato a dopo la festività non può essere compiuto durante i giorniintermedi (Ha-Roke'ah, n. 307). Le gematriot dei Hasidei Ashkenaz occupano unposto importante nei loro commenti sulla liturgia e i piyyutim. Abraham b.Azriel incorporò gli insegnamenti di Judah he-Hasid e di Eleazar di Worms nelsuo Arugat ha-Bosem, e seguì la loro stessa strada. Queste gematriot, cheerano parte della Cabala dei Hasidei Ashkenaz, stabilirono il testo definitivodelle preghiere che finì per essere considerato sacrosanto. Alcune autoritàproibirono di cambiarlo anche quando il testo non si conformava alle regolegrammaticali.

Nella Cabala

É possibile che le tradizioni delle gematriot di Nomi Sacri e angelicirisalgano a una data precedente: tuttavia furono raccolte ed elaborate solonel periodo di cui si parla più sopra. Anche tra i mistici, in generale lagematria non è un sistema per la scoperta di pensieri nuovi: quasi semprel'idea precede l'invenzione della gematria, che serve come "asmakhtaallusiva". Un'eccezione è la gematria sui Nomi Sacri, che sonoincomprensibili, oppure quella sui nomi degli angeli. il cui significato easpetto i hasidim tedeschi cercarono di stabilire per mezzo della gematriaSpesso la gematria serviva come chiave mnemonica. Le opere classiche dellagematria, in questa cerchia, sono gli scritti di Eleazar di Worms, le cuigematriot sono basate - almeno parzialmente - sulle tradizioni dei suoimaestri. Eleazar scoprì tramite la gematria le meditazioni mistiche sulle

preghiere, che possono venire evocate durante la ripetizione delle parole. Isuoi commenti ai libri della Bibbia sono basati in gran parte su questosistema, inclusi alcuni che collegano le leggende midrashiche a parole deiversetti biblici tramite lagematria, e alcuni che rivelano i misteri del mondodella Merkabah ("il carro fiammeggiante") e gli angeli, nello stesso modo. Inquesta interpretazione la gematria di interi versetti biblici o parti diversetti occupa un posto più importante della gematria basata sul conto disingole parole. Per esempio, il valore numerico della somma delle letteredell'intero versetto "Io sono disceso nell'orto dei noci" (Cantico 6:11), ingematria è equivalente al versetto: "Questa è la profondità del carro"(merkavah). Parecchie opere d'interpretazione per mezzo della gematria,

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scritta dai discepoli di Eleazar di Worms, sono conservate in manoscritto.All'inizio della Cabala spagnola, la gematria occupava un posto moltolimitato. I discepoli di Abraham b. Isaac di Narbona e i cabalisti di Geronaquasi non la usavano, e la sua influenza non fu considerevole sulla parteprincipale dello Zohar e sugli scritti in ebraico di Moses b. Shem Tov deLeon. Solo le correnti influenzate dalla tradizione dei Hasidei Ashkenazportarono la gematria nella letteratura cabalistica della seconda metà delXIII secolo, soprattutto nell'opera di Jacob b. ha-Kohen e di Abraham Abulafia

e dei loro discepoli. Le opere di Abulafia sono basate sull'uso esteso edestremo della gematria. I suoi libri richiedono una decifrazione, prima chesia possibile comprendere tutte le associazioni delle gematriot in essicontenute. Egli raccomandava il sistema di sviluppare l'associazione nellagematria per scoprire verità nuove, e questi metodi furono perfezionati daisuoi successori. Un discepolo di Abulafia, Joseph Gikatilla, usòestensivamente la gematria come uno dei fondamenti della Cabala in Ginnat Egoz(Hanau, 1615; le lettere gimmel, nun, tav di Ginnat sono le iniziali digematria, notarikon e temurah, l'interscambio delle lettere secondo certeregole sistematiche). Quest'opera ebbe un'influenza visibile sulla più tardaletteratura dello Zohar, Ra'aya Meheimna e Tikkunei Zohar.Emersero due scuole, con l'evolversi della Cabala: una era formata da coloroche prediligevano la gematria, l'altra da coloro che l'usavano meno difrequente. In generale, si può affermare che le idee nuove si svilupparonosempre al di fuori del regno della gematria: tuttavia, vi furono semprestudiosi che trovarono prove e ampie connessioni attraverso la gematria eindubbiamente attribuirono alle loro scoperte un valore positivo, superiore aquello di una semplice allusione. Moses Cordovero presentò un intero sistemasenza ricorrere alla gematria, e spiegò temi della gematria solo verso la finedella sua opera fondamentale sulla Cabala (Pardes Rimmonim). Una ripresadell'uso della gematria si trova nella Cabala lurianica, ma è più diffusonelle opere cabalistiche di Israel Sarug e dei suoi discepoli (soprattuttoMenahem Azariah di Fano e Naphtali Bacharach, autore di Emek ha-Melekh) chenelle opere di Isaac Luria e di Hayyim Vital. L'opera classica che usa lagematria come un mezzo di pensiero e uno sviluppo delle idee commentativenella Cabala del XVII secolo è Megalleh Amukot di Nathan Nata b. SolomonSpira, che servì come modello a un intera letteratura, specialmente in

Polonia. Dapprima fu pubblicata solo la parte su Deut. 3:23 segg. (Cracovia,1637), che spiega questi passi in 252 modi diversi. ll suo commento all'interoTorah (chiamato anch'esso Megalleh Amukot) fu pubblicato a Lemberg - nel 1795.Apparentemente Nathan possedeva un grande senso dei numeri, che trovòespressione in complesse strutture di gematria (J. Ginsburg, in Ha-Tefukah 25(1929), 448-97). Nella letteratura cabalistica successiva (nel XVIII e nel XIXsecolo) l'importanza dei metodi del commento per mezzo della gematria è bennota, e furono scritte molte opere il cui contenuto principale è gematria, adesempio. Tiferet Yisrael di Israel Harif di Satanov (Lemberg, 1865), BeritKehunnat Olam di Isaac Eisik ha-Kohen e tutte le opere di Abraham b. JehielMichal ha-Kohen di Lask (tardo XVIII secolo).Nel movimento shabbateo, le gematriot occuparono un posto di considerevoleeminenza, quali prove del messianismo di Shabbetai Zevi. Abraham Yakhini

scrisse una grande opera di gematriot shabbatee su un versetto della Torah(Vauei ha-Ammudim, manoscritto di Oxford) e l'opera principale del profetashabbateo Heshel Zoref di Vilna e Cracovia, Sefer haZoref, è basatainteramente su un'elaborazione di gematriot intorno al versetto Shema Yixrael("Ascolta, o Israele", Deut. 6:4). Nella letteratura hasidica la gematriaapparve all'inizio solo come sottoprodotto, ma più tardi vi furono parecchirabbini hasidici, la maggior parte delle cui opere è gematria, ad esempio Igrade Khallah di Zevi Elimelekh Shapira di Dynow (1868), Magen Auraham di Abrahamil Maggid di Turisk (1886) e Sefer Imret No'am di Meir Horowitz di Dzikov(1877). Nella letteratura del Giudaismo orientale e nordafricano a partire dal1700 la gematria ha avuto un ruolo considerevole.

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I sistemi di gematria si complicarono con l'andar del tempo. Oltre al valorenumerico di una parola, vennero usati diversi metodi di gematria. Nelmanoscritto di Oxford 1822, f. 141-46, uno speciale trattato elenca 72 formediverse di gematriot. Moses Cordovero (Pardes Rimmorlim, parte 30, cap. 8)elenca nove tipi diversi di gematriot. I più importanti sono:1) Il valore numerico di una parola (eguale alla somma del valore numerico ditutte le sue lettere) è eguale a quello di un'altra parola (ad esempio(gevurah) = 216 = (aryeh).

2) Un "numero piccolo" che non tiene conto delle decine e delle centinaia (4 =0; 2 = 0).3) Il numero al quadrato in cui le lettere della parola sono calcolate secondoil quadrato del loro valore numerico. Il Tetragrammaton, 102 - + 52 + 62 + 52= 186 = ("Luogo"), un altro nome per Dio.4) La somma del valore di tutte le lettere precedenti in una serie aritmetica((dalet) = 1 + 2 + 3 + 4 = 10). Questo tipo di calcolo è importante nellagematria complessa, che arriva alle migliaia.5) Il "riempimento" (ebraico millui); il valore numerico di ogni lettera nonviene calcolato, e invece vengono calcolati i valori numerici di tutte lelettere che formano il nome della lettera. Le lettere hanno "riempimenti"diversi; millui de-alfin "riempimento con alef"), millui de-he'in("riempimento con he") o millui deyudin ("riempimento con yod),rispettivamente. Sono importanti nella Cabala per quanto riguarda il valorenumerico del Nome di Dio, il tragrammaton che varia secondo i quattro diversi"riempimenti", (= 45, in gematria) (Adam), simboleggiante il Nome di Dio di 45lettere); (= 52, in gematria, rappresentante il Nome Sacro di 52 lettere); (=63, in gematria, il Nome di 63 lettere); (72, in gematria, il Nome di 72lettere, coesistente con un "Nome di 72 Nomi" tratto dai tre versetti Esodo14:19-21, ognuno dei quali contiene 72 lettere.Altri calcoli della gematria comportano un "riempimento" del "riempimento" oun secondo "riempimento". La, gematria della parola è chiamata ikkar oshoresh, mentre il resto della parola (i "riempimenti") è chiamato ne'elam("parte nascosta"). Il ne'elam della lettera è = 10; il ne'elam = 500.6) \/i è anche un "numero grande" che conta le lettere finali dell'alfabetocome una continuazione dell'alfabeto, stesso (500 = 600 = 700 = 800 = 900).Tuttavia, vi è un calcolo secondo l'ordine normale di questo alfabeto grazie

al quale i valori numerici delle lettere finali sono i seguenti: = 500; = 600;= 700, eccetera.7) L'addizione del numero delle lettere nella parola al valore numerico dellaparola stessa, oppure l'addizione del numero "uno" al valore numerico totaledella parola.La critica dell'uso della gematria quale mezzo giustificato di commento fuespressa per la prima volta da Abraham ibn Ezra (nel suo commento su Gen.14:14) e più tardi dagli avversari della Cabala (in Ari Nohem, cap. 10). Maanche molti cabalisti mettevano in guardia contro l'uso esagerato dellagematria. Nahmanides, d'altra parte, cercò di limitare l'uso arbitrario dellegematria stabilì una regola secondo la quale "nessuno può calcolare unagematria per dedurre da essa qualcosa che gli viene in mente. I nostrirabbini, i saggi santi del Talmud, avevano una tradizione, secondo la quale le

gematriot furono trasmesse a Mosè come chiavi mnemoniche per qualcosa che erastato tramandato oralmente con il resto della Legge Orale... come fu lagezerah shauatl, di cui essi dicevano che nessun uomo può stabilire da sé unagezerah shavah" (Sefer ha-Ge'ullah, a cura di J.M. Aronson (1959), Shu'ar 4;vedasi il suo commento a Deut. 4:25). Joseph Solomon Delmedigo parla di falsegematriot per abolire il valore del sistema. Quando i credenti di ShabbetaiZevi incominciarono ad applicare largamente le gematriot al suo nome e il"riempimento" del nome di Dio Shaddai (entrambi eguali a 814), coloro che locontestavano usarono gematriot ironiche (ru'ah sheker = ("falso spirito") =814). Nonostante questo, l'uso della gematria era diffuso in molti ambienti etra i predicatori, non soltanto in Polonia ma anche tra i sefarditi.

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11GILGUL

Gilgul è il termine ebraico per "trasmigrazione delle anime", "reincarnazione"o "metempsicosi". Non vi è la prova definitiva dell'esistenza della dottrinadel gilgul nel Giudaismo durante il periodo del Secondo Tempio. Nel Talmud non

vi è alcun riferimento ad essa (anche se, mediante interpretazioniallegoriche, autori più tardi trovarono allusioni e accenni allatrasmigrazione nelle affermazioni dei rabbini talmudici.) Alcuni studiosiinterpretano le parole di Giuseppe in Antichità giudaiche 18:1,3 e in Guerregiudaiche 2:8, 14, sui corpi santi meritati dai giusti, secondo le convinzionidei farisei, come un'indicazione della dottrina della metempsicosi e non dellaresurrezione dei morti, come ritiene la maggioranza. Nel periodo posttalmudicoAnan b. David, il fondatore del Karaismo, sostenne questa dottrina, e inalcuna delle sue affermazioni ci sono un'eco e una continuazione delle antichetradizioni settarie. La dottrina della trasmigrazione prevalse dal II secoloin poi presso alcune sette gnostiche e specialmente tra i manichei, e vennesostenuta in parecchi ambienti della Chiesa cristiana (forse addirittura daOrigene). Non è impossibile che questa dottrina divenisse corrente in alcunicircoli giudaici, che potrebbero averla ricevuta dalle filosofe indianeattraverso il manicheismo, oppure da insegnamenti platonici, neoplatonici omagari orfici.Gli argomenti di Anan a favore del gilgul, che non vennero accettati daikaraiti, furono confutati da Kirkisani (X secolo) in uno speciale capitolo delsuo "Libro delle luci", pubblicato per la prima volta da Poznanski; uno deipunti principali era la morte dei bambini innocenti. Alcuni ebrei, seguendo lasetta islamica dei Mu'tazila e attratti dai suoi principi filosofici,accettarono la dottrina della trasmigrazione. I principali filosofi ebrei delMedioevo respinsero questa dottrina (Saadiah Gaon, n libro delle fedi e delleopinioni, trattato 6, cap. 7; Abraham ibn Daud, Emunah Ramah, trattato 1, cap.7; Joseph Albo, Ikkarim, trattato 4, cap. 29). Abraham b. Hiyya cita ladottrina da fonti neoplatoniche, ma la respinge (Meditazione dell'animatriste, 46-47;

Megillat ha-Megalleh, 50-51) . Judah Halevi e Maimonide non ménzionano ladottrina, e Abraham b. Moses b. Maimon, che vi fa riferimento, la rifiutacompletamente.

I primi tempi della Cabala

In contrasto con la cospicua opposizione della filosofia ebraica, latrasmigrazione viene data per scontata nella Cabala sin dalla sua primaespressione letteraria nel Sefer ha-Bahir (tardo XII secolo; vedasi p.312).L'assenza di una speciale apologia di questa dottrina, che è esposta nel Bahirin diverse parabole, dimostra che l'idea crebbe o si sviluppò nei circoli dei

primi cabalisti senza alcuna affinità con la discussione filosofica dellatrasmigrazione. Versetti biblici (ad esempio "Una generazione passa, e vieneun'altra generazione" (Eccles. 1 :4), intesa nel senso che la generazione chepassa è quella che viene) e aggadot e parabole talmudiche erano spiegate intermini di trasmigrazione. Non è chiaro se vi fosse qualche nesso tral'apparizione della dottrina della metempsicosi nei circoli cabalistici dellaFrancia meridionale e la sua apparizione tra i catari contemporanei, chevivevano nella stessa area. In verità questi ultimi, come moltissimi credentinella trasmigrazione, insegnavano che l'anima si trasferisce anche ai corpi dianimali, mentre nel Bahir è menzionata solo in relazione ai corpi degliuomini.

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Dopo il Bahir, la dottrina del gilgul si sviluppò in diverse direzioni edivenne una delle più importanti della Cabala, sebbene i cabalisti assumesseroposizioni molto varie nei confronti dei dettagli. Nel secolo XIII latrasmigrazione era considerata una dottrina esoterica, alla quale si alludevaappena; ma nel XIV secolo apparvero molti scritti dettagliati ed esplicitisull'argomento. Nella letteratura filosofica il termine ha'atakah("trasferimento") veniva generalmente usato per gilgul, nella letteraturacabalistica, il termine gilgul compare soltanto a partire dal Sefer haTemunah;

in entrambi i casi, si tratta di traduzioni del termine arabo tanasukh I primicabalisti, come i discepoli di Isaac il Cieco e i cabalisti di Gerona,parlavano del "segreto dell'ibbur" ("impregnazione"). Solo nel tardo XIIIsecolo, o nel XIV, gilgul e ibbur furono differenziati. Ricorrono anche itermini hithallefut ("scambio") e din benei halof (da Prov. 31:8). Dal periododello Zohar in poi, dove è usato liberamente, il termine gilgul divieneprevalente nella letteratura ebraica e incomincia ad apparire anche nelleopere filosofiche.Molti versetti biblici e comandamenti vennero interpretati in termini digilgul. Le prime sette verso le quali era in debito Anan vedevano-le leggi delmacello rituale (shehitah) come prova biblica della trasmigrazione in armoniacon la loro credenza nella trasmigrazione negli animali. Per i cabalisti, ilpunto di partenza e la prova del gilgul era il comandamento del matrimonio dellevirato; il fratello del morto senza figli sostituisce il marito morto, alfine di meritare figli nel suo secondo gilgul. Più tardi, anche altre mizvotfurono interpretate sulla base della trasmigrazione. Tale credenza servì anchecon le giustificazione razionale per l'apparente assenza di giustizia nelmondo e come soluzione del problema delle sofferenze dei giusti e dellaprosperità dei malvagi; il giusto, ad esempio, viene punito per i suoi peccatiin un precedente gilgul. L'intero Libro di Giobbe e la soluzione del misterodella sua sofferenza, specialmente come viene esposta nelle parole di Elihu,furono interpretati in termini di trasmigrazione (ad esempio, nel commento diNah manides su Giobbe, e in tutta la successiva letteratura cabalistica).Moltissimi tra i primi cabalisti (fino all'autore dello Zohar incluso) nonconsideravano la trasmigrazione come una legge universale, governante tutte lecreature (come avviene nelle credenze indiane) e neppure governante tutti gliesseri umani; la vedevano piuttosto connessa essenzialmente a colpe contro la

procreazione e le trasgressioni sessuali. La trasmigrazione è vista come unadurissima punizione per l'anima che deve subirla. Nel contempo, tuttavia, èun'espressione della misericordia del Creatore, "che non getta via nessuno persempre"; offre un'occasione di riscatto anche per coloro che dovrebbero esserepuniti con l'"estinzione dell'anima" (karet). Mentre alcuni ponevano piùparticolarmente in risalto l'aspetto della giustizia nella trasmigrazione, ealtri quello della misericordia, il suo scopo singolare era sempre lapurificazione dell'anima e la possibilità, in una nuova prova, di migliorarele sue azioni. La morte degli infanti è uno dei modi in cui vengono punite letrasgressioni precedenti.Nel Bahir si afferma che la trasmigrazione può continuare per millegenerazioni; ma l'opinione più diffusa tra i cabalisti spagnoli era che perespiare i suoi peccati, l'anima trasmigra altre tre volte prima di entrare nel

corpo originale (secondo Giobbe 3:29: "Ecco, Dio fa tutte queste cose, due,tre volte con un uomo"). Tuttavia, i giusti trasmigrano indefinitamente per ilbene dell'universo, non per il loro bene. Come su tutti i punti di questadottrina, esistono opinioni contrastanti anche nella letteratura cabalistica;i giusti trasmigrano tre volte, i malvagi anche mille! La sepoltura è unacondizione per un nuovo gilgul dell'anima; ecco quindi la ragione dellanecessità della sepoltura nel giorno della morte. Talora un'anima maschileentra in un corpo femminile, e produce la sterilità. La trasmigrazione neicorpi delle donne e dei gentili era ritenuta possibile da molti cabalisti, inOpposizione alle concezioni della maggioranza dei cabalisti di Safed. Il SeferPeli'ah vedeva i proseliti come anime ebree che erano passate nei corpi di

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gentili e ritornavano allo stato precedente.Gilgul e punizione - Il rapporto fra trasmigrazione e inferno è pure oggettodi disputa solo dopo l'accettazione della punizione nell'inferno; mal'opinione opposta si trova nel Ra'aya Meheimna, nello Zohar, e in moltissimicabalisti. Poiché il concetto della metempsicosi e quello della punizioneall'inferno si escludono a vicenda, non poteva esservi un compromesso. Josephdi Hamadan, Persia, che visse in Spagna nel secolo XIV, interpretava l'interaquestione dell'inferno come trasmigrazione negli animali. Le trasmigrazioni

delle anime avevano avuto inizio dopo l'uccisione di Abele (alcuni affermanonella generazione del Diluvio), e cesseranno solo con la resurrezione deimorti. A quel tempo i corpi di tutti coloro che hanno subìto trasmigrazionerivivranno, e in essi si spargeranno scintille (nizozot) dell'anima originale.Ma vi erano anche altre risposte a questo interrogativo, soprattutto nelsecolo XIII. L'espandersi della nozione della trasmigrazione da una punizionelimitata a peccati specifici in un principio generale contribuì alla nascitadella credenza nella trasmigrazione negli animali e persino nelle piante enelle sostanze inorganiche. Questa opinione, tuttavia, contrastata da molticabalisti, non divenne comune fin dopo il 1400. La trasmigrazione in corpi dianimali viene menzionata per la prima volta nel Sefer ha-Temunah, che ebbeorigine in un circolo associato ai cabalisti di Gerona. Nello Zohar l'idea nonsi trova; ma alcuni detti dei 7'ikkunei Zohar tentarono di spiegareesegeticamente questo concetto, indicando così che la dottrina era già notaall'autore di quell'opera. Ta'amei ha-Mizvot (c. 1290-1300), un'opera anonimasulle ragioni dei comandamenti, registra molti dettagli (citati in parte daMenahem Recanati) sulle trasmigrazioni delle anime umane nei corpi deglianimali, che in grande maggioranza erano punizioni per rapporti sessualiproibiti dalla Torah.

Nella Cabala successiva e a Safed

Un'elaborazione più generale dell'intero concetto appare nelle opere di JosephS. Shalom Ashkenazi e dei suoi seguaci (inizio del XIV secolo). Essi affermanoche la trasmigrazione avviene in tutte le forme di esistenza, dalle Sefirot

("emanazioni") e gli angeli alla materia inorganica, ed è chiamata din beneihalof o sod-ha-shelah. Secondo questo concetto, al mondo tutto cambiacontinuamente forma, discendendo nella forma più infinita e risalendo di nuovoalla più alta. Il concetto preciso della trasmigrazione dell'anima nella suaparticolare forma in un'esistenza diversa dalla sua originale viene quindioscurato ed e sostituito dalla legge del cambiamento di forma. Forse questaversione della dottrina del gilgul dovrebbe essere considerata come unarisposta alla critica filosofica basata sulla definizione aristotelicadell'anima come "forma" del corpo, che di conseguenza non può diventare laforma di un altro corpo. Il mistero del vero gilgul in questa nuova versioneveniva talora introdotto al posto dell'insegnamento cabalistico tradizionale,come si trova in Masoret ha-Berit (1936) di David b. Abraham ha-Lavan (c.1300). I cabalisti di Safed accettavano la dottrina della trasmigrazione in

tutte le forme della natura e, per loro tramite, questo insegnamento divenneun diffusa credenza popolare.A Safed, soprattutto nella Cabala lurianica, era estremamente sviluppatal'idea più antica delle nizozot ha-neshamot ("scintille delle anime"). Ognianima "principale" è inserita nella struttura spirituale delle "membramistiche" (parallele alle membra del corpo), da cui si diffondono moltescintille, ognuna delle quali può fungere da anima o da vita in un corpoumano. I gilgulim di tutte le scintille mirano alla ricostituzionedell'occulta struttura spirituale della "radice" dell'anima principale; èpossibile che un uomo possieda parecchie scintille appartenenti a una"radice". Tutte le radici delle anime erano contenute nell'anima di Adamo; ma

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causa malattie mentali, parla per sua bocca e rappresenta una personalitàseparata e aliena, è chiamato dibbuk. Il termine non compare nella letteraturatalmudica e neppure nella Cabala, dove il fenomeno è sempre chiamato "spiritomaligno" o "ibbur maligno" (nella letteratura talmudica è chiamato talvoltaru'ah tezazit, e nel Nuovo Testamento "spirito immondo"). Il termine fuintrodotto-nella letteratura solo nel XVII secolo, dalla lingua parlata dagliebrei di Germania e Polonia. È un'abbreviazione di dibbuk me-ru'ah ra'ah("assalto di uno spirito maligno"), o dibbuk min hahizonim ("dibbuk di parte

demoniaca") che si trova nell'uomo. L'atto dell'attaccamento dello spirito alcorpo divenne il nome dello spirito stesso. Tuttavia, il verbo dauok("attaccarsi") si trova in tutta la letteratura cabalistica, dove denota lerelazioni tra lo spirito maligno e il corpo, mitdabbeket bo ("si attacca alui"). È quindi l'equivalente di possessione (Scholem, in Leshonenu 6 (1934),40-1).Le storie sui dibbukim sono frequenti nel periodo del Secondo Tempio e inquello talmudico, soprattutto nei Vangeli; non sono altrettanto preminentinella letteratura medievale. All'inizio, il dibbuk era considerato un diavoloo un demone che entrava nel corpo di una persona malata. Più tardi fu aggiuntauna spiegazione comune ad altri popoli, e cioè che alcuni dei dibbukim sonogli spiriti di persone morte che non sono state sepolte e quindi sono divenutedemoni. Questa idea (comune anche tra i cristiani del Medioevo) si combinò conla dottrina del gilgul ("trasmigrazione dell'anima") nel secolo XVI, e divennediffusa e accettata presso vasti segmenti della popolazione ebraica,unitamente alla credenza nei dibbukim. Venivano generalmente considerati animeche, a causa dell'enormità dei loro peccati, non potevano trasmigrare, e come"spiriti nudi" cercavano rifugio nei corpi di persone viventi. L'entrata di undibbuk in una persona era segno che questa aveva commesso un peccato segretoche apriva la porta al dibbuk. Una combinazione di credenze comuninell'ambiente non ebraico e di credenze popolari ebraiche influenzate dallaCabala forma tali concezioni. La letteratura cabalistica dei discepoli diLuria contiene molti episodi e "protocolli" sull'esorcismo dei dibbukim.Numerosi manoscritti presentano istruzioni dettagliate sul modo diesorcizzarli. Il potere di scacciare i dibbukim era attribuito ai ba'alei shemo ai hasidim più eletti. Essi esorcizzavano il dibbuk dal corpo ad essolegato, e contemporaneamente redimevano l'anima fornendole un tikkun

("restaurazione") mediante la trasmigrazione, oppure facendo sì che il dibbukentrasse nell'inferno.A partire dal 1560 furono conservati e pubblicati parecchi rapportidettagliati in ebraico e in yiddish sulle azioni dei dibbukim e le lorotestimonianze su se stessi. Un ricco materiale su episodi di dibbukim èraccolto in Sha'ar ha-Gilgulim di Samuel Vital (Przemys1, 1875, foll. 8-17),in Sefer ha Hezyonot di Hayyim Vital, in Nishmat Hayyim di Manasseh Ben Israel(libro 3, capp. 10 e 14), in Minhat Eliyahu (capp. 4 e 5) di Elijah haKohen diSmirrle, e in A~1inha~ Yehudah di Judah Moses Feyta di Baghdad (1933, pp.41-59). Quest'ultimo esorcizzò Shabbetai Zevi e il suo profeta Nathan di Gazache erano apparsi come dibbukim nei corpi di uomini e donne a Baghdad nel1903. Speciali opuscoli descrivevano casi famosi di esorcismi, come a Korets(in yiddish, fine del XVII secolo), a Nikolsburg (1696), a Detmold (1743), di

nuovo a Nikolsburg (1783) e a Stolowitz (1848, pubblicato nel 1911). L'ultimoprotocollo di questo tipo, pubblicato a Gerusalemme nel 1904, concerne undibbuk che era entrato nel corpo di una donna e che fu esorcizzato da Ben-ZionHazzan. I fenomeni connessi alle credenze e alle storie dei dibbukim di solitohanno una base in casi di isteria e talora in manifestazioni di schizofrenia.

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GOLEM

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Il golem è una creatura, in particolare un essere umano, fatta in modoartificiale in virtù di un atto magico, mediante l'uso dei nomi sacri. L'ideache sia possibile creare in questo modo esseri viventi è diffusa nella magiadi molti popoli. Particolarmente famosi sono gli idoli e le statue cui gliantichi affermavano di aver dato il potere della parola. Tra i greci e gliarabi queste attività sono talvolta collegate a speculazioni astrologicherelate alla possibilità di "trarre la spiritualità delle stelle" in esseriinferiori. Lo sviluppo dell'idea del golem nel Giudaismo, tuttavia, è lontano

dall'astrologia: è connesso piuttosto all'esegesi magica del Sefer Yezirah(vedasi p. 31) e alle idee del potere creativo della favella e delle lettereLa parola "golem " appare una sola volta nella Bibbia (Salmo 139: 16), e daessa ebbe origine l'uso talmudico del termine: qualcosa di informe eimperfetto. Nell'uso filosofico medievale è la materia senza forma. Adamo èchiamato golem, nel senso di corpo senza anima, in una leggenda talmudicasulle prime dodici ore della sua esistenza (Sahn. 38b). Tuttavia, anche inquesto stato, gli fu accordata una visione di tutte le generazioni future(Gen. R. 24:2) come se nel golem vi fosse un potere occulto di afferrare ocomprendere, legato all'elenco della terra dal quale era stato tratto. Ilmotivo del golem come appare nelle leggende medievali ha origine nellaleggenda talmudica (Sahn. 65b): "Rava creò un uomo e lo mandò a R. Zera.Quest'ultimo gli parlò, ma egli non rispose. Chiese: Sei tu [fatto] da uno deicompagni? Ritorna alla polvere". Si narra del pari che due amoraim, allavigilia di ogni Sabbath, operavano con il Sefer Yezirah (in un'altra versioneHilkhot Yezirah), e si creavano un vitello che poi mangiavano. Queste leggendevengono citate come prova del fatto che "Se i giusti volessero, potrebberocreare un mondo". Sono apparentemente connesse con la fede nel potere creativodelle lettere del Nome di Dio e delle lettere della Torah in generale (Ber.551; Mid. S. 3). C'è un disaccordo circa il fatto che il Sefer Yezirah oHilkhot Yezirah, menzionato nel Talmud, fosse o no il libro pervenuto fino anoi e conosciuto con questi due titoli. In gran parte, questo libro hacarattere speculativo, ma è evidente la sua affinità con le idee magicheconcernenti la creazione per mezzo delle lettere. Ciò che si dice nella parteprincipale del libro a proposito dell'attività di Dio durante la creazioneviene attribuito alla fine del testo al patriarca Abramo. Le varietrasformazioni e combinazioni delle lettere costituiscono una conoscenza

misteriosa dell'interiorità della creazione. Durante il Medioevo, il SeferYezirah fu interpretato in alcuni ambienti, in Francia e in Germania, come unaguida alla pratica magica. Leggende più tarde in questa direzione si trovanoper la prima volta alla fine del commento al Sefer Yezirah di Judah b.Barzillai (inizio del XII secolo). Qui le leggende del Talmud eranointerpretate in un modo nuovo: alla conclusione del profondo studio deimisteri del Sefer Yezirah sulla costruzione del cosmo, i saggi (come Abramo,il patriarca) acquisirono il potere di creare esseri viventi; ma lo scopo ditale creazione era puramente simbolico e contemplativo, e quando i saggivollero mangiare il vitello creato dal potere della loro "contemplazione" dellibro, dimenticarono tutto ciò che avevano appreso. Da queste tarde leggendesi sviluppò tra i Hasidei Ashkenazi, nel XII e nel XIII secolo, l'idea dellacreazione del golem quale rituale mistico, che veniva usato, apparentemente,

per simboleggiare il livello raggiunto alla conclusione degli studi. In questacerchia, il termine golem assume per la prima volta un significato fissoindicante tale creatura.In nessuna delle fonti più antiche vi è menzione di qualche beneficio praticoderivabile da un golem di questo tipo. Nell'opinione dei mistici, la creazionedel golem non aveva un significato reale, ma solo simbolico; vale a dire, eraun'esperienza estatica che seguiva un rito festivo. Coloro che partecipavanoall'"atto della creazione" prendevano un po' di terra dal suolo vergine e nefacevano un golem (oppure, secondo un'altra fonte, seppellivano il golem nelsuolo) e camminavano intorno ad esso "come in una danza", combinando lelettere dell'alfabeto e il Nome segreto di Dio secondo istruzioni dettagliate

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(molte delle quali sono pervenute fino a noi). In seguito a questo atto dicombinazione, il golem si levava e viveva; e quando essi camminavano nelladirezione opposta e recitavano la stessa combinazione di lettere in ordineinverso, la vitalità del golem veniva annullata, ed egli sprofondava o cadeva.Secondo altre leggende, la parola emetnn; "verità", "il sigillo delSantissimo", Shab. 55a; Sahn. 64b) era scritta sulla fronte, e quando venivacancellata la lettera alef restava la parola met ("morto"). Vi sono leggenderelative alla creazione di un tale golem ad opera del profeta Geremia e del

suo cosiddetto "figlio" Ben Sira, e così pure dei discepoli di R. Ishmael, lafigura centrale della letteratura dei Heikhalot Le istruzioni tecniche suimodi di pronunciare le combinazioni e su tutto ciò che riguarda il rituale,dimostrano che la creazione del golem è qui connessa con l'esperienzaspirituale estatica (fine del commento al Sefer Yezirah di Eleazar di Worms;il capitolo Sha'ashy'ei ha-Melekh in Emek ha-Melekh di N. Bacharach(Amsterdam, 1648); e il commento al Sefer Yezirah (1562, fol. 87-101)attribuito a Saadiah b. Joseph Gaon). Nelle leggende sul golem di Ben Sira viè anche un parallelo con le leggende delle immagini usate nel culto idolatra,cui viene data vita per mezzo di un nome; il golem esprime un avvertimentocirca l'idolatria e chiede la propria morte. In diverse fonti è detto che ilgolem non ha anima intellettuale, e quindi è privo della facoltà della parola;ma si trovano anche opinioni opposte che gli attribuiscono tale facoltà. Leopinioni dei cabalisti circa la natura della creazione del golem sonopiuttosto diverse. Moses Cordovero riteneva che l'uomo abbia il potere di darevitalità, hiyyut, al golem, ma non vita (nefesh), spirito (ru'ah) o anima verae propria (neshamah).Nella leggenda popolare che cinse le figure dei capi del movimento hasidicoAshkenazi d'un alone di prodigi, il golem divenne una vera e propria creaturache serviva i suoi creatori e svolgeva i compiti assegnatigli. Leggende comequeste apparvero tra gli ebrei tedeschi non più tardi del XV secolo e sidiffusero ampiamente, tanto che nel secolo XVII venivano "raccontate da tutti"(secondo Joseph Solomon Delmedigo). Nello sviluppo della tarda leggenda delgolem vi sono tre punti principali: 1) La leggenda è connessa con precedentistorie secondo le quali si resuscitavano i morti mettendo il Nome di Dio inbocca o sul braccio, mentre rimovendo la pergamena contenente il Nome arovescio si causava la loro morte. Queste leggende erano diffuse in Italia fin

dal X secolo (in Megillat Ahima'az). 2) É relata a idee correnti in ambientinon ebraici e relative alla creazione di un uomo alchemico, l' "homunculus" diParacelso. 3) Il golem, che è il servo del suo creatore, mostra pericolosipoteri naturali; cresce di giorno in giorno, e per impedire che sopraffaccia imembri della famiglia deve essere ritrasformato in polvere rimovendo ocancellando l'alef dalla sua fronte. Qui, all'idea del golem si unisce ilmotivo nuovo del potere scatenato dagli elementi che possono portare ladistruzione e il caos. Leggende di questo tipo appaiono dapprima a propositodi Elijah, rabbino di Chelm (m. 1583). Zevi Hirsch Ashkenazi e suo figlioJacob Emden, che erano suoi discendenti, discussero nei loro responsa. se erao no permesso includere un golem di questo tipo in un minyan (e loproibivano). Elijah Gaon di Vilna disse al suo discepolo Hayyim b. Isaac diVolozhin che da ragazzo anche lui aveva intrapreso la creazione di un golem,

ma una visione l'aveva fatto desistere.La forma più tarda e meglio conosciuta della leggenda popolare è connessa aJudah Loew b. Bezalel di Praga. La leggenda non ha base storica nella vita diLoew o in un'epoca a lui vicina. Fu trasferita da R. Elijah di Chelm a R. Loewsolo in data molto tarda, apparentemente durante la seconda metà del XVIIIsecolo, ed è connessa alla sinagoga Altneuschul e alla spiegazione di specialipratiche nelle preghiere della congregazione di Praga. Si narra che R. Loewcreò il golem perché lo servisse, ma fu costretto a renderlo alla polverequando il golem si scatenò, mettendo in pericolo vite umane.

Nelle arti

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Le leggende relative al golem, specialmente nelle forme più tarde, servironocome tema letterario dapprima nella letteratura tedesca - degli ebrei e deinon ebrei - nel XIX secolo, e successivamente nella moderna letteraturaebraica e yiddish. Al regno delle belle lettere appartiene anche il libroNifla'ot Moharal im ha-Golem ("Le azioni miracolose di Rabbi Loew con ilGolem", 1909) che fu pubblicato da Judah Rosenberg come un antico manoscrittoma che in realtà non fu scritto se non dopo le calunnie del sangue del

1890-1900, soprattutto il caso Hilsner a Polna (Cecoslovacchia, 1899). Laconnessione tra il golem e la lotta contro le accuse di omicidio rituale èun'invenzione letteraria completamente moderna. In questa letteratura sonodiscusse questioni che non hanno posto nelle leggende popolari (ad esempio,l'amore del golem per una donna), o interpretazioni simboliche del significatodel golem (l'uomo non redento, informe; il popolo ebraico; la classe operaiaaspirante alla liberazione).L'interesse per la leggenda del golem da parte di scrittori, artisti,musicisti, divenne evidente all'inizio del XX secolo. Il golem era quasiinvariabilmente il robot benevolo della più tarda tradizione di Praga econquistò l'immaginazione di scrittori attivi in Austria, Cecoslovacchia eGermania. Due tra le prime opere sul tema furono il volume di raccontiintitolato Der Golem, Phantasien und Historien del commediografo austriacoRudolf Lothar (1900, 1904), e il dramma in tre atti Der Golem (1908) delromanziere tedesco Arthur Holitscher. Il poeta Hugo Salus, di Praga ma dilingua tedesca, pubblicò versi su "Der hohe Rabbi Loew" e al tempo della primaguerra mondiale il tema aveva acquisito una vasta popolarità. L'opera piùnotevole sul golem fu il romanzo intitolato Der Golem .(1915; ed. ingl. 1928)dello scrittore boemo Gustav Meyrink 1868-1932) che aveva trascorso i suoiprimi anni a Praga. Il libro di Meyrink, notevole per la descrizionedettagliata e l'atmosfera d'incubo, era una terrificante allegoria sulla lottadell'artista per trovare se stesso. Altre opere sullo stesso tema includonoDer Rabbiner von Prag (Réó Loeb) di Johannes Hess (1914), un "drammacabalistico" in quattro atti di Chayim Bloch, Der Prager Golem: uon seiner"Geburt" bis zu seinem "Tod" (1917; The Golem, Legends of the Ghetto ofPrague, 1925); e Ha-Golem (1909), un racconto dello scrittore ebreo DavidFrischmann, che in seguito apparve nella sua raccolta BaMidbar (1923) Der

Golem (1921; ingl. 1928), del drammaturgo H. Leivick, scritto in yiddish, ebasato sul libro di Rosenberg, fu messo in scena a Mosca in ebraico dalHabinah Theater. Le interpretazioni artistiche e musicali del tema dipendonodalle principali opere letterarie. Hugo Steiner-Prag produsse litografie perillustrare il romanzo di Meyrink (Der Golem: Prager Phantasien 1915), e illibro ispirò un classico tedesco del cinema muto, di Paul Wegener e HenrikGaleen (1920) e un successivo rifacimento di Julien Duvivier (1936). Ilcopione per un film ceco del secondo dopoguerra sultema del golem fu scritto da Arnost Lustig. La musica per il dramma di Leivickfu composta da Moses Milner; e l'opera di Eugen d'Albert, Der Golem, sulibretto di G. Lion, fu rappresentata per la prima volta a Francoforte nel1926, ma non è rimasta nel repertorio. Un'opera più duratura fu la Golem Suitedi Joseph Achron per orchestra (1932), composta sotto l'influenza della messa

in scena del Habimah. L'ultimo pezzo di questa suite fu composto come l'esattaimmagine musicale a rovescio del primo movimento, per simboleggiare ladisintegrazione dell'homunculus. Der Golem, un balletto di Francia Burt concoreografia di Erika Hanka, fu rappresentato a Vienna nel 1962.

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LILITH

Lilith è un demone femmina che ha una posizione centrale nella demonologia

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letteratura della Cabala pratica (ad esempio, il nome Obizoth dal Testamentodi Salomone) e il posto degli angeli viene preso da tre santi, Sines,Sisinnios e Synodoros. La leggenda entrò anche nella demonologia araba, doveLilith è conosciuta come Karina, Tabi'a, o "la madre degli infanti". Questapersonificazione di Lilith come strangolatrice di neonati è già chiara negliincantesimi ebraici, scritti in aramaico babilonese, anteriori all'Alfaóeto diBen Sira. Un tardo Midrash (Numeri R., fine cap. 16) la menziona egualmente aquesto proposito: "Quando Lilith non trova neonati, si scatena sui suoi

figli", un motivo che la collega al, babilonese lamashtu.Da queste antiche tradizioni, l'immagine di Lilith venne fissata nellademonologia cabalistica. Anche qui, ha due ruoli primari: la strangolatrice dineonati (talora sostituita nello Zohar da Na'amah) e la seduttrice di uomini,dalle cui emissioni notturne partorisce un numero infinito di figli demoniaci.In quest'ultimo ruolo, appare alla testa di una schiera immensa, che partecipaalle sue attività. Nello Zohar, come in altre fonti, è conosciuta conappellativi come Lilith, la cortigiana, la perversa, la falsa o la nera. (Laprecedente combinazione di motivi appare in Zohar 1:1 4b, 54b; 2:96a, 11 la;3:19a, 76b.). Generalmente figura tra le quattro madri dei demoni; le altresono Agrath, Mahalath e Na'amah. Interamente nuova nel concetto cabalistico diLilith è la sua comparsa come compagna permanente di Samael, regina del regnodelle forze del male (la sitra ahra). In quel mondo il mondo delle kelippot)svolge una funzione parallela a quella della Shekhinah ("Presenza Divina") nelmondo della santità; come la Shekhinah è la madre della Casa di Israele,Lilith è la madre della gente empia che costituisce la "moltitudine mista"(ereu-rau) e governa su tutto ciò che è impuro. Questa concezione si trova perla prima volta nelle fonti usate da Isaac b. Jacob ha-Kohen, e più tardi inAmmud ha-Semali del suo discepolo Moses b. Solomon b. Simeon di Burgos. Siaqui, sia più tardi nei Tikkunei Zuhar, si cristallizza la concezione di varigradi di Lilith, interni ed esterni. Troviamo così Lilith maggiore, moglie diSamael, e Lilith minore, moglie di Asmodeo (vedasi Tarbiz, 4 (1932/33, 72)negli scritti di Isaac ha-Kohen e successivamente negli scritti di moltissimicabalisti, e in molti incantesimi. Alcuni di questi identificano le duecortigiane apparse in giudizio davanti a Salomone con Lilith e Na'amah oLilith e Agrat, un'idea cui si allude già nello Zohar e in scritti coevi(vedasi Tarbiz, 19 (1947/48), 172-5).

Diffusa è anche l'identificazione di Lilith con la regina di Saba, una nozionecon molte ramificazioni nel folklore ebraico. Ha origine nel Targum a Giobbe1:16, basato sul mito ebraico e arabo secondo il quale la regina di Saba erain realtà un jinn, per metà umana e per metà demone. Questa concezione eranota a Moses Shem Tov de Leon, ed è menzionata anche nello Zohar. In Livnatha-Sappir, Joseph Angelino sostiene che gli enigmi proposti dalla regina diSaba a Salomone sono una ripetizione delle parole di seduzione che la primaLilith rivolse ad Adamo. Nel folklore ashkenazi, questa figura si fuse con limmagine popolare di Elena di Troia, o la Frau Vinus della mitologia tedesca.Fino a tempi recenti, la regina di Saba veniva popolarmente rappresentata comeuna rapitrice di bambini e come una strega demoniaca. È probabile che vi siaun residuo dell'immagine di Lilith come compagna di Satana nelle popolarinozioni europee tardo-medievali della concubina o della moglie di Satana nel

folklore tedesco. Nel dramma tedesco sulla papessa Jutta (Giovanna), che fustampato nel 1565 benché, secondo il suo editore, fosse stato scritto nel1480, il nome della nonna è Lilith. Qui è raffigurata come una seducentedanzatrice, un motivo che si trova comunemente negli incantesimi degli ebreiAshkenazi relativi alla regina di Saba. Negli scritti di Hayyim Vital(Seferha-Likkutim, (1913), 6b), Lilith appare talvolta alla gente sotto formadi gatta, di oca o di qualche altro animale, e ha potere non già per soli ottogiorni nel caso di un neonato maschio e di venti per una femmina (come risultanell'Alfabeto di Ben Sirau) bensì rispettivamente per 40 e 60. Nella Cabala,influenzata dall'astrologia, Lilith è relata al pianeta Saturno, e tutticoloro che hanno temperamento maliconico - "umor nero" - sono suoi figli

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(Zohar, Ra'aya Meheimna, 3:227b). Dal XVI secolo in poi si credettecomunemente che se un neonato rideva nel sonno questo indicasse che Lilithstava giocando con lui, e quindi era consigliabile dargli un buffetto sul nasoper scongiurare il pericolo (H. Vital, S'efer ha-Likkutim (1913), 78c; Emekha-Melekh, 130b).Era uso comune proteggere le partorienti dal potere di Lilith appendendoamuleti sopra il letto o alle quattro pareti della stanza. Le prime forme diquesti amuleti, in aramaico, sono incluse nella raccolta di Montgomery (vedasi

bibliografia). La prima versione in ebraico appare nell'Alfabeto di Ben Sira,che afferma che l'amuleto deve includere non soltanto i nomi dei tre angeliche sconfiggono Lilith, ma anche "la loro forma, con le ali, le mani e legambe . Questa versione ebbe diffusione larghissima, e amuleti di questo tipovenivano addirittura stampati nel XVIII secolo. Secondo Shlmmush Tehillim, unlibro che risale al periodo geonico, gli amuleti scritti per le donne chetendevano a perdere i figli includevano il Salmo 126 (sostituito più tardi dalSalmo 121) e i nomi dei tre angeli. In Oriente, erano comuni anche amuleti chepresentavano la stessa Lilith "in catene". Molti amuleti includono la storiadel profeta Elia che incontra Lilith diretta alla casa di una partoriente "perdarle il sonno della morte, per prendere suo figlio e berne il sangue esucchiarne il midollo delle ossa e mangiarne le carni" (in altre versioni:"lasciare le carni"). Elia scomunicò Lilith, che allora promise di non farmale alle partorienti ogni volta che vedesse o udisse i propri nomi. Questaversione è tratta indubbiamente da una formula cristiana bizantina contro ildemone femmina Gyllo, che venne esorcizzato dai tre santi menzionati piùsopra. Il trasferimento dalla versione greca a quella ebraica si vedechiaramente nella formula dell'incantesimo ebraico del XV secolo provenienteda Candia, che fu pubblicato da Cassuto (RSO, 15 (1935),260), in cui non èElia bensì l'arcangelo Michael che, venendo dal Sinai, incontra Lilith.Sebbene i nomi greci diventassero progressivamente corrotti con il passare deltempo, nel XIV secolo nuovi nomi greci per "il seguito di Lilith" appaiono inun manoscritto di Cabala pratica, che include materiale di una data assaianteriore (British Museum Add., manoscritto 15299, fol. 84b). La storia diElia e Lilith inclusa nella seconda edizione di Sod ha-Shem di David Lida(Berlino, 1710, p. 20a) si trova nella maggior parte dei più tardi amuleticontro Lilith, dove uno dei suoi nomi è; Striga - incantatrice, donna o demone

- o Astriga. In una delle sue mutazioni questo nome appare come l'angeloAstaribo, del pari incontrato da Elia; in molti incantesimi prende il posto diLilith, una sostituzione che si trova in una versione della storia datata1695. Sono pervenute fino a noi anche versioni dell'incantesimo in cui Lilithè sostituita dal Malocchio, la stella Margalya, o il demone familiare nellaletteratura giudaica e araba, Maimon il Nero. Nella letteratura europea, lastoria di Lilith, in varie versioni, ha rappresentato un fertile temanarrativo.

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MAGEN DAVID

Il magen David ("scudo di Davide"), è un esagramma, o stella a sei punte,formato da due triangoli equilateri che hanno lo stesso centro e sono posti indirezioni opposte.Il simbolo era usato già nell'Età del Bronzo - forse come ornamento o forsecome segno magico - in molte civiltà e in regioni lontane tra loro come laMesopotamia e la Britannia. Esempi dell'Età del Ferro sono noti in India enella penisola iberica prima della conquista romana. Talvolta appare sumanufatti ebraici, come lampade o sigilli, ma senza avere un significatospeciale e riconoscibile. Il più antico esempio indiano appare su un sigillodel VII secolo prima dell'Era Comune, trovato a Sidone e appartenente a un

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certo Joshua b. Asayahu. Nel periodo del Secondo Tempio, l'esagramma vennespesso usato tanto dagli ebrei quanto dai non ebrei accanto al pentagramma(stella a cinque punte) e nella sinagoga di Capernaum (II o III secolodell'Era Comune) si trova fianco a fianco con il pentagramma e la svastica inun fregio. Non vi è motivo di supporre che venisse usato per scopi diversi daquello decorativo. Le teorie che l'interpretano come un segno planetario diSaturno e lo collegano con la pietra sacra nel santuario predavidico diGerusalemme sono puramente speculative. L'esagramma non appare nei papiri

magici né nelle fonti più antiche della magia ebraica; cominciò a figurarecome segno magico dall'inizio del Medioevo. Tra gli emblemi ebraici dei tempiellenistici (discussi in E. Goodenough, Jewish Symbols in the Greco-RomanPeriod) mancano tanto l'esagramma quanto il pentagramma.L'uso ornamentale dell'esagramma continuò nel Medioevo, specialmente nei paesicristiani e musulmani. I re di Navarra l'usavano sui loro sigilli notarili inSpagna, Francia, Danimarca e Germania, da notai sia cristiani che ebrei.Tracciato talvolta con linee leggermente curve, appare nelle prime chiesebizantine e in molte chiese medievali europee, come ad esempio su una pietradi un'antica chiesa di Tiberiade (conservata nel Museo Municipale) esull'ingresso delle cattedrali di Burgos, Valencia e Lerida. Si trovano ancheesempi su oggetti usati nelle chiese, talvolta in posizioni oblique, comenella marmorea cattedra vascovile (c. 1266) nella cattedrale di Anagni.Probabilmente a imitazione dell'uso ecclesiastico - e certamente non comesimbolo specificamente ebreo - l'esagramma si trova su alcune sinagoghe deltardo Medioevo, per esempio a Hameln (Germania, c. 1280) e Budweis (Boemia,probabilmente XIV secolo). In varie fonti arabe l'esagramma, insieme ad altriornamenti geometrici, era largamente usato con la designazione di "sigillo diSalomone", un termine che fu adottato anche da molti gruppi ebraici. Il nomecollega l'esagramma alla più antica magia cristiana, forse giudeo-cristiana,come nell'opera magica greca n testamento di Salomone. Non è chiaro in qualeperiodo l'esagramma fu inciso sul sigillo o sull'anello di Salomone,menzionato nel Talmud (Git. 68a-b) come segno dei suoi poteri sui demoni, alposto del nome di Dio che vi appariva in origine. Tuttavia, questo avvenne inambienti cristiani, dove diversi amuleti bizantini del VI secolo usano già"sigillo di Salomone" come nome dell'esagramma. In molti manoscritti ebraicimedievali si trovano complessi disegni dell'esagramma, senza che ad esso venga

assegnato un nome. L'origine di questa usanza si può chiaramente far risalireai manoscritti della Bibbia provenienti da paesi musulmani (un esempio èmostrato in: Gunzburg e Stassoff, L'ornement hébraique (1905), tav. 8, 15). Apartire dal XIII secolo, si trova in manoscritti ebraici della Bibbiaprovenienti dalla Germania e dalla Spagna. Talvolta, parti della masorah sonoscritte in forma di esagramma; talvolta viene usato semplicemente comeornamento, in forma più o meno elaborata. Esempi riccamenti adorni, tratti damanoscritti di Oxford e di Parigi, sono stati riprodotti da G. Roth, Seferad,12, 1952,p. 356, tav. II e nel catalogo della mostra "Synagoga",Recklinghausen, 1960, tav. B.4.Nella magia araba, il "sigillo di Salomone" era usato largamente, maall'inizio il suo uso negli ambienti ebraici fu circoscritto a casirelativamente poco numerosi. Anche allora, l'esagramma e il pentagramma erano

spesso intercambiabili, e il nome valeva per entrambe le figure. Cometalismano, era comune in molte delle versioni magiche della mezuzah, diffusetra il X e il XIV secolo. Di frequente, le aggiunte magiche al testotradizionale della mezuzah contenevano esempi dell'esagramma, talvolta fino adodici. In numerosi manoscritti magici ebraici del tardo Medioevo, l'esagrammaera usato per certi amuleti, tra i quali quello destinato a spegnere gliincendi godeva di una grande popolaritàLa nozione dello "scudo di Davide" con poteri magici, in origine non eraconnessa a questo segno. È difficile dire se tale nozione nacque nell'Islam,dove il Corano afferma che Davide fu il primo a fabbricare armi protettive, oin tradizioni interne della magia ebraica. Ai primi tempi appartiene un solo

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esempio che collega l'esagramma al nome Davide, su una pietra tombale del VIsecolo trovata a Taranto, nell'Italia meridionale. Sembra che vi fosse unaragione speciale per porre l'esagramma prima del nome del defunto. Il piùantico testo che menziona uno scudo di Davide è spiegazione del magico"alfabeto dell'angelo Metatro, periodo geonico e che era corrente tra iHasidei Ashkenazi del XII secolo. Ma qui era il Sacro Nome di 72 nomi (trattoda Es. 14:19-21, dove ogni versetto ha 72 lettere), che si diceva fosse incisosu questo scudo, insieme al nome MKBY. In fonti affini questa tradizione era

molto abbellita. Il nome angelico Taftafiyyah, uno dei nomi di Metatron, fuaggiunto ai 72 nomi sacri e infatti un amuleto a forma di esagramma con questonome divenne uno dei talismani protettivi più diffusi in manoscritti medievalie più tardi. (A partire dal 1500 circa il nome Shaddai sostituì spesso quellopuramente magico.) Questo deve avere causato la transizione all'uso deltermine "magen Dauid" per indicare il segno. Non è chiaro cosa causasse lasostituzione della figura al posto del "grande nome di 72 nomi"; ma ancora nelXVI secolo si possono trovare istruzioni precisanti che lo scudo di Davide nondeve essere disegnato con semplici linee, ma deve essere composto di certinomi sacri e delle loro combinazioni, secondo il modello di quei manoscrittibiblici in cui le linee erano composte dal testo della masorah. Il più vecchiotestimone che si conosca di questo uso del termine è il cabalistico Seferha-Gevul, scritto da un nipote di Nahmanides all'inizio del XIV secolo.L'esagramma vi ricorre due volte, e in entrambi i casi è chiamato "imagenDauid" e contiene lo stesso nome magico dell'amuleto prima menzionato, adimostrazione della sua connessione diretta con la tradizione magica. Secondoaltre tradizioni, ricordate in Akedat Yizhak di Isaac Arama (XV secolo),l'emblema dello scudo di Davide non era l'emblema conosciuto oggi con questonome, bensì il Salmo 67 in forma della menorah. Questo divenne un costumemolto diffuso, e il ''Salmo della menorah" fu considerato un talismano digrande potenza. Un libriccino del XVI secolo dice: "Re Davide usava portarequesto salmo scritto, dipinto e inciso sul suo scudo, in forma della menorahquando andava in battaglia, ed egli meditava sul suo mistero e vinceva".Fra il 1300 e il 1700 e due termini, scudo di Davide e sigillo di Salomone,vengono usati indiscriminatamente, in prevalenza in testi magici; tuttavia ilprimo ebbe a poco a poco il sopravvento, Fu inoltre usato, dal 1492, comemarchio degli stampatori, specialmente nei libri pubblicati a Praga nella

prima metà del XVI secolo e in quelli stampati dalla famiglia Foa in Italia ein Olanda, che l'incorporò nel suo stemma (ad esempio nel frontespizio diGuida per iperplessi di Maimonide, Sabbioneta, 1553). Molte famiglie ebreeitaliane seguirono tale esempio tra il 1660 e il 1770. Tutte questeutilizzazioni, però, non avevano ancora portato a una generale connotazioneebraica. Il primo uso ufficiale dello scudo di Davide si può trovare a Praga,da dove si diffuse nel XVII e nel XVIII secolo attraverso la Moravia el'Austria e quindi nella Germania meridionale e in Olanda. Nel 1354, Carlo IVconcesse alla comunità di Praga il privilegio di avere una sua bandiera -chiamata in seguito nei documenti "bandiera di re Davide" - su cui eraraffigurato l'esagramma. Divenne perciò un emblema ufficiale, sceltoprobabilmente per il suo significato come simbolo contenuto dei tempi in cuire Davide lo portava sullo scudo. Questo spiega il suo vasto uso a Praga,

nelle sinagoghe, sul sigillo ufficiale della comunità, sui libri stampati e sualtri oggetti. Qui veniva sempre chiamato magen David. Il suo uso sulla pietratombale (1613) di David Gans, astronomo e storico, fu ancora eccezionale conun evidente riferimento al titolo della sua ultima opera, appunto Magen David.Se si esclude una pietra tombale a Bordeau (c. 1726), non si conoscono altriesempi del suo uso sulle tombe prima della fine del XVIII secolo. Un curiosoparallelo allo sviluppo in Praga è l'unico caso di una rappresentazione dellaSinagoga come figura allegorica, che sostiene una bandiera con il magen Davidin un manoscritto catalano del XIV secolo del Breviar d'amor di Matfred'Ermengaud.Il simbolo passò ben presto ad altre comunità. Il suo uso a Budweis è stato

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ricordato più sopra, e la comunità di Vienna lo usò come suo sigillo nel i1655. L'anno seguente si trova insieme alla croce su una pietra che segna ilconfine tra i quartieri ebraico e cristiano di Vienna (secondo P. Diamant) otra il quartiere ebraico e il monastero dei carmelitani (secondo MaxGrunwald). Apparentemente, erano entrambi simboli riconosciuti ufficialmente.Quando gli ebrei viennesi furono espulsi nel 1670 portarono il simbolo inmolte delle nuove residenze, specialmente in Moravia, ma anche nella comunitàashkenazi di Amsterdam, dove venne usato a partire dal 1671, inizialmente su

un medaglione che permetteva di accedere al cimitero. Più tardi divenne partedel sigillo della comunità. Abbastanza curiosamente la sua migrazione versoest fu molto più lenta. Non compare mai su sigilli ufficiali, ma qua e là,durante il XVII e il XVIII secolo, figura come ornamento di oggetti usatinelle sinagoghe e su sculture in legno sopra il sacrario della Torah (per laprima volta a Volpa, presso Grodno, 1643).L'uso dell'esagramma come simbolo alchemico denotante l'armonia tra glielementi antagonistici acqua e fuoco divenne corrente verso la fine del XVIIsecolo; ma questo non ebbe alcuna influenza negli ambienti ebraici. Moltialchimisti cominciarono a chiamarlo anch'essi "scudo di Davide" (documento dal1724). Ma un altro simbolismo nacque negli ambienti cabalistici, dove lo"scudo di Davide" divenne lo "scudo del figlio di Davide", il Messiah. Non ècerto se questo uso fosse comune anche nei circoli ortodossi, tuttavia non èimpossibile. I due cabalisti che lo attestano, Isaiah, figlio di Joel Ba'alShem, e Abraham Hayyim Kohen di Nikolsburg, combinano le due interpretazioni.Ma non vi è dubbio che questa interpretazione messianica del segno fossecorrente tra i seguaci di Shabbetai Zevi. I famosi amuleti dati da JonathanEybeschuetz a Metz e Amburgo, che non hanno altra interpretazione convincenteche un'interpretazione, shabbatea, hanno uno scudo di Davide designato come"sigillo di MBD" (Messiah b. David), "sigillo del Dio d'Israele" eccetera. Loscudo di Davide fu trasformato in un simbolo segreto della visione shabbateadella redenzione, sebbene tale interpretazione rimanesse esoterica, da nondivulgare.Il motivo primario dell'ampia diffusione del segno nel XIX secolo fu ildesiderio di imitare il Cristianesimo. Gli ebrei cercavano un segno sempliceed eloquente che potesse "simboleggiare" il Giudaismo allo stesso modo in cuila croce simboleggia il Cristianesimo. Questo portò all'ascesa del magen Dauid

nell'uso ufficiale, su oggetti rituali e in molti altri modi. Dall'Europacentrale e occidentale pervenne all'Europa dell'Est e agli ebrei orientali.Quasi tutte le sinagoghe lo portarono; innumerevoli comunità e organizzazioniprivate e caritatevoli lo impressero sui sigilli e sulla carta intestata.Mentre durante il XVIII secolo il suo uso su oggetti rituali era ancora moltolimitato - un buon esempio è un piatto per mazzot (1770), riprodotto nelfrontespizio di Monumenta Judaica, catalogo di una mostra ebraica a Colonia,1963 - divenne popolarissimo. Nel 1799 era già apparso come uno specificosegno ebraico in un'incisione satirica antisemita; nel 1822 venne usato nellostemma dei Rothschild quando vennero fatti nobili dall'imperatore d'Austria; edal 1840 Heinrich Heine firmò la sua corrispondenza da Parigi sull'AugsburgerAllgemeine Zeitung con un magen David al posto del nome, una straordinariaindicazione della sua identificazione ebraica nonostante la conversione. Il

primo numero di Die Welt, il giornale sionista di Herzl, lo portava comeemblema. Il magen David divenne il simbolo delle nuove speranze e di un nuovofuturo del popolo ebraico, e Franz Rosenzweig l'interpretò in Der Stern derErloesung (1921) come la summa delle sue idee filosofiche circa il significatodel Giudaismo e dei rapporti tra Dio, gli uomini e il mondo. Quando i nazistilo usano come un marchio di vergogna per accompagnare milioni di vittime allamorte assunse una nuova profondità, unendo sofferenza e speranza. Sebbene lostato d'Israele, alla ricerca di un'autenticità ebraica, abbia scelto comeemblema la menorah, un simbolo molto più antico, il magen Dauid è statomantenuto sulla bandiera nazionale (già sionista) ed è largamente usato nellavita ebraica.

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MEDITAZIONE

Il termine meditazione (ebraico Hitbonenut) appare per la prima volta nellaletteratura cabalistica alla metà del XIII secolo, per riferirsi alla

concentrazione protratta del pensiero sulle luci superne del mondo divino edei mondi spirituali in genere. Molte fonti, tuttavia, a questo propositousano i termini kavvanah, o devekut ("attaccamento") del pensiero a unparticolare soggetto, e "contemplazione della mente". I cabalisti nondistinguevano fra i termini "meditazione" e "contemplazione", una distinzioneprevalente nel misticismo cristiano. Secondo la concezione cabalistica, lacontemplazione era tanto la concentrazione sulle profondità di un particolaresoggetto nel tentativo di comprenderlo da ogni punto di vista, quantol'arresto del pensiero al fine di mantenerlo sul soggetto. L'arresto el'approfondimento nella contemplazione spirituale, perciò, non servono aincoraggiare l'intelletto contemplante ad avanzare e a passare a livellisuperiori, ma prima di tutto a valutare al massimo la situazione data; solodopo avervi indugiato per un periodo protratto l'intelletto passa a un gradinopiù alto. Questa, dunque, è la contemplazione mediante l'intelletto, i cuioggetti non sono immagini né visioni, bensì cose non sensoriali come leparole, i nomi o i pensieri.Nella storia della Cabala, questa contemplazione fu preceduta da una diversa:la visione contemplativa della Merkabah, che gli antichi mistici dellaMerkabah del periodo tannaitico e amoraitico si sforzavano di conseguire, eche era descritto in Heikhalot Rabbati della letteratura dei heikhalot. Qui cisi riferisce a una vera e propria visione del mondo del carro, che si rivelaagli occhi del visionario. Perciò il termine histakkelut viene qui usato nelsenso esatto del termine latino contemplatio o del greco theoria. Lacontemplazione dei mistici della Merkabah, nel primo periodo del misticismoebraico, forniva secondo loro la chiave di una corretta comprensione degliesseri celesti nel carro celeste. Tale contemplazione poteva inoltre venireconseguita mediante stadi preparatori che addestravano coloro che "discendono

alla Merkabah per afferrare la visione e passare da una cosa all altra senzaesser messi in pericolo dall'audacia del loro assalto al mondo superiore.Anche a questo stadio, la visione della Merkahah è legata all'immunizzazionedei sensi del mistico contro l assorbimento di impressioni esterne e allaconcentrazione attraverso una visione interiore.Nella Cabala, la concezione delle dieci Sefirot, che rivelano l'azione delDivino e comprendono il mondo dell'emanazione, venne sovrapposta al mondodella Merkabah. Questa contemplazione delle cose divine non finisce, secondola Cabala, dove finiva la visione dei mistici della Merkabah, ma può ascenderead altezze maggiori, che non sono più gli oggetti di immagini e di visione. Laconcentrazione sul mondo dei Sefirot non è legata alle visioni, ma è soltantomateria per l intelletto preparato ad ascendere di livello in livello e ameditare sulle qualità uniche di ogni livello. Se la meditazione attiva

dapprima la facoltà dell'immaginazione, continua attivando la facoltàdell'intelletto. Le stesse Sefirot sono concepite come luci intellettuali chepossono essere percepite solo mediante la meditazione. I cabalisti spagnolidel XIII secolo conoscevano due tipi di meditazione: una che produce visionisimili per tipo se non nei dettagli alle visioni dei mistici della Merkabah,ed una che porta alla comunione della mente meditante con le sue fonti piùalte nello stesso mondo dell'emanazione. Moses b. Shem Tov de Leon descrivevain uno dei suoi libri come un'intuizione della terza Sefirah (Binah) lampeggianella mente tramite la meditazione. Egli la paragona alla luce che balenaquando i raggi del sole giocano sulla superficie di una ciotola d'acqua (MGWJ,1927, 119).

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Le istruzioni sui metodi da impiegare nella meditazione formano parte degliinsegnamenti occulti e segreti dei cabalisti che, a parte alcune regolegenerali, non venivano resi pubblici. I cabalisti di Gerona vi accennano aproposito della descrizione della mistica kauvanah nella preghiera, che èdescritta come una meditazione concentrata su ogni parola della preghiera alfine di aprire una via verso le luci interiori che illuminano ciascuna diqueste parole. La preghiera, secondo questa idea della meditazione, non èsoltanto una recitazione di parole o una concentrazione sul contenuto delle

parole secondo il loro significato semplice: è l'aderenza della mentedell'uomo alle luci spirituali e l'avanzamento della mente in tali mondi.L'adoratore usa le parole fisse della preghiera come un mancorrente, durantela meditazione, al quale egli si afferra sulla strada dell'ascesa, in modo danon confondersi o distrarsi. Tale meditazione porta all'unione del pensieroumano con il pensiero divino o alla volontà divina, un attaccamento che giungealla fine o è "negato''. L'ora della preghiera è, più di ogni altro momento,adatta alla meditazione. Azriel di Gerona diceva: "Il pensiero si espande eascende alla sua origine, così che quando la raggiunge, ha fine e non puòascendere oltre... perciò gli uomini pii dell'antichità innalzavano il loropensiero alla sua origine mentre pronunciavano i precetti e le parole dellapreghiera. Quale risultato di questa procedura e dello stato di adesione(deuekut) raggiunto dal loro pensiero. Le loro parole diventavano benedette emoltiplicate, piene di influsso [divino] dallo stadio chiamato 'il nulla delpensiero', come le acque di una vasca scorrono in ogni direzione quando unuomo le libera" (Perush ha-Aggadot, 1943, 39-40). In questa meditazione, cheprogredisce da uno stadio all'altro, vi era anche un certo elemento magico,come si può dedurre chiaramente dalla descrizione dettagliata in un altrotesto di Azriel chiamato Sha'ar ha-Kauuanah la-Mekubbalim ha Kishonim.L'elemento magico, tuttavia, era celato, oppure completamente avvolto nelsilenzio.Un'elaborazione dettagliata della dottrina della meditazione si trovaparticolarmente negli insegnamenti di Abraham Abulafia. Tutto il suo Hokhmatha-Zeruf (scienza della combinazione; vedasi p. 61) era ideato, secondo la suaconcezione, allo scopo di insegnare un approccio durevole e sicuro allameditazione. Consiste principalmente di istruzioni relative alla meditazionesui Sacri Nomi di Dio e, in un senso più ampio, alla meditazione sui misteri

dell'alfabeto ebraico. Questa meditazione, che non dipende dalla preghiera,era descritta nei suoi manuali più importanti come un'attività separata dellamente, alla quale l'uomo si dedica nell'isolamento a determinate ore e con laguida regolare di un insegnante iniziato. Anche qui, il punto di partenza è lamortificazione dell'attività dei sensi e la cancellazione delle immagininaturali che si attaccano all'anima. La meditazione sulle lettere e sui nomisacri genera nell'anima pure forme spirituali e di conseguenza l'uomo puòcomprendere le verità più alte. In certi stadi di questa meditazione, appaionovere e proprie visioni, come quelle descritte nell'opera Hayyei ha-Olam ha-Ba,per esempio: ma sono soltanto stadi intermedi sulla strada che porta alla puracontemplazione della mente. Abulafia nega fin dall'inizio l'elemento magicoche veniva originariamente attribuito a questa meditazione.La differenza tra la dottrina della meditazione cristiana e quella cabalistica

sta nel fatto che nel misticismo cristiano viene dato al meditatore unsoggetto pittorico e completo, come le sofferenze di Cristo e tutto ciò che viè di attinente. mentre nella Cabala il soggetto dato è astratto e non puòessere visualizzato, come ad esempio il Tetragrammaton e le sue combinazioni.L'istruzione nei metodi della meditazione era sparsa nelle opere dei primicabalisti, e questi metodi si continuano a trovare dopo l'espulsione dallaSpagna tra numerosi cabalisti influenzati da Abulafia. Un discepolo anonimo diAbulafia ha lasciato (in Sha'arei Zedek, scritto nel 1295) un'impressionantedescrizione delle sue esperienze nello studio di questa meditazione. Le opereBerit Menuhah (XIV secolo) e Sullam ha-Aliyyah di Judah Alhotini, uno degliesuli dalla Spagna che si stabilirono a Gerusalemme, furono scritte anch'esse

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nello stesso spirito.Il libro di testo più dettagliato sulla meditazione del mistero delle Sefirotè Even ha-Shoham di Joseph ibn Sayyahdi Damasco, scritto a Gerusalemme nel1538 (manoscritto nella Biblioteca Nazionale e Universitaria, Gerusalemme;vedasi G. Scholem, Kitvei Yad be-Kabbalah (1930), 90-91). T cabalisti di Safedprestavano molta attenzione alla meditazione, come è evidente da Sefer Haredim(Venezia,1601) di Eliezer Azikri, dal capitolo 30 di Pardes Rimmonim di MosesCordovero (Cracovia, 1592); e Sha'arei Kedu.shah di Hayyim Vital, parte 3,

capitoli 5-8, espone la sua dottrina al riguardo. Qui l'aspetto magico legatoalla meditazione viene sottolineato ancora una volta, sebbene l'autore lospieghi in senso ristretto. Gli ultimi passi nell'ascesa della mente meditanteche cerca di attrarre sulla terra l'influsso delle luci superne richiedeattività meditative di carattere magico, che sono conosciute come Yihudim("Unificazioni"). L'importanza pratica di queste dottrine, la cui influenza èriconoscibile in tutta la tarda letteratura cabalistica, non deve esseresottovalutata. Le dottrine dell'adesione (devekut) e della meditazione nelHasidismo del XVIII secolo sono anch'esse decisamente basate sulla forma dataloro a Safed. Questa dottrina non fu esposta nella sua interezza negli scrittidei discepoli di Isaac Luria, e la sua parte principale venne conservataoralmente. Nella yeshivah cabalistica di Gerusalemme, Bet El, la guida praticaalla meditazione fu trasmessa oralmente per circa duecento anni e gli iniziatidi questa forma di Cabala rifiutavano di rendere di dominio pubblico idettagli della loro pratica.

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IL MISTICISMO DELLA MERKABAH

Il misticismo della Merkabah, o ma'aseh merkavah, era il nome dato nellaMishnah Hagigah 2 :1, al primo capitolo di Ezechiele. Il termine era usato dairabbini per designare il complesso di speculazioni, omelie e visioni connesseal Trono di Gloria e al carro (merkavah) che lo porta, e a tutto ciò che èincluso in questo mondo divino. Il termine, che non appare in Ezechiele, èderivato da I Cronache 28:18 e si trova per la prima volta con il significato

di misticismo della Merkabah alla fine di Ecclesiastico 49:8: "Ezechiele videuna visione e descrisse i diversi differenti ordini del carro". L'espressioneebraica zarlei merkavah dovrebbe essere interpretata come le diverse vistedella visione del carro in Ezechiele, capitoli 1,8 e 10 o come le diverseparti del carro, che più tardi furono chiamate "le camere del carro" (hadreimerkavah). È stato suggerito che il testo dovesse venire corretto in razeimerkavah ("segreti del carro"). Il carro divino affascinò anche la setta diQumran; un frammento parla degli angeli che lodano "lo schema del Trono delcarro". Nei circoli farisaici e tannatici il misticismo della Merkabah divenneuna tradizione esoterica di cui frammenti diversi erano sparsi nel Talmud enel Midrash, interpretando Hagigah 2:1. Era uno studio alonato da unaparticolare santità e da un particolare periodo. Una baraita in Hagigah 13a,attribuita al I secolo dell'Era Comune, narra la-storia di "Un bambino che

stava leggendo in casa del suo maestro il libro di Ezechiele e apprese checosa era Hashmal (vedasi Ezech. 1:27, JPS, "elettro"), quando un fuoco scaturìda Hashmal e lo consumò". Perciò i rabbini cercavano di nascondere il Libro diEzechiele, cioè di ritirarlo dalla circolazione generale o dal canone biblico.Vi sono molte tradizioni riguardanti, a questo proposito, Johanan b.Zakkai, epiù tardi Akiva. Nel complesso, i dettagli sul comportamento dei rabbini nellostudio della Merkabah si trovano nella Hagigah 2 del Talmud palestinese enella Hagigah f. 12-15 e Shabbat 80b del Talmud babilonese. Secondo ilmanoscritto di quest'ultima fonte la proibizione di tenere lezioni a un grupponon venne sempre osservata e la tradizione aggiunge che un trasgressore, ungalileo recatosi in Babilonia, fu per questo punito e morì. Nel Talmud

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babilonese, Sukkah 28a, il misticismo della Merkabah era proposto come un temaprincipale (dauar gadol), in contrasto con il tema relativamente minore dellacasuistica rabbinica. Tradizioni di questo si trovano, per esempio in Berakhot7a, Hullin 91b, Megillah 24b. e all'inizio di Genesis Rabbah, Tanhuma, MidrashTehillim, Midrash Rabbah a Levitico Cantico dei Cantici ed Ecclesiaste.Parecchie tradizioni sono conservate in Seder Eliyahu Rabbah e in piccolitrattati, come Auot de-Rabbi Nathan e Massekhet Derekh Erez. In contrasto coni frammenti sparsi di queste tradizioni in fonti esoteriche, libri e trattati

che raccolgono e sviluppano il Ma'aseh Merkavah secondo le tendenzepredominanti in diversi ambienti mistici furono scritti al più tardi a partiredal IV secolo. Molti dei trattati includono materiale antico, ma numeroseaggiunte rispecchiano stadi più tardi. Re'uyyot Yehezkiel, di cui fu trovatala maggior parte nella Genizah del Cairo, presenta personaggi storici, e ilcontesto è quello di un Midrash del IV secolo. Brani di un Midrash del II oIII secolo sul Ma'aseh Merkavah furono trovati in pagine di frammenti dellaGenizah (manoscritto Sassoon 522, Cat. Ohel Dawid, p. 48). Queste fonti nonmostrano ancora alcun segno della pseudoepigrafia prevalente in gran partedelle fonti superstiti, qui la maggioranza è formalizzata, e parecchieaffermazioni sono attribuite ad Akiva o Tshmael. Parecchi di questi testi sonoscritti in aramaico, ma in maggioranza sono in ebraico, nello stile usato dairabbini. Molto materiale di questo tipo è stato pubblicato (quasi sempre damanoscritti) in raccolte di Midrashim minori, come Beit ha-Midrash di A.Jellinek (1853-78), Battei Midrashot di S.A. Wertheimer, Sefer ha-Likkutim diE. Gruenhut (18981904), e Beit Eked ha-Aggadot di H. M. Horowitz (1881-84).Merkauah Shelemah (1921) include materiale importante tratto dalla collezionedi manoscritti di Solomon Musajoff. Alcuni dei testi inclusi in questeantologie sono identici, e molti sono corrotti.I più importanti sono: 1) Heikhalot Zutrati ("Heikhalot minori") o HeikhalotR. Akiua, di cui sono stati pubblicati frammenti, molto spesso senza che siriconoscesse l'appartenenza al testo. È in un aramaico molto difficile, e unaparte è inclusa in Merkavah Shelemah come "Tefillat Keter Nora". 2) HeikhalotRabbati ("Heikhalot maggiori", in Battei Midrashot, 1 (1950'), 135-63), cioè iHeikhalot di Rabbi Ishmael, in ebraico. Nelle fonti medievali e negli antichimanoscritti i due libri vengono talora chiamati Hilkhot Heikhalot La divisionedi Heikhalot Rabbati in halakhot ("leggi") è tuttora mantenuta in parecchi

manoscritti, molti dei quali sono suddivisi in 30 capitoli. I capitoli 27-30includono uno speciale trattato che si trova in parecchi manoscritti con iltitolo Sar Torah, composto molto più tardi della parte principale dell'opera.Nel Medioevo il libro era generalmente conosciuto come Pirkei Heikhalot.L'edizione pubblicata da Wertheimer include aggiunte più tarde, alcune dellequali sono shabbatee. La versione di Jellinek (in Beit ha-Midrash, 3, 1938) èlibera da aggiunte, ma risente di molte corruzioni. Il testo relativamentemigliore sembra essere quello del manoscritto Kaufmann 238 n.6 (Budapest). 3)Merkavah Rabbah, di cui una parte si trova in Merkavah Shelemah, attribuitoquasi tutto a Ishmael e in parte ad Akiva. Forse quest'opera conteneva laredazione più antica di Shi'ur Komah ("la misura del corpo di Dio"), che piùtardi venne copiato in manoscritti come un'opera separata che si sviluppò nelSefer ha-Komah, molto popolare nel Medioevo (vedasi G. Scholem, Jewish

Gnosticism... (1965), 36-42). 4) Una versione di Heikhalot, che non ha titoloe che nel Medioevo venne chiamata Ma'aseh Merkavah (G. Scholem, ibid. 103-17).Qui si alternano affermazioni di Ishmael e Akiva. 5) Un altro trattatoelaborato sul modello di Heikhalot Rabbati, ma con dettagli nuovi, differentie in parte sconosciuti; sono stati pubblicati frammenti scoperti nella Genizahdel Cairo, da I. Greenwald, Tarbiz, 38 (1969), 354-72 (addizioni, ibid., 39(1970), 216-7). 6) Heikhalot, pubblicato da Jellinek (in Beitha-Midrash, vol.1988), e più tardi come III Enoch or the Hebrew Book of Enoch (trad. e cura diH. Odeberg, 1928). Purtroppo Odeberg scelse un testo tardo e molto corrottocome base del suo libro, che intendeva realizzare come edizione critica.L'opera, in cui chi parla è R. Ishmael, è prevalentemente formata da

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rivelazioni su Enoch, che divenne l'angelo Metatron, e sulla schiera degliangeli celesti. Questo libro rappresenta una tendenza molto diversa da quellein Heikhalot Rabbati e Heikhalot Zutrati. 7) Il trattato Heikhalot o Ma'asehMerkavah in Battei Midrashot (1 (19502), 51-62) è una elaborazionerelativamente tarda, in sette capitoli, delle descrizioni del trono e delcarro. Nelle ultime tre opere venne operato volutamente un adattamentoletterario per sradicare gli elementi magici, comuni a tutte le altre fontielencate più sopra. Apparentemente erano destinati a venire letti più per

edificazione che per uso pratico da coloro che "si occupavano della Merkabah".8) Il Tosefta al Targum del primo capitolo di Ezechiele (Battei Midrashot, 2(19532), 135-40) appartiene anch'esso a questa letteratura.Un miscuglio di materiale sul carro e la creazione si trova in parecchie fontiaddizionali, soprattutto in Baraita de-Ma'aseh Bereshit e in Otiyyot de RabbiAkiva, che appaiono entrambi in numerose versioni. Il Seder Rabbah de-Bereshitfu pubblicato in Battei Midrashot (1 (19502), 3-48) e in un'altra versione daN. Séd, con una traduzione francese (in REJ, 3-4 (1964), 23123, 259-305). Quila dottrina della Merkabah è connessa alla cosmologia e alla dottrina deisette cieli e degli abissi. Il legame è osservabile anche in Otiyyot de-RabbiAkiva, ma solo la versione più lunga contiene le tradizioni sulla creazione eil misticismo della Merkabah. Entrambe le versioni pervenute fino a noi, conun importante supplemento intitolato Midrash Alfa-Betot, furono pubblicate inBattei Midrashot (2 (19532), 333-465). Mordecai Margaliot scoprì sezioniaddizionali piuttosto lunghe di Midrash Alfa-Betot in diversi manoscrittiinediti. Anche queste opere erano ordinate più a scopo di speculazione e dilettura che per uso pratico da parte dei mistici. La dottrina dei sette cielie delle loro schiere angeliche, come venne sviluppata nel misticismo dellaMerkabah e nella relativa cosmologia, ha anche definiti contesti magici, chesono elaborati nella versione completa di Sefer ha-Razim (a cura di R.Margalioth, 1967), la cui data è ancora oggetto di controversie.Nel II secolo gli ebrei convertiti al Cristianesimo trasmisero chiaramenteagli gnostici cristiani diversi aspetti del misticismo della Merkabah. Nellaletteratura gnostica vi furono molte corruzioni di tali elementi, tuttavia ilcarattere ebraico di questo materiale è ancora evidente, specialmente tra gliofiti. nella scuola di Valentino, e in parecchi testi gnostici e coptiscoperti durante gli ultimi cinquant'anni. Nel Medioevo il termine Ma'aseh

Merkabah fu usato tanto da filosofi quanto da cabalisti per designare ilcontenuto dei loro insegnamenti, ma con significati completamente diversi:metafisica per i primi e misticismo per i secondi.

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METATRON

L angelo Metatron (o Matatron) ebbe una speciale posizione nella dottrinaesoterica dal periodo tannaitico in poi. L'angelologia della letteraturaapocalittica menziona un gruppo di angeli che vedono il volto del loro re esono chiamati "Principi del Volto" (Libro di Enoch etiopico, cap. 40, et al.).

Quando la personalità di Metatron assume una forma più definita nellaletteratura, viene chiamato semplicemente "il Principe del Volto".Nel Talmud babilonese Metatron viene menzionato solo in tre punti (Hag. 15a;Sahn. 38b; e Av. Zar.3b). I due primi riferimenti sono importanti data la loroconnessione con le polemiche condotte contro gli eretici. In Hagigah è dettoche il tanna Elisha b. Avuyah vide Metatron seduto e disse: "forse vi sono duepoteri", quasi indicando lo stesso Metatron come una seconda divinità. IlTalmud spiega che a Metatron era concesso di sedere solo perché era lo scribaceleste che registrava le buone azioni di Israele. A parte questo, afferma ilTalmud, venne dimostrato a Elisha che Metatron non poteva essere una secondadivinità con il fatto che Metatron ricevette 60 "colpi con verghe infocate"

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per provare che non era un dio, bensì un angelo, e poteva essere punito.Questa immagine ricorre frequentemente in contesti diversi nella letteraturagnostica ed è associata a vari personaggi del regno celeste. Si ritienetuttavia che l'apparizione di Metatron a Elisha b. Avuyah lo condusse acredere nel dualismo.Anche l'episodio in Sanhedrin conferisce a Metatron una posizionesovrannaturale. Egli è l'angelo del Signore menzionato in Esodo 23:21, di cuiè detto: "...e ascolta la sua voce; non ribellarti contro di lui... perché in

lui è il Mio nome". Quando uno degli eretici chiese a R. Idi perché è scrittoin Esodo 24:1: "E a Mosè Egli disse 'Vieni al Signore' anziché 'Vieni a Me'",l'amora rispose che il versetto si riferiva a Metatrori "il cui nome è comequello del suo Padrone". Quando l'eretico ribattè che, in tal caso, Metatrondoveva essere adorato come una divinità, R. Idi spiegò che il versetto "nonribellarti contro di lui" doveva essere inteso "non scambiare Me per lui". R.Idi aggiunse che Metatron non doveva essere accettato in questo senso neppurenella sua qualità di messaggero celeste. Alla base di queste dispute vi è iltimore che queste speculazioni su Metatron potessero condurre su un terrenopericoloso. Il karaita Kirkisani lesse nel suo testo del Talmud una versioneancora più estremista: "Questo è Metatron. che è il YHWH minore". È moltoprobabile che questa versione venisse deliberatamente eliminata daimanoscritti.L'epiteto "YHWH minore" è senza dubbio sconcertante, e non è sorprendente chei karaiti trovassero ampi motivi per attaccare i rabbaniti per la suafrequente apparizione nella letteratura da loro ereditata. I karaiti loconsideravano un .segno di eresia e di deviazione dal monoteismo. L'uso diquesto epiteto era quasi sicuramente corrente prima che la figura di Metatronsi cristallizzasse. Le spiegazioni dell'epiteto date nelle ultime fasi dellaletteratura dei Heikhalot (Libro di Enoch ebraico, cap. 12) sono tutt'altroche soddisfacenti. ed è ovvio che si tratta di tentativi di chiarire unatradizione precedente a quei tempi non più rettamente intesa. La tradizioneera connessa con l'angelo Jahoel, menzionato nell'Apocalisse di Abramo(inizio del II secolo) dove è detto (cap. 10) che il Nome Divino (Tetragramma)della Divinità si trova in lui. Tutti gli attributi qui riferiti a Jahoelfurono in seguito trasferiti a Metatron. Di Jahoel si può dire, senzaspiegazioni forzate, che il suo nome è come quello del suo Padrone, il nome,

Jahoel contiene le lettere del Nome Divino, e ciò significa quindi che Jahoelpossiede un potere superiore a quello di tutti gli altri esseri a lui simili.Apparentemente, la designazione "YHWH minore", o "il Signore minore", fuapplicata inizialmente a Jahoel. Prima ancora che Jahoel venisse identificatocon Metatron. designazioni come "il Jaho maggiore'' e ''il Jaho minore"passarono agli gnostici, e sono menzionate in vari contesti nella letteraturagnostica, copta e anche mandeana, in cui Metatron non è mai nominato. Il nomeYorba in mandeano significa infatti "il Jaho maggiore", ma gli è stataassegnata una posizione inferiore come è caratteristico di questa letteraturanel suo trattamento dei concetti tradizionali ebraici.Nella figura di Metatron si sono fuse due tradizioni diverse. Una si riferiscea un angelo celeste che fu creato con la creazione del mondo, o addiritturaprima, e lo rende responsabile dei compiti più elevati nel regno celeste.

Questa tradizione continuò a restare valida anche dopo che Jahoel venneidentificato con Metatron. Secondo questa tradizione, la nuova figura assunsemolti dei doveri specifici dell'angelo Michael, un'idea conservata in certesezioni della letteratura dei Heikhalot fino alla Cabala inclusa, nella cuiletteratura il Metatron primordiale viene talora chiamato Metatron Rabba.Una tradizione diversa associa Metatron a Enoch che "camminò con Dio" (Gen.5:22) e che ascese al cielo e fu trasmutato, da essere umano, in angelo einoltre divenne il grande scriba che registra le azioni degli uomini. Questoruolo era già delegato a Enoch nel Libro dei Giubilei (4:23). La suatrasmutazione e l'ascesa al cielo erano discusse dagli ambienti che seguivanoquesta tradizione e la elaholavano. L'associazione con Enoch si può vedere

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un certo numero di simili esempi di nomi con il suffisso on: Sandalfon,Adiriron eccetera, mentre il raddoppiamento della lettera t è caratteristicodei nomi che si trovano nella letteratura della Merkabah, ad esempio inun'aggiunta a Heikhalot Rabbati, 26:8. Tra le numerose derivazionietimologiche proposte (vedasi Odeberg. 125-42), tre meritano di esserericordate: da matara colui che veglia; da metator, guida o messaggero(menzionato in Sefer ha-Arukh e negli scritti di molti cabalisti); dallacombinazione delle due parole greche meta e thronos, Gome metathronios, nel

senso di "colui che serve dietro il trono". Tuttavia, il dovere di servire iltrono celeste fu associato a Metatron solo in una fase più tarda, e non siarmonizza con le tradizioni precedenti. È molto dubbio che "l'angelo delVolto", il quale compare "per esaltare e ornare il trono in modo confacente",menzionato in Heikhallot Rabbati (cap.12) possa essere Metatron, che non vienenominato in questo contesto. La parola greca thronos non appare nellaletteratura talmudica. L'origine del nome, quindi, resta sconosciuta.In contrasto con la lunga descrizione di Metatron che si trova ne Libro diEnoch ebraico, nella letteratura successiva il materiale che si riferisce alui è disperso, mentre non vi è quasi una mansione nel regno celeste e neldominio di un angelo tra gli altri angeli che non sia associata a Metatron.Questo vale particolarmente per la letteratura cabalistica (Odeberg, 111-25).Ampio materiale tratto dallo Zohar e dalla letteratura cabalistica è statoraccolto da R. Margalioth nella sua opera angelologica Malakhei Elyon (1945,73-108). In libri che trattano la Cabala pratica non vi sono quasi incantesimidi Metatron, benché il suo nome sia menzionato frequentemente in altriincantesimi. Solo l'emissario shabbateo Nehemiah Hayon, a quanto si riferisce.si sarebbe vantato di aver evocato Metatron (REJ 36 (1898), 274).

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LA PROVVIDENZA

La questione della divina provvidenza non appare quasi mai nella Cabala comeproblema separato, e quindi ad essa furono dedicate poche discussioni

dettagliate e specifiche. Nella Cabala, l'idea della provvidenza èidentificata con l'assunto che esista un sistema ordinato e continuo digoverno del cosmo, espletato dalle Potenze Divine - le Sefirot - che sirivelano in tale governo. La Cabala non fa altro che spiegare il modo in cuiopera questo sistema, mentre la sua esistenza non è mai discussa. Il mondo nonè governato dal caso, ma dall'incessante divina provvidenza, che è ilsignificato segreto dell'ordine occulto di tutti i piani della creazione, especialmente del mondo dell'uomo. Colui che comprende il modo d'azione delleSefirot comprende anche i principi della divina provvidenza che si manifestanomediante tale azione. L'idea della divina provvidenza è intessuta in modomisterioso con la limitazione dell'area d'azione della causalità nel mondo.Infatti, sebbene quasi tutti gli eventi che accadono agli esseri viventi, esoprattutto agli uomini, sembrino accadere in un modo naturale, che è quello

della causa e dell'effetto, in realtà gli eventi stessi contengonomanifestazioni individuali della divina provvidenza, che è responsabile ditutto ciò che accade all'uomo, fino all'ultimo dettaglio. In questo senso, ildominio della divina provvidenza è, secondo l'opinione di Nahmanides, unadelle "meraviglie occulte" della creazione. Le attività della natura ("Io vidarò le piogge nella loro stagione", Lev. 26:4 e simili) sono coordinate inmodi occulti con la causalità morale determinata dal bene e dal male nelleazioni degli uomini.Nelle loro discussioni della divina provvidenza, i primi cabalisti ponevano inrisalto l'attività della decima Sehrah, poiché il governo del mondo inferioree precipuamente nelle sue mani. Questa Sefirah è la Shekhinah, la presenza del

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potere divino nel mondo in ogni tempo. È la presenza responsabile dellaprovvidenza di Dio per le Sue creature; ma secondo alcune opinioni l originedella divina provvidenza è invece nelle Sefirot superiori. A questa idea vienedata espressione simbolica, particolarmente nello Zohar, nella descrizionedegli occhi dell'immagine di Adam Kadmon ("Uomo primordiale"). nelle sue duemanifestazioni, come Arikh Anpin (letteralmente "il Volto Lungo", nel senso di"Longanime") o Attikah Kaddishah ("il Santo Antico") e come Ze'eir Anpin ("ilVolto Corto", inteso come "Impaziente"). Nella descrizione degli organi della

testa di Attikah Kaddishah. l'occhio che è sempre aperto viene preso comesimbolo superno dell'esistenza della divina provvidenza, la cui origine ènella prima Sefirah. Questa provvidenza superiore consiste esclusivamente dimisericordia, senza interferenza del giudizio severo. Solo nella secondamanifestazione, cioè quella di Dio nell'immagine dello Ze'eir Anpin, nelladivina provvidenza si trova anche la funzione del giudizio. Perché "...gliocchi del Signore... spaziano su tutta la terra" (Zech. 4:10), e portano lasua provvidenza in ogni luogo, sia per il giudizio che per la misericordia.L'immagine pittorica "l'occhio della provvidenza" è qui intesa comeun'espressione simbolica, che suggerisce un certo elemento nello stesso ordinedivino. L'autore dello Zohar confuta coloro che negano la divina provvidenza ele sostituiscono il caso quale causa importante negli eventi del cosmo. Liconsidera sciocchi, indegni di contemplare la saggezza della divinaprovvidenza, che si abbassano al livello degli animali (Zohar 3:157b).L'autore dello Zohar fa distinzioni tra la provvidenza generale (di tutte lecreature) e la provvidenza individuale (di esseri umani individuali).Quest'ultima, naturalmente, per lui è più importante. Tramite l'attività delladivina provvidenza, abbondanti benedizioni discendono sulle creature; ma ilrisveglio del potere della provvidenza dipende dalle azioni degli essericreati, dal "risveglio dal basso". Un esame dettagliato della questione dellaprovvidenza viene fatto da Moses Cordovero in Shi'ur Kornah ("Misura delCorpo"). Anch'egli concorda con i filosofi e riconosce che la provvidenzaindividuale esiste solo in relazione all'uomo, mentre in relazione al restodel mondo creato la provvidenza è diretta solo verso le essenze generiche.Tuttavia, egli amplia la categoria della provvidenza individuale e stabilisceche "la divina provvidenza vale per le creature inferiori, anche per glianimali, per il loro benessere e la loro morte, e ciò non già per amore degli

animali stessi, bensì per amore degli uomini"; vale a dire, nella misura incui le vite degli animali sono legate alle vite degli uomini, la provvidenzaindividuale vale anche per essi. "La provvidenza individuale non vale per undato bue o un dato agnello, ma per l'intera specie... ma se la divinaprovvidenza si riferisce a un uomo, abbraccia anche la sua brocca, se sirompe, e il suo piatto, se si incrina1 e tutti i suoi averi... se egli deveessere punito o no" (p. 113). Cordovero distingue dieci tipi di provvidenza,dai quali è possibile capire i vari modi d'azione della provvidenzaindividuale tra i gentili e Israele. Questi modi d'azione sono legati ai variruoli delle Sefirot e ai loro canali, che portano l'abbondanza (dellebenedizioni) a tutti i mondi, secondo lo speciale risveglio delle creatureinferiori. Egli include due tipi di provvidenza che indicano la possibilitàdella limitazione della divina provvidenza in certi casi, o addirittura la sua

completa negazione. Inoltre, secondo la sua opinione, a un uomo possonoaccadere cose senza la guida della provvidenza e può avvenire persino che ipeccati di un uomo facciano sì che egli venga abbandonato "alla natura e alcaso", che è l'aspetto di Dio che cela il suo volto all'uomo. Anzi è incerto,di momento in momento, se un particolare evento nella vita di un individuo siadi quest'ultimo tipo, o se sia un risultato della divina provvidenza. "Ed eglinon può essere sicuro... perché chi gli dirà se è tra coloro di cui è detto:'L'uomo giusto è sicuro come un leone'... forse Dio gli ha nascosto il Suovolto, a causa di qualche trasgressione, ed egli è abbandonato al caso" (p.120).Solo nella Cabala shabbatea la divina provvidenza viene nuovamente vista come

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un serio problema. Tra i discepoli di Shabbetai Zevi venne tramandato il suoinsegnamento orale che la Causa della Cause, dell'Ein-Sof ("l'infinito") "noninfluenza il mondo inferiore e non vi sovrintende, e fa sì che la SefirahKeter sia posta in essere e sia Dio, e Tiferet sia Re" (vedasi Scholem,Sabbatai Sevi, p. 862). Questa negazione della provvidenza di Ein-Sof eraconsiderata un profondo segreto tra i credenti, e lo shabbateo AbrahamCardozo, che era contrario a questa dottrina, scrisse che l'esaltazione dellanatura segreta di questo insegnamento deriva dalla conoscenza da parte degli

shabbatei del fatto che questa era l'opinione del greco Epicuro. La"sottrazione" (netilah) della provvidenza ad Ein-Sof (che in questi circoli èdesignata anche con altri termini) si trova in parecchie scuole di pensieroshabbatee, come la Cabala di Baruchiah di Salonicco, in Va-Avo ha-Yom elha-Ayin, che fu duramente attaccato per la preminenza che attribuiva a questaopinione, e in Shem Olam (Vienna 1891) di Jonathan Eybeschuetz. Quest'ultimaopera dedicava parecchie pagine di casuistica a questo problema, al fine diprovare che la provvidenza non ha origine nella Prima Causa, bensì nel Diod'Israele, che è emanato da essa e che viene chiamato da Eybeschuetz"l'immagine delle dieci Sefirot". Questo assunto "eretico", secondo il qualela Prima Causa (o l'elemento più alto della Divinità) non guida affatto ilmondo inferiore, fu tra le principali innovazioni della dottrina shabbatea chescatenarono le ire dei saggi di quel periodo. I cabalisti ortodossi videro inquesto assunto la prova del fatto che gli shabbatei avevano abbandonato lafede nell'unità assoluta della Divinità, che non permette, in questionirelative alla divina provvidenza, una differenziazione tra l'emanante Ein-Sofe le emanate Sefirot. Sebbene 1'EinSof svolga l'attività della divinaprovvidenza tramite le Sefirot, è l'Ein-Sof l'autore di questa veraprovvidenza. Ma negli insegnamenti degli shabbatei, questa qualità della PrimaCausa dell'Ein-Sof è confusa o posta in dubbio.

19

SAMAEL

A partire dal periodo amoraico, Samael è il principale nome di Satana nelGiudaismo. Il nome appare per la prima volta nel racconto della caduta degli

angeli, nel Libro di Enoch ebraico 6, che lo include, benché non al posto piùimportante, nell'elenco dei capi degli angeli che si ribellano a Dio. Leversioni greche del testo ebraico perduto contengono le forme (Sammane) e(Semiel). Quest'ultima forma prende il posto del nome Samael nell'opera grecadel padre della Chiesa Ireneo, quando parla della setta gnostica degli ofiti(si veda più sotto; a cura di Harvey, I, 236). Secondo Ireneo, gli ofitidavano al serpente due nomi, Michael e Samael, che nell'opera greca del padredella Chiesa Teodoreto appare come (Sammane). La versione greca di Enoch usatadal bizantino Sincello conservò la forma (Samiel). Questa mantiene ancora ilsignificato originale derivato dalla parola sami, "cieco", un'etimologia che èrimasta in varie fonti ebraiche e non ebraiche fino al Medioevo. Oltre aSamiel, anche le forme Samael e Sammuel risalgono all'antichità. Questa terzaversione è conservata nell'Apocalisse greca di Baruch 4:9 (del periodo

tannaitico), dove si afferma che l'angelo Sammuel piantò la vite che causò lacaduta di Adamo, e per questo Sammuel fu maledetto e divenne Satana. La stessafonte riferisce nel capitolo 9, in un'antica versione della leggenda delrimpicciolimento della luna, che Samael assunse la forma di un serpente pertentare Adamo, un'idea che fu omessa nelle più tarde versioni talmudiche dellaleggenda.Nell'opera apocalittica "L'ascensione di Isaia", che contiene un miscuglio dielementi ebraici e protocristiani, i nomi Beliar (cioè Belial) e Samaelricorrono fianco a fianco come nomi o sinonimi di Satana. Ciò che vienenarrato di Samael in un passo, in un altro viene detto a proposito di Beliar.Per esempio, Samael dominò il re Manasse e "lo abbracciò", assumendone così la

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forma (cap. 2). Nel capitolo 7, Samael e le sue forze, si dice, sono sotto ilprimo firmamento, una concezione che non concorda con la sua posizione di capodei diavoli. Samael è nominato tra gli "angeli del giudizio" negli OracoliSibillini. 2:215. Nel periodo tannaitico e amoraico, Samael è menzionato comenon allineato con la schiera della Merkabah. Attingendo alla tradizioneebraica. parecchie opere gnostiche chiamano Samael "il dio cieco", e loidentificano con Jaldabaoth, che occupava un posto importante nellespeculazioni gnostiche come uno dei capi o come l'unico capo delle forze del

male. Questa tradizione fu apparentemente tramandata per mezzo degli ofiti("gli adoratori del serpente"), una setta ebraica sincretista. Tradizioniparzialmente ecclesiastiche di questo periodo, come le versionipseudoepigrafiche degli Atti di Andrea e Matteo 24. mantengono il nome Samaelper Satana, riconoscendo la sua cecità. Egli è menzionato come il capo deidiavoli del magico Testamento di Salomone (Testamentum Salomonis) che èessenzialmente un superficiale adattamento cristiano di un testo demonologicoebraico di quel periodo'. Indubbiamente Simyael, "il demone della cecità"menzionato in opere mandeaneh è semplicemente una variante di Samael.Nella tradizione rabbinica il nome ricorre per la prima volta nelleaffermazioni di Yose (forse b. Halafta, oppure l'amora Yose) che durantel'esodo dall'Egitto, "Michael e Samael stettero davanti alla Shekhinah",manifestamente come accusatore e difensore (Es. R. 18:5). Il loro compito èsimile a quello di Samael e Gabriele nella storia di Tamar (Sot. 10b),nell'affermazione di Eleazar b. Pedat. Samael conserva il ruolo di accusatorenel racconto di Hama b. Hanina (c. 26n dell'Era Comune; Es. R. 21:7), che fucom'è noto il primo a identificare Samael con l'angelo custode di Esaù durantela lotta tra Giacobbe e l'angelo. Il suo nome, tuttavia. non appare in GenesisRabbah (a cura di Theodor (1965), 912); ma egli è menzionato nella vecchiaversione del Tanhuma, Va-Yishlah 8. Nella versione parallela. nella Rabbah delCantico dei Cantici 3:6, l'amora fa dire da Giacobbe a Esaù: "il tuo volto èsimile a quello del tuo angelo custode", secondo la versione di MattanotKehunnah (a cura di Theodor). Sorprendentemente, nella sezione del MidrashYelammedenu su Esodo 14:25, Samael svolge una funzione positiva durante ladivisione delle acque del Mar Rosso, spingendo indietro le ruote dei carridegli egizi. In gematria, Samael è l'equivalente numerico dalla parola ofan("ruota", nel manoscritto del British Museum, 752, 136b; e nel Midrash

Ha-Hefez ha-Teiman, che è citato in Torah Shelemah, 14 (1941) a questoversetto).La menzione di Samael quale angelo della morte ricorre per la prima volta inTargum, Jonathan su Genesi 3:6, e questa identificazione appare frequentementein tarde aggadot, specialmente nelle leggende sulla morte di Mosè, alla finedella Rahbah del Deuteronomio, alla fine di Avot de-Rabbi Nathan (a cura diSchechter (1946), 166). In Rabbah del Deuteronomio, 11. Samael è chiamato"Samael il malvagio, il capo di tutti i diavoli". Il nome "Samael il malvagio"è ripetuto costantemente in Heikhalot Rabbati (1948), capitolo 5, una fonteapocalittica. il Libro di Enoch ebraico 14:2 lo riconosce "capo deitentatori'. "più grande di tutti i regni celesti". Questo testo distingue traSatana e Samael: quest'ultimo non è altro che l'angelo custode di Roma(ibid.6: 2fi). In varie tradizioni relative alla ribellione degli angeli in

cielo (PdRE 13-14 (1852), egli è il capo degli eserciti ribelli. Prima dellasconfitta aveva dodici ali e il suo posto era più alto di quello delle hayyot("sante creature celesti") e dei serafini. Gli vengono attribuite moltemansioni: a Samael sono affidate tutte le nazioni, ma non ha potere alcuno suIsraele, se non nel Giorno dell'Espiazione, quando il capro espiatorio serve acorromperlo (ibid. 4fi). Fu lui a cavalcare il serpente durante la caduta diAdamo e si nascose nel vitello d'oro (ibid. 45). In Midrash Avkir, uno deiMidrashim minori, Samael e Michael erano attivi al tempo della nascita diGiacobbe e di Esaù e, persino lungo la via verso l'Akedah (sacrificio) diIsacco, Samael intervenne come accusatore (Gen. R. 56:4). La guerra tra lui eMichael, l'angelo custode di Israele, non si completerà fino alla fine dei

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giorni, quando Samael verrà consegnato a Israele in ceppi di ferro (Gen. R., acura di Albeck, 166, seguendo Mak. 12a, e così pure nei capitoli messianici(pirkei mashiah) in A. Jellinek. Beit ha-Midrash 3 (1938), 66 seg.).Particolari motivi relativi a Samael nell'aggadah di tempi successivi sono:Samael non conosce la via che conduce all'albero della vita, sebbene volinell'aria (Targ. Giobbe 28:7); ha un pelo lunghissimo nell'ombelico, e finchéquesto resterà intatto, il suo regno continuerà. Nell'era messianica, però, ilpelo si piegherà in seguito al grande suono dello shofar, e allora anche

Samael cadrà (Midrash citato in un commento a Piyyutim, manoscritto di Monaco346, 91b). In varie fonti astrologiche ebraiche, che con l'andare del tempoinfluenzarono altri gruppi, Samael era considerato l'angelo di Marte. Questaidea ricorre per la prima volta tra i sabani di Harran, che lo chiamavano MaraSamia ("l'arconte cieco"), e più tardi nella letteratura magico-astrologicacristiana del Medioevo. Egli appare come l'angelo del martedì in Sefer Razi'el(Amsterdam, 1701)! 34b; in Hokhmat ha-Kasdim (a cura di M. Gaster, Studies andTexts, 1 (1925), 350), nel commento di Judah b. Barzillai al Sefer Yezirah(1885), 247, e in molte altre opere. In fonti demonologiche note ai fratelliIsaac e Jacob b. Jacob ha-Kohen, cabalisti spagnoli della metà del XIIIsecolo. si conserva ancora un'eco dell'antica etimologia e Samael è chiamatoSar Suma ("angelo cieco").Nella letteratura più tarda, Samael appare spesso come l'angelo che portò ilveleno della morte nel mondo. Le stesse fonti demonologiche contengono i primiriferimenti a Samael e Lilith quale coppia nel regno dell'impurità. Questefonti sono piene di tradizioni contraddittorie relative ai ruoli di Samael ealla guerra contro Asmodeo, considerato nella sua fonte come l'angelo custodedi Ismaele. Furono costruiti diversi sistemi della gerarchia dei capi deidemoni e delle loro consorti (Tarbiz, 4 (1932/33), 72). Secondo un'opinione,Samael ha due spose, un'idea che appare anche in Tikkunei Zohar (Mantova,1558). La coppia Samael-Lilith è menzionata molte volte nello Zohar, spessosenza che venga specificamente menzionato il nome Lilith (ad esempio "Samael ela sua sposa": essi sono i capi della sitra ahra ("l'altra parte", cioè ilmale). In Ammud ha-Semali di Moses b. Solomon b. Simeon di Burgos,contemporaneo dell'autore dello Zohar, Samael e Lilith costituiscono solol'ottava e la decima Sefirah dell'emanazione di sinistra (malefica). NelloZohar, il serpente è divenuto il simbolo di Lilith, e Samael lo cavalca e ha

rapporti sessuali con esso. Samael è strabico e scuro di carnagione (ZoharHadash, 31, 4) e ha le corna (Tikkunei Zohar in Zohar Hadash 101, 3), forseper influenza dell'idea cristiana delle corna di Satana. Tuttavia, l'immaginedi Satana è collegata al capro in Targum Jonathan a Levitico 9:3. Le schiere ei carri di Samael sono menzionati nello Zohar, parte 2, 111b; parte 3. 29a.Diverse classi di demoni, tutti chiamati Samael, erano note all'autore deiTikkunei Zohar (pubblicati nella parte principale dello Zohar 1:29a). "Vi èSamael e vi è Samael, e non sono tutti lo stesso" .Scongiuri di Samael appaiono spesso nella letteratura magica e nella Cabalapratica. Nella Spagna del XV secolo vi è sviluppato un sistema in cui i capidel demonio erano Samael, il rappresentante di Edom e il suo assistente Amondi No, rappresentante Ismaele. Una leggenda che parla della loro caduta aopera di Joseph della Reina appare in diverse fonti. Dopo che Isaac Luria ebbe

introdotto la consuetudine di non pronunciare il nome di Satana, si diffusel'usanza di chiamarlo Samekh Men (Sha'ar ha-Mizvot (Salonicco, 1852), Esodo:Sha'ar ha-Kavvanot (Salonicco. 1852), Derushei ha-Laylah).

1AZRIEL DI GERONA

Azriel, che visse all'inizio del XIII secolo, non va confuso con ilcontemporaneo Ezra b. Solomon, anch'egli di Gerona, Spagna; questo errore èstato commesso ripetutamente a partire dal XIV secolo. L'opinione di Graetz,

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secondo il quale, per ciò che concerne la storia della Cabala, i due devonoessere considerati come una persona sola, ha perduto la sua validità da quandole opere dei due autori sono state studiate più attentamente. Non si conosconodettagli della sua vita. In una lettera a Gerona, che è pervenuta fino a noi,il suo insegnante, Isaac il Cieco, sembra si opponesse alla sua apertapropagazione delle dottrine cabalistiche in circoli più ampi (Sefer Bialik(1924), 143-8). Il poeta Meshullam Dapiera di Gerona, in varie poesie, losalutò come una guida dei cabalisti di Gerona e come suo maestro. Un

manoscritto di Oxford, scoperto da S. Sachs e contenente le sue presuntediscussioni con avversari filosofici della Cabala, è un plagio di un autenticomanoscritto di Azriel, operato da un autore anonimo di circa un secolo dopo,che lo fece precedere dalla propria autobiografia.La chiara separazione delle opere di Ezra da quelle di Azriel è soprattuttomerito di I. Tishby. Le opere di Azriel hanno uno stile caratteristico e unaterminologia che le distingue. Tutte, senza eccezioni, trattano argomenticabalistici Sono: 1) Sha'ar ha-Sho'el ("La porta dell'interrogante"), unaspiegazione della dottrina delle dieci Sefirot ("Emanazioni divine") in formadi domande e di risposte, con l'aggiunta di una specie di commento dell'autorestesso. Fu stampato per la prima volta a Berlino come introduzione a un librodi Meir ibn Gabbai, Derekh Emunah, "La via della fede" (1850). 2) Commento alSefer Yezirah, stampato nelle edizioni di questo libro, ma attribuito aNahmanides. 3) Un commento alle aggadot talmudiche, di cui un'edizione criticafu pubblicata da Tishby a Gerusalemme nel 1943. Questo commento rappresentauna revisione e, in parte, un importante ampliamento (in questionispeculative) del commento di Ezra b. Solomon, che in particolare chiarisce ledifferenze rispetto alla versione del collega più anziano. 4) Un commentosulla liturgia, in realtà una raccolta di istruzioni per meditazioni mistichesulle preghiere più importanti; in generale appare sotto il nome di Ezra neimanoscritti pervenuti fino a noi. Ampie sezioni sono citate sotto il nome diAzriel nel libro di preghiere di Naphtali Hirz Treves (Thiengen, 1560). 5) Unalunga lettera inviata da Azriel da Gerona a Burgos in Spagna, che tratta difondamentali problemi cabalistici. In alcuni manoscritti, questa lettera èerroneamente attribuita a Jacob b. Jacob ha-Kohen di Soria: fu pubblicata daScholem in Madda'ei ha-Yahadut, 2 (1927), 233-40. 6) Diversi trattati piùbrevi, il più importante dei quali è un'ampia sezione di un'opera parzialmente

conservata. Derekh ha-Emunah ve-Derekh ha-Kefirah ("La via della fede e la viadell'eresia"), oltre a brevi pezzi sul misticismo della preghiera (pubblicatida Scholem in Studies in memory of A. Gulak and S. Klein (1942), 201-22),oltre al trattato ancora inedito sul significato mistico del sacrificio, Sodha-Korban, e l'anonimo Sha'ar ha-Kauvanah, "un capitolo sul significatodell'intenzione mistica", attribuito nei manoscritti ai cabalisti dei tempiantichi" (Scholem, in MGWJ 78 (1934), 492-518).Azriel è uno dei più profondi pensatori speculativi del misticismocabalistico. La sua opera rispecchia molto chiaramente il processo con cui ilpensiero neoplatonico penetrò nella tradizione cabalistica originale, quandoraggiunse la Provenza nel Sefer ha-Bahir: Egli conosceva varie fonti dellaletteratura neoplatonica, da cui cita direttamente alcuni passi. Per ora èimpossibile dire in che modo conobbe concetti appartenenti alla filosofia di

Solomon ibn Gabirol e del pensatore neoplatonico cristiano Giovanni ScotusErigena; ma in qualche modo Azriel dovette essere in contatto con il loro mododi pensare. Significativamente, la posizione e l'importanza della volontà diDio quale massimo potere della divinità, superiore a tutti gli altriattributi, strettamente associata a Dio e tuttavia non identica a Lui,corrispondono alla dottrina di Gabirol. Altri punti, come la coincidenza degliopposti nell'unità divina, che ha un ruolo speciale nell'opera di Azriel,paiono derivare dalla tradizione neoplatonica cristiana. In particolare,Azriel sottolinea la disparità tra l'idea neoplatonica di Dio, che può essereformulata solo per negazioni, e quella del Dio biblico, sul quale si possonofare affermazioni positive e al quale possono essere ascritti attributi. Il

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primo è Ein-Sof, l'Infinito; l'altro è rappresentato dal mondo delle Sefirot,che in varie emanazioni rivela il movimento creativo dell'unità divina. Lalogica mediante la quale Azriel stabilì la necessità dell'assunto chel'esistenza delle Sefirot è un'emanazione del potere divino, è interamenteneoplatonica. Tuttavia, in contrasto con la dottrina di Plotino, questeemanazioni sono viste come processi che avvengono nella divinità, e nongradini extradivini intermedi tra Dio e la creazione visibile. Il processo,invece, si svolge in Dio stesso, cioè tra il Suo essere occulto, di cui non è

possibile dire nulla di positivo, e il Suo aspetto di Creatore di cui ètestimone la Bibbia. Nel sondare i misteri di questo mondo delle Sefirot,Azriel dà prova di grande ardimento. Lo stesso ardimento viene mostrato nellespeculazioni filosofiche che egli legge nell'aggadah talmudica. La Cabala diAzriel non conosce una vera creazione dal nulla, benché usi enfaticamentequesta formula. Tuttavia, egli ne cambia interamente il significato. Il"nulla" da cui tutto fu creato è qui (come per Erigena) solo una designazionesimbolica dell'Essere Divino, che trascende tutto ciò che è comprensibileall'uomo, o della Volontà Divina, che non ha principio.

2NAPHTALI BACHARACH

Bacharach nacque a Francoforte (la data della nascita, come quella dellamorte, è ignota), ma trascorse alcuni anni in Polonia con i cabalisti prima diritornare alla città natale, e nel 1648 pubblicò la sua vasta opera, Emekha-Melekh ("La valle del Re"), una delle opere cabalistiche più importanti. Illibro contiene un'ampia e sistematica esposizione della teologia secondo laCabala lurianica. Era basata su molti autori, ma si appoggiava principalmentealla versione di Israel Sarug, presentata nel libro Limmudei Azilut (1897),che Bacharach incluse quasi integralmente nel proprio libro senza per questoriconoscere il fatto. L'affermazione di Bacharach, di aver portato con sé lefonti della Cabala di Luria da Erez Israel, dove avrebbe vissuto per qualchetempo, non merita credito. Inoltre, egli accusò Joseph Solomon Delmedigo, chediceva suo discepolo, di aver trascritto manoscritti cabalistici in possessodi Bacharach e di averli pubblicati, con considerevoli alterazioni, nei libri

Ta'alumot Hokhmah (1629) e Novelot Hokhmah (1631). Tuttavia, sembra piùprobabile il contrario, e cioè che fosse Bacharach a spigolare nelle opere diDelmedigo e in molte altre fonti senza citarle. Mentre l'interesse diDelmedigo era rivolto agli astratti aspetti filosofici della Cabala, che eglicercava di spiegare a se stesso, Bacharach appare come un cabalista entusiastae fanatico, con una speciale passione per i tratti mistici e non filosoficidella Cabala, la Cabala di Isaac Luria non meno che quella dei primicabalisti. Questo spiega il forte risalto dato a elementi come la dottrinadella sitra ahra ("altra parte", il male) e la demonologia. Bacharachintesseva i vecchi temi cabalisti con quelli più recenti in uno stileelaborato e dettagliato. Senza citare Sarug, che è la sua fonte piùimportante, Bacharach afferma di aver derivato i suoi insegnamenti dai libridi Hayyim Vital, benché capitoli importanti della sua dottrina, come la

dottrina dello zimzum ("il ritrarsi") e tutto ciò che essa comporta, sianocompletamente estranei agli scritti di Vital. La fusione di queste duetradizioni caratterizza il libro, scritto con talento e chiarezza. Inoltre,Bacharach attinse abbondantemente da certe parti di Shefa Tal di R. ShabbetaiSheftel Horowitz (1612). Il suo stile è pervaso da una tensione messianica.Emek ha-Melekh ebbe un grande influsso sullo sviluppo della Cabala più tarda.Venne largamente riconosciuto come una fonte autorevole sulla dottrina diIsaac Luria e venne citato estesamente da cabalisti di molti paesi,soprattutto ashkenazim, il grande Habad Hasidim, e la scuola di Gaon Elijah b.Solomon Zalman di Vilna. La sua influenza è rilevabile anche nella letteraturashabbatea. nel sistema della Cabala di Moses Hayyim Luzzatto, e nel libro

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Kelah [= 138] Pithei Hokhmah. D'altra parte, ben presto furono espresse forticritiche nei confronti dell'opera. Già nel 1655, Hayyim ha-Kohen di Aleppo,discepolo di Hayyim Vital, nell'introduzione al suo Mekor Hayyim (1655),protestava contro la pretesa di Bacharach, che affermava di essere il verointerprete della dottrina di Luria. Le proteste di Benjamin ha-Levi nella suaapprovazione di Zot Hukkat ha-Torah di Abraham Hazkuni (1659) e delpredicatore Berechiah Berach, nella sua introduzione a Zera Berakh (2a parte,1662) contro le presentazioni erronee della Cabala di Luria, erano rivolte a

Bacharach. Moses Hagiz dice in Shever Poshe'im (1714) che Emek ha-Melekh vienechiamato Emek ha-Bakha ("Valle del pianto"). Isaiah Bassan si lamenta con M.H.Luzzatto per la traduzione di numerosi capitoli di Emekh ha-Melekh in latino,riferendosi alla Kabbalah denudata di Knorr von Rosenroth, "che furono tra lecause principali del prolungamento del nostro esilio" (Iggerot Shadal, 29).H.J.D. Azulai, inoltre, scrisse: "Ho sentito dire che nessuno scrittoautentico finì nelle sue mani [di Bacharach]...perciò gli iniziati siastengono dal leggere sia quell'opera sia Novelot Hokhmah". In Emek ha-Melekhvi è un riferimento a molti altri libri di Bacharach su vari aspetti delladottrina cabalistica. Di questi è pervenuta fino a noi solo una parte di Ganha-Melekh sullo Zohar, in un manoscritto di Oxford.

3ABRAHAM MIGUEL CARDOZO

Cardozo nacque nel 1626 a Rio Seco, in Spagna, da una famiglia di marranos.Studiò medicina all'Università di Salamanca e, secondo la sua testimonianza,anche due anni di teologia cristiana. Visse per qualche tempo con il fratelloIsaac a Madrid e nel 1648 lasciò insieme a lui la Spagna e si recò a Venezia.A Livorno ritornò al Giudaismo e più tardi continuò gli studi di medicina eacquisì una considerevole conoscenza rabbinica, studiando con i rabbini diVenezia. Si guadagnava da vivere esercitando la professione medica e godevaanche della fiducia dei non ebrei. Già durante il suo soggiorno in Italia fuassalito da dubbi religiosi e si immerse nelle speculazioni teologiche sulsignificato del monoteismo ebraico. Quasi tutto il suo soggiorno in Italia futrascorso a Venezia e Livorno. Verso il 1659 incominciò una vita di

vagabondaggi, caratterizzata da instabilità, persecuzioni e attività intensa.Secondo una tradizione, si stabilì dapprima a Tripoli, come medico del bey(Meriuat Kadesh, 9), ma secondo la sua testimonianza, prima si recò in Egitto,dove visse per cinque anni, soprattutto al Cairo; qui cominciò a studiare laCabala lurianica. Nel 1663 o nel 1664 arrivò a Tripoli Cardozo era rispettatocome leader religioso da molti membri della comunità, sebbene avesse anchemolti oppositori. Rimase in quella città presumibilmente, per circa diecianni. Quando giunsero le prime notizie su Shabbetai Zevi e Nathan di Gaza,Cardozo divenne, dal 1665, uno dei più fervidi sostenitori del nuovo "messia",e iniziò vaste attività propagandistiche a favore della "fede". Cardozo, cheparlava delle sue molte visioni della redenzione e del messia, persistettenella sua fede anche dopo l'apostasia di Shabbetai Zevi, che giustificava,sebbene si opponesse all'apostasia di altri shabbatei. Alcune delle lunghe

lettere da lui scritte in difesa delle pretese messianiche di Shabbetai Zevitra il 1668 e il 1707 sono state conservate; tra queste Yi sono lettereindirizzate al fratello, al cognato Baruch Enriques, ad Amsterdam, e airabbini di Smirne (J. Sasportas, Zizat Nouel Zeui (1954), 361-8; Zion, 19(1954), 1-22). La più importante di queste apologie teologiche in difesadell'apostasia del messia è Iggeret Magen Auraham (pubblicato da G. Scholem inKovez al-Yad 12 (1938), 121-55). Il trattato attribuito in un manoscritto adAbraham Perez di Salonicco, un discepolo di Nathan di Gaza, è stato oggidefinitivamente riconosciuto come opera di Cardozo. (Un'analisi del trattatosi trova in: G. Scholem, Sabbatai Seui (1973), 814-20.) Durante quegli anni,Cardozo fu in corrispondenza con gli altri capi del movimento, in particolare

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con Nathan di Gaza, Abraham Yakhini e lo stesso Shabbetai Zevi. All'inizio del1673 inviò a Shabbetai Zevi la sua prima opera teologica sulla sua nuovainterpretazione del monoteismo, Boker Auraham. L'opera fu completata a Tripolialla fine del 1672, e ci è pervenuta in molti manoscritti. In essa, Cardozoespone la nuova dottrina: deve essere operata una distinzione tra la PrimaCausa, che non ha connessione alcuna con gli esseri creati, e il Diod'Israele, che è il Dio della religione e della rivelazione, e che si deveadorare studiando la Torah e adempiendo le mizvot, benché Egli stesso emani

dalla Prima Causa.Per oltre trent'anni Cardozo compone molti libri, opuscoli e trattati asostegno di questa teologia paradossale, scatenando controversie tempestose.Nel 1668, quando i rabbini di Smirne lo accusarono di cattiva condotta circal'osservanza delle mizvot, i dayyanim di Tripoli lo difesero in un manifesto,confermando la sua integrità religiosa (manoscritti di Amburgo 312). Tuttavia,egli fu bandito da Tripoli all'inizio del 1673. Rimase a Tunisi fino al 1674,sotto la protezione del sovrano locale, che egli serviva come medicopersonale. Le lettere di scomunica, emanate dai rabbini di Venezia e diSmirne, lo seguirono anche a Tunisi. Nell'autunno del 1674 giunse a Livorno,ma anche lì il consiglio della comunità lo mise al bando, e alla fine dimaggio del 1675 partì per Smirne. Nonostante questo, mantenne stretti rapporticon il gruppo shabbateo di Livorno, guidato da Moses Pinheiro. A Smirne,Cardozo trovò molti shabbatei ed ebbe tra loro molti discepoli. I più noti traquesti furono il famoso predicatore e scrittore Elijah ha-Kohen ha-Itamari,allora molto giovane, e il hazzan Daniel Bonafoux. Il suo gruppo conduceva unavita settaria, distinta da numerose visioni e rivelazioni, in cui un maggidconfermava le teorie shabbatee e teologiche di Cardozo. I rabbini di Smirneerano chiaramente impotenti di fronte alla sua influenza e la loro incessantepersecuzione non ottenne la sua espulsione da Smirne fino alla primavera del1681. In quegli anni, Cardozo cominciò a farsi chiamare "Messiah ben Joseph".Avanzò questa pretesa anche in alcuni suoi libri, sebbene la ritrattasse neisuoi ultimi anni e addirittura negasse di averla mai formulata. Da Smirne sirecò a Brusa, dove rimase due settimane e dove i dotti della città divennerosuoi seguaci. Passò poi a Costantinopoli. Cardozo afferma che durante il suosoggiorno a Rodosto, presso il Mar di Marmara, dove si era recato daCostantinopoli, ricevette lettere dalla vedova di Shabbetai Zevi, che si

offriva di sposarlo quale "capo dei credenti"; e inoltre s'incontrò con lei.Era un periodo di profondo fermento religioso fra gli shabbatei, e Cardozoprofetizzò con forte convinzione che la redenzionesarebbe venuta per la Pasqua del 1682. Quando questa profezia risultòinfondata, Cardozo fu costretto a lasciare in disgrazia Costantinopoli e perquattro anni si stabilì a Gallipoli. In quel periodo, vi fu l'apostasia dimassa a Salonicco, che diede origine alla setta dei doenmeh. Cardozo si opposea questa setta e polemizzò con essa in alcuni suoi scritti (zion, 7 (1942),1420). Abbastanza stranamente, nonostante questo fatto, la letteraturadoenmeh, sia nelle omelie che nella poesia, è piena di elogi per Cardozo, e loconsidera un'autorità. In quegli anni, Cardozo cominciò a dissentire anche neiconfronti del nuovo sistema cabalistico e shabbateo di Nathan di Gaza,opponendovi il suo sistema circa la vera natura di Dio che, secondo lui, era

intesa rettamente solo da lui stesso e da Shabbetai Zevi. Egli chiama questoinsegnamento segreto Sod ha-Elohut ("Segreto della Divinità"). Durante lostesso periodo, visitò per la prima volta Adrianopoli. Nel 1686 ritornò aCostantinopoli, dove visse fino al 1696, sotto la protezione di alcunieminenti diplomatici cristiani, nonostante l'ostilità dei rabbini della cittàche perseguitavano lui e i suoi discepoli. Durante il suo soggiorno a Smirne eCostantinopoli, fu colpito da molte sventure personali, e quasi tutti i suoifigli morirono di peste. Gli avversari lo accusarono di avere relazioniillecite con varie donne e di avere messo al mondo figli illegittimi.Apparentemente, fu costretto a lasciare Costantinopoli quando peggiorarono isuoi rapporti con i consoli che lo proteggevano. Per qualche tempo visse a

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Rodosto, dove si procurò il breve trattato Raza de-Meheimanuta ("Il misterodella Fede") che era stato dettato da Shabbetei Zevi, verso la fine della suavita, a uno dei dotti shabbatei, il quale a sua volta passò il testo aidiscepoli di Cardozo a Costantinopoli. Il trattato, che Cardozo considerava unforte appoggio al suo nuovo sistema cabalistico, ebbe un posto d'onore inquasi tutti i suoi scritti successivi. Da Rodosto, Cardozo cercò ditrasferirsi ad Adrianopoli, ma non ci riuscì a causa dell'opposizione diSamuel Primo, che dopo tre mesi lo fece espellere dalla città. Durante questa

visita vi furono discussioni tempestose tra Cardozo da una parte e Primo e isuoi seguaci dall'altra. Vi sono notizie contrastanti circa la data di questavisita, negli scritti di Cardozo. Ritornò a Rodosto e quindi si recò all'isoladi Chio; e più tardi, dal 1698 o 1699, trascorse alcuni anni a Candia,nell'isola di Creta. Per parecchi anni, Cardozo fu in corrispondenza coneminenti personaggi shabbatei polacchi, come il profeta Heshel Zoref, e fececommenti sull'immigrazione in Erez Israel, nel 1700, di Judah Hasid, HayyimMalakh e il loro gruppo. Cardozo era consapevole del carattere shabbateo diquesta immigrazione, ma l'opposizione dei discepoli di Hayyim Malakh al suosistema lo addolorava. A Candia, Cardozo scrisse alcuni documenti di carattereautobiografico come l'omelia Ani ha-Mekhunneh, pubblicata da C. Bernheimer, ele lettere pubblicate da I.R. Molcho e S. Amarillo.Un tentativo di ritornare a Costantinopoli fallì. Cardozo era convinto cheShabbetai Zevi sarebbe riapparso 40 anni dopo la sua apostasia, nel 1706, eperciò tentò di stabilirsi in Erez Israel. Andò a Jaffa (c. 1703), ma i capispirituali di Gerusalemme e di Safed non lo accettarono nelle loro comunità.Secondo la testimonianza di Abraham Yizhaki (Jacob Emden, Torat haKena'ot,66), Cardozo incontrò Nehemiah Hayon, che a quel tempo viveva a Safed. Cardozoproseguì per Alessandria, e vi rimase per circa tre anni. Fu ucciso dal nipotedurante una lite familiare nel 1706.Tra i capi shabbatei dell'ultimo terzo del XVII secolo, Cardozo spicca perl'originalità e l'eloquenza del suo pensiero. Il suo carattere era erratico, esebbene i fili conduttori del suo pensiero abbiano coerenza e consistenza, isuoi scritti mostrano molte contraddizioni e incoerenze nei dettagli. Lapassione per le visioni e i rituali segreti si unisce in lui ad un interessestraordinario profondo per il pensiero teologico. La sua opera letterariaoscilla tra questi due estremi. Oltre alle pretese messianiche di Shabbetai

Zevi (due di esse in spagnolo, manoscritto di Oxford 2481) e alcune sulla suavita, scrisse molti derushim ("indagini") che non sono omelie bensì studiteologici, nei quali sviluppò il suo sistema di teologia, basato su un certodualismo gnostico con un'inversione di valutazione. Mentre gli gnostici del IIsecolo consideravano il Dio Occulto come il vero Dio, e sminuivanol'importanza del Demiurgo o Creatore (Yozer Bereshit), cioè il Dio d'Israele,Cardozo sminuisce il valore della Prima Causa occulta e pone al posto supremoil significato religioso positivo del Dio d'Israele quale Dio dellarivelazione. I suoi scritti sono pieni di polemiche anticristiane. Egli vedevala dottrina della Trinità come una distorsione della vera dottrinacabalistica. La sua polemica anticristiana è basata su una conoscenza deldogma cattolico. Inoltre, egli attaccò la dottrina dell'incarnazione delMessia, che era accettata dai gruppi shabbatei estremisti. In pratica, Cardozo

aderiva alla tradizione rabbinica e si opponeva all'antinomismo religioso.Tuttavia, i suoi avversari ritenevano che il suo sistema fosse chiaramente inconflitto con i principi fondamentali della teologia ebraica tradizionale,anche nella sua forma cabalistica. Venne proibito di stampare i suoi libri,che furono addirittura bruciati in alcune località, ad esempio a Smirne eAdrianopoli. Un tentativo, compiuto da uno dei suoi discepoli, Elijah Taragon,di pubblicare ad Amsterdam il libro più importante di Cardozo, Boker Avraham,poco dopo la morte dell'autore, fallì a causa dell'intervento dei rabbini diSmirne. D'altra parte, molte copie dei suoi libri erano in circolazione, esono giunti fino a noi più di 30 manoscritti contenenti compilazioni dei suoiderushim. Ebbe discepoli e ammiratori influenti anche in paesi che non aveva

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mai visitato, come il Marocco e l'Inghilterra. Fu in corrispondenza con moltidei suoi seguaci, inclusi alcuni residenti a Gerusalemme, tra il 1680 e il1703.Tra le sue opere teologiche, vanno ricordate l'ampia raccolta di scritti(manoscritto Adler 1653) a New York, l'opera importante Sod Adonai liYre'av,consistente di 24 capitoli (Istituto Ben-Zvi, manoscritto 2269) e Razade-Razin (manoscritto Deinard 351 a New York), scritto contro Samuel Primo. Inquesto libro, egi ricorda di avere scritto 60 derushim. Estratti dai suoi

scritti, oltre a trattati completi, furono pubblicati da. Jellinek ("Derushha-Ketav" in Bet ha-Midrash di Is. H. Weiss, 1865); Bernheimer (JQR, 18(1927/28), 97-127); G. Scholem (Abhandlungen zurErinnerung an EP. Chajes(Vienna, 1933), 324-50; Zion, 7 (1942), 12-28; e Sefunot, 3-4 (1960),245-300); e I.R. Molcho e S.A. Amarillo (ibid.,183-241).Poco dopo la morte di Cardozo, uno dei suoi avversari, Elijah Cohen diCostantinopoli (da non confondere con il famoso rabbino omonimo di Smirne),scrisse una sua biografia ostile, Meriuat Kadesh, che contiene molti documentiimportanti (pubblicata in Inyenei Shabbetai Zeui (1912), 1-40).

4MOSES CORDOVERO

Moses Cordovero nacque nel 1522. Il suo luogo di nascita è ignoto, ma il nomeattesta le origini spagnole della famiglia. Visse a Safed e fu discepolo diJoseph Caro e di Solomon Alkabez, e maestro di Isaac Luria. La sua primagrande opera sistematica è Pardes Rimmonim, che Cordovero completò prima dei27 anni. Dieci anni più tardi finì il suo secondo libro sistematico, l'ElimahRabbati, e scrisse inoltre un lungo commento su tutte le parti dello Zohar,che è conservato in manoscritto a Modena. Morì nel 1570.La dottrina di Cordovero è un sommario e uno sviluppo delle diverse tendenzedella Cabala fino al suo tempo, e l'intera sua opera è un importante tentativodi sintetizzare e costruire un sistema cabalistico speculativo. Questo vienefatto soprattutto nella sua teologia, che è basata sullo Zohar, e inparticolare su Tikkunei Zohar e Ra'aya Meheimna. Poiché Cordovero riteneva chequesto testo fosse tutto di un unico autore, si ritenne in dovere di

armonizzarne le concezioni diverse e talora anche opposte. Cordovero segue iTikkunei Zohar nella sua concezione di Dio quale essere trascendente. Dio è laPrima Causa, un Essere Necessario, essenzialmente diverso da ogni altroessere. In questo concetto di Dio, Cordovero attinge evidentemente dalle fontidella filosofia medievale (specialmente da Maimonide). In armonia con ifilosofi, Cordovero sostiene che nessun attributo positivo si può riferire alDio trascendente. Secondo la sua Opinione, i filosofi avevano ottenuto unrisultato importante epurando il concetto di Dio dall'antropomorfismo.Tuttavia, egli sottolinea che la differenza tra Cabala e filosofia sta nellasoluzione del problema del ponte tra Dio e il mondo. Questo ponte è formatodalla struttura delle Sefirot ("Emanazioni"), emanate da Dio.In questo modo Cordovero tenta di unificare il concetto di Dio come Esseretrascendente con il concetto personale. Quindi, il problema centrale della sua

teologia è la relazione tra Ein-Snf (il Dio trascendente) e la questione dellanatura delle Sefirot. sono sostanza di Dio o soltanto kelim ("strumenti" o"vasi")? La risposta di Cordovero a questo interrogativo è una sorta dicompromesso tra lo Zohar e Tikkunei Zohar: le Sefirot sono nel contemposostanza e kelim. Sono esseri emanati da Dio, ma in essi è immanente la Suasostanza. Cordovero descrive le Sefirot come strumenti o utensili con cui Diocompie le Sue varie attività nel mondo, e come i vasi contenenti la sostanzadivina, che le permea e dà loro vita, allo stesso modo in cui l'anima dà vitaal corpo. Con questo atteggiamento, Cordovero vuole conservare, da una parte,il concetto del Dio semplice e immutabile, e dall'altra vuole mantenere laprovvidenza di Dio nel mondo. Sebbene questa provvidenza sia talvolta

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descritta come un'immanenza sostanziale di Dio in tutti i mondi, Cordovero haqualche riserva al riguardo. In Pardes Rimmonim esiste una distinzione tra ilDio trascendente, che non subisce alcun processo, e la luce da Lui emanata,che si diffonde attraverso le Sefirot. Questa espansione emanata non haun'esistenza necessaria, ma è attivata dalla volontà spontanea di Dio. Ciòspiega il coinvolgimento della volontà in ogni atto divino: il Dio attivo è ilDio unito nella Sua volontà.È comprensibile, quindi, perché la volontà di Dio ha un posto tanto decisivo

nel sistema di Cordovero. Anche qui insorge lo stesso interrogativo: quale èla relazione tra Dio e la Sua volontà? La risposta di Cordovero ha caratteredialettico. Di per sé, la volontà è un'emanazione, ma ha origine da Dio in unasuccessione di volontà che si avvicinano asintoticamente alla sostanza di Dio.Il processo dell'emanazione delle Sefirot è descritto da Cordovero come unprocesso dialettico. Per rivelarsi, Dio deve nascondersi. Questo occultamentoè in se stesso il porsi in essere delle Sefirot. Solo le Sefirot rivelano Dio,perché "il rivelarsi è la causa dell'occultamento, e l'occultamento è la causadel rivelarsi". Il processo d'emanazione avviene tramite una costante dinamicadi aspetti interiori entro le Sefirot. Questi aspetti formano un processoriflessivo entro ogni Sefirah, che si riflette nelle sue diverse qualità;inoltre, questi aspetti hanno una funzione nel processo d'emanazione, essendoi gradi interni che derivano uno dall'altro. secondo il príncipio dicausazione. .Solo questo processo interiore, che non è altro che un'ipostasidegli aspetti riflessivi, permette l'emanazione delle Sefirot; l'unadall'altra. I processi interiori hanno un'importanza particolare per quantoriguarda la prima Sefirah, la volontà. Dopo la serie delle volontà, che sonogli aspetti del "Keter" ("corona") nel "Keter", appaiono in "Hokhmah"("saggezza") nel "Keter", aspetti che esprimono il pensiero potenziale ditutto l'Essere non ancora in atto. Cordovero chiama questi pensieri "i re diEdom che morirono prima del regno di un re in Israele". Questa idea apparenello Zohar, ma Cordovero ne inverte il significato. Nello Zohar è unadescrizione mitologica delle forze del giudizio severo (din) che furonoconcepite nel Pensiero Divino e. per la loro estrema severità, furono abolitee morirono, mentre secondo Cordovero questi pensieri furono aboliti perché noncontenevano sufficiente giudizio (din). Cordovero concepisce il giudizio (din)come una condizione necessaria per la sopravvivenza di qualunque esistenza.

Ciò che è troppo vicino all'abbondanza dell'infinita compassione di Dio nonpuò esistere, e perciò i pensieri più alti furono aboliti, e quindi le Sefirotpoterono venire formate solo quando l'emanazione raggiunse la Sefirah di Binah("intelligenza") che già contiene il giudizio (din).L'intero mondo dell'emanazione è costruito e consolidato da un dupliceprocesso, quello di oryashar ("luce diretta"), le emanazioni verso il basso, equello di or hozer ("luce riflessa"), il riflesso dello stesso processo versol'alto. Questo movimento riflesso è anche l'origine di din.La transizione del mondo dell'emanazione al mondo inferiore è continua. Quindiil problema della creazione ex nihilo non esiste in relazione al nostro mondo.ma riguarda solo la transizione dal divino "Nulla" (Ayin) al primo Essere, gliaspetti superiori della prima Sefirah. Nonostante i tentativi compiuti daCordovero per eliminare questa transizione, la sua posizione è teistica: la

prima Sefirah è al di fuori della sostanza di Dio. Questo impedisce ogniinterpretazione panteistica del sistema di Cordovero. L'immanenza dellasostanza divina nelle Sefirot e in tutti i mondi è sempre avvolta nel primovaso, sebbene Cordovero accenni parecchie volte a un'esperienza mistica in cuiviene rivelata l'immanenza di Dio nel mondo. In questo senso esoterico, forseil sistema di Cordovero può essere definito panteistico.Oltre ai suoi due principali libri sistematici, Pardes Rimmonim (Cracovia,1592) ed Elimah Rabbati (Leopoli, 1881), furono puhblicate separatamente leseguenti parti del suo commento allo Zohar: l'introduzione al commento alleIdrot, Shi'ur Komah (Varsavia, 188~); e un'introduzione al "Cantico deiCantici" dello Zohar, Derishot be-Inyanei Malakhim (Gerusalemme, 1945). La

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pubblicazione del commento completo è iniziata a Gerusalemme, e fino al 1973erano apparsi sette volumi.Altre opere pubblicate sono: Or Ne'erav (Venezia, l587); Sefer Gerushin(Venezia, c. 1602); Tefillah le-Moshe (Przemysl, 1892); Ziuhei Shelamim(Lublino, 1613); Perush Seder Auodat Yom ha-Kippurim (Venezia, 15~7); TomerDevorah (Venezia, 1589; trad. L. Jacobs, Palmtree of Deborah, 1960). Inquest'opera Cordovero pose le fondamenta della letteratura etica cabalistica,che proliferò tra il XVI e il XVIII secolo. Nei suoi brevi capitoli. istruiva

ogni ebreo sul giusto metodo da seguire per avvicinarsi a ciascuna delle dieciSefirot e identificarsi spiritualmente con esse. Questo breve trattatoinfluenzò molti moralisti cabalisti a Safed e nell'Europa orientale. Vi sonodue versioni abbreviate di Pardes Rimmonim: Pelah ha-Rimmon (Venezia 1600) diMeneham Azariah di Fano, e Asis Rimmonim (Venezia, 1601), di Samuel Gallico.

5JONATHAN EYBESCHUETZ

Eybeschuetz, ragazzo prodigio, studiò in Polonia, in Moravia e a Praga. Ingioventù dopo la morte del padre, studiò a Prossnitz con Meir Eisenstadt edEliezer ha-Levi Ettinger, suo zio, e a Vienna con Samson Wertheimer. Sposò lafiglia di Isaac Spira, L'av bet din di Bunzlau. Dopo aver viaggiato perqualche tempo. nel 1715 si stabilì a Praga e col tempo divenne capo dellayeshivah e predicatore famoso. A Praga ebbe molti contatti con il clero el'intellighentsia, con cui discusse argomenti religiosi e questioni di fede.Divenne amico del cardinale Hasselbauer e discusse con lui questionireligiose; grazie al suo aiuto, ottenne il permesso di stampare il Talmud,omettendo i passi che contraddicevano i principi del Cristianesimo. Irritatida questo fatto. David Oppenheim e i rabbini di Francoforte fecero revocare lalicenza di stampa.Gli abitanti di Praga tenevano Eybeschuetz in grande stima e lo consideravanosecondo solo a David Oppenheim. Nel 1725 fu tra i rabbini praghesi chescomunicarono la setta shabbatea. Dopo la morte di David Oppenheim (1736), funominato dayyan di Praga. Eletto rabbino di Metz nel 1741, divennesuccessivamente rabbino delle "Tre Cumunità", Altona. Amhurgo e Wandsbek

(1750). Sia a Metz che ad Altona ebbe molti discepoli e fu considerato ungrande predicatore.La sua posizione nelle Tre Comunità, tuttavia, fu minata quando scoppiò ladisputa sulle sue sospette tendenze shabbatee. La controversia accompagnòEybeschuetz per tutta la vita, e il dissidio ebbe ripercussioni in ognicomunità, dall'Olanda alla Polonia. Il suo principale avversario fu JacobEmden, anch'egli famoso talmudista e suo rivale nella candidatura al rabbinatodelle Tre Comunità. Il dissidio portò a una grande disputa pubblica che divisei rabbini di quei tempi. Sebbene in maggioranza i rabbini tedeschi siopponessero a Eybeschuetz, questi aveva l'appoggio di quelli della Polonia edella Moravia. Un vano tentativo di mediazione fu compiuto da Ezekiel Landau,rabbino di Praga. Quasi tutta la comunità di Eybeschuetz gli era fedele, eaccettò con fiducia la sua confutazione delle accuse mossegli dall'avversario;

ma il dissenso raggiunse tali livelli che entrambe le parti in causa siappellarono alle autorità di Amburgo e al governo danese per un arbitrato. Ilre fu favorevole a Eybeschuetz e ordinò nuove elezioni, che portarono alla suariconferma. Tuttavia la polemica letteraria continuò, inducendo anche moltidotti cristiani a partecipare; alcuni di loro, convinti che Eybeschuetz fossesegretamente cristiano, si schierarono in sua difesa. Dopo la sua rielezione arabbino delle Tre Comunità, alcuni rabbini di Francoforte, Amsterdam e Metz losfidarono a presentarsi davanti a loro per rispondere ai sospetti nati neisuoi confronti. Eybeschuetz rifiutò, e quando la questione fu portata davantial Consiglio delle Quattro Terre nel 1753, questo emise parere a suo favore.Nel 1760 il dissidio scoppiò di nuovo, quando alcuni elementi shabbatei furono

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scoperti tra gli studenti della yeshivah di Eybeschuetz. Nel contempo suofiglio minore, Wolf, si presentò come profeta shabbateo. con il risultato chela yeshivah venne chiusa. Quando Moses Mendelssohn si recò ad Amburgo nel1761, Evbeschuetz lo trattò con grande rispetto, e pubblicò una lettera su dilui (Kerem Hemed, 3 (1838), 224-5), incontrovertibile testimonianza del fattoche Eybeschuetz conosceva bene l'ideologia di Mendelssohn. Evbeschuetz morìnel 1764, intorno alla settantina.Eybeschuetz fu considerato non solo uno dei più grandi predicatori del suo

tempo ma anche uno dei giganti del Talmud, acclamato per il suo acume e per ilsuo intelletto particolarmente incisivo. Sono state pubblicate trenta dellesue opere nel campo della halakhah. Il suo metodo d'insegnamento destò grandeentusiasmo tra i pilpulisti, e le sue opere, Urim ve-Tummin su Hoshen Mishpat(1775-77), Kereti u-Feleti su Yoreh De'ah (1763), e Benei Ahuuah su Maimonide(1819) furono considerate capolavori della letteratura pilpulistica. Ancoraoggi sono ritenute classici dagli studiosi del Talmud. Sono uniche, in quantoi numerosi pilpulim inclusi in esse sono quasi sempre basati su principichiari e logici che conferiscono loro un valore permanente. Le sue opereomiletiche. Ahavat Yonatan (1776), Ya'arot Devash. Tiferet Yonatan (1819)ebbero egualmente molti ammiratori. Nelle generazioni successive la sua famafu sostenuta da tali opere. Poiché (escluso Kereti u-Feleti) i suoi scrittinon vennero stampati durante la sua vita, è chiaro che la sua grande influenzatra i contemporanei doveva derivare dalla potenza del suo insegnamento orale edalla sua personalità, molto lodati da parecchi autori. Tra i suoi libri sullaCabala, uno solo venne stampato, Shem Olam (1891), ma durante la sua vitaEybeschuetz fu considerato un grande cabalista.Le opinioni sono tuttora divise circa la valutazione di questo personaggiosorprendente; i sostenitori e i detrattori gareggiano tra loro constraordinaria intensità. La grande acredine che circonda le controversie sullaquestione dei suoi rapporti segreti con gli shabbatei nasce appunto dal fattoche egli è riconosciuto come un vero maestro della Torah. Era difficilecredere che un uomo il quale aveva firmato un herem contro gli shabbateipotesse nutrire in segreto le loro credenze. I sospetti contro di lui nacqueroin due occasioni: nel 1724, con l'apparizione di un manoscritto intitolatoVa-Avo ha-Ylm el ha-Ayin. che gli shabbatei, e anche molti dei suoi stessistudenti, attribuirono a lui. Il libro (conservato in manoscritto) è

indiscutibilmente un'opera shabbatea. Anche dopo che egli ebbe firmato ilherem contro gli shabbatei, i sospetti non si placarono, e evidentementeimpedirono che venisse eletto rabbino di Praga. Nel 1751, la disputa divenneancora più virulenta quando alcuni amuleti scritti da Eybeschuetz a Metz e adAltona furono aperti. Jacob Emden li decifrò e scoprì che contenevano formuleindiscutibilmente shabbatee (Sefat Emet, 1752). Eybeschuetz negò che gliamuleti avessero un significato logico continuo, sostenne che consistevanosemplicemente di "Nomi Sacri" (Luhot Edut, 1755) e diede addiritturaun'interpretazione basata sul suo sistema. Gli avversari ribatterono che lavera interpretazione degli amuleti si poteva scoprire mediante l'opera a luiattribuita, Va-Avo ha-Yom el ha-Ayin, e che potevano e dovevano avere uncontenuto significativo. La ricerca storica ha portato a tre diverse ipotesicirca i rapporti di Eybeschuetz con lo Shabbateanismo: che egli non fu mai

shabbateo e che i sospetti al riguardo erano completamente infondati (Zinz,Mortimer Cohen, Klemperer); che egli fu shabbateo in gioventù, ma poi voltò lespalle alla setta al tempo del herem del 1725 (Bernhard Baer, Saul PinhasRabinowitz); che egli era criptoshabbateo, da quando studiò a Prossnitz ePraga fino al termine della sua vita (Graetz, David Kahana, Scholem,Perlmutter). Un'interpretazione delle sue credenze cabalistiche deveegualmente dipendere dai suoi rapporti con lo Shabbateanismo. Alcuni ritengonoche il libro Shem Olam, che tratta la spiegazione filosofica della natura diDio, sia un'opera il cui insegnamento cabalistico si limita a confermareprecedenti insegnamenti cabalistici accettati generalmente (Mieses); altrigiudicano il libro indubbiamente shabbateo nella sua concezione di Dio

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(Perlmutter). Altri ancora credono che l'opera sia una falsificazione o chefosse attribuita a Eybeschuetz erroneamente (Margulies). La riGerca piùrecente ha mostrato una stretta relazione fra Shem Olam e Va-Avo ha- Yom elha-Ayin.

6JOSEPH GIKATILLA

Joseph Gikatilla (o Chiquatilla) nacque nel 1248 a Medinaceli in Castiglia evisse molti anni a Segovia. Tra il 1272 e il 1274 studiò con Abraham Abulafia,che lo elogiò come il suo allievo migliore. Gikatilla, che all'inizio fufortemente influenzato dal sistema estatico e profetico di cabalismo diAhulafia, ben presto mostrò una maggiore affinità per la filosofia.La sua prima opera pervenuta fino a noi, Ginnat Egoz (1615), scritta nel 1274,è un'introduzione al simbolismo mistico dell'alfabeto, dei punti vocalici edei Nomi Divini. Il titolo deriva dalle iniziali degli elementi cabalisticigematria ("numerologia"), notarikon ("acrostica"), temurah ("permutazione").Come il suo mentore, anche Gikatilla collega questa tradizione mistica alsistema praticato da Maimonide. L'opera non accenna alla teoria teosoficadelle Sefirot adottata più tardi da Gikatilla. Le Sefirot sono quiidentificate con il termine filosofico "intelligenze". D'altra parte, l'autoremostra di conoscere le rivelazioni teosofiche di Jacob b. Jacob ha-Kohen diSegovia, sebbene quest'ultimo non venga da lui menzionato. Anche molti deglialtri scritti di Gikatilla trattano la teoria delle combinazioni di lettere edel misticismo dell'alfabeto. Tuttavia, tra il 1280 e il 1290, Gikatilla entròin contatto con Moses b. Shem Tov de Leon, e da quel momento i dueesercitarono un'influenza reciproca, l'uno sull'evoluzione cabalisticadell'altro.Prima di Ginnat Egoz, Gikatilla aveva scritto un commento al Cantico deiCantici (ma non quello nel manoscritto di Parigi 790, che si presenta comescritto da Gikatilla nel 1300 a Segovia). Quest'opera sostiene la dottrinadelle Shemittot, una teoria di cicli cosmici, esposta nel Sefer ha-Temunah.Inoltre, Gikatilla compilò Kelalei ha-Mizvot, che spiega le mizuot medianteun'interpretazione letterale della halakhah (manoscritto di Parigi 713); un

certo numero dipiyyutim (Habermann, in Mizrah u-Ma'arau, 6 (1932), 351;Gruenwald, in Tarbiz. 36 (1966/67), 73-89), alcuni dei quali dedicati a temicabalistici; e Sefer ha-Meshalim, un libro di parabole cui aggiunse il suocommento, i cui precetti etici erano vicini ai principi cabalistici. (Leparabole furono pubblicate da I. Davidson, in Sefer ha-Youel shel "Hadoar"(1927), 116-22; il libro con commento, nel manoscritto di Oxford 1267).Sebbene Gikatilla abbia scritto numerose opere sulla Cabala, molte altre glisono state attribuite erroneamente. A. Altmann, per esempio, ha dimostrato cheGikatilla non fu l'autore del lungo Sefer Ta'amei ha-Mizvot, che, scritto daun ignoto cabalista intorno al 1300 e attribuito anche a Isaac il Cieco. ebbeuna vasta diffusione. Diversi trattati attribuiti a Gikatilla attendono ancorachiarimenti circa i loro veri autori.L'opera cabalistica più influenzata di Gikatilla, scritta prima del 1293, è

Sha'arel Orah (1559, nuova edizione a cura di J. Ban-Shlomo,Gerusalemme,1970), una spiegazione dettagliata del simbolismo cabalistico edelle designazioni delle dieci Sefirot, partendo dall'ultima e salendo finoalla più alta. Gikatilla adottò un sistema intermedio tra quello della scuoladei cabalisti di Gerona e lo Zohar. È uno dei primi scritti che mostra una.conoscenza di parti dello Zohar, sebbene si allontani dalla linea di questosotto diversi punti di vista fondamentali.Sha'arei Zedek (1559) offre un'altra spiegazione della teoria delle Sefirot,seguendo il loro ordine normale. Altre opere pubblicate di Gikatilla sono:Sha'ar ha-Nikkud (1601), un trattato mistico sul significato delle vocali;Perush Haggadah shel Pesah, un commento cabalistico. sulla Haggadah della

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Pasqua (1602); numerosi saggi su vari argomenti (pubblicati in Sefer Erezba-Levanon, a cura di Isaac Perlov, Vilna, 1899). Opere cabalistiche rimastein manoscritto sono: trattati mistici su certe mizvot; un commento sullaVisione del Carro di Ezechiel (numerosi manoscritti); e considerevoli porzionidi un commento biblico che continua il sistema seguito in Ginnat Egoz(manoscritto a JTS, New York, Deinard 451). Un'opera suila Cabala praticaesisteva ancora nel XVII secolo (Joseph Delmedigo, Sefer Novellot Hokhmah(1621), 195a). Una raccolta di responsa cabalistici su vari punti della

halakhah, della seconda metà del XIV secolo, è stata attribuita erroneamente aGikatilla. Joseph Caro se ne servì nel suo libro Beit Yosef. Problemi relativialla Cabala posti a Joshua b. Meir ha-Levi da Gikatilla esistono inmanoscritto, Oxford, 1565. Sono pervenute fino a noi anche numerose preghiere,come Tefillatha-Yihud, Me'ahPesukim ("100 versetti" sulle Sefirot) e Pesukimal-Shem ben Arba'im u-Shetayim Otiyyot ("Versetti sul Nome Divino di 42lettere"). Commenti su Sha'arei Orah furono scritti da un anonimo cabalistadel XIV secolo (G. Scholem, Kitvei Yad beKabbalah (1930), 80-83) e daMattathias Delacrut (incluso in molte edizioni). Un sommario fu tradotto inlatino dall'apostata Paulus Ricius (1516).Gikatilla, che morì intorno al 1325, fece un tentativo originale di fornireun'esposizione dettagliata e tuttavia lucida e sistematica del cabalismo. Fuconsiderato da molti il principale esponente della dottrina che equiparal'infinito Ein-Sof alla prima delle dieci Sefirot. La concezione fu respintadalla maggioranza dei cabalisti a partire dal secolo XVI, ma le sue operecontinuarono ad essere molto stimate e furono pubblicate in molte edizioni.

7NEHEMIAH HAYON

A causa delle dispute accanite incentrate su Hayon, le notizie circa la suavita sono piene di contraddizioni ed è necessario sottoporle al vagliocritico. I suoi antenati venivano da Sarajevo, in Bosnia. Di là, suo padre sitrasferì in Erez. Israel dopo aver trascorso parecchi anni in Egitto dove,secondo la sua stessa testimonianza, nacque Hayon (c. 1655). Da bambino, fucondotto a Gerusalemme; crebbe a Shechem (Nablus) e a Gerusalemme, e studiò

con Hayyim Abulafia. All'età di 18 anni ritornò a Sarajevo con il padre, e làsi sposò. I suoi nemici sostennero che da quel tempo in poi si rese noto perle sue avventure. Viaggiò molto nei Balcani e trascorse parecchi anni aBelgrado, fino a quando la città venne occupata dall'Austria nel 1688. Forseaccompagnò il padre, inviato come emissario in Italia per riscattare iprigionieri di Belgrado. Secondo la testimonianza di Judah Brieli, Hayon era aLivorno nel 1691. Più tardi prestò servizio per breve tempo nel rahbinato diSkoplje (Uskub) in Macedonia, per raccomandazione di uno dei grandi rabbini diSalonicco.Ritornò in Erez Israel intorno al 1695, e visse per parecchi anni a Shechem(Nablus). Dopo la morte della prima moglie, sposò la figlia di uno dei dottidi Safed. Hayon era versato nella tradizione essoterica ed esoterica. Findalla giovinezza, fu attratto dalla Cabala e conobbe intimamente i gruppi

shabbatei. La sua dottrina cabalistica elude la questione delle pretesemessianiche di Shabbetai Zevi, ma è basata su principi comuni alloShabbateanismo. Quando Hayon ricevette il breve trattato Raza de Meheimarluta("Il mistero della Vera Fede"), attribuito a Shabbetai Zevi dai suoi settari,affermò di averlo scritto lui stesso: gli era stato rivelato, disse, da Elijaho dall'angelo Metatron. Cambiandone il titolo in Meheimanuta de-Kholla,incominciò a scrivere un commento dettagliato. Nel frattempo, visse per brevetempo a Rosetta, in Egitto, e a partire da quel periodo divenne noto per lesue attività di Cabala pratica. Quando ritornò a Gerusalemme (intorno al1702-05), sorse una forte ostilità tra lui e R. Ahraham Yizhaki, che per moltianni lo bersagliò di accuse (pur senza accusarlo mai direttamente di

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Shahhateanismo). Più tardi. Hayon ritornò a Safed. e di là passo a Smirneevidentemente con l'intenzione di pubblicare il suo lungo commento aMeheimanu-ta de-Kholla e di trovare sostenitori per fondare una yeshivah, cheintendeva creare a Gerusalemme. Quando tornò in questa città, i rabbinicominciarono a non dargli tregua, e lo costrinsero a lasciare Erez Israel.Andò allora in Italia, passando dall'Egitto (1710-11). Secondo latestimonianza di Joseph Ergas. di Livorno (e nipote di uno shahhateo famoso.Moses Pinheiro). Hayon gli rivelò la sua fede in Shahhetai Zevi. Nel 1711 a

Venezia pubblicò un volumetto. Raza de'Yihud-l, sul significato nel versettosull'unità di Dio, Shema Yisrael, come edizione abbreviata della sua opera piùampia alla quale aggiunse, nel contempo. un secondo commento. I rabbini diVenezia approvarono il libro, senza comprenderne l'intento. L'opera nonsuscitò controversie. Più tardi, Havon si trasferì a Praga dove fu ricevutocon grande onore negli ambienti eluditi e ottenne viva approvazione per la suaopera principale. che ora portava il titolo di Oz le-Elohim. e per DivreiNehemyah un libro di sermoni. David Oppenheim approvò Divrei Nehemyah e Hayonalterò l'approvazione in modo che includesse anche l'opera cabalistica oz1e-Elohim. R. Naphtali Cohen. che all'inizio aveva fatto amicizia con Hayon lotenne a distanza quando si sparse la voce che lo collegava ai doenmeh (vedasip.328) di Sallonico. Hayon, passando per la Moravia e la Slesia, si recò aBerlino dove, nel 1713, sostenuto dai ricchi membri di quella comunità. riuscìa pubblicare Oz 1e-Elohim. Era una grande audacia. da parte di Hayon,pubblicare un testo che in molti manoscritti veniva allora presentato comeopera di Shabbetai Zevi. Con grande acume. cercò di provare nei suoi duecommenti che questa dottrina era saldamente basata sui testi classici dellaCabala. In alcuni passi. criticava gli insegnamenti di Nathan di Gaza e diAhraham Miguel Cardozo. sebbene la sua dottrina fosse fondamentalmente vicinaa quella della stesso Cardozo. Le innovazioni di Hayon consistevano in unanuova formulazione dei principi governanti l'inizio dell'Emanazione e nelladifferenza tra la Prima Causa, che egli chiama "Nishmata de-Kol Hayyei"("Anima di tutti gli esseri viventi"), e l'Ein-Sof ("l'Essere Infinito"). Ciòche i cabalisti chiamano Ein-Sof è secondo la sua opinione solo l'estensionedell'Essenza di Dio), o il Shoresh ho-Ne'lam ("la Radice occulta". cioè Dio):ma abbastanza paradossalmente la sua Essenza è finita e possiede una strutturadefinita. Shi'ur Komah ("Misura del Corpo di Dio"). Hayon riteneva che la

dottrina dello Zimzum ("il ritrarsi") di Isaac Luria dovesse venire intesaletteralmente e non allegoricamente. La sua dottrina dei tre parzufimsuperiori ("aspetti o controfigurazioni di Dio"), attika kaddish, malkakaddisha e Shekhinah differisce dalle teorie di altri shahhatei solo neidettagli e nella terminologia. Il suo libro può essere definito uno stranomiscuglio di teologia fondamentalmente shabbatea e di acume esegetico, grazieal quale egli leggeva la nuova tesi nello Zohar e negli scritti lurianici.Premise al suo libro un lungo saggio in cui sosteneva. evidentemente alludendoalle fonti non ortodosse del suo pensiero. che è lecito apprendere la Cabalada chiunque, non soltanto da coloro che si adeguano ai criteri ortodossitradizionali Divrei Nehemyah conteneva un lungo. ambiguo sermone, nel qualeera possibile vedere una difesa indiretta dell'apostasia della setta deidoenmeh di Salonicco. ma che poteva anche essere interpretato come una critica

nei loro confronti. Nel giugno 1713 Hayon lasciò Berlino e si recò adAmsterdam. Apparentemente. conosceva le segrete tendenze shabhatee di SolomonAyllon, rabbino della congregazione sefardita. In effetti Hayon ebbe laprotezione di Ayllon, del suo bet din e dei parnasim della comunità. Tuttaviasi scatenò una lotta accanita e complessa tra i sostenitori di H. ayon equelli di Zevi Ashkenazi. il rabbino della comunità ashkenazi e di Moses Hagizil quale era al corrente dei precedenti dissidi di Hayon in Erez Israel ericonobbe l'"eresia" shabbatea nelle sue opinioni quando venne effettuato unesame del libro. Nella controversia si mescolarono fattori pertinenti (le vereconcezioni di Hayon e il suo Shabbateanismo) e fatti personali (ilcomportamento arrogante di Zevi Ashkenazi e gli antagonismi privati). In

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sostanza, gli accusatori di Hayon avevano ragione. ma da un punto di vistaformale e procedurale aveva ragione il bet din sefardita. Il conflitto suscitòforte scalpore dapprima ad Amsterdam nell'estate e nell'inverno del 1713 e poisi diffuse in altri paesi. Naphtali Cohen si scusò per la precedenteapprovazione accordata a Hayon e lo scomunicò. Altrettanto fecero vari rabbiniitaliani, ai quali entrambe le parti in causa si rivolsero chiedendo il loroappoggio. I principali furono Judah Brieli di Mantova e Samson Morpurgo diAncona. Ma moltissimi dei partecipanti alla controversia non avevano neppure

visto i libri di Hayon e si basavano solo sulle lettere di entrambe le fazioniin lotta. I più importanti pamphlets contro Hayon sono: Le-Einei Kol Yisrael(la decisione giudiziale di Zevi Ashkenazi e lettere sue e di Naphtali Cohen;Amsterdam, 1713); Edut le-Yisrael (ibid.. 1714); opere di Moses Hagiz, inclusoMilhamah la-Adonai ve-Herev la-Adonai, che comprende anche le lettere di moltirabbini italiani (Amsterdam, 1714); Shever Poshe'im (Londra, 1714); Iggeretha-Kena'ot (Amsterdam. 1714); Tokhahat Megullah ve-ha-Zad Nahash di JosephErgas (Londra, 1714): ed Esh Dat di David Nieto (Londra. 1715). Questo libro eparecchi manifesti apparvero anche in spagnolo. Il bet din dei sefarditipubblicò in ebraico e in spagnolo Kosht Imrei Emet (Amsterdam. 1713; inspagnolo, Manifesto). Havon rispose ai suoi critici in parecchi libri eopuscoli in cui difendeva le sue concezioni ma negava che contenesserodottrine shabbatee. Tra essi figurano Ha-Zad Zevi Ashkenazi Amsterdam. 1714);Moda'a Rabba (1714, che include la sua biografia); Shalhevet Yah (controErgas), che comprende anche i pamphlets Pitkah min . Shemaya. Ketovet Ka'aka,e Iggeret, Shevukin (1714). La sua polemica contro Ha-Zad Nahash di Ergas,intitolata Nahash Nehoxhet esiste tuttora nel manoscritto di mano di Hayonmanoscritto l900). A causa della controversia che aveva suscitato, Hayon nonriuscì a pubblicare la sua seconda, ampia opera sulla Cahala. Sefer Ta'azumot.Un manoscritto completo è conservato nella biblioteca del bet din già dellabiblioteca del bet ha-midrash a Londra (62).Zevi Afihkenazi e Moses Hagiz furono costretti a lasciare Amsterdam. Tuttavial'intervento dei rabbini di Smirne e di Costantinopoli che scomunicarono Hayone condannarono le sue opere nel 1714, decise la lotta in sfavore di Hayon icui sostenitori gli consigliarono di ritornare in Turchia per ottenerel'annullamento della scomunica. Hayon tornò e cercò infatti di ottenerlo ma viriuscì solo parzialmente. ormai vecchio rientrò in Europa, dove nel pamphlet

Ha-Kolot Yehdalum (1725) pubblicò alcuni documenti in proprio favore. Il suoviaggio non ebbe successivo perché ancora una volta Moses Hagiz si scagliòcontro di lui nel volumetto Lehishat Saraf (Hanau. 1726), cui gettava sospettisu molti dei documenti o sulle circostanze in cui erano stati firmati. Inmaggioranza, le comunità lo respinsero e persino Ayllon rifiutò di riceverload Amsterdam. Hayon si recò nell'Africa settentrionale e vi morì sembra primadel 1730. Secondo Hagiz. Suo figlio si convertì al Cattolicesimo pervendicarsi dei persecutori del palle e fu attivo in Italia; ma non esistonoprove al riguardo.

8CHRISTIAN KNORR VON ROSENROTH

Figlio di un ministro protestante della Slesia. Knorr viaggiò per parecchianni nell'Europa occidentale. Durante questi viaggi, entrò in contatto conambienti interessati al misticismo, e fu profondamente influenzato dagliScritti di Jacob Boehme. Al suo ritorno, si stabilì a Sulzbach, nella Bavierasettentrionale, e dal 1668 fino alla morte, avvenuta nel 1689, fu consiglieree funzionario del principe Cristiano Augusto, che condivideva le sue tendenzemistiche. Knorr divenne noto come poeta ispirato; alcune delle sue poesie sonoconsiderate tra le più belle della letteratura religiosa tedesca. In Olandacominciò a interessarsi alla Cabala, e si dedicò allo studio dello fontioriginali. Per diverso tempo studiò con veri rabbini come Meir Stern di

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Amsterdam, e acquistò copie manoscritte delle opere di Isaac Luria. unendo aqueste sue indagini un vivo interesse per il misticismo cristiano. Fu instretti contatti con il filosofo di Camhridge Henry More e con il misticobelga Franciscus (Frans) Mercurius Van Helmont, che erano anch'essi attrattidalla Cabala quale sistema teosofico di grande importanza per la filosofia ela teosofia. In vita, Knorr fu considerato il più profondo studioso cristianodella Cabala. I suoi studi furono riassunti nei due grossi volumi della suaopera principale, Kabbala Denudada: "La Cabala svelata, ossia gli insegnamenti

trascendenti metafisici e teologici degli ebrei" (Sulzbach, in latino, 167784). Quest'opera, che ebbe una vasta influenza, era superiore a qualunquealtra pubblicata sulla Cabala in una lingua diversa dall'ebraico. Offriva ailettori non ebrei un'ampia panoramica delle prime fonti mai tradotte inlatino. accompagnate da note esplicative. Nell'opera figurano anche lunghedisquisizioni di More e Van Helmont su temi cabalistici (alcune anonime) conle relative risposte di Knorr. Nelle sue traduzioni, Knorr mirava allaprecisione al punto che talvolta il significato è oscuro per coloro che nonconoscono l'originale. Sebbene il libro contenga molti errori e - traduzionisbagliate soprattutto per quanto riguarda passi difficili dello Zohar, sonoingiustificate le affermazioni di quegli ebrei suoi contemporanei i qualisostenevano che l'autore aveva dato un idea errata della Cabala.Il libro che divenne la fonte principale di tutta la letteratura non Fiudaicasulla Cabala alla fine del secolo XIX. si apre con una "Chiave dei Nomi Divinidella Cabala". un ampio Glossario del simbolismo cabalistico secondo lo ZoharSha'arei Orah di Gikatilla e Pardes Rammonim di Cordovero e alcuni degliscritti di Isaac Luria. Inoltre Knorr si servì di un'opera italianasull'alchimia e la Cabala Esh ha-Mezaref il cui originale ebraico è andatoperduto, e che è conservata solo negli estratti tradotti da Knorr. Venivanopoi traduzioni di alcuni scritti di Luria del capitolo sull'anima in PardesRimmonim e selezioni tratte da Emek ha-Melekh di Naphtali Bacharach unatraduzione abbreviata di, Sha'ar ha-Shamayim di Abraham Kohen de Herrera. euna spiegazione dettagliata dell' "Albero" cabalistico secondo gliinsegnamenti di Luria alla maniera di Israel Sarug. L'"Albero" (che Knorrpossedeva in forma manoscritta). fu stampato separatamente in 16 pagine. Aquesto si aggiungevano numerose disquisizioni di Henry More. La prima partedel secondo volume si apre con una traduzione di Mareh Kohen di Issachar

Berman b. Naphtali ha-Kohen (Amsterdam, lfi73), seguita da una traduzione deiprimi 25 fogli di Emek ha-Melekh sulla dottrina dello zimzum e del mondoprimordiale del caos (tohu), "un'introduzione a una migliore comprensionedello Zohar". La seconda parte include traduzioni delle Idrot dello Zohar,Sifra di-Zeni'uta e il relativo commento di Hayyim Vital, tratto da unmanoscritto, i capitoli sull'angeologia e la demonologia da Beit Elohim diAbraham Kohen de Herrera. e una traduzione di ISefer ha-Gilgulim da unmanoscritto "delle opere di Isaac Luria". Questo manoscritto includeesattamente quanto fu pubblicato nello stesso anno, 1684, da David Grunhut aFrancoforte sul Meno. Il volume si chiude con un'opera separata, AdumbratioKabbalae Christianae, un sommario della Cabala cristiana; sebbene venissepubblicata anonima, l'autore era Van Helmont. A parte la traduzione da BeitElohim, tutti i testi della seconda parte del secondo volume sono stati

tradotti in inglese o in francese: le Idrot e Sifra di-Zeni'uta da S.L.M.Mathers (The Kabbalah Unveiled, 1887, 5 ristampa 1962), Sefer ha-Giulim da E.Jégut (Parigi. 1905) e l'Adumbratio da Gilly de Givry (Parigi, 1899). Lagrande antologia di Knorr determinò in larga misura l'immagine della Cabalaagli occhi degli storici della filosofia sino alla fine del XIX secolo. Ilfilosofo Leibnitz, impressionato dalla pubblicazione di Knorr, nel 1687 glifece visita e discusse con lui argomenti cabalistici.Verso il termine della sua vita. Knorr lavorò a un libro sull'infanzia di Gesùbasato su fonti rabbiniche e cabalistiche. Il manoscritto fu inviato al suoamico Van Helmont, che promise di farlo pubblicare ad Amsterdam; il progettotuttavia non venne realizzato. e questa lunga opera, Messias Puer, andò

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perduta. Knorr contribuì a creare una casa editrice ebraica a Sulzbach. ecollaborò all'edizione dello Zohar pubblicata nel 1684. Questa edizioneincluse una dedica latina anonima al principe Cristiano Augusto; l'autore eraindubbiamente Knorr. Questi ebbe inoltre un ruolo nella pubblicazione diHe.sed le-Avraham di Abraham Azulai (Amsterdam, 1685), che è soprattutto unsommario della Cabala di Cordovero.

9ISAAC LURIA

Luria viene spesso chiamato Ha-Ari il [sacro] leone", Ha-Elohi Rabbi Yzhak,"il divino [nel senso di teologo speculativo o mistico] Rabbi Isaac"). Ilsoprannome era usato già alla fine del XVI secolo. dapprima, evidentemente,negli ambienti cabalistici italiani, ma i contemporanei di Luria a Safed lochiamano R. Isaac Ashkenazi, R. Isaac Ashkenazi Luria e anche de Luria. Isefarditi scrivevano il cognome "Loria". Il padre, membro della famigliaashkenazi dei Luria, tedesca o polacca, emigrò a Gerusalemme e là, sembra,sposò una donna della famiglia sefardita dei Frances. Isaac nacque nel 1534.Il padre morì quando Isaac era ancora bambino, e la vedova portò in Egitto ilfiglio, che crebbe nella casa dello zio materno Mordecai Frances, un riccoappaltatore. Le tradizioni relative alla giovinezza di Luria, al suo soggiornoin Egitto e alla sua introduzione alla Cabala sono avvolte nella leggenda, edè difficile stabilire la verità. La credenza comunemente accettata che egliarrivò in Egitto a sette anni è contraddetta dalla sua stessa testimonianza,in cui ricorda una tradizione cabalistica appresa a Gerusalemme da uncabalista polacco, Kalonymus (vedasi Sha'ar he-Pesukim, porzione BeHa'alotekha).In Egitto, Luria studiò con David b. Solomon ibn Azi Zimra e il successore diquesti, Bezalel Ashkenazi. Con quest'ultimo, Luria collaborò alla redazione diopere halakhiche, come Shitah Mekubbezet sul trattato Zevahim, che secondoHayyim Joseph David Azulai fu bruciata a Izmir nel 1735. Le loro annotazioniad alcune opere di Isaac Alfasi furono stampate in Tummat Yesharim (Venezia,1622). M. Benayahu ha congetturato che vari commenti a passi del trattatoHullin e ad altri trattati talmudici, pervenuti fino a noi in un manoscritto

redatto in Egitto non più tardi del 1655 nell'accademia di un hakham chiamatoMohariel, derivino da appunti presi dagli allievi della yeshivah di Luria inEgitto. Tuttavia questo è dubbio, poiché il manoscritto menziona il SeferPesakim, una raccolta di decisioni halakhiche dello stesso autore, e nullaindica che Luria fosse autore di un libro del genere: certo non lo scrisseprima di arrivare a vent'anni. È sicuro, tuttavia che Luria conosceva laletteratura rabbinica ed era considerato eccelso nello studio non misticodella legge. Oltre agli studi religiosi, in Egitto si diede anche alcommercio, come è attestato da documenti della Genizah del Cairo. Un documentoche riguarda la sua attività di commerciante di pepe, in data 1559, fupubblicato da E.J. Worman (REJ, 57 (1909). 281-2), e un secondo, riguardanteun carico di grano, da S. Assaf (Mekorot u-Mehkarim (1946), 204). Assafcollega il documento al soggiorno di Luria a Safed, ma non vi è dubbio che fu

redatto in Egitto. É scritto interamente di pugno di Luria, ed è l'unico testodi sua mano conosciuto fino ad ora. Questo materiale suffraga l'affermazionedi Jedidiah Galante (in Sefer Ari Nohem di Leone Modena, a cura di S.Rosenthal, Lipsia,1840) che, come molti dei dotti di Safed, Luria svolgevaaffari in quella città; tre giorni prima di morire regolò i conti con iclienti.Mentre era ancora in Egitto Luria iniziò gli studi esoterici e si ritirò inisolamento sull'isola Jazitar alRawda sul Nilo, presso il Cairo. L'isola eradi proprietà di suo zio, che nel frattempo era divenuto suo suocero. Non èchiaro se questo ritiro, che sarebbe durato sette anni, ebbe luogo ingioventù, all'inizio del decennio 1550-60, oppure quando Luria era più

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vecchio. La leggenda lo anticipa considerevolmente. Nel 1558, Luria avallò unadecisione halakhica congiuntamente a Bezalel Ashkenazi e Simeon Castellazzo.Nei suoi studi mistici, si concentrò sullo Zohar e sulle opere dei primicabalisti; tra le opere dei suoi contemporanei studiò in particolare MosesCordovero. Secondo prove risalenti alla fine del secolo XVI, fu durante questoperiodo iniziale di studi cabalistici che egli scrisse la sua unica opera, uncommento al Sifra di-Zeni'uta ("Libro dell'occultamento"), una breve maimportante sezione dello Zohar (pubblicata in Sha'ar Ma'amarei Rnshbi di

Vital). Il libro non contiene accenni all'originale sistema cabalistico cheLuria espose alla fine della sua vita, e mostra spiccatamente l'influenza diCordovero. In Egitto, Luria incontrò Samuel ibn Fodeila, un cabalista al qualeegli scrisse una lunga lettera su temi cabalistici. Qui allude al suo libro elo prega di esaminarlo nella casa di suo fratello, evidentemente in Egitto.Forse Luria fece un pellegrinaggio a Meron prima di andare a stabilirsi aSafed, poiché vi sono riferimenti alla sua presenza alla festa di Lag ba-Omera Meron. Nel 1569, o forse all'inizio del 1570, si stabilì con la famiglia aSafed, e studiò la Cabala con Cordovero per un breve periodo. Alcune delle sueglosse su vari passi dello Zohar furono evidentemente scritte quando Cordoveroera ancora vivo, altre dopo la sua morte, poiché Luria lo chiama sia "ilnostro maestro, la cui luce sia prolungata sia "il mio defunto maestro".D'altra parte, egli aveva già incominciato a insegnare il suo originalesistema cabalistico a numerosi discepoli, a Safed; tra questi vi eranoillustri studiosi. Dopo la morte di Cordovero alla fine del 1570, Hayyim Vitalsi avvicinò a Luria, e divenne il suo discepolo principale e più celebre.É possibile che a Safed Luria raccogliesse intorno a sé un circolo esoterico,i cui membri si dedicavano a studi tanto esoterici quanto essoterici. Siconoscono i nomi d'una trentina di suoi discepoli. Vital conferma (nelmanoscritto sulla Cabala pratica, olografo nella collezione Musajoff,Gerusalemme) che una settimana prima della morte del suo maestro essi avevanostudiato il trattato Yevamot. Inoltre, Vital fornisce alcune notizie sulsistema di studio di Luria per quanto riguardava le parti non mistiche dellalegge. Talora Luria teneva omelie nella sinagoga ashkenazi di Safed, ma ingenerale si asteneva dall'insegnamento religioso in pubblico. D'altra parte,spesso faceva lunghe passeggiate con i discepoli più intimi, nei dintorni diSafed, indicando loro tombe sconosciute di santi personaggi, che egli scopriva

grazie all'intuizione spirituale e alle rivelazioni. In questo periodo, egliera già divenuto famoso come un uomo che possedeva "lo spirito santo" o alquale era stata concessa "la rivelazione di Elia". Insegnata oralmente aidiscepoli, istruendoli sia nel sistema originale della Cabala teorica che nelmodo di comunicare con le anime dei giusti (zaddikim). Ciò veniva effettuatomediante 1' "unificazione" delle Sefirot e di esercizi di concentrazione sucerti nomi divini e sulle loro combinazioni, e specialmente mediante lakavvanah, cioè la riflessione o meditazione mistica nell'atto della preghierae dell'adempimento dei precetti religiosi. Luria mise per iscritto ben pocodei suoi insegnamenti, a parte un tentativo di redigere un commentodettagliato sulle prime pagine dello Zohar e glosse su passi isolati. Questifurono raccolti da Vital e riuniti in un libro di cui esiste tuttora un certonumero di copie manoscritte.

Luria riconosce la propria incapacità di presentare i suoi insegnamenti informa scritta, perché le sue idee traboccanti non si prestano allasistematizzazione. Inoltre, non sceglieva i vari temi di studio nella suadottrina in sequenza logica, bensì a caso. Era geloso del segreto del suosistema, e non permise che venisse propagato durante la sua vita, tanto cheinizialmente fu celebrato soprattutto per la sua condotta e le sue qualitàsante. Alcuni di coloro che chiedevano di studiare con lui furono respinti,inclusi Moses Alshekh e Joseph Caro. I suoi rapporti con i dotti eranoamichevoli: una consultazione halakhica indirizzatagli da Joseph Caro apparenei responsa intitotali Avkat Rokhel (n. 136). Indubbiamente, Luria siconsiderava un innovatore, preminente tra i cabalisti contemporanei. Certe

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allusioni fatte ai suoi discepoli indicano che egli si credeva il "Messiahfiglio di Joseph", destinato a morire nell'adempimento della sua missione. Ilperiodo della sua attività a Safed fu breve, perché egli morì duranteun'epidemia il 15 luglio 1572. La sua tomba a Safed fu e rimase meta dipellegrinaggi per le generazioni successive.Nelle descrizioni entusiastiche dei suoi discepoli e dei loro allievi, scrittenel decennio dopo la morte, e nella cura con cui essi conservarono eraccolsero i suoi insegnamenti e descrissero fedelmente i suoi tratti

personali, risulta attestata chiaramente la personalità eccezionale di Luria.I dettagli sono sparsi negli scritti dei suoi discepoli, in particolare quellidi Vital. Alcuni sono stati raccolti in volume, come Shulhan Arukh shel R.Yizhak Luria, compilato dagli scritti di Jacob Zemah, e pubblicato numerosevolte (per la prima volta in Polonia, 1660-70), Orhot Zaddikim sui precetti diLuria, tratti dagli scritti di Vital (2 voll., Salonicco,1770) e Patorade-Abba (Gerusalemme, 1905). Inoltre, numerosissime leggende crebbero intornoalla sua personalità; ricordi storici e fatti autentici vi si mescolano conaffermazioni visionarie e aneddoti di altri santi uomini. Questi elementimitici appaiono già in opere scritte vent'anni dopo la morte di Luria, comeSefer Haredim di Eliezer Azikri, Reshit Hokhmah di Elia de Vidas, e i libri diAbraham Galante. La leggenda è cristallizzata in due documenti importanti, lacui sequenza cronologica è oggetto di controversia. Uno è la raccolta di trelettere scritte a Safed tra il 1602 e il 1609 da Solomon (Shlomel) Dresnitz,immigrato dalla Moravia, a un amico di Cracovia. Le lettere furono pubblicateper la prima volta nel 1629 in Ta'alumot Hokhmah di Joseph Solomon Delmedigo,e dalla fine del XVIII secolo circolarono con il titolo Shivhei ha-Ari ("Itributi di Ha-Ari"). n secondo documento, Toledot ha-Ari ("Biografia diHa-Ari"), appare in numerosi manoscritti del XVII secolo; una versione fupubblicata con il titolo Ma'asei Nissim ("Miracoli"), sebbene all'interno siachiamata Shiuhei ha-Ari; apparve all'inizio di Sefer ha Kavuanot(Costantinopoli, 1i20). Questa versione della leggenda fu considerata ingenerale la più tarda, basata sulle lettere di Safed. Tuttavia, M. Benayahu hapubblicato un'edizione completa di questa revisione (1967) e ha sostenuto cheservì come fonte per le lettere di Dresnitz. Benayahu ritiene che il librovenisse compilato tra il 1590 e il 1600 da uno dei dotti di Safed, e le suevarie recensioni circolarono ampiamente in Oriente e in Italia. Questa, che è

la prima agiografia cabalistica. unisce realtà e immaginazione nel raccontodella vita del sant'uomo.Non vi è dubbio che la leggenda dell'Ari fosse molto diffusa e circolasse giàprima delle fonti scritte che trattavano del suo insegnamento cabalistico.Queste composizioni formano una vasta letteratura. Benché spesso chiamati daicabalisti Kittvei ha-Ari ("gli scritti di Luria"), in realtà sono opere deisuoi discepoli e dei loro allievi, rivedute e talvolta condensate. Sebbenequasi tutte siano ancora manoscritte, alcune furono pubblicate tra il 1572 eil 1650. Mosso dall'ispirazione mistica, Luria esponeva le sue idee con moltevarianti. Sembra che i suoi ascoltatori abbiano trascritto parte del suoinsegnamento quando egli era vivo, ma che abbiano trasmesso la maggior parteoralmente dopo la sua morte, spesso diffondendosi e sovrapponendovi la lorointerpretazione. Il gruppo dei discepoli di Luria includeva alcuni importanti

cabalisti che avevano una grande opinione di sé e che si consideravano fedelidepositari della dottrina del maestro. Non mancavano attriti e rivalitàpersonali. Negli annali della Cabala, Hayyim Vital ha conquistato l'alloro didiscepolo principale di Luria; le opere dei suoi colleghi e rivali sono statetrascurate oppure attribuite erroneamente a lui; in questo caso hannoacquistato fama di fonti autorevoli degli insegnamenti di Luria. In realtà,esistono diverse versioni che, nel complesso, non sono interdipendenti marappresentano al contrario tradizioni indipendenti registrate dai suoidiscepoli, inclusa una che deve essere considerata spuria. Le tradizioniprincipali sono quattro:1) Quella di Moses Jonah di Safed, cristallizzata in Kanfei Yonah. Il testo

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autentico completo ci è pervenuto in numerosi manoscritti, particolarmente(non riconosciuto) nel manoscritto Sassoon 993, copiato dall'autore stesso aCostantinopoli nel 1582. Un'edizione imperfetta fu compilata da MenahemAzariah Fano a Mantova (stampata per la prima volta a Korzec, 1786). È unafonte importante per lo studio della Cabala lurianica, e finora non ne è statatentata una valutazione soddisfacente. L'autore ha omesso alcuni insegnamentidi Luria, come la dottrina dello zimzum ("il ritrarsi" vedasi p. 133),sebbene, in confronto a quella di Vital, la sua esposizione di altri

insegnamenti di Luria sia migliore per chiarezza.2) Quella di Joseph ibn Tabul che, dopo la morte di Luria, insegnò la Cabalalurianica a molti allievi, tra cui Samson Bacchi, un cabalista italiano. IbnTabul compilò un'esposizione sistematica della Cabala lurianica divisa inderushim ("disquisizioni"), con un certo numero di supplementi. Ledisquisizioni esistono tuttora in manoscritto, e per lungo tempo furonoattribuite a Vital sotto il titolo Derush Hefzi-Bah, e furono persinopubblicate a suo nome (1921, all'inizio di Simhat Kohen di Masud ha-Kohenal-Haddad). Il testo è importantissimo per la versione della dottrina dellozimzum che include, e parti della quale furono soppresse da Vital.3) Quella di Hayyim Vital. In contrasto con la portata relativamente limitatadei discepoli precedenti, Vital espose dettagliatamente gli insegnamenti delsuo maestro. Egli amplia le parole che cita specificamente come pronunciate daLuria, o le espone secondo ciò che aveva udito, con numerose addizioniproprie. Inoltre, scrisse le sue prime versioni subito dopo la morte di Luria,sebbene confermi che certe esposizioni le aveva annotate molto succintamentedopo averle udite. Gli insegnamenti di Luria, in un libro che egli chiamò EzHayyim ("L'Albero della Vita") furono messi per iscritto approssimativamentetra il 1573 e il 1576. Tuttavia. qualche volta egli aggiunse una versionedifferente dei capitoli, così che in certi casi si trovano non meno di quattrovarianti dello stesso tema. L'esistenza di queste revisioni diverse haintrodotto considerevole confusione negli scritti di Vital. La sequenzaoriginale in Ez Hayyim è divisa in otto parti (chiamate "Porte"): a) tutto ilmateriale di mano di Luria raccolto da Vital; b) Sha'ar ha-Derushim,esposizione sistematica della dottrina teosofica di Luria: c) Sha'arha-Pesulzim, spiegazioni di passi biblici, disposte in una sequenza che seguela Bibbia; d) Sha'ar ha-Gilgulim, la dottrina mistica della metempsicosi,

gilgul: e) Sha'ar ha-Kavuanot sulle intenzioni e meditazioni mistichenecessarie per la preghiera (kavuanot ha-tefillah); f) Sha'ar ha-Mizuot leragioni dei precetti religiosi; g) la dottrina delle ammende per ipeccati (tikkunei avonot); h) istruzioni per le "unificazioni" (yihudim)mistiche che Luria trasmise individualmente a ciascun discepolo. Questaversione di Ez Hayyim è pervenuta in manoscritto. Servendosi di essa, ilfiglio di Hayyim Vital, Samuel Vital, compilò altre otto "porte" in cuil'eredità letteraria di Luria viene distribuita secondo il contenuto. Sono: a)Sha'ar ha-Hakdamot; b) Sha'ar Ma'amarei Rashbi; c) Sha'ar Ma'amarei Razal, d)Sha'ar ha-Pesukim; e) Sha 'ar hn Mizuot; f) Sha'ar ha-Kauuanot; g) Sha'arRu'ah ha-Kodesh; h) Sha ar ha-Gilgulim. La prima edizione di questacompilazione. Shemonah She'arim, fu pubblicata, senza il titolo Ez Hayyim enella sequenza sopra riportata, a (Gerusalemme (1850-98; nuova ed. 1960-63).

Molti cabalisti, in particolare tra i sefarditi, riconobbero solo questaversione come autorevole e respinsero il resto degli scritti di Luria, inclusii libri ricavati dalle recensioni dello stesso Vital. Poiché le "otto porte"rimasero nella famiglia di Vital e di suo figlio e furono raramente copiate daaltri prima del 1650, i cabalisti che desideravano studiare la cabalalurianica usavano altre versioni dei libri di Vital e antologie eclettiche delcabalismo lurianico che circolarono a partire dal 1586. Parecchie di queste,che furono compilate a Safed sono pervenute fino a noi (come il manoscrittoSchocken 97 del 1586 a Gerusalemme di pugno di Moses Jonah, e il manoscrittodel 1588, collezione Enelow 683 nel Jewish Theological Seminary di New York).Copie degli scritti di Vital che erano rimasti a Gerusalemme, dove egli visse

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per diversi anni tra il 1590 e il 1600, cominciarono a circolare dalla metàdel XVII secolo, e da esse furono compilate varie raccolte: Sefer ha-Derushim.Sefer ha-Kauvanot e Xefer hn-Likkutim (solo in manoscritti). Solo alla finedel XVII secolo venne fatta un'ampia revisione degli scritti del Vitalrelativi alla Cabala di Luria. Fu compilata a Gerusalemme da Meir Poppers diCracovia, con alcune addizioni di altri colleghi di Luria. Poppers divise lasua revisione in Derekh Ez Hayyim, Peri Ez Hayyim, e Nof Ez Hayyim, cheincluse in pratica tutti gli argomenti trattati in Shemonah She'arim. Fu in

questa revisione che gli scritti di Vital ebbero una vasta diffusione.specialmente in Europa e divennero molto noti prima che la maggior partevenisse pubblicata per la prima volta a Korzec nel 1784. Il libro stampato,intitolato in seguito Ez Hayyim, è in realtà Derekh Ez Hayyim della versionedi Poppers Numerosi libri derivati da tradizioni compilate da Vital sono statipubblicati con il suo nome, come Mevo She'arim (Korzec. 1784); Ozernt Hayyim(ibid.. 1783), entrambi simili per contenuto a Derekh Ez Hayyim, e Arba Me'otShekel Kesef (ibid.. 1804). che in parte è indubbiamente un falso.4) Alla rete intricata delle tre tradizioni precedenti e alle loro formereciprocamente fuse una nell'altra se ne sovrappone una quarta derivante dalleopere di Israel Sarug (~Saruk~. che diffuse la Cabala lurianica in Italia e inmolti altri paesi europei dopo il 1590. Sarug è l'autore di Limmudei Azilut("Dottrine sull'Emanazione"), pubblicato sotto il nome di Vital (Munkacs,l897), che contiene un'interpretazione interamente diversa della dottrinadello zimzum e dell'origine dell'emanazione divina. Poiché Sarug fu il primo adiffondere questo insegnamento in Italia, la sua versione fu accettata inambienti più vasti, sebbene non vi sia dubbio che egli vi aggiunsespeculazioni originali tutte sue. Sarug non fu uno dei discepoli di Luria aSafed, ma basò la sua ricostruzione sulle opere dei principali allievi diLuria che gli erano pervenute. Forse aveva conosciuto Luria in Egitto poichévi è motivo di ritenere che egli fosse nato là, e la sua firma figura su unmanoscritto cabalistico, scritto in Egitto nel 1565 (British Museum, Almanzi29) per Isaac Sarug (suo padre?). Le innovazioni nella sua versione feceroun'impressione considerevole, e per molto tempo essa fu l'unica accettata comeautorevole, e costituì la base di molte delle prime opere sulla Cabalalurianica, per esempio Ta'alumot Hokhmah e Novelot Hokhmah di Joseph DolomonDelmedigo (Basilea, 1629-31), Emek ha-Melekh di Naphtali Bacharach (Amsterdam,

1648) e Ma'ayan ha-Hokhmah (ibid. 1652) che è in realtà Hathalot ha-Hnkhmah,un trattato nato nella cerchia di Sarug. La Cabala lurianica, quindi. nel XVIIsecolo conquistò seguaci grazie alla propagazione di una versione moltolontana dall'insegnamento originale di Luria. Le incoerenze nelle diverseversioni e le contraddizioni nell'esposizione di Vital diedero vita a unaletteratura esegetica fiorita soprattutto tra i cabalisti in Italia, Africasettentrionale e Turchia. Attraverso tutte queste metamorfosi, tuttavia, ilsistema lurianico rimase il fattore cruciale dello sviluppo della Cabala deiperiodi successivi. A parte queste varianti, vi sono anche numerosi trattati esaggi pervenuti a noi in manoscritto, e opere di altri discepoli di Luria,come Joseph Arzin, Judah Mishan, Gedaliah ha Levi e Moses Najara.Prima che si conoscessero gli insegnamenti teorici di Luria, egli si conquistòfama come poeta. Numerosi suoi inni liturgici, dei quali solo pochi hanno

contenuto mistico, furono pubblicati nella raccolta Yefeh Nof (Venezia,1575-80). Le più note tra le sue poesie mistiche sono tre inni per i pasti delSabbath che sono stati inclusi in moltissimil libri di preghiere. Scrittenella lingua dello Zohar descrivono in termini di simbolismo cabalistico ilsignificato del Sabbath e lo speciale rapporto tra l'uomo e il mondo superiorein quel giorno. Pubblicati pure a Venezia, nel 1595, furono i suoi TikkuneiTeshuuah, "rituali di penitenza" (intitolati Marpe le-Nefesh) e nel 1620 ilsuo Sefer ha-Kavvanot, una raccolta di meditazioni mistiche sulle preghiere ei precetti di comportamento. Vi è una contraddizione caratteristica tra laCabala teorica di Luria, con le numerose ardite innovazioni nella dottrinateosofica e nel concetto della creazione che cambiarono il volto della Cabala.

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dove vivevano shabbatei eminenti e verso la fine del suo soggiorno ebbe unavisione che lo indusse a rientrale in Polonia e ad allearsi con un altro caposhabbateo, Judah Hasid. Arrivò a Zolkiew verso la fine del l696, e vi rimaseper diverso tempo, trovando molti seguaci influenti. Da Zolkiew inviò unalettera ai suoi maestri italiani, informandoli che abbandonava il loro campopoiché in Turchia aveva trovato la fonte autentica dell`insegnamentoshabbateo. R possibile che tornasse in Turchia nel 1697, e sembra a cheincontrasse Abraham Cardozo ad Adrianopoli. Malakh si schierò a fianco di

Primo nelle discussioni con Cardozo, del quale rifiutò di leggere ledissertazioni speculative. Non è chiaro se fu in quel tempo oppure tardi cheentrò in contatto con il giovane capo dell'ala più radicale della dei doenmehdi Salonicco, Baruchiah Russo (osman Baba); molti detti di quest'ultimo furonocitati da Malakh a uno dei suoi allievi (in un quaderno d'appunti shabbateo,scritto probabilmente a Damasco e oggi presso la Columbia University Library).Dopo il suo ritorno, divenne uno dei fondatori della nuova "Società delHasidismo", che propugnava un'immigrazione di dotti asceti a Gerusalemme perattendervi l'imminente venuta del Messia. Si intendeva segretamente che questoMessia fosse Shabbetai Zevi, il cui ritorno nel 1706, quarant'anni dopo la suaapostasia, era stato predetto da Malakh. Evidentemente, proprio in quegli anniquesti acquisì il nome Malakh, "l'angelo". Fu conosciuto generalmente conquesto titolo a partire dalla fine del secolo XVII: non si sa se questo glivenisse dato per le sue doti di predicatore o per il suo ascetismo. Senzadubbio era considerato il principale cabalista del gruppo. Per la suapropaganda "hasidica", che attrasse molti shabbatei segreti in Polonia, inGermania e nell'impero degli Asburgo, trascorse qualche tempo in Germania e inMoravia dove, alla fine del 1698, assistette a un consiglio dei capi shabbateidegli hasidim a Nikolsburg (Mikulov), del quale è pervenuto fino a noi ilresoconto di un testimone oculare. Si recò anche a Vienna e annunciò cheavrebbe discusso la fede e gli insegnamenti shabbatei con qualunque cabalistadebitamente iniziato. Abraham Broda, il rabbino di Praga, mandò i suoidiscepoli Moses Hasid e Jonah Landsofer, ma la disputa, che durò duesettimane, terminò in modo inconcludente. Malakh si recò poi in Erez Israeldove, dopo l'improvvisa morte di Judah he-Hasid nell'ottobre 1700, una fazionedei hasidim lo scelsero come capo. Cosa avvenne esattamente nell'ambienteshabbateo di Gerusalemme è ignoto, o confuso da notizie semi leggendarie e

preconcette. Comunque, i dissensi interni tra gli shabbatei moderati e quelliestremisti contribuirono alla disgregazione del gruppo; ma si ignora la dataprecisa dell'espulsione di Malakh da Erez Israel. È probabile che egli sirecasse a Costantinopoli e poi a Salonicco, incontrandosi con Baruchiah. Dopoquell'incontro, Malakh acquisì fama di essere un missionario dell'alaantinomista dello Shabbateanismo. Questo portò a una lunga persecuzione a suodanno da parte delle autorità rabbiniche. Una circolare dei rabbini diCostantinopoli, scritta nel 1710, lo denunciava con veemenza. Malakh rientròin Polonia, dove fondò la setta radicale da cui scaturì il movimentofrankista; ma fu anche emissario di alcuni gruppi ashkenazi in Erez Israel.Come tale è menzionato nei documenti della comunità di Tiktin (Tykocin) nel1708. In pubblico, egli negava qualunque rapporto con lo Shabbateanismo, epreferiva divulgare in privato le sue dottrine. Costretto a lasciare la

Polonia, vagò per la Germania e l'Olanda. Nel 1715 era ad Amsterdam, dove unalettera di Abraham Broda, allora rabbino di Francoforte, che chiedeval'immediata espulsione di Malakh, arrivò poco dopo la sua partenza. Morì nonmolto tempo dopo essere ritornato in Polonia, nel 1716 o 1717. Fu consideratogeneralmente un esperto della Cabala e un convincente portavoce del movimentodopo che questo fu costretto alla clandestinità.Non sono sopravvissuti suoi scritti.

11MOSES BEN SHEM TOV DE LEON

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Moses nacque intorno al 1240, sembra, a Leon, presso la Castiglia: egli stessosi presenta come "Moses della città di Leon" nel suo Shekel ha Kodesh. Non sisa nulla dei suoi maestri e dei suoi primi studi. A parte lo studio religioso,fu attratto anche dalla filosofia; la Guida per i perplessi di Maimonide vennecopiata per lui nel 1264 (Mosca, manoscritto Guenzburg 771). In seguito, Mosessi dedicò alla Cabala, e mentre vagava tra le comunità della Castiglia, feceamicizia con i cabalisti locali. Si immerse nella tradizione della scuola di

Gerona e in quelle del circolo gnostico di Moses di Burgos e Todros Abulafia;e in un periodo imprecisabile tra il 1270 e il 1290 si avvicinòparticolarmente a Joseph Gikatilla. Spinto da un eccezionale entusiasmo, unitoalla necessità di contrastare l'influenza delle tendenze razionaliste, Mosescompose vari scritti verso la fine del decennio 1270-80 Presentati in formapseudoepigrafica, avevano lo scopo di propagare la dottrina del cabalismo,secondo il modello che si era cristallizzato nella sua mente. Completati primadel 1286, formano il Midrash ha-Ne'elam, o "Midrash mistico", e costituisconola sostanza fondamentale dello Zohar. Lo strato più tardo di quest'operacomposita fu scritto da un altro cabalista La parte preponderante di questiscritti è in aramaico; ma Moses compose anche opere pseudoepigrafiche inebraico sulla morale e sull'escatologia dell'anima. Il "Testamento di R.Eliezer il Grande", chiamato anche Orhot Hayyim, testimonia l'esitazionedell'autore di fronte alla scelta fra i tannaim Eliezer b. Hyrcanus e Simeonb. Yohai per trovare il protagonista della sua costruzione pseudoepigrafica.Inoltre, egli intendeva comporre un nuovo Libro di Enoch di cui incorporòalcune parti nel suo Mishkan ha-Edut.Per parecchi anni, durante la composizione dello Zohar e almeno fino al 1291,egli visse a Guadalajara, diffondendo le prime parti dello Zohar, cheincludevano una versione un po' diversa del Midrash ha-Ne'elam (G Scholem, inSefer ha-Yovel... L. Ginzberg (1946), 425-6, sezione ebraica). A Guadalajarafrequentò Isaac ibn Sahula, che a quanto si sa fu il primo a citare il Midrashha-Ne'elam. Dedicò alcuni dei suoi libri a Joseph b. Todros Abulafia, diToledo. Dopo il 1292, Moses condusse un vita vagabonda sino a quando, giàavanti negli anni, si stabilì ad Avila, dove è probabile che si dedicassequasi esclusivamente alla diffusione delle copie dello Zohar. Nel 1305incontrò a Valladolid Isaac b. Samuel d'Acri e lo invitò ad Avila a vedere

l'antico manoscritto originale dello Zohar a casa sua. Tuttavia, nel viaggiodi ritorno Moses si ammalò e morì ad Arèvalo nel 1305 (Sefer Yuhasin, a curadi H. Filipowski, 88). La vedova negò l'esistenza di quel manoscritto. Leopere ebraiche che portano il suo nome sono basate sulle stesse fontiutilizzate nello Zohar e spesso vi alludono velatamente, senza indicarlo pernome. Questi scritti e le parti dello Zohar composte da Moses servonofrequentemente a chiarirsi a vicenda; i primi possono essere considerati comel'esegesi autentica della dottrina racchiusa nello Zohar (vedasi l'articoloZohar).Numerose copie di molte sue opere furono eseguite nelle generazionisuccessive, e sembra che lo stesso Moses facesse circolare i testi in versionidiverse. Secondo Abraham b. Solomon di Torrutiel (Neubauer, Chronicles, 1(1887), 105), egli fu autore di 24 libri. Quelli pervenuti fino a noi in forma

integrale o parziale sono Shosham Edut (1286), che Moses ricorda come la suaprima opera (Cambridge, manoscritto Add. 505, include circa metà dell'opera)Sefer ha-Rimmon (1287), un'esposizione delle ragioni cabalistiche dellemizvot, interamente costruita su basi zohariche (diversi manoscritti, adesempio Oxford, Bodleian, manoscritto Opp.344); or Zaru'a nel manoscrittoVaticano 428, 80-90; fu apparentemente ampliato da un altro cabalista, in mododa comprendere l'intera sezione Bereshit, Genesi 1-6 (manoscritto Vaticano212); Ha-Nefesh ha-Hakhamah, scritto nel 1290 per il suo discepolo Jacob. cheIsaac d'Acri conobbe dopo la morte di Moses; fu pubblicato nel 160R un testocorrotto che conteneva numerose aggiunte da un'opera di un cabalista spagnolocontemporaneo; un lungo commento senza titolo sulle dieci Sefirot e le

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penitenze (un'ampia parte nel manoscritto di Monaco 47); Shekel ha-Kodesh(1292, pubbl. 1912; un testo migliore è a Oxford manoscritto Bodleiano Opp.563); Mishkan ha-Edut (1293), sul fato dell'anima dopo la morte, con uncommento sulla visione di Ezechiele che appare in numerosi manoscritti(Berlino, Vaticano, et al.) come un libro indipendente; sia qui che nella suaintroduzione a Or Zaru'a Moses divulga le ragioni della sua attivitàletteraria; Maskiyyot Kesef (scritto dopo il 1299), un commento sullepreghiere, seguito del perduto Tappuhei Zahau (manoscritto Adler, 1577);

responsa su punti della Cabala (a cura di Tishby, in: Kobez al Jad, vol. 5.1951): un trattato su vari temi mistici (Biblioteca Schocken, manoscritto Cab.14. 78-99; manoscritto Vaticano 4281; un altro commento sulle dieci. SefirotSod Eser Sefirot Belimah (Madrid Escuriale Man. G III 14). Moses scrisseinoltre: Sefer Pardes ("Libro del Paradiso"); Sha'arei Zedek sull'Ecclesiaste;Mashal ha-Kadmoni (dal titolo dell'opera del suo amico Isaac ibn Sahula);responsa su questioni concernenti Elia; un commento al Cantico dei Cantici; euna polemica contro i sadducei (o karaiti), menzionato da Abner di Burgos(RE.J, 18 (1889) 62). Il Sefer 17aShem (pubblicato in Heikhal ha-Shem,Venezia, intorno al 1601), sulla designazione delle Sefirot, a lui attribuitoa partire dal XV secolo, fu scritto da un altro cabalista di nome Moses allametà del secolo XIV.

12NATHAN DI GAZA

Il nome completo di Nathan era Abraham Nathan b. Elisha Hayyim Ashkenazi, maegli divenne famoso come Nathan, il Profeta di Gaza e, dopo il 1665, i suoiammiratori lo chiamarono generalmente "la sacra lampada" (buzina kaddisha),l'appellativo onorifico dato a R. Simeon b. Yohai nello Zohar. Suo padre, cheera venuto dalla Polonia o dalla Germania, si stabilì a Gerusalemme, e permolti anni fu emissario della sua comunità, visitando la Polonia, la Germania,l'Italia e spesso il Marocco: era un rispettato dotto rabbinico con tendenzacabalistica. Nathan nacque a Gerusalemme, probabilmente intorno al 1643/44. Ilsuo principale insegnante fu il famoso talmudista Jacob Hagiz; sembra cheNathan fosse uno studente molto brillante, rapido nell'apprendere e dalle

considerevoli doti intellettuali. Prima di lasciare Gerusalemme nel 1663,quando sposò la figlia di un ricco mercante di Gaza, Samuel Lissabonna, e sistabilì nella città del suocero, doveva aver visto Shabbetai Zevi, che alloraaveva il doppio dei suoi anni, nel quartiere ebraico di Gerusalemme. doveShabbetai Zevi visse per quasi tutto il l663. È evidente che doveva aversentito molto parlare di quello strano personaggio e delle sue tribolazioni.Fortemente attratto dalla vita ascetica, nel 1664 Nathan intraprese lo studiodella Cabala. La combinazione di una grande potenza intellettuale e di unaforte immaginazione, che era la sua caratteristica principale, lo portò adavere dopo poco tempo, visioni di angeli e di anime di defunti. Studiòprofondamente la Cabala lurianica, seguendo le regole ascetiche stabilite daIsaac Luria. Poco prima o poco dopo la festa dei Purim. nel 1665, ebbe unasignificativa esperienza estatica, accompagnata da una lunga visione (Nathan

parla di 24 ore) del mondo divino. che gli rivelò come erano connesse lediverse fasi: una visione diversa, in molti dettagli importanti, dallo schemalurianico. Tramite questa rivelazione si convinse della missione messianica diShabbetai Zevi. del quale vide la figura incisa sul trono divino. (Per le sueulteriori, intense attività nell'anno seguente, si veda l'articolo suShabbetai Zevi.) Quando quest'ultimo ritornò dalla missione in Egitto e sirecò a visitarlo a Gaza, Nathan lo convinse del suo destino messianicoproducendo una visione pseudoepigrafica, attribuita a un santo medievale,Abraham Hasid, che predisse la nascita e la storia della prima parte dellavita di Shabbetai Zevi e confermò il suo rango superiore.Nell'estasi, Nathan aveva udito una voce annunciante nel nome di Dio che

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Shabbetai Zevi era il Messia; perciò egli divenne il profeta del "figlio diDavide", la missione che il profeta biblico, Nathan aveva svolto per il reDavide. Poiché gli erano state accordate doti carismatiche dopo il risveglioestatico, molti venivano in pellegrinaggio dalla Palestina, la Siria el'Egitto. Nathan rivelava loro "le radici delle loro anime", i loro peccatisegreti, e prescriveva penitenze. Giacché le sue facoltà profetiche eranoampiamente riconosciute come autentiche. il suo avallo alle pretesemessianiche di Shabbetai Zevi diede l'impulso decisivo al movimento di massa

che travolse dovunque il popolo ebraico. Rimasto a Gaza dopo la partenza diShabbetai Zevi per Gerusalemme e Smirne (Izmir). scrisse lettere allaDiaspora, confermando che la redenzione era prossima e stabilendo complesseregole cabalistiche di penitenza (tikkunim) che dovevano essere seguite daquanti aspiravano a schiudere la nuova era. Tali regole furono molto copiate,e le parti esoteriche del rituale furono stampate in molte edizioni durante il1666. Non si sa perché i rabbini di Gerusalemme, che in maggioranza (inclusoJacob Hagiz) presero posizione contro le pretese messianiche di ShabbetaiZevi, non fecero nulla per impedire le attività di Nathan. Il fatto che lapiccola comunità di Gaza. incluso il rabbino Jacob Najara, figurasse tra isuoi seguaci non è una spiegazione sufficiente. Nell'estate del 1666, mentreShabbetai era prigioniero a Gallipoli. Nathan compose vari trattaticabalistici, tra i quali è giunto fino a noi Derush ha-Tanninim (pubblicato daG. Scholem. Be-Ikkevot Mashi'ah, 1944), glorificando lo stato mistico dlShabbetai fin dall'inizio della creazione. Tuttavia la sua corrispondenza conShabbetai Zevi durante questo periodo è andata perduta.Dopo aver ricevuto la notizia dell'apostasia di Shabbetai, Nathan lasciò Gazaall'inizio di novembre del l666 accompagnato da un numeroso gruppo disostenitori che includevano il suocero e i familiari. Ormai aveva giàincominciato a firmarsi Nathan Benjamin. il nuovo nome che Shabbetai gli avevadato a Gaza. quando aveva nominato 12 dotti come rappresentanti delle 12 tribùd'Israele. La fede di Nathan nel suo messia non vacillò mai; e fin dall'inizioegli accennò alle ragioni mistiche che ne giustificavano l'apostasia.All'inizio. progettò di viaggiare.Alessandretta (Iskanderun) ma poi cambiò seguito per via di terra, evitando lemaggiori state prevenute contro di lui dai rabbini di gennaio 1667 arrivò aBursa (Brusa) dove fu minacciato di bando. se non fosse rimasto fuori dalla

città "standosene tranquillo". Nathan disperse il suo gruppo e continuò consei soli accompagnatori, uno dei quali. Samuel e Gandoor, uno studiosoproveniente dall'Egitto, divenne il suo fedele compagno fino alla morte. Primadi lasciare Bursa, Nathan scrisse una lettera ai fratelli di Shabbetai. aSmirne, inaugurando una lunga serie di lettere, trattati e pronunciamenti indifesa dell'apostasia e dell'immutata missione messianica di Shabbetai, subasi cabalistiche. Molti di questi testi sono pervenuti fino a noi. Il 3 marzol667 arrivò in un piccolo villaggio presso Smirne, poi sostò fino al 30 aprilenella stessa Smirne, là si incontrò con alcuni fedeli, ma in Genere fece unavita molto ritirata.Nathan divenne molto riservato nei confronti di tutti gli estranei, eaddirittura respinse la delegazione di tre comunità dell'Italia settentrionaleche era diretta a visitare Shabbetai Zevi e attendeva di ascoltare le

spiegazioni del profeta. L'ecclesiastico olandese Th. Coenen ha lasciato unadescrizione del suo incontro con Nathan il 25 aprile. Nathan cercò diraggiungere Adrianopoli, dove avrebbe veduto il suo messia ma fu trattenutonella piccola comunità vicina di Ipsola, dove incontrò una delegazione venutada Adrianopoli e Costantinopoli. Dopo essere stato interrogato, fu costretto afirmare un documento (datato 31 maggio 1667) in cui s'impegnava a nonavvicinarsi ad Adrianopoli, a non corrispondere con "quell'uomo", e a nonindire pubbliche riunioni; alla fine ammise che tutte le sue parole sarebberostate smentite, se il messia non fosse apparso prima del 14 settembre, la datache egli stesso aveva fissato in precedenza sulla base di una nuova visione.Più tardi, Nathan ripudiò tutti gli impegni, sostenendo di averli assunti

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sotto costrizione. Andò a visitare Shabbetai Zevi segretamente, poi vagò incompagnia di Gandoor nella Tracia e in Grecia, dove le simpatie per ilmovimento erano ancora forti.All'inizio del 1668 andò da Giannina a Corfù, dove tenne riunioni segrete coni suoi seguaci. Per iniziativa dello stesso Shabbetai Zevi, intraprese poi unviaggio in Italia, con l'intenzione di compiere un rituale mistico nella sededel papa, a Roma. Il suo arrivo a Venezia, intorno al 20 marzo, causò notevoleagitazione e apprensione. Dietro pressioni di qualche esponente del governo,

fu autorizzato a entrare nel ghetto, dove trascorse circa due settimaneinterrogato assiduamente dai rabbini e assediato da turbe di ammiratori e diseguaci. Si ripeterono gli eventi di Ipsola: i rabbini pubblicarono irisultati dei loro interrogatori in un manifesto, che includeva unadichiarazione in cui Nathan ammetteva i suoi errori; più tardi Nathan losmentì in varie dichiarazioni ai fedeli. Da Venezia, si recò insieme a Gandoora Bologna, Firenze e Livorno, dove rimase per qualche settimana rafforzando lesperanze dei fedeli. Quindi, in compagnia di un ricco credente italiano, MosesCafsuto. proseguì per Roma: forse entrambi erano travestiti da gentili. Sifermò solo per pochi giorni (fine di maggio o inizio di giugno), eseguendoriti segreti modellati su quelli in precedenza delineati da Solomon Molcho.Poi ritornò a Livorno o, secondo un'altra versione, si recò direttamente adAncona, dove fu riconosciuto e incontrò il rabbino Mahalalel Halleluyah(Alleluyah), un fervido credente, che ha lasciato un racconto dettagliatodell'avvennimento. Nel frattempo Nathan aveva scritto un resoconto della suamissione a Roma, redatto in sfuggente aramaico e pieno di metaforecabalistiche e apocalittiche. Il testo fu distribuito a numerosi gruppi dicredenti. Al suo ritorno in Turchia, passando per Ragusa e Durazzo, Nathanandò a stare per qualche tempo presso Shabbetai Zevi ad Adrianopoli. Quindipassò sei mesi a Salonicco, dove numerosissimi dotti accorsero a lui perricevere la sua nuova versione della Cabala secondo i principi shabbatei. Perdieci anni rimase in Macedonia e Bulgaria - a parte i pellegrinaggi segretipresso Shabbetai Zevi, dopo che quest'ultimo era stato relegato a Dulcigno inAlbania (1673) - soggiornando soprattutto a Sofia, Adrianopoli e Kastoria, efacendo visite occasionali a Salonicco. Mantenne stretti contatti con moltialtri capi del movimento, che continuavano a considerarlo una figuracarismatica del rango più elevato. Benché Shabbetai Zevi non gli chiedesse mai

di convertirsi all'Islamismo, Nathan difese incrollabilmente non solo lanecessità dell'apostasia del messia, ma anche quegli "eletti" che lo emulavanoper suo ordine. Molti rabbini delle comunità macedoni si schierarono al suofianco, senza far caso ai moniti e alle scomuniche che emanavano daCostantinopoli e Adrianopoli.Le lettere di Nathan rivelano una forte personalità, benché le poche rimastedella sua intensa corrispondenza con Shabbetai Zevi siano scritte in terminisottomessi e adoranti: contrastano stranamente con la sua evidente superioritàmorale e intellettuale nei confronti del suo maestro. Nonostante tutto. tra idue vi furono periodi di tensione. Dopo la morte di Shabbetai, Nathan siritirò ancora di più a ogni contatto con il pubblico, anche se continuò apredicare talvolta nelle sinagoghe di Sofia. Rifiutando di ammettere lasconfitta, sostenne la teoria che Shabbetai Zevi era soltanto "scomparso", o

si era occultato in un sfera superiore, per ritornare nel tempo stabilito daDio. Israel Hazzan di Kastoria, che gli fece da segretario per circa tre anni,trascrisse molti dei suoi insegnamenti e dei suoi detti, dopo la morte diShabbetai. Nathan continuò a condurre una vita ascetica e quando sentì che lafine era ormai prossima, lasciò Sofia e si recò a Skoplje (Uskub), dove morìl'11 gennaio 1680. La sua tomba fu onorata come quella di un santo e per moltegenerazioni gli shabbatei vi si recarono in pellegrinaggio. La pietra tombale,di cui è stata conservata l'iscrizione, andò distrutta durante la secondaguerra mondiale. Le molte leggende fiorite intorno a Nathan quando era ancorain vita crebbero dopo la sua morte. Ebbe due figli, della cui sorte non si sanulla. Uno schizzo che lo ritrae, eseguito da un marinaio che lo vide a Gaza

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nell'estate del 1665, e riprodotto su parecchi manifesti contemporanei, puòessere autentico.Tra il 1665 e il 1679 Nathan intraprese una molteplice attività letteraria.Alcune delle sue numerose lettere erano in pratica trattati teologici.Dapprima egli compose regole e meditazioni cabalistiche per un digiuno di seigiorni consecutivi, Seder Hafsakah Gedolah shel Shishah Yamim ve-ShishahLeilot, parzialmente stampato anonimo e con l'omissione dei passi in cui vienemenzionato il nome di Shabbetai Zevi, con il titolo Sefer le Hafsakah Gedolah

(Smirne. 1732). A questo si accompagnava Tikkunei Teshuvah: entrambi itrattati sono conservati in parecchi manoscritti. All'incirca nello stessoperiodo, cominciò la spiegazione della nuova visione del processo dellacreazione, inviando diversi trattati sull'argomento a Raphael Joseph al Cairo.Di questi è pervenuto fino a noi solo Derush ha Tanninim. Dopo l'apostasia diShabbetai, Nathan sviluppò le sue idee in modo più radicale. La complessaesposizione del suo sistema cabalistico contenente continui riferimenti allafunzione del Messia e delle sue azioni paradossali, si trova nel Seferha-Beri'ah, scritto nel 1670 in due parti. È conosciuto anche con il titoloRaza de-Uvda de-Bereshit, e in alcuni manoscritti era accompagnato da unalunga prefazione che forse era stata concepita come un'entità letterariaseparata. L'opera è pervenuta fino a noi, integrale o in parti. in unatrentina di manoscritti, e dovette essere molto diffusa negli ambientishabbatei fino alla metà del XVIII secolo. Una breve sinossi delle sue idee,dal manoscritto di Oxford, Cat. Neubauer (Bod.) n. 2394, è inclusa inBe-Ikkevot Mashi'ah di G. Scholem. Durante lo stesso periodo, Nathan composeil libro Zemir Arizim che, oltre ad altri argomenti cabalistici, contienelunghe disquisizioni sullo stato della Torah nell'era messianica e unagiustificazione delle azioni antinomistiche di Shabbetai Zevi (completo nelBritish Museum Or. 4536, Cat. Margoliouth n. 856 e altrove). In alcunimanoscritti, l'opera era intitolata Derush ha-Menorah (inclusa in parte nellaraccolta Be-Ikkevot Mashi'ah). Questi libri erano largamente citati daiseguaci segreti dello Shabbateanismo, talvolta anche in opere stampate. Tra lesue numerose lettere pastorali, va ricordata una lunga apologia di ShabbetaiZevi, pubblicata in Kovez al Yad, 6 (1966), 419-56. scritta apparentementeintorno al 1673-74. Frammenti di altri scritti sono dispersi in parecchimanoscritti e quaderni d'appunti shabbatei. Raccolte riguardanti i suoi

costumi e il suo comportamento furono preparate dai suoi discepoli diSalonicco (che lo consideravano una reincarnazione di Luria) e furonodistribuite in Turchia e in Italia. Ci sono pervenute in parecchie versioni.Un condensato del sistema di Nathan fu incorporato come prima parte diSha'arei Gan Eden di Jacob Koppel b. Moses di Mezhirech e fu pubblicato comeun notevole testo cabalistico (Korzec,1803) senza che venisse riconosciuto ilsuo carattere eretico.

13JUDAH LEIB PROSSNITZ

Nato a Uhersky Brod (c. 1670), Prossnitz si stabili a Prossnitz (Prostejov)

dopo il matrimonio. Era un uomo privo d'istruzione che si guadagnava da viverecome venditore ambulante. Intorno al 1696 ebbe un risveglio spirituale ecominciò a studiare la Mishnah, e più tardi lo Zohar e vari scritticabalistici. Convinto di essere visitato dalle anime dei defunti, sosteneva diavere studiato la Cabala con Isaac Luria e Shabbetai Zevi. Che il suorisveglio shabbateo fosse connesso o meno con il movimento cresciuto inMoravia intorno a Judah Hasid, Heshel Zoref e Hayyim Malakh, è ancora oggettodi congetture. Forse egli fu conquistato da Zevi Hirsch b. Jerahmeel Chotsh,che trascorse qualche tempo a Prossnitz nel 1696. Judah Leib si dedicòdapprima ad insegnare ai bambini, ma più tardi i suoi seguaci di Prossnitzprovvidero a lui e alla sua famiglia. Andò a risiedere nel bet midrash di

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Prossnitz, e condusse una vita rigorosamente ascetica; era generalmenteconosciuto come Leibele Prossnitz. Ben presto cominciò a divulgare mistericabalistici e shabbatei e a predicare in pubblico come un revivalista(mokhi'ah). Trovò molti seguaci; il suo sostenitore più importante, perdiversi anni, fu Meir Eisenstadt, una famosa autorità rabbinica che dal 1702fu rabbino di Prossnitz. Nel contempo la sua propaganda shabbatea, soprattuttoda parte di un mistico laico e ignorante, suscitò una forte ostilità in moltiambienti. Tra il 1703 a il 1705, Judah Leib viaggiò in Moravia e in Slesia,

causando considerevole agitazione nelle comunità. Come altri capi shabbatei inquel periodo, profetizzò il ritorno di Shabbetai Zevi nel 1706. La sua apertapropaganda shabbatea portò a scontri a Glogau e Breslavia, dove i rabbiniminacciarono di scomunicarlo se non fosse tornato a Prossnitz per restarvi.Con l'avvicinarsi del 1706 la tensione crebbe. Judah Leib radunò un gruppo didieci seguaci che studiavano con lui e praticavano mortificazioni stravaganti.A Judah Leib venivano generalmente attribuite pratiche magiche connesse altentativo di porre fine al dominio di Samael, e si dice che egli avessesacrificato un pollo per adescare le forze immonde. I fatti relativi a questoepisodio e alla sua promessa di rivelare la Shekinah ad alcuni dei suoiseguaci, incluso Meir Eisenstadt, sono avvolti nella leggenda, ma contengonoqualche nocciolo di verità storica. Da allora fu considerato uno stregone deisuoi nemici; Meir Eisenstadt lo abbandonò e Prossnitz fu messo al bando daltribunale rabbinico e condannato a tre anni d'esilio; tuttavia, dopo diversimesi gli fu permesso di ritornare. Rimase alla testa di un gruppo segretoshabbateo a Prossnitz, lavorando di nuovo come maestro dei bambini. Conservòrapporti con altri shabbatei e nel 1724 tentò di ottenere la nomina di uno deisuoi seguaci, R. Sender, al rabbinato di Mannheim (L. Loewenstein, Ceschichteder Juden in der Kurpfalz (1895), 198-9). Jonathan Eybeschuetz, discepolo diMeir Eisenstadt a Prostejov (Prossnitz) per parecchi anni, avrebbe studiatosegretamente con Judah Leib, che a quei tempi propagava insegnamenti viciniall'ala estremista dello Shabbateanismo. Insieme ad altri del gruppo, sostennegli insegnamenti eretici sulla divina provvidenza. Nel periodo in cui Leib b.Ozer scrisse il suo memoriale sulla situazione dello Shabbateanismo nel 1717,Judah Leib si asteneva dalle manifestazioni pubbliche di fede shabbatea e sidiceva che lavorasse a un commento cabalistico al Libro di Ruth. Con laripresa delle attività shabbatee nel 1724, sulla scia degli emissari inviati

da Salonicco Judah Leib ricomparve pubblicamente sulla scena, affermando diessere i Messiah ben Joseph, precursore del Messiah ben David. Ancora unavolta trovò molti seguaci in Moravia e persino a Vienna e Praga. Alcune dellesue lettere a Jonathan Eybeschuetz e a Isaiah Mokhi'ah di Mannheim furonoritrovate tra le carte confiscate a emissari shabbatei. Nell'estate 1725 JudahLeib fu nuovamente scomunicato dai rabbini di Moravia a Nikolsburg (Mikulov) ein seguito condusse un'esistenza vagabonda. Quando giunse a Francoforte sulMeno all'inizio del 1726, non gli fu permesso di entrare nel quartiereebraico, ma ricevette aiuti materiali da uno dei suoi sostenitori segreti.Sembra che trascorresse i suoi ultimi anni in Ungheria. Mentre i contattiamichevoli tra Judah Leib ed Eybeschuetz sono un fatto accertato non vi sonoprove dell'affermazione di Jacob Emden, il quale sostenne che Judah Leibvedeva in Eybeschuetz il futuro capo degli shabbatei (J. Emden, Beit Yonatan

ha-Sofer (Altona, 1762 ?, 1b), o addirittura come il Messia dopo l'apoteosi diShabbetai Zevi (Shevirat Luhot ha-Aven (Zolkiew, 1755), 18b). Dopo la morte diJudah Leib nel 1730 un forte gruppo shabbateo sopravvisse a Prossnitz duranteil XVIII secolo.

14HAYYIM VITAL

Hayyim Vital nacque in Erez Israel, sembra a Safed, nel 1542.Suo padre, JosephVital Calabrese, il cui nome indica un'origine nell'Italia meridionale, era

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uno scriba molto noto a Safed (si vedano i responsa di Menahem Azariah daFano, n. 38). Il figlio è chiamato anche Hayyim Calabrese in parecchie operecabalistiche. Hayyim Vital studiò nelle yeshivot di Safed, soprattutto conMoses Alshekh, suo maestro di materie esoteriche. Nel 1564 cominciò a studiarela Cabala, dapprima secondo il sistema di Moses Cordovero, sebbene Vital nonchiamasse Cordovero suo maestro. Fu inoltre attratto ad altri studi esotericie dedicò due anni (1563-65) alla pratica dell'alchimia (probabilmente aDamasco), di cui più tardi ebbe a pentirsi. Dopo l'arrivo di Isaac Luria a

Safed, Vital divenne il suo principale discepolo e studiò con lui per quasidue anni fino a che Luria morì nell'estate del 1572. Più tardi cominciò aordinare gli insegnamenti di Luria in forma scritta e a elaborarli secondo lasua interpretazione. Vital cercò di impedire che gli altri discepoli di Luriapresentassero le loro versioni della dottrina del maestro per iscritto, eraccolse intorno a sé molti che accettavano la sua autorità spirituale. Ma nonriuscì a realizzare completamente la sua aspirazione di essere l unico erededel patrimonio spirituale di Luria e di venire accettato quale unicointerprete della Cabala lurianica. Nel 1575, dodici discepoli di Luriafirmarono l'impegno di studiare la teoria del maestro solo attraverso Vital,promettendo di non indurlo a rivelare più di ciò che egli desiderava e atenere segreti i misteri a tutti gli altri (Zion, 5 (1940), 125, e vedasiun'altra copia dell'accordo in Birkat ha-Arez di Baruch David ha-Cohen (1904),61). Questo gruppo di studio smise di funzionare quando Vital si trasferì aGerusalemme, dove fu rabbino e capo di una yeshivah dalla fine del 1577 allafine del 1585. A Gerusalemme scrisse l'ultima versione della sua esposizionedel sistema lurianico. Ritornò a Safed all'inizio del 1586, e vi rimase finoal 1592. Secondo la tradizione, si ammalò gravemente a Safed intorno al 1587;durante il suo lungo periodo di incoscienza, si dice che i dotti di Safedcorrompessero suo fratello minore Moses, il quale permise loro di copiare 600fogli degli scritti di Hayyim Vital, che in seguito furono fatti circolare inun gruppo selezionato (secondo una lettera scritta da Shlomel Dresnitz nel1606 in Shivhei ha-Ari).Nel 1590, Vital fu "ordinato" rabbino dal suo maestro Moses Alshekh. (Il testodell'ordinazione è pubblicato in Sefer Yovel le - Baer (1961), 266.) Tornò dinuovo a Gerusalemme nel 1593, e forse vi rimase parecchi anni, recandosi ditanto in tanto a Safed. Secondo la tradizione dei rabbini di Gerusalemme, si

trasferì a Damasco; comunque, era a Damasco nel 1598 (Sefer ha-Hezyonot(1954), 87) e là rimase fino alla morte. Per diverso tempo fu rabbino dellacomunità siciliana in quella città (ibid. 92, 116). Dopo una grave malattianel 1604, gli rimase la vista menomata, e a volte fu addirittura colpito dauna cecità momentanea. Durante i suoi ultimi anni di vita, intorno a lui siraccolse un gruppo di cabalisti. Morì nel 1620. Vital si sposò almeno trevolte, e il figlio minore, Samuel (1598-c. 1678) ereditò i suoi scritti.Mentre era a Damasco, soprattutto tra il 1609 e il 1612, Hayyim Vital raccolsenote autobiografiche che chiamò Sefer ha-Hezyonot, episodi e testimonianzedella sua grandezza, con inclusi anche i suoi sogni e quelli di altri; laraccolta costituisce una fonte importante per lo studio della sua vita e dellecomplessità della sua anima. Il lavoro ci è pervenuto nella redazione di suopugno e fu pubblicato da A.Z. Aescoly (1954), dall'autografo in possesso di

Rabbi A. Toaff di Livorno. (Questa pubblicazione causò considerevole imbarazzoin taluni ambienti rabbinici.) Da questa opera risulta evidente che esistevanorapporti tesi fra Vital e Jacob Abulafia, uno dei rabbini di Damasco, il qualedubitava della pretesa di Vital di essere l'unico interprete della Cabalalurianica. Le prime edizioni di Sefer ha Hezyonot furono pubblicate da copieframmentarie e corrotte, a Ostrog (1826) come Shiv, hei R. Hayyim Vital, e aGerusalemme (1866) come Sefer ha ,Hezyonot. L'epitaffio di Vital fu pubblicatoin La-Kedoshim Asher ba-Arez di David Zion Laniado (1935), 43. Oltre alfiglio, i suoi discepoli più importanti a Damasco furono Japheth ha-Mizri,Hayyim b. Abraham ha-Kohen di Aleppo, ed Ephraim Penzieri. Molte leggende sulconto di Vital circolavano già quando egli era in vita, e sono conservate in

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Toledot ha-Ari e nelle lettere di Shlomel Dresnitz, pubblicate per la primavolta in Ta'alumot Hokhmah di Joseph Solomon Delmedigo. Nelle generazionisuccessive si aggiunsero molte altre leggende.Vital fu uno scrittore molto prolifico. La sua conoscenza delle materieesoteriche è attestata dalla sua ordinazione e dalle funzione rabbinichesvolte a Gerusalemme. Tuttavia sono stati conservati pochi suoi insegnamentitalmudici: un responsum, redatto a Damasco, fu pubblicato nei responsa diJoseph di Trani (Costantinopoli, ed. 1641, 88c) e dieci responsa halakhici

sono inclusi in Be'er Mayim, Hayyim di Samuel Vital (manoscritto Oxford Cat.Neubauer Bod. n. 832). I suoi commenti al Talmud sono pervenuti fino a noi,insieme a quelli del figlio (nel manoscritto Guenzburg 283) e sono statipubblicati alla Sne di ogni trattato del Talmud El haMekorot, apparso aGerusalemme dopo il 1959. Un volume completo dei suoi sermoni su temiesoterici e sulla Cabala popolare è conservato in Torat Hayyim (manoscrittoinedito nell'elenco della raccolta di R. Aryeh L. Alter di Gur, n. 286) eparecchi suoi sermoni si possono trovare anche nella collezione di manoscrittiBadhab n. 205, ora alla Hebrew University, e alla Columbia University(manoscritto H533, foll. 150 segg., New York). Il suo Sefer ha-Tekhunahsull'astronomia fu pubblicato a Gerusalemme nel 1866. Il manoscritto autografodel suo lavoro sulla Cabala pratica e l'alchimia esisteva ancora nel 1940nella collezione Musayoff a Gerusalemme.Secondo suo figlio, Vital raccolse i suoi scritti principali in due ampieopere, Ez ha-Hayyim ed Ez ha-Da'at. La prima è il nome generico di tutti gliscritti da lui elaborati in base, all'insegnamento di Isaac Luria. Questeopere ebbero parecchie versioni e adattamenti, perché Vital incominciò aordinare ciò che aveva ascoltato da Luria subito dopo la morte di questi e,secondo Meir Poppers, si impegnò in questo compito per oltre vent'anni. Laprima versione (mahadurah kamma) rimase a Damasco presso il figlio di Vital,il quale per molti anni non permise che venisse copiata. Lui stesso revisionòe riordinò Shemonah She'arim, e questa versione ebbe larga diffusione apartire dal 1660 circa. I cabalisti del Medio Oriente, soprattutto quelli diPalestina, la considerarono la versione più autorevole della Cabala lurianica,e alcuni di loro limitarono i loro studi esclusivamente a questa versione. Unmagnifico manoscritto a grandi lettere, che servì da paradigma per molte altrecopie, è conservato nella Biblioteca Nazionale a Gerusalemme (4° 674, tre

volumi in folio). Affinché avesse un'autorità maggiore, a questo manoscritto,che in realtà fu scritto verso la fine del XVII secolo, furono aggiunte datefalse, in modo da farlo apparire copiato ad Aleppo e Damasco nel 1605.Le copie delle opere di Hayyim Vital che circolarono durante la sua vita tra icabalisti della Palestina non erano disposte nell'ordine esatto. Intorno al1620 Benjamin ha-Levi ed Elisha Vestali (o Guastali) le raccolsero inun'edizione di tre volumi. Neppure questa fu stampata, ma godette di grandepopolarità presso le generazioni successive. Includeva Sefer ha-Derushim,composto soprattutto di materiale appartenente a Sha'ar ha-Hakdamot e Sha'arha-Gilgulim; Sefer ha-Kavuanot; e Sefer ha-Likkutim. Gli scritti di Vitalgiunsero in altri paesi in questa edizione, che è conservata in parecchiebiblioteche. Le pagine strappate e sbrindellate dell'"ultima versione"(mahadurah batra) che Vital ordinò a Gerusalemme furono scoperte da Abraham

Azulai e dai suoi colleghi, sembra poco dopo il 1620, in una genizah di quellacittà. Da questi scritti Jacob Zemah trasse molti libri, come Ozerot Hayyim(Korets,1783), Adam Yashar (1885) e Olat Tamid sulle meditazioni nellepreghiere (1850). Un'altra versione del sistema di Vital, che corrisponde aSha'ar ha-Hakmadot, fu scoperta e pubblicata come Mevo She'arim o ToledotAdam. Suo nipote, Moses b. Samuel Vital, riferisce di aver trovato ilmanoscritto dell'autore a Hebron (manoscritto British Museum, Margoliout CMBMn. 821). Varie copie giunsero in Italia alla metà del XVII secolo: ma fupubblicato per la prima volta a Korzec nel 1783. Parti dell'inizio dell'operamancano sia nelle edizioni a stampa che in quelle manoscritte, ma una versionecompleta esisteva ancora a Gerusalemme nel 1890, ed era conservata anche nella

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collezione di Aryeh Alter di Gur. Da tutte le precedenti edizioni pervenute aicabalisti di Gerusalemme Meir Poppers, il discepolo di Zemah, ricavòl'edizione finale degli scritti di Vital che, secondo la testimonianza dialcune copie, fu completata nel 1653. Tutti gli argomenti relativi a Sha'arha-Hakdamot vennero ordinati in Sefer Derekh Ez Hayyim, in cinque sezioniprincipali e in 50 sottosezioni, che includevano la "prima versione" el'"ultima versione", e talvolta addirittura altre versioni (la terza e laquarta), fianco a fianco. A questo libro soltanto fu dato il titolo Ez Hayyim

quando venne pubblicato a Korzec nel 1782 da Isaac Satanov (della cerchia diMoses Mendelssohn). Le edizioni migliori sono quelle pubblicate a Versavia(1890) da Menahem Heilperin, e a Tel Aviv (1960) da Y.Z. Brandwein. Tutto ciòche riguarda la preghiera e le meditazioni mistiche (kavvanot) venne ordinatoin Sefer Peri Ez Hayyim in quattro sezioni: Kavuanot; le ragioni delle mizuot(Ta'amei ha-Mizuot); Tikkunei Avonot; e Yihudim. La sezione sulle meditazionimistiche fu pubblicata da sola con il titolo Peri Ez Hayyim (Dubrovno, 1803) .Il libro, che fu pubblicato prima a Korzec nel 1782 sotto lo stesso titolo,non è basato sull'edizione di Poppers, ed era un adattamento separato del suocollega Nathan Shapiro, intitolato Me'orot Natan. La terza e la quarta sezionefurono pubblicate insieme col titolo Sha'ar ha-Yihudim e Tikkun Avonot aKorzec nel 1783. Tutto il materiale relativo ad altri temi fu ordinato inSefer Nof E? Hayyim in quattro sezioni: Perushei ha-Zohar; Perushei TanakhPerushei Aggadot, Gilgulim Un manoscritto completo di quest'opera si trova aOxford (Neubauer, Cat. Bod. n. 1700). La prima sezione non fu mai pubblicatain questa forma; la seconda (che includeva anche i ta'amei ha-mizuot) fupubblicata come Likkutei Torah Neui'im u-Khetuuim (Zolkiew, 1773); unaversione incompleta della terza fu pubblicata come Likkutei Shas(Korzec,1785); e la quarta sezione fu pubblicata prima di tutte le altre operedi Vital come Sefer ha-Gilgulim (Francoforte sul Meno, 1684). Una versione in70 capitoli, revisionata secondo la versione di Nathan Shapira, fu stampata aPrzemys nel 1876. È quindi evidente che gli scritti di Vital esercitarono laloro influenza sui cabalisti soprattutto mediante copie manoscritte,nonostante il fatto che in seguito tutte le sue opere furono pubblicate piùvolte. In alcune località di Palestina, Turchia, Polonia e Germania, gliscritti di Vital venivano copiati, per così dire, all'ingrosso.Seferha-Kavvanot (Venezia,1620) era semplicemente una versione ridotta e

adattata di una delle copie che circolavano in Palestina quando Vital eraancora vivo. La parte principale della prima sezione su Perushei ha-Zohar fupubblicata come Zohar ha-Raki'a (Korzec, 1785).In tutte queste opere, l'esposizione di Vital è secca e sbrigativa, bendiversa dal linguaggio fiorito comune ai suoi tempi. In un punto di Ez Hayyim(39:16) egli inserì un adattamento di Pardes Rimmonim di Moses Cordovero senzaaccennare al fatto che non si trattava dell'insegnamento di Luria. Inmoltissime parti di, Shemonah She'arim, Vital aggiunse affermazioni di altridiscepoli di Luria. soprattutto su argomenti che egli non aveva avuto modo diascoltare direttamente; tuttavia li menziona raramente con i loro nomicompleti. Vital fu molto scrupoloso nel trasmettere gli insegnamenti di Luria.indicando in molti casi che non riusciva a ricordare esattamente, o che avevaascoltato affermazioni diverse in diverse occasioni, oppure che aveva

dimenticato. Sembra che, subito dopo averli uditi, trascrivesse molteaffermazioni su scartafacci e quaderni d'appunti. che talvolta citava.Inoltre, egli presentava alcune affermazioni di cui ammette di non ricordareil significato. Per la verità, la sua opera include numerose contraddizioni,alcune delle quali erano dovute allo stesso Luria, altre all'evoluzione delleconcezioni di Vital nel corso della redazione. Queste contraddizioni diederoorigine a una specie di letteratura 'pilpul" sulle affermazioni di Vital, checomprende molti volumi.Prima di frequentare Luria, Vital scrisse un commento sullo Zohar secondo ilsistema di Cordovero, al quale aggiunse più tardi osservazioni occasionalialludendo alle concezioni di Luria. Dopo avere scoperto questo commento a

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Gerusalemme, Abraham Azulai lo inserì nella sua compilazione, or ha-Hammah(1896-98) . L'affinità tra Vital e l'insegnamento di Cordovero si puòriconoscere anche nella sua seconda opera importante, Ez ha-Da'at, di cuirestano solo alcune parti. Includeva evidentemente commenti su molti libridella Bibbia, ma quelli che egli chiama peshat ("il significato letterale") eremez ("il significato allegorico") sono in molti casi Cabala, benché sianopiù vicini al significato letterale dello Zohar. Secondo una testimonianza,Vital incominciò questa opera già nel 1563 all'età di vent'anni, ma secondo

un'altra la scrisse nel 1575. I capitoli 2 e 6 dell'opera furono conservati,di sua mano, nella collezione di R. Alter di Gur (n. 185, datato 1575). Il suocommento sui Salmi fu pubblicato da questo manoscritto, Sefer Tehillim (1926)La parte sulla Torah fu pubblicata come E? ha-Da'at Tov (1864). La secondaparte, che include vari panegirici, sermoni per nozze, circoncisioni, sulpentimento e commenti su Proverbi e Giobbe, fu pubblicata a Gerusalemme nel1906. Lo stesso Vital ordinò varie edizioni di quest'opera. Inoltre, scrissetrattati moraleggianti: il più importante, Sha'arei Kedushah, fu pubblicatoper la prima volta a Costantinopoli nel 1734 ed ebbe molte riedizioni. Iltrattato Leu Dauid fu pubblicato, dal suo manoscritto, da H.J.O. Azulai(Livorno, 1789) e parecchie altre volte. Si ritiene che oltre a queste opereVital abbia scritto molte disquisizioni sulla Cabala non incluse nelleedizioni a stampa, come Hakdamah Kodem Derukh Mayim Nukvin, citata da suofiglio e parzialmente pubblicata nell'introduzione a Me'ir la-Arez di MeirBikayam (Salonicco, 1747). Di dubbia autenticità è Goral Kodesh, sullageomanzia secondo lo zodiac - (Czernovitz, 1899). Arba Me'ot Shekel Kesef(Korzec, 1804) è apparentemente un estratto dalle opere note di Vital conoccasionali cenni autobiografici e allusioni ad altre opere, ma è molto dubbioche possa essere stato Vital a scriverli. Nel libro si afferma che fu scrittonel 1615 ma cita nomi di versioni successive, ordinate da Benjamin ha-Levi eHayyim Zemah. Sembrerebbe che in realtà sia stato scritto nella seconda metàdel XVII secolo; era noto in Marocco agli inizi del XVIII secolo. Un rotolocontenente descrizioni grafiche dei mondi celesti della Cabala, scritto daVital e portato da Damasco, fu scoperto nello Yemen, e nel 1858 venne vendutoal viaggiatore Jacob Saphir (Sefunot, 2 (1958),270). Scritti di Israel Sarug,come Limmudei Azilut e un commento su Sifra di-Zeni'uta (1897), furonoerroneamente attribuiti a Vital. Vital si interessò anche alla letteratura

cabalistica delle origini, sebbene non se ne servisse quasi mai nelle sueopere. La sua antologia di scritti antichi fu scoperta, nella redazione di suamano, nel 1930 a Tunisi (manoscritto Tanuji). La copia di suo figlio Samuel èconservata in manoscritto nel Jewish Theological Seminary di New York.Sebbene non possedesse autentiche capacità creative, Vital fu una delleinfluenze più importanti sull'evoluzione della Cabala più tarda, e assunse laposizione di principale formulatore della Cabala di Luria. Finora non è statotentato uno studio completo della sua personalità e delle sue attività.

15MOSES ZACUTO

Moses Zacuto, nato da una famiglia di marranos portoghesi ad Amsterdam intornoal 1620, studiò discipline giudaiche con Saul Levi Morteira (un'elegia diZacuto sulla morte di quest'ultimo fu pubblicata da D. Kaufmann in REJ 37(1898), 115). Studiò anche discipline laiche. Secondo la tradizione, inseguito digiunò 40 giorni "per dimenticare la lingua latina". Studiò nel betmidrash di Amsterdam, e in gioventù si recò in Polonia per studiare in quelleyeshivot. Zacuto fu attratto dalla Cabala, e ne riferì nelle sue lettere alsuo maestro Elhanan, forse "Elhanan il cabalista" che mori a Vienna nel 1651.Si trasferì in Italia e rimase per qualche tempo a Verona. A partire dal 1645visse a Venezia, dove fu anche predicatore sotto Azariah Figo. In seguitodivenne uno dei rabbini della città e membro della yeshivah veneziana. Tra il

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1649 e il 1670 corresse le bozze di molti libri stampati a Venezia,soprattutto opere sulla Cabala. Nel 1658 curò lo Zohar, Hadash, e scrisseinoltre molte poesie per celebrazioni e occasioni speciali. Cercò diacquistare i manoscritti dei cabalisti di Safed, specialmente quelli di MosesCordovero e le diverse versioni delle opere di Hayyim Vital. Fece amicizia conil cabalista Nathan Shapiro di Gerusalemme e con il vecchio Benjamin ha-Levi,che per due anni (1858-59) fu emissario di Safed a Venezia.All'inizio del movimento shabbateo, Zacuto tendette a prestare fede agli

annunci messianici, ma si oppose a innovazioni come l'abolizione dei tikkunhazot ("preghiere di mezzanotte") e di altre consuetudini. Nella primavera dei1666, in una lettera a Samson Bacchi, assunse una posizione positiva ma cautain favore del movimento, sostenendo soprattutto la sua predicazione dellapenitenza. Dopo l'apostasia di Shabbetai Zevi voltò le spalle al movimento esi unì agli altri rabbini veneziani nell'azione contro Nathan di Gaza quandoquesti giunse nella città lagunare nella primavera del 1668. Nel contempo, sioppose apertamente agli shabbatei in una lettera a Meir Isserles di Vienna, enegli anni successivi respinse la propaganda shabbatea, nonostante il fattoche i suoi studenti prediletti, Benjamin b. Eliezer ha-Kohen di Reggio eAbraham Rovigo, fossero tra i "credenti" (ma'aminim). I rapporti tra Zacuto ei due discepoli divennero tesi a causa delle divergenze insorte quando, adesempio, il dotto shabbateo Baer Perlhefter si recò a Modena e Rovigo losostenne. D'altra parte, Zacuto cercò di procurarsi per mezzo dei suoi allievicopie degli scritti di Nathan di Gaza sulla Cabala shabbatea. In molteoccasioni gli shabbatei criticarono Zacuto, il cui temperamento conservatoreli indisponeva. Nel 1671 egli fu invitato a prestare servizio come rabbino aMantova, ma vi si recò solo nel 1673 rimanendovi fino alla morte, avvenuta nel1697. Godette di grande autorità come capo dei cabalisti italiani del tempo efu in corrispondenza con cabalisti di molte località. Non riuscì però mai astabilirsi in Erez Israel. Le opere esoteriche pubblicate di Zacuto includonoil suo commento alla Mishnah, Kol ha-ReMeZ; per tutta la vita egli fu chiamatoReMeZ, dalle iniziali Rabbi Moses Zacuto. Parte dell'opera fu pubblicata adAmsterdam nel 1719. H.J.D. Azulai, in Shem ha-Gedolim, notò che il manoscrittoera lungo il doppio dell'edizione a stampa. Una raccolta di responsa halakhicifu pubblicata a Venezia nel 1760. Un commento sul Talmud palestinese è andatoperduto. La sua attività principale, tuttavia, fu nel campo della Cabala.

Zacuto si oppose alla mescolanza del sistema cabalistico di Cordovero conquello di Isaac Luria, che allora era comune in diversi ambienti (Tishby, inZion, 22 (1957), 30), e per questa ragione criticò Sefer Kavvanat Shelomo diSolomon Rocca (Venezia, 1670), sebbene componesse una poesia in onoredell'autore (vedasi Iggerot di Zacuto, lettere n. 7, 8). Studiò in modoapprofondito l'intero corpus degli scritti di Luria e di Vital e aggiunsemolte annotazioni sotto il nome Kol ha-ReMeZ o con l'abbreviazione MaZaLaN(Moshe Zakkut Li Nireh, "Sembra a me, Moses Zacuto"). Molte sono raccolte neilibri Mekom Binah e Sha'arei Binah di Isaac Sabba (Salonicco, 1812-13), e inparte sono apparse anche in diverse edizioni delle opere di Vital e di JacobZemah. Zacuto scrisse almeno due commenti sullo Zohar. Nel primo continuòYode'ei Binah, iniziato dal suo contemporaneo Joseph Hamiz (fino a Zohar I,39). Qui, Zacuto usò molti commenti della scuola di Cordovero, il commento

Ketem Paz di Simeon Labi e il primo commento di Hayyim Vital. La partestampata contiene il commento fino a Zohar I, 147b (Venezia, 1663). Perragioni ignote, non fu mai messa in circolazione. Una copia esiste tuttoranella biblioteca del bet din a Londra, ma vi sono anche manoscritti completi(per esempio British Museum, manoscritti Add. 27.054-27.057). Mikdash ha-Shem,il suo secondo commento allo Zohar, fu scritto per la maggior parte secondo laCabala lurianica, e fu pubblicato in forma abbreviata in Mikdash Melekh diShalom Buzaglo. Il commento completo si trova nei manoscritti Oxford Opp. 511,512, 513, 515, 516, 517. Mezakkeh ha-Rabbim (Oxford, Bodleian Library,manoscritto Opp. 120), sebbene a lui attribuito, non è opera sua. Un lungoresponsum cabalistico indirizzato ai rabbini di Cracovia sulla copiatura di

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rotoli della Torah, tefillin e mezuzot, fu pubblicato parecchie volte, inMekom Binah, in Kiryat Sefer da Menahem Meiri (parte 2, 1881, 100-8;separatamente, Berdichev, 1890). Zacuto ordinò tikkunim ("preghiere speciali")per parecchie cerimonie religiose secondo la Cabala. Questi furono spessoristampati ed ebbero grande influenza, soprattutto sulla vita religiosa inItalia. Includono Sefer ha-Tiklcunim (un tikkum per la vigilia di Shavuot eHoshana Rabba; Venezia, l59), Mishmeret ha-Hodesh (ibid., 1660), TikkunShovavim (le iniziali delle prime sei sezioni di Esodo), cioè un tikkun per i

digiuni intrapresi in espiazione delle eiaculazioni notturne (ibid., l673), eTikkun Hazot (ibid., 1704). Tutti furono ordinati sotto l'influenza diBenjamin ha-Levi e Nathan Shapiro.Gran parte della poesia di Zacuto è dedicata ad argomenti cabalistici, come lesue poesie nel libro Hen Kol Hadash (Amsterdam, 1712), in Tofteh Arukh (unadescrizione dell'inferno; Venezia, 1715). Inoltre, egli ordinò voluminosicollectanea su argomenti cabalistici. Il primo fu Shibbolet shel Leket, sututti i libri della Bibbia (Scholem, Kitvei Yad be-Kabbalah, 1930, p 153, par.107). A questo seguirono Remez ha-Romez sui numeri. La gematria e lespiegazioni dei Nomi Sacri secondo la numerologia (manoscritto British Museum,Margoliouth 853); Arkflei, Kinnuyim, selezioni dalla Cabala lurianica inordine alfabetico (completo nel manoscritto Gerusalemme 110). Parti diquest'opera furono pubblicate alla fine di Golel or di Meir Bikayam (1737) ealla fine di Me'ir Bat Ayin di Bikayam (1755). Un'altra antologia in ordinealfabetico, fu pubblicata come Em la-Binah, parte del suo Sha'arei Binah(1813). Shorshei ha-Shemot, intitolato anche Mekor ha-Shemot, è una raccoltadi Cabala pratica secondo l'ordine dei 'nomi" magici. Quest'opera ebbe unagrande diffusione in manoscritto ed ebbe parecchie versioni ad opera deicabalisti nordafricani. Un manoscritto completo è a Gerusalemme (80 2454).Seguaci su argomenti cabalistici sono rimasti in parecchi manoscritti; ancheun certo numero di importanti raccolte di lettere di Zacuto è statoconservato, ad esempio, Budapest 459 (di sua mano); Gerusalemme 80 1466;British Museum manoscritto Or. 9165 (di sua mano); .Jewish TheologicalSeminary, N.Y., manoscritti 9906 e 11478 - e nella biblioteca Ez Hayyim diAmsterdam, C15. Solo alcuni furono pubblicati in Iggerot ha-ReMeZ (Livorno,1780).

16JOSHUA HESHEL ZOREF

Zoref, che doveva diventare la figura più importante del movimento shabbateoin Lituania, nacque a Vilna nel 1633. Era un argentiere con una istruzionemodesta che fin dalla giovinezza fu portato alla vita ascetica. Durante lepersecuzioni nella scia della guerra tra Polonia e Svezia, intorno al 1656 sirifugiò ad Amsterdam, ma in seguito tornò a Vilna, dove iniziò a studiare gliscritti morali e mistici, pur restando privo di un'educazione talmudica.Durante l'ondata messianica del 1666, ebbe visioni che molti paragonarono aquella di Ezechiele. Zoref divenne il principale portavoce dei fedeli diShabbetai Zevi e persistette nelle sue convinzioni per tutta la vita. Continuò

nel suo comportamento rigorosamente ascetico e si diceva che per molti anninon lasciasse mai la sua casa se non per recarsi alla sinagoga o al bagnorituale. Dopo il 1666 cominciò a mettere per iscritto le rivelazioni ricevute,in cinque libri che dovevano corrispondere ai libri del Pentateuco. Raccolseintorno a sé un circolo di ferventi seguaci che lo consideravano un oracolo,ed ebbe per questo gruppo un ruolo molto simile a quello avuto in seguitodagli zaddik hasidici. Gli episodi narrati su di lui hanno già un notevolesapore "hasidico". Zoref si pronunciava non soltanto sugli sviluppi messianicie sui misteri relativi, ma anche sugli eventi politici del suo tempo, come èdocumentato da Zevi Hirsch Kaidanover in Kav haYashar (cap. 12; 1705). Lagente accorreva da Zoref da tutta la Polonia per chiedere i suoi consigli o

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per trovare conferma della fede shabbatea. Egli si considerava il Messiah benJoseph, e riteneva Shabbetai Zevi il vero messiah: era convinto di avere ilruolo di rivelatore dei segreti della redenzione tra il primo e il secondo